Teur

di Alessandreadz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Snow ***
Capitolo 3: *** Dream ***
Capitolo 4: *** Yin ***
Capitolo 5: *** But ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


                                                                       Teur
 
 
 
Le foglie chiare mosse dal vento volavano nell'aria, il giardino era ricoperto da altre foglie cadute dagli alberi piantati in esso e le persone sembravan essere scomparse all'improvviso da quella città. Il sole si era nascosto dietro un paio di grosse nuvole grigie che da lì a poco sarebbero esplose in una forte e continua pioggia senza termine. 
Tutto ciò ai miei occhi pareva un capolavoro attraverso quella grande finestra. Questo tempo mi ha sempre fatta sentire bene, quello tra la serenità e l'attesa di una tempesta. Un po' come mi sentivo io in quell'istante mentre la signora Jepsen mi scrutava cercandomi una diagnosi sensata al mio malessere. 
La signora Jepsen è una dottoressa, psicologa, nonchè mia vicina di casa, mio malgrado. 
Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce, io mi preparai a sentire le fandonie che le stavano per uscire dalla bocca. 
"Eh beh, cara Emi, che sei distrutta lo si nota anche ad occhio nudo." 
Evitai di guardarla e continuai ad osservare il bel panorama fuori dalla finestra cercando un punto qualsiasi come distrazione. 
"Lo affronteremo insieme, sta tranquilla, in molti cadono in una piccola fase depressiva alla tua età, so che ti senti sola ma riuscirai a ritrovare quella luce in te.". Mi sorrise dolcemente senza smettere di fissarmi, mentre io non avevo proprio voglia di ricambiare la sua gratitudine. 
Ero lì solo perchè mi aveva costretta mia madre, doveva solo passare quella straziante mezz'ora e poi potevo ritornare a star serena per i fatti miei. 
La mia vita da sempre era una solita routine, non che io detestassi le routine, anzi le trovavo prive di preoccupazioni. Non mi piacevano gli attimi sorpresi, quando non si sa cosa accadrà. Volevo sempre essere sicura che ogni giornata fosse stata come le altre, senza problemi insoliti. 
Una settimana prima, Margaret si era accorta dei miei sbalzi di umore e quindi aveva approfittato della nostra vicina di casa per farmi sistemare tutto il macello che lei credeva io avessi in testa. I miei erano 18 anni passati a vivere oppressa dalle voci di mia madre. Chiamiamola anche Margaret, d'altronde non è biologicamente mia madre. In realtà io volevo solamente essere libera, fare ciò che mi pareva in piena tranquillità senza che nessuno si intromettesse nella mia vita. Ma dopotutto non fu così. 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Snow ***


                          Snow
 
 
 
Così improbabile, come volete definirlo, strano, assurdo o pazzesco. 
 
Adoravo passeggiare per quei piccoli viali, con quei grandi alberi di ciliegi, petali rosa nel vento, l'aria profumata dal polline, lontano dalle rumorose strade di città. Altrettanto incoerente per il fatto che prima mi piacevano tantissimo le città confusionarie, rumorose, piene di gente.
Così pensavo, camminando a passo lento tra quelle stradine vuote, a ciò che mi passava tempo prima per la testa rendendomi conto di quanti cambiamenti avessi attraversato nell'arco della mia vita. Un tempo volevo a tutti i costi essere libera di andare nei grandi locali festosi notturni, uscire e viaggiare dove solo io volevo, decidere sempre per me stessa, insomma, Margaret e Jossian avevano passato davvero dei momenti distastrosi a causa delle mie indecisioni frequenti, dei miei assurdi pensieri, ma d'altro canto ogni adolescente attraversa queste fasi. 
Margaret è americana, ha vissuto nella sua enorme città di Washington, sempre impegnata a viaggiare per vari Paesi, magari fu proprio questo a farle incontrare Jossian. Jossian, che dire, uno di quei uomini sempre silenziosi che acconsentono, annuiscono, di poche parole; non ho mai visto nulla di speciale in lui. Eppure ancor'oggi vedo quelle due piccole scintille negli occhi di Margaret ogni qual volta lo guarda. Non mi è mai neppure interessato ciò che c'è tra di loro, si conoscono da tantissimo tempo, sembrano amarsi, anche se io sono ignorante su questo campo. Non ho idea di che cosa significhi amare, ho letto così tanti libri d'amore, tutti gli stessi, tutte le stesse cose, che poi puntano sempre lì, a quei contatti fisici. Parlandone con gli altri, mi dicono che troverò anch'io un giorno la persona che vorrà stare sempre al mio fianco, che mi coccolerà, che non mi farà sentire sola. Mi importa veramente? Sarò mai all'altezza per affrontarlo?
Sospirai lentamente, chiudendo le palpebre per annusare l'aria fresca primaverile, un buon modo per smettere di pensare. Anche se fu ben altro a farmi smettere di pensare. Un gatto. Un gatto? 
Mi abbassai piegando le ginocchia, rimasi in quella posizione per osservarlo meglio. Bianco, grande, peloso, occhi grandi e gialli come i petali di un girasole, dei lunghi baffi perfettamente paralleli. Sorrisi e allungai una mano per accarezzarlo. Lui si spostò e zampettò verso una via a sinistra, se non altro non ho potuto non rincorrerlo. Freneticamente cercai di tenere il suo stesso passo, finchè arrivai in una collina con un grande albero secolare, con i sottili rami mossi dal vento e le foglie cadute sulle sue radici. 
Il gatto si avvicinò all'albero e si distese al di sotto. Solo poco dopo potei osservare il luogo circostante, notando i caldi colori del cielo pronto a trasformarsi in un viola intenso, fino al blu. Le nuvole sparpagliate, distese quasi come delle scie, il sole basso. Una casa proprio vicino all'albero, grande e di legno colorato. Notai poi qualcuno. Mi venne spontaneo chiedere riguardo al gatto. 
"Scusi, è suo il gatto?" 
Era un ragazzo seduto sui gradini al di sotto della porta della casa, picchiettava una mano sulla testa ricoperta da bianchi capelli lisci, e con il volto abbassato. Solo dopo mi resi conto che portava gli auricolari alle orecchie, subito mi sentii pervasa da una sensazione di imbarazzo, come se fossi stata inopportuna, così voltai i tacchi e con passo fermo iniziai a tornare per la mia strada. 
"Sì." sentii poco dopo. O almeno percepii di averlo sentito. Mi voltai di scatto, guardandolo e cercando il suo sguardo. Alzò il capo e mi guardò dal basso verso l'alto ispezionandomi. Mi sentii veramente a disagio, ma chi era? 
"E' Neige, passa le sue giornate ad oziare per i viali portando persone qui interessate grazie alla sua aria misteriosa e alla sua corporatura tenera."mi informò. Aveva un tono di voce basso, si mischiava con il rumore del vento che soffiava più diretto verso quella collina. Ma riuscii ugualmente ad udire e comprendere ciò che aveva appena detto. 
"E' molto bello." ammisi guardandomi ancora intorno. 
"Già, ha un proprio un bel pelo." rispose. 
"Mi riferivo a questo posto, è molto bello, vivi qui?" chiesi improvvisamente forse entrando troppo sul personale. Sin da bambina sono sempre stata curiosa, mi distruggeva l'incompetenza, volevo sempre saper tutto e indagare al meglio per ricavarne ciò che volevo. Magari adesso non sono più così indagatrice, però continuo a fare domande pur di sapere.
Scorsi quasi un sorriso dovuto alla mia affermazione su quel posto. Si alzò dai gradini e si avvicinò, poi mi allungò la mano come gesto di presentazione. 
"Teur, tu come ti chiami?" mi chiese stringendomi delicatamente la mano. 
"Emi..." risposi imbarazzata. Non credevo che si arrivasse ad una presentazione. I suoi grandi occhi castani mi guardavano con aria sicura, traspariva sicurezza, quel semplice gesto provocò  in me  una sensazione così inspiegabile e strana che mi fece ritirare subito la stretta e indietreggiare.  
"Credo che io adesso debba andare, è stato un piacere conoscerti ehm Teur?" ammiccai velocemente allontanandomi sempre di più.
"Tornerai?"
"Non lo so..." risposi girando le spalle. 
"Ho fatto qualcosa che ti ha spaventata?" chiese subito.
Trattenni il fiato per un attimo prima di rispondere, non potevo essere scoperta così velocemente. 
"Ma no, è solo che devo andare, si sta facendo tardi." 
Annuì e abbassò lo sguardo per poi farmi un cenno di saluto con la mano, ritornando alla sua postazione.
D'altronde lui non aveva nessuna colpa, pensai tra me e me durante il percorso per arrivare a casa. Sono stata io a distaccarmi senza un buon motivo, solo per una stupida sensazione. Ero perlopiù spaventata, non mi era mai capitata una cosa del genere. Lui era così strano, quei capelli così bianchi, quei occhi così grandi e scuri, sembrava un essere mitologico fin troppo perfetto. Troppo diverso da me, tutto il contrario da ciò che sono io fisicamente. Capelli lunghi e neri corvini, occhi verdi quasi a mandorla, il naso un po' irregolare, labbra troppo sottili per i miei gusti.
Quando arrivai a casa mi buttai subito sul letto cercando di eliminare tutti quei pensieri collegati a Teur. Teur, avevo già imparato quel nome strano. Che nome è Teur? Mai sentito. Qui non ci sono nomi così strani e poco usati. 
Qualsiasi cosa continuava a farmi pensare a quello strano ragazzo, dovevo smetterla. 
Chiusi gli occhi e cercai di dimenticare tutto, cadendo in un sonno profondo. 

