Always, Again di nikita82roma (/viewuser.php?uid=908472)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CINQUE ***
Capitolo 6: *** SEI ***
Capitolo 7: *** SETTE ***
Capitolo 8: *** OTTO ***
Capitolo 9: *** NOVE ***
Capitolo 10: *** DIECI ***
Capitolo 11: *** UNDICI ***
Capitolo 12: *** DODICI ***
Capitolo 13: *** TREDICI ***
Capitolo 14: *** QUATTORDICI ***
Capitolo 15: *** QUINDICI ***
Capitolo 16: *** SEDICI ***
Capitolo 17: *** DICIASSETTE ***
Capitolo 18: *** DICIOTTO ***
Capitolo 19: *** DICIANNOVE ***
Capitolo 20: *** VENTI ***
Capitolo 21: *** VENTUNO ***
Capitolo 22: *** VENTIDUE ***
Capitolo 23: *** VENTITRE ***
Capitolo 24: *** VENTIQUATTRO ***
Capitolo 25: *** VENICINQUE ***
Capitolo 26: *** VENTISEI ***
Capitolo 27: *** VENTISETTE ***
Capitolo 28: *** VENTOTTO ***
Capitolo 29: *** VENTINOVE ***
Capitolo 30: *** TRENTA ***
Capitolo 31: *** TRENTUNO ***
Capitolo 32: *** TRENTADUE ***
Capitolo 33: *** TRENTATRE ***
Capitolo 34: *** TRENTAQUATTRO ***
Capitolo 35: *** TRENTACINQUE ***
Capitolo 36: *** TRENTASEI ***
Capitolo 37: *** TRENTASETTE ***
Capitolo 38: *** TRENTOTTO ***
Capitolo 39: *** TRENTANOVE ***
Capitolo 40: *** QUARANTA ***
Capitolo 41: *** QUARANTUNO ***
Capitolo 42: *** QUARANTADUE ***
Capitolo 43: *** QUARANTATRE ***
Capitolo 44: *** QUARANTAQUATTRO ***
Capitolo 45: *** QUARANTACINQUE ***
Capitolo 46: *** QUARANTASEI ***
Capitolo 47: *** QUARANTASETTE ***
Capitolo 48: *** QUARANTOTTO ***
Capitolo 49: *** QUARANTANOVE ***
Capitolo 50: *** CINQUANTA ***
Capitolo 51: *** CINQUANTUNO ***
Capitolo 52: *** CINQUANTADUE ***
Capitolo 53: *** CINQUANTATRE ***
Capitolo 54: *** CINQUANTAQUATTRO ***
Capitolo 55: *** CINQUANTACINQUE ***
Capitolo 56: *** CINQUANTASEI ***
Capitolo 57: *** CINQUANTASETTE ***
Capitolo 58: *** CINQUANTOTTO ***
Capitolo 59: *** CINQUANTANOVE ***
Capitolo 60: *** SESSANTA ***
Capitolo 61: *** SESSANTUNO - Epilogo ***
Capitolo 1 *** UNO ***
Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l’orologio e proprio a quest’ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato per lei, perché Rick ama cucinare per lei, si rifiutava di pensare al passato. Ama cucinare per lei e lo avrebbe fatto ancora, non appena lei fosse tornata a casa, con lui. Quella casa o un’altra se lei non avesse più voluto entrarci. Avrebbe trovato una casa adatta a loro dove ricominciare se lei lo preferiva, oppure avrebbe rivoltato tutto il loft, lasciando solo le mura portanti e rifatto tutto dentro come desiderava lei, se voleva si sarebbero anche trasferiti altrove, doveva solo chiederglielo, dirgli dove voleva andare e dargli solo il tempo materiale di rendere tutto perfetto.
Avrebbe fatto tutto, per lei. Tutto.
Non gli era mai stato così chiaro come in quei giorni ed aveva anche capito che la loro vita doveva avere una svolta, ne avrebbero parlato, certo, ma lui ne era sicuro, questa volta avevano rischiato troppo, più di quanto potevano immaginare.
Intanto aveva già chiamato il suo architetto e la sua arredatrice di fiducia perché dovevano rifare tutta la cucina. Era stata la prima cosa che aveva fatto quando era uscito dall’ospedale, due settimane prima. Cambiando anche la disposizione dei mobili e rifare tutto il pavimento. A nulla erano valse le proteste di sua madre e sua figlia. Ci aveva pensato dal momento in cui si era svegliato dopo l’operazione. Quel pavimento doveva sparire ed anche quella cucina. Era un inizio. Il resto lo avrebbe visto dopo, con Kate, avrebbero deciso insieme. A nulla erano valse nemmeno le ritrosie dell’architetto e dell’arredatrice che sostenevano che quella disposizione fosse perfetta e quello stile adatto all’ambiente. Gli aveva solo risposto che li pagava per trovare soluzioni e quello avrebbero dovuto fare. Trovare una soluzione ugualmente bella e funzionale, ma diversa. Non era difficile no?
Lui da quando era uscito dall’ospedale non era più rientrato a casa. Aveva preso una suite al Four Season, non lontano dal Presbyterian Hospital nell’Upper East Side, dove aveva voluto che Kate fosse trasferita. Si era informato in quei giorni in cui era ancora in ospedale su quali fossero le migliori strutture, quelle dove sarebbe stata curata meglio e quelle dove permettevano l’orario di visita più flessibile, fattore per lui secondario solo alla salute di Kate.
Quando li avevano trovati dopo la sparatoria li avevano immediatamente trasferiti nell’ospedale più vicino, dovevano solo pensare a salvare la vita ad entrambi e gliene era stato grato, però ora lui poteva decidere ed aveva già deciso dove trasferire sua moglie, nella migliore struttura possibile.
Adesso era lì, in quella stanza privata dell’ospedale dove andava ogni giorno da due settimane, da quando lui era stato dimesso e lei trasferita. Ogni mattina le portava un mazzo di gigli bianchi e rosa, freschi, ogni giorno. E due caffè. Lui il suo lo sorseggiava appena, per abitudine. Gli avevano detto che il caffè avrebbe dovuto evitarlo. Non se ne curava, come di tante altre cose. A lei lo lasciava sul comodino, vicino ai macchinari che monitoravano i suoi parametri vitali. Buoni, dicevano i medici, ma Kate non riprendeva conoscenza. I primi giorni l’avevano tenuta sedata perchè era meglio così, gli avevano detto, per farla riprendere prima, per dare modo al suo corpo di guarire. Poi, però, una volta sospesa la terapia, lei non si era svegliata. I suoi parametri erano nella norma, ma Kate continuava a dormire, Castle si diceva così. Le altre parole non gli piacevano. Non voleva nemmeno sentirselo dire. Lo rifiutava. Kate non era in coma. Kate dormiva e lui stava lì, a guardarla dormire come faceva sempre anche a casa, quando si svegliava prima di lei o la trovava già addormentata quando tornava in camera dopo che aveva scritto per ore, perdendo la cognizione del tempo. Gli aveva detto più volte che era inquietante quando la guardava nel sonno, chissà cosa avrebbe pensato adesso. Sicuramente se lo avesse visto lo avrebbe ripreso e gli avrebbe fatto il suo sguardo-sguardo. Quando gli mancava quello sguardo, i suoi occhi. Quante volte le aveva detto che amava vederla dormire? Adesso pensava che se solo si fosse svegliata non l’avrebbe più fatto, ma sapeva che non era vero, lo avrebbe fatto ancora, a casa, stringendola a se. Doveva solo svegliarsi e andare via con lui.
Rick passava tutto il giorno con Kate, le parlava, di tutto. Di quello che accadeva nel mondo, di quello che pensava, di quello che avrebbe voluto fare con lei, appena usciti da lì, dei loro progetti futuri, dei loro ricordi. Passava ore a ricordarle quello che avevano vissuto insieme, soprattutto tutto quello che avevano vissuto insieme prima di stare insieme. Le confessava cose che non le aveva mai detto e che forse non le avrebbe detto più, o forse sì, le avrebbe detto tutto, tutto quello che non le aveva mai detto, perché gli sembrava tutto urgente da dirle, voleva farle conoscere ogni angolo anche più piccolo del suo cuore.
Si allontanava da quella stanza solo quando c’era qualche altra visita, lui non l’avrebbe voluta condividere con nessuno, ma sapeva che era inevitabile. Suo padre veniva ogni giorno, dopo il lavoro, e Rick approfittava di quel tempo per andare a mangiare qualcosa. C’era una caffetteria francese proprio fuori dall’ospedale ed ormai mangiava solo zuppe, insalate e sandwich. Martha e Alexis lo avevano trovato lì, una sera che erano andate a fare visita a Kate, lo avevano riconosciuto, da fuori, seduto mestamente ad un tavolo vicino la vetrina. Erano entrate e si erano sedute con lui, rimproverandolo per il suo trascurarsi. Che era sofferente glielo si leggeva in volto, e non solo emotivamente. Lui le ascoltava distratto, girava senza sosta con il cucchiaio la sua crema di broccoli senza mangiarne un granché. Loro si preoccupavano per lui, ma a lui, forse per la prima volta nella sua vita, quell’attenzione nei suoi confronti da parte delle sue chiome rosse, lo stava soffocando. Gli dicevano continuamente che stava esagerando, che doveva pensare a rimettersi perché così non era di nessun aiuto a Kate. Cosa ne sapevano loro di cosa era utile a Kate? Lui era utile a Kate, lui lo sapeva. Sapeva che la sua presenza, in qualche modo, era fondamentale per lei, che lui doveva essere lì quando lei si fosse svegliata. Doveva esserci subito. Ma loro non capivano, non potevano capire, loro non sapevano. Gli dicevano continuamente cosa sarebbe stato meglio fare, ma lui annuiva solamente senza nemmeno sapere cosa gli stavano dicendo. Gli parlavano del loft, gli sembrava. Di quanto caos c’era, dei lavori che stavano facendo che non erano poi così utili, del fatto che era un disagio quella situazione. Si era già offerto di pagare anche a loro un suite ovunque avessero voluto, se lo avessero desiderato, ma non avevano voluto, quindi non capiva perchè adesso facevano tutte quelle storie. Non era un problema suo, adesso non si poteva preoccupare anche se sua madre e sua figlia trovassero strane le sue necessità.
Si impose di non rispondere e di stare calmo. Mangiò appena qualche cucchiaio di minestra lasciò una somma di denaro sicuramente molto superiore di quella necessaria e disse che sarebbe tornato su, da Kate e che se volevano potevano seguirlo. Lo fecero, in silenzio. Rick non parlava di quanto accaduto, non si sfogava, con nessuno. Non parlava, semplicemente. Parlava solo con Kate, nei suoi dialoghi che erano solo monologhi nei quali lui si immaginava ogni risposta di sua moglie. Martha glielo aveva detto tante volte se voleva parlare, lui le rispondeva sempre che non c’era nulla da dire. Alexis si era anche arrabbiata con lui, perchè gli diceva che escludendole dal suo dolore non avrebbe migliorato le cose. Lui le rispose che non era il momento di parlare, quello le diede un bacio in fronte abbracciandola e lei si arrabbiò ancora di più. Era ancora scossa per averlo visto in fin di vita, con l’addome trapassato da un proiettile del quale ancora portava i segni vividi sul corpo con una cicatrice non del tutto chiusa, in tutti i sensi.
Jim Beckett stava uscendo dalla stanza di sua figlia, Castle fece cenno a madre e figlia di entrare, mentre lui rimaneva fuori a parlare con quell’uomo, l’unico che sembrava in grado di capire il suo dolore, l’unico che sapeva e che capiva come si poteva sentire. Era distrutto Jim. Su quel letto c’era tutto quello che rimaneva della sua famiglia e non avrebbe sopportato di perderla, non ne sarebbe sopravvissuto, lo sapeva Rick, ne avevano parlato ed anche lui gli aveva detto la stessa cosa. In quel momento troppe vite dipendevano da quella di Kate, ma solo loro due lo potevano capire.
- Sembra tranquilla, vero? - Jim gli fece quella domanda quasi più per ricevere una consolazione sullo stato della figlia, che non per conoscere l’opinione di Castle. Non voleva che soffrisse, almeno quello.
- Lo è. - Gli disse Rick appoggiandogli una mano sulla spalla. Si sarebbe preso carico anche del dolore del padre di sua moglie, lo avrebbe fatto per Kate.
- È così bella, così giovane. Come lo era… - Vide lo sguardo di Castle irrigidirsi e si fermò. Non voleva che facesse certi paragoni, glielo aveva detto. Non sarebbe finita nello stesso modo. Lui non lo avrebbe permesso. Sospirò l’uomo e non proseguì.
- Kate è bellissima, sempre. - E Rick lo pensava veramente. Sua moglie era bellissima, sempre. Lo ripeteva di continuo a tutti. Tutte le infermiere del reparto, che non sapevano resistere al fascino di Richard Castle e lo avevano avvicinato in modo poco rispettoso a volte mentre usciva dalla stanza di Kate, sapevano che l’unica cosa che lui ripeteva sempre a tutti era quella. Sua moglie era bellissima in qualunque stato, anche ora che dormiva.
Le due rosse uscirono dalla stanza, come sempre visibilmente scosse dalla visita, soprattutto Martha che nonostante le sue doti di attrice non riusciva a celare gli occhi lucidi, Kate mancava anche a loro, nonostante la preoccupazione che avevano per lo stato di salute di Rick.
Castle disse che sarebbe rimasto ancora lì, per un po’. Loro se ne andarono e lui rientrò da sua moglie, a raccontarle anche quanto appena accaduto, chiedendole consiglio su come comportarsi con Alexis che quella volta era rimasta molto più turbata di quanto era accaduto loro che in altre occasioni. Rimase lì ore ad aspettare una risposta. Poi quando era notte le diede un bacio sulla fronte e se ne andò, dandole appuntamento al giorno successivo, come sempre.
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Capitolo 2 *** DUE ***
Era tornato la mattina dopo e quella dopo ancora, sempre con i suoi fiori e due caffè. Le aveva come sempre parlato per ore ed ore. "Le racconta tante storie, certo lei è uno scrittore" gli aveva detto un giorno un'infermiera mentre cambiava la flebo di Kate. Lui le sorrise solamente, gentile come sempre cercava di essere anche con chi si intrufolava nella loro vita senza saperne nulla: quelle non erano storie, era la loro storia. Era una differenza enorme, possibile che non lo capivano?
Poi un giorno, all'improvviso la mano di Kate si mosse, impercettibilmente, ma bastò per destare Castle che la guardava ancora più insistentemente. Continuava a tenere la sua mano su una delle sue, mentre con l'altra le accarezzava il volto e i capelli sussurrandole quanto l'amava e che la rivoleva con lui. Per sempre.
Dopo alcuni minuti in cui le strette alla sua mano erano sempre più frequenti e questo alimentava speranza nel suo cuore, le palpebre di Kate si aprirono e lui nel rivedere quegli occhi che amava tanto non riuscì a trattenere una lacrima. Aveva temuto di non vederli più, ora se lo poteva confessare, aveva avuto una fottuta paura di non potersi più perdere negli occhi di lei e di non vedere più vedere quegli occhi verdi screziati d'oro perdersi nei suoi.
Non riuscì a dirle molto, gli uscì solo uno strozzato "Ehy!" accompagnato da un sorriso che raccontava inequivocabilmente la sua gioia.
Le si voltò a guardarlo per un po’, studiandolo, nei suoi occhi c'erano solo perplessità e turbamento.
- Castle? - sussurrò e lui sorrise ancora - Richard Castle? Cosa ci fa lei qui?
Castle la guardò con gli occhi carichi di amore ed un sorriso che non riusciva a cancellarsi dal volto. La sua mente non aveva ancora processato bene quello che gli aveva appena detto, era troppo perso nel sentire la sua voce, sebbene così flebile, per capire anche quello che gli stava dicendo. Gli pareva, anzi, secondario qualsiasi cosa gli stesse dicendo davanti al fatto che era sveglia e le parlava.
Kate lo fissava, stupita. Richard Castle era lì, vicino a lei, le teneva una mano e la guardava come se fosse la cosa più preziosa del mondo e non capiva perché.
- Signor Castle, perché lei è qui? - gli chiese ancora Kate
- Perché il mio posto è sempre vicino a lei, signora Castle. - avvicinò la mano alla sua bocca lasciando un leggero bacio sul dorso.
Kate avrebbe voluto ritrarsi ma era troppo confusa e debole per farlo. Quell'uomo la guardava con tale amore che si sentiva confusa. Se era uno scherzo era di pessimo gusto. Nessuno sapeva che era il suo scrittore preferito, perché dovevano averle organizzato tutta questa messinscena e perché lui doveva prestarsi a tanto per lei? Avrebbe voluto fargli tante domande mentre lui le accarezzava dolcemente la mano, ma entrarono nella stanza un nutrito numero di medici ed infermieri, tutti per controllare il suo stato di salute.
Rick ed il suo sorriso furono fatti uscire mentre lei veniva visitata. Come prima cosa chiamò Jim Beckett ma era ancora talmente sopraffatto che non riuscì a dire di più che Kate - Sveglia - Sta Bene. L'uomo dall'altra parte del telefono non fu di molte parole, ma quei secondi di silenzio al telefono racchiudevano tutto quello che provavano. Disse solo Arrivo subito, prima di attaccare. Con le mani tremanti Rick fece la stessa cosa chiamando Alexis e il distretto per avvisare Ryan ed Esposito. Avrebbero avvisato loro Lanie e la Gates che, dopo il ferimento di Beckett e Castle, si era occupata personalmente di coordinare le indagini e di ricoprire il ruolo vacante di Kate, contrariamente a tutte le consuetudine e i protocolli.
Quando il dottor White, il medico che aveva seguito Kate durante tutta la degenza, uscì dalla stanza di sua moglie si diresse verso Castle con un'espressione troppo seria sul volto secondo quelli che erano i canoni di Rick. Kate si era appena risvegliata dal coma, parlava, stava bene, perché così seri? Dovevano sorridere, come lui! Però man mano che il dottore si avvicinava l'angolo del sorriso di Castle diminuiva. Si alzò dalla sedia nella quale si era appoggiato, non riusciva a stare ancora molto in piedi, e aspettò le parole del dottore. Come prima cosa lo tranquillizzò, Kate fisicamente stava bene. Rispondeva a tutti gli stimoli, non aveva problemi a muovere gli arti nonostante fosse stata molto tempo ferma a letto e non aveva problemi a parlare ed anche tutto il resto era ok. Ma. A quel ma il cuore di Castle raggiunse pulsazioni mai arrivate. Voleva sapere cosa c'era dopo quel ma e allo stesso tempo non voleva sentire. Temeva che ci fosse stato altro che non gli avevano detto, che quella che sua moglie era sveglia, viva, con lui, fosse solo un'illusione momentanea e che gliela avrebbero strappata via di nuovo. Quei pochi istanti tra il ma ed il resto del discorso la fervida fantasia dello scrittore prese il sopravvento esplorando in un attimo tutti gli scenari peggiori possibili. Tutti tranne quello che il dottor White gli avrebbe da lì ad un istante raccontato: Kate aveva perso la memoria, non del tutto, sapeva chi era, cosa faceva nella vita, dove lavorava. Aveva solo, così aveva detto il dottore, perso la memoria di un lasso specifico di tempo. Gli ultimi 8 anni.
Solo gli ultimi 8 anni aveva detto il dottor White.
Castle mosse la mano a tastoni a cercare la sedia per sedersi di nuovo mentre il dottore gli spiegava come di lì a poco l'avrebbero sottoposta a tutti gli esami del caso ed avrebbero consultato neurologo della struttura per visitarla. Non riuscì a dire nulla, solo a chiedergli quanto sarebbe durata questa situazione.
- Non possiamo dirlo, potrebbe essere temporanea e durare da poche ore a mesi o anni o, in casi più gravi, definitiva.
Tutti erano usciti dalla camera di Kate e lei era di nuovo sola. Rick era davanti alla porta con la mano sulla maniglia incerto su cosa fare. Lì dietro c'era sua moglie, la sua vita che però non sapeva di esserlo, nemmeno lo conosceva, se non di fama e si ricordava bene quale idea avesse la detective Beckett di lui.
Le doveva dire così tante cose su di loro, sul loro futuro, cose che avrebbero cambiato la loro vita per sempre, ma lei non ricordava niente di loro, del loro passato.
Si sentì soffocare, le gambe pesanti ed improvvisamente farsi tutto buio mentre delle mani forti lo afferravano e lo facevano sedere, ancora una volta.
- Ehy Castle! Mica ti vorrai far vedere da Beckett così! - disse Esposito mentre gli porgeva un bicchiere di acqua zuccherata appena preparata da un'apprensiva caposala. I due detective erano appena arrivati per salutare finalmente il loro capitano. Lui doveva solo dirgli che lei non sapeva di esserlo.
- Lei non sa chi sono. Non sa niente di noi. Per lei non ci siamo mai conosciuti. - disse sconsolato
- Cosa stai dicendo Castle?
- Amnesia. Non si sa ancora quanto grave. Se la volete vedere, di voi almeno si ricorda, anche se vi ricorderà più giovani e più belli - sorrise, doveva trovare la forza di sdrammatizzare. Kevin e Javier entrarono in stanza da Kate e poco dopo arrivò anche Jim. Rick spiegò anche a lui la situazione ed il suocero cercò di tranquillizzarlo, ora era lui che doveva fare forza a Castle che però in quel momento si sentiva ancora più solo dei giorni precedenti. Perché ora era l'unico a portare quel peso addosso. Ryan, Esposito e Jim Beckett erano sì preoccupati per Kate, ma loro erano presenti nella sua memoria ed anche nei suoi affetti. Lui no. Lui era l'unico che non c'era, che era un estraneo, uno sconosciuto così come le erano sconosciuti i sentimenti che li legavano. Non c'erano più nella sua mente e nel suo cuore, come se non fossero mai esistiti. E si sentì come se qualcuno avesse tagliato le cime delle funi che lo tenevano ancorato su questo mondo ed ora stesse fluttuando nello spazio.
I due detective uscirono dalla stanza e si sedettero vicino a Castle e fu il turno di Jim ad entrare. I medici erano tornati a diglielo anche poco fa, non dovete affaticarla troppo e soprattutto non dovete forzarla in questo momento.
Ryan era silenzioso, Esposito spiegò brevemente a Castle come era andata la loro visita: l'avevano genericamente chiamata Capo, così non era una bugia, non gli avevano detto nulla di loro o dell'incidente e che l'aspettavano presto al distretto, più altre frasi di convenevoli.
Arrivò anche Lanie ed il via vai di saluti nella camera di Kate aumentava. Andavano tutti a salutarla, tranne lui che non si era più alzato da quella sedia. Quando arrivarono anche Alexis e Martha dovette trattenerle dall'entrare precipitosamente da Kate, spiegandogli la situazione: se non si ricordava di lui, non si sarebbe ricordata nemmeno di loro, non era il caso di affaticarla inutilmente. Così nonna e nipote dopo essersi assicurate che Richard stesse bene, per quanto poteva stare bene in quella situazione ed omettendogli il suo quasi svenimento di poco prima, tornarono a casa. Lo stesso fecero anche Esposito, Ryan e Lanie dopo che Castle gli promise che si sarebbe riguardato e che li avrebbe avvertiti di qualsiasi novità.
Quando Jim uscì lo trovò lì dove lo aveva lasciato. L'uomo era sempre preoccupato per lo stato della figlia, ma quel velo di terrore e tristezza sugli occhi era svanito dopo che le aveva parlato.
- Come sta? - gli chiese Rick quando il padre di Kate si sedette al suo fianco
- Confusa, spaventata, perplessa, per il resto mi è sembrato abbastanza bene, anche se aveva molti dolori.
- Credo sia normale, visto il suo stato. Gli hai detto nulla Jim?
- No, spetta a te.
- Non credo io sia la persona più adatta adesso, nemmeno mi conosce, come posso dirle una cosa simile?
- Sei sempre suo marito, anche se lei non lo ricorda. - gli disse Jim cercando di rincuorarlo.
- Domani parlerò con il neurologo e mi farò dire come è meglio comportarsi per non crearle maggiori problemi... Le hai detto nulla di me?
- Sì, mi ha chiesto perché il suo scrittore preferito era qui e chi le aveva organizzato questo scherzo. - Rick sorrise mestamente - Le ho detto che in questi anni le cose tra voi erano un po' cambiate. Vuoi andare da lei?
- Meglio di no questa sera. Domani, voglio essere sicuro che stia bene.
In realtà Rick avrebbe voluto entrare lì da lei, dirle quanto l'amava, che era tutta la sua vita e raccontarle dal primo giorno tutta la loro storia. E ricominciare all'infinito fino a quando lei non l'avesse ricordata o l'avesse sentita talmente tante altre volte che era come se l'avesse vissuta. Le avrebbe fatto rivivere ogni situazione che avevano vissuto, tutto pur di riavere la sua Kate, sua moglie, quella che da lì a qualche mese sarebbe stata la madre del loro figlio ma lei non lo sapeva. Oppure l'avrebbe fatta innamorare di lui. Di nuovo. C'era già riuscito, sapeva cosa c'era dietro il muro di Beckett. Lo aveva abbattuto una volta, poteva e doveva farlo ancora. Pensava a tutto questo mentre Jim era tornato dalla figlia. Uscì qualche tempo dopo per dirgli che si era addormentata e solo in quel momento Rick entrò da sua moglie per vederla dormire. Le diede un bacio tra i capelli attento a non svegliarla ed uscì. Suo padre gli disse che avrebbe passato la notte con lei e Rick se ne andò in hotel con il cuore pieno di sentimenti contrastanti. Si ripeteva che la cosa più importante era che lei fosse viva. Al resto avrebbe trovato modo di porre rimedio, in un modo o in un altro, anche se il pensiero che lei non ricordasse nulla di loro gli comprimeva lo stomaco in una morsa d'acciaio.
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Capitolo 3 *** TRE ***
Jim lo aveva chiamato la mattina molto presto, quando Castle si era appena addormentato, dopo aver dormito poco e male.
Ogni volta che chiudeva gli occhi la sua mente si riempiva di incubi in cui Kate non si ricordava più di lui e non ne voleva sapere niente di loro e del loro bambino. Ogni volta si svegliava con il fiato corto, sudando, e a poco valeva ripetersi che erano solo sogni, che ok, Kate non si ricordava di lui adesso, ma lui era da qualche parte, nella sua mente e nel suo cuore, doveva solo riportare a galla il ricordo del loro amore. Non poteva essere svanito così, con quei due colpi di pistola di Caleb.
Si sforzava però di vedere il lato positivo. Kate era viva ed anche il bambino stava bene. Era questa la cosa importante, il vero miracolo in tutta quella storia assurda che sarebbe potuta diventare tragica solo per questione di minuti. Lui non sarebbe potuto vivere in un mondo nel quale Kate Beckett non c'era. In questo, invece, avrebbe combattuto per farle ricordare di loro con ogni mezzo possibile.
La sera prima aveva chiamato sua figlia per spiegarle la situazione. Aveva pregato Alexis di dire tutto lei a Martha perchè lui non ce la faceva a ripetere tutto ancora una volta e le aveva promesso che le avrebbe aggiornate l'indomani dopo aver parlato con i medici.
Arrivò in ospedale poco dopo la chiamata di Jim. Kate era stata già portata a fare altri esami. Si avvicinò un dottore che non aveva ancora avuto modo di conoscere. In quelle settimane aveva parlato, oltre che con il dottor White, con tutti gli specialisti che avevano seguito sua moglie, in particolare con il cardiochirurgo ed il ginecologo. L'uomo che gli si presentò davanti aveva un aspetto rassicurante, brizzolato sulla cinquantina. Gli sorrise gentilmente.
- Buongiorno Signor Castle. Sono il dottor Harold, il neurologo di sua moglie.
Castle lo salutò cordialmente ma il suo linguaggio del corpo nascondeva una agitazione impossibile da celare.
- Abbiamo appena fatto una risonanza alla signora Beckett. Fortunatamente non abbiamo riscontrato cicatrici a livello neurologico. Adesso la mia equipe le facendo altri accertamenti, ma la sua amnesia non è da ricondurre a lesioni, per quanto possiamo valutare ad oggi.
- Questo cosa vuol dire dottore? Riacquisterà la memoria? Quando?
- Non le posso dire una tempistica e nemmeno se lo farà, purtroppo. Per il suo disturbo non è possibile stabilire una prognosi certa.
- Come è meglio che mi comporti? Lei non si ricorda di me, non ha alcun ricordo di noi. Non vorrei peggiorare le cose. La posso vedere?
- Certo, anzi la sua presenza potrebbe aiutarla a ricordare. Mi raccomando, non la forzi e se vede che si affatica, le lasci tempo. Cerchi di leggere i suoi stati d'animo e si comporti di conseguenza. È sua moglie, saprà come comportarsi. - gli sorrise benevolo e Castle sorrise a sua volta.
- Dottore, un'altra cosa... Per il bambino... Kate non sapeva di essere incinta prima del nostro ferimento. Come posso...
- Come le dirà tutto il resto. A livello medico non c'è nessun problema, per quanto riguarda le sue reazioni emotive dovrebbe chiedere consiglio ad uno specialista. Il problema di sua moglie è psicologico, provocato dal trauma subito.
Si salutarono cordialmente. Jim aveva ascoltato, un passo indietro rispetto a Castle, tutta la conversazione, senza mai intromettersi. Chiese a Rick come intendeva comportarsi e lui rispose che quella mattina l'avrebbe vista ed avrebbe cominciato a spiegarle di loro.
Si era allontanato pochi minuti, per andare a prendere i soliti fiori ed i soliti due caffè. Decaffeinato si ricordò, per quello di Kate. Era già entrato completamente nel ruolo di marito e futuro padre premuroso. Sarebbe stato un percorso difficile, lo sapeva. Non era certo così che aveva immaginato e sognato questo evento da vivere con Kate, ma non poteva lasciarsi andare a quello che voleva o che aveva sognato. Doveva fare i conti con gli ostacoli che il destino aveva messo ancora una volta davanti a loro ed affrontarli, insieme a lei, nella speranza che lei volesse combattere il destino con lui, come avevano sempre fatto.
Aveva chiamato Alexis e l'aveva aggiornata riguardo le condizioni di sua moglie e le chiese se poteva portargli la copia di Storm Fall di Kate. Aveva tenuto, quando si era trasferita al loft, a portare la sua collezione di libri, quelli che aveva letto, sfogliato, segnato le pagine, vissuto ed anche bagnato con le sue lacrime. Li teneva dentro una scatola nella cabina armadio e Castle aveva spesso sorriso di questo. Si preoccupò di specificare più volte a sua figlia che doveva prendere proprio quella, non una delle sue qualsiasi.
Aveva aggiornato anche i ragazzi del distretto lasciandoli con la promessa che si sarebbero sentiti di nuovo nel pomeriggio se ci sarebbero state novità. Odiava fare continuamente quel giro di telefonate, però capiva che anche tutti loro erano preoccupati per Kate e si sentiva nell'obbligo morale di farlo.
Rimase un po' fuori a respirare l’aria fresca mattutina, seduto in una panchina. Cercò di mettere a posto le idee su quello che avrebbe dovuto dire a Kate e in che modo. Da dove avrebbe cominciato? Provò a tornare indietro nel tempo con la memoria, a quei primi tempi in cui l'aveva conosciuta, pensava a quello che era lui e a quello che era lei al tempo. Quella ragazzina con i capelli corti, lo sguardo duro ma quello splendido sorriso che ogni tanto sfuggiva al suo controllo e alla sua figura impostata.
Avrebbe dovuto parlare a quella Kate, per quanto la situazione era difficile e lo angosciava, sorrideva all'idea. Se non fosse stato tutto così tragico poteva quasi pensare che la situazione lo stuzzicava e lo intrigava, l'idea di riconquistare di nuovo sua moglie e farla innamorare di nuovo di lui sarebbe stata stimolante in un qualunque altro momento per lui, ma ora no. Ora avrebbe voluto solo bearsi del suo abbraccio, della morbidezza delle sue labbra, assaggiare di nuovo il suo sapore, stringerla a se ed accarezzarle i capelli ispirando il suo profumo fino ad inebriarsi di lei, parlare di loro e riuscire a ridere e sdrammatizzare anche di quanto era accaduto. Lui ne era convinto insieme a lei sarebbe stato più facile guarire, entrambi, nel fisico e nell'anima. Così non sapeva cosa sarebbe accaduto.
Vide sua figlia arrivare a passo svelto, le fece un cenno e lo raggiunse, sedendosi vicino a lui. Non le aveva ancora detto nulla del bambino, lo avrebbe fatto, appena lo avrebbe saputo Kate. Prima di uscire era stato chiaro con tutti i dottori e le infermiere: doveva essere lui a dire tutto a Kate. Lui non altri. Quindi se c'era qualsiasi urgenza che lei lo sapesse glielo avrebbero dovuto dire cosicché lui avrebbe potuto parlarle prima. Lui non lo aveva detto a nessuno perché lei doveva essere la prima a saperlo. Solo Jim lo sapeva, era sua figlia, glielo aveva dovuto dire. Ma se la notizia lo aveva fatto sprofondare ancora di più nella disperazione e nella tristezza mentre lei era lì inerme su quel letto ora che si era svegliata, sapeva che era viva e stava bene, era entusiasta tanto quanto Rick anche se da uomo discreto qual era non lo dava a vedere, ma ogni volta che ne parlavano i suoi occhi brillavano di una luce diversa, la luce della vita che era tornata a toccare il suo cuore dopo giorni terribili ed anni bui.
- Papà?
Alexis lo ridestò dai suoi pensieri nei quali si perdeva, come sempre più spesso gli capitava.
- Ehy ciao piccola.
- Ti ho portato il libro di Kate. Come sta? L'hai vista.
- No, non ancora. Vado tra poco. Mi accompagni a prendere i caffè?
La figlia prese il mazzo di gigli bianchi e rosa che il padre aveva appena comprato e lo accompagnò a prendere i consueti due caffè. Non avrebbero dovuto berlo nè lui nè Kate. Andarono insieme fino a davanti la porta di camera di Beckett. Mandò un messaggio a Jim dicendo che era tornato e l'uomo poco dopo uscì. Castle era visibilmente agitato, si sentiva come un adolescente al primo appuntamento, con l'incognita che la sua lei non sapeva nulla e quella lei era sua moglie. Prese il caffè, i fiori sottobraccio da una parte, il libro dall'altra ed il sacchetto con le brioches. Pregò di non far cadere tutto e di non essere troppo goffo. Respirò profondamente. E si incoraggiò "Dai Rick, è Beckett e non ha nemmeno la pistola adesso, stai tranquillo"
Kate sentì bussare alla porta ed invitò ad entrare chiunque si trovasse al di là. Era confusa e non sapeva perchè era lì, sapeva solo che le faceva male tutto. Le avevano detto che aveva perso la memoria, non di un giorno o di poco tempo ma di 8 anni. Una vita, la sua vita, completamente cambiata, stravolta.
Aveva fatto molte domande a suo padre che le aveva risposto a volte convinto altre molto evasivo. Ma Jim Beckett non era mai stato un uomo di tante parole con lei, pur essendo un avvocato. Le aveva sempre detto il minimo indispensabile per farle capire i suoi pensieri e non era diverso adesso. Gli aveva chiesto di Castle e le aveva fatto capire che tra lei e lo scrittore c'era un rapporto molto profondo. "Katie, Castle è molto importante per te, lo è sempre stato negli ultimi anni. Fidati di lui." A suo padre sembrava piacere. Eppure lei di lui sapeva quello che aveva letto sulle pagine di gossip nei giornali, playboy incallito ed uno dei single più ambiti di New York. Ma questo era quello che sapeva di lui sette anni fa.
Castle carico di roba tra le mani e non solo entrò nella stanza provando ad accennare un saluto. Kate lo osservava muoversi nella stanza con più disinvoltura di quanto pensasse, senza, apparentemente, prestarle nemmeno molta attenzione, non poteva sapere quanto era lontano dalla realtà quel pensiero. Appoggiò tutto nel tavolo dall'altra parte dell'ambiente rispetto al letto, si avvicinò al comodino prendendo il vaso di fiori, tolse quelli del giorno prima e mise i freschi rabboccando un po' l'acqua prendendola in bagno e rimettendo poi il vaso al suo posto. Prese il libro, i caffè e la busta con le brioches e finalmente si sedette vicino a lei che aveva osservato perplessa tutte le sue mosse senza che le avesse ancora rivolto la parola. Castle fece un altro respiro profondo guardandola e le sorrise. Lei rispose al sorriso timidamente.
Prese un bicchiere di caffè ed una brioche dal sacchettino.
- Caffè macchiato freddo con due bustine di zucchero di canna ed una brioche. Buongiorno Kate.
Le allungava le mani con quei generi di conforto e Beckett aveva già l'acquolina in bocca nel sentire l'aroma del caffè inebriarla. Aveva veramente voglia di berne un sorso.
- Posso? - gli chiese dubbiosa. Lui in realtà non ci aveva pensato se poteva, non lo aveva chiesto a nessuno, come aveva potuto essere così stupido e superficiale da dimenticarsi una cosa così basilare? Ora aveva il dubbio che le potesse fare male bere il caffè e mangiare una brioche.
- Ok, aspetta. - appoggiò tutto sul comodino, uscì lasciando una Kate attonita a guardarlo andare fuori di corsa, mentre lei si lasciava avvolgere dal profumo di quel caffè tentatore. Castle stette fuori qualche minuto e poi rientrò e riprese il suo posto.
- Hai mangiato nulla da quando ti sei risvegliata? - Le chiese subito
- Sì ieri sera e questa mattina, nulla di buono però.
- Allora facciamo che puoi. Un sorso di caffè ti farà bene, almeno all'umore.
Era uscito ad informarsi piombando nella sala medici così di corsa che il personale si era spaventato che si trattasse di qualche emergenza seria. Era il caffè, il loro primo caffè insieme per quello che Kate si ricordava, era un'emergenza più che seria secondo Castle e che nessuno avesse provato a contraddirlo perchè non aveva tempo di spiegare.
Kate diede dei piccoli morsi alla brioche, due o tre, non di più, poi si sentì piena. Bevve qualche sorso di caffè chiudendo gli occhi mentre assaporava il gusto e Castle fece altrettanto con il suo, poi le riprese tutto deponendoli vicino a lei sul mobiletto. Si avvicinò per toglierle delle briciole cadute sul lenzuolo e lei osservava i suoi movimenti delicati imbarazzata. Castle si appoggiò sulla poltrona e la guardava con lo stesso imbarazzo torturandosi le mani. Aveva preparato un bel discorso ma non sapeva da dove incominciare. Fu Kate a prendere la situazione in mano e rompere il silenzio.
