Masen's state of mind

di Jessie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nuvoloni ***
Capitolo 3: *** Incontri ***
Capitolo 4: *** (Im)possibile ***
Capitolo 5: *** Due Edward ***
Capitolo 6: *** La storia di Edward Masen ***
Capitolo 7: *** Ashley ***
Capitolo 8: *** Anelli diurni ***
Capitolo 9: *** Branco ***
Capitolo 10: *** Origini - Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Origini - Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Origliare ***
Capitolo 13: *** Misteri di fine serata ***
Capitolo 14: *** Izzy 1.0 ***
Capitolo 15: *** Izzy ***
Capitolo 16: *** Una settimana ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Capitolo 1
Prologo
(Bella)
 

Da quel punto della zona boschiva qualche raggio soffocato dalle vicine chiome degli alberi sembrava riuscire ad arrivare fino alla nostra pelle, fioco. Una porzione del mio braccio aveva cominciato impercettibilmente a brillare diamantina, ma non abbastanza per destare sospetti ad un essere umano. La sua stranamente, sembrava non fare una piega.
Alzai la mano sinistra per portarmi una ciocca sfuggente dietro un orecchio quando vidi i suoi occhi saettare verso il luccichio del mio anulare. Immediatamente si pietrificò, come avesse visto un fantasma.
«Dove hai preso quell’anello?» domandò all’improvviso guardingo.
Spostai sorpresa lo sguardo verso il punto in cui si era fissato il vampiro. Il diamante incastonato all’anello di fidanzamento  della madre di Edward scintillava al tenue riflesso del sole che filtrava appena tra le fronde degli alberi.
«È.. il mio anello di fidanzamento..» mormorai colta alla sprovvista.
«Dove lo hai preso.» ripeté di nuovo secco. Il suo timbro affascinante si era fatto incredibilmente aspro.
Corrugai la fronte: che cosa significava quell’atteggiamento  aggressivo? Che importanza poteva avere per lui il mio anello? Il suo tono perentorio non prometteva nulla di buono.
«Come le ho detto, è di fidanzamento. Me lo ha dato mio marito.» ribadii cupa. Allargai leggermente le gambe come per mettermi in posizione, pronta a scattare al primo segno di attacco. Il sangue umano in fondo rendeva molto più imprevedibili.
«Quell’anello apparteneva a mia moglie. »
«Apparteneva  alla famiglia di mio marito..» risposi incerta. La sua reazione mi lasciava inquieta, come se uno strano presentimento si stesse facendo largo come un brivido, lungo la mia schiena di vampira.
Socchiuse gli occhi per un istante, come se stesse raccogliendo la propria pazienza, e scosse la testa. Quando li riaprì i suoi occhi ardevano di determinazione:«Potrei riconoscerlo ovunque. Ho comprato personalmente quel brillante in un viaggio d’affari, mi è costato una fortuna. L’ho fatto incastonare da un orefice in una montatura su misura. Sotto la montatura c’è un’iniziale, una E.» la sua voce si fece ancor più vellutata ma per questo ancora più spaventosa «Quindi glielo chiederò un’altra volta: è sicura di quello che dice?»
«Sono sicura» riuscii a dire con aria seccata. Qual era il suo problema?
Ci fissammo in un attimo interminabile fino a che non sentimmo dei passi muoversi veloci verso di noi.
 
 


 
Flashback
 
La casa di fronte alla quale ci eravamo fermati era a due piani e modesta, ed era l’unica che avevamo incontrato nel raggio di 10 km, quando, dal centro di Pacifica, costellato di abitazioni, il navigatore ci aveva condotti verso l’immensa area verde con la quale la cittadina confinava. Avvertii un lontano aroma di mare, e uno debole infrangersi di onde. Dopotutto, per quanto potessimo restare nascosti dall’ombra delle altissime piante, eravamo in California.
West-coast baby.
Ridacchiai tra me e me mentre invitavo mia figlia a scendere dalla macchina, attirando lo sguardo incuriosito di Edward. Scossi la testa con un mezzo sorriso mentre scendeva dall’altro lato.
«Aiutami a scaricare Edward» disse con aria sognante Esme dal sedile davanti, mentre Carlisle scendeva dal lato guidatore.
«L’indirizzo è questo.» annunciò Carlisle. Sembrava parecchio rilassato e felice.
Da quando gli avevano parlato di quel progetto sperimentale di tre mesi a San Francisco era elettrizzato e quasi non parlava d’altro. Fare ricerca per poter salvare altre vite umane, studiare nuovi sieri per malattie ereditarie doveva essere una delle più belle notizie che si potessero dare a Carlisle. Mi domandai se ci fosse un altro vampiro meno vampiro di lui.
Certo, era una grande fortuna il fatto che la baia di San Francisco era spesso piena di nebbia anche nei periodi estivi. E che Alice avesse previsto che il centro di ricerca fosse fornito di vetri protettivi dai raggi solari, naturalmente.
«Avremo potuto andare a piedi » borbottò Jacob scendendo dalla Volvo con aria assonnata. Si voltò tendendo  le braccia per aiutare Renesmee a scendere, e io non dovetti nemmeno sollevarla per lasciargliela. Era cresciuta parecchio in quei due anni e mezzo.
«Nessuno te lo impediva, cane. Scommetto che la macchina di Carlisle saprà di licantropo per più di un mese.»
Ci voltammo verso la direzione da cui proveniva la voce: Rosalie ed Emmett, appoggiati alla Spider. Probabilmente con Rose alla guida erano già arrivati da parecchi minuti.
«Oh Rose, sii gentile..» la ammonì dolcemente Esme con un sorriso premuroso. Erano appena tornati da un lungo interrail tra Russia, Norvegia e Scandinavia, mentre Alice e Jasper ci avrebbero raggiunti nel giro di poco, di ritorno dalla Dartmouth.
Quanto a me ed Edward, fino a che la crescita di Renesmee non si fosse fermata, avremmo messo in stand by l’università e saremmo rimasti con Carlisle ed Esme a Forks. Mi sentii stupida nel pensarlo, ma non volevo perdermi nemmeno un istante dei cambiamenti di mia figlia. E nemmeno Charlie.
Evidentemente l’istinto materno si era conservato molto bene anche da vampira.
«Certo Esme» mormorò Rosalie con voce dolce ma piena di sarcasmo. Scossi la testa: non sarebbero cambiati mai.
Jacob alzò gli occhi al cielo sollevando Renesmee:«Mi sei mancata anche tu, bionda.»
Rosalie tirò fuori la lingua in una smorfia scherzosa di disgusto ma i suoi occhi si erano già illuminati di entusiasmo quando si erano posati su Renesmee. Era impossibile starle lontana tanto a lungo.
«Ciao zia Rose!»
«Ehi tesoro, guarda quanto sei cresciuta!» miagolò già di fronte ai due, accarezzandole una guancia con le dita.
«Allora sorellina, azzannato nessuno mentre ero via? Mi sono perso qualcosa di interessante?» chiese Emmett dandomi un pugno amichevole alla spalla. Ouch.
«Molto divertente» feci alzando gli occhi mentre gli restituivo il pugno. Dall’espressione di Emmett, la mia forza da giovane vampire non si era affatto affievolita. Ammiccai alla sua aria incupita senza riuscire a trattenermi: è vero, ero senza dubbio irritante. Ma fino a che avessi potuto me la sarei goduta almeno un po’..
Carlisle fece qualche passo davanti a noi – superandoci diede due pacche comprensive sulla grossa schiena di Emmett – e con un gran sorriso, la casa alle spalle, annunciò:«Ragazzi: benvenuti nella nostra casa delle vacanze!»
I suoi occhi brillavano di una soddisfazione che ci contagiò all’istante, come se nulla potesse andare storto.

Non avrei mai potuto immaginare che San Francisco avrebbe cambiato la nostra vita.
 

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Capitolo 2
*** Nuvoloni ***


Innanzitutto ciao a tutti; avrei voluto scrivere questa intro al primo capitolo ma quando l'ho caricato non avevo molto a tempo a disposizione. Ero molto dubbiosa riguardo a questa storia che mi frullava in testa da un po', e lo sono ancora, ma spero di riuscire a gestirla al meglio. 
Questi primi due capitoli sono, purtroppo, ancora introduttivi; avrei voluto suddividere meglio/unire il capitolo 2 e 3 ma mi rendevo conto che sarebbe venuto qualcosa di troppo lungo e poco amalgamato. Mi scuso quindi se questo Nuvoloni sia ancora molto "flusso di coscenza" e poco dialogico e narrativo. Era necessario però ripercorrere la situazione post-Breaking Dawn, per chiarire dove abbiamo lasciato i personaggi conosciuti, attraverso i pensieri di Bella e prepararla ad un nuovo incontro. Prometto di avviare la storia al prossimo.
Spero che la storia ed i successivi capitoli siano di vostri gradimento; mi fanno piacere suggerimenti e commenti, positivi o negativi che siano, sulla storia. Fatemi sapere cosa ne pensate ;) 
Jess

 
Capitolo 2
Nuvoloni
 
Mi voltai verso la voce che aveva pronunciato quelle parole e con stupore vidi che si trattava di Carlisle. Era un sussurro debole, quasi spaventato. Il viso era più pallido di quanto lo fosse di solito.
Si era fermato a pochi metri da noi con la cartella da lavoro in mano. Il suoi occhi erano spalancati sull’uomo che lo guardava con la fronte corrugata senza capire. Era paralizzato.
«Mi perdoni.. Ci conosciamo?» domandò l’uomo educato. Il suo sopracciglio inarcato non poteva nascondere la sua perplessità. La mandibola era serrata e tesa.
 
[ Flashback ]
 
Come Alice aveva previsto, il giorno seguente il sole si eclissò dietro nuvoloni grigi che nella notte avrebbero scaricato parecchia pioggia. Si preannunciavano due perfetti primi giorni per Carlisle.
Approfittammo della situazione ideale per fare un giro per la città. Non ero mai stata a San Francisco, e non ero l’unica: essendoci un clima moderatamente mite non era diventata una delle mete ideali della famiglia Cullen. Volevo assolutamente sfruttare quelle nuvole per stare all’area aperta, fare due passi in spiaggia e girovagare per i negozi del Pier 39. Mentre Alice e Rose se ne andavano in giro a passeggiare alla ricerca di qualche negozio per lo shopping ed Esme le accompagnava incuriosita dalle strutture architettoniche dei giardini, Jasper ed Emmett avevano girovagato da Lombard Street fino all’Exploratorium ed il museo della Cable Car. Io, Edward, Renesmee e Jacbo ne avevamo approfittato per starcene un po’ in spiaggia a giocare –deserta per il tempo freddo e minaccioso – ed avevamo fatto un giro dentro l’Acquarium. Renesmee trovava molto affascinanti gli animali marini, anche se la sua attrazione aveva una doppia faccia, quando individuava mammiferi dal sangue caldo. Mi domandai come doveva essere cacciare in acqua..
La sera ascoltavamo il rumore della pioggia mentre Carlisle ci raccontava della sua giornata e Jacob cenava.
Ricevemmo una telefonata da Seth il giorno dopo, che ci avvisava che sarebbe arrivato a trovarci di lì a poco, non appena avesse passato gli ultimi esami prima del diploma; c’erano un paio di college che stava considerando, in California. Era anche un modo per controllare Leah, che se l’era svignata non appena era finito il matrimonio di Emily e Sam, e se n’era andata nello Utah a frequentare un promettente corso di yoga, come aveva promesso a Jacob e a se stessa, trovandosi un lavoro come barista per mantenersi. Prima che lasciassi Renesmee a cantare con suo padre - volevo uscire per le ultime commissioni nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno - avevo sentito Jacob camminare avanti e indietro sul prato umido mentre parlava con Leah al telefono. A quanto pareva aveva fiutato delle tracce di uno strano animale, troppo veloce per essere umano, in direzione Nevada-California.
«Be’ perlomeno non era un succhias..Un vampiro. Edward aveva parlato dei Figli della Luna ma.. Sì, sono estinti, sì. » aveva detto annuendo più volte «Sei sicura di aver sentito bene? Magari ti sei arrugginita Leah». Rise di fronte alla risposta piccata che fui sicura ricevette dall’altra parte.
Mentre mi avviavo dove finiva il giardino ed iniziava la foresta,  gli lanciai uno sguardo preoccupato, che aveva ricambiato alzando gli occhi al cielo scettico, continuando a parlare con Leah:«Non c’è di che preoccuparsi, siamo a due stati di distanza, ma terremo gli occhi aperti».
Prima di iniziare a correre, indecisa, riuscii solo a sentire Jacob borbottare di stare attenta e che Seth sarebbe venuto a San Francisco molto presto.
Anche se a Leah non piacevamo, ero grata a sua madre per la sua vicinanza a Charlie, e mi faceva piacere che si fosse liberata del peso di Sam grazie a Jacob. In quanto sua beta qualche volta si sentivano e si aggiornavano sulle loro vite e la loro situazione da licantropi. In un certo modo, proteggeva anche noi.
Sorrisi: quante cose erano cambiate da quando ero diventata vampira.
Restare a Forks per altri due anni e mezzo, dopo la visita dei Volturi, era stato più facile di quanto credessimo. L’ospedale era troppo felice di avere un medico come Carlisle nel suo team, e le sue battute – ammalianti – su quanto la sua faccia restasse sempre quella di un bambino erano sufficienti perché nessuno avesse sospetti. L’occhio umano non è così sensibile al passare del tempo in fondo. Per quanto riguardava me ed Edward, eravamo così presi da Renesmee che era difficile incontrare esseri umani così spesso. Ben, Angela, e molti dei miei compagni erano partiti per il college, Renée mi mandava lunghe email sulla sua vita con Phil; Charlie aveva legato molto più di quanto ci aspettassimo con Sue, ed era riuscito ad accettare tutta la mia folle,nuova esistenza. Anche se io ed Edward eravamo gli unici “figli Cullen” ad essere rimasti nella nostra casetta, insieme a Renesmee – e ovviamente Jacob – scoprimmo un nuovo cameratismo con il branco.
Dopo un anno e mezzo intero senza avvistare altri vampiri, nonostante la nostra presenza a Forks, i Quileute avevano smesso gradualmente di fare ronde e di trasformarsi, quindi, lentamente, ad invecchiare. Il fatto di considerarci alleati,per via del nuovo patto sancito con Jacob, e poi con Sam - grazie all’intercessione di Renesmee - probabilmente aveva cambiato le cose, e si era aperta una nuova strada verso la tolleranza. Avevo addirittura preso a frequentare casa di Emily da quando, un giorno, mentre andavo a prendere Renesmee alla spiaggia di La Push, mi ero imbattuta in lei. Stava raggiungendo Quil per ritirare Claire e riportarla alla riserva Makah, così avevamo scambiato due chiacchiere. Fui piacevolmente sorpresa del fatto che, nonostante la mia trasformazione, Emily restava sempre cordiale ed allegra con me, in memoria del nostro breve periodo di vicinanza diversi anni prima. Così, mentre Jacob giocava con Renesmee, Claire e Quil, io restavo a chiacchierare con Emily. Mi raccontava dei suoi progetti di lavoro in un asilo, del nuovo lavoro di Sam – ora più libero dagli oneri di lupo alfa – dei progetti per il college di Jared e Kim e di come Paul avesse raggiunto Rachel Black temporaneamente per uno stage di alcuni mesi a Washington.
Eppure, nonostante la semplicità con cui le cose stavano andando avanti, sapevamo che non saremmo potuti restare più a lungo di un altro anno. La commedia aveva avuto una tenuta più resistente di quello che pensavamo, ma non  avrebbe retto ancora a lungo.
Sospettai che quel viaggio-rimpatriata a San Francisco fosse anche un punto di ritrovo per decidere la prossima meta. L’idea mi mise tristezza, ma in fondo sapevo che era necessario e che, prima o poi, mi sarei abituata. Almeno Renée e Charlie erano in buone mani, ce l’avrebbero fatta anche senza di me, ne ero certa..
Mentre uscivo dall’ultima ispezione alla biblioteca di Pacifica, dirigendomi verso casa, pensai  a come sarebbe stato per Jacob abbandonare per sempre, o quasi, La Push. Saettando tra gli alberi insieme alle onde continue delle loro chiome, immaginai con malinconia cosa potesse pensarne il vecchio Billy, all’idea di restare solo. Pensai ai pomeriggi senza Claire, Emily, Quil, Embry..  
Sapevo anche però che non potevamo lasciarlo senza Renesmee – persino Nessie chiedeva di lui quando passava più di quanto volesse prima di rivederlo – e che forse, prima o poi, crescendo, avrebbero voluto stare da soli.. L’idea mi mandava automaticamente in tilt il cervello, ed il mio proverbiale autocontrollo lasciava parecchio a desiderare. Ero gelosa, come una madre. Immaginai che i pensieri di Edward sarebbero stati sintonizzati ai miei. Mi sembrava così strana, adesso, la vita prima di lei..
Il mio flusso di pensieri fu interrotto da un fruscio secondario che fino a quel momento non avevo percepito, forse perché ancora troppo lontano. Si faceva sempre più forte e crepitava insieme allo spezzarsi di fili d’erba e vento.
Bloccai improvvisamente la mia corsa per qualche istante e riconobbi uno sfrecciare di passi tra le foglie che mi lasciavo alle spalle. Veniva verso di me.
Andava veloce, molto veloce. Come un vampiro.
 

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Capitolo 3
*** Incontri ***


Cap.3
Incontri

 
 
La prima cosa che vidi nella frazione di secondo in cui la figura si fermò  improvvisamente a qualche metro da me fu una copia venuta male di Edward.
Il millesimo di secondo successivo mi accorsi che era un uomo che non avevo mai visto prima. Mi guardava immobile con aria curiosa ma allo stesso tempo le labbra piegate in una linea piatta, leggermente incurvata verso il basso, sulla difensiva.
Piegai la testa a lato e nei secondi successivi ricalibrai la mia prima frettolosa diagnosi.
A prima vista sembrava alto, asciutto ed elegante come mi era sempre apparso Edward. Eppure l’uomo si presentava meno smilzo e più muscoloso, forse un po’ più alto. I capelli scompigliati non erano bronzei ma di un delicato biondo cenere. I tratti del viso piegati in un’espressività familiare si presentavano meno marcati da un lato e più appuntiti dall’altro. Sebbene le sopracciglia fossero le stesse, gli occhi dorati erano sporcati di venature leggermente arancioni. Questo forse significava che si era convertito alla dieta animale di recente. O, alternativa peggiore, aveva deciso di barare per una volta..
Dovevo stare attenta. In fondo non tutti i vampiri erano pacifici. Ma, in fondo, ero una vampira anch’io, avevo fatto parecchia pratica con il mio scudo.
Incerto mosse un mezzo passo  verso di me e sembrò rilassare le spalle: forse i miei occhi ugualmente dorati dovevano avergli fatto capire che venivo in pace.
«Salve » disse semplicemente in tono pacato. La sua voce aveva un timbro caldo e rassicurante, come quelle che assoceresti a fascinosi gentleman di vecchi film romantici anni 30.
«Buonasera.. » mormorai facendo un piccolo sorriso. Cercai di essere positiva.
«Mi scusi, forse l’ho spaventata. Stavo tornando a casa e ho sentito dei passi troppo veloci per essere umani. Non mi è mai capitato di incontrare altri vampiri… Dagli occhi chiari, da queste parti..»
Un vampiro che abitava stabilmente proprio lì. Non aveva l’aria di essere un nomade, in effetti.
«Sono qui temporaneamente in vacanza con la mia famiglia. Non sapevamo ci fossero altri vampiri da queste parti. Non vorrei avere invaso.. La sua privacy. » dissi cercando di mostrarmi cortese.
L’uomo scosse la testa con aria gentile:«Nient’affatto. È un piacere sapere che esistano altri vampiri che seguano una dieta animale. Purché non abbiate intenzione di mordere un essere umano, è chiaro.. »
«Le assicuro che la mia intera famiglia non beve sangue umano da svariati decenni ormai. »
«Ne sono lieto. – sospirò con aria divertita – Non si può mai essere troppo prudenti . Abitando stabilmente vicino a San Francisco ci tengo a mantenere la mia vera identità sottocontrollo, Lei capirà..»
Fissai dritto nei suoi occhi misti aggrottando le sopracciglia. Tutto quello a cui potei pensare fu il mio sventurato incontro con Laurent. Il bue che dice cornuto all’asino.
Incrociai le braccia mantenendo un tono neutrale:«I suoi occhi sembrano dire altro..»
Mi guardò e fu allora che lo fece:  un sorriso sbilenco, identico a quello di Edward. Se avessi potuto sentire ancora i battiti del mio cuore lo avrei probabilmente avvertito fermarsi per un istante e riprendere a galoppare a briglia sciolta. Sentii al contrario il mio corpo di marmo farsi una statua.
«Ha ragione, ho barato» disse con quella smorfia gentile stampata sul viso «Un mese fa mi sono accorto di avere in frigorifero un ultima sacca di sangue di donatore, nascosta nell’ultimo cassettone. Era un po’ che non ne assaggiavo una, è stata una pessima idea.»
Rise tra sé senza accorgersi della mia espressione stupita.
«Va tutto bene?» domandò qualche secondo dopo, lasciando andare il bordo sollevato delle sue labbra.
Oppure sì.
«Certo » disse ricomponendomi con un mezzo sorriso «Mi scusi, sono stata troppo brusca. So quanto sia difficile resistere al sangue umano. E poi non ha ucciso nessuno no?»
Strizzai un occhi con aria amichevole e l’altro annuì cordiale. 
Da quel punto della zona boschiva qualche raggio soffocato dalle vicine chiome degli alberi sembrava riuscire ad arrivare fino alla nostra pelle fioco. La mia pelle aveva cominciato impercettibilmente a brillare diamantina, ma non abbastanza per destare sospetti ad un essere umano. La sua stranamente, sembrava non fare una piega.
Alzai la mano sinistra per portarmi una ciocca sfuggente dietro un orecchio quando vidi i suoi occhi saettare verso il luccichio del mio anulare. Immediatamente si pietrificò, come avesse visto un fantasma.
«Dove hai preso quell’anello?» domandò all’improvviso guardingo.
Spostai sorpresa lo sguardo verso il punto in cui si era fissato il vampiro. Il diamante incastonato all’anello di fidanzamento  della madre di Edward scintillava al tenue riflesso del sole che filtrava appena tra le fronde degli alberi.
«È.. il mio anello di fidanzamento..» mormorai colta alla sprovvista.
«Dove lo hai preso.» ripeté di nuovo secco. Il suo timbro affascinante si era fatto incredibilmente aspro.
Corrugai la fronte: che cosa significava quell’atteggiamento  aggressivo? Che importanza poteva avere per lui il mio anello? Il suo tono perentorio non prometteva nulla di buono.
«Come le ho detto, è di fidanzamento. Me lo ha dato mio marito.» ribadii cupa. Allargai leggermente le gambe come per mettermi in posizione, pronta a scattare al primo segno di attacco. Il sangue umano in fondo rendeva molto più imprevedibili.
«No. Quell’anello apparteneva a mia moglie. »
«Apparteneva  alla famiglia di mio marito..» risposi incerta. La sua reazione mi lasciava inquieta, come se uno strano presentimento si stesse facendo largo come un brivido, lungo la mia schiena di vampira.
Socchiuse gli occhi per un istante, come se stesse raccogliendo la propria pazienza, e scosse la testa. Quando li riaprì i suoi occhi ardevano di determinazione:«Potrei riconoscerlo ovunque. Ho comprato personalmente quei brillanti in un viaggio d’affari, mi è costato una fortuna. Li ho fatti incastonare da un orefice in una montatura su misura.» la sua voce si fece ancor più vellutata ma per questo ancora più spaventosa «Quindi glielo chiederò un’altra volta: è sicura di quello che dice?»
«Sono sicura» riuscii a dire con un fil di voce. Quell'improvvisa ondata di aggressività mi provò un senso di fastidio. Qual era il suo problema?
Ci fissammo in un attimo interminabile fino a che non sentimmo dei passi muoversi veloci verso di noi.
«Signor Masen.»
Masen.
Anche se il ricordo faceva parte della mia vita umana, non avrei mai dimenticato quel cognome.
“Sì. Si chiamava Elizabeth Masen. Il padre, Edward Senior, non riuscì a riprendere conoscenza in ospedale.”
Mi voltai verso la voce che aveva pronunciato quelle parole e con stupore vidi che si trattava di Carlisle. Era un sussurro debole, quasi spaventato. Il viso era più pallido di quanto lo fosse di solito.
 Si era fermato a pochi metri da noi con la cartella da lavoro in mano. Il suoi occhi erano spalancati sull’uomo che lo guardava con la fronte corrugata senza capire. Era paralizzato.
«Mi perdoni.. Ci conosciamo?» domandò l’uomo educato. Il suo sopracciglio inarcato non poteva nascondere la sua perplessità. La mandibola era serrata e tesa.
«Lei.. È Edward Masen?» biascicò spiritato.
«Dipende da chi vuole saperlo.»
La sua espressione si era fatta dura e fredda come pochi minuti prima, quando aveva fissato il mio anello reclamandolo come proprio.
Il mio anello.
Quell’anello apparteneva a mia moglie..  Si chiamava Elizabeth Masen.. Fu grazie alla madre di Edward che mi decisi.
Anche se per un vampiro era impossibile, per un attimo ebbi l’impressione che mi sarebbe girata la testa da un momento all’altro. Fissai il mio anello e poi l’uomo, così diverso ma così somigliante ad Edward.
Edward Masen.
Com’era possibile?
 
 

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Capitolo 4
*** (Im)possibile ***


Cap.4
(Im)possibile
 
"[..]Anche se per un vampiro era impossibile, per un attimo ebbi l’impressione che mi sarebbe girata la testa da un momento all’altro. Fissai il mio anello e poi l’uomo, così diverso ma così somigliante ad Edward.
Edward Masen.
Com’era possibile?"

Carlisle sembrò aver ripreso il controllò di sé dopo aver scosso la testa come per scacciare brutti pensieri. Si portò la testa tra l’indice e il pollice ad abbracciare le tempie e poi il suo volto si fece serio. Parlò molto piano e parve scosso:«Suo figlio.. si chiamava Edward Masen?»
Un lampo di orrore balenò negli occhi striati del vampiro. S’irrigidì senza dire nulla per un po’. Poi annuì seccamente con il capo.
«E sua..Moglie si chiamava Elizabeth Masen?» mormorò senza vita, scrutandolo intensamente negli occhi.
A quel nome l’uomo strinse i denti accendendosi d’ira.
«Chi diavolo è lei?» ringhiò facendo due fulminei passi verso Carlisle.
«Si calmi.» disse prontamente Carlisle alzando le mani come in segno di resa. «Io ho conosciuto la sua famiglia, nel 1918.»
Mi avvicinai a loro con un balzo, decisa a tenere bene d’occhio il nuovo arrivato. Non riuscivo a connettere le informazioni che avevo davanti, ma mi preparai nel caso ci fosse stato bisogno di attivare il mio scudo. Mi sentivo scossa da uno strano tremore: era possibile, per una vampira, andare in shock?
Edward Masen si era bloccato sgranando gli occhi ed aprendo la bocca come volesse dire qualcosa. Eppure non uscì nessun suono. Qualche secondo dopo la richiuse e continuò a fissare Carlisle accigliato. Il suo viso lapidario si fece immobile e più vicino; i suoi occhi sembrarono scavare in quelli riempiti di angoscia, di Carlisle.
Quando parlò lo fece senza interrompere il contatto visivo, e molto chiaramente:«Mi dirai se hai detto la verità sulla mia famiglia. Mi racconterai la verità.»
Non capii subito. Lo sguardo di Carlisle si era fatto per una frazione di secondo vacuo, come in trance, e aveva annuito. Poi, con voce monotona, ma leggermente più sonnolenta di quella che ero abituata a sentire di solito, lo sentii dire:«Sì. Ho detto la verità.»
Non c’era nulla di sbagliato in quelle parole. Ma.. Mi risuonarono meccaniche, sonnolente.
Al suono di quella frase però Edward Masen si allontanò appena, senza rilassarsi troppo. Sembrò più tranquillo però, come se fosse convinto della risposta che Carlisle gli aveva dato fosse la verità.
Annuì con uno scatto nervoso, ma rimase serio a guardarlo, come se si aspettasse una risposta.
«Carlisle!» dissi all’improvviso allarmata. In un attimo fui accanto a lui scuotendolo appena.
I suoi occhi vigili scattarono subito sui miei e poi subito sui suoi. Inarcò un sopracciglio come fosse perplesso poi prese a studiare il signor Masen.
«Come mai io non mi ricordo di Lei?» chiese l’altro con le sopracciglia concentrate.
Guardai l’espressione di Carlisle riempirsi di senso di colpa e compresi all’istante cosa stesse provando in quel momento: doveva raccontare ad un padre, vampiro contro ogni previsione, che suo figlio era ancora vivo, e che ne aveva ignorato l’esistenza perché lui l’aveva trasformato e lo aveva portato via.
«Ho conosciuto Elizabeth ed Edward quasi duecento anni dopo la mia trasformazione, durante un’epidemia di spagnola. Ero uno dei loro medici curanti.» mormorò debolmente.
Senza perdere la concentrazione sulle sue parole Edward alzò le sopracciglia tra lo stupore e la perplessità:«Lei era un medico..Da vampiro»
Doveva essere una domanda ma suonò come una frase ripetuta per assicurarsi di aver capito bene.
Carlisle annuì con un unico cenno del capo:«Lo sono ancora. Ormai il sangue umano non mi dà più fastidio.»
L’altro non ribadì nulla, né lasciò spazio alla sorpresa. Restava in attesa di informazioni senza l’aria di volersi rilassare.
«La vidi arrivare signor Masen, diversi giorni dopo che avevo ricoverato sua moglie. Edward era arrivato in ospedale ancora prima. Lei era già ammalato quando irruppe nella sala dove c’era anche sua moglie. Perse conoscenza a breve, la mettemmo in un letto poco distante ma il giorno dopo la vidi essere portato in obitorio. Due giorni e mezzo dopo, sua moglie era morta. Prima di morire mi implorò di salvare suo figlio, di fare più di quello che era in mio potere per aiutarlo. Come spiegai a Bella sei anni fa» nel momento in cui Carlisle mi indicò, gli occhi di Edward Masen saettarono sui miei per poi ritornare ad inchiodare i suoi «Erano anni che pensavo alla possibilità di crearmi un compagno. La solitudine era diventata insostenibile, e quel ragazzo stava morendo. Il viso di suo figlio era bello anche nel dolore, signor Masen; era il volto del figlio che.. Del compagno, che avrei voluto avere. Desiderai aiutarlo. Così lo portai via durante il mio turno di notte e firmai il suo decesso nella lista che utilizzavamo per tenere sotto controllo la situazione. Tre giorni dopo, Edward era diventato un vampiro, e ce ne andammo: era stato visto in punto di morte da troppe persone, non potevamo restare. »
Edward Masen continuava a fissarlo con concentrazione ma per un attimo parve riempirsi di malinconia e di timida speranza.
Nessuno parlò per un lunghissimo minuto. I due uomini si fissavano con aria diversamente distrutta e io facevo saltare i miei occhi dall’uno all’altro, monitorandone le reazioni. I loro sguardi erano così pieni di sentimento e di tristezza che, potente, mi sarei commossa. Sentii un’eco immaginario di una morsa allo stomaco, prima di accorgermi che era solo una memoria della mia vita umana.
All’improvviso Edward parlò in un sussurro:«Mio figlio.. È vivo?»
Se avesse potuto piangere probabilmente Carlisle avrebbe avuto gli occhi lucidi in quel momento. Il modo in cui le sue parole uscivano fuori sembrarono bloccate da un nodo in gola.
«Signor Masen. Se.. Se avessi saputo che lei era vivo, che era.. Che era diventato un vampiro io non avrei mai portato via..»
Il padre di Edward lo interruppe scuotendo la testa:«Non dica altro. » lo guardo intensamente, ma con un’espressione nuova «Signor…?»
«Cullen.» mormorò il vampiro piattamente
«Signor Cullen. Ha salvato mio figlio dalla morte novant’anni fa. Lo ha portato via per proteggere la sua identità. Non ha nulla di cui scusarsi. »
Il viso di Carlisle sembrò acquistare un po’ di quel colore che lo distingueva da uno zombie, e riuscì a sorridere. Anche il padre di Edward ricambiò il sorriso e gli porse una mano che Carlisle strinse di buon grado.
Subito il suo viso scattò su di me con aria di scuse:«Mi dispiace se l’ho aggredita prima». Accennò col capo al mio anello di brillante con un debole sorriso:«Erano decenni che non lo vedevo. Non l’ho mai più trovato, immaginavo fosse andato perduto insieme al corpo di Elizabeth. L’ho cercato in moltissime aste ma non l’ho mai trovato. Quando gliel’ho visto al dito, sono impazzito.»
Scossi la testa con un mezzo sorriso. Immaginai come si fosse sentito: aveva perso la sua famiglia secoli prima. Era difficile calibrare le proprie emozioni.
Allungò la mano e ritornò ad avere l’aria naturalmente affascinante che avevo notato durante il nostro primo scambio di parole:«Devo desumere quindi che Lei sia la moglie di Edward. È un piacere conoscerla, Bella.»
«Lo è anche per me Signor Masen » ribadii timidamente.
Fece segno di no con la testa mentre sorrideva:«La prego, mi chiami Edward » poi aggiunse facendo l’irresistibile sorriso sghembo che conoscevo bene «..Anche se immagino crei un po’ di confusione avere lo stesso nome di mio figlio.»
Annuii, senza poter evitare di sorridere:«D’accordo, allora diamoci del tu.»
«Bella» ripeté a sé stesso come a memorizzarlo. «Come “Isabella”?»
«Esatto».
Notai l’ombra di una risata sulle sue labbra, come se si fosse ricordato qualcosa di divertente. Lo osservai confusa ma la sua espressione enigmatica rimase a sostenere il mio sguardo con aria beffarda, senza aggiungere nulla.
«Immagino vorrà vederlo» disse affabile Carlisle. I suoi occhi parvero emozionati. Sarei stata davvero tanto altruista da essere contenta di presentare mio figlio alla sua vera madre, dopo avergli fatto da mamma per decenni, senza paura che si allontanasse da me? Non seppi rispondermi. Ma compresi che per Carlisle quello doveva un grande sollievo per i sensi di colpa che quell’incontro gli aveva scatenato, e soprattutto, un regalo per Edward.
Dall’altra parte: incontrare il proprio padre dimenticato, dopo svariate vite, era davvero ciò che Edward avrebbe voluto?
Pensando a Charlie mi dissi automaticamente di sì, ma in fondo ero vampira da soli tre anni.  La memoria umana, mi avevano detto, tendeva a sbiadire quasi del tutto.
Vero era che il padre di mio marito, nonostante questo, sembrava perfettamente lucido.
Edward s’illuminò:«È qui?»
Carlisle fece cenno di sì con la testa:«Staremo qui  con la mia famiglia per qualche mese, mentre lavoro ad una ricerca.»
«È magnifico. Vorrei.. Vederlo » i suoi occhi si accesero di emozione. Facendo qualche passo si mise alla mia sinistra:«Immagino che vi siate stabiliti alla vecchia casa nel bosco »
Mentre Carlisle si assicurava velocemente la borsa e si sistemava alla mia destra io annuii:«Sì, abbiamo deciso di riunirci insieme  approfittando per rivederci. Siamo una famiglia abbastanza numerosa..»
«Ne sono lieto.» mormorò con un sorriso pacato «Io abito più in su, su quella specie di tratto collinare da cui si vede il mare.»
Aggrottai le sopracciglia: ero abbastanza sicura di non aver visto nessuna casa che si erigeva lassù, se non una fitta coltre di alberi.
«Non posso crederci..» bisbigliò quasi muto, forse tra sé e sé.
«Vogliamo andare?» domandò Carlisle tra il nervoso ed il curioso.
Con un cenno del capo asserimmo di sì, e cominciammo a correre per la foresta.
Mi sembrò una situazione così surreale.
Quello  che correva alla mia destra era il padre creatore di Edward, e quello alla mia sinistra era il suo padre biologico. Un totale estraneo, un uomo con cui aveva condiviso la sua vita umana, ma che sembrava perfettamente a suo agio in questo secolo. Le somiglianze con Edward non era particolarmente marcate, anche se si notavano molti dettagli e conformazioni fisiche che li legava come consanguinei. Sembrava cordiale, affascinante, ma in un certo modo misterioso e...Pericoloso? Mansueto, in superficie. Mi sentii improvvisamente nervosa, come la prima volta che s’incontrano i suoceri e si cerca di fare una buona impressione. Era paradossale: avevo già vissuto una scena del genere, nella mia fragilità umana.  Nonostante tutto però quella sensazione di nervosismo che pensai di aver provato al mio primo ingresso in casa Cullen era durata ben poco. Forse era  perché Edward Masen, con il suo passato sconosciuto e la sua aria sicura non sapeva nulla di me, del mio passato e di come ero diventata una vampira. Chissà se avrebbe mai approvato la nostra unione, chissà com’era stato il loro rapporto in vita..
In un attimo eravamo arrivati davanti a casa. Alice era appena piombata sul portico, con gli occhi vigili e curiosi: era evidente ci stesse aspettando. 

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Capitolo 5
*** Due Edward ***


Ciao a tutti,
ci tengo a ringrazie le persone che hanno recensito, anche più volte nel corso della pubblicazione dei capitoli, e tutte quelle che hanno cominciato a seguire/ricordare/preferire la mia storia. Siete stati tutti gentilissimi nei commenti! E' stata una grande sorpresa per me, perciò spero di poter continuare a scrivere capitoli che vi piacciaono. Farò emergere personaggi nuovi, piano piano, lo prometto. 
Se avete dubbi/suggerimenti/critiche/cose che pensate poco inerenti ai personaggi sono disposta a leggervi nelle recensioni, senza problemi!
Grazie ancora,
Jess
Cap.5
Due Edward
 
«Carlisle! Bella! Ho visto..»
Ma la voce di Alice si affievolì all’istante mentre la casa alle sue spalle si riversava fuori.
Vicino al limitare della foresta mi trovavo tra due padri immobili. Ma la situazione cambiò non appena dietro ad Alice sbucò Edward accompagnato dai suoi fratelli. Jacob e Renesmee dovevano essere andati a caccia nei dintorni perché non sentii la loro presenza nelle vicinanze di casa. Rosalie invece, uscì poco dopo dietro Emmett con le braccia conserte, con l’aria seccata da qualcosa, ed Esme le sgusciò affianco.
Cerai subito gli occhi di Edward per capire la sua reazione e desiderai  non averlo fatto.
«Edward..» sussurrai con la voce bloccata in gola.
Nel momento in cui aveva varcato la soglia lo avevo visto muovere solo un passo verso Alice, poi il suo procedere si era arrestato bruscamente. Restava issato al pavimento, ingombrante come una statua. Gli occhi svuotati e spalancati in direzione del padre, immobile quanto lui. Mi ricordò molto il viso stanco e tormentato che aveva avuto durante quasi tutta la mia gravidanza. E rabbrividii.  
Guardai lui e poi il padre, fissarsi senza pronunciare una parola. Il mio Edward aggrottò la fronte, lasciando tutto il resto del viso rigido, come una maschera di gesso. Nella sorpresa cementificata dalla paura c’era un uomo che sembrava decifrare un volto. Dall’altra parte, Masen, con le braccia abbandonate e l’espressione sfiancata: una spaccatura tra il dolore di una perdita e la commozione speranzosa.
Mi sentii ansiosa ed incapace di trovare le parole giuste da dire.
«Alice che succede?» domandò con nervosismo Jasper, che nonostante tutto non perdeva il contatto visivo con me, Edward e Carlisle.
In tutta risposta Alice fece segno di no con la testa e spostò la sua attenzione verso Edward, suo fratello.
Esme si parò nervosamente di fianco a lui, poggiandogli una mano sul braccio come per dissuaderlo, ma lui non si spostò di un centimetro. Non se ne accorse nemmeno. Lei si voltò a guardare Carlisle, smarrita, in cerca di spiegazioni. Lui fece per aprire la bocca con un mezzo sorriso ma, con aria stanca, indicò l’uomo alla mia destra.
«Questo è.. »
«Edward.»
Io e Carlisle ci voltammo verso la voce di Edward Masen. Era rimasto, come suo figlio, con gli occhi sbarrati di fronte a lui. Lo disse in un tono addolorato ma allo stesso tempo pieno di sollievo.  Lo disse come se non potesse credere che fosse vero.
«Conosci quest’uomo Edward?» fece inquieta Esme continuando a lanciare occhiate in cerca di conforto verso Carlisle, che se ne stava serio ma preoccupato a monitorare la situazione. Sembrava non sapere bene come procedere. E nemmeno io.
Ero ipnotizzata su Edward, mio marito, che continuava a guardare l’altro come senza vita, gli occhi persi.
Deglutii provando ad aprire la bocca per dire qualcosa – qualsiasi cosa – che spezzasse quell’imbarazzo ma mi anticipò.
«Padre.» mormorò quasi muto.
«Padre?!» domandarono insieme Emmett e Rosalie, esplodendo.
Jasper cercò lo sguardo di Alice:«Cosa significa?»
«Aspetta un attimo Jazz..»
Sentii appena la risposta di Alice. Ero troppo concentrata a leggere gli occhi di mio marito. Nelle sfumature dorate delle sue iridi percepii una lotta. Forse tra una verità – un riconoscimento – e una difficoltà. Sul momento la interpretai come l’incapacità di realizzare la presenza di una persona che credeva morta. Dopo più di ottant’anni.
«Sì. Sono.. Io..» lo sentii rispondere dopo qualche secondo di pausa. La sua voce si era arrochita, il tono era vagamente confuso.
Sul momento mi sembrò una frase stralunata, ma data la situazione assurda, non afferrai subito. Ero scossa quanto tutti gli altri, e non sapevo cosa fare. Volevo stare vicina ad Edward, andare da lui e stringergli la mano, ma mi sentivo incollata a terra. Dall’altra parte, suo padre sembrava investito da troppi sentimenti, nello stesso modo. Quando notai il suo volto confuso da quella risposta - ma probabilmente troppo imbambolato per approfondire la questione – capii: le parole di Edward – Cullen - venivano da una domanda solo pensata dall’altro.
Suo padre si limitò ad annuire vigorosamente col capo. Dopo qualche secondo aggiunse:«Mi ricordo molto bene di te.»
Edward strinse la labbra con un fremito, ma restò con un’espressione circospetta. Era ancora immobile, sulla difensiva.
«Io..»
Dei rumori improvvisi giunsero dal giardino dietro casa. Riconobbi il passo felpato di zampe familiari: Jacob e Renesmee dovevano essere tornati. In un attimo vedemmo sbucare una massa di pelo rossiccia con mia figlia sul dorso. Non appena esaminò la situazione insolita e puntò gli occhi sull’intruso lo vidi allargare le zampe e mostrare i denti sulla difensiva. I suoi occhi scattavano nervosi tra i Cullen, come in cerca di una spiegazione.
Guardai Renesmee – probabilmente dovevo avere un’aria ansiosa quanto Esme – che mi fissò stupita poi  scrutò l’aria spettrale di suo padre aggrottando la sua piccola fronte con perplessità.
«Qualcuno vuole spiegarci cosa sta succedendo? Chi è lei?» sbottò Emmett impaziente facendo un passo avanti.
Edward, il mio Edward, parve rianimarsi e fece scattare la testa verso di lui con un’espressione feroce alla quale, ero sicura, sarebbe successa una risposta altrettanto brutale.
Dovevo fare qualcosa. Non potevo sopportare di vedere mio marito soffrire a quel modo. La situazione ci stava sfuggendo di mano – mi sembrò ridicolo data l’occasione - e non potevo permettermi di mettere a rischio la sicurezza di Renesmee.
«Edward, Emmett, famiglia Cullen..» cominciai cercando di sembrare decisa e calma, ma la mia voce risuonò appena più flebile di quello che volevo «Mentre rientravo a casa ho.. Incontrato questo vampiro e, quando Carlisle ci ha raggiunti lo ha riconosciuto.. »
Mi voltai verso il padre di Edward con aria indecisa e lui, che sembrava aver ripreso il controllo di sé, prese la palla al balzo:«Sono Edward Masen. E sono »
«È il mio padre biologico.» concluse in un sussurro tombale mio marito.
«Il signor Masen!» esclamò Esme portandosi una mano alla bocca e poi cercò lo sguardo di Carlisle che annuì.
Un latrato di sorpresa si distinse dal lato dov’era accucciato Jacob.
Rosalie si accigliò ancora di più e disse irritata:«Che significa il tuo padre biologico? Sei impazzito Edward?»
«Significa quello che ha detto» concluse seria Alice guardando Rosalie con aria di rimprovero.
«Be’ quello che ha detto non ha senso! Sei sicuro di stare bene Edward?» domandò con sarcasmo facendo un paio di passi per avvicinarsi al fratello, mentre Emmett la tirava appena per un braccio.
Edward le ringhiò contro ed io strinsi le labbra. Nello stesso momento in cui lo feci avvertii suo padre di fianco a me irrigidirsi e stringere i denti. Sembrò contrariato dal modo in cui era stato definito suo figlio. Mi piacque quella strana, istintiva, sintonia.
«Sì Rose, è come dice. È Edward Masen.» confermò Carlisle ritrovando il suo solito tono pacato.
«Hai detto che i suoi genitori erano morti!» ribadì contrariata, ma più calma «Me lo ricordo bene.»
«Si sbagliava.» interruppe secco Edward senior. Aveva riacquistato il normale uso della sua voce, che risuonava profonda ed autoritaria come quando lo avevo conosciuto nella radura. La guardò, rendendo più amichevole l’espressione e poi scosse la testa cercando di far emergere un mezzo sorriso:«Mi dispiace, sono stato brusco. È stata.. Una grossa sorpresa anche per me oggi, quando ho incontrato Bella e ho..» guardò con sguardo addolcito verso il mio anulare, che accennò appena con un dito «..Riconosciuto il suo anello. Poi il signor Cullen ha fatto il mio nome, quello della mia..Defunta moglie e defunto figlio – almeno così pensavo. Mi ha detto che..» non riuscì a negare un sorriso debole ma emozionato «Mio figlio era vivo ed io..»
Edward Masen si bloccò. Nei suoi occhi vidi un luccichio luminoso, che dava forza al suo sorriso provato dalle troppe emozioni di quel minuti, ma sincero. Non riuscii a non sorridere anche io, con un senso di magone all’altezza del petto.
«I ricordi umani tendono a.. Svanire, ma.. Non sai quale gioia è per me scoprirti vivo, dopo tutti questi anni in cui..»
S’interruppe di nuovo e scosse la testa senza sapere cosa dire, ma senza smettere di sorridere. La sua voce sembrava rotta dall’emozione.
Guardai mio marito con un’espressione speranzosa: non sapevo perché, ma il padre di Edward mi metteva allegria. O forse ero contagiata dai suoi sentimenti in quanto madre? Capivo cosa poteva provare, capisco cosa voleva dire amare un figlio. Vidi Edward di nuovo sorpreso che fissava suo padre senza sapere cosa dire. Mi parve.. A disagio.
Certo doveva essere strano sapere che il tuo padre umano non era morto ed era un vampiro, dopo ottant’anni. Forse non aveva ancora superato lo shock,  forse era rimasto troppo paralizzato dalla sorpresa.. Però non c’era traccia di felicità.
Ripensai alle volte in cui avevo provato a chiedere della sua famiglia; a parte le informazioni che mi aveva dato Carlisle su sua madre – bronzea, dagli occhi verdi come lui – sapevo solo che erano tutti morti di Spagnola.
I ricordi umani tendono a svanire..
Lessi di nuovo l’espressione di Edward e compresi: non si ricordava molto bene della sua vita mortale, e di come fosse davvero suo padre in vita.
«Lasci che le presenti la mia famiglia Signor Masen » intervenne Carlisle avvicinandosi a lui. Io annuii e poi mi avvicinai svelta a mio marito, smaniosa di avvicinarlo.
Ci incamminammo per colmare la distanza tra noi e la famiglia, che ora osservava il padre di Edward con molta curiosità. Tuttavia Jasper non sembrava rilassarsi, e Rosalie continuava a restare a braccia incrociate aggrottando la fronte. Anche Jacob zampettò verso di noi leggero, ma avvertii che era confuso. Renesmee ancora aggrappata alla sua pelliccia aveva un’aria incuriosita.
Sbirciai verso il padre di Edward e lo vidi dare una rapida occhiata verso di loro per poi riportarla in avanti. Non sembrò fare una piega di fronte ad un licantropo ed una mezza vampira.
Che ne avesse visti altri? Di solito la reazione a Renesmee era di scompiglio e di confusione con una bambina immortale. Lui sembrava.. Neutrale. Più che calmo parve semplicemente prendere atto della cosa.
Sospirai dubbiosa ma pensai che per il momento avevamo altri problemi a cui pensare. Ne avremmo parlato prima o poi.
Quando i due Edward furono vicini notai le loro numerose differenze. Strano: nella radura la prima cosa che avevo percepito era qualcosa che richiamasse ciò che mi era famigliare. Ora invece, l’uno di fronte all’altro, l’uno – Edward Masen – che svettava qualche centimetro sull’altro, parevano avere pochi tratti simili. Il modo in cui i capelli sottili restavano spettinati, la forma della mandibola, il modo di muovere le sopracciglia, qualcosa dell’espressività forse. Ma il viso era più appuntito, i tratti meno marcati, quasi più delicati. Sarebbe stata una gara dura se qualche sconosciuta se li fosse trovati di fronte. Sebbene non avrei esitato a scegliere Edward – il mio Edward, bello, come una divinità greca - era indiscutibile che Edward Masen fosse molto attraente. Era come vedere Rosalie, al maschile.
A giudicare dall’aria stupida di Esme e il sorriso divertito di Alice non fui l’unica ad averlo notato. Neppure Rose, dietro la sua posizione rigida, riuscì a mascherare del tutto l’indifferenza.
Edward Masen sorrise luminoso, contemplando da più vicino il figlio. Fui convinta che si stesse trattenendo dall’abbracciarlo, dal modo in cui il suo busto protendeva leggermente in avanti, verso di lui.
«Signor Masen, questa è mia moglie Esme » disse Carlisle sfiorandola con una mano «Loro sono i miei.. Figli adottivi. Alice e Jasper, Emmett e Rosalie. Edward e Bella li conosci già e..»
Vidi Edward Masen voltarsi a destra con aria pensosa verso Jacob e Renesmee. Mia figlia lo studiava con attenzione e Jacob rimaneva fermo immobile con gli occhi fissi su di lui. Edward, mio marito, aggrottò la fronte mentre lo guardava.
«Questa è Jacob, un caro amico di famiglia » completai io facendogli cenno di avvicinarsi «E questa è Renesmee. Nostra figlia..Mia e di Edward»
La sua testa si girò verso di me con aria piacevolmente stupita:«Davvero?»
Edward junior – fu troppo strano pensarlo – intercettò i miei occhi e ci scambiammo un’aria dubbiosa sulla sua reazione: in fondo avevo appena chiamato “amico di famiglia” un enorme lupo con una bambina ibrida a cavalcioni sul suo dorso e non aveva fatto una piega. A quanto pare, dalla sua espressione, nemmeno lui aveva trovato niente nei suoi pensieri.
Incerta continuai:«Lei.. Conosce i mutaforma?»
«Oh sì» fece come se stesse pensando a qualcosa di divertente «Il vostro amico Jacob lo è.»
Anche gli altri parvero sorpresi.
«Ci sono dei mutaforma anche qui a San Francisco.» disse restando sul vago.
Jacob fece un mezzo ululato per la sorpresa e m’incontrai con i suoi enormi occhi scuri, vedendo riflessa la stessa sensazione. Esistevano davvero altri mutaforma? Non solo i Quileute potevano diventare lupi?
«Questa è nuova..» mormorò Emmett scettico.
«E, Ren..Esme» pronunciò insicuro il nome di mia figlia, con un mezzo sorriso «immagino sia stata concepita mentre eri umana.. Mi pare di sentire il suo cuore accelerato..»
Restai a fissarlo con la bocca mezza aperta. Dunque il fenomeno si stava espandendo.. Con la coda dell’occhio vidi mio marito con le sopracciglia contratte, come se stesse leggendo qualcosa che non capiva del tutto.
« Quindi... Mi vuoi dire che vi siete conosciuti quando tu eri umana e non sei vampira da molto.» concluse con un gran sorriso. Ne sembrò compiaciuto.
Riuscii solo ad annuire senza aggiungere una parola. Ero ancora troppo stupita.
«Notevole. Sembri davvero molto controllata per una vampira così giovane..» disse gentilmente.
Abbozzai un mezzo sorriso, ancora un po’ intorpidita da quel momento di rivelazioni. Mio marito sembrava ancora più circospetto ma non aggiunse nulla.
«Lei sembra molto informato. Avrà viaggiato molto..» disse cauto Carlisle, cercando gli occhi di suo figlio. Ma Edward era ancora fisso su suo padre, all’erta.
«Sì, ho viaggiato parecchio.» si limitò a dire senza nessuna particolare sfumatura nella voce. Non sorrideva, ma nemmeno era incupito. Di sicuro aveva notato che lo sguardo di suo figlio era poco rassicurante.
Nessuno parlò, per qualche minuto. Si sentii solo Renesmee, che, quasi senza fare rumore, appoggiava i piedi a terra dando un paio di colpetti a Jacob, che appariva indeciso. Qualche secondo dopo lo vidi scodinzolare via verso i primi alberi, mentre il rumore delle quattro zampe si smorzava in due.
Fu Esme, timidamente, a rompere il silenzio: «Signor Masen, non sappiamo molto della vostra famiglia. Edward ci disse che lei era un avvocato.. Vorrebbe raccontarci la sua storia, e come ha fatto a diventare un vampiro?»
L’uomo fece un cenno solenne col capo:«Sì. Ma è una storia lunga.»
Carlisle indicò le cinque sedie  di plastiche dispose disordinatamente vicino al portico:«Accomodiamoci.»
Esme invitò Edward Masen a sedersi al centro, seguendolo insieme a Carlisle e guardandoci me ed Edward perché facessimo lo stesso. Seguii Edward che, rigido, si sedeva vicino al padre, mentre Jacob – che era appena ritornato passandomi davanti a gran passi, in forma umana -  mi sfilava distrattamente Renesmee dalle braccia e si sedeva sulla sdraio tenendo mia figlia sulle gambe. Alice si posizionò per terra vicino ai gradini sui quali si era seduto Jasper. Rosali ed Emmett rimasero sulla panchina del porticato.
Fu allora che Edward Senior si diede una rapida occhiata attorno e cominciò, con voce lontana: «Sono nato nel 1881, a Rockford,Illinois...

