La Discordia della Morte

di Kurokage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Incontro ***
Capitolo 2: *** Sogno di una notte di ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** Smeraldo e Ametista sono pietre preziose ***
Capitolo 4: *** Shakespeare is not in love ***
Capitolo 5: *** Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti? ***
Capitolo 6: *** Probabile Schizofrenia ***
Capitolo 7: *** Fiducia. È solo questione di Fiducia ***
Capitolo 8: *** Gelosia... diamine, mi stai portando via?! ***
Capitolo 9: *** Tsunami ***
Capitolo 10: *** Brividi ***
Capitolo 11: *** Ali ***



Capitolo 1
*** Primo Incontro ***


Capitolo 1: Primo Incontro
!! Avvertenze !!
Prima d'iniziare a leggere, tengo a precisare che tutto quello che trovate scritto in questa storia è una mia completa invenzione: ogni riferimento a fatti reali e/o realmente accaduti è puramente casuale. Anche rifermienti a storie già esistenti sono puramente casuali in quanto non ho letto tutte le millemila storie presenti su Efp; quindi, autore che leggerai e ti riterrai derubato delle tue idee e della tua storia, ricrediti: io non ci guadagno niente dal copiare, sopratutto dopo essermi spremuta le meningi e aver fantasticato per un paio di giorni su come fare lo svolgimento della storia.
Se comunque ti ritieni offes@, ti pregherei di contattarmi prima di denunciarmi persino al WWF perchè credi ch'io tratti male il mio gatto: non c'è bisogno di alzare un polverone e io non ci metto nulla a premere il tasto 'elimina'. Prima di premere il tasto, però, voglio sapere che "l'accusa" che mi viene rivolta, consta di fondamento.
Questa è un'avvertenza che scrivo solo in questo primo capitolo e che non voglio riscrivere in tutti gli altri.
Detto e appreso questo, di seguito trovate l'inizio di "
La Discordia della Morte": buona lettura.
                                                                                                                                                                                                                                                            - Kurokage

1. Primo Incontro

«Dottore, la stiamo perdendo...» sento dire, sfocatamente, da una voce in lontananza.
«Dottore, i battiti stanno rallentando!» un'altra voce, ancora più lontana di quella di prima.
«La pressione sta diminuendo!» ah, ecco di nuovo la prima voce.
Tento di aprire gli occhi ma non ce la faccio: sono troppo pesanti.
Sento dei mugugni da qualche parte, in sottofondo.
 "Ma possibile che non si possa dormire in pace?!" vorrei dire, ma la mia bocca è troppo pesante per poter essere aperta.
In lontananza, sento una voce strozzata e disperata che incomincia a piangere.
"E per la miseria! Anche i piagnucoloni, ora?! Cosa sarà mai successo?!"
«Vuoi saperlo?» dice una voce nella mia testa, improvvisamente, molto più chiara delle altre.
«Non credo comunque che la risposta ti piacerà.»
"Cosa diamine..!"
«» fece sbrigativa la voce.
"Eh?"
«Sì, ti ho detto»
"Ma 'sì' cosa?!" chiesi irritata alla voce.
«Che diamine di domanda è "Ma 'sì' cosa"?! Sì.
La domanda la dovresti già sapere!»
Stavo incominciando a spazientirmi.
In sottofondo, le voci si allontanavano sempre più, dandomi la calma che tanto agognavo da qualche minuto.
"Senti, non so chi tu sia, non so quale dev'essere questa 'domanda che dovrei già sapere', ma ora sono stanca, quindi lasciami dormire in pace"
«No. Questo non posso ancora fartelo fare»
"... Come... scusa? Mi vuoi anche impedire di dormire, ora?"
«Se necessario, sì. Non puoi ancora dormire, quindi vedi di svegliarti»
"Eh no! Questo è troppo! Chi diavolo saresti per darmi ordini, stupida voce della mia testa?!"
«Chiariamo bene le cose, ragazzina, io NON SONO una delle voci della tua testa.
Se soffri di schizofrenia sono affari tuoi, a me non interessa.
Ma ora... SVEGLIATI!!!» mi strillò quella voce, facendomi aprire gli occhi improvvisamente.
La testa prese a girarmi e farmi male e figure sfocate si paravano sopra di me, per poi allontanarsi e tornare di nuovo.
Sbattei gli occhi più e più volte per riprendere lucidità.
"Dove..." un fascio di luce mi colpì dritta nelle pupille, facendomi perdere il filo dei miei pensieri e facendomi vedere tutto  sfocato. Di nuovo.
Tentai di sbuffare ma la mia bocca era bloccata da qualcosa, così , a fatica, incominciai a mugugnare perché mi liberassero.
Avevo le braccia pesanti e la sensazione delle mie gambe equivaleva all'importanza di uno sputo.
"Che... miserabile... schifo."
«"Che schifo" non si dice. Non ti hanno insegnato nulla a scuola?»
Di nuovo quell'insulsa voce.
«Sei pregata di non darmi dell'"insulsa voce"» disse in tono offeso.
"Tu dimmi chi sei e io correggo i modi. Non soffro di schizofrenia, quindi sono sana come un pesce"
«Ancora per poco. Sei fortunata a poterlo ancora dire, in realtà» quel tono da sbruffona mi avrebbe mandato in manicomio dopo averla uccisa.
Di rimando, quella voce si fece un grossa e grassa risata.
Potevo quasi immaginarmela prendere forma e rotolare su un immaginario pavimento.
"Cos'avresti da ridere, ora?!"
 
«Nu.. Nulla... hehe... he...» disse a fatica, tentando di ricomporsi.
«Dunque, emh... Williams... Williams... Ah, eccoti qui!» sentivo come uno sfogliare di pagine, ma era molto confuso e distante.
«Eris Williams, nata il 19 giugno nelle vicinanze di Toronto da Mary Margaret Jones e Kayle Williams in una casetta dall'adorabile tetto azzurro e-»
"FRENA FRENA FRENA! Come fai a sapere tutte queste cose su di me?! Chi diavolo sei?!"
«No, non sono un demone. E nemmeno un diavolo. Sono solo una docile ed innocua vocina che vuole confermare chi sei»
"'Docile ed innocua vocina' i gioielli di famiglia che non ho! Mi manderanno in terapia psicopatica intensiva se continuo a parlare con te! Sparisci!
Sparisci ora!"
«Io... sono altamente offeso per ciò che mi hai detto, sappilo. Questo tuo atteggiamento deve cambiare.
Ad ogni modo, ti stanno per chiamare, quindi fa' la brava e svegliati»
"...'Offeso'? Sei... un uomo? La tua voce è indecifrabile, dimmi chi s-aspetta un attimo, COS'È CHE HAI DETTO?! ALTAMENTE OFFESO?! Ma se tu non rispondi nemmeno alle mie doman-?!"
«Eris, tesoro...? Sono... Sono la mamma, mi senti?» mi chiese la dolce voce di mia madre.
Realizzai solo ora tutto il buio e il silenzio del luogo che mi circondavano, disturbato solo da un leggero ronzio.
Lentamente, aprii gli occhi, preoccupandomi che quello strano e forte fascio di luce mi colpisse ancora.
Una dolce ombra, invece, mi accompagnò nel mio risveglio, e la dolce -ma preoccupata- espressione di mia madre si fece via via più nitida davanti i miei occhi.
Tentando di sorridere, realizzai con sollievo che la bocca non era più bloccata.
Immediatamente, quel volto tondo con tratti gentili si mosse, ed un sollevato e gioioso sorriso si fece strada fra le labbra rosee di mia madre.
«Oh, tesoro! Come... Come ti senti? Ti fa' male qualcosa? Stai bene?» chiese preoccupata.
«Ma... Mam... Mamma...» dissi a fatica, con la gola secca e la voce impastata.
«Io non proverei a parlare, avevi un respiratore in bocca fino a poche ore fa»  mi disse poco galantemente la vocina che pensavo se ne fosse andata per davvero.
"Io COSA?!"
«Calma, tesoro, calma. Avevi un respiratore fino a poche ore fa.
Ma ora va tutto bene. Vado a chiamare tuo padre, era alle macchinette a prendere un caffè» disse con un sorriso alzandosi.
Come mia madre se ne andò, quella dannata vocina tornò a parlare.
«Quindi? Che vogliamo fare?»
"Si può sapere chi diamine sei?! Non sei una voce intentata dalla mia testa, lo so... lo sento"
Lentamente, un'ombra nera prese forma sulla sedia su cui, poco prima, era seduta mia madre.
«Alcune persone ci sarebbero già arrivate, ma siamo cocciuti, eh?» disse scherzosa l'ombra con una profonda e sensuale voce maschile.
«Chi... sei?» tentai di dire.
«Usa il pensiero. Non hai abbastanza forze per parlare con la voce» fece una breve pausa in cui continuai a fissare l'ombra
«Da quanto ho visto, non hai ancora capito cos'è accaduto. Dimmi... ricordi qualcosa?»
"Dimmi chi diavolo sei"
«Così non andremo da nessuna parte, mia cara. Non puoi semplicemente rispondermi?»
"Dimmi chi sei"
«Recidiva, eh? D'accordo. Sono un essere molto più vecchio di te che odia gli specchi e che non invecchia. Contenta?»
"Oh mio... Dio, sei... sei... un-un vampiro?"
«Sì, cioè, no! Non sono né il buon Dio né un vampiro. Sono... qualcos'altro. Ora che ho risposto, puoi rispondere alle mie di domande?!» mi disse meditabondo, finendo la frase con un tono irritato.
"D'accordo, d'accordo. Mi hai chiesto se mi ricordo qualcosa, giusto?"
«Sì. ...Sei attenta, noto» disse con aria compiaciuta «Vedi, » aggiunse immediatamente «Hai fatto una cosa che, teoricamente, non avresti dovuto fare, quindi ora devo valutare un paio di cose.
Ti ricordi che cosa è successo?»
"In realtà... ho appena realizzato di essere all'ospedale. Aspetta, PERCHÉ DIAMINE SONO ALL'OSPEDALE?!"
«Quindi, non ricordi nulla. Ottimo. No, davvero, fantastico» disse, portandosi  (quella che credevo) una mano alla (quella che credevo) fronte.
"Perché quella voce da 'sono nella merda'?" dissi un po' irritata.
«Perché se tu non ricordi nulla, io non riesco a sapere che cos'hai visto. Se mi hai visto» mi rispose, calcando l'ultima frase.
«Stanno arrivando i tuoi. Non raccontare nulla di me, altrimenti ti prenderanno per pazza. O schizofrenica, se preferisci» disse con una risatina, svanendo.
Tre secondi dopo, entrarono mamma, papà, e il dottore.
«Quindi? Come andiamo, signorinella?» mi chiese con un sorriso quest'ultimo.
«Cre...do... Ben...ne...» gli risposi a fatica.
«Dottore, credo che-» iniziò mia madre «Riposo e acqua, signora, riposo e acqua. È miracolosamente scampata ad un incidente quasi sempre fatale. Devi considerarti fortunata»  mi disse il  dottore, facendomi l'occhiolino ed uscendo dalla stanza.
"Incidente? Quasi sempre fatale?"  «Mam... ma... co... cos... a... suc... succ... successo?» dissi molto a fatica, sentendo chiaramente lo sforzo delle mie corde vocali.
Mia madre si sistemò sul letto accanto a me, mentre mio padre si sedeva sulla sedia vicino al letto.
«Calma, tesoro, calma. Caro, per favore, prenderesti un bicchiere d'acqua?» chiese dolcemente mia madre a mio padre che, per tutta risposta, si alzò e andò a prendere un bicchiere.
Lei rivolse di nuovo il suo profondo sguardo e i suoi occhi marroni su di me.
«Non ricordi nulla, tesoro?» mi chiese sorridendo, a cui risposi di no con la testa.
Ma c'era almeno una parte del mio corpo che non mi facesse male?!
«Puoi provare con gli occhi» disse quella voce, ridendo come una dannata.
La ignorai, e tornai a focalizzarmi su mia madre.
Lei, tranquillamente prese a raccontarmi.
«Umh avrei dovuto immaginarlo, hai preso una gran botta. Vediamo... da dove incomincio... ah, ma certo! Dall'inizio!» disse con una piccola risatina.
«Allora... ti eri alzata sbuffando come sempre, ma eri tutta carica perché... perché... ah, sì! Perché a scuola facevano la proiezione di un film»
Proiezione di un film... proiezione di un film... qualcosa nella mia mente stava incominciando a muoversi mettendo tutti i pezzi a posto.
«Come tutte le mattine, ti sei alzata, ti sei lavata, cambiata e sei scesa a fare colazione, mangiando una tazza di cereali al cioccolato col latte caldo»
Stavo piano piano incominciando a ricordare...
«Poi, hai preso la cartella e sei uscita per andare a scuola.
Successivamente, non so cosa sia successo, ma ad un certo punto, un'infermiera dell'ambulanza ha chiamato me e tuo padre, dicendo che venivi portata all'ospedale.
Ti abbiamo raggiunto in fretta e furia, e quando siamo arrivati ti stavano per operare a causa dell'emorragia interna che avevi.
Successivamente, hai dormito per due giorni aiutata da un respiratore che ti hanno tolto quando ti sei svegliata e hanno capito che potevi respirare da sola.
In questi due giorni, è venuto l'uomo che guidava il camioncino che ti ha investito per sapere se stavi bene. Che gentile.
Ci ha raccontato come si è svolta la storia. Te la ricordi?»
Mi ricordavo qualche pezzo di quella giornata,  io che prendevo la  cartella e uscivo, quello strano gatto nero che continuava a fissarmi, la vecchietta che attraversava..
LA VECCHIETTA!
Colta da un lampo, ricordai quasi tutto, e tentai di chiedere a mia madre come stava la vecchietta che avevo fatto capitombolare per terra.
«Stai tranquilla, tesoro» mi disse lei dolce «la signora Green sta bene. Ha preso solo una gran botta quando l'hai spinta, ma sta bene»
Sospirai sollevata.
Nel mentre, mio padre mi aveva portato un bicchiere con dell'acqua che avevo avidamente iniziato a bere a piccoli sorsi.
«Quindi...» dissi con la gola più morbida «sono rimasta addormentata per tre giorni?» chiesi, mentre il dottore entrava e reclamava la presenza dei miei genitori.
«Torniamo presto, cara» mi disse papà affettuosamente mentre chiudeva la porta della stanza dietro di sé.
«Quindi... ora ricordi, finalmente?» disse l'ombra , riformatasi su una sedia poco distante dal letto, facendomi prendere un colpo.
«Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Scusa. Ora ricordi, quindi?» mi disse l'ombra sbrigativa.
«P-Più o meno... perché ci tieni così insistentemente?» chiesi io torva e curiosa.
«"Più o meno" quant'è su una scala da uno a dieci? E comunque, affari miei. Te l'ho detto, hai fatto una cosa che non dovevi fare ed ora sto tentando di porvi rimedio»
«Umh... cinque, presumo?»
«Cinque, eh?» disse con tono divertito «Bene. Vedrò di trasformare questo cinque in un numero più alto o più basso» concluse con una risatina, sparendo.
Io, nel mentre, mi interrogavo ancora su chi o cosa fosse quell'ombra, ma caddi solo in un sonno profondo, mentre i miei genitori aprivano la porta della stanza.
«Fa' piano, sta dormendo» sentii dire da mia madre, prima d'incominciare a sognare.




/*Angolo Autore*/
Buona sera/mattina/pomeriggio a tutti, cari lettori!
Perdonate gli errori di grammatica se ce ne sono, e non fatevi scrupoli ad indicarmeli (gentilmente, che non mangio, grazie)!
Parlando della storia, questa è la prima storia
che scrivo da capo a piedi, senza ispirarmi da nulla.
O meglio, mi hanno ispirato un fumetto ed un film, ma la storia è completamente mia.
Parlando del capitolo, lo so che a primo impatto non si capisce molto, ma se avessi già spiegato tutto non ci sarebbe la storia xD
Nel mentre, fantasticate su cosa diavolo stia succedendo e se vi viene voglia di tirare a sorte, scrivetelo pure in una recensione... ci si vede al prossimo capitolo!

(Per chi si è abituato con la musichetta in sottofondo, allora ascolti pure
Hitotsu Dake no Michishirube {Akuma no Riddle OST}

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Capitolo 2
*** Sogno di una notte di ritorno a casa ***


Capitolo 2 - Sogno di una notte di ritorno a casa
2. Sogno di una notte di ritorno a casa

Aprii gli occhi lentamente, dopo aver fatto un profondo sonno senza sogni.
«Caro...» sentii sussurrare mia madre
«... si è svegliata»
Focalizzato ciò che avevo davanti, mi trovai i sorrisi gioiosi dei miei genitori.
«Avete una faccia che dice palesemente "non ti uccido di abbracci solo perché sei ricoverata". A cosa devo tutto questo... coso?» dissi con un sorriso, proprio quando il mio sguardo si posò su un panda di peluche gigante con bambù annesso.
«Ah! Tesoro!» disse mia madre tutta emozionata «È stato Mattew a regalartelo! Quando ha saputo del tuo incidente è corso subito qui a chiederci tue notizie ed a portarti questo panda gigante. È un ragazzo adorabile, Eris» finì lei, con occhi sognanti.
...
Facciamo un rewind.
Quando ero alle elementari, Mattew era il mio vicino di casa ed il mio unico amichetto, mentre alle medie (quando mi sono trasferita in una cittadella poco distante) ho incominciato a fare nuove amicizie che hanno stranamente portato Mattew a diventare inspiegabilmente geloso.
Gradualmente, verso il passaggio alle superiori, Mattew era diventato sempre più geloso, fino a quando il tutto non lo aveva portato a confessare i suoi sentimenti per me prontamente rifiutati.
Nonostante gli avessi suggerito di interrompere la relazione di amicizia per evitare ulteriori dolori, Mattew aveva rifiutato dicendomi che avrebbe messo da parte i suoi sentimenti.
A tutt'oggi, vi erano stati cambiamenti notevoli: era diventato ancora più geloso.

Sospirai, osservando quel povero peluche che non aveva fatto nulla di male.
«Mamma...» chiesi d'un tratto «hai detto che mentre dormivo era venuto l'uomo del furgoncino che mi ha investito... quindi sono stata investita? Cioè, so che è successo qualcosa, ma io ricordo soltanto che ho spinto la vecchiet-la signora Green, sulla strada, per evitare che le succedesse qualcosa»
«Sì, tesoro» rispose subito mio padre «stavi andando a scuola, quando hai spintonato la Signora Green lungo le strisce pedonali per evitare che il camioncino che guidava il Signor Robinson, che aveva perso momentaneamente il controllo, la investisse. Così facendo, però, sei stata investita a tu, cosa che ti ha causato un trauma cranico» disse serio, guardandomi negli occhi.
Fischiettai. «Wow. Faccio le cose in grande, eh?» dissi ammiccando e suscitando un leggero sorriso sulle facce dei miei genitori.
«Tesoro...» disse mio padre «noi abbiamo bisogno di prendere un caffè, un attimo. Se hai bisogno, urla, e qui c'è il pulsante per chiamare il dottore» disse mettendomi in mano un affarino di plastica bianco con un tasto rosso nel centro.
Mamma e papà si alzarono, lasciando la stanza con un sorriso.
Il silenzio che riecheggiava in quelle quattro mura bianche era disturbato solo dal ronzio delle macchine.
«Cucù! Sono tornato!» disse l'ombra, prendendo forma sulla sedia e facendomi venire un colpo.
«Tu... TU!! Mi farai morire prima o poi!» dissi arrabbiata, portandomi una mano sul cuore.
Lui si fece una grossa risata.
«Quindi? Hai ricordato qualcosa, o sei ancora a 5?» disse con la voce di chi sta sorridendo.
«I... I miei genitori mi hanno spiegato cos'è successo.. e... sì, possiamo dire che sto incominciando a ricordare, anche se non ricordo esattamente tutta la scena»
«Beh, è plausibile» disse lui calmo «è successo tutto troppo velocemente per te. Insomma, sei solo un'umana»
Lo guardai molto male.
«E? Scusami tanto signor ombra se sono solo una semplice, comune e mortale umana. Se avessi potuto avrei scelto di essere Batman, ma non mi è stato concesso.»
«Semplice ci può stare, mortale e umana sono azzeccatissimi, ma comune no. No no. Tu puoi essere tutto, ma non comune» disse con tono leggermente più serio.
Che cosa diamine intendeva con ciò?!
«Ad ogni modo» continuò lui «devo tenerti sotto stretta sorveglianza. Non mi fido di voi mortali: non mi sono mai fidato né mi fiderò mai» concluse, sicuro di sé stesso.
«Scettici, eh?» dissi con un leggero tono d'accusa.
«Umf. Ricordati solo che ti terrò d'occhio» disse sparendo.
Un paio di minuti dopo entrarono di nuovo i miei.
«Tesoro, abbiamo una splendida notizia per te!» iniziò mia madre, guardando fiduciosa papà «Se starai bene, fra tre/quattro settimane ti faranno uscire!» finì quest'ultimo, cavandomi anche l'ultimo briciolo di felicità che avevo in corpo.
«Tre... quattro... settimane, eh?» «Sì!» mi risposero subito loro due, gioiosi come la Pasqua.
Sbuffai.
E ora, chi mi salvava più?

                                                                                                   
 

I medici avevano allungato la mia permanenza in ospedale da tre a quattro settimane, rendendo l'eterno inferno di attesa ancora più lungo.
Fortunatamente, il giorno della mia rimpatriata era finalmente arrivato, e tutto quello che desideravo era ritornare nella mia adorata camera da letto.
Durante la mia permanenza in ospedale, mi era venuta a trovare un sacco di gente:  la signora Green, il signor Robinson, dei miei compagni di scuola, Matt, la signora Green, due mie lontane zie venute in vacanza, il signor Robinson, Matt, la signora Green, Matt e di nuovo la signora Green.
E lo chiamavano "ricovero", eh?
Tornata a casa, la prima cosa che feci (che tra l'altro mi costò una sfiorata caduta lungo le scale con doppio salto mortale) fu fiondarmi in camera mia chiudendo a chiave la porta.
Nessuno avrebbe potuto disturbare quel momento.
Nessuno.
«Heilà! Ci siamo rimessi in sesto eh?» disse l'ombra, improvvisamente apparsa sul mio letto, facendomi fare un balzo in dietro talmente grande da sbattere contro la porta.
«Eris, tutto bene?» disse la voce preoccupata di mia madre dal piano di sotto.
«Sìsì, tutto a posto, ho solo preso contro alla porta!» gli urlai di rimando, perché mi sentisse.
«Perciò... questa è la tua stanza...»
«Non mi sembra di avertici mai invitato» gli dissi, guardandolo in cagnesco.
«Non sono mica un vampiro, cara, non devo essere invitato per entrare dove voglio» disse con tono ironico e affilato.
«Fuori. Ora»
«Non puoi cacciarmi, Eris. Sono peggio di un incubo. Ti troverò sempre, che tu lo voglia o no» disse svanendo.
Brividi freddi mi corsero lungo la spina dorsale.
Cos'era questa sensazione di pericolo e paura che sentivo?
Tentando di calmarmi, mi buttai sul letto prendendo in mano il primo libro che trovai.
Aprii al primo capitolo, ma le righe si confondevano l'una con l'altra e la testa girava così tanto che richiusi il libro di scatto e fissai fuori dalla finestra.
Era una bella giornata di sole e un'aria leggera scuoteva le foglie del salice piangente che avevo davanti la finestra.
Voltai lo sguardo e osservai tranquilla i poster appesi alla parete.
Non erano temi tanto... felici e rosei, ecco, ma erano film che avevo sempre amato.
Fra i tanti, disposti con cura e al millimetro, sulle pareti e sulle ante dell'armadio, risaltavano quello di Dracula (del regista Coppola), un'attraente Achille in Troy, un tenebroso Brandon Lee con un corvo vicino e un pragmatico V che nascondeva la sua maschera dietro ad un cappello abbassato.
He... vive la révolution!
Più calma e tranquilla, tornai a prendere in mano il libro che avevo malamente chiuso.
Ritornai ad aprire al primo capitolo noncurante della copertina e lessi le prime righe.

"UN MARE D'AMORE, LUCY
Quell'incisione era l'unica cosa su cui il dottor Jack Seward riuscisse a concentrarsi mentre si sentiva sopraffare dalle tenebre.
In esse trovava la pace: nessuna luce impietosa a illuminare i brandelli della sua vita.
"

«A-ha!» esclamai di punt'in bianco
«Questa la so!» dissi, incominciando a pensare la risposta che arrivò fulminea «Undead!»
Perdendo il segno, anche se il primo capitolo era abbastanza vicino all'inizio del libro, chiusi il libro e guardai la copertina.
Avevo fatto centro di nuovo.
C'era da dire che, fin da quando ero bambina, ero sempre stata un'avida lettrice che imparava i suoi libri quasi a memoria.
Amavo leggere, e riconoscevo un libro già dalle prime parole.
Posai il libro sul comodino a fianco del letto, e guardai la pila che lo occupava interamente.
Mentre col dito scorrevo sui dorsi per scegliere che libro leggere, una voce dal piano inferiore annunciò che era pronto il pranzo.
Con tutta la calma che potevo usare per la mia testa, mi fiondai nella sala da pranzo, pregustando il sapore delle deliziose lasagne che nonna aveva preparato.
Per il resto non sapevo, ma per quanto riguardava il cibo, avere una nonna italiana era il top.
Succose lasagne appena sfornate.
Mia nonna si voltò a guardarmi con occhi adoranti.
«Sono contenta che tu stia meglio, mia cara. Sono stata molto in pensiero, sai?» mi disse con una voce calma e dolce che lasciava intendere il sollievo di una preoccupazione passata.
«Sto bene, nonna. Grazie per esserti preoccupata» le dissi con un sorriso a trentaquattro denti, facendole curvare le labbra in un dolce sorriso.


Avevo la pancia che mi stava seriamente scoppiando.
Erano delle settimane che andavo a roba sana ed equilibrata ed ora mi ritrovavo con questa bomba atomica in casa.
Diamine, la nonna sapeva farci!
Era pomeriggio inoltrato quando la nonna decise di tornare a casa ed io me ne andai in camera a leggere.
Ritornai a rimirare la pila di libri sul comodino, scegliendo infine di rileggere le ormai consumate pagine di Dracula.
Conoscevo quel romanzo a memoria ed ogni volta che lo leggevo, non potevo far altro che notare il lato solitario di Dracula.
Ero arrivata circa al decimo capitolo, quando mi appisolai, sentendo il peso del libro scivolare dalle mie mani sulla mia pancia.