- Quindi dicono tutti che ci conosciamo.
- Già, direi che sì, ci conosciamo Beckett.
- Mi chiami sempre Beckett, Castle?
- All'inizio non volevi che ti chiamassi in altro modo. Poi diciamo che abbiamo trovato dei compromessi. Però sì, lo faccio ancora, così come tu mi chiami Castle, o Rick.
- Mi dispiace non ricordarmi di te - gli disse sincera.
- Mi dispiace che non ti ricordi di noi - le rispose con altrettanta franchezza.
Questo Richard Castle che aveva davanti era ben diverso da quello dei suoi ricordi, delle copertine patinate, aveva un sorriso triste ed anche i movimenti del suo corpo erano lontani da quelli di un uomo spavaldo e pieno di se. Si muoveva sicuro ma lentamente, lo aveva studiato, sembrava affaticato o forse dolorante.
- Tu non l'ammetterai mai con me, ma so che sei una mia fan, da prima che ci conoscessimo. Se non ti ricordi di me non ti ricorderai di Storm Fall quindi ho pensato di portarti il tuo libro. Te lo avevo regalato durante il nostro primo caso.
- Frena Castle. Il nostro primo cosa?
- Il nostro primo caso.
- Cioè io e te abbiamo lavorato insieme ad un caso?
- Sì, cioè a molto più di uno. Questo era il primo.
- E perché mai io avrei dovuto lavorare con te?
- Sei venuta tu a cercarmi, perché essendo una mia fan, ti eri accorta che una serie di omicidi erano ripresi dalle mie opere, anche alcune poco famose, quindi eri assolutamente una mia fan accanita! - disse compiaciuto. Questa cosa, a distanza di anni, ancora lo riempiva di orgoglio e faceva espandere il suo ego.
- Su quanti altri omicidi ho indagato, ispirati ai tuoi romanzi, per farti lavorare con me?
- Solo quelli di quel caso.
- E...?
- Ed ho convinto il sindaco a fare pressioni sul tuo capitano per seguirti mentre lavoravi, per fare delle ricerche sul campo.
- Cosa hai fatto Castle? Hai chiamato il sindaco per venirmi dietro mentre lavoravo? Ma il mio è un lavoro serio, non sono i tuoi giochi da scrittore!
Castle rise. Era la sua Beckett, o meglio la Beckett che non era ancora sua, però era lei.
- Ed ora perchè ridi Castle?
- Perchè questo discorso me lo hai fatto tante volte.
Lei diventò seria, colta in fallo e riportata alla realtà. Lui tutto quello lo aveva già vissuto ed anche lei, se solo se lo fosse ricordato. Notando il cambiamento di umore di Kate, Castle smise di sorridere.
- Ehy Kate, è tutto ok. Me lo puoi dire altre mille volte se vuoi. Ti ho portato il libro perchè ho pensato che magari ti sarebbe piaciuto leggere un po' durante il tuo soggiorno qui.
Le prese istintivamente la mano, poi la lasciò subito, pensando che quel gesto ancora non se lo potesse permettere. Rick le porse il libro e lei guardò curiosa la copertina, le sembrava di aver aspettato tantissimo per leggere l'ultimo capitolo della saga di Storm. Pensava che in realtà lo aveva già letto e la cosa la metteva a disagio. Si chiedeva se Castle avesse scritto altro nel frattempo, chi sarebbe stato il protagonista dei suoi prossimi libri visto che si sapeva che quello sarebbe stato l'epilogo di quella saga che tanto aveva amato. Aprì la prima pagina, lesse la dedica e sorrise. "Kate, I couldn’t think of a better partner in crime". Allora era vero, l'aveva aiutata in qualche modo, anche se non poteva immaginare come.
- Non è che questa cosa l'hai scritta poco fa solo per procurarti una prova, Castle? - gli chiese sorridendo con un tono vagamente interrogatorio, per quanto le sue condizioni lo permettessero.
- No, no detective! Non mi permetterei mai! Anche se ora dovrei chiamarti capitano però di fatto all'epoca eri ancora una detective ed ora ricordi che sei una detective quindi...
- Taci, Castle! - interruppe il suo sproloquio e lui si fermò immediatamente mai così diligente. La stava volutamente provocando, provando a ricostruire quelle dinamiche che c'erano sempre state tra loro e la cosa evidentemente funzionava e lei reagiva meglio di quanto lui pensasse, anche se sembrava molto più stanca di quanto volesse mostrare. Anche questo non era cambiato, era sempre la sua ostinata Kate, smemorata ma sempre lei.
- Se sei stanca, se preferisci posso leggertelo io. Poche persone hanno il privilegio di una lettura privata di Richard Castle di un suo libro, dovresti approfittarne. - sentì il suo sguardo-sguardo attraversarlo. Ne fu felice ed intimorito, come sempre - oppure se preferisci me ne posso andare e tu puoi leggere in tranquillità.
- Nessuna delle due cose. - Disse decisa. - Però resta, per favore.
- Ok, certo Beckett. Resto tutto il tempo che vuoi. Sempre.
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Capitolo 4 *** QUATTRO ***
Beckett non sapeva perché gli aveva chiesto di restare, si diceva mentalmente perché le era sempre piaciuto come scrittore ed era un'occasione per conoscerlo un po' di più, per studiarlo. Suo padre le aveva detto quanto lui fosse importante nella sua vita ma lei non riusciva a capire come lui era potuto entrarci. Ok, la seguiva nei suoi casi, però perché questo era diventato importante? Lei lo osservava e lui ne era consapevole e la lasciava fare. In altre occasioni le avrebbe fatto le più pungenti battute che gli venivano in mente adesso no, era giusto che lei prendesse confidenza con lui, imparasse di nuovo a conoscerlo e riconoscerlo. Kate percepiva che lui provava un forte sentimento nei suoi confronti, lo capiva da come la guardava, dalla dolcezza dei suoi movimenti per qualsiasi cosa avesse bisogno, come quando gli aveva cortesemente chiesto un bicchiere d'acqua e lui glielo aveva portato per poi aiutarla a bere, sorreggendola delicatamente e scusandosi immediatamente per quel tocco che a lui era venuto così naturale da non accorgersi che aveva pericolosamente invaso il suo spazio. Kate fu sorpresa ma non indisposta da quella premura verso di lei e si stupì di se stessa, a nessuno dei suoi amici avrebbe permesso una simile confidenza, figuriamoci ad un estraneo che conosceva appena, oltretutto con una pessima fama.
- E quindi sono capitano adesso?
- Sì, capitano Beckett.
- Esposito e Ryan non mi hanno detto nulla.
- Aspettavamo di parlare con il tuo medico per sapere come comportarci - le disse serio ed anche lei ora era più seria.
Era arrivato il momento di sapere di più. Su di lei, su di lui, perché era lì, perché erano lì, insieme, due perfetti estranei, per quel che ricordava lei, che però sembravano legati inesorabilmente. Percepiva questo legame e la destabilizzava, lei non voleva legami. Erano pericolosi, facevano male, si rimaneva scottati, sempre, e lei non voleva più soffrire, le sembrava già abbastanza il dolore fisico che stava sentendo per permettere ad un altro tipo di dolore di ferirla intimamente, ancora una volta.
- Castle, mio padre mi ha detto che posso fidarmi di te.
- Puoi farlo sempre, Beckett.
- Ho bisogno di risposte. Perché sono qui e perché tu sei qui con me? Cosa c’è tra noi?
- Ti hanno sparato, o meglio ci hanno sparato.
- Lavoravamo ad un caso?
- No, eravamo a casa. A casa nostra. Noi… noi siamo sposati, Kate. - Le disse con la voce tremante, mostrandole la sua mano sinistra con la fede. Si rese conto in quel momento, in quel momento, che stava comunicando a sua moglie che erano sposati, perchè lei non lo ricordava ed era più difficile di quanto pensasse. Non ricordava che era sua moglie, di cosa avevano passato per arrivare quel giorno a pronunciare quel sì, non ricordava cosa si erano promessi nè le emozioni di quel giorno che erano, invece, indelebili nella sua memoria, quelle parole alle quali si era aggrappato ogni volta che erano stati separati. Lei guardò la sua mano e non vide nulla. Castle si affrettò a cercare nella tasca della giacca e prese la fede di Kate. Gliel’avevano consegnata, insieme agli altri suoi effetti personali, appena si era risvegliato. Era stato Jim ad insistere che tutto fosse dato a lui, era suo marito. Da allora Rick la portava sempre con se, aspettando con ansia il momento in cui avrebbe potuto rimetterla nell’unico posto dove doveva stare, all’anulare sinistro di sua moglie. Adesso, però, in quella situazione gli sembrava così difficile fare quel gesto, forse anche inopportuno. Teneva l’anello tra le sue dita e guardava Kate, guardava i suoi occhi preoccupati e confusi, persi nell’osservare con terrore quel cerchio metallico che tra le dita grandi di Castle sembrava ancora più piccolo e fragile, come se premendolo avrebbe potuto schiacciarlo e distruggerlo. Rick, invece, lo teneva appena tra pollice e indice, con un tocco così leggero che aveva quasi paura che gli potesse scivolare. Indeciso su cosa fare, la appoggiò sul comodino, togliendo il caffè ormai freddo e quel che restava della brioche, buttandoli nel cestino. Non voleva farle alcun tipo di pressione, lei voleva sapere, lui le aveva detto come stavano le cose. Non pretendeva che solo perché sapeva che si erano sposati, lei, non ricordandosi nulla, si fosse comportata come la sua Kate, perché Beckett non l’avrebbe mai fatto.
Kate seguì i movimenti di Castle, quasi ipnotizzata da quell’anello, lo osservò posarlo vicino a lei e soffermò ancora lo sguardo su quell’oggetto così piccolo ma così importante.
Era sposata.
Era sposata con Castle.
Katherine Beckett era sposata con Richard Castle.
Se lo ripeteva in mentalmente senza riuscire a commentare la cosa. Per un attimo pensò che stesse scherzando, ma la faccia di Rick era troppo seria per essere uno scherzo.
Si chiedeva come fosse possibile dimenticarsi di tutto, dimenticarsi di amare una persona tanto da poterla sposare, tutto quello che c’era stato tra loro, quello che provava per lui. Lo guardava, adesso. Era un uomo affascinante nell’aspetto e nei modi, aveva una bella voce, due profondi occhi azzurri che la guardavano adoranti. Si sarebbe potuta innamorare di lui? Sì, forse lo avrebbe potuto fare, ma non lo ricordava. Non ricordava nulla e lui era lì, silenzioso, ad osservare ogni suo più piccolo movimento, ogni mutamento nella sua espressione, attento a non fare nessuna mossa sbagliata.
Si sentì a disagio, molto a disagio.
Aveva capito che la relazione tra loro era qualcosa al di là di una semplice amicizia e un rapporto lavorativo, ma non avrebbe mai pensato di essere sposata. Aveva davanti una persona per lei estranea, che era suo marito, che la guardava come non l’aveva mai guardata nessun uomo prima d’ora. Non riusciva a sostenere quello sguardo e percepì chiaramente, in quel momento, la sua situazione, come se quella vissuta fino ad ora, fosse stata solo una presentazione cortese con uno sconosciuto informato sulla sua vita, tanto da portarle esattamente il caffè che voleva, la sua brioche preferita ed il libro che voleva leggere. Questo però lo avrebbe potuto fare chiunque, ma guardarla così no.
In quello sguardo c’era tutto il tempo che lei non ricordava e lui sì, c’era la vita che aveva dimenticato.
Riuscì solo a sussurrargli uno “Scusami Castle” tra i singhiozzi che non poté trattenere. Non aveva mai immaginato che dimenticarsi qualcosa della sua vita, delle sue emozioni, potesse essere così frustrante, per anni aveva sperato di dimenticare quello che era accaduto, di non ricordarsi del dolore, del senso di vuoto, avrebbe voluto cancellare quei ricordi dalla sua mente. Adesso, invece, quei ricordi erano sempre lì, vividi, che facevano male nello stesso modo, ma aveva cancellato, ne era sicura, qualcosa di importante. Sentiva le lacrime scendere sul suo viso ed il petto farle male, fece qualche respiro più profondo a cercare aria e di calmarsi, senza grandi risultati.
Castle la guardava preoccupato, non sapeva come aiutarla, avrebbe voluto stringerla a se, come faceva sempre, sapeva che nascondendo il volto nel suo petto, respirando il suo profumo, la sua Kate si calmava, mentre lui le accarezzava i capelli. Ma lei no, aveva paura che potesse reagire male, farla stare peggio. Le prese la mano, la strinse tra le sue. Era più piccola e magra di quanto ricordasse. Lei si voltò istintivamente verso di lui, senza riuscire a smettere di piangere, portandosi l’altra mano sul petto, allarmandolo ancora di più. Si sentiva avvolgere e stritolare da una morsa gelida intorno al petto che le impediva di fare qualsiasi cosa ed il cuore pulsare così forte che poteva percepirlo in tutto il petto, fino a farle male.
- Beckett, calmati. Non hai niente di cui scusarti con me. Credimi. Va tutto bene, ascoltami. Va. Tutto. Bene. - Parlava lentamente, accompagnando con movimenti della testa le sue parole cadenzate, cercando di imprimere, in quel modo, un ritmo più normale al respiro affannato di lei e sembrò funzionare.
- Ok Beckett? Va tutto bene - le disse ancora mentre lei fece solo un cenno di assenso. - Stai male? Chiamo qualcuno? - Scosse la testa, non voleva altri medici intorno, non adesso. Aveva ragione lui, doveva solo calmarsi. Fissava le sue mani che tenevano la sua, e non riusciva a togliere lo sguardo dalla fede di lui.
Rick aspettò che si calmasse e poi la sciolse dalla sua presa, mentre lei seguiva con lo sguardo il movimento delle sue mani. Senza rifletterci troppo fece una cosa che non avrebbe mai immaginato di fare, si sfilò l’anello e lo mise vicino a quello di lei sotto lo sguardo stupito di Kate.
- Nessuna pressione Beckett. Non c’è fretta. Quando sarai pronta, quando vorrai tu, ok? Non cambia niente per me. - Le accarezzò la testa mentre lei annuì ancora, sentendosi inconsapevolmente sollevata. Forse aveva chiesto troppo a se stessa nel voler sapere di più della sua vita, forse non era ancora pronta.
In quel momento bussarono alla porta e subito dopo entrò un’infermiera che portava a Kate il pranzo.
- Come va oggi signora Castle? Ha fame? - Beckett sgranò gli occhi e guardò Rick che non riuscì a nascondere un sorriso, ma poi tornò subito serio.
- Veramente non molta, anzi ho anche un po’ di nausea.
- Oh ma è normale nel suo stato - l’infermiera fu fulminata dallo sguardo di Castle e si interruppe subito - con le medicine che sta prendendo e dopo quello che le è successo… - cercò di riprendersi, mentre sistemava il vassoio davanti a lei. - Se ha bisogno di qualcosa e suo marito deve andare, ci chiami pure - Si sarebbe mai abituata che Richard Castle era suo marito e che per il resto del mondo, tranne che per lei, era la signora Castle?
- Non si preoccupi, rimarrò io con lei, non c’è altro posto dove devo stare. - Parlava con l’infermiera ma fissava Kate, non poteva e non voleva dirle di più, ma voleva farle capire quanto per lui fosse importante.
L’aiutò a sistemarsi, questa volta chiedendole prima il permesso, posizionandole meglio i cuscini dietro la schiena e alzando lo schienale del letto, chiedendole almeno dieci volte mentre faceva quelle semplici operazioni se andava bene e se stava comoda.
- Sei sempre così premuroso ed attento con me? - Gli chiese Kate sorridendo cercando di allentare la tensione che si era creata prima che le portassero il pranzo
- Solo quando tu me lo permetti quindi molto meno di quanto vorrei. - Rispose con tono canzonatorio mentre toglieva i coperchi dai piatti sul vassoio osservando il cibo con faccia alquanto schifata. - Mi ero quasi dimenticato quanto si mangia male in ospedale… Sta venendo la nausea anche e me…
- Non sei di aiuto così Castle eh! Per niente! - Rise Kate muovendo con il cucchiaio la minestra nel suo piatto e Rick rise a sua volta, felice di sentire per la prima volta dopo troppo tempo, la risata gioiosa di sua moglie.
L’aiutò anche a mangiare, un po’. Non riuscì a forzarla più di tanto anche se ne aveva bisogno, perchè gli risultava oggettivamente difficile convincerla a mangiare quelle cose. A quel problema avrebbe pensato dopo.
Quando uscì dalla sua stanza, dopo che lei si era addormentata e lui le aveva delicatamente baciato i capelli prendendosi quel contatto ancora proibito quando era sveglia, respirò profondamente, era stato più difficile di quanto si era immaginato. Gli sembrava di essere un alcolista in una distilleria che si sforzava in tutti i modi di non cedere alla tentazione di bere. Ecco, questo era stato per lui cercare di starle lontana, una lotta continua delle sua forza di volontà contro il suo istinto, della ragione contro il suo cuore. Aveva passato le ultime settimane a sognare il momento in cui l’avrebbe potuta abbracciare, in cui l’avrebbe baciata di nuovo ed invece si trovava a chiederle il permesso per aiutarla a sistemare i cuscini e a tremare per la reazione che avrebbe avuto se le avesse stretto la mano.
Non pensava che fosse facile, non lo aveva mai creduto da quando gli avevano detto la sua situazione. Però non così. Guardò la sua mano e sull’anulare si vedeva ancora il segno di dove aveva tenuto la fede, senza averla mai tolta nell’ultimo anno e mezzo ed ora era vuota. Era vero, per lui non cambiava niente di quello che provava per lei, però gli sembrava così strano vedere la sua mano senza quell’anello simbolico. Lo aveva fatto per lei, si ripeteva, solo per lei. Ed era una cosa temporanea. Le avrebbero rimesse, insieme, quando lei si sarebbe sentita pronta.
Uscì dall’ospedale e nonostante la fatica ed il dolore che cominciava a sentire, era sempre convalescente anche lui, anche se non voleva ricordarlo nemmeno a se stesso, fece qualche passo all’aria aperta, fino ad arrivare a quel parco che aveva casualmente scoperto lì vicino. Aveva bisogno di un po’ di aria, di togliersi dalle narici l’odore di ospedale e disinfettante e le fredde luci al neon. Per fortuna almeno l’arredamento delle camere non era così ospedaliero, se non fosse stato per i macchinari ed il letto elettrico, poteva sembrare un hotel più che decente, con i mobili in legno e le rifiniture colorate, la poltroncina in pelle e le pareti di un confortevole color avorio, non troppo vistoso, ma decisamente più familiare ed amichevole di quel verde pallido tendente al grigio di dove erano prima.
Kate aveva reagito peggio di quanto pensava alla notizia che erano sposati. Stava avendo un attacco di panico, se ne era accorto. Di certo non la cosa migliore che le possa capitare adesso. Rick, però, doveva darle ancora la notizia che era ancor più destabilizzante, doveva dirgli del bambino. Lo era stato anche per lui, quando glielo avevano detto, figuriamoci cosa sarebbe stato per lei, sapere di aspettare un figlio da qualcuno che fino al giorno prima nemmeno sapeva di conoscere. Era qualcosa che avrebbe sconvolto la vita di chiunque nel suo stato, figuriamoci di chi, come lei, non aveva alcun ricordo di come potesse essere accaduto.
Castle lo amava già quel bambino, incondizionatamente così come amava la donna che glielo avrebbe donato. Voleva solo che stessero bene entrambi, nulla di più. Non era poi tanto no? Dopo tutto quello che il destino gli aveva preso, almeno questo glielo doveva, vivere felice con sua moglie e suo figlio, non avevano pagato un conto già troppo salato al mondo in tutti quegli anni?
Invece no, sembrava che anche questo fosse troppo anche se era una cosa così normale. Tremava alla reazione che Kate potesse avere e, dopo che l’aveva vista così turbata per averle detto che era sua moglie, tremava anche all’idea di cosa avrebbe deciso di fare, perchè lui, adesso, stava considerando tutte le ipotesi anche quelle più negative, quelle che lo terrorizzavano di più.
Doveva parlare con qualcuno, doveva avere il parere di un esperto, di chi gli consigliasse come comportarsi. Gli venne in mente il nome di una sola persona che già conosceva sia lui che Kate e tutto quello che aveva passato negli anni, i suoi traumi fisici ed emotivi: il dottor Burke.
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Capitolo 5 *** CINQUE ***
Prima di tornare in ospedale aveva chiamato anche il suo amico Philip, il Food & Beverage Manager dell’hotel dove risiedeva ormai da qualche settimana. Si era fatto dare dall’ospedale tutte le indicazioni su quello che Kate doveva mangiare in quei giorni e le aveva girate a lui, insieme alle sue aggiunte su quelli che erano i suoi cibi preferiti. Avrebbero pensato loro a preparare i pasti a sua moglie e a portarglieli agli orari stabiliti. In ospedale non erano stati inizialmente troppo entusiasti di questa sua trovata, ma dopo che aveva parlato con uno degli amministratori delegati e promesso una generosa donazione, non c’era stato nessun impedimento alla sua richiesta. Ormai non si stupiva più di come con i soldi si potesse comprare tutto, o quasi, perchè se fosse così, avrebbe speso il suo intero patrimonio per comprare un po’ di serenità per lui e Kate, per vivere quella vita normale che aveva sempre sognato per loro e che, fino ad ora, non avevano mai avuto, se non per qualche raro momento che intervallava una situazione critica ad un’atra. Non poteva arrendersi al fatto che il loro destino sarebbe stato quello per sempre.
Aveva parlato con Burke per molto più tempo di quanto avesse pensato. Voleva chiedergli soprattutto di Kate, aveva finito per parlare per lo più di se stesso, di come si sentiva e delle sue paure. Ne aveva bisogno, gli sembrava che nessuno dei suoi amici o parenti riuscisse a capirlo. Aveva passato un mese a preoccuparsi delle condizioni di sua moglie che non riprendeva conoscenza, ma tutti si preoccupavano solo delle sue ferite fisiche, senza capire che quello che lo faceva stare male realmente era la situazione di Kate. Il dottore, infine, gli aveva detto che se voleva poteva andare nel suo studio per parlarne in maniera più approfondita, oppure potevano vedersi da lui. Castle lo ringraziò ma tornò al punto centrale di tutti i suoi problemi: Kate. Come doveva fare? Burke gli disse quello che forse già sapeva, che non c’era un modo migliore di un altro e nessuno sapeva come realmente avrebbe potuto reagire, ma di ricordarsi che, sebbene lei non ricordasse coscientemente gli ultimi anni della sua vita, se non aveva subito lesioni come gli avevano detto, nel suo inconscio erano presenti le stesse paure che l’avevano sempre attanagliata, solo che non ne era consapevole, ma l’attacco di panico che gli aveva descritto, era un sintomo. Gli consigliò, infine, di parlare con lei e di dirle che se voleva, potevano incontrarsi, ma doveva essere una cosa che nasceva da lei, lui non poteva imporre la sua presenza e nemmeno Castle forzarla a parlare con qualcuno.
Aveva poi chiamato un taxi e si era fatto accompagnare al loft. Non c’era più rientrato, non aveva con se nemmeno le chiavi e sperava che ci fosse qualcuno: aveva agito d'impulso, senza avvisare nè Alexis nè Martha. Bussò alla porta, attese e poi gli aprì un uomo. Era biondo, robusto, capelli a spazzola, sporco di vernice e segatura. Era uno degli operai che stavano ristrutturando la sua cucina. L’uomo lo guardò con circospezione. Si presentò, disse di essere Richard Castle, il proprietario di casa, ma aveva dimenticato le chiavi. Il suo sorriso ed il suo charme non riuscirono a conquistare l’uomo che non aveva nessuna intenzione di farlo entrare e lui sentiva di star perdendo troppo tempo sulla soglia di casa sua, tempo che avrebbe volentieri dedicato a Kate. Proprio mentre stava per chiamare Edward, il suo architetto, sentì dei passi più leggeri scendere le scale, si sporse con la testa verso l’interno e vide sua figlia.
- Mi sembrava di aver sentito la tua voce papà! Dai entra! - Alexis fece cenno all’operaio di spostarsi per far entrare suo padre.
Mosse i primi passi incerti dentro la casa e fissò la zona della cucina. Non c’erano ancora i mobili, ma il pavimento era nuovo, le mura ridipinte e poteva vedere sul muro le tracce di dove sarebbe stato collocato il nuovo mobilio.
- Sta venendo bene, che ne dici? - Chiese ad Alexis.
- Credo di sì, se per te è importante.
- Lo è, moltissimo. - Chiuse il discorso, pentendosi della domanda. Evidentemente non riuscivano a capirlo.
- Come mai sei qui? Kate sta bene?
- L’ho lasciata riposare, è ancora debole. Sono venuto a prendere alcune sue cose, dei vestiti e altre cose che penso le farà piacere avere.
- Ci voleva Kate per farti tornare a casa! - Alexis non si rese conto di quello che aveva detto fino a quando lo sguardo di Rick non la fulminò. Non si era mai sentita guardare da suo padre in quel modo. - Scusa papà… - ma da Castle nessuna risposta mentre andava in camera.
Prese una borsa e dentro ci mise alcuni cambi per Kate, il suo cellulare e poi aprì il suo cassetto per cercare qualcosa di più importante. Si sentiva a disagio a frugare tra le cose di sua moglie, non era sua abitudine invadere la sua privacy. Non voleva curiosare più del dovuto, ma quando vide il cartoncino di un bicchiere di caffè ripiegato ebbe un tuffo al cuore. Non sapeva che lei lo avesse tenuto tutto quel tempo, non sapeva fosse lì. Erano i primi tempi che stavano insieme, quando ancora al distretto non lo sapeva nessuno e loro si dovevano comportare come sempre, da buoni amici, nulla più. Un giorno, mentre lui era seduto alla sua scrivania e lei compilava i soliti rapporti di fine caso, prese il cartoncino del caffè che le aveva portato la mattina e scrisse dentro “I love you”. Ricordava ancora il suo sorriso imbarazzato quando lo aveva visto, gli occhi bassi e come era diventata rossa. Lei lo nascose nella borsa, preoccupata che qualcuno avesse potuto sbirciare anche lì. Adorava farla imbarazzare così.
Andò oltre, trovò la scatola che cercava, l’aprì e prese il suo prezioso contenuto. Lo mise in tasca e richiuse senza indugiare oltre in altre cose cariche di ricordi.
- Papà, posso accompagnarti? Pensi che potrò salutare Kate?
- Va bene andiamo, glielo chiederò.
Rick arrivò in ospedale accompagnato dalla figlia. Le chiese di aspettare fuori, voleva prime chiedere a Kate se se la sentisse di incontrare Alexis. Quando entrò nella sua stanza la trovò con il suo libro appena richiuso vicino al letto, ma quello che lo colpirono furono i suoi occhi, gonfi e rossi. Aveva pianto e lui si malediceva per non essere stato lì con lei. Era stato troppo al parco, troppo al telefono, troppo al loft. Rick non pensava minimamente che, se lui fosse stato lì, Kate avrebbe fatto di tutto per non lasciarsi andare ancora alle emozioni che faticava a trattenere e dava la colpa a questa strana situazione, senza sapere che oltre a quello c'erano anche i suoi ormoni che stavano impazzendo.
- Ehy Beckett, come stai?
- Uno schifo Castle, grazie, tu?
- Io ora bene, grazie. - Kate non capì che quello voleva dire che stava bene perchè era con lei, dovevano ancora sintonizzarsi su quella lunghezza d'onda che li faceva capire senza parlare: le loro frequenze erano ancora disturbate.
- Che fai, rimani lì sulla porta, oggi?
- No, è che vorrei presentarti una persona, se te la senti, fa parte della nostra famiglia.
A Kate si gelò il sangue nelle vene. Non è che avevano anche un figlio? Se erano sposati poteva essere, erano adulti, non sapeva ancora da quanto stavano insieme, ma poteva essere, no? Era madre senza saperlo? Si poteva dimenticare anche di quello? Rick notò il suo cambio d'espressione e si precipitò a precisarle che se non voleva non doveva preoccuparsi, ma lei a quel punto, paura o no, voleva sapere.
- Ok Castle, va bene.
Rick aprì la porta e fece cenno ad Alexis di venire. Quando entrò nella stanza e vide la giovane donna, Kate si rilassò, chiunque fosse era troppo grande per essere sua figlia. I due Castle si avvicinarono quindi a Kate, lasciando la borsa con le sue cose in fondo al letto.
- Beckett, lei è Alexis, mia figlia.
Kate notò il tono orgoglioso di Rick nel presentarle la ragazza che aveva gli stessi occhi azzurri del padre.
- Una delle tue chiome rosse, Castle! - disse senza pensarci.
- Come hai detto Beckett? - Alexis e suo padre si guardarono per poi volgere lo sguardo alla donna.
- Una delle tue chiome rosse? - ripetè dubbiosa. Da dove le era uscita quel l'espressione?
- Chi è l'altra, Beckett? - la incalzò Rick
- Io... Io... Non lo so.
- Ok, Kate, ok... Va bene così, è... È straordinario cioè, tu hai ricordato qualcosa, piccola, però qualcosa. Le chiamo solo io così... È grandioso, no? - Castle era pieno di entusiasmo per quella piccola cosa e fece sorridere le due donne. Kate da parte sua era contenta ma non riusciva a condividere il suo entusiasmo per una cosa così, a parer suo, insignificante: lui invece sembrava un bambino che avevano appena portato alle giostre. Alexis si trattenne con loro qualche minuto e poi se ne andò lasciandoli soli.
- Ti ho portato delle cose da casa, qualche cambio e il tuo cellulare. - le disse Rick indicandole la borsa e dandole l'apparecchio. Kate lo guardava stupita, in effetti anni fa gli smartphone era un po’ diversi anzi, a dire il vero non si ricordava nemmeno se ci fossero nella memoria di Kate, sapeva cosa erano? - è un iPhone, un modello nuovo, uscito da poco, ti serve una mano?
- Ehm... Sì grazie.
Rick accese l'apparecchio e digitò il codice di sblocco, che per fortuna sapeva, ma era uguale al suo, la data del loro matrimonio.
- È 1110 le disse. Te lo devo scrivere?
- No, penso di ricordarmelo - sorrise - per quanto riguarda il presente credo di avere ancora memoria. - si fece mentalmente i complimenti da sola per essere in grado di ironizzare su se stessa. - vuol dire qualcosa?
- 10 novembre, la data del nostro matrimonio. È lo stesso codice mio.
- Non è necessario che mi dici il codice del tuo telefono Castle.
- Non ho nulla da nasconderti e poi lo sapevi. - Non era vero. In quel momento una cosa gliela stava nascondendo ed avrebbe dovuto dirgliela il prima possibile.
Kate prese il telefono e, come prima cosa, si fermò ad osservare lo sfondo. Erano loro due, abbracciati, non vedeva i loro volti ma riconosceva la sua figura ed anche quella di Castle. Era sicuramente del giorno che si erano sposati. Provò strane sensazioni a vedersi. Era così intimo, le sembrava di sbirciare nella vita di qualcun altro, ed invece era lei. Osservava le loro mani, come si abbracciavano e si stringevano. Si stava emozionando a pensare a quelle sensazioni che non ricordava eppure a vedere quella foto le sembravano molto profonde.
- Ce l'ha scattata Alexis senza dirci nulla. Eravamo solo noi, mia madre e tuo padre. Non abbiamo molte prove fotografiche, mi dispiace.
- È molto bella. Romantica.
- Sì è stato tutto perfetto. - Poteva leggere nostalgia e tristezza nello sguardo di Rick, che poi tornò a spiegarle le funzioni base del telefono. Come leggere i messaggi, rubrica, chiamate preferite, foto, video, musica... - se mi devi chiamare mi trovi sotto la C, Castle, ma sono anche il primo dei preferiti!
- Grazie Castle.
- Ecco poi c'è un'altra cosa che vorrei darti... So che ci tenevi molto e prima la portavi sempre con te...
Kate a quelle parole capì a cosa si stava riferendo, si toccò istintivamente il collo e proprio in quell'istante Rick tirò fuori la collanina con l'anello di Johanna, mettendolo tra le mani di Kate che lo strinse lasciando scendere qualche lacrima. Allungò la mano cercando quella di lui e gliela strinse. Rick rimase sorpreso da quel contatto cercato da lei, ma poi subito strinse a sua volta la mano di lei.
- Grazie ancora.
- Non devi ringraziarmi per ogni cosa. Facciamo che mi dici un grazie generico che vale per 10 cose? Non ti preoccupare tengo io il conto e quando li hai finiti ti avviso così me ne dici un altro, ti va?
- Ok! - si chiese come gli venivano in mente certe cose, ma doveva aspettarselo, era la sua fantasia di scrittore.
- Castle, perché non lo portavo più? Hai detto che prima lo portavo sempre con me, ora non più?
- No. Da qualche anno non lo portavi più. Da quando lo hai arrestato Kate.
- Ho arrestato l'assassino di mia madre?
- Il mandante sì, lo hai arrestato.
- E l'esecutore?
- Lo hai ucciso tu. Per... Per salvarmi la vita. Mi stava per sparare e tu lo hai preceduto sparandogli.
- Chi era?
- Ne possiamo parlare in un altro momento Beckett? Ti racconterò tutto, tu sei stata grande, l'orgoglio di tutti, ma per oggi credo che sia sufficiente quanto hai saputo, no?
Kate voleva conoscere di più della sua storia, di come aveva risolto l’enigma dell’omicidio di sua madre, ma sapeva che aveva ragione lui. Sentì nelle sue parole e nel suo sguardo lo stesso orgoglio di quando le aveva presentato sua figlia. Questa sensazione la fece stare bene.
- Ok... Castle, quante volte ti ho salvato la vita in questi anni?
- Molte, ma secondo i miei conti sono sempre in vantaggio io.
- Tu che hai salvato la vita a me più di quanto ho fatto io con te? Nei tuoi sogni forse!
- Nei miei sogni non mi salvi la vita, o forse sì ma in altri modi!
Kate si accorse che si stavano, ancora, tenendo per mano e le osservò stupita del gesto: se ne accorse anche Castle e subito allentò la presa, per permetterle di ritrarsi.
- Castle, ti posso chiedere un favore?
- Quello che vuoi, Beckett.
- Uno specchio.
- Non ne hai bisogno, sei bellissima
Arrossì ed abbassò lo sguardo. Rick voleva proprio questo e la osservò incantato.
- Seriamente, Castle. Vorrei uno specchio, vorrei vedermi dopo tutti questi anni...
Non la fece finire di parlare, uscì lasciando la porta socchiusa, andando a parlare con le infermiere. Nel silenzio dell'ospedale riusciva a riconoscere la voce di lui che si stava alterando. Rientrò poco dopo a passo svelto con il broncio di un bambino a cui non hanno comprato il regalo che voleva.
- Non ce l'hanno. Te lo vado a comprare.
- Non fa nulla, me lo porti domani.
- No, aspetta. - si infilò nel bagno e lo sentì fare molto rumore. Ne uscì poi con in mano lo specchio a muro che aveva divelto. Kate lo guardava perplessa e sorpresa: aveva smontato lo specchio del bagno perchè lei aveva detto che ne voleva uno? Realmente?
- Castle, ma tu fai sempre così?
- Così come?
- Non dai mai ascolto e fai sempre tutto di testa tua fregandotene delle conseguenze?
- Ehm... Sì, più o meno.
- Ed io ti sopporto così?
- Uhm... Sì, direi di sì...
Kate roteò gli occhi verso l'alto e scosse la testa.
- Allora ti vuoi vedere? Disse avvicinandosi con lo specchio sul quale dietro c'era ancora qualche pezzo di intonaco.
- Sì. Gr...
- Shhh Beckett! Non lo dire! Te ne rimangono ancora altri 8, ricordi?
Castle le tenne lo specchio sollevato davanti a lei, mentre Beckett prendeva confidenza con la nuova immagine di se. Vedersi e non riconoscersi. Kate aveva un altro ricordo di se stessa, con i capelli più corti e scuri ed un’aria più da ragazzina. Nello specchio vedeva una donna, con qualche segno del tempo in più sul viso, fece qualche smorfia per controllare se avesse qualche ruga di troppo, ma potè notare solo l’eccessiva magrezza, dovuta anche all’ultimo mese in ospedale, le profonde occhiaie ed un colorito veramente poco sano. Passò una mano tra i capelli e pensò che forse corti erano più pratici e che desiderava tanto fare una doccia, anzi un bagno, un lungo bagno, con tanta schiuma.
- Castle come fai a dire che sono bellissima? - Gli chiese scoraggiata
- Per me lo sei, sempre. - Rispose lui convinto. Kate avrebbe pensato che una risposta del genere potesse essere una presa in giro, detta da qualunque altra persona, ma sentì nella sua voce una sincerità che la spaventò. Lui lo pensava veramente. Per lui, lei era veramente bellissima anche in quello stato in cui faticava anche a vedere la sua immagine e se la sua parte più femminile ne fu lusingata, quella più razionale aveva paura di un sentimento tanto forte da parte di quell’uomo che era lì, per lei, nonostante tutto.
Quando bussarono alla porta Kate non si aspettava che entrasse un giovane ragazzo pieno di buste e non capiva cosa facesse lì, credeva fosse una delle tante infermiere per una medicazione o altri accertamenti.
Castle le spiegò che era la cena. Beckett, passando il resto del pomeriggio a conversare, non si era accorta del tempo che era trascorso. Nonostante tutto era stata bene con lui, meglio di quanto poteva immaginare quella mattina quando lo aveva conosciuto.
Quello che aveva davanti sul vassoio, era certamente meglio di qualsiasi cosa avesse visto negli ultimi due giorni, ma probabilmente anche meglio di molti ristoranti in cui era solita andare.
Il logo sui piatti e le posate indicava la provenienza del cibo e quando guardò Castle in attesa di spiegazioni, si stupì nel vedere che anche lui aveva un vassoio del tutto uguale al suo appoggiato su un tavolino vicino al letto. Aveva pensato a tutto. Il ragazzo salutò, dicendo che avrebbero provveduto a portare via il tutto, il giorno seguente quando avrebbero portato il pranzo e in quel momento Kate capì che non era un’eccezione quella cena.
- Castle, seriamente? Mi fai preparare i pasti dal catering di un hotel a cinque stelle?
- Ci faccio preparare i pasti. - Le indicò anche la sua cena.
- Perchè?
- Punto primo devi mangiare e quella roba che ti hanno portato oggi non era per niente invitante e infatti non hai mangiato quasi nulla. Punto secondo non mi piace vederti mangiare da sola e nemmeno a me piace farlo. Quindi se non ti dispiace, faccio preparare per due, così mangiamo insieme.