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Capitolo 6
*** La storia di Edward Masen ***


Cap.6
La Storia di Edward Masen

 
«Sono nato nel 1881, a Rockford,Illinois. Non ricordo bene come finii a Chicago con mia madre, ma sono abbastanza sicuro che ci andai da bambino e che mio padre non c’era più. Probabilmente si erano lasciati. Incontrai Elizabeth a diciassette anni e diciannove mi sposai. A vent’anni ero padre,uomo d’affari e diventai presto un avvocato – corsi di apprendistato e studi serali. Mi piaceva contrattare con la gente, e apparentemente, ero molto bravo a convincerla. I clienti dello studio per cui lavoravo erano in aumento, e il mio responsabile mi dava molte opportunità. A volte intraprendevo viaggi lunghi, ma non ero mai stato più in là del Colorado o più a sud della Georgia per lavoro. Non volevo lasciare Elizabeth troppo sola con un bambino.
Quando Edward diventò più grande cominciai a fare più spesso viaggi un po’ più lunghi. Gli affari andavano bene, vincevo sempre le mie cause, così mi proposero questa grossa opportunità oltreoceano. Non sapevo cosa fare. » guardò Edward con aria combattuta «Ero consapevole del fatto che, se tutto fosse andato bene, avrei potuto garantire un nuovo tenore di vita per la te e tua madre.. Ma sapevo che sarebbe stato un viaggio lungo e difficile.. Tua madre era preoccupata.
Alla fine mi convinsi a provare, e, anche se la mancanza di casa era tanta, mi sentii elettrizzato all’idea di arrivare in Europa per la prima volta nella vita, uscire dall’America, vedere il mondo.
Sarei dovuto stare via una decina di giorni – le traversate transatlantiche erano molto lunghe all’epoca -  , concludere l’accordo e prendere la prima nave disponibile per tornare a casa, che salpava cinque giorni dopo la partenza. Conoscevo il cliente, sapevo ci avrei messo molto poco. Normalmente quando si facevano viaggi così lunghi i tempi di ripartenza erano molto più prolungati, per una questione di equipaggiamento e di resistenza fisica. Tuttavia, lo avevo promesso a tua madre: non sarei stato via molto.  
In quelle stesse settimane, immagino, Elizabeth si ammalò di spagnola, e tu con lei. Tua zia Adeline probabilmente tentò di avvisarmi ma la posta ci avrebbe messo un secolo.  Il giorno della mia partenza ebbi un pessimo presentimento: ero molto stanco, ma dovevo tornare a casa.
Fu il viaggio più lungo della mia vita.
Per via del cattivo tempo, inoltre, la nave ci mise tre giorni in più.  Durante la traversata sentimmo che qualcuno dell’equipaggio si era ammalato, e la situazione degenerò molto presto: avendo scelto la prima nave disponibile, sebbene il costo del biglietto fosse molto più alto, le condizioni igieniche e i servizi erano pessimi.  Nel panico generale i metodi di contrasto disponibili si basavano su rosari e strane superstizioni assurde che peggiorarono la situazione e fecero sì che il contagio si espandesse tra i passeggeri, me incluso.  Non capii di aver incubato la Spagnola fino a che non vi trovai.  Mi sentivo debole, ma credevo che dipendesse dal viaggio estenuante: volevo solo sapere cosa fosse successo alla mia famiglia, la febbre mi aveva resto paranoico.
Quando arrivai a casa, non c’era nessuno. I vicini mi dissero che una settimana e mezzo prima eravate stati portati in ospedale con sospetto di epidemia. Adeline era morta.
 Sapevo  bene cosa significava: che forse avevo rimasto pochi giorni da passare insieme a mio figlio e a mia moglie. E sapevo anche che era severamente vietato avvicinare pazienti infetti.  »
Sospirò e tornò a guardare le persone di fronte a lui con aria stanca.
« Sono entrato di nascosto, - nessuno badava un granché alla sicurezza in mezzo a quel trambusto - ho cominciato a cercare Edward ed Elizabeth tra le file dei letti d’ospedale e alla fine trovai Liz. Il suo viso era trasfigurato e ossuto, ma i suoi occhi erano vivi. Mi riconobbero all’istante. Feci per avvicinarmi mentre mi accorgevo che cominciavo a barcollare. Avevo i brividi. Quando arrivai da lei mi gettai in ginocchio senza nemmeno accorgermi come: ero incredibilmente stanco. Ricordo che le presi le mani e che mi disse qualcosa a proposito di Edward che stava male, che era grave - ho ricordi molto confusi.» fece un sorriso affettuoso che sembrò costargli fatica prima di riprendere:« Be’ era tipico di Elizabeth preoccuparsi per gli altri, anche quando le sue condizioni erano a repentaglio.
Non ricordo molto da lì in poi. Mi girava la testa e ci vedevo appannato, probabilmente i medici mi portarono a letto e mi ricoverarono. Da quello che lei dice, dottor Cullen, devo aver perso la lucidità, devo essere peggiorato in fretta. L’ultima cosa che ricordo prima del mio risveglio da vampiro è un dolore lancinante al collo e due voci litigare. Probabilmente urlai, perché sentii qualcosa di freddo tapparmi la bocca fino a farmi perdere i sensi.
Chiunque mi trasformò, mi lasciò lì.
Quando mi risvegliai mi sentii.. Strano. Diverso. Ma incredibilmente forte e vigile. In un primo momento credei di essere guarito. Eppure, risvegliarmi nello sgabuzzino dell’obitorio mi fece rabbrividire: avevo un pessimo presentimento. Tutto era così.. nuovo. Così intenso.
Poco dopo entrò un ragazzo, probabilmente un volontario. Era molto giovane, e portava un vecchio camice usato. Quando mi vide lì, in piedi, quasi gli venne un colpo, ma dal terrore la voce gli si bloccò in gola, perché non urlò affatto. Gli dissi che mi chiamavo Edward Masen, che ero loro paziente, che mi ero ritrovato lì e che ora stavo bene. Mi sembrò turbato e poco convinto, così mi avvicinai dicendogli che probabilmente dovevo essere svenuto e che mi avevano messo lì per errore. Era l’unica spiegazione plausibile anche per me. Mi sentivo più che sano.
Eppure mi accorsi che i miei occhi si fissavano spesso sul suo giugulare, e nelle mie orecchie risuonava un battito, come di cuore. Non riuscivo a distoglierli. Sentivo un odore strano, mi solleticava la gola.
Il medico si accorse che qualcosa non andava perché mi domandò se mi sentivo davvero bene.
Cercando di distrarmi gli chiesi bruscamente se sapesse nulla di mia moglie e mio figlio. Obbedì all’istante, come in una strana trance. » alzò le spalle con gli occhi ritornati per un attimo al tempo presente «Scoprii molto più tardi che quello era il mio dono.»
I nostri occhi s’incuriosirono e lui lo notò perché fece una pausa per spiegarsi.
«Qual è esattamente?» domandò Jasper interessato.
«È una specie di.. ipnosi, a contatto visivo.»
Improvvisamente mi passò davanti agli occhi la faccia di Carlisle nella radura, il suo sguardo vacuo e la voce sonnolenta dopo che Edward l’aveva guardato intensamente..
«Hai.. Chiesto a Carlisle di dirgli la verità nella radura. Lo ha ipnotizzato.» mormorai guardandolo stupita.
Lui subito annuì poi si voltò verso il dottore, intercettando lo sguardo nervoso di suo figlio mentre frugava nella sua mente.
«Mi scusi signor Cullen.. Volevo solo essere sicuro. Quando ha pronunciato il nome di mia moglie e di mio figlio mi sono.. Spaventato» mormorò con aria colpevole, cercando di fare un sorriso di scuse.
Carlisle aveva l’aria pensosa:«Ora capisco perché quel momento di.. stranezza.» poi fece un sorriso «Non deve scusarsi, è stato legittimo e non aveva intenzione di farmi del male.»
Annuì, poi con un sorriso pacato guardò verso di me:«Tu sei uno Scudo invece» disse con semplicità.
Fui sorpresa ed assunsi un’espressione perplessa:«Sì, questo è quello che mi hanno detto.. Ma come..?»
Accanto a me Edward Cullen s’irrigidì accigliandosi:«Non c’era motivo di ipnotizzare Bella»
Suo padre scosse la testa:«Non l’ho fatto, e comunque non avrei potuto» scrollò le spalle «Mi sono preparato nel caso mi avesse attaccato. Ma ho visto che sarebbe stato impossibile. I suoi occhi chiari mi hanno rassicurato sulle intenzioni.»
Edward non sembrò rilassarsi ma non rispose. La sua mascella tesa somigliò tanto a suo padre, nella radura, con Carlisle.
«Con un vampiro comunque, è piuttosto difficile, a meno che non lo si colga di sorpresa. E il fatto che mi nutro.. Quasi sempre, di sangue umano, non è d’aiuto.»
«Con Carlisle ci è riuscito. Dipende dalla sua dieta?» domandò Jasper. Il suo lato da stratega lo rendeva meno taciturno del solito.
«È stato il fatto di prenderlo contropiede, innanzitutto. Ma credo sia piuttosto una questione di forza..Di sangue ecco. L’effetto è debole o nullo in vampiri saturi di sangue umano. Immagino che se mi nutrissi anch’io dello stesso sangue potrebbe essere un po’ più alla pari. La mia teoria è che sia più semplice con vampiri che seguono una dieta animale. Se io mi nutrissi di sangue umano sarebbe facilissimo, su uno dagli occhi come i vostri.»
Emmett aveva un’aria sorpresa ma sembrò sogghignare. Chissà a cosa pensava. Jasper annuì insieme a Carlisle, che aggiunse:«Dunque, stava dicendo a proposito del giovane medico? Le disse quello che voleva sapere?»
«Oh sì. Aveva tra le mani una cartella, una lista dei decessi. Mi confermò che Elizabeth Masen era morta quella mattina, e che Edward Masen Junior era stato portato via quella sera, e compariva tra i nomi delle persone morte. Appena udii quelle parole caddi a pezzi. Il sentimento di perdita sembrava mescolarsi con una strana rabbia, mai provata prima. Nel momento in cui i miei occhi notarono una macchia rossa sul suo camice, mi avventai su di lui.
L’attimo dopo, senza nemmeno capire come, mi ritrovai con il suo corpo dissanguato tra le mani.» fece una pausa con occhi persi nel vuoto, ma con un fremito sulle labbra. Era il viso di un uomo colpevole.
«Quale essere umano avrebbe mai potuto fare una cosa del genere? Ero terrorizzato, così sono schizzato via. Non realizzai nemmeno a che velocità ero sfrecciato tra gli alberi del parco deserto. Fui dietro il giardino di casa mia pochi minuti dopo, sbalordito. Entrai sperando che nessuno mi avesse visto. Ma non sapevo cosa fare, non sapevo chi fossi. Quando arrivai in camera mia e mi guardai allo specchio mi sentii ancora peggio. L’uomo di fronte a me mi assomigliava molto, ma c’erano dettagli che mi fecero rabbrividire, quasi quanto la mia camicia ricoperta di sangue, che mi sgocciolava fin sotto il mento. Avevo degli occhi rossi mai visti, la pelle, la velocità, i riflessi.. Mi convinsi che stavo avendo delle allucinazioni, o che era un sogno. Così mi tolsi la camicia e mi misi a letto. Ma non riuscivo a dormire, ed ero perfettamente in forma. » scosse la testa contrariato «Nemmeno un’ora dopo il tentativo di addormentarmi, cominciai a pensare, a riflettere su tutti i dettagli che ricordavo. Andai nella stanza di Edward e cercai un libro sul folklore che gli avevo regalato. La sete di sangue, il colorito pallido, la forza.. Mi sembrò folle, ma anche l’unica idea possibile, essere diventato un vampiro. L’alternativa era che fossi impazzito, e devo ammettere che non la scartai molto presto. Molte cose non quadravano con quello che leggevo, ma avevo paura. Quando si avvicinò l’alba mi serrai in casa, attento a non far passare un filo di luce: credevo mi sarei sciolto al sole. » cercò di fare una debole risata che si bloccò sulle labbra, come un sorriso di compassione verso se stesso «Restai barricato in casa tutto il giorno e non mi azzardai ad uscire la notte. Avevo paura che avrei aggredito qualcuno. Sapevo però che non sarei potuto restare lì a lungo. La seconda notte provai ad uscire di nascosto, mi coprii per non dare nell’occhio e feci due passi. Stare tra la gente mi rendeva nervoso, così rientrai. Ero sulla porta del retro quando sentii delle voci. Non vedevo nessuno nei dintorni se non delle ombre nella finestra della casa dei vicini. Sentii dire alla Signora Walker che la famiglia Masen era deceduta, che presto avrebbero assegnato la casa ad un imprenditore. Capii che non potevo più restare a Chicago, mi spaventai a morte. Riempii la mia valigia da viaggio di tutte le cose che mi vennero in mente – vestiti, soldi, ricordi, oggetti utili alla rinfusa - e me ne andai la notte stessa. Ho cominciato a viaggiare di notte fino a che non ho scoperto la verità sulla luce. Sono diventato un nomade per un po’. »
«Se n’è andato quasi tre giorni dopo essersi trasformato dunque..» irruppe Carlisle come avesse appena fatto un calcolo importante. Guardò Edward , suo figlio, che annuì con un velo indecifrabile di tristezza sul viso. Tornò su suo padre spiegando:«Quando ti sei risvegliato Carlisle mi aveva appena portato a casa sua e mi aveva morso. Ci ho messo tre giorni per risvegliarmi; dopo che Carlisle mi ha spiegato cos’ero diventato e perché dovevamo andare via, sono passato a casa a recuperare qualcosa.»
«Ed è stata la sera dopo che sono partito.» concluse con aria assente. Quasi colpevole.
 
 
Flashforward
 
«Sono ancora arrabbiata » la sentii mormorare piano, senza grande convinzione. Probabilmente se fossi stata dov’erano Rose ed Emmett non sarei riuscita a sentirla. «Makeda non sarà contenta, lo sai. Ma c’era un Protettore con loro..»
«È il mio sport preferito da più di ottant’anni, farti arrabbiare » fece, un po’ meno vivace del solito.
Uno sbuffo. «Avrei dovuto spezzarti il collo quando ci siamo conosciuti.»
Edward senior ridacchiò sciogliendo l’abbraccio mentre entravano nella penombra creata dalle chiome degli alberi.
«Non gli hai ancora raccontato di Izzy?»

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Capitolo 7
*** Ashley ***


Vorrei ringraziare tutti quelli che continuano a leggere questa storia e tutte le persone che hanno recensito i capitoli: per me è una cosa molto importante ed anche istruttiva per capire se l'andamento della vicenda è di vostro gradimento, e può essere un modo per nuovi spunti e nuove idee sui capitoli successivi. Perciò grazie ;)
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate dei nuovi personaggi che introdurrò prossimamente e dello stesso Masen senior. 
Buona lettura,
Jess 

Cap.7
Ashley
 
Flashforward
 
«Hai visto qualcosa?» domandai curiosa.
«Sì e no.» scosse la testa «Pensava molto in fretta, per immagini. Non riuscivo ad afferrarle bene perché balzava da una cosa all’altra, come se i suoi pensieri vorticassero. O forse.. I miei sensi sono stati sopraffatti dalla sorpresa..»
«E che immagini sei riuscito a vedere?»
«Tante. Perlopiù.. Della sua – della nostra – vita mortale. Mia madre..» strinse la labbra esitante «la vecchia Chicago.. Me stesso.. »
Chissà come doveva essere strano vedersi dopo essersi dimenticati. Quando Renesmee mi aveva mostrato l’unica immagine che aveva di me non riuscivo più ad associarla a me stessa. Ma l’aspetto più orribile del solito probabilmente dipendeva dalla condizione in cui ero arrivata a partorirla. Come doveva essere stato Edward ammalato di spagnola? Mi immaginai un giovane ragazzo con gli occhi verdi e non potei pensarlo meno attraente di come lo vedevo ora.
Edward, perso nei ricordi, proseguì:«Mi pare di aver visto una vampira.. Giovane, forse poco meno di diciotto anni.. O forse era più come.. Era un’impressione così veloce da sembrare sfuocata. Potrebbe essere una conoscenza, o.. una compagna.. Quando ha visto Jacob invece gli è saltato alla mente un altro lupo.. Era associato a lui che correva con due mutaforma.. Poi dei flash della sua transizione e.. Ashley.»
 
 
 
 
 
 

«Non sapevo di nessun altro vampiro in città.. È vero, all’epoca cercavo di mantenere un profilo basso. Ma non si sentivano molte storie su assassini misteriosi..» spiegò annegato nei ricordi, Carlisle.
Lui ed entrambi gli Edward stavano avevano preso a speculare su chi potesse essere quello – o quelli – che avevano trasformato il signor Masen, senza grandi risultati. Ero rimasta ad ascoltarli mentre guardavo mia figlia e Jacob, distrattamente. Qualche volta, quando incrociavamo i nostri sguardi, leggevo lo stesso misto di curiosità e tensione. Eravamo entrambi curiosi di sapere cosa ne pensasse Renesmee, che non aveva detto una parola.
«È anche vero che vi trovavate in mezzo ad un’epidemia, le morti di molte persone erano all’ordine del giorno.» intervenne Rosalie parlando piano e con un tono di voce neutro. Teneva le braccia incrociate e aveva l’aria guardinga quando intrecciava gli occhi di Edward Masen.
«Peter e Charlotte spesso cercavano zone di quel genere» spiegò Jasper « Il sangue di un umano malato è più debole e non ha lo stesso sapore, ma era un modo più semplice per non dare nell’occhio..»
«Sì, ma perché trasformarlo?» mormorò Alice accigliandosi. Il fatto che non avesse visto arrivare Edward Senior doveva averla turbata parecchio.. Chissà perché non  c’era riuscita.
«È strano. Solo un vampiro maturo sarebbe in grado di farlo..» aggiunse Rosalie incrociando soprapensiero lo sguardo di Renesmee di tanto in tanto. Si era spostata sull’erba, mentre osservava Jacob armeggiare con un coltello e la sagoma grezza di un lupo rosso, come quello che pendeva dal mio braccialetto. Spesso lanciava delle occhiate  di sbieco studiando l’aspetto del nuovo arrivato, soffermandosi su suo padre. Sembrava voler cogliere ogni differenza e somiglianza.
Tornai a seguire la discussione vedendo Carlisle annuire e guardare di nuovo Edward senior:«Non ha nessuna idea del perché e chi potesse avere interesse nel trasformarla?»
Lui scrollò nervosamente le spalle: «Mi svegliai in una nicchia dell’obitorio da solo. Sentii delle voci litigare, dolore al collo e poi sono diventato così..»
«E non ricordi nulla di quelle voci?» chiese Edward serio.
«Nulla.» ribadì il padre fissandolo negli occhi.
Ci fu un lungo istante di silenzio in cui tutti gli sguardi erano puntati sui due Edward. Anche loro due si stavano squadrando intensamente, separati dal resto del gruppo attraverso quel contatto visivo.
Fu Edward senior a posarli altrove prima di suo figlio, e per un momento fui sicura di vedere un cambio d’espressione fulmineo, un’ombra di sensi di colpa. A giudicare dalla faccia di mio marito, che si addolorava impercettibilmente, i suoi pensieri non dovevano essere dei più limpidi.
«Ma dimmi di voi,di come si è creata questa.. famiglia. » disse all’improvviso cercando di coprire quei secondi di disagio che stava dilagando «Mi rendo conto che non ho nemmeno chiesto di voi.. Sono stato davvero scortese, mi dispiace..»
Edward mi diede uno sguardo furtivo ed incerto  guardò velocemente la nostra famiglia. Si trattenne su Carlisle che ricambiò il contatto visivo. Dopo qualche secondo mi parve di vedere Edward annuire, come se rispondesse ad una domanda.
«Io sono stato il primo della famiglia – la consideriamo tale. » cominciò Carlisle con un’espressione calma «Ho trasformato Edward perché stava morendo, come le ho detto, e desideravo condividere la mia vita segreta con qualcuno. Tre anni dopo, mi imbattei in Esme; aveva subito un brutto colpo durante una caduta, i medici non cercarono nemmeno di curarla date le sue condizioni. La trasformai, e divenne mia moglie..» uno sguardo affettuoso andò verso di lei che ricambiò dandogli due dolci pacche sulla mano «Il terzo membro della nostra famiglia è stata Rosalie, nel 1933. Le ragioni furono pressoché le stesse..»
Mentre ascoltavo le sue parole mi venne in mente la sera in cui Rose mi raccontò del modo in cui morì e ripensai a quell’ormai sbiadito ricordo della mia vita umana durante il quale mi ritrovai accerchiata a Port Angeles. Era una storia che era decisamente meglio non raccontare al primo incontro.
Rose, vicinissima ad Emmett, fece una leggera smorfia di fronte alle modifiche che Carlisle stava attuando alla loro storia, ma fui abbastanza sicura che non avrebbe voluto che dicesse diversamente. Quando la nominò, il mio suocero la indicò facendo un lieve cenno con la testa, in modo tale che Edward senior associasse nomi e volti.
«Fu lei a trovare Emmett,due anni dopo.» spiegò portando il palmo nella sua direzione «Era stato ferito mortalmente da un orso, così me lo portò e mi chiese di trasformarlo. Alice e Jasper invece provengono da una diversa formazione. Si sono uniti a noi nel 1950..»
Lo sguardo di Edward Masen si era focalizzato sul volto di Jasper e lo vidi incupirsi mentre il suo busto si faceva più rigido. Non potei dargli torto: tutte quelle cicatrici corrispondenti al numero di tentativi falliti di ucciderlo, ed erano a migliaia.
Jasper fece un ghigno amichevole, consapevole di ciò che Edward stesse provando, ed immaginai che il suo dono stesse agendo nello stesso momento in cui vidi il volto del nuovo arrivato rilassarsi.
«Immagino che non dovrei chiedere dove ti sei procurato tutte quelle ferite.. » fece accennato un sorriso ancora troppo poco naturale «A meno che ipotizzassi che tu sia stato in uno dei leggendari eserciti del Sud.»
Jasper parve sorpreso ma annuì:«È così. Sono stato trasformato per combattere, ma dopo anni di battaglie ho cercato di cambiare vita. È stato merito di Alice se ci siamo uniti ai Cullen..»
«Come vi siete incontrati?» domandò curioso il padre di Edward.
Jasper guardò verso Alice e Carlisle, il quale cercò gli occhi di Edward Cullen. Sembrava stessero avendo una qualche conversazione. Come se ogni decisione fosse soppesata dalla..fragile condizione psicologica di mio marito. Lo sentii irrigidirsi per un momento poi mi parve di vedere le sue spalle muoversi, come volesse scrollarsi via un peso.
«Alice ha un dono.» disse Carlisle, comprensivo.
«Oh, davvero?»
«Posso vedere decisioni prese in futuro. Ho delle visioni..» spiegò neutrale Alice.
Il signor Masen parve parecchio impressionato:«Quindi puoi.. Vedere con precisione cosa succederà ad una persona.. »
«Se le decisioni della persona in questione sono salde sì. Se cambiano no..»arricciò il naso contrariata «Non l’ho vista arrivare, per esempio.»
Edward Masen allargò le braccia facendo un mezzo sorriso di scuse. Poi guardò suo figlio:«E.. Alice è l’unica a possedere un dono nella vostra famiglia?»
Sembrò esitare un attimo poi spostò lo sguardo verso Jasper:«Jasper può controllare le emozioni delle persone. Bella, come hai intuito, è uno Scudo psichico; nostra figlia può mostrare pensieri,ricordi, con il contatto della mano.. »
«E Edward può leggere nei pensieri!» intervenne Alice facendogli la lingua.
Edward indurì per un attimo la sua espressione lanciando un’occhiata eloquente ad Alice, poi spostò il volto di nuovo su sua padre con un sospiro.
«E io leggo nei pensieri» ammise, abbassando lo sguardo.
Non capii perché fosse così riluttante nel dire una cosa del genere.
Suo padre sgranò con gli occhi con aria particolarmente colpita ed annuì varie volte. Sembrò anche che per un attimo l’imbarazzo gli fosse balenato sugli occhi per poi sostituirsi con un sorriso. Pensai che probabilmente stesse cercando di farsi un resoconto delle mille cose a cui aveva pensato in sua presenza, credendo sarebbero rimaste private.
«Davvero? Questo è un dono molto utile..» poi diede una rapida occhiata a tutti gli altri membri «Una famiglia piena di talenti, davvero impressionante..»
«Be’ Lei può impedire che qualcuno lo attacchi invece; questo in battaglia è molto vantaggioso..» intervenne Jasper con aria valutativa. Emmett alzò gli occhi al cielo facendo un mezzo sorriso.
Edward scrollò le spalle:«È utile sugli umani per.. Mantenere l’anonimato o rimpiazzare un ricordo con un altro magari.. Ma..»
«Sta dicendo che potrebbe far credere ad una persona che i suoi ricordi sono sbagliati?» irruppe Emmett con aria sospettosa.
L’uomo annuì guardandoci accennando un sorriso sardonico:«Non ho rimpiazzato ricordi di nessuno di voi se è questo che intendi..» alzò le spalle per poi riprendere più seriamente «In ogni caso, sì, potrei convincerli di non avermi mai conosciuto per esempio. Tuttavia, da quando la mia.. Dieta è cambiata, mi è parecchio difficile agire efficacemente su tutti i vampiri. O forse è una questione di esercizio..»
«È una cosa che ero curioso di chiederle in effetti..» iniziò Carlisle dando prima uno sguardo verso mio marito «Segue una dieta animale o..?»
Vidi gli occhi di Carlisle indugiare sulle sfumature appena arancioni della sua iride.
«A volte ho barato. Per esempio tre settimane fa, come avrete notato dai miei occhi.. Non ho ucciso nessuno, naturalmente. » fece un sospiro «Ho cambiato abitudini..Alimentari solo una decina d’anni dopo la mia trasformazione – i dieci anni più miseri della mia vita. Non sapevo come arginare la mia sete;  dopo averla trattenuta e causato danni ancora più gravi, avevo cominciato ad ipnotizzare i medici perché rubassero per me qualche sacca di sangue negli ambulatori per non uccidere, ma mi sentivo sempre più instabile, faticavo a stare in mezzo alle persone.. È solo per merito di una mia carissima amica, che mi fece notare che avrei potuto tranquillamente sopravvivere uccidendo animali. Siamo diventati amici anche per questo. » spiegò con un sorriso amorevole.
Edward accanto a me aprì appena di più le palpebre per la sorpresa – probabilmente un pensiero che lo aveva colpito molto – e poi cominciò:«Lei è una m..»
«Masen!»
Ci voltammo tutti verso i primi alberi sulla sinistra, da dove era arrivata la voce.
«Ti sono mancata?»
Appoggiata con la spalla ad un tronco  c’era una donna alta e slanciata che osservava dritto verso il padre di Edward. Aveva pronunciato quelle parole con un filo di sarcasmo e aveva l’aria di essere lì da almeno un minuto, malgrado nessuno se ne fosse accorto. Notai solo in quel momento che si sentiva un battito di cuore smorzato dalla lontananza.
Vidi Edward Masen rilassare le spalle facendo un sorriso sollevato:«Parli del diavolo..»
Da quella zona d’ombra la prima cosa che emergeva contro sua pelle scura quasi quanto quella di Jacob, erano due grandi occhi di un azzurro così chiaro da sembrare ghiaccio. Feci leva sulla mia nuova super-vista inquadrarla meglio. Aveva capelli neri e sottili, poco più lunghi di un caschetto; sulla fronte regolare le ricadeva qualche ciuffo di frangia spettinata. Sembrava avere l’età di Edward Senior o forse poco più. Non aveva fatto una piega di fronte al saluto, ma aveva continuato a fissarlo ferma. La sua bocca era una linea piatta tendente all’ingiù. Non era contenta.
«Ciao Ash»
Edward fece due passi verso di lei con aria tranquilla, ma lei sembrò accigliarsi. Si diede una lieve spinta per distaccarsi dall’albero e si avvicinò mantenendo le braccia conserte.
«Edward..» cantilenò come un rimprovero a denti stretti.
L’uomo le fece un sorriso leggermente nervoso, ma emozionato: «Ashley devo presentarti delle persone». La  raggiunse in fretta e  si mise di fianco a lei, mettendole le mani sulle spalle come per  condurla verso di noi. La donna non cambiò la sua espressione seccata e si fece spingere in quella direzione.
«Cosa ti ho detto a proposito di portare altri vampiri qui?» disse tra i denti, come una madre che rimprovera il figlio per l’ennesima volta.
«Lo so, ma è  una cosa importante » insistette di buon umore.
In tutta risposta gli lanciò un’occhiataccia e poi portò gi occhi al cielo con un sospiro:«Che devo fare con te, Masen?»
Nonostante tutto sembravano amichevoli. Gli occhi di Edward Masen erano luminosi ed impazienti; mi ricordò molto un bambino che non vede l’ora di mostrare un tesoro nascosto alla sua amica del cuore.
Feci caso solo mentre si avvicinava al suo abbigliamento. Jacob aveva detto che la temperatura si era abbassata notevolmente dopo quella nottataccia di temporale; i nuvoloni di quella mattina sembravano essersi in parte dissolti e schiariti, ma il tempo, salvo qualche raggio di sole, non era dei migliori. L’aria restava ancora frizzantina e fui sicura di aver visto alcuni passanti stringersi nel soprabito quando il vento li raggiungeva. Nella mia forma umana me ne sarei andata in giro con una felpa leggera o con una maglietta, probabilmente un giubbotto primaverile dalla zip tirata su fino in fondo, e, come minimo, una scarpa chiusa per evitare pozzanghere.
La donna invece avanzava con un paio di jeans chiari, dall’aria sottile, e strappati  in più punti sulle gambe e un giubbotto di pelle della consistenza di una giacca estiva; era aperto e si poteva vedere chiaramente che  portava solo un corsetto corto quanto un reggiseno da palestra, color perla. Il suo vitino scolpito risaltava di fronte alle forme prosperose, e non accennava ad avere il minimo brivido. Ai piedi, sandali bassi e minimali.
Di mano in mano che si avvicinava sentii un profumo dolciastro e delicato, di quelli che si spruzzava Renée prima di un appuntamento, ma si accompagnò quasi subito con qualcosa di sgradevole che ne contaminò l’effetto. Era  più o meno la stessa efficacia di una spruzzata di profumo o deodorante sulla pelle sudata senza prima lavarsi. Un odore strano, di cane bagnato, riusciva ad interferire coprendo anche l’aroma umano di sangue che le sentivo scorrere, sempre più vicino, lungo le vene.
Lo stesso odore che avevo sentito la prima volta che avevo annusato Jacob da vampira.
Mentre ci alzavamo andandogli incontro di qualche passo, lanciai un’occhiata di sottecchi verso di lui – non fui l’unica – che fissava la donna con la fronte corrugata e stringeva la mano di Renesmee. Appariva sorpreso, ma sembrò anche parecchio nervoso.
Quando i due furono di fronte a noi anche Ashley arricciò appena il naso. Il suo primo sguardo, indecifrabile ma serio, andò verso Jacob e parve rilassarsi un po’. Non sembrò sorpresa nemmeno quando, per qualche secondo, sbirciò verso la bambina che teneva per mano.
«Mmm..»
«Questa è la mia più cara e vecchia amica Ashley, di cui vi ho appena parlato. Abita qui accanto» indicò di sfuggita un punto non visibile oltre la coltre degli alberi. Poi la guardò:«Ashley, questa è la famiglia Cullen.»
La donna passò a squadrarci velocemente uno per uno; sembrò concentrata più che altro sul colore dei nostri occhi. Quando giunse ad Edward restò a fissarlo più a lungo, corrugando la fronte. Anche mio marito parve immobilizzarsi, forse per qualche pensiero letto nella sua mente. Lei spostò la testa verso il vampiro che aveva alla sua sinistra e con un sopracciglio inarcato tornò sul viso di Edward. Le somiglianze non le erano sfuggite. La sua espressione perplessa ritornò sugli occhi lucenti del padre di mio marito:«Che significa?»
«Ash, questo pomeriggio mi sono imbattuto in Bella » allungò un braccio verso di me per indicarmi e mi fece un sorriso «e ho notato che aveva al dito quell’anello»
Gli occhi da husky di Ashley scattarono sul mio anulare sinistro e piegarono la bocca all’ingiù con perplessità: «È quell’anello  per cui ti sei dannato tanto. Di Elizabeth.»
Vidi Edward al mio fianco sussultare al nome di sua madre. Gli strinsi la mano per solidarietà. Evidentemente conosceva più cose di quelle che credevamo.
Edward Masen annuì vigorosamente:«Esatto. Mi disse che glielo aveva dato suo marito, che era di famiglia. E poi ci ha raggiunti il dottor Carlisle Cullen e mi ha riconosciuto. Mi ha spiegato che fu lui a salvare mio figlio dalla morte.»
«Credevo fosse morto di Spagnola.» disse pensosa. Eppure parve che un barlume di consapevolezza si fosse acceso nei suoi occhi.
«Così credevo. E così credeva Carlisle su di me. Ci sbagliavamo entrambi.. »
Ashley studiò Edward con un’espressione assente che non tradiva emozioni. Chissà che immagini le frullavano nella testa.
Sospirò e poi mormorò senza inflessioni: «Be’, è identico a sua madre.»
La voce di Esme emerse premurosa e ansiosa allo stesso tempo, mentre guardavo gli  occhi di mio marito riempirsi di malinconia ma anche di commozione nascosta.
«Lei conosceva la madre di Edward?»
Ashley scosse la testa guardandola: «L’ho vista in foto.» poi precisò, sbuffando in direzione dell’amico «Edward ha la mania per le fotografie.»
Il vampiro le fece un sorrisetto divertito di rimando per poi tornare a guardare il figlio con occhi ardenti: «Vuoi vederle? Ne ho qualcuna di tua madre. »
Edward sembrò esitare e parve per un attimo cercare il mio sguardo. Poi annuì col capo: «Non ricordo bene l’aspetto di mia madre. Ma..» sospirò con aria seria «Ma prima vorrei.. Riordinare le idee.»
Il padre lo osservò per qualche secondo senza dire nulla poi annuì con aria comprensiva: «Ma certo, devi perdonare il mio entusiasmo. » fece un sorriso, simile a quelli che amavo in Edward, e poi aggiunse «Prenditi il tempo che ti serve. Mi trovi lassù.» ed indicò oltre la boscaglia che circondava il retro di casa nostra.
Anche Edward, allora, gli rispose con un sorriso teso e stanco. Carlisle gli fece un cenno di saluto mentre Esme si appoggiava a lui. Rosalie era balzata sul portico rialzato, vicino alla panchina su cui era seduto Emmett, con le braccia incrociate senza perdere d’occhio la coppia. Io ero rimasta, insieme a mio marito, Jacob e Renesmee ad osservare i due amici, uno con gli occhi persi nei ricordi ma con l’ombra di un sorriso sulle labbra, l’altra, maschera immutabile che si toglieva la giacca. L’uomo rispose al cenno di saluto e poi si voltò in sincrono con Ashley verso le fila di alberi alla sinistra della nostra casa. Feci distrattamente qualche passo nella loro direzione, lasciando gli altri tre poco più distanti. Vidi Edward senior circondarle le sue spalle scoperte senza che lei facesse una piega per il repentino cambio di temperatura.
«Sono ancora arrabbiata » la sentii mormorare piano, senza grande convinzione. Probabilmente se fossi stata dov’erano Rose ed Emmett non sarei riuscita a sentirla. «Makeda non sarà contenta, lo sai. Ma c’era un Protettore con loro..»
«È il mio sport preferito da più di ottant’anni, farti arrabbiare » fece, un po’ meno vivace del solito.
Uno sbuffo. «Avrei dovuto spezzarti il collo quando ci siamo conosciuti.»
Edward ridacchiò sciogliendo l’abbraccio mentre entravano nella penombra creata dalle chiome degli alberi.
«Non gli hai ancora raccontato di Izzy?»
Un fruscio e un rumore di zampe furono l’ultima cosa che sentii prima di vederli sparire. 

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Capitolo 8
*** Anelli diurni ***


Cap.8
Anelli Diurni
 
̴E
 
Nell’istante in cui Bella lasciò la mia mano e fece una decina di passi verso la direzione in cui la mutaforma e mio padre se ne andavano, mi sentii raggelare. Mentre una parte del mio cervello, in sordina, contemplava la figura elegante e leggera di mia moglie, e riusciva a fare commenti su quanto l’immortalità le donasse fino all’indicibile, pensai che sarei potuto tremare. Se avessi potuto avrei sentito ogni nervo del mio corpo scuotersi come una tempesta e sradicarsi dai muscoli.
Non comprendere era una sensazione che non provavo da svariati decenni ormai, dalla mia vita umana, caduta quasi per intero nel più fosco oblio. Non era compatibile con ciò che ero diventato.
Eppure, non coglievo nulla di quello che era appena successo.
Tutto era iniziato quando Alice si era alzata di scatto e precipitata fuori in terrazzo con così tanta foga da non riuscire a vedere simultaneamente i pensieri che le passavano, vorticosi, davanti agli occhi. Vidi il volto di un uomo che parlava con Bella e Carlisle, che si avvicinava a casa nostra. Un viso.. famigliare. I miei occhi erano certi di averlo visto altrove ma la mia mente non era altrettanto celere nel seguirli.
Vedere la sua figura a svariati metri da me non lo rese più reale fino a che un frammento di ricordo non emerse all’improvviso. Una scheggia di passato raccolta nel baratro delle mie memorie umane, un oggetto smarrito rimasto in pezzi all’epoca in cui i miei sensi avevano delle falle. La mia vita umana.
Non avevo grandi ricordi del periodo in cui la natura vampiresca non aveva infettato e plasmato radicalmente tutto il mio corpo e la mia mente; non ne avevo affatto. Di come fosse la mia vita prima di Carlisle avevo perso la quasi totale percezione, eccetto l’ultimo giorno della mia vita – quel dolore provato, così lacerante e profondo, si era impresso lasciando una cicatrice sul nuovo me stesso. Potevo visualizzare il viso di mia madre, in ricordi della stessa entità di tasselli di un puzzle pieno di lacune o difettoso; la sensazione della sua mano tra i miei capelli prima di augurarmi la buona notte, la sua risata gioiosa. I suoi occhi, a volte ansiosi. Verdi, come i miei, da quello che avevo potuto vedere chiaramente nella mente di Carlisle. Le uniche immagini vivide di entrambi, con mio rammarico quelle più spaventose, erano il suo incontro con me e mia madre, nella lunga agonia della malattia. Avevo cercato di seppellire anche quelle, ma non era facile gestire una capacità  contenitiva di pensiero così immensamente vasto.
L’uomo che mi trovavo davanti, il vampiro che stava di fianco a Bella sembrò appigliarsi con tutta la realtà possibile a quei pochi ritagli di vita a Chicago che potevo ancora contenere in fondo alla mia testa, riemergendo violenti. Mentre m’impietrivo le mie sinapsi compivano un’altalena di sovrapposizioni, dove il viso marmoreo di quel vampiro si incrociava con quello scolorito e disperso di un ricordo. Un uomo, dalla barba quasi inesistente, l’espressione stanca e cupa, che rientrava dalla porta – di casa? – , una valigetta in una mano, sigarette nell’altra.
Quell’uomo, la quale personalità avevo quasi del tutto ignorato durante la mia vita umana, era mio padre.
All’improvviso, come se quel frammento fosse arpionato a tanti altri, riemersero briciole di vita perduta che non sapevo neppure di possedere. L’aria raggiante di mia madre quando lo vedeva arrivare, i dialoghi stentati tra di noi, le assenze. Il senso di impotenza nel modo in cui i nostri interessi divergessero tanto o nella maniera stantia in cui semplicemente non ci conoscessimo.
Tutte quelle sensazioni mi colpirono in una paralisi di gesso, ed i pensieri che tormentavano le mie orecchie, la mia testa, ora erano solo un gorgoglio di voci senza forma, che si perdevano in un unico rumore di fondo. Cercai di concentrarmi e fu, se possibile, ancora più frustrante: le immagini che saettavano dalla mente di mio padre alla mia mi investivano di troppe sensazioni tutte insieme, che sembravano distorcersi contro le mie. Felicità, gioia, il mio volto mentre suonavo al piano, viaggi in treno e una foto di famiglia tra le mani ruvide; sensazioni di spossatezza, amore, il volto di mia madre appena sveglia.. Io. in fasce. Tra le sue braccia.
L’unica parola che riuscii a sputare fuori - mentre i pensieri furiosi di Rosalie, quelli preoccupati di Esme e di mia moglie, quelli colpevoli di Carlisle e quelli perplessi di Jasper ed Alice mi investivano assordanti – fu “padre”. La dissi come se fosse il vocabolo più duro da pronunciare, più difficile da assemblare. Padre.
Mi sembrarono mille anni dall’ultima volta che lo avevo fatto, nonostante avessi chiamato a quel modo i miei nuovi genitori adottivi, indefinitamente. Era passato troppo tempo, troppa distanza dalla mia vita umana. Che non mi apparteneva più.
E questo individuo, quest’uomo che ricordavo a malapena essere stato a lungo di fianco a mia madre, quest’uomo che non rammentavo affatto nei giorni di malattia, ora stava lì in piedi, tra la colpevolezza e la gioia ad offrirmi foto di mia madre.
Eppure io affogavo in oceani più profondi e pericolosi.
 
 
̴B
 
Nessuno si presentò a casa di Edward Masen per tutto il giorno seguente.
Mi intristiva pensare a come la sua espressione fosse mutata quando Edward gli aveva detto che aveva bisogno di tempo. Nemmeno Jacob sembrava aver metabolizzato del tutto chi o cosa fosse Ashley, soprattutto quando gli avevo detto di aver sentito un fruscio di zampe al posto dei suoi passi e che odorasse allo stesso modo in cui tutti i mutaforma odoravano. Aveva preso a telefonare sparendo e ricomparendo dal giardino; lo sentii parlare con Billy a proposito degli anziani, poi con Seth e Leah. Probabilmente voleva avere maggiori informazioni possibili perché considerasse Renesmee fuori pericolo. Fu bizzarro quanto quello fosse l’ultimo dei miei problemi – è vero, gli occhi glaciali di quella donna così sicura di sé mi avevano innervosita, ma non mi sembrò particolarmente interessata a mia figlia.
Per quando riguardava Edward, da quando avevamo visto suo padre lasciare casa nostra con Ashley, ci aveva messo un po’ a parlare. Si era seduto lentamente su una sedia a fissare il punto in cui erano spariti e poi mi aveva guardato, con occhi a metà tra il malinconico e il triste. Sembrava non riuscisse a metabolizzare, così per qualche minuto nessuno gli disse più nulla. Io mi ero seduta di fianco a lui, con la testa appoggiata alla sua spalla, e lui distrattamente mi aveva presa per mano.
«Quello è tuo padre?» aveva detto Rosalie dopo essere rimasta in silenzio per quasi tutto il tempo in cui Edward Masen era rimasto. Sembrava voler sdrammatizzare senza riuscire a dissimulare un filo di ammirazione per la figura statuaria che aveva appena lasciato la casa. Anche gli altri cercarono di fare delle domande ad Edward o tentarono di buttare giù ipotesi, ma nessuna delle loro parole sembrarono attecchire. Alla fine, di fronte all’espressione vacua di Edward, rinunciarono e ci lasciarono un po’ da soli.  
Dopo un’ora - durante la quale nostra figlia aveva premuto la sua manina sulla mia guancia e quella di Edward, preoccupata, in cerca di risposte -  Carlisle era venuto a controllare che fosse tutto a posto ed Edward aveva sospirato di non saperlo.
«La mia svista è stata imperdonabile Edward » cominciò calmo ma molto serio «Sono contento di aver passato questi ultimi ottanta-novant’anni insieme, e non mi pento della scelta che ho fatto; sono orgoglioso della famiglia che abbiamo costruito. Ma se avessi fatto più attenzione, se mi fossi accorto..»
«Carlisle, tu non hai nessuna colpa. » lo aveva interrotto Edward riuscendo  a fare un debole sorriso, ma sincero ed affettuoso. 
«Non è colpa di nessuno » aggiunsi guardandoli entrambi  «Forse dobbiamo solo metabolizzare la cosa, ci ha colti tutti di sorpresa..»
Secondo Esme la sofferenza della perdita del proprio unico figlio era una delle peggiori del mondo – non potevo darle torto – ed incitò Edward ad andare a parlare con il padre il giorno seguente. Anche Alice e Carlisle erano d’accordo; Alice in particolare, sosteneva che,se avesse potuto, avrebbe chiesto molte più informazioni sulla sua vita umana quasi inesistente.
Edward aveva annuito varie volte, distrattamente, ma non sembrava particolarmente entusiasta, né sicuro delle proprie sensazioni. Cambiò argomento per gran parte del pomeriggio, così alla fine la famiglia Cullen smise di parlargliene. Quando avevamo messo a dormire Renesmee decisi però che volevo sapere cosa stesse pensando davvero di tutta quella storia. Mi spiegò che della sua vita mortale ricordava sempre meno, ma sapeva che il suo rapporto col padre non era mai stato particolarmente forte; si ricordava bene certi dettagli legati a sua madre, Elizabeth, perché trascorreva molto tempo con lei a casa. Edward senior invece era quasi sempre via per lavoro. Dei loro momenti insieme non ricordava quasi nulla, se non il senso di mancanza o assenza. Era il tipico padre in carriera che poteva garantire istruzioni private e lezioni di musica ma che puntualmente rimandava i piani di famiglia.
Mi sembrò una descrizione strana associata all’uomo con cui avevo parlato, anche se pochissimi secondi. Non che la tensione tra loro non fosse saltata agli occhi di tutti, era chiaro..
«La mia vita mortale è così lontana che non ricordo nemmeno bene come fossi sul serio o come fossero davvero i miei genitori.» mi spiegò « Hai visto, ho stentato a riconoscerlo. Carlisle è stato il mio compagno e mio padre per più di ottant’anni, un padre ideale, da cui ho imparato moltissimo. Non ho interesse nel cambiare la mia vita.. Non so cosa pensare o cosa.. Dovrei provare. »
Per quanto lo capissi, pensai che nemmeno per suo padre doveva essere semplice.
«Entrambi avete vissuto novant’anni con la convinzione di essere sopravvissuti alla vostra famiglia. Ma al tuo risveglio avevi Carlisle, che ti ha detto tutto quello che avevi bisogno di sapere. Avete formato una famiglia insieme.. » gli dissi decisa «Lui era solo e all’oscuro di tutto. Non sapeva nemmeno cosa poteva o non poteva fare un vampiro, come controllare la sua sete. Forse è solo anche adesso. Io.. credo che meriti una possibilità..»
Ci rifletté un attimo poi si accigliò:«Forse è così. Ma non credo sia solo..»
«Hai visto qualcosa?» domandai curiosa.
«Sì e no.» scosse la testa «Pensava molto in fretta, per immagini. Non riuscivo ad afferrarle bene perché balzava da una cosa all’altra, come se i suoi pensieri vorticassero. O forse.. I miei sensi sono stati sopraffatti dalla sorpresa..»
«E che immagini sei riuscito a vedere?»
«Tante. Perlopiù.. Della sua – della nostra – vita mortale. Mia madre..» strinse la labbra esitante «la vecchia Chicago.. Me stesso.. »
Chissà come doveva essere strano vedersi dopo essersi dimenticati. Quando Renesmee mi aveva mostrato l’unica immagine che aveva di me non riuscivo più ad associarla a me stessa. Ma l’aspetto più orribile del solito probabilmente dipendeva dalla condizione in cui ero arrivata a partorirla. Come doveva essere stato Edward ammalato di spagnola? Mi immaginai un giovane ragazzo con gli occhi verdi e non potei pensarlo meno attraente di come lo vedevo ora.
Edward, perso nei ricordi, proseguì:«Mi pare di aver visto una vampira.. Giovane, forse poco meno di diciotto anni.. O forse era più come.. Era così veloce da sembrare sfuocata. Potrebbe essere una conoscenza, o una compagna. Quando ha visto Jacob gli è saltato in mente un altro lupo.. Era associato a Lui che correva con due mutaforma.. Poi dei flash della sua transizione e.. Ashley.»
A quel nome mi venne subito in mente una domanda che mi frullava in testa da un po’:«Ashley ed Edward non si sono stupiti di Renesmee.. Pensi che..?»
«Ho sentito il suo pensiero nel momento in cui l’ha vista. Ha pensato: “Un altro ibrido”. Quindi..»
«Quindi devono conoscerne uno. » mormorai pensosa.
Edward non aggiunse nulla per un po’, ma guardava davanti a sé senza sorridere, con un’espressione indagatoria. Anche io riflettei per qualche minuto di fronte a quelle nuove informazioni. Che sapevano Ashley ed Edward degli ibridi e perché? Chi era quella Makeda che aveva nominato? Ashley non era sola. Ma questo significava che aveva un branco? Era così strano pensare che ci fossero degli altri mutaforma in giro. A sentir parlare Edward di fronte ad Aro – rabbrividii al ricordo di quelle settimane di tensione e paura -  gli avi di Jacob non erano veri licantropi, ma la loro magia era nata insieme a loro e si protraeva da una lunga linea di sangue. Era quella tribù specifica ad essere diversa ed unica, era la casualità che aveva fatto sì che lo Spirito Guerriero diventasse il lupo nel cui corpo aveva trovato asilo tanto a lungo. Che fosse una discendente?
«Non è stata una grande idea dirgli del mio dono..»
«Che intendi dire?»
«Da quando lo sa mi pare sia molto più attento a ciò che pensa. Ho sentito la sua concentrazione, quali cose cercare di evitare,  e che ho sentito solo in sordina..»
«Forse sta solo cercando di proteggere Ashley..» pensai a Jacob la notte in cui era piombato dentro camera mia per cercare di raccontarmi cos’era diventato, senza riuscire a parlarne per via dell’ordine di  Sam «Magari la sta aiutando a mantenere la segretezza di altri come lei.. Ti ricordi com’era contrariata all’idea che ci fossero vampiri qui? Come pensi che avrebbe reagito Sam se avessimo socializzato con altri otto vampiri, sul suo territorio, senza avvisarlo?»
Edward sembrò contrariato e storse la labbra con sospetto:«Non sono del tutto sicuro che abbiano un patto come quello tra noi e i Queliute.. Ma potrebbe essere plausibile. Ashley ha un modo di pensare, diciamo, sintetico. Come fosse abituata a dover tenere certi pensieri per sé..»
«Come in un branco.» completai, mentre mio marito annuiva.
 «La cosa che potrebbe confermare la teoria è che, ho visto correre mio..Padre con un lupo nei suoi ricordi; quando ha detto che conosceva altri mutaforma ha pensato “abitano a Pacifica”..» sospirò senza rilassarsi «Tuttavia credo che ci sia dell’altro.»
«Makeda non sarà contenta, lo sai. Ma c’era un Protettore con loro..»     «Non gli hai ancora raccontato di Izzy?»
Era vero, qualche mistero irrisolto c’era e con Edward non ne avevo parlato, senza capirne il motivo. Forse perché, nonostante tutto non riuscivo a considerare il padre di mio marito come una minaccia. Ma allora perché nascondere certe informazioni?
«È un buon motivo per andare da lui allora.» ribadii lanciandogli un’occhiata che fosse intransigente.
Edward alzò gli occhi al cielo ma sembrò aver depositato le armi.
«Stasera?» suggerii speranzosa.
«Domani.»
«Vuoi davvero che..»
«Domani.» ripeté categorico.
Non ribattei nulla ma mi limitai a sospirare sperando di stemperare l’atmosfera.
«È meglio se andiamo insieme. Tutti..»
«Non pensi sia meglio che abbiate.. Un po’ di intimità?» domandai cercando di essere delicata. Capivo come nessun altro cosa significasse dover riempire silenzi imbarazzanti con persone che t’intimidiscono, perciò non insistetti tanto. Ero tuttavia combattuta all’idea.
«No.» borbottò accigliandosi. Scrollò le spalle subito dopo assumendo un’espressione più dubbiosa che seccata:«Non ora.»
Annuii senza voler aggiungere altro: mi sembrava un buon compromesso. In fondo c’erano moltissime cose che non sapevamo di lui..
Non seppi perché, ma sentii che fidarsi era la cosa giusta.
 