Sapevo di stare sognando.
Eccome se lo sapevo.
Anche perché era totalmente impossibile che io potessi vedere Dracula ballare con Mina.
Quindi, stavo sognando.
Era una sensazione strana, come se io avessi potuto vedere tutto, ma loro non avrebbero mai visto me.
Sospirai dolcemente, vedendo la momentanea felicità negli occhi di Dracula.
«Che cosa non fare un uomo per amore?» mi chiesi retoricamente.
«Per amore, un uomo, è disposto a dannarsi. A farsi uccidere. A tradire ed essere ucciso» mi disse improvvisamente una voce maschile.
Con un salto all'indietro per lo spavento, mi voltai a guardare il mio interlocutore.
Era vestito con abiti da ballo settecentesco, tutto ricami e seta.
Una maschera gli copriva la parte superiore del volto, e stava osservando anche lui lo scenario.
Quando si voltò a guardarmi rimasi di pietra.
Aveva due occhi viola intenso con una luce che gli brillava dentro, rendendoli quasi... magici.
Tentando di distrarmi da quegli occhi ipnotici osservai i suoi vestiti.
Era un tipico vestito da ballo del 1700 da nobile, grigio perla, con ricami grigi che risaltavano.
Sotto la giacca, dello stesso tessuto e trama dei pantaloni, si poteva intravedere un semplice panciotto color grigio freddo e lo jabot era bianco e in pizzo.
Non indossava il tricorno, il tipico cappello da uomo del '700, e aveva i capelli bianchi cotonati raccolti da un nastro dello stesso colore.
Osservare i suoi capelli, però, mi aveva riportato ai suoi occhi.
Quegli occhi viola erano circondati da una maschera nera che nascondeva solo la parte alta del viso.
Ai lati pi esterni era prolungata da eleganti e soffici piume nere, che non stonavano affatto con la trama in pizzo della mascherina.
Ed accentuavano quegli occhi ipnotici.
Lui mi tese una mano  e mi sorrise, l'esatta copia di un dongiovanni nobile, bello e ricco.
E misterioso.
«Vieni. Devo mostrarti una cosa» mi disse con voce dolce e sensuale.
Solo quando presi la sua mano per alzarmi, mi resi conto di come ero messa.
Anche io, ero vestita come una dama del 1700 che andava ad un ballo.
Il mio vestito era abbastanza semplice, nero, con la parte davanti del corpetto e della gonna di un blu acceso ricamato.
Le maniche mi arrivavano alle mani terminando con del delicato pizzo nero sopra blu.
L'acconciatura... beh, era meglio dire la parrucca, era voluminosa, cotonata e scomoda.
Ma tutto sommato carina, caratterizzata da boccoli e riccioli di ogni sorta che lasciavano ricadere sulla spalla una piccola coda di capelli.
Mi portai una mano agli occhi, dato che sentivo fastidio, e scoprii così anch'io di avere una mascherina.
Da quanto potevo toccare, era in pizzo con una... rosa, forse, ad un lato, da cui spuntava una piuma.
«Vogliamo andare?» mi tornò a chiedere lui.
Esitai un istante.
«... E chi sareste voi, il fantasma del Natale passato?» dissi.
Lui rise e mi fissò più intensamente.
«Voglio mostrarvi una cosa, ma dovete seguirmi»
Dannato istinto curioso.
«... D'accordo» dissi semplicemente.
 Lui sorrise e il mio cuore perse un battito.
"Per la miseria, Eris! Datti del contegno!" canzonai a me stessa.
Mi prese delicatamente la mano sinistra e la posò sulla sua spalla e nel mentre, intrecciò  la sua mano sinistra con la mia libera.
Mi posò la sua mano destra sul fianco e iniziammo a ballare.
«No, cioè... aspetta un attimo...» gli dissi, presa da un momentaneo panico «io.. io non so ballare, figuriamoci se so ballare una roba del genere
«Non è "una roba del genere"» mi disse con tono gentile «è Valzer»
«Uh, wow» dissi di rimando «No, aspetta. Stiamo ballando cosa?!»
Lui sorrise.
«Lasciati andare. Guido io»
Come magia, ci ritrovammo nella scena che avevo immaginato insieme agli altri ballerini.
Ogni mio pensiero svanì e non feci altro che seguire ciò che lui mi aveva detto.
E ballai.
Ballai soltanto.


Dopo un tempo che mi parve interminabile, ripresi coscienza di me stessa.
Stavo ancora ballando con lui, un valzer lento, dai movimenti delicati e aggraziati.
Ma "lui" era una persona a me ignota.
«Posso... posso farvi una domanda?» chiesi, prendendolo alla sprovvista.
«Certo» mi sussurrò lui all'orecchio, con un sorriso.
Ballammo ancora un paio di giravolte, continuandolo a fissare negli occhi.
«Voi...» esitai un attimo «Voi chi siete?»
Lui sorrise dolce, come se in molti gli avessero fatto questa domanda, ma io glielo chiedessi davvero.
«Io sono...»
Mi svegliai di soprassalto con la gola secca.
In un attimo di disorientamento notai che era buio pesto fuori e l'ora sulla sveglia confermò il fatto che fosse notte fonda.
«Le tre di mattina, eh?» gracchiai togliendomi dalla pancia Dracula e scendendo dal letto.
Andando al piano inferiore per arrivare in cucina a prendere da bere, tentai di capire perché avessi sognato una roba del genere.
Insomma, non ero per nulla il tipo che voleva vivere nel settecento tutto balli, fronzoli e intrighi.
Però... però dovevo ammettere che mi era piaciuto ballare con qualcuno.
"Oh, andiamo, Eris! È stato solo un sogno! Solo. Un Sogno."
Presi una bottiglia d'acqua dal frigo e ne versai un po' in un bicchiere.
"Però... è stato bello ballare con qualcuno. E aveva degli occhi veramente magnifici..." pensai fra me e me.
Mentre bevevo tranquillamente, sentii una presenza alle mie spalle.
Mi voltai e per poco non feci cadere a terra il bicchiere.
«Mi sembrava di averti detto che non volevo vederti più»
«Hai detto di uscire dalla tua stanza, non di scomparire per sempre» disse l'ombra, elegantemente appoggiata sul ripiano della cucina.
«Sparisci»
«Non sono ai tuoi ordini»
In realtà, nemmeno lo ascoltai.
Mi diressi dritta dritta in camera e chiusi la porta al
le mie spalle.
L'indomani... beh, fra più o meno quattro ore in realtà, sarei dovuta tornare al mio solito tram tram scolastico.
Non avevo tempo da perdere con simili schizofrenie inventate.
Mi misi il mio adorato pigiama e mi cacciai sotto le coperte, ignorando qualunque cosa mi sembrasse irreale.
Poco prima di cadere nel mondo dei sogni, però, sentii qualcuno sussurrare qualcosa, ma non ci diedi molto peso e continuai a dormire beata.
"Anche a me... piace ballare il Valzer" aveva detto.


/*Citazioni e Riferimenti*/
È stato citato il primo paragrafo del libro Undied - Gli immortali di  Dacre Stoker e Ian Holt


/*Angolo Autore*/
Ed eccoci anche col secondo capitolo! Perdonate gli errori di battitura, ma non riesco a riconnette il cervello, ormai xD
Credo... che questo capitolo sia un po' confusionario e complicato, ma nemmeno io non ho capito molto.
Oh.
Forse non dovevo dirlo.
No, dai, scherzo! È solo che questo capitolo è stato molto... difficile da scrivere perché, PC a parte, avevo una tabula rasa che comprendeva anche il contare i numeri O.o
Spero che, comunque, piaccia :D
Al prossimo capitolo!
                                                                        - Kurokage

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Capitolo 3
*** Smeraldo e Ametista sono pietre preziose ***


Capitolo 3 - Smeraldo e Ametista sono pietre preziose
3. Smeraldo e Ametista sono pietre preziose

Diamine se avevo dormito male.
«Eris, tesoro!! È ora di alzarsi o farai tardi!» disse la voce di mia madre buttandomi giù dal letto.
Mi stropicciai la faccia una mano e mi stiracchiai le braccia.
Andai in bagno, bussando per sapere se dentro c'era qualcuno; mi lavai faccia e denti, e mi sistemai i capelli.
«Oh... divinità!» dissi, osservandomi allo specchio.
Avevo una cera schifosa!
Due leggere occhiaie si erano comodamente prese una vacanza sotto gli occhi e non sarebbe stato preoccupante se solo non avessi avuto una pelle chiara.
Sembravo un fantasma che ha preso due pugni negli occhi.
Corsi in camera a vestirmi prendendo la prima roba che avessi sottomano: jeans e una maglia che mi aveva fatto mia madre per il mio compleanno.
Alla velocità della luce tornai in bagno e mi misi un po' di trucco, quel tanto che bastava più che altro, a mascherare un po' quei due cazzotti formato occhiaie.
Volai al piano terra e mi diressi in cucina.
Là, trovai mamma ai fornelli e papà che leggeva beatamente il giornale a tavola.
«A TAVOL-Ah, sei qui cara» mi disse mamma con un sorriso.
Papà mise via il giornale, mentre la mamma metteva al centro della tavola un fumante piatto di pancakes.
«Bisogna incominciare bene la mattina, no?» mi disse lei allargando il sorriso.
«Infondo,» finii mio padre «è il tuo primo giorno di scuola. Ma solo per la seconda volta» disse, scatenando delle grasse risate sia a me che a mamma.
Mangiammo con calma, e le sette e mezzo, arrivarono presto.
«È ora di andare» mi disse papà.
«Sì» gli risposi, prendendo la mia cartella a tracolla e incamminandomi fuori.
«E non farti investire!!!» urlo mia mamma dalla cucina.
«Perché è divertente farsi investire, no?» dissi bofonchiando, mentre mi chiudevo la porta alle spalle e mi incamminavo per scuola.
Da casa mia alla GreeMyth High School  c'erano giusto dieci minuti di camminata.
Sentii che avevo sobbalzato e smisi di respirare quando passai di fianco alle strisce pedonali dove, poco tempo prima, ero stata investita.
"Almeno, non ci sono vecchiette nei dintorni" mi dissi con un mezzo sorriso per calmarmi.
Passai le strisce ed in men che non si dica ero arrivata a scuola.
Un senso di mancanza, arrivata ai cancelli imponenti dell'entrata, si riempì.
«Ecco qua la nostra salvatrice provetta!» sentii dire da una voce famigliare.
«Matt! Ho saputo che sei venuto a farmi visita. Grazie» gli dissi educata, mentre tentavo il più possibile di mantenermi alla larga da due metri e settanta di gelosia.
«No devi ringraziarmi, piccola» disse lui avvicinandosi.
«Non sono piccola. Sono un metro e sessantacinque!» dissi io, scatenando una sua risata.
Nel mentre, una mia vecchia conoscenza si avvicinò.
«EEEEERIIIIIIIIISSSSsss!!!» disse Mary con l'eco, fiondandosi su di me.
«Erismiseimancatatantissimo!!!!» disse lei con voce piagnucolante.
«Mary, se continui così, però, io non capisco un tubo...» dissi sorridendole.
Mary era un'estroversa ragazza di diciotto anni, mia compagna di banco, ed un biondo metro e cinquanta di dolcezza.
I suoi grandi occhioni blu mi scrutarono attentamente.
«Mi sei mancata»
«Anche tu»
«Io ti sono venuta a trovare, tu no»
«Ero ricoverata, Mary!»
«Lo so» disse lei con un sorriso, trascinandomi via da Matt.
«Devo raccontarti un saaaaaaacco di cose! Ma prima!!!» disse guardandomi con occhi scaltri «Devo farti conoscere il nostro nuovo acquisto...»
«Nuovo... acquisto?» balbettai pensierosa.
Mi prese una mano e mi trascinò in un luogo recondito e sperduto della scuola: in mensa.

All'entrata, tutti gli occhi si puntarono sulla sottoscritta ed un silenzio tombale invase la sala.
"Ed ella esplorò mari e confini, cieli e spazi ma non trovò silenzio alcuno.
Solo l'impresa di colei che era la prescelta riuscì a tacere il confuso brusio di coloro che non credettero..." pensai.
A volte ero proprio brava a farmi i miei filmini mentali.
Mary mi trascinò ad un tavolo dove alcuni ragazzi e, strano a dirsi, un mucchio di ragazze avevano ripreso a parlare animatamente.
Ben presto, quando "il nuovo acquisto" si voltò a fissarmi, capii il perché di tutte quelle ragazze.
Due occhi verdi mi stavano fissando curiosi di sapere chi ero.
No, non erano semplicemente verdi. Erano smeraldo.
Mi tornarono in mente gli occhi del ragazzo mascherato, quello del sogno... avevano la stessa luce ed intensità.
«Eris, lui è...» incominciò Mary, ma non l'ascoltai nemmeno un secondo.
Quegli occhi continuavano a fissarmi, a incatenarmi a loro, e non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Erano profondi, chiari, misteriosi... e riuscivano a guardarti dentro.
«...classe» concluse Mary, senza notare che non l'avevo nemmeno seguita per uno straccio di secondo.
Lui mi tese una mano.
«Nonostante Mary abbia già fatto la mia presentazione, mi sento in dovere di ribadirla» disse con un sorriso.
Sapeva.
Sapeva, aveva visto che non avevo degnato Mary di un ascolto.
«Mi chiamo Thy. Soahc Thy. Con l'h»
Dovevo appuntarmi il suo nome da qualche parte.
Allungai la mano verso la sua e la strinsi.
«Eris. Eris Williams. È un piacere fare la tua conoscenza»
Per un solo secondo, una luce di sorpresa gli illuminò gli occhi al suono del mio nome.
«Il piacere è tutto mio... Eris» disse, facendomi sciogliere come gelato.
Per gli dei romani, greci, normanni, gallici e tutti gli altri!
Aveva la voce più calda e sensuale che avessi potuto udire in diciotto anni della mia vita!
Mi misi a sedere e cominciai a chiacchierare con i miei compagni di classe: scoprii così che Thy era arrivato da poco, e che si era sempre trasferito di città in città sin da quando era piccolo.
Il più delle volte, rimanevo in silenzio a meno che non fossi interpellata.
Non ero mai stata così silenziosa.
Generalmente avevo sempre qualche mia opinione da esprimere o qualcosa da controbattere, ma questa volta... questa volta no.
Questa volta, la voce di Thy era tutto quello che mi importava.
Se avessi dovuto paragonare le sue caratteristiche a delle cose, avrei sicuramente detto che era affascinante come un Adone (anche se  poi non lo avevo mai visto), la sua voce era ammaliante come quella di una sirena (anche se, in realtà, non le avevo mai sentite) e i suoi occhi erano... erano... spettacolari.
Insomma, un gran pezzo di ragazzo su cui era legale sbavare.
«Hei, ma... perché siamo in mensa?» sbottai, realizzando che era quasi un'ora che eravamo lì dentro e che le lezioni dovevano essere già iniziate da un po'.
«Diamine, me ne sono dimenticata!» sbottò Mary «Oggi si parte tardi» disse, con un sorriso a trentaquattro denti stampato in faccia.
«Ooooh» risposi io di rimando come un bimba estasiata.
Thy rise.
...Potevo sentirlo chiaramente.
Qualcosa, dentro di me, stava urlando uno spaventato "AI RIPARI!!! LA STIAMO PERDENDOOOO!!!".
Che poi, avevo solo perso qualche battito nel sentire la sua melodiosa risata.
Che vuoi che sia?

La campanella segnò l'inizio della seconda ora e ci avviammo tutti nelle rispettive classi.
Come sempre, io mi sedetti al mio posto (che, a dirla tutta, non mi era poi così mancato): prima fila, terzetto dei banchi centrale, posto centrale, Mary a destra.
Anche quella mattina, mi aspettai che Matt tentasse invano di comprarmi per sedersi di fianco a me, dato che il banco alla mia destra era sempre stato libero, ma quella mattina non accadde.
Anzi, mi passò di fianco, mi guardò con uno sguardo a metà fra il triste, il collerico e il geloso, e continuò verso la fila di banchi dietro la mia.
Wow.
Mi chinai per prendere dalla cartella astuccio, libri e quaderno, quando sentii la sedia di fianco alla mia sfregare leggermente il pavimento.
Allora, mi chinai fino a vedere le scarpe e constatai che, stranamente, qualcuno si era seduto accanto a me fregando il posto a Matt.
Mi tirai su, senza voltarmi.
«Spero non ti dia fastidio che mi sia seduto qui. Quando sono arrivato il professore aveva detto che questo era un posto libero»
"Che il cielo possa crollarmi addosso se solo io creda che tu mi dai fastidio! Sei il mio salvatore! L'unico e solo!! Oltre che essere un gran gnocco..."
«Oh, Thy! Non ti avevo visto! Ma certo che non mi dai fastidio» gli risposi con un sorriso.
Non potevo essere più contenta di così!
Thy aveva delimitato finalmente il muro che mi separava da Matt, e Matt... beh, questa volta doveva arrendersi.
Lui non immaginava quanto gli volessi bene, ma era un amico, un amico punto e basta.
Da tempo, era lui quello che si arrovellava su storie fantasticamente impossibili fra noi due.
Gli volevo bene. Punto.
E più di una volta lo avevo messo in chiaro.
Ma lui continuava a fare il mulo testardo e a voler sbattere contro il muro.
Io mi ero stancata di passargli le bende, ma lui se le andava a prendere da solo!
Tornai a concentrarmi sulla lezione, pregando che nient'altro mi distraesse.
«... e morì nel 1967, prima del suo ottantunesimo compleanno. Tutto chiaro fin qui, ragazzi?» disse il professore.
Oddei, chi era?
Allungai gli occhi sul quaderno di Mary e cercai un titolo fra tutti quei cuoricini e stelline che lo invadevano.
Si... Sig... Ah, ma certo! Siegfried Sassoon!
Sfogliai velocemente le pagine del libro fino a che non lo trovai, e continuai a seguire la lezione.
All'incirca un tempo interminabile più tardi suonò la campanella del pranzo.
Dopo ore infernali fra Italiano, Matematica e Biologia, non capivo più un tubo.
Passai dalla caffetteria a prendere un panino e salutai la signora Collins alla cassa.
«Cosa ci offre di buono la cucina, oggi, signora Collins?» chiesi gentile.
«Gli hanno già fatto questa domanda in almeno venticinque, quindi, se la signora Collins me lo permette, lascia che ti risponda io» disse una voce proveniente da dietro.
La signora Collins sorrise
«Ma certo»
Io mi voltai e trovai Thy in fila esattamente dietro di me.
«Tramezzini con pollo, con funghi, con burro di arachidi, pizza e yogurt. Ma ricordati di prendere qualcosa da bere, altrimenti ti tocca rifare la fila come me» disse, facendomi l'occhiolino.
Avanzai, ordinando un semplice tramezzino coi funghi ed un tè alla pesca fresco.
«Posso sedermi di fianco a te? O forse non ti vado a genio?» mi disse, rincorrendomi a passo svelto.
«No.. no... certo che mi vai a genio. Credo. E.. sì, certo, puoi sederti di fianco a me» gli risposi frastornata.
«Scusami»  mi rispose lui «Ma è che ormai sono così abituato a cambiare scuola che sono anche abituato a ricevere un sacco di domande. Tu... Beh, tu non me ne hai fatta nemmeno una, quindi credevo di starti antipatico...» disse con tono di scuse.
«"Non fare di tutta l'erba un fascio", no? Non mi è mai interessato sapere vita, morte e miracoli delle persone» gli dissi con un sorriso.
«Ah! Eccoli là» aggiunsi subito dopo «Vieni, andiamo a sederci»
Raggiungemmo il tavolo con tutti i miei amici e non ebbi nemmeno bisogno di presentare Thy, dato che già lo conoscevano tutti.
Chiacchierammo del più e del meno, molti mi fecero domande sull'incidente, mentre molte fecero domande a Thy riguardo beh, la sua vita, morte e miracoli.
Mentre parlava, ne approfittai per guardarlo.
Non era il tipico ragazzo biondo-occhi-azzurri-giocatore-di-rugby che si trovava in tutte le scuole, quello muscoloso ma povero di comprendonio, no, quello semmai era Matt.
Thy era... il giusto.
Fisico magro, capelli corti mori, viso a cuore e due dannatissimi occhi verde smeraldo.
Che mi stavano fissando.
«Ho... qualcosa in faccia?» mi chiese curioso.
«Ah? No, no, scusa. Ero solo... sovrappensiero»
"Vai Eris!! Sei in tutti noi!!! Figura di merda scampata!!!"
«Oh. Ma certo...» rispose lui.
Avevo... Avevo sentito male?
Sì. Sì, dovevo per forza aver sentito male.
Non poteva esserci una nota di delusione nella sua voce.
Tutti quei giorni all'ospedale mi avevano sicuramente fatto diventare schizofrenica.
Il che, mi riportò ai ricordi dell'ospedale.
... Era un po' di tempo che non vedevo l'ombra.
Ero stata un po' cattiva ad averla cacciata via, ma mica potevo far entrare in camera mia tutti quelli che passavo!
Aveva detto che mi avrebbe tenuta d'occhio, ma non l'avevo ancora visto.
Bah, probabilmente mi stava aspettando a casa.
«... realtà sì» disse Thy, facendomi ritornare alla realtà.
«Ho un fratello gemello, ma non ci assomigliamo per niente» aggiunse con una risatina.
Un coro di "allora ce lo devi presentare!!" arrivò dall'inizio della stanza fino al tavolo e mi assillò il cervello.
Oh. No.
Cheerleader.
Una sottospecie di mandria di buoi formato donne umane, si avventò sul nostro tavolo e Sherley Cooper si distese a mo' di diva del cinema Hollywood.
«Quindi... tu... sei il nuovo arrivato...» disse con la voce ammaliante di un'oca che starnazza.
No, ok, non era vero.
Sherley aveva una bella voce, ed anche un bel corpo, ma proprio non la sopportavo.
Si vantava di avere tutto e tutti (e che per Zeus, qualcuno mi dica che vanto si ha nell'essersi fatti tutti i ragazzi nella scuola), ed ora stava tentando di avere il nuovo arrivato.
Un classico.
Monta la testa al novellino, che tanto poi qualcuno gli dirà "ah, beh, ce la siamo fatta tutti".
Ogni volta che guardavo Sherley, sentivo le donne che avevano lottato per l'emancipazione femminile tornare in vita e buttarsi giù da un ponte.
Fosse almeno simpatica.
Alta, bionda e occhi blu, stava tentando di prendere tutte le attenzioni di Thy, ma Thy stava elegantemente resistendo.
Povero ragazzo. Se non fosse stato un colpo basso al suo orgoglio, gli avrei detto io stessa di "andare a chiacchierare" con Sherley.
Quest'ultima, nel mentre, lo stava affogando di domande sul chi-come-perché del senso dell'esistenza umana, e quando capii che Thy mi stava lanciando occhiate d'aiuto (evidentemente aveva capito che ero l'unica a non essere "spaventata" dal potere di Sherley), esordii con un
«Quindi, cos'hai dopo, Thy?»
«Epica» disse lui immediatamente.
«Ottimo. Allora sarà meglio sbrigarci» gli dissi prendendolo per un braccio «il signor Bradly odia i ritardatari. Sopratutto se sono novellini» aggiunsi, trascinandolo verso l'aula di Epica.
Sherley rimase interdetta e mi fulminò come solo una vipera sa fare.
Matt mi scuoiò col pensiero, ma ci diedi poca importanza.
«Grazie» mi disse Thy con la voce di uno che è appena stato slavato da morte certa.
«Sei un novellino. È compito dei più grandi, proteggerti» dissi scherzosa.
«Guarda che abbiamo la stessa età, sai?» disse, guardandomi scherzosamente di traverso.
«Beh, sei comunque un novellino» gli risposi, dandogli una gomitata amichevole.
La campanella suonò e le lezioni incominciarono.

Con mia grande sorpresa, scoprii che io e Thy avevamo un sacco di lezioni in comune e grazie a ciò, facemmo conoscenza molto velocemente.
Era un ragazzo simpatico, dal carattere equilibrato fra l'introverso e l'estroverso, sempre con la battuta pronta ma mai sulle discussioni importanti.
Con lui ci si divertiva un sacco.
Quando, dopo Trigonometria, ci separammo, lui andò verso l'aula, mentre io, che mi stavo tranquillamente dirigendo verso l'aula di Scienze, venni "placcata" da Matt.
«Quindi?» mi chiese lui con tono irritato.
«Quindi?» gli risposi.
«Cosa vogliamo fare col novellino, eh?»
«Nulla, Matt. È un ragazzo simpatico, è nuovo e abbiamo un sacco di lezioni in comune. Tutto qui» gli dissi, tentando di scansarlo per arrivare all'aula.
«Tutto qui, eh?» disse lui, arrogante e irritato, mentre mi bloccava il passaggio.
«Matt, posso andare a lezione?!» dissi esasperata.
«Solo se prima mi dici come stanno realmente i fatti»
Sospirai «Te li ho già detti i fatti. Cosa vuoi che ti dica, che è carino? Sì, lo trovo un ragazzo molto carino. Vuoi che ti dica che ha dei begli occhi? Sì, ha degli occhi veramente belli. Vuoi che ti dica ch-» mi interruppe facendomi sbattere con l'armadietto  «NON dirlo mai più. Sono stato chiaro, Eris?»
«Tu non sei né mio padre né mio fratello né sei il mio ragazzo, Matt. Datti del contegno e smettila di fare la persona ferita e orgogliosa. Te l'ho già detto milioni di volte: fra me e te non c'è nulla. Quindi, ora, cavati dalle scatole»
Lo scansai e andai a Scienze.