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Capitolo 3
*** Dream ***


  Dream
 
 
 
Neuge correva per quel prato sotto i forti raggi del sole, fino a fermarsi del tutto. Annusò un fiore, staccò alcuni petali, poi ritornò per la sua strada.
 
 
Non avevo mai fatto un sogno così strano e privo di senso. 
Mi alzai dal letto avvicinandomi alla finestra, era una bella giornata anche quel giorno. 
"La colazione è a tavola!" sentii urlare dal piano di sotto. 
Durante tutte le ore scolastiche cercai di identificare e analizzare il mio sogno. 
Neuge era apparso, dopotutto il giorno prima lo avevo incontrato e probabilmente era rimasto nella mia testa, ciò causò la sua apparizione. Il fiore beh non era previsto nella giornata precedente. Forse ieri quando ammiravo gli alberi di fiori rimasi talmente meravigliata che anch'essi apparvero nel mio sogno. Ma il fiore del sogno non era uno dei fiori degli alberi di ieri. Non ricordavo minimamente la forma o i colori di quel fiore, era impossibile identificarlo. 
Perdere così tempo per un banale sogno? Fatto sta che io ai sogni ci tenevo e ci credevo, da un lato potevano dare delle spiegazioni. 
Quando suonò la campana della scuola, Lise mi si avvicinò con un'espressione confusa. 
"Tutto bene, Emi? Ti vedo troppo pensierosa." 
Annuii e feci per andarmene. Avevo deciso, sarei tornata in quel posto. Dopo aver analizzato per metà giornata quel sogno, capii che era una specie di segno, dovevo rivedere Neuge (non Teur). 
Così mi incamminai verso la collina e come il giorno prima, trovai il bianco ragazzo dagli occhi neri davanti la sua casa. Si alzò di scatto quando mi rivide e mi fece un grande sorriso. Cercai di ricambiarlo, ma forse si accorse che quel mio sorrisetto era troppo forzato. 
"Sei tornata." 
"Dov'è Neuge?" chiesi subito. 
Si guardò intorno cercando il gatto da me appena nominato, poi alzò le spalle. 
"Vuoi fare un giro?" mi domandò allungando la mano. Fissai quella mano con timore, ma decisi di afferrarla. Sorrise ancora e incominciò a camminare. 
Sotto la collina c'era una grande distesa d'erba verde, il sole illuminava quelle corte foglie rendendole quasi fluorescenti, l'aria era decisamente più ferma rispetto al giorno precedente e le nuvole sembravano scomparse del tutto. 
D'un tratto mi ritrovai per terra dopo una forte spinta, iniziai a rotolare fino a fermarmi involontariamente. Sentii delle leggere risate, mi guardai indietro, Teur si stava avvicinando ridacchiando. Non avevo idea per cui lo avesse fatto, cercava di farmi divertire? Mi stava solo irritando ancor di più.
Si sedette al mio fianco con le gambe distese e leggermente aperte, le braccia indietro che reggevano il busto e le mani che stringevano l'erba della terra come per aggrapparsi. Guardava l'orizzonte, con quel sorriso stampato sul volto, così sincero e puro, così bello. Non potei fare a meno di osservarlo, più lo facevo più non realizzavo tale bellezza.
Si girò, probabilmente sentendosi fissato, e ricambiò il mio sguardo. Sentii le gote surriscaldarsi, d'istinto mi voltai verso un'altra parte. Poi sentii la sua mano sul viso, mi rigirai, stava solo togliendomi una foglia d'erba dalla guancia. Quei grandi occhi continuavano a guardarmi così profondamente, sembrava mi stesse guardando dentro, facendomi una radiografia. 
Si voltò di nuovo verso l'orizzonte, dopo un pesante respiro iniziò a sibilare qualcosa.
"Amo questo posto." 
"E' paradisiaco." aggiunsi sibilando a mia volta. 
"Emi, secondo te sono strano?" chiese all'improvviso. Abbassai lo sguardo sulle mie mani e iniziai a tirarmi le dita, e adesso?
"Sii sincera, m'importa"
"Beh..non ti conosco, sei così misterioso.." ammiccai piano continuando a guardare in basso anche dopo essermi accorta che mi stava guardando.
Gli scoppiò una piccola risatina, poi scosse la testa. 
"Magari sono solo diverso" rispose poi. E forse aveva ragione. Abbiamo tutti questa percezione di strano solo per ciò che non conosciamo, abbandonando la percezione di diversità. Ciò che non è come noi, viene definito strano.
"Non mi piace il diverso" ammisi. Potevo sembrare maleducata nei suoi confronti, ma poco mi importava alla fine. 
"Forse dovresti smettere di guardare solo con i tuoi occhi e-" mi guardò negli occhi avvicinandosi improvvisamente "-guardare anche con il cuore" continuò. Mi scansai subito intimorita e lo guardai con un'espressione confusa corrugando le sopracciglia. 
"Ciò che ho fatto ti è sembrato strano, vero? Lo era perchè nessuno lo ha mai fatto, perciò adesso sei altrettanto sconvolta da un banale gesto." disse serio. Si alzò dall'erba pulendosi i pantaloni, iniziò a camminare verso la collina dicendo "Andiamo, ti accompagno a casa." 
Perchè mi confondeva così tanto? Perchè diceva tutte quelle cose? Non che fossero errate, ma il fatto che fosse così cosciente di ciò che provavo mi inquietava davvero tanto. 
Non potei fare altro che seguirlo in silenzio, continuando a reggere il frastuono di pensieri nella mia mente. 
Camminammo uno a fianco all'altro verso la mia via di casa, zitti, con il solo rumore dei nostri passi. 
 