***
 
Quando arrivammo laggiù il sole era alto. La prima cosa che apparve alla fine del boschetto di alberi che circondavano il lotto dell’abitazione, fu un vasto spiazzo d’erba, che le girava attorno – un giardino ordinato – su cui si affacciava una versione moderna di una casa colonica a tre piani. La facciata era di rustiche pietre a vista, ed un ombroso porticato in lastre grezze cingeva una parte del piano terra, poggiando sullo stesso livello del prato. Era una struttura costellata di finestre regolari – vecchio stile, con le persiane rosse come appena tinteggiate – e quasi grande quanto quella in cui abitavamo a Forks, il che mi parve bizzarro per un uomo solo. Salendo in alto verso il terzo piano, la base diminuiva e il tetto spiovente s’interrompeva con un paio di abbaini. Vidi Esme parecchio interessata all’architettura che la dominava.
Ad accoglierci trovammo inaspettatamente Ashley, distesa su una sdraio sulla sinistra della casa, e della musica – fui piuttosto sicura che si trattasse di una famosa canzone degli AC/DC – provenire dal garage-dependance che le stava alle spalle, il portone totalmente sollevato e riempito di penombra. A quella distanza si vedeva appena scintillare la sagoma di un manubrio, simile a quello di una moto, ed una figura accovacciata.
Non appena ci individuò al limitare del giardino, la donna tirò giù gli occhiali da sole fino alla punta del naso, per poi ricacciarseli su, ben aderenti agli occhi. Di sicuro una fila di otto vampiri colpiti dal sole doveva essere parecchio fastidioso da guardare..
Vidi, avvicinandomi a velocità umana insieme agli altri, che era in costume, e reggeva in mano alcuni fogli; un bicchiere di quello che sembrava the freddo appoggiato come ferma carte su un tavolino di plastica bianco. Senza vestiti era ancora più difficile darle un’età. Avevo assistito alla crescita sorprendente e fulminea di Jacob alcuni anni prima, invecchiare all’improvviso dimostrando più di quanto avesse nonostante la prestanza fisica intatta e potenziata. Per Ashley era diverso. Sebbene si notasse, in certi tratti ed espressioni del viso, che fosse attorno alla quarantina, il suo fisico era impeccabile e senza una grinza. Tozzo ed abbondante sulle gambe e sul petto, ma affusolato e slanciato nel modo in cui tutte le parti si armonizzavano: era come vedere una personal trainer che si allena tutti i giorni in palestra senza fare troppi pesi ma attenta ad una dieta ferrea.
Quando le fummo davanti e la musica ci investiva potente – Have a Drink on Me, ci avevo indovinato -  Edward aprì la bocca per parlare ma Ashley si voltò appena, facendo un sospiro annoiato in direzione della dependance:«Masen! Ha sentito che c’è tuo figlio o hai bisogno di una controllata alle orecchie?»
Ci voltammo tutti focalizzando i nostri sensi affilati verso una zona ombrosa della dependance dove la musica si spense all’istante. Trovammo Edward Masen che si rialzava accanto a quella che sembrava una motocicletta luccicante. Portava una canottiera larga, sporcata in più punti da strisce nere; nella scollatura sembrava sparire una catena, come di un ciondolo legato al collo. Lo vidi sorridere non appena ci individuò, come un bambino di fronte ad un regalo.
«Una Triumph Scrambler..» sentii sussurrare Jacob con aria interessata. Jasper di fianco a lui annuii e poi sembrò fargli cenno verso il lato opposto del garage. Seguii il suo indice per notare che, oltre al muso centrale di una Mercedes-Benz, c’era un’altra moto, il tipico modello su cui si vedevano scorrazzare le bande di motociclisti nei film americani, dai manubri alti e il retro steso. La passione per i costosi mezzi di trasporto era di famiglia, a quanto pare.
«Stupenda..» sentì grugnire Emmett che si avvicinò a gran passi ai due.
«Salve» salutò divertito l’uomo venendoci incontro al limite della dependance, restando nella zona d’ombra.
«Salve..» mormorò cauto il figlio, guardandolo con un’espressione indecifrabile. Restarono a guardarsi per qualche secondo senza dire nulla; il proprietario di casa con un sorriso luminoso, mio marito incerto.
«Saremmo dovuti venire prima, mi dispiace.» disse alla fine in tono neutro.
Edward Masen scosse la testa strofinandosi uno straccio sulle mani bianche sporche di grasso.
«Be’ accomodatevi, mentre mi vado a dare una ripulita..» annunciò gioioso, e con un braccio fece cenno di metterci sotto il porticato. I suoi occhi si spostarono su Ashley, che ci guardava, voltata indietro. Non si dissero nulla ma parvero capirsi al volo. Sembrò quasi che Edward senior avesse bisogno di una conferma. La donna sbuffò appena poi si rivoltò poggiando i piedi a terra:«Vi raggiungo..»
«Grazie Ash..» disse come tra sé e sé. Lanciandogli un fugace sguardo, mentre seguivo gli altri verso l’ingresso, lo vidi tirare fuori dall’incavo della canotta la catena che aveva al collo, slacciandosela velocemente. Rimasi stupita nel vedere che si trattava di qualcosa di circolare, come un anello scuro – forse aveva una pietra nera? – e metallico. Se lo mise all’indice distrattamente ed appoggio la catena al manubrio del motore, seguendo le linee d’ombra che lo portavano al portico.
In un attimo fu davanti alla porta spalancandola per farci entrare e ci trovammo di fronte ad un enorme stanza che inglobava salotto,soggiorno e, in parte, la cucina. Era il classico ed enorme spazio aperto che metteva insieme forme moderne e tradizionali integrandole alla perfezione, dalle travi in legno che ricoprivano il soffitto alle forme quadrate e semplici degli accessori. Nonostante tutto, le tre zone sembravano perfettamente integrate ma perfettamente separate: alla sinistra dell’entrata c’era il rettangolo dei divani, televisore e tavolino; alla destra  una tavolo di medie dimensioni. La cucina, procedendo a destra rispetto al tavolo, si divideva dal salone solo per via di due gradini che la rialzavano rendendola una stanza a sé ma in perfetta continuità con le altre.
«È davvero magnifica. L’integrazione tra antico e moderno è così armoniosa..» commentò Esme con gli occhi luccicanti.
 Il proprietario sorrise divertito ringraziandola, ma i suoi occhi si spostarono su quelli del figlio, come se sapesse cosa stava attirando la sua attenzione. Lo imitai e vidi Edward con lo sguardo fisso verso il comodino che stava accostato alla parete esattamente opposta a quella dell’entrata. Sopra a questo, c’era una grande foto d’epoca.
Nella classica sfumatura marroncina che ravvivava un bianco e nero piuttosto marcato ma impreciso, era presenta una donna a mezzo busto. Aveva lunghi capelli raccolti in una treccia che le scendeva oltre le spalle e ci guardava con un’espressione dolce, quasi ingenua. Era così bella e così familiare..I suoi grandi occhi luminosi, la forma degli zigomi, la struttura smilza, l’eleganza.. Colorai i suoi occhi di verde smeraldo e i capelli della stessa sfumatura bronzea di mio marito e mi trovai di fronte Elizabeth Mazen. Ora capii perché Carlisle trovava si somigliassero così tanto.
«Mi ricordo questa foto..» sussurrò con gli occhi persi nel vuoto.
Suo padre annuì, guardandola pieno di dolcezza:«Prima di scappare via da casa ho cercato di raccogliere tutte le cose possibili.. Gliela scattai sul lago Michigan, per il nostro decimo anniversario di matrimonio..»
Edward annuì e per un po’ restammo tutti in contemplazione. Eravamo così rapiti dall’aria malinconica e romantica di quella foto che non mi era accorta della presenza di un altro quadro della stessa dimensione, appeso al muro. Erano Edward Masen ed Ashley, in primo piano in bianco e nero. Sembrava un effetto di ritocco, molto diverso dalle scale di grigio nella foto di Elizabeth. Gli enormi occhi della mutaforma erano ancora più marcati e brillanti, ed entrambi sorridevano, guancia contro guancia. Non avevo mai visto Ashley sorridere così, spontanea. Sembravano davvero felici.  
Spostai lo sguardo  poco più a sinistra e nota uno spazio bianco sormontato da un chiodo, che rompeva la simmetria di quei riquadri. Era come se qualcuno avesse tolto una cornice. O forse non l’aveva ancora appesa.
Il mio flusso di pensieri fu interrotto dal rumore di una maniglia tirata giù e voltai la testa verso sinistra, dove vedemmo entrare Ashely, dalla portafinestra che dava sul fianco del salotto. Si era messa un pareo e portava una maglietta a mezzamanica che terminava poco sotto al seno. Non disse nulla né ci guardò un granché, ma entrò in cucina e come se niente fosse aprì il frigorifero. Da quello che potei intravedere era piuttosto spoglio, ma di sicuro molto più pieno di quello che utilizzavamo per salvare le apparenze –  e spesso per Jacob. Tirò fuori quello che sembrava un grosso barattolo di burro d’arachidi e una fetta di pane, ed appoggiò tutto sull’isola che si affacciava ad un metro dai gradini, come fosse da sola. Nemmeno Edward Masen sembrò farci caso. Forse Ashley viveva qui? Mi sembrò bizzarro, ma nemmeno così insolito. Lanciai un’occhiata verso mio marito che guardava di sottecchi la donna che, con un balzo silenzioso e felino era saltata su quella specie di grosso bancone e vi si era seduta con le gambe penzolanti nella nostra direzione, addentando il suo panino imburrato.  
«Sedetevi, vado a prendere qualche altra foto. » disse Edward Masen cordiale mentre schizzava via fuori dalla stanza.
 
***
Scoprimmo ben presto che Edward Masen era un vulcano di parole.
Dopo aver sparso una ventina di piccole foto della vita umana dei Masen -  vedere mio marito da piccolo sciolse di tenerezza sia me che Esme, mentre Emmett ironizzava sulle dimensioni troppo grandi della sua testa (non ero affatto d’accordo) - ci aveva raccontato molti aneddoti su i posti in cui la famiglia Cullen gli aveva detto di essere stata o dove si era stabilita prima di Forks  sotto il monitoraggio silenzioso di Ashley, che spostava i suoi enormi occhi glaciali su ognuno di noi. A quanto sembrava, Edward Masen aveva viaggiato continuamente per quasi sessant’anni per svariate parti del mondo. Lo trovai molto interessante visto che era, in parte, una storia nuova anche per me. Anche Renesmee, vicina a Jacob guardava suo nonno come se pendesse dalle sue labbra. Aveva la stessa espressione di Edward di fronte ad un libro aperto. Mio marito d’altra parte, sembrò fissare ogni foto a lungo, ascoltare ogni parola, ma pareva ancora piuttosto a disagio. Non potei biasimarlo per quanto l’entusiasmo di suo padre mi divertiva parecchio. Sembrava molto diverso dall’uomo che mi aveva dipinto attraverso i suoi ricordi.
All’improvviso, però, successe qualcosa di strano.
Il signor Masen stava rispondendo ad una domanda di Jasper, su come conoscesse le storie degli eserciti di neonati, e l’espressione di mio marito che ne seguì catturò la mia attenzione
«Ho vissuto parecchio anche al Sud, quando ho potuto. Come ho detto prima, per un bel pezzo sono stato una specie di nomade, e l’area che si affaccia sul Golfo del Messico è piena di storia e di fascino e..  »
Vidi Edward aggrottare la fronte e ripensai a quello che aveva appena detto per cercare di capire cosa potesse aver visto di così strano nei suoi pensieri.
Ho vissuto parecchio anche al Sud. Non mi parve esserci nulla di strano, se non che..
Pensai a mia madre, alle spiagge luccicanti della Florida, decisamente troppo perché la nostra pelle non desse nell’occhio.
«Al Sud?» mormorò perplesso.
«Scusi signor.. Ehm.. Edward » mi corressi di fronte al suo sguardo divertito «Come ha fatto a vivere al Sud?»
L’uomo sembrò per un attimo non afferrare la domanda poi si guardò istintivamente il dito anulare della mano destra:«Intendi per la luce del sole?»
Senza comprendere il gesto annuii curiosa, mentre avvertii Edward – Cullen -  di fianco a me immobilizzare la schiena per lo stupore.
«Anello diurno» fece  gentilmente alzando il dito. Indossava un grosso anello a banda larga, metallico, con una pietra nera in alto; quello che aveva al collo al nostro arrivo.
Per un attimo ripensai alle due semplici parole che avevo appena sentito senza trovare un collegamento alla mia domanda. Dal modo in cui tutti lo guardavano sembrò che non fui l’unica a non capito cosa intendesse. Eccetto suo figlio, che lo fissava paralizzato dallo stupore.  
«Edward?» lo guardò Esme incerta.
«Anello diurno» ripeté il padre  «O qualsiasi altra cosa, suppongo, ma ho visto solo anelli. È un amuleto. »
«Impedisce alla luce di rifrangersi diversamente dalla pelle umana..» bisbigliò mio marito di fianco a me. Lo guardai curiosa mentre suo padre annuiva di fronte all’intuizione.
«Mai sentita una cosa simile..» borbottò con aria perplessa Emmett scambiandosi uno sguardo con Rose.
«Come lo ha avuto?» domandò Carlisle facendo un passo per osservarlo meglio.
«Be’ l’anello apparteneva al mio bisnonno. L’incantesimo che prende forza dall’amuleto lo ha fatto una strega, Hazel.»
«Stiamo parlando di una… Strega “strega”?» domandò Emmett portando avanti le mani come se volesse fermare il tempo. Diede un’occhiata ad Alice e Carlisle con aria scettica.
Annuì serio:«Le storie che conoscevo sui vampiri raccontavano chiaramente che la luce del sole li avrebbe arsi vivi, come vi ho detto - la prima volta che mi risvegliai il sole era quasi del tutto tramontato. Accidentalmente, un giorno, la luce mi colpì un braccio e mi accorsi che ne ero immune. Ovviamente l’estremo bagliore della mia pelle restava un problema. Cominciai a pensare che avrei dovuto nascondermi in posti meno assolati, ma la vita al freddo non mi era mai piaciuta molto. Pensai che dovevo sapere di più su me stesso, così iniziai ad interessarmi.. Storie, leggende, quello che potevo trovare. Alcune delle leggende più famose d’America riguardavano la caccia alle streghe, quindi partii da lì.»
«Parla delle vicende di Salem del 1692?» domandò Carlisle attento.
Edward annuì con capo:«Ho pensato che se le storie leggendarie sui vampiri risultavano vere, perché non potevano esserlo anche quelle delle streghe? E se i vampiri erano in grado di fare cose così al di sopra della media, una strega non avrebbe fatto altrettanto? Ovviamente all’inizio fu difficile.. In molti casi le donne considerate streghe erano solo persone troppo emancipate e bizzarre..»
Carlisle sospirò ma sembrò d’accordo. Suo padre in fondo aveva fatto incarcerare un mucchio di persone innocenti prima che suo figlio scovasse dei veri vampiri; chissà come doveva essere ora che era un vampiro.
«Carlisle è stato a Salem nel 1740. » intervenne Edward, guardandolo.
Suo padre parve sorpreso annuendo un po’ di volte come se stesse calcolando qualcosa:«Oh lei dev’essere un vampiro da tantissimo tempo allora!»
«In effetti sì, dal 1633. Andai a Salem passandoci per raggiungere Boston.. C’era ancora parecchia gente superstiziosa all’epoca, ma, considerando le donne processate, fui convinto si trattasse di uno sbaglio.» ammise Carlisle con aria pensosa.
«Be, Tituba Indians ed Elizabeth Parris sicuramente no. Ma a quanto pare non si sbagliarono su Sarah Osborne..» spiegò Edward « Ad ogni modo, tramite dicerie e conversazioni origliate ho incontrato un vampiro in una bettola nei pressi di Lynn, in Massachusetts. Mi disse di aver sentito di vampiri che andavano in pieno giorno, senza brillare. Studiai leggende che parlavano di amuleti e stregoneria. Sono andato a Salem e lì ho trovato Glorya e lei mi ha mandato da Hazel. Che dopo qualche prova mi ha incantato l’anello e.. Dato una guida spirituale. »
Concluse lanciando un sorriso affettuoso in direzione della licantropa che ascoltava a braccia conserte, senza perdere di vista i movimenti dei vampiri nella stanza. In tutta risposta storse la bocca in una smorfia amichevole.
«Vuole dire che.. Le streghe esistono?» esordì Jasper lanciando un’occhiata lunga ad Edward che sembrava serio e concentrato.
«Sono il fondamento stesso della vostra razza, e quelle che proteggono il mondo da esseri come voi, allo stesso tempo. » esordì Ashley con aria stanca. Vedendoli ancora più confusi sospirò:«Non vi siete mai domandati perché esistete e come siete finiti in questo mondo?»
«Me lo sono sempre chiesto ma non ho mai saputo dare risposta. Credevo che i Volturi fossero alcuni dei vampiri più antichi.» ammise Carlisle con una nuova luce di curiosità sugli occhi.
«I vampiri originali.» mormorò Edward serio fissando la donna stupita. Questa sembrò aggrottare le sopracciglia, forse chiedendosi come avesse potuto indovinare i suoi pensieri, poi annuì.
«Se le streghe proteggono il mondo da esseri come noi, perché ci hanno creati?» domandò Rosalie con una smorfia di scetticismo sulle labbra.
«Per ogni magia richiesta la Natura vuole qualcosa in cambio. Una delle più antiche streghe voleva creare esseri più forti in grado di difendersi e di equiparare il potere della strega-lupo Raaka, e la Natura gli restituì la morte e la sete di sangue. » sintetizzò la donna sostenendo l’aria di sfida della vampira. 
Aggrottai la fronte mentre Edward sembrava tentare di decifrare maggiori informazioni tra i suoi pensieri.
«È una leggenda molto lunga; fu uno sciamano a raccontarla a Makeda, e lei ad Ashley quando le spiegò le origini della sua natura da lupo. » spiegò Edward Senior guardando verso l’amica come incitandola a raccontarla. 
«Mak..?» cominciò Emmett
«Makeda, la mia padrona di casa» precisò Ashley di fronte ad alcune espressioni perplesse « Scusa Edward, non posso restare qui. Sono in ritardo con una consegna di lavoro. »
L’uomo annuì con un sorriso:«Grazie Ash, a più tardi..»
«Non ci contare..» borbottò alzando gli occhi al cielo mentre faceva per andarsene. Con un cenno di saluto si congedò dalla nostra congrega di vampiri.
«Dovete scusarla. È una persona molto affabile in realtà, ma il suo compito è quello di proteggere gli umani  dai vampiri. Sono l’unico vampiro che conosciamo ad essersi fermato stabilmente da qualche parte con la propria famiglia e che non si nutre di sangue umano.. Il motivo per cui me lo permette è che ci conosciamo da più di mezzo secolo.»
Jacob sgranò gli occhi stupito: un mutaforma che non era invecchiata per più di cinquant’anni.
Esme appoggiò una mano sul braccio di Carlisle annuendo con aria comprensiva. Il marito la seguì:«Lo capiamo. Anche noi conosciamo solo un altro clan come il nostro.»
«Quindi è davvero una mutaforma..» mormorò Jacob in direzione del signor Masen. Edward  - Cullen - con la coda dell’occhio annuì appena.
«Sì. Sono sicuro che Makeda sappia raccontare la storia e rispondere a molte più domande di quanto possa farlo io. Posso.. Organizzare un incontro stasera. So che avevano in programma una grigliata.»
«Avevano? » domandò Jacob incrociando le braccia.
«Ashley vive insieme a loro?» lo seguì Edward accigliandosi appena. A tutti sfuggì qualcosa ma fu piuttosto chiaro che si trattasse di un pensiero non espresso.
«Ashley vive con il branco » rispose con semplicità «Be’ a dire il vero il branco è suo.»
Un sorriso sghembo attraversò il volto di Edward Masen di fronte alle nostre espressioni stupite.




Ciao a tutti, grazie ancora per le tantissime visualizzazioni e le recensioni - siete stati tutti gentilissimi, apprezzo il supporto! 
Non è stato semplice comporre questo capitolo, che è venuto più lungo di quello che pensassi; volevo spezzarlo ma ho preferito lasciarlo così, anche perché probabilmente nei prossimi giorni non avrò troppo tempo per scrivere. Su consiglio preso da una delle vostre recensioni ho inserito anche uno stralcio di visione da parte di Edward: spero che sia riuscito a fare almeno un po' di chiarezza, insieme al suo dialogo con Bella, sui suoi sentimenti contrastanti e su come questi forse abbiano interferito sull'uso del suo dono.. Fatemi sapere cosa pensate di questo esperimento e del capitolo! 
Ci tengo a specificare che l'idea degli anelli diurni l'ho presa da alcuni dei telefilm che seguo/ho seguito trattanti vampiri, come The Vampire Diaries :)
Anticiperò che dal prossimo capitolo ci raggiungeranno a bordo Leah e Seth e.. Molti nuovi personaggi!
Buon weekend,
Jess


 

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Capitolo 9
*** Branco ***


Ciao a tutti, sono stata un po' impegnata questi giorni ed è possibile che lo sia anche prossimamente, ma continuerò a scrivere. Sono ripetitiva ma ringrazio mille volte le numerorissime visite e le recensioni: mi scuso se ho risposto in ritardo o vi ho ringraziati semplicemente tramite questi incipit dei capitoli, ma vi assicuro che sono assolutamente gradite e stimolanti. 
Spero che i nuovi personaggi col crescere della storia possano piacervi; per il momento abbiamo solo un assaggio di questo nuovo branco, ma naturalmente la loro personalità verrà fuori col tempo.
Piccolissimo spoiler: nei prossimi due capitoli, (nei flashforward che inserisco qualche volta prima dell'inizio o dopo la fine del testo) ci saranno alcuni altri indizi su un personaggio nuovo che avrà a che fare con altri minori della Meyer. 
Per chi invece si è chiesto chi sia questa Izzy, posso assicurare che lo scoprirà molto presto. 
Buona lettura,
 Jess
Cap.9
Branco
 
Flashforward
 
«Sua figlia è un ibrido » dissi all’improvviso mentre, tra le immagini random che mi mostrava, compariva il visino di una bambina mano nella mano con.. Un mutaforma. Ma davvero?
È il suo imprinting
Una fitta di fastidio mi colpì allo stomaco ma scacciai via quel ricordo prima che cominciasse con le sue perle di saggezza.
Non se ne accorse, o forse fece finta di nulla. Spostò i suoi ricordi sul viso di un uomo dagli occhi rubinei e i capelli corvini.
Non credevo che ci fossero altri.. “episodi” simili oltre a Joham; ti ricordi quel pazzo, in Nuova Zelanda?,pensò stranito.
Impossibile dimenticarlo. Aveva cercato di infinocchiarci con le sue teorie evoluzionistiche, e su come i vampiri si dovessimo unire per raggiungere non so quale potere. Una pessima scelta di villeggiatura quella..
Sì, il dottor Nazi-Frankenstein, pensai sarcastica, il padre di..Maysun e Jennifer mi sembra. E quel loro fratello con il nome strano..
 
 

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Fu una fortuna che tutto questo fosse capitato tra il venerdì e la domenica: nel weekend il centro ricerche era chiuso, salvo consegne o scadenze intransigenti, perciò Carlisle era potuto essere sempre con noi, dalla sera in cui avevamo incontrato Edward Masen sino alla domenica mattina, quando lo avevamo raggiunto a casa sua e ci aveva invitati a casa di Ashley per cena. Avevo il sospetto che senza Carlisle come intermediario le cose sarebbero andate molto peggio. Erano i suoi occhi che Edward cercava dopo aver incrociato i miei, per ogni decisione o ogni risposta. In fondo era lui che aveva visto i suoi genitori morire, era lui il garante per suo padre.
Da quando ci avevano invitato alla grigliata mi ero immaginata i più disparati scenari, e fantasticavo su come potesse essere questo branco. Me li figurai più o meno dei colossi con i pettorali sviluppati e i pantaloncini corti, che ci osservavano minacciosi. Chissà com’era essere capitanati da una lupa. O forse era un branco femminile? Non avevo mai pensato che potessero essercene, ma dopo aver incontrato il padre di Edward tutto sembrava possibile. Il mio nuovo mondo, del quale i Cullen sembravano avere tutte le risposte, si era rivelato molto più complesso di quanto pensassimo. Streghe, mutaforma, anelli diurni e vampiri originari. Quella storia in particolare mi incuriosiva parecchio e non ero l’unica. Carlisle non riusciva a trattenere l’euforia  che gli faceva brillare gli occhi, e sembrava parecchio emozionato all’idea di conoscere le sue vere origini, nonostante lui ed Esme fossero molto attenti a monitorare le reazioni di Edward, ancora incerte. Anche Renesmee non si lasciava sfuggire nessuna parola e poneva molte domande. L’unica non entusiasta era Rosalie, che di tanto in tanto borbottava sul fatto che quella vacanza stesse prendendo una pessima piega e qualcos’altro sulla puzza di cane. Alice d’altro canto era divisa tra il curioso e l’estremamente irritato: le sue visioni ovviamente erano totalmente nulle essendo i nostri giorni riempiti  dalla presenza di mutaforma, e la normalità non le era mai andata a genio. Perlomeno capì per quale motivo non aveva visto arrivare Edward senior, attribuendolo in parte alla casualità, in parte al fatto che il suo destino, a quanto si poteva dedurre, era strettamente legato ad Ashley, che ne impediva la visione.
Jacob dal conto suo era diviso tra la preoccupazione naturale che lo spingeva a proteggere mia figlia e la curiosità di conoscere un nuovo branco. Dopo che ce n’eravamo andati si era trasformato per mettersi in contatto con Leah o Seth nel caso in cui scorazzassero in giro in forma di lupo – dovevano passare di qui proprio quel giorno. Gli aveva mostrato tutto ciò che avevamo visto e ci annunciò che sarebbero arrivati, prima Leah poi Seth, e sarebbero rimasti per un po’ di giorni. Seth era impaziente di conoscere il branco e di scoprire tutti i misteri che ruotavano attorno alle nostre origini. Leah era molto meno elettrizzata all’idea di dover passare un po’ di giorni insieme a noi, ma immaginai che la sua curiosità fosse più forte: conoscere un’altra donna licantropo era sicuramente molto più importante di qualsiasi faida. Quando arrivò rimase a parlare un po’ con Jacob e rifiutò di farsi la doccia in casa nostra o di appoggiare in stanza il sacco a zainetto che aveva con sé. Disse che avrebbe aspettato Seth trasformata, in caso ce ne fosse stato bisogno. Anche se Esme insistette molto, alla fine si rassegnò come tutti noi: eravamo abituati al calore di Leah nei nostri confronti. Non riuscivo a inquadrarla troppo bene, ma non mi sentivo nemmeno ostile nei suoi confronti.
Seth fu un altro paio di maniche. Quando arrivò restò un sacco di tempo a ciarlare con Edward e tutta la famiglia, raccontandoci che fosse stato in visita a qualche college, e che stava cercando di avere più opzioni possibili, quindi avrebbe preso informazioni anche su Stendford.
Nonostante l’arrivo del branco di Jacob fosse un ottimo diversivo, il pomeriggio sembrava non passare mai, e la curiosità mi – ci – divorava. Avremmo dovuto aspettare il padre di Edward che ci sarebbe venuto a prendere poi ci avrebbe accompagnati a parlare con questa misteriosa Makeda, prima di cenare.
Alle sette e mezza, finalmente, si presentò sul ciglio del boschetto, sorridente come al solito. Ci guardava con quella espressione di bambino di fronte ad un mucchio di regali che lo rendeva indubbiamente attraente e difficilmente antipatico. Non avevo mai fatto caso al suo abbigliamento prima d’ora ma quella sera portava una semplice camicia dalle tinte chiare e un paio di jeans. Inutile dire che gli donassero.
Di certo ora non potevo più stupirmi del perché mio marito Edward fosse venuto fuori così affascinante: con una madre ed un padre così sarebbe stato molto difficile il contrario. 
Seth fu il primo a presentarsi e stringergli la mano, e sembrò piacere subito ad Edward senior. Non sembrò stupirsi dell’atteggiamento freddo di Leah che rimase con le braccia incrociate e si presentò con un cenno del capo, mormorando il suo nome. Mi ricordò un po’ l’aria diffidente di Ashley, a dire la verità.
«Ashley è la mia vicina di casa quindi dobbiamo salire fino a casa mia e poi spostarci verso sinistra – be’ basterà sentire l’odore.. Stanno a dieci file di alberi da casa mia. »
Seguimmo le sue istruzioni ma correndo ad una velocità poco più che umana per evitare che Jacob, Leah e Seth dovessero vestirsi e rivestirsi per un tragitto così breve. Edward senior non parve del tutto convinto di aver capito quando glielo spiegammo ma annuì distrattamente e poi prese a “correre”. Era piuttosto fastidioso andare così piano, tanto che mi sembrò di dover colmare una distanza enorme. Cercai di concentrarmi su altro, come gli odori , i rumori dei nostri passi, il parlottio dietro di me, la natura.. E la musica? Quando eravamo all’incirca un paio di metri dal lotto della casa del signor Masen cominciavo ad un suono ripetuto di bassi che creava un sottofondo del tutto innaturale per quella sottospecie di corsa in mezzo agli alberi.
«Ci siamo quasi..» sentii dire da Edward Masen mentre allungava il passo verso gli ultimi pezzi d’ombra, sin dove si vedeva la luce aumentare. Sbucati fuori ci trovammo di fronte ad una radura, simile al giardino di Edward, illuminata dal sole debole del pomeriggio inoltrato. Una casa a tre piani con un ampio porticato rialzato, si erigeva alla nostra destra, affacciandosi ad un ampio giardino, dove si trovava un gazebo ed un tavolo in legno con sedie tutt’attorno. Nascosto tra il lato della casa e l’altezza del gazebo sembrava esserci qualcosa come una struttura metallica. A giudicare dall’odore doveva essere la griglia che sfrigolava. Qualcuno ridacchiò in lontananza, poi si sentì il suono fragoroso di una pentola cadere. O forse mi sbagliavo? Era difficile discernere bene i rumori lontani con quella melodia incessante così vicina.
La musica, che prima avvertivamo in sordina , proveniva infatti da un punto dello spiazzo d’erba opposto alla facciata della casa, vicino alle fila d’alberi che scendevano a valle dove si iniziava una specie di sentiero sterrato. Era sparato fuori dalla radio di un’auto parcheggiata con il cofano aperto ed un ragazzo, che ci dava le spalle, vi stava armeggiando davanti, muovendo la testa al ritmo di musica. Non ero mai andata a quel genere di feste e non era il tipo di canzone che ero solita ascoltare – ero piuttosto sicura che Edward stesse provando i brividi in questo momento - ma mi parve il classico ritmo reggaeton che potevi sentire esplodere da macchine truccate in direzione della spiaggia. Il ragazzo, forse più basso di Jacob ma dalla schiena molto spaziosa, sembrava non essersi accorto di nulla e di tanto in tanto muoveva due passi  con naturale coordinazione. Mi ricordò quando Renée aveva convinto me e Phil a provare una lezione di balli cubani offerta dal villaggio turistico in Florida, convincendoci che non ci fosse nulla di più sensuale che saper muovere il corpo a suon di salsa. Va da sé che non riuscii a fare più di un paio di passi senza inciampare, così riuscii a trovare il modo per svicolare e rimanere seduta. A Phil andò pure peggio: ogni volta che provava a muoversi più sinuosamente sembrava scoordinarsi ed arrossire furiosamente sotto gli incoraggiamenti di mia madre mentre l’istruttore che gli si parava di fianco riusciva a far ondeggiare le anche senza perdere la propria virilità.
Povero Phil.
Nemmeno quel tizio sembrava avere problemi; agitava appena il suo bacino, massiccio come un tronco d’albero, mentre Edward senior ci faceva cenno di seguirlo. Camminammo nella direzione della macchina, mentre il subwoofer vibrava sempre più forte di mano in mano che ci avvicinavamo.
Quando il ragazzo si voltò per prendere il cacciavite che gli usciva fuori dalla tasca delle bermuda,  i suoi occhi scattarono su di noi fermando qualsiasi movimento. Grandi e di un verde scintillante, risaltavano prepotentemente sulla pelle mediterranea e sui cortissimi capelli color petrolio – la stessa macchia nera che avevo trovato al posto della lunghissima chioma di Jacob, la prima volta che lo avevo rivisto a La Push. Se i tratti fisici marcati così simili a quelli del branco non fossero stati sufficientemente eloquenti, lo fu di sicuro l’aumentare di un odore animalesco che ben conoscevo. Ora che c’erano anche Seth e Leah abituarsi era diventato inevitabile, ma restava parecchio difficile.
La sua espressione seria si trasformò in un ghigno mentre si voltava del tutto verso di noi:«Edward!»
«Jaxen..» salutò pacato Edward senior.
Questo continuando a ghignare divertito afferrò uno straccio che penzolava dalla tasca davanti dei pantaloni e se lo passò sulle mani scuotendo appena la testa.
«Ah Ed, Ed.. Hai fatto incazzare Makeda sta volta » disse mentre lo gettava  sulla cassetta degli attrezzi ai suoi piedi. Parlava con uno strano accento che non riuscivo ad identificare, seppure leggero e quasi impercettibile.
«Non sarebbe la prima volta..» ribadì diplomatico.
Il tizio di nome Jaxen allargò quel suo sorriso furbesco ed annuì, riempiendo la distanza che c’era tra noi.
Da così vicino sembrava mastodontico, forse poco meno grosso ed alto di Emmett, e, come la maggior parte dei Quileute che avevo visto trasformarsi, i suoi muscoli sembravano dover esplodere da un momento all’altro. Notai che portava al collo una specie di catenella sottile e dorata e su un pettorale era presente una cicatrice piuttosto visibile. Mi ricordò un po’ l’aspetto del tipico gangster che vedevo nei film polizieschi di Charlie.
 Diede una rapida occhiata a tutti noi e poi allargò le braccia, senza perdere quel sorrisetto stampato in faccia, e disse:«Be’, vogliamo aprire le danze allora? Credo che sia di sopra.»
«Dopo di te Jax..» disse Edward con un mezzo sorriso «Le presentazioni possiamo rimandarle a più tardi..»
Il ragazzo, che avanzò di qualche passo in direzione della casa, rallentò per qualche secondo mentre superava il punto in cui erano raggruppati Jacob, Seth e Leah, squadrando da testa a piedi quest’ultima. «Ehi, ciao tesoro» le disse, col tipico tono suadente da adescatore. Leah s’irrigidì, mantenendo la stessa espressione imbronciata che aveva avuto da quando eravamo partiti. A quella reazione Jaxen, divertito e senza un briciolo di imbarazzo, ridacchiò tra sé e sé spostando gli occhi verso gli altri due mutaforma:«Spero che abbiate fame. Kala ha comprato un sacco di bistecche! »
«No.» sbottò Leah mentre incrociava le braccia.
«A dire il vero sto morendo di fame..» disse Seth nello stesso momento con un mezzo sorriso.
Guardando Jacob, mentre sorrideva immancabilmente, indicò Seth con aria di approvazione:«Il ragazzo mi piace.»
Dal modo in cui si rivolse al mio migliore amico sembrò quasi che in un solo sguardo avesse già capito chi fosse il capo branco. Probabilmente per un mutaforma il modo in cui Seth e Leah erano disposti attorno a lui aveva una certa importanza..
Senza aspettarsi una risposta da Jacob, Jaxen riprese a camminare a ritmo di musica verso il portone d’ingresso. Notai solo allora che sulla schiena aveva un grosso squarcio in diagonale, dalla scapola fino alla spalla. In altri punti c’erano dei segni molto più lievi e trascurabili che probabilmente un occhio umano avrebbe visto appena. Ripensando a quando Paul si era azzuffato con Jacob o quando Jake aveva stretto per sbaglio il coltello tra le mani, capii che dovevano essere cicatrici precedenti alla sua trasformazione. Mi domandai cosa gli fosse successo per portare un segno così marcato..
Quando fummo sotto al portico il ragazzo bussò con un due colpi fragorosi. Sentii uno scalpiccio leggero di passi che acceleravano il ritmo, dall’altra parte della parete.
«Josiee, muoviti!» chiamò lui dopo qualche secondo di attesa. Sembrò sapere perfettamente chi stesse camminando fino all’ingresso.
«Sì, sì..» sentimmo borbottare con un sospiro appena dietro la porta.
In un istante si spalancò e di fronte a noi trovammo quella che poteva sembrare una ventenne slanciata. Spalancò i suoi piccoli occhi verde chiaro trovandosi di fronte ad una congrega di vampiri pressata all’ingresso. Lo stesso odore acre che eravamo abituati a sentire sembrava aumentare nelle vicinanze della porta, il che lasciò pochi dubbi su cosa fosse la ragazza. Quest’ultima Lanciò una rapidissima occhiata a Jacob – l’unico dei suoi che svettava in quella ristretta porzione di visuale - poi la sua testa si sporse all’indietro, verso destra.
«Ashley,c i sono i tuoi vampiri! Che devo fare?» chiamò guardando in alto, dove cominciavano i primi gradini di una rampa di scale.
Sentimmo il rumore di qualcuno che cominciava a scendere dal piano di sopra.
«Un momento..» si percepì appena da lontano.
Ritornando a voltare la testa verso di noi la ragazza fissò Jax con aria seccata ed incrociò le braccia.
«Potresti spegnere quella merda?»
Jax ghignò:«Be’, non senti nostalgia di casa?»
C’era qualcosa di simile, malgrado l’aspetto fisico totalmente differente, nel modo in cui parlavano, anche se l’accento della ragazza pareva ancora più particolare. Forse più inglese?
La ragazza dai lunghissimi capelli biondo chiaro si accigliò rispondendo alla provocazione:«No.»
Alle sue spalle vedemmo sfrecciare una morettina che sparì a sinistra oltre il campo visivo che la porta permetteva.
«Zac, Justin! Oh lasciate stare quella roba, brucia!» la sentimmo gridare nella direzione verso la quale si era eclissata.
 Jaxen si fece spazio per entrare spostando la biondina leggermente verso destra, ma lei sembrò voler piantonare il posto dandogli una piccola spallata:«Kala ha bisogno di una mano con la griglia, aiutala.»
«E Trenton dov’è?» domandò sbuffando mentre, con una mano le spingeva via la spalla superando la soglia d’ingresso. Lei non oppose resistenza ma non sembrò demordere.
«A fare surf. Muoviti. » sbottò ricambiando la spintarella.
«Altrimenti?» ribatté tra i denti lanciandole un’occhiataccia divertita.
«Ah ragazzi..» cominciò Edward alzando gli occhi al cielo mentre quella che aveva chiamato Josie faceva un passo nella direzione del compagno con aria minacciosa.
Ashley comparve dalla tromba delle scale e con un sospiro posò le mani sulle spalle di entrambi, come a volerli dividere:«Voi due. Per favore non oggi.» disse in tono piatto ma con uno sguardo decisamente seccato «Jocelyn vai a prendere i piatti e le posate e portali fuori. Jax, tu porta l’ultimo tavolo e aiuta Kala con quella maledetta griglia fino a che non arriva Trenton. I gemelli faranno saltare in aria la casa.»
Cercai lo sguardo di Edward che fissava dritto davanti a sé senza dire una parola. I gemelli?
Jax fece una smorfia melliflua in direzione di Josie che lo guardava ancora accigliata e poi guardò Ashley:«D’accordo, d’accordo»
«Vado.» disse l’altra lanciando al rivale un’ultima occhiataccia per sparire nella direzione opposta.
La licantropa alzò gli occhi al cielo sospirando:«Non posso invitare altri vampiri ad entrare, andiamo qui fuori ». Ci indicò un tavolo rotondo poco distante. La sua espressione s’indurì quando i suoi occhi di ghiaccio fissarono la macchina lontana di Jaxen. Inarcò un sopracciglio e, una volta uscita sul portico si sporse verso sinistra:«Ehi Jax spegni quella roba. Fa troppo casino.»
Il ragazzo, che sbucò dal giardino svoltando l’angolo con un lungo tavolo sollevato in alto – probabilmente era uscito dalla porta del retro - rise scuotendo la testa:«E va bene..»
«Grazie..» rispose lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso che si perse nel suo sospirare. Sentimmo un’altra lieve risata farle eco e con la coda dell’occhio mi accorsi solo allora che c’era una ragazza, nascosta in parte da un gazebo, che armeggiava davanti ad una griglia che scompariva quasi del tutto dalla nostra visuale. Da quello che riuscii a vedere sembrava avere la pelle scura ed era in costume da bagno. Doveva essere Kala.
Ashley incrociò le braccia e poi scese gli scalini del porticato per dirigersi al punto indicato. La seguimmo senza dire nulla. Lanciai un’occhiata alla mia famiglia e notai che erano tutti apparentemente tranquilli, ma i volti contratti, in quella nuova situazione di disagio. Rosalie teneva saldamente in braccio Renesmee – si era alzata decisamente troppo per essere tenuta così a lungo in braccio ma nessuno aveva smesso di farlo – e si guardava in giro con aria nervosa. Nemmeno i licantropi avevano fatto una piega alla visione di un ibrido. O forse non ci avevano fatto caso.
«Vado a vedere dov’è finita Makeda, intanto accomodatevi.»  mormorò Ashley tornando lentamente sui suoi passi verso il portico.
Scambiai un’occhiata incerta verso Edward che mi prese la mano mentre suo padre ci faceva cenno di accomodarci.
Mentre facevamo per sederci sentimmo un rumore che ci costrinse a voltarci verso le fila di alberi diretti a fondo valle. Qualcosa stava sfrecciando da Pacifica verso di noi e si faceva sempre più vicino. Era un suono che conoscevo molto bene: il muoversi di un animale. Il galoppare di grosse zampe.
Dopo qualche istante, mentre Jacob, Leah e Seth si paravano in avanti pronti a trasformarsi da un momento all’altro, la fonte di rumore sbucò dall’ombra degli alberi e si fermò dopo qualche falcata. 
«Tranquilli, è con noi» assicurò subito Edward Masen guardando in fondo al giardino.
La figura che era apparsa era un grosso lupo dal pelo grigiastro, brizzolato di bianco e appiattito dall’acqua. Aveva la lingua penzolante e gli occhi puntati verso di noi, dandogli un’aria buffa. Sembrò un sorriso lupesco, e per nulla minaccioso sebbene la fila di canini aguzzi in mostra. Anche Edward senior accennò un piccolo sorriso.
Il particolare che ci colpì subito fu la tavola da surf rossa fiammante che portava sulla schiena, legata al busto con un cordoncino elastico. Lo guardammo acquattarsi stendendo le zampe anteriori in avanti ed il muso in basso nel tentativo di far scivolare via la tavola, aiutandosi di tanto in tanto con i denti per allentare l’elastico. Una volta che se ne fu liberato si scrollò la pelliccia lanciando schizzi d’acqua tutt’attorno.
«Il giardino lo abbiamo già annaffiato Trent.» intervenne Jaxen da lontano ridacchiando «Dai vieni qua a darci una mano!»
Il lupo lo guardò alzando i grandi occhi blu verso il cielo poi mosse un paio di passi nella nostra direzione e, continuando a camminare lo vedemmo ritrasformarsi.
Quante volte mi era capitato di vedere Jake, Paul, Sam e il branco esplodere in aria mandando in pezzi i loro vestiti? Il passaggio da uomo a licantropo era immediato e bizzarro ma oramai era diventato parte della mia vita. Tuttavia, proprio per l’inconveniente della trasformazione che lacerava tutti i vestiti , non avevo mai visto uno di quei grossi lupi ritornare su due zampe. Fu come vedere una clip all’indietro: nonostante stesse camminando in avanti, in un istante sembrò che le zampe anteriori si alzassero ritirate all’indietro e che la pelliccia si ritraesse insieme al muso, fino a sovrapporsi a delle sembianze umane.
Ci venne incontro un ragazzo piuttosto alto ma meno imponente di Jaxen, che sorrideva.
«Salve..» disse pacato passandosi una mano tra i ciuffi di capelli spettinati e ancora bagnati che gli ricadevano attorno al viso. Nonostante i magnetici occhi di un blu impossibile, la maggior parte degli sguardi era fissa sul suo corpo: dal bacino fino ai piedi il ragazzo indossava una muta da surf il quale pezzo sopra ricadeva in avanti lasciandogli scoperto il tronco.
Era vestito.
Jacob mi aveva detto, quattro anni prima, che il motivo per cui si portava dietro i vestiti era che non aveva ancora imparato a ritrasformare anche i vestiti, ma la cosa mi fece comunque effetto. E non fui l’unica: i tre mutaforma che conoscevamo lo fissavano con un misto di sorpresa ed ammirazione. Doveva essere uno strazio portarsi sempre dietro i vestiti, soprattutto per Leah.
«State aspettando Makeda immagino..»
«È così » rispose Edward senior annuendo «Ha chiesto di aspettare fuori..»
Lo disse accennando una risata, come se lo trovasse parecchio divertente. Cosa c’era di tanto strano nel conversare in giardino?
Il  ragazzo sorrise:«È una questione di precauzioni» alzò gli occhi al cielo «Una volta che s’invita un vampiro ad entrare l’effetto non è più reversibile lo sai..»
Quella frase ci lasciò spiazzati. Cercai lo sguardo di mio marito e degli altri Cullen ma la loro espressione non sembrò tanto diversa dalla mia.
«Non vorrai far credere che quelle dicerie umane sulla protezione della casa dai vampiri sono vere..!» esordì Emmett tra lo scettico ed il divertito «Non ho mai avuto problemi ad entrare in casa di qualcuno, mi sembra.»
 Ghignò, ma la a sua mascella tirata però tradiva l’aria sicura del suo viso, che cercava suo fratello Edward con la coda dell’occhio.
«C’è qualcosa che non è vero questo punto?» sentii mormorare Leah tra sé e sé.
«Be’, no, immagino di no se non c’era nessun incantesimo da spezzare. » rispose Trenton tranquillo, ricambiando il sorriso.
«Insieme alle leggende le persone si sono inventante anche rituali ed azioni che potessero dargli una qualche vaga sicurezza, come i proiettili d’argento, i paletti di legno, l’aglio e quant’altro. » precisò Edward senior «Anche la faccenda della porta dava una certa rassicurazione, ma credo derivi dal fatto che molte streghe lanciassero incantesimi di protezione su i luoghi che intendono preservare da determinate categorie..»
Quindi Makeda non era convinta della nostra onestà nemmeno con dei licantropi in casa..
«Questa è la famiglia Cullen – Carlisle ed Esme, Alice e Jasper, Rosalie ed Emmett, Edward, Bella e Renesmee. E questi sono Jacob, Leah e Seth. Sono Quileute.» annunciò Edward Masen guardando noi e poi il surfista.
Il ragazzo sorrise e si avvicinò a Jacob allungandogli la mano :«Sono Trenton, faccio parte di questo branco. » disse cordiale e pacato «Allora siete i Protettori di cui mi ha parlato Ashley; non avevo mai incontrato nessun altro prima d’ora.»
«Nemmeno noi» rispose Jacob ricambiando la stretta. Sebbene Jake sembrasse più grande della sua età, si vedeva che Trenton era sicuramente più vecchio o probabilmente la sua trasformazione era avvenuta qualche anno più tardi rispetto alla sua. Gli si potevano dare tra i venticinque e i trent’anni.
«È un vero piacere.» disse sincero stringendo la mano anche agli altri «Ora, se volete scusarmi, vado a cambiarmi.»
«C’è la griglia che ti aspetta Trent!» gridò Jax da un lato della casa, dove si espandeva un odore di fumo e verdure.
Mentre recuperava la tavola e si allontanava nella direzione da dove era provenuta la voce, ridacchiò scuotendo la testa.
«Ma quanti licantropi ci sono? » borbottò Rosalie tra sé e sé con un’espressione di disappunto in volto.
«Sette. E fintanto che resterete qui il numero potrebbe crescere. »
Voltammo tutti la testa indietro, in direzione del porticato da dove era giunta quella sconosciuta voce sommessa. 

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Capitolo 10
*** Origini - Parte 1 ***


Ho provato a ricreare una possibile storia su questa antica rivalità tra vampiri e protettori, che ve ne pare? Vi sembra credibile?
Nei flashfoward continuano indizzi sul nuovo personaggio, spero di avervi incuriosito almeno un po' ;) buon weekend