A parte quello spiacevole episodio di gelosia, la giornata continuò piuttosto tranquilla.
L'ora dopo,  ritrovai Thy che mi teneva il banco libero di fianco al suo, e un sorriso mi comparve sulle labbra.
«Non dovresti essere così indifeso con persone che non conosci. Potrei essere una cattiva persona» gli dissi sorridendo, mentre mi sedevo di fianco a lui.
«Mi prenderò il rischio...» mi rispose, sorridendo e facendomi sorridere ancora di più.
Dopo due interminabili ore, la campanella suonò e ci liberò dal male supremo per almeno quel giorno.
Stavo per uscire dalla porta d'entrata, quando mi sentii tirare leggermente un braccio.
«Thy! Mi hai fatto prende un colpo!» gli dissi sorridendo.
«Scusa. Io.. ecco.. volevo solo...» incominciò lui imbarazzato.
Lo guardai curiosa.
«Ci... Ci vediamo domani, d'accordo?» mi chiese fissandomi con quegli occhi di smeraldo.
«Sì, puoi contarci» gli risposi, e i suoi occhi verdi brillarono come se gli avessi promesso eterno amore.
Risi, e i suoi occhi si  accesero di curiosità.
«Cosa?»
«Nulla, non preoccuparti. Avevo solo fatto una faccia buffa»
«Ah...»
«A domani, Thy»
«A domani... Eris» mi disse guardandomi, fino a che non mi voltai e andai a casa.
Sentivo ancora i suoi occhi su di me, mentre camminavo sul marciapiede e ripensavo a quello di cui mi aveva parlato Thy.
Aveva un fratello gemello di nome Phy e sua madre si chiamava Aemera.
Quando gli avevo fatto notare la stranezza dei nomi, aveva riso, dicendo che era una lunga e vecchia tradizione di famiglia.
Allora avevo riso anch'io e accantonato la discussione, dato che mi aveva detto di non avere padre.
In un battito di ciglia, mi ritrovai a casa.
Aprii la porta e come sempre non trovai nessuno.
A quell'ora, i miei genitori stavano ancora lavorando, e io ero figlia unica.
Andai in cucina a prepararmi un panino.
«Allora, com'è andato il ritorno a scuola? Emozionante? Come tipico della vostra indole umana immagino ti abbiano fatto domande» mi chiese una voce, facendomi quasi cadere il panino per terra.
«Ma dico, ma non puoi mandarmi un messaggio, fare del rumore, qualcosa?!» strillai contro l'ombra.
«Non c'è bisogno di agitarsi tanto» mi rispose lui, calmo.
«Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Come sempre»
«Umf» sbuffai.
«Quindi? Quando ti deciderai a dirmi chi sei, o almeno a farmi sentire la tua voce?» gli chiesi, addentando il panino con prosciutto.
«La stai già ascoltando la mia voce»
«Non prendermi in giro. So riconoscere un sintetizzatore vocale da chilometri di distanza e la tua voce ha quell'esatto suono»
La mia affermazione l'ammutolì.
A quanto pareva, non gli piaceva che le persone indovinassero i suoi trucchetti.
«Panino?» gli chiesi.
«No. Non mangio»
«Oh»
«Non... Non hai risposto alla mia domanda. Com'è andato il primo giorno di scuola?»
«Perché ti interessa tanto?»
Colpito e affondato.
«Una... persona di mia conoscenza mi ha insegnato la curiosità»
«Aaah» dissi scettica «E?»
«'E' niente. Curiosità. Devo insegnarti cos'è?»
Sbuffai
«Nulla di nuovo. Il solito tram tram scolastico. Solo uno nuovo che è arrivato mentre io ero in ospedale»
«Umh...» fece l'ombra «E com'è? Simpatico?»
Lo guardai male.
«Ma sei scemo?» dissi, alzandomi da tavola.
Misi il piatto che avevo utilizzato nel lavello e m'incamminai lungo le scale.
L'ombra mi seguiva.
«Posso entrare, questa volta?» mi chiese cortese.
Ci pensai un paio di secondi.
«No» e chiusi la porta dietro di me.
Sentii un "Fantastico..." da dietro la porta e poi la presenza se ne andò.
Controllai il diario dallo zaino che avevo portato in camera: per quel giorno non c'erano molti compiti.
Era stata una mattinata stancante, quindi mi buttai sul letto e chiusi gli occhi.


L'aria mi accarezzava dolcemente il viso ed aprii gli occhi.
Ero seduta su una collinetta verde, in mezzo agli alberi, ombreggiata da un ombrellino piantato nel terreno.
Sentivo gli uccellini cantare con suoni melodiosi, e mi guardai intorno.
La gonna ampia si stendeva sotto il mio corpetto, un vestito semplice ma elegante, adatto ad una giornata estiva come quella.
Era di un delicato color panna, con ricami in tinta che risaltavano.
Lo scollo a barca era decotato con due bordi di stoffa, sempre in tinta, uno più grande e uno più piccolo sopra, plissettati accuratamente e decorati con del nastro oro, così come la linea dei fianchi che separava il busto dalla gonna.
Ora che lo notai, del pizzo nero traforato era stato applicato appena un paio di centimetri prima del'orlo della stoffa, delimitandone il bordo.
"Per nulla male... anzi, mi piace proprio..."
Il vestito era senza maniche, cosa che lasciava le braccia molto più confortevoli e libere di muoversi.
I miei capelli mori erano stati intrecciati e poi raccolti in un morbido chignon basso.
Feci per alzarmi e sgranchirmi le gambe, ma una voce mi fermò.
«Vi prego, non alzatevi. Resistete ancora un poco»
Mi voltai per vedere il mio interlocutore, ma vidi solo un rudimentale cavalletto su cui era poggiata una tela.
Vidi una mano
con in mano un pennello, alzarsi e riabbassarsi sulla tela.
«Ancora un attimo, ve ne prego» disse distratta la voce, completamente concentrata sulla tela.
«C-Certo»  risposi.
Tornai a guardare calma il paesaggio che si estendeva davanti i miei occhi, quando un'ombra catturò la mia attenzione e mi ritrovai una mano tesa, nell'atto di aiutarmi ad alzarmi.
L'accettai volentieri, e mi ripulii il vestito.
«Grazie mille» dissi
«Il piacere è tutto mio» rispose lui, inchinandosi, con una voce che avevo già sentito.
Quando si alzò e osservai il suo volto, non potei che lasciarmi andare.
E sprofondare in quegli occhi viola, brillanti e intensi come l'ametista.





/*Angolo Autore*/
E anche il terzo, immenso, capitolo è arrivato.
Questa storia la potete trovare anche su Wattpad al seguente indirizzo: La Discordia della Morte
Beh, che dire? Abbiamo tanta gente all'orizzonte!
Il nuovo compagno, Thy, sembra trovare Eris "di suo gusto", ma Matt non demorde e la vuole solo per se.
E poi... mister occhi viola è tornato! Ma perchè Eris lo vede solo nei suoi sogni?
Sarà una persona che deve cercare, un qualcuno che le vuole dire qualcosa?
Tante, troppe domande... anche nei prossimi capitoli!
Stai tuned!
                                                                        - Kurokage

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Capitolo 4
*** Shakespeare is not in love ***


Capitolo 4 - Shakespeare <span>is not </span>in love
4. Shakespeare is not in love
«Ancora tu?» gli dissi.
«Non credo che io e Vossignoria abbiamo mai avuto il piacere d'incontrarci» mi rispose con un sorriso.
Lo guardai storto
«Però il valzer lo sai ballare bene»
Il suo sorriso si allargò.
«Avete un'ottima memoria per una persona che sta sognando» mi disse, avvicinandosi.
Era una bella giornata di sole e potevo finalmente vedere l'uomo mascherato dagli occhi viola in volto.
«Mi dispiace deludere le vostre aspettative, ma non mi vedrete in volto» disse con voce falsamente triste.
«Perché non posso vedervi il volto?»
Aveva ragione, riuscivo a vedere i suoi penetranti occhi viola, ma le linee del suo volto erano così sfocate che riuscivo a malapena a vedere le linee della bocca.
«Perché se il mio volto lo vedessero tutti quanti... farei... arrabbiare mia madre...»
Sua... madre?
«Scusa, ma... quanti... quanti anni hai?» gli chiesi scettica.
Lui fece una grassa risata ma non mi rispose.
«Dato che hai una così buona memoria...» disse prima che potessi controbattere «... dovresti anche ricordare che volevo mostrarti una cosa»
«Sì» dissi, facendo un passo indietro «ma prima voglio sapere cosa»
«Se ve lo dicessi non avrebbe la stessa valenza. Ma forse...»
«"Forse" cosa?»
«... Forse non è ancora tempo»
«Tempo... per cosa?»
L'intensità dei suoi occhi e la profondità della sua voce mi rapirono completamente.
«Ah... Mia piccola Eris... Ci sono tante cose a questo mondo che non sai, e tu sei una di queste»
«... ... eh?» risposi stranita.
Lui rise.
«Un giorno capirai. Credimi, Eris. Un giorno ti sarà tutto chiaro»
«Un giorno? Cosa... Quando...»
«No, Eris» mi disse lui deciso «No. Non posso rispondere alle tue domande, quindi non farle. Sei ancora libera, sii libera e fa ciò che vuoi»
«... Sono ancora libera? Ma che... » non riuscii a finire, perché mister occhi viola  mi aveva preso e aveva incominciato a ballare un valzer  più veloce dell'altra volta.
Mi aveva piantato di nuovo i suoi brillanti ed ipnotici occhi nei miei e mi aveva fatto talmente frullare il cervello che mi ero dimenticata tutto.
«A... Aspetta...» gli dissi con un leggero fiatone, mentre mi faceva volteggiare «io... come... come ti chiami?»
Lui sorrise, un sorriso genuino che nasceva dal cuore nonostante la serietà celata negli occhi.
«Umh...» disse pensieroso «vediamo... puoi chiamarmi... puoi chiamarmi... Shin. Sì, Shin è un nome che mi piace» disse scherzoso.
 
«Shin, eh?»
«Non è un nome comune, ma in Asia lo è»
«A...Asia? Ma è dall'altra parte del mondo!»
Lui rise della mia affermazione, continuando a farmi roteare in mezzo al prato verde.
Non me ne ero accorta, ma si era fatto il tramonto.
Era stato tutto così veloce... non me ne ero minimamente resa conto.
Lui smise di farmi roteare e mi tenne stretta fra le mani con un sorriso sulle sfocate labbra e lo sguardo intenso.
«Te lo devo dare»
«Mi devi dare... cosa?»
«Il quadro. Te lo devo dare»
«Ah» feci per avvicinarmi al quadro, ma lui mi bloccò.
«Non ho mai detto che te lo avrei dato ora...» mi disse con un  sorriso furbetto.

Mi svegliai di soprassalto al tocco di mia madre.
«Ma-Mamma...»
«Ben svegliata, Eris, è pronto in tavola»
«Tavol-Ah» dissi, mentre mia madre se ne tornava al piano di sotto e io realizzavo che la sveglia segnava le otto di sera.
Cena. Borbottio. Fame.
Mi alzai e mi diedi una velocissima sistemata ai capelli e ai vestiti.
Volai in cucina e mi sedetti: un fumante pezzo di pizza stava emanando un invitante odorino di buono.
Papà e mamma stavano già mangiando e così incominciai anch'io.
Con la pancia piena si ragionava sempre meglio.
«Allora...» mi chiese mio padre
« com'è andato il secondo primo giorno di scuola?»
«Mhh... non c'è male. È arrivato uno nuovo e nient'altro»
«E com'è? Carino?» chiese mia madre mentre papà si strangozzava col caffè.
«Beh, sì. Cioè, sì e no. È nella norma, solo che...» papà era definitivamente in coma cerebrale.
«Solo che...?» disse mia madre spingendomi a continuare.
«Beh, solo che... ha due occhi da paura. Sembrano dei veri smeraldi...»
Un "WOW" si formò sulle labbra di mia madre, mentre papà tentava di riprendersi con un carattere distaccato e composto.
«Eris...» iniziò lui.
«Frena, frena, frena! Non ho detto nulla! Siete voi che mi avete chiesto le mie impressioni su di lui, voi soltanto!»
«Tua madre» mi corresse papà con una finta tossita.
Mamma lo guardò malissimo.
«Bene allora, caro...» disse la mamma calcano l'ultima parola 
«dato che sono stata io a chiedere, io continuerò a fare domande»
Papà strabuzzò gli occhi.
«Dunque, Eris, come si chiama?»
«Ah.. Si chiama Thy. Con l'h» dissi, ripetendo le parole che mi aveva rivolto Thy quella giornata.
L'interrogatorio continuò fino a che mia mamma non ebbe finito il repertorio di domande da quarto grado.
«E quindi, ti piace?» disse lei prima che chiudessi la porta della mia stanza.
«Beh, non di rei che "mi piace", lo conosco solo da un giorno, mamma»
Lei sorrise e mi diede la buona notte.

Entrata in camera, mi buttai sul letto, accesi l'abat-jour sul comodino e mi misi a guardare il soffitto mentre pensavo, nella speranza di addormentarmi il più velocemente possibile.
Dopo non so quanto tempo, sentii un leggero bussare.
Cioè, no, ok, non lo sentii veramente, ma sapevo che qualcuno aveva bussato, e sapevo anche chi.
«Quindi?» sussurrai.
«Posso entrare?» disse una voce fuori dalla porta.
Ci pensai un attimo.
«... D'accordo»
La porta non si aprì, e nessun rumore provenne da essa, ma l'ombra entrò attraversandola.
«Ciao...»
Feci un cenno verso l'ombra.
«Come mai così cordiale, oggi?»
«Io sono sempre cordiale» disse in tono leggermente offeso.
«Dissento, ma oggi abbiamo fatto qualche passo in avanti» continuai a sussurrare guardando il soffitto.
Volevo parlare normalmente come una persona normale, ma avevo la sensazione che i miei mi avrebbero presa per pazza.
Ai loro occhi, agli occhi di tutti per la verità, stavo parlando da sola.
L'ombra si mise a sedere sull'angolo del letto, contemplando chissà cosa.
«Perché fissi il soffitto?»
A quanto pare, contemplava me.
«Perché.... perché... boh. Ho voglia di guardare il soffitto»
Ci pensò un po' prima di rispondere alla mia risposta «... Istinti depressivi suicidi?»
Lo guardai male.
«Non posso contemplare il soffitto?»
«Le persone normali non contemplano il soffitto» «... a meno che non siano tentate al suicidio da istinti depressivi suicidi» si affrettò ad aggiungere.
Sospirai rumorosamente.
«Le persone normali non vedono ombre. Anche quelle che non sono tentate da istinti depressivi suicidi» dissi.
Lui ridacchiò.
Io sorrisi leggermente.
Il silenzio calò nella stanza per alcuni minuti.
«... Era... Era da un po' che non parlavo con qualcuno» disse di punt'in bianco.
«Il mio... la mia... condizione non me lo permette» aggiunse con un tono triste.
«La tua... condizione ti rende solo?» chiesi curiosa.
«No. Non sono solo. Ma non sono nemmeno circondato da... beh, possiamo chiamarle... persone»
«Qual'è il tuo nome?» gli chiesi di getto.
Ci mise lunghi secondi a rispondermi.
«... Puoi... puoi chiamarmi Ael»
«...Ael?»
«Sì»
«... Com'è che avete tutti 'sti nomi strani? Cioè, non che il mio sia iper popolare e di moda, ma neanche il tuo, quello di Thy e suo fratello si sentono spesso»
«Thy?» chiese.
«Il nuovo arrivato a scuola. Non fingere di non sapere. So che mi - ci - spiavi a cena»
Avevo la sensazione che avesse fatto un piccolo sorriso.
«Già, beh, non posso darti torto. Ael, Thy e... Phy, giusto?, non sono nomi... comuni»
«Già, anche quello di sua madre non è comune. Però lo trovo carino. Si chiama Aemera»
«Aemera, eh?»
Annuii .
«Nome interessante, non c'è che dire» disse con un leggero velo d'ilarità.
Il silenzio calò di nuovo nella stanza.
Improvvisamente mi alzai, presi il pigiama e andai in bagno a cambiarmi.
Tornai con i vestiti in mano e i denti lavati.
«Guarda che anche se ti cambiavi qui, non succedeva nulla, sai?» disse Ael con un tono mezzo divertito.
Io, dal canto mio, divenni tutta rossa.
«S-Si chiama decenza!»
«Sappi, piccola Eris, che molte donne non hanno avuto la tua.. decenza e hanno osato l'impossibile per eludere il mio sguardo»
«Beh, io non sono quelle donne»
«... perché tu non sai chi sono. Loro lo sapevano» disse, mentre mi infilavo nel letto.
«Loro lo sapevano molto bene» concluse.
Mi rimboccai le coperte e spensi la luce.
«... quindi, mi stai dicendo che anche io farò l'impossibile per eludere il tuo sguardo?»
Lui rise dolcemente.
«Nessuno può eludere il mio sguardo, Eris. E alla fine, se dovrò fare il mio compito, lo farò»
«E... qual'è il tuo compito?»
«Il mio compito è essere sveglio e vigile. Quindi, significa che per quanti giri di parole vorrai farmi fare, io non ti dirò chi sono»
«Ma mi hai detto di essere Ael!»
«Quello è... diciamo il mio soprannome...»
«Quindi, non saprò mai né il tuo nome, né chi sei, giusto?»
«Non ho mai detto questo, Eris. Un giorno...» sembrava quasi avesse della tristezza nella voce «...un giorno lo saprai»
Detto questo, Ael sparì, lasciandomi sola per il resto della nottata.
Quella notte, dormii come una bimba, e Mr. Occhi-di-Ametista non venne a farmi visita.


Aprii gli occhi alle prime luci dell'alba.
Non avevo abbassato la tapparella e i primi raggi del sole mi colpirono gli occhi, svegliandomi dolcemente.
Mi stiracchiai.
«Buon giorno, di buon'ora» disse una voce.
Mi voltai e misi a fuoco l'ombra-ehm, Ael.
«B-Buon giorno...» dissi frastornata.
Notai che Ael aveva un mio libro in mano.
«Che leggi?» dissi con voce assonnata.
«Qualcosa, eeeh... » disse, controllando il dorso della copertina «... l'Amleto di Shakespeare»
«To be or not to be... this is the question...» dissi a memoria.
«Se sia più nobile soffrire nella mente le fionde e le frecce di un'oltraggiosa fortuna o prendere azione contro il mare di problemi e opponendosi, porre loro fine?» disse lui, lasciandomi a bocca aperta.
«La sapevi già?»
«L'ho letto molte volte» disse con voce divertita.
Guardai la sveglia, i puntini lampeggianti dividevano due numeri: 5 e 10.
Buttai la testa sul cuscino.
Ok, e ora che facevo?
«Ti va di... fare una passeggiata?» mi chiese Ael continuando a leggere.
«Una... passeggiata?» dissi scettica.
«Sì. La temperatura e mite e poi camminare fa bene» avrei giurato che mi avesse sorriso.
Ci pensai su per un qualche minuto.
«Guarda che tenersi in forma fa bene alla salute»
«Non so perché, ma ho la strana sensazione che dette da te, quelle parole non suonino poi così giuste...» lui rise.
«...D'accordo» dissi infine.
Mi alzai e andai in bagno a cambiarmi e darmi una lavata.
Dopo dieci minuti ero in cucina a scrivere una biglietto per mamma e papà.
«Che fai?» mi chiese Ael curioso.
«Scrivo un biglietto a mamma e papà perché non si preoccupino»
«Ah» fece lui.
Finii in pochi secondi, e all'incirca quindici minuti dopo essermi alzata, ero fuori dalla porta a fare una passeggiata.
«Da che parte vuoi andare?» mi chiese Ael.
«Umh... di qua» gli dissi, andando nella direzione opposta a quella che mi conduceva a scuola.
«Cosa prevede la tua giornata, oggi?» chiese Ael dopo pochi minuti di camminata.
«Noia mortale» dissi, mentre lui ridacchiava.
«Oh, dai, non sarà così male... e poi hai Thy, no?»
Lo fulminai
«Ma cos'è che avete tutti? Solo perché ho parlato di un nuovo ragazzo, ora, sembra che dobbiamo metterci insieme da un momento all'altro!» dissi camminando più velocemente e quindi trovandomi davanti a lui-
«Perché, non è così?»
Mi voltai, pronta per una sfuriata sul tema, ma quando lo guardai tutta la mia rabbia momentanea passò.
Era serio.
Pensavo mi avesse fatto quella domanda per scherzo, per prendermi in giro, e invece no.
Era maledettamente serio.
Rimasi a bocca aperta.
«Fo-Forza. torniamo... torniamo indietro...» dissi dopo qualche secondo.
«Che c'è?» chiese lui curioso.
«Nu-Nulla... nulla...»
Ogni tanto mi dimenticavo che parlavo con un'ombra.
Non era il massimo della socializzazione, ma se ti dimenticavi, ti sembrava di parlare con una persona comune di tutti giorni.
"Scuola, Eris, scuola. Devi andare a scuola" mi continuai a ripetere come un mantra lungo la via del ritorno.
Ael non parlò più, forse perché senza domande, o forse perché "offeso" dalla mia non risposta.
"Pensa alla scuola"
Arrivai a casa leggermente sudata, così andai in bagno a farmi una doccia e quando scesi trovai mamma e papà che facevano già colazione.
«Com'era il tempo?» chiese lui.
«Si sta bene, fuori. Non c'è moltissimo caldo e tira un leggero venticello» risposi, addentando una brioche.
«Ottimo» disse mamma.
Finii di fare colazione e poi mi preparai ad andare a scuola.
Lungo la mia camminata dei dieci minuti, Ael mi faceva compagnia, senza però dire una sola parola.
Sparì poco prima che entrassi dai cancelli.
Sospirando, mi avviai con calma all'interno, ripensando al mio discorso con Ael e come, più o meno, potergli chiedere una sorta di 'scusa', quando il mio muso sbatté contro la schiena di qualcuno.
Mi ero fatta male il naso, ma non avevo motivo di lagnarmi, la colpa era mia.
«Eris!» disse una voce che tentava di nascondere la felicità con la preoccupazione «stai bene?»
«Ma guarda chi si vede! Il topo nero di biblioteca!» disse una voce femminili incominciando a ridere, accompagnata da un coro.
Mi voltai verso la ragazza che aveva parlato, sapendo perfettamente che era Sherley «Non leggerò Platone, certo, ma almeno so mettere insieme una frase che comprenda una svariata quantità di parole oltre a "me", "io" e "me medesima" accompagnate da "centro dell'attenzione"»
Colpito e affondato: Sherley me l'avrebbe fatta pagare, certo, ma per ora era in ritirata.
Era sempre una gioia ricevere il buongiorno da Sherley.
«Sei appena diventata la mia eroina numero uno. E non sei nemmeno un fumetto...» mi disse una voce, sussurrando, all'orecchio.
Feci un balzo tale che, secondo me, anche i canguri mi avrebbero invidiato.
«Ma cos-THY!!!!!!» urlai, mentre lui si divideva in quaranta dalle risate.
«Cos'hai da ridere, eh?!» gli dissi, scherzosamente arrabbiata.
«Fa ancora male il naso?» mi chiese lui, guardandomi negli occhi.
Sembrava di essere in trance, tutto quello che c'era erano solo io e i suoi occhi.
«Eris?»
«Ah? Ah, sì. Sì. No, cioè, sì, mi fa ancora male il naso ma sta passando»
«Eris, ti senti bene?» mi chiese lui con uno sguardo preoccupato.
"Ora voglio sapere chi, CHI!, si sentirebbe bene se le guardassi con quegli occhi! Non puoi chiedermi se sto bene! È umanamente impossibile stare bene quand-"
«Eris?» disse, ancora più preoccupato.
"'Fanculo"
«Sì, sì, sto bene»
Thy, molto più rasserenato, mi sorrise.
«Buongiorno. Mi ero dimenticato di dirtelo»
«'Giorno»
«E... grazie. Di nuovo» disse, guardando fisso il pavimento.
«E... per cosa?»
«Per avermi salvato una seconda volta da Shi... Sha... com'è che si chiama?»
«Sherley» gli dissi, senza riuscire a trattenere una risata.
«Ecco, quella lì» mi disse lui, unendosi alla mia risata.
Chiacchierammo per un po', lungo il corridoio e poi andammo a lezione.
Solo che, non sapevo il perché, ma avevo la strana sensazione che qualcosa non era giusto.
Avevo la strana - e alquanto sgradevole - sensazione che qualcosa sarebbe successo.
"Non è nulla" dissi a me stessa "Non è nulla..."
Non ci credevo per nulla, ma la gomitata di Mary nel fianco, mi fece tornare in me.
«Psst!!» mi disse lei.
«Che c'è?!» le sussurrai ancora china, mentre prendevo l'occorrente per iniziare la lezione.
«Tirati su! Tirati su ora!»
Mi raddrizzai, pronta per lanciarle velenose occhiate, quando la mia attenzione fu rubata da un ragazzo che stava sorridendo.
Il professore non era ancora entrato, ma tutti gli occhi erano su di lui.
«Cos'è, la rivincita dei novellini?» dissi a Mary, mezza amara e mezza scherzosa.
Lei rise, e in quel momento, il professore entrò.
«Bene ragazzi. Vedo che le presentazioni sono inutili, ma è buona cosa farle. Prego» disse, mentre faceva un gesto con la mano per invitare il nuovo ragazzo ad avvicinarsi alla cattedra e presentarsi.
Lui si avvicinò e cominciò a parlare.
«B-Buongiorno a tutti» disse, facendo una piccola pausa.
Immaginavo non fosse divertente avere una quindicina d'occhi puntati su di te.
«Sono Phy Soahc, il fratello gemello di Thy. Piacere di fare la vostra conoscenza»
Mentre una mangiata di gridolini femminili, sguardi d'approvazione maschili e altro giravano per la classe, io rimasi completamente paralizzata.
Com'era possibile che quei due fossero gemelli?!
Se li si metteva a confronto, le linee del volto, del naso e delle labbra erano identiche, ma presi da soli parevano tutto fuorché gemelli!
Ripensai a Thy.
Altezza media, moro, capelli corti, occhi verdi smeraldo.
Guardai Phy.
Alto, biondo, capelli leggermente lunghi legati con una coda, occhi blu come l'acqua.
Ora, dove diamine erano fratelli?!
Abbassai gli occhi sul banco, tentando di far ragionare il mio povero cervello che mi mandava chiari segnali di vacanza.
La lezione iniziò ed io mi ci buttai così a capofitto che mi dimenticai di tutto per almeno tre quarti d'ora.
Il professore ci diede dieci minuti di pausa e io rilassai tutti i neuroni.
«... immagino tu sia Eris, giusto?» mi chiese una voce tranquilla e rilassante.
Alzai la testa dal banco, il momento di rilasso assoluto, e mi trovai due occhi azzurri che mi fissavano allegramente.
Un senso di calma, guardando quegli occhi chiari e profondi, mi pervase come mai.
«Cos-Cosa?» chiesi frastornata e sorpresa.
«Sei Eris, giusto?» aveva un sorriso gentile, che lo rendeva la persona più pacifica dell'universo.
«S-Sì, sono io» il suo sorriso si aprì «Serve qualcosa?» gli risposi gentile.
«No, in realtà no. Solo... volevo vedere chi eri. Mio fratello Thy mi ha parlato di te»
«Oh...» la gomitata di Mary nel fianco non la sentii nemmeno.
«Ne... ne.. dovrei essere... lusingata... cioè, non fraintendermi, è bello -immagino- quello che mi hai appena detto, però...»
Lui rise dolcemente
«No preoccuparti, ho capito cosa volevi dire»
Ecco. Se con Thy avevo scampato una colossale figura di merda, con Phy avevo fatto 200 su 100.
Dannato karma.
«Sai per caso in quale classe è mio fratello?»
«Aula 4B»
«Ottimo. Grazie mille, Eris»
«Di... Di nulla...» dissi, mentre Phy chiedeva al professore di andare in bagno.
Guardai Mary negli occhi.
«NON dire nulla. Se dici qualcosa ti strozzo!»
Lei trattenne maldestramente una risata e io tornai ad appoggiare la testa contro il banco.
Eco cos'era quella strana sensazione.
"Ma per Zeus, ma perché nessuno me lo ha detto prima?!"