 
"Domani tornerai ancora una volta?" mi chiese sulla soglia del cancelletto di casa. 
Feci un lungo sospiro e scossi la testa. Ero stremata da quella situazione, da lui, non volevo più avere a che fare con tutte quelle emozioni tempestose. 
Abbassò il volto e annuì lentamente. Sembrava un bambino voglioso di giocare, perchè voleva vedermi così spesso?
"Va bene, mi trovi lì quando vuoi.." disse con voce bassa prima di voltare le spalle e andare via. 
Mi sentii libera, spoglia da un pesante peso che avevo addosso. Entrai dentro casa, ciò che accadde una volta entrata non fu del tutto rilassante come speravo.
"Ci spieghi perchè sei tornata così tardi?!Sono le otto e mezza, l'ora di cena!Dove sei stata e cosa diavolo hai fatto?!" sbraitò Margaret. Alzai gli occhi al cielo e oltrepassai la sua barriera di fuoco acceso entrando in cucina dove trovai Jossian seduto a tavola con il piatto vuoto davanti. Ma poco dopo mi raggiunse ugualmente la belva e continuò il suo secondo grado. 
"Non puoi scappare così in fretta dalle mie questioni! Spiegami cosa hai fatto in tutto questo tempo." disse sbattendo una mano sul tavolo attirando maggiormente la mia attenzione. 
"Nulla di importante." risposi sedendomi. Detestava essere ignorata, ed io detestavo quando lei voleva tutte le mie carte in tavola.
"Emi. Dove, sei, stata." ripetè scandendo di più le ultime tre parole. 
Sbuffai. "Da Lise." 
Jossian era per i fatti suoi, si sbucciava una mela in silenzio, ma sapevo che stava ascoltando tutto accuratamente. 
"Da domani coprifuoco, ti voglio trovare a casa alle quindici e trenta massimo." disse continuando a fissarmi con quelle due palle di fuoco al posto degli occhi. 
"Non puoi farlo!" urlai alzandomi di scatto. 
"Certo che posso! Stai diventando troppo libera ragazzina, in questa casa abbiamo delle regole!" urlò a sua volta. Ragazzina?
"Ragazzina?! Ti ricordo che ho 18 fottutissimi anni e sinceramente me ne sto sbattendo delle tue regole del cazzo!" mi rivoltai contro. Margaret fece un'espressione terribile, troppo complicata da descrivere, trapelava solo "voglia di uccidermi". Andai dritta verso la porta ed uscii sbattendola prepotentemente. 
Ero davvero stanca di essere trattata ancora come una bambina, di dover sottostare a tutto ciò che diceva, potevo fare ciò che mi pareva oramai. Ero molto più che una stupida ragazzina. 
Camminai senza una meta, mi sedetti in una panchina con le gambe racchiuse nel petto e la testa sulle ginocchia. 
Perchè nessuno comprendeva me? Perchè avevano tutti la testa alle loro stupide decisioni e non a me? 
"Perchè sono menefreghisti." sentii alle mie spalle. Avevo subito riconosciuto la sua voce limpida e chiara. Alzai il volto dalle ginocchia e mi girai, ritrovando quella testa bianca proprio davanti ai miei occhi. Rimase dietro la panchina, guardandomi dall'alto e sorridendomi. Ero troppo nervosa per pormi la domanda "come ha fatto a capire ciò che pensavo?". 
"Ho sentito le urla da fuori, non potevo andarmene via.." ammise poco dopo.
Mi accarezzò i capelli allisciando alcune ciocche, mi rilassava la testa, in qualche modo i pensieri stavano pian piano svanendo. 
"Emi sei molto più di quello che dicono loro" mi sussurrò all'orecchio. Sentii un brivido percorrere la mia schiena, chiusi gli occhi cercando di trattenere le lacrime. Fece il giro e si sedette accanto a me, iniziando a guardarmi. 
"So che non ti sto affatto simpatico, ma ti prego, accettami." mi disse serio con gli occhi lucidi "Mi sento così solo, nessuno è mai venuto a trovarmi e quando ho visto che tu invece sei tornata un'altra volta non ho potuto far nulla per evitare di interessarmi a te, adesso ho bisogno di te Emi". Mi avvicinai lentamente, senza nemmeno pensarci, lo abbracciai stringendolo forte. Forse perchè ero io che avevo bisogno di un abbraccio, è stato un gesto spontaneo  creato più per me che per lui. Così non vide nemmeno le lacrime che stavano cadendo ininterrottamente sulle mie guancie. Ricambiò l'abbraccio, mi sentii come se il cuore avesse voluto scoppiare, il suo calore riscaldava il mio petto e il suo leggero profumo invadeva la mia testa. 
Si staccò dalla stretta poco dopo, mi prese il volto tra le mani e mi guardò negli occhi intensamente. 
Esattamente non pensavo di esserne sicura, ma vidi nei suoi occhi una gialla luce che li trasformava dal profondo nero ad un giallo miele. Magari le lacrime mi offuscavano la vista, o magari stavo diventando pazza. Mi asciugò le lacrime con i pollici poi si allontanò ricomponendosi. 
"Grazie.." sibilai con la voce strozzata dal pianto. 
"A te." rispose sorridendomi. "Torna a casa adesso". Ero confusa, stordita, volevo far tutto tranne che ritornare a casa dentro quell'inferno. 
"No, voglio stare qui." risposi ferma. 
"Emi ti prometto che quando rientrerai nessuno ti attaccherà, sarai tranquilla, però ritorna a casa." disse con un tono di supplico. 
"So che non sarà così, mia madre mi attaccherà in peggior modo e mi castigherà." 
"Te lo prometto." disse alzando di più la voce. Ed io non potei far altro che annuire ed eseguire il suo consiglio perchè probabilmente mi stavo già fidando di quello strano, pazzo, inquietante ragazzo dai capelli bianchi.
La promessa venne mantenuta, quando rientrai a casa mi ritrovai Margaret in lacrime fra le braccia di Jossian che le accarezzava la testa. Quando mi vide mi abbracciò forte. Si era preoccupata pensando che fossi scappata chissà dove. 
Mi chiese scusa per ciò che mi aveva detto ed io feci lo stesso. 
Che giornata strana. 
 