Jess

Cap.10
Origini – Parte 1
 

A due passi dalla porta d’ingresso, c’era una donna altissima ed imponente. Portava un prendisole riempito di disegni intrecciati, lungo quasi fino ai piedi, che la rendevano ancora più statuaria e che risaltava sulla sua pelle marrone scuro. I suoi occhi leggermente a mandorla, ci scrutavano senza battere ciglio. Erano di un marrone caldo e ramato da sembrare ipnotico. Le sue labbra carnose erano una linea piatta, che tendeva al basso.
Doveva essere Makeda.
Di fianco a lei c’era Ashley, con le braccia incrociate ed un’espressione neutrale totalmente diversa da quella che aveva la donna, imperturbabile ma solenne. Fissò i tre Quileute a lungo e poi Edward, prima di parlare.
«Makeda, s..» iniziò lui ottimista, in procinto di iniziare un discorso.
«Conosco la storia Edward, non scomodarti a raccontarla.» lo interruppe melodiosa, ma tagliente come un rasoio. Si sentiva a malapena che il modo di pronunciare le vocali non sembrava totalmente americano. I miei sensi vampireschi coglievano differenze che fui sicura un essere umano non avrebbe potuto notare.
Il donnone fece qualche passo verso di noi, lenta, ed Ashley era la sua ombra.
Carlisle decise di intervenire, mettendosi al fianco di Edward Masen:«Le assicuro che né io né la mia famiglia intendiamo fare del male a nessuno di voi, né altri. Siamo integrati alla comunità umana da svariati decenni, e ci nutriamo solo di animali. Saremo a Pacifica per un brevissimo periodo di tempo. »
«Tutto questo mi è chiaro.» ribadì con calma «Siete accompagnati da tre Protettori, inoltre; loro non metterebbero una vita di un umano in pericolo, è il loro compito proteggerla. Tuttavia ciò che brama sangue, richiama sangue. Intrecciare il nostro destino al vostro potrebbe comportare una grande sventura. Devo fare ciò che è giusto per proteggere la mia famiglia.»
Le sue parole erano enigmatiche, e sembravano non avere alcun senso. Ma la serietà e la sicurezza con cui lo disse mi fece rabbrividire. Il mistero che si celava dietro le sue frasi non prometteva nulla di buono. Pensai subito ai Volturi, a qualche altra minaccia sovrannaturale e il mio respirare superfluo divenne affannato. Incrociai gli occhi di Edward che la scrutava serio ed accigliato; quando li spostò su di me intravidi una strana incertezza ed ansia. Jacob accanto a lui seguiva ogni movimento di Makeda accigliato. A quelle parole un impercettibile tremore gli invase le spalle per qualche fugace istante. Il suo pensiero, ne fui sicura, andava a Renesmee. Sembrò voler dire qualcosa ma si concentrò per far passare qualsiasi traccia di brivido.
«Che sta blaterando?» mormorò Rosalie pianissimo con un’espressione truce. Scoccò uno sguardo ad Alice che sembrò parecchio irritata. Fare previsioni del futuro in fondo era una cosa che era sempre spettata ad Alice, mentre di fronte a lei aveva una donna  - un essere umano per giunta – che dispensava oracoli catastrofici come una sacerdotessa al tempio. Si limitò a scuotere appena la testa con disapprovazione, ma non aggiunse altro e non si rilassò, malgrado l’influenza di Jasper, la sentivo, stesse cominciando a serpeggiare tra noi. 
La testa della donna africana si voltò verso Jasper stringendo appena gli occhi in due fessure:«Ti prego di interrompere qualsiasi cosa tu stia facendo, o sarò costretta a chiedervi di andarvene.»
Non avevo visto mai nessun umano sfidare a quel modo una congrega di vampiri; sapevo che le minacce suonavano vane ad un essere dotato di tanta potenza. Eppure ne fui quasi intimorita. Jasper la osservò con lo stesso sguardo cinereo con cui la stava squadrando da un po’ – le sue cicatrici sembravano ancora più profonde ed inquietanti – ma Makeda non cambiò di un briciolo l’espressione del suo volto.
Edward, mio marito, si voltò appena verso Jasper e gli fece cenno di no con il capo.
«Fidati..» bisbigliò impercettibile mentre Jasper lo fissava torvo senza capire. Tuttavia obbedì, e piano piano quella sensazione di quiete si spente. Mi domandai cos’avesse visto nella sua mente.
Quando cercai di leggere il suo viso Edward mi guardò come se volesse rimandare quella spiegazione a dopo. Annuii nervosa mentre sentivo gli occhi della donna su di noi.
«Makeda sii ragionevole..» cominciò Edward Masen che non sembrava minimamente preoccupato dalle sue parole divinatorie «Sono in villeggiatura. È la famiglia di mio figlio, che credevo morto da ottant’anni..»
Sembrò voler aggiungere qualcosa ma si bloccò senza sapere come continuare. Notai un sussulto in mio marito quando aveva sentito usare l’espressione “mio figlio” rivolta a lui. Credo fosse la prima volta che la usava espressamente davanti a lui, nel presente.
«Con tutto il rispetto, nessuno di noi ha mai voluto una cosa del genere. Stavano trascorrendo un periodo di villeggiatura in tutta tranquillità prima che Bella s’imbattesse in quest’uomo. Non stiamo invadendo nessun territorio e non stiamo portando nessun pericolo. La città non è sua mi sembra..» sbottò Rosalie infiammandosi. Accanto a lei Emmett annuì secco, facendo un passo in avanti come per proteggerla.
Nemmeno queste parole turbarono Makeda, che li osservava semmai con aria paziente, impassibile:«Le mie origini non mentono: sono nata per cercare di mantenere equilibrio nella Natura. I vampiri minacciano questo equilibrio, ed io ho il dovere di limitare i danni. Nulla di personale. E come ho detto, sangue chiama altro sangue.»
«Come fa ad esserne sicura?» chiesto Emmett incrociando le braccia.
«Lo so. Questo è tutto quello che vi è dato sapere.»
Emmett sbuffò con aria contrariata e Rosalie inarcò un sopracciglio in procinto di dire qualcosa ma Edward la fermò attento:«Rose, Em, no.»
Prima che potesse spiegarci cosa leggeva nella sua mente, Carlisle intercesse di nuovo, mantenendosi fermo ma tranquillo:«Quello che stanno cercando di dire i miei figli è che non eravamo al corrente che ci fossero mutaforma, ma ora che lo sappiamo possiamo mantenere le distanze, se questo può essere d’aiuto. Ci permetta solo di restare un paio di mesi, il tempo di concludere il mio lavoro a San Francisco. Le assicuro che non è la prima volta che stringiamo patti simili, e che non le daremo nessun fastidio.»
Makeda incrociò lo sguardo preoccupato di Ashley – evidentemente le sue parole avevano fatto effetto anche su di lei – che si spostò su quello del signor Masen, supplicante.
«In differenti circostanze non sarei così clemente, ma so che non sei stato tu, Edward, a condurli qui, se non il Caso.» fece una breve pausa mentre vedeva il sorriso di Edward allargarsi «Ciononostante, mi aspetto che si rispettino delle regole.»
«La ascoltiamo.» ribatté Carlisle annuendo.
«Nessun umano dev’essere attaccato, morso, dissanguato; né alcuno del branco. Nessun altro vampiro deve raggiungervi a Pacifica. Non vi stabilirete qui, per nessuna ragione » i suoi occhi balzarono per un attimo su Edward Masen eloquenti «E dovrete avere un garante. »
Un garante?
Ashley grugnì guardando lei, poi le nostre espressioni interrogative:«Qualcuno che si prenda la responsabilità delle vostre azioni. » guardò verso i Quileute «Protettori.»
Jacob subito fece un passo avanti incrociando le braccia con aria di sfida:«Garantisco io per loro. »
La donna storse le labbra contrariata:«Un garante imparziale.»
I suoi occhi si spostarono da Jacob verso Renesmee, per poi tornare su di lui. Aveva già capito che era il suo imprinting? Probabilmente vivendo con un branco non le era sfuggito. Ma mi parve surreale, non erano nemmeno mano nella mano.. Di nuovo, inoltre, nemmeno Makeda sembrava stupirsi di quella che per noi era l’eccezionalità di Renesmee.
Seth stava per aprire bocca ma sua sorella Leah gli lanciò un’occhiataccia. Era evidente chel’amicizia che lo legava a noi non gli desse più imparzialità di Jacob.  Certamente Leah sarebbe stata adatta per il compito, data la sua ostilità verso di noi, ma non si azzardò a dire nulla né farsi avanti. Non avrebbe mai dato la sua parola per noi, dovevo immaginarlo.
Ashley assunse un’espressione indecisa, ma gli occhi di Edward Masen la penetravano con aria così supplicante che l’attesa non durò a lungo:«Puoi fidarti Makeda. Ci penserò io se qualcosa andrà storto..»
«Sarai il nostro garante?» chiese Jasper con un tono leggermente scettico.
La donna  alzò gli occhi al cielo senza troppo entusiasmo. Be’ potei capirla: non era facile non cedere di fronte a quelle occhiate che mi ricordavano tanto Edward e i suoi tentativi di abbagliarmi.
«Se ti prendi questo onere, Ashley, la responsabilità è tua.» le disse, come se avesse appena pronunciato un’ovvietà.
Quando quella annuì, con un sospiro, Makeda tornò a rivolgere il volto verso di noi:«Sono sicura che allora andremo d’accordo» nonostante l’espressione seriosa, il suo tono sembrò tuttavia addolcirsi «Accomodatevi. La cena sarà in tavola a breve. Spero che vi piacciono i dolci. »
Il signor Masen si scambiò un’occhiata con Carlisle che annuì prima di rivolgersi alla donna:«Non vorremmo rubarle tempo prezioso. Ma ci chiedevamo se potesse raccontarci qualcosa delle nostre origini. Ci hanno detto che lei la conosce.»
«La storia dei vampiri originari e della discordia tra noi e voi.» affermò, quasi come fosse una domanda.
«Ne saremmo onorati.» rispose Carlisle, senza perdere la sua innata gentilezza.
Makeda annuì facendoci cenno di prendere posto al tavolo. Si sedette a sua volta, con aria solenne, di fronte al nostro gruppetto, e con voce profonda cominciò a raccontare:«I primi vampiri della storia furono creati da una strega molto potente, sorella di una lontana antenata di Morgana Pendragon: Euna.
Euna viveva  con la sua famiglia in un villaggio di cacciatori, pescatori e piccoli coltivatori in Alaska. A quel tempo le streghe e i maghi vivevano insieme alle proprie comunità o si ritiravano in luoghi solitari e nascosti nei quali gli umani si recavano per chiedere favori o grazie. In una foresta vicino al villaggio di Euna viveva nascosta una potentissima strega che aveva il dono di trasformarsi in un lupo. La chiamavano Ayame o Raaka, in elfico significava lupo. Si vociferava venisse proprio dall’Irlanda, o da terre lontane ai confini del mondo, e che fosse stata cresciuta dai lupi stessi, per via del fatto che vivesse effettivamente in mezzo a loro, in entrambe le sue forme. Non amava la compagnia umana, era di poche parole e restava isolata con il suo branco. La gente si teneva lontana dalla sua foresta e la temeva.
Un giorno però,  un cacciatore del villaggio dove viveva Euna, invidioso della eterna giovinezza e potenza di Raaka, decise di tenderle una trappola: l’avrebbe ferita mortalmente mentre fosse stata nella sua forma lupina e l’avrebbe costretta, in cambio della vita, a donargli i suoi poteri. Credendo di ferire Raaka, l’uomo colpì il suo lupo prediletto, uccidendolo per errore. Egli infatti non sapeva che quando lei si trasformava diventava un lupo molto più grande e più forte di quelli che per natura conosceva, e che non sarebbe stato in grado di ferirla mortalmente con le sue frecce. Raaka amava molto quel lupo, il dolore l’accecò: disse all’uomo che lo avrebbe maledetto.
Il cacciatore  tornò al villaggio terrorizzato,  confessandosi con alcuni compagni, ma quel giorno non successe nulla. Dopo che fu passata una settimana senza che nessuno fosse colpito,  egli si rassicurò. Ma quando, alla terza settimana, in cielo spuntò la luna piena, l’uomo sentì le ossa del corpo spezzarsi e i denti allungarsi fino a che non si trasformò in una creatura famelica dalle sembianze semi-lupine.»
«Un Figlio della Luna..» bisbigliò Carlisle rapito dal racconto.
L a donna annuì appena col capo:«Lui, che aveva voluto tanto i poteri di Raaka, ora ne pagava il prezzo con una maledizione che lo costringeva ad uccidere propri simili senza potersi controllare.
L’indomani l’uomo si ritrovò nudo vicino alla neve senza ricordarsi nulla della sua trasformazione, se non il dolore provato.  Al villaggio due persone erano state trovate sbranate. La gente cominciò a pensare che fosse una vendetta di Raaka, che mandava i propri lupi ad uccidere, così chiesero consiglio ad Euna, che propose di bandire l’unico responsabile di quella follia dal villaggio, come segno di riconciliazione con Raaka.
Ciononostante, il mese successivo, altre persone morirono.
Uno dei superstiti del gruppo attaccato, che era riuscito a fuggire con un solo morso al braccio, ne parlò come di una bestia dalle sembianze semi-umane. Euna allora capì che l’uomo che avevano esiliato doveva essere stato vittima di un sortilegio che lo tramutasse in una bestia ad ogni luna piena. Gettò un incantesimo di protezione attorno al villaggio per impedire che nessuno potesse entrarvi ed uscire durante le notti di luna piena. Ma il ragazzo superstite, infettato dal morso, si trasformò, e non potendo uscire dal villaggio compì una strage uccidendo molti degli abitanti. L’indomani Euna si svegliò trovando due dei suoi otto figli sbranati. Disperata, invocò gli Spiriti Magici, i saggi antenati del proprio villaggio, chiedendogli aiuto e vendetta. Questi, che avevano letto il suo cuore pieno di odio, le sconsigliarono di scatenare una guerra e le dissero di andare nel bosco da Raaka e chiederle di cessare la propria vendetta in nome della loro sorellanza. Raaka avrebbe capito e avrebbe pagato il proprio debito di sangue.
La rabbia ed il dolore però presero il posto della tolleranza malriposta da Euna, così decise di lanciare un incantesimo oscuro e molto potente, che forgiasse il marito e i propri figli, rendendoli in grado di proteggere se stessi e il villaggio.
Nella sua forma lupina Raaka era una perfetta predatrice: veloce, potente, dai  sensi amplificati; il suo corpo si rigenerava e aveva smesso di invecchiare; i suoi denti erano aguzzi. Euna allora invocò le forze della terra per una pelle dura come marmo e incapace di ferirsi; armi affilate che potessero scalfirla; sensi, velocità e forza senza eguali.  Il rito fu lungo e costò quasi tutte le sue forze.
Quando i cinque figli ed il marito, infine, si misero attorno al fuoco e sulla cenere bevvero un infuso di fiori velenosi poi il sangue magico di Euna, la donna terminò il rituale trafiggendoli. Il loro cuore cessò di battere per sempre.
Al loro risveglio erano diventati ciò che oggi noi chiamiamo vampiri. Erano agili, indistruttibili e pieni di forza. Avevano denti aguzzi ed intrisi del veleno mortale che aveva intaccato le loro vene quando ne avevano bevuto – l’Aconito Napello, o più volgarmente, Strozzalupo
Nel momento in cui lanciai un’occhiata verso Jacbo vidi tutti e tre i Quileute presenti trasalire nello stesso momento, e io insieme a loro. Il veleno di un vampiro era tossico per un mutaforma..
« ..Il loro aspetto era seducente, il loro profumo invitante come il migliore dei predatori. Uccisero senza grande sforzo il ragazzo licantropo che aveva dilaniato parte della loro famiglia. Il villaggio si sentiva di nuovo al sicuro.
Eppure, ogni magia aveva un prezzo.
Con quell’incantesimo Euna aveva violato non solo le leggi magiche, ma anche quelle della Natura. La Natura dunque cercò di ristabilire il proprio equilibrio donando per ogni abilità una debolezza.
La potenza e la bellezza del Sole che erano state invocate da Euna divennero loro nemici: la pelle granitica dei tre vampiri brillava in modo innaturale tanto da non potersi mimetizzare né confondersi con gli altri. Era pallida, come la morte che avevano vissuto. La loro forza instancabile era responsabile anche dell’incapacità di trovare pace nel sonno, poiché la morte era già un’eterna stasi. La loro immortalità aveva dei limiti: se il corpo era immune a qualsiasi ferita, non poteva nemmeno cambiare; se smembrati e arsi al fuoco, lo stesso attorno al quale si erano riuniti, potevano morire.
Ma il sangue umano che avevano bevuto creò la condizione peggiore: si sarebbero nutriti di sangue stesso. La loro nuova condizione di sete all’inizio fu incontrollabile, e, prima che se ne potesse rendere conto, alcuni dei figli attaccarono gli abitanti del villaggio. Euna tentò di rimediare creando degli anelli diurni per il bagliore della propria pelle ma non riuscì a placare la loro sete. Costretti dalla madre a reprimere il loro bisogno, Idris, il figlio maggiore, sconvolto dalla sete, la dissanguò.
Spaventati, gli abitanti del villaggio chiesero allora aiuto alla stessa Raaka, che, appresa la situazione dagli Spiriti della Terra,incantò tre dei suoi lupi più robusti per fare in modo che diventassero grossi e forti come lei, e affrontò i vampiri. Quando il padre addolorato vide altri due dei suoi figli smembrati e bruciati, prese i restanti tre e fuggì. Raaka gli corse dietro ma i quattro vampiri si gettarono in acqua e sparirono in un batter d’occhio. Nessuno li vide più.
Il villaggio fece una festa in onore di Raaka a la onorò al tempio come un Nume tutelare. Il lupo divenne il totem di quel villaggio e gli spiriti consacrarono Raaka come protettrice, la sua dinastia con lei.
La donna, finalmente accettata, visse per qualche tempo in mezzo agli abitanti del villaggio e trovò un compagno. In tutta la sua lunga vita Raaka non aveva mai incontrato nessuno per il quale provasse un sentimento così forte. Eppure, la prima volta che lo vide comprese che avrebbe dato la vita pur di restare con lui e renderlo felice.
Quando Raaka rimase incinta del marito Vikesh, capì che non avrebbe potuto trasformarsi in un lupo con in grembo un figlio, né in quanto madre fino a che questo non fosse cresciuto. Ma la minaccia di un nuovo attacco, in fondo, era sempre in agguato.
Unendo le anime e i corpi del marito e del lupo più robusto del suo branco, donò a Vikesh il suo dono, perché proteggesse il villaggio dalle minacce esterne. Lo chiamarono Wahya, ovvero “lupo”, nella sua lingua madre. Lui e i numerosi figli vegliarono sul villaggio fino a che questi non furono abbastanza grandi da avere una propria famiglia e propri figli, sparsi per nuovi villaggi. Raaka e Wahya si ritirarono nella foresta per poter invecchiare insieme, abbandonando la propria forma da lupo per sempre.
 Il gene si trasmise di padre in figlio e ancora oggi la stirpe di Raaka e Wahya continua a perpetuare per difendere la razza umana dalla stirpe di Euna. »
Ci fu qualche istante di silenzio poi le labbra di Carlisle si mossero in un sussurro:«Straordinario..»
I suoi occhi cercarono quelli di Edward che annuì con vivo interesse. Io accanto a lui reggevo Renesmee che fissava attenta Makeda come studiandola. Mi sentii di nuovo a quella lontana sera, attorno al falò a La Push. La voce della strega era stata magica e senza tempo come quella di Billy.
 
 
 
Flashforward
 
“Sua figlia è un ibrido” ripensai tra me e me. Ripensai al visino di quella bambina, ai suoi occhi color cioccolato. In braccio al mutaforma di nome Jacob, la beffa della mia vita. Res..Renes..
Renesmee, mi corresse lui.
Ma da dove salta fuori questo nome?
Pare sia una combinazione tra i nomi delle nonne, Renée ed Esme..
Eccetto che sua nonna si chiama Elizabeth.
Ah Izzy.. lo sentii brontolare.
Non risposi ma mi concentrai sulle ultime cose che dovevo portare con me. Chissà dove..
 
Stai preparando la valigia?
Positivo. Dove diavolo era finito il mio vestito blu?
Fai in fretta; la casa è vuota senza di te.
Vuoi dire il frigorifero, pensai con un ghigno.
A quello ci pensa Ashley. Ha comprato the e birre come se piovesse..
Ridacchiai tra me e me mentre controllavo cos’altro mettere. Me la immaginavo spiaggiata, ogni giorno di sole, sul mio sdraio per avere un po’ di privacy e tranquillità lontana dal branco.
Non essere gelosa, mi prese in giro.
Mi manca anche Ash, pensai mentre facevo la linguaccia allo specchio.
Era vero. Era decisamente una fortuna che avesse avuto – e che avessimo - un’amica così da tanto tempo.
Anche tu manchi a lei.
Sorrisi pensando alla California, al surf e a..
Non vedo l’ora che tu torni Izz.
L’affetto che grondava da quelle parole m’invase il cervello e desiderai già essere là, insieme a lui.
 

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Capitolo 11
*** Origini - Parte 2 ***


Ciao a tutti, 
grazie ancora di cuore per le recensioni, spero che continuerete a pormi dubbi, questioni, commenti positivi e negativi da cui possa prendere spunto per migliorarmi.
Abbiamo ancora un po' di notizie sulle origini; so che possono sembrare noiose ma mi sono necessarie per lo sviluppo seguente della storia. Ho inserito un flashforward fuori programma che possa cercare di bilanciare con le parti più statiche, e, spero, incuriosirvi un po' su cosa succederà alla famiglia Cullen durante la loro permanenza a San Francisco.
Buona lettura,
Jess
 

Cap.11
Origini – Parte 2
 
Ci fu qualche istante di silenzio poi le labbra di Carlisle si mossero in un sussurro:«Straordinario..»
I suoi occhi cercarono quelli di Edward che annuì con vivo interesse. Io accanto a lui reggevo Renesmee che fissava attenta Makeda come studiandola. Mi sentii di nuovo a quella lontana sera, attorno al falò a La Push. La voce della strega era stata magica e senza tempo come quella di Billy.
«Si smetterà mai di imparare? » domandò Esme, a voce più alta, ma con uno sguardo esitante «Quei poveri figli.. Euna sarà stata distrutta..»
«In fondo non poteva sapere quali sarebbero state le conseguenze..» mormorai accarezzando la testa di mia figlia. Pensai a lei, nelle condizioni di uno dei figli di Euna: se avessero fatto male a Renesmee, probabilmente avrei stanato il suo aggressore e l’avrei ucciso con le mie mani. Edward non mi avrebbe fermata, di certo.
«Non è la storia che conosciamo noi.» intervenne Leah, ignorando la conversazione tra i vampiri e scrutando Jacob di sottecchi con aria nervosa.
«I nostri padri ci hanno raccontato la storia degli Spiriti Guerrieri e di Taha Aki..» precisò Seth con aria curiosa.
La donna aveva spostato gli occhi su di loro senza parlare. Le iridi marroni parevano sondare la loro anima per l’intensità del suo sguardo.
«Voi siete Quileute.» sentenziò con calma. Non era una domanda.
«Sì, lo siamo. » confermò Jacob aggrottando la fronte.
Makeda lo guardò di nuovo fissando i suoi occhi a quelli del licantropo come per esaminarlo a fondo:«Come ti chiami ragazzo.»
«Jacob Black»
«Sei il nipote di Ephriam Enapay Black.»
Neanche quella era una domanda.
«Enap..?»
«Nella lingua Sioux vuol dire “senza paura”. Spesso i protettori erano conosciuti nelle leggende con un nome guerriero. »
Leah storse la bocca contrariata scoccando un’occhiata a Seth che sembrava già fantasticare su quale sarebbe potuto diventare il suo. La sorella scosse la testa dandogli una spintarella.
«Conosceva  il mio bisnonno?» domandò Jacob stranito.
Voltai la testa verso di loro per seguire il discorso: si stava facendo parecchio interessante. Io stessa poi, avevo assistito ad uno dei racconti di Billy, e lo avevo trovato piuttosto convincente.
Makeda socchiuse gli occhi e scosse la testa:«Se sei il nipote di Black, allora questi vampiri Occhi Gialli sono i Cullen, con i quali strinse il patto di non aggressione.»
«È esatto. »  precisò Carlisle annuendo gentilmente il capo.
La donna fece un cenno di assenso al vampiro biondo e poi tornò a scrutare Leah e Seth:«I primi abitanti dell’Alaska furono tribù provenienti dall’America, le progenitrici di civiltà precolombiane e amerinde, come la vostra dei Quileute. Ci sono leggende makah che raccontano la storia del Golfo Maledetto dei  Quileute, e di come i due popoli, i Makah e gli Hoh, avessero stretto un patto di pace con loro, per paura della loro magia.»
Vidi, con la coda dell’occhio, Ashley avere un fremito, come se qualcosa appena detto da Makeda le avesse provocato un fastidio che cerva di scrollarsi di dosso.
Non la capii, e la strega non badò affatto a lei:« Sewathi era l’apprendista stregone di mio padre e discendeva della tribù dei Makah, conosceva quelle storie. Ci raccontò che aveva conosciuto una coppia di sposi di origini quileute, Taigi e suo marito Wayra, che gli avevano raccontarono la loro versione di ciò che accadde quel giorno. Gli raccontarono la leggenda degli Spiriti Guerrieri.  Kaheleha, il quarto spirito guerriero, era figlio di Achak, lontano nipote di Raaka e Wahya. »
«Il quarto?»  domandò Seth incuriosito «Allora fu il quarto!»
Jacob guardò prima il ragazzino poi Makeda spiegandole la sua affermazione:«Dalle nostre storie sappiamo solo che Kaheleha non fu il primo spirito guerriero.»
«Ogni persona può manifestare doni differenti. Anche le generazioni di protettori non si presentarono sempre sotto forma di spirito o lupo, né furono tutti mutaforma. » spiegò la donna con la stessa serietà e solennità di sempre.
« A quanto pare abbiamo una nuova storia da raccontare insieme alle altre..» commentò Seth spalancando la bocca in un gran sorriso. Per la prima volta vedemmo Makeda che, incontrando il suo sguardo, gli sorrise di rimando annuendo appena. Allora era capace di sorridere..
«Eppure la mutazione di Taha Aki in un lupo fu una scoperta per lui..» insistette Leah con aria imbronciata.
«Tu hai creduto alle leggende della tua tribù quando te le hanno raccontata, prima di diventare una figlia di Raaka?» domandò paziente l’imponente strega.
Leah abbassò lo sguardo dando una risposta eloquente.
«Raaka e la sua famiglia vissero secoli e secoli fa. I suoi figli e i suoi discendenti si sparpagliarono per la Terra. Dall’Alaska ritornarono nelle Americhe,si spostarono sino a raggiungere l’Africa, alcuni in Europa, in Asia e in Oceania, mischiandosi con popolazioni native, generando figli, nipoti e pronipoti con persone dal colore della pelle diversa dalla loro.» fece un breve cenno con la mano verso il punto in cui Jocelyn e Kala stavano apparecchiando, neve e terra « Le leggende si persero e si ritrovarono nel corso degli anni. E ciò che era stato venne considerato sempre più spesso come un mito o una superstizione. È possibile che Taha Aki quindi non sapesse nulla sulla propria antenata lupa, né che gli spiriti guerrieri fossero altre forme della stessa magia.»
«In quali altre forme si sono presentati i discendenti di Raaka?» domandò Seth curioso.
Makeda alzò appena le spalle:«Non so dirlo di preciso. Oltre a quelle degli Spiriti e dei Lupi, conosco le storie di protettori da forme animali come l’aquila e l’orso. A volte i Protettori avevano forme semi-antropiche, come Kenya, la “Dea alata”. Altri mantenevano semplicemente la loro forma umana. »
Di fronte a quella espressione non riuscii a trattenermi dallo sgranare gli occhi:«Combattevano i vampiri da umani?» .
Ricordavo ancora piuttosto bene la mia esperienza con James, e di quanto fosse stato inutile scappare o difendersi. Mi sembrò di rabbrividire.
Makeda fece cenno di sì con la testa:«I Cacciatori. Sono discendenti di Raaka, la magia scorre in loro e gli dona una forza sovraumana. Ma occorreva anche a loro una guida, o un addestramento, come voi stessi avete avuto. Spesso però, come ho detto, il sapere tramandato di padre in figlio smarriva la strada, e le generazioni dimenticavano il proprio compito, o lo credevano superstizione. Oggi è molto difficile che il gene si risvegli insieme alla consapevolezza. »
«E come uccidevano i vampiri? A mani nude?» domandò con aria scettica Emmett.
Effettivamente era difficile immaginarsi un essere umano che smembra un vampiro. Anche con una forza sovraumana non avrebbe avuto timore di essere morsa? Immaginai che la sua pelle non sarebbe stata a prova di bomba..
La donna storse la bocca:«Anche, vampiro. Avevano delle armi di famiglia, tramandate di generazione in generazione, forgiate da streghe e stregoni, capaci di colpire vampiri o decapitarli.» di fronte alla sua espressione mutata in spiacevole sorpresa Makeda sorrise «Come ho detto, sono dotati di una forza straordinaria e di una straordinaria resistenza.»
«Super soldati..» mormorò Jasper con occhi vitrei.
«I più forti erano dotati di capacità di localizzazione per trovare i vampiri che riuscivano a fuggire.»
«E i Volturi?»
La vocina di Reneesme, che aveva seguito con vivo interesse ogni parola detta da Makeda, emerse dal vocio basso e confuso, facendomi quasi sobbalzare.
La donna osservò la mezza vampira per qualche istante prima di rispondere. La sua espressione si era fatta un poco più  diffidente. Edward allungò automaticamente una mano per posarla su quella di nostra figlia figlia. Sembrò inquieto mentre lanciava un’occhiata cupa verso Makeda.
Mi irrigidii.
«Un bevitore di sangue che legge nei pensieri.» annunciò la donna posando gli occhi sulla sua mano bianca.
Vidi Ashley lanciare un’occhiata eloquente verso Edward Senior che sembrò scrollare impercettibilmente le spalle.
«Non eravamo consci dei rischi quando Renesmee è stata concepita.» mormorò a denti stretti il ragazzo. Automaticamente serrai le braccia attorno al busto di mia figlia. Jacob fece scattare il collo verso i tre con aria ansiosa.
«Che succede Bella?»
«Pace, vampiro. »  disse Makeda rivolta ad Edward « Questa bambina è metà umana, ed una vita umana per me ha un grande valore. Senza contare che sia oggetto di un.. Particolare affetto da parte di un licantropo. »
Con un sorriso pacato lo fissò persa nei ricordi. Dovevano essere particolarmente convincenti, perché vidi la mano di Edward rilassarsi di mano in mano, e scivolare via molto lentamente. Jacob invece si era fatto improvvisamente più vicino e nervoso. 
Spostando lo sguardo verso mia figlia la sua espressione si addolcì ancora di più:«Non ce l’ho con te bambina. I Volturi furono probabilmente creati da Idris, il figlio maggiore di Euna. Secondo alcune leggende vichinghe, i tre vampiri nuotarono in acque gelide -  forse fermandosi nelle isole canadesi - fino all’odierna Norvegia.  Ci sono possibilità che si fermarono in Islanda precedentemente. Restarono isolati per diversi anni, avvicinandosi a zone abitate solo per cacciare. Ma a metà del XI secolo a.C. quelle zone inospitali erano abitate da quasi nessun clan. Idris,sin dalla vita terrena di animo più irrequieto e curioso, abbandonò presumibilmente i fratelli e il padre per visitare territori più caldi e ricchi. Finì in Grecia – alcune storie mitiche nominano qualche essere sovrannaturale molto simile - e, da quello che sappiamo, fu lì che realizzò di poter creare esseri come lui. Lì nacquero i primissimi vampiri creati nel modo in cui avete sempre conosciuto, e quegli stessi crearono i primi Volturi. »
«Che fine hanno fatto questi.. Vampiri originari allora?» domandò Emmett con aria nervosa.
«Nessuno ne seppe più nulla. Ma di sicuro Idris fece in modo che i Volturi non sapessero mai del tutto la sua identità. Sono chiusi in palazzi come principi perché sanno di avere un’eredità molto antica, ma sanno anche che non devono provocare le streghe. Per tutelarsi,  strinsero un antico patto segreto con lo stregone Optimus, quando si stabilirono a Volterra: avrebbero monitorato stragi ed eccessi, avrebbero aiutato a proteggere la città, a patto di potervisi collocare stabilmente, vivendo nel segreto.  La concessione era quella di poter bere sangue umano per tenersi in forze. Optimus non avrebbe dovuto concederlo, ma tuttavia questo permise di vivere una vita più tranquilla per Volterra. »
«Wow..» non riuscii a non dire dopo quel racconto. Creature come i Volturi, temute e rispettata da tutti i vampiri – che solo noi avevamo osato sfidare – in realtà non avevano fatto altro che stilare un patto con uno stregone centinaia di anni prima. Il loro potere dunque nasceva soprattutto da quella tregua, e si doveva essere ingrandito quando questo Optimus era morto. Immaginai che essendo mortale, avrebbe dovuto morire prima o poi.
«Questo spiegherebbe molte cose..» ammise Carlisle pensoso, ma allo stesso tempo elettrizzato dalle novità.
«Quel branco di sanguisughe ha semplicemente il culo parato..» borbottò Jacob, a cui diedi una gomitata nelle costole. Renesmee gli sorrise divertita. Ah, avrebbe imparato un bel paio di termini scurrili che ad Edward non sarebbero piaciuti per niente, a forza di stare con Jake.
Makeda si alzò lentamente, ponendo fine a quel comizio:«Alcuni di noi staranno morendo di fame..» disse pochi secondi prima che lo stomaco di Seth e Jacob brontolassero all’unisono «La cena è pronta. Servitevi pure.»
Mi voltai appena notando solo allora, rapita dal racconto di Makeda, che i licantropi avessero allestito una lunga tavolata da buffet con vari piatti di verdure grigliate, patatine fritte, panini e una quantità infinita di birra. Tra un contorno e l’altro svettavano enormi pirofile strabordanti di carne fumante, appena uscita dalla griglia. Be’ dal modo in cui i tre Quileute la guardarono, doveva avere un profumo buonissimo.
Mi sentii un po’ a disagio all’idea di gironzolare tra un branco nuovo e sconosciuto, senza mangiare nulla. Rosalie prese in braccio Renesmee – la sua abitudine al non toccare cibi solidi non aveva mai smesso – e si allontanò passeggiando mentre canticchiava qualcosa, insieme ad Emmett che osservava gli altri a distanza. Mentre Jake, Leah e Seth, timidamente si avvicinavano, seguendo Ashley, mi trovai, per la prima volta, ad osservare schierato il nuovo branco.
 Quando avevo visto i giovani Quileute dopo la trasformazione avevo notato subito che tutti quei ragazzi erano parte di uno stesso gruppo. Era semplice identificarli: mediamente alti, capelli mori e cortissimi, pelle rossiccia e muscoli sull’orlo di esplodere. Nel branco di Ashley invece nessuno somigliava all’altro. Sia Jaxen che Trenton erano piuttosto alti e muscolosi, avevano gli occhi chiari, la pelle abbronzata ma il risultato era molto diverso. Se il primo era nerboruto ed aveva una carnagione tipica del Sud America,  il secondo si presentava come il tipico cliché californiano delle serie tv, dagli occhi di un profondo blu, i capelli più folti, scompigliati e massicciamente schiariti dal sole. Si distingueva bene  - oltre a quello da licantropo che ci faceva inorridire  - il suo odore di salsedine sulla pelle, di un delicato marroncino arrossato, da quello più esotico di Jaxen . Tra i loro corpi saldi risaltava ancora di più il fisico sottile ed allungato di Jocelyn, quanto la pelle perlacea ed i tratti nordici che si riflettevano nei lunghissimi capelli biondicci e i piccoli occhi verde pallido. La più bassa e minuta, ad eccezione fatta per i gemelli ,era una morettina dalla pelle olivastra ed i capelli nerissimi che le s’incurvavano appena rasentandole le spalle. Se non avevo fatto male i conti quella doveva essere la settima mutaforma che mancava all’appello, Kala, la stessa che avevo visto sfrecciare dietro la porta d’ingresso in direzione della griglia, dove i gemelli stavano combinando qualche disastro. Aveva un sorriso molto dolce ed ospitale che rendeva gentili i suoi occhi neri. Poggiava entrambe le mani sulle spalle di due ragazzini identici, che stavano ai suoi lati sinistro e destro, osservandoci con un sorriso furbo. Se Kala portava i classici tratti indiani, i suoi fratellini adottivi sembravano l’opposto: erano bassetti e piuttosto secchi per essere dei mutaforma, ma non abbastanza per essere considerati dei dodicenni. I loro capelli arruffati erano di un arancione elettrico, dello stesso colore delle lentiggini cosparse sul viso bianco. Con quel ghigno infantile che si rifletteva nei loro occhietti catramici mi sembrò di guardare due folletti dispettosi.
Quella strana gang mescolata ci osservava, ognuno con uno sguardo diverso.
 
Flashforward
 
«Non chiamerete altri vampiri qui. Non vi servirà. Avete a che fare con forze sconosciute.» si pronunciò minacciosa Makeda, come sempre, enigmatica.
Carlisle non l’ascoltava ma guardava Alice con aria seria e comprensiva:«Pensi che verrà con le sue figlie o con.. ? »
Alice scosse la testa con gli occhi ancora persi nel vuoto:«Non siamo abbastanza numerosi per fronteggiarli da soli. Sta radunando dei vampiri e..Anche..»
S’interruppe inarcando le sopracciglia, ancora tesa, come se si stesse concentrando ad afferrare qualcosa che le scivolava via dalla mente.
«Che cos’era quell’immagine Alice?» domandò Edward, tombale «Mi sembra di vedere come.. Uomini con..»
«Sembrano.. Dannazione ora l’immagine è sparita!» sbraitò Alice spalancando gli occhi «O la decisione non è ancora stata presa, o c’entra il nostro coinvolgimento con i mutaforma..»
«Non sembravano vampiri..» mormorò Edward tra sé e sé, preccupato.
E poi la voce di Nahuel emerse grave.
«Licantropi. Sta cercando di arruolare dei Licantropi.»
«Figli della Luna..» bisbigliai con il terrore negli occhi.
Dall'altra parte del gruppetto, Ashley emise un suono simile ad un ringhio, e, per la prima volta, vidi le sue braccia tremare di rabbia.

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Capitolo 12
*** Origliare ***


Cap.12
Origliare

 
 
 
Interagire con un nuovo branco fu più facile di quanto ci aspettassimo.
Nonostante i primi momenti di imbarazzo – durante i quali avevamo fatto sbrigative presentazioni ed il gruppo dei nuovi mutaforma restava compatto a squadrarci – l’entusiasmo di Edward Masen, la tranquillità del ragazzo di nome Trenton, nonché le battute dell’enorme Jaxen contribuirono a rompere il ghiaccio.
Quell’unione mal assortita di vampiri e mutaforma di etnie diverse sembrava bilanciarsi nel modo migliore, come una di quelle grandi famiglie da sitcom americana. Zachary e Justin, erano il ciclone che sconvolgeva ciò che trovava sul proprio passaggio, e di tanto in tanto si trascinavano dietro Jaxen, come un bambino troppo cresciuto. Malgrado l’aria da ragazzo di strada, si dimostrò un bontempone sempre pronto a raccontare aneddoti o a scherzare. Anche Jocelyn, con il viso duro e i suoi lineamenti nordici da amazzone di porcellana – qualche volta mi ricordava Rosalie – era in realtà molto materna e gentile, soprattutto con Renesmee, della quale sembrò innamorarsi immediatamente. Erano bastati un sorriso pieno di fossette e qualche domanda sulla sua trasformazione da lupa che Josie non l’aveva mollata un secondo, tenendola per mano a seguire le scie di lucciole che apparivano e scomparivano ai bordi della foresta: contrariamente a quanto accadeva quando era con Rosalie o chiunque di noi, gli animali non tendevano a dileguarsi in un baleno mentre la mutaforma si avvicinava e le insegnava come acchiapparle. All’inizio non ero serena all’idea di lasciarla mano nella mano di una sconosciuta; tuttavia, quando i due diabolici gemelli si erano messi a far caciara per confondere le lucciole e l’avevo sentita ridere di gusto, mi tranquillizzai.
I più pacati ed immediatamente cordiali, sia tra di loro che con noi, erano Trenton e Kala, che avevano cercato di coinvolgerci facendo qualche timida e rispettosa domanda. Non c’era motivo di non andare d’accordo con quei due, che sembravano sortire lo stesso effetto di tranquillità su Jaxen e Josie. Infatti, se separati erano giocosi ed allegri, insieme parevano irritarsi all’ennesima potenza. C’era sempre qualcosa che usciva dalla bocca di Jaxen che infastidiva Jocelyn e viceversa. Eppure non li vedevo mai ad un raggio di distanza superiore di un metro l’uno dall’altra. Mi ricordavano un po’ una vecchia coppia di coniugi che battibecca furiosamente ma non riesce a fare a meno l’uno dell’altro. O forse, nel loro caso, come due fratelli che esprimono il loro affetto latente a suon di dispetti e pizzicotti. In qualche modo sembrava che, nonostante tutto, quella bizzarra famiglia riuscisse a stare molto bene insieme.
Per quanto riguarda noi Cullen, era semplice superare l’ostilità di Rosalie attraverso l’umanità di Carlisle ed Esme. Sospettai che anche Jasper avesse fatto del suo meglio, malgrado Makeda non avesse lanciato nessuno sguardo omicida nella sua direzione. Sembrò, anzi, ammorbidirsi molto mentre chiacchierava senza sosta con Seth e i suoi. Di sicuro il fatto che  ci fossero ben tre mutaforma insieme a noi aveva giocato a nostro favore; l’appetito di Seth e Jacob si accordava benissimo con la fame  vorace di tutti gli altri, che ben presto presero a chiacchierare con loro.
Quella più a disagio, come al solito, era Leah.
Mi fu difficile capire il perché, mettendo da parte il fatto che un branco di mutaforma ancora una volta stesse sancendo una tregua con noi succhiasangue. Jacob mi aveva detto che era sempre stata convinta di essere l’unica donna-lupo, e trattava se stessa come una specie di errore genetico. Pensai che, aver scoperto le proprie radici ed aver trovato il primo gruppo misto, capitanato per giunta da una donna, potesse essere un’ottima notizia. Eppure restava sempre un po’ ai lati, in disparte, seguendo in parte suo fratello, in parte la linea degli alberi. Quando Kala e Jocelyn – che erano rientrate in casa per un po’ ad impiattare le torte insieme a Makeda – uscirono fuori e si unirono a Jaxen e Trenton, scherzando e ridendo, la vidi guardarli a lungo, con un misto di amarezza ed apatia negli occhi che non riuscii ad interpretare. Chiese il permesso di utilizzare il bagno poco dopo e, per quello che notai, concentrata com’ero sui nuovi membri e su Edward e mia figlia, non la vidi rientrare.
A dispetto di questo e delle parole catastrofiche di Makeda, comunque, la serata tutto sommato andò liscia, e le formalità si sciolsero in fretta, tanto che mi misi a giocare con Renesmee ed i gemelli.
Mi divertii molto – Zac e Justin in fondo erano molto più innocui di quello che pensassi – ma riuscii  naturalmente ad imbrattarmi il vestito che mi aveva prestato Alice. A giudicare dalla sua espressione truce, non mi avrebbe mai perdonata se non fossi riuscita a mandare via la macchia.
Chiesi il permesso di utilizzare un lavandino e un po’ di sapone o di sgrassatore e Makeda m’indirizzò verso una casupola di legno sul retro, che doveva essere una specie di attrezzaia. Lì forse avrei trovato qualcosa, mi disse. Di entrare in casa, per noi vampiri naturalmente, non se ne parlava..
Annuii e mi diressi là dentro passando attraverso le fila di alberi laterali fino a raggiungere la parte della foresta che si affacciava sul retro ed inghiottiva parte di quella specie di capanno di legno.
Una volta accesa una debolissima luce quasi inesistente, mi accorsi che si trattava di una dependance in miniatura. C’era un vecchio materasso appoggiato in verticale al muro e quella che pareva un cucinotto che dava sullo spiazzo di giardino che confinava con la foresta, sul quale si affacciava il retro della cucina che stava in casa, da quel che si poteva intuire.
Presi un po’ d’acqua e mi misi al lavoro trovando una vecchia saponetta. Riuscii a smacchiarlo alla bella e meglio, per poi avviarmi per tornare indietro. I miei occhi notarono la pila di piatti di plastica ammassati sul piano – gli stessi che avevano usato poco prima – e una serie di ciotole e posate accantonate da lavare. Sospirai: erano anni che non pulivo così tanta roba. Forse se avessi dato una mano avrei dimostrato di non essere così pericolosa..
«Tu sei Leah, giusto?»
Mi accostai alla finestra nel momento in cui le mie orecchie avevano avvertito pronunciare quelle parole. Era la voce di Ashley.
Notai solo allora, sbirciando da dietro la tendina mezza raccolta al margine, che c’era Leah, seduta sui gradini del piccolo porticato che dava sulla foresta. Mi aveva vista?
Parve di no.
Vidi la licantropa che ci odiava voltarsi a verso la Capo-branco, che era giunta dal lato del giardino. La sua espressione s’indurì annuendo.
Noncurante di questo, quella donna alta si avvicinò a passi lenti e si sedette sullo scalino di fianco a lei.
«Ho notato che sei qui tutta sola, mi domandavo se ci fosse qualcosa che non andava.»
Leah scosse la testa guardando dritto davanti a sé con aria spenta. Ma accennò un sorriso.
Questo mi stupì molto.
«I vampiri non ti piacciono.» sentenziò  Ashley con aria divertita.
«Be’ è nella mia natura..» rispose Leah inarcando un sopracciglio. Eppure non c’era traccia di aggressività nelle sue parole.
 Un bel cambiamento.
«È vero. Ma non sono tutti uguali. I Cullen sembrano a posto, o non saresti qui.» disse con serenità.
Leah fece una smorfia con la bocca:«Non sono qui per loro ma per il mio branco. E poi..»
«E poi puzzano»
«Puoi dirlo forte»
Le due si osservarono per un attimo in quel lampo di intesa e poi sorrisero. Ashley scosse appena la testa:«Non sono mai stata tanto a lungo con tanti vampiri tutti insieme. Solo con Edward, e alla sua puzza sono abituata. – alzò gli occhi al cielo – ora capisco cosa prova lui quando entra in casa mia, perlomeno.»
«Immagino vi conosciate da parecchio, per affermare una cosa del genere..» ribatté Leah con una vena di sarcasmo. Storse il naso e immaginai stesse pensando al ricordo della prima volta che aveva mai annusato odore di vampiro. La imitai: nemmeno loro profumavano esattamente come un cesto di rose.
«Dal 1927, anno più anno meno.»
Leah trasalì per un istante ed io non potei fare a meno di sgranare gli occhi.
 1927.
Questo significava che era rimasta in quella forma per molto più di ottant’anni?
«È un sacco di tempo per un essere umano.» mormorò Leah con sguardo assente.
«Sì, per un essere umano lo è.»
«Già, credo sia improprio considerarsi esseri umani..» disse la quileute, mentre un velo di tristezza le scendeva sugli occhi.
Non conoscevo molto Leah, e quel lato più intimo di sé mi incuriosiva. Jacob sembrava a suo agio con lei, mi aveva detto che era stata un’ottima compagna, malgrado gli sbalzi d’umore, ma non mi capacitavo di cosa ci trovasse di simpatico. Realizzai che noi eravamo vampiri, e la sua guardia, quando eravamo presenti, era sempre alta..
«Non lo è affatto. – disse con gentilezza Ashley prima di sospirare – È che.. Non mi sento più molto umana. Immagino che quando si vive tanto a lungo qualche pezzo di umanità vada perduto.»
Gli occhi cristallini di Ashley parvero fissare intensamente un gruppo di stelle luminose. Il suo sguardo sembrò riempirsi di amarezza, come portassero un grosso peso nascosto.
«E perché non hai smesso di trasformarti in un lupo?» domandò Leah accigliandosi.
Ashley non rispose, ma, aggrottando la fronte in uno sforzo di concentrazione, continuò a fissare le stesse stelle così profondamente da poterle bruciare.
Era sofferenza, la riconobbi bene.
«È complicato. » sputò fuori telegrafica.
Mi aspettai di vedere il tremolio familiare che avevo sempre notato in Jacob quando la conversazione prendeva una brutta piega, e, nel modo in cui Leah la studiava, immaginai che si aspettasse la stessa cosa. Invece si manteneva ferma, senza tremare, perfettamente padrona di se stessa. Ciò che provava le stava scuotendo le viscere, era evidente. Eppure c’era immensa pace nel suo modo di sedere ed osservare le stelle.
«Mi dispiace » rispose semplicemente Leah seguendo il suo sguardo al cielo.
Restarono in silenzio per qualche minuto fissando la notte.
«La mia trasformazione è avvenuta a 19 anni e da allora tutti questo è parte della mia vita. Ho smesso di trasformarmi per un po’, naturalmente. Vivevo una vita.. » fece una pausa sorridendo malinconica « Normale. Poi ho ripreso ». Ashley alzò le spalle fingendo un’espressione indifferente:«Ho 36 anni da allora.»
Vidi di sbieco Leah annuire con un cenno lento del capo. Sembrava non voler incrociare i suoi occhi, eppure mi parve molto più rilassata del solito.
«Ho visto che ti sei allontanata poco dopo che Kala e Joselyn si sono riunite al gruppo..» fece cambiando argomento. Le lanciò un’occhiata allusiva, che Leah non ricambiò.
«Hai visto male..» sospirò giocando con le dita delle proprie mani.
La donna non smise di a guardarla per qualche minuto con un’espressione neutrale. Il cervello di Leah sembrava pensare a qualcosa di importante.
«Tu hai l’aria di qualcuno che non ha pace.» deliberò alla fine, come avesse detto la cosa più banale del mondo.
Leah non disse una parola, ma il suoi occhi si erano di colpo intristiti.
Era chiaro che Ashley avesse ragione, ognuno di noi sapeva quanto soffrisse per Sam. Essere stata l’unica donna lupo del branco l’aveva spiazzata e la faceva sentire sola. Anche se Leah non mi stava particolarmente simpatica, era difficile non provare empatia per la sua condizione.
«Non sembri molto felice di essere un lupo. E hai la faccia di una col cuore a pezzi. »
Con due frasi Ashley aveva centrato l’obiettivo, e lo aveva detto con una semplicità e sicurezza fuori dal comune. Doveva essere un’ottima lettrice, come Edward. O forse, anche lei aveva provato le stesse sensazioni sulla pelle.
Leah le scoccò un’occhiata indecisa, come se fosse stata colta di sorpresa. Non ci era affatto abituata, ne fui sicura.
«Ti sbagli..» mormorò senza convinzione. Fece quasi per alzarsi, ma vidi che era esitante.
In fondo Ashley era la prima donna lupo che incontrava. Aveva risposte che non aveva saputo darsi negli ultimi 5 anni.
Dal canto suo, la lupa alfa non aveva dato segno di volerla fermare, né sembrava convinta che Leah se ne sarebbe andata sul serio. Non potei negare che Ashley fosse di una sicurezza disarmante. Anche la sua risposta fu pacata.
«Non è semplice essere una ragazza-lupo. Lo so bene. »
Leah aprì la bocca come per ribattere ma la vidi rimanere con la mandibola semi aperta, per poi richiuderla e tornare a fissare i propri piedi.
«Nessuno di quelli della mia tribù che si è trasformato è una donna. » disse alla fine con aria malinconica «Ne sono rimasti tutti così sorpresi che a mio padre è venuto un attacco di cuore e..»
 Non terminò la frase, ma fece un sorriso amaro che somigliò ad una smorfia di dolore più che allusiva. Sentii un brivido mentre mi accorgevo di sgranare gli occhi, e deboli ricordi mi affiorarono alla mente: l’acqua gelida che mi travolgeva, Victoria, la voce di Jacob e l’espressione di Billy di ritorno dall’ospedale. Harry Clearwater non ce l’aveva fatta. Come doveva essere sentirsi responsabili per la morte del proprio padre? Era così sbagliato, allora, l’odio che Leah provava per i vampiri, quelli che avevano innescato la sua trasformazione? Cominciavo a collegare i pezzi e mi sentii malissimo.
 «Con la mia trasformazione sono sorti altri problemi.. Fisici.» riprese in fretta Leah «Ma nessuno poteva aiutarmi ovviamente e.. Diciamo che non mi sono integrata molto bene con il mio branco. »
Conoscendo ciò che Jacob mi aveva raccontato all’inizio, e dei brutti pensieri che Leah cercava di disseminare nelle menti del branco, una parte della mia mente spaziosa pensò che il non essersi integrata molto bene era un eufemismo. L’altra ripescava inconsciamente immagini già scolorite del giorno in cui avevo deciso di saltare dagli scogli e provava pena e comprensione per lei. Ora capivo cosa intendeva Edward per “distrazione”. Che cosa bizzarra il cervello di un vampiro.
«Non dev’essere stato semplice, considerando che non conoscevi le tue origini fino in fondo..» sospirò Ashley con aria neutra «Non hai mai pensato di andartene e cercare delle informazioni altrove?»
«Non avevo nessuna pista e comunque non pensavo ce ne fosse bisogno. Ora non faccio parte di nessun vero branco.. Diciamo che sto con Jacob e Seth.» spiegò concisa alzando le spalle.
«Ma loro ti piacciono.» asserì di nuovo la donna.
«Sì» fece Leah con un mezzo sorriso, più intenso e sincero «Sono più felice lontana da casa.»
Ashley rimase a guardarla come se le stesse scavando nella mente, poi, mantenendo sempre un’aria seria e pacata aggiunse:«E, devo dedurre che a casa c’è chi ti ha spezzato il cuore.»
Vidi le braccia di Leah percorse da brividi familiari. La guardò di scatto sulla difensiva irrigidendosi per un po’. Poi sospirò, mentre i tremori diminuivano – lo yoga forse funzionava meglio di quanto pensassi.
«Esatto.» mormorò laconica.
Ashley sospirò:«Non era il tuo imprinting.»
Quella parola sembrò scatenare in Leah una reazione allergica. Storse la bocca in una smorfia prima di riportarla all’ingiù.
«Non ero il suo imprinting.» scrollò le spalle come se volesse scacciare via qualche tremore «E poi non credo di poterne avere uno.»
«Sì invece.» ribatté con semplicità.
«Come lo sai?» sbottò contrariata.
Ashley non rispose subito. Sembrava immobile di fronte a lei; immaginai i suoi occhi di ghiaccio bloccati e fissi su quelli scuri di Leah e non desiderai essere al suo posto: facevano davvero impressione.
«Non hai ascoltato la storia prima? Raaka ebbe un imprinting, il primo della storia.» riprese qualche secondo dopo, con la voce più indurita.
Leah non disse nulla ma sembrava combattuta. Tra la voglia di chiederle qualcos’altro e quella che sospettai fosse.. Speranza. Una piccola, innocente speranza che si stava facendo strada tra i cocci del cuore di Leah. Se avesse avuto l’imprinting con qualcun altro avrebbe dimenticato Sam finalmente.
La donna-alfa alzò improvvisamente gli occhi al cielo scuotendo appena la testa indispettita:«Quindi era un uomo-lupo, quello di cui parli. Odio queste cose..» tornò a guardarla con aria comprensiva «Del stesso branco, desumo.»
«Era il mio Alfa.»
Gli occhi di Ashley si fecero tristi ed annuì con aria dispiaciuta. Eppure c’era sempre qualcosa di trattenuto e di apatico nelle sue reazioni. Non riuscii a spiegarmelo.
«Senza Jacob non saresti potuta andartene.» affermò, azzeccandoci come al solito.
Leah socchiuse gli occhi senza rispondere.
«Ci sono diverse tipologie di branchi sparsi per il mondo, Leah. Se Jacob è comprensivo come sembra, dovresti viaggiare.» disse con un sospiro «Non ce ne sono molti; come dice Makeda, la tradizione va perdendosi, i vampiri sono nomadi e fanno sì che non si attivi spesso il meccanismo che ci fa diventare quello che siamo. Ma qualcuno c’è..»
«Sei stata in altri branchi?» mormorò con un briciolo di curiosità.
«Ho incontrato una o due cacciatrici, e una mutaforma.. Differente. Ma il branco con cui sono rimasta per un po’ è stato quello Australiano, tutto al femminile.»
Gli occhi di Leah furono sorpresi, forse quanto i miei.
«Tutto femminile?»
«Sì. Erano quasi tutte discendenti da matrimoni o relazioni miste tra aborigeni e uomini bianchi. Ce n’era anche una africana, e una indiana. Erano sei.»
«Wow» sussurrò l’altra. Era la prima volta che la vedeva davvero interessata a qualcosa e una parte di me ne fu contenta e sorpresa.
«Prendevano davvero sul serio il loro compito.. A volte era un po’ intransigenti» raccontò con aria pensosa. Non ne sembrò particolarmente entusiasta, però.
«Perché non sei rimasta?»
Ashley storse la bocca scrollando la spalle:«Ho sempre fatto fatica ad adattarmi ai gruppi. Pensai che fossi più un lupo solitario, o qualcosa del genere. La verità era che il mio istinto era di natura.. Troppo competitiva, non poteva sottostare agli ordini in qualche modo.. Makeda mi spiegò, quando la conobbi, che il vero motivo per cui non riuscivo ad integrarmi ai branchi, era perché non era nata per assoggettarmi. A quanto pare avevo il sangue di un’alfa, e non potevo soffocare a lungo la mia natura. Così ho creato un branco mio» alzò le spalle come scrollasse brutti pensieri.
«Non ho ancora ben capito come si è formato questo branco» mormorò Leah «Ho sempre pensato fosse una cosa.. Tribale.. Che riguardasse legami di famiglia o cose del genere.»
Effettivamente me lo ero chiesta anche io.
«A dirti la verità, non ne ho idea.. » sospirò «Ho passato metà della mia vita con Edward, ma sentivo che la mia esistenza era incompleta, mancava qualcosa. Sentivo di non avere più uno scopo nella vita. In fondo sapevo perché ero una mutaforma; dovevo proteggere gli esseri umani dai vampiri, e invece passavo il mio tempo a girare il mondo, e fare la bella vita mondana. Così ho cominciato a viaggiare per conto mio, a stare con persone della mia stessa.. “Specie”. Ma come ti ho detto, non riuscivo ad adattarmi. » fece una pausa con aria abbattuta prima di riprendere, un po’ più serena «Allora, abbattuta, sono arrivata in Texas circa nove anni fa. Edward abitava lì, e aveva conosciuto una strega, Joana Finch. La sua antenata era la donna che gli aveva donato l’anello diurno, e così avevano preso a ronzarsi intorno. Inutile dire che non piacevo molto a Joana..». Fece un mezzo sorriso divertito ma alzò gli occhi al cielo con aria leggermente seccata.
«In fondo tu non sei una protettrice?» domandò Leah aggrottando la fronte.
Rise:«Be’ sì. Ma immagino che non sia rassicurante sapere che l’uomo per cui hai una cotta abbia vissuto quasi sempre con un’altra donna, o almeno, per più di sessant’anni. »
 «Era gelosa » concluse Leah con una smorfia di disgusto sulle labbra.
Ashley scrollò le spalle:«Anche lui non le era indifferente, ma non l’aveva capito, voleva solo aiutarmi. Da quando ero ricomparsa però Edward le dedicava molto meno tempo perché mi vedeva depressa. » sbuffò, ma con dolcezza.
Vidi Leah grugnire, probabilmente disgustata dal flirt tra un vampiro ed un umana, e poi aggiungere:«Non capisco perché tu abbia vissuto così tanti anni con un succhiasangue, il nostro nemico, il motivo per cui siamo quello che siamo..»
«Non è esattamente così» la contraddisse con calma «Forse al giorno d’oggi abbiamo un concetto molto parziale di cosa sia una “strega”, considerandola colei che pratica la magia attraverso formule ed incantesimi.. Be’, in parte sì, una strega è effettivamente in grado di usare la magia che le scorre nelle vene a suo piacimento. Ma prima di essere tali, sia Raaka che Euna  - che noi stesse -  erano entrambi esseri magici, la magia è nata con loro. Nel momento in cui hanno imparato a scoprirla, sentirla e poi ad utilizzarla, hanno potuto esprimerla diventato streghe. Senza questo passo però sarebbero state solo due esseri umani, esattamente come me o come te prima che la magia che scorre dentro di noi si attivasse.»
«Mi stai dicendo che se volessi potrei essere una strega?» domandò Leah facendo una smorfia dubbiosa con le labbra.
Ashley alzò le spalle:«Forse. Tecnicamente, da quello che racconta Makeda, la magia di Raaka consisteva proprio nella capacità di assumere le sembianze di una lupa più grossa, forte, velocissima, e non invecchiava mai. Nessuno ha mai parlato di incantesimi, anche se qualcuno lo fece.»
«Come la maledizione contro il cacciatore e l’incantesimo su suo marito.» concluse Leah seguendo il ragionamento.
La storia di Makeda e poi ancora quella di Ashley mi affascinavano tanto che non riuscii a smettere di seguire quella conversazione, malgrado stessi origliando. Sperai solo che nessuno mi scorprisse, sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
La donna annuì confermando le sue teorie:«Il suo dono si è trasmesso di padre in figlio, ma come ogni strega è differente, anche i suoi figli si manifestarono in modi diversi. Col passare degli anni e delle generazioni, dei cambiamenti genetici e degli incroci, forse è diventato sempre di più un fenomeno latente, inconscio, che emerge prepotentemente come autodifesa – i vampiri sono stati la minaccia più pericolosa per Raaka, perché siamo noi ad essere i loro nemici primariamente. Se ci pensi, anche se i vampiri non potrebbero praticare magia, si presentano spesso con dei doni.. Un residuo della magia di Euna forse, passato geneticamente attraverso il morso.»
Leah la scrutò a lungo come se stesse collegando tutte le informazioni ricevute.
«Ha senso.» si limitò a dire poco dopo «Ma ancora non capisco perché tu e il vampiro siate amici.»
Quella era sicuramente una storia che mi sarebbe piaciuto conoscere. Sperai che attraverso Leah sarei stata in grado finalmente di conoscerla.
Ashley sembrò pensarci per qualche minuto poi fece un sorriso mesto:«All’inizio lo odiavo. Vivevo da sola allora, in isolamento direi. Avevo incontrato un paio di streghe a Salem un paio di anni prima, e mi avevano convinta a collaborare con loro. Me lo avevano mandato per un test, e con la scusa di consegnare un amuleto alla loro Congrega avremmo passato due settimane insieme, passando attraverso zone verdi dell’Ontario.» storse la bocca in una smorfia «La prima volta che l’ho visto entrare, se non fosse stato per il suo dono, gli avrei staccato la testa all’istante. Non avevo mai passato tanto tempo con un vampiro - la puzza era insopportabile – né ci avevo mai parlato; in quegli anni li sorprendevo mentre si nutrivano o quando stavano per farlo. Li uccidevo e basta, non mi ero mai chiesta come fossero. Sapevo che erano contro natura, che mi trasformavo per combatterli; avevo dei.. Problemi di istintività a quei tempi..» fece una breve pausa socchiudendo gli occhi per un istante.
Mi immaginai un vampiro preso dalla smania della caccia e potei capire quanto sembrasse animalesco indirizzarla contro un essere umano; ma pensare ad Ashley e i suoi occhi minacciosi per un certo verso mi terrorizzava ancora di più. Quella donna aveva qualcosa di terrificante, sia che si trattasse del suo essere stata ferma ai suoi trentasei anni tanto a lungo, sia per la sua tranquillità surreale.
«Edward sembrava così.. Disperato, spaventato.» riprese dopo qualche istante, con un tono di voce più morbido «Non era di certo il solito vampiro con cui avevo a che fare. Soffriva, aveva sete e la cosa mi dava il voltastomaco, ma mi spiazzava anche: i vampiri che avevo visto si gettavano sulle persone senza pensarci; lui trovava la mia presenza – o perlomeno l’odore – altrettanto ributtante ma non badava a me, se ne stava rannicchiato lì a combattere l’istinto ogni volta che ci accampavamo. Be’ all’inizio era anche terrorizzato a morte da me » ridacchiò appena, sardonica «Non sapeva cosa fossi né aveva mai creduto che un essere umano potesse trasformarsi in un lupo gigante.»
Il sorriso che fece mise in mostra una fila di denti bianchissimi e dall’aria affilata. Sì, decisamente, non avrei mai voluto trovarmela contro..
Pure Leah era un misto tra ammirazione ed allerta; se ne stava seria ad ascoltare senza interromperla. Non credo mi fosse mai capitato di vederla così assorta e paziente.
Ashley scosse la testa appena con un mezzo sorriso, forse ripensato a quello che aveva appena detto:«Hazel, la strega, gli aveva detto che per la durata della nostra “missione” non avrebbe dovuto nutrirsi di sangue umano, o il loro patto per tenere a bada il luccichio della sua pelle, sarebbe saltato. Quando si era recato da lei, lo stesso giorno che si era presentato da me, Edward aveva già gli occhi tendenti al nero opaco, quindi la sua riserva di sangue cominciava a scarseggiare. » entrambe storsero la bocca dal disgusto « Un’altra sera di silenzio in cui se ne stava acquattato ad un albero, lontano da me, non riuscii a trattenermi – era un  bel po’ che non avevo un dialogo civile con una persona, in effetti. Gli chiesi perché dovesse per forza nutrirsi di persone. Sembrò stupito, ma mi rispose che stava cercando di usare le sacche di sangue degli ospedali, che non voleva uccidere nessuno. Gli dissi che per me non cambiava le cose e lui ribatté che non poteva farci nulla, che lo trovava ributtante ma che non lo aveva scelto. In realtà ero parecchio colpita.. Ero abituata a vederli come creature demoniache devote al sangue, mi avevano detto che il motivo per cui mi trasformavo era per proteggere gli umani dalla sua razza. Però volevo capirne di più di questa dipendenza.. Non che avessi intenzione di  lasciarmi incantare comunque. Senza rifletterci gli sbottai che anche gli esseri umani dovevano mangiare per forza, ma cacciavano animali e non persone della stessa specie. Va da sé che lo scioccai. Rimase a fissarmi impietrito, spiritato. Pensai che si stesse arrabbiando o qualcosa del genere, sapevo che l’autocontrollo non fosse il massimo per un vampiro assetato.
Invece mi disse che non ci aveva mai pensato.
Era spiazzato ed ammise di sentirsi piuttosto stupido. Ma vidi nascere una speranza assolutamente impossibile nei suoi occhi neri. Mi pregò di accompagnarmi mentre andavo a caccia, e lo vidi per la prima volta, travolto dalla sete, azzannare un animale, berne il sangue e riuscire a saziarsi.» i suoi occhi si spostarono su quelli di Leah che non nascondevano la nausea evocata da quelle parole, ma poi riprese più serenamente «Quando vide che la cosa non aveva comportato nulla di diverso, nessun effetto collaterale, sembrò scoppiare di gioia. Se non avessimo provato repulsione per la diversa temperatura del corpo o per l’odore, credo che mi avrebbe abbracciata tanto era felice.» alzò gli occhi al cielo, affettuosamente «Mi ringraziò molte volte e mi spiegò quanto fosse sollevato all’idea di non dover uccidere più un umano. Questa cosa mi colpì parecchio, e in un certo senso da quel giorno i rapporti tra di noi si fecero perlomeno cordiali; Edward era sempre estremamente di buon umore e cercava di sdebitarsi in ogni modo. Si offrirà di cacciare animali per me, di prepararmi del fuoco o giacigli su cui dormire. Era assurdo e parecchio fastidioso alle volte, ma in fondo lo trovavo divertente.»
«Per questo sei diventata pappa e ciccia con un succhiasangue?» domandò Leah arricciando il naso. Non sembrò ostile come al solito, ma nella sua ottica probabilmente non era del tutto giustificante.
Ashley alzò le spalle:«Non lo so Leah. Io ero sola, lui era solo e pareva ben deciso a dovermi restituire un favore, come se gli avessi salvato la vita o chissà cosa, con quella frase. Abbiamo cominciato a parlare; ovviamente ero riluttante, all’inizio, ma ho scoperto che andavamo molto più d’accordo di quello che credessi.» sospirò «Quando il nostro compito era terminato ed Hazel gli donò l’anello mi accorsi che tornare in solitudine sarebbe stato alquanto triste. Non lo avrei mai ammesso né gli avrei mai chiesto di restare, ma un po’ mi dispiaceva tornare alla mia monotona, solitaria vita di prima. Sorprendentemente mi propose di seguirlo, in giro per il mondo per sdebitarsi, e per tenere a bada la sua brama di sangue umano. Non so perché ma accettai.. E da allora abbiamo vissuto quasi sempre insieme, siamo amici. »
Leah annuì con aria poco convinta, ma fui sicura che i suoi pensieri non erano sulla stessa linea d’onda di Ashley. In perfetta ed antitetica sincronia con Leah, dopo questo racconto il buon senso di Ashley me la fece apprezzare molto di più.
«Quindi, dicevi che sei finita qui insieme a lui e quella Joana di cui mi parlavi?» chiese Leah cambiando argomento. L’affetto che legava Ashley ad Edward, fui certa, l’aveva parecchio nauseata.
 Ashley scosse la testa con calma:«Ho deciso che fosse ora di cambiare aria, da sola. Era chiaro che per Joana la mia presenza era di troppo, e io non avevo nessuna voglia di litigare. Pensai di chiedere a lei e alla sua Congrega di streghe di Brownsville se potessero aiutarmi. Dissero che in California avrei trovato le mie risposte.»
Sentii Leah soffiare, come in disaccordo.
«Non ti piace la California?» domandò Ashley senza capire.
«Come hai capito che non fosse un trucco per allontanarti?» domandò accigliandosi appena.
Ashley rise appena ed annuì:«Ci ho pensato, ma non m’importava un granché; se mi avesse dato le indicazioni sbagliate per gelosia, potevo tornare indietro ed infastidirla molto più di quello che pensasse. E poi la Congrega non aveva secondi fini con una Protettrice.»
Leah annuì e sembrò soppesare quelle parole. Dopo qualche istante di silenzio, prima che Ashley potesse continuare il suo racconto, domandò:«E lui e questa..Joana sono ancora insieme?»
«No. Non andò a finire bene tra loro..» tagliò corto storcendo le labbra, con un tono di voce che non lasciava presagire nulla di buono « Ad ogni modo, la Congrega mi consigliò di chiedere a Makeda, una strega Africana che viveva a Pacifica. Aveva poteri oracolari, avrebbe potuto comprendere meglio il mio destino. »
Leah, come lo ero io, aveva l’aria di essere stata molto colpita da quell’affermazione lasciata in sospeso; sembrò esitare, ma non indagò oltre.
«Quindi Makeda vede il futuro..»
Mi parve di vedere Ashley scuotere la testa:«Makeda ha una chiara percezione di ciò che la riguarda e soprattutto dei mutaforma. Ha delle sensazioni particolari, e sa dove conduce il destino delle persone, diciamo a lungo termine. » alzò le spalle «Capì il mio, anzi, sembrò quasi aspettarmi. Mi spiegò la faccenda dell’alfa e mi disse che stavano convergendo lì, vicino a San Francisco, altre forze che avevano bisogno di una guida. Altre persone senza un passato che ben presto si sarebbero trasformate – a quanto pare San Francisco era una zona notturna molto popolata dai vampiri – senza sapere perché né come. Mi diede uno scopo.  Così, con l’aiuto di Makeda li ho trovati. »
«E vivete tutti insieme a casa sua» concluse distrattamente «Non ti dà fastidio?»
«La casa è grande, e nessuno del branco aveva esattamente una casa alla quale tornare..» spiegò con pazienza.
Leah aggrottò la fronte pensosa.
«Il primo che trovai fu Trenton. Aveva vent’anni, era fuggito di casa, con una situazione famigliare difficile. La sua trasformazione avvenne due anni dopo, ma nel frattempo gli offrimmo un posto dove stare. Più tardi arrivarono in città Jaxen e Jocelyn, venti e diciassette anni, dal Sud America. Erano in fuga, più o meno.. Jax era cresciuto in un quartiere povero, dentro il giro della malavita, e aveva trascinato con sé Josie, un’orfana. Sono finiti insieme come cane e gatto ma ci sono rimasti. Jax era in trasformazione quando lo abbiamo trovato, Josie ci mise un paio di anni. In quanto a Kala, se n’è andata dall’India a diciotto anni con i gemelli dopo che i suoi sono morti in un incidente aereo. Si è trasformata qualche mese dopo; Zachary e Justin – dodici anni - sono i suoi fratelli adottivi, trapiantati dall’Australia. »
«Dodici anni? » domandò sbigottita, specchio della mia stessa reazione.
In tutta risposta Ashley scrollò le spalle indifferente:«Loro si sono trasformati un anno fa. Ma li usiamo come sentinelle; sono così piccoli che riescono ad arrampicarsi in cima agli alberi. Non voglio farli combattere, è troppo presto.»
Probabilmente incapace di aggiungere altro, Leah annuì incerta, mentre Ashley, improvvisamente si alzava sospirando con un aria tranquilla:«Dovremmo tornare; i dolci di Makeda sono fenomenali, credimi..»
Leah alzò appena le spalle indecisa.
Ashley ancora una volta si sintonizzò sui suoi pensieri: «Nessun branco è perfetto, nemmeno il mio, anche se ora vedi i ragazzi scherzare e ridere. Siamo diventati una famiglia, ma questo non significa che le difficoltà non ci siano e non ci siano state. In un certo senso per noi è sempre stato così, siamo sempre stati.. Misti. Forse da dove vieni tu la novità li ha sconvolti. Non devi pensare di essere sbagliata » le lanciò uno sguardo allusivo «I problemi fisici.. mensili, tornano a calibrarsi col tempo»
Gli occhi di Leah, ancora colta alla sprovvista, saettarono sui suoi con un filo di imbarazzo. Non riuscì a mostrare un’espressione arrogante, come la vedevo spesso fare.
Ashley sorrise:«Il nostro corpo subisce uno stress, all’inizio, per parecchi anni a dire il vero. È normale che anche queste cose abbiano ripercussioni sul resto. Le lupe, in quanto animali, hanno un ritmo biologico differente dal nostro, ma passerà. Come passerà il resto..».
Detto questo si voltò e tornò alla festa, lasciando me e Leah di stucco.
 