/*Angolo Autore*/
Se cercate chi ha scritto la traduzione del continuo della famosa frase di Amleto, datevi pace che non lo trovate: se vi piace mio è il merito, se non vi piace mio è il merito lo stesso.
L'ho tradotto diretto dall'inglese, quindi anche quella traduzione è © Kurokage.
Se poi qualcuno lo ha tradotto identico (che non è poi così difficile), lo faccia sapere e modificherò con crediti vari se necessario.
Tornando alla storia... beh, è arrivato Phy, come butta gente?
Almeno d'aspetto, di "gemelli" hanno ben poco dato che sono uno l'opposto dell'altro.
Ora che siamo a...cinque mosche ronzanti intorno a Eris, come si metterà la faccenda?
Bah! Chi vivrà, vedrà!
                                                                        - Kurokage

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Capitolo 5
*** Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti? ***


Capitolo 5 - Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti?
5. Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti?

Passai tutta la giornata a eludere lo sguardo di Thy, conscia della grandiosa figura di merda fatta col fratello.
No, aspetta, perché mi importava così tanto del pensiero che Thy aveva di me?
«Vedrai che andrà tuuuuutto per il meglio, Eris»  disse Mary nel disperato tentativo di risollevarmi il morale.
Tentativo che fallì miseramente quando una voce mi chiamò alle spalle.
«Finalmente ti ho trovata! È tutto il giorno che ti cerco!»
 Gelai.
"Grande Ade, giuro che ti faccio da dog-sitter a Cerbero, ma ti prego fammi sprofondare ora!"
Mi voltai lentamente.
Non capivo se lo sguardo di Thy era preoccupato o era solo affannato per avermi cercata per tutta la scuola.
«Da... Davvero?» gli dissi, tentando di avere il tono più normale possibile.
Lui sembrava non essersi accorto della situazione.
«Sì. Ho saputo, o meglio, mio fratello mi ha detto che avete parlato...»

"Dannati fratelli!"
«Io, ehm, sì, un pochino. Mi ha solo chiesto dov'era l'aula in cui ti trovavi, tutto qui. È successo qualcosa?»
Il suo sguardo si rallegrò improvvisamente
«Nono, tutto a posto!»
«Sicuro?»
«Sìsì!»
«Hai... Hai detto che mi cercavi...»
«Ah, sì!» Thy divenne improvvisamente impacciato, e Mary smise di respirare.
«Volevo... Volevo chiederti se ti andava di... ecco... andare a casa insieme...»
"PER ADE! Ti avevo chiesto di farmi sprofondare, non... non... oh, mi arrendo"
«Ma... tuo fratello poi...»
«Phy ha detto che va a casa con Sherley e così...»
"Povera anima..." pensai sconsolata.
«Io, emh...» questa volta, la terza gomitata di Mary in tutta la giornata, la sentii forte e chiara.
«Ok» dissi, mentre tentavo di riprendermi da delle probabili costole rotte.
Il sorriso di Thy era indescrivibile.
«Bene, emh... cos'abbiamo ora?» chiese Mary, tornando in vita dal suo silenzio.
«Arte»
«Arte?»
«Arte» rispondemmo in coro Thy ed io.
Tutti e tre ci dirigemmo così all'aula di arte, prendemmo posto, sistemai il banco rialzato e mi preparai.
Giusto tre secondi dopo entrò il professore con l'esperto.
Arte non era esattamente una lezione, era un progetto di un paio di lezioni per... per... non ricordavo.
Trattavamo temi mitici, non nel senso di favolosi, proprio mitologici, e oggi avremmo saputo qual'era quello odierno.
«Bene, ragazzi» disse il signor Webb, l'esperto «oggi trattiamo il tema artistico di...» lasciò la frase in sospeso mentre passava gli occhi su un paio di fogli «Amore e Psiche»
Dei gridolini misti a sospiri si levarono per tutta la classe.
Il mio era un rantolo di puro dolore e sofferenza.
Thy si voltò a guardarmi.
«Non ti piacciono Amore e Psiche?» mi chiese con un mezzo sorriso divertito.
«È un mito... idiota. Non puoi sposare qualcuno senza nemmeno sapere chi è!»
«Ma chi non si innamora di Amore, appena lo si vede?» mi chiese Mary con tono ovvio.
«Psiche non ha mai visto in faccia il marito. Per quanto ne so, la situazione si è svolta così:
*Buio pesto*
- Hey, Psiche! Ti va di sposarmi?
- Umh... Ok.
*Sposi*
E non vissero per sempre felici e contenti.»

«Come siamo acidi...» commentò Mary.
«Si chiama realtà, Mary»
«In realtà, Amore e Psiche si amavano. Si amavano davvero» disse Thy sovrappensiero.
Io e Mary ci voltammo a guardarlo sbalordite.
Nel mentre, il professore ci distribuiva i fogli con il mito di Amore e Psiche, ma noi ascoltavamo silenziose Thy e i suoi discorsi.
«Psiche aveva ricevuto il soprannome di Venere - o Afrodite se più vi piace - e la Dea, scoperto ciò, si infuriò parecchio. Andò da suo figlio, Eros - o Amore, come vi pare - e gli ordinò di andare da questa ragazza , che per la sua bellezza gli umani chiamavano Venere oltraggiando il nome della Dea, e di farle amare e sposare l'uomo più brutto che ci fosse nella sua città.
Eros avrebbe fatto qualunque cosa per non dispiacere la madre, ma quando vide Psiche, seppe lui stesso il significato del suo nome.
Notte e giorno escogitò un piano per vedere la sua amata senza che la madre lo venisse a sapere, e così decise di incontrarla di notte, al buio, così che lui sapesse chi lei fosse, ma lei non potesse sapere i tratti del suo amato.
Si amarono molto e profondamente e Psiche... beh, lei non poté far altro che innamorarsi dell'Amore.
La loro relazione andò avanti giorni e giorni finché, esasperata, Psiche non diede ascolto alle sue sorelle e peccò del peccato di Pandora: la curiosità.
Curiosa di sapere chi fosse l'amato che la incontrava quasi ogni notte, ella si avvicinò a lui e ne illuminò il volto dormiente con una lampada ad olio.
Oh, quanto era innamorata, Psiche! Così innamorata che le sue mani tremarono e dell'olio cadde sullo splendido volto del suo amato Amore.
Lui si svegliò e, realizzato che Psiche aveva infranto la promessa di non vedere mai chi fosse Amore, se ne andò senza dire una parola»
Thy si interruppe giusto per riprendere fiato.
«Giorni passarono e Psiche era distrutta nel cuore.
Aveva amato così tanto che il suo cuore non poteva più vivere senza l'amore che le dava Eros: si mise così in viaggio per cercare il perdono e il suo amato.
A dimostrazione del suo pentimento, Psiche dava aiuto in tutti i templi in cui passava e quando si ritrovò in un tempio dedicato a Venere, decise di diventarne una sacerdotessa per porre rimedio al disonore che aveva arrecato al nome del figlio della Dea.
Venere, allora, annoiata e lussuriosa, decise di mettere alla prova l'amore di Psiche, credendo che un banale essere umano avrebbe lasciato perdere, conquistando così la sua sconfitta e facendo di Psiche ciò che più voleva. La sottopose a quattro prove estreme: nella prima avrebbe dovuto dividere in tanti mucchietti uguali un mucchio di granaglie di diverse dimensioni. Sconfortata, Psiche decise di rinunciare, ma delle formiche, impietositesi dal forte amore che provava per Eros, decisero di aiutarla.
Pensando che fosse... diciamo "fortuna", Venere le sottopose la seconda prova: raccogliere la lana d'oro da un gruppo di pecore.
Questa sarebbe stata una prova abbastanza semplice, ma Psiche era umana e ingenua, quindi non poteva immaginare che, come le rivelò una canna verde, quelle pecore col sole diventavano molto irrequiete e che avrebbe dovuto aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta intrecciata nei rovi.
Venere passò così alla terza prova: raccogliere dell'acqua da una sorgente situata nel mezzo di una cima liscia e a strapiombo.
Psiche, sconfortata, pensò a come fare per giorni, finché l'aquila di Zeus non andò in suo soccorso.
Spazientita e furiosa, Venere decise di affidarle l'ultima ed impossibile prova: ottenere un po' della bellezza di Persefone.
Psiche, ormai disperata perché l'ingresso agli inferi era vietato ai viventi, decise di entrarvi morendo, ma la torre da cui si stava per buttare incominciò a muoversi e le indicò la via per il regno dei morti.
Ottenuto il dono, Psiche era ormai col cuore colmo di gioia per aver redento il nome del suo amato col suo amore, ma era un essere umano e il peccato di Pandora la contagiò ancora una volta»
«Ma col cacchio che stesse ferma quella Psiche, eh!» sbottò Mary.
Thy le rivolse un sorriso mesto e continuò a raccontare.
«La curiosità la spinse a chiedersi cosa mai fosse la bellezza di Persefone, così aprì la boccetta in cui era custodito il dono e cadde addormentata.
La "bellezza" di Persefone era infatti il sonno della morte.
Amore, nel mentre, guarito dalla bruciatura dell'olio, soffriva le sue stesse pene per la mancanza della sua amata Psiche, e non potendo vivere senza di lei, scappò dal luogo in cui la madre lo aveva chiuso e volò, volò, volò più veloce che mai dalla sua amata.
Quando la vide, caduta a terra, cadde nello sconforto più grande, ma quando realizzò che era persa in un sonno profondo, facendo attenzione, rimise il dono di Persefone nella boccetta e svegliò la sua amata con una leggera puntura di una delle sue frecce.
Qui, spronò Psiche a portare a termine il compito affidatole da Venere, e lui tornò a occuparsi di tutto ciò che poteva causare problemi al loro amore.
Eros, consumato dalla passione per Psiche, decise di fare appello a Zeus, che accettò solo se Amore gli avesse portato una bella fanciulla terrena.
Eros volò più veloce di un fulmine del padre e Zeus invocò un concilio a cui tutti gli Dei - e dico proprio tutti - dovettero partecipare.
Qui, Zeus decretò il matrimonio fra Amore e Psiche e, rivolgendosi a Venere, le disse che non avrebbe dovuto aver timore di avere una discendenza "sporcata dagli umani", in quanto avrebbe posto subito rimedio alla condizione della giovane.
Chiamò Ermes e gli ordinò di portare sull'Olimpo Psiche, cosa che fece prontamente.
Qui, Psiche, si vide offerta da Zeus dell'ambrosia che accettò, divenendo immortale.
Poco dopo, i festeggiamenti delle nozze fra Amore e Psiche riecheggiarono in tutto l'Olimpo, e quando il sole scandì l'ora esatta, Amore e Psiche ebbero una figlia chiamata Voluttà o, nel termine greco, Piacere»
Thy smise di parlare e per una paio di minuti, il silenzio piombò sulla classe.
Nessuno si era accorto che, mentre Thy parlava, la classe si era silenziosamente messa ad ascoltare con quanta passione e rispetto parlava della storia fra Amore e Psiche.
«...Wow» dissi semplicemente.
La campanella suonò e il professore, allibito da come aveva sentito il racconto, ci lasciò andare senza compiti o altro, pretendendo però che la settimana dopo partissimo immediatamente a disegnare il nostro concetto di Amore e Psiche.
Uscendo dall'aula, mi diressi verso gli armadietti.
«Umh... Eris, secondo te... ho fatto male?» mi chiese Thy preoccupato.
«Tu cosa?! Nonono!!  No e poi ancora no! Sei stato... fantastico! Non ho mai sentito raccontare un mito greco come lo racconti tu! C'era così tanta passione nella tua voce! Era come... come... come se ci fossi stato anche tu!» gli risposi, ancora scossa dall'intensità con cui Thy aveva pronunciato ogni singola parola.
Lui si aprì in un dolce sorriso.
Sistemai un paio di libri e poi mi voltai verso di lui.
«Andiamo?» chiesi, ricevendo un cenno di consenso come risposta.
«Hei hei hei...» disse una voce dietro di noi, e non feci nemmeno in tempo a voltarmi che mi ritrovai il braccio di Mattew attorno al collo.
«Andiamo a casa insieme, piccola?» disse lui, tentando platealmente di suscitare dell'invidia in Thy.
Ma non diedi tempo né all'uno per provarla, né all'altro per trascinarmi via:
«Mollami, Matt» gli dissi decisa.
«Perché mai, piccola? Io e te stiamo insieme, no?»
«Non. Chiamarmi. PICCOLA!» gli urlai in faccia.
Matt si staccò immediatamente da me con una faccia preoccupata.
Ora era seriamente diventata una questione d'onore.
Avevo così tanta furia in corpo che avrei potuto distruggere tutto quanto, un odio così glaciale e calcolato che già vedevo in che maniera avrei degradato l'orgoglio di Matt, o forse avrei-
Venni interrotta dalla mano di Thy che si era posata sulla mia spalla.
«No, Eris, calma. Non è successo nulla»
«Eh? Cosa?» chiesi confusa.
Tutto l'odio e la rabbia sproporzionati che avevo provato per Matt - cosa che, in realtà, non avevo mai fatto in vita mia - erano completamente svaniti.
«Forza, andiamo. Buona giornata, Mattew» disse Thy cortese, prendendomi per mano e guidandomi fuori dall'entrata.
Verso l'uscita, mi sembrò che Thy e Phy (che stava amabilmente chiacchierando con Sherley, facendo sfumare completamente il mio "povera anima") si scambiassero un fugace sguardo preoccupato.
Ma forse, me lo ero immaginato.

«Umh... ti va di... allungare un po' il percorso?» mi chiese Thy mentre arrivavamo vicino ad un bivio.
«Io.. non credo sia una buona idea. Cioè, ci metto dieci minuti di solito, quindi i miei si preoccuperanno...»
«Ah. Sì... certo» mi disse con un sorriso, ritornando poi a camminare e guardandosi i piedi con espressione triste.
«Però... ora che ci penso... mamma e papà arrivano tardi, oggi, quindi...» gli dissi, guardandomi i piedi e vedendo con la coda dell'occhio un suo mega sorriso.
«V-Vieni!» disse Thy, sprizzante di energia come non mai.
"Ael, oggi dovrai aspettare un po'" pensai, preoccupandomi poi del come farmi perdonare.
Continuammo a camminare in silenzio, per un paio di metri e dopo  varie svoltate, ci ritrovammo in un campo fiorito.
Una distesa verde punteggiata da numerosi colori si estendeva sotto i miei occhi lasciandomi completamente stupefatta.
«È... È bellissimo...»
«Già. Bellissimo» disse Thy.
Lasciai cadere la cartella, che appoggiai contro un albero, e cominciai a correre a perdifiato in quel piccolo campo.
C'erano una sacco di fiori di cui non conoscevo i nomi, ma altri che conoscevo bene.
«Ci sono i narcisi!» sbottai, facendo ridere Thy.
«Non hai mai visto un narciso?»
«Nono, ne ho visti, però... non pensavo di averli così vicino casa!» gli dissi con un sorriso.
«Narcisi... che brutto nome per un fiore così bello...» disse lui sovrappensiero.
«Perch-Ah, già, Narciso. Non mi è mai piaciuta la sua storia. Non dopo quello che ha fatto ad Eco. Per me, avrebbero dovuto punirlo con la bruttezza ed il doversi specchiare eternamente»
«Già, beh, Narciso non mi è mai stato simpatico. Non ho mai trovato uomo più subdolo e... beh, narcisista. Nemmeno Adone era così.»
«Parli come se li avessi conosciuti» gli dissi scherzosa.
«Conosco i loro miti. Non è lo stesso? E comunque, Eco fa parte del mito romano. Quello greco è molto meno... carino, per così dire» mi rispose sorridente.
Mi sedetti in mezzo ai fiori.
«D'accordo, abbiamo appurato che Narciso non ti va a genio. E nemmeno a me»
Lo guardai con occhi preganti mentre si sedeva vicino a me.
«Mi racconti il mito di Narciso? O di chi ti pare?»
Thy rise sonoramente e si sdraiò in mezzo ai fiori.
«Vediamo... d'accordo, ti racconto quello di Narciso. Ma la versione greca.»
«Yay!!» dissi, mentre mi mettevo vicino a lui a pancia in giù.
«Allora.. da dove cominciare... beh, dall'inizio.
Era un giorno caldo e tranquillo quando, per capriccio e per amore, Cefiso -dio dell'omonimo fiume- decise di rapire la bella Naiade Lirìope.
Egli l'avvolse nelle sue acque e nella sua spuma, e dal loro amore nacque un figlio: Narciso.
Lirìope, curiosa del destino del figlio, decise di andare dall'indovino Tiresia che le predisse la riuscita vecchiaia del bambino solo se non avesse mai conosciuto se stesso.
Fu così che Lirìope decise di nascondere l'aspetto del figlio agli occhi di quest'ultimo infrangendo tutti gli specchi della loro abitazione e vietandogli di specchiarsi in qualunque goccia d'acqua.
Narciso crebbe e, da bel bambino qual'era, diventò un giovane affascinante, di grazia e bell'aspetto; così bello che alle sue spalle lasciò una scia di cuori infranti sia maschili che femminili.
Come grandi erano la sua grazia e la sua bellezza, altrettanto lo erano la sua vanità e insensibilità, tanto che un giorno regalò una spada ad un suo spasimante: Aminia.
Aminia era un giovane di belle speranze che cadde vittima della mortale bellezza di Narciso: rifiutato più volte, non si diede per vinto e quando ricevette in dono una spada, era così pieno di gioia per il dono e pieno d'amore per chi quella spada gliela aveva regalata che non esitò un solo istante ad esaudire la richiesta di Narciso: invocando gli dei per la propria vendetta, Aminia si uccise davanti la porta della casa del suo amato.
Il tempo passò, e più Narciso cresceva più la bellezza lo baciava: ma Aminia aveva chiesto vendetta, ed un giorno la ottenne.
Dopo aver rifiutato l'ennesimo spasimante, Narciso passò per caso da una fonte e, assetato, vi si avvicinò per abbeverarsi.
Qui, Narciso vide il suo riflesso nell'acqua e, non credendo di aver mai visto nulla di più bello, si innamorò del suo stesso riflesso.
Solo allora capì che dolore e sofferenza aveva causato, rifiutando con sgarbo chi gli professava amore: colto dal pentimento e dalla disperazione, si uccise con la spada donata ad Aminia.
Fu allora che, dal suo sangue, nacquero i Narcisi: tristi fiori destinati a specchiarsi nelle acque e contemplare la loro effimera bellezza senza mai amare veramente, così come fece Narciso prima di loro»
Continuai a fissare Thy rapita.
«Come... come fai a raccontare quei miti greci così bene?»
Lui rise.
«Perché mi piacciono. E forse perché, sotto sotto, voglio credere che sia successo davvero» mi rispose con un sorriso
«Ma ora sarà meglio andare. I tuoi si staranno preoccupando» aggiunse subito dopo.
«Sì, hai... hai ragione» risposi, incominciando ad incamminarmi.

Lungo la strada non avevo fatto altro che pormi stupidi quesiti che non sapevo nemmeno da dove potessero mai essere spuntati fuori, e prima che me ne accorgessi, eravamo di fronte casa.
«Carina» disse Thy, ridestandomi dai miei pensieri.
«Grazie. E... grazie. E grazie ancora»
Lui mi guardò confuso
«E per cosa, scusa?»
«Beh, il primo grazie è per la casa il secondo per avermi accompagnata a casa e il terzo per avermi fatto compagnia e avermi raccontato il mito di Narciso» gli dissi con un sorriso.
Lui rise di gusto.
Ci salutammo: lui continuò a camminare verso casa sua ed io entrai nella mia.
«Bentornata» mi disse una voce dalla cucina.
«Oh, Ael, mi stavi aspettando?» gli chiesi, mentre mi toglievo la cartella dalle spalle e mi sistemavo.
«Sì e no. Non c'è nulla da fare in questa casa quando si è da soli...»
Entrai in cucina e lo vidi a sedere con i gomiti appoggiati sul tavolo.
Sbuffava.
«Quindi? Cosa vorresti fare?» gli chiesi, mentre prendevo un bicchiere e mi versavo un po' di latte.
«Tu non hai dei compiti?»
«Tu lascia perde i miei compiti e dimmi cosa vorresti fare»
«Mah... non so... ultimamente mi annoio molto facilmente...»
«Ed è... una brutta cosa?»
«Eris, da quando sono al mondo - il che vuol dire da tanto - non mi sono mai annoiato»
«Beh, anche a me non piace la noia. Ma davvero non ti sei mai annoiato?»
«Ho sempre avuto... qualcosa da fare, ecco» disse lui, rimanendo sul vago.
Odiavo quando rimaneva sul vago, ma non potevo farci nulla.
"Prendi e porta a casa, Eris" dissi a me stessa.
«Quindi? Cosa ti andrebbe di fare?»
«... Boh» rispose lui, ancora più annoiato.
«Non ci credo...» sussurrai, mentre mettevo il bicchiere nel lavello e me ne andavo in camera mia.
Salite le scale che portavano al secondo piano, mi richiusi alle spalle la porta della mia stanza e mi buttai sul letto.
Dopo qualche istante, Ael mi chiese il permesso per entrare - lo aveva capito finalmente, eh? - e attraversò la porta come suo solito.
Si sedette sul bordo del letto, contemplando il nulla, mentre io facevo vagare il mio sguardo per tutta la camera, fino ad incontrare un certo oggetto.
«Possiamo...» dissi alzandomi
«... giocare a questo» gli risposi con un sorriso, tenendo in mano una scacchiera.
Ebbi la sensazione che Ael avesse sorriso.
«Quello è il mio passatempo preferito!»
Ci sistemammo sul letto, misi i pezzi a posto, e cominciammo a giocare a scacchi facendo passare il tempo.