- Non vai a mangiare a casa con tua figlia?
- Non sto a casa, al momento. Ho preso una camera in questo hotel da quando sono uscito dall’ospedale. Così potevo starti più vicino, venire più facilmente. E poi tornare a casa da solo quando non sapevo se e quando ti saresti svegliata… Non ce l’avrei fatta.
Non gli rispose, guardò in basso sul suo piatto. Era la prima volta che le parlava di se e di quello che aveva provato, avrebbe voluto dirgli qualcosa per fargli coraggio, ma non sapeva proprio cosa. Cominciarono a mangiare e presto quel silenzio fu sostituito da nuove chiacchiere sul cibo che era veramente buono e Castle aveva cominciato a raccontare storie buffe sul cibo dell’ospedale e la sua probabile provenienza aliena per forma e colore, raccontando ogni pietanza da quale pianeta dovesse venire in base alla sua consistenza.
Quando Jim la sera tornò a trovare la figlia li trovò così, a mangiare e ridere insieme. Pensava che sarebbe stata una strada lunga e difficile, ma almeno avevano fatto qualche passo.
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Capitolo 6 *** SEI ***
Castle se n’era andato subito dopo aver finito di mangiare. Aveva parlato qualche minuto fuori dalla stanza di Kate con Jim per aggiornarlo velocemente su quella giornata. Gli raccontò della crisi avuta dalla figlia quando le aveva detto che erano sposati e per questo oggi aveva evitato di dirle anche del bambino. Jim consigliò a Castle di andarsi a riposare: malgrado non lo volesse far vedere, stava accusando la stanchezza fisica ed emotiva della giornata. Rick sapeva che aveva ragione e se ne accorse soprattutto quando, arrivato nella sua stanza si spogliò e si tolse le bende che coprivano la sua cicatrice. Gli faceva male, più del solito, e si era gonfiata. Si medicò come meglio poteva e prese degli antidolorifici, poi si buttò sul letto sperando di riuscire a dormire qualche ora in più della notte precedente.
Anche Kate, nella sua stanza, era stanca ed affaticata, sebbene non si fosse mossa dal suo letto. Le faceva piacere, però, passare un po’ di tempo con suo padre che era molto più sereno della sera precedente. Kate si preoccupava per lui, sapeva quello che aveva passato dopo la morte della madre ed aveva temuto che in quel periodo in cui lei era stata in pericolo di vita, lui avesse potuto ricadere nelle vecchie tentazioni. Le aveva giurato di no e gli credeva. Le chiese come era stata quella giornata con Rick e Kate si trovò imbarazzata nel rispondergli, perché non ci aveva ancora pensato nemmeno lei. Piacevole. Gli rispose così, era vero, ma sapeva che non era stato solo quello. Era stata emotivamente intensa e faticosa. Suo padre insistette per rimanere lì con lei quella notte, come la precedente, ma fu irremovibile, non c’era bisogno, aveva tutta l’assistenza di cui necessitava. Si lasciò abbracciare da Jim prima che andasse via, che la tenne stretta a se per molto più tempo di quanto lei ricordasse avesse mai fatto.
Una volta sola prese il libro di Castle, provò a leggerne qualche altra pagina, ma i suoi occhi erano troppo stanchi per riuscirci. Si abbandonò al buio ai suoi pensieri. Suo padre e Castle erano due uomini così diversi, che nessuno avrebbe detto potessero avere qualcosa in comune, tanto era riservato e taciturno uno quanto esuberante e loquace l’altro. Eppure quando li aveva visti insieme sentiva che i due avevano una forte sintonia, avevano fatto squadra, per lei.
Non riusciva ad immaginare cosa i due avessero passato in quel periodo in cui lei era rimasta in coma, come si fosse sentito suo padre, all’idea di vederla lì, in pericolo, lottare per vivere. Gli era rimasta solo lei, era tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia. Stette male solo al pensiero, ricordando cosa era diventato suo padre dopo la morte di sua madre, l’amore della sua vita. Il suo pensiero volò a Castle: si sarà sentito così anche lui nel vederla lì, inerme, per settimane? Era questo quello che li legava, un rapporto così forte come era stato quello dei suoi genitori, tanto da annientare suo padre quando sua madre era stata uccisa e spingerlo in un baratro dal quale non riusciva a risalire? Provò invidia per quella se stessa che era riuscita a farsi amare così tanto da quell’uomo ed era mortificata per non ricordare di amarlo. Era stato ferito anche lui e nonostante questo, appena dimesso, si preoccupava di andarla a trovare tutti i giorni, benché lei fosse priva di conoscenza. Pensava a quanto doveva aver sperato nel suo risveglio e alla delusione provata nel sapere che lei non si ricordava di suo marito. Castle era suo marito, faticava a ricordarselo, era una notizia che ancora non era riuscita a metabolizzare. L’idea del matrimonio era qualcosa di lontanissimo nella sua mente, pensava, anzi, che non si sarebbe mai sposata e forse, nemmeno mai realmente innamorata, non di quell’amore che aveva visto solo nei film e negli occhi dei suoi genitori. E negli occhi di Castle. Quel giorno aveva visto come Castle la guardava e ne era ancora turbata. Come poteva essere lei l’oggetto di uno sguardo simile? Aveva sempre pensato che non sarebbe mai stata in grado di lasciarsi andare completamente in una relazione fino a quando non avesse risolto il caso di sua madre, che l’aveva prima ossessionata, poi, invece, semplicemente fatta chiudere in se stessa quando aveva deciso di rinunciare, per non soffrire ancora. Ora sapeva che tutto era finito eppure non riusciva a trovare, nella sua mente, conforto in questo. Era tutto finito, ma per lei era come se non lo fosse, perché non lo aveva mai vissuto e come poteva guarire un male che non c’era più ma del quale portava dentro ancora tutti i sintomi?
Sentiva di nuovo quella stretta al petto che stava prendendo il sopravvento. Provò tirarsi un po’ su ed accese la luce. Sul comodino c’erano l’anello di sua madre e le fedi che aveva lasciato Castle. Vide anche il cellulare e lo prese cominciando a guardare le foto. Avevano quasi tutte gli stessi soggetti, lei e Castle. Insieme, felici, si vedeva dagli sguardi. Non le sembrava se stessa quella che osservava, né per la fisionomia, né per quello che faceva. Non era da lei ridere e lasciarsi andare così. Sembrava spensierata. Sembrava veramente felice, come non lo era più da anni, come forse non lo era mai stata. Continuò a sfogliare intrufolandosi nella vita di quella lei che non sapeva essere lei e si trovò in un video sdraiata in un letto di quella che probabilmente era la loro camera, appena sveglia, mentre rimproverava Castle di ridarle il telefono e di smettere di riprenderla e sentiva la voce di lui pronunciare frasi dolcissime mentre lei arrossiva e si nascondeva con il lenzuolo. Questo lo trovava molto da lei, invece. Sorrise di se stessa, riconoscendosi finalmente in qualcosa. In breve capì che la maggior parte dei video li aveva fatti Rick prendendo il suo telefono, così come le foto dove erano insieme. Erano una bella coppia, pensò alla fine, quella lei e lui lo erano, ma continuava a vedere quella persona come qualcuno di diverso da lei. Aveva sempre la sensazione di spiare la vita di qualcun altro, ma anche la curiosità di conoscersi. Cliccò sull’icona dei messaggi ed il primo nome era ovviamente quello di Castle, le sembrava veramente, guardando quel telefono, che la sua vita, fino a poche settimane prima, ruotasse tutta intorno a lui. Cominciò a leggere, andando a ritroso, i loro messaggi. Sorrideva imbarazzata di se stessa nel leggere quello che gli scriveva e provò uno strano batticuore nel leggere le risposte di Castle rendendosi conto che quelle parole erano per lei, non stava leggendo della vita di qualcun altro, ma subito fu assalita di nuovo dalla tristezza di non riuscire a ricordare nulla di tutto quello e di quanto le sarebbe piaciuto provare quella splendida sensazione di essere innamorati. Così innamorati. Invece dentro di se sentiva solo il vuoto che non riusciva a colmare con i ricordi che non le appartenevano, li sentiva estranei. Posò il telefono e provò a dormire cercando di convivere con il dolore fisico ed emotivo. Era frustrata che non le dessero nulla per aiutarla a dormire nè delle dosi di antidolorifici più forti.
Pensò di chiedere a Castle, il giorno seguente, di usare il suo appeal per convincere dottori e infermieri a darle qualcosa di più forte per alleviare i dolori che sentiva. Si rese conto di aver dato per scontata la presenza di Castle il giorno successivo, non doveva abituarsi a lui, non doveva dipendere da lui, non doveva dipendere da nessuno se non da se stessa, come sempre.
Quando la mattina l'infermiera arrivò per controllarle le ferite le sembrò eccessivamente presto. Si sentiva ancora stanca ed assonnata. Ma la donna era irremovibile su quello che avrebbe dovuto fare: provare ad alzarsi. Così l'aiutò prima a mettersi seduta, poi la convinse ad appoggiare i piedi a terra. Le aveva messo davanti un deambulatore ma Kate era riluttante all'idea di appoggiarsi a quel coso: lei detective, anzi capitano, della omicidi, che inseguiva assassini sui tacchi doveva alzarsi dal letto appoggiandosi su quel coso. Era fuori discussione.
Aveva fatto i conti senza il suo fisico debole e si ritrovò suo malgrado ad aggrapparsi a quel coso senza rendersene conto, per evitare di finire a terra. Era bello stare sulle proprie gambe, ma quello sforzo semplicemente di mettersi in piedi le era sembrato insostenibile ed il dolore all'addome ed intorno alle ferite era aumentato. L'infermiera vedendola così sofferente la fece rimettere a letto, alzandole lo schienale per poter stare in una posizione più eretta.
Kate non era mai stata una che si lamentava. Aveva sempre sopportato il dolore fisico, ma quel fastidio e dolore costante che sentiva sembrava entrarle direttamente nel cervello e non darle tregua. Prima che l'infermiera uscisse le chiese se poteva darle un antidolorifico più forte perché non si sentiva per niente bene.
- Mi dispiace signora, ma nel suo stato non posso darle niente senza aver prima sentito il dottore.
- Per favore - la voce di Kate era quasi una supplica ma quella fu impassibile
- Non posso signora, sono dannosi per il bambino.
Kate rimase pietrificata e l'infermiera si accorse dal suo volto che la donna non sapeva nulla e lei le aveva appena dato una notizia che l'aveva a dir poco scossa. Le si avvicinò di nuovo.
- Il bambino? - le chiese Kate con tutta l'angoscia che riusciva ad esprimere a parole e gli occhi gonfi di lacrime. Sperava che avesse capito male o che l'infermiera avesse sbagliato paziente ma sapeva già che non era così.
- Sì signora, lei è incinta. Di 9 settimane da quello che leggo nella sua scheda - disse controllando i suoi dati. - ha bisogno di qualcosa? Un po' d'acqua, vuole mangiare?
- Di stare sola. Voglio solo stare sola.
L'infermiera annuì. Le accarezzò la fronte in un gesto molto materno mentre le prime lacrime uscirono dagli occhi di Kate.
Castle arrivò di buon umore quella mattina, con i soliti caffè, le brioches ed i fiori. Bussò delicatamente ed entrò da Kate. Lui stava per andare come al solito a cambiare i fiori ma la voce perentoria di Kate lo fece desistere da fare qualsiasi altra mossa.
- Siediti Castle.
Fece per darle il caffè e la brioche ma lei lo fermò e lui ripose il tutto. Ora che la guardava bene vedeva che c'era qualcosa che non andava. Come aveva potuto non accorgersene subito? Doveva essere più attento, osservarla meglio, era Kate la doveva capire ad uno sguardo!
- Quando pensavi di dirmelo?
- Dirti cosa Beckett? Sono tantissime le cose che devo dirti ancora!
- Basta Castle, non ho nessuna voglia di scherzare o giocare. Quando mi avresti detto che sono incinta? Tu lo sapevi vero? È... È nostro figlio? - non riuscì a rimanere impassibile, quella parola che uscì dalla sua bocca aveva reso tutto più reale di quanto non era fino a quel momento.
Rick si mise le mani sul volto. Non sapeva se era più preoccupato per la reazione di Kate o più arrabbiato con chiunque le avesse detto del bambino quando aveva specificato più volte che avrebbe dovuto essere lui a dirglielo e non avrebbero dovuto assolutamente farlo loro. Si prese ancora qualche secondo per risponderle, ma Kate era impaziente.
- Allora Castle? Almeno delle risposte me le merito, no? - disse asciugandosi le lacrime
- Perché te l'hanno detto? È successo qualcosa?
- Non è successo niente, volevo degli antidolorifici e non me li hanno dati perchè mi hanno detto che ero incinta. Ecco perché! Perchè mio marito non mi aveva detto niente. Quando me lo avresti detto Castle? Rispondimi!
- Ti prego Kate, calmati! È stato uno shock anche per me quando l'ho saputo. Certo che te l'avrei detto, avrei voluto dirtelo ieri subito, ma dopo aver visto la tua crisi di panico quanto ti ho detto che eravamo sposati ho voluto evitare di caricarti di emozioni forti. Io mi preoccupo per te, per voi. Kate pensi che per me è facile dirti tutto questo sapendo che tu non sai nemmeno chi sono?
- Non l'ho scelta io questa situazione Castle! Non ho scelto io niente di tutto questo! Di non ricordarmi niente di noi e nemmeno del bambino!
- Non potevi ricordarti del bambino, non lo sapevamo. Non avrei mai voluto che sapessi così di nostro figlio. - Rick parlava ma Kate non sembrava nemmeno ascoltare quello che lui le stava dicendo.
- Dio mio Castle! Dici di conoscermi così bene e non hai pensato che questa cosa mi avrebbe sconvolto? Che dovevo saperlo?
- Certo che l'ho pensato Kate! Proprio per questo non te l'ho detto subito! Avevo paura della tua reazione, che non ti facesse bene agitarti così!
- Non dovrei essere agitata secondo te? Io non sono una persona adatta a crescere un bambino! In questa situazione poi... - scoppiò di nuovo a piangere e Rick tento di avvicinarsi per consolarla, ma appena percepì il suo tocco si scostò.
- Ho bisogno di stare da sola. Vattene Castle, per favore.
- Kate io...
- Per favore!
- Ok. Come vuoi tu. Nel tuo telefono c'è il numero del dottor Burke, lui ti conosce, ti aveva già aiutato. Se vuoi parlare con qualcuno chiamalo. - Castle si alzò ed uscì mestamente dalla stanza. Appena fuori si sentì svuotato, amareggiato. Tutto era andato nel peggiore dei modi possibili. Chiamò subito Jim per informarlo di quanto accaduto e chiedendogli se potesse andare lui in ospedale, perché, malgrado quello che le aveva detto Kate, non voleva che rimanesse sola.
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Capitolo 7 *** SETTE ***
- Dottor Burke? Sono Richard Castle. Avrei bisogno di parlare con lei.
Il dottore aveva percepito l'urgenza nelle sue parole e gli aveva detto che aveva un po' di tempo libero quello stesso giorno, durante l'ora di pranzo, se per lui non era un problema. Castle lo raggiunse al suo studio e si accomodò sulla poltrona davanti a lui.
- È la stessa? - chiese Rick appena seduto, facendo scorrere le mani sui braccioli in pelle, mentre il dottore lo guardava - è la stessa poltrona di quando veniva Kate?
Burke sorrise.
- È importante per lei questo particolare, Rick?
- No... Stavo solo cercando di capire come si era sentita qui, su questa grande poltrona a parlare di se, in quei giorni dopo che le avevano sparato.
- Non è la stessa, ma non è una poltrona che cambia la sostanza delle cose. Kate era più o meno nella sua stessa situazione di adesso. Lei è qui, con me, a parlare di se stesso poco tempo dopo che le hanno sparato. Come si sente Rick?
Fu sorpreso dalle parole di Burke. Lui non era lì per parlare di questo. Lui voleva parlargli di Kate, di come poteva riuscire ad interagire con lei, chiedergli un consiglio su cosa era meglio fare, perché doveva perdere tempo a parlare di come stava lui? Non era importante adesso.
- Io sono preoccupato, per Kate. Ha saputo del bambino da un'infermiera, mi ha aggredito, mi ha cacciato via. Glielo dovevo dire io, non mi hanno dato tempo, non lo doveva sapere così. - Parlò senza riprendere mai fiato, Burke lo ascoltava senza interromperlo. Annotava che, ogni cosa che Rick diceva, era sempre rivolta a Kate. Lui non era mai il protagonista di se stesso.
- Di cosa è preoccupato?
- Che Kate non si ricordi più di noi e che questa nuova o vecchia lei non voglia darci una possibilità, che non voglia buttare giù il suo muro, di nuovo.
- Lei come sta, Rick? - provò a chiederglielo di nuovo. Rick sembrò sprofondare ancora di più nella poltrona. Si accorse che in quelle settimane tutti gli avevano detto cosa fare e cosa non fare per il suo bene. Nessuno però gli aveva mai chiesto come stava.
- Come uno che ha rischiato di morire insieme a sua moglie, dentro casa sua.
- Sarebbe?
- Male. Fisicamente, mentalmente. Ho fatto rifare tutta la cucina, fino a ieri non ero più rientrato a casa. Quando l'ho fatto era già cambiato tutto. Pavimento, pareti, i mobili dovevano ancora arrivare. Ma se guardavo lì, vedevo quello che c'era prima. Vedevo noi due a terra, il sangue, Kate che respirava sempre più lentamente, le nostre mai strette fino alla fine. Lo vedo sempre. Ogni volta che chiudo gli occhi. Ero convinto che quando Kate si fosse svegliata sarebbe stato diverso, che avremmo potuto ricominciare una vita diversa insieme, che ci saremmo guariti a vicenda pensando al nostro bambino, al nostro futuro - Rick si interruppe, faceva fatica a parlare adesso sentiva un nodo in gola che gli rendeva difficile anche deglutire.
- E invece?
- Mi ritrovo solo. A combattere per due. Appena saputa la notizia mi sono detto, ok Rick devi solo ricominciare tutto da capo con Kate, ma è sempre lei, lo hai già fatto, puoi farlo di nuovo. Ora non lo so.
- Cosa sta facendo con lei?
- Cerco di comportarmi come facevo con la Beckett di allora. Non voglio metterle pressioni.
- Per questo ha tolto la fede? - Aveva visto il segno sulla sua mano, che testimoniava la mancanza.
- Già, lei si era sentita a disagio vedendola. Le ho lasciate a lei.
- Ha lasciato tutto nelle sue mani, quindi. Perché?
- Non voglio metterle pressioni, gliel'ho detto.
- Solo per questo?
- Ho paura che mi rifiuti.
- Cosa le ha raccontato di voi due?
- Che è mia moglie, che siamo sposati, che ci siamo conosciuti perchè lavoravamo a dei casi insieme.
- Solo fatti, quindi.
- Cosa altro dovrei dirle?
- I suoi sentimenti. Li dava per scontati? Lei non li conosce.
- Sì beh, davo per scontato che se eravamo sposati vuol dire che l'amavo, che la amo.
- Ma non glielo ha detto.
- No.
- Perché?
- Perché quando l'ho fatto e lei non era pronta è sparita per mesi e poi l'ho quasi persa. È buffo vero? Lo sapeva e faceva finta di non ricordarsi mentre ora non lo ricorda veramente.
- Deve darle tempo Rick e non scoraggiarsi. Deve assimilare le notizie e la situazione. Lei meglio di chiunque altro dovrebbe sapere che non è facile risvegliarsi senza un pezzo della propria vita. E non parliamo di qualche mese. Ma deve anche darsi tempo. Non deve avere paura di mostrarsi debole, nemmeno con lei. Anche lei è ferito, in ogni senso. Anche lei ha bisogno di essere curato e curarsi. Negarlo non le farà bene. Lasciare Kate fuori dalle sue paure forse la proteggerà ma la allontanerà dalla realtà.
- Katie! - Jim Beckett era entrato in camera della figlia dopo che aveva bussato due volte senza ottenere una risposta. Pensava che dormisse, invece era rannicchiata su un fianco, torturando un lembo della federa. Non piangeva, ma aveva sicuramente pianto. Lo vedeva dagli occhi e dal cuscino umido. - Non volevamo lo sapessi così! - si era seduto sul bordo del letto e le accarezzava i capelli. Lei non lo guardava, fissava un punto indefinito nel pavimento. Sul tavolo dall'altra parte della stanza c'erano ancora i caffè e i fiori che aveva portato Rick, come tutte le mattine e due vassoi di cibo intatti, segno che non aveva mangiato.
- Lo sapevi anche tu. Lo sapevate tutti? Ero io l'unica a non sapere di essere incinta? Avevate anche fatto una festa mentre ero in coma per caso? - non aveva un tono arrabbiato. Inespressivo piuttosto. Non lasciava trapelare nessun tipo di sentimento.
- Non lo sapeva nessuno Katie. Rick lo aveva detto solo a me, nel caso a lui fosse accaduto qualcosa ed io avessi dovuto prendere delle decisioni... per te. - Faticò a dirle quelle parole, cariche di tetri significati in nessun modo rassicuranti. Ora era passato ma solo ripensarci lo faceva stare male. Kate sembrò non comprendere nemmeno l'evidenza di un fatto pratico come quello raccontato dal padre. Semplicemente non accettava il fatto che per proteggerla nessuno le avesse detto subito una cosa che riguardava così profondamente la sua vita. Più dell'essere sposata o di qualsiasi altra cosa. Avevano deciso per lei quando era giusto che lo sapesse, secondo loro, lasciandola all'oscuro anche se solo per poco tempo di una cosa così importante. Per lei, invece, era la prima cosa che avrebbero dovuto dirle. Qualcosa tipo "Hai perso 7 anni di memoria e sei incinta". Sentendo il suo discorso anche solo mentalmente si trovò ridicola da sola, eppure avrebbe voluto veramente qualcosa del genere, magari lo shock le avrebbe fatto tornare la memoria subito.
- Katie, Rick non lo ha detto nemmeno a sua figlia. Capisci?
- No papà, non capisco. Non capisco e non ricordo. Non so nulla.
- Perché non hai mangiato? Non ti fa bene e nemmeno al bambino.
- È questo il problema? Che se non mangio non fa bene al bambino?
- Katie... Non puoi stare senza mangiare. Ti devi riprendere. - fece finta di non cogliere il riferimento al bambino. Si alzò per prendere uno dei vassoi e notò subito la provenienza, non stupendosi particolarmente conoscendo Castle. Kate si girò cercando di mettersi seduta, non voleva far vedere a suo padre che aveva bisogno di aiuto e si sforzò più che poteva. Si stupì nel pensare che Castle si sarebbe accorto di quanto stava faticando e che l'avrebbe aiutata. Da dove le venivano quei pensieri? Da quello che avevano vissuto il giorno precedente, quando lui aveva fatto proprio così, o era un ricordo del suo inconscio?
Mangiò, alla fine, quasi tutto. Aveva più appetito di quanto volesse ammettere anche a se stessa e quel cibo che le faceva arrivare Castle era veramente buono.
- Perché lo hai mandato via senza neanche dargli il tempo di spiegare?
- Perché mi ha mentito, tu avevi detto che di lui mi potevo fidare e lui invece ha tradito la mia fiducia non dicendomi nulla di una cosa così importante che riguarda me.
- Riguarda voi. - la corresse.
- Io... Non so cosa voglio fare.
- Katie, pensa bene a quello che vuoi fare. Ma fai attenzione a non fare qualcosa della quale potresti pentirti per tutta la vita, appena ritroverai la memoria.
- E se non la ritrovassi più? E se questi anni fossero spariti per sempre? Cosa dovrei fare in quel caso?
- Non è una decisione che spetta a me. Io ti dico solo di considerare tutti gli aspetti.
- Papà, Castle ha detto che prima del nostro ferimento non lo sapevamo. Secondo te è possibile che io lo sapessi e non gli abbia detto nulla per qualche motivo?
- Per quello che hai fatto, per come ti sei comportata in quei giorni, lo escludo. Non ti saresti mai esposta a certi pericoli, ne sono sicuro. E non saresti riuscita a tenere nascosta una notizia del genere a tuo marito.
Quelle parole la rassicurarono almeno in parte. Il pensiero di credere di stare per morire sapendo di essere incinta e senza aver detto niente a suo marito le aveva fatto provare angoscia per quella lei sconosciuta, come se il pensiero di stare per morire non dovesse essere già abbastanza terrificante di suo.
Jim vide l'anello di sua moglie sul comodino di Kate.
- Ti ha detto Rick che ce l'hai fatta?
- Sì mi ha detto qualcosa, senza troppi particolari.
- Sei stata testarda Katie, come sempre, hai rischiato la tua vita e la tua carriera più volte, ma alla fine ce l'hai fatta. Tua madre è orgogliosa di te.
- Vorrei fosse qui. Soprattutto adesso.
Erano molte le occasioni in cui aveva sentito la mancanza della madre, non c'era giorno per quel che ricordava, che non avesse percepito forte la sua assenza: c'era sempre qualcosa nel suo quotidiano che le riportava la memoria a prima di quella notte che la segnò per sempre: un profumo, una scena, una frase... Trovava Johanna in ogni madre che si prendeva cura amorevolmente dei propri figli ogni volta che andava al parco a correre, la vedeva in ogni persona che si batteva per la giustizia andando avanti nonostante le difficoltà, in ogni donna che guardava il marito con amore e dolcezza.
Si chiedeva sempre se lei fosse stata abbastanza per renderla fiera, se faceva veramente tutto quello che poteva e che era giusto fare. Le avevano detto che in questi anni aveva combattuto per ottenere quella giustizia che avevano negato a sua madre per troppo tempo e trovava profondamente ingiusto non potersi ricordare le sensazioni provate in quel momento. Si chiedeva se era arrivato veramente quel senso di sollievo che aveva sempre sperato di ottenere. Che cosa aveva provato nell'uccidere il suo assassino o nel trovarsi davanti al mandante del suo omicidio? Non riusciva ad immaginarlo.
Guardò suo padre, stanco sulla poltrona, anche lui perso nei suoi pensieri come lei: era sicura che stessero pensando alla stessa persona. Era pomeriggio inoltrato, gli disse di andare a casa. Poteva stare da sola per un po', anzi ne aveva bisogno.
Jim la capì. Non che lui non fosse apprensivo nei confronti della figlia, ma al contrario di Rick, capiva la sua necessità di solitudine per elaborare tutto quello che le stava accadendo.
- Non dubitarne Katie, la tua mamma è fiera di te.
Una volta sola provò a rialzarsi, ce la doveva fare, anche usando quel coso, almeno per ora. Riuscì non senza fatica a rimettersi in piedi, ma le era sembrato più facile che la mattina. Desistette però dal camminare.
Prese il telefono, avrebbe voluto chiamare Castle, almeno per scusarsi. Forse sarebbe stato meglio mandargli un messaggio, ma non sapeva cosa scrivergli per non dare un'idea sbagliata dei suoi intenti. Ci pensò troppo ed alla fine cambiò idea. Alla fine prese il libro di Storm e lo lesse fino a notte fonda, non voleva pensare a nulla per un po’: sapeva che il giorno dopo tutto si sarebbe ripresentato, ma per qualche ora voleva essere solo quella che credeva di essere, non la donna che dicevano gli altri, cercando la sua personale consolazione tra le pagine del suo scrittore preferito, tralasciando il fatto che era anche suo marito. Come tanti anni prima, ancora adesso i suoi libri la aiutavano a stare meglio, a non pensare ai suoi problemi. Se avesse creduto ai segni del destino, questo doveva necessariamente esserlo. Ma lei non ci credeva. Forse. |
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Capitolo 8 *** OTTO ***
Si era illusa che le sarebbe bastato non volerci pensare e farsi vincere dalla stanchezza per riuscire a dormire. Si svegliò, invece, di soprassalto e un'infermiera entrò di corsa nella sua stanza. Non si era nemmeno accorta di aver gridato nel sonno o appena aveva aperto gli occhi. Era tutto così confuso ma sembrava drammaticamente reale.
L’erba sotto di me.
Freddo, tanto freddo e dentro al petto un dolore lancinante.
Le mie mani, guanti bianchi, rosso sangue, blu occhi e cielo.
Urla, grida.
“Kate! Kate! Kate!”
Poi silenzio.
I colori intorno si smorzano.
Dove sono i colori?
Tutto grigio. Tutto buio
Solo la voce di Castle rimbomba ovunque nel silenzio scuro della mente.
Non riesco a muovermi, ad aprire gli occhi.
Non capisco Castle, cosa dici?
La sua voce è confusa, un suono terrorizzato.
Terrore, anche il mio.
Silenzio, di nuovo. Totale.
“Libera! Libera! Biiiiiiiip”
“Resisti Kate!”
Un lampo nel buio.
Dove sono?
Una casa. Risate.
E poi freddo, di nuovo freddo.
Ancora sangue, ancora dolore.
“Castle!”
“Insieme, sempre”
Una mano stringe la mia.
Il bambino? Dov’è il bambino?
E’ lì, mi guarda, seduto su una pozza di sangue. Il mio.
Ride e gli sorrido.
Piange.
Non piangere! Non piangere!
Sta bene il bambino? Sta bene?
Non riesco a muovermi, a prenderlo, a toccarlo.
Ho paura.
È solo.
Non può stare solo.
Ho paura.
Paura per me.
Paura per lui.
Respirava a fatica anche dopo aver capito che era solo un sogno, un incubo. L'infermiera la guardava e le stava chiedendo cosa fosse successo, se stava bene, ma Kate non ricambiava il suo sguardo, che sembrava perso lontano oltre la luce del corridoio che invadeva la stanza. Si portò le mani sul ventre, istintivamente. Stava bene? Se lo chiedeva ancora, anche adesso che era sveglia.
Le domande dell'infermiera non cessarono fino a quando non le rispose che era solo un sogno, ma faceva fatica a calmarsi, era evidente che qualcosa l'aveva turbata profondamente.
La donna uscì e ritornò poco dopo con un bicchierino, le disse di bere e rilassarsi. Kate la guardò prima di mandare giù il contenuto.
- Stia tranquilla. Non faranno male al bambino.
Bevve e dopo poco si addormentò di nuovo. Profondamente.
L'infermiera che la svegliò ore dopo era un'altra, meno rassicurante di quella che era stata da lei durante la notte. La medicò e solo questo la rese meno simpatica ai suoi occhi e poi insistette perché si alzasse. Fu una fatica immane ma lo fece, stava dritta, in piedi, appoggiata a quel coso e la guardava con un'espressione di sfida: visto? Ce l'ho fatta. Sono in piedi.
Fece anche qualche passo e le sembrò di aver fatto una delle sue solite lunghe camminate. In piedi osservava la stanza. Sul tavolo c’erano ancora i due bicchieri di caffè e i fiori che Castle le aveva portato la mattina precedente, ormai appassiti, uguali a quelli nel vaso vicino al comodino. Erano gigli, lui lo sapeva, non poteva essere una casualità. L’infermiera notò il suo sguardo attento mentre sistemava la sua camera.
- Suo marito le ha portato tutti i giorni fiori freschi e caffè.
Kate sorrise e si mise seduta sul letto. La sua autonomia limitata era già finita e sentiva il bisogno di stendersi di nuovo, cosa che fece molto lentamente.
Guardò l’orologio, era più tardi di quanto pensasse, non che avesse appuntamenti in agenda, ma era convinta che Castle sarebbe arrivato con il caffè, come le due mattine precedenti, invece non c’era.
Fu felice quando sentì bussare alla porta e non riuscì a nascondere un po’ di delusione nel vedere suo padre che se ne accorse e sorrise.
- Pensavi fossi qualcun altro Katie?
Non gli rispose e si morse il labbro, colta in flagrante.
- Lo hai chiamato?
Scosse la testa.
- Io devo andare Katie, mi dispiace. Ho un’udienza in tribunale. Ci vediamo stasera.
- Non ti preoccupare papà, non scappo da qui! - Riuscì a fargli un sorriso dei suoi, di quelli che avevano aiutato Jim a non lasciarsi andare nei momenti peggiori. Le diede un bacio sulla fronte ed andò via.
Una volta sola le immagini confuse del suo incubo notturno tornarono nella sua mente insieme alle stesse sensazioni di paura e dolore. Più passava il tempo, più prendeva coscienza della vita che stava crescendo in lei e questo aumentava la percezione di ogni cosa. La paura era più intensa, il dolore era più forte. C’era un’altra sensazione, però, che si faceva strada dentro di se, anche se la scacciava via, perché non voleva che anche l’illusione diventasse più amara: era la speranza. La vivida speranza che ci fosse una possibilità, anche per lei.
Prese il telefono sfogliò la rubrica e poi lo chiamò.
- Dottor Burke? Sono Katherine Beckett. So che lei mi conosce…
Il dottore fu felice di sentirla, già il fatto che l’aveva chiamato implicava che lei avesse intenzione parlare e conoscendola questo era già un enorme passo avanti. Sarebbe andato lui da lei in ospedale il pomeriggio seguente.
Continuò ad aspettare Castle tutta la mattina, ma quando arrivò Luke, il ragazzo del Four Season che ormai aveva imparato a conoscere, con il suo pranzo e vide un solo vassoio, per lei, capì che Rick non sarebbe venuto.
Aveva trascorso una sola giornata con lui. Solo un giorno. Perché le mancava così tanto la sua presenza? Provò razionalmente a spiegarsi che le mancava perché era sola, perché lui le raccontava parti della sua vita, cosa che non faceva nessun altro. Non che vedesse molta gente, ma nemmeno suo padre le aveva mai detto niente. Sembrava che fosse lui l’unico incaricato di raccontarle il suo passato, perché era uno scrittore narrare storie era il suo mestiere?
No, non era solo per quello che le mancava. Le mancava e basta. Ma non se lo sarebbe detta. Non adesso. Non ancora.
- Ciao splendore! - Lanie era entrata nella stanza con tutta la sua energia. - Quanto pensi di stare ancora lì senza fare nulla?
- Hey ciao! Sono felice di vederti! Vorrei tanto alzarmene ed andare via di qua. Tornare a casa con una tazza di caffè caldo e sprofondare nel mio divano.
Lanie la guardò sorridendo.
- Che c’è? Cosa ho detto? - Chiese Kate alla sua amica
- Niente. Stavo solo pensando che la tua casa ha un divano enorme nel quale puoi sprofondare insieme al tuo scrittore. - Kate la guardò minacciosa. - Tesoro, hai un’idea vecchia della tua casa! La tua casa ora è “wow”!
Kate si rabbuiò. La sua casa non esisteva più. Ora aveva un’altra casa oltre che un’altra vita.
- Non ci avevi pensato tesoro?
- Veramente no…
- Il tuo scrittore dov’è?
- Non lo so.
- Che vuol dire “non lo so”?
- Abbiamo discusso ieri mattina e gli ho detto di andarsene.
- Non ci credo! Castle ti ha ubbidito!
- Lo ha fatto.
- È la prima volta probabilmente Kate, credimi!
Roteò gli occhi pensando che aveva trovato proprio la volta peggiore per darle ascolto.
- Che è successo, come avete fatto a litigare anche qui? - Chiese Lanie preoccupata. Si vedeva che Kate era dispiaciuta della cosa.
- Mi ha tenuta nascosta una cosa.
- Tesoro, hai perso la memoria, penso che ti ha tenuto nascosta più di una cosa.
- Lanie, sono incinta.
Boom! Lo aveva detto. Guardava la faccia di Lanie con gli occhi spalancati e la bocca aperta che la fissava senza dire niente. Lo aveva detto ed era stato un altro passo per renderlo più reale.
- Katherine Beckett se te lo ricordassi ti chiederei perché non mi avevi detto nulla! - Le disse mentre l’abbracciava cogliendola di sorpresa
- Castle dice che non lo sapevo. Tu pensi sia possibile?
- Tesoro credo che lo scrittore abbia assolutamente ragione, stranamente. Come ti senti?
- Non lo so. Non ricordo niente della mia vita, mi ricordo di essere una ragazza e mi trovo donna, moglie e prossimamente madre. Avrò un figlio e non mi ricordo nulla di mio marito. Come dovrei sentirmi secondo te?
- Hai tutto il diritto di sentirti uno schifo, però mio Dio Kate! Un bambino! Diventerai mamma! Immagino Castle sarà felicissimo.
Kate si rabbuiò. Non sapeva come si sentisse Castle, non glielo aveva nemmeno chiesto. Non gli aveva chiesto nulla, non gli aveva fatto nemmeno una domanda. Niente.
- Non so ancora cosa diventerò Lanie… Non so cosa fare. Non so nemmeno cosa ne pensa lui. È tutto così confuso. Vorrei capire cosa provo e non so neanche quello, non se le cose che provo io sono quelle che avrei provato qualche settimana fa, ho paura di farmi del male da sola.
- Dolcezza, parla con Castle, lui sarà al settimo cielo per questo bambino, lui adora i bambini! Mi sembra impossibile che tu non ti ricordi ti lui il vostro legame e la vostra connessione è così forte!
- Non sai quanto vorrei ricordarlo…
Una chiamata interruppe la loro chiacchierata. C’era stato un omicidio ed era richiesta la presenza dell’anatomopatologa. Lanie notò che la Kate si era di nuovo incupita e lesse nel suo volto rabbia e nostalgia. Si raccomandò di non dire a nessuno della novità e di salutargli Esposito, Ryan ed anche il capitano Montgomery. Fu colpita dalle sue parole, glissò dicendo che avrebbe salutato tutti, la abbracciò ed uscì chiudendo bene la porta pensando che sarebbe stato difficilissimo spiegarle tutto.
Castle la prese per un braccio e la portò nel corridoio adiacente.
- Allora? - Le chiese ansioso Rick
- È confusa e spaventata. - Rispose Lanie
- Ti ha detto nulla di me?
- Nulla di specifico Castle, mi ha detto che avete discusso, sembrava dispiaciuta. Credo che le farebbe piacere vederti. Devo scappare ora, c’è stato un omicidio e i ragazzi mi stanno aspettando.
Si salutarono e lui tornò seduto fuori dalla sua stanza, dove era da quella mattina, in attesa che lei lo chiamasse: da quando Jim lo aveva avvisato si era precipitato lì, aveva pensato di entrare da lei, aveva bisogno della sua presenza per respirare di nuovo e la doveva vedere perché doveva essere lui ad accertarsi che stesse bene: nessuno sapeva capire come stava quanto lui. Non era importante che lei non si ricordasse di lui, era lui che la conosceva e che sapeva di cosa avesse bisogno. Qualcuno forse lo metteva in discussione?