Flashforward
 
«Reese, Jasper: voi starete sull’ala sinistra e destra, come abbiamo deciso.» intimò Ashley cinerea.
Jasper annuì e lanciò uno sguardo verso Edward:«So che vorresti proteggere Bella; ma la tua capacità di leggere nel pensieri ci sarà di grande aiuto in battaglia.»
Ovviamente mio marito emise un sibilo contrariato:«Non se ne parla Jasper. E no, Renesmee non resterà qui.»
«Edward..» cominciai invano mentre scuoteva la testa in un uno cenno secco.
«Ci penserà Vicky» s’intromise Ashley asciutta guardando un punto indistinto del cielo «Ed Axel . Inoltre, con Rosalie ed Esme non ci sarà da preoccuparsi di Renesmee.»
Il lupo rossiccio grugnì contrariato mentre Seth guaiva guardando la ragazza oltre le mie spalle.
Quando Renesmee diede due pacche comprensive a Jacob e guardò Edward con aria seria la situazione sembrò calmarsi per qualche istante:«Sarò più al sicuro qui dove potete vedermi.»
Scambiai un’occhiata ansiosa verso Edward e poi Jake, che sembravano avere tutti e due la stessa espressione - umana ed animalesca – tormentata dal dubbio. Guardai in direzione di Rosalie la trovai cinerea e determinata.
«Nessuno toccherà mia nipote.» sentenziò senza remore.
Esme annuì di buon grado di fianco a lei, posandole una mano sulle spalle.
Ashley sospirò grave:«L’incolumità di Renesmee è l’ultima di cui dovreste preoccuparvi. È per la vostra famiglia che viene.»



 
Grazie mille a tutti i lettori e a tutti quelli che continuano a recensire; come non mi stancherò mai di ripetere, sono molto contenta di sapere cosa ne pensiate ;)
Ho cercato di focalizzarmi un po' su Ashley per mostrare lati di lei che all'inizio non sono venuti fuori; non so il perché ma sono molto affezionata a questo peronsaggio. Ditemi cosa ne pensate ora che avete scoperto qualcosa in più su di lei, se vi va (sia che siano commenti negativi che positivi, nessuna offesa!). 
Al prossimo capitolo,
Jess

Ps. Per maggiore chiarezza inserisco di seguito una specie di "anagrafe" per capire meglio le età dei personaggi facente parte del nuovo branco; faccio riferimento all'anno di pubblicazione di Breaking Dawn, 2008, e conto tre anni da lì (2011), considerando che la nostra storia prende avvio proprio dopo quel lasso di tempo. Naturalmente c'è da considerare anche che i mutaforma, dopo la trasformazione e finché continuano a mutare, non invecchiano più fisicamente, ma, come spiega la Meyer, dimostrano già più anni di quelli che avrebbero rispetto all'età in cui si traformano per la prima volta. 

Ashley -> Ha 35/36 anni dal1922. Nel 2011 avrebbe 124 anni
Trenton -> incontra Ashley a 20 anni e si trasforma due anni dopo (22). Nel tempo presente avrebbe circa 27 anni
Jax -> incontra Ashley a 20 anni e si trasforma subito. Nel tempo presente avrebbe circa 24 anni
Josie -> incontra Ashley a 17 anni e si trasforma a 19. Nel tempo presente avrebbe 21 anni
Kala -> incontra Ashley a 18 anni e si trasforma pochi mesi dopo. Nel tempo presente avrebbe 21 anni
Zac/Justin (i gemelli) -> incontrano Ashley a 9 anni e si trasformano ad 11. Nel tempo presente avrebbero 12 anni
Edward senior Masen -> è stato trasformato nel 1918 ed è fisso ai suoi 37 anni. Incontra Ashley nel 1927. Da vampiro avrebbe 93 anni; ha vissuto, dalla nascita umana sino ad ora,130 anni 
Makeda -> ha conosciuto Ashley quando quest'ultima è andata a cercarla a San Francisco (circa 2003). Aveva 49 anni. Nel tempo presente ne ha 59. Il suo processo di invecchiamento è come quello di qualsiasi essere umano. Da strega potrebbe essere in grado di ridurre il proprio processo di invecchiamento, ma non ne è interessata.

Pps. Dopo il prossimo capitolo, ve lo prometto, rivelerò chi è Izzy, e permetterò anche di vedere le cose dalla sua prospettiva. Pazientate ancora un capitolo ;)

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Capitolo 13
*** Misteri di fine serata ***


Ciao a tutti, 
perdonate questa ultima breve suspanse prima che sia rivelato il mistero che si cela dietro Izzy: so che tendo a temporeggiare ma ogni volta che mi dico di aggiungere solo qualche dettaglio finisco per scrivere un capitolo nuovo che inframezza la storia (lo so, sono prolissa!).
Seguiranno ben due capitoli, uno visto attraverso gli occhi di Bella, l'altro visto attraverso gli occhi di Izzy. Cercherò di metterli entro la settimana, prima di partire per le vacanze, in modo tale da non lasciarvi a bocca asciutta ;) 
Spero che l'attesa non vi abbia annoiato!
A molto presto,
Jess
Cap.13
Misteri di fine serata
 
Flashforward
 
Le guardai entrambe, con attenzione. Sembravano avere poco in comune. Una era alta e secca, ossuta, ma non in modo malato. Sembrò.. Fragile, delicata nei lineamenti, anche se aveva l’aria di avere circa quarant’anni. E qualcosa di terribilmente familiare. Aveva lunghi capelli color cannella che in molti tratti d’ombra si facevano mogano, rossicci; le sfioravano appena le scapole e sembravano irregolarmente mossi, alternandosi tra pseudo-boccoli e strane onde. Ci fissava, uno ad uno, in una posizione rigida e senza sorridere; gli occhi stretti quasi in due fessure.
 
 
Quando tornai indietro Ashley e Leah erano già in mezzo agli altri; la prima mangiava una fetta di torta seduta sui gradini vicino a Makeda, che era impegnata in una fitta conversazione con Seth – da come brillavano i suoi occhi probabilmente le aveva chiesto un altro milione o due di informazioni sulla magia – mentre Carlisle ed Esme ascoltavano molto incuriositi. Leah invece sembrava indecisa se mangiare una delle cinque torte distribuite lungo la tavola, ma l’aveva appena raggiunta Kala, che aveva preso un piattino e le aveva indicato un dolce, iniziando a parlare velocemente. Cercai mia figlia con gli occhi pensando di indugiare sull’ombra di Edward o di Jacob ma vidi con piacere che mio marito e suo padre erano in piedi vicino ad un tavolino. Il “mio” Edward parlava come fosse intento a spiegargli qualcosa mentre suo padre, con una mano sotto al mento e l’altro braccio mezzo incrociato al petto, annuiva svariate volte, interessato. Erano poco distanti da Jacob che con un orecchio ascoltava Jaxen annuendo di tanto in tanto, ma con gli occhi lanciava occhiate di controllo verso Renesmee che ridacchiava insieme a Jocelyn, sedute per terra, mentre guardavano  i gemelli fare strane acrobazie. Rosalie restava ai margini con aria annoiata mentre osservava di tanto in tanto mia figlia – fui abbastanza sicura che fosse gelosa delle tante attenzioni dedicatele, tanto da non poterla avere tutta per sé. Mi fece tenerezza. Emmett ovviamente era con lei, e le  lanciava qualche battutina di tanto in tanto. Alice e Jasper erano seduti sull’erba vicino a loro ma guardavano divertiti verso mia figlia; Trenton, anche lui seduto di fianco a Jasper, mangiava una fetta di torta e di tanto in tanto sembrava scambiarci due parole.
Non appena fui vicina ai due gruppetti, Edward posò lo sguardo su di me con un sorriso sghembo e suo padre s’interruppe voltandosi a guardare nella sua stessa direzione.
«Bella, amore» assunse un espressione appena dubbiosa verso la chiazza d’acqua sul mio vestito «hai trovato quello che ti serviva?»
 Sapevo che la domanda era un’altra, considerando che ero stata via così a lungo.
«Più o meno» scrollai le spalle «Ho pensato di pulire le posate e i contenitori sporchi. In fondo Makeda ha cucinato..»
«Sei molto gentile Bella» disse Edward senior con un sorriso pacato. Edward Cullen invece mi fissò per un po’ senza aggiungere nulla, con uno sguardo che diceva chiaramente che avrebbe voluto spiegazioni  dopo la festa.
«Vado a vedere cosa combina Renesmee» disse, facendo un cenno di congedo al padre e dirigendosi verso nostra figlia che  aveva una manina sulle guance di Jocelyn, persa in uno sguardo vitreo.
«Bella» disse allegro suo padre mentre mi guardava con un sorriso pacato dei suoi «Come trovi San Francisco? Spero che tu ti stia divertendo..»
«La trovo una città molto colorata ed interessante.» dissi ricambiando il sorriso. Era così facile chiacchierare con il padre di Edward. Era  invece difficile pensarlo freddo e di cattivo umore, come me lo aveva dipinto mio marito. Doveva essere successo qualcosa di davvero straordinario per cambiare un uomo a tal punto.
Mi venne in mente il dialogo tra Leah ed Ashley  e non riuscii a trattenermi dal chiedergli qualcosa.
«Come sa siamo abituati a stare in mezzo ad un branco – è stato molto carino da parte loro ospitarci. Però..»
«Vi posso assicurare che Makeda sa essere più catastrofica di quello che fa vedere; è una specie di sensitiva, ma non sempre i suoi presagi sono da prendere così sul serio, non c’è da preoccuparsi..» fece strizzandomi l’occhio mentre intercettava la domanda sbagliata.
Annuì gentilmente:«Protegge il branco, lo capisco..» feci un sospiro mordendomi un labbro indecisa «A dire la verità mi domandavo.. Com’è che un mutaforma ed un vampiro diventano amici? »
Edward fece una mezza risata ilare:«Potrei farti la stessa domanda» accennò a Jacob che rispondeva alle domande di Jaxen insieme a Leah, buttando sempre qualche occhiata verso Renesmee «O è stato dopo l’imprinting?»
Scossi la testa, sperando di non portare quel discorso troppo lontano da quel che volevo.
«Io e Jacob siamo amici da famiglia da molto tempo prima di scoprire che fosse un mutaforma. Lui ed Edward non si piacevano affatto, soprattutto per via della mia.. Decisione. Poi le cose si sono sistemate, più o meno, con la nascita di Renesmee.»
«Sei il primo vampiro che conosco ad esserlo diventato spontaneamente per amore. » osservò con pacata ammirazione, mentre lanciava un’occhiata distratta a suo figlio da lontano, con occhi persi nei pensieri «Non dev’essere stato semplice per voi.»
«Soprattutto per lui» dissi, con un fremito, capendo perfettamente cos’avesse provato «Diciamo che proteggermi dal mondo sovrannaturale non è stato un compito semplice..»
Edward rise:«Non potevi essere così male da umana!»
Alzai gli occhi al cielo spirai:«Secondo lui ero una specie di calamita per disgrazie.  Forse non aveva tutti i torti» tornai a guardarlo amichevole «E lei?»
Avrei tanto voluto chiedergli di quella Joana Finch ora che c’eravamo, ma ebbi timore di riportare a galla brutti pensieri. Con quella frase Ashley sembrava voler deviare un discorso spiacevole con Leah. Forse allora era come pensavo.
«Io?» fece senza perdere la sua naturale calma. Eppure mi sembrò un po’ meno rilassato del solito.
«Ha una casa molto grande, ha viaggiato parecchio.. Insomma non ha incontrato nessuna che..?»
Sperai di non averlo messo troppo a disagio con la mia domanda. In fondo aveva perso sua moglie nel 1918.
«Ho avuto un solo vero amore nella mia vita, e l’ho conosciuta nel  1898.» disse conciso e vago. Sebbene sorridesse mi parve di scorgervi qualcosa di amaro ed enigmatico che ne oscurava la naturale bellezza.
Fantastico, ero arrivata proprio al discorso giusto, Elizabeth Masen. Che insensibile che ero stata. Mi sembrò davvero molto romantico sentirglielo dire, e in questo mi ricordò Edward quando mi disse che non avrebbe potuto vivere senza di me. Ma mi sentii anche terribilmente sgarbata.
«Capisco, mi dispiace se gliel’ho chiesto» mormorai dispiaciuta.
«Non c’è niente di cui scusarsi » rispose ritrovando la solita gentilezza ilare in un batter d’occhio.
«È rimasto solo tutto questo tempo?» domandai – sperai di non sembrare inopportuna -  cercando di fare un occhiolino che non sembrasse ridicolo, per sdrammatizzare. Dimenticavo tutte le volte che il mio corpo da vampira non lo avrebbe permesso; le abitudini erano dure a morire.
Rimase sempre sull’approssimativo quando mi rispose:«A dire la verità sono rimasto perlopiù con Ashley.» sorrise scuotendo appena la testa  «E no,prima che tu me lo chieda, non c’è mai stato nulla tra noi, dal 1927.»
Mi finsi stupita per non tradirmi:«È rimasta mutaforma dal 1927?»
«Eh già.» fece sorridendo alla mia bocca teatralmente semichiusa. Forse dopotutto ero migliorata nel dire bugie. Sarei avvampata sicuramente per l’imbarazzo se fossi stata ancora mortale.
«Oh sì. Mi avrebbe staccato la testa se non fosse stato per il mio dono » sospirò con un sorriso divertito, alzando gli occhi al cielo «Era davvero una reietta terrificante!»
Feci un risolino nervoso ripensando a quelle lastre di ghiaccio che inchiodavano Leah:«A dire la verità non ha tutti i torti signor Masen..»
«Edward» mi corresse lanciandomi un’occhiata allusiva.
Annuii:«Edward, hai ragione.» tornai a guardarlo perplessa «È stata lei, ci hai accennato due giorni fa, che ti ha suggerito di cacciare animali?»
Edward Masen annuì vigorosamente:«Ne parlammo una sera, ovviamente litigando. Avevo una sete incontenibile ma stavo facendo del mio meglio per.. Sai, combattere la mia natura, ricevere l’anello diurno. Non ce l’avevo con lei, ma le sue domande mi mettevano in difficoltà. Pensare al sangue rendeva le cose difficili.. Mi disse che gli esseri umani non erano cannibali, potevo non esserlo neppure io, e da lì mi si aprì un mondo. »
«È per questo che siete amici?» appurai curiosa. Avevo sentito solo una faccia della medaglia, ed ero curiosa di scoprire l’altra.
Edward sembrò pensarci un attimo, come se dovesse trovare le parole adatte:«Quando ci siamo incontrati eravamo due… Persone - o forse due mostri sarebbe meno improprio - che avevano perso tutto. La famiglia, una vita normale, gli amici, un lavoro… L’amore. Ash ha avuto una vita mortale molto più dura della mia, credimi..
Eravamo in un certo senso.. Spezzati. Ma dopo aver passato due settimane insieme – come ti dicevo, per l’anello e la prova da superare - malgrado l’odore, le differenze e il fatto che fossimo nemici mortali, avevamo condiviso qualcosa.» mi guardò negli occhi con aria pensosa ma pacata « Entrambi eravamo diventati qualcosa di inumano senza poter scegliere, e senza ce nessuno ce lo spiegasse. Entrambi eravamo soli ed infelici. Dopo un decennio mi sembrava di aver trovato un’amica reale, qualcuno che potesse davvero capire quello che provavo. Quando quel periodo finì mi sentii male all’idea di tornare a fare il nomade, da solo. Avevo il mio anello, potevo vivere ovunque, potevo diventare una persona civile, ma che senso aveva farlo quando non avevo nessuno con cui condividere tutto questo? Non sarei stato in grado di vincere la solitudine a lungo, non dopo quelle settimane comunque. Fui codardo: le proposi di girare il mondo insieme; le dissi che era per sdebitarmi del suo aiuto e per avere qualcuno che supervisionasse la mia sete, data la mia nuova dieta. » sospirò «In realtà fu una scelta puramente egoistica, all’inizio, e sospetto da parte di entrambi; ero terrorizzato all’idea che potesse dirmi di no e sapevo bene il perché: avevo incontrato altri vampiri ma non sembravano rimpiangere la loro condizione, come me ed Ash. Penso che accettò per la stessa ragione, per pura comodità. Eppure ben presto diventammo amici, bilanciavamo le nostre infelicità molto bene. »
«Quindi tutti quei viaggi di cui ci ha raccontato.. Li ha fatti con Ashley?» chiesi curiosamente mentre ripensavo agli aneddoti in giro per il mondo di cui ci aveva parlato al nostro secondo incontro.
Edward annuì:«Una buonissima parte sì, direi un settanta percento. Ma non siamo sempre stati insieme.. » fece una pausa pensoso poi riprese scuotendo la testa «Avevamo periodi  di distacco e di rincontro. Però ci tenevamo sempre in contatto. Non era semplice..»
Sospirai lanciando un’occhiata pensosa verso Edward che parlava velocemente a Rose, sempre accigliata ai bordi della foresta:«Sa, ancora non sono vampira da abbastanza anni per realizzare cosa significhi  stare insieme ad una persona per più di ottant’anni senza invecchiare.»
Ma spero di viverne anche duecento.. pensai, mentre una parte del mio cervello bramava l’abbraccio di mio marito.
«Significa che ti conosce meglio di chiunque altro..» rispose con pacatezza mentre intercettava la traiettoria dei miei occhi. Gli sorrisi, immaginando di arrossire furiosamente anche se questo, di nuovo, non avvenne.
Lui spostò appena lo sguardo sulla figura statuaria di Ashley che ascoltava Carlisle parlare, poi tornò a guardarmi facendo un grande sorriso sereno:« So che sembra fredda all’inizio; credimi, la sua vita non è mai stata semplice, nemmeno da umana. Ma non è affatto così distaccata. Adoro  Ashley, non potrei vivere senza di lei. » alzò le spalle con semplicità «È la migliore amica che potessi chiedere. »
E, contagiata da quell’entusiasmo, sorrisi beata a mia volta.
 
***
 
All’una passata, quando riuscimmo a staccare Seth, Makeda e Carlisle, ci congedammo.
Jaxen, che il mattino dopo sarebbe dovuto andare a lavoro – a quanto pare faceva il meccanico a San Francisco - si era addormentato da circa un’oretta sulla sdraio ed era stato svegliato da Trenton per riaccompagnarlo su insieme a Jocelyn, nel momento in cui ce ne andammo. I gemelli, che non erano stati fermi un attimo per tutta la prima parte di serata, erano a letto da un pezzo e Kala se n’era andata verso le undici, dopo averli messi a dormire, per scappare in un discobar dove faceva i turni. A quanto pare Josie stava cercando di decidere cosa fare della sua vita e Trenton gestiva un negozio di articoli sportivi lungo la baia. In quanto ad Ashley, da quello che avevamo capito, sapevamo soltanto che lavorava per corrispondenza da anni (in modo tale da non dover cambiare spesso lavoro e identità) gestendo una serie di giornali online e traducendo come freelance. Anche Edward Masen aveva seguito la stessa strategia e si occupava di economia e consulenza legale a distanza, sfruttando il suo dono nel caso in cui qualcuno si fosse accorto che non invecchiava. Makeda invece, sfruttava le sue conoscenze naturali per vendere preparati ed erbe medicinali.
Come una vera famiglia, riuscivano a provvedere a se stessi e agli altri, partecipando tutti insieme. Mi sentii davvero in colpa all’idea di pesare – non che i Cullen non avessi abbastanza soldi da mantenere altri membri – sulle spalle della mia famiglia adottiva. Mi ero ripromessa di cercare un lavoro durante il college, ora che mia figlia si stava stabilizzando.
Mentre pensavo a tutto questo, camminando sulla strada di casa, Edward, che si era fatto particolarmente pensoso, esordì:«Domani tornerò da mio padre.»
Fui sorpresa dalle sue parole:«Davvero? Questa è una bella notizia..»
Edward sospirò, mentre Renesmee sonnecchiava tra le sue braccia:«Ha detto che deve dirmi una cosa importante..»
«Oh» mi venne in mente di averli visti parlare piano, in disparte, prima di andare via «Ti ha anticipato qualcosa?»
Scosse la testa mantenendo lo sguardo davanti a sé, lontano: «Ha solo detto che c’era una cosa di cui doveva parlarmi, che avrebbe voluto dirmi subito ma non sapeva bene come. Temeva sarebbero state troppe informazioni da assimilare tutte insieme alla sua storia, i licantropi e gli anelli diurni.»
Dall’espressione corrucciata di Edward sembrava esserne totalmente all’oscuro. Mi parve molto strano, date le sue capacità di lettura del pensiero. Mi guardò come avesse intercettato le mie perplessità: «Si è concentrato per non pensarci mentre mi parlava. Ho solo visto di sfuggita una donna o una ragazza, credo una vampira.»
Cercai di essere positiva, anche se, ripensando alle parole di Edward Masen – “Ho avuto un solo vero amore nella mia vita, e l’ho conosciuta nel  1898.” -  forse ero fuori strada:«Magari ha trovato una compagna e temeva potessi prenderla male..»
Nel momento in cui terminai la frase, la mia mente mi portò subito alle orecchie uno stralcio di conversazione.
«..Aveva conosciuto una strega, Joana Finch.. Avevano preso a ronzarsi intorno.»
 «Era gelosa »
«Anche lui non le era del tutto indifferente»         
«Quindi tutti quei viaggi di cui ci ha raccontato.. Li ha fatti con Ashley?»
«Una buonissima parte sì, direi un settanta percento. Ma non siamo sempre stati insieme.. Avevamo periodi  di distacco e di rincontro. Però ci tenevamo sempre in contatto.»
Le parole che mi rimbombavano in testa più di tutte, però, erano quelle di Ashley: “Non andò a finire bene tra loro”. Che avesse ucciso una strega preso da un attacco di sete? Forse era più pericoloso che uccidere un semplice essere umano. E se avesse cercato di trasformarla in un vampiro ma la aveva uccisa nel tentativo? Era possibile che gli avesse scagliato una maledizione? Mi sembrò surreale. Edward Masen non aveva nulla che non andasse..  O no?
“ Ho avuto un solo vero amore nella mia vita, e l’ho conosciuta nel  1898.”…
Edward  sembrò non accorgersi della mia espressione, perso com’era nei suoi pensieri. Non disse nulla per un po’, ma il suo volto non si era affatto rilassato.
«Tutto questo mistero non promette nulla di buono..» mormorò posando nostra figlia nel suo lettino. 

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Capitolo 14
*** Izzy 1.0 ***


Buon pomeriggio a tutti,
prima di partire per le vacanze ci tenevo a pubblicare il capitolo visto attraverso gli occhi di Izzy e non lasciarlo in sospeso. Non riuscirò a scrivere nulla per almeno due settimane buone, perché finalmente me ne andrò in vacanza. E' un po' più lungo del solito e spero possa piacervi.
Sarei molto contenta di sapere cosa ne pensate di Izzy: è un personaggio che mi sta piacendo sempre di più, di mano in mano che scrivo su di lei, quindi, commenti negativi o positivi che siano mi fanno piacere.
Auguro a tutti un buon weekend e delle buone vacanze,
alla prossima.
Jess
Cap.15
Izzy
 
̴ I
 
Izzy sei in ascolto?
Sì papà, pensai, mentre infilavo dei vestiti nelle grucce. La mamma mi ha detto di tenere aperto un canale di comunicazione.. Che non potevi aspettare di parlarne faccia a faccia.. va tutto bene?
Sì tesoro, tutto bene. So che in un paio di giorni sarai di ritorno ma.. Dovevo parlartene prima che arrivassi. Ho delle novità..
Aggrottai la fronte avvicinandomi alla valigia vuota, in attesa di essere riempita.
Be’ ti ascolto.
Percepii una strana tensione.. Forse imbarazzo? Ma c’era anche qualcosa, come.. Emozione, affetto.
Passarono di fronte ai miei occhi le immagini della foresta vicino a Pacifica, una vampira bruna, occhi gialli – dieta animale dunque.. La reazione di mio padre nei confronti di un anello.. L’anello di.. Sgranai gli occhi ma cercai di non perdere la concentrazione: con una distanza di quasi centoottanta km era più difficile comunicare telepaticamente.
Un altro vampiro con loro, uno biondo, conosceva mio padre. La corsa verso.. C’era un ragazzo. Pietrificato dallo stupore. Così simile alla foto del soggiorno, ad Elizabeth e.. Mio padre.
Spalancai gli occhi di nuovo.
Edward Cullen.
No.
Edward Masen Jr.
Trattenni il respiro ma non riuscii a nascondere ciò che provavo. Shock. Irrazionalità. Paura. Emozione..
Era possibile che tutto questo fosse vero? Edward Jr Masen, il figlio biologico di mio padre era..?
Ma come..
Mi bloccai. C’erano così tante sensazioni che non capivo a quale appigliarmi. Sentii mio padre confuso e preoccupato di fronte a quella reazione. E questo non era d’aiuto.
Calmati Izz. Non fare casini, ti prego.
Aprii gli occhi e rimasi in silenzio cercando di non pensare a nulla, per fare spazio alla tranquillità e controllo. Tutto dentro di me si smorzava, diventava meno rumoroso e ordinato. C’era, dall’altra parte, solo attesa.
Fissavo con occhi vacui lo spigolo della scrivania di Dawn.
Izzy?
Aveva un’irregolarità vicino alla punta affilata, uno scalino che il tempo..
Isobelle, infilzarmi con lo spigolo di una scrivania non funzionerebbe, vorrei che tu lo sapessi.
Mi uscì una risata spontanea mentre avvertivo lo stesso sentimento da parte di mio padre. Sospirai mentre quel momento di ilarità temporanea si dissolveva su altri pensieri.
Avevo davvero un fratello maggiore quindi? Un fratellastro perduto in un’altra era mai vissuta?
Sì Izz. È incredibile vero?
C’era un senso di calore e commozione nelle sue parole, che riusciva ad occupare gran parte del mio cervello, quasi stordendomi. Vidi passarmi davanti stralci della loro conversazione al giardino di Makeda, il suo tono di voce, una sorta di orgoglio nel notare tutti i tratti fisici e caratteriali che associava ad Elizabeth; il senso di dispiacere mascherato quando era passato più di un giorno da quando si era fatto vivo..
Avevo un fratellastro vecchio di più di un ottant’anni. E io ne avevo vissuti a malapena sei e mezzo. ironica la vita.
Da un certo punto di vista, da vampiri io e lui abbiamo la stessa età meno tre giorni.
Lo immaginai ridacchiare mentre inarcavo un sopracciglio.
Mi sentii nervosa ed elettrizzata. Curiosa, ma stranita. E indifferente, allo stesso tempo.
«Sua figlia è un ibrido » dissi all’improvviso mentre, tra le immagini random che mio padre mi mostrava, compariva il visino di una bambina mano nella mano con.. Un mutaforma. Ma davvero?
È il suo imprinting
Una fitta di fastidio mi colpì allo stomaco ma scacciai via quel ricordo prima che mio padre cominciasse con le sue perle di saggezza.
Non se ne accorse, o forse fece finta di nulla. Spostò i suoi ricordi sul viso di un uomo dagli occhi rubinei e i capelli corvini.
Non credevo che ci fossero altri.. “episodi” simili oltre a me e..Joham; ti ricordi quel pazzo, in Nuova Zelanda?
Impossibile dimenticarlo. Aveva cercato di infinocchiare mio padre con le sue teorie evoluzionistiche, e su come ci dovessimo unire per raggiungere non so quale potere, perché io era una razza eletta ed altre cazzate del genere. Una pessima scelta di villeggiatura quella..
Sì, il dottor Nazi-Frankenstein, pensai sarcastica, il padre di..Maysun e Jennifer mi sembra. E quel loro fratello con il nome strano..
Nahuel
Lui.
A quanto diceva Joham, non ha voluto seguirlo.
Forse è l’unico della famiglia a non essersi del tutto rincoglionito.
Ehi, le impari da tua madre queste parole eleganti?
Nah, arricciai il naso mentre mettevo giù alcune pile di magliette che avevo preparato.
Stai preparando la valigia?
Positivo. Dove diavolo era finito il mio top con lo scollo a cuore?
Fai in fretta; la casa è vuota senza di te.
Vuoi dire il frigorifero, pensai con un ghigno.
A quello ci pensa Ashley. Ha comprato the e birre come se piovesse..
Ridacchiai tra me e me mentre controllavo cos’altro mettere. Me la immaginavo spiaggiata, ogni giorno di sole, sul mio sdraio per avere un po’ di privacy e tranquillità lontana dal branco.
Non essere gelosa, mi prese in giro.
Mi manca anche Ash, pensai mentre facevo la linguaccia allo specchio.
Anche tu manchi a lei.
Sorrisi pensando alla California, al surf e..
Non vedo l’ora che tu torni Izz.
L’affetto che grondava da quelle parole m’invase il cervello e desiderai già essere là, insieme a lui.
Ti voglio bene papà.
 