Erano quasi le sette quando realizzai che mia mamma mi stava chiamando per la cena.
Feci una risatina dopo l'ennesimo scacco matto da parte di Ael
«Ora devo scendere. Se vuoi continuiamo dopo»
«Certo, ti aspetto!» disse, mentre io uscivo dalla stanza.
Mi diressi al piano di sotto mentre tentavo di trovare una strategia per battere Ael, ma i miei ragionamenti furono troncati dal dolce odorino di pizza che si spandeva per la casa dalla cucina.
Senza pensarci due volte, mi fiondai a tavola e tutti e tre - mamma, papà ed io -  mangiammo allegramente.
«Ok, ora sono decisamente piena» constatai, dopo aver mangiato un po' di gelato gusto stracciatella.
I miei risero e poco dopo andammo tutti nelle rispettive camere: Ael mi stava aspettando calmo.
«Hai trovato un'idea per battermi?» mi disse in tono allegro dopo che richiusi la porta «Mi annoio a vincere sempre!»
Mi sedetti sul letto con finta espressione offesa.
«Scusa se la mia vita è limitata e la passo a godermela invece che giocare a scacchi!»
Lui rise, e continuammo a giocare ancora per un po'.
Alle undici e mezza, decretai che avevo perso abbastanza ed era ora del riposo del guerriero.
Ael rise della mia affermazione e mi lasciò dormire in pace.
Appena prima di dormire, sentii qualcosa sfiorarmi il volto ed una voce sussurrare una frase, ma non ci diedi peso: probabilmente stavo già dormendo ed il mio cervello elaborava strane allucinazioni tattilo-uditive per la troppa stanchezza.
«Sei sempre stata brava a giocare a scacchi. Era l'unico momento in cui ci divertivamo davvero»



/*Angolo Autore*/
Heilà! Ho dovuto ristrutturare la lavanderia di casa, quindi ho ritardato, ma fa nulla xD
I miti sono volutamente "rivisitati", spero vi piacciano, ho usato tutte le parole più sdolcinate che mi siano venute in mente xD
Ah, tanto per rimanere in tema... la trama si infittisce!
                                                                        - Kurokage

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Capitolo 6
*** Probabile Schizofrenia ***


Capitolo 6 - Probabile Schizofrenia
6. Probabile Schizofrenia

Un altro noioso giorno si prospettava davanti i miei occhi.
Quella mattina - avevo incominciato ad usare gli eufemismi umani, dal gran che stavo in mezzo a loro - non c'era un granché da fare.
Per me non c'era mai nulla da fare.
Né questa mattina, né le prossime. Così come quelle passate.
Nessuno voleva che io avessi qualcosa da fare.
Un leggero ticchettio di sandali mi destò dalla mia noia.
«Mia Dea, Lui desidera vedervi»
«Desidera, eh? Magari potrei non presentarmi. Scelta saggia, non credi, Megera?» risposi alla voce femminile.
Ero comodamente seduta sul mio triclinium nero e argento costruito appositamente per me, mentre mangiavo distrattamente alcuni chicchi d'uva.
Non avevo bisogno di voltarmi. A questo mondo c'erano solo due - anzi, no, quattro - persone a me estranee che avevano l'ardito coraggio di parlarmi senza temermi.
Megera era una di queste.
«In realtà, mia Dea, credo non sarebbe saggio farlo arrabbiare. Sembra una cosa veramente seria»
«Tu dici? Eppure la tua aura funziona ottimamente su di lui, perché non la mia?»
«Credo che il seme del vostro potere sia già radicato a fondo nella sua consorte, mia Dea» rispose Megera con un tono leggermente divertito.
Mi voltai a sorriderle.
«Oh, ma io voglio lui. Di quella povera disgraziata e insignificante donna che è la sua consorte non mi importa proprio nulla. Anche se -questo devo ammetterlo- le sono... grata, credo»
«La mia Dea conosce il concetto di gratitudine?» mi chiese lei, con un piccolo sorriso sfidante.
«Volete o nolente ho una sorella benevola, cosa possiamo farci? Bisogna conoscere il proprio nemico, no?» le risposi, con un sorriso tagliente.
Il sorriso di Megera si aprì ancora di più.
«Quindi devo comunicargli che non andrete, mia Dea?»
«No. Andrò» le risposi con una sbuffo, alzandomi «voglio proprio sentire di cosa mi accusano, ora. Lui fa meno di quanto dovrebbe e poi io vengo incolpata di fare solo ciò per cui sono nata. Prima o poi avrà la mia vendetta...»
Gli occhi verdi di Megera, contornati da folte ciocche rosse, si illuminarono come mai prima d'ora.
«Volete forse che...»
«No» la interruppi «Non c'è bisogno di disturbarla. Alle mie faccende penso personalmente»
Mi avviai verso l'uscita.
La mia dimora era l'unica contornata da nubi nere, costante presenza che qui giaceva qualcosa di oscuro.
Oh, che la pensassero come volevano, io il mio lavoro lo facevo e anche bene.
Un paio di dicerie non mi facevano né caldo né freddo, anzi, le ignoravo proprio.
Io ero più grande e saggia di quegli stolti che si facevano creare palazzi immensi con tante di quelle sculture che non si capiva mai con chi si stava parlando.
Non ero orgogliosa, no, avevo passato parte della mia infanzia con Aidos e lei mi aveva insegnato cosa fossero l'umiltà e la modestia.
Caso vuole, però, che Aidos fosse la sorellastra di Nemesi - che era la migliore amica di Styx - e quindi, fortuna volendo, conobbi anche la vendetta e l'odio.
Non c'è che dire, noi quattro eravamo una grande accoppiata.
Con felici e spensierati pensieri della mia quasi infanzia, mi diressi verso la pomposa, immensa, sfarzosamente inutile sua dimora.
Oh, per me!
Non esisteva nulla di più inutile nell'universo di quell'uomo.
Non faceva un nulla tutto il giorno e poi voleva che persino i più anziani di lui lo trattassero come se lui li avesse liberati dalla schiavitù eterna!
Io, IO, lo avevo salvato dal suo destino!
IO ero andata contro l'uomo più temibile che potessi mai vedere, contro la mia famiglia!
IO avevo permesso a lui e ai suoi dannati fratelli di poter respirare ancora!
Qualche segno di gratitudine? No.
Qualche segno di rispetto? No.
Odio? Sì.
Paura? Sì.
Terrore che potessi portargli via tutto quello che IO gli avevo concesso? Sì. E tanto.
E lo avrei fatto.
Prima o poi, lo avrei spogliato di tutto quello che gli avevo fatto dono; infondo, mi temeva già.
Ci saremmo evitati un sacco di cose, se solo quella sgualdrina non avesse fornicato tutto il tempo con quell'idiota ignorante, e a quest'ora, ognuno avrebbe avuto ciò che si meritava: io un po' di pace e il mondo dei deficienti in meno!
Ma no.
NO!
La storia era dannatamente andata diversamente!
Mentre salivo gli ultimi gradini, vidi un'ombra nera nascosta contro una colonna.
«Fatti vedere. Non sono in vena di nascondigli, quest'oggi» dissi in tono piuttosto cattivo.
Pensare a lui mi metteva sempre di male - no, pessimo - umore.
«Sono... sono... solo io» disse una voce maschile sottovoce.
La mia rabbia si calmò un poco, mentre vedevo la figura avvolta da neri panni che si mostrava alla luce del sole.
«Anche tu sei stato convocato?» chiesi, leggermente curiosa.
«Sì. In... In realtà, tutti sono stati convocati...»
Questo mi mise sull'attenti.
Di solito venivo ripresa a parte e mandata a casa con frasi del tipo "questo non lo dovevi fare, ora vattene via!" o "se lo rifai di nuovo troverò un modo per rendere il tuo soggiorno impossibile, ora sparisci dalla mia vista!" e altre frasi molto dolci, ma ero da sola. Solo io e lui.
Cosa mai poteva essere successo di così grave?
Il mio passo aumentò mentre ci dirigevamo silenziosamente alla sala delle udienze.
Il mio compagno di camminata aveva detto che io ero il centro della questione e, a giudicare dalla sua faccia, non era una questione divertente.
Come aprii l'immensa porta in marmo e oro, i suoi occhi azzurri come il cielo e più freddi del ghiaccio si puntarono su di me.
«La farò breve. Molto breve.  Ti ho convocata qui perché sei il centro del dibattito odierno. Ne abbiamo già parlato in tua assenza e vogliamo solo che tu veda i sì e i no della cosa»
«Posso chiedere, mia Divinità, di cosa sarei mai il ful-»
«Chi a favore?» mi interruppe lui senza badare minimamente a quello che stavo per dire.
Fra le sedute, solo poche mano non si alzarono.
Cinque, per l'esattezza.
«Nonostante la domanda sia inutile, chi contro?»
Di quelle cinque mani se ne alzarono solo quattro e vidi l'inutile speranza nei loro volti.
Loro sapevano, io no.
Ma lo avrei scoperto presto.
«Con il potere conferitomi da me stesso, io, l'onnipotente, esilio te - il cui nome non dovrà mai più essere pronunciato in questo luogo - a vagare per il resto della tua esistenza fra i mortali umani, in quanto pericolo per noi stessi e i nostri poteri. Questo è tutto»
In quel momento, l'ira mi investì come una potente folata di vento.
«Con il potere conferitoti da te stesso? Quale stolto conferirebbe mai un potere a te, tu che non conosci nemmeno il peso del tuo compito e che mai, MAI, porti a termine un compito a te dato?! Chi, CHI, devi proteggere? CHI devi difendere? Io sarei una minaccia? Un pericolo? Guardami bene negli occhi, stupido stolto! Io esistevo da prima che tuo padre facesse i suoi primi pianti e TU osi venire a dare ordini a ME?
Nessuno riuscirà a salvarti dalla mia collera, e a nulla servirà pregare Nemesi per difenderti dalla mia vendetta.
Nemmeno quella sgualdrina di Styx, colei che inganna il vero per farti giurare il falso, riuscirà a salvarti dal mio odio»
Prima di sparire in una nuvola di fumo nera, feci in tempo a vedere tre cose.
La prima, fu la gratificante espressione di terrore misto a sorpresa sul suo volto
accompagnata dall'espressione stupita e infuriata della sua consorte; la seconda, fu l'espressione sbalordita e ferita sul volto di Styx, e la terza... la terza fu l'unica espressione che riuscì a ferirmi.
Quel volto pieno di dolore e impotenza e quello sguardo supplichevole di perdono furono l'unico rimpianto che mi sarei portata sul cuore per tutta l'eternità.
Ma ciò ostacolava i miei piani di vendetta.
Anche comportandomi bene, non sarei mai più potuta tornare a casa.
Così, quando mi ritrovai il quel sudicio pagliaio gestito da mortali, presi la decisione più liberatoria e al contempo dolorosa che avessi mai fatto.
Con sforzo e fatica, alcuni attimi dopo, il mio compito era terminato.
Avvolsi quella piccola creatura - così uguale a me da poter essere la mia gemella - in alcuni dei miei drappi neri e, con ormai nulla da perdere, mi voltai verso la strada per la mia vendetta.
Sull'uscio del pagliaio, però, mi voltai di nuovo a fissare quella piccola cosa che avevo creato, l'unica creatura che era nata senza un reale scopo.
«Tu. Tu sei tutto quello che mia madre mi ha dato per poter rimanere me stessa, per evitare che i miei poteri prendessero il controllo su di me.
Tu sei parte di me, piccola creatura. Tu sei me. Sei solo quella faccia che mi impedisce di distruggere quell'inutilità che si erge a onnipotente.
Sei solo quella piccola parte di me che solo una persona ha avuto l'onore di vedere, e che nessun altro dovrà mai conoscere.
Tu sei tutto ciò che mia madre mi ha dato di buono e mi sembra ingiusto, nei suoi confronti, porre fine alla tua esistenza.
Mi hai aiutato in più di un'occasione e in più di un'occasione mi hai fatto scoprire cose che credevo a me proibite. Nessuno più di me ti sarà riconoscente, piccola creatura.
Quindi va' e vivi la tua vita. Io ho una vendetta da compiere»

Diedi la spalle alla creatura e mi diressi verso una destinazione ignota mentre, lentamente, sentivo l'oscurità dei miei poteri prendere il sopravvento e porre fine agli ultimi barlumi di lucidità in me presenti.
"Alla fine, il momento è arrivato. Madre! Ho sempre fatto appello a te per ogni mia difficoltà ed ho sempre disprezzato ciò che alcuni membri della nostra famiglia hanno fatto. Ma tu sai il perché.
Questa volta... Questa volta sarà l'ultima volta in cui mi inginocchierò e chiederò il tuo aiuto. Non ne sono più degna, ormai.
Ma per l'ultima volta, solo per quest'ultima volta, abbracciami di nuovo e scaldami col tuo tepore.
Portami consiglio come hai sempre fatto, Madre"
Rivolsi al cielo notturno tutta la dedizione e la fede di cui i miei poteri non mi avevano ancora privata, conscia che la mia tacita supplica sarebbe giunta come sempre alle orecchie di mia madre.
Ed ella ascoltò.
Mentre cadevo a terra, colta dalla disperazione e dalla sensazione d'intorpidimento che avvolgevano me ed il mio corpo sempre di più, mia madre accolse la mia supplica, e mentre chiudevo gli occhi ella mi portò consiglio.
Avrei potuto affrontare qualunque cosa se solo avessi avuto mia madre dalla mia parte.
Il suo supporto era la cosa più importante per me, e benché sapessi che non potesse muovere un dito, ella era completamente dalla mia parte.
Anche lei aveva capito che era ingiusto ciò che mi avevano fatto, e potei sentire la sua collera in me.
Mia madre mi aveva portato consiglio, e quella mattina mi svegliai come una persona completamente nuova.
La mia vendetta aveva inizio.

Quella mattina la sveglia suonò più odiosa del previsto.
«Eris!! È ora di alzarsi!» urlò mia madre dal pianterreno.
«No.. Cinque... Cinque minuti...»
«Eris, ti consiglierei di seguire il consiglio di tua madre ed alzarti. Oggi hai la vista al museo»
«Non ti ci mettere anche... COSA?! PER LA MISERIA È VERO!!!» dissi, alzandomi in fretta e furia e raccattando in giro tutta la roba che mi serviva.
Scesi volando - letteralmente - e mi fermai giusto un paio di secondi per bere un bicchiere di latte.
Dannazione era veramente tardi!
Corsi a perdifiato quei dieci minuti di distanza dalla e scuola e per un pelo arrivai all'appello.
«Buon giorno, signorina Williams, spero abbia dormito bene» mi disse con ironia affilata il professore.
«Sì, decisamente» gli risposi, causando un suo sospiro.
Prendemmo posto sull'autobus e solo allora mi accorsi che Mary non c'era.
«Dove...» inizia a dire fra me e me.
«Oggi non stava bene. Posso sedermi qui?» finì Thy per me.
«Certo» gli risposi cordiale.
«Quindi... dove stiamo andando che non ho ancora capito?»
«Al Met»
«Al... che?»
«Met. Metropolitan Museum of Art. Non faremo un granché, ma  ci andiamo per l'arte greca»
«Non mi dire: Arte»
«Da quand'è che sei così perspicace?» gli chiesi ridendo.
Lui rise con me e poco dopo presi il mio caro e vecchio mp3 - ormai era uno di famiglia - e lo accesi, facendo riprodurre una canzone in loop.
Evidentemente il rumore della chitarra era un po' più alto del normale - il rock si ascolta al massimo o niente, eh! - perché Thy mi guardò curioso.
«Che ascolti?»
«Nulla di particolare... tieni» gli dissi, porgendogli una cuffietta.
Abbassai il volume e feci partire la canzone.
Fu visibilmente scioccato dal non poi così dolce inizio della canzone, e ciò mi suscitò una risatina.
Thy mi guardò leggermente male, ma arrivò alla fine della canzone.
«... ... Mi piace» disse semplicemente.
«Autore e titolo?» gli chiesi
«Autore e titolo» mi rispose.
Continuammo ad ascoltare un po' della mia musica e all'incirca un paio d'ore dopo ci trovammo davanti al partenone newyorkese.
Be', era solo l'entrata del museo, nulla di che.
Dopo che il professore ci ebbe non poi così gentilmente detto di fare un'adorabile fila indiana a coppie, entrammo dentro al Met e incontrammo la guida, iniziando così il giro nella parte greca del museo.
«Partiamo con un paio di statue delle divinità più potenti dell'Olimpo» disse la guida, facendoci fermare davanti tre statue  «Come ben saprete, le tre divinità più importanti erano Zeus...» e con un cenno della mano indicò un uomo seduto, con folta barba e capelli ricci, affiancato da un aquila «il cui animale sacro era l'aquila; Poseidone...» disse, indicando la statua affianco, raffigurante un uomo palesemente più vecchio del primo, questa volta in pieni, con i drappi che coprivano solo la parte bassa del suo corpo.
«Inizialmente, come potete ben notare, Poseidone teneva in pugno il suo "scettro", il Tridente, simbolo del governo su tutti i mari, ma purtroppo è andato perso, e qui sembra che stia per fare a cazzotti col primo che lo osserva» continuò con una risata.
«Infine, abbiamo Ade, il re degli Inferi» ci indicò un busto con un drappo nero adagiato sulla spalla sinistra. Il busto rappresentava un uomo più anziano dei due precedenti - d'altronde, Ade era il maggiore dei tre fratelli -, meno riccioluto, coi capelli un po' più corti e la barba molto meno lunga rispetto ai due fratelli.
Evidentemente, anche gli dei greci avevano problemi coi capelli lunghi e ricci.
«Ma Ade non è il dio della morte?» chiese qualcuno in mezzo al gruppo.
«Ottima domanda» rispose la guida, grata che qualcuno stesse ascoltando «Generalmente, si tende a considerare Ade come il dio della morte, ma è una concezione sbagliatissima, anzi! Ade è il dio dell'oltretomba, il dio del regno dei morti, non della morte in sé.
La morte la si può ricondurre a due entità minori, ma non per questo meno potenti.
La prima, più conosciuta, era Thanatos, il dio della morte; la seconda, meno conosciuta, era Ker: dea della morte violenta. A queste poi si aggiungono vari dei e dee che magari seguivano altri più conosciuti»
«Che cosa vorrebbe dire?» chiese qualcun'altro.
«Prendiamo per esempio un dio famoso: Ares. Ares è il dio della guerra, colui che gioiva nel vedere gli uomini combattere fra loro.
Ebbene, non era l'unico a scendere e... divertirsi, diciamo così, quando si scatenava una guerra.
Lui ne era il protagonista principale, ma era affiancato da Ker, Styx, Nemesi e tanti altri...»
"Ma tu guarda se non si scordavano la più importante...!"
Mi voltai di soprassalto, guardando chi mai avesse parlato, ma incontrai solo lo sguardo di Thy che mi fissava curioso.
«È successo qualcosa?» mi chiese lui sottovoce.
«No, no... non preoccuparti» gli risposi con un sorriso.
«... e procediamo alla prossima sezione: le dee»
Dei gridolini si levarono dal gruppo.
Pochi passi dopo, eravamo in una sala con solo statue di dee, e la guida ci illustrò le principali.
"Ma non mi dire... nemmeno qui, eh? Beh, non vanto certo bellezza sopraffina o intelletto degno dei sette savi, ma un po' di rispetto potrebbero darmelo, no?!" disse di nuovo la voce di poco prima.
Mi voltai di nuovo.
«Eris, è successo qualcosa?» mi chiese Thy un po' preoccupato.
«No, Thy, non preoccuparti, non è successo nulla»
«Sei un po' pallida, in realtà, ti senti bene?»
«Io...»
«Ti porto fuori a prendere una boccata d'aria» disse deciso Matt, intromettendosi nella discussione, e prendendomi per un braccio, trascinandomi via.
«Matt, nessuno ti ha chiesto di portarmi da nessuna parte!» dissi, mentre Matt continuava a trascinarmi verso l'uscita contro il mio volere.
«Dobbiamo parlare»
«E una visita guidata - anche piuttosto interessante, devo ammettere - nel prestigioso museo di New York ti sembra un buon posto?»
«Non importa, dobbiamo parlare»
«Matt!» dissi, dando uno strattone, in modo che Matt mi mollasse il braccio.
Ormai eravamo fuori dal museo.
«Eris...»
«Cosa? Cosa?? COSA???» chiesi esasperata.
Ormai non ne potevo più.
Matt mi era sempre rimasto attaccato, ma almeno mi aveva sempre dato un po' d'aria per respirare, ed ora che era comparso Thy... puff, numero uno dei cleptomani.
«Mi dispiace» disse sincero.
«Mi dispiace? Mi dispiace?! Matt ma si può sapere cosa diavolo ti è successo? Avevi promesso che cose del genere non sarebbero mai successe! Mi chiami con nomi che sai perfettamente  che io odio; ti intrometti nelle mie discussioni; mi fai fare complete figure di merda davanti la gente... Matt, ma cosa ti sta succedendo?»
In quel momento, in quell'esatto istante, vidi sul volto di Matt un'espressione che non avevo mai visto.
Era delusione, odio e tristezza.
Tristezza per me, ma odio e delusione per se stesso.
«Eris... io... non lo so. Insomma, lo sai - lo sappiamo entrambi - che sono innamorato di te e, credimi, ho tentato con tutto me stesso di andare avanti e... ci stavo riuscendo.
Ma poi, spunta quel bell'imbusto di Soahc e manda all'aria tutti i passi in avanti che ho fatto, tutta la fatica che ho speso.
Vuoi la verità? Sì, me lo aspettavo.
Mi aspettavo che come avessi trovato un tipo che ti piacesse - perché devi ammetterlo che quel Thy ti piace, te lo si vede da miglia di distanza - sarei diventato geloso, ma ero deciso a mollare, a lasciarti definitivamente tutti i tuoi spazi.
Eri... Eri con un altro, fine della questione»
«Allora perché non ci riesci? Se è "così evidente" che Thy "mi piace", perché non te ne sei fatto una ragione, Matt?» gli dissi calma, tentando di riceve delle spiegazioni senza farlo sentire ulteriormente uno schifo.
«Perché ogni volta che ti vedo insieme a lui mi verrebbe voglia di staccargli la testa» disse di botto, semplicemente, come se fosse la cosa più naturale possibile.
«M-Matt...»
«E vuoi sapere la cosa divertente?» aggiunse interrompendomi «Sai quando ti eri presa una cotta per James? Ecco, con lui era un nonnulla. Con lui non succedeva niente. Vi vedevo insieme, ero triste e basta.
Con Thy... con lui è diverso. Gli farei soffrire le pene dell'Inferno, per farlo stare lontano da te»
Rimasi a bocca aperta per una buona manciata di minuti.
Avevo un possibile spietato serial killer davanti i miei occhi e non me ne ero mai accorta.
«Ok emh... non... non lo fare, d'accordo, Matt? Non... non lo fare. Stai calmo»
Lui mi guardò serio, ed io sorressi preoccupata il suo sguardo fino a quando non si aprì in un triste sorriso.
«Non sono ancora così stupido, Eris»
«Meglio prevenire che curare, eh!» mi voltai, ed incominciai a salire alcuni gradini per rientrare al museo.
«...Eris?» mi chiamò improvvisamente Matt.
«Sì?» dissi, voltandomi verso Matt e fissando i suoi occhi azzurri tristi.
 «... Mi piaci»
«... ... lo so, Matt, lo so» dissi, voltandomi e continuando a camminare a testa alta verso il museo.
A testa alta e con un nodo al cuore.

Ci mettemmo un buon quarto d'ora nel ritrovare il gruppo disperso, e passammo davanti innumerevoli reperti che mi sarebbe piaciuto poter osservare con più calma, ma non avevamo abbastanza tempo.
Solo uno.
Solo un unico reperto catturò completamente la mia attenzione.
Era un reperto che stavano sistemando, ma non potei identificare chi fosse, dato che mancava la targhetta esplicativa.
Era una rappresentazione di un giovane nudo, senza braccia o gambe (il marmo costa!) che guardava distrattamente l'angolo inferiore della sua destra, come se stesse guardando qualcuno al di sopra di esso.
Aveva un'espressione abbastanza menefreghista, vero, ma era come se si potesse notare una leggera sfumatura d'interessamento verso chiunque stesse fissando.
Tutto sommato era un bel giovane: ben fatto, fisico leggermente scolpito, capelli lunghi fino alle spalle e mossi...beh, sunto: un figo.
Chissà chi era...
«Eris! Finalmente ti ho trovata!» disse una voce che si avvicinava, riportandomi sul pianeta Terra.
«Oh... T-Thy...»
«Woo...» disse lui, ammirando il busto «Non sarai un asso in arte, Eris, ma certo che hai buon gusto per le statue...» concluse, tirando un'indiretta frecciatina a cui risposi con una scherzosa gomitata.
«Vieni, torniamo dal gruppo»
«Tu... Tu sai chi è?» gli chiesi, continuando a fissare il giovane ritratto nel torso.
Mi voltai a fissare Thy, il suo sguardo concentrato sul torso del giovane.
«No» disse infine, prendendomi per mano e conducendomi verso il gruppo.
"Bugiardo..." disse di nuovo quella voce con tono triste "... non hai mai saputo mentire. Non a me"
Mi voltai per la terza volta e per la terza volta non vidi nessuno.
"Ok, calma Eris, calma. Stai... Stai seriamente incominciando a diventare pazza..."


/*Citazioni e Riferimenti*/
In questo capitolo ho messo un bel po' di nomi che non tutti conoscono: ecco la descrizione in ordine di apparizione.
 Megera: una delle tre Erinni (personificazioni femminili della vendetta), predisposta all'invidia ed alla gelosia. Induceva a commettere delitti come l'infedeltà matrimoniale. Il suo nome significa "l'invidiosa".
▨  Aidos: dea della modestia, della vergogna e dell'umiltà
▨  Nemesi: dea della vendetta e della giustizia (giustizia in senso personale e non giuridico)
▨ Styx: detta anche Stige, dea del fiume Stige e della verità che veniva giurata sulle sue acque. Bevendo le acque dello stige, se una divinità avesse affermato il vero, non sarebbe successo nulla, al contrario, avrebbe subito uno "stupore" doloroso che avrebbe paralizzato.
▨ Ker: dea del destino dei guerrieri o della morte violenta (morte da battaglia).
▨ Sette Savi: i sette uomini più saggi dell'antica grecia.


/*Angolo Autore*/
Nuove domande?
He, non vi do le risposte!
Ma lo faccio con affetto, eh! xD
                                                                        - Kurokage

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Capitolo 7
*** Fiducia. È solo questione di Fiducia ***


Capitolo 7 - Fiducia. È solo questione di Fiducia
7. Fiducia. È solo questione di Fiducia

«Lasciala» disse una voce alle mie spalle, abbastanza arrabbiata dovrei aggiungere.
Thy si voltò curioso - io con lui - e vedemmo lo sguardo freddo ed insensibile di Matt che si avvicinava.
"Gli farei soffrire le pene dell'inferno per farlo stare lontano da te"
Oh. No.
Giove divino!
«Ok, calmiamoci tutti...»
«Io sono calmo» mi rispose Matt, decisamente poco convincente.
Lo sguardo di Thy si fece più serio.
«Tu non sei suo padre. Né un suo parente. Né il suo ragazzo» disse lui con una fredda calma.
Ma in quella calma, il mio sesto senso aveva notato qualcosa, come una tacita affermazione che nasceva da anni di sapienza.
«Lasciala andare, ho detto» ripetè Matt leggermente più minaccioso.
«Ragazzi, per favore, basta...!» tentai di dire, ma nessuno dei due mi ascoltò.
«È una questione d'onore, ora?» disse Thy serio, ma i suoi occhi celavano un sorriso divertito.
Matt, istigato e colpito nell'orgoglio, non tardò a rispondere: 
«È sempre stata una questione d'onore»
Mi voltai nell'esatto istante in cui la voce parlò.
"Le questioni d'onore mi sono sempre piaciute. Sono sempre state il mio passatempo preferito..."
Là.
Dietro una colonna.
La vidi.
Un'ombra nera si nascondeva dietro la colonna, osservando silenziosa ciò che stava succedendo fra noi tre.
Un terrore che mai avevo provato s'impossessò di me, ma il mio istinto mi disse di rimanere dov'ero, che non mi sarebbe successo nulla.
Sentii l'ombra voltare il suo sguardo su di me e sorridermi.
Rabbia, odio e cattiveria erano le tre sensazioni principali - e le più forti - che emanava l'aura di quell'ombra; ma il mio istinto, ancora una volta, mi disse di rimanere tranquilla.
"Dovresti essere onorata che due uomini siano lottando per te. Sai... in un certo qualmodo ti invidio. Io avevo già ciò che desideravo, ma nessuno ha mai lottato per me. Anzi..." disse - più chiara - la melodiosa voce femminile.
"Buona fortuna, Eris. Ci reincontreremo quando avrai bisogno di me. Perchè tu avrai bisogno di me..."
E sparì.
Nel nulla.
L'ondata di terroe che mi aveva preso, se ne andò con lei, e solo allora mi resi conto che Thy era piegato, poggiando le mani sulle gambe e Matt era a terra che si tastava la guancia.
«Oh... Divini... DEI!» sbraitai infuriata, mentre gli addetti del museo si avvicinavano per separare quei due idioti.
 