Si stava fisicamente forzando per non entrare lì dentro, ma voleva che fosse lei a cercarlo, quando riteneva di essere pronta a vederlo di nuovo, a parlargli. Si mordeva le mani per non andare lì ad aprire quella porta, andare vicino al suo letto e pregarla, anche in ginocchio se fosse stato necessario, di ascoltarlo e di dargli una possibilità di farle conoscere il loro mondo, la loro vita.
Mostrò molto più autocontrollo di quello che pensava di avere e rimase lì con i suoi pensieri. Doveva raccontare a Kate la loro vita, era una storia, in fondo. Era il suo lavoro. Doveva fare una scaletta, scegliere gli eventi più importanti e narrare i fatti. Pensò, però, che era impossibile scegliere quali fossero gli eventi più importanti, perché per lui era tutto importante, ogni singolo caffè bevuto insieme, ogni stretta di mano, ogni abbraccio, ogni carezza non erano certo meno essenziali ai fini della loro storia delle situazioni più considerevoli: ogni gesto era un passo che li aveva uniti e che li faceva camminare nella stessa direzione. Come sarebbe riuscito a spiegarle il valore delle loro dita che si sfioravano tra le sbarre della cella del distretto quando lo aveva arrestato per omicidio? Come avrebbe fatto a farle capire il significato del loro “per sempre”, che non era una promessa ma molto di più? Come avrebbe descritto la potenza di un abbraccio nel quale trovare conforto, riparo e ritrovare la propria umanità? Come sarebbe riuscito a trasmetterle i brividi che provava quando le loro dita si intrecciavano e le loro mani si stringevano?
Avrebbe dovuto scrivere un libro solo per lei, forse gli sarebbe venuto meglio mettere tutto nero su bianco tutto piuttosto che parlarle per poi inciampare nei suoi soliti discorsi sconclusionati nei quali volava da un argomento all’altro seguendo la sua fantasia come gli capitava ogni volta che era con lei e la sua mente non era più in grado di seguire un filo logico.
Rimase lì ancora, fino dopo l’ora di cena, quando uscì l’infermiera dal suo turno di visite per comunicargli che aveva mangiato quasi tutto quello che lui le aveva fatto portare, facendosi specificare bene cosa volesse dire quel quasi. Ammise con se stesso che stava esagerando. La donna però, forse sentendosi in colpa per la rivelazione inopportuna del giorno prima, gli disse che l’unica cosa che non aveva mangiato era stato il dolce. Castle ne fu sollevato, ma si appuntò mentalmente che doveva dire al catering che quel dolce non glielo dovevano più portare.
La rabbia che aveva provato il giorno prima per quella donna che lo aveva messo in una situazione così spiacevole era man mano scemata ed ora la ringraziava anche per tenerlo informato su quello che faceva sua moglie. Sorrise quando le disse che l’aveva lasciata in camera a leggere il suo libro. Controllò l’ora, era tardi, cominciava ad aver fame ed essere stanco anche lui. Decise di tornare in hotel pregandola di avvisarlo per qualsiasi cosa fosse successe a Kate, a qualsiasi ora.
Quando entrò nell’ascensore che lo avrebbe portato al piano dove si trovava la sua suite tutto quello che desiderava era chiamare il room service, farsi portare un poco sano cheeseburger con tante patatine, farsi una doccia e poi dormire.
I suoi programmi, invece, furono del tutto rovinati quando entrando in camera trovò le luci accese, la musica ad invadere l’ambiente ed una donna che sorseggiava un martini sdraiata sul divano.
- Madre!
- Richard sono felice che almeno ti ricordi chi sono! - Disse Martha portandosi in una posizione più composta.
- Pessima battuta madre, soprattutto in questo momento. Veramente pessima - disse buttando la giacca su una sedia e sedendosi nella poltrona davanti a lei.
- Perdonami Richard, non era mia intenzione. Volevo solo dire che sono giorni che non ti fai sentire.
- Avevo detto ad Alexis di aggiornarti.
- Lo ha fatto, ma volevo sapere come stai tu!
- Benissimo! Kate non si ricorda che esisto ed ora non vuole nemmeno vedermi. Come dovrei stare, secondo te?
- Oh Richard… - Martha si avvicinò a lui con il suo solito fare melodrammatico.
- Non ora madre… Ma tu come fai ad essere qui? Chi ti ha fatto entrare?
- Bob è un grande amante del teatro ha detto di aver visto molti miei spettacoli, non poteva dirmi di no!
- Chi è Bob?
- Il tuo maggiordomo! Stai qui da quanto? Quasi tre settimane e non conosci il maggiordomo della tua suite?
- Non sto molto tempo qui, a dir la verità, dovresti saperlo. Hai fame? Vuoi farmi compagnia?
- Certo figliolo, volentieri.
Così i suoi propositi di cheeseburger poco sani saltarono ed ordinò una selezione di formaggi francesi e delle insalate per lui e per sua madre. Il tutto ovviamente accompagnato dal ottimo vino d’annata per la gioia di Martha. |
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Capitolo 9 *** NOVE ***
Quella notte gli incubi di Kate erano tornati, sempre uguali, sempre con gli stessi flash di immagini, le stesse sensazioni di paura e dolore, le stesse voci, le stesse urla.
Si era svegliata di nuovo di soprassalto nella notte che in realtà era più mattina presto, perchè sentiva già cinguettare gli uccellini fuori dalle finestre: le piaceva quel suono di vita nel buio della sua stanza di ospedale.
Aveva rinunciato a chiamare un'infermiera per dormire, un po' per l'orario, un po' perchè pian piano si sentì sopraffatta dalla nausea. Pensò che forse la sera prima aveva mangiato qualcosa di troppo pesante, ma si diede della stupida da sola pochi istanti dopo. Era lui che manifestava la sua presenza, nel caso lei facesse finta di nulla o si volesse dimenticare che era lì. Si rilassò o almeno ci provò, mettendosi l'anima in pace che per i prossimi tempi sarebbe stato così. Aveva già deciso quindi?
La mattina si svolse ormai con la stessa routine, si alzò, fece qualche passo, evitò di fare colazione perchè altrimenti credeva avrebbe vomitato qualsiasi cosa avesse messo sotto i denti. Jim era passato come sempre a salutarla, l'infermiera a medicarla poi erano arrivati più medici del solito per accertarsi delle sue condizioni. La avvisarono che nei giorni successivi avrebbe dovuto fare degli esami per controllare che tutto procedesse bene. Per lei per il bambino. Conobbe quella mattina il ginecologo che l'aveva seguita che la voleva tranquillizzare sulle sue condizioni leggendo l'inquietudine nel viso di Kate. Le aveva ripetuto più volte che quello che era successo era quasi un miracolo, che anche lui stentava a crederci, viste le sue condizioni, quando lo avevano chiamato. Seguiva tutto quello che le veniva detto con attenzione, cercando di capire dalle loro parole cosa le era successo di preciso, visto che nessuno ancora glielo aveva detto e lei non aveva nemmeno il coraggio di chiederlo, perennemente sospesa tra la voglia e la paura di sapere.
Quando i medici uscirono si mise seduta sul suo letto nonostante i dolori. Da lì poteva osservare meglio la sua stanza. Da quando avevano portato via tutti i macchinari era decisamente più accogliente. Si allungò fino al comodino per prendere la collanina con l'anello sia sua madre, la intrecciò tra le dita stringendola forte. Avrebbe avuto bisogno di tutta la forza e la serenità che lei avrebbe saputo darle, con il suo amore e i suoi consigli. I fiori nel vaso erano di qualche giorno prima ed avevano perso parte della loro freschezza: segnavano tristemente il tempo che era trascorso da quella, unica, giornata trascorsa con Castle. C'erano sempre anche le loro fedi lì sopra. Le prese in mano per la prima volta e mentre le osservava aveva cominciato a far scorrere un dito lungo il loro contorno. Trovava qualcosa di inspiegabilmente forte in quei due cerchi metallici: erano più di due anelli, più di due gioielli, avevano un'energia particolare, sentiva tutta la solennità della promessa che simboleggiavano e ne era intimorita. Non aveva mai pensato al matrimonio ma di una cosa era certa, lei era una persona da una volta sola nella vita e se aveva detto di sì a Richard Castle era perchè ne era profondamente convinta e quella fede era il simbolo dell'importanza dei suoi sentimenti e del suo impegno verso di lui. Sempre. E forse lei tenendole in mano e non avendole osservate attentamente non si era accorta che quel "Always" era inciso all'interno.
Nel tardo pomeriggio arrivò il dottor Burke a far visita a Kate, che ormai non sperava nemmeno più nell'arrivo di Castle. Si era chiesta per tutto il giorno dove fosse e perchè non si faceva vedere, ma la risposta la sapeva: era per colpa sua, per quello che gli aveva detto, dimenticandosi che lui in tutta questa situazione era emotivamente coinvolto tanto quanto lei e lui i suoi sentimenti li ricordava tutti e lei li aveva maltrattati.
Mentre il dottor Burke era seduto sulla poltrona e la osservava, anche lei stava studiando il dottore, un po' come faceva con tutte le persone che non conosceva e che vedeva, o rivedeva, per la prima volta. Era una persona rassicurante, questo fu il suo primo pensiero.
- Ho bisogno di avere delle risposte - La voce di Kate era risoluta ma tranquilla.
- Io non le posso dare delle risposte, Kate. Al massimo la posso aiutare a porsi le giuste domande alle quali dovrà rispondere da sola.
- Come posso rispondermi se non so niente di me?
- Non è vero che non sa niente di se stessa. Non ricorda un periodo della sua vita.
- Tutti mi dicono che sono una persona diversa da quella che credo di essere. Io stessa vedendomi nelle foto, nei video, leggendo quello che scrivevo, sentendo quello che raccontano le persone non mi riconosco, non sono io, io non mi comporto così.
- È vero, lei non si comportava così, ma questo non vuol dire che non lo avrebbe potuto fare, se solo avesse voluto. Le piace quella persona che vede e che le raccontano? Cosa ha di diverso da lei?
- Sembra una persona felice e innamorata.
- Lei non lo è? Non dico adesso, ma quella lei che è nella sua memoria, non era una persona felice? Non si innamorava?
- Non lo so ma credo di no. Mi ero innamorata, forse, una volta. Ma sono stata male e non voglio più soffrire. Non più.
- Non pensa che valga la pena rischiare di soffrire per vivere felici ed innamorarsi?
- Il dolore per la perdita poi è troppo grande da sopportare. Avevo sempre pensato che non sarei mai potuta andare avanti nella mia vita se non avessi reso giustizia a mia madre. Ora mi dicono che l'ho fatto, ma io non lo ricordo ed è come se non fosse successo. Come faccio ad andare avanti?
- Quindi lei non vuole essere felice perchè ha paura di soffrire? Per questo nasconde le sue emozioni?
- Non le nascondo, cerco di proteggermi, per non farmi fare del male.
- Pensa che la donna che vede nelle foto avesse paura di soffrire?
- Non lo so.
- Kate, lei ha paura di quella donna?
- Sì.
- Perchè?
- Quella Kate ha tanto da perdere. Un marito, una nuova famiglia.
- C'è una cosa che vi collega però... un bambino, vero Kate?
- Già... un bambino...
- Cosa prova per questo bambino?
- Non lo so. È una cosa così grande... A volte ci penso e non mi sembra nemmeno che sia mio. È il bambino di quella Kate, non il mio. Poi ho fatto un sogno e non so se era qualcosa di reale che mi era successo o solo delle immagini senza senso ma io stavo male e c'era anche Castle e poi c'era il bambino ed avevo paura perchè non riuscivo a raggiungerlo e Castle mi parlava e io non lo capivo... - Si stava agitando nel ricordare quel sogno, si portò una mano al petto, lì dove sentiva l'origine di tutto il suo dolore. Il dottor Burke la interruppe, le diede dell'acqua da bere e lei si tranquillizzò.
- Con calma Kate. Cominciamo dall'inizio, che cosa ha sognato di preciso?
- Non era qualcosa di chiaro. Erano delle immagini, delle sensazioni. Dolore al petto, freddo. Ero sdraiata sull'erba, avevo le mani con dei guanti bianchi sporchi di sangue. Castle mi parlava ma io non capivo. Poi era tutto buio e la sua voce continuava, aveva paura anche lui ma non capivo quello che mi diceva, non lo capivo.
- Le ricorda qualcosa tutto questo?
- No, non lo so... Dovrebbe? - Non le rispose.
- Cosa altro c'era nel sogno?
- C'ero sempre io, a terra, in una stanza e qualcuno mi stringeva la mano ed io chiamavo Castle. C'era tanto sangue a terra e sul quel sangue c'era un neonato che rideva e poi piangeva ed io volevo prenderlo ma non ci riuscivo ed avevo paura. - Kate cominciò a piangere - Avevo paura per il bambino, perchè era solo. Non posso lasciarlo solo.
- Non lo lascerà solo, Kate. Lei non lascerà solo il suo bambino.
- Non voglio che soffra come me. - Il dottor Burke annuì, le prese una mano per cercare di rassicurarla.
- Ha paura che il suo bambino soffra come lei per sua madre? - Kate annuì. Era già quasi morta, con il suo lavoro poteva capitarle ancora. Cosa ne sarebbe stato di quel bambino? Avrebbe messo al mondo un altro bambino che rischiava di soffrire come lei perchè un giorno qualcuno gli avrebbe detto che avevano ucciso anche la sua mamma? Non sarebbe stato giusto, nessun bambino lo avrebbe meritato. - Per paura di soffrire, non può nascondere dietro al suo muro oltre che la possibilità di essere felice, anche i suoi ricordi. Se non vuole ricordare, non ci riuscirà mai. Se ha paura di quella Kate che vede perchè lei è felice, la terrà sempre lontana da se. E non è giusto per lei, per le persone che la amano e nemmeno per il bambino.
La conversazione di Kate con il dottor Burke era durata più di quanto si aspettassero entrambi. Beckett era stanca e svuotata ma era riuscita a dirsi cose che faticava ad ammettere: aveva paura di ricordare. Ebbe la sensazione più di una volta che Burke sapesse esattamente di cosa lei stesse parlando, come se quei discorsi li avessero già fatti e pensò che probabilmente era così. Si chiesa cosa l'avesse spinta ad andare in terapia e chiedere aiuto per riuscire ad abbattere i muri che la proteggevano. Qualunque cosa fosse stata era stata molto forte, l'aveva cambiata profondamente.
Era anche certa che lui sapesse con assoluta certezza cosa rappresentava il suo sogno ma che volutamente non glielo aveva detto per spingerla a cercare ricordi nella sua mente. Se era così voleva dire che lei quelle sensazioni le aveva vissute, che quel terrore che aveva sentito lo aveva realmente provato e che Castle era lì con lei, perchè era lui l'unica figura reale che sognava in mezzo alla sua angoscia.
Aveva mangiato ancora una volta da sola. Luke anche quella sera aveva portato la cena solo per lei.
Benché sola si gustò quel filetto di branzino con le verdure grigliate ed anche la vellutata di verdure: alimenti sani e nutrienti come consigliato dai medici. Era certa, invece, che il tortino al cioccolato era uno degli strappi alla regola suggeriti da Castle.
Suo padre la chiamò, era dovuto andare fuori città per un caso urgente e si sarebbe trattenuto un paio di giorni. Era passato un altro giorno e Castle non si era fatto nè vedere nè sentire. Le venne anche il dubbio che potesse non stare bene, in fondo anche lui era stato ferito insieme a lei e quei giorni per starle vicino si era sicuramente affaticato molto. Si stava preoccupando per lui?
Quando venne l'infermiera Kate provò ad alzarsi di nuovo e fece qualche passo ancora nella sua stanza, qualcuno in più rispetto alla mattina, le sembrava una gran cosa. Si mise di nuovo a letto e controllò l'ora. Erano le 20:00 passate, si sentiva stanca e assonnata, ma non voleva dormire. Aveva paura che come avesse chiuso gli occhi sarebbero tornate quelle immagini e quelle sensazioni che ormai vedeva ogni volta, tanto che si stava quasi abituando da trovarle familiari, senza che però vedesse qualche dettaglio aggiuntivo, qualcosa che le facesse capire di più. Prese il suo libro, avrebbe letto almeno fino a quando non fosse stata sicura di essere esausta. L'occhio gli cadde sul retro di copertina con la faccia sorridente di Castle. Afferrò il cellulare e cercò il suo numero.
"Se non hai da fare, domani puoi passare in ospedale? Vorrei parlarti. 'Notte KB"
Schiacciò su invio. La risposta non tardò ad arrivare.
"A domani. R."
Rimase interdetta a leggere quel messaggio. Scorse i messaggi trovando quelli più vecchi ed erano tutti di altro tenore. Si chiese cosa potesse pretendere, era ovvio che scrivesse a sua moglie in modo diverso di come scriveva a lei. Però le dispiaceva.
Fu tentata da mandargli un altro messaggio, lo provò anche a scrivere più volte ma poi desistette. Lo avrebbe rivisto la mattina dopo, non era tanto tempo in fondo.
- Dai papà, andiamo adesso.
Castle era con il cellulare in mano, aveva appena inviato la sua risposta a Kate, camminava nervosamente per il corridoio. Voleva aspettare ancora qualche istante nel caso le scrivesse ancora.
- Papà? - Alexis era seduta e lo stava aspettando. Le aveva promesso che sarebbero andati a cena insieme quella sera, non si erano visti molto in quel periodo e quando si erano visti non erano riusciti ad avere il loro solito rapporto. Alexis percepiva che in suo padre c'era qualcosa di diverso, una preoccupazione e un'ansia diversa dal solito. Certo, prima era preoccupato per la situazione di Kate e adesso per la sua amnesia, ma era certa che non fosse solo quello. Lo vedeva più spento, all'erta. Quello che aveva passato non era stato certo facile, gli avevano sparato insieme a sua moglie, eppure non era la sua prima disavventura "seria". Non lo ricordava così nemmeno quando era tornato dopo essere sparito per due mesi senza memoria e con varie cicatrici sul corpo. Era preoccupata per lui.
Castle, dal canto suo, sapeva di aver un atteggiamento forse anche troppo duro con la figlia, ma non capiva come mai nessuno riuscisse comprenderlo fino in fondo, lo aveva detto anche a Burke. Nessuno aveva capito la sua angoscia per non essere riuscito a tenere al sicuro sua moglie, la sua famiglia, dentro la loro casa. Nè la paura di perderla che giorno dopo giorno si amplificava e lo consumava e poi, adesso, il suo smarrimento nel non avere più la sua Kate, la sua àncora, la donna che aveva cambiato la sua vita. Lui era grato a sua figlia e a sua madre per essersi sempre interessate delle sue condizioni, di essergli stato vicino quando era stato ricoverato ma si chiedeva come mai non riuscissero a comprendere che la sua vera preoccupazione era sua moglie e che per stare bene aveva bisogno di lei.
Si era ritrovato a pensare più volte, in quei lunghi giorni solo al capezzale di Kate se la sua famiglia avesse mai compreso realmente fino in fondo quanto fosse forte il rapporto tra lui e sua moglie, a volte gli sembrava che in realtà nessuno fosse in grado di capirlo tranne loro due, solo loro due sapevano quanto erano indispensabili l'uno per l'altra ed adesso, invece, lo sapeva solo lui.
C'era, poi, il discorso del bambino che lo turbava, avrebbe dovuto dirlo ad Alexis ma voleva prima parlarne con Kate per chiederle il permesso per dirlo a sua figlia.
Non arrivarono altri messaggi, diede la mano ad Alexis che si alzò dalla sedia nel quale lo aveva aspettato. La abbracciò e insieme uscirono dall'ospedale.
- Papà...
- Dimmi piccola
- Non credo ti faccia bene stare tutto il giorno fuori dalla stanza di Kate
- Lo so Alexis, ma non posso stare in nessun altro posto.
- Papà, spero che un giorno potrò dire la stessa cosa della persona della quale sono innamorata.
- Te lo auguro, piccola mia, vorrà dire che sarà la persona giusta e che io molto a malincuore dovrò lasciarti andare da lui.
- Vedrai che Kate ritroverà la memoria, non può non ricordarsi di te, sei indimenticabile!
- Grazie pumpkin.
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Capitolo 10 *** DIECI ***
Quando la sera prima gli era arrivato il messaggio di Beckett, Castle in realtà aveva già deciso quello che avrebbe fatto.
Le aveva lasciato spazio per un paio di giorni, l’aveva assecondata, aveva compreso il suo desiderio di stare sola e di non averlo vicino. Però non l’avrebbe lasciata isolarsi. Non questa volta. C’era già passato ed erano trascorsi mesi prima che Kate si fosse fatta viva di nuovo con lui. Questa volta non lo avrebbe permesso. Le avrebbe imposto la sua presenza anche contro la sua volontà, se fosse stato necessario. Era sua moglie, era incinta di suo figlio, aveva tutti i diritti di starle vicino. Questa volta avrebbe combattuto con e per lei. Per loro. Non si sarebbe fatto allontanare ancora.
Bussò quasi timidamente alla porta della stanza e tutta la baldanza e le certezze che credeva di avere svanirono davanti alla possibilità che Kate lo avrebbe potuto allontanare ancora. Per poco non gli caddero dalle mani i caffè e i fiori nel vederla in piedi.
Si precipitò ad appoggiare tutto sul tavolo e andò da lei. Non sembrava molto stabile, ma vederla davanti a lui, sulle sue gambe e non sdraiata sul letto gli sembrava già un miracolo. La guardava con un'espressione imbambolata, alzò le mani per appoggiargliele sulle spalle, avrebbe voluto toccarla, abbracciarla stringerla a se ma si trattenne, lasciando le mani a mezz'aria e percorrendo la linea immaginaria del suo corpo senza sfiorarla, tenendosi distante.
- Ti vedo bene. - le disse sorridendo.
- Ho la nausea. - gli rispose disgustata.
- Mi dispiace. - Come se la unica causa del suo stato fosse lui.
- Dicono che è normale in questo periodo, Castle
- Sì, lo è. - Rispose lui sicuro come se fosse il massimo esperto mondiale di gravidanze e nausee mattutine.
- Ti ho preso un caffè se ti va. È decaffeinato, lo erano anche quelli dei giorni scorsi in realtà. - Parlava tanto, troppo, come suo solito, per rompere l’imbarazzo. Ma era il suo modo per dirle che lui pensava a lei ed anche al bambino, che non si doveva preoccupare, non l’aveva indotta in tentazione con la caffeina quando le avrebbe fatto male. Era un uomo previdente lui.
- Grazie Castle.
Lui vide i fiori appassiti e mentre lei si sdraiava di nuovo approfittò per cambiarli, con i nuovi gigli bianchi che le aveva portato. Non aveva mai lasciato che i fiori sfiorissero vicino a lei, non avrebbe dovuto farlo, erano tristi e in quella stanza di tristezza ce n’era già troppa. Le avrebbe dovuto mandare dei fiori freschi e farglieli cambiare da un’infermiera in quei giorni che lui non c’era stato, perché non ci aveva pensato?
Prese i caffè, li mise sul comodino e notò come aveva riposto le loro fedi al centro della collana con l'anello di Johanna. Fu felice di quel gesto forse involontario, ma sperò che sua madre li proteggesse e li aiutasse da lassù, era certo che lei facesse il tifo per loro.
- Come stai Castle? - Chiese Kate veramente preoccupata che non si fosse fatto vivo per motivi di salute.
- Ora bene Beckett.
- Sei stato male? - La sua risposta la allarmò di più.
- No, sto bene ora che sono qui, con te.
Beckett abbassò lo sguardo imbarazzata. Castle fino ad ora non si era mai esposto più di tanto sui suoi sentimenti, era rimasto molto discreto anche quando le aveva raccontato del loro matrimonio.
- Di cosa volevi parlarmi Beckett? - Voleva arrivare subito al punto, per capire che direzione avrebbe preso quella giornata.
- Perché non sei più venuto? - Lo chiese senza pensare a come lui potesse interpretare quella domanda, non le interessava, voleva solo sapere perchè si era tenuto distante, e nel suo tono c’era quasi un rimprovero. Le aveva detto che ci sarebbe stato sempre, no? Lo aveva detto lui, se lo ricordava bene, almeno quello.
- Perché mi hai mandato via. - Non era sempre stata lei tra i due quella logica? Si chiese Castle mentalmente stupendosi della sua stessa risposta
- Mi hanno detto che non fai mai quello che ti dico.
- Infatti, è stata un'eccezione. Ma sappi che se vuoi mandarmi via ancora non ti ascolterò.
- Non voglio mandarti via Castle. Credo che abbiamo molte cose di cui parlare.
- Credo di sì.
- L’ho detto a Lanie - gli disse Kate senza riuscire a guardarlo negli occhi
- Cosa?
- Del bambino, ti dispiace?
- No, puoi dirlo a chi vuoi, è tuo figlio. - voleva essere accondiscendente però in realtà sì gli dispiaceva, ma capiva anche la necessità di parlarne con qualcuno
- E’ anche tuo figlio Castle, spero… - lo disse ironica ma non troppo
- Speri che sia mio figlio? - Questa volta non si fece sfuggire la possibilità di stuzzicarla
- Essendo tu mio marito, troverei abbastanza sconveniente per me, scoprire anche che non è tuo figlio ma di qualcun altro.
- Ah, ok, quindi lo speri per mantenere la tua onorabilità
- Esattamente. - Asserì Kate cercando di essere il più convincente possibile.
- Solo per questo. - Insistette Castle.
- Sì. Certo - No. Ma non glielo avrebbe detto.
- Ok, mi pare ragionevole. Conoscendoti tenderei a rassicurarti su questo.
- Grazie Castle.
- Anche se io nel caso dovrei essere l’ultimo ad essere a conoscenza di altre tue frequentazioni. - Aggiunse Rick provocandola
- Così non sei d’aiuto Castle però eh! - Lui sorrise e lei capì che lo stava facendo apposta per infastidirla e suscitare delle reazioni, così come le avevano detto faceva sempre prima. Poi tornò serio, quell’uomo aveva la capacità di passare dall’essere un bambino dispettoso che le faceva venire voglia di sparargli se solo avesse avuto la sua pistola ad un marito amorevole nel giro di pochi istanti. E questa cosa in fondo le piaceva, perchè riusciva ad alleggerirle ogni notizia che le dava.
- Lo vorrei dire ad Alexis, mia figlia - specificò, nel caso non ricordasse che gliel'aveva già presentata - se tu sei d'accordo, ovviamente.
- Non glielo hai detto?
- No Kate. - la chiamò per nome volutamente. Doveva farle un discorso più serio e personale e cercava un tono più confidente - Non sapevo cosa tu volessi fare. Non mi sembrava il caso di dirlo a mia figlia se poi...
Castle si interruppe, non riusciva a dirlo, in realtà nemmeno a pensarlo. Kate alzò la testa di scatto ed ora sì, fissava negli occhi Rick e vedeva tutta la tristezza, la paura e la serietà del discorso che le stava facendo. Lei fece per parlare, ma lui la interruppe, chiedendogli di lasciarlo finire.
- Io ti capisco Kate. Le tue paure per questa situazione complicata. Ti trovi dentro una vita che non senti tua, con un marito che non conosci per il quale non provi nulla - Dio solo sa quanto gli fu difficile pronunciare quelle parole - ed in più scopri di aspettare anche un figlio da lui. Io ti amo Kate, anche se tu non te lo ricordi, i miei sentimenti per te non cambiano. Io voglio esserti vicino sempre, qualsiasi decisione tu voglia prendere, perché ti amo. Incondizionatamente. Ti chiedo solo di pensarci bene, perchè anche se non lo avevamo programmato, io sono sicuro che tu saresti stata felicissima di sapere di aspettare un bambino nostro, ne sono certo e non te lo sto dicendo per influenzare la tua decisione, non lo farei mai. Ti chiedo solo di pensarci. Pensaci, Kate, ti prego. Tu questo bambino lo avresti amato esattamente come lo amo io, come amo te.
Kate non aveva smesso di guardarlo per un istante. Avrebbe voluto rassicurarlo e consolarlo. Non aveva mai ricevuto una dichiarazione più bella e dolce.
- Da quando ho saputo di essere incinta ogni volta che chiudo gli occhi e provo a dormire faccio sempre lo stesso incubo. Sono tante immagini che si susseguono, senza senso, ma evocano delle sensazioni che mi fanno rimanere senza fiato. L'incubo finisce sempre nello stesso modo. Io sdraiata a terra in una casa, qualcuno che mi stringe la mano e un neonato seduto in una pozza di sangue che piange ed io non riesco a muovermi per prenderlo. Ed ho paura per lui. Che non sia bene, che gli possano fare del male, che sia solo.
- Non sarà solo Kate e nessuno gli farà del male, te lo giuro. Non permetterò più a nessuno di fare del male a te e alla nostra famiglia.
- È un sogno Castle? O sono ricordi?
- Dopo che ci hanno sparato, quando ci hanno trovati a casa, ci tenevamo per mano. Eravamo distanti. Tu ti sei trascinata fino a me e ci siamo presi per mano. Insieme, per sempre. - Era un ricordo allora. Era qualcosa che aveva vissuto. E allora anche il resto era vero? Ebbe un brivido, ma glielo avrebbe chiesto in un altro momento.
- Cosa hai provato tu Castle? Hai avuto paura? - Voleva sapere come si era sentito lui. Castle si sorprese di quella domanda. Nessuno dal giorno della sparatoria al loft gli aveva mai chiesto cosa avesse provato, nessuno gli aveva mai chiesto se avesse avuto paura. Era stata Kate la prima a chiedergli come si fosse sentito.
- Ho avuto paura solo che tu non ce la facessi. Non avrei resistito. Quando ho sentito la tua mano allentare la presa sulla ero terrorizzato.
Kate abbassò di nuovo lo sguardo. Come avrebbe potuto rispondere lei a tanto amore?
- Credo che per me è stata la stessa cosa. Vorrei solo ricordarmelo per potertelo dire.
- Kate, non c'è bisogno che dici nulla. Tu non te lo ricordi ma io so cosa provavi per me e non ne ho mai dubitato, mai, nemmeno adesso, perché so che da qualche parte dentro di te c’è, lo devo solo trovare e fare in modo che tu lo possa ricordare.
- Rick - Castle provò un brivido a sentirsi chiamare per nome - lo puoi dire ad Alexis.
- Sei sicura Kate? Non devi decidere adesso, per quello che ti ho detto.
- Avevo già deciso, Castle. Ho paura, sono terrorizzata anzi. Non so come potrò fare, perché non riesco proprio a vedermi come madre, non so cosa sarà di noi. Però non sarei mai riuscita a decidere altro, anche se non riesco ancora a pensare a questo bambino come se fosse mio figlio, penso sempre che sia il figlio di quella Kate e non mio. È una cosa orribile lo so…
- È normale che tu sia confusa, che non sai cosa provi… Ce la faremo, farò di tutto perché noi possiamo farcela.
Kate vide gli occhi azzurri di Castle riempirsi di lacrime e non riuscì a trattenere nemmeno le sue. Non sapeva esattamente perché ma sentiva che stavano vivendo qualcosa di molto intenso e gli prese le mani tra le sue, cosa che sembrava impossibile visto quanto erano grandi quelle di Castle rispetto alle sue.
- Ci ho pensato Rick, non posso dirti di no. Mi sembrava la cosa più semplice. Poi mio padre mi ha detto che avrei potuto fare qualcosa della quale non mi sarei mai perdonata se avessi riacquistato la memoria e quella stessa notte ho fatto quel sogno. Non potevo farlo, mi capisci? Ho paura ma non potevo.
Lui la ascoltava senza dire nulla. Annuiva solamente. Non avrebbe mai immaginato di parlare così con Kate del loro bambino. Non era giusto, avrebbero dovuto vivere questo momento in tutt'altro modo, abbracciati a fantasticare cose assurde su di lui. Discutere sul sesso sul nome. Il nome!
- Beckett, se è maschio... - lei lo guardò perplessa. Aveva appena finito i suoi dubbi e lui già stava fantasticando sul loro futuro. Chissà quante altre volte lo aveva già fatto in quelle settimane. Percepì che per lui era già molto più reale che per lei, ma aveva avuto anche molto più tempo per assimilare l'idea - ... Mi piacerebbe chiamarlo Cosmo.
- Castle - il suo sguardo diventò tagliente - non chiamerò mai mio figlio Cosmo. Scordatelo.
Rick rise di gusto e Kate non capiva perché, ma non le importava al momento. Lo aveva fatto ancora, aveva sciolto con una frase una situazione che rischiava di diventare troppo intensa per essere sopportata in quel momento. Sorrise anche lei e pensava che in fondo avere quello scrittore intorno non era poi così male, riusciva a rendere leggera ogni situazione facendola sentire meglio. Sì, gli era mancato, non c’era nulla di male ad ammetterlo.
Mangiarono, insieme e Kate si chiese quando avesse comunicato che avrebbero dovuto preparare per due. Lui si assicurò che lei mangiasse tutto, non aveva toccato cibo per tutta la mattina per colpa della nausea, ma ora stava mangiando con gusto e lui le diede anche una delle sue polpette che lei si stupì di volere veramente e non solo per capriccio, anzi forse ne avrebbe voluta anche un’altra. Era soddisfatto di vederla mangiare così, voleva dire che stava meglio.
Dopo aver mangiato la stanchezza ebbe la meglio sul suo fisico ancora debole e provato oltre che dalle ferite anche dalle tante emozioni contrastanti che era costretta a vivere di continuo.
Castle rimase tutto il tempo a guardarla dormire, uscì solo pochi minuti per parlare con i suoi medici per aggiornarsi sulle sue condizioni reali e fu rassicurato che tutto andava bene, almeno dal punto di vista fisico il suo decorso procedeva molto bene.
- Ho parlato con il dottor Burke - dissero all'unisono e Castle sorrise mentre Kate si stupì di quell'insolita situazione.
- Ci capitava spesso. - le rivelò vedendo lo sguardo confuso di sua moglie.
- Di dire le cose contemporaneamente? È inquietante Castle! - chiese Beckett sempre più perplessa
- Sì. Noi siamo connessi in qualche modo, dobbiamo solo ritrovare le frequenze giuste. - disse tutto molto seriamente, anche troppo e le strappò una risata, poi anche Kate tornò seria, pensando a quello che aveva detto.
- Castle, perchè hai parlato anche tu con Burke? - Chiese e si rese conto di essere stata anche troppo sfacciata, ma lui non si scompose
- Avevo bisogno anche io di fare chiarezza su alcune cose di quelle che sono accadute.
- Mi dispiace averti incasinato la vita
- Kate, tu la mia vita non l’hai incasinata adesso, ma tanti anni fa. Ed è la cosa più bella che mi sia capitata, mi devi credere.
- L'infermiera dice che devo camminare un po' - disse dopo un po’ indicandogli con uno sguardo il deambulatore - ma non voglio usare quel coso
La voce di Kate sembrava quella di una bambina che faceva i capricci. La risposta Rick la spiazzò completamente. Si aspettava che lui le facesse un profondo discorso sul fatto che doveva accettare di non essere autosufficiente, che ci voleva tempo, che era necessario… Invece non fece nulla di tutto ciò.
- No, no assolutamente, quello lo usano i malati, non lo puoi usare! - Le disse serio e irremovibile, allontanandolo in fondo alla stanza, più lontano possibile dalla loro vista. Lo avrebbe anche portato fuori dalla stanza, ma forse era troppo.
- Castle, io cosa sono secondo te? - Chiese Kate ritrovando la sua lucidità e raziocinio da persona adulta.
- Sei una persona in via di guarigione.
- Quindi praticamente ora sono malata. - Concluse logicamente il pensiero.
- Ehm sì, ma malato è un termine negativo, è triste e statico, non fa bene. Persona in via di guarigione è in movimento, proiettato al futuro e positivo. C'è la parola guarigione, da speranza.
Il suo discorso folle l'aveva quasi convinta a guardare le cose in modo diverso. Rimaneva il problema di usare quel coso per camminare.
- Se non lo uso non ce la faccio però. Non sono molto stabile, mi devo appoggiare
- Ci sono io!
- Castle!
- Sono serio Beckett! Ci sono io per questo! Ti puoi appoggiare a me, come meglio credi. - Non era solo il suo appoggio fisico che le offriva, lei lo aveva capito ma aveva fatto finta di nulla.
- Non stai bene, sei stato ferito anche tu, non posso... - Cercò di prendere tempo.
- Non ho detto che ti porto in braccio in giro per New York - come avrebbe voluto fare se fosse stato bene, ma questo non glielo disse - solo che per camminare qui dentro ti puoi appoggiare a me e lasciare che io ti aiuti. Mi sembra un ragionevole compromesso tra il deambulatore da malati e fare tutto da sola.
Alla fine non le sembrava un'idea così malvagia anche se questo implicava un contatto tra loro più vicino di quanto non ci fosse stato fino ad ora.
Si fece coraggio e si alzò appoggiandosi alle sue mani che la tenevano con fermezza mentre non smetteva di guardarla. Avrebbe detto che lo stava facendo con ammirazione ma non ne capiva il perchè. Quando si sentì sufficientemente stabile si mise al suo fianco destro e si aggrappò letteralmente al suo braccio. Rick con molta delicatezza si liberò da quella presa e lei per un attimo pensò che ci stesse ripensando magari gli aveva fatto male.
Lui, invece, con dolcezza le aveva cinto la vita con un braccio, per sostenerla, facendo bene attenzione con la mano a non andare a stringerla troppo o a non toccare le sue cicatrici. Le aveva viste solo una volta, quando ancora era priva di conoscenza, ma sapeva esattamente dove fossero. La sentiva molto magra e questo lo preoccupava. Doveva mangiare di più per riprendere forze e per il bambino. Ne avrebbe parlato dopo con i suoi medici così da modificare la sua dieta in quantità e qualità.
Kate si sentiva imbarazzata di quella vicinanza e del suo abbraccio. "È tuo marito, sei incinta di suo figlio, ti ha molto più che abbracciata" si ripeteva mentalmente immaginando situazioni che non doveva immaginare. Certo per lui era tutto normale, la stava solo abbracciando, pensava Kate, senza capire minimamente cosa volesse dire per lui tenerla così vicina, percepire il suo corpo appoggiato sul suo fianco e doversi trattenere dallo stringerla a se e chiuderla tra e sue braccia.
Camminarono per la stanza andando un paio di volte dal letto alla finestra fermandosi anche qualche minuto a guardare la vita scorrere fuori dai vetri, come sempre. Era una bella giornata, Kate pensò che le sarebbe piaciuto uscire respirare un po' di aria vera, anche lo smog, non le importava, era comunque qualcosa di più vivo dell'aria dell'ospedale.