 
 
 
 
 
                                                         

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Capitolo 4
*** Yin ***


 
 
                                                         Yin
 
 
 
 
Le giornate proseguivano così bene, dopo scuola andavo sempre alla collina e ogni volta facevo tante cose diverse con Teur. Giocavamo a palla, rotolavamo sul prato, passavamo il tempo con Neuge, ascoltavamo la musica guardando le nuvole e dando loro una forma. Tutto era splendido quando stavo con Teur, non mi passava nulla per la testa, ero libera e felice e mi sembrava di essere ritornata bambina. 
Quel giorno non vidi l'ora di uscire da scuola per raggiungerlo, così al fine delle ore scolastiche uscii frettolosamente e corsi fino alla collina. Lo trovai seduto sul prato con la chitarra sulle gambe. Era concentratissimo, quasi immerso in un mondo tutto suo, ed io stranamente volevo entrare a far parte di quel mondo. 
Anche Lise lo notava, in quei giorni avevo sempre una certa luce negli occhi, ero più sorridente e aperta. Teur mi stava cambiando profondamente, facendo uscire il mio lato più dolce e spensierato. Mi ero quasi dimenticata di quel lato, ero così abituata alla serietà che ormai avevo messo da parte tutte le altre emozioni, non provandole affatto. Ma con lui era tutto diverso, dopo quella serata tutto era cambiato, era come se i miei occhi fossero cambiati mostrandomi un Teur diverso, un Teur che volevo al mio fianco sempre. 
Mi avvicinai silenziosamente a lui e poggiai le mani sui suoi occhi domandandogli chi fossi. La risposta era scontata, si mise a ridere, mi prese dal braccio e mi fece sedere accanto a lui. 
"Ne ho fatta una nuova, vuoi sentire?" mi chiese con un grande sorriso, non potei dare una risposta negativa. 
Così iniziò a pizzicare quelle corde creando delle armonie stupende, lui aveva un'espressione serena e io non potevo fare a meno di guardarlo così intensamente. 
Mi sentivo troppo bene, ciò mi fece riflettere un po' su tutto ciò che stavo provando in quell'istante. Cosa mi stava succedendo? Sarà questo "l'amore"? E chi aveva deciso e provato la vera e propria definizione di questa parola così utilizzata? D'altronde è una definizione relativa, completamente soggettiva, nessuno poteva dirmi cosa era a quel punto. Eppure volevo sapere cosa ne pensava lui, sarebbe stata forse una domanda troppo profonda?
"Teur.." dissi interrompendolo. Si fermò di scatto e mi guardò confuso aspettando che continuassi, "per te cos'è l'amore?" 
Rimase per un po' di tempo in silenzio con lo sguardo basso, ci stava sicuramente pensando su con più attenzione. Poi lo rialzò verso di me e rispose semplicemente "Neuge." 
"Neuge? Ma Neuge è solo un gatto." dissi corrucciando la fronte. 
Sorrise. "Non Neuge, ma neuge. La neve. Per me è come la neve, bella, candida, soffice, ma anche gelida e molto pesante quando ce n'è troppa." 
Non comprendevo quella risposta, non riuscivo a capire se fosse una risposta positiva o negativa, forse entrambe. 
"Emi perchè me lo hai chiesto?"
"Non lo so, volevo solo sapere una tua opinione.." risposi sinceramente. 
Avvicinò la sua mano delicatamente e mi accarezzò la guancia. 
Tutto ciò mi confondeva, sentivo qualcosa dentro il petto di sconosciuto, una sensazione estranea al mio corpo, avevo voglia di avere più contatti con lui. 
"Non innamorarti, Emi" mi sibilò avvicinandosi sempre di più. Rimasi immobile guardando quei grandi occhi scuri vicini ai miei, trattenni il respiro per qualche secondo e guardai giù, focalizzandomi sulle sue labbra. Poggiò la sua fronte sulla mia e mi accarezzò i capelli. Non stava facendo ciò che pensavo, forse era stato meglio così. O forse volevo proprio ciò che mi ero immaginata. Ero troppo confusa, dovevo mettere ordine. 
"Perchè?" chiesi piano soffiando sul suo viso. 
Sospirò pesantemente, si staccò dal mio viso e si allontanò. "Non innamorarti di me..sarebbe un problema." rispose fermamente. 
Sentii qualcosa di fastidioso adesso, nel mio petto, una piccola crepa stava insidiandosi sul mio cuore e faceva un po' male. Cosa stava andando storto?
Rimasi delusa da ciò che disse, ma d'altronde perchè? Non mi ero innamorata di lui. Non ancora, anzi non ci sarei mai riuscita. Neanche lo conoscevo così bene, passavamo solo le giornate insieme, ma non sapevo niente di lui. Tutto ciò passava in un tempo brevissimo nella mia testa, stavo convincendomi di qualcosa contro la mia volontà. 
Annuii velocemente e mi alzai dal prato tirando su col naso, presi la mia borsa e andai via anche dopo i suoi ripetuti richiami. 
La colpa non era sua, ma sempre e solo mia. Io mi ero solo illusa di una cosa banale, adesso banale, surreale, irrealizzabile. Camminai verso casa con passo veloce mentre cercavo di trattenermi le lacrime, avevo voglia di gridare, di scoppiare. 
Tutto stava ritornando nero, le mie emozioni erano state utili solo per lui che continuava a giocarci senza rendersi conto di ciò che poteva causare. Tutti quei contatti, quelle carezze, quegli abbracci, tutti stupidi e insensati. Era solo un estraneo, non potevo permettermi di cadere così in basso per uno sconosciuto. 