«Signorina, la prego di calmarsi. C'entra anche lei in tutto questo?» mi chiese cordiale un'assistente che mi si era avvicinata.
Vidi la nuvola di rabbia nera che circondava il professore man mano che si avvicinava.
«WILLIAMS!» sbraitò, tentando di mantere il controlo «Se c'entri in mezzo a questo casino, giuro che ti faccio sospendere!»
«Come stavo per rispondere alla signorina, è possibile che la causa sia io, ma io personalmente non c'entro nulla con la faccenda» dissi calma, puntando poi il dito verso il busto che avevo ammirato poco prima «io stavo guardando quello, tentanto di ricordarmi chi potesse essere, vista la mancanza della targhetta esplicativa»
Mezza bugia, mezza verità.
Non mi sarei fatta sospendere per due idioti come loro.
Nel mentre, Matt e Thy erano stati separati e si stavano subendo una bella lavata di capo.
«Che ha combinato mio fratello, ora?» mi chiese una voce, improvvisamente arrivata dal nulla.
Mi voltai e vidi Phy.
«Credo abbia provocato un già irritato Matt e che quest'ultimo gli abbia tirato un pungo. Thy ha ringraziato con gli interessi, da quanto riesco a capire»
Phy sbuffò.
«Tipico di mio fratello. Lui è "onnipotente", fa qualunque cosa voglia perchè può farlo...» abbassò la voce fino ad un sussurro impercettibile «... ma è come tuti gli altri, qui, ora...»
Corse dal fratello ed io mi voltai.
A differenza di quanto predetto, la visita al museo era praticamente già finita, e non avevamo rovinato il divertimento a nessuno.
Il professore e l'assistente, si erano avvicinati ai due incriminati e gli stavano dando una quarta lavata di capo.
Io tornai a fissare il busto.
«Interessante, eh?» mi chiese Phy, riavvicinatosi.
«Sì, ma non so chi sia...»
«Beh, dovremo aspettare fin quando non metteranno la targhetta» mi disse con un sorriso, prima di tornare da Sherley.


Chiusi la porta di casa che non ero scioccata.
Peggio.
In casa notai con piacere l'assenza di tutti.
«Ael?» chiamai con tono stanco.
«Hei, umana! Come butta?»
Rimasi ancora più scioccata.
«...Si... Si dice così, giusto?» chiese lui preoccupato.
«Ael, ti prego, salutami normalmente. Mi sono già successe un sacco di cose, non ho bisogno anche dei tuoi tentativi di umanizzarti»
«Ah» mi rispose deluso.
«Scusa. È che.. me ne sono successe un po', oggi. Comunque, sì, alcuni salutano così, ma a me non piace. Preferisco ancora la cordialità e l'intelligenza alla moda»
«Oh, beh, bentornata, allora» disse lui, più rincuorato.
Gli sorrisi, un sorriso stanco, mentre mi dirigevo in cucina e mi sedevo.
«Sembra che Atlante ed Ercole ti abbiano scaricato il loro lavoro sulle spalle per prendersi una vacanza alle Hawaii... che è successo?»
Fissai l'ombra scura un paio di minuti là dove avrebbero dovuto esserci gli occhi.
«Si... Si tratta di Thy. E Matt. E me» incominciai a dire.
«Umh» fece lui semplicemente.
«Beh, ecco..» cominciai così a raccontargli tutta la storia, della cotta di Matt, dell'incidente, dell'arrivo di Thy e suo fratello, di come era diventato Matt dopo che Thy mi aveva avvicinato e l'episodio del museo.
«...In realtà...» conclusi dopo una buona ora di chiacchierata «... non ho la più pallida idea del perchè mi stia confidando con te. Cioè, sarei dovuta correre da Mary e raccontarle vita morte e miracoli, e invece...»
«E invece sei qui con me. La cosa ti crea dei problemi? Posso andarmene, non devi preoccuparti...» mi disse lui, rassicurandomi.
«No, cioè... ormai mi sono abituata. Mi adatto velocemente alle situazioni e, onestamente... mi sento un po' meno sola...» gli dissi, con un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi bassi.
Passarono un paio di secondi prima che Ael parlasse di nuovo.
«Come... come potrai aver intuito, io non sono... come te, ecco, diciamo così, e queste sono competenze umane, quindi probabilmente la tua amica Mary avrà più che ottimi consigli a riguardo. Ma voglio che tu sappia, che... beh, se ti succedono cose... "strane", hai il signor Stranezza davanti al naso» mi disse affettuosamente.
«A... A dire il vero... mi è capitata una cosa abbastanza strana, oggi, al museo...»
«E cosa?» mi chiese interessato.
«Ecco... mentre.. mentre eravano tranquillamente ad ascoltare la guida che parlava, sentivo un'altra persona parlare»
«Eh?» mi spronò lui.
«Il suo tono sembrava molto irritato. E il fatto è che quella persona la sentivo solo io. Ha incominciato a "lamentarsi" quando la guida aveta tirato in causa Ares: stava spiegando che insieme alle divinità principali si muovo anche divinità meno importanti ma, a volte, altrettanto potenti»
«E cosa ti ha detto?» chiese Ael serio e concentrato sulle mie parole.
«Beh, la prima volta la voce si è lamentata perchè la guida non l'aveva citata al seguito di Ade. Poi, quando siamo passate alla zona delle dee, si è lamentata perchè la guida non l'aveva minimamente accennata»
«E qui cosa ti ha detto? Ricordi le parole?»
Strinsi gli occhi, come se farlo mi aiutasse a focalizzare la cosa.
«Ha detto che magari poteva anche non essere uno schianto in bellezza, o uno... uno... erano sette...»
«Uno dei sette savi?» mi aiutò Ael
«Sì! Ma che comunque un po' di rispetto dovevano darglielo»
Ael tacque e io continuai.
«La terza volta, aveva una voce triste, e credo avesse risposto a cosa mi aveva detto Thy»
«No, aspetta, cosa?!»
Feci un cenno di assenso con la testa.
«Sì. Ero davanti a quel busto di cui ti ho parlato, e Thy mi aveva preso scherzosamente in giro dicendo che magari potevo far schifo in arte ma avevo buon gusto per le statue, così gli ho chiesto se per caso conosceva il pezzo e lui mi ha risposto di no»
«Ed è stato allora che la voce ha parlato?»
«Sì. Ha detto che Thy era un bugiardo e che non era mai stato bravo a mentire, non a quella persona. Il suo tono era triste, come se si conoscessero da un sacco di tempo e per una triste cosa si erano dovuti separare. In realtà, anche a me sembra che Thy avesse mentito, ma se gli avessi detto per quale motivo lo pensavo, mi avrebbe preso per pazza. E, sinceramente, ho passato un brutto quarto d'ora con me stessa»
Mi alzai per andare a prendere un bicchiere d'acqua.
«Poi? È successo qualcos'altro?»
«Sì» dissi, dopo aver bevuto.
«Quando Matt e Thy stavano per fare a pugni. Avevano menzionato qualcosa sull'onore e la voce se ne era uscita dicendo che aveva sempre amato le questioni d'onore» feci una pausa e ripresi, ricordando il terrore che mi aveva invaso «È stato allora che l'ho vista. Era nascosta dietro una colonna ed era un'ombra»
«Un'ombra?»
«Sì. Si è si voltata verso di  me e ha normalmente chiacchiarato come se fossimo amiche di vecchia data. E... mi conosceva»
«Com'era? L'ombra, intendo»
«Era molto più nera di te e aveva un'aura terrificante. Mi ha detto che dovevo essere onorata che Matt e Thy stessero facendo a cazzotti per me, perchè nessuno lo aveva mai fatto con lei, e mi ha augurato buona fortuna, dicendomi che sarebbe tornata quando avessi avuto bisogno. "Perchè tu avrai bisogno di me...", ha detto proprio così» dissi, rabrividendo «Poi non l'ho più sentita per tutto il giorno. È stato allora che ho capito che la voce apparteneva ad una donna»
«Io... ne parliamo più tardi» disse Ael scomparendo, mentre mia mamma apriva la porta.
Mia mamma, Mary Margaret Jones - ma chiamata da tutti Meg -, lavorava come wedding planner a orari incomprensibili, e quello era uno dei pochi giorni fortunati in cui veniva a casa per pranzo.
«Tesoro!! Sono a casaaa!!» sbraitò dalla porta d'entrata, emozionata e stanca perchè poteva condersi del tempo in più con la figlia.
Tempo che in realtà avrebbe passato a dormire, ma poco importava, l'intento era sempre buono.
La accolsi in salotto con un sorriso.
Chissà cosa ci sarebbe stato da cena...

Papà tornò a casa tardi, quella sera. Era andato a pesca con alcuni colleghi ed era tornato a casa stanco e a mani vuote, ma sorridente e divertito.
Mangiammo tramezzini nel solito chiacchiericcio famigliare raccontando la giornata, ed al mio turno liquidai il tutto con un "nulla di nuovo": se avessero saputo la verità, sarebbero andati fuori di testa dalle risate.
Diedi una mano alla mamma a sparecchiare e mi buttai a letto.
Presi in mano il cellulare che suonava la sua solita musichetta da messaggio - che, per carità non era il tipico bip-bip simile al suono delle allarmi - e notai tre chiamate perse e una quarantina di messaggi.
Le chiamate le liquidai, i messaggi erano un 99% provenienti da Mary tutti con lo stesso succo: "com'è andata?".
Ci misi un sacco di tempo nel risponderle, e le raccontai la giornata tralasciando la voce dell'ombra e la sua visione: Ael forse no, ma Mary mi avrebbe reputato con seri problemi.
Solo due messaggi, gli ultimi ricevuti per l'esattezza, non erano di Mary: Matt.
Il primo, più vecchio, era stato inviato pochi minuti dopo il riesntro a casa, e recitava un semplice "Scusami"; il secondo, ricevuto un paio di minuti fa, recitava un'ampia carellata di spiegazioni.
"Non avrei dovuto.
Perdonami.
Quando ti ho vicina, Eris, non capisco più nulla e una ceca possessione - nonché rabbia - s'impossessano di me.
Vorrei spiegarti che non sono così, che non è da me fare ciò che ho fatto oggi, e posso solo contare sul tuo buonsenso.
Mi conosci da una vita, Eris,
ci conosciamo da una vita.
Te l'ho già detto, vederti con Soahc mi manda in bestia, ma non so nemmeno il perchè, è la prima volta che succede, te lo giuro!
E oggi.. beh, non ho retto.
Difendilo finchè vuoi, ma non è un santo: lui mi ha provocato e lo hai visto anche tu.
E tira dei ganci destri che fanno maledettamente male!"
Wow. Era il messaggio più lungo che Matt mi avesse mai scritto da quando lo conoscevo.
Bloccai la schermata e rimasi a fissarmi un paio di minuti in quello schermo nero.
"Che poi, non è nero, è grigio" pensai fra me e me.
Posando il telefono sul comodino al mio fianco, piazzandolo sopra la pila di libri meno alta, pensai a ciò che era accaduto quel giorno, in particolare all'ombra nera che era nascosta dietro la colonna del museo.
Da quanto era lì dientro, nascota? Da quanto tempo ci stava osservando? Da quanto... Da quanto tempo mi conosceva, benché io non conoscessi lei?
Come faceva a conoscermi?
Con tutti questi quesiti chiusi gli occhi, e dormii un sonno agitato.

Non c'era aria, ma sentivo un leggero venticello che mi muoveva i capelli.
«NON PUOI FARLO!» urlò una voce da dietro di me.
Mi voltai per vedere chi fosse, ma era tutto sbiadito, sfocato, non si vedevano nemmeno i contorni delle cose.
«NON SARAI TU AD IMPEDIRMELO!» tuonò di rimando una voce femminile.
Nonostante i due urlassero, anche il suono era ovattato, facendomi sentire a fatica le parole dei due.
«Non puoi farlo, ...!  Lui non te lo perdonerà mai!» disse un lui, quasi piagnucolando.
Ecco, non avevo sentito il soggetto della frase.
Ma che diavolo di sogno era?!
Poi, una piccola lampadina si accese, mettendo illogicamente a posto tutti i pezzi.
Questo sogno era strano, diverso... perchè non era un sogno.
Era un ricordo.
Solo che non mi sembrava fosse mio.
O almeno... "Vuoi vedere che è un ricordo cancellato?" pensai fra me e me, mentre quei due litigavano di brutto.
Avevo avuto una discussione del genere, una volta, con Matt, ma non mi ricordavo ci fossimo detti quelle parole.
«Quanto vuoi che me ne importi del suo perdono?! Dovrebbe chiedere il mio, invece!» disse la donna, ancora più irata di prima.
«Ti prego...» disse l'uomo, fermando a pochi centimetri dalla donna « Ti prego, non andartene. Non... non lasciarmi da solo»
Se non fosse stato un sogno alquanto strano, sarei corsa io personalmente ad abbracciare quell'uom- no, ora che focalizzavo meglio era un giovane adulto, più che un uomo.
Comunque fosse, lo avrei abbracciato comunque.
Il tono della donna si rabbonì
«Non ti lascerò solo, ... Non lo farò mai»
«Lo stai appena facendo» ribadì il giovane.
«Non ho scelta, ...»
Che diamine, già sentivo male i discorsi, perdersi anche i soggetti non era il massimo.
«Ci parlerò io! Lo farò ragionare, farò ragionare tutti!»
«..., non puoi fare nulla. Lui non ragionerà. E nemmeno loro lo faranno»
«Ma...!»
«"Ma" nulla. Hanno paura, ..., paura di me. È per questo che lo hanno fatto: pensano solo a sè stessi, sè stessi e nient'altro»
«Ci dev'essere qualcosa che farà cambiare loro ide-»
«Non c'è. La faccenda è chiusa»
«Allora verrò con te» disse il giovane, dopo attimi di silenzio.
«Tu non farai nulla di così malsano e stupido. Loro hanno bisogno di te, qui, io posso benissimo andarmene»
«Non puoi costringermi!»
«Oh, posso eccome!» disse la donna in tono affilato «E tu non te ne accorgeresti nemmeno»
«Non oserai farlo» disse lui, con un traballante accento ma convinto delle sue parole.
«Hai ragione» disse la do- beh, ora che li vedevo più chiaramente, erano entrambi giovani.
«Non oserei mai farlo. Con tutti, persino con il mio stesso padre, ma non con te» finì lei in tono dolce.
«Tu non hai padre» disse lui in tono leggermente divertito
«Il tuo è ancora da decidere» gli rispose lei, divertita.
«Lo devi... Lo devi veramente fare?» le chiese lui, in tono triste, deluso e sommesso.
«Sì»
«Io...» iniziò lui.
«Lo so, ..., lo so. Non c'è bisogno che tu me lo dica di nuovo»
«No, ascoltami! Io.. c'è qualcosa che devo veramente dirti!» il tono del ragazzo si era fatto serio e pregante.
«..., non ho tempo ora... devo andare. Non ho più tempo»
E poi, non sentii più nulla.
Le labbra rosee del ragazzo divennero più chiare, e dissero qualcosa che non riuscii a sentire.
La giovane donna, dal canto suo, rimase stupita dell'affermazione che gli aveva fatto il giovane, e gli rispose con un triste sorriso parole che non riuscii ad udire.
Poi, come se nulla fosse successo, due occhi viola intenso mi fissarono preoccupati.
«Eris? Tutto bene? Sei un po' pallida...»
Mi guardai intorno, macchine tutte curve giravano allegramente per le strade, ed io ero seduta su un marciapiede.
O meglio, ero seduta a mo' di caduta.
Notai il mio vestito che mi designò l'epoca attuale.
Era un vestito molto carino, nero a pois rossi, svasato dalla vita in giù con un po' di tulle alla fine della gonna.
Ah, no, era la sotto-gonna.
Il busto stringeva, ma non tanto quanto quelli delle altre volte, e lo scollo a "U" er un tutt'uno con gli spallini larghi abbastanza da coprire le spalle.
Non mi serviva nemmeno guardare la capigliatura, che avrei scommesso essere cotonata, per dedurre gli anni '50.
«Dove... Dove siamo...?» domandai spaesata ad uno Shin, che mi fissava curioso e preoccupato nel suo gessato grigio.
Decisamente elegante.
Mi sorrise dolce «Ti interessa davvero così tanto? Forza, andiamo, ho una sorpresa per te...»
«Una sorpr-» non feci nemmeno in tempo a finire che Shin mi tirò su con una mano e mi tenne stretta a sé per un paio di secondi, giusto il tempo che bastava per farmi diventare un peperone rosso.
«Fo-Forza, andiamo» disse lui, voltandosi per non farsi vedere e trascinandomi in strada, attraversandola.
Mi guardò negli occhi intensamente e quasi non lo sentii mentre mi parlava.
«Chiudi gli occhi»
«Perchè?»
«Tu fallo» mi disse con un sorriso «Non te ne pentirai. Fidati di me»
«O...Okay» gli dissi.
Chiusi gli occhi e mi feci guidare dalla mano di Shin senza sapere la destinazione.
"Fidati di me" aveva detto.
Perchè mai dovevo fidarmi di qualcuno che incontravo solo nei mei sogni e che non conoscevo per niente?
Eppure lo feci.
Mi fidai di lui.




/*Angolo Autore*/
Non guardatemi male, i "...," sono volutamente usati. Al posto dei puntini avrei dovuto inserire i nomi dei personaggi che si parlavano.
Avrei dovuto
xD
Spero che anche questo capitolo vi piaccia

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Capitolo 8
*** Gelosia... diamine, mi stai portando via?! ***


Capitolo 8 - Gelosia... diamine, mi stai portando via?!
8. Gelosia... diamine, mi stai portando via?!

«Posso aprire gli occhi, ora?» gli chiesi dopo non so quanto tempo.
«No, non ancora. Siamo appena arrivati» disse Shin in tono furbo.
C'era un forte brusio di
voci, il che significava essere in mezzo a molta gente.
«Si può sapere dove siamo?» gli chiesi di nuovo.
Camminammo ancora per un po', fino a che il brusio di voci non calò.
«Aspetta ancora un po'... solo... un... poco...» mi disse, mentre con le mani mi faceva sedere su qualcosa di freddo.
I miei occhi chiusi captarono un abbassamento della luce.
«Si può sapere dove-»
«Shhh!» mi fece lui piano «Ora... puoi aprirli...»
Mentre aprivo 
gli occhi, che lentamente si stavano adattando al buio della stanza, una voce femminile iniziò a cantare.
«Ma cos-» «Shhh...»
E fu allora che capii: nell'esatto istante in cui comparve il tipico libro in pelle che si aprì ed iniziò la storia.
Senza preavviso, una piccola lacrima mi scese sulla guancia, quando la voce narrante non si accorse di avermi appena detto che ero alla prima visione di "Cenerentola".

Quasi due ore dopo, finì il film e mi voltai a guardare curiosa uno Shin sorridente.
«Ti è piaciuto?» mi chiese dolce.
«Io... Sì, non saprò mai come ringraziarti» gli risposi sorridente.
«Non devi. La mia più grande ricompensa è-»
Giuro di non aver mai odiato così tanto la sveglia come in quel momento.
«Forza, pigrona» disse la voce di Ael «è ora di alzarsi»
«No... altri... altri cinque minuti...»
«Non ti va forse di... vedere Thy?» mi stuzzicò il bastardo.
«No» gli dissi decisa, stroncando qualunque suo attacco.
«Quindi... non ti sei presa una cotta per lui?» chiese confuso.
Lo guardai decisamente peggio che male.
«E questa spavalda ed acuta, nonché decisamente errata deduzione, dove trova fondo, Watson?»
«Solo dalla storia che si ripete, mia cara Sherlock» mi rispose con una risata.
In fretta e furia, mi dileguai dai suoi deliri e mi preparai in bagno.
Dieci minuti dopo ero tranquillamente seduta al tavolo della cucina con i miei genitori, intenta a spazzolare una pila di tre soffici e buonissimi pancakes.
«Forza, a scuola, che sennò fai tardi» mi disse mamma mentre mi pulivo la bocca col tovagliolo.
Una manciata di minuti ed ero già a metà del tragitto.
Con le cuffiette  nelle orecchie, feci un balzo alto cinque centimetri quando una mano mi toccò la spalla.
Mi ci vollero un paio di minuti prima di arrivare alla conclusione che, quello che stavo osservando, non era il volto di un mal intenzionato ma di Thy.
«Ciao!» mi disse lui tutto raggiante.
«C-Ciao...»
«Che c'è? È successo qualcosa?» il tono della sua voce era profondamente preoccupato.
«Ah? No no... Non è successo nulla, davvero...»
«Ne sei sicura, Eris?»
«Sì... Sì, non preoccuparti. Ho solo preso paura»
«Ah! Ti ho fatto paura? Cielo, mi dispiace! Pensavo mi avessi sentito...»
«No... e no, non preoccuparti. Ho rischiato l'infarto ma ora è tutto a posto» gli risposi scherzosa.
Lui, per tutta risposta prese delicatamente una mano nella mia ed incominciò a camminare.
«Forza, andiamo a scuola» mi disse con un felice e luminoso sorriso.
" «Quindi... non ti sei presa una cotta per lui?» "
Stranamente, mi tornò in mente Ael.
Io ero sicura di non provare nulla per Thy, solo... quando ero con lui ero stranamente più felice e... e...
«Tutto ok?»
«Eh?»
«Eris, è tutto ok?» disse la voce preoccupata di Thy.
«Ah, sì sì, non preoccuparti» gli risposi con un sorriso che non convinceva nemmeno un morto.
«Se lo dici tu...» mi rispose lui, infatti, con uno sguardo dubbioso.
«Perché sei... così gentile?» gli chiesi di botto «Cioè... non ci conosciamo da molto tempo, e... ecco...»
«S-Scusa...» mi rispose lui imbarazzato e con una punta di tristezza nella voce, mentre toglieva la mano dalla mia.
«No! Io....» gli dissi istintivamente, mentre riprendevo la sua mano nella mia.
Lui si voltò a guardarmi stupito ed allora, arrivando razionalmente al significato del mio gesto, mollai subito la presa.
«S... Scusa...» dissi a bassa voce, abbassando gli occhi al terreno.
"Divini Dei, che figuraccia..." pensai fra me e me.
Thy ed io tornammo a camminare silenziosi, ma con la coda nell'occhio vidi un sorrisetto spuntare sulle sue labbra.
«È solo che... mi sembra di conoscerti» disse lui continuando a guardare dritto «... da sempre»
Non riuscii ad aggiungere nient'altro a causa dell'arrivo a scuola.
Thy si voltò a farmi un sorrisetto e poi se ne andò per la sua strada, lasciandomi completamente sola a macinare quella che mi aveva detto.

Quella giornata passò talmente tanto veloce che non me ne resi conto ma, nello stesso tempo, così tanto lentamente che ogni secondo sembrava un'ora d'inferno.
«... credi anche tu, Eris?» disse Mary facendomi ritornare alla realtà.
«Eh? Cosa?» diamine, era già ora di pranzo.
«È tutto il giorno che sei per i tuoi, sei sicura di star bene?»
«Sì, non preoccuparti. Cosa mi stavi dicendo?»
«Ti stavo dicendo che, credo che Thy si sia ambientato abbastanza bene, non credi?» mi disse lei, indicandomi con un gesto un angolo della mensa.
Non feci nemmeno in tempo a finire il mio "Perché?" che avevo la bocca già spalancata di almeno cinque centimetri.
Mary si affrettò a chiudermi la bocca e a voltarmi la testa nella sua direzione, prima che Thy si voltasse e ci - mi - scoprisse.
Mary gli fece un cenno di saluto con la mano, ma io non mi voltai a salutarlo.
Non ci riuscivo.
Negli occhi continuavo ad avere l'immagine di Sherley che si sbaciucchiava platealmente Phy - e quello non è che mi interessasse poi più di tanto - e Thy che stava comodamente seduto fra le due oche starnazzanti di cui non ricordavo il nome: il coretto di Sherley.
Io... io sapevo che prima o poi sarebbe successo.
Insomma, lei è tutto sommato una bella ragazza, tutte loro lo sono: col quoziente intellettivo di una rapa marcia, certo, ma sono esteriormente molto attraenti.
Capelli lunghi che sembrano seta, trucco costantemente fatto e mai una sbavatura, sorriso sempre brillante... beh, il meglio che potresti avere dal liceo.
E Thy non era da meno.
Insomma, tutto sommato erano un bel quadro.
Sì, stavano bene inseme.
Avrei anche potuto dire che avrebbero formato una bella coppia se si fosse messo con qualcuna di loro.
Ma allora... perché mi sembrava che mi avessero preso a pugni lo stomaco?
Perché avevo una gran voglia di alzarmi e tirare i capelli a tutto quel dannato gruppetto?
"Calma, Eris, calma" ripetei a me stessa una volta, due volte, tre volte, forse anche dieci volte.
Non avevo nessun motivo per sentirmi così.
Non avevo nessuna pretesa su Thy, non era né mio fratello, né il mio ragazzo.
Allora perché... perché mi sentivo così... così... tradita?
Mi aveva solo stretto la mano lungo il tragitto, non era poi tutta 'sta roba!
Non avevo il più minimo motivo di sentirmi tradita, e lui non doveva essere l'oggetto della mia gelosia!
"Gelo... Gelosia? E perché mai? Perché dovrei essere gelosa di lui?"
La campanella suonò ed io e Mary ci alzammo insieme.
«Eris?» mi chiese leggermente preoccupata, mentre ci dirigevamo verso l'aula.
«Sì. Trovo si sia ambientato magnificamente»
Sapevo di essere stata acida, ma il modo in cui Mary si fermò e mi guardò stralunata, mi fece capire che forse ero stata un tantino troppo acida.
Ad ogni modo, non volevo ragionarci ora, così mi voltai e me ne andai a lezione.
Forse fu la rabbia, ma la lezione finì in un batter d'occhio e io non ci capii un tubo.
In realtà non capii un tubo nemmeno delle seguenti.
«Mary, ecco... ti andrebbe di... prestarmi i tuoi appunti delle lezioni?»
«Sì, certo, ma come mai?»
«Perché, sinceramente, non ho capito niente delle ultime ore» le dissi con un sorriso imbarazzato, mentre ci dirigevamo all'uscita.
Anche quella giornata d'inferno era finita.
«Sì, non ti preo- oh oh, disastro a ore sei! Disastro a ore sei!»
Non feci nemmeno in tempo a capire di cosa diamine stesse parlando che una mano mi afferrò la spalla.
«Eris... ti dispiace se ti accompagno a casa? Credo... Credo che dobbiamo parlare»
Poi, Thy, si rivolse a Mary
«Ti spiace?»
«Io... Eris ha avuto un giornata un po'-»   «Sì. Non ci sono problemi» dissi, interrompendo Mary.
"Calma, Eris, calma. Mantieni un comportamento distaccato. Non è successo nulla, troppi filmini mentali fanno male"
«Andiamo?» mi chiese lui, destandomi dai miei irrequieti pensieri.
Feci un cenno di assenso e incominciammo a camminare.
Vidi Matt, prima di uscire.
Come ci notò, mollò tutto per venire verso di noi, ma  - evidentemente - l'espressione sulla mia faccia lo fece restare di sasso.
Non sapevo se sentirmi uno schifo o esserne onorata.
Nel dubbio, tornai a guardare per terra.