 
Il viaggio da Sacramento a Pacifica sembrò più lungo delle solite due ore. Per quanto mi riguardava non era necessario farmi portare in macchina da mia madre; sarei potuta andare di corsa, anche se non ero così veloce, e la minuscola valigia che mi ero portata mi avrebbe rallentata in ogni caso.. O avrei potuto guidare se me lo avessero permesso: papà non si era più azzardato a considerare l’ipotesi dopo la sfuriata della mamma o gli avrebbe fatto saltare il cervello. E lei avrebbe potuto davvero.
Tecnicamente non avevo la patente, ma guardando mio padre avevo imparato nei miei primi 3 anni di vita, e guidato materialmente due anni dopo. Per non parlare di quando papà mi aveva regalato un motard – una stupenda Ducati rossa fiammante!-  per il mio sesto compleanno. Aveva dovuto promettere di riportarla indietro – be’ l’aveva nascosta nella dependance – per chiudere la conversazione.
 «Vuoi che mi venga un infarto Edward? Hai più di ottant’anni e sei ancora un irresponsabile..  » e bla bla bla.
Come se potessi sfracellarmi per terra come un normale essere umano.
O forse era proprio quello il problema.
Non dimenticare mai il tuo lato umano, ripeteva sempre lei. Era improbabile dimenticarlo se tua madre era una strega. Anche Dawn dopotutto era un essere umano.. Resistente.
Ad ogni modo sapevo che le piaceva accompagnarmi per fermarsi a San Francisco. Quel viaggio però fu più silenzioso del solito. Mamma guidava concentrata senza dire una parola, ed io guardavo passare le case e poi il cemento della superstrada dal mio finestrino. Ero molto curiosa delle persone che avrei incontrato, ma allo stesso tempo sentivo, irrazionalmente, che non me ne importava granché. Non seppi spiegarmi il perché. Forse perché, in fondo io avevo già una famiglia, strampalata e frammentaria, dovevo ammetterlo; ma l’avevo. Aggiungere altri pezzi posticci m’innervosiva un po’. 
«Isobelle, non mandare a fuoco il cervello, per cortesia.» borbottò mia madre senza staccare gli occhi dalla strada. Era incredibilmente brava a capire le persone, quando non si faceva prendere da questioni personali.
«Sei una strega, puoi spegnerlo» ribadii facendole una mezza smorfia.
«Per questo basta essere una madre. Sei nervosa?»
Sospirai incerta senza incrociare il suo sguardo.
«Tuo padre non sa fare le cose con ordine, lo sai..»
«Non è stata una cosa programmata..» sospirai.
«Avrebbe dovuto dirtelo di persona. Non sbatterti in faccia la sua presenza senza prima parlarvi.»
«Eddai, sii gentile.» feci inarcando un sopracciglio «Probabilmente voleva prepararmi»
Sbuffò, sarcastica:«Be’, ora ti senti più pronta?»
Scrollai le spalle «Non so come sentirmi. Non ci ho mai pensato all’idea di avere un fratello.»
«Non dev’essere per forza tuo fratello.»
«Lo  dici come se potessi scegliere..» mormorai con un sorriso appena accennato.
Mia madre alzò le sue spalle secche: «Sì che puoi. Appartiene ad un’altra vita. Se tu vorrai potrai conoscerlo, ma non sei obbligata a considerarlo un fratello» scosse la testa facendosi più pensosa e seria «Edward non pensa sempre alle conseguenze di quello che fa, ma non credo che lo stia facendo per altro che non sia presentartelo. Fai parte della sua vita. È importante per lui. Ma non lo dev’essere per forza per te.»
«E che dovrei fare? Insomma, è sposato, ha una vita con quella.. gente. Sono in ritardo di ottant’anni per consolidare il rapporto fratello-sorella sai?»
Alzò gli occhi al cielo:«Teoricamente un vampiro non invecchia» tornò a guardarmi «E comunque, ripeto: non sei obbligata.»
Sospirai guardando l’ultimo pezzo di Golden Gate sparire insieme al traffico e per qualche minuto non aggiunsi nulla, persa tra i miei pensieri.
«Sai che ha una figlia come me?»
Con un cenno nervoso, come se stesse scacciando via una mosca mia madre annuì.
«Tale padre tale figlio» mormorò tra i denti.
Era inutile, non sarebbero cambiati mai i rapporti tra loro. Non che avessi mai voluto che tornassero insieme: li ricordavo bene i miei primi tre anni di vita, ed ogni volta che eravamo nella stessa stanza c’erano solo grida, porta sbattute e brutte parole. Terribile. Erano molto, molto più felici così, ne ero certa.
Ero sicura che mia madre stesse ancora pensando,irritata, a mio padre in quel momento.
«Dovrei farmi chiamare zia Isobelle? Ma per piacere, sono troppo giovane..»
Scrutai la sua reazione e notai che ero riuscita a farle abbozzare un sorriso divertito. Dopodiché restammo in silenzio fino a che non arrivammo alla fine di Pacifica.
Per arrivare a casa nostra in macchina, senza passare dalla foresta, dovevamo fare un giro attorno a quella pseudo-collinetta boschiva. Era un tragitto parecchio più lungo ma ci consentiva, attraverso sentieri sterrati, di arrivare molto vicino con la macchina. All’ultimo tratto però, a meno che non avessimo voluto fare una salita ripidissima con il fuoristrada, parcheggiavamo vicino ad un sentiero che scompariva  tra le fila degli alberi.  Sarei potuta andare a piedi fino a là, come facevo spesso, ma mia madre, senza ascoltarmi, si era messa a camminare insieme a me lungo la breve salita che ci faceva tagliare davanti al giardino. Probabilmente, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era più curiosa di me. O forse, l’idea di lasciarmi faccia a faccia con vampiri sconosciuti, non la tranquillizzava. Era bizzarro considerato che fossi una mezza vampira anch’io. L’istinto da strega era più forte di qualunque cosa..
Quando sbucammo, erano già tutti lì, sotto al portico, che guardavano nella nostra direzione. Mio padre e altri due erano più avanti. Erano immobili, tutti gli occhi puntati su di me, e in parte, su mia madre. La vampira bruna, quella che avevo visto nei ricordi di mio padre, aveva gli occhi spalancati. Sembrò che stesse collegando dei pezzi d’informazione che non riusciva a far combaciare. Fissava mia madre in particolare, che se ne stava a braccia conserte, annoiata ma attenta, mentre scannerizzava ogni persona presente. Poi spostò la testa da lei a me come cercasse una possibile associazione. Chissà che gli aveva detto mio..
«Joana.» sentii la voce di mio padre da lontano, che la salutava neutrale facendole un cenno con la testa. Mia madre ricambiò annuendo con la stessa aria rigida ed innaturale. Ah, quei due..
 La vampira spostò il suo sguardo sorpreso alla sua sinistra e si scambiò un’occhiata con quello che.. Doveva essere mio fratello.
Sentii la presa di mia madre sul braccio ed interruppi la mia analisi voltandomi verso di lei. Mi fissava dietro i suoi occhi verde-nocciola. Era seria, e inchiodava le mie pupille come se volesse assicurarsi che potessi capire tutto e bene.
«Tesoro, sai cosa ci siamo dette. Se hai bisogno di me non esitare a chiamarmi.» poi sorrise dolcemente e mi mise una ciocca di capelli dietro le orecchie per accarezzarmi il viso «Passa delle buone settimane ok? Mi mancherai.»
Non riuscii a non sentire un senso di tranquillità invadermi mentre leggevo il calore dei suoi occhi. Le sorrisi di rimando:«Ti voglio bene mamma»
«Anch’io piccola» mormorò dandomi un bacio sulla fronte. La sua espressione tornò severa quando alzò la testa verso il gruppo di persone vicino alla casa. Vidi che si soffermò verso l’angolo sinistro e seguì la sua direzione: c’era Ashley appoggiata ad uno stipite del portico, appena sotto la luce.  Gli occhi di mia madre si strinsero in due fessure.
«Ciao Joana» salutò – ironica – con un mezzo sorriso teso. Non si erano mai piaciute troppo, e lo trovai stupido.. Ma legittimo.
Mia madre alzò appena il mento in risposta e poi, sollevando la mano, diede un brusco saluto generale e si voltò per andarsene.
Fantastico.
Nell’istante in cui la figura di mia madre si era eclissata tra gli alberi, il sorriso di mio padre si era proporzionalmente allargato, con gli occhi fissi nella mia direzione. Le mie labbra diventarono ben presto specchio delle sue e non riuscii a frenare l’entusiasmo. Cavolo, mi era mancato.
«Papà!» cinguettai balzando verso di lui. Colmai le distanze e lui mi afferrò al volo riportandomi a terra.
Oh be’, la valigia l’avrei recuperata poi..
Mi gettai di buon grado tra le sue braccia mentre mi stringeva.
Ero andata da mia madre per vedere Dawn durante le vacanze pasquali ed ero rimasta da lei per quei due mesi: mi era mancata casa e mi era mancato l’odore famigliare che sentivo quando lo abbracciavo. Socchiusi gli occhi e dimenticai che c’erano una decina di sconosciuti che attendevano alle nostre spalle.
«Tesoro, bentornata» mormorò tra i miei capelli, mentre mi baciava la testa.
«Grazie papà» risposi con il naso contro la sua camicia.
Mi scompigliò i capelli e sciolse l’abbraccio lanciando una fugace occhiata alle persone dietro di noi. Ecco. C’eravamo. Mi sarebbe stato impossibile adesso, rimandare qualsiasi cosa.
Mi voltai in quella direzione e mi incrociai proprio con l’ultimo dei vampiri che volevo incrociare in quel momento. Il mio fratellastro.
Mi osservava intensamente senza sorridere, con gli occhi in bilico tra il perdersi nel vuoto e lo stupore. Questo lo rendeva un po’ inquietante, ma tutto sommato dannatamente famigliare. C’era molto – se non tutto – della donna posizionata sullo scaffale in salotto, la figura che mi aveva dato dei taciti bentornata ogni volta che rientravo dal portone principale, Elizabeth Masen. L’indiscusso amore della sua vita.
Eppure rivedevo anche mio padre in lui. Mio padre con i capelli rossi, molto più scuri dei miei. Be’ questo sì che era inquietante, il rosso non era proprio il colore di mio padre. A questo tizio invece donavano una certa eleganza. Ma la faccia restava sempre inquietante. Bellissima, ma inquietante.
Le sue labbra si torsero in un sorrisetto impercettibile e faticoso, come se avessi detto quelle cose ad alta voce. Non lo avevo fatto, vero? Stavo cominciando a diventare ridicola.
Di fianco a lui la brunetta affascinante dal viso anonimo ma dai lunghissimi capelli sottili mi faceva i raggi X. Pareva amichevole tutto sommato.. Forse.
All’appello mancavano quella che sembrava una fatina mora in miniatura, una donna dallo sguardo sognante e deliziato, una bambolina bionda di fianco ad un energumeno riccio e un biondino così pieno zeppo di cicatrici che sembrava uscito da un film di Craven. Inconfondibili lo spilungone indiano e la bambina ricciolina – copia sputata di Edward. Dovevano essere la coppia dell’anno, il mutaforma con l’imprinting e l’ibrido, un’altra me. Alleluia signore e signori, abbiamo visto la luce. Chissà quanto era contento il mio fratellastro di sapere che, non appena era nata, sua figlia aveva già un pretendente, nonché uomo della sua vita, a cui spezzare le ossa.
Di nuovo, con la coda dell’occhio, mi parve vederlo ridere silenziosamente, puntando gli occhi verso il basso.
Mah. Che tipo.
«Famiglia Cullen, Edward: vi presento mia figlia, Isobelle.»
La vampira bruna fece scattare la testa verso mio padre con aria sorpresa, forse divertita. Gli lanciò uno strano sguardo d’intesa. Anche gli altri si scambiarono occhiate divertite.
Bene. Ero diventata una specie di fenomeno da baraccone.
C’è qualcosa che dovrei sapere, papà? pensai con sarcasmo aprendo un canale di comunicazione con lui.
 «Isobelle, questa è Isabella » annunciò mio padre con ironia. I vampiri attorno a me dovevano trovare la battuta divertente.
«Bella» corresse lei offrendomi la mano. La vidi soppesare la reazione di Edward  con la coda dell’occhio.
Siamo geneticamente programmati per avere fantasia con i nomi in questa famiglia, eh papà?, gli domandai mentalmente.
Nemmeno con i doni psichici. I tuoi pensieri non sono al sicuro Izz, pensò mio padre senza guardarmi a lungo.
Uh?
Sentii gli occhi del mio fratellastro fissi su di me e sobbalzai impercettibilmente. Be’, a giudicare dalla sua aria dubbiosa e delle sue braccia tese lungo i fianchi, non dovevo essere l’unica a sentirmi a disagio. Bene.
«Izzy» borbottai tornando a guardare Bella. Probabilmente, data la pausa che avevo fatto, ero passata per ritardata. Bel colpo Izz.
Campanellino  e la Vampira Gioconda risero deliziate di quella strana combinazione di nomi e diminutivi. Barbie e Fratello Orso erano i più in disparte insieme al biondino pieno di cicatrici – anche se il secondo sembrò abbozzare un sorriso amichevole -  che si guardava intorno come stesse monitorando una qualche situazione.
Senza sapere perché sorrisi, sentendomi subito meglio, e vidi nello stesso momento quella bambina, mano nella mano con il palestrato pellerossa, sorridermi a sua volta, abbagliante. Le sue fossette ben in vista mi fecero una tenerezza inaspettata, mentre un ricciolo le sfuggiva da dietro le orecchie.
«Come ti ho anticipato, questa è Renesmee. » mi seguì subito mio padre cogliendo quello scambio di sguardi «Un ibrido come te.»
«Oh no» dissi spontanea, allarmando tutti nello stesso momento «Io non ero decisamente così carina alla sua età.»
La mini-me lasciò la mano del mutaforma e si avvicinò tendendo una manina verso di me – be’ ero così eclissata da due anni al mio metro e sessantadue di altezza che la sua testa mi arrivava sopra al mento – e poggiandola, senza doversi sporgere troppo, contro la mia guancia. Davanti ai miei occhi si crearono immagini slegate narrativamente, di me stessa. Era come avere uno sguardo dall’esterno, una prospettiva che si soffermava su alcuni dettagli o momenti di me stessa – quando ero saltata in braccio a mio padre, il mio sorriso, il colore dei miei capelli, le mie forme, il colore dei miei occhi – paragonata poi a lei, come se si sentisse inferiore. Era Renesmee a mostrarmi tutto questo?
Sentii suo padre sospirare da un lato:«Renesmee può mostrare immagini, pensieri, ricordi, attraverso palmo della mano.»
Osservai spiazzata il dolce visino che corrugava appena la fronte, come indispettita di quella differenza tra noi, poi suo padre.
«Oh» mi limitai a dire come un’idiota.
«Questo è molto interessante..» sentii mormorare mio padre. Vidi il mio fratellastro guardare nella sua direzione altrettanto stupito da qualcosa, – e sempre sospettoso -  ma decisi di ignorarli per guardare la bambina, che mi contemplava pensosa. Invidiosa di me con quelle fossette ed un imprinting, uh?
Mi concentrai su i ricordi di me da piccola, che avevo raccolto dalla mente di mio padre nel corso di quei sei anni di vita, quando chiacchieravamo telepaticamente a distanza. Ero un assurdo folletto minuscolo dai capelli lunghi fino a terra, con gli occhi troppo grandi per quella faccia ovale. Non stavo ferma un attimo e mandavo mia madre al manicomio. Il ricordo di me con la museruola di sangue l’aveva sconvolta, ma se l’era presa con mio padre, mentre io inseguivo Dawn per metterle paura. O ancora, il ricordo di me che rotolavo nel prato insieme ai gemelli di 9 anni e mezzo, sporcandomi il vestito bianco di verde. Quei ridicoli elastici che mia madre mi metteva per tirarmi su i capelli, facendomi assomigliare ad un cartone animato con le lentiggini – che grazie a Dio non avevo più.
Aprii un canale di comunicazione tra me e la bambina, che rimase per qualche attimo stupita, riversando tutti questi ricordi nel ponticello che collegava le nostre menti.
Hai visto che sgorbio? Se questi sono i tuoi presupposti diventerai la mezza vampira più figa del pianeta fra qualche anno..
Renesmee ridacchiò alle mie parole ma scosse impercettibilmente la testa.
Io ti trovo bellissima, pensò sincera, È interessante il tuono dono.
Be’ era davvero un cosetto tenerissimo, non c’era che dire. Non avevo mai interagito con una mezza vampira. A parte Maysun. E Jennifer. Ma quelle avevano molti anni in più di me, erano formate da un pezzo..Ed erano pure stupide.
«Che le ha mostrato?» sentii domandare da, ci avrei scommesso 100 dollari, lo spilungone appiccicato Renesmee. Alzai lo sguardo e lo vidi cercare il volto di Edward junior – dovevo ricordarmi di chiedere a mio padre come diavolo facessero a non voltarsi tutti insieme quando li chiamavano, dal 1901 in poi – in attesa di un responso. Mi sembrò una cosa stupida che chiedesse a lui e non a noi.  
 «Niente di importante.» sintetizzò «Renesmee faceva apprezzamenti su Isobelle e viceversa.»
.. Quindi Renesmee mostrava le cose non solo a me ma anche a tutti i presenti? Aveva parlato di contatto manuale però..
«E viceversa?» domandò la brunetta, Bella, confusa, nello stesso momento in cui lo aveva fatto Jacob.
Aspetta un attimo. E viceversa? E lui come..
«Isobelle ha un dono..» intervenne di nuovo Edward, calmo ma allo stesso tempo sorpreso «Può comunicare telepaticamente con qualcuno.»
Ma come diavolo..?
Guardai esasperata mio padre che rispose subito alla mia domanda inespressa:«Izzy, anche Edward ha un dono. Può leggere nel pensiero. »
Spostai lo sguardo prima su di lui poi di nuovo su mio padre.
Oh, merda.
«Benvenuta nel nostro mondo di comuni immortali..» ridacchiò rauco l’armadio vicino alla bionda.
Be’ perlomeno non avevo pensato nulla di offensivo.. O qualcosa del genere..  Non se la sarà presa per la battuta dei capelli vero?
Di nuovo, come aveva fatto prima, Edward-L’invasore-Della-Privacy-junior sorrise spontaneo di fronte ai miei pensieri. Ecco perché se la rideva prima. Almeno era da escludere che avesse un disturbo della personalità, o che parlasse con un amico immaginario o.. Ma i vampiri possono avere un amico immaginario? Forse era..
Oops.Lo avevo fatto di nuovo.
Quando lo vidi lasciare andare una risata arrossii spostando lo sguardo altrove mentre nella mia testa scorrevano imprecazioni contro me stessa. Se non la smettevo di pensare assurdità ero fregata.
La stanza ci osservava perplessa scambiandosi occhiate, giustamente, interrogative. Barbie-Fashion-Week invece sembrava solo annoiata, e si guardava intorno senza sorridere. Socievole.
Edward alzò gli occhi al cielo, annuendo impercettibilmente con un piccolo sorriso.
«Rendereste partecipi anche noi?» disse la nanetta appena imbronciata. Frankenstein invece sembrava rilassato e sorrideva. Si beava di qualcosa che non capivo. Con la coda dell’occhio vidi le labbra di Bella mormorare qualcosa, pianissimo, all’orecchio del mio fratellastro.
Mio padre intervenne ancora una volta sintonizzandosi sulle nostre espressioni posandomi una mano sulla spalla:«La testa di Izzy è un vulcano, ama scherzare. Di sicuro ci avrà letto qualcosa di elisarante.. »
Lo vidi cercare uno sguardo d’intesa con Edward junior, ma il suo viso sembrò irrigidirsi di colpo, come qualcuno che si ricorda improvvisamente di un brutto pensiero. Mio padre distolse subito gli occhi, e riuscii a percepire una punta di amarezza mentre mascherava quel colpo con un sorriso. Dovetti rettificare:  il mio fratellastro aveva davvero un disturbo della personalità..
Affilò lo sguardo scoccandomi velocissimamente un’occhiata neutrale – pensosa?-  per poi  tornare su mio padre con sospetto.
C’era qualcosa di profondamente storto in questo qua.
Sentii un sospiro e vidi Ashley avanzare tra noi:«Ehi ‘Belle che ne diresti di andare a fare un saluto agli altri mentre tuo padre sistema gli ospiti? Gli sei mancata molto.»
Era rimasta muta ed immobile fino ad ora e adesso era intervenuta solo e semplicemente per togliere mio padre  e me da quella situazione scomoda, ci potevo scommettere. Ma..Ospiti?
 «Ospiti?» ripetei confusa guardando verso mio padre.
«Hanno un guasto all’impianto elettrico, gli ho offerto un posto in cui stare; ci vorranno un paio di giorni. » spiegò, abbattuto. Non che non sorridesse, ma conoscevo mio padre, Mr Sorriso Smagliante. Quello somigliava più ad un tentativo di tirare su i bordi delle labbra. Lo sguardo di Ej lo aveva turbato, si sentiva in colpa..
«Ma certo..» borbottai senza convinzione per poi tornare a guardare Ashley. Il suo sguardo era allusivo ed intenso.
Annuii mentre facevo per seguirla, mormorando un silenzioso:«Se volete scusarmi..» prima di lanciare un’ultima occhiata a quella mostriciattola adorabile dal nome assurdo. Ci voleva un soprannome. Quel nome, Renesmee, era impronunciabile..
Dopo pochi passi ci trovavamo già oltre le prime fila d’alberi in direzione della casa di Ash, dove si sentiva in sordina musica reggae. Doveva esserci già Jax in cortile.. Chissà se c’era anche..
«Posso ritenermi davvero offesa..» disse Ashley interrompendo i miei pensieri, con aria fintamente meditabonda.
Non capii
«Uhm?»
Inarcò un sopracciglio alzando gli occhi al cielo:«È questo il modo di salutare?». Fece un sorrisetto scherzoso che ricambiai subito.
«Ooh scusami Ash! » le risposi avventandomi sul suo bacino per abbracciarla – e restammo così per qualche passo.
Mi circondò le spalle con un braccio sorridendomi dolcemente:«Così va molto meglio» sospirò «Allora, come ti senti?»
Alzai le spalle:«Non ne ho idea. Forse dovresti chiederlo ad Edward-leggo-nei-pensieri-junior..»
Ashley scosse appena la testa con semplicità:«Be’, l’ho detto a tuo padre che avrebbe dovuto parlargliene .. Parlarvene prima.» incrociò le braccia al petto «Tutti questi misteri non fanno bene a nessuno..»
«Ma non legge i pensieri lui? » domandai perplessa.
«Credo che riesca a leggere solo quelli che pensi in quel momento, non tutti. » alzò gli occhi al cielo, scoccandomi un’occhiata esasperata «Mi ha chiesto di non pensare a te in sua presenza fino a che non glielo avesse detto.. E l’ho comunicato pure agli altri. Ma è stata un’idea stupida..»
Gli altri..
Sentii il mio stomaco stringersi e non potei fare a meno di abbozzare un sorriso.
«Non so se fa mezza giornata oggi..» mormorò distrattamente Ashley. Come al solito si sintonizzava sui pensieri degli altri con estrema facilità. E ormai, mi conosceva troppo bene per non capirlo. D'altronde lo sapevano tutti..
Scossi la testa scacciando i pensieri:«Pensi che non l’abbia voluto dire per via di sua madre, Elizabeth?»
Ashley alzò le spalle:«Ti piacerebbe se tuo padre conoscesse un’altra donna e facesse un figlio?»
Non seppi rispondere così tergiversai:«Mia madre non è morta. E nel loro caso, preferirei vederli separati..»
«Forse non è un buon paragone..» disse pensosa «Ma credo che avesse paura di ferire i suoi sentimenti; da quello che ho visto e quello che mi ha detto tuo padre, in vita non passavamo molto tempo insieme. Era sempre oberato di lavoro.. Quindi immagino fosse più legato a sua madre, che è morta, perciò..»
Non riuscii ad immaginare mio padre assente o stressato. Lavorando da casa o assentandosi poche volte l’anno – senza contare la sua abilità di convincere la gente a vederlo invecchiato – passavamo moltissimo tempo insieme e non mi aveva mai fatto mancare nulla. Per la mia esperienza era stato un ottimo padre..
«Sua figlia è davvero tenera..» mormorai ripensando alla sua gentilezza e alla dolcezza dei suoi occhi castani.
«Josie sembrava essere tornata indietro di 3 anni e mezzo, non l’ha mollata un attimo ieri sera.. » disse Ashley ridendo.
Mi unii alla sua risata pensando a tutte le volte che si offriva spontaneamente come baby sitter. Il branco era sempre stato il mio compagno di giochi sin da quando ero nata.
«E dov’è adesso?» domandai mentre ci avvicinavamo al confine.
«Credo sia andata a prendere i gemelli al circolo per ragazzi..»scosse la testa «Dio solo sa quanti animatori avranno fatto infuriare..»
Ridacchiai pensando agli scherzi che organizzavamo per Makeda e mio padre, almeno tre anni fa. Mi sembrava passata un’eternità. Ogni giorno, per me, era stato diverso negli ultimi sei anni. Troppe cose cambiavano, troppe cose mi sembravano esattamente uguali o sempre più banali da un giorno all’altro.
Uscimmo fuori dal boschetto d’alberi e mi trovai nel giardino famigliare del branco, dove la musica che sentivo prima sembrava essersi spenta.
«Bene: penso che Kala stia ancora dormendo sodo, ha fatto il turno di notte.» disse mentre s’incamminava verso la casa «Makeda sta macerando delle radici di non so cosa, ed io devo andare a spedire un paio di fax. Josie tornerà tra un’oretta. Nel caso volessi aspettarla qui puoi stare dove vuoi; la casa la conosci, non c’è bisogno che te lo dica.»
Le sorrisi facendo per risponderle ma in quel momento fummo disturbate da un forte rumore di zampe al galoppo sull’erba.
Feci in tempo a vedere Ashley inarcare le sopracciglia, guardando oltre le mie spalle, che fui toccata di striscio da un ispido manto nero che mi travolse facendomi rotolare di svariati metri verso il basso.
Nel momento in cui ci trovammo a entrambi a pancia all’aria ed accanto a me risuonò la risata rauca che conoscevo bene, mi voltai per dare un pugno contro la spalla di Jaxen.
«Jaxen!» risi mentre ritiravo la mano con la quale lo avevo colpito
Da gigantesco lupo nero e le zampe sfumate di bianco era tornato ad essere l’enorme ragazzo di sempre e in tutta risposa ridacchiò mettendosi a sedere sull’erba.
«Ah, Jax..» borbottò Ashley alzando gli occhi al cielo, ma facendo un sorriso divertito. Poi proseguì il proprio tragitto verso l’ingresso prima di aggiungere rivolta a me: «Ti lascio un buone mani Izzy!»
Annuii e poi tornai a guardare Jaxen ed il suo sorriso furbesco da bambino.
«Allora tesoro, che si dice a Sacramento?» fece allargando le braccia.
Mi tirai su anch’io ed alzai le spalle:«Nulla di nuovo, le solite giornate.. Lavorate tutti oggi?»
Jaxen si alzò in piedi ed incrociò le braccia:«Io sì, sono passato per la pausa pranzo; Kala e Josie no..»
«Oh, già, capisco..» mormorai guardandolo incerta. Restai per qualche secondo a fissarlo indecisa,senza sapere bene cosa chiedergli o come chiederglielo in modo disinvolto ma in qualche modo mi anticipò.
 Fece per voltarsi, muovendo due passi mentre ancora io cercavo una frase disinteressata da dirgli, poi si girò appena e piegò le labbra in un sorrisetto allusivo:«Ma se non mi sbaglio c’è un surfista biondo che tra meno di mezz’ora inizia la pausa pranzo, e che forse è disponibile per qualche lezione extra.. »
Lo guardai mentre alzava le sopracciglia con un’espressione ovvia alla quale risposi con un piccolo sorriso:«Grazie Jax, lo terrò a mente..»
Era perfetto. Forse se mi sbrigavo sarei riuscita ad arrivare in tempo..
Nel momento in cui scattai in piedi mi accorsi che Jax mi stava ancora guardato, divertito.
«Vuoi un passaggio ragazzina?»
Mi illuminai in un sorriso:«Magari!»
«Salta su!» ridacchiò mentre la sua voce si faceva molto più simile ad un latrato e si ricopriva di pelliccia nera.
Mi misi a cavalcioni tra le sue scapole e cominciò a sfrecciare giù a tutta velocità.
Sulla schiena di Jax ci avrei messo nemmeno due minuti ad arrivare a fondo valle, e sapevo che si era costruito una specie di casupola metallica laggiù, dove lasciava quasi sempre parcheggiata la sua moto da cross per arrivare in officina, alla fine di Daily City, tra Pacifica e San Francisco. Avrebbe potuto tranquillamente farsela tutti in moto – allungando il percorso di almeno cinque o dieci minuti -  da casa a lavoro, ma dov’era il divertimento? Fosse stato per lui probabilmente se la sarebbe fatta tutta di corsa, ma senza boscaglia non poteva di certo gironzolare come un lupo gigante in città.
Da fondo valle in poi, con un po’ di fortuna, calcolai che sarei arrivata in meno di venti minuti a destinazione. Certo, se avessi preso su la mia moto avrei fatto molto prima.. Ma un mezzo pubblico era sempre meglio di niente: tornare a casa e rivedere lo sguardo truce di mio fratello, adesso, non mi andava proprio.
Non appena riconobbi la struttura di lamiere nascosta dalle piante balzai giù aspettando che Jax si ritrasformasse. Lo vidi aprire lo spesso catenaccio con una chiave e tirare fuori la sua moto, pronta per scivolare via sulla Cabrillo Highway e poi sulla Duecentootto. La guida sportiva di Jax ci fece guadagnare un bel po’ di tempo ed arrivammo in men che non si dicesse a destinazione.
Quando le ruote stridettero di fronte al marciapiede dove si trovava l’officina, scavalcai la sella e scesi giù mentre Jax la tirava sul cavalletto.
Stavo per ringraziarlo ma mi bloccai quando mi vidi le chiavi sventolarmi davanti agli occhi.
Lo guardai stupita:«Questo cosa significa?»
Jax ghignava facendomele ciondolare sotto al naso:«Significa che ti presto la mia moto. Col traffico ci metterai una vita.»
Sorrisi a trentadue denti:«Oh Jax, grazie grazie grazie!»
Mi gettai contro di lui stringendolo con forza mentre lo sentivo ridere del mio entusiasmo.
«Sì, sì, sì d’accordo, non spezzarmi le ossa!» mi guardò sorridendo «Ricorda di non lasciarmi a piedi, intesi? Ora fila!»
«Certo, certo, te la riporto qui se faccio prima!» farfugliai entusiasta, troppo impegnata a saltare sulla sua Yamaha blu. Girai la chiave e non aspettai nemmeno che il ruggito d’accensione si spegnesse prima si sgommare via per Mission Street.
Be’, non era come guidare la mia Ducati, ma era perfetta per raggiungere North Beach.
Spingevo la moto a tutta velocità e zigzagavo di qua e di là ogni volta che individuavo un varco entro cui infilarmi. Probabilmente – anzi, no, il mio udito era sufficientemente fine per avvertirle – mi arrivarono un bel po’ di imprecazioni quando mi insinuavo da destra, ma in quel momento pregavo soltanto di evitare pattuglie della polizia ed autovelox. Quando ero con mio padre era semplice convincere i poliziotti che ero sufficientemente grande per avere la patente, certo, ma da sola sarebbe stata tutta un’altra storia. Per non parlare del fatto di non avere un casco.
Il traffico a quell’ora era meno intenso del previsto, e alla velocità a cui andavo riuscii a tagliare per Stockton Street e a sbucare davanti alla propaggine del Pier 39. Parcheggiai dove trovai un posto e mi diressi a piedi sulla pedana di legno che conoscevo bene, dirigendomi verso il negozio dove lavorava Trenton, proprio verso il fondo, vicino alla gioielleria Na Hoku.
Si chiedevano tutti perché avesse scelto di aprire un negozio proprio laggiù in fondo, considerando le distanze:  era vero, una persona normale con un normale automezzo ci avrebbe mezzo mezz’ora, ma con il traffico poteva diventare tranquillamente un’ora, negli orari di punta. Anche Kala lavorava a San Francisco, ma nella zona del City College, molto più vicina all’officina dove avevo lasciato Jax, dunque molto meno lontana da Pacifica di quanto non lo fosse Trenton.
Eppure lo capivo. Amavo quella zona, così vicina al mare, così viva. Mi faceva sentire come qualsiasi essere umano la cui unica preoccupazione era decidere con cosa pranzare.
Quando non aveva troppo da lavorare, generalmente il lunedì pomeriggio, Trenton lasciava il negozio al suo dipendente part-time, Tyler, e se ne andava in spiaggia. Sperai di non essere arrivata troppo tardi per la pausa pranzo..
La mia speranza cominciò a vacillare quando vidi solo Tyler al banco che fissava lo schermo di un computer.
Entrando la porta batté sul campanellino e la testa del ragazzo si alzò nella mia direzione. Le sue labbra cominciarono a sorridere:«Isobelle Masen!»
«Ehi..» salutai ricambiando il sorriso «Tutto a posto Ty?»
«Me la cavo. E tu? È da un bel pezzo che non ti si vede gironzolare qui attorno..» disse mentre faceva il giro attorno al bancone, distratto.
«Stavo da mia madre a Sacramento..» risposi lanciando occhiate verso la porta sul retro. Tentavo di concentrarmi sui suoni ma Tyler sembrava voler fare conversazione, e mi sentii molto scortese. In fondo era un ragazzo simpatico.
«E Dawn?» chiese lui incrociando le braccia mentre appoggiava il bacino al bancone.
Oh, Gesù.. Simpatico ma donnaiolo.
«Sta bene, non so se mi raggiungerà qui..» restai sul vago cercando di mantenermi sorridente. Era risaputo che ci provasse con lei da almeno due anni, ma Dawn non se lo filava.. Solo che era troppo gentile e sensibile per dirglielo. Non aveva ancora capito che Tyler non era quel genere di ragazzo.. Ora che era impegnata forse era il momento di stroncare i suoi sogni.
Ehi, era il suono di passi felpati in avvicinamento quelli? Battiti di cuore in lontananza..
«Dille di passare a fare un saluto..» insistette il commesso, con un sorrisetto malizioso, distogliendo la mia attenzione da quei suoni.
Sospirai, tornando a guardarlo, e dissi, il più gentilmente possibile:«Ha il ragazzo Tyler, arrivi tardi.»
Lui scrollò le spalle e rise:«Peccato..» poi mi lanciò un’occhiata scherzosa allusiva, alzando la voce, come se dovesse farsi sentire da qualcun altro «Quando avrai perso la voglia di frequentare dei surfisti  californiani incalliti come Trenton, io sono a disposizione..»
«Non ci pensare neanche Ty.»
La voce, che accennava già dal tono un’aria sorridente, arrivò alle mie orecchie pochi istanti dopo che avevo avvertito il cigolio della maniglia della porta laterale aprirsi ed il rombo di cuore battere regolare. Mi voltai in quella direzione ed il mio cuore accelerò molto più di quanto non lo consentisse il suo ritmo innaturale.
C’era Trenton con la mano ancora sulla maniglia ed un sorriso largo, cordiale, stampato in faccia.
Dio, era lui.
«Tyler tu non sei raccomandabile, non la lascerei di certo andare in giro con te.» scherzò guardando l’amico mentre si avvicinava a noi, più grosso e muscoloso di quanto me ne ricordassi tre mesi fa. Aveva una semplice canottiera, decisamente piccola per il suo fisico perfetto – troppo perfetto -  ed un paio di boxer lunghi da mare. Possibile che riuscisse a risultare una specie di modello Abercrombie anche se aveva le infradito ai piedi? Mi guardò con i suoi occhi enormi, e di quel blu spettacolare  – esisteva qualcuno con un colore più intenso e blu oceano del suo? – che mi era tanto mancato, poi sorrise mostrandomi i suoi denti scintillanti da lupo, in segno di saluto.
Non ero sicura del fatto che potesse venirmi un attacco cardiaco, ma cominciai a pensare che se avessi continuato a guardarlo sarei diventata un’eccezione pericolosa.
Spostai lo sguardo su Tyler cercando di non arrossire troppo.
«Lo terrò a mente Ty» mormorai, riuscendo anche a fargli un occhiolino complice, che ricambiò ghignante.
Con la coda dell’occhio vidi Trenton alzare gli occhi al cielo, divertito.
«Vedi? La piccola qui mi ha capito benissimo; e prima che c’interrompessi, stavo servendo una cliente» ribadì lanciandogli un sorrisetto e poi tornando a me «Di che avevi bisogno bellezza? »
Sorrisi stringendomi le spalle:«Di lezioni da un surfista californiano incallito, a dire la verità. »
Entrambi esplosero in una risata fragorosa.
«Sfacciata la ragazza» disse Ty, fingendo subito dopo di sospirare teatralmente «E va bene, io ci ho provato. Penso che lo troverai esattamenteee… Tra due minuti al Chowders.»
«Grazie mille Tyler » risposi ironica. Guardai Trenton con un sorriso e lui mi fece cenno di uscire.
Lo seguii con piacere respirando l’odore di borotalco e brezza  marina che emanava la sua pelle.
«A dopo Ty!» salutò, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Mi voltai a guardarlo e il suo sorriso s’allargò di nuovo.
«Izzy» disse con aria contenta «Bentornata a casa. Mi fai compagnia mentre pranzo?»
«L’idea era quella. Poi Tyler mi ha detto che c’è un bravo istruttore di surf da quelle parti..» gli mostrai la lingua «Due piccioni con una fava!»
Trenton ridacchiò mentre scuoteva la testa:«Mai fidarsi di Tyler!»
Camminammo verso il nostro posto preferito, e dopo meno di un minuto eravamo già arrivati. Ci sedemmo di fuori ed ordinammo la specialità che non mangiavo da tempo, zuppa di granchio tiepida servita dentro un canestro pane abbrustolito. Sistemati sui tavolini che davano sulle baia mi sentii straordinariamente felice e di nuovo a casa. Inspirai guardando l’orizzonte e sentii i miei polmoni riempirsi di mille odori marini e terrestri, che si mescolavano nell’aria danzando tra il sale, le spezie e i soffritti dei ristoranti. E la salsedine, la mia familiare, stupenda salsedine..
«Mi sei davvero mancata Izz’»
Mi voltai e vidi i capelli di Trenton irradiarsi di fili d’oro. Il suo sorriso era sincero e felice, ed io rimasi senza fiato.
 
***
Con i capelli umidi guardavo Trenton arrancare verso la battigia, scuotendosi qua e in là i ciuffi biondi totalmente bagnati. Mi tirai su appena di più, puntellandomi sui gomiti, mentre i raggi aranciati del sole rilasciavano un piacevolissimo tepore. Sorrisi: avevamo passato un gran bel pomeriggio insieme.
Dopo pranzo avevo convinto Trenton a prendersi la sua solita mezza giornata libera e andarcene in spiaggia. Eravamo passati dal negozio per prendere in prestito dei  teli di riserva che Trenton lasciava in magazzino e Tyler mi aveva regalato un costume da bagno nuovo  di zecca – uno dei pochi e costosissimi Tina Turk da 76$ che avevano in esposizione, stavo per mettermi letteralmente a piangere di gioia -  poi dritti in acqua. Tra il surf, le gare di tuffi , le partite di beach volley  e le risate si era fatto tramonto in men che non si dicesse. Era così semplice passare le ore insieme a Trenton..
Il suo passo si fece più fluido quando si liberò dall’impedimento delle onde. L’acqua gli si strinse addosso in mille rivoli che scorrevano già tra le linee sinuose dei suoi addominali scolpiti. Oh, Dio..
Mi sorrise quando individuò in punto in cui ero seduta, e mi raggiunse di buon umore. Quello che mi era sempre piaciuto di Trenton era che non si arrabbiava mai. Aveva sempre un’espressione così pacifica, soprattutto quando era al mare.
Quando fu davanti a me scosse la testa nella mia direzione inondandomi di goccioline.
Mi parai con un braccio ridendo:«Che scemo!»
In tutta risposta latrò, come un lupo, e si sedette accanto a me asciugandosi la testa mentre tornavo a fissare il tramonto. Erano quasi le sei, e questo significava che sarei dovuta tornare a casa prima di quanto volessi. Ripensai all’espressione truce del mio nuovo fratellastro – be’, nuovo per modo di dire – e storsi le labbra. Chissà come se l’era cavata papà. Forse non sarei dovuta stare via tanto a lungo.. Eppure l’idea di rientrare non mi allettava nemmeno un po’. A parte per quella piccoletta così carina, magari.
«Allora, hai intenzione di parlarmi dell’argomento che hai evitato tutto il giorno?» disse Trenton.
Spostai la testa verso di lui colta di sorpresa. Mi guardava con un sorriso amichevole e comprensivo. Non ero stata molto disinvolta nell’eludere la questione, a quanto pareva..
Alzai le spalle tornando a guardare avanti:«Che dovrei dire?»
«Be’ per esempio qualcosa a proposito di un certo fratello maggiore venuto dal passato..» rise con leggerezza.
Inarcai un sopracciglio verso di lui.
«Proprio un bel tipo» dissi sarcastica.
Trenton non perse il suo buon umore:«A me è sembrato abbastanza.. Controllato, diciamo, nelle reazioni, composto ecco.. Ma un bravo ragazzo.»
Già, è vero, si erano conosciuti il giorno prima.
«Forse..» mi limitai a dire incerta. Poi lo guardai pensosa:«Che ne dice il branco della famiglia Cullen + appendice?»
Voltò il busto nella mia direzione, appoggiandosi ad un gomito per tenersi su:«I Quileute sono molto alla mano. Jaxen deve aver blaterato per ore ma era abbastanza sicuro che l’alfa, Jacob, si sia perso un bel po’ di parole per tenere d’occhio Renesmee. È la prima volta che vediamo un imprinting, dal vivo..»
Quella era una delle parole che m’infastidiva di più. Arricciai le labbra per un nanosecondo sperando che non si accorgesse della mia reazione. Sentendo Trenton esitare per un attimo, guardando altrove, capii che non c’ero riuscita. Bene.
«Seth, il più giovane, ha l’aria davvero in gamba.. Ha bersagliato Makeda di domande, penso che l’abbia preso davvero in simpatia.» riprese subito dopo, coprendo quegli attimi di silenzio «Sua sorella Leah mi è parsa un po’ diffidente ma da quello che ha detto Kala era solo un po’ a disagio. È rimasta a dormire da noi e penso che abbiamo cominciato a chiacchierare con lei e Josie.. Sono abbastanza sicura che resterà anche stanotte o per qualche giorno..»
«Buono. E l’allegra famiglia felice? Qual è la sua analisi dottore?» domandai ironica, puntando gli occhi verso il sole che spariva all’orizzonte.
«Sono.. ben assortiti, e bevono sangue animale come voi. Ho parlato più che altro con Jasper, quello biondo pieno di cicatrici..»
«Ah sì, Frankenstein.» dissi tra me e me annuendo.
«Lui!» rispose accennando una risata «Mi ha raccontato che ha combattuto per anni con eserciti di neonati al Sud, motivo per cui ha tutti quei segni. Dev’essere un ottimo combattente se è sopravvissuto.. Lui e la sua ragazza hanno l’aria simpatica. Sono sicuro che quella specie di modella con la puzza sotto la naso ci trova irritanto, ma il suo fidanzato ha tutta l’aria di essere uno che sa come divertirsi. E non mi è sembrava male nemmeno tua..Cognata, Bella.»
«Oh sì, lei non mi ha incenerita con lo sguardo come suo marito..» borbottai sarcastica.
«Davvero?» domandò divertito «Immagino dipenda da quello che hai pensato. Legge nel pensiero, lo sapevi? Da brividi..»
«L’ho scoperto, sì.» feci alzando gli occhi al ricordo.
Trenton scoppiò a ridere poi mi scompigliò i capelli. Avvampai per un nano secondo, sperando che non se ne accorgesse.
«Gli piacerai, deve solo conoscerti..»
«Uhm be’..» farfugliai incerta cercando di guardare altrove per non incrociare la traiettoria degli occhi di Trenton «Non sono sicura che m’interessi..»
«Che intendi dire?» domandò sereno, ma incuriosito.
«Be’..» e come glielo spiegavo se non lo sapevo nemmeno io? «Non ci ho pensato molto, a dire la verità..  Non so cosa pensare di questa situazione. Insomma: questo cosa significa? Come saranno i loro rapporti in futuro? Dovrei farmi chiamare zia da sua figlia?»
Sospirai  pesando alle assurdità che stavo dicendo. Trenton invece mi guardava comprensivo:«Non penso che tu debba deciderlo ora. E non dev’essere per forza tua fratello, se non vorrai. Io ti direi di dare tempo al tempo. Anche lui sicuramente sarà scioccato quanto te e tuo padre.. Vivila senza rifletterci troppo e fai quello che ti senti; è la scelta giusta..»
Feci un mezzo sorriso nella sua direzione, ma guardandolo così calmo e positivo mi riempì di un senso di pace incredibile.
«Grazie Trent..»
«Ma ti pare, piccola..» disse, allungandosi a darmi un bacio sulla guancia.
Dal punto in cui le sue labbra mi avevano sfiorata si irradiò un lampo di calore che mi mandò a fuoco la faccia.
Oddio Izzy, piantala di arrossire come una bambina!
Quando incrociai il suo sguardo, così vicino a me il battito del mio cuore prese il volo. Ero persa nel buio brillante della sue iridi grandi come crateri.
Impercettibilmente lo avvertii irrigidirsi e con un movimento fulmineo si allontanò, a disagio.
Inclinai la testa per nasconderla tra ciuffi di capelli ed alzai gli occhi al cielo: c’eravamo di nuovo. Conoscevo l’antifona del branco, non c’era molto da dire.
Si alzò in piedi e mi mostrò un sorriso, troppo tirato per essere davvero reale:«Allora, sei pronta per tornare a casa?»
Sbuffai:«No, ma ci andremo comunque, vero?»
Rise porgendomi una mano:«Certo. Non vorrai lasciare Jax senza moto. Sta per uscire da lavoro..»
Sospirai e radunando le nostre cose ci dirigemmo verso il punto in cui avevo lasciato la Yamaha. Accordandoci per ritrovarci davanti all’officina di Jax, Trenton raggiunse il punto in cui aveva parcheggiato ed io, zainetto improvvisato in spalla, sgusciai via tra le strade di San Francisco.
Quando arrivai all’officina c’era Jax seduto su un paletto di cemento in attesa.
«Scusa Jax, è molto che aspetti?»
«Nah » si spinse in avanti col busto per alzarsi «Sono uscito dieci minuti fa, non avevamo molto da fare oggi.»
«Il traffico era terribile, ho cercato di tagliare.. Trenton dovrebbe arrivare a momenti credo.»
«Vuoi aspettarlo o mi dai tu un passaggio a casa?» chiese distratto, passandosi un mano sulla faccia. Aveva un’espressione assonnata.
«Posso aspettarlo qui, così te ne  puoi andare a casa e buttarti sul divano..» risposi con un sorriso «Sei stato già troppo gentile!»
Alzò le spalle tranquillo:«Figurati.. Come preferisci.»
Scesi dalla moto e gli allungai le chiavi. Lui le afferrò e mi diede un buffetto sulla testa poi saltò in sella girando le chiavi.
«Allora a presto Izzy» disse al di sopra del rombo del motore. Feci un cenno di saluto con la mano mentre partiva a tutta velocità verso casa.
Mi appoggiai al paletto ed attesi, sperando che Trent non fosse rimasto imbottigliato nel traffico.
Chissà come sarebbe stata la situazione a casa.. C’erano tante stanze, ma non ero mai stata abituata a vivere con tante persone; eravamo sempre io e papà, a volte Ashley. Per brevi periodi veniva anche Dawn, ma dieci persone in più erano un aumento considerevole. Cos’era successo mentre ero stata via? Mi sentii in colpa ad aver lasciato mio padre solo.. Sapevo che era in grado di cavarsela in molte situazioni, io di sicuro non avevo ereditato la sua calma zen. Ma il mio fratellastro cosa pensava di tutto questo?
Scossi la testa: avrei dovuto fare come aveva detto Trenton immagino, vivere le cose e prenderle come venivano.. Facile a dirsi..
Mentre riflettevo una folata di vento mi solleticò le narici portando con sé odore di bistecca, maionese e patatine fritte. Il mio stomaco brontolò sonoramente in risposta.
Non erano nemmeno le sette, ma avevamo pranzato abbastanza presto, e non avevamo fatto spuntini durante tutto il giorno.. Mio padre di sicuro si era dimenticato di riempire il frigor – tipico suo – e la voglia di cucinare era raso zero. Magari scroccavo a Makeda un posto a tavola insieme al branco.
Il branco.
Un’idea passò fulminea attraverso il mio cervello, nello stesso momento in cui sentii il ringhio del motore di Trenton sempre più forte.
«Jaxen?» mi chiese, con la Suzuki ancora in moto.
«L’ho lasciato andare a casa» dissi alzando appena la voce al di sopra del rombo.
Lui annuì facendo un cenno col capo verso sella dietro di lui ma alzandomi esitai.
«Ehi Trent mi faresti un favore?»
«Certo..» rispose subito mettendosi in attesa.
«Possiamo fare una deviazione prima di tornare a casa? Be’ è quasi di strada..» dissi pensosa.
«Che hai in mente?» domandò con un piccolo sorriso curioso.
«Ho pensato che.. Sarebbe carino se comprassi la cena. In fondo non tutti i miei ospiti sono vampiri e mio padre di sicuro non ha fatto spesa. Quindi magari..» spiegai incerta.
«Ottima idea! » m’interruppe illuminandosi «Salta su! Pensavi da Little Ceasar’s o..?»
«Five Guy’s Burgers» risposi appoggiandomi alle sue spalle per tirarmi su, a cavallo del sellino.
«Si parte!» annunciò allegro scattando a razzo sulla strada.
Ci mettemmo, come al solito, meno tempo di quanto ce ne volesse, facendo gincane folli tra le macchine. Trenton era meno spericolato di Jaxen, perlomeno, ma per me era divertente così. Amavo andare in moto.
Naturalmente, quando arrivai mi resi conto di aver lasciato in valigia il portafoglio. Come un’idiota ero rimasta a frugare tra le mie tasche e lo zainetto quando Trenton – ridendo e scuotendo la testa  -  non passò avanti offrendosi di pagare.
Lo ringraziai, infilammo vari sacchetti ben chiusi dentro il mio e il suo zainetto – mi tenni alle maniglie posteriori per non schiacciare nulla – ed arrivammo a pacifica nel giro di un quarto d’ora. Dovemmo prendere il sentiero laterale che avevo fatto con mia madre, per risalire in moto, ma con Trenton che piegava come su una pista da gara, arrivammo a destinazione con il cibo ancora fumante.
Non appena sbucammo da sentiero si fermò per farmi scendere e darmi la sua metà degli hamburger. Sotto al portico c’era mio padre, seduto in contemplazione mentre un vampiro biondo che non avevo mai visto muoveva le labbra lentamente di fianco a lui. Doveva essere il capo famiglia, il marito di mamma chioccia, alla sua destra, Esme. La moglie di mio fratello era sull’erba insieme a Renesmee, Edward junior – con una pessima cera - , il mutaforma con l’imprinting e un altro ragazzo con la pelle dello stesso colore della sua. Probabilmente Seth. La trilli formato vampira se ne stava seduta vicino alle grondai del secondo piano, piuttosto annoiata. Messa lassù sembrava proprio una fatina. Nessun segno di Barbie, Craven-boy e il Bodybuilder.
Vidi gli occhi di mia padre animarsi verso di me quando mi vide; eppure sembrava pensoso.
«Isobelle..» mi salutò, e finalmente fece un sorriso, più debole del solito, ma avrei osato dire sollevato. I suoi occhi andarono verso Trenton e gli fece un affabile cenno col capo.
«Grazie per averle dato un passaggio.»
«È un piacere. Vi auguro una buona serata!» disse Trenton sventolando appena un braccio. Poi mi guardò, sorridente – un sorriso dolce, come i suoi occhi – e mi pose una mano su una spalla, incoraggiante:«Sii te stessa e non preoccuparti ok?»
«Ma certo..» mormorai, ricambiando il sorriso mio malgrado.
Detto questo balzò in moto e seguendo la linea degli alberi s’infilò per un sentiero come un pazzo.
Armata delle mie due enormi sporte straripanti di hamburger, hot dog e patatine fritte mi avvicinai al gruppetto, sentendomi goffa. Alice, scese con un salto e si trovò a pochi metri.
Grazie al cielo, mentre camminavo mio padre scattò in piedi e fu vicino a Bella in un lampo. Renesmee mi sorrise automaticamente e mi sentii subito più tranquilla.
«Tesoro hai fatto scorte? Vuoi una mano?» disse subito mio padre.
Scossi la testa e diedi uno sguardo verso lo spilungone e il ragazzetto indiani in segno di saluto:«Ciao a tutti.. Tu devi essere Seth.»
«E tu Izzy.» ribatté pronto con un sorriso allegro. Sembrava la versione più giovane ed indiana di Trenton per la positività.
«Hai fatto centro..» disse facendo un piccolo sorriso. Alzai le sporte verso di loro:«Ho pensato che aveste fame e.. Visto che dovevo cenare anch’io.. »
Entrambi sorrisero, insieme a Bella e mio padre s’illuminò.
«Be’ grazie mille.. » disse Jacob ricambiando il sorriso. Il suo compagno si massaggiò la pancia sporgendo il collo verso le sporte:«Mmm che profumino.. Sei gentilissima!»
«Ci sono un po’ di Hamburger, Cheeseburger, Baconburger, Hotdog e patatine. Non sapevo cosa vi piacesse. E conosco l’appetito del branco..» ribattei contagiata dal suo buon umore. Entrambi risero.
«Grazie Izzy, ci hai risparmiato un viaggio in pizzeria.. Ho dimenticato di fare la spesa.» fece mio padre, ritrovando un po’ della sua ironia.
«Ovviamente..» ribadii scherzosa, alzando gli occhi al cielo.
Ridacchiò scrollando le spalle mentre mio fratello, che non aveva spiaccicato una parola, ci guardava inespressivo.
Un sorriso no, ogni tanto?
Nel momento in cui finii di pensarlo mi ricordai che poteva leggermi nei pensieri e probabilmente le mie guancie si tinsero appena di rosa.
Ma porc..
Perlomeno riuscì ad accennare un microscopico sorriso, guardando nella mia direzione. Si spense a breve, quando distolse lo sguardo e si mise a fissare sua figlia pensoso. Renesmee aveva guardato prima me – con un sorriso smagliante – poi suo padre, mettendole una manina sulla guancia, nonostante fosse del tutto superfluo. Chissà cosa le stava mostrando..
«Lascia che porti i sacchetti dentro..» disse mio padre allegramente togliendomi in un secondo le  borse dalle mani. Lui e la sua cavalleria.
Lanciò una rapida occhiata al mio abbigliamento con aria incuriosita:«E quel costume da dove sbuca?»
Mi guardai la maglietta bianca corta – aveva una bella chiazza d’acqua al centro – sotto la quale s’intravedevano i disegni multicolor del top che al mio arrivo non avevo.
«.. È il modello Madagascar Paisley Bandeau, di Tina Turk! » sentii sussurrare con entusiasmo dalla folletta. La intravidi borbottare con gli occhi luccicanti all’orecchio di Esme. Be’, come darle torto? Adoravo quel costume..
«Sono stata a trovare Trenton a lavoro.»
«E siete andati al mare tutto il pomeriggio..» concluse, sapendo bene delle nostre abitudini del lunedì pomeriggio.
 «Sì. Solo che non avevo nulla con me. Tyler ha insistito per regalarmi un costume da bagno..»
«Generoso da parte sua..» borbottò con aria sospettosa.
Gli mostrai i denti con un sorrisone furbesco:«Faccio questo effetto sugli uomini.»
Udii la risata divertita di Renesmee, seguita da altri scampanellii vampireschi. Mio fratello muto come una tomba. Che allegria.
Magari mi stava fulminando con lo sguardo, meglio non controllare..
Mio padre alzò gli occhi al cielo:«Queste cose preferirei non saperle..»
In quel momento mi tornò in mente una cosa importante e mi sbattei una mano sulla fronte «Oh cazz – Papà, dobbiamo restituire i soldi a Trenton, avevo dimenticato il portafoglio..»
«Eeehi.» ribadì lanciandomi un’occhiata eloquente «Moderiamo i termini signorina..»
Sbuffai, ma feci per seguirlo insieme agli altri mentre s’incamminava. Guardai Renesmee, mano nella mano con Bella e le strizzai un occhio:«Tu mangi?»
La bambina arricciò le labbra in una smorfia piena di fossette adorabili e scosse la testa.
Inarcai un sopracciglio con un sorriso:«No? Non vuoi assaggiare?»
Storse la bocca indecisa ed io alzai le spalle:«Prima o poi dovra provare i muffins e i cookies di Dawn e sono sicura che cambierai idea. È così che ho cominciato a mangiare cibo.»
Oh sì. Nessuno cucinava bene come lei. Mia madre era andata letteralmente fuori di testa all’idea che rifiutassi qualsiasi cosa. Poi un giorno Dawn, a soli 10 anni preparò i muffins insieme a lei e me ne porse uno: me ne innamorati perdutamente.
Feci appena in tempo a vedere Bella ed Edward scambiarsi uno sguardo pieno di parole prima che lo distogliessero e che Bella non s’incamminasse dietro Jacob con sua figlia. Il mio fratellastro era rimasto indietro e mi studiava con aria seria. Oh Gesù. E ora che cos’altro c’era?
Mi sentii un po’ intimidita. Ma lo vidi fare una minuscola smorfia beffarda mentre lo pensavo.
Tanto peggio non poteva andare quindi tentai.
Non volevo dirtelo così, senza preparazione. Ma sembri un serial killer, pensai, aprendo un canale di comunicazione mentale. Mi focalizzai su alcune delle espressioni perse nei miei ricordi di quel primo incontro.
Perlomeno ridacchiò debolmente.
Per quanto ne sai, potrei esserlo stato negli ultimi novant’anni.
Sempre più inquietante.
Vero.
Non ce l’ho con te, pensò rifacendosi improvvisamente serio, mia figlia pensa che sia stato scortese, così ho pensato dovessi dirtelo.
Non posso darle torto, ribattei un filo sarcastica.
Annuì alzando gli occhi al cielo – ricordandomi toppo mio padre -  poi mi porse la mano, un po’ rigido:«Non ho ringraziato per l’ospitalità» accennò un sorriso cortese«Sono Edward.»
La strinsi perplessa, annuendo a mia volta, sentendo gli altri sbirciarsi alle spalle e rallentare il passo.
Tu sei decisamente bipolare Edward.
Dandomi le spalle per raggiungere sua moglie lo sentii ridere, mentre seguivo la scia di hamburger e patatine con lo stomaco in subbuglio.
 
 
Flashforward

Con pochi, rapidi movimenti, passando dalla forma umana a quella lupesca ad intermittenza – così veloce da sembrare sdoppiata – Ashley aveva smembrato il corpo di quel vampiro mai visto.
In pochi secondi gli arti erano volati via dal busto, che era rimasto solo un plastico di marmo. Letale, aveva strappato via testa dal collo, come se lo avesse strozzato con troppa foga.
Rimasi a guardarla di stucco, pietrificata insieme agli altri: Ashley aveva appena divelto il capo di un vampiro, e lo aveva fatto quasi interamente in forma umana
Ora ci guardava, con un’espressione tra l’annoiato ed il serio, tenendo per il capelli la testa, rivolta verso di noi con uno sguardo di terrore scolpito negli ultimi attimi di vita.
«È amico vostro?»
Stupefatta, come tutti gli altri, scossi la testa e guardai Jacob sgranare gli occhi e poi scambiarsi un’occhiata con Seth. Mio marito sembrò molto impressionato, ma rimaneva calmo ed immobile.
Avevo ragione: quella donna era davvero inquietante..
Ashley si voltò, gettando il cranio insieme agli altri pezzi. Fece per tirare fuori l’accendino quando un lampo di fuoco illuminò i resti accatastati come una pira, bruciandoli all’istante.
Ci voltammo tutti verso la direzione da cui era partito e vedemmo Joana Finch con una mano tesa in avanti.
Con la solita espressione accigliata, e profondamente seria scrutò Ashley:«Quel vampiro è il primo di una lunga serie. Abbiamo un problema.»

 



Ps. Ho lasciato in sospeso ciò che succede mentre Izzy è via, ma lo recupererò con un flashback prossimamente, dove si parlerà di Joana e si capirà di più anche sulla Dawn che spesso viene nominata. 

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Capitolo 15
*** Izzy ***


Cap.14
 
Izzy


̴ E.C.

 
Guardavo mia figlia con le labbra dischiuse e le dita attorno alla federa del cuscino; la sentivo respirare appena e vedevo sfilare davanti agli occhi immagini vivide dei suoi sogni. Pensai che, se quella notte avessi potuto scivolare in un sonno profondo, lo avrei fatto senza rifletterci sopra un istante.
Troppi pensieri tormentavano la mia mente, troppe frasi interrotte, sentite qua e là senza che potessi davvero metterle insieme.
Ci stavano nascondendo qualcosa e il loro sentore che la mia famiglia, che Bella e Renesmee potessero correre qualche pericolo, mi rendeva ansioso. Incapace di qualsiasi concentrazione.
Bella sembrava, come al solito, terribilmente ottimista in merito. Aveva parlato con mio padre, mi raccontò quella notte, ed erano emerse informazioni interessanti sulla sua amicizia con Ashley. Tuttavia, in fondo, non mi stupii della vicenda che li legava: dal primo sguardo, dal modo in cui si proteggevano con i loro pensieri,avevo capito che si conoscevano da più di una vita umana.
Era una donna senza dubbio singolare, ma, per qualche ragione a me sconosciuta, mi parve degna di fiducia e pericolosa allo stesso tempo. Quando c’era lei in circolazione mio padre sembrava molto più a suo agio di quanto non lo fosse da solo. Come se il suo organismo si ritenesse incompleto senza di lei. Mi ricordò la sensazione che provai quando – ricordavo ancora con incontenibile orrore quel periodo della mia vita – mi allontanai da Bella dicendole di non amarla. Fu paragonabile al sentirmi sradicare metà di me stesso dal resto del corpo, dilaniato ed inutile. Quella insospettabile somiglianza mi rese inquieto e sorprendentemente teso, ma nello stesso momento, un frammento di umano amore figliale, che pensavo fosse andato perduto, risuonò sollevato per poi venire soffocato dal sospetto. Anche il professato amore per mia madre di cui aveva parlato con Bella -  l’unico vero amore della sua vita, aveva sentenziato – scatenò le medesime, contraddittorie sensazioni.
Secondo Bella il rapporto che c’era tra Ashley e mio padre poteva essere paragonato a quello che c’era stato tra lei e Jacob quando me n’ero andato: come se in qualche modo la ferita mai rimarginata nel cuore di mio padre potesse essere riempita da un nuovo sole, un appoggio, una stampella che col tempo aveva sopperito ad una mancanza. E, confrontando le due metà di racconto che mia moglie aveva avuto modo di ascoltare, sembrava una necessità reciproca.
Non seppi cosa pensare, né cosa rispondere, dunque ne presi semplicemente atto. Quell’attesa mi rendeva paranoico e immotivatamente apprensivo. Eppure una parte di me, quella che avrebbe dato tutto l’oro del mondo per leggere i pensieri di Bella, qualche volta, era certa che mia moglie non mi avesse detto tutto.
C’erano decisamente troppi misteri che disturbavano il mio temperamento burrascoso, ma quando l’alba arrivò fummo occupati da ben altri, materiali, fastidiosissimi pensieri.