Si stupì di quanta fatica in meno facesse a camminare con lui. Non sapeva se fosse solo una sua idea o era realmente così.
Mentre guardavano fuori, senza dirsi nulla, Kate si ritrovò a fare un gesto involontario nell'appoggiare la testa sul suo petto. Rick sussultò sia per la vicinanza inaspettata, sia perché, non sapendolo, aveva sfiorato proprio la sua cicatrice. Era la prima volta che qualcuno lo faceva, Rick pensò che non era un caso che fosse proprio lei a farlo. Kate si accorse del suo movimento e rialzò la testa di scatto, ma Castle appoggiò delicatamente la mano libera tra i suoi capelli, invitandola ad avvicinarsi di nuovo e la lasciò lì tenendola in qualcosa che poteva sembrare veramente un abbraccio. Respirò profondamente: tenerla così era molto più di quanto avesse potuto sperare quella mattina quando era arrivato.
- Castle? - la voce di Kate lo risvegliò da quei momenti di beatitudine
- Uhm?
- Sono stanca.
Non ci fu bisogno di dire di più e la riaccompagnò lentamente verso il letto.
Quell'abbraccio innocente ed intimo allo stesso tempo aveva lasciato in loro emozioni diverse. Castle ne fu rigenerato, come se tenendola tra le sue braccia avesse assorbito tutta la linfa vitale di cui aveva bisogno, gli dava speranza che le cose potessero sistemarsi, magari non presto come lui avrebbe voluto, ma che potevano almeno migliorare. Si erano visti solo per poche ore in fondo e lei si era appoggiata e fatta abbracciare senza opporre resistenza da uno sconosciuto. La Beckett che lui aveva appena conosciuto, anni prima, non lo avrebbe mai fatto e questo gli dava conferma, con assoluta certezza, che se la sua mente non si ricordava di lui, il suo inconscio sì. |
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Capitolo 11 *** UNDICI ***
Nei giorni seguenti avevano entrambi rivisto il dottor Burke. Castle era tornato al suo studio, si era seduto di nuovo su quella grande poltrona ed era riuscito di nuovo a sfogarsi, a parlare di se, a cercare di curarsi un po’. Si sentiva incompreso, da tutti, gli sembrava che nessuno avesse capito veramente la sua angoscia, la sua paura, il suo terrore di perdere l’amore della sua vita. Davanti a questo la sua paura di morire era stata del tutto inesistente, anzi nei primi giorni l’aveva vista come una consolazione in caso che lei non ce l’avesse fatta. Però questo non riusciva a dirlo a nessuno per paura che nessuno lo capisse. “Vedrai che starai bene” le ripetevano Alexis e Martha mentre era ricoverato e la stessa cosa anche tutti gli altri quando gli andavano a fare visita. E lui era lì, su un letto di ospedale senza potersi muovere, sapendo che sua moglie era a qualche stanza di distanza e lottava tra la vita e la morte. Come sarebbe potuto stare bene? Aveva trovato solo in Jim Beckett una persona che capiva esattamente quello che provava e quale era la sua paura: quella paura la condividevano e lui sapeva come Rick si sarebbe sentito se le cose fossero andate diversamente. Lo aveva visto piangere, con la compostezza che aveva sempre avuto, sopraffatto dai ricordi delle moglie e dalla paura per la figlia e Castle si era detto che non poteva gravare del suo dolore un uomo così segnato dalla vita, anzi doveva essere lui ad essere forte anche per il padre di Beckett, lo doveva a Kate.
Tutto questo aveva pesato come un macigno sul suo fisico e sulla sua emotività. L’allontanarsi dal loft era stato anche un inconsapevole allontanamento dalla sua famiglia. In quella casa lui ci sarebbe tornato con Kate o non ci sarebbe tornato affatto, questa era la verità che alla fine, dopo vari incontri aveva rivelato al dottor Burke.
Anche Kate aveva parlato di nuovo con il dottor Burke, malgrado le sue domande, spesso scomode, la costringevano a cercare dentro di se delle risposte che, forse, non voleva darsi. La cosa che la stupì di più è che pensava che il dottore l’avrebbe spinta a ricordare fatti ed eventi di quegli anni dimenticati invece non fu così. Non le chiese mai di sforzarsi di ricordare quello che aveva cancellato, o meglio come diceva lui accantonato, dalla sua mente ma anzi, voleva che le parlasse di tutto ciò che nella sua memoria era ben presente, di come si sentiva, di quello che provava negli ultimi ricordi che aveva. Fu così inevitabile ripercorrere gli anni subito dopo l’omicidio di sua madre e come quell’evento l’aveva cambiata ed ammettere che tutto quello che aveva fatto ma anche tutto quello che non aveva fatto nella sua vita, tutti i “no” che aveva detto erano legati a doppio filo a quella tragica notte. Era frustrante per lei sapere che probabilmente tutto questo con Burke lo aveva già affrontato e insisteva con il dottore perchè le dicesse come era riuscita a superarlo, ma lui non le dava mai una risposta. Le ripeteva che non c’era una formula magica e che non esisteva un modo. Erano il tempo, le giuste motivazioni ma soprattutto la sua volontà ad aver fatto sì che accadesse. Lui l’aveva solo accompagnata in quel cammino che però doveva essere lei a voler percorrere e fino a quando non sarebbe stata pronta e avesse accettato di superare quanto le era accaduto, lui non avrebbe potuto fare nulla di più che ascoltarla e spronarla.
Le aveva detto che doveva avere il coraggio di tagliare le funi che la tenevano ancorata alla banchina e navigare alla ricerca di nuovi mari, ma che fino a quando avesse guardato solo verso il porto che la teneva al sicuro, non avrebbe mai scoperto mai cosa c’era oltre e dove sarebbe potuta approdare.
Rick e Kate stavano cercando di costruire una loro strana quotidianità mentre continuavano a conoscersi, o meglio, mentre lei conosceva lui.
Parlavano, tanto. Di tutto, di loro, di come era cambiato il mondo in quegli anni, si raccontavano eventi del loro passato prima di conoscersi la prima volta, molte cose che Rick già sapeva di lei ma le piaceva ascoltarla raccontargli ancora la sua vita. Quello che Castle evitava il più possibile era di raccontarle tutte le loro avventure più tristi e dolorose. Le centellinava, per essere certo di non caricarla di troppe emozioni, anche se forse avrebbe ricordato prima, ma non la voleva far stare male.
Le aveva detto di Montgomery perché gli aveva chiesto più volte notizie di lui. Gli aveva raccontato che era stato ucciso per colpa di un caso molto delicato del suo passato, ma aveva omesso, per il momento, il resto. Pianse per Roy, pianse molto. E si rifugiò a piangere contro il suo petto così come aveva realmente fatto quella notte. E lui con la stessa forza e dolcezza la consolò e la protesse tra le sue braccia.
Conobbe anche la Gates, che un giorno era andata a trovarla insieme a Ryan ed Esposito che, come Lanie, cercavano di trovare sempre un momento per farle visita. Le loro visite e quelle di Jim erano gli unici momenti in cui Castle si allontanava da Kate. Li usava per andare a fare le sue visite di controllo nelle quali gli consigliavano sempre di rallentare, perché prima o poi il suo fisico gli avrebbe presentato il conto, ma lui non li stava a sentire. Altre volte era andato semplicemente a sedersi su una panchina fuori dall’ospedale, per prendere un po’ d’aria: si era ritrovato più di una volta faccia a faccia con dei giornalisti di gossip che non rispettavano nemmeno il suo bisogno di tranquillità e lo tempestavano di domande su quanto accaduto e su sua moglie. Aveva visto in quelle settimane più di un articolo su di loro, tra gossip e politica e si era accorto di essere seguito da fotografi che rubavano scatti delle sue brevi uscite. Aveva visto la sua faccia su Radar Online dove, con poco tatto, lo ritraevano con la grande scritta “esclusiva” mentre portava fiori e caffè a Kate, chiedendosi quanto avrebbe resistito il celebre scrittore. Gli arrivò in quei giorni anche una telefonata di Gina, entusiasta, che gli diceva che US Weekly lo aveva messo tra Angelina Jolie e Gordon Ramsey nelle notizie della settimana ed Holliwood Life aveva fatto uno speciale su di lui: questo avrebbe fatto a breve impennare nuovamente le vendite dei suoi libri e avrebbero preparato delle serate speciali a cui avrebbe dovuto partecipare. Castle era inorridito davanti alle prospettive che la sua ex moglie gli proponeva: discussero animatamente mentre Rick cercava di spiegarle che lui stava ancora male e non poteva fare vita mondana come lei voleva, gli avevano sparato, se ne doveva ricordare. Gina sembrava non sentire ragioni, anzi, gli diceva che se lo avessero visto a qualche party ancora non in perfetta forma avrebbe fatto ancora più notizia. Quando Castle le disse che lui non avrebbe partecipato a nessuna festa perché non c’era nulla da festeggiare con sua moglie che stava in ospedale Gina perse definitivamente la pazienza, minacciandolo di rispettare il suo ruolo pubblico che da troppo tempo stava trascurando ed infine gli ricordò delle scadenze imminenti per la consegna degli ultimi capitoli di Hight Heat dato che avevano già stabilito la data di uscita nelle librerie da lì a pochi mesi, in autunno.
L’unica cosa che fece fu contattare il suo avvocato per risolvere la questione. Non intendeva partecipare a nessun evento pubblico e se non lo capivano era disposto anche a cambiare casa editrice, non gli interessava quando avrebbe dovuto pagare di penali e a quali rischi andava incontro. Non era un pupazzo nelle loro mani.
Kate, dopo i primi giorni non aveva più paura dei contatti tra loro, non si ritraeva se lui l’abbracciava, anzi trovava conforto nei suoi abbracci, ma lo trattava come si può trattare un caro amico, non aveva remore a lasciarsi andare davanti a lui a crisi di pianto o risate gioiose, nulla di più. Lui si adeguava ai suoi tempi, non la giudicava quando esplodeva per cose di poco conto, era comprensivo e la assecondava, anche quando lei gli rispondeva in modo sgarbato o esagerato. Beckett però, aveva cominciato a capire che quelle sue esternazioni erano fuori luogo e si dispiaceva per il suo comportamento. Rimaneva un po’ in silenzio poi cercava la sua mano ed era il suo modo per fargli capire che era tutto ok e che lo ringraziava per esserci. Non era molto, ma era tutto quello che riusciva a dargli.
Castle non mancava di imporsi per quelle decisioni che riguardavano la sua salute. Era intransigente in quei casi e la trattava anche come una bambina e glielo aveva detto più volte che perfino Alexis quando era piccola, era più ubbidiente di lei. E Kate sbuffava e faceva tutte quelle smorfie che lui trovava adorabili.
Rick aveva "presentato" a Kate Martha che l'aveva travolta con i suoi soliti atteggiamenti teatrali trattandola come sempre, senza minimamente considerare che lei non ricordasse nulla, imbarazzandola in più di un'occasione. Rick ogni volta riprendeva sua madre ma lei era convinta che questo suo metodo era il più efficace e che tutti avrebbero dovuto comportarsi così. Castle temette che queste sue teorie le avrebbe scritte nel prossimo libro di consigli che voleva pubblicare, lei non gli rispose liquidandolo con sufficienza con un cenno della mano e per lui fu la certezza che sarebbe stato proprio così.
Ogni volta che Martha se ne andava Kate scoppiava a ridere dopo essersi trattenuta per tutto il tempo della sua presenza ed ogni volta chiedeva la stessa cosa a Rick "veramente lei vive con noi?" ottenendo come risposte dallo scrittore solo sbuffi ed alzate di spalle, finendo per ridere insieme a lei di quella madre così fuori dalle righe.
Kate poteva sentire chiaramente tutto l’affetto sincero che quella famiglia provava per lei e che non mancavano mai di dimostrarle, osservava i tre insieme e pensava come era potuta finire lei in mezzo a delle persone così diverse da quelle che ricordava di frequentare abitualmente: una diva di Hollywood che viveva nei fasti del passato, uno scrittore playboy e una ragazza che sembrava molto più grande della sua età, cresciuta incomprensibilmente da adulta responsabile in mezzo a quei due. Però erano adorabili. Era la sua famiglia e la cosa che la spiazzò più di ogni altra, fu vedere come anche suo padre, sempre così riservato e discreto sembrava perfettamente a proprio agio tra loro: lo erano tutti, tranne lei che non sapeva mai cosa dire o fare e a poco serviva che Rick le dicesse sempre di comportarsi come sentiva naturale, senza preoccuparsi di quello che era e quello che faceva.
Rick, cogliendo di sorpresa Kate, aveva detto a madre e figlia del bambino in arrivo un pomeriggio mentre erano in ospedale, con lei presente. Beckett aveva creduto che lo avrebbe fatto da solo, nell'intimità della loro casa. Invece Castle la stupì quando si sedette nel letto vicino a lei, le strinse la mano ed annunciò l'arrivo del loro bambino. Fu più stupita lei della modalità dell'annuncio che le due rosse dalla notizia. Il "Finalmente!" di Martha abbracciando Kate fece capire chiaramente che lei avrebbe voluto da tempo un altro nipotino, mentre Alexis si strinse forte suo padre congratulandosi e dichiarandosi entusiasta per la notizia.
Quando la porta della camera si chiuse e rimasero soli, Kate guardò severa Rick le fece la sua miglior faccia da cucciolo indifeso.
- Scusami se ti ho messo in una situazione imbarazzante
- Potevi dirmelo che volevi annunciargli del bambino insieme a me, sono rimasta così stupita che sembrava non lo sapessi nemmeno io!
- Hai ragione, mi sono fatto prendere la mano. Però è una cosa che riguarda noi, non glielo volevo dire da solo. - Kate non rispose pensando a quel noi che pesava come un macigno nella sua mente - Sei arrabbiata? - Le chiese preoccupato, non voleva rovinare quanto stavano lentamente costruendo e non voleva farla innervosire.
- No, Castle.
- Sicura? - Insistette
- Sì, sicura. Non so come funzionava tra noi prima, ma ora vorrei che quando hai queste idee almeno mi rendessi partecipe prima di metterle in atto. - Questa volta il suo viso si raddolcì e Rick se ne convinse più dalla sua espressione che grazie alle sue parole
- Ok, lo farò, promesso. - Castle giocava nervosamente picchiettando con le dita sulle sue ginocchia, fremeva per dire qualcosa, Kate se ne accorse e lo guardava, attendendo solo il momento che parlasse, preoccupata di cosa altro poteva aver fatto o aver in mente di fare. In poco tempo aveva già capito che da lui poteva aspettarsi di tutto - Beckett...
- Dimmi Castle... - Ecco era arrivato il momento.
- Ti amo. - le diede un bacio sulla fronte mentre lei arrossiva vistosamente. Non era abituata e non sapeva cosa rispondergli per paura di ferirlo. Pensò, però, sorridendo, che poteva dirle di peggio.
Quella successiva era una giornata giornata molto importante: Kate era ormai all’undicesima settimana di gravidanza ed avevano programmato la prima ecografia o almeno la prima da quando lei si era risvegliata. Era ansiosa. Lo aveva negato a tutti quelli che glielo avevano chiesto ma lo era. Molto. Sapeva che il periodo critico non era ancora finito e, con tutto quello che il suo bambino aveva passato, lei adesso aveva molta paura che qualcosa potesse andare storto, che non stesse bene.
Non sarebbe stato giusto, non se lo sarebbero meritato.
Castle l'aveva pregata di poter assistere, le promise che sarebbe stato buono buono da una parte senza dire nulla e non si sarebbero nemmeno accorti della sua presenza. Impossibile. Kate lo lasciò parlare ascoltando tutti i suoi vaneggiamenti e gli disse che ok, andava bene ma doveva stare buono, veramente. In realtà se non lo avesse proposto lui, glielo avrebbe chiesto lei di accompagnarla, ma non glielo avrebbe detto, non per adesso.
Rick aveva chiesto ed ottenuto che l'ecografia fosse fatta con i migliori e più recenti macchinari perché voleva vedere per la prima volta suo figlio nel modo migliore possibile e che anche il dottore potesse controllare tutto nel miglior modo possibile. E voleva il video. E le foto. E l'audio del battito. Tutto. I medici avevano detto di sì a tutto, l'importante era che gli desse tregua.
Kate fu fatta accomodare su una sedia a rotelle e per la prima volta dopo tanto tempo lasciava quel reparto e già le sembrava una gran cosa. Il dottor Yedlin li aspettava nel suo studio, Castle aiutò Kate a sdraiarsi sul lettino e non potè distogliere lo sguardo dal ventre di sua moglie che solo al suo occhio esperto poteva sembrare incinta. Vide anche una delle sue cicatrici e notò come era anche peggiore della sua e di come si ricordava.
- Starà bene vero?
Kate non lo chiese al Dottore, ma a Castle. Aveva bisogno delle sue favole e del suo ottimismo che aveva imparato a conoscere e alle quali si aggrappava irrazionalmente ogni volta che si sentiva sprofondare.
- Certo che starà bene Beckett.
Nessuna favola stavolta. Glielo stava dicendo serio, non riusciva a scherzare o fantasticare. Aveva bisogno anche lui che fosse così.
Il dottore chiese a Kate se si sentisse pronta. Sapeva che questo era un momento molto intenso per tutti i futuri genitori e vista la sua situazione usò ancora più premura.
Castle era in piedi vicino a loro, impossibilitato a starsene tranquillamente seduto in attesa degli eventi.
Kate non sentì nemmeno il freddo del gel e quando il dottore spostò la sonda e sullo schermo apparvero le prime immagini le sembrò che il suo mondo si fosse appena rovesciato e che il centro non fosse in un luogo astratto ma lì dentro di lei. Era un bambino, era reale. Non era un'idea. Aveva già le braccia e le gambe formate, poteva vedere le sue minuscole mani e i piedi: si muoveva anche se lei non riusciva a percepirlo, era un bambino vero, vivo. In quell'ecografia ad alta definizione era tutto così chiaro e nitido, non era una di quelle dove si vedono solo ombre. Castle le prese la mano e si sedette vicino a lei. Guardava il loro bambino muoversi e non gli sembrava vero che fosse stato così forte da resistere a tutta la follia che avevano subìto. Il dottore chiese ancora se erano pronti, non sapevano per cosa, ma dissero di sì e dopo averlo visto ora potevano anche sentirlo: il suo cuore batteva velocemente e a loro sembrava la più bella melodia che avessero mai sentito. Kate chiuse gli occhi e cercava di respirare lentamente mentre sentiva il cuore del suo bambino ma l'emozione era troppa per riuscire a trattenerla. Rick non pensò in quel momento alla loro situazione. Era Kate ed era il loro bambino. Si avvicinò a lei, senza lasciarle mai la mano e la baciò sulla fronte, asciugandole le lacrime dolcemente con la mano libera. Riaprì gli occhi e si trovò quelli di Rick così vicini ai suoi, anche loro colmi di lacrime ma non solo: vedeva tutto il suo amore e come sempre la spaventava quel suo sentimento così forte che lo percepiva anche solo per come la guardava.
- Ti amo Kate - le sussurrò Castle con un filo di voce. Non era la prima volta che lo faceva e non sapeva se per la situazione o per le parole, ma sentì il suo cuore attraversato da un battito d’ali. |
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Capitolo 12 *** DODICI ***
Beckett tornò ad osservare il monitor ancora per qualche istante prima che il dottore dicesse loro che andava tutto bene, dandogli appuntamento dopo un paio di settimane. Gli spiegò, cercando di non allarmarli, che a causa dello stato di Kate il bambino era solo leggermente più piccolo del normale, ma non dovevano preoccuparsi, perché lo aveva messo in conto: il cuore era forte e non presentava alcun tipo di sofferenza e lo sviluppo del feto era nella norma, questo era importante. Ora doveva solo pensare a recuperare energie, mangiare sano e nutriente così anche il bambino ne avrebbe tratto giovamento. Al prossimo controllo sarebbe stata fuori dal periodo critico e avrebbero potuto fare valutazioni più approfondite.
Castle ricordò al dottor Yedlin più volte di stampare le foto del suo bambino, mentre Kate era più interessata a sentire cosa avrebbe dovuto fare prossimamente, non che Rick fosse superficiale, ma aveva la necessità di vederlo e tenerlo con se, per chiedere delucidazioni sulle prossime visite c'era tempo, tanto sarebbero stati lì ancora un po' di giorni.
Il dottore aveva intenzione di trattenere Kate fino alla successiva ecografia, ma alla fine su insistenza di Beckett e dietro sua promessa di assoluto riposo intervallato solo da brevi passeggiate, si convinse a farla andare a casa prima, se gli altri specialisti che l'avevano in cura erano concordi, ma ormai del quadro clinico di Kate era la gravidanza la cosa da tenere più sotto controllo: il cuore non aveva dato più problemi da quando si era risvegliata e le ferite si stavano rimarginando correttamente.
Le avevano comunicato la data delle sue dimissioni: il primo luglio. L'inizio di un nuovo mese avrebbe coinciso con l'inizio della sua nuova vita fuori da lì.
Non vedeva l'ora di poter uscire ma temeva allo stesso tempo temeva questa nuova fase. Sapeva che una volta fuori sarebbe stata invasa da tutto quello che aveva perso e si sarebbe trovata in un mondo nuovo che non conosceva: in fondo quella stanza di ospedale era un bozzolo sicuro dove entravano solo persone che le volevano bene e la facevano sentire protetta filtrando quello che accadeva fuori.
Si sarebbe dovuta riadattare a tutto ed abituare ad un lungo periodo di inattività e questo la metteva a disagio: lavorava da quando era una ragazza e per trovare un lasso di tempo in cui era stata totalmente inoperosa doveva ritornare con la memoria a quando era una bambina e trascorreva spensierata le vacanze estive, solo che ora il tempo sarebbe stato molto più lungo, non sapeva nemmeno lei quanto. Oltre la sua amnesia c'era il bambino e questo le dava scadenze a lungo termine, troppo lungo per lei.
Sia suo padre che Castle, invece, non vedevano l’ora di portarla fuori da lì. Castle, soprattutto avrebbe voluto prenderla e portarla via, il più lontano possibile e non tornarci più, almeno fino a quando non doveva nascere il bambino, sempre che fosse stato necessario. In fondo potevano anche assumere un’intera equipe medica e partorire a casa, avrebbe fatto allestire una stanza come una perfetta sala parto con tutto quello che necessitava e se avesse preferito qualcosa di alternativo come il parto in acqua avrebbe avuto tutto il tempo per organizzarsi: non sarebbe stata una cattiva idea secondo lui, ma si vide bene di esporla a Kate, almeno per ora.
Sapeva bene, però, che sarebbero dovuti purtroppo tornare spesso per controllare le condizioni di salute sue e del bambino.
Non avevano toccato l'argomento "dimissioni", forse per scaramanzia che poi alla fine qualcosa andasse storto e dovessero rimandarla, di imprevisti ne avevano avuti fin troppi.
- Vengo domani mattina presto così appena firmano le tue dimissioni ti porto a casa - le disse Castle mentre era insieme a Jim in camera da Kate mentre radunavano alcune delle sue cose mettendole in una borsa
- Penso che possa venire direttamente papà a prendermi, o hai un'udienza? - chiese Kate rivolgendosi prima a Rick e poi a suo padre, ma suo marito non gli diede tempo di rispondere.
- Perchè tuo padre dovrebbe venire per portarti a casa? Cioè, se tuo padre vuole venire va bene, ma…
- Castle, perchè dato che non ho più una mia casa, per andare a casa sua credo che sia la cosa migliore che mi venga a prendere lui no?
- Katie - intervenne Jim - io e Rick veramente pensavamo che fosse meglio che tu andassi a casa tua, a casa vostra…
- Ma se tu non vuoi stare lì, troviamo un’altra sistemazione Beckett. C’è sempre la mia suite al Four Season, ci sono due camere, starai bene.
Kate aveva lo sguardo furente. Lo avevano fatto. Di nuovo.
- Voi avete deciso dove devo stare io. Vi siete consultati, avete deciso cosa è meglio per me. Non vi è nemmeno passato per la mente di chiedermi cosa volessi fare io. Cosa credessi fosse meglio per me. No, voi vi siete organizzati, avete pensato a tutto, tranne a parlarne con me. Non sono una bambina, sono in grado di decidere io cosa è meglio della mia vita. Lo devo decidere io non voi.
Rick e Jim rimasero in silenzio subendo la sfuriata di Kate. Entrambi avevano agito pensando a quello che fosse meglio per la donna, sia dal punto di vista pratico che da quello clinico. Avevano parlato anche con il dottor Burke che aveva detto che vivere nel suo ambiente familiare poteva farle bene per accelerare il recupero della memoria, inoltre la casa di Rick disponeva di tutti i comfort e lo scrittore, non avendo un lavoro per il quale doveva sottostare ad orari stabiliti, aveva tutto il tempo ed il modo di prendersi cura al meglio di lei.
Cercarono quindi di spiegale con tutta calma il loro punto di vista e le ragioni che li avevano portati a ritenere quella scelta la migliore. Quello che però non riuscivano a capire era che Kate non contestava la scelta, o almeno non solo quella, ma il fatto che non era stata interpellata.
Castle uscì dalla stanza, lasciando padre e figlia da soli. Voleva evitare di dire o fare qualcosa di cui si sarebbe pentito. Era demoralizzato. Era convinto che avessero fatto passi avanti, lei sembrava stare bene insieme a lui, perché aveva reagito così male all’idea di tornare a casa? Lui dava scontato che “a casa” volesse dire a casa loro, o in qualsiasi altro posto lei avesse voluto, ma insieme.
Era lui che stava precipitando le cose? Aveva male interpretato certi segnali di lei oppure quella era effettivamente la vecchia Beckett che negava fino allo stremo anche a se stessa ogni cosa che prevedesse cambiamenti emotivi?
Andò a fare due passi fuori dall’ospedale e subito un giornalista gli si fece incontro. Lo aveva già visto un paio di volte, era un amico di Gina che scriveva in uno di quegli odiosissimi tabloid. Castle continuava a camminare, avrebbe voluto accelerare ancora di più il passo, ma ancora il suo fisico non glielo permetteva.
- Signor Castle, è vero che sua moglie soffre di amnesia?
- Per favore, se ne vada
- Pensa che scriverà una nuova storia di Nikki Heat ispirata a questa situazione?
- Le ho già detto di andarsene. - Disse Castle fermandosi di colpo per guardare negli occhi quel ragazzo impertinente mentre gli mostrava tutto il suo disprezzo.
- Oppure questo inconveniente di sua moglie la porterà a porre fine alla saga di Nikki Heat così come aveva concluso quella di Derrik Storm?
A quelle parole Castle non riuscì a rimanere impassibile, soprattutto quel sorriso provocatore che gli mostrava mentre lo importunava colpì nel profondo Rick con la stessa forza con cui lui colpì con un pugno il viso del giornalista che, perso l’equilibrio, era caduto a terra, ma sembrava soddisfatto di aver ottenuto quel pugno, urlando ad un uomo a poca distanza da loro di riprendere tutta la scena.
- Se ti azzardi ad avvicinarti di nuovo a me o a mia moglie ti faccio rimpiangere il giorno che hai cominciato a scrivere. - Gli ringhiò contro Rick.
- Castle, tra poco lei sarà il violento scrittore che aggredisce un povero giornalista. Sarà su tutti i siti internet e domani su tutti i giornali. Le rovino la carriera Castle a lei e a sua moglie! Chissà quanto sarà utile per un capitano di polizia avere un marito violento che va a picchiare chi sta facendo il proprio lavoro!
Non si curò delle sue parole, sapendo però che aveva ragione e quello sarebbe stato un bel problema. I siti scandalistici ci sguazzavano in queste cose. Si convinse che quella era tutta opera di Gina, chi altro avrebbe potuto dire dell’amnesia di Kate? Nessuno lo sapeva al di fuori dell’ospedale tranne la famiglia e gli amici più stretti, nemmeno al distretto avevano voluto che la notizia circolasse. Poteva essere stata solo lei che, dopo aver ricevuto le comunicazioni del suo avvocato, aveva deciso di vendicarsi. Se non potevano avere loro i benefici della popolarità di Richard Castle non li doveva avere nessuno, quindi non era un problema infangare la sua immagine. Lui, però, aveva problemi molto più grandi a cui pensare di quanto la sua immagine pubblica fosse pulita o meno, l’unica parte di se che gli interessava curare era quella che doveva vedere Kate.
Tornato dentro chiese ad una delle infermiere del reparto se potevano controllare la sua mano: ancora non aveva imparato a dare pugni come si deve ed era molto indolenzita. Gli applicarono un gel e poi gliela fasciarono non senza fargli una ramanzina sul fatto che proprio non riusciva a stare lontano dai guai.
Quando tornò nel corridoio trovò Jim ad aspettarlo che gli disse di andare a parlare con Kate.
Lei era in piedi vicino alla finestra, guardava fuori e non si era nemmeno voltata per vedere chi fosse: le si avvicinò rimanendo qualche passo indietro senza dire nulla.
- Castle, lo so che sei lì.
- Come…
- Dal profumo Castle. Ti ho riconosciuto dal profumo.
Silenzio ancora.
- Kate… Se vuoi andare da tuo padre per me va bene. Cioè no, non va bene, nel senso che preferirei che stessi a casa nostra, ma se vuoi questo, ok. Se pensi che lì puoi essere più serena, lo accetto. Però permettimi di venirti a trovare ogni giorno come faccio qui e di prendermi cura di te. Non sparire, non escludermi mentre affronti questo percorso. Ti chiedo solo questo, so che magari per te è anche troppo, ma per me è veramente il minimo. - Le disse tutto di seguito senza darle tempo di rispondere e non poteva vedere il sorriso beffardo di Kate nel sentirlo parlare.
- Vengo a casa con te Castle.
- Ok, ti accompagnerò io da tuo padre. - Si era talmente convinto della sua idea che non processava nemmeno quello che le stava dicendo.
- Castle, quale parte di “vengo a casa con te” non ti è chiara? Non vado da mio padre. Sempre che tu non abbia cambiato idea.
- Io… io… no! Certo che no! - Si voltò a guardare il sorriso da bambino sul volto di Castle.
- A delle condizioni però. - Precisò severa perché lui l’ascoltasse e la prendesse sul serio.
- Tutto quello che vuoi Beckett!
- Non dormiremo insieme, mi dovrai lasciare i miei spazi e la mia privacy, non dovrai trattarmi come una bambina nè mettermi sotto una campana di vetro.
- Mi sembrano richieste ragionevoli.
- Lo prometti?
- Prometto che ci proverò. Non ti preoccupare, casa nostra è grande, avrai tutto lo spazio e tutta la privacy di cui hai bisogno, anche con Martha ed Alexis.
- Grazie Castle. - Gli disse appoggiando una mano sul braccio sinceramente riconoscente - Comunque non sono tua madre e tua figlia che mi preoccupano, ma tu!
Kate fece scivolare la mano dal braccio si Rick fino a raggiungere la mano fasciata dello scrittore. La sollevò per vederla meglio
- Questa cosa vuol dire Castle? - Si stava per beccare una ramanzina da Beckett, lo sapeva.
- Ho dato un pugno ad un giornalista troppo insistente. - disse come un bambino che confessava alla mamma che aveva fatto a botte con l'amichetto al parco.
- Perchè?
- Mi faceva domande su di te
- Su di me?
Si sedettero sul letto e Castle le spiegò brevemente di Gina, sua editor nonché ex moglie numero due, dei loro dissidi e del fatto che stava valutando la ormai ben più che reale possibilità di cambiare casa editrice e che era convinto che lo avesse avvisato lei.
- Ma cosa c’entro io con i tuoi libri?
- Volevano sapere se quello che ti è successo influenzerà il prossimo libro di Nikki Heat o se chiuderò la serie come con Storm.
- Chi è Nikki Heat, Castle?
In quel momento Rick realizzò che tutta questa parte l’aveva praticamente saltata.
- Ecco… Nikki Heat è… è la protagonista della mia nuova saga, un’affascinante detective di New York. È il personaggio ispirato a te. - Kate aprì la bocca per parlare ma non le uscì nemmeno una parola. Richard Castle, quello che fino a poco tempo prima lei considerava solo come il suo scrittore preferito, quello per il quale aveva fatto ore di fila per farsi autografare un libro, quello di cui aveva tutta la collezione dei suoi libri, lui, insomma, aveva scritto una nuova serie basata su di lei. Poi era anche suo marito, ma come sempre questo faceva finta di dimenticarlo e al momento le sembrava quasi secondario al fatto che lui aveva scritto di lei.
- Kate? Tutto bene?
- Sì, cioè, no! Tu hai scritto una serie ispirandoti a me?
- Esatto. Era il motivo per il quale all’inizio, ma solo all’inizio, ti seguivo nei tuoi casi. Dovevo avere la giusta ispirazione per creare il personaggio di Nikki.
- Nikki Heat, Castle? Sul serio? - Kate ancora doveva riprendersi dallo shock
- Non ti piace?
- No! È il nome di una spogliarellista!
- Uffa! - Sbuffò Castle. Gli aveva detto di nuovo la stessa cosa!
- Io ero d'accordo con questo nome?
- Ehm no!
- Lo vedi Castle? Certe cose non è necessario ricordarle!
Rick aveva preso il suo smartphone e le stava facendo vedere orgoglioso tutta la collana di libri di Nikki Heat.
- Sono un successo enorme Beckett, il personaggio di Nikki Heat piace a tutti, tu piaci a tutti!
Kate fece finta di non sentirlo. Lei odiava essere al centro dell’attenzione, figuriamoci essere la moglie ispiratrice delle opere del marito.
- E queste copertine? - Disse scorrendo le immagini velocemente.
- Belle vero?
- Nuda!
- Come sei difficile! Non sei nuda! E poi non sei tu, è una sagoma! - Rick si stava divertendo tantissimo nel vedere il suo imbarazzo
- Quindi questa Nikki Heat sarei io?
- No è un personaggio ispirato a te.
- E questo… Jameson Rook è ispirato a te? - Disse leggendo la scheda su wikipedia
- Più o meno...
- Raley e Ochoa sono Rayan ed Esposito… Parry è Lanie… - continuava a leggere dal telefono di lui schede e recensioni
- E quanto c'è di vero e quanto di tua fantasia in quello che hai scritto?
- A cosa ti riferisci?
- Lo sai a cosa mi riferisco! La pagina 105 molto “hot” che citano in tutte le recensioni! Guarda… - Disse facendogli leggere le recensioni su Amazon del libro ed indicandogli tutte le volte che veniva citata quella pagina con quella scena molto “hot”.
- Ah a quello... Beh... Fino al terzo libro c'era molta mia fantasia, immaginazione, poi dopo la realtà è stata decisamente migliore! - Ammiccò e lei alzò gli occhi al cielo e poi li chiuse per un attimo scuotendo la testa.
- Quindi tu mentre noi eravamo… com'è che dici tu? Partner, tu immaginavi me con te a fare...
- Lo facevi anche tu! - Provò a discolparsi lui
- Cosa facevo io?
- Immaginavi di te con me a fare…
- Non ci credo Castle! Non cambiare discorso! E se anche fosse stato vero io non l’ho mai scritto o pubblicato per far leggere le mie fantasie a tutti! - Si morse il labbro rendendosi conto che aveva detto qualcosa che poteva essere interpretato a suo sfavore da Castle.
- Quindi ammetti che tu puoi aver pensato certe cose con me! Cioè, che è una cosa che potresti fare… - Rick non si lasciò sfuggire la possibilità di punzecchiarla
- Castle, non parteciperò al tuo giochino! E comunque non ho sicuramente fatto nessuna fantasia su di te.
- Perchè non pensi che io ti possa piacere in quel senso? Eppure… - La guardò con malizia e lei volse lo sguardo altrove. Quel discorso stava prendendo pieghe inaspettate. Lei voleva mettere in chiaro le norme della loro futura convivenza ed ora parlavano di possibile attrazione sessuale.
- No, cioè, sì… - Si stava incartando di nuovo mentre Castle la guardava molto soddisfatto - Non è questo il punto. Io non ho mai fatto quello che dici tu. Discorso chiuso - Riacquisto sicurezza e compostezza.
- Me lo hai confessato tu tanto tempo dopo! È vero Beckett! - L’espressione da bravo bambino innocente poco si addiceva sia a Rick che a quella conversazione, eppure lui era del tutto immedesimato nella parte che poteva anche sembrare credibile.
- Impossibile!
- Mi devi credere!
- Castle io non ti credo! Ma sarà meglio per te che tu abbia ragione perché quando ritroverò la memoria e scoprirò che non è così sarà peggio per te. - Lo minacciò continuando a tenere il punto. Si stava divertendo a battibeccare con lui, ma era un’altra di quelle cose che avrebbe tenuto per se.
- In tal caso, non vedo l'ora...
- Castle tu... Tu non hai idea...
- Beckett ora sì, ora ho idea. Di tutto. - La guardò ammiccando.
- Castle sei insopportabile lo sai? - Gli disse quasi arresa al fatto che era impossibile vincere in quella gara contro di lui.
- Lo so, ma ti piaccio così! - Le fece la linguaccia e si mise a ridere.
Kate si girò di scatto per prendere un cuscino e tirarglielo, ma il suo gesto fu troppo avventato ed avvertì una fitta proveniente dalle ferite. A Castle non sfuggì la sua espressione, smise subito di ridere e giocare e si spostò più indietro e la abbracciò facendo appoggiare la schiena di Kate al suo petto.
- Sai come ti ho sempre chiamato? - Il tono di Rick era cambiato improvvisamente. Era diventato basso, calmo e dolce mentre le parlava con il mento delicatamente appoggiato sulla sua spalla. - La mia musa, anche se a te non piaceva tanto nemmeno questo all’inizio. Eri difficile Kate Beckett, mi hai dato tanto filo da torcere.
Kate sorrise, lasciandosi cullare dalle braccia di Rick. Come faceva ad essere così diverso nel giro di pochi minuti? Dal bambino dispettoso di poco prima si era trasformato in un uomo premuroso che la faceva sentire protetta.
- Perchè hai ucciso Storm? - Gli chiese sinceramente curiosa. Aveva finito di leggere l’ultimo libro la sera prima e le dispiaceva che quella saga fosse conclusa. L’aveva amata ed era stata la sua compagna di molte sere in solitudine a casa.
- Mi annoiava. Non era più divertente scrivere di lui. Sono stato tanto tempo senza scrivere più nulla, senza avere l’ispirazione. Poi quando hai fatto irruzione nella mia vita portandomi via da quella noiosissima festa ho capito che eri quello di cui avevo bisogno. Ho ricominciato a scrivere come non facevo da anni, ero pieno di idee. La saga di Nikki Heat è stata un successo grandioso e tutto per merito tuo.