Ritornai a casa con gli occhi pieni di lacrime che non volevo far cadere davanti a Margaret e Jos, così salii frettolosamente le scale e mi chiusi nella mia stanza. Diedi libero sfogo alla pioggia nel mio viso, rimanendo immobile sul letto, fissando il muro bianco di fronte ad esso senza fiatare. 
E pensai, pensai, pensai fino a far tacere il mio cervello, addormentandomi pensando a tutto ciò che avrei tanto voluto non fare. 
Mi risvegliai sentendo il mio cellulare squillare, schiusi gli occhi faticosamente e lo presi cercando di decifrare il numero. Lise.
"Emi?! Dove diavolo sei?!" sentii stridare dall'altra parte del telefono. Lise era nel nostro solito punto d'incontro mattutino per andare a scuola e mi stava aspettando già da mezz'ora mentre io dormivo beatamente fregandomene.
"Arrivo subito, perdonami" dissi con la voce impastata dal sonno. Così mi alzai, mi guardai allo specchio e non potei non notare quelle due occhiaie proprio sopra le mie guance, questo era il risultato di una mezza nottata passata a piagnucolare per una persona inutile. 
Mi preparai il più velocemente possibile per raggiungere Lise, che quando mi vide iniziò a riempirmi di domande. La prima fu ovviamente quella rivolta alle mie occhiaie. 
"Non ho dormito tanto bene questa notte" mentii perfettamente. Lise non era chissà quale amica, ci conoscevamo da tanti anni e non avevamo mai smesso di frequentarci essendo nello stesso liceo. Era così diversa da me, quei grandi occhi castani dietro quegli occhiali color nocciola, i capelli corti e biondi e il viso simile a quello di una bambola di porcellana. Ma a parte l'aspetto fisico, era diversa da me anche caratterialmente. Lei sempre aperta, ma sofisticata, studiosa, ma che sapeva divertirsi, divertente, ma non invadente. Sarà che tutte quelle qualità mi davano sui nervi e non mi andava di esserle un'amica più che buona. Sono quel genere di persona che adora stare in compagnia, ridere e scherzare, ma che passa molto più tempo da sola. 
Alle medie ne facevo un dramma, nessuno era mai disponibile per me, nessuno che mi accettava e che mi dava qualcosa in più. Ci piangevo davvero tanto, e ciò me lo portai anche ai primi inizi del liceo. Poi capii, dopo aver sbattuto più volte la faccia, che sarebbe stato meglio oltrepassare e accettare le circostanze. E' sempre l'unica cosa che ci rimane da fare. 
E Margaret allora entrava nella mia stanza chiedendomi come erano andate le mie giornate ed io rispondevo sempre uguale e lei non indagava più di tanto. Davo anche alcune colpe a lei, della sua assenza nella mia vita, del suo menefreghismo nei miei confronti. Tutto era una grande cupola grigia che riuscii a rompere grazie alle mie convinzioni. 
Lise camminava al mio fianco tranquilla, guardandosi intorno come spesso facevo anch'io, mentre percorrevamo il tragitto fino a scuola. 
Le lezioni erano più faticose del solito quel giorno, la mia testa pulsava forte e mi sembrava di non aver abbastanza aria dentro quella classe; avrei tanto voluto scappare sulla collina dopo quelle strazianti ore chiuse lì, ma non potevo e non dovevo. 
Ma d'altro canto, ci fu una sorpresa altrettanto sbalorditiva all'uscita. 
Era messo lì, appoggiato in un auto di chissa chi, che guardava in basso giocando con i piedi con alcune foglie secche. Quando mi vide velocizzai immediatamente il mio passo per sfuggire da una situazione che sarebbe diventata troppo pesante per me quel  giorno. 
"Voglio solo parlare Emi." mi urlò mentre io continuavo a camminare e lui dietro di me. Anche dopo vari tentantivi, non se ne andò e mi seguii in silenzio attendendo qualche mia reazione. Non la ricevette, e quando arrivai davanti casa per aprire il cancelletto parlò un'altra volta. La sfiga mi aveva perseguitata, perchè proprio in quel momento non riuscivo a trovare le chiavi. E chiesi a me stessa cosa avevo fatto di così male per meritarmi questo. 
"Non hai nessuna colpa, la colpa è solo ed esclusivamente mia, tutto ciò che ho fatto e che ti ho detto. Tu non sei un problema." disse fissandomi, mentre io continuavo a cercare nella mia borsa quel fottuto mazzo di chiavi. Continuò abbassando il tono di voce: "Non sai tante cose di me, ed io vorrei dirtele tutte se potessi, se ci riuscissi, ma non mi escono le parole, e tutto ciò che posso fare è farti capire in altri modi ciò che ci unisce." 
Mi fermai ed alzai lo sguardo verso i suoi occhi che non erano mai stati così seri in tutte le volte che li avevo contemplati. Corrucciai le sopracciglia confusa, in cerca di spiegazioni. Lui fece un gran sospiro e ricambiò lo sguardo. I suoi divennero di un'altra tonalità così differente da quella naturale, il nero si era trasformato in giallo, mi impressionai e lasciai cadere la borsa per terra trattenendo un urlo che avrebbe potuto sentire tutto il quartiere. 
Indietreggiai lentamente ancora con le mani sulla bocca  e caddi per terra sempre più sconvolta. Non poteva essere realmente possibile. Nulla di ciò poteva esistere nella vita reale. Insomma, non è nemmeno scientificamente possibile. Ero veramente andata di matto, oppure i miei occhi stavano veramente vedendo tutto ciò? 