 
 ̴ B
La notte spesa in chiacchiere, di fronte alla maschera di tensione e modica comprensione di mio marito, fu il preludio di un “risveglio” catastrofico.
A quanto pare le piogge del giorno successivo e precedente al nostro arrivo avevano cominciato a danneggiare l’impianto elettrico mai revisionato della nostra abitazione estiva.
Carlisle l’aveva scelta per il suo essere isolata ed ampia, ma proprio per la sua immersione nel totale verde era rimasta sfitta per decenni.  Nel tentativo di cercare di sistemarlo avevamo perso tempo e non ci eravamo presentati all’orario stabilito. Cercai di convincere Edward ad andare – nessuno a parte Rosalie e forse Jacob avrebbe potuto essere davvero d’aiuto per sistemarlo  - ma lui si rifiutò di incontrare suo padre senza la famiglia. Il sospetto che ci fosse una notizia pericolosa ad attenderlo lo aveva reso ansioso per tutto il tempo.
Quando fu chiaro che non saremmo riusciti a risolverlo nel giro di poco tempo, decidemmo di avviarci a casa Masen, in ritardo di due ore e mezza. Alice, che era andata a caccia all’alba, insieme a Jasper, rientrò saltellante poco prima che partissimo, annunciando che il guasto sarebbe stato risolto nel giro di due giorni – anche meno se Emmett e Jasper avrebbero aiutato Rose – e che ci vedeva ospiti dal padre di Edward Masen per un po’, anche se l’immagine sparì all’istante: secondo Alice questo dipendeva dal fatto che anche Jacob, Seth e Leah sarebbero venuto con noi. Se infatti per noi vampiri non era indispensabile usare gli elettrodomestici (malgrado la televisione, lo stereo e tutti gli aggeggi che le mie cognate usavano per torturarmi i capelli), per i tre Quileute era naturalmente necessario. Di sicuro, Seth, che aveva fissato degli appuntamenti in giornata per guardare un paio di college in California e sarebbe rientrato la sera stessa, non avrebbe avuto problemi a dormire in una casa piena di vampiri. Com’era chiaro invece, Leah, che si era già rifiutata di dormire a casa nostra (e se Ashley non l’avesse ospitata, avrebbe dormito di fuori sottoforma di lupa) sarebbe stata un’altra storia. Era rimasta poche ore sotto lo stesso tetto del branco e poi era ripartita all’alba per raggiungere lo Utah di corsa – ad una velocità umana ci sarebbero volute almeno sette ore – e terminare l’ultimo giorno di lavoro.
Altrettanto ovvia fu la riluttanza da parte di Edward nel chiedere un favore a suo padre. All’inizio si limitò a chiedere a sua sorella, impaziente, di vedere le sorti di quell’incontro, ma ne rimase molto deluso: a quanto pareva nella mente di Alice vorticavano immagini confuse che sembravano girare intorno alla stessa figura vampiresca di cui mi aveva parlato mio marito; le fotografie sfuocate del futuro ad un certo punto tendevano inevitabilmente a sparire. Pensai a quello che avevo sentito su Joana, ed immaginai una donna dai capelli rossi  e gli occhi dorati volteggiare con grazia; il secondo scenario la vedeva a terra, umana in un lago di sangue. Rabbrividii all’idea che il secondo potesse essere quello esatto. Come mai, però, le immagini si eclissavano? Era solo per i mutaforma?
Così, armati di mille domande, reticenza e  bagagli a mano, io, Esme, Emmett, Rose, Alice, Jasper, Jacob e Renesmee – Carlisle era dovuto precipitarsi a lavoro -  raggiungemmo la villetta di Edward senior e lo trovammo seduto insieme ad Ashley su una sedia di plastica. Quando arrivammo  gli aveva poggiato una mano sul polso e lo aveva guardato in segno di incoraggiamento, al quale aveva risposto con un piccolo sorriso speranzoso.
«Siamo terribilmente spiacenti.» cominciò mio marito in tono piatto «L’impianto elettrico della casa ha subito un grave guasto e abbiamo cercato di aggiustarlo ma pare ci vorrà qualche giorno.. Ci chiedevamo..»
«Può ospitarci per un paio di notti signor Masen? Nel giro di due giorni Rose, Jazz ed Emmett ripareranno il danno, glielo assicuro» intervenne Alice impaziente, strizzando un occhio. Mio marito la fulminò con lo sguardo, ma Edward Masen ne sembrò molto lieto. Nervosamente, lieto..
Vidi mio marito aggrottare la fronte fissando suo padre, ed immaginai che avesse letto un pensiero che non voleva leggere.
«Certamente..» disse suo padre per poi indicare il piano di sopra «C’è una stanza per gli ospiti al secondo piano e la mia stanza da letto; c’è una sala con un divano letto sopra il garage della dependance. E se non vi dispiace, in mansarda c’è una sala relax con delle chaises longues..»
«Qualsiasi posto andrà bene. » intervenne dolcemente Esme con un sorriso «Non abbiamo necessità di dormire e non vogliamo arrecare troppo disturbo. Ci basterà un posto dove appoggiare temporaneamente le nostre cose, e per far riposare mia nipote e i nostri amici quileute..»
Rosalie si fece avanti seguita da Emmett e con aria di sufficienza annunciò che si sarebbe messa nella dependance. Sospettai che fosse per tenere alla larga l’odore di mutaforma il più possibile.
Senza aspettarsi risposta, con due balzi saltò sulla finestra e vi lasciò le sue cose, per poi ritornare a terra verso di noi. Molto probabilmente, anche se aveva l’aria di essere molto spaziosa, avrebbe fulminato chiunque avesse proposto di dividerla con loro, soprattutto la notte. Be’ come dargli torto, se avessimo potuto io ed Edward avremmo..
«Be’, due li abbiamo sistemati..» mormorò distratto Edward Masen «Venite, da questa parte.»
Gentilmente ci condusse al piano di sopra e ci indicò la sua stanza sulla destra e la stanza degli ospiti sulla sinistra. In mezzo c’era una porta semi aperta da cui s’intravedeva il bagno ed un’altra misteriosamente chiusa. Che fosse uno sgabuzzino? Aveva tutta l’aria di essere l’ingresso di una stanza, come tutte le altre..
Alice ci superò, raggiungendo la mansarda come se fosse stata in quella casa già svariate volte, decretando  che sarebbe stata la sistemazione temporanea di lei, Jasper, Carlisle ed Esme, mentre il letto della stanza degli ospiti – quella che nelle visioni ovviamente spariva -  nella quale c’era la possibilità di aggiungere una branda, sarebbe stata per Jacob e Seth. Sebbene le previsioni di Alice erano difficili da contraddire, i due amici erano parecchio dubbiosi per via di Leah: sapevo che Jacob sarebbe rimasto di buon grado accanto a Renesmee, e che Seth non aveva problemi a seguirlo, ma con sua sorella non sarebbe stato altrettanto facile. Fortunatamente Ashley propose di ospitarla di nuovo da lei e la questione fu risolta. Quando aprirono l’ampia stanza degli ospiti fummo sorpresi di non sentire nessun particolare odore vampiresco invadere le narici. Forse nessuno ci aveva messo piede da un po’. Eppure sembrava pulita e lucida come uno specchio.
Un altro bel mistero.
Quanto a me ed Edward, ci sistemammo nella camera di Edward senior. Nonostante insistemmo per appoggiare semplicemente le nostre cose e farci dormire solo Renesmee, non ci fu verso per fargli cambiare idea.
Concluso il tour del piano notte, ci riunimmo dove Ashley ci aspettava, seduta su una poltrona del salotto. Ci disponemmo tutto in cerchio, in attesa e la stanza si fece improvvisamente densa di tensione e curiosità.
Quando Edward Masen si parò davanti a noi e parlò, sentii mio marito irrigidirsi e schiudere le labbra.
«Speravo di avere più tempo, spiegarlo con calma ma, date le circostanze dovrò farlo subito.. Non so bene come dirvelo – e immagino che Edward lo stia vedendo ora nella mia testa – ma..»
«Hai una figlia.»
Ci voltammo verso Edward, che aveva interrotto suo padre con quelle tre semplici parole, tombali. Lo guardava con un misto di disapprovazione e sorpresa.
La prospettiva di passare un paio di giorni sotto lo stesso tetto ora rendeva la casa improvvisamente più stretta ed angusta di quanto non lo fosse mai stata.
«Era questo che mi tenevi nascosto.» riprese con la stessa freddezza.
Edward Masen tentò di fare un debole sorriso riparatore:«Mi sarebbe piaciuto spiegare tutto prima del suo arrivo ma temo di non potere. Sta per arrivare, è in anticipo, e.. Pensavo sareste arrivati due ore fa.» alzò le braccia parandosi con le mani, in segno di resa «Prometto di spiegarvi tutto. Quello che posso dirvi è che è un ibrido, proprio come Renesmee.»
Lo guardammo tutti sgranando gli occhi – tutti tranne mio marito, che lo scrutava teso e senza l’ombra di un sorriso – mentre Edward senior cercava di indorare la pillola.
«Ho incontrato una donna, una decina di anni fa. Una strega. » spiegò, guardando più che altro suo figlio nello stesso modo in cui si guarda un cane rabbioso che si cerca di calmare «Ci siamo innamorati, o almeno così credevamo.. Le cose.. Non sono andate bene tra noi..»
Di nuovo, l’eco delle parole di Ashley tornò a rimbombarmi in testa. Voleva forse dire che Joana era morta di parto?
Il momento che precedette la mia trasformazione si fece spazio occupando una vastissima parte della mia altrettanto vasta capacità di pensiero, e rabbrividii. Essendo un fenomeno tanto raro quanto impensabile – malgrado Nahuel e lo “scienziato” Joham – quasi nessuno sapeva cosa comportasse avere una relazione con un vampiro.
«È nata circa 6 anni e mezzo fa. La Congrega a cui apparteneva Joana disse che sarebbe stato un mostro da abbattere; Makeda invece ne sapeva di più e ci raccontò alcune leggende. Confermò che sarebbe arrivata a maturazione circa sette/nove anni dopo la nascita.» annuì a se stesso e inchiodò gli occhi, ancora ardenti, di mio marito «Abita qui, con me. Era a Sacramento, da sua madre. »
Spalancai la bocca sonoramente a quelle parole: quindi sua madre era viva? Dopotutto era una strega.. Allora la madre di questa misteriosa sorella, era una vampira?
Se vivevano in due case diverse allora questo voleva dire che..
“Non andò a finire bene tra loro…”
«Mi piacerebbe che.. Conoscessi la tua sorellastra. » continuò con debole convinzione «Anche lei lo ha saputo solo due giorni fa..»
Nessuno emise un fiato. Eravamo tutti scossi, ed incuriositi. Edward, naturalmente, più di tutti.
Era diventato di pietra, con le mani serrate in due pugni. Immobile come fosse un Gargoyle.
Suo padre, vistosamente a disagio, aprì la bocca per dire qualcosa ma dopo qualche secondo la richiuse.
Avevamo tutti mille altre domande, ma nessuno si arrischiò a parlare. Ero preoccupata per Edward, che fissava suo padre come se potesse incenerirlo con lo sguardo. Sembrò tradito, in qualche modo.
Eppure per una frazione di secondo, non potei fare a meno di immaginare come fosse. Aveva i capelli biondi come suo padre? Di che colore li aveva Joana? E i suoi occhi? Avrebbe avuto qualcosa di suo fratello?
Era lei che lo aveva cambiato così tanto? Ripensando alle parole di mio marito, sul suo ricordo sbiadito e sgradevole del padre in vita, e confrontandolo con l’immagine gioviale del vampiro che avevo conosciuto, forse non era un’idea così assurda.
Ma perché mentire su una cosa del genere?  C’era dell’altro? O era solo paura di una pessima reazione?
Mi sentii spezzata in due. Da una parte ero stranamente, o forse stupidamente, emozionata all’idea di conoscere un’altra effettiva, biologica parente di Edward. Qualcuno che avesse un qualche legame con la sua vita umana, anche se non ne aveva fatto parte. Dall’altra parte le domande irrisolte e tutta quella segretezza non mi piacque per niente.
In quel silenzio incessante, sentimmo appena il rombo di un motore, lontano, che si spegnava bruscamente. Doveva essere vicino, ma non così tanto.
Edward tentò un sorriso, rivolto a noi, che nessuno ricambiò:«Sono loro. Venite..»
Ci mettemmo un po’ a seguirlo fuori; Edward sembrava assolutamente paralizzato. Fu solo quando scambiò uno sguardo con il mio, preoccupato, che ci avviammo insieme. Mi accorsi poco dopo che solo io e lui avevamo proseguito insieme ad Edward senior, oltre il porticato porticato. Forse gli altri volevano lasciarci un po’ di privacy? Probabilmente avrei dovuto aspettare anch’io indietro.. Eppure la mano di Edward, come se avesse letto nei miei pensieri, sfiorò la mia. Era nervoso e contrariato. Ma forse un po’..curioso?
L’afferrai e la strinsi con solidarietà per un po’ poi la lasciai andare.
«Arriveranno da là, c’è un sentiero..» disse indicando un punto laterale della boscaglia, dal quale provenivano dei rumori sempre più frequenti di passi duplicati. Portammo tutti il volto in quella direzione e ci mettemmo in attesa.
Dopo qualche minuto, due donne apparvero sullo spiazzo trovandosi nove paia di occhi puntati addosso.
Mi aspettai che la somiglianza biologica e quella tra vampiri le accomunasse, mi aspettai di vedere due alte figure marmoree ed impeccabili. Con mia grande sorpresa –e non fui l’unica- non fu così.
Dopo il primo secondo, durante il quale la mia vista distingueva i particolari più ovvi, sentii quello che non credevo di sentire: non c’era solo un cuore, accelerato, come quello di Renesmee, a battere. Ce n’era anche un altro. Umano.
La figura più anziana non aveva nulla di sovrannaturale che potessi carpire. Era umana. Ed era viva.
Sgranai gli occhi: aveva partorito una mezza vampira, ed io sapevo cosa significava, lo ricordavo ancora bene. Avevano dovuto trasformarmi perché vivessi, perché le ossa e i tessuti spezzati si rigenerassero. Lei, a parte qualche evidente segno dell’età, sembrava normale. Era sopravvissuta in forma umana? O forse non era lei Joana? Era più plausibile, in effetti.. Ma chi era allora e che ci faceva lì?
Le guardai entrambe, con attenzione. Sembravano avere poco in comune. Una era alta e secca, ossuta, ma non in modo malato. Sembrò.. Fragile, delicata nei lineamenti, anche se aveva l’aria di avere circa quarant’anni. Aveva lunghi capelli color cannella che in molti tratti d’ombra si facevano rossicci; le sfioravano appena le scapole e sembravano irregolarmente mossi, alternandosi tra pseudo-boccoli e strane onde. Ci fissava, uno ad uno, in una posizione rigida e senza sorridere; gli occhi stretti quasi in due fessure. L’altra, la mezza vampira, era diversi centimetri più bassa e sembrava più piazzata, muscolosa. Malgrado non dimostrasse molto più di sedici anni, le sue curve sinuose erano già parecchio marcate – io sicuramente non avevo mai ereditato quelle linee del seno o del bacino da Renée: alla sua età era poco più piena di una tavola da surf. I suoi capelli, lunghi, forse fino a metà schiena, e molto mossi, erano di un colore indefinibile, quanto quello della madre, ma totalmente diverso: un biondo-rossiccio, più tendente all’arancione, probabilmente.
Inutile dire che fosse bellissima.
«Joana.»
Joana Finch. Era davvero lei.
Allora non era una vampira. Era sopravvissuta.  
Non era possibile, lo sapevo,  - credevo di saperlo - ma era tutto davanti a me. Ci eravamo sbagliati allora? Ero io ad essere stata troppo debole, o avevamo usato l’approccio sbagliato? Era sopravvissuta davvero da umana?
Edward Masen aveva pronunciato quel nome con aria neutrale, ma si avvertiva bene una certa tensione sottotante. Più che amichevole o educato sembrava forzatamente piatto. Con la coda dell’occhio vidi che le face un cenno con la testa.  La donna ricambiò annuendo con la stessa aria innaturale. Sembrò irritata.
Ci aveva fatto capire che le cose tra loro si erano messe male, ma non pensavo fossero rimasti così poco idilliaci..
Sentii un sospiro lontano, quasi impercettibile e subito lo associai alla mezza vampira. Mentre passava velocemente in rassegna la fila di vampiri in lontananza, aveva un’espressione indecifrabile – quasi indifferente?- e quando posò lo sguardo su di me, si trattenne più a lungo. Ero curiosa di sapere cosa pensasse Edward e posai lo sguardo verso di lui. Aveva gli occhi fissi sulla ragazza ma non  riuscivo a capire l’emozione dentro la sua maschera statuaria. Che fosse teso e cupo, era abbastanza ovvio.
Riportai gli occhi avanti ma  vidi la mezza vampira girata di spalle verso sua madre, che sembrava fissarla con grande attenzione e serietà. Mosse le labbra per darle raccomandazioni e poi la baciò in fronte con uno sguardo improvvisamente addolcito. Quando alzò la testa la sua espressione era tornata severa, squadrando un’ultima volta la famiglia Cullen sotto al portico. Che strano, era come vedere due persone che si alternavano di personalità.
Si soffermò verso l’angolo sinistro con la stessa asprezza. Con la coda dell’occhio individuai la figura di Ashley appoggiata ad una colonna a braccia conserte, che come al solito se ne stava in disparte ad osservare e monitorare la situazione. 
La salutò garbatamente ma moderatamente. In tutta risposta la donna  fece un cenno di saluto brusco sollevando appena il mento, e, dopo aver sventolato seccamente una mano verso di noi, si voltò e sparì a gran passi dietro al folto degli alberi, lasciando la mezza vampira sola.
La ragazzina in questione sembrò esitante mentre sbirciava verso il punto in cui Joana Finch se n’era andata, ma la vidi sorridere all’istante, guardando verso quello che, ne ero sicura, era il sorriso di suo padre. Con un paio di balzi da vampira si librò nell’aria e si catapultò verso di lui, che l’afferrò per i fianchi e poi la lasciò poggiare delicatamente i piedi per terra.
Li sentii ridere mentre la sua chioma folta affondava contro il petto di Edward Masen, che aveva già le braccia pronte ad avvolgerla. La sua espressione era beata e luminosa come quel mattino in cui aveva visto Edward decidere di fargli visita mentre lavorava in dependance.
Quando lo sentii darle il bentornata stampandole un bacio sulla testa – nello stesso affettuoso modo in cui Edward dava la buonanotte a Renesmee – non potei fare a meno di provare tenerezza.
Attenta a non fare nessun movimento brusco guardai di sbieco mio marito, che li osservava con un misto di apatia e confusione in viso. La notizia di avere una sorella lo aveva sconvolto, era evidente, ma non fui del tutto sicura che fosse solo questo. Mentre guardava, con gli occhi persi nel vuoto, la chioma fiammeggiante della mezza vampira mi chiesi se non sentisse un po’ di amarezza. Il padre, che in vita aveva dedicato così poche attenzioni alla famiglia poteva essere davvero la stessa persona che scompigliava i capelli di sua figlia e scioglieva l’abbraccio con dolcezza, mentre faceva un cenno nella nostra direzione? Non lo credei possibile, e forse nemmeno Edward. Era teso, e i suoi occhi s’inchiodarono automaticamente su quelli della sorellastra.
Da così vicino scorgevo tratti nuovi di quella figura adolescenziale misteriosa. Era molto difficile fare un paragone con un’età umana: se mi era sembrata una sedicenne da lontano, ora vacillava tra i quindici ed i diciotto. Il volto era la copia sputata di quello di Edward senior, ad eccezione fatta per la rotondità più infantile. Pure i capelli, che da una certa angolatura brillavano più accesi del bronzo, avevano qualcosa di quel biondo cenere del padre. Gli occhi però, piccoli ma intensi, dovevano essere della madre; d’ambra ma con miscelature verdognole che brillavano al sole come smeraldi. Sembrava nervosa, e non sorrideva granché mentre cercava di evitare lo sguardo di fuoco di mio marito… Che inaspettatamente fece un sorriso piccolo, ma spontaneo. Ormai conoscevo Edward: sicuramente qualcuno aveva pensato qualcosa di buffo. Quando, mentre la ragazza osservava rapidamente gli altri, sentii Edward trattenere a stento una, seppur spenta, sincera risata, ne fui sicura. Incrociai il suo sguardo, che stava cautamente puntando a terra, nella speranza di non tradirsi,  e scosse appena la testa.  
Edward Masen – che alla presenza della ragazza era tornato di buon umore -  era impaziente di presentarci sua figlia, che restava sempre con quell’espressione difficile da decifrare. Sembrava neutrale, ma nervosa. Come qualcuno che non ama essere al centro dell’attenzione. Sospirai: la capivo perfettamente.
«Famiglia Cullen, Edward: vi presento mia figlia, Isobelle.»
La mia testa scattò automaticamente verso la sua, che già aveva intercettato il mio sguardo, annuendo con un sorriso.
«Bella..Come “Isabella”?»
«Esatto».
Notai l’ombra di una risata sulle sue labbra, come se si fosse ricordato qualcosa di divertente. Lo osservai confusa ma la sua espressione enigmatica rimase a sostenere il mio sguardo con aria beffarda, senza aggiungere nulla..
Ora capii la sua reazione ambigua di quando ci eravamo presentati, al nostro primo incontro.
Sorrisi divertita da quella coincidenza,mentre Isobelle guardava suo padre di sottecchi incuriosita.
«Isobelle, questa è Isabella » annunciò ironico. Emmett dall’angolino ridacchiò alzando gli occhi al cielo.
La mia quasi omonima non parve convinta così mi affrettai ad allungare la mano nella sua direzione. Non doveva essere semplice neppure per lei. Edward on era l’unico ad aver ricevuto una notizia shock dopotutto..
«Bella» corressi  cercando di mostrarmi amichevole. In tralice lanciai un’occhiata verso mio marito sperando che facesse lo stesso. Ma lui non disse nulla, osservando la mia mano muoversi, apatico.
Un istante dopo, come risvegliato da un coma, la sua fronte si era aggrottata e il suo sguardo aveva incatenato quello di Isobelle.
«Izzy» borbottò lei liberandosi di buon grado dalla presa dei suoi occhi e stringendomi la mano. Sospirò, come se stesse pensando qualcosa tra sé e sé. Le labbra le si mossero appena, mute.  Probabilmente imprecazioni..
Dietro di noi Alice ed Esme risero in sincrono, divertite dal nostro modo complementare di abbreviare i nomi. Mi sentii avvolgere da un senso di rilassatezza e tranquillità, come se il suono di quelle risate avesse acceso in me il buon umore. A meno che..
Guardando di sottecchi Edward, che scrutava Jasper leggermente irritato, immaginai che tutto questo fosse opera sua. Era chiaro.
«Come ti ho anticipato, questa è Renesmee.. Un ibrido come te.»
A queste parole, pronunciate da Edward Masen, mi voltai di nuovo verso mia figlia che, rannicchiata tra Jacob ed Esme, stava guardando Isobelle, nel suo perfetto sorriso smagliante.
«Oh no» disse subito Izzy scuotendo la testa con un mezzo sorriso.
Per una frazione di secondo, prima che terminasse la frase, sentii una strana rabbia infantile risalirmi dai piedi alla schiena. Com’era concepibile non trovare Renesmee più che straordinaria? Mi sentii come la più sciocca delle madri. E anche parecchio stupida.  Diventare madre mi aveva fatto perdere la testa..
 «..Io non ero decisamente così carina alla sua età.» concluse sorridendole nello stesso modo luminoso di suo padre.
Mi rilassai subito. In qualche modo quell’essere straordinario che era Renesmee aveva stregato anche lei.
Con impazienza vidi mia figlia farsi spazio per raggiungerla e mettersi davanti a lei. Ormai si era alzata parecchio e le arrivava al mento. Si alzò di un soffio in punta di piedi per toccarle il viso. Il suo gesto m’incuriosii nello stesso modo in cui aveva stranito l’altra mezza vampira: chissà cosa voleva dirle. Notai Edward con lo sguardo intento a captarne ogni pensiero.
Esattamente com’era successo a tutti i vampiri ospiti a Forks, tre anni prima, il modo di raccontare di Renesmee causava la stessa espressione stupita, che portava gli occhi a sgranarsi mentre fissavano un punto indistinto. Dopo qualche secondo Izzy batté le palpebre un paio di volte e fissò mia figlia confusa, mentre abbassava la manina corrugando la fronte contrariata.
Edward sospirò, e feci in tempo a vederlo alzare gli occhi al cielo scuotendo la testa come disapprovando. «Renesmee può mostrare immagini, pensieri, ricordi, attraverso palmo della mano.» spiegò, senza guardare la sua sorellastra molto a lungo.
«Oh» si limitò a dire lei spiazzata, mentre riportava la testa in direzione di Renesmee. Mia figlia sospirò e i suoi occhi si fecero quasi tristi.
«Questo è molto interessante..» mormorò  Edward Masen. L’altro Edward invece, come se lo avesse appena sentito qualcosa di importante, si voltò verso di lui, stupito e teso allo stesso  tempo.
Ma le mie attenzioni andavano tutte verso quello scambio di pensieri tra le due mezze vampire: cosa aveva fatto diventare così pensosa mia figlia? Mi parve di leggere nei suoi grandi occhi teneri un senso di desiderio nostalgico e.. Ammirazione, nel modo in cui osservavano quelli verdognoli di Izzy.
Isobelle scosse impercettibilmente la testa e la fissò dritta negli occhi, concentrata. Restarono così per qualche istante, poi la prima le fece un sorrisetto beffardo e Renesmee ridacchiò nella sua risata melodica ed armoniosa. Negli occhi misti di Izzy scorsi un senso di tenerezza e rassicurazione che in qualche modo tranquillizzò anche me; era bello pensare che forse, ancora una volta, proprio mia figlia potesse diventare un punto d’incontro. Era il primo mezzo ibrido femmina con cui si trovava ad interagire, inoltre, e doveva essere interessante per lei, scoprire nuovi lati di se stessa.
Non potei dire lo stesso di  Jacob, che, lo avevo notato, aveva avuto più o meno le mie stesse reazioni, ma non si era rilassato del tutto.
«Che le ha mostrato?» domandò aggrottando le sopracciglia in direzione di Edward.
Di certo in quel momento avrei pagato tutto l’oro del mondo per scoprire di cosa avessero parlato. Ma mi sembrò sgarbato chiederlo in questo modo.
«Niente di importante.» sintetizzò lui, con un tono di voce piatto «Renesmee faceva apprezzamenti su Isobelle e viceversa.»
«E viceversa?» domandai subito strabuzzando gli occhi. Lo avevo detto un istante prima che lo dicesse Jacob, e ancora non riuscivo a capacitarmene. Renesmee aveva un dono più potente di quello che pensassimo o questa Isobelle..?
«Isobelle ha un dono..» intervenne di nuovo Edward, paziente «Può comunicare telepaticamente con qualcuno.»
Un altro dono psichico, simile a quello di Edward e Renesmee. Quindi poteva mandare messaggi, senza che ci fosse il bisogno di toccare qualcuno? E questo qualcuno poteva rispondere? O forse era limitato solo, come Renesmee, al mostrare?
Nel momento in cui vidi l’espressione confusa di Isobelle realizzai che nemmeno lei fosse al corrente del fatto che Edward leggesse nei pensieri. Si stava sicuramente domandando come facesse ad avere tutte quelle informazioni su uno scambio avvenuto tra  le loro menti. In situazioni come questi ringraziavo una qualsiasi divinità per avermi fatto dono di uno scudo psichico.
Edward Masen si fece avanti posandole una mano su una spalla, comprensivo: «Izzy, anche Edward ha un dono. Può leggere nel pensiero. »
L’orrore che le passò davanti agli occhi mentre guardava di sfuggita il suo fratellastro e poi di nuovo suo padre, fu piuttosto palese.
«Benvenuta nel nostro mondo di comuni immortali..» ridacchiò Emmett sintonizzato sugli stessi pensieri.
Immaginai che si stesse chiedendo cos’avesse sentito dei suoi ultimo pensieri, una specie di esame di coscienza. La sua espressione era dubbiosa e pensosa, e quando Edward sogghignò di nuovo – perlomeno era un po’ meno teso di prima – Isobelle arrossì spostando la testa altrove, in direzione di Emmett, Rose e Jasper. Si soffermò su Rosalie, riprendendo il naturale colorito chiaro delle guance.
«Rendereste partecipi anche noi?» irruppe Alice, imbronciata.
Di quella conversazione non verbale in effetti gli unici ad averci capito qualcosa dovevano essere Isobelle ed Edward, che un secondo prima aveva alzato gli occhi al cielo, annuendo impercettibilmente a qualche domanda che aveva sentito.
Approfittai di quel breve momento di distrazione generale per accostarmi all’orecchio di mio marito e mormorare, quasi senza emettere un suono:«Qualcosa di divertente?»
«È buffa..» tagliò corto lui, sussurrando alla stessa frequenza, senza farsi sentire. Capii che me lo avrebbe raccontato più tardi e non insistetti, contenta che la valutazione fosse buona.
«La testa di Izzy è un vulcano, ama scherzare. » spiegò, altrettanto enigmatico, Edward Masen «Di sicuro ci avrà letto qualcosa di esilarante..»
Guardò divertito mio marito, sperando di trovarlo dello stesso avviso. Invece il mezzo sorriso di Edward  junior si spense, e lo vidi fissare severamente suo padre. Aveva tutta l’aria di chi si aspettasse più informazioni di quelle che gli aveva dato, conciso, Edward Masen.  Aveva l’espressione di una persona diffidente. Non potei dargli tutti i torni, in quel frangente; perché tenere nascosta una cosa del genere, tanto innocua?
La testa del mio Edward scattò per un attimo verso quella di Isobelle, richiamato probabilmente da un suo pensiero, e intravidi i suoi occhi stringersi in due fessure, per poi ritornare su suo padre. Mi accorsi che anche l’espressione della sua sorellastra si era fatta di nuovo poco amichevole. Visto il modo in cui Edward aveva cambiato repentinamente umore, non era così strano che si fosse messa anche lei sulla difensiva..
A rompere quell’imbarazzante momento di silenzio si fece avanti Ashley, sospirando annoiata. Scoccò una sbirciata allusiva nei confronto del suo migliore amico e poi si fissò, affettuosamente, su Isobelle:«Ehi ‘Belle che ne diresti di andare a fare un saluto agli altri mentre tuo padre sistema gli ospiti? Gli sei mancata molto.»
«Ospiti?» ripeté confusa cercando gli occhi di suo padre.
«Hanno un guasto all’impianto elettrico, gli ho offerto un posto in cui stare; ci vorranno un paio di giorni. » spiegò, con meno brio del solito.
«Ma certo..» borbottò la rossa senza convinzione per poi tornare a guardare Ashley. Non ne sembrò particolarmente entusiasta, ma i loro sguardi intensi parevano comunicarsi qualcosa.
«Se volete scusarmi..» mormorò lanciando un’ultima occhiata fugace verso Renesmee, per poi sparire con Ashley verso le fila degli alberi opposti da quella da cui era venuta.
Restammo in silenzio per alcuni secondi, lunghi quanto un’eternità. Ogni rumore, seppure minimo sembrava di troppo in quell’atmosfera elettrica e carica di tensione.
Mi voltai verso Edward e quando vidi il suo sguardo infiammarsi temetti il peggio. Le nocche si fecero sempre più evidenti mentre la stretta dei suoi pugni aumentava.
«Mi dispiace.. So che avrei dovuto parlarne. » cominciò con aria colpevole  suo padre «Immagino sarai molto scosso.. Ma.. In fondo sarebbe stato un po’ indelicato e complicato se..»
«Non c’è nulla di complicato invece.» lo interruppe tagliente «È da quando ci siamo incontrati che hai continuato ad eludere ogni cosa. E, sebbene della mia mente umana siano rimasti brandelli di immagini nebulose, sono piuttosto sicuro di affermare che questo non sia cambiato per niente da allora.»
«Hai ragione. Non sono mai stato un buon padre» disse addolorato «Ma se tu potessi solo..»
«Sono passati più di novant’anni da quando siamo ufficialmente morti. E ti aspetti che accetti tutto questo senza nessuna obiezione? » ribadì alzando appena il tono di voce e digrignò i denti.
«Edward..» sussurrò Esme desolata.
Gli occhi di mio marito erano accesi dalla collera, ma restava immobile senza perdere contatto visivo nemmeno per un momento. Non lo avevo più visto così dalla notte in cui mi salvo la vita a Port Angeles.
«No, non intendevo questo.» si affrettò a dire «Io.. Se avessi saputo che fosse anche solo una possibilità che tu fossi vivo io..»
«Risparmia il fiato. » tagliò corto sprezzante «Se continuassi a parlare sarei profondamente irrispettoso nei confronti della mia famiglia.»
Lo disse con un’enfasi particolare sulle ultime due parole, lanciando una rapidissima occhiata alle persone che aveva attorno a sé, come per chiarire il concetto. Era forse la prima volta che lo sentivo essere così velenoso, ma sapevo che aveva tenuto dentro di sé troppi pensieri e troppi sentimenti, che ora faticavano a non esplodere. Fui convinta che dietro quell’ultima frase c’era un muro di rabbia che spingeva per uscire fuori. Ed Edward sapeva che se l’avesse permesso non se lo sarebbe mai perdonato.
Posai una mano sulla sua spalla fino a che non si voltò a guardarmi, allentando l’espressione furiosa.
«Edward, ascoltiamo la storia che tuo padre ha da raccontarci. » spostai lo sguardo sull’uomo profondamente triste che avevo di fronte e mi rivolsi a lui «Aveva detto che ci avrebbe spiegato di Isobelle non appena avessi potuto, vero signor Masen? »
Usare il tu invece che il Lei in questa occasione avrebbe di sicuro infastidito ancora di più Edward..
L’uomo annuì nervosamente e prese fiato, come per farsi coraggio.
«Ho incontrato Joana circa tredici anni fa, ad una festa folkloristica di New Orleans. In quel periodo me ne andavo in giro da solo; Ashley era andata in Europa alla ricerca delle sue radici di mutaforma, e io non volevo interferire – non tutti erano clemente come lei nei confronti di un vampiro. » scrollò le spalle «Joana vendeva amuleti, acchiappa sogni e spezie esotiche ad una bancarella. Mi riconobbe subito come vampiro, lanciandomi una frecciatina amichevole ed io capii che non potesse essere altro che una strega. Parlammo un po’ e venne fuori che discendesse dai Finch: sua nonna era Hazel, la strega che mi aveva dato l’anello diurno. Mi parlò della sua Congrega di streghe, a Brownsville, e mi lasciò il suo recapito. »
Fece una breve pausa mostrandoci un mezzo sorriso pensoso:«Joana era una donna molto affascinante e parecchio sicura di sé. Non avevo mai interagito molto con gli umani, soprattutto con qualcuno che sapeva cosa fossi, e mi accorsi che mi ero sentito molto a mio agio. Presi in considerazione l’idea di farci un salto, a Brownsville, ma Ashley mi propose di raggiungerla in Spagna, e così me ne dimenticai per un po’. Fu qualche anno dopo, mentre eravamo in Australia, che mi tornò in mente. Ash aveva trovato un branco di mutaforma tutto al femminile ed io la incoraggiai, a malincuore, a restare con loro; era giusto che potesse confrontarsi con qualcuno della sua stessa specie. Così me ne tornai in America, diretto a Chicago, ma ritrovai quel bigliettino che mi aveva lasciato Joana e pensai di andare a farle visita laggiù, scoprire qualcosa di più su di me e rivedere quella donna. Fu molto sorpresa di rivedermi ma ne sembrò felice. » si fece serio in volto mentre guardava Edward con aria colpevole «La cosa che mi aveva colpito da subito fu la somiglianza con tua madre, Elizabeth.  In qualche modo fu.. Rassicurante. »
Mio marito Edward abbassò lo sguardo carico di amarezza mentre suo padre fece un sospiro.
«Da quel giorno cominciai ad andare a trovarla spesso al negozio gestito dalla sua Congrega, e mi affezionai a lei, diventammo buoni amici fino a che capii che forse c’era qualcosa di più.. Ovviamente, nonostante fossi allenato a resistere di fronte al sangue umano, era difficile starle accanto a quel modo. L’istinto era sempre in agguato, e mi sembrava assurdo pensare di avere un futuro con una strega. Insomma: era umana, poteva invecchiare, era fragile; avrei potuto farle del male senza volerlo. Non sapevo cosa pensasse di preciso Joana sulla vita immortale ma ero piuttosto sicuro che non era ciò che avrebbe voluto.. Eppure riuscimmo a stare insieme, passammo dei bei momenti tutto sommato. »
SI fermò spostando gli occhi sulla cornice di fronte all’entrata e si fece malinconico:« Pensai che forse.. Sarei riuscito a dimenticare Elizabeth. » riuscì a fare un breve e faticoso sorriso amaro «Fu un’idea molto stupida, e lei se ne accorse.»
Edward lo guardò a lungo senza dire nulla ma sentii che qualcosa nei suoi occhi si era sciolto, spezzato. Probabilmente entrambi capivamo molto bene cosa potesse significare non poter vivere senza l’amore della propria vita.
«La sua Congrega naturalmente sarebbe stata contraria a qualsiasi tipo di unione, così agimmo sempre di nascosto » riprese bruscamente Edward Masen, tornando ad accigliarsi «Ma non potemmo fingere a lungo: Joana si accorse di essere rimasta improvvisamente incinta, come se il suo corpo fosse esploso da un giorno all’altro. Ci spaventammo a morte: nessuno dei due aveva mai sospettato una cosa del genere » sospirò con occhi affaticati «L’unica cosa da fare era parlare con la Congrega, e sperare che potessero aiutarci; in fondo se ne sarebbero accorte comunque..  Non è necessario che dica quanto ne rimasero disgustate ed allarmate; dissero che Izzy era un abominio, un aborto di natura portatore di sventura e morte.»
Alle sue parole sussultai ed Edward mi sfiorò la mano; con la coda dell’occhio vidi che la sua espressione era colpevole. Perché anche la famiglia Cullen lo aveva pensato di Renesmee. Con la mano libera cercai quella di mia figlia che ascoltava seria e tesa.
« Non avevano mai conosciuto un ibrido, ma erano certe che l’avrebbe uccisa. » socchiuse appena gli occhi contrariato, mentre Jacob borbottava qualcosa  «Com’è ovvio le dissi che era pericoloso e che non poteva rischiare così tanto. Joana all’inizio era dubbiosa: si fidava ciecamente della propria sorellanza ma d’altra parte l’istinto materno la bloccava. Quando mia figlia cominciò a spezzarle le ossa e la ridusse ad un fantasma si spaventò, e cominciò a credere che fosse come le avevano detto.  Io non sapevo cosa fare, ero sconvolto e mi sentivo tremendamente in colpa. Mi sfogai con Ashley, che allora aveva appena cominciato a costruirsi una vita a San Francisco. Mi disse che Makeda conosceva molte leggende, e che forse avrebbe potuto aiutarci. Così ci spostammo a Pacifica,e ci raccontò storie del folklore brasiliano che trattavano di bambini ibridi.
Scoperto che per metà il nostro bambino sarebbe stato umano, Joana fu determinata a tenerlo, anche se le leggende erano chiare a proposito del destino della madre. Cercai di persuaderla ma non ci riuscii; fece pure un rituale di protezione per annullare gli effetti del mio dono, per la paura potessi costringerla. Mi rassegnai a restarle accanto, terrorizzato. L’aiutai a nutrirsi, le portai del sangue, incantai un medico perché venisse regolarmente a visitarla.. Era molto forte e piena di risorse, ma era pur sempre un essere umano. » scosse la testa con un mezzo sorriso carico di rimproveri  «Era convinta di farcela.»
Eppure ce l’aveva fatta, pensai. Non era la prova vivente del fatto che non tutte le storie andavano a cattivo fine?
«Infatti è così, è sopravvissuta..» intervenne Rosalie con un sibilo.
«Mi scusi signor.. Come ha fatto a sopravvivere in forma umana?» abbassai appena la testa «Insomma Edward non mi avesse trasformata..»
Mi interruppi incrociando la sua espressione carica di dolore a quel ricordo, cosicché cercai subito gli occhi di mia figlia. Ci guardavano con aria colpevole.
Scossi la testa guardandola con un sorriso sicuro e mi parve di riuscire a rasserenarla un po’.
Edward senior annuì serio e comprensivo:«Perché Joana è una strega Finch.» sospirò «Vedi Bella, la linea di sangue delle sue antenate si distingue per capacità rigenerative e curative. Per esempio, Hazel poteva curare le ferite attraverso il tocco; la madre di Joana poteva far ricrescere , rigenerare ciò che discendeva dalla natura: piante, rami, così come arti del corpo umano..»
«E lei invece?» domandai impressionata.
«Lei guarisce in fretta, forse poco più in fretta di un mutaforma. Per questo motivo quando Izzy le spezzava accidentalmente le ossa o la feriva, ci metteva pochissimo a tornare come nuova. Non che non fosse doloroso, ovvio..» la voce sembrò strozzarsi.
Trasalii al ricordo del mio bacino che s’’incrinava, sperando che Renesmee non lo notasse.
«Nonostante questo continuavo ad avere il sentore che non potesse farcela e sapevo che non avrebbe accettato di farsi mordere. Così implorai la Congrega di aiutarla, raccontai cosa le stava accadendo. Sapevo che, malgrado la loro disapprovazione, era pur sempre una di loro e non avrebbero voluto vederla morire.  Mi dissero che ci sarebbero state conseguenze, ed io accettai. L’aiutarono, alleviarono il dolore riducendolo al minimo e nacque Izzy. Joana si riprese nel giro di un paio d’ore, e la bambina era in salute. Ed ora Izzy ha raggiunto quasi la maturità, o almeno così sembra..»
Ci fu un momento di silenzio in cui il padre di Edward abbassò gli occhi con un’espressione seria. Suo figlio lo scrutava con lo stesso stato d’animo, senza dire una parola. Negli occhi si rifletteva una luce fredda e diffidente, probabilmente velata di un po’ d’orgoglio.
«Senti Edward, lo so che..»
«Per favore. Non adesso. » lo interruppe brusco e freddo mio marito «Sei stato molto gentile ad offrirci la tua ospitalità per un paio di giorni, e se la mia famiglia vorrà, resteremo. Ma ora, se volete scusarmi.. Vorrei restare solo. »
Mi lanciò una breve – triste -  occhiata di scuse, che ricambiai annuendo, e scivolò via oltre il giardino. Sospirai, indecisa se seguirlo o meno ma Alice, soffiando seccata, decifrò i miei pensieri:«Lascialo schiarirsi le idee. Tornerà presto e sarà civile. L’ho visto.»
«Quanta teatralità..» sentii borbottare Emmett, sicura stesse sorridendo.
Per niente convinta feci un cenno d’assenso ad Alice, mentre sentivo la manina di Renesmee sfilarsi dalla mia e, quasi sicuramente, finire contro il petto di Jacob.
«Fate come foste a casa vostra..» mormorò debolmente Edward Masen, mantenendo la giusta cordialità nei confronti dei propri ospiti. Lo trovai molto umano e terribilmente simile ad Edward.
Ero preoccupata per mio marito ma non mi sentivo nemmeno di condannare suo padre. Che situazione..
«Possiamo usare il bagno? Vorrei farmi una doccia..» disse Alice guardando Rosalie con un’occhiata eloquente. Era chiaro che volesse rompere il ghiaccio e lasciare un po’ di privacy.
«Serviti pure..» ripeté con grande eleganza, ma senza vita, mentre fissava pensoso il punto in cui suo figlio era sparito. 
Rose sospirò con aria contrariata ma poi aggiunse:«Vado a mettermi a lavoro con l’impianto elettrico.. Emmett, Jasper?»
Entrambi annuirono e la seguirono saltando oltre il punto in cui si addensavano gli alberi.
«Che ne dici di fare un giro Nessie?» borbottò Jacob guardandomi di sottecchi. Io annuii: dopo quel racconto di morte ed ibridi maledetti era meglio che mia figlia si svagasse un po’.  Nella mia testa, d’altro canto, restavano ancora in sospeso le parole che aveva pronunciato sulla Congrega di Joana, e sul fatto che entrambi vivessero separati.. Che fosse quella la condizione alla quale avevano accettato di aiutarli?
Mentre sentivamo i passi di Jacob affondare tra l’erba insieme a mia figlia, guardai il viso pensieroso di Edward Masen, che fissava un punto indistinto davanti a sé. Sospirai: non doveva essere semplice nemmeno per lui subire un rifiuto del genere dal proprio figlio.
«Edward è cocciuto, ma sa essere molto razionale e ragionevole.. Lo ha solo colto alla sprovvista, ma sono sicura che.. Le cose andranno a posto..» mormorai nella sua direzione, sperando di  sembrare convincente.
In tutta risposta mi fece un sorriso stanco:«Grazie Bella. È molto gentile da parte tua.»
Esme ci stava osservando meditabonda e, dopo qualche istante di esitazione, anticipò la domanda che mi ero formulata mentalmente:«Mi scusi signor Masen, posso chiederle una cosa se non sono indiscreta?»
L’uomo sembrò sorpreso ma annuì subito:«Mi sembra il minimo..»
«Non ho fatto a meno di notare che.. I rapporti tra lei e Joana non sono idilliaci.. Mi domando cosa successe per.. »fece un mezzo sorriso imbarazzato «La prego di non sentirsi obbligato a rispondere se crede.. Stavo solo pensando a come sia stato per Isobelle..»
Edward Masen scosse la testa con aria comprensiva ma non riuscii a trattenere una smorfia quando parlò:«La Congrega non lasciò correre e punì Joana, pochi giorni dopo il parto.»
Io ed Esme trasalimmo nello stesso momento.



Ciao a tutti, 
finalmente siamo arrivato al capitolo di rivelazione della misteriosa Izzy. Mi rendo conto sia venuto un po' lungo ma non me la sentivo né di suddividerlo né di tagliare altre parti, quindi spero che la lettura possa tenervi impegnati per un po'.
So che dalla visione di Bella sono andati perduti alcuni dialoghi o alcuni pensieri, ma tra un paio di giorni posterò, prima di partire, il capitolo gemello di questo, visto attraverso gli occhi di Isobelle dove tutti i vuoti saranno colmati - o almeno spero. Mi auguro che non siate rimasti delusi dalla sua identità o che non vi stiate annoiando: lo prometto, l'azione arriverà, con i dovuti step. 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa soluzione, e se vi aspettavate o meno che potesse essere un personaggio del genere. 
Accetto consiglio ;)
Jess
 

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Capitolo 16
*** Una settimana ***


Ciao a tutti,
mi scuso moltissimo per il super ritardo con cui ho pubblicato, ma sono stata in vacanza e non ho avuto davvero tempo di sistemare il tutto prima di oggi. E' venuto un capitolo mediamente lungo: so che non è nulla di emozionante ma avevo bisogno di accelerare i tempi dando uno spaccato di una settimana, attraverso vari punti di vista che permettessero di mostrare anche tematiche o sfumature che non avevo tenuto in considerazione. 
Prometto che, dopo un capitolo che andrà a toccare il passato di Josie e Jaxen, e l'introduzione di un personaggio nuovo, comincerà una parte molto più d'azione. Spero che avrete ancora la pazienza di leggermi!
Buone vacanze,
Jess

 
Cap.16
Una settimana
 
̴ B

 
Flashback
 
[..]Mi scusi signor Masen, posso chiederle una cosa se non sono indiscreta?»
L’uomo sembrò sorpreso ma annuì subito:«Mi sembra il minimo..»
«Non ho fatto a meno di notare che.. I rapporti tra lei e Joana non sono idilliaci.. Mi domando cosa successe per.. »fece un mezzo sorriso imbarazzato «La prego di non sentirsi obbligato a rispondere se crede.. Stavo solo pensando a come sia stato per Isobelle..»
Edward Masen scosse la testa con aria comprensiva ma non riuscii a trattenere una smorfia quando parlò:«La Congrega non lasciò correre e punì Joana, pochi giorni dopo il parto.»
Io ed Esme trasalimmo nello stesso momento.
« Una strega che addirittura si accoppia con un essere considerato contro natura e che genera una creatura maledetta non era degna di essere una di loro: così la privarono a tempo indeterminato della sua magia.»
Il suo volto divenne più pallido e serio di quanto non lo avessi mai visto quando proseguì.
 «Inutile dire che Joana ne fu sconvolta.. E in qualche maniera ero responsabile di tutto quello che le era successo. Credo che ce l’avesse implicitamente con me, senza contare il fatto che.. Be’ non riuscivo ad amarla quanto avessi mai amato Elizabeth, lo capii prima di me.. »
Nel doloroso sorriso che fece sentii una sofferenza che mi fece rabbrividire.
«Oh, signor Masen..» mormorò Esme con aria mortificata.
Scosse la testa:«Fui imperdonabile. » scrollò le spalle senza risultare disinvolto «E i nostri problemi data la situazione divennero molto più pesanti. Questo fatto di non avere più la sua magia la depresse moltissimo all’inizio. Amava, ama Izzy» si affrettò ad aggiungere «ma per l’educazione che aveva ricevuto, la magia era una parte fondamentale di lei, e allora si sentiva solo un essere umano qualunque che doveva gestire una bambina che cresceva troppo in fretta e si nutriva di sangue. » sospirò «Cercai di essere d’aiuto, la portai a Pacifica per avere una mano da Ashley e Makeda ma fu un anno disastroso.  Non andavamo d’accordo, litigavamo moltissimo e Joana pretendeva che nostra figlia si comportasse come una normale bambina di dodici mesi. Ad un certo punto decise di prendere su le sue cose e di portarsela via a Sacramento, dove viveva sua sorella. Emma era molto diversa dal resto della famiglia, aveva scelto di rinunciare alla magia per una vita normale, ma aveva mantenuto ottimi rapporti con Joana. »
«Quindi la lasciò andare?» domandai pensosa.
Edward annuì con rammarico:«Non volevo rinunciare a mia figlia ma mi sentivo in colpa, nonostante mi facesse saltare i nervi quando litigavamo. Non mi opposi quando fece quella scelta, ma accordammo che l’avrei vista almeno due settimane al mese.» scosse la testa contrariato «Non funzionò; non aveva i mezzi né le forze per gestirla, come essere umano. È vero, Isobelle era estremamente intelligente per una bambina di quell’età, ma non sempre sapeva dosare la sua forza o la sua velocità, non sempre tollerava i cibi solidi e di sicuro non poteva essere iscritta all’asilo.. Senza contare che, con due figlie a carico non era semplice seguire la.. »
Strabuzzai gli occhi nello stesso istante in cui Esme disse:«Due
«Vuole.. Vuole dire che Isobelle ebbe una sorella.. Gemella?» domandai senza riuscire ad immaginare come potesse essere tenerle in grembo.
Edward scosse la testa alzando gli occhi al cielo come se si fosse scordato di una cosa importante:«Perdonatemi. No, Izzy ha una sorellastra.»
«Sorellastra?» ripetei spiacevolmente sorpresa.
Avevo sentito una forte empatia nei confronti della sua devozione per Elizabeth e nel modo in cui parlava della sua impossibilità di rimpiazzarla, ma l’idea che si fosse riprodotto con altre due donne lo pose improvvisamente su una luce diversa.
Edward mi osservò corrugando la fronte e poi, all’improvviso, il suo viso si illuminò di un filo d’imbarazzo come se mi avesse letto nei pensieri:«Oh, no, non è mia figlia. Quando ho incontrato Joana ne aveva già una, una figlia umana. Ha diciassette anni adesso. »
«Oh..» feci arrossendo mentalmente.
Rise appena, ritrovando un po’ della naturale allegria andata persa e poi riprese il suo racconto:«Anche per il fatto che Dawn fosse umana, Joana era sempre in apprensione.. Una volta stava per bere sangue credendo che fosse Ketchup, perché avevo lasciato ad Izzy una sacca di sangue da portarsi dietro.» alzò gli occhi al cielo «Joana si arrabbiò moltissimo con me..»
«Per questo motivo ora vive insieme a Lei?» chiese Esme con un sorriso rassicurante.
Edward fece dondolare la testa, incerto:«Non esattamente. Diciamo che, sicuramente, quella vita per Isobelle era difficile quanto per sua madre. E, nonostante la vita a Sacramento le piacesse, sapevo quanto le mancava la magia. Il mio senso di colpa non si era mai placato.. In fondo doveva esserci un modo per sistemare le cose..
 Così chiesi aiuto ad Ashley e Makeda; mi proposero di chiedere uno scambio alla Congrega. Con la garanzia di una strega e quella di una Protettrice riuscii a convincerle che la colpa era stata quasi interamente mia e che Joana non avrebbe dovuto pagare in questo modo. Se le avessero restituito la magia, avrei promesso di starle alla larga e di portare con me la bambina. Misi a disposizione anche il mio dono e la mia forza per qualsiasi compito avessero avuto bisogno che io svolgessi, ed Ashley, inaspettatamente si unì a me, garantendo che fossimo un’ottima squadra. La Congrega accettò, e quando conducemmo Joana da loro le dissero che, nel momento in cui lo avessero richiesto, avremmo dovuto, tutti e tre, pagare il nostro debito combattendo per loro.
Anche se Joana era restia ad avere debiti con noi –  soprattutto con Ashley – e non voleva rinunciare ad Isobelle, accettò, allontanandosi dalla sua Congrega e decidendo di restare a Sacramento  insieme alla sorella. Aveva imparato ad apprezzare l’idea di vivere una vita normale, di usare la magia senza i vincoli di una setta. Sapeva anche che era meglio per Isobelle, stare con qualcuno di più simile alla propria natura.. A malincuore riuscì a lasciarla a me, e viviamo qui da circa sei anni e mezzo.»
Quando Edward Masen concluse io ed Esme ci guardammo con lo stesso sguardo malinconico, materno e sofferente. Poi tornai a fissare il punto il cui mio marito si era volatilizzato, domandandomi  cosa stesse provando in quel momento.
 
 
 
 
Se mi avessero detto che fare una vacanza vicino San Francisco avrebbe comportato lo stravolgimento delle nostre vite, a partire da quei quattro giorni in poi, non ci avrei mai creduto.
Dal momento in cui avevo incontrato Edward Masen eravamo stati trascinati in un nuovo universo fatto di branchi misti, neovampire, streghe e patti a noi del tutto sconosciuti. Era come se fossimo caduti dentro un portare che ci aveva condotti ad una realtà totalmente nuova, e la novità era che non lo era solo per me. Avevo creduto che, da vampira neonata, i misteri della mia nuova vita sarebbero stati dissolti dalla mia presente ed eterna famiglia, i Cullen. Eppure, nonostante secoli di esperienza, c’erano ancora tanti enigmi del loro stesso mondo in cui non si erano mai imbattuti.
Questo ci lasciava piuttosto spiazzati e forse, in parte, non ci lasciava altra scelta che compiere un atto di tolleranza e fiducia: lasciare che queste vacanze passassero mantenendosi diplomatici ed attenti, ed affidarci ad Edward ed Ashley. Senza alcuna sorpresa, l’unica persona mediamente ostile era mio marito – con eccezione di Rosalie, naturalmente.
Dopo il primo incontro con sua sorella ed il racconto di suo padre era sparito per un paio d’ore. Alice mi aveva detto che lo vedeva cacciare spostandosi verso nord e che sarebbe rientrato quanto prima, ma alla fine non ero riuscita a controllare la mia apprensione e avevo insistito perché mi dicesse il luogo esatto e gli ero andata incontro. Era stato molto stupito di vedermi, ma sollevato, e tuffarmi tra le sue braccia restituì a me lo stesso conforto. Così eravamo rimasti laggiù, approfittando della caccia e del fatto che Renesmee avesse un ottimo – mi costava pensarlo, ma ormai non c’era più nulla da fare, volevo bene a Jacob  - babysitter. Quando in viso si era fatto più calmo e sereno si era scusato varie volte per il suo comportamento.
«Bella, amore, sono  stato imperdonabile. Esme sarà stata davvero in imbarazzo.» aveva detto prendendomi il viso tra le mani con aria colpevole.
Cercando di ignorare senza troppo successo le scintille che dalla sua mano invadeva ogni singolo nervo del mio corpo, gli avevo risposto che la sensazione non era azzeccata.
«Più che altro era in pena per te, come lo ero io.. E anche tuo padre ». Gli avevo sfiorato lievemente le labbra con le mie, sperando che i pensieri non andassero fuori controllo.
Edward si addolcì appena con un mezzo sorriso ma l’effetto durò molto poco:«Lo so. Ma sono convinto sia più opportuno trovare un’altra sistemazione.»
In tutta risposta, di fronte alla sua espressione cupa e contrariata avevo sospirato:«Edward sii ragionevole.. Tuo padre ha una casa vuota e molto grande e..»
«Ho contattato un hotel qua vicino e sembra che siano rimaste un paio di stanze; per qualche giorno andrà bene. » tagliò corto, indurendo il tono.
Sapevo che non sarebbe stato semplice.
«Certo, pensa quanto sarà contenta Rose di dividere una stanza con altre due o quattro persone quando al momento ha un piano tutto per lei..» borbottai alzando gli occhi al cielo.
«Rosalie se ne farà una ragione o potrà cercare altrove.» ribadì senza demordere «Cerca di capire Bella.. Non posso approfittare di un alloggio quando faccio fatica a guardare in faccia il proprietario.»
« E alla sarà meglio tornare ed assumere un comportamento civile » ribattei «Non sono d’accordo con la decisione di tenerti all’oscuro di tutto quando non ce n’era motivo, ma sono sicura che tuo padre ti voglia molto bene e che ora sia molto dispiaciuto..»
Edward strinse i denti in una smorfia di disapprovazione.
«E va bene: novant’anni fa i vostri rapporti non erano dei più idilliaci, ma è passato molto tempo da allora. Dagli una possibilità.. » sospirai di fronte alla sua espressione stampata nel marmo « Fallo almeno per tua sorella. Insomma, nemmeno lei sapeva di avere un fratello ancora vivo.. Più o meno.»
Di fronte a quest’ultimo punto lo vidi osservarmi con un’aria indecifrabile, ma capii che sarebbe stato difficile replicare. Scrollò le spalle, poi riuscii a convincerlo a ritornare indietro, sebbene non avesse scambiato più di due frasi di circostanza con suo padre, con il quale si scusò di essersene andato per un momento di debolezza. Il suo tono era freddo e aveva evitato di incontrare lo sguardo desolato di suo padre – a chiunque sarebbero venuti sensi di colpa atroci fissandolo – ma perlomeno riuscii a scusarsi. Esme e Carlisle, di ritorno dal lavoro, cercarono di scambiarci due parole, convincendolo ad essere garbato con suo padre. Mi sembrò che, vederli conversare sottovoce da lontano, come una vera famiglia, avesse turbato per qualche istante il signor Masen: i suoi occhi sfioravano nostalgici la figura lontana di suo figlio e probabilmente rimpiangevano il rapporto andato perduto. Mi sentii male per lui.
Per il resto del tardo pomeriggio l’atmosfera era rimasta piuttosto strana, con qualche breccia di una tensione mai del tutto sciolta. Riuscimmo a distrarci con l’arrivo di Seth, appena informato da Jasper ed Emmett del cambio di programmi, che dopo aver ringraziato Edward Masen si era messo a chiacchierare con suo figlio dei college che aveva visto fino all’arrivo di Jacob e Nessie. La presenza dei due mutaforma e mia figlia contribuirono a riportare un po’ di buon umore e serenità al gruppo e anche Edward sembrò migliorare un pochino. Mi domandai dove fosse Leah in quel momento, ma Seth mi precedette spiegandoci che, dovendo lavorare fino alla chiusura, si sarebbe presentata l’indomani mattina a casa di Ashley, la quale,  come Izzy, era sparita per tutto il resto del pomeriggio. Ero così abituata a vederla al fianco del padre di Edward che la sua assenza sembrò ancora più evidente, fino a che realizzai che probabilmente avevo vissuto solo pochi momenti insieme a loro, e che ero del tutto ignara della loro vera vita.
Eppure scoprimmo che Isobelle non era rimasta con lei, quando, verso l’ora di cena era rientrata a cavallo di una motocicletta guidata da Trenton, munita di cibo in abbondanza. Lo trovai un gesto molto carino e fui contenta di vedere che Edward ci avesse scambiato due brevi parole mentre rientravamo. Almeno era un inizio..
Rimasi altrettanto stupita di vedere quanto Izzy facesse concorrenza al branco per appetito. Mangiava con gusto, come qualsiasi essere umano. Convinse quasi Renesmee ad assaggiare un pezzo di hotdog ma alla fine, con una smorfietta contrariata, mia figlia decise che il sangue aveva un odore molto più buono. Mi sarebbe piaciuto chiedere di più ad Isobelle su tutte queste cose, ma mi trattenni parecchio: mi piaceva Izzy, sembrava una ragazza energica e simpatica, e nel giro di una sera aveva familiarizzato con Seth, Jacob – sospettai che fosse abituata ad interagire con mutaforma come Trenton, Jax e tutti gli altri – e Renesmee, eppure non rivolgeva granché la parola agli altri membri dei Cullen – primo fra tutti suo fratello -, me compresa, come avvolta da una sorta di timore o bizzarra riservatezza. Vero era che ci conoscevamo tutti bene poco, e che quella sera stessa, appena avevamo finito di cenare, Jaxen l’aveva chiamata al cellulare invtandola ad uscire insieme ad altri, e verso le undici era sparita su un paio di tacchi alti – Alice mi aveva fatto notare che erano comode zeppe Loubotin. 
 Rosalie aveva fatto allusioni a proposito della puzza di cane e del fatto che avesse lavorato tutto il giorno perciò si dileguò insieme ad Emmett nel piano sopra la dependance, che già visto da fuori sembrava largo e spazioso. Alice era impaziente di mostrare ad Esme il piano mansardato che avrebbero condiviso mentre Carlisle e Jasper erano andati a caccia. Quanto a Seth, Jacob e Renesmee  notammo che, come tre compagni di giochi, già verso le dieci e mezza avevano cominciato a chiudere gli occhi, così, ci congedammo dal padre di Edward, che se ne stava in veranda seduto come in attesa di qualcosa, e portammo a letto nostra figlia raggiungendo la temporanea camera da letto.
Dire che la stanza di Edward Masen era spaziosa era decisamente un eufemismo.
Quando ci aveva condotto per il piano superiore quella mattina stessa eravamo presi da tutt’altro e non personalmente mi ero solo preoccupata di lasciare un paio di cose appena oltre la porta. Ora che avevo seguito Edward e Renesmee, superando di un paio di passi la soglia, pensai che in qualche modo rispecchiasse lo stile sobrio ed elegante con cui quell’uomo mi si era presentato, ma allo stesso tempo era troppo estesa per gli oggetti che conteneva ad una prima occhiata.
La prima cosa che ci si trovava davanti entrando era  uno ampio spazio spoglio che portava ad un letto matrimoniale piuttosto largo. Poggiava su un piano rettangolare rialzato in sostituzione delle doghe e la rete, mentre al posto del comodino di sinistra stava una mensola bassa, reggente un’abatjour squadrata e perfettamente complementare alla sua gemella che sporgeva dal soffitto verso il basso, dall’altro lato del letto. Notai che ogni cosa sembrava abbinarsi perfettamente all’altra, come i più minimali esempi campione sulle pagine di riviste d’arredamento: se le mensole erano nere, lo era anche il rettangolo sporgente su cui poggiava il materasso, le quali lenzuola riprendevano le tonalità del grigio fumo, bianco perla – lo stesso del soffitto  e della parete che dava sull’esterno, su cui si apriva un’ampia finestra.
Per quanto la trovai essenziale e impeccabile, mi sembrava fin troppo vuota, come se mancasse qualcosa. Mi sembrò strano che con tutto quello spazio a disposizione ci fosse solo il letto. Che mi fossi persa l’armadio?
Mentre lo pensavo, ispezionando stupefatta la parete che rivestiva di assi in legno invecchiato che avevo davanti e alle spalle, feci per voltare la testa a sinistra, dove stava mio marito che mi aveva preceduta entrando, e mi bloccai.
Non mi ero persa solo l’armadio, ma una stanza intera.
Edward fissava perplesso quello che era, eufemisticamente, una nicchia comprendente armadio abitabile e stanza relax insieme.
«Wow..» mormorai mentre la testolina bronzea di mia figlia – che si era trascinata a fatica mano nella mano con suo padre fino al piano superiore - saliva agile, come risvegliata da un incantesimo, i due gradini bianchi prima di trovarsi di fronte ad un largo box doccia piuttosto trasparente, ed ispezionava l’angolo armadio.
«E tu che mi prendi in giro perché compriamo automobili veloci..» borbottò mio marito inarcando un sopracciglio mentre Renesmee percorreva l’angolo retto ricoperto dall’armadio a vista.
«Se lo farò ricordami questo armadio..» dissi con gli occhi ancora intenti ad analizzare la semistanza.
Attraverso un gioco di sottili gradini ed intervalli di pianerottoli appena rialzati, Edward Masen aveva ricavato molto più di un bagno in camera, ma piuttosto una piccola stana relax in miniatura. Il quadrato della doccia era il pilastro attorno cui giravano due pareti di armadio, dello stesso colore della parete dietro al letto, ed un piccolo materassino sopra il quale ci stava una mensola fornita di libri, tra romanzi classici e saggi di economia. Nostra figlia saltò proprio lì sotto, sprimacciando il cuscinetto con un sorriso stanco.
«È proprio una bella stanza, eh Nessie?» le domandai cercando di abbozzare un sorriso.
Ebbe il tempo di annuire che nel giro di pochi secondi la vidi battere le palpebre ed addormentarsi. Alzai gli occhi al cielo: nemmeno da umana avevo la capacità di prendere sonno così velocemente.
Sentendo mio marito sospirare feci per avvicinarmi a lui e gli circondai la vita con le braccia, appoggiando la fronte sulla sua schiena.
«È solo per qualche giorno, sii paziente..»
 