- Così mi imbarazzi Castle.
- È la verità. Forse se non ti avessi incontrata non avrei mai più scritto una riga in vita mia, ma di tutte le cose che potevano avere una piega diversa sarebbe stata la meno grave. Questi otto anni sono stati i più incredibili della mia vita, anche tutti quelli passati a cercare di farmi strada nel tuo cuore.
Si appoggiò un po’ di più sul suo petto, rilassandosi mentre lui rimaneva immobile per non interrompere quel momento.
- Grazie Castle.
- Di cosa?
- Di essermi stato vicino in queste settimane.
- Lo farò sempre Kate. |
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Capitolo 13 *** TREDICI ***
Luglio era arrivato portando con se un carico di afa che durante il giorno rendeva anche difficile respirare. Avevano posticipato le dimissioni di Kate di 24 ore: nell’ultimo controllo, la sera prima del giorno preventivato, avevano riscontrato uno scompenso pressorio, probabilmente dovuto alla tensione per le dimissioni, ma volevano essere certi e monitorarla il giorno successivo. Tanto era bastato per far agitare oltremodo Castle che aveva visto saltare tutti i suoi progetti ed aveva insistito per passare tutta la notte con Kate in ospedale. A nulla erano servite le proteste della donna e le rassicurazioni dei medici. Lui doveva stare lì. Punto.
Dato che era inutile parlarci o provare a fargli cambiare idea, alla fine acconsentirono e lui passò la notte lì, su quella sedia. Dormì un po’, ma poco. La maggior parte del tempo la trascorse guardandola dormire. Ripensò a quante ore aveva passato così nelle settimane passate, quando lei non riprendeva conoscenza a parlarle, a sperare e a pregare. Quando dormiva era sempre la sua Kate: la posizione sul cuscino, come teneva le mani, la bocca leggermente socchiusa, le piccole smorfie quando sognava. Allungò un braccio mentre dormiva che andò ad adagiarsi sul vuoto, ricadendo dal bordo del letto: Kate fece una smorfia, ma non si svegliò. Rick conosceva bene quel gesto, inconsapevole, che sua moglie faceva tutte le notti. Era quando si avvicinava a lui, appoggiava la mano sul suo petto e la testa sulla sua spalla, poi continuava a dormire mentre lui la stringeva a se. “Io ci sono da qualche parte nei tuoi ricordi… devo solo trovare il modo di uscire fuori da dove mi hai rinchiuso” Pensò Rick mentre si lasciava vincere dal sonno per quelle ultime ore in ospedale.
Kate la mattina si svegliò inconsapevole di tutti quei pensieri notturni di Castle. Aveva dormito bene quella notte, nonostante l’idea che lui fosse lì a guardarla dormire la inquietava ma, paradossalmente riusciva anche a tranquillizzarla. Erano due sentimenti contrastanti che pensava non potessero coesistere eppure era così. La inquietava il fatto di sapere che lui la osservava quando era completamente indifesa, ma sapere che lui vegliava sui suoi sogni la faceva riposare meglio.
Ma il suo risveglio non fu altrettanto buono come il sonno. Le nausee erano più forti e si erano aggiunti anche dei giramenti di testa. Proprio un bel modo per cominciare quella giornata ed aveva anche paura che vedendola così non l’avrebbero fatta uscire. Era sola, Castle doveva essere uscito da poco a parlare con qualche medico, sentiva il suo profumo ancora nell’aria, gli piaceva solitamente quel profumo, ma quella mattina gli dava fastidio come qualsiasi altra cosa. Si sedette sul bordo del letto, sperando che la posizione più eretta la facesse stare meglio.
Non fu così. Quando Castle rientrò con i soliti caffè non e la vide cominciò a chiamarla allarmato. Kate riuscì a malapena a fare qualche mugolio dal bagno dove era ripiegata sul water in una posizione che le procurava non pochi fastidi alle cicatrici. Rick abbandonò i caffè e si avvicinò alla porta del bagno, indeciso se invadere la sua privacy oppure no, ma la porta era rimasta spalancata e vedendola così affaticata non si fece ulteriori scrupoli, si avvicinò a lei, le raccolse i capelli in una sua mano e la sostenne, nel senso letterale del termine ma non solo. Lei protestò appena. Non voleva farsi vedere così, da nessuno, ancora meno da lui, ma non era nella condizione di permettersi di rifiutare il suo aiuto. Solo un’altra volta le era capito di avere delle nausee così forti, ma lui non c’era e non l’aveva vista. Era stata un’infermiera ad aiutarla e poi aveva totalmente minimizzato quanto era accaduto. Aveva letto che passate le prossime settimane poi sarebbe dovuta stare meglio e le nausee diventare meno frequenti se non addirittura sparire: ci sperava.
- Come ti senti? - Le chiese non appena si rimise in una posizione eretta mentre le tamponava il viso con un asciugamano, era visibilmente teso e preoccupato.
- Meglio, grazie Castle. Lo sai vero che se sto così è colpa tua? - Gli disse sorridendo per quanto riusciva, cercando di sdrammatizzare la situazione, ma lui non colse la sua battuta e la guardava ancora più preoccupato
- M…mia? Cosa ho fatto? - Balbettava passandosi una mano tra i capelli, Kate scosse la testa e sorrise.
- Castle, concentrati: cosa fa di solito stare così una donna, la mattina in un periodo specifico?
- Ah… - sembrò sollevato - allora direi che è colpa mia al 50%, non tutta mia!
- Va bene, te lo concedo, solo per la metà!
- Ti ho portato qualcosa da metterti per uscire da qui. Spero vada bene…
- Che vorresti dire Castle? Mi sono già ingrassata?
- No, no… - riprese a balbettare - sei solo più… morbida! Volevo dire, qualcosa che non ti dia fastidio con le cicatrici e la causa delle tue nausee mattutine.
- Castle?
- Dimmi Beckett
- Rilassati!
- Ok… Tu sistemati, io sono qua fuori, vado ad informarmi quando ti faranno uscire.
Rick uscì dalla stanza, lasciando Kate a prepararsi. Vide sul letto i vestiti che lui le aveva lasciato prima di uscire, un completo di lino ecrù, pantaloni ed camicia dal taglio molto morbido. Ne saggiò il tessuto delicato e leggero e la pregevole fattura come si conviene ad una rinomata marca di alta moda italiana. Non ricordava di aver mai avuto nulla di simile nel suo guardaroba, non tanto per lo stile quanto per la qualità del capo. Vide piegati lì vicino anche una canottiera di seta ed un foulard entrambi di tonalità leggermente più chiara. Apprezzò l’accortezza di Castle nel prenderle un indumento da mettere sotto la camicia un po’ troppo trasparente, una premura che non si sarebbe aspettata da un uomo, ma aveva già avuto modo di capire che lui era diverso.
Si vestì, provando non poco fastidio e si accorse di quanto i suoi movimenti nella vita quotidiana erano ancora limitati.
Sul comodino vicino alla collana con l’anello di Johanna che aveva sempre tenuto vicino a se in quelle settimane, Castle aveva lasciato anche l’orologio di Jim. Kate indossò entrambi notando una bustina di velluto rosso lasciata sotto alle loro fedi. Le ripose lì dentro mettendole nella valigia sulla sedia insieme alle altre sue cose, poche a dir la verità.
Aprì il cassetto del comodino e prese il libro di Storm e una copia dell’ecografia di qualche giorno prima. Castle la trovò così quando rientrò in camera, seduta sul bordo del letto a guardare la foto del loro bambino, gli sembrava di aver interrotto un momento molto intimo.
- Scusami… - disse imbarazzato - … vuoi che torno tra qualche minuto?
- No - gli rispose mettendo la foto in mezzo al libro e buttandolo nella valigia insieme al resto alzandosi lentamente - Sono pronta.
Castle deglutì prendendo tempo. Vederla così, davanti a lui, in piedi senza quelle camice da notte o vestaglie, ma vestita come una persona sana e viva, lo emozionò. Senza un filo di trucco, con i capelli raccolti in una coda veloce, era bellissima e glielo disse. Più volte.
Kate era sulla porta, si guardò indietro a vedere Castle che prendeva la sua valigia e guardò quella stanza. Tutto quello che conosceva del suo nuovo mondo era tra quelle quattro mura ed ora le si apriva un mondo nuovo che doveva scoprire. Lì aveva pian piano conosciuto le “nuove” persone della sua vita, ascoltato aneddoti di quello che aveva vissuto, aveva scoperto casualmente di essere incita ed aveva gettato le prime basi del suo nuovo rapporto con Castle. Sorrise vedendo l’ultimo mazzo di gigli che le aveva portato solo il giorno prima, le due tazze di caffè che quella mattina non avevano toccato, ma non era berle l’importante, ma che ci fossero, lo aveva capito. C’era ancora lo specchio che aveva tolto dal muro solo perchè lei si voleva vedere, era stata la prima follia che aveva visto fare a Castle per lei ed era sicura che non sarebbe stata l’ultima. Era impaurita di uscire da lì, ma anche speranzosa. Rick mentre chiudeva la valigia indugiava accarezzando lo schienale della poltroncina pensando anche lui a tutte quelle settimane, da quando lei non si svegliava a pochi minuti prima. Dalla paura di perdere sia lei che il bambino ad averla lì, viva, ad osservare la sua ecografia. Erano stati fortunati, nonostante tutto, ancora una volta.
- Ti piace quella poltrona Castle?
- Eh?
- Mi chiedevo da come la stavi accarezzando se ti piacesse. Pensi che starebbe bene a casa tua?
- Ehm no, non credo starebbe bene a casa nostra… Stavo solo pensando…
- Pensieri belli o brutti? - Rick si stupì di come Kate continuava ad essere l’unica che si preoccupava di quello che pensava.
- Entrambe le cose. Poi pensavo a questa poltrona è stata in questi mesi un po’ come la mia sedia al distretto vicino alla tua scrivania, solo un po’ più comoda in una situazione molto più scomoda. - Fece un profondo respiro, mise giù il trolley e si avvicinò a Kate - Sei pronta?
Lei fece cenno di sì con la testa, si appoggiò al suo fianco e lui la cinse come ormai era solito fare nelle loro brevi passeggiate per la camera o il corridoio. Non aveva in realtà bisogno di essere sostenuta per camminare, non più almeno, ma lui continuava a farlo perchè così le poteva essere più vicino e lei non protestava. Si avviarono lentamente agli ascensori che li avrebbero portati fuori da lì. Prima di uscire un uomo con occhiali scuri si avvicinò a Castle prendendogli la valigia. Aveva chiesto ed ottenuto in via del tutto eccezionale dall’ospedale di poter parcheggiare l’auto direttamente davanti all’uscita per evitare la folla di fotografi che già da prima aveva visto davanti alla struttura. Kate sembrava piuttosto infastidita dalla cosa ed anche a Rick non faceva piacere, in un altro momento magari si sarebbe concesso volentieri, non ora, non dopo quello che era accaduto.
Beckett notò due figure familiari proprio fuori dalla porta, Ryan ed Esposito come se fossero due semplici agenti e non due detective della omicidi erano lì per garantire la massima sicurezza al loro capitano e fare in modo che nessuno la importunasse. Quando videro che era lì, entrarono dentro a salutarla.
- Ehy Capo! - La salutò Javier - Ti vedo bene
- Vero Beckett, stai benissimo - ribadì Kevin
- Grazie ragazzi, ma dovete imparare a mentire meglio!
- Fuori è tutto tranquillo, giornalisti a parte. Vi scortiamo all’auto così non vi disturberanno.
- Grazie ragazzi - disse Castle sincero.
- Figuratevi, è il minimo. - Esposito e Ryan si misero ai loro lati accompagnandoli alla loro macchina. La portiera era già aperta ed aiutarono Kate ad entrare mentre Castle fece il giro dall’altra parte ignorando flash e giornalisti. Quando entrambi furono dentro Javier diede una pacca sul vetro per far capire all’autista che era tutto apposto e potevano andare, così l’auto si allontanò, portando Rick e Kate di nuovo verso la loro casa.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto. Kate guardava fuori dal finestrino una città che le sembrava cambiata. Percorreva strade conosciute e vedeva negozi diversi. Ferma ad un semaforo notò come quel caffè all'angolo dove andava spesso dopo il lavoro non c'era più al suo posto una delle tante catene take away. Si rammaricò. Amava quell'ambiente un po' consumato e vissuto, le tazze in ceramica, quelle torte fatte dalla proprietaria. Era un angolo familiare nella grande città.
Kate non sapeva dove stessero andando di preciso. Non aveva chiesto a Castle dove fosse la loro casa. Si accorse solo che si dirigevano verso sud, poi l’autista passò davanti all’entrata di un palazzo con un numero discreto di giornalisti al appostati fuori, girò l’angolo e si fermò.
- Signor Castle, cosa devo fare?
L’autista si girò a guardare Rick, che gli diede le informazioni per entrare con l’auto dal retro andando direttamente al parcheggio sotterraneo del palazzo. Erano arrivati, quindi. Era una bella zona elegante e non snob, pensò Kate mentre scendeva, l’autista li accompagnò portandogli il trolley fino all’ascensore e Castle prima di salire gli lasciò una cospicua mancia, ricordandogli di tenersi a disposizione perchè ne giorni seguenti poteva avere ancora bisogno di lui.
- Tu non hai un’automobile Castle?
- Ehm sì, quelle due lì - disse indicando la Ferrari rossa e la Mercedes grigia all’angolo opposto - Ma in questo periodo preferisco non guidare.
- Vai in giro per New York in Ferrari? - Chiese con un’espressione che Rick non seppe se giudicare stupita o inorridita, ma sapeva benissimo quanto a Kate piacesse guidare la sua Ferrari, quindi non se ne preoccupò
- Qualche volta e ti piace anche guidarla!
Kate rimase a bocca aperta, certo che le piaceva guidare una Ferrari, era un sogno per lei
- Quando starai meglio andremo a farci un giro e guiderai tu, promesso! - E lei sorrise salendo in ascensore.
Castle aprì la porta di casa e indugiò prima di entrare. Kate notò la sua incertezza e gli appoggiò una mano sulla spalla. Per lei era una situazione del tutto nuova ma poteva capire che per lui tornare lì insieme era qualcosa di diverso.
- Tutto bene Castle? - Kate era sinceramente preoccupata di come lui si sentisse e Rick apprezzo quel gesto di conforto tanto quanto la sua domanda.
- Credo di sì. Ero tornato in questa casa solo per prenderti delle cose. Beh ora è diverso.
Entrarono e lasciò il trolley vicino alla porta mentre Kate si guardava intorno stupita cercando di trovare qualche appiglio nella sua memoria. Fece alcuni passi incerti verso il salone, solo quello era grande quanto tutto il suo vecchio appartamento. Castle le mostrò il suo studio e la nuova cucina, l’unica cosa cambiata rispetto a prima.
Poi la condusse davanti alla porta di quella che era la loro camera. La porta era chiusa, lei non disse niente, non l’aprì ma ma si voltò a guardarlo. Rick le spostò una ciocca di capelli dal viso approfittando per accarezzarle la guancia morbida, poi le diede un dolce bacio lì dove le aveva lasciato una carezza.
- È la nostra camera, vero? - Kate non si era allontanata davanti alle sue attenzioni, le facevano piacere più di quanto volesse ammettere e stare sempre sul chi va là e mantenere le distanze con lui in ogni momento la stancava mentalmente e fisicamente. In fondo non c’era nulla di male se suo marito la accarezzava o le dava un bacio sulla guancia. Castle per conto suo si era sempre comportato come un perfetto gentiluomo, non era mai andato oltre. La abbracciava quando poteva, la coccolava dolcemente, ma nulla di più. Non invadeva il suo spazio, non la forzava in nessun modo, non gli piaceva ovviamente questa situazione e in alcuni momenti trattenersi diventava veramente difficile, ma sapeva quale era il suo limite e lo rispettava anche forzandosi, come in quel momento.
- Sì. Te lo sei ricordato? - Le chiese speranzoso
- No, l’ho capito dai tuoi occhi. - Fu deluso da quella risposta. Aveva realmente sperato che nella sua mente fosse riapparso qualche ricordo. Non glielo disse, ma Kate lesse anche quello in quei due frammenti di oceano che la guardavano intensamente. Non era così complicato per lei capire cosa passasse per la testa di quello scrittore, forse perchè lui esternava molto le sue emozioni con le espressioni del viso, forse perchè era pur sempre una delle migliori detective della città, capitano si corresse mentalmente, o forse perchè aveva ragione lui e loro erano in qualche modo connessi.
Castle aprì la porta ed entrarono, di nuovo, insieme nella loro camera da letto. Kate si guardò intorno come nelle altre stanze poi si sedette sul letto, dalla parte in cui dormiva solitamente andò vicino a lei.
- Questa era la tua parte di letto
- Avevo il 50% di possibilità - sorrise
- Già, è vero.
- Dove sono tua madre e Alexis?
- Fuori, tornano dopo, gli ho chiesto di lasciarci un po’ da soli.
- Non voglio che per colpa mia debbano andare via dalla loro casa.
- È anche la tua casa questa, non te lo dimenticare.
- Già, scusa, non è facile… Immagino che al piano superiore ci siano le altre stanze, giusto?
- Sì, giusto.
- Dormirò in una di quelle?
- No, dormirai qui. Andrò io sù.
- Castle, non è giusto che tu dorma altrove ed io stia qui.
- Beckett, punto primo, io in questa stanza senza di te non ci dormo a maggior ragione se so che sei in casa altrove. Punto secondo questa è la sistemazione più comoda per il tuo stato di persona in via di guarigione: non devi fare le scale, hai il bagno qui e questo ti da la totale privacy, ci sono tutte le tue cose, può aiutarti a ricordare e non ti fa alcun effetto se io ci sono oppure no.
Kate si fermò a pensare ma non trovava niente da ridire, i suoi appunti erano ineccepibili.
- Va bene Castle.
- Hai fame? Vuoi che ti preparo qualcosa?
- No Castle. No.
- Hey sono bravo a cucinare e poi adoro cucinare per te!
Si rese conto di quello che le aveva appena detto. Si guardarono. Lei non capiva perché non voleva che lui cucinasse, era una cosa irrazionale. Aveva sentito una sorta di morsa allo stomaco e quelle stesse sensazioni di quell’incubo che ogni tanto ancora faceva.
- Non voglio che prepari niente adesso, ok? - Gli parlò con voce ferma ma che lasciava trasparire la sua preoccupazione.
- Ok… - sussurrò Rick - … perchè?
- Non lo so, ho avuto paura… Ti sembra strano?
- No, Kate, non lo è. Ho avuto paura anche io. - Le prese una mano, mentre con l’altra prese il cellulare cercando i numeri dei ristoranti che facevano consegne a domicilio. - Cosa vuoi mangiare?
- Pizza. Ho tantissima voglia di pizza. E patatine fritte. E hamburger. E di uno shake alla fragola con panna. E anche di pollo fritto. - Rick la guardò incerto sul da farsi.
- Dici sul serio Beckett? - Lei fece cenno di sì con la testa mordendosi il labbro come una bambina colta in fallo. Si aspettava che Castle le facesse una ramanzina su quanto fosse importante nel suo stato mangiare sano ed invece si fece ripetere quello che voleva ed ordinò tutto. Doppio. Non si sa mai.
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Capitolo 14 *** QUATTORDICI ***
Castle l'aiutò a riporre le cose che avevano portato dall'ospedale. Le piaceva vedere come si muoveva con naturalezza in quella camera, con molta più di lui che ancora aveva dei problemi a stare lì, con lei, in quella situazione. In realtà aveva ancora problemi con tutta quella casa, molti più di quelli che ammetteva a se stesso. Si rese conto che non era solo la cucina, era tutto. L'aveva fatta rifare, cambiata completamente, mobili ed anche disposizione. Ma lui la vedeva sempre come era prima e rivedeva sempre Kate a terra ferita che si trascinava lei verso di lui. Lei, quella che dei due era stata ferita in modo più grave, che inconsciamente stava rischiando non solo la sua vita, aveva trovato le forze di strisciare fino a lui per tenergli la mano ancora una volta, l'ultima per quello che ne sapevano loro in quel momento, per essere insieme fino alla fine, mentre lui era rimasto immobile, pietrificato, dalla paura più che dal dolore e questa cosa non riusciva ad accettarla. Non era mai stato un grande uomo d'azione, anche se negli ultimi anni le cose erano cambiate, ma nelle situazioni critiche, nelle quali le persone che amava erano in difficoltà, aveva sempre trovato la forza ed il coraggio di fare delle azioni e prendere delle decisioni estreme. Lì, invece, non era stato in grado nemmeno di spostarsi per andarle incontro. Se non l'avesse fatto lei, se le cose fossero andare diversamente non se lo sarebbe mai perdonato e non si perdonava nemmeno ora della mancata azione. Lei aveva desiderato usare le sue ultime forze per andare da lui, per tenersi per mano, per sempre, come si erano promessi, aveva mai ricevuto una dimostrazione di amore più grande da parte di qualcuno? Si aggrappava a questo, a quella mano che aveva cercato la sua, per andare avanti in questa situazione assurda. Quella donna che non ricordava niente di tutto questo era la stessa che gli teneva la mano. Doveva solo ricordarsi sempre di questo.
Kate lo osservava riporre i suoi abiti e le sue cose. Sapeva esattamente dove lei teneva tutto, metteva via ogni cosa con cura ed attenzione. Le aveva dato il sacchettino con le fedi, chiedendole di metterlo dove preferiva, perchè quello non aveva un posto, prima. Kate lo mise nel cassetto del suo comodino dove trovò anche la sua scatola portagioie: era piacevole trovare qualcosa che era nella sua memoria.
Castle aveva quasi finito di svuotare il trolley quando tirò fuori il giacchetto nero di Kate. C'erano i due fori dei proiettili, il suo sangue. Teneva in mano l'indumento e la guardava allibito mentre lei si sentiva colpevole per averlo messo lì e farglielo trovare. Leggeva terrore e dolore nel suo volto. Andò verso di lui e mise le sue mani sopra le sue che tremavano tenendolo.
- Perché lo hai preso Kate? - Non lo capiva. Lui i suoi vestiti li aveva fatti buttare tutti. Tutti. Anche le scarpe e la biancheria. Pensava addirittura che non avrebbe più comprato una camicia di quel colore e forse nemmeno di colori simili. E lì aveva in mano quell'indumento con quei segni così visibili e dolorosi.
- Non lo so. Volevo capire. Volevo vedere. Lascialo, lo metto via io. - Rick però non lo lasciava, lo teneva stretto con le mani che erano bianche per lo sforzo ed ancora tremavano. Glielo chiese ancora e allentò la presa. Lei tenne la giacca in mano per un istante, la guardò, fissò i fori dei proiettili e sentì di riflesso le ferite tirare. La appoggiò sulla sedia: avrebbe deciso poi cosa farne.
- Stai bene Castle?
- Non lo so. - la sua risposta fu sincera e la sorprese. Ma era evidente che stare lì era più difficile per lui che per lei, lo capì subito.
Il suono del campanello lo fece sussultare in modo irrazionale.
- Deve essere il nostro pranzo. - Kate, invece, era razionale e lucida, molto più di lui. Annuì e andò ad aprire. Quando vide il fattorino sommerso di cibo si rese conto che aveva esagerato e, se se ne rendeva conto lui, voleva dire che aveva decisamente esagerato. Quando il ragazzo stava per appoggiare tutto sul tavolo della cucina Castle lo fermò indicandogli il divano ed il tavolo davanti. Era indubbiamente troppo piccolo per contenere tutto, lasciò lì ammucchiate le buste con i cartoni della pizza, Rick senza vedere il conto gli diede una banconota da 100 dollari dicendogli di tenersi il resto. Il ragazzo incredulo lo salutò varie volte ringraziandolo. Kate aveva assistito alla scena dalla porta di camera, lui la vide appoggiata allo stipite, era dannatamente bella e glielo disse. Non poteva farne a meno. Pensò che in altre occasioni con lei lì, così, tutto quel cibo avrebbe aspettato perché sarebbero stati molto indaffarati in altre piacevoli attività. Si limitò, invece, ad accarezzarla e a darle la mano per accompagnarla verso il divano.
- Quanti siamo a pranzo Castle? - le disse con tono giocoso di rimprovero?
- Tre
- Chi altro deve venire? - chiese Kate stupita, le aveva detto poco prima che Alexis e Martha sarebbero rimaste fuori ancora per un po', suo padre era in tribunale, non aveva proprio voglia di ricevere visite specialmente di qualcuno che magari conosceva ma di cui non si ricordava
- Nessuno. Siamo già tutti qui. - aprì la bocca per ribattere, ma non trovò nessuna parola adatta e la sua espressione si tramutò in un sorriso. Rick sorrise a sua volta e non si aspettò il pugno sulla spalla che gli arrivò.
- Io non mangerò per due per diventare una balena. Scordatelo Castle.
- Tranquilla Kate, tra di noi l'unica balena rimarrò io. - le fece un occhiolino malizioso mentre cominciava a scartare il loro pranzo.
- Cosa intendi dire Castle?
- Te lo spiegherò in un altro momento Beckett… forse!
Mangiarono divertendosi, con Kate che sbuffava per l'eccessiva quantità di cibo presente e Rick che le ricordava che lui aveva ordinato solo quello che aveva chiesto lei, dimenticandosi di aggiungere in doppia razione.
- Con tutta questa roba potevamo sfamarci tutto il distretto Castle!
- Solo se Esposito e Ryan non erano di turno.
- Già... - Kate mangiò un ulteriore pezzo di pizza prima di dichiararsi vinta da quel pasto poco sano ma molto soddisfacente.
- Oggi era un'eccezione alla regola solo perché sei uscita dall'ospedale e dovevamo festeggiare
- Pensavo che Richard Castle preferisse festeggiare con ostriche, caviale, aragoste e champagne - lo prese in giro lei.
- No, io di solito festeggio con gelato e panna spray! E poi tu le ostriche non le puoi mangiare, il caviale è sconsigliato e lo champagne non lo puoi bere. Ma se vuoi le aragoste te le faccio portare per cena.
- Castle, stavo scherzando. Non ho bisogno di nulla di tutto questo.
- Ah ok - disse sprofondando di più nel divano bevendo l'ultimo goccio del suo shake. - ma se desideri dell'aragosta dimmelo, non voglio che nostro figlio nasca con delle voglie a forma di chele solo perché tu non mi hai detto nulla!
- Castle, sei serio? - lui annuì serissimo e lei rise - Non ti preoccupare, ti metterò subito al corrente di tutte le mie voglie!
Castle boccheggiò come un pesce. Stavano forse flirtando? Kate era estremamente divertita, quindi si stava comportando così coscientemente.
- Beckett se fossi stata così anche prima, di certo non ci avrei messo quattro anni per conquistarti!
- Quattro anni... - ripeté lei stupita.
- Non sei stata facile.
- Poi cosa hai fatto per farmi capitolare?
- Ti ho detto che ti amavo. E ti ho lasciata perchè non volevo rimanere a guardare mentre tu andavi a farti ammazzare seguendo le tue ossessioni. - La conversazione divenne improvvisamente molto più seria di quanto Kate pensasse. Era convinta che Castle avesse fatto qualcuna di quelle sue cose strane ed assurde che l’avevano infine convinta. Però convenne anche lei che non era una persona che si sarebbe lasciata conquistare con qualche stramberia del genere. Distruggere le sue barriere e lasciarla, quella sì che poteva essere una cosa in grado di farla realmente capitolare. Apprezzò la sua costanza e la sua insistenza. Un uomo che l’aveva attesa quattro anni doveva sicuramente amarla molto.
- Il caso di mia madre...
- Sì. Hai dovuto rischiare la tua vita ed il tuo lavoro prima di capire che nella tua vita c'era posto anche per me tra le tue ossessioni.
- È successo prima o dopo che risolvessi il caso?
- Prima.
Kate non rispose ma pensò che per riuscire a farsi spazio nel suo cuore prima di dare giustizia a sua madre doveva anche lei amarlo veramente molto. Solo una volta le era successo di permettersi di innamorarsi e aveva giurato a se stessa che non sarebbe più successo fino a quando non sarebbe stata libera da quell’incubo. Castle non disse altro. Ritornò con la mente a quella sera che aveva cambiato la sua vita e che li aveva posti davanti ad uno dei tanti loro sliding doors. Pensò a cosa sarebbe stato di lui se Ryan non fosse arrivato in tempo e scacciò l'immagine dalla sua testa chiedendosi perché ultimamente doveva sempre pensare a tutti gli scenari più negativi. La risposta la sapeva. Aveva rischiato di perderla seriamente ancora una volta ed ora era lì con lei anche se era come se non fosse lei. "Datti tempo, Richard" si disse mentalmente. Pensava di essere più paziente, ma quanto le mancava sua moglie!
Kate pensava che aveva ragione Lanie, quel divano era veramente comodo, la sua casa era wow ed anche il suo scrittore non era poi così male. Si sentì stanca ed insonnolita, la mattinata era stata per lei faticosa, aveva camminato più di quanto avesse fatto nelle precedenti settimane, con emozioni contrastanti e la digestione di certo non la aiutava a rimanere sveglia.
Rick se ne accorse da come sbadigliava e da come faticava a tenere gli occhi aperti.
- Vuoi andare a letto?
- È una proposta Castle?
- No, no... - disse preso in contropiede mentre lui era sinceramente preoccupato delle sue condizioni - ma se vuoi andare a riposarti...
- Sono stanca di stare a letto, mi riposerò bene anche qui, disse accoccolandosi in un angolo del divano mentre l'aria fresca del condizionatore li isolava dal caldo umido dell'esterno e conciliava il sonno.
- Ok, se vuoi io sono un morbido cuscino
- Sto bene così Castle, ma grazie - furono le ultime parole che gli disse, sbadigliando, prima di addormentarsi serenamente.
Quando sentì il rumore della chiave che girava nella serratura, Castle si allertò. Si scoprì ipervigile ad ogni rumore in quella casa. Gli sembrava perfino che l’aria condizionata fosse troppo rumorosa quando prima nemmeno si accorgeva della sua presenza.
Si alzò e si voltò meccanicamente verso la porta mettendosi in piedi davanti al divano coprendo Kate che ancora dormiva. Dalla porta apparvero le sue due rosse e si rilassò. Si avvicinò a loro facendogli segno di fare silenzio indicando il divano dove Kate dormiva. Baciò madre e figlia che si avvicinarono guardando con tenerezza la donna finalmente a casa, molto più rilassata e in salute di quanto non l’avessero vista in ospedale. Anche per loro quella era una briciola di normalità. Quando Alexis spostò lo sguardo sul tavolino dove più della metà del cibo ordinato da Castle era ancora intatto, guardò suo padre severa e lui alzò le spalle con noncuranza, indicando Kate come a farle capire che era stata lei a volere quelle cose. Alexis scosse la testa roteando gli occhi al cielo pensando che suo padre non sarebbe mai cambiato, nemmeno ora che stava per diventarlo di nuovo.
Come se sentisse gli sguardi addosso di tutta la sua nuova famiglia, Kate si svegliò mettendoci qualche istante per capire dove si trovasse. Si tirò su pigramente, salutando Alexis e Martha che immediatamente si misero sedute vicino a lei per chiederle come si trovasse lì, di nuovo a casa.
Chiacchierarono un po’, poi Rick quando ormai era pomeriggio inoltrato, avendo paura che sua figlia, ma soprattutto sua madre, stessero stressando troppo una ancora confusa Kate, le chiese se volesse andare a farsi finalmente una doccia come si deve. La accompagnò in camera e le mostrò dove si trovassero tutte le sue cose, le indicò il suo morbido accappatoio, aprì gli sportelli per farle vedere dove erano le sue creme e le sue lozioni.
Kate guardò con la grande vasca da bagno molto invitante. Avrebbe voluto veramente tanto farsi un lungo bagno rilassante, ma glielo avevano sconsigliato ancora per un po’, per via dei punti. Anche la doccia di Castle comunque era molto spaziosa e sembrava confortevole.
- Se ti serve qualcosa, chiamami pure. - Le disse prima di lasciarla, per la prima volta sola, in quella casa. Ritornò a passi veloci da madre e figlia sul divano, non evitando di pensare a lei sotto la doccia, la loro doccia, dove tante volte avevano passato del gran bel tempo insieme. E gli faceva male.
- Papà, Kate?
- È andata a farsi una doccia - Alexis guardò l’orologio, era passata più di un’ora. Castle, che aveva sonnecchiato sul divano, non si era accorto del tempo passato, ma appena vide l’ora, si alzò di scatto o almeno ci provò, ma aveva chiesto troppo a se stesso e ricadde sulla poltrona. Ci riprovò, più lentamente ed andò meglio. Era convalescente ancora anche lui, glielo ricordavano tutti, e di certo non aveva avuto una convalescenza congrua alla sua situazione il che non aveva certo facilitato le cose per il suo fisico, anche se tendeva sempre a dissimulare.
Bussò alla porta della loro camera ma non ottenne risposta. Pensò che Kate si fosse addormentata ancora ed aprì piano la maniglia per sbirciare dentro.
Kate, invece, era ancora avvolta nell'accappatoio seduta sul letto a fissare apparentemente la porta del bagno, in realtà il suo sguardo era perso nel vuoto.
- Beckett? - sussurrò appena Rick aperta la porta - Kate?
Si avvicinò lentamente e si sedette al suo fianco. Martha e Alexis, che l'avevano seguito, facevano capolino dalla porta e lui fece loro un inequivocabile gesto di lasciarli soli, così si allontanarono, chiudendosi alle spalle la porta, concedendogli quell’intimità e quella discrezione che rare volte erano riusciti ad ottenere in passato.
- Cosa c'è Kate? Hai ricordato qualcosa?
Lei scosse la testa energicamente lasciando che qualche gocciolina d'acqua ancora imprigionata tra i suoi capelli finisse sul viso di Rick.
- Non ti va di stare qui? Ti devo accompagnare da tuo padre? Vuoi che prendiamo una suite in qualche hotel? Un ambiente neutro?
Fece ancora di no con la testa
- Kate, stai male? Non mi far preoccupare per favore. - la stava supplicando. Si girò verso di lui colpita dal suo tono di voce.
- Le cicatrici. Sono... Tante... Sono orribili... Io sono orribile! Cosa mi è successo in questi anni Castle? Perchè tutti quei segni?
Rick le prese la testa tra le mani e la girò verso di lui in modo che non potesse sottrarsi dal guardarlo.
- Mi devi guardare Kate e mi devi ascoltare attentamente. Tu. Sei. Bellissima. Non accetto repliche su questa cosa. Orribile non è una parola che si può associare a te in nessun caso. E io di parole me ne intendo. Ho mille aggettivi per te, se vuoi te li dico tutti e in nessun caso c’è orribile. - Le parlava in modo quasi solenne perché ne fosse certa, non poteva credere che lei pensasse veramente questo di se stessa.
- Non le hai viste...
- Le ho viste. Quando non ti eri ancora svegliata. E non c'è cicatrice che potrà farmi cambiare idea. Mi credi?
Non gli rispose ma lo continuò a guardare fino a quando non appoggiò la fronte sulla sua spalla e cominciò a piangere.
- Le conosco tutte le tue cicatrici, Kate. Quelle visibili ed anche quelle invisibili. E le amo, tutte. Perchè testimoniano tutte che tu sei viva, sei con me e ce l’hai fatta.
Rick prese la sua mano e la appoggiò sul suo petto, muovendola e facendo scorrere le dita sopra la cicatrice che aveva lui. Kate irrigidì la mano al tocco intuendo sotto la maglia i contorni della ferita, immaginandola come una delle sue. Era il suo modo per farle capire che tra le tante cose che avevano condiviso e che continuavano a condividere c’era anche questa, e non avrebbe cambiato quello che loro erano. Kate non si sentì pronta per una condivisione così personale, con lui ed il suo corpo e appena le lasciò la mano la fece ricadere lungo il corpo, senza volontà, come la mano di una bambola o un burattino.
Lui la strinse tra le sue braccia, lei si fece stringere era come una cosa appoggiata a lui: non aveva la forza mentale per reagire. Aveva visto il suo corpo, per la prima volta. Aveva riconosciuto i vecchi segni, ne aveva trovati di nuovi, terribili. Riconobbe i segni inequivocabili di un colpo d’arma da fuoco in pieno petto che avevano segnato il suo seno e sentiva come se l’avessero derubata di parte della sua femminilità. Trovò altre cicatrici sul fianco e sull’addome, i nuovi segni dello sparo con le ferite ancora gonfie e rosse. Si forzò mentalmente per medicarsele così come le avevano detto quella mattina in ospedale. Lo fece perchè lei era una che portava a termine gli ordini che le venivano dati, era ligia al dovere anche quando questo le faceva male.
Pensò che non avrebbe più avuto il coraggio di farsi guardare da nessun uomo così
Pensò che nessun uomo l’avrebbe più guardata.
Non pensò che lei era una donna sposata, che suo marito conosceva il suo corpo e le sue cicatrici e le ricordava sicuramente meglio di lei e che era ingiusto pensare a cosa pensassero altri uomini del suo corpo. Non era una donna libera, era sposata, ma non ci pensava, non se ne rendeva conto. E si sentiva privata di quello che ricordava essere il suo corpo, senza imperfezioni, perfettamente in grado di sedurre anche solo per ottenere quello che voleva se non ci riusciva con la forza. Ora credeva che non sarebbe più riuscita ad ostentare tanta sicurezza, a sentirsi bella e desiderabile.
Alle parole di Rick si sentì ancora peggio. Lui le stava dicendo tutto il contrario di quello che pensava. Sentiva la sincerità delle sue parole che non erano iperboliche, ma vere, lui credeva a quello che le stava dicendo, non lo faceva per farla stare meglio, ma per metterla davanti ad un dato di fatto che lei non riconosceva. Davanti a tutto questo lei pensava che non sarebbe più piaciuta a nessun uomo, nessun altro uomo, forse. Si sentì spregevole ed ingiusta nei suoi confronti. Ebbe almeno l’accortezza di non dirgli queste sue paure, lo avrebbe ferito mortalmente e non lo avrebbe meritato, ma non riuscì nemmeno a ricambiare il suo abbraccio protettivo, perchè si sentiva come se lo avesse appena tradito e rimase ancora più colpita da quel pensiero e da quelle sensazioni latenti che venivano a galla all’improvviso.
Rick si accorse che l’accappatoio bagnato si era raffreddato. Non poteva stare così, anche se fuori era molto caldo, in casa la temperatura era gradevole grazie all’ambiente climatizzato e se non si fosse asciugata e cambiata si sarebbe influenzata, e con il suo fisico ancora debole e la gravidanza avrebbe dovuto assolutamente evitarlo. La allontanò malvolentieri.