Non mi accorsi nemmeno quando Thy si fermò.
Una valanga di pensieri mi aveva invaso la testa e ci avevo rimuginato così tanto che mi era venuto persino il mal di testa.
«Eccoci» disse semplicemente, incominciando ad inoltrarsi nel piccolo campo in cui mi aveva portato l'altra volta.
Quel giorno vi erano meno fiori, ma era fantastico lo stesso.
«Quindi. Di cosa volevi parlare?» chiesi, distraendomi dal paesaggio.
«Esattamente non so da dove iniziare, quindi... ti irrita se racconto un altro mito?» chiese con un mezzo sorriso di scuse.
«No» gli dissi semplicemente, sedendomi sul prato ad ascoltare.
«Bene» si sedette anche lui sull'erba e cominciò a parlare.
«Nell'era degli Dei dell'Olimpo, Ade era il solitario.
Su scelta di Zeus, era relegato negli Inferi, luogo da cui non poteva - e non amava - spostarsi.
Si spostò solo due volte: per prendere moglie e per esser guarito da una ferita.
Ma, nonostante l'eternità con le anime defunte possa sembrare una noia... mortale, Ade non era solo.
Negli Inferi vi erano altre divinità e fra queste, due che lo interessarono particolarmente.
Quella di cui voglio parlarti era sicura di sé fino alla derisione, perché trascinata dalla gelosia e dall'invidia.
Negli Inferi, vi era un fiume, l'Acheronte, che aveva un affluente chiamato Cocito.
Cocito, fra le tante, aveva una bella figlia: prosperosa e chiara di pelle, con lunghi e lisci capelli color rame pregiato che portava il nome di Myntha.
Ella era una Naiade, una Potameide per meglio dire, la cui bellezza non aveva rivali negli Inferi.
E Ade se ne innamorò perdutamente.
Purtroppo, però, Ade voleva prendere moglie e scelse Persefone, scatenando la tristezza e l'invidia della ninfa.
Ella non si diede per vinta e rimase comunque una concubina di Ade.
Qui, in un moto d'invidia verso Persefone la sposa, Myntha non faceva che vantarsi della propria bravura nelle arti erotiche verso Ade, finché un giorno, Persefone, stanca ed annoiata da queste "umiliazioni", non la prese e la fece a pezzi.
Ade, mosso da compassione per un gesto così deciso e brutale della sposa, decise di concedere a Myntha di diventare una profumata erba in ricordo del loro profumato amore, ma qualcuno era contrario.
Prima di diventare la concubina "ufficiale" di Ade e anche mentre quest'ultimo prendeva sposa, Myntha aveva più volte ricevuto richieste di unione da Zeus che ella aveva prontamente e freddamente rifiutato.
Quindi, Myntha, ora pianta, si vide addosso la punizione di Zeus per il suo orgoglio ferito e la rese una pianta fredda, in quanto freddi erano stati i rifiuti di Myntha.
Ma la sua sfortuna non terminò qui.
L'aver provocato Persefone, aveva avuto conseguenze molto più gravi di quante pensasse: anche Demetra, appreso ciò che aveva fatto, le diede la sua punizione: per aver criticato le doti amorose della figlia Persefone, Demetra la condannò a pianta sterile.
La povera e bellissima ninfa Myntha si ritrovava così ad essere una pianta, fredda e sterile: la Menta»
Appena concluse il racconto, attimi di silenzio ci divisero per un lungo periodo.
«Devo... dedurre qualcosa da questo mito o mi devi dire dell'altro?» chiesi, forse un po' freddamente, ma tentando di mantenere un tono della voce abbastanza neutrale.
«Demetra potrebbe punirti» disse lui, continuando a guardare davanti a sé.
«Cosa, scusa?»
«Demetra potrebbe punirti. Non essere come Myntha»
«Perché, sono... sono come Myntha?» chiesi confusa, dato che non capivo dove volesse arrivare.
«Sì. Stai diventando Myntha, Eris. Non farlo. Gli Dei non sono mai buoni con personaggi del genere»
«Ok, Thy, non ci sto capendo più niente. Che cosa vorrebbe dire?»
«Quello che ti ho appena detto»
«È...È un mito, Thy! Non è mai esistito! Solo perché la menta porta sensazioni fredde, è profumata e sterile, non significa che derivi da una ninfa!»
«Cielo, Eris! Non ti sto dicendo di essere come la menta! Ti sto dicendo di non essere come Myntha!»
«Ma cosa diavolo vuol dire?!» ero ormai al limite e il mio tono di voce non lo mascherava.
Ero stanca, stressata, volevo tornare a casa, non riuscivo a cavarmi dalla mente l'immagine di quella mattina e lui mi faceva fare pure dei giri di parole per esprimere pensieri complicati che avrebbe avuto problemi anche Einstein!
Thy si voltò e mi fissò intensamente, serio come non l'avevo mai visto.
«Ti sto dicendo di non perdere fiducia in te stessa e di non soccombere alla gelosia o l'invidia, Eris»
La sua voce aveva assunto un tono decisamente più dolce, come se avesse sempre saputo che le scene di quella mattina mi avrebbero fatto dare di matto.
«E questo cosa-»
«Myntha era gelosa ed invidiosa di Persefone perché era accanto ad Ade.
Ma non si era mai accorta che, comunque, Ade la teneva in un posto speciale nel suo amore»

Mentre io continuavo a non capire un tubo, Thy alzò una mano e delicatamente mi sfiorò la guancia.
«Non essere gelosa, Eris.
Sì, loro saranno esteriormente attraenti, degne di ogni corona d'argento, ma sarai sempre tu ad avere quella d'oro»
Si fermò un attimo, mentre io tentavo di raccapezzarmi fra la sua mano sulla guancia, i suoi occhi fissi nei miei e i pensieri che mi frullavano in testa.
Mi disse un'ultima frase e come d'incanto tutti i pensieri svanirono, tutto divenne bianco e la confusione che avevo si dissipò completamente.
Si alzò con grazia e mi salutò, dicendomi che aveva degli impegni importanti.
Io dal canto mio mi alzai e, come in tranche, mi diressi a casa.
«Heilà! Com'è andata oggi?» mi chiese un inaspettatamente più gioviale del solito Ael.
«Uhm» mugugnai, tirando dritto per camera mia.
«Hei... tutto... tutto bene?» mi chiese preoccupato.
«Umh»
«"Umh" che significa in gergo umano, scusa?»
«Umh»
«... "Umh"?»
«Umh»
«D'accordo, d'accordo! Ho capito la situazione. Ti faccio un cenno quando è ora di cena» disse, svanendo nel nulla.
«Umh» gli risposi, anche se ormai non c'era più nessuno.
Chiudendomi la porta della mia stanza alle spalle, mi buttai sul letto a pancia in su, mentre la testa si riaffollava col doppio di pensieri.
"
«Sii Persefone, Eris, sii Persefone e falle tutte a pezzi.
Sii la
mia Persefone e le faremo a pezzi insieme»"
«... Ma che situazione di merda...»

/*Citazioni e Riferimenti*/
Ecco la descrizione di alcuni nomi usati in questo capitolo che, forse, non tutti conoscono:
Naiadi: Ninfe (dee minori) che presiedevano le acque dolci della Terra. Avevano anche abilità profetiche e guaritrici. La Naiadi si dividono in: Potameidi, Pegee, Creniadi, Limniadi e Eleadi.
▨  Naiadi Potameidi:  ninfe dei fiumi
▨  
Naiadi Pegee: ninfe delle sorgenti
▨ 
Naiadi Creniadi: dette anche Crenee, erano le ninfe delle fontane
▨ 
Naiadi Limniadi: ninfe dei laghi
▨ Naiadi Eleadi: ninfe delle paludi

Il mito di Myntha qui descritto è l'unione di più miti le cui versioni (sintetizzate) sono le seguenti:
1. Myntha era la concubina di Ade, deridendo Persefone per le sue arti seduttore, ella la fece a pezzi, Ade la trasformò in una pianta profumata che prese il nome di menta
1.1 Variante del mito precedente vuole che, dopo essere divenuta pianta, Myntha venne trovata da Demetra ed ella, il lutto per la perdita della figlia, riconoscendo il tocco di Ade nelle suo essere, la rese sterile come punizione;
2. Concubina di Ade, Myntha aveva deriso Persefone per le sue arti seduttorie, così ella la pestò per farla tacere e trasformò Myntha nella menta;
3. Myntha aveva più volte rifiutato freddamente le avances di Zeus e, come ella diventò una pianta, per punizione la fece diventare fredda.

/*Angolo Autore*/
Eeeeeee, con immenso ritardo annuncio il capitolo 8, ma come si dice: "meglio tardi che mai"!
Godetevi la lettura e spero vi piacci
a!
                                                                        - Kurokage

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Capitolo 9
*** Tsunami ***


Capitolo 9 - Tsunami
9. Tsunami

«Tesoro, tutto bene?» chiese mia mamma con aria preoccupata.
«Domani, tre metri di neve!» disse sarcastico papà.
Per quanto riguardava me, ero annoiatamente seduta a tavola e giocavo a far fuggire un pisellino dalle grinfie della mia forchetta.
«Sì... sì... tutto ok» dissi svogliatamente.
«Tesoro, non è tutto ok. D'accordo? Cos'è successo?» chiese mamma con aria spazientita, portandosi le mani ai fianchi.
«Ma nulla, davvero...»
«Io e te dobbiamo parlare» e questa, più che un'amorevole preoccupazione materna, era una bella e buona minaccia.
«Guarda che-» il suo sguardo mi fece fermare a metà della frase.
Sospirai.
"Accidenti a te!" pensai, rivolta a tutto in generale ma a Thy nello specifico.
In fondo, era colpa sua questa assurda situazione.
Ecco. Pensare a lui mi aveva fatto passare la fame.
«Mi dispiace, oggi non ho molta fame...» dissi alzandomi.
«Questo non rimanderà la chiacchierata» finì mia madre tagliando accuratamente un boccone di bistecca.
"Dannato....!"
Sospirai di nuovo.
Ora che ci riflettevo, non avevo mai sospirato tanto in una sola giornata come oggi.
Doveva essere seriamente un caso grave.
E poi-
«AHIA!»
Guardai il piede
«Ma per la miseria di Giove!»
«Eris, che è successo?» disse la voce preoccupata di mia madre dalla cucina.
«Nulla. Ho solo... inciampato sullo scalino...»
Mentre tentavo di placare mentalmente il dolore, un silenzio innaturale calò sulla casa.
«... ... ... Sì. Dobbiamo parlare, Eris»
Per la sesta volta, sospirai.

Mi buttai sul letto: non avevo nemmeno la forza di leggere un libro.
Il che era sia un male che un bene: potevo tranquillamente rilassarmi, ma la mia mente non si sarebbe concentrata su nient'altro che quello, ed era un grosso problema.
Aspetta, avevo detto sia una male che un bene?
Risi.
«Ma quale bene?!»
«Quindi... ho il piacere di notare che ti è tornata la parola. Stavo incominciando a preoccuparmi»
«Molto. Spiritoso» dissi piatta e priva di sarcasmo.
«Che è successo? Sembra che tu abbia visto un fantasma e sia scioccata per lui è corso via spaventato da te»
«Quest'iniezione di sarcasmo mi sta facendo diventare diabetica, Ael»
«D'accordo, d'accordo, la smetto. Tu mi dici che è successo?» chiese lui con voce più seria e sincera.
«... Cose da ragazze» dissi semplicemente.
Non mi andava di raccontare le mie peripezie ad Ael.
No, ad uomo e basta.
Avevo dell'orgoglio anch'io, e lui non era mica la mia fata madrina!
"... Beh, per la verità sarebbe fato madrino..." pensai, tentando di trattenere una risata.
«Che c'è ora?»
«Oh, nulla... nulla... stavo solo-»
«SHH! Sta arrivando tua madre» disse mentre spariva.
Sbuffai di nuovo e la porta si aprì.
«Tesoro, oggi è il giorno in cui hai sbuffato di più. Dobbiamo segnarlo sul calendario» disse con un sorriso.
Si chiuse la porta alle spalle e si mise a sedere sul letto, di fianco a me.
«Quindi... cos'è successo? Sii sincera, che tanto lo scopro se menti» disse mamma fissandomi negli occhi.
«Ma non è successo nulla!» le rispose, tentando di evadere il suo sguardo.
Lei mi prese il mento con una mano.
«Ah-Ah. Non dire bugie. Non ti ho mai visto in questo stato, ma ci sono passata anch'io e lo riconosco. Se non vuoi parlare tu, andrò io dritta al punto»
Sospirai.
«Mamma, non è nulla, davvero. Ho solo... questa è stata una giornata "no", ecco»
lei continuò a fissarmi per un paio di minuti.
«Chi è?» chiese infine.
«Cosa?»
«Chi è?»
«"Chi è" chi?»
«Eris, non girarci intorno, perché penso proprio di sapere chi sia»
Oh-oh.
«D'accordo, d'accordo» le dissi arrendendomi «è... è Thy»
«Thy? Il ragazzo nuovo di cui ci hai parlato?» chiese lei con curiosità, non riuscendo totalmente a mascherare che, però, sapeva già la risposta.
«Non fare la finta tonta, mamma. Sì, è lui»
Un piccolo sorriso le si aprì sulle labbra.
«E?»
«E... e niente. Non capisco cosa gli passi per la testa»
«È un ragazzo, cara, nemmeno io so cosa passa per la testa di tuo padre» disse con una risatina.
«No, mamma... è... è diverso. Non capisco veramente cosa gli passi per la testa»
Le mi strinse in un abbraccio «Su, parti. Vedrai che ti sentirai meglio»
Stanca, sospirai per quella che speravo essere l'ultima volta in tutta la giornata, e incominciai a raccontarle tutto quello che era successo.
Ebbi il buon senso di evitare ombre e voci nella testa, ma per il resto le raccontai tutto.


"«Pensa a questo, tesoro: chi è la prima persona che ti viene in mente, se ti dico "ragazzo"? Non c'è bisogno che tu mi risponda. La risposta serve a te, non me»"
E arrivederci ai sorci verdi, dannazione!
Mia mamma non mi aveva di certo semplificato l'esistenza.
Osservai la sveglia, e mi resi conto che erano già passate due ore da quando avevamo parlato.
"Ragazzo..." pensai "Ragazzo... chi mi viene in mente se penso alla parola ragaz-oh no"
Ed eccolo lì.
Con il suo sorriso gentile, ed i capelli mori.
Con la sua voce dolce e gli occhi di smeraldo.
«Noooo...» mi lamentai.
Non volevo vedere lui.
Lui era l'unica persona che avrei fatto molto volentieri a meno di vedere.
"Sii la mia Persefone e le faremo a pezzi insieme"
Oh!, dannazione a me, te, Ade, Persefone e me di nuovo!
Perché mi doveva tornare in mente quella stupida frase?!
"Però devi ammettere che come frase di conquista è originale..." elaborò un piccolo angolino di me.
«Oh, ma taci!» gli risposi.
«Guarda che io non ho detto niente, eh...» disse Ael sbucato fuori dal nulla.
Lo guardai in cagnesco.
«Che... che c'è? Che ho fatto ora? Non mi sono fatto vedere, non ho mangiato biscotti, ho fatto il mio lavoro e tu non hai diritto di guardarmi così» sbottò lui.
«Tu... mangi biscotti?» gli chiesi confusa.
Un versetto proveniente da quell'ombra mi disse che si era appena tagliato le gambe da solo.
«Mi avevi detto che non mangiavi»
«Uhg.... Oh, d'accordo. Sì, è vero, non mangio, ma i biscotti sono troppo buoni» si arrese lui.
«Ma se hai appena detto che non mangi?!»
«Sì, sì, d'accordo. Non è vero che non mangio. Io non non ho bisogno di mangiare. Ma questo non mi impedisce di mangiare»
«Quindi... puoi mangiare?»
Lui annuì.
«E... ti piacciono i biscotti»
Annuì di nuovo.
«E... quali biscotti?»
«Pasta frolla con gocce di cioccolato che si sciolgo in bocca...» mi rispose con voce sognante.
Sospirai, e lui con me.
Solo che c'era un abisso di differenza: lui sospirava per i biscotti, io per il nervosismo che bussava alla porta.
«Hei, che hai? Ah, no, aspetta, mettiamo in chiaro: niente mugugni, chiaro?»
Risi
«Sì, sì»
Presi un profondo sospiro.
«Avevi ragione tu»
«Eh?»
«Avevi ragione tu. "Perché la storia si ripete", no?»
Lui rimase in silenzio per un paio di secondi.
«Quindi... ti sei presa una cotta per questo Thy?» disse serio.
«A quanto pare, sì»
«A q-a quanto pare?! Ma che risposta è? O è sì o è no!»
«È un "a quanto pare". Io non ci capisco niente e no so nemmeno se mi piace, ma la conversazione che ho avuto con mamma mi ha fatto ragionare, ecco tutto»
«Quindi... ti piace a livello inconscio ma non a livello mentale?»
Ci pensai un su per un paio di minuti.
«Credo... credo sia così»
«... Certo che sei un caso come pochi...»
«Scusa tanto, eh!» dissi, guardandolo con due fessure al posto degli occhi.
Sbuffai.
«È tutto così... così... così complicato! Ma le cose non potevano essere un po' più semplici?»
«Guarda che sei tu che rendi le cose complicate» mi disse Ael con tono da "capitan ovvio".
Mi presi la testa fra le mani.
«Non so cosa fare...»
«Provaci»
«Cosa?»
«Provaci. Confessati. Digli che provi qualcosa per lui, spiegagli i tuoi sentimenti. Se è giusto per te, ti capirà»
«COSA?!»
Mi tappai la bocca con una mano.
Maledizione! Mi dimenticavo sempre che per gli altri stavo parlando da sola.
«Domani posso provare a venire con te a scuola, e darti-» «No, grazie» lo interruppi bruscamente.
«Eris, se non ci provi hai perso in partenza. Cosa ti costa?»
«Una gigantesca figura di cacca, ecco cosa mi costa»
«Mia cara, fidati di me che non è la prima volta che vedo le cose. Se ci tiene a te dirà di sì. Se non ci tiene ti rifiuterà e tutto tornerà normale»
Alla sua affermazione dovetti trattenere una risata isterica.
«Normale, eh? Ma sai cosa vuol dire, almeno?»
«Sì che lo so, Eris. Non sei la prima che lo fa e non sarai nemmeno l'ultima. All'inizio ci sarà dell'imbarazzo, ma poi tutto tornerà normale, fidati»
«Umh...» mugugnai.
«Ah no eh! Non di nuovo!» disse lui esasperato.
«E come... come dovrei fare a dirglielo...?»
«Sii semplice e diretta. Parlagli. So che venite a casa insieme, chiediglielo lungo la strada»
«Tu. Mi. Vuoi. Morta»
«Eris...» disse in tono accusatorio.
«D'accordo, d'accordo. Vedrò quello che posso fare»
Tornai a distendermi sul letto, buttandomi non poi così dolcemente, e fissai il soffitto.


La mattina dopo, mi accorsi di essermi addormentata giusto perché mi svegliai.
Ma era solo una cosa apparente, dato che il mio cervello non mi aveva dato tregua.
Calciai le coperte e mi alzai in piedi.
Guardai la sveglia e constatai con noncuranza che quella mattina mi ero svegliata con trenta minuti di anticipo.
Mi diressi in bagno, mi sistemai, e poi mi piazzai davanti la cabina armadio.
Con le ante spalancate, non mi resi conto di quello che stavo facendo, finché Ael non compare e sentenziò una delle sue frasi-giudizio.
«Trovo che se mettessi quel vestito grigio con dei leggins sotto, Thy farebbe più fatica a dirti di no»
«Quindi, mi stai dicendo che se mi mettessi quello sarei... carina?» gli chiesi, indicando col pollice un vestitino invernale grigio, semplice semplice con lo scollo a barca, lungo fino alle ginocchia.
«Non ho detto carina. Ho detto solo che farebbe più fatica a rifiutarti»
«Ah» gli risposi alquanto confusa «E dovrei prenderlo come..» «Un complimento, mi sembra ovvio» aggiunse lui con la voce da "capitan ovvio".
«Ah»
Seguii in suo consiglio: infondo era una giornata ventosa, e l'inverno si stava avvicinando.
Non ci fu nemmeno bisogno che mi chiamasse mia madre per la colazione: ero magicamente apparsa prima ancora che lei arrivasse.
Come mi vide, mi lanciò un'occhiata d'approvazione e poi mi fece un sorriso.
Passandomi accanto mi sussurrò 
«Se ti dice di no, giuro che diventa una razza estinta»
Risi di quell'affermazione e lei con me.
Passato il tempo a mia disposizione, quando chiusi la porta di casa alle spalle mi crollò il mondo addosso.
Non mi sentivo minimamente pronta per una cosa del genere.
Sì, avevo avuto delle mezze cotte, ma mai mi ero presa il coraggio di andarlo a spiattellare in faccia al povero disgraziato.
"Questa volta, fa le cose diverse, Eris. Ne va della tua sanità mentale. Della sanità mentale di tutti e due"
Mi incamminai, infilando le cuffiette nelle orecchie e ascoltando un po' di musica, tanto per distrar- no, tanto per fuggire da quel dannato e fatidico momento che, sapevo, mi stava aspettando.
Arrivai a scuola e mi venne uno scombussolo di budella mica indifferente.
"Diamine, ora vomito..."
"No, Eris, no. Finisci la faccenda e poi vedrai che tutto si sistema"
"Mah, secondo me avevo anche qualche linea di febbre, stamattina. Forse è meglio..."
"ERIS!"
Sospirai disperata, mentre varcavo l'ingresso della scuola.
«Buon giorno, Eris! Come va?» mi chiese solare Mary.
«Mah...» le dissi con aria interrogativa «... non lo so nemmeno io»
Lei mi guardò a metà fra il preoccupato e il confuso, ma non fece ulteriori domande e andammo verso l'aula.
In tutta onestà, posso dire che quella giornata passò calma e tranquilla.
Le lezioni erano normalmente monotone, e a pranzo le solite coppiette si sbaciucchiavano.
Ah, avevo preso la solita pizza ai funghi.
Nonostante il mio odio anomalo per la monotonia, quel giorno ero più che contenta che tutto fosse grigio.
Alla fine della giornata scolastica, davanti gli armadietti, decisi di fare un tutto per tutto.
Vidi Thy che usciva dalla sua classe e si dirigeva al suo armadietto, così lo raggiunsi.
«Hei...» inizia la conversazione col tono più casuale possibile.
«Heilà! Come va Eris?» mi rispose lui calmo come il mare e raggiante come il sole.
Guardarlo mi scatenava una reazione allergica che facevo fatica ad ignorare: non tanto per quello che era successo, ma proprio perché lui era calmo e pacifico ed io, in confronto, ero un tsunami col grado più alto della scala che qualcuno avesse mai visto.
«Bene...»
"Sorridi, Eris, su, forza, SORRIDI!"
«Emh.. sei.. sei impegnato, per caso, ora?»
«Perché?» 
Il suo sorriso mi stava scatenando intensi istinti omicidi.
«Ecco, volevo.. volevo solo chiederti se ti andava di venire a casa con me»
"Ok, Ok, bomba sganciata. Ripeto: BOMBA SGANCIATA!"
«Umh...» fece lui con espressione seria «Aspetta solo un attimo» aggiunse.
Si voltò con noncuranza e dannata eleganza, per poi dirigersi verso Phy, Sherley e gruppetto vario.
Vidi che parlottò un po', poi si arrabbiò, si rattristò, fece valere le sue ragioni, suo fratello sospirò, Sherley fece una faccia disgustata, Thy parlò ancora un po' e poi suo fratello annuì con la testa, sconfitto.
Thy tornò da me raggiante più del sole.
«Vogliamo andare?»
«S-Sì...»

Lungo la strada di casa, rimanemmo in un silenzio tombale.
Solo il rumore dei passi mi diceva che avevo qualcuno al mio fianco.
«Thy, ti va se... ci fermiamo al prato/boschetto?» gli chiesi con un mezzo sorriso.
«Ma certo! Vuoi che ti racconti un altro mito?»
Io gli risposi con una risatina imbarazzata.
"Un altro mito... già... la storia della mia morte non mi dispiacerebbe..."
«Eccoci qui!» mi disse, sedendosi per terra.
«Si sta bene, oggi, non trovi?» chiese chiudendo gli occhi, con la faccia al sole.
«Per me... c'è un po' troppo vento...»
«Già, vero» mi rispose lui contento.
«Sai» mi disse lui «in ogni caso, questo bel tempo mi ha fatto venire in mente una cosa»
Si voltò a guardarmi, sorridendomi.
«Posso raccontarti del mito di-» «No» lo troncai subito.
Lui mi osservò stranito per un attimo.
«C'è qualcosa che non va, Eris?»
Io tacqui, tentanto di prendere il coraggio a due mani.
«Ho... Ho fatto qualcosa che non va? Ti ho offesa in qualche modo? Io... mi dis-»
«Mi piaci»
Veloce, diretta e concisa.
Non mi azzardai nemmeno ad alzare lo sguardo.
Non mossi gli occhi nemmeno quando sentii che si muoveva.
Presi un silenzioso respiro e tutto fu finalmente più chiaro.
«Tu... mi piaci, Thy»


/*Angolo Autore*/
Ritardo a parte...  FINALMENTE! NON NE POTEVO PIU'.
No, ok, era un sacco di tempo che progettavo l'attesa confessione e, da brava persona, vi farò trovare la reazione di Thy nel prossimo capitolo.
Susu, non odiatemi, si chiama
suspense!
Ad ogni modo, spero che questo capitolo sia piaciuto :D
Arrivederci fino al porsossimo... con l'attesa verità! xD

                                                                        - Kurokage

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Capitolo 10
*** Brividi ***


Capitolo 10 - Titolo
10. Brividi

Era faticoso, vivere sulle proprie gambe.
Personalmente, non mi ero mai lamentata della mia vita precedente.
Quindi, potevo lamentarmi di quella attuale, no?
«... in onore del suo matrimonio!»
«Sicuro?»
«Assolutamente! Persino gli Dei dovrebbero partecipare!»
"Oh... ma davvero?"
 pensai satirica, dopo aver casualmente origliato la conversazione di alcuni uomini.
Erano passati giorni - settimane -  da quando avevo voltato le spalle a tutto e avevo ricominciato.
Ed era seriamente faticoso, vivere come un'umano.
In questi giorni, quegli effimeri esseri con cui ero costretta a vivere, si dimostravano interessanti, ed alcuni di loro... sì, avevano catturato il mio rispetto.
Diciamo che l'unico grosso cambiamento, era stata la modifica della mia visuale di vita dei mortali, ma per il resto non cambiava assolutamente nulla.
«BIRRA, DONNA!» sentii urlare da qualcuno.
"Oh, certo... ma non arriverai a domani sulle tue gambe, UOMO!" pensai, mentre versavo al cliente rozzo, sporco e puzzolente dell'altra... birra.
Il proprietario mi fece un cenno: potevo finalmente tornare al mio amato giaciglio.
In realtà, però, mentre cambiavo un drappo, sporcatosi con quella cosa gialla liquida, birra, incominciai a sentire degli oggetti cadere, susseguiti da rumori di cocci e legno rotto.
"Io lo avevo detto... non arriverai a domani sulle tue gambe, uomo" pensai con un sorriso sulle labbra, che si liberò in una possente, gustosa e malevola risata appena uscii da quelle quattro mura poco resisenti.