 
̴ I
 
Quando riuscii ad aprire per la prima volta gli occhi dopo gli svariati tentativi fatti con l’assoluta certezza di accecarmi, mi convinsi che assecondare Jax era stata una pessima idea. Dovevo saperlo che sarebbe finita con un mal di testa..
Jax mi aveva chiamato verso le nove, entusiasta, perché aveva scoperto che facevano una festa al locale dove lavorava Kala, e lui il martedì aveva sempre la mattinata libera. Senza contare che Josie gli aveva strappato il telefono dalle mani e aveva strillato qualcosa come “non mi hai ancora salutata, devi venire alla festa”  e “drink gratis”. E pensare che quando gli avevo riportato la moto sembrava dover crollare da un momento all’altro.. Mutaforma: dormono qualche ora e sono come nuovi.
Avevo temporeggiato molto, in fondo casa mia era piena di ospiti e i rapporti tra mio padre ed il mio fratellastro erano al minimo storico. Be’ non che mio padre restasse sempre molto a casa la notte.. E poi chi ci sarebbe stato? Ero piuttosto sicura che Trenton avrebbe dovuto lavorare e che probabilmente non sarebbe..
Al diavolo, mi ero detta, smetti di pensare a lui. Stasera indosserai il tuo top nuovo, i tuoi sandali a zeppa fiorata, un bel paio di pantaloncini a vita alta e peggio per lui.  
Sembrava più facile a dirsi che a farsi, ma in qualche modo accettai, mi vestii a puntino - sotto gli raggi X della nanetta e la biondona che parlottavano tra loro nominando marche famose – e decisi di uscire. Mio padre, come sempre, aveva storto il naso di fronte al mio top diversi centimetri sopra l’ombelico e mi aveva lanciato una giacchetta per coprirmi, ma alla fine mi aveva augurato buona serata con un sorriso più o meno sereno. Certo, l’idea che Mr Simpatia Suo Figlio gli rivolgesse a malapena la parola non doveva renderlo molto felice..  A me personalmente inquietava non poco. La sua aria centenaria e la sua espressione apatica, educata per inerzia, mi tenevano parecchio alla larga da lui; non avevamo scambiato una parola dopo quella stretta di mano, e sebbene sua moglie sembrava molto incoraggiante di fronte a questa nuova unione, e nonostante insieme a Bella il mio fratellastro paresse un agnellino, non parlai granché nemmeno con lei, visto che le era sempre appiccicato.
Domandai invece ai due spilungoni, Seth e Jacob, se volevano unirsi a noi, ma come immaginavo il primo era stanco morto ed il secondo non si sarebbe mai sognato di mollare il suo imprinting. Vederlo dal vivo – anche se quella piccolina era adorabile - mi faceva venire ancora più il voltastomaco. O forse ero solo gelosa.. Sì, molto più probabile.
Alle undici, senza ospiti al seguito, saltai sulla vecchia mustang di Jax, stritolata dall’abbraccio e la voce di Josie che mi trillava ad un orecchio, e raggiungemmo Kala. Naturalmente di Trenton nessuna traccia.
Avevo deciso di buttarmi sulla danza insieme a Josie, e Jax mi aveva convinta ad accettare la sfida per una gara di shots micidiali preparati da Kala – come se non sapesse che l’avrei persa. Mi ero dovuta sedere e fare un pisolino sul divano, vicino ad una coppietta avvinghiata peggio di un rampicante, poi, dal momento che era martedì alle 3 e mezza ci avevano cacciati fuori. Naturalmente era decisamente troppo presto per trovare una pasticceria aperta, di martedì mattina. Josie e Jax avevano insistito per andare dall’altra parte della città alla B.Patisserie  – quando erano brilli erano d’accordo quasi su tutto, soprattutto sulle idee folli – ma ero riuscita a convincerli a tornare a casa. Avevamo ripiegato sulla dispensa di Makeda, che dormiva sonoramente all’ultimo piano, sbattendo una dozzina di uova insieme al bacon e pane tostato. Di mio padre ed Ashley non c’era traccia, come la maggior parte del tempo… Per fortuna. Di sicuro non sarebbero stati contenti di vederti alticci. Diciamo che per un mutaforma e una mezza vampira non era il massimo perdere l’inibizione. Non che il sangue umano mi desse sul serio alla testa ormai, non se hai una madre umana, però..
Gli unici rumori che si sentivano, a parte il sonnecchiare in sordina di Trenton, erano le nostre risate soffocate. Probabilmente, quando Leah passò davanti alla porta e si bloccò in mezzo al corridoio dovevamo esserle sembrati parecchio stupidi mentre armeggiavamo con i piatti e le uova strapazzate. Portava una lunghissima maglia da uomo che le sfiorava le ginocchia e aveva gli occhi mezzi chiusi, diretta verso il bagno. Jaxen insistette perché si unisse a noi, e, anche se restò seduta e silenziosa per tutto il tempo, alla fine rimase. Era vero che ci avevo scambiato appena due parole in tutto, ma mi sembrava davvero bizzarra, forse un po’ a disagio. Di sicuro Jax si divertiva da matti a punzecchiarla, anche se lei lo ignorava beatamente.
Be’ ad ogni modo avevo strisciato fino al mio letto verso le 5 del mattino -  per fortuna mio padre non era ancora rientrato dalle sue “escursioni serali” e stranamente la casa sembrava essere una tomba, anche se era popolata da almeno sei vampiri – e me l’ero dormita fino a mezzogiorno, quando non avevo potuto più ignorare la luce che trafiggeva le tende, e anche i miei occhi.
Come uno zombie ero scesa al piano di sotto, e mi ero presentata davanti alla maggior parte dei Cullen, con tanto di mutaforma al seguito, con i capelli a balla di fieno e gli occhi stropicciati in due fessure.
Quando mi videro quello nerboruto ricciolino ridacchiò e gli altri mi sorrisero divertiti.
Facile se non dormi dalla presa della Bastiglia.
In tutta risposta faccio un cenno di saluto con la testa, ed intercettando appena la bambinetta che mi sorride raggiante, mi avvio verso il frigorifero. La scelta non è molta, c’è solo latte e poco altro. Dovrò fare la spesa prima o poi..
Mi metto in punta di piedi cercando di afferrare la scatola del cornflakes e realizzo solo in quel momento che probabilmente sto mostrando le chiappe alla metà dei miei ospiti, visto che sono scena con una maglietta consumata e raso-inguine ed indosso ancora le mutande striminzite di raso rosse delle  grandi occasioni. Meraviglioso risveglio. È finito pure il caffè e vorrei spararmi in bocca.
Visto che ormai le figura di merda abbondano, con un sospiro balzai sul bancone e mi siedo a piedi incrociati, china sulla mia tazza di latte e cereali. È lontano il ricordo dei pancake di mamma o i biscotti di Dawn..
Mi trovai Renesmee vicino prima che potessi accorgermene e le indicai il piano del bancone su cui ero seduta io. Non se lo fece dire due volte e saltò su vicino a me, osservandomi curiosa mentre mangiavo.
In quel momento un rumore di chiave che si gira nella serratura e un attimo dopo la porta principale si spalanca.
«Buongiorno tesoro!»
Alzo appena la testa per individuare mio padre, allegro e pimpante, che fa il suo ingresso carico di sporte della spesa. Meno male.. Non che io sappia cucinare – e nemmeno lui è un gran cuoco – ma almeno non dovrò arrivare fino a quel pidocchioso supermercato in moto. Le commesse sono lente ed invadenti.
«Buongiorno famiglia Cullen..» prosegue, venendo verso di me e sistemando le buste della spesa «Spero siate stati bene nelle vostre sistemazioni.»
«Benissimo signor Masen! Grazie ancora per averci dato una mano..» disse mamma chiocca sorridendo zuccherina.
«Ne sono felice!» risponse, dando un buffetto sulla testa di Renesmee. Poi la sua testa sbucò tra la mia e quella di mia nipote e con un sorrisetto beffardo allunga la mano per mostrarmi qualcosa.
È un caffè d’asporto. Un. Caffè. Oh, io adoro mio padre.. 
«Starbucks, cappuccino.»
«Ti adoro indiscutibilmente.» bisbiglio con una voce da trans degna di una postazione fissa sulla Walk Of Fame.
Lui rise e scompigliò i capelli anche a me, poi guardò di nuovo e Esme e domanda:«Avete programmi per oggi? »
Lei alzò le spalle sorridendo con gentilezza:«Non saprei..»
«Sarebbe un’ottima idea!» trillò Alice, prima che il mio padre potesse formulare la sua proposta. Ero così rincoglionita che non capii affatto cosa stesse succedendo.
 Un secondo dopo si rabbuiò poi aggrottò la fronte e guardò Jake:«Questa cosa che i licantropi coinvolti annullino la mia giornata diventa ogni anno sempre più fastidiosa..»
«Temo dovrai abituarti nanetta» fece Jacob inarcando un sopracciglio.
Ah già, la sensitiva. Quindi non poteva vedere i mutaforma? Interessante.
Mio padre come al solito non perdeva il suo buon umore e lo trovai parecchio divertito dalla situazione. Si limitò a scrollare le spalle:«Che ne dite di una bella passeggiata a San Francisco?»
Oh Gesù, la mia testa..
 
̴ B 
 
Camminare insieme ad Edward Masen mi riportò alle mie prime uscite da umana con i Cullen.
Se tutti noi riscuotevamo un certo successo interagendo con gli umani, e se, in particolar modo, Rosalie riceveva ogni attenzione maschile presente, non c’era nessuna donna nel raggio di mezzo metro che non lanciasse occhiate al padre di mio marito. Passeggiava rilassato poco avanti a noi, lanciando di tanto in tanto uno sguardo dietro ai ray-ban verso sua figlia che teneva per mano la mia – che intrecciava le dita della sinistra alla destra di Jacob – e di tanto in tanto faceva mezzi cenni di saluto o sorrisi suadenti a qualche manciata di passanti. Edward come al solito lo seguiva silenzioso, badando a non incrociare troppo il suo sguardo.
 Vederli camminare a pochi passi di distanza l’uno dall’altro metteva in luce tante similarità quante differenze. In qualche modo mio marito non aveva mai compreso davvero quanto fascino potesse esercitare su di me o sugli altri, non si curava degli sguardi esterni, a meno che, come nel mio caso, ne fosse inspiegabilmente interessato. Edward Masen camminava con la stessa noncuranza e pacatezza, ma nello stesso tempo appariva del tutto consapevole dell’effetto che il suo aspetto facesse sulle persone. Era perfettamente a suo agio, quasi divertito, in quella che era diventata una passerella lungo il molo.
Quando arrivammo alla zona popolata dalle foche, ci tenemmo tutti a debita distanza perché Renesmee potesse vederle distese sopra le piattaforme al sole. Isobelle e Jacob si appoggiarono alla staccionata mentre mia figlia vi si arrampicava per vedere meglio.
«Ehi Renesmee, ma ce l’hai un soprannome? » sentii domandare da Izzy guardando una foca sistemarsi goffamente su un pezzo di cubo. Da quella distanza il mio udito funzionava ancora molto bene.
Jacob fece un mezzo sorriso e scompigliò i riccioli di mia figlia, che lo ricambiò, poi posò una manina sulle guance di Isobelle e la ritrasse velocemente. La sua nuova amica guardò Jacob e scoppiò a ridere.
«Nessie?? »
«Mi è quasi costata la gola..» commentò Jake voltandosi appena nella mia direzione sfoggiando il suo solito ghigno furbesco; sapeva che potevo sentirlo.  In tutta risposta alzai gli occhi al cielo e gli mostrai la lingua.
Isobelle ridacchiò insieme a Renesmee, poi le diede un paio di pacche su una spalla:«Mi piace, è carino!»
Poi vidi di profilo stamparsi un sorrisetto divertito sulle labbra:«I mostri di Loch Ness vogliono fare qualcosa degno del loro nome?»
L’espressione interrogativa di Jacob e Nessie  si riflesse per qualche secondo sul viso di Isobelle, poi entrambi sorrisero. Nemmeno il tempo di chiedere a mio marito cosa si fossero detti in quello scambio mentale che vidi mia figlia balzare dietro a Izzy che scavalcando la recinzione era andata a posarsi proprio vicino ad una foca. Jacob le seguì ridacchiando insieme a loro mentre qualcuna delle foche si gettava in acqua, altre sembravano quasi voler giocare insieme a loro. I radi passanti, sotto a quel cielo parzialmente grigio, lanciarono loro uno sguardo interrogativo; di fianco a me  udii Rose sbuffare, mentre Emmett accennava una silenziosa risatina. Io sorrisi di fronte allo spettacolo delle risate ammalianti di mia figlia mentre le arrivavano in faccia schizzi d’acqua. La vedevo serena e felice, insieme alla sua nuova amica. Anche Isobelle mi sembrava più se stessa quando era in sua compagnia; rispetto a quando era insieme a noi era più rilassata, ed il suo lato ribelle emergeva all’improvviso.
Quando eravamo riusciti ad allontanare Renesmee dalle foche proseguimmo il nostro giro fino al negozio di articoli da mare e surf di Trenton. Ci aveva accennato che lavorasse in un posto simile, ma non avevo capito che ne fosse davvero il proprietario. Vicino ad uno scaffale c’era un ragazzo poco più giovane di Trenton che sistemava parte della merce. Nel momento in cui entrammo e vide Izzy l’aveva salutata allegra, ma il suo sorriso malizioso sembrava saperla lunga. Con un cenno del capo le aveva indicato Trenton, che stava dietro al banco a controllare qualcosa al computer. Quando Isobelle incontrò gli occhi del mutaforma notai le sue gote diventare più rosee e il suo viso illuminarsi: non ci volle Edward per capire che ad Izzy Trenton piacesse. Poteva essere il suo imprinting? Cercai di studiare la sua espressione per un po’, ma non mi parve di vedere lo stesso trasporto che leggevo negli occhi di Jacob, sebbene la serenità che emanasse fosse difficile da eguagliare. Trenton aveva tutta l’aria del tipico ragazzo con cui raramente potresti litigare; gli occhi di un profondo blu avevano qualcosa di estremamente pacifico che contagiava il suo modo di parlare e il suo sorriso. Anche il padre di Edward ed Izzy pareva andarci d’accordo; quando vedeva sua figlia e Trenton parlare i suoi occhi seguivano ogni movimento con un sorrisetto piuttosto compiaciuto. Forse aveva preso questa cosa dell’imprinting meglio di me, e quel ragazzo gli piaceva sul serio. Eppure non sembravano stare insieme: che non si fossero ancora dichiarati?
Mentre uscivamo dal negozio, dopo aver scambiato quattro chiacchiere ed esserci presentati a Tyler, vidi i due parlottare di qualcosa, poi Trenton aveva aggiunto:«Ci vediamo sabato alla festa!»
Fui certa di vedere gli occhi di Isobelle sciogliersi di malinconia mentre gli sorrideva ed annuiva.
 
***
Il fatto che, come aveva previsto Alice, il mercoledì e probabilmente il giovedì sarebbero stati impeccabilmente soleggiati fece sì che la casa di Edward Masen diventasse la mia nuova zona esplorativa. Sebbene ospitasse tre coppie di vampiri, un ibrido e due mutaforma in qualche modo riusciva a svuotarsi e diventare una sorta di castello incantato in attesa che qualcuno lo esplorasse. Dal momento che Jacob  e Renesmee potevano muoversi tranquillamente sotto il sole, passavano moltissimo tempo fuori sotto la guida di Isobelle e qualche volta Josie, che gli mostravano lati della città che mi sarebbe tanto piaciuto vedere: invidiavo parecchio l’anello del signor Masen in momenti come quelli - anche se, ironicamente, quei giorni se ne stava chiuso a lavorare nel suo studio per gran parte del giorno.
Carlisle aveva convinto il custode a farsi dare una copia delle chiavi del laboratorio del centro di ricerca in cui lavorava, così se ne andava via prestissimo la mattina, in modo da evitare di uscire quando il sole era già troppo forte per la sua pelle. Esme aveva scovato un piccolo rudere a pochi chilometri sopra villa Masen, e stava cercando di ideare un progetto, con l’aiuto di Alice, per rimetterlo a nuovo: se ne stavano tutto il giorno a disegnare in soffitta o a fare sopralluoghi oltre il bosco. Edward era in rotta con Rosalie, perché, a detta sua, stava cercando di rallentare i lavori, in combutta con Emmett, per godersi la sua nuova suite sopra al garage; anche se Rose negava tenacemente, combattere contro l’evidenza di chi può leggerti nella mente e di chi ha accesso alle visioni di una piccola veggente era piuttosto inutile. Così Edward aveva passato entrambi i giorni a monitorare i lavori, convincendo Jasper a dargli una mano – nemmeno lui, tuttavia, sembrava avere tutta questa fretta di trasferirsi. Era ovvio che i rapporti tra mio marito e suo padre non erano migliorati affatto..
Così restavo da sola la maggior parte del tempo, vagando per la casa e scoprendo nuove stanze inesplorate. A volte mi sentivo parecchio invadente, ma ogni volta che chiedevo il permesso al signor Masen mi rispondeva che non dovevo preoccuparmi e che non aveva nessuna camera delle torture nascosta. Qualche volta passando davanti al suo studio scambiavamo due chiacchiere o mi mostrava qualche foto. Mi spiegò che si era molto appassionato alla fotografia nel corso del tempo e mi fece pure vedere la piccola stanzetta dove era solito sviluppare. Era piena zeppa di album o cornici che  ritraevano perlopiù Ashley, ritratta insieme a lui nelle mille città che avevano visitato insieme, e la crescita di Isobelle. La mia famigliarità con il mio suocero era andata aumentando tanto che mi aveva preso a chiamarmi Belle, come la protagonista de La Bella e la Bestia, paragonandomi a lei per il mio vagare in giro per la casa con aria curiosa. Be’ di sicuro il signor Masen non aveva un’enorme biblioteca da mostrarmi, ma le stanze che vidi – senza parlare del gazebo sul retro, degno del musical Tutti insieme appassionatamente – erano tutte piccoli gioielli di arredamento moderno. Mi divertii moltissimo a guardare vecchie foto dei mille itinerari solcati da Edward ed Ashley, che talvolta portava lunghi capelli appena ondulati e sembrava parecchio più spensierata. Se avessi potuto mi sarei commossa quando avevo trovato alcune antichissime fotografie di Edward e sua madre, quando era ancora umano. Anche nella rigidità della posa e la solennità dell’espressione era bellissimo. Edward Masen talvolta snocciolava due o tre didascalie alle foto che m’incuriosivano di più, e così avevo scoperto varie cose sulla vita di Edward che non mi aveva mai raccontato. Sapevo che un vampiro non ricorda mai bene il proprio passato da umano, dopo che ha vissuto così tanti anni, eppure il signor Masen aveva una chiara concezione di ciò che era stata la sua storia novant’anni prima. Chissà, forse le foto lo avevano aiutato.
Fu difficile capire se questo avvicinamento stesse disturbando o meno mio marito; non si esprimeva a riguardo quando ci vedeva scherzare, ma i suoi occhi ci analizzavano mantenendo la stessa aria indecifrabile diventata ormai quella di routine. Mi dispiaceva molto vedere che in qualche modo si trattenesse, che la notte, anche se suo padre restava spesso solo in salotto o in veranda mentre sua figlia e la mia dormivano sodo, non si trattenesse mai a parlargli.
Tuttavia, il mercoledì sera, mentre Izzy guardava la televisione insieme a mia figlia e Seth si preparava per ritornare qualche giorno a La Push, Edward Masen si presentò oltre la porta di casa con uno smoking dall’aria nuova di zecca. Io ed Alice ce ne stavamo in veranda a chiacchierare – Edward probabilmente era di ritorno da casa nostra insieme a Rose, per darci notizie sul lavoro all’impianto – ed avevamo sentito Izzy esclamare un “che eleganza” dall’interno. Avevamo fatto in tempo a voltarci che il signor Masen era uscito, sfoggiando un sorriso scintillante.
«Un Anderson & Sheppard !» disse Alice piacevolmente illuminandosi in volto. Poi mi mostrò la lingua:«Almeno qualcuno della famiglia ha buon gusto »
Edward rise:«Ho una serata di gala che non potevo declinare.. Credo di avere usato questo smoking solo un paio di volte da almeno»
«Sessant’anni! » lo interruppe Alice concitata «È un vintage! Costerebbe una fortuna oggi!»
Il padre di Edward sembrò divertito ma si limitò ad alzare le spalle.
«Ricordami perché ho accettato.» sbottò una voce inconfondibile.
Ci voltammo verso il gruppo di alberi alla nostra destra e vedemmo Ashley camminare nella nostra direzione con un paio di sottilissimi tacchi in mano ed un luccicante vestito a sirena addosso. Fu quasi surreale vederla così, quasi quanto la voce di Alice che mi bisbigliava mille parole al secondo alle orecchie, nominando stili e marche mai sentite. Tutto quello che capii era che pure quello doveva essere un vintage.
Edward Masen sorrise illuminandosi in volto:«Perché mi vuoi bene e non vuoi lasciarmi da solo in pasto agli uomini d’affari.»
«Ma tu sei un uomo d’affari.» fece inarcando un sopracciglio mentre si avvicinava «E nel momento in cui ho tirato su la zip di questo vestito ho realizzato perché non lo metto mai.»
«Sei incantevole.» fece con un sorrisetto divertito.
Ashley gli diede una spintarella amichevole sulla spalla scuotendo la testa:«Se stai cercando di ammorbidirmi  fare il farfallone non ti aiuterà Masen.»
Per nulla scoraggiato l’uomo piegò il braccio destro e glielo pose con uno dei suoi sorrisi scintillanti e pieni di ironia:«Ci sarà dell’ottimo Champagne e un pregiatissimo buffet.»
Rise appena poi sospirò alzando gli occhi al cielo mentre avvolgeva la mano attorno alla piega del gomito:«Facciamolo.»
Edward Masen ridacchiò poi si voltò nella mia direzione:«Probabilmente la cosa andrà per le lunghe. La casa è a vostra completa disposizione, sentitevi liberi di invitare chi volete.»
«Grazie signor M.. Edward. » sorrisi mordendomi un labbro «Divertitevi.»
 
̴ L

Non sarei mai rimasta a casa dei Cullen, non mi sarei rotolata tra le lenzuola puzzolenti di una delle stanze polverose ed altrettanto puzzolenti della loro casa delle vacanze e di certo non avrei mangiato cibo puzzolente cucinato da Esme o Edward Cullen. Ma se la scelta era tra rivedere due volti amici e ritornare a La Push, mi sarei tappata il naso e avrei sopportato.
Sembravano un miraggio i giorni in cui l’imprinting di Jacob era un’incognita mostruosa ed io ero sgattaiolata via di casa unendomi al branco dei ribelli, pattugliando un terreno non mio, difendendo esseri che non sarebbero mai dovuti esistere. Eppure, se non fosse stato per Jacob, sarei dovuta restare chiusa a La Push, in pochi isolati di libertà, sapendo che se volevo correre in libertà ogni  mio pensiero sarebbe arrivato alla mente di Sam, presto o tardi. Certo, era tutto diverso ora che anche a Jacob l’imprinting aveva fatto il lavaggio del cervello; la sua mente piena di calma e serenità era piena zeppa di pensieri rivolti alla mocciosa Cullen, e neppure le frecciatine lo scalfivano più.. Ma mi aveva permesso di poter scorazzare finalmente libera, avere uno spazio tutto mio in cui Sam non sarebbe più rientrato.
Naturalmente la beffa della mia vita, questo destino da mutaforma che avevo odiato sin dal primo giorno, continuava a tormentarmi. Se Seth e quasi tutto il branco di Sam aveva gradualmente smesso di trasformarsi, almeno per un po’, io non ne ero stata ancora in grado. Subito dopo la cena per il matrimonio di Emily e Sam mi ero defilata, e prima che potessi accorgermene avevo già sbriciolato l’abito da damigella e stavo correndo nella foresta in forma di lupo. un impiego part-time ad Olympia, ma ogni volta che, la sera, rientrando a casa passavo davanti alla casa di Emily e Sam sentivo il mio cuore perdere un battito e stringersi in una morsa. Sapevo di dover cambiare aria e di dover fare esperienza per capire cosa volessi fare nella vita. Così, per tre anni,avevo deciso di andarmene a debita distanza, avevo trovato un lavori stagionali in Oregon, nel Montana, nel Wyoming, e nello Utah, dove, come avevo promesso a Jacob, mi ero anche iscritta ad un corso di yoga. Mi aveva aiutata ben poco, ma la mia sanità mentale sembrava in equilibrio proporzionalmente alla distanza da La Push, Sam, e qualsiasi notizia che li riguardasse. Di mattina mi alzavo prestissimo, facevo una corsa, andavo a lavoro, e tre sere a settimana frequentavo il corso. Sapevo che quell’ultimo contratto di lavoro sarebbe terminato a breve, ma la prospettiva di tornare a casa mi faceva tremare tanto dal fare esplodere i vestiti, scorrazzare in distese verdi. Volevo allontanare il sovrannaturale dalla mia vita, ma in qualche modo sembrava che il sovrannaturale non volesse abbandonare la mia.
E poi, quel pomeriggio di metà giugno c’era stata una svolta del tutto inaspettata, che per tutti gli altri si chiamava Edward Masen; per me Ashley Bell-Ward.
Quando mi aveva detto che il succhiasangue sposato con la figlia di Charlie aveva ritrovato il suo padre perduto e vampirizzato, e che di fianco a loro viveva un gruppo di mutaforma, il mio cervello aveva afferrato solo le parole riguardanti “una certa Ashley ”. Una lei. Una mutaforma donna.
Non riuscivo a pensarci o a realizzare cosa questo potesse significare, ma sapevo solo una cosa: dovevo conoscerla.
Così avevo approfittato del giorno di chiusura del bar, e, anche se la California stava a due ore da lì, e che il giorno dopo avrei dovuto lavorare, ero corsa fino a laggiù, ben decisa a tenermi a debita distanza dai Cullen. Fui estremamente sorpresa di sapere che era proprio lei, Ashley, il capobranco.
La prima impressione dopo averla guardata era l’impossibilità nel riuscire a darle un’età definita. La sua pelle aveva qualcosa di estremamente familiare, ma i suoi occhi imperscrutabili mi lasciavano interdetta. C’era qualcosa di sinistro, e di nascosto dietro il suo sguardo. Era taciturna, diretta, ma quasi sempre seria , nella sua ospitalità. Era così assurdo pensare ad un essere umano vivo da più di novant’anni, ferma alla sua età, senza un motivo che conoscessi. Doveva esserci. La conoscevo poco, e in casa si muoveva come un fantasma silenzioso, ma non pareva affatto che amasse la sua vita, né che la detestasse. Era bloccata in un limbo che non mi sapevo spiegare.
D’altro canto, quando mi aveva invitata a restare da loro, non avevo saputo dire di no. Non mi sentivo a mio agio, ma sentivo non voler lasciare quel luogo, non quando c’erano ancora così tanto da imparare. Un branco, il primo branco misto che avessi mai conosciuti, dove essere una lupa non era uno scandalo; dove ognuna di loro aveva vissuto e superato gli ostacoli fisici che questo comportava. Ognuna di loro era una risposta alle mie preghiere: forse avrei capito come trovare la pace necessaria per abbandonare questa doppia vita, il dormiva in me.
La prima sera che li avevo visti tutti insieme - Jaxen, Jocelyn, Kala e Trenton – nel mio cuore si erano riaperte piaghe che credevo ormai sanate. La vergogna e la nostalgia, ma soprattutto l’invidia. L’invidia per essersi trasformate sotto la guida di una leader in grado di appianare le differenze di genere, che sapesse rispondere a tutti gli interrogativi. Sam era stato a modo suo un buon capo, ma era troppo orgoglioso per ammettere che si dovesse sapere di più, che doveva esserci di più oltre la nostra tribù. Eppure lo smacco tribale gli faceva credere di essere autosufficiente, io ero quella sbagliata,  diversa, l’errore.
Non ce l’avevo fatta a restare, e mi ero allontanata sul retro. Ashley in qualche modo mi aveva trovata e con le sue intuizioni mi aveva spiazzata. Come se sapesse leggermi la mente.
Mi spaventava, e non mi sentivo a mio agio, né parte di qualcosa, ma dentro di me mi disse di restare. Dovevo.
E così avevo fatto.
Makeda mi aveva preparato una stanza generalmente adibita a disimpegno. Era minuscola, ma perfetta. Osservavo il branco, battibeccare, litigare e scherzare come una vera famiglia il cui matronato spettava ad Ashley e Makeda. La coppia di pestiferi gemelli che seminava caos per tutta la casa erano monitorati perlopiù da Josie e Makeda, la nonna e mamma di tutti – non era per niente solenne ed austera come si era mostrata la sera in cui ci aveva raccontato le nostre origini. Qualche volta mi aveva invitata ad aiutarla con infusi di erbe particolari, ed avevo avuto modo di chiederle qualche cosa sulla sua vita e quella del branco, che considerava come figli e nipoti. Kala e Trenton erano i più pacifici e disponibili di tutti, anche se sembravano molto più legati rispettivamente a Jocelyn e Jaxen, piuttosto che tra loro; in qualche modo li bilanciavano con la loro calma, ristabilendo un qualche equilibrio che andava perdendosi se Jax e Josie restavano insieme da soli. Eppure non li vedevi ma troppo lontani l’uno dall’altra, come un duo tragicomico di attori, come quelle coppie che passano la maggior parte del tempo a litigare tenendo per sé l’affetto. Dopo un po’ mi davano sui nervi, ma in fondo, all’inizio, erano buffi. A parte Jaxen. Lui era davvero irritante..
Tutto sommato però avevo imparato tante cose su me stessa, avevo fatto yoga insieme a Kala, dopo che avevo scoperto che lo facevano sempre prima e dopo i turni di lavoro. Era semplice stare insieme a lei; era il tipo di ragazza solidale ma non invasiva, che capisce al volo quando lasciarti sola e quando essere d’aiuto. Cominciai a prenderla in simpatia, tanto che le chiesi se potesse insegnarmi a trasformarmi senza distruggere i vestiti. Mi aveva risposto che l’esperta era Ashley, ma pochi minuti dopo aveva cambiato idea, dicendomi, distratta, che lo avrebbe fatto lei senza alcun problema.
Non capii tutto quel mistero, ma accettai, convinta che ci fosse dell’altro, qualcosa che il branco sapeva e del quale io, outsider, ero del tutto all’oscuro.
Ci ripensai una delle notti che passai a casa loro. Non riuscivo a dormire, così mi ero affacciata alla finestra, sebbene non si vedesse granché di nuovo al primo piano.. Avevo sentito un rumore, come un appoggiarsi soffice di talloni sul terreno e in un attimo avevo visto Ashley trasformarsi in un lupo, un enorme husky, e correre via attraverso gli alberi. Anche le notti successive, ci feci caso, sentii esattamente gli stessi suoni. Un rituale, che si ripeteva quasi ogni notte.
Che cosa nascondeva Ashley?
 
 
̴ 
 
«Non fare tardi ‘Ley..»
Michael è lì, davanti a me. Con la camicia bianca spiegazzata e le bretelle che reggono i pantaloni da lavoro. Sorride, i denti scintillano insieme ai suoi occhi verde opaco.
Le sue spalle larghe, il suo naso sottile e drittissimo, le sue labbra piene, corte ma sinuose. È davvero qui. Michael. Com’è possibile?
«Michael.. Sei.. Davvero tu?» esito avvinandomi appena di fronte al suo sorriso immacolato. La sua espressione calma e perfetta mi riempie di serenità.
«E chi dovrei essere?» ride, colmando lo spazio tra noi con aria divertita «Farai tardi alla festa del piccolo Johnny, e non te lo perdonerà! Devo andare a lavoro, ma tu salutalo da parte mia.»
Incerta gli poso una mano sullo zigomo pronunciato e tiepido. Le mie dite fanno contatto con l’elettricità della sua pelle ed un brivido mi travolge. Allora riesco a sorridere, mentre con le sue mani grandi  e le dita affusolate mi circonda la vita. Sento le sue labbra soffici sfiorarmi la fronte con dolcezza ed il mio stomaco si riempie di farfalle disorientate che si dibattono su ogni centimetro di addome.
«Stai bene Ashley? »
Lui è qui, di fronte a me. È vero, è reale. Il presente che credevo ora è solo un incubo sfumato.
«Mick.. Che sogno orribile che ho fatto..» gli dico con la fronte appoggiata al suo mento.
«Era così spaventoso?»
«Tu non c’eri.» mormoro rabbrividendo.
Sento il suo respiro sopra le mie sopracciglia. Sta sorridendo.
«A me sembra un buon preludio per un sogno..»
L’idea mi provoca come una crepa in mezzo al cuore e d’istinto lo colpisco, più piano che posso, ad una spalla e lui ride massaggiandosela. Non appena vede che sto per allontanarmi indispettita mi avvolge di nuovo la vita con un braccio. Non avverto nemmeno che mi stia attirando a sé facendo leva sull’avambraccio, ma non mi oppongo e scivolo verso di lui, imbronciata.
Sorride, sereno come il cielo estivo, sereno come solo lui può essere e mi sfiora il naso con un dito della mano libera:«Sei la donna più permalosa che conosca Ley.»
Mi abbraccia appoggiando il mento sulla mia testa e lo sento sospirare, mentre mi accuccio di buon grado contro il suo petto.
«Se non ero insieme a te dev’essere stato davvero solo un incubo.» dice dolcemente accarezzandomi i capelli. Premo il naso contro la sua camicia che porta le tracce di Acqua di Colonia e terriccio fresco. Ne assaporo ogni centimetro e lo lascio imprimere nelle mie narici. Faccio per scostare la testa e raggiungere le sue labbra quando mi sento qualcosa di caldo e bagnato schizzarmi la guancia.
Mi scosto appena e vedo la camicia bianca risucchiata da una macchia rossa in espansione, che inzuppa il tessuto. Alzo la testa di scatto e vedo gli occhi di Michael, spalancati e vitrei, la bocca appena dischiusa, schizzata di gocce rosse. Seguo paralizzata la traiettoria che un attimo prima mi era sfuggita e vedo il collo sfigurato da segni  di  fauci impossibili.
«MICK!»
Sento un ringhio bestiale alle mie spalle e l’ultima cosa che vedo è un lampo di zampe semi umane ed una fila di canini arrossati avventarsi su di me. Rossi, come sangue.
Mi alzo di soprassalto scattando a sedere, mentre l’immagine cupa della mia stanza da letto sfuocata cerca di venire messa a fuoco dai miei occhi inondati dalla luce di uno scenario scomparso all’improvviso. Lo scintillio dei denti è l’ultima delle immagini furiose che la mia mente fa sparire e mi ritrovo ad ansimare seduta sul mio letto, bloccata in quella posizione rigida. I miei occhi spalancati saettano a destra e a sinistra per qualche istante, alla ricerca del pericolo, poi il respiro si allinea ad un battito di cuore sempre più zoppicante e le mie mani lasciano il grumo di lenzuola che non mi ero accorta di stringere. Rimango nel buio rilassando appena la schiena inclinata e fisso il punto di luce che la luna riflette sul mobile.
Era solo un altro sogno, un incubo.
Le mie palpebre tornano in una posizione normale, i miei occhi si fanno piano piano vitrei mentre i frammenti dei suoi occhi, del suo sorriso, le sue mani lungo i miei fianchi crollarono mute sotto al mio addome contratto, lasciando un cimitero di farfalle in via di decomposizione. Le avverto sostituirsi con l’immagine di sangue, dei denti aguzzi, e del pensiero che quei denti quasi umani si sono avventati sul suo collo robusto, che hanno sbiancato la sua pelle bronzea. La visione diventa sempre più confusa ed appannata mentre un tremolio familiare mi corre lungo le braccia fino alle spalle così tiro via le scoperte stropicciate e balzo a piedi nudi giù dal letto. Passo un mano sugli occhi tirando via lo strato d’acqua che m’impedisce di vedere bene e salto giù dalla finestra spalancata. Ammortizzo la caduta dal terzo piano piegando le ginocchia fino a terra e posando una mano sull’erba poi mi getto a mezz’aria. Quando tocco di nuovo il prato le mie mani e le mie gambe sono diventate quattro zampe che sfrecciano via tra gli alberi della foresta. Non mi accorgo che, invece di seguire la linea degli alberi per superare il prato di Edward sono sbucata proprio nel suo piazzale.
Sposto il muso verso sinistra e lo vedo lì, seduto in veranda con una bottiglia di bourbon ed un bicchiere già riempito, anche se lui non ne può bere. Mi guarda senza muovere un sopracciglio, ed io rallento senza accorgermene.
«Ash» mi chiama quando mi vede continuare a camminare.
Mi fermo a guardarlo e piego le zampe posteriori per sedermi. Resta seduto ma mi fa cenno di avvicinarmi a lui con un dito. Esito per un attimo ma poi gli vado incontro, riprendendo una forma umana. Ho solo una camicia da notte – be’ una maglia molto lunga, quella che mi ha prestato Edward la mattina prima – ma quando passi più di mezzo secolo al fianco di una persona non ti formalizzi più. Studia i lineamenti probabilmente contratti del mio viso e quando gli sono quasi di fronte mi allunga il bicchiere.
Lo afferro subito e ne mando giù una lunga sorsata. Il sapore di miele si trasforma in una lunga bruciatura che m’infiamma la trachea, ma ormai nemmeno quello fa più effetto.
«Mi aspettavi?» mormoro con una voce più roca di quella che pensassi, restituendogli il bicchiere.
Edward lo posa sul tavolino di fianco a lui, con la sua solita aria pensosa. Di notte diventa sempre particolarmente nostalgico.
«In un certo senso lo immaginavo. » scrolla le spalle e  per fortuna non mi guarda con l’espressione di compassione che detesto – ormai ci conosciamo troppo bene. Sospira alzandosi in piedi:«Un altro incubo?»
«Già..» mormoro fissando la bottiglia di bourbon «Sempre lo stesso da qualche settimana..»
«Stai migliorando però.. Ieri sera hai dormito sodo sul mio divano.» dice pianissimo, con la fronte contratta.
Alzo le spalle:«Ieri sera mi ero affogata nello Champagne.»
Non mi ero nemmeno accorta quando mi ero accasciata sul sedile di Masen, ed avevo solo un pallido ricordo sfuocato, la sensazione di essere stata sollevata, e poi il risveglio, nel mio scomodissimo vestito da sera, sul divano del mio migliore amico. Mi aveva servito la colazione ridendo sotto ai baffi e si era sfilato la maglia gettandomela addosso, perché sapeva che non sarei voluta rimanere dentro quell’abito un secondo di più. Erano finiti gli anni ’30 e le serate passate nei Lounge bar di New Orleans.
«Ne farò ordinare un po’ di casse Signora Bell-Ward. » bisbiglia con un sorriso debole.
In tutta risposta gli faccio una mezza smorfia, mentre Edward si mette in piedi.
«Hai bisogno di una mano per addormentarti?» chiede scrutandomi intensamente negli occhi.
Qualche volta fisso il soffitto così a lungo senza riuscire a chiudere occhio che chiedo ad Edward di ipnotizzarmi con il suo dono, perché io dorma. Ma se dormire vuol dire sognare Michael morire all’infinito..
Mi viene un nodo in gola ma cerco di parlare a voce bassa, cosicché non si noti molto.
«Forse.. Ma prima vorrei farmi una corsetta..»
Edward alza le spalle accennando un sorriso:«Andiamo allora.»
E in un attimo ci lanciamo a tutta velocità tra gli alberi, fino a gettarci in mare.
 
 
̴ B
 
Dopo che avevamo appoggiato il piccolo trolley dentro la nostra vecchia stanza ebbi l’impressione fosse più piccola e meno accogliente della prima volta che ci avevo messo piede.
Sotto gli occhi severi di Edward che monitoravano ogni movimento di Rose, Emmett e Jasper il guasto all’impianto era stato arginato e risolto, quindi il giovedì pomeriggio ce n’eravamo tornati tutti a casa. Rosalie era aveva tenuto il muso ad Edward per tutto il giorno, dopodiché aveva annunciato che lei ed Emmett sarebbero partiti per una settimana  Il signor Masen aveva mantenuto la solita affascinante cordialità e non aveva battuto ciglio quando gli avevamo detto che avremmo lasciato casa sua. Ma la mascella e la fronte contratte lasciarono intuire che ne fosse un po’ dispiaciuto. Renesmee era rimasta imbronciata per quasi tutto il tempo, anche se l’avevamo rassicurata sul fatto che, essendo a cinque minuti da Izzy, avrebbe potuto raggiungerla tutte le volte che avesse voluto. Come avevo immaginato, tenerla lontana da casa Masen nei giorni seguenti, si rivelò un’impresa molto difficile. Edward non ne era entusiasta da un lato, ma era impossibile dire di no a sua figlia. Ancora meno lo divenne quando, il sabato mattina, dopo che Renesmee e Jacob avevano passato due interi giorni fuori – Izzy aveva fatto dormire  mia figlia insieme a lei, e Jacob aveva fatto un giro di pattuglia in forma di lupo – ed io ero andata a riprenderla, il signor Masen mi aveva proposto di ritrasferirmi con suo figlio, la bambina e Jacob, dal momento che le nostre figlie avevano sviluppato una fortissima simpatia reciproca – e che Jacob non restava mai a più di due metri da Renesmee. Era così strano pensare di andare a recuperare mia figlia dopo un pigiama party, fare chiacchiere da genitore mentre si aspettava.. Anche se non volevo disturbare oltre il padre di Edward gli occhi speranzosi di mia figlia erano impossibili da ignorare, e furono gli stessi che strapparono un funereo e secco “d’accordo” dalla bocca di mio marito quando gli diedi la notizia.
Saremmo tornati ad abitare in quella casa di nuovo insieme, totalmente ignari di ciò che sarebbe successo di lì a breve.
 
 
̴ 
 
«Oh ma eccola.. Joeee! Telefonooo!»
La prima cosa che sentii, dopo che ci ho messo 10 minuti ad aprire la doppia serratura dell’appartamento fu la voce di mia sorella in cucina che cercava di sovrastare quella di  Etta James nello stereo. Sbuffando mi girai di profilo spingendo la porta con le scapole ed infilandomi oltre la soglia con le mani piene di buste della spesa.
«Un momento..!  Maledizione..» borbottai mentre stavo per  farmene scivolare una.
«È Dawn!» trillò sbucando con la testa dall’ultima stanza in fondo.
E va bene..
Aprii le braccia davanti a me, ripensandomi alle mie lezioni di danza da bambina , e mollai la presa sui quattro sacchi di carta che restarono immobili, sospesi a mezz’aria. Mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo, libera da quel peso, e con un movimento strapazzato della mano li allineai come un trenino, diretto in cucina, mentre con l’altra feci voltare all’ingiù la manopola del volume dello stereo.
Emma mi guardò a braccia incrociate sulla soglia, scuotendo appena la testa con un sorriso.
Alzai le spalle:«Be’, che c’è?»
«Esibizionista»
«Se mi avessi aperto la porta dopo il secondo tentativo di suonare il campanello, forse non avrei dovuto.» risposi con un’occhiata eloquente.
Rise:«Non ho sentito nessun campanello Joe»
Alzai gli occhi al cielo indicando il bisbiglio delle casse:«Chissà il perché.»
«Sei sicura di averlo suonato davvero?» fece ironica.
Seguii le sporte che stavano svolazzando dietro mia sorella per andare a posarsi sul tavolo:«Mi sono quasi ammazzata con tutta quella roba, forse hai ragione tu.»
Le lanciai un’occhiata eloquente e in tutta risposta Emma mi mostrò la lingua, come una bambina.
 In fondo lo era sempre rimasta..
«A cosa servono le sorelle maggiori, se no?»
Sbuffai raggiungendola con le mani incrociate, ma le feci un mezzo sorriso.
Lei  tese la mano verso di me con la cornetta in mano, divertita:«Dawn, al telefono.»
Afferrai la cornetta e me la misi all’orecchio:«Ciao tesoro, scusa l’attesa.»
Sentii un sottofondo di auto in movimento.
«Mamma! Zia Emma ti ha oberato di commissioni come al solito?»
«Già..» borbottai lanciando un’occhiataccia a mio sorella che mi lanciò un bacio in modo teatrale «Oggi che suo padre ha portato Billy al parco giochi si dà alla pazza gioia. E tu dove sei?»
«Ehi ma allora Paul fa sul serio!» rise «Sulla strada di casa. Sono sulla 80, ho passato l’uscita 71-A da qualche chilometro.»
«Spero che tu abbia gli auricolari mentre guidi.» le dissi accigliandomi, con il sottofondo dello scricchiolio delle buste di carta dalle quali Emma sta togliendo la spesa.
«Sì sì mamma, rilassati..» rise.
«Be’, allora, come sono andati questi quattro giorni da Tess?» sospirai dondolandomi sui talloni.
«Uh bene.. Non che ci sia molto da fare da quelle parti, ma ci siamo divertite.. Sua sorella Wanda andrà a Standford l’anno prossimo, così ne abbiamo approfittato per fare un tour insieme a lei ieri. Sai, almeno mi faccio un’idea di qualche college, non si sa mai.. »
«Avete fatto bene a farci un giro due anni in anticipo..» mormorai distrattamente, fissando un punto indefinito oltre la finestra.
«Stavo pensando di fare un salto da Izzy domenica. Passo da casa per recuperare le mie cose, poi vado a farle una sorpresa. Ho parlato al telefono con Edward e dice che secondo lui è un’ottima idea.. Data la situazione a casa.»
Sbuffai:«Libera di entrare in quella gabbia di matti. Ma ricordati che il prossimo weekend ce ne andiamo al MoMA.»
«Edward è un po’ in difficoltà con suo figlio, ma penso sia comprensibile.. »
«Edward è un irresponsabile. E se i rapporti con suo figlio sono così tesi forse un motivo c’è.» borbottai facendo una smorfia con le labbra «E poi non è prudente che un essere umano stia in mezzo a tutti quei vampiri. Onestamente sono parecchio preoccupata..»
Il solo pensiero mi fece venire i brividi: chi diavolo erano queste persone? Bevevano sangue umano? Erano abituati ad interagire con un essere umano?
«Sono un essere umano piuttosto resistente, ed Edward non lo permetterebbe mai.. Senza contare che i suoi vicini di casa sono un branco di Protettori ed una strega, quindi direi che sono piuttosto al sicuro. » spiegò serenamente. La tranquillità imperturbabile di mia figlia di certo non l’aveva ereditata da me.
«Ashley non mi sembra molto imparziale quando si tratta del padre di tua sorella..» ribattei seccamente.
Già quando abitavamo a Brownsville veniva sempre a piagnucolare da Edward, senza parlare del fatto che, anche quando si era tolta di mezzo, lui avesse insistito per trasferirsi di ristrutturare la casupola vicino alla sua, con la scusa della protezione del branco. Edward poteva incantare nostra figlia e la mia con la sua aria cordiale e il viso da ragazzino, ma io lo conoscevo bene.
Dawn sospirò dall’altro capo del telefono, come se stesse quasi sorridendo, paziente:«Forse, ma in ogni modo non vado a San Francisco da almeno sei mesi, e mi fa piacere rivedere sia lei che Izzy..» poi aggiunse – oserei dire – entusiasta «Per quanto riguarda il nostro weekend d’arte direi che è impossibile dimenticarlo, lo aspetto da settimane!»
Sorrisi mio malgrado, sentendomi rincuorare da quelle parole:«Ne sono molto felice anch’io tesoro.. Ci vediamo tra mezz’ora e ti preparo il Crab Louie che ti piace tanto? »
«Tu mi vizi troppo mamma..! A dopo!»
«A dopo!» ripetei spingendo il testo rosso per riattaccare.
Dovevo mettermi al lavoro se volevo preparare un buon pranzo per Dawn.
«Emma puoi aiut..»
Mi bloccai, colta da una strana sensazione. Avvertii i suoni ovattarsi per un istante, e la stanza corse verso l’alto irradiandosi di luce.
«Joana!» sentii  urlare contro la mia faccia pochi istanti dopo. Quando aprii le palpebre mi trovai addosso gli occhi allarmati di mia sorella.
Non era la stanza a girare ma ero stata io. Mi guardai per qualche secondo attorno poi realizzai di essermi accasciata per terra, tra le braccia di mia sorella.
Fantastico.
Feci per tirarmi su ma mia sorella non mi mollava un attimo, attenta ad ogni movimento.
«Cos’è successo? Ti senti bene? Non alzarti così in fretta!»
«Emma per l’amor del cielo..» borbottai cercando di rialzarmi da sola.
«Joe! Devo portarti da un medico!»
Sbuffai:«È solo uno svenimento, capita, sai? Ora lasciami alzare e smettila di preoccuparti..»
Mia sorella mi controllò sospettosa incrociando le braccia al petto mentre mi rialzavo. Apprensiva..
«Sei sicura che non è meglio farsi vedere?»
Non mi sarei assolutamente fatta vedere.
Alzai gli occhi al cielo:«Emma, sto bene. Capita a tutti, e poi.. »
Una sospensione di suono m’interruppe, mentre a pochi metri da me comparve un’immagine sfumata di una donna anziana che conoscevo bene.
«Lily.» sentenziai seccamente, mentre mia sorella si voltava bruscamente verso la figura che anche lei poteva vedere. Lily non la degnò di uno sguardo, ma teneva il volto sfumato ed impassibile fisso sul mio.
«La Congrega ha bisogno che onoriate il vostro patto. »
Erano passati tantissimi anni dall’ultima volta che l’avevo vista recapitarmi un messaggio. Il che non prometteva nulla di buono.
«Hanno già svolto due compiti per voi anni fa. » ribatté Emma con aria ostile.
La zittii con un gesto della mano scuotendo appena la testa, continuando a fissare Lily:«Cos’è che richiede l’intervento di una strega, un vampiro ed una mutaforma?»
«Vampiri, con uno scopo.» disse enigmatica.
Inarcai un sopracciglio accigliandomi:«Non c’è bisogno di scomodare gli altri. Una paio di vampri non sono mai stati un problema..»
«Sai bene che ora lo sarebbe, Joana. »
Mi fissò negli occhi, come se stesse scrutando ogni piccolo meandro della mia anima. Deglutii spostando lo sguardo e cercando di rimanere ferma e decisa.
«Non sappiamo molto sull’entità del problema, ma gli spiriti sono inquieti. »
«Aspetterò vostre notizie e poi li informerò.» mormorai tornando a guardarla. Sentii gli occhi di mia sorella arpionarmi la parte destra della faccia e fui ben decisa ad evitarli.
«Bene.» fece lei annuendo col capo. Prima di dissolversi in una nube di fumo mi fissò dritta negli occhi ed aggiunse:«Forze oscure si stanno abbattendo sulla vostra famiglia. Sii prudente.»

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