Mi si avvicinò e i suoi occhi ritornarono alla normalità, permettendomi di vederli velati di lacrime. Mi diede una mano per alzarmi da terra e mi lasciai portare dove lui aveva appena detto. 
Come prevedevo, arrivammo alla collina. 
"So che sei spaventata, impressionata, è normale, tranquilla...non ti farò nulla." disse spezzando quell'orribile silenzio che stava rendendo la situazione più inquietante. Annuii leggermente e ci sedemmo sul prato. 
"Può sembrarti ancora più osceno detto così, ma io sono un angelo." 
Non fiatai. Lo fissai stranita, ma poi scoppiai in una risatina. Stava scherzando, era così ovvio. Mi guardò in modo strano, da ciò percepii che aveva solo detto una cosa vera e quasi ovvia per lui. 
"Teur, non può essere possibile, ok? Insomma, no. Non è così." risposi gesticolando con le mani freneticamente. Tutta l'ansia trapelava da quei gesti e sotto sotto sapevo anch'io di essere in torto. 
"Protecteur." disse soltanto. 
Ascoltando quella parola nella mia lingua notai la fine che equivaleva al suo nome. 
"Una stupida coincidenza." risposi. La verità era che, appunto, negavo l'evidenza perchè non volevo credere ad una cosa così assurda. Era forse un sogno?
"Diamine Emi! Come potrei dirti una cazzata così?! Con quale scopo, poi?!" sbraitò alzandomi la voce contro. Non fiatai e osservai ogni suo gesto. Non sapevo cosa fare, ero spaventata, stranita, confusa. 
Urlò ancora continuando a ripetere la stessa storia, continuando a spiegare e a spiegare. Lì dovetti rompere il gioco, il gioco creatosi con me stessa, e accettare. Come avevo sempre fatto, accettare le circostanze, quella circostanza troppo assurda e del tutto diversa da tutte le altre. 
"Ti credo.." sibilai piano quasi cercando di non farmi sentire. 
"Grazie al cielo" disse solamente. Mi prese cautamente le mani e le strinse fra le sue. Tenevo lo sguardo basso, guardando le nostre mani, unite, e contemplando tale gesto. Avevo passato gran parte dei miei giorni con un angelo? 
A quel punto riempii di domande Teur, volendo spiegazioni più dettagliate e più sensate. Gli chiesi perchè era un angelo, come lo era diventato, perchè era il mio angelo, perchè non era un semplice spirito come tutto il mondo crede che essi siano, facendolo quasi confondere. Ma sorrise debolmente, aspettandosi una reazione così. 
"Non ci si diventa, si nasce così e basta. Non lo sapevo neanche io ai primi tempi, avevo una vita tranquilla, con i miei genitori, i miei fratelli, la scuola e tutto il resto. Solo dopo mi resi conto che non ero solamente un giovane ragazzo, sentivo di essere molto di più. Tutto ciò solo quando tu mi trovasti in quella collina. Ho percepito una strana sensazione, estranea, mai provata, e guardandoti negli occhi capii che, diamine Emi, siamo legati da qualche cosa. Il giorno stesso mi informai meglio, mio nonno mi diede un libro dove tutto ciò che dovevo sapere era scritto lì. Ero più che sconvolto quando lessi la vera e propria dimostrazione. Mio nonno mi spiegò tante altre cose, mi narrò la leggenda dello Yin e dello Yang. Ciò che avevo appena trovato, tu, era proprio il mio Yin. Tu sei il mio Yin." rispose con un tono di voce serio cercando di farmi comprendere ogni minimo particolare ed io rimasi a bocca aperta dopo aver sentito tutto ciò. Sembrava così banale, ma era una cosa fantastica. Ero davvero il suo Yin?
Avevo sempre amato quella teoria. Lo Yin e lo Yang.
Questi corpi sono una cosa sola con l'universo. Lo Yin è l'elemento femminile, quello scuro, buio, rappresentante la Terra, che si fonde con lo Yang, l'elemento maschile, forte, il potere creativo, rappresentante il Cielo. 
Yin è la mente femminile, intuitiva e complessa, Yang è l’intelletto maschile, lucido e razionale. Essi si creano a vicenda, possono essere distinti ma non separabili. Dipendono l'uno dall'altro e si definiscono a vicenda, controllandosi reciprocamente, se la Yin è in eccesso, lo Yang sarà carente e viceversa.
Sorrisi, non so perchè lo feci, sentii qualcosa di buono dentro di me. Tutta quella situazione non stava più risultando problematica, ma tutto il contrario. Era la risposta, la soluzione a tutto ciò avevo provato quella stessa notte. Mi sentivo così debole e ferita da un estraneo perchè effettivamente lui non lo era. Era come un'altra parte di me, qualcosa che mi faceva sentire al completo. 
Ricambiò il mio sorriso e sentii riscaldarmi il cuore. 
Rimanemmo tutto il giorno coricati su quel prato a guardare le nuvole che lentamente stavano lasciando il posto alle stelle. Con la testa sul suo petto, osservavo quei piccoli punti luminosi che tanto amavo sin da bambina e che volevo sempre contarli tutti. Ma prima non sapevo fosse impossibile, e stavo anche notti intere a provarci, addormentandomi completamente. 
Volevo che il tempo si fermasse in quell'istante così bello e rilassante, ascoltando la più bella musica del suo cuore dentro il suo petto. 