- Devi cambiarti Kate, se no ti sentirai male.
Lei annuì e gli chiese con cosa stava di solito per casa lì da lui, vista la presenza di sua madre e sua figlia. Rick notò una punta di fastidioso imbarazzo nella sua voce, sicuramente Beckett era abituata ad essere molto più libera a casa sua di quanto non fosse lì al loft. Con non poca malizia le disse che dopo il più delle volte girava per casa con le sue magliette o le sue camice e lui la trovava estremamente sexy: mentre lei arrossiva lui rideva e le passava una comoda tuta leggera, facendole vedere dove poteva trovare alcune delle sue cose. Rick tornò nella loro nuova cucina da sua madre e sua figlia, lasciandole la privacy di cambiarsi senza la sua presenza e Kate sorrise mentre si vestiva con gli abiti che gli aveva dato lui. Aprì quello che doveva essere il suo guardaroba e notò come i suoi vestiti erano diversi da come era abituata a vestirsi nei suoi ricordi. Guardò i completi sobri e di pregevole fattura, i vestiti da sera di famose case di moda. Ne prese uno, rosso, pensò che dovesse costare come qualche mese del suo stipendio da detective. Era splendido, chissà in quale occasione lo aveva indossato. Cercò ancora e alla fine trovò qualcosa di molto familiare, un paio di giubbotti di pelle nera, uno molto più consunto, l’altro decisamente nuovo e jeans stretti che pensò chissà quando e se avrebbe potuto rimettere. Sorrise vedendo che tra le sue scarpe non mancavano certo tacchi alti di ogni genere, segno che almeno quella sua passione era rimasta identico, correva ancora per le strade di New York sui suoi amati tacchi e chissà se ancora si stupivano di come faceva. Pensò, sorridendo compiaciuta, che aveva sempre sognato una collezione di scarpe così.
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Capitolo 15 *** QUINDICI ***
Castle si svegliò boccheggiando. Buttò lo sguardo più volte alla sua destra cercando Kate: lei non c’era. Ovviamente. Lei dormiva nella loro stanza. Lui no.
L’aveva sognata, di nuovo. Nella loro cucina. A terra. La sensazione della mano di Kate che piano piano lasciava la presa sulla sua e lui che non riusciva a muoversi pietrificato dalla paura. Sudava e respirava velocemente. Aveva bisogno di vederla. Si assicurarsi che stesse bene. Lo sapeva, ma doveva vederla, lo necessitava letteralmente a livello fisico e soprattutto mentale. Doveva vedere il suo petto alzarsi e abbassarsi seguendo il ritmo cadenzato del suo respiro. Era vitale per lui in quel momento, aveva la necessità di vedere quel respiro più che di respirare lui stesso.
Scese le scale cercando di non fare rumore e di non essere goffo come suo solito. Aprì piano la porta di camera e lasciò che un fascio di luce dal loft illuminasse leggermente il suo volto. Dormiva apparentemente tranquilla, con il braccio allungato lì dove di solito giaceva lui al suo fianco. Respirava, vedeva il lenzuolo che le copriva appena i fianchi muoversi lievemente. Ripensò a quante volte aveva fatto la stessa cosa quando Alexis era piccola, quando si alzava nel cuore della notte e si intrufolava nella sua camera per accertarsi che stava bene, senza un motivo preciso. Era ansioso per la vita delle persone che amava e forse questa nuova paternità che sarebbe arrivata nel giro di qualche mese aveva accentuato questo suo lato. O più probabilmente quello che avevano vissuto, tendeva a volerlo dimenticare sempre, senza molto successo. Sospirò e chiuse la porta, per poi andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Era attento anche a dove metteva i piedi, nonostante i mobili diversi sapeva esattamente dove loro erano e non voleva camminare lì. Mentre beveva avidamente si chiese se questa fobia gli sarebbe mai passata, se sarebbe mai riuscito a non vedere i loro corpi lì in quel preciso punto, perchè per una parte del suo inconscio loro erano sempre lì, la sua Kate era sempre lì, ancora su quel pavimento e non di là in camera a dormire tranquillamente. Lo turbò il pensiero che in un certo senso era vero. La sua Kate, i suoi ricordi, sembravano essere rimasti lì, che si fossero inchiodati a quelle assi del pavimento che aveva fatto rimuovere e che non li avessero portati via con lei, troppo impegnati a salvarla si erano dimenticati di loro, dei ricordi di otto anni di vita lasciati su quel pavimento incustoditi. Rick si chiese anche se avesse fatto bene a far cancellare ogni traccia di quello che era quel luogo, se non avesse contribuito anche lui, in qualche modo, a distruggere definitivamente quello che era rimasto lì.
Era colpa sua se Kate non ritrovava i suoi ricordi perchè lui li aveva fatti distruggere con quella vecchia cucina, mosso da una decisione impulsiva, seguendo solo la sua irrazionalità e la sua incapacità di riuscire a superare l’accaduto?
Come se tutto quel ragionamento, invece, fosse stato razionale. Gli sembrava di diventare pazzo quando voleva per forza dare una spiegazione a qualcosa di inspiegabile, cercare una motivazione o un colpevole che non esisteva, glielo avevano detto più volte che era una condizione creata dalla mente di Kate, forse per proteggersi o chissà perchè.
Rick si era chiesto in quei giorni molte volte perchè la sua amnesia cominciava proprio da prima che si conoscessero, non poteva essere una casualità. Si ritrovò a pensare, come il giorno del loro matrimonio, se in fondo lei non fosse stata realmente meglio senza di lui. E se fosse stata lei a chiederselo? Se tutto quello dipendeva da una sua volontà inconscia ora che, per l’ennesima volta, avevano rischiato tanto, troppo. In fondo era stato per causa sua che aveva riaperto il caso di sua madre dando il via ad una catena di eventi che avevano rischiato di ucciderla varie volte.
Chiuse gli occhi e li strinse forte e se stava vivendo di nuovo in un universo parallelo? E se era la Kate di un altro universo che era arrivata lì durante il coma e aveva sostituito la sua? Immaginò la sua espressione se gli avesse esposto le sue teorie, la faccia seria ed accigliata che si sarebbe trasformata in un sorriso, le sue minacce… gli mancavano anche quelle! Nel dubbio senza farsi vedere, avrebbe cercato tra le sue cose se ci fosse stato qualche strano amuleto inca, maya o di qualsiasi altra civiltà.
Riempì di nuovo il bicchiere e si andò a sedere sul divano. Erano le tre di notte, dubitava che avrebbe dormito ancora a quel punto. Era troppo agitato, troppo sveglio, troppo vigile. Sarebbe rimasto lì, così si sarebbe assicurato che nessuno avrebbe disturbato Kate, avrebbe vegliato lui sul suo sonno.
Kate si era accorta di Castle quando aveva aperto la porta di camera. Era rimasta immobile nella posizione in cui si trovava aspettando di capire cosa volesse fare. Lo aveva sentito chiudere la porta, poi aveva ascoltato ogni rumore, capendo che era in cucina e poi si era spostato altrove. Ma non aveva sentito i passi ovattati sulle scale, quindi pensò che fosse rimasto lì. Si alzò, quindi, uscì dalla stanza e andò verso la luce flebile che veniva da vicino al grande divano. Lui si era già voltato verso di lei, allarmato del rumore della porta. Kate gli si avvicinò sorridendo timidamente, voleva tranquillizzarlo che stava bene. Inutile. Le chiese esattamente quello appena fu vicina, ma era palesemente lui, in quell’occasione, quello a cui andava chiesto come stava. Si sedette mentre lui continuava a guardarla rimanendo in piedi. Battè con la mano sul posto vicino a lei, invitandolo a sedersi e lui ubbidiente la assecondò. Non la guardava, sospirava profondamente guardando fisso davanti a lui. Sembrava un bambino, le faceva tenerezza.
- Castle, dobbiamo parlare - gli disse seria dopo vari minuti nei quali tra loro c’era stato solo silenzio.
- Ti ho svegliato? - Chiese lui preoccupato.
- Sì, ti ho sentito quando hai aperto la porta di camera.
- Scusami. Non volevo svegliarti e non volevo nemmeno entrare. Non vorrei che tu pensassi che io volevo entrare da te, importunarti, so quali sono i nostri accordi non era per questo che sono venuto a vedere… - come faceva ogni volta che era preoccupato parlava a raffica senza nemmeno ascoltare se qualcuno gli parlasse. Era un flusso continuo di parole e scuse.
- Basta Castle. - Lo interruppe decisa
- Volevo solo vedere se stavi bene. - Si giustificava ancora.
- Io sto bene. Tu no, mi pare evidente.
- Non sei arrabbiata con me? - La preoccupazione di Castle si tramutò in stupore. Quella conversazione sussurrata per non svegliare il resto della famiglia sembrava quasi surreale, ma aveva un’urgenza non detta che non poteva essere rimandata al giorno dopo, dovevano parlare adesso.
- No, sono preoccupata per te.
- Non devi preoccuparti per me.
- Non è un dovere Castle, lo sono e basta. Se tu sei preoccupato probabilmente è per qualcosa che riguarda noi. - Le era ancora difficile usare quel pronome - Ed io voglio saperlo. È per la sparatoria, vero?
Castle si alzò, andò verso la cucina ma rimase a distanza. La guardò attentamente. Era diverso il pavimento, diversi i mobili, i colori, anche la disposizione. Ma lui la vedeva sempre come era prima, sempre. Kate si mise al suo fianco.
- Noi eravamo lì - disse indicando un punto. - Io ero lì e tu ti sei avvicinata a me da quel punto - disse indicandone un altro più distante. Io ero terrorizzato a tal punto di non riuscire a muovermi. Lo hai fatto tu. Eri quella ferita in modo più grave, ma ti sei trascinata fino a me, ci siamo presi per man fino a quando tu l’hai lasciata perchè eri sempre più debole. Poi sono venuti a prenderci e ci hanno separato. Ho fatto cambiare tutto qui. Eppure io vedo sempre come era prima. Ti vedo lì a terra ed io che non riesco a fare nulla.
- Non potevi fare nulla Castle. Non darti colpe che non hai.
- Potevo capirlo prima. Potevo capire prima di Caleb. Dovevo essere più attento.
- Non so di cosa stai parlando, ma semmai dovevamo. E poi la poliziotta ero sempre io, non te lo dimenticare. Castle, sei sicuro di riuscire a rimanere in questa casa?
- Non lo so. Pensavo che tornarci con te sarebbe stato più facile. Ma non è così. Ogni volta che passo qui davanti mi si chiude lo stomaco e sto male. Penso a tutto quello che stavo per perdere, proprio qui, dentro casa nostra. Prima sono sceso perchè ho sognato di nuovo quella mattina e sono sceso per vedere che tu fossi veramente lì, che stavi bene. Solo per questo. Non volevo fare altro.
- Lo so Castle, non ti preoccupare. - Fu lei ad abbracciarlo questa volta, portò le braccia intorno al suo corpo possente e si appoggiò a lui. Era molto più grande di lei, la sovrastava fisicamente in ogni senso, eppure tra le sue braccia le sembrava di avere un bambino impaurito. Forse saranno stati gli ormoni o quel senso materno che cresceva in lei giorno dopo giorno senza che se ne accorgesse. Sentiva il battito accelerato del cuore di Rick, avrebbe voluto trovare le parole o i gesti giusti per calmarlo, li cercava dentro di se, ma non li trovava. Voleva fare qualcosa per lui dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei, ma non sapeva cosa, per questo aveva fatto la cosa più istintiva che gli era venuta in mente, lo aveva abbracciato cogliendolo anche di sorpresa. Gli accarezzava la schiena con movimenti lenti e solo allora, quando sentì le mani di lei muoversi su di lui, Castle abbassò la testa, trovando i suoi capelli ed ispirando profondamente il loro profumo riuscì a regolare le sue pulsazioni, lasciandosi inebriare da quel profumo familiare che era di ciliegie e di lei.
Quando Kate alzò la testa cercando gli occhi di lui, Rick dovette combattere contro se stesso per resistere al desiderio che aveva di lei in quel momento. Voleva baciarla, lo voleva talmente tanto che quasi ringraziò l’ingresso teatrale di sua madre che apparve dalle scale con la sua vestaglia verde svolazzante e gli impedì di andare oltre, convinto che poi se ne sarebbe dovuto pentire. Kate si sentì in imbarazzo e subito si allontanò da Castle che la capì non fece nulla per trattenerla.
- Ragazzi miei, anche voi non riuscite a dormire questa notte?
- Ehm no, madre, come vedi no.
- Eravate così belli finalmente di nuovo insieme. - Rick e Kate si guardarono imbarazzati entrambi questa volta - Volete anche voi un bicchiere di vino? Oh tu no Katherine, per un po’ dovrai farne a meno, è un gran sacrificio tesoro mio, me ne rendo conto, ma vale la pena. - Disse guardando Rick con quello sguardo di ammirazione che solo le madri sanno avere e che non gli riservava molto spesso, nonostante fosse estremamente fiera del suo ragazzo che era diventato un uomo buono e giusto nonostante la vita non proprio regolare che gli aveva donato in tenera età.
- Non è poi tanto tempo Martha - Le rispose diplomatica
- Allora, miei cari, come mai in piedi a quest’ora? - I due non risposero, Martha spostò lo sguardo più volte prima su uno poi sull’altra mentre sorseggiava il suo bicchiere di pinot nero, senza ottenere risposta - Va bene, discorsi tra marito e moglie, non mi intrometto!
Alzò le mani in modo molto enfatico e nello stesso modo salì al piano superiore lasciandoli di nuovo soli.
- Buonanotte, se mai riuscirete a dormire! - Gli disse quando ormai era quasi arrivata in fondo alle scale.
La salutarono anche loro e poi, quando sentirono la porta della camera di Martha chiudersi, tornarono a guardarsi visibilmente imbarazzati per la situazione precedente.
- Dovresti andare a dormire - Le disse Castle
- Ormai credo che non dormirò più - Guardò l’orologio a muro, erano passate le quattro da un bel po’. Non si era resa conto di quanto tempo erano rimasti abbracciati prima che arrivasse la madre di Castle. Pensava fosse stato solo qualche minuto, evidentemente era stato molto di più.
Kate aprì il frigo, prese una vaschetta di gelato e due cucchiai porgendo tutto a Rick.
- Ti va il gelato a quest’ora? - Le chiese mentre metteva la vaschetta sul bancone della cucina e si sedeva su uno sgabello.
- Hai detto tu che ti piace festeggiare con il gelato.
- Kate, non credo che ci sia molto da festeggiare… - Lo guardò un po’ triste. Lo pensava veramente?
- Lo credi sul serio Castle? Siamo qui, siamo vivi, tutti e due. Anzi tutti e tre. Siamo un po’ messi male fisicamente e non solo, però ci siamo. Penso sia già qualcosa da festeggiare viste le premesse, no?
- Sì, direi di sì… - Si sedette anche lei, ma faceva fatica a stare in quella posizione.
- Castle, possiamo andare sul divano?
Rick prese tutto e si spostarono dove avevano passato tutto il pomeriggio mettendo la vaschetta in mezzo tra loro.
- Manca una cosa, aspettami qui. - Rick andò al frigo e lo fece a cuor leggero, entrando in cucina quella volta senza pensare a nulla. Tornò a divano con la confezione di panna spray che si spruzzò direttamente in bocca sotto lo sguardo allibito di Kate.
- Dai Beckett prova! Apri la bocca! - Disse portando il tubetto di panna proprio sopra la sua faccia
- Castle, lo sai che tutto ciò è molto ambiguo, vero?
Risero senza riuscire a smettere e Rick spruzzò un po’ di panna sulle sue labbra che Kate prese con la lingua in modo molto poco innocente
- Beckett, lo sai che anche quello che fai tu è molto ambiguo, vero? Sono sempre un uomo e tu non mi sei affatto indifferente nemmeno in situazioni normali.
- Scrittore, non ti far venire pensieri strani.
- E tu capitano non fare gesti provocatori approfittandoti del mio essere cavaliere.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata si rilassarono, passandosi la panna e spruzzandosela in bocca come aveva fatto Castle in precedenza, chiacchierando molto più tranquillamente, di cose futili e divertenti. Per essere cominciata come una notte insonne tra gli incubi, quando venne l’alba Rick dovette ammetterlo a se stesso: era migliorata notevolmente.
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Capitolo 16 *** SEDICI ***
Quando Alexis la mattina scese per prepararsi la colazione li trovò entrambi addormentati ognuno in un lato del divano. La vaschetta con quello che rimaneva del gelato, ormai totalmente sciolto, era tra di loro. Vedendola pensava che al minimo movimento avrebbero rovesciato tutto il liquido appiccicoso sulla pelle nera. Si sporse per recuperarla e cercando di non svegliarli, portarla via da lì prima che facessero danni.
Rimase un po’ a guardarli cercando di capire cosa trovava così strano nel vederli dormire sul divano, eppure era capitato spesso, quando la notte rientrava a casa, che li sorprendesse lì. Li aveva, in realtà, anche trovati in situazioni più compromettenti, ma il più delle volte erano talmente presi da loro stessi da non accorgersi che era rientrata.
Era proprio quella la cosa strana: dormivano separati. In qualsiasi altra occasione, Kate sarebbe stata sdraiata sul petto di suo padre o lui sulle gambe di lei. Non che li spiasse o li osservasse dormire di solito, ma era impossibile non notare come fossero sempre perfettamente in armonia in contatto tra di loro. Adesso, invece c’era una distanza, quella di tutti gli anni dimenticati da Kate e, per la prima volta, sembrò prendere anche Alexis piena coscienza della cosa e sentirne il peso.
Aveva conosciuto l’allora detective Beckett che era una bambina ed aveva capito che suo padre ne era innamorato da prima che lui lo ammettesse anche a se stesso. Kate le era sempre piaciuta, anche se alcune volte, con la stupidità e l’egoismo adolescenziale, l’aveva detestata per le situazioni in cui suo padre si era messo per colpa sua, rischiando di morire svariate volte l’anno ed aveva rimproverato suo padre e la sua ostinazione a voler continuare a giocare a fare il poliziotto per starle vicino.
Alexis non si era mai sentita gelosa della sua presenza, aveva visto come con lei Rick fosse felice come non lo era mai stato prima con nessuna donna e la stessa Kate le era stata più vicina in molte situazioni di quanto non avesse mai fatto sua madre, aiutandola ed ascoltandola quando ancora tra lei e suo padre non c’era niente più di una collaborazione o un’amicizia. Quello che Rick non aveva mai capito era la paura di sua figlia di perderlo, di perdere il suo unico riferimento familiare, perché Alexis non aveva mai considerato Meredith come tale, più che una madre era la simpatica zia un po’ svitata che ogni tanto veniva e la portava a fare shopping o in vacanza.
Paura che Alexis aveva avuto ancora di più quando il portiere l’aveva chiamata dicendole che c’erano stati degli spari provenienti da casa sua ma che nessuno rispondeva all’interno. Aveva immediatamente chiamato Esposito per avvisarlo e chiedergli di andare a controllare e chiesto al portiere di chiamare anche i soccorsi. Era arrivata al loft poco dopo i ragazzi e Kevin non riuscì a trattenerla dall’entrare: quando vide Lanie riversa a terra temette il peggio, mentre la donna stava solo cercando di tamponare le ferite di Beckett aiutata da Javier che si stava occupando di Rick in attesa dei soccorsi. Vide suo padre sotto shock ma cosciente e l’unica cosa che si sforzava di dire era ripetere il nome di Kate in continuazione, senza voler lasciare la sua mano ormai inerme. Castle aveva ragione quando le aveva detto che nè lei nè sua nonna capivano fino in fondo il rapporto che lo legava a Beckett. Non capivano fino in fondo cosa volesse dire quando gli aveva ripetuto più volte che senza Kate sarebbe morto anche lui e si arrabbiava con lui sentendo quelle parole: non era forse lei un valido motivo per lui per continuare a vivere?
Avevano temuto tutti il peggio per Kate. Lanie sembrava sconsolata e quando arrivarono i soccorsi andò via con lei. Ad Alexis sembrò di rivedere quella scena di cinque anni prima, ma c’era meno rabbia e concitazione, l’unico sentimento che sembrava aleggiare su tutti era la disperazione. La ragazza sperava che si risolvesse nello stesso modo. Il vero trauma fu però vedere suo padre così. Lo aveva già visto in situazioni critiche ma mai così grave, ferito nel fisico e nell’anima. Proprio quando avevano appena tirato un sospiro di sollievo Alexis si sentì sprofondare di nuovo nel baratro di dover convivere con la loro lotta infinita, una guerra nella quale si era trovato di nuovo immischiato per Kate. Era questo che non riusciva a perdonarle, le sue battaglie che mettevano in pericolo entrambi ed ormai aveva capito che anche se suo padre ne fosse uscito incolume, se fosse accaduto qualcosa a lei sarebbe stato lo stesso, non sarebbe sopravvissuto, almeno non quel Richard Castle adorabile bambinone che era già scomparso in quei giorni in cui Kate lottava in ospedale. Non voleva quel padre, voleva il casinista sognatore che era sempre stato e che gli aveva regalato, malgrado tutto, una vita fatta di favole e fantasia, di giochi e gelati, tenendola al riparo da tutte le brutture del mondo.
Alexis sperava che l’arrivo di questo nuovo bambino, anche in una situazione così difficile aiutasse suo padre a ritrovare la sua spensieratezza e che convincesse lui e Kate, finalmente, a stare il più possibile lontano dai guai, visto che avrebbero avuto anche un nuovo piccolo Castle di cui occuparsi.
Fece cadere un cucchiaio nel lavandino provocando un rumore rimbombante che fece svegliare immediatamente Rick accendendo subito i suoi sensi troppo vigili. Si guardò intorno e Alexis si affacciò dalla cucina scusandosi. Castle si alzò quando anche Kate stava aprendo gli occhi destata dal rumore. Le sussurrò di non preoccuparsi e che era tutto ok.
Raggiunse la figlia che salutò con un bacio sulla chioma rossa. Controllò l’orario sul timer del microonde e realizzò che avevano dormito veramente poco.
- Scusa papà, non vi volevo svegliare è che il gelato era sciolto e…
- Tranquilla piccola, è tutto ok.
- Senti papà, i miei amici vanno qualche giorno ad Atlantic City…
- Vai Alexis, tranquilla.
- Sicuro? Anche la nonna sarà fuori per quegli spettacoli a Boston.
- Certo, io e Kate ce la caveremo.
Castle notò la figlia preoccupata, voleva però evitare di chiederle di più con Kate di la che poteva sentirli. Con la scusa di andare a cambiarsi, salirono al piano di sopra e, una volta nella camera degli ospiti, Rick chiuse la porta per parlare con sua figlia da solo.
- Cosa c’è che non va Alexis?
- Sono preoccupata per te e Kate. Nessuno di voi due sta bene, fisicamente intendo. Ed in più adesso siete soli, non siete voi. Vi ho visto prima mentre dormivate, distanti, sul divano. Non lo avete mai fatto.
- Le cose sono diverse adesso. Per Kate è tutto nuovo, non è semplice.
- Mi dispiace tanto papà.
Rick abbracciò la figlia cercando di non commuoversi.
- Andrà tutto bene, farò in modo che torni tutto come prima… Con un fratellino o sorellina in più per casa!
- Avevo quasi perso la speranza papà! Hai rischiato di diventare prima nonno che di nuovo papà!
- Ehy Alexis cosa stai tentando di dirmi?
- Niente niente, è solo per dire che data la mia età poteva accadere, no? Quanti anni avevi tu quando sono nata io?
- Faccio finta di non sentire quello che stai dicendo, ok? Non dare il colpo di grazia al mio essere un giovane ragazzo!
Risero entrambi, più rilassati.
- Papà?
- Dimmi pumpkin
- Smetterete di rischiare la vita tu e Kate? Non avrai più solo una figlia di cui preoccuparti, ma un bambino che dipenderà da voi. Non voglio crescere io vostro figlio perchè voi siete così incoscienti ed egoisti da mettervi in situazioni più grandi di voi senza pensare a lui.
- Alexis, te lo assicuro, non succederà.
Si cambiò realmente e tornò da Kate, ancora sonnecchiante sul divano.
- Come è andata la conversazione con tua figlia? - Gli chiese prendendolo in contropiede appena seduto.
- Bene ma…
- Sono sempre un detective, Castle!
- Sei un capitano, Beckett!
- Ops, già!
- C’è qualcosa che vuoi fare oggi?
Kate si incupì e si voltò respirando profondamente. Si mordeva il labbro ed era chiaro che c’era qualcosa che la turbava ed avrebbe voluto dire a Castle, ma si teneva dal farlo. Si portò la mano sul collo e sul petto, massaggiandosi bruscamente.
- Kate… vuoi andare da tua madre, vero?
- Come lo sai?
- Potrei dirti che sono un mago o che ho dei super poteri. Oppure che ti conosco, che so che quando hai quello sguardo malinconico e ti porti la mano sul petto cercando la collana con l’anello che non porti più è perchè pensi a lei. Scegli tu quale versione ti piace di più di me, andranno bene entrambe.
L’autista li aveva lasciati davanti all’entrata del Green Wood più vicina alla tomba di Johanna Beckett. Kate, accarezzando continuamente la collana con l’anello che aveva rimesso al collo, percorreva sicura la strada per arrivare lì e quando fu davanti alla lapide ebbe la strana sensazione di essere nel posto più vicino ai suoi ricordi. Castle rimase inizialmente qualche passo indietro, poi la lasciò sola. Sapeva che ne aveva bisogno. Era andata lì per cercare il calore e l’abbraccio della madre e lui non voleva turbare quel loro momento con la sua presenza.
Kate rimase in piedi, immobile, con la testa bassa fissa su quelle lettere incise “Veritas omnia vincit”. Le avevano detto che lei aveva trovato quella verità che ora non conosceva più. Si sentì defraudata dal destino anche di quello, di quella voglia di giustizia e di rivalsa che l’aveva spinta ad entrare in polizia, a lottare ogni giorno per fare in modo che nessuna delle famiglie dei suoi casi si trovasse mai nella sua situazione, di cercare per anni una verità nascosta e insabbiata, perché nessuna famiglia brancolasse nel buio senza sapere perché un loro caro fosse stato ucciso, aggiungendo rabbia al dolore.
Avrebbe voluto sapere se era vero che la verità faceva stare meglio, se alleviava un po’ il dolore lacerante che aveva dentro oppure erano solo frasi fatte. Sperò di averla sempre resa orgogliosa con le sue scelte, di non aver mai fatto nulla per deluderla e di non aver mai tradito quei valori che le aveva insegnato, nemmeno per cercare la sua verità.
Pensò a tutto quello che sua madre era stata per lei, tutto quello che le aveva insegnato, tutte le volte che l’aveva protetta dal mondo e tutte quelle in cui l’aveva lasciata andare per la sua strada, per fare le sue piccole e grandi esperienze. Ricordava la sensazione di pace nelle sue braccia quando era piccola e faceva degli incubi e Johanna veniva a consolarla, si sentiva protetta da tutto, che nessuno potesse farle del male perché c’era la sua mamma a proteggerla. Pensava alle sue parole che le diceva quando tornava a casa dopo qualche delusione a scuola o con gli amici e si sentiva di pessimo umore, Johanna trovava sempre le parole giuste per restituirle la serenità e l’autostima, per farla sentire forte e prepararsi per la prossima sfida e affrontare chi l’aveva fatta soffrire. Crescendo sua madre era diventata la sua migliore confidente, dalle delusioni sentimentali, all’entusiasmo per un nuovo amore, alla soddisfazione per essere stata ammessa alla Stanford per studiare legge come Johanna. Era da lei che si rifugiava dopo ogni litigio con suo padre, più severo ed intransigente che non capiva le intemperanze della sua adolescenza con quella trasgressione tipica di chi ha già un carattere forte, quella sua voglia di vivere e di divertirsi tipiche dell’età, quella voglia che non ricordava di aver più avuto dopo quella maledetta notte. Pensava a quante altre cose avrebbe voluto condividere con sua madre, di quanti altri consigli avrebbe avuto bisogno, di quanti altri abbracci consolatori, della sua mano sulla spalla quando la vedeva guardare fuori dalla finestra della sua camera assorta nei pensieri, mordendosi il labbro mentre lei si avvicinava silenziosa diceva “Andrà tutto bene Katie” senza sapere cosa la preoccupasse, ma glielo diceva lo stesso, perchè sapeva che ne aveva bisogno.
Kate pensò che tra poco sarebbe dovuta diventare lei tutto questo per un’altra persona.
Per suo figlio.
Si sentì inadatta ed impreparata.
Era lei che avrebbe avuto ancora bisogno di essere figlia, di avere sua madre a dirle ancora che sarebbe andato tutto bene, soprattutto in questo momento dove letteralmente non sapeva cosa fare, non sapeva più chi fosse. Come avrebbe fatto ad essere una madre a dare quel sostegno, quei consigli, quella consolazione che cercava disperatamente anche lei? Si sentì sopraffatta da una tale responsabilità, dall’idea di essere lei il punto di riferimento di qualcun altro che sarebbe dipeso completamente da lei. Pregava sua madre di darle il coraggio per riuscire ad essere lei stessa una buona madre, di trovare la forza per riuscirci perchè non si sentiva all’altezza per affrontare una tale responsabilità. Portò una mano sul suo ventre, in un gesto che inconsapevolmente si trovava a fare sempre più spesso, alzò la testa verso il cielo, poi chiuse gli occhi e lasciò che alcune lacrime scendessero silenziose mentre continuava a pensare a lei. “Mamma dimmi che andrà tutto bene”.
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Castle era tornato e la stava osservando da qualche minuto. Non voleva spiare un momento così privato, ma era passato già molto tempo da quando erano lì ed aveva paura che si affaticasse troppo. Quando poi l’aveva vista toccarsi il ventre, ebbe paura che si sentisse poco bene, e la sua natura iperprotettiva prese il sopravvento sulle buone intenzioni di riservatezza e andò da lei.
- Kate, stai male?
Si voltò quasi stupita di vederlo. Castle vide le lacrime che avevano rigato il suo volto. Gliele asciugò e poi la avvicinò a se. Kate voleva resistere, era stufa di farsi vedere da lui sempre così debole e fragile, ma non ci riuscì. Si lasciò prendere come una bimba tra le forti braccia di Rick mentre lei continuava ad accarezzare la sua pancia che cominciava a diventare più rotonda.
- Andrà tutto bene Beckett. Sei preoccupata per il bambino, vero?
Kate alzò lo sguardo a guardarlo ed annuì sospirando.
- Sarai la madre migliore che mio figlio possa avere, non ho alcun dubbio.
- Smettila Castle. Non so niente nemmeno di me, come posso essere una buona madre.
- Sai tutto ciò che è necessario sapere per esserlo. Tutto quello che tua madre ti ha insegnato, quello che sei. E poi sono sicuro che ricorderai tutto. Andrà tutto bene.
Kate non credeva nel destino e nei segnali dal cielo. Non credeva a queste favole, non più, da tanto tempo, però quel tocco e quelle parole di Rick le sembrarono la risposta di Johanna alle sue preghiere. Doveva affidarsi a lui adesso?
Non si dissero più una parola per tutto il viaggio di ritorno al loft. Kate era solita chiudersi in quei silenzi nei quali la sua mente vagava in cerca di qualcosa che non riusciva ad afferrare. Cercava furiosamente dei ricordi che non trovava, esaminava ogni situazione cercava un indizio in ogni cosa che vedeva. Le sembrava di condurre un’indagine sulla sua vita e quando non cercava indizi del suo passato provava a capire il suo presente, le emozioni contrastanti che provava, quel suo non riconoscersi in tante cose che faceva, prima tra tutte la vicinanza che aveva instaurato con Castle: si ripeteva spesso che era normale, in fondo lui era suo marito, ma sapeva che non era quello, perché lei il Rick versione marito non lo ricordava. Si stava proprio affezionando a quell’uomo che l’aveva raccolta come un uccellino caduto dal nido e la stava accudendo con un amore incondizionato. Sentiva che era legata a lui in qualche modo ma aveva paura di confondere la gratitudine con altro e non se lo sarebbe potuta permettere, non sarebbe stato giusto per nessuno dei due.
Rick dal canto suo si forzava per rimanere anche lui in silenzio, non era nel suo carattere, lui parlava, sempre. Ma in quelle settimane aveva imparato a rispettare la solitudine che Kate cercava anche in sua presenza, isolandosi nel suo silenzio. Non l’avrebbe mai voluta vedere così, non voleva che si estraniasse, ma la lasciava fare, perché pensava che ne avesse bisogno per mettere insieme tutti i pezzi e le informazioni delle quali era continuamente sovraccaricata.
Quando arrivarono a casa trovarono Alexis ad aspettarli, con una grande busta gialla in mano.
- Esposito ha detto che gli devi prestare la Ferrari per almeno un mese adesso. - Disse la ragazza consegnandogliela
- Me lo ricorderò
Kate era andata subito in camera, lasciando padre e figlia da soli. Parlarono un po’, della sua partenza per Atlantic City con gli amici e di altre cose senza molto significato. Castle era ansioso di andare da Kate, ma capiva che doveva dedicare del tempo anche a sua figlia.
Bussò alla porta della loro stanza, Kate lo invitò ad entrare era seduta sul letto, appoggiata allo schienale e faceva roteare tra le mani l’anello di Johanna.
Rick si sedette vicino a lei e le diede la busta che aveva portato Esposito. La aprì, tirò fuori il contenuto. Un fascicolo della polizia di New York.
- Castle come fai ad averlo qui?
- Me lo sono fatto portare da Esposito. Gli devo prestare la Ferrari per un mese. - Disse Rick come se fosse lo scambio più naturale del mondo - Leggi Kate, leggi quello che tu hai scritto. Quello che tu hai fatto. Ci sono le tue relazioni su ogni cosa che hai fatto in questi anni per arrivare a William Bracken.
- William Bracken? Il senatore?
- Lui. Qui c’è tutta la verità. Montgomery, Raglan, Simmons, Lockwood, Coonan, McAllister, Maddox. C’è tutta la storia Kate, tutta. E se hai altre domande, se vuoi sapere altro ci sono io. Abbiamo vissuto tutto insieme.
- Hai detto Montgomery, cosa c’entra Roy in tutto questo?
- Quando tua madre è stata uccisa lui era uno degli agenti corrotti che lavorava per Bracken.
- No… Roy… lui… mia madre… - Come poteva Roy essere coinvolto in questa storia? L’aveva tradita? Si era affidata a lui per anni.
- No, Kate… Poi ne è uscito e quando ti ha conosciuto l’ha visto come un segno del destino, proteggerti come non aveva potuto fare con tua madre. Eravamo lì quando è stato ucciso, mi ha costretto a portarti via con la forza per salvarti la vita.
- È morto per colpa mia…
- No, è morto per delle scelte sbagliate che aveva fatto nel passato a cui ha voluto porre rimedio. Non è colpa tua Kate…
Le mani di lei tremavano nel tenere il fascicolo, Rick appoggiò le sue su quelle di Kate, erano tanto più grandi che le mani di Beckett sparirono.
- Devi conoscere la verità Kate, è giusto che tu la conosca. Io ti aiuterò, ripercorrerò con te passo passo tutte le indagini se vuoi, ma devi sapere. Oggi hai messo di nuovo la collana di tua madre. Erano anni che non lo facevi. Ce la fai Kate? Io sono qui con te. Non ti lascio sola, sto con te fino alla fine, come quando lo hai preso.
Fece cenno di sì con la testa e Castle le lasciò le mani. Kate aprì il fascicolo e vide subito quell’immagine che ormai aveva ben stampata nella mente, il cadavere di sua madre abbandonato nel vicolo. Non si soffermò a guardarla ancora, ma cominciò a leggere il primo rapporto su quel caso, quando aveva ricominciato ad indagare con Castle, quello fatto da Montgomery sulla morte di Coonan. Lo aveva ucciso lei, il killer di sua madre, per salvare la vita a Rick. Castle aggiunse che non aveva esitato a sparargli quando lo aveva visto in pericolo, anche se così non gli avrebbe più potuto dire nulla su chi fosse il mandante. Lesse della morte di Raglan, di Maddox, del suo rapimento da parte di Vulcan Simmons fino ad arrivare all’arresto di Bracken. Castle con i suoi racconti completava quello che non c’era nel fascicolo, tutto quello che nelle indagini non poteva essere riportato evitando però di entrare troppo nello specifico su alcune situazioni, senza raccontargli del suo ruolo con Mr Smith, quello che era successo dopo il suo ferimento al funerale di Montgomery e quello che le aveva detto. Kate lesse tutto, fino alla fine, senza fermarsi. Rimasero ore a studiare quel fascicolo e a parlare. Beckett non poteva credere veramente che avesse fatto tutte quelle cose, ma soprattutto che uno scrittore di successo avesse accettato più volte di rischiare tutto per seguirla, avesse messo in gioco più volta la sua vita, la sua carriera e la sua reputazione per aiutarla e proteggerla.
- Perché hai fatto tutto questo Castle? Perché hai voluto riaprire il caso di mia madre? - Kate era un mix di emozioni indecifrabili.
- Perché avevo capito che fino a quando tu non risolvevi questo caso non saresti mai stata veramente felice. Ed io volevo vederti felice. Poi me lo hai detto tu stessa un giorno, che se non trovavi la verità chi aveva ucciso tua madre, non saresti mai stata libera di vivere una storia d’amore normalmente e volevo essere io a viverla con te, esserci quando facevi cadere il tuo muro. E voglio esserci ancora, voglio esserci sempre.
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Capitolo 17 *** DICIASSETTE ***
Kate fu silenziosa per il resto del giorno. Presi dalle carte del fascicolo sulla morte di Johanna non pranzarono e la sera Castle dovette insistere più volte per convincere sua moglie a fare un pasto come si deve. Cenarono in silenzio con Martha ed Alexis che si adeguarono a quel clima inusuale per la loro casa. Salutarono comunque Kate con affetto prima che andasse nella sua stanza: sarebbero entrambe partite il giorno dopo.
Castle passò gran parte della serata e della notte a passeggiare davanti alla porta della loro camera. La sentiva piangere e dovette combattere furiosamente contro se stesso per non entrare. Ma non voleva invadere né il suo spazio né il suo dolore. Si affidò al buon senso di Kate: se fosse stata male l’avrebbe chiamato.
Provò ad andare a dormire al piano superiore, capì ben presto che gli era impossibile farlo. Rimase sul divano, anche quella sera, dormì meglio di quanto potesse pensare.