Scoppiai a ridere.
«Stavo... Stavo scherzando, dai, non ci pensare così a lungo...» dissi a Thy, che era rimasto a fissarmi in silenzio e serio per dieci minuti buoni.
Anche dopo questo mio commento rimase silenzioso e continuò a fissarmi serio.
«Phy» disse infine.
«C-Cosa?»
«Phy» ripetè ancora più serio e con un'intonazione che non prometteva bene.
«Cosa... c'entra... tuo fratello?»
«È lui, vero? È lui che ti piace» disse convinto.
Tentai di rispondere, ma lui continuò voltando la testa da un'altra parte.
«Lo so. Lui è il gemello buono, lui è il gemello simpatico, lui è il gemello gentile, lui è il gemello preferito! A chi mai piacerei io?!»
«Thy-»
«NO! Sai cosa? Hai ragione. In fondo, Phy ha sempre avuto una cotta per te. Da sempre. Prima faceva il gentile con me, quindi ti ha lasciata al povero gemello sfortunello, però ora che può tranquillamente averti ti prenderà!»
«Thy-!» 
«NO! Fammi finire! Phy le ha sempre tutte vinte, e tu eri l'unica cosa che avevo. Ora che ha anche te, ti userà e poi lascerà a me il compito di raccogliere cocci. Ma sai cosa ti dico? NO! Non lo farò! Perchè se io raccoglierò i tuoi cocci, nessuno raccoglierà i miei
Prese un respiro pesante e, benchè tentasse di nascondere il viso, la voce rotta la nascondeva difficilmente.
«Io... Io ti amo, Eris. Ti ho sempre amato, ti amo, e ti amerò sempre. Non c'è cosa al mondo, non c'è forza al mondo, che potrà impedirmi di amarti.
Ma se è Phy, la persona che occupa maggiormente il tuo cuore, allora non ha importanza. Fa ciò che senti giusto. Io... avrò altre occasioni.
Nulla mi può impedire di amarti. Nulla che non sia tu»
«Thy... io...»
«Va' da Phy, Eris. Come ti verdà arrivare Sherley non sarà nient'altro che una delle tante. Non puoi nemmeno immaginare quale... ambito premio tu sia per lui»
«Io non ho mai detto che mi piace Phy. Non l'ho detto e non me lo sentirai dire»
Thy smise di respirare.
«Tuo fratello mi sta antipatico»
Si voltò sorpreso, un colpo che non si aspettava.
«È vero, ho parlato molto poco con Phy per poter dire che mi sta antipatico. Ma il mio "sesto senso" non sbaglia»
Distolse lo sguardo, le parole amare.
«Ma questo non significa che-»
«Significa che mi piaci. Significa che voglio uscire con te. Significa che voglio ascoltare la tua voce fin quando ti verrà la nausea. Significa che voglio fissare i tuoi occhi fin quando ti verrà da piangere»
Lui mi guardò stranito.
«Hai... Hai appena detto che scherzavi...»

«E tu sei stato zitto a fissarmi per venti minuti, Thy! Cosa dovevo fare?! Mettermi a ballare la macarena fino a quando non ti veniva in mente di parlare?!»  dissi esasperata.
«Ma...»
«MA! L'ho detto con nervosismo! Oh Giove!»
«Quindi... io... ti-ti piaccio davvero?»
Lo fissai intensamente, quegli occhi verdi colmi di malcelata speranza.
«Io-»
«Se fossi in te, starei molto attenta a ciò che dici...» disse una voce sibilante.
Mi voltai di scatto verso gli alberelli per notare qualcosa in mezzo a loro.
Gli occhi colsero un guizzo  fra le fronde degli alberelli e il mio corpo si irrigidì.
Al mio fianco, Thy si era irrigidito come me.
«Non sei la benvenuta, qui» disse.
Una folata di vento e l'ombra nera prese forma davanti ai nostri occhi.
Rimasi interdetta per un paio di secondi, quando realizzai che Thy conosceva quell'ombra.
«Tu... tu la vedi?» gli chiesi scettica, allarmata, impaurita e altre trentamila emozioni.
Lui mi guardò preoccupato, ma non mi rispose.
I suoi occhi lo fecero: 'perdonami'.
«Ma davvero?» disse l'ombra, divertita e tagliente.
«Sì. Ora vattene»
«Ma io non stavo parlando con te, Ta... Thy»
Thy strinse i denti.
«Ragazzina!» disse, reclamando la mia attenzione «Allora? Cosa rispondi a questo povero ragazzo innamorato?»
«Tu...» incominciai, ma l'ombra mi bloccò.
«Te lo avevo detto. Al museo»
«Già. Quando "avrei avuto" bisogno di te. Ora non mi sembra di avere bisogno di te»
«No, cara, hai ragione. Ma io devo pur trovare qualcosa con cui divertirmi, no?» disse ridendo, mentre con un'altra folata di vento l'ombra spariva.
Thy si voltò nella mia direzione.
«Eris...»
«TU mi devi delle spiegazioni»
«Non ho nulla da spiegarti, Eris...»
«Nulla? E tu chiami "nulla" il fatto che parli con un'ombra che pensavo di vedere solo io?»
Fece una faccia sorpresa.
«... Anche tu?»
«"Anche io" cosa? Thy, ti prego, non parlare a indovinelli»
«Io... è da un po' che vedo quell'ombra, è per questo che la conosco...» mi disse timido.
«E... non sai chi sia, o come si chiami?»
«No» mi rispose imbarazzato.
«Fantastico»
Beh, di positivo c'era che avevo qualcuno che provava la mia sanità mentale e con cui, forse, avrei potuto parlare di Ael senza sembrare una psicopatica sotto stretto dosaggio di tranquillanti.
Sospirai pesantemente.
«Mi dispiace» disse lui di punt'in bianco.
«E di cosa?»
«Mi dispiace per quello che ti ho detto prima. Tu... tu mi piaci Eris. Mi piaci davvero» disse completamente rosso, con gli occhi bassi.
«E... non pensi che io sia un essere pazzo perchè vedo fantasmi?»
 Lui mi guardò negli occhi e, lentamente, mi sfiorò una guancia con la punta delle dita.
"Dio... che brividi..."
«Allora siamo pazzi in due» mi disse sorridendo.
E poi si avvicinò.
Lentamente.
Con calma.
Il tempo che fuggiva e a noi non importava.
I minuti che correvano, e noi non ce ne rendevamo conto.
Con calma.
Lentamente.
Si avvicinò.
E mi biaciò dolcemente.



/*Angolo Autore*/
Sì, lo so, lo so.
Il capitolo è corto.
Purtroppo ho avuto un sacco di cose da fare che non mi hanno permesso di dilungarmi più di tanto.
Con fortuna, però, posso tentare di promettervi che il prssimo capitolo tornerà lungo come gli altri.
Nel frattempo, enjoy!
Ah, come vi è sembrata la "dichiarazione" di Thy?
Voglio commenti succulenti xD

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Capitolo 11
*** Ali ***


Capitolo 11 - Ali
11. Ali

Non ricordo esattamente cosa successe dopo.
Ricordo solo che me ne ero tornata a casa, avevo chiuso la porta della mia stanza ed ora mi trovavo, sveglia, sdraiata sul letto, in uno stato catatonico da far paura ad uno in coma.
Cioè, che cosa diamine era successo?
Voglio dire, mi ero confessata a Thy, lui aveva fatto una scenata, poi-
Aspetta. La scenata.
Thy aveva fatto una scenta che includeva il fratello.
Lo aveva praticamente descritto come un donnaiolo, e a ripensarci mi sembrava tutto immensamente più chiaro.
Però Phy non ci aveva mai provato con me.
Giusto... quanto, due frasi?
«...s'hai?» disse qualcuno al mio fianco.
Voltandomi, ci misi due minuti a capire che davanti avevo mia madre con un mestolo in mano, le mani sui fianchi e lo sguardo preoccupato.
«Eh?» dissi stranita.
«Si può sapere che cos'hai, Eris? Ti ho chiamata più volte e non hai risposto, sei tornata a casa e ti sei fiondata in camera senza degnare nessuno di uno sguardo... hey, che succede?» mi chiese, sedendo al mio fianco.
«È... È complicato»
«A meno che tu non sia incinta, mia cara, non penso ci sia nulla in cui la mamma non possa aiutarti»
La guardai male.
«No, non è quello, per la miseria!»
Vidi mamma che, impercettibilmente, faceva un sospiro di sollievo.
«Quindi, cos'ha la mia piccola Eris?»
«Nulla, è solo che... sono sucesse troppe cose, ecco»
«Allora, perchè non parti a raccontarmele dalla prima, cara?» mi disse con un sorriso dolce.
Ah, la mamma!
«Beh... ecco...» incominciai, raccontandole di tutta la giornata ed osservando le sue espressioni.
Le raccontai del mio malumore mattiniero, della mia confessione, di quello che Thy aveva detto e del bacio.
Evitai accuratamente la parte in cui scoprivo di non essere l'unica malata mentale.
«Visto?» mi disse lei con un sorriso raggiante «Sapevo non ti avrebbe detto di no! Ora scusami, ma si brucia la cena!» aggiunse, correndo via come il vento.
Parlare con mamma mi aveva clamata, ed ora vedevo tutto un po' più chiaramente.
«Io te lo avevo detto che con quel vestito avrebbe fatto molta fatica a dirti di no...» disse una voce alle mie spalle.
Chinai la testa; ormai ero abituata alle improvvise comparse di Ael.
«Ael,» dissi dopo un paio di minuti «le persone... possono toccarti?»
«Non lo so, perch-»
In realtà non attesi nemmeno la sua risposta. Come gli feci la domanda, volai ad abbracciarlo.
E fu... meraviglioso.
Nonostante potessi sentire solo la sua dolce voce metallica, mi resi conto che quell'ombra emanava calore, che sotto quel nero... c'era davvero qualcuno.
E potevo immaginare anche che fosse un gran bel qualcuno.
Mi scostai quasi subito con la testa bassa sussurrando uno "scusa", mentre potevo sentire lo sconcerto di Ael invadere la stanza.
«Nu... Nu... Nulla...» disse dopo cinque buoni minuti.
«... Vado a mangiare» gli dissi ancora piena d'imabrazzo, quando mamma urlò un "è pronto!!".
«Sì» disse lui in un soffio.


La cena passò calma e tranquilla, e mamma non accennò minimamente a quello che mi era successo.
Ci sarebbe mancato solo quello, papà avrebbe dato di matto!
Ridemmo, scherzammo e per quel poco di tempo dimenticai Thy, le sue scenate e i miei sentimenti.
Fù quando tornai in camera per cambiarmi e ottenere un meritato riposo che i pensieri tornarono ad attanagliarmi.
Non riuscivo a capacitarmi di come un insieme di parole potesse tanto scombussolarmi la mente.
Di come una persona potesse scombussolarmi la mente.
Nel caldo pigiama, decisi di prende in mano un libro e liberarmi la mente leggendo.
Gira e rigira presi l'Amleto.
Avrei giurato che se il caso fosse stato una persona, gli avrei cambiato i connotati.
«"Essere o non essere", lo dici a tua cugina!» sbraitai, lanciando il libro contro la parete.
Seriamente, che cosa mi stava succedendo?
Spensi la luce, e decisi che era ora di dormire.
Sì, lasciarmi alle spalle tutto e sognare di fare una bella nuotata da qualche parte in mezzo ai pesci volanti e gli unicorni rosa.
Tanto nei sogni potevo, no?
Chiusi gli occhi e ci misi un po' per addormentarmi.

«Bonne soire, ma chérie»
«Ma cos-»
«No no no, chérie. Shhh. Silence, mon amour»
«Mon...?! Ma che diamin-»
Una mano mi coprì la bocca e in quel momento fui davvero terrorizzata.
Poco dopo, sentii una presenza dietro di me -possiamo dire che mi era appiccicata- ed alzai la testa per tentare di capire chi fosse.
Una visione sfocata, ma poi due profondi occhi ametista mi fissarono sorridenti.
«Shhh... disturberai se parli» disse al mio orecchio.
«Guarda, proprio davanti a te»
Come disse queste parole, il nero che mi avvolgeva si dipinse di un magnifico tramonto e sarei rimasta incantata dal rumore delle onde del mare, se qualcosa non avesse catturato la mia attenzione in mezzo alla sabbia.
Qualcosa di molto veloce si stava fiondando in mare.
«Ma... gli scarafaggi non nuotano...»
La risata cristallina di Shin invase l'aria con un suono soave.
«Oh, ma chérie! Ma non sono scarafaggi! Tortues! Piccole tartarughe appena nate. È un evento raro a cui assistere, sai?»
Ero così rapita da quella visione che avevo già dimenticato le parole di Shin.
Vedevo quei piccoli cosini scuri che il più velocemente possibile tentavano di raggiungere l'oceano.
«È una cosa crudele, però...» aggiunsi triste in tono basso.
«Perchè?»
«Perchè ora, fin da subito, se la devono cavare da soli. Insomma, i loro genitori fanno seriamente figli solo per avere discendenza»
«Umh...» disse lui pensieroso «Hai ragione. Ma questo insegna loro a vivere»
«Non sanno cos'è l'affetto!»
«Non sei una tartaruga, non puoi dirlo» mi sorrise lui.
Vabbeh, uno a zero per lui.
Le piccole tartarughe ci misero giusto un paio di minuti ad arrivare all'acqua, e tutto finì così come era iniziato.
Mi avvicinai alla spiaggia e mi sedetti.
Questa volta, avevo vestiti più comodi e moderni: una maglia e un paio di jeans.
«Ti piace il tramonto?»
disse la voce di Shin che si avvicinava.
«Umh» dissi «Sì e no. Non sono una romanticona maniacale, ma non si può negare che il tramonto sia bello»
«Hai ragione» disse, e rimanemmo a fissarlo per un po', in silenzio, col rumore del mare che cullava il nostro udito.
«Ti... ti farà felice, vedrai» disse Shin dopo una buona oretta di silenzio.
«Cosa?»
«Tenterà di farti felice. Dagli del tempo. Non è sempre stato così facile. Non lo è mai stato, in realtà»
«Di cosa stai parlando, Shin?» gli chiesi con tono perplesso.
Lui mise una mano sulla mia testa.
«Lo capirai. Solo, dagli tempo ed abbi pazienza» disse con un sorriso nostalgico.

Aprii gli occhi e scoprii di essere in ritardo.
«Oh. Porca. Salvietta» ogni volta tentavo di trovare insulti inoffensivi.
Insomma, dovevo pur sfogare il mio lato ribelle, ed ero scesa a patti nel farlo senza offendere nessuno.
O quasi. Stamattina avevo appena offeso una salvietta.
«Eris! Tesoro, è tardi! » urlò mia madre dal fondo delle scale.
«Io vado, fai in fretta!»
Diamine, era davvero tardi.
Mi lavai, mi vestii, presi il primo elastico disponibile e mi feci una coda: al diavolo i capelli, non avevo tempo!
In fretta e furia, presi lo zaino e mi diressi a scuola.
Ormai non facevo più caso al fatidico incrocio da cui tutto era partito, anzi, tiravo dritto.
Nella fretta, realizzai che non avevo più visto Ael da quando lo avevo abbracciato.
Che fosse stato così sconvolgente?
Insomma, era stato un semplice abbraccio...
Che fosse...  Magari  Ael non era propenso per gli abbracci?
O forse non lo avevano mai abbracciato.
Un giorno, forse, glielo avrei chiesto, ma al momento ero un po' troppo in ritardo per curarmene.
Arrivai a scuola che la campanella era già suonata, ed entrai per un pelo.
Alla velocità della luce - più veloce persino di quei due che volavano - mi sedetti e tirai fuori le mie cose.
Che lunga giornata mi aspettava.

A pranzo, Mary mi continuò a parlare senza sosta, ma io non vi feci molto caso.
«Che cos'abbiamo, ora?» le chiesi distratta.
«Non mi stavi ascoltando, vero?» mi disse lei mettendo il broncio.
«Io... scusa, sono solo molto sovrapensiero, ultimamente. Sono successe cose...»
«Eh, lo vedo!» mi disse lei  «Thy non ti cava gli occhi di dosso, sembra ci sia solo tu, per lui» disse leggermente irritata.
«Sono successe... cose...»
Mary mi prese e mi girò verso di lei, poi mi guardò dritta negli occhi.
«Bagno. Ora» mi disse, prendendomi per un braccio e trascinandomi come un sacco di patate.
«Ok. Che cos'è successo fra te e Thy?»
«Mary, davvero, no-»
«Cosa. È. Successo. Sai che posso estorcerti le informazioni con i miei metodi» tentò di minacciarmi con voce poco convincente.
«Mary, davvero, non è successo nulla»
Mi fissò per un paio di minuti.
«Per questa volta passa, ma sappi che non me la bevo»
Continuammo a guardarci per un po', poi sbuffai.
«Ok, d'accordo. Io e Thy ci piacciamo»
«RAGAZZI QUESTO È-lo avevo immaginato» disse, in un repentino cambio d'idea.
Io la fissai.
«Sì, beh, insomma, vi guardate come se foste due pesci lessi. Che si piacciono, certo, ma sempre due pesci lessi» aggiunse.
Questa frase mi fece ridere, e questo mi allentò un po' la tensione che avevo addosso dalla mattina.
«Vedi, è... una cosa strana. Insomma, non so come dscriverla...» le dissi, e le raccontai tutto.
Le raccontai delle sensazioni che provavo vicino a Thy, dei miei sentimenti, del fatto che sentivo come se mi conoscesse da molto più tempo di quanto dasse a vedere.
«Wow» disse Mary alla fine dello sfogo.
«Questo sì, che non me lo aspettavo»
«Eh» dissi io, semplicemente.
La campanella suonò, decretando la fine della pausa.
«Poesia»
«Cosa?» le chiesi, mentre uscivamo dal bagno.
«Mi hai chiesto che cosa avessimo ora. Poesia»
«Ah. Wow» dissi, sospirando nervosamente.

Ci incamminammo verso l'aula di poesia e ci sedemmo vicine, come sempre.
Haimé, per quanto Poesia mi piacesse - tirava fuori il mio lato emotivo senza che dovessi giustificarmi - era anche una delle lezioni che odiavo di più.
Ed ora...
Ora la detestavo.
Poesia era l'unica lezione che condividevo con Sherley, ed era già insopportabile prima, figuriamoci ora dato che - in qualche modo, ma non avrei indagato - aveva scoperto che io e Thy stavamo più o meno insieme.
Cioè, non era ancora una cosa ufficiale o altro, ma- "Aspetta un attimo, cos'è che ho visto?"
"Era forse... no, dai mi sono sbagliata. Però Thy... eh, Thy lo sta fulminando..."
Con mio immenso stupore avevo ricevuto la mia prima - e istintivamente sapevo non sarebbe stata l'ultima - occhiataccia di Phy.
"Io lo avevo detto che non mi stava simpatico" dissi a me stessa.
La signora Stone entrò in aula con qualche minuto di ritardo ed un sacco di fotocopie in braccio.
I corti capelli brizzolati erano in disordine, ma con un sapiente gesto della mano se li sitemò dopo aver poggiato sulla cattedra i fogli.
Un sorriso radioso e gentile si aprì sulle sue piccole labbra, fino ad illuminare i grandi occhi marroni nascosti dietro il solito paio di occhiali da professoressa.
Ci diede il buongiorno e si apoggiò alla cattedra, annunciando la lezione di oggi.
«Bene, ragazzi. Dato che abbiamo un po' di tempo libero, oggi volevo fare qualcosa di diverso»
Un leggero brusio si levò dalla classe.
«Oggi lasceremo stare autori, epica e - purtroppo devo ammetterlo - noiose poesie, per dare spazio al vostro Io»
Stavolta si levò un brusio un po' più forte.
«Su su, ragazzi! Di cosa avete paura, di un foglio e di una penna?»
«Ma prof!» Disse una voce.
I miei occhi, istintivamente, guardarono supplichevoli il cielo.
«Il nostro Io è una cosa importante, non possiamo mica sbandierarlo davati a tutti!»
«Hai ragione Sherley. Ed ecco perchè voglio che lo facciate»
Le risatine che Sherley aveva scatenato, si spensero in un secondo.
«Ma prof-!»
«Niente ma. Avate un'ora di tempo per esprire ciò che queste immagini vi comunicano» disse, mentre cominciava a consegnarci un foglio.
Ringraziai quando la professoressa mi diede il mio, e presi a guardarlo.

Erano tre immagini semplici, che si potevano trovare in internet con una banalissima ricerca.
«Potete prendere spunto da un'immagine o da tutte e tre, a seconda di cosa il vostro Io vi suggerisca. Lasciatevi guidare dai sentimenti, ragazzi. I sentimenti sono la chiave»
Con questo, si sedette alla cattedra e prese a scribacchiare cose sulle sue scartoffie.
Un'ora di tempo per una poesia, non era il massimo.
O meglio, bisognava vedere quando veniva l'ispirazione.
Se veniva l'ispirazione.
Tornai sulle immagini e tentai di concentrarmi su esse.
La prima, erano un paio di ali bianche - di quelle da angelo - poste su uno sfondo nero;
la seconda era un angeo inginocchiato, su sfondo bianco, con due ali nere.
Il viso era oscurato, ma da ciò che intravedevo, non doveva essere male, il pennuto.
La terza immagine, era una donna con delle maestose ali - ovviamente da angelo, che la prof ne avesse la passione? - con le ultime piume più lunghe da pavone.
La colorazione dell'immagine era sul viola scuro/chiaro, e dava al tutto un senso id "mistico" ai miei occhi.
Una vocina mi diceva che avrei dovuto scrivere qualcosa sugli angeli.
Sentii Mary lamentarsi, affianco a me.
Lei non era un grande asso con la poesia.
Mi guardai intorno.
C'era chi stava già scrivendo, chi guardava il foglio pensoso e chi lo guardava disperato.
Poi c'ero io che mi guardavo attorno e Sherley che spulciava segretamente su internet per trovare la soluzione più rapida e -a detta sua, o come avrebbe detto lei se glielo aveste mai chiesto - indolore.
Tornai al mio foglio bianco e buttai giù qualche riga, ma nessuna mi dava la giusta ispirazione.

Un leggero spostamento d'aria mi comunicò che qualcuno si era mosso.
«... Hai problemi anche tu con questa roba?» mi chese Thy divertito, a bassa voce.
«Non sempre, no. Deve solo venire l'ispirazione» gli risposi.
«Umh...» mi disse lui «Io non so cosa scrivere...» aggiunse con tono triste.
Diedi un'occhiata al suo foglio e quasi lo pesi a schiaffi.
«Thy... per... per... Odino! Hai scritto la replica in chiave moderna della Divina Commedia!» dissi, tentando di trattenere la voce.
«Guarda che sono solo appunti» mi corresse lui.
«Beh, mettili insieme e vedrai che qualcosa viene fuori, credimi» gli dissi con un mezzo sorriso.
Lui me ne rivolse uno brillante, in un fugace momento in cui nessuno guardava.
«Vedrai che l'ispirazione arriverà. So che hai le parole dentro di te. Non tirarle fuori. Lascia che siano loro ad uscire...» mi disse gentile, prima di tornarsene al suo posto.
"
«Lascia che siano loro ad uscire...» Sembra facile!" dissi a me stessa.
Continuai a guardare il foglio bianco.
Ad un certo punto, riuscii a captare un piccolo spiraglio, in me, in cui vedere quelle parole.
C'ero quasi, mancava poco.
Ancora un attimo e avrei scritto un poema degno di nota. Forse.
Eccole, erano lì, sulla punta della pena che non pregavano altro che-
«PROF! Ho finito!»
"Uno di questi giorni, io, ti ucciderò, Sherley Cooper. E sarà così lentamente che perderai la congnizione del tempo"
Bene. Anzi, no, fantasmagorico! Con il suo fantastico "Ho finito", Sherley mi aveva fatto perdere la concentrazione.
Al diavolo lei e la concentrazione.
Mi rimisi a guardare il foglio bianco, pregando per un lampo di genio che non arrivò.
Mancavanoancora un sacco di minuti allo scadere dell'ora, così chiusi gli occhi e mi concentrai sui miei pensieri.
Svuotai la mente, eliminai tutto dall'ambiente che mi circondava.
In mente, avevo fisse le immagini che si susseguivano, come se volessero raccontarmi una storia.
Nella mia mente, le fissavo e tentavo di capire cosa avevano da dirmi.
Finchè compresi.
Ed allora, la penna scivolò sul foglio, macchiando la sua purezza con il nero inchiostro.




/*Angolo Autore*/
Eeeee! Prova. 1-2-3-prova!
Sì, sono ancora viva! *me balla la macarena*
Vi sono mancata? *coff coff* Intendevo la storia, ovvio v.v
Bene bene, che cos'abbiamo qui?
Una bella poesia in arrivo!
Probabilmente mi odierete perchè la leggerete nel prossimo capitolo, ma non vi preoccupate: è già in lavorazione se tralasciamo il fatto che il mio spirito poetico deve rioganizzare le frasi !
Aaaad ogni modo, per chi fosse curioso, ecco le tre immagini a cui mi sono ispirata per scrivere il capitolo.
Le ho trovate davvero belle, e la descrizione che vi ho fatto non è degna di nessuna immagine, lo devo ammettere v.v
Perciò, ecco la Prima immagine, la Seconda e la Terza.
Al prossimo capitolo!

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