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Capitolo 5
*** But ***


                                              Ma 
 
                                                    
 
 
E' così bello quando trovi finalmente la felicità. Quando ti rendi conto di averla ben stretta, che la stai provando e la riconosci subito. La felicità sta nelle piccole cose, ma se tutte queste piccole cose si uniscono, la felicità sarà equivalente a quella precedente o si moltiplicherà? 
Quando respiri e ti rendi conto di essere vivo, quando ammiri tutto ciò che ti sta attorno e adori tutto il resto, quando guardi quegli occhi e ti ci perdi involontariamente. E hai voglia di essere guardata solo da quei occhi, di guardare solo quei occhi, di averli ogni singolo giorno della tua vita.
Così mi sentivo in quel periodo, ero innamorata persa di tutto ciò che lo raffigurava, tutti i suoi piccoli e insignificanti difetti, i suoi ottimi pregi, tutto ciò che gli apparteneva mi faceva perdere un battito ogni qual volta. 
Speravo così tanto che tutto questo macello fosse reciproco. 
L'estate era alle porte, le giornate calde iniziavano a farsi sentire e la collina probabilmente non ci bastava più. Così decidemmo di andare in spiaggia. 
"Va bene qui?" domandò con la voce strozzata dalla fatica per tenere quel grande zaino. Eravamo in cerca di una postazione sulla spiaggia, ancora ero indecisa su quale fosse più opportuna, mentre lui teneva tutte le nostre cose aspettando un mio consenso. Ridacchiai vedendo quella scena. 
Teur aveva la fronte perlata di sudore, gli cadevano alcune ciocche di capelli sul viso che talvolta soffiava per farli stare su, teneva uno zaino gigante con tutto ciò che volevo portare e la custodia della chitarra. 
"Sei così debole" ammisi guardandolo con superiorità. Mi lanciò uno sguardo di sfida raddrizzandosi la schiena e ricominciando a stare al mio passo. Tutto a un tratto mi ritrovai caduta sulla sabbia con lui addosso. Teneva le braccia tese per reggersi evitando di schiacciarmi. Mi guardò ancora con quello sguardo, credeva di aver vinto. Ricambiai il sorriso innocentemente, mentre con un pugno raccoglievo un po' di sabbia per lanciargliela in faccia. 
Risi di gusto dopo averlo fatto e subito per sfuggire alla sua presa, con la speranza di poter rimanere viva correndo. 
Mi tolsi i vestiti velocemente e mi buttai in acqua. Successivamente mi raggiunse anche lui dopo aver posato tutto il peso che teneva sulle spalle, si spogliò ed entrò in acqua. 
Queste piccole cose, mi rendevano felice. Che poi se rendono felici, non sono così piccole. 
"Mi vendicherò, ma non oggi." ammiccò avvicinandosi sempre di più. Ricominciai a ridere schizzandogli l'acqua addosso. 
Dopo qualche attimo ritornammo seri, ero aggrappata su di lui muovendo le gambe nell'acqua, incapace di nuotare; sentivo il calore del sole sulla mia testa e la fresca acqua invadere il mio corpo. Ero così rilassata, avrei tanto voluto rimanere in quella posizione per un'infinità di tempo. I nostri visi erano vicinissimi ma nessuno dei due avanzò, eravamo tranquillamente vicini, respirando i propri respiri reciprocamente. Una domanda mi perseguitava, e non aspettai a chiedere. 
"Gli occhi gialli a cosa sono dovuti?" 
Rimase in silenzio per qualche secondo, poi rispose: "Non lo so, so solo che quando sono con te mi viene più difficile trattenermi da non trasformarli." 
"Come mai?" gli soffiai sul viso. 
"Mi fai questo effetto e basta." rispose abbassando lo sguardo imbarazzato. Scoppiai a ridere a causa della sua reazione.
Uscimmo fuori dall'acqua dopo mezz'ora e ci sedemmo sulla sabbia per lasciarci asciugare dal calore del sole. Lui prese la sua chitarra ed iniziò a suonare qualcosa, mentre io ero troppo concentrata a guardare il suo viso. 
Cosa stava succedendo alla mia vita? Si era completamente capovolta, dalle mie routine a queste giornate fantastiche una diversa dalle altre. Adesso potevo ammetterlo, le routine facevano davvero schifo. 
Solo guardandolo più attentamente con una luce diversa potei notare alcuni tratti orientali di Teur. Mi chiedevo se il motivo di tale bellezza fosse dovuto al suo essere un angelo o era proprio così naturalmente e basta. 
"Teur, voglio sapere di più." ammisi. 
"Su cosa?" 
"Su di te, non so nulla oltre al fatto che sei un angelo." 
Sospirò. "Beh...cosa vuoi sapere? Neanch'io so qualcosa di te." 
"Allora facciamoci una domanda a vicenda a cui dobbiamo rispondere, così è più interessante." dissi avvicinandomi. Mi sorrise e annuì. Mi concesse di iniziare per prima. 
"Dove sei nato?" chiesi. 
"Non lo so." rispose solamente. Spalancai gli occhi. 
"Non lo sai?!" 
"Mio nonno mi ha detto che non sono nato qui in Francia, ma che mi sono trasferito da piccolo quindi non saprei esattamente.." rispose sinceramente. Tacqui per un po' cercando di rielaborare la sua risposta, mentre lui stava già pensando a cosa chiedermi. 
"Ti piaccio?" chiese alzando un sopracciglio. Arrossii in un lampo e mi voltai guardando il mare, cercando di evitare quello sguardo malizioso. 
"Dai rispondi!" mi incitò. 
"Certo, mi piaci, sei un buon amico." me ne uscii. Lui ridacchiò capendo di avermi messa in difficoltà. Era così frustrante. 
"Tocca a me." dissi di botto "Quanti anni hai?" 
Era una domanda così strana da fare dopo aver passato quasi un mese con lui, ma non conoscevo ancora la risposta. 
"178" rispose tranquillo. 
Rimasi a bocca aperta. "Beh, voi angeli avete ovviamente un'età diversa dalla nostra, siete immortali e.." mi bloccò subito scoppiando a ridere. Solo dopo qualche minuto ritornò serio. 
"Sei così ingenua! Ne ho 19! Ho una semplicissima età e posso morire in qualsiasi attimo. E' tutto così semplice, non creare dei complessi per cose per te strane."
"Tu non sei strano, sei diverso." dissi citando la sua frase di qualche tempo fa. Mi sorrise e annuì. 
 
 
Passare il tempo con lui mi rasserenava sempre, ma purtroppo, come il destino decide a sua volta, arrivavano quei periodi buii che nemmeno la luce dei suoi occhi riusciva ad illuminare. O ero forse io a smettere di guardare negli occhi le persone generalmente. 
Quel giorno si era fatto vivo, dopo tanto tempo, lo zio Gerry. Con il suo macchinone, i suoi occhiali da sole lussuosi e il sorriso beffardo. Io stavo facendo i compiti e preparandomi per gli esami finali che da lì a poco si sarebbero svolti. A causa della miriade di tempo passato con Teur, avevo arretrato tanti compiti e dovevo assolutamente smuovermi se volevo finalmente prendere quell'attestato. 
Il suono di un clacson mi fece affacciare dalla finestra, per poi incrociare lo sguardo al suo viso. 
"Basta studiare! Andiamo a prendere un gelato, relax!" esclamò dopo aver notato un evidenziatore nella mia mano. 
"Non posso, sono troppo impegnata." risposi evitando il suo sguardo. Credeva di avere il potere di andarsene per anni  e poi ritornare quando gli pareva? Credeva che io fossi così ingenua? Beh perchè lo ero. Dopo vari tentativi mi convinse, un gelato era sempre meglio di un libro di letteratura. 
Sbuffai entrando nella sua auto, gli diedi un debole saluto e mi guardai intorno all'interno di quella macchina sicuramente più valorosa di quella di Jossian. 
Sapevo che tra loro c'era sempre stata una specie di competizione, o che almeno Jossian provasse invidia nei confronti di Gerry. Benchè lui aveva sempre più soldi, più macchine, più vitalità in confronto. Così Jossian spesso cercava di ignorarlo, fingeva di fregarsene, ma sotto sotto potevo leggere nei suoi occhi una brutta malinconia quando si parlava del suo ricco e spensierato fratello minore. Magari tutto ciò implicava anche nel nostro rapporto zio-nipote; ero più fredda con lui dopo aver scoperto i sentimenti di mio padre. 
"Va tutto ok?" mi chiese spezzando il silenzio creatosi dentro quella scatola di lusso. Annuii leggermente, ma riuscì ugualmente a prevedere la mia risposta. D'altronde cosa può risponderti una persona che non vedi da tanto tempo e con cui non hai più nessun rapporto ad una domanda così importante ma allo stesso banale come un "va tutto ok?"? Perchè nessuno ci fa caso ma questa domanda così utilizzata, così nominata, è davvero fondamentale in una conversazione, e non credo debba essere ripetuta a chiunque con tale leggerezza. Che poi lo sappiamo anche noi, non ci aspettiamo mica un "no, va tutto una merda". Lo si chiede per cosa? Essere generosi o affettuosi? Io credo sia una domanda davvero egoista e menefreghista in certi casi. La gente è così sgarbata e prevedibile. 
"So che stai pensando, non ti ho calcolata per tutti questi anni ma, davvero, non ne ho avuto il tempo." ammiccò guardando dritto per la strada con ancora quegli occhiali scuri in volto. 
"Vedo che hai avuto il tempo di comprarti una macchina nuova, però." ammisi. Per tutta risposta fece un debole sorriso, prima di posteggiare da qualche parte e scendere dall'auto seguito da me. 
Era all'aperto, in una grande piazza, perfettamente familiare per me dato che mi ci portava sempre da bambina. Ci sedemmo in uno di quei pochi piccoli tavolini e ordinammo del gelato. 
Tutto proseguì normalmente. Ancora non riesco a capire cosa più freddo fosse quel giorno, il gelato o la nostra inesistente conversazione. 
Anche se dopo un po', Gerry aprì bocca posando la sua ciotola di gelato sul tavolo. 
"Non sono tornato senza un motivo valido, tranquilla." 
Deglutii l'ultimo pezzo di gelato e gli chiesi cosa intendeva. 
"Vorrei parlare con Jossian, devo chiedergli scusa per tutto ciò che gli ho fatto passare in questi anni" rispose con voce ferma e decisa. Scorsi le sue mani più rigide del solito, chiuse in un pugno. Aveva compreso finalmente tutti i dispiaceri di Jossian? Tutti i momenti di crisi che aveva passato a causa del suo misero lavoro? Aveva forse compreso che aveva fatto un gesto ingiusto e vergognoso decidendo di non prestare nemmeno uno spicciolo a suo fratello? O forse aveva compreso qualcosa di più complesso, tipo che tutti quei vizi che si faceva erano veramente infantili e irresponsabili?  
"E' da un paio di mesi che ci penso su, so di aver sbagliato nei suoi confronti quando era nei guai con l'affitto, so di avere ignorato te completamente, sono qui per questo, in primis per chiederti scusa, poi quando mi avrai perdonato vorrei chiederti aiuto per aggiustare le cose con tuo padre." disse tutto d'un fiato. Ascoltai quell'ammasso di parole con attenzione, osservando i suoi movimenti, il suo sguardo fisso su quel gelato, la voce roca e insicura. Sembrava sincero, era sincero. Non lo avevo mai visto così incerto su qualcosa, era in difficoltà e riuscivo a sentire quella debolezza e voglia di essere compreso da una banale ragazzina come me, perchè aveva ragione Margaret, ero una ragazzina. 
Quando rialzò lo sguardo mi guardò dritto negli occhi in cerca di una qualche mia parola. Così feci un respiro profondo, pensai a ciò che avevo intenzione di dire e iniziai a strutturarlo nella mia testa. 
"Ti perdono." dissi schietta. I suoi occhi si illuminarono all'improvviso e fece un gran sorriso che mi riscaldò il cuore. Gerry non era cattivo, non era strafottente, ma come ogni pover'uomo su questo pianeta si era lasciato sprofondare da quello stupido oro che viene definito ricchezza. Aveva capito che la vera ricchezza non era la sua macchina, i suoi capi d'abbigliamento di marca, la sua grande casa, ma la famiglia, i semplici gesti, delle semplici parole come le mie che erano riuscite a farlo sorridere sinceramente come nessuna auto costosa era mai riuscita. 
"Ho bisogno del tuo aiuto Emi, tu sei tutto ciò che Jossian non vorrebbe mai perdere e vedere tra le lacrime. Mi aiuterai?!" chiese prendendomi le mani e stringendole per la felicità. Annuii serenamente e ricambiai la stretta. Ero felice, finalmente tutto si stava ricongiungendo.
Ma purtroppo, c'è sempre un maledetto "ma" che rovina tutte le speranze e gli attimi felici. 
Al ritorno a casa, mentre zio Gerry guidava, un auto tamponò forte e con prepotenza sulla nostra, Gerry sbattè la testa sul volante provocandosi una lesione mortale, così privo di respiro, mentre tutto ciò che si riusciva a sentire era quell'assordante suono del clacson che nascondeva tutte le speranze e le grida di sconfitta dello zio. 

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