Il giorno dopo non andò meglio. Kate uscì dalla camera solo per mangiare. Si scusò con lui cordialmente, ma gli disse che voleva stare da sola, niente di più. Ne aveva bisogno per rimettere insieme i pezzi di quel puzzle che aveva scoperto il giorno prima. Si impose di non essere preoccupato per lei. Le chiese se avesse problemi a rimanere a casa da sola, perché lui doveva uscire per delle questioni importanti. Non si oppose, anzi gliene fu grata, dicendogli che non doveva limitare la sua vita a farle da babysitter. Si sentì ferito da quelle parole, se veramente lo pensava non aveva capito nulla di lui.
Castle uscì anche se a malincuore, ma sapeva che la ripresa di Beckett passava anche dai quei piccoli passi di separazione per riprendere autonomia, fisica e morale, così non sarebbe stata costretta a stare chiusa in camera per non vedere nessuno, magari una volta sola avrebbe avuto la curiosità di sbirciare un po’ in giro, con il suo sesto senso da detective sempre in cerca di indizi. Rick si autoconvinse di questo per sentirsi più sollevato, ma in realtà non avrebbe voluto passare un minuto lontano da lei e quando l’idea di Kate sola, nella loro casa, indifesa e disarmata prese possesso della sua mente era troppo tardi perché era già uscito, non poteva tornare indietro, avrebbe fatto la figura dell’idiota e lei l’avrebbe presa male. Doveva solo conviverci per il resto del pomeriggio e scacciare certe immagini dalla sua mente per non impazzire.
Passò al distretto a ringraziare personalmente Esposito e ad aggiornarlo sulla salute e sulla reazione, non buona, di Kate. Pensò che forse le aveva fatto fare il passo più lungo della gamba ma l’ispanico, che da sempre era per i modi più diretti, gli disse che secondo lui aveva fatto bene che doveva smettere di tenere Beckett sotto una campana di vetro e scuoterla per farla tornare quella di prima. Parlava facile lui, ma doveva ammettere che non sempre si era sbagliato, come quando l’aveva letteralmente obbligata a prendere in mano il fucile con il quale le avevano sparato. Non era sicuro però che in questa situazione la terapia d’urto avrebbe funzionato, e poi c’erano anche altri fattori da considerare del quale lui non era a conoscenza: il bambino, ad esempio.
Era rientrato più tardi di quanto pensasse, aveva ordinato per entrambi del cinese, era tanto che non lo mangiavano, le piaceva, sperava di farle cosa gradita. Kate mangiò poco, meno degli standard che Rick aveva previsto fossero necessari per la sua salute e per il bambino, ma lei non sembrò in vena di accettare né critiche né consigli. Spilluzzicò un po’ di riso e del pollo in agrodolce non toccando niente delle tante altre cose che Castle aveva preso per loro. Lui ci restò molto male, lei lo capì ma non cambiò il suo atteggiamento. Lo salutò dicendo che tornava in camera e doveva stare sola.
Castle passò un’altra notte tra la sua nuova camera ed il divano. La mattina seguente la situazione era identica e Rick cominciava a non riuscire a trattenere il suo malumore. Quando Kate uscì di camera non nella solita tenuta da casa, ma vestita di tutto punto Castle fu ancora più arrabbiato nel capire che stava uscendo senza dirle nulla. Gli disse semplicemente che aveva chiamato un taxi per andare da Burke, aveva preso un appuntamento il giorno precedente. La vide uscire ancora malferma sulle sue gambe, ma con l’orgoglio di chi voleva farcela da sola. Uscì anche lui, solo perché stare lì dentro da solo era ancora impossibile e quando tornò il loft era sempre vuoto. Approfittò per chiamare Jim e chiedergli se aveva avuto modo di parlare con Kate. Era l’unico con il quale riusciva a confidarsi ed anche lui condivideva le sue paure per la chiusura della figlia negli ultimi giorni. Tentò comunque di rassicurare Rick, dicendogli che non era colpa sua e che era stato giusto raccontarle la verità sulla madre.
Quando Kate tornò al loft Rick notò che era molto provata, non solo fisicamente. Aveva bussato e si era fatta venire ad aprire la porta, nonostante avesse le chiavi e questo particolare non sfuggì allo scrittore che se ne dispiacque molto.
Kate andò in camera e notò sul cuscino una tessera di un puzzle. Sembrava uno di quei puzzle da bambini con i pezzi molto grandi. Guardò il disegno assomigliava ad una parte di un cartone animato, ma non ne era sicura, non capiva il senso, l’unica cosa della quale era certa era che non fosse finita lì per caso, ce l’aveva messa Castle e la indispettiva non poco che era entrato nella sua camera quando lei non c’era. Cosa voleva fare, spiarla? Cercare indizi su quello che aveva fatto?
Rick bussò alla sua porta e lei non aprì e non gli disse nulla.
- Kate, ho preparato la cena. - La sua voce dolce e accondiscendente sembrò infastidirla ancora di più. Lui era arrabbiato, l’aveva capito già dalla mattina, però faceva di tutto per trattenersi. - Se non vuoi venire di là, ti preparo un vassoio e lo puoi portare in camera, ma non puoi stare senza mangiare.
Il buon senso era tutto dalla parte di lui e lei si stava comportando come una bambina capricciosa, se ne rendeva conto. Mentre stava ancora decidendo cosa fare lo sentì bussare di nuovo, questa volta si alzò e gli aprì. Era in piedi sulla porta e le porgeva un vassoio colmo di cibo.
- Ti dispiace se vengo a mangiare di là? - Gli disse con lo sguardo basso perché si vergognava per come si era comportata durante gli ultimi giorni.
- No, no… ok … ora… ora preparo.
Lo seguì, lui apparecchiò la tavola per due, velocemente ma sempre con un tocco di raffinata eleganza. Le tovagliette color avorio, dello stesso colore del rigo sul piatto di ceramica bianca, i bicchieri di cristallo le posate di design. La invitò a sedersi e prese posto davanti a lui, che le servì quanto preparato poco prima. Piatti semplici e leggeri, ma nutrienti e gustosi, sembrava avesse fatto un corso di cucina per donne incinte, e forse lo aveva fatto veramente per quel che ne poteva sapere lei.
Aveva appena finito di mangiare la sua abbondante porzione di zucchine gratinate al formaggio quando parlando interruppe la smania di Rick di riempirle di nuovo il piatto di qualcosa di diverso.
- Ho avuto paura, Castle.
Lui a quelle parole sparecchiò velocemente la tavola, dandosi mentalmente il tempo di assimilare quello che lei aveva appena detto. Paura di cosa? A che si riferiva? Era per quello che aveva letto? Per Bracken? Non c’era scritto nel fascicolo che era morto? Quando il tavolo era sgombro si sedette di nuovo davanti a lei, le mani appoggiate sul tavolo a dissimulare una certa calma che non aveva e le fece un cenno con la testa per continuare. Era pronto. O forse no. Ma non era importante.
- Ho avuto paura di dipendere da te.
Era questo? Non c’entrava nulla la storia di sua madre e di Bracken?
- Cosa? - Le chiese Castle stupito e per niente sollevato.
- Da quando mi sono svegliata, tu sei stato sempre con me. Hai provveduto a tutto quello di cui avevo bisogno. Ed io senza conoscerti mi sono affidata a te per qualsiasi cosa.
- Kate io non potrei fare altrimenti.
- Io non posso dipendere totalmente da una persona, non me lo posso permettere.
- Certo che puoi farlo! Adesso puoi e devi farlo!
- Io ora non so più chi sono, non so niente di me. Se mi affido totalmente a te, e poi tu non ci sarai più ed fossi di nuovo sola, cosa potrei fare?
- Io ci sarò sempre per te Kate. È per questo che mi hai evitato?
- Dovevo capire.
- Capire cosa?
- Che è già troppo tardi per non dipendere da te. Ti ho sentito queste notti. Passeggiavi qui fuori, dormivi sul divano.
- Non volevo disturbarti.
- Non mi hai disturbato, non dormivo nemmeno io.
- Cosa facevi? Se non sono indiscreto…
- Leggevo. Ho trovato la mia scatola dei tuoi romanzi…
- Già… La tua scatola, sembra la roba di una vera fan.
- Perché lo ero!
- Così finalmente lo ammetti! - Castle era euforico aveva cambiato in un attimo espressione e umore.
- Cosa?
- Che eri una mia fan! Cioè, non una che leggeva semplicemente i miei libri, ma una fan!
- Non lo sapevi?
- L’ho sempre sospettato, anzi più che sospettato, però non me lo avevi mai detto apertamente!
- Ah… E perché secondo te non te lo avrei mai detto? - Chiese sinceramente stupita di se stessa.
- Beh, per non darmela vinta, perché non volevi che mi pavoneggiassi o ti prendessi in giro, credo. Ma tranquilla non farò niente di tutto questo.
- Vuoi vedere una cosa?
Andarono insieme in camera e Kate aprì la scatola con tutti i suoi libri. Prese la sua copia di Storm Rising e la tenne tra le mani.
- Quando mia madre è morta una delle poche cose che mi evitava di pensare era leggere i tuoi libri. Mi sono stati di grande aiuto in quel periodo. Quando è uscito questo ho fatto più di un’ora di fila per avere un tuo autografo.
- Stai scherzando?
- No.
Aprì il libro e c’era veramente il suo autografo. Non sulla copertina come faceva solitamente di corsa con il nome della sua fan, ma all’interno, sotto il frontespizio come faceva sempre quando doveva scrivere una dedica importante, “Spero che al prossimo libro sorridano anche i tuoi occhi”.
Rick lesse la frase e rimase stupito di se stesso. Erano molto rari i casi in cui faceva delle dediche personali, probabilmente, anche se non la ricordava e non rammentava nulla di quel frangente, qualcosa doveva averlo colpito di lei e sapeva esattamente cosa. La tristezza del suo sguardo che si scontrava con il suo meraviglioso sorriso. Quante volte aveva visto quel mix letale che lo aveva fatto innamorare giorno dopo giorno?
- Non sono più venuta a farmi autografare nessun altro libro. Forse era stupido, ma pensavo che ti saresti ricordato ed avresti visto che ancora i miei occhi non sorridevano. Mi sono illusa che quando hai scritto quella dedica tu l’avevi pensata proprio per me e mi ci sono aggrappata a quel pensiero per tanto tempo. Poi ho capito che scrivevi dediche a tutte, ma mi è stata di aiuto, sul serio.
- Non scrivevo dediche a tutte.
Castle non sapeva cosa altro dire, era sorpreso da quella rivelazione dopo tanti anni, non aveva mai preso i suoi libri o curiosato tra le sue cose, non poteva saperlo. Forse se lo avesse scoperto in un’altra occasione l’avrebbe veramente presa in giro e si sarebbe pavoneggiato al distretto per giorni, mettendola in imbarazzo, ma ora era diverso, era tutto diverso.
- Alle ultime presentazioni ti sorridevano anche gli occhi. Beh, non venivi a fare la fila per farti autografare i libri, però quando li leggevi in anteprima qui o di là sul divano, eri felice. Anche per questo - prese la copia di Heat Rises - hai fatto la fila per un autografo.
- Non ci conoscevamo già?
- Sì, ma tu mi avevi allontanato per un po’ di tempo, io ero molto arrabbiato. Era dopo il funerale di Montgomery. Dopo che ti avevano sparato. Mi avevi escluso dalla tua vita.
- Perchè lo avevo fatto?
- Dovevi risolvere delle cose e dovevi farlo da sola, almeno questo è quello che mi avevi detto. E poi avevi una storia, con un medico, si chiamava Josh. Hai fatto la fila per parlami, di nuovo. Ci siamo chiariti, più o meno e mi hai detto che ti eri lasciata con quel Josh.
- Eri geloso di lui! - Gli disse con fare canzonatorio
- Certo che lo ero! Lui non ti meritava. Non c’era mai quando avevi bisogno di lui. Io sì, ma tu non te ne accorgevi.
- O forse non volevo farlo… - Il suo tono ora era più triste, si conosceva, sapeva che quella probabilmente era la motivazione più veritiera.
- Sì, non volevi farlo. - Replicò sicuro.
- Ho letto Heat Wave. Sai ancora è molto strano vedere su un tuo libro una dedica per me. Una dedica stampata, intendo. Io ti vedo qui tutti i giorni, ti prendi cura di me, parliamo, scherziamo, litighiamo… Sono incinta di tuo figlio… Per me sei Castle, o Rick, quasi mi dimentico chi sei. Poi quando prendo in mano i tuoi libri e vedo la foto dietro e penso a tutto il tempo che ho passato a leggerli, penso a quella persona lì, mi sembra impossibile che sei tu, che sei così diverso da quello che avevo nella mia mente, un playboy milionario che passa la vita da un party all’altro con una donna diversa ogni sera.
- Ero così, prima. Per prima intendo il periodo che ricordi tu, ero quello. Un uomo annoiato che buttava via la sua vita così. Poi sei arrivata tu. - Castle si fermò a guardarla negli occhi, le accarezzò il volto in quel ritrovato contatto che gli era così mancato. Spostò una ciocca dei suoi capelli dietro l’orecchio, in quel gesto che ripeteva spesso, per vedere meglio il suo volto e perchè solitamente dopo era lì che cominciava a baciarla, ma questo dovette trattenersi dal farlo.
- Rick… non posso…
- Sì che puoi Kate. Anzi devi. Devi lasciar andare le tue paure. Io ci sarò. Sempre. Non è una brutta cosa affidarsi a qualcuno.
- Ma dipendere da qualcuno sì, Rick. Non va bene.
- Io dipendo da te.
- Non dire cavolate Castle, tu non dipendi da me.
- Non nel pratico ma per tutto il resto sì. L’hai detto tu, mi hai sentito. Perchè queste notti sono rimasto sul divano? Perchè non potevo dormire al piano superiore sapendoti qui?
- Perchè sei pazzo Castle?
- Se rispondo di te sono banale?
- Per essere uno scrittore sì, molto. Potresti fare di meglio.
- Però sarebbe la verità.
- Stai facendo di tutto per mettermi in difficoltà?
- No, sto facendo di tutto per farti capire che stai sbagliando tutto. Datti una possibilità Kate. Non sarai mai più sola.
- Quando ero davanti alla tomba di mia madre pensavo a quando ero ragazza ed ero preoccupata, lei arrivava, mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Pensavo a quanto avevo bisogno di sentirmelo dire e quanto avrei voluto che fosse lì dirmelo, a quanto la vorrei vicino a me in questo momento. Avevo sempre pensato quando ero una ragazza che ancora sognava il futuro che in questo momento avrei avuto mia madre vicino, ad aiutarmi a consigliarmi e sostenermi. E invece lei non c’è ed io sono sola. In quel momento però sei arrivato tu, mi hai messo una mano sulla spalla e mi hai detto che sarebbe andato tutto bene… Io per un attimo ho pensato che fosse veramente lei a toccarmi…
- Vedi Kate - le tolse il libro che ancora aveva tra le mani e le prese tra le sue - quando stavamo organizzando il nostro matrimonio tu mi avevi fatto più o meno lo stesso discorso, quando eri andata a provare un’abito da sposa. Tua madre ti mancherà sempre e in certe occasioni ancora di più. Desidererai averla vicino e la sua mancanza sarà la presenza più forte nel tuo cuore. È normale Kate, è umano. Diventerai mamma e vorresti la tua mamma vicino a te. Anche io prima che nascesse Alexis avrei voluto avere un padre con cui parlare e confrontarmi e da cui prendere esempio. Tu però hai il ricordo di tua madre, di quello che è stata per te e dei suoi insegnamenti. Sono sicuro che lei avrebbe voluto che tu fossi felice e non vivessi con la paura di esserlo.
Rick lasciò le sue mani e frugò in tasca. Tirò fuori una tessera di un puzzle.
- Hai il tuo Kate?
Lei non capì, ma lo prese dal comodino dove lo aveva appoggiato. Lo diede a Rick che lo unì al suo. Venne fuori un pezzo di animale di un cartone animato, incomprensibile stabilire quale o cosa fosse.
- Vedi questi due pezzi - continuò Rick - si incastrano. Tu dirai che non hanno senso, perchè manca tutto il resto e forse è vero. Anche nella tua vita mancano tanti pezzi al puzzle e a te sembra di non capire il significato, proprio come qui. Sono solo due pezzi che si incastrano, ma ti sembra che non formino niente che abbia un senso. - Li divise e rimise nelle mani di Kate il suo pezzo, lui tenne il suo. Lo girò e le disse di fare altrettanto con il suo. In entrambi c’era un segno tracciato con un pennarello rosso. Riprese il pezzo di Kate e lo unì di nuovo al suo. I due pezzi messi insieme, sul retro, formavano un cuore.
- Basta cambiare il punto di osservazione delle cose. Anche due pezzi di un puzzle che sembra che non abbiano nessun significato presi da soli, se si incastrano possono dire tutto, anche senza tutto il resto. Basta vederli in modo diverso.
- Questo puzzle era una cosa importante per noi?
- L’ho comprato oggi. - Gli confessò candidamente - Però se tu vuoi, potrà diventarlo. Potrà diventare importante. Per noi. Possiamo creare dei nuovi ricordi, aspettando quelli vecchi.
Il volto dello scrittore si aprì in un sorriso a sottolineare le sue parole.
- Beckett, vuoi creare nuovi ricordi con me?
- È una proposta inusuale Castle.
- Ti chiederei anche di sposarmi, ma tecnicamente già lo siamo e non credo che tu mi diresti di sì adesso. Creare dei ricordi è più generico.
- Sì, lo è.
- Accetti?
- Accetto.
Si sorrisero entrambi.
- Rick, questo però non vuol dire che noi…
- Lo so Kate. Non vuol dire quello.
- Che ne sai a cosa mi riferivo?
- Lo so. Sono sempre valide le condizioni di quando hai accettato di venire qui.
- Esatto Castle.
- Va bene, Beckett.
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Capitolo 18 *** DICIOTTO ***
Passarono i pomeriggi e le serate a vedere tutti quei film usciti negli ultimi anni che Kate non aveva visto e che Rick faceva finta di vedere per la prima volta con lei, ridendo e commuovendosi insieme. Discutevano dei thriller e ipotizzavano chi fossero gli assassini proprio come discutevano dei casi quando lavoravano insieme e Rick improvvisava teorie strampalate come suo solito, anche per quelli di cui già conosceva bene la storia, però gli piaceva troppo giocare così con lei, che sapeva che lui stava fingendo, ma non le importava, si divertiva e stava bene.
Rick le fece una raccolta delle canzoni più belle da ascoltare, le consigliò i migliori libri da leggere, ovviamente dopo che aveva finito di leggere la saga di Nikki Heat, le faceva conoscere i nuovi personaggi dello spettacolo diventati famosi recentemente ma lei non ne trovò quasi nessuno di suo gradimento.
La mattina quando il clima era più mite uscivano per fare delle brevi passeggiate al parco, riposandosi di tanto in tanto su qualche panchina sotto gli alberi. Rick scherzava molto su questo, dicendo che pensava che quella era la vita che avrebbero fatto quando sarebbero stati molto più vecchi, magari dovendo guardare i loro nipotini che correvano in giro e loro non ce la facevano a tenere il ritmo. Kate si era abituata a sentirlo parlare del loro futuro come se fosse una cosa normale e scontata. Per lei non lo era ancora, ma non glielo aveva mai detto, per non turbarlo. Si divertiva, però, ad ascoltare tutto quello che si immaginava per loro, dalle sue bizzarre idee di giri del mondo in barca solo loro due, ma la barca sarebbe stata di lusso ci teneva a specificarlo, perché lei stesse comoda, a quella di trasferirsi in qualche villaggio sperduto ai confini del deserto, dove tutte le notti potevano guardare le stelle brillare nell’oscurità assoluta. La cosa più normale che le aveva proposto era quello di una fattoria in Canada con la prospettiva di pomeriggi passati sotto il grande albero del giardino sul dondolo a parlare dei bei tempi passati, sorvolando sul fatto che lei al momento non li ricordava, ma quello era solo un fastidioso dettaglio che rovinava le sue fantasie.
Quando gli aveva fatto notare che tutte le sue idee vertevano su posti isolati e solitari Rick non si lasciò scoraggiare, dicendo che se preferiva si sarebbero potuti trasferire a Singapore o a Hong Kong, con il grande vantaggio di poter mangiare cibo orientale fresco ogni giorno, e se le piacevano i grattacieli poteva informarsi se avevano un loft anche nella Burj Khalifa a Dubai che lei non sapeva nemmeno cosa fosse, visto che l’avevano inaugurata durante la sua amnesia. Da lì aveva divagato, parlando di castelli in Francia il luogo perfetto per vivere con una musa, casali in Italia così avrebbero avuto sempre del buon vino per brindare alla sera, ville in isole greche sopra scogliere a picco sul mare, ranch in Texas o haciendas in Argentina. Aveva fatto in un un giro del mondo immobiliare in poco tempo e quando il clima si era fatto troppo caldo e Kate con la gravidanza lo soffriva come mai si era ricordato di averlo fatto in vita sua, gli disse che se voleva gli avrebbe comprato anche un igloo così sarebbe stata al fresco, attirandosi uno di quegli sguardi di Beckett che avevano la capacità di ammutolirlo all’istante, insieme alla minaccia che al fresco ce lo avrebbe messo lei a lui, appena sarebbe tornata a lavoro.
Facevano più o meno tutti i giorni lo stesso giro, allungandosi di “una panchina in più” ogni volta. A Castle piaceva passeggiare con Beckett e trovava divertente il fatto che ora che non poteva portare i suoi amati tacchi, la differenza di altezza tra loro era molto più accentuata e questo lo faceva sentire ancora più protettivo nei suoi confronti che appariva vicino a lui decisamente più piccola. Arrivarono alla fine vicino alle altalene e Kate non resistette alla voglia di sedersi lì. Castle la seguì, sedendosi in quella alla sua sinistra.
Kate si dondolava appena, appariva rilassata, mentre Rick rimaneva fermo a guardarla. Per lui quelle altalene erano cariche di ricordi.
- Tutto bene Castle? - Gli chiese Kate vedendolo con lo sguardo perso nel vuoto
- Sì, stavo solo pensando a questo posto
- Ti piace?
- Molto, a te?
- Sì, mi piacciono le altalene.
- Qui ti ho chiesto di sposarmi. - Le disse in modo del tutto spontaneo, come se le raccontasse qualsiasi altra sua fantasiosa idea.
- Qui? - Chiese stupita, non era una cosa da Castle, o forse sì.
- Sì, non è bello?
- Pensavo che come minimo avessi organizzato qualcuna delle tue idee megalomani che mi avrebbero imbarazzato tantissimo.
- Quando mi sono messo in ginocchio in pieno giorno davanti a tutti i passanti eri imbarazzata e balbettavi anche. - Disse soddisfatto - Avresti preferito qualcosa di più in grande? Posso sempre rimediare visto che non te lo ricordi!
- Non ti azzardare Castle!
- Ok - alzò le braccia in segno di resa - Però è stato bello qui, veramente.
Il tono di Rick era tornato malinconico. Ripensava a quel giorno e a cosa era successo nei giorni precedenti. Pensava alla sua rabbia e alla sua delusione per essere stato escluso da quella decisione così importante sul futuro di Kate a quella chiacchierata con sua madre che gli faceva notare quanto avesse sempre temporeggiato con lei per prendere ogni decisione per paura di perderla. Pensò che in fondo anche adesso stava facendo la stessa cosa. Temporeggiava per paura di fare quel passo in più che l’avrebbe allontanata. Non capiva ancora quale era il confine dentro di lei tra la Beckett che era e la sua Kate. Non si ricordava di loro, eppure si fidava di lui, per lei non era suo marito, eppure non aveva paura del contatto fisico tra loro. In tutto questo era così diversa e lui non capiva mai fin dove poteva spingersi per non farsi rifiutare.
Anche Kate colpita dal suo silenzio era pensierosa. Guardava Rick che fissava la punta delle sue scarpe dondolandosi appena tenendosi con le mani sulle catene. Lei mise una mano su quella di lui, fermando il loro dondolare.
- Quando ti ho chiesto di sposarmi ti ho detto che se c’erano delle difficoltà da affrontare insieme io ero pronto ad affrontarle e speravo che tu lo fossi per affrontarle con me. Ne abbiamo passate tante da quel giorno, nemmeno ti immagini cosa, ma non pensavo che dovessimo combattere anche contro questo che stiamo passando ora. Però io non mi tiro indietro adesso, anche se devo farlo da solo.
Rick continuava a guardare a terra mente parlava. Non sembrava più nè malinconico nè triste, anche se lo era. Voleva ostentare quella sicurezza che non aveva per questo parlava senza guardarla, perchè era certo che nei suoi occhi lei avrebbe potuto leggere tutto quello che nascondeva. Kate ogni volta che lui le faceva queste dichiarazioni, sempre più spesso ora che ci pensava, si trovava imprigionata in quel limbo di anima che le impediva di prendere ogni decisione. Non poteva dire di amare Rick, poteva forse dire che le piaceva, molto, ma esteticamente le piaceva anche prima di conoscerlo. Le piaceva l’idea di lui così devoto a lei ma le sembrava una cosa impossibile, quasi irreale e la sua anima diffidente si chiedeva sempre dove fosse nascosta la fregatura, perchè ci doveva essere da qualche parte. Umanamente poi le faceva un’immensa tenerezza. Percepiva vivamente il suo dolore per quella situazione, tanto quanto il suo amore che sembrava realmente incondizionato, qualcosa di così diverso da quello che le avevano dimostrato tutti i ragazzi o gli uomini della sua vita, così diverso da qualsiasi cosa lei avesse mai provato per qualcuno, tanto da farle dubitare, se quello era l’amore, se lei avesse mai realmente amato qualcuno.
Gli voleva dire molte cose, fargli capire che l’idea di farlo star male faceva star male anche lei, che sperava di potersi ricordare di loro, presto, per poter mettere fine alle sue sofferenze ed anche alle proprie, che se quello era il sentimento che lui provava per lei, lei era probabilmente una delle donne più fortunate al mondo, ma non lo fece. Non gli disse nulla di tutto questo per paura di quello che poteva uscire dalla sua bocca senza essere filtrato prima dalla sua mente. Avrebbe rischiato di dirgli più di quello che credeva fosse giusto fare per non ferirlo o illuderlo. O illudersi. Quei giorni passati insieme da soli a casa loro avevano solo aumentato in Kate la convinzione che aveva fin dall’inizio, la compagnia di Castle le piaceva e le piaceva lui. Era poco? Era tanto? Non lo sapeva. Era una situazione troppo complicata per avere un metro di giudizio e trovare uno schema comportamentale adeguato.
Rick era nella loro camera, stava prendendo dall’armadio alcuni vestiti per i giorni successivi. Kate lo osservava dietro le sue spalle, ripensava a quella mattina al parco a tutto quello che avrebbe voluto dirgli e non gli aveva detto.
- Baciami Castle.
Kate lo disse in tono perentorio, era uno di quei pensieri che non venivano mediati dal cervello, ma nascevano non si sapeva bene da quale parte precisa del corpo e finivano direttamente sulle labbra che li svelavano al mondo. Si sorprese nel sentire la sua voce aver detto quelle due semplici parole. Rick pensava che stesse scherzando e ci rise su. Ma quando si voltò e guardò i suoi occhi, capì che lei era seria. Lasciò perdere i vestiti, buttandoli sul letto.
- Cosa stai dicendo Kate?
- Devo capire. - Aveva perso tutta la sua sicurezza adesso che lui la guardava legando i loro sguardi in maniera così profonda farle rimpiangere quello che aveva appena chiesto. La sua era una richiesta d’aiuto, ma quello che vedeva in lui la spaventava ancor più delle parole che le aveva detto quella mattina. La leggerezza che Rick metteva in ogni cosa per farla stare bene e farla sentire a proprio agio era sparita e si sentì investita da tutti quei sentimenti che immaginava combattessero dentro il corpo di Castle senza che lui li lasciasse mai prendere il sopravvento.
- Pensi di farlo con un bacio? - Le chiese stupito ma nei suoi occhi c’era molto di più dello stupore. Lei si morse il labbro inferiore abbassando lo sguardo, lui le appoggiò due dita sotto il mento, alzandole il volto a cercare una conferma che arrivò con un sorriso appena accennato.
Si avvicinò a lei piano, si guardavano negli occhi con sentimenti diversi. In lui c'era l'urgenza, la stessa necessità di ossigeno di chi è stato troppo tempo in apnea. In lei la paura dell'ignoto e la speranza. Le accarezzò le guance e poi accostò le labbra su quelle di lei faticando a trattenere dentro le emozioni di quel contatto tanto desiderato. Assaporò ogni attimo di quel bacio innocente e l'inconfondibile consistenza delle sue labbra morbide. Lei rimase immobile senza saper reagire: lo aveva voluto lei, sperava che le sarebbe servito per risvegliare ricordi e sentimenti, ma non fu così e la delusione di questo fu pari alle emozioni provate da Rick. Se ne accorse e si allontanò da lui, prima che quel contatto tra le loro labbra diventasse altro, di più.
- Mi dispiace tanto Castle... Mi dispiace tanto...
Vide quegli occhi azzurri riempirsi di lacrime e voltarsi di scatto per non farsi vedere, ma le lacrime erano state più veloci di lui e le arrivarono dritte al cuore. Non lo voleva far soffrire e nemmeno illudere. Sperava veramente che un contatto più intimo tra loro sarebbe servito a far riaffiorare alla sua mente i suoi sentimenti. Gli appoggiò una mano sulla schiena e sentì i suoi respiri sincopati. Sperò che si voltasse e che le dicesse che andava tutto bene ma non lo fece. Non andava tutto bene, era evidente se lo stava ripetendo mentre lui era lì di spalle per non mostrarsi ferito, ed era stata colpa sua, del suo egoismo, del non aver considerato i sentimenti di lui, perchè lei al massimo non avrebbe ricordato nulla, lui sì, lui avrebbe ricordato tutto e lo aveva fatto. Anzi, lui aveva ricordato più di quanto lei avesse potuto immaginare, non solo per quel contatto, ma anche per quello che le aveva detto dopo.
Fece scivolare la mano lungo la schiena lentamente, come se fosse una delicata carezza. Lo senti irrigidirsi al suo tocco, uscì dalla stanza non prima di averlo guardato un'altra volta. Andò a sedersi sul divano rannicchiata con le ginocchia al petto. Si diede della stupida, di nuovo. Non si accorse che lui l'aveva presto seguita, e si era portato proprio dietro di lei abbracciandola.
- Sto bene Kate - la rassicurò mentre le poggiava un bacio sui capelli.
Lo invitò a sedersi vicino a lei, aveva gli occhi rossi segnati dalle lacrime. Non stava bene, era inutile che mentiva. E non stava bene nemmeno lei a vederlo così. Soffermò lo sguardo sulle sue labbra. È vero, non aveva sentito quello che pensava avrebbe potuto ricordare, ma non era vero che non aveva sentito nulla e non era vero nemmeno che lo aveva voluto baciare solo per quello. Non aveva aveva il coraggio di dirselo ed il brivido che sentì al contatto tra le loro labbra non era il ricordo di qualcosa del passato, era una sensazione dannatamente del presente della quale ebbe paura. Gli accarezzò il volto come lui tante volte aveva fatto con lei e si ritrovò ad passargli una mano tra i capelli con le dita che scorrevano timide sulla nuca di lui. Si guardavano, non capendo chi dei due era più sorpreso.
Fu Kate ad avvicinarsi a lui, titubante, fermandosi a guardarlo ancora per un istante, come a voler chiedere il permesso. Lui rimase immobile proprio come lei prima ma quando gli fu chiaro che non si sarebbe fermata fu Rick a ritrarsi quel tanto che bastava per farla fermare. Kate lo fece ma solo per un attimo. Poi appoggiò la sua fronte su quella di lui e chiuse gli occhi.
- Non ti voglio baciare per ricordare, Rick… - gli sussurrò mentre con le mani sulla sua nuca lo teneva fermo, per non farlo allontanare di più.
- No? - Chiese lui sorpreso o forse speranzoso.
- No. - Gli rispose sicura, appoggiando le sue labbra su quelle di lui lasciando che questo diventasse un timido bacio - Voglio solo baciarti, non mi chiedere di più, non mi chiedere cosa è. Sto provando a lasciarmi andare alle mie emozioni e se mi conosci sai che non è facile. Ci voglio provare, mi voglio fidare, però non mi chiedere altro, non mi chiedere di dare un nome a questo. Lo so che per te è diverso, non ti voglio fare del male…
- Beckett, tra noi due quello che parlava tanto ero io.
Si sorrisero sulle labbra che poco dopo unirono di nuovo, dolcemente, scambiandosi piccoli baci delicati per conoscersi o riconoscersi. In quel momento non c’era tempo per pensare a ciò che era o era stato. Non contavano nè passato nè futuro quando Kate ruppe gli indugi chiedendo a quel bacio qualcosa di più e Rick la lasciò fare, aspettò che fosse lei a dettare i tempi e i modi di quel bacio e ricambiò le intenzioni di Kate dischiudendo le sue labbra per assaporarsi di più. Rick si impose di non pensare a nulla, di godersi solo il momento, di fermare i pensieri. Riprese coscienza di se e le cinse la vita, avvicinandola ancora al suo corpo, stringendola a se mentre rispondeva a quel bacio con più convinzione. Quando separarono le loro labbra non riuscirono a guardarsi. Kate era ormai quasi del tutto distesa sul corpo di Castle schiacciato alla spalliera del divano e la teneva per non farla allontanare. Appoggiò la testa sulla spalla dello scrittore avvicinando le labbra al suo collo, trovandosi a lasciare a anche lì una lunga scia di baci che lui accettò inclinando di poco la testa per facilitarle il compito. Rick teneva gli occhi chiusi, senza avere il coraggio di aprirli per paura che svanisse tutto. Lo fece solo quando sentì Kate muoversi e reclamare spazio. Si sciolse dal suo abbraccio alzandosi da lui e sedendosi in maniera più composta.
Castle aprì gli occhi appena il contatto tra loro si interruppe. Sapeva che sarebbe successo. Sapeva che non gli sarebbe bastato un bacio solo, avrebbe voluto baciarla per tutta la notte, per tutto il giorno successivo, sempre. Aveva settimane di baci da recuperare. Aveva appuntato mentalmente ogni momento in cui avrebbe voluto baciarla e non aveva potuto farlo e avrebbe voluto recuperare. Ora, invece, lei si era già allontanata e non se lo aspettava. Se la immaginava, come sempre faceva, accoccolata sul suo petto per ore, mentre lui le accarezzava i capelli e la baciava ancora, ogni volta che ne avrebbe avuto voglia. Sempre, quindi.
Si voltò a guardarla temendo di cogliere sul suo volto tracce di ripensamento, di rimorso per quello che era appena accaduto. Non avrebbe retto.
Kate, invece, sorrideva e non sembrò accorgersi dello sguardo di lui che cercava di cogliere ogni minima sfumatura nelle sue espressioni. Rick attendeva che gli dicesse qualcosa. Era lei che lo aveva baciato, che poi si era allontanata da lui, quindi sarebbe dovuta essere lei anche a parlargli, no?
- Ho incasinato tutto, vero Castle? - Il suo tono era quasi divertito
- Mi piacciono questo tipo di casini Beckett
- Lo possiamo tenere solo per noi?
- Cosa?
- Quello che c’è appena stato. Non voglio dover dare spiegazioni a nessun altro, non voglio dover spiegare cosa non ricordo e cosa sento adesso.
- Quindi senti qualcosa.
- Non bacio qualcuno tanto per fare.
- Prima mi hai chiesto di farlo però.
- Forse non era solo per quello, ma non lo sapevo.
- Resterà solo tra noi. - Le disse serio. Nemmeno lui aveva voglia di dare spiegazioni, anche perchè non avrebbe saputo cosa dire, non sapeva niente nemmeno lui, viveva solo il momento.
- Domani tornano tua madre ed Alexis. - La voce di Kate nascondeva delle note tristi in quell’affermazione. Si sentiva condizionata dalla loro presenza di non poter essere se stessa come era stata negli ultimi giorni con Castle. Rick le si avvicinò, le scostò i capelli dal volto e la fece voltare verso di se.
- Dopo la tua visita di controllo andiamo negli Hamptons, ti va? Abbiamo una casa lì, possiamo stare un po’ da soli, rimanere fino alla visita successiva. Io, te, sole, mare, piscina, relax… Ti piace l’idea? - Aveva capito il disagio di lei e quella proposta era quanto di meglio potesse offrirgli. Avrebbero avuto tutto quello di cui avevano bisogno e non li avrebbe disturbati nessuno.
- Non ti voglio far stare lontano dalla tua famiglia. - si sentiva in colpa per quella richiesta egoista.
- Ehy Kate, sei tu la mia famiglia. Alexis e mia madre capiranno. Ne abbiamo bisogno, io ne ho bisogno. Stare con te, lontano da questo posto per un po’
Le diede un bacio, gli sembrava incredibile averne voglia e poterlo fare. La sorprese, ma era stata lei a rompere quella barriera tra di loro, ora doveva immaginarsi che Castle l’avrebbe preso come un via libera per farlo ancora. Non che le dispiacesse, ma per lei era ancora una cosa inusuale. Doveva combattere perennemente contro la sua razionalità che la frenava, però gli piacevano le sue labbra e gli piaceva essere baciata da lui.
- Hai un buon sapore Richard Castle, lo sai?
- Sì, lo so. Me lo dici sempre. Allora, ti va di andare negli Hamptons?
- Sì, mi andrebbe molto.
Rick aprì le braccia le la invitò ad avvicinarsi. Lei si accoccolò sul suo petto mentre lui giocava con i suoi capelli cercando di farla rilassare.
Non era tutto normale, però era bello e al momento gli bastava
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Capitolo 19 *** DICIANNOVE ***
Kate si mordeva nervosamente le labbra mentre erano seduti in attesa del loro turno. Castle le press la mano e lei si voltò a guardarlo non riuscendo a nascondere la sua preoccupazione. Rick le diede un bacio imponendole di interrompere quella tortura.
- Preferirei che lasciassi farlo a me.
- Cosa Castle?
- Torturare le tue labbra. Conosco metodi molto più piacevoli.
- Rick... Non mi pare nè il luogo nè il momento...
- Quindi in un altro luogo e in un altro momento...
- Lo so cosa vuoi fare Castle, vuoi farmi arrabbiare per farmi pensare ad altro.
- Funziona? - Le chiese speranzoso
- No. - rispose infastidita
Castle sbuffò. Il ginecologo di Kate aveva avuto un'emergenza ed erano lì in attesa da più di mezz'ora. Castle tra i due era quello che solitamente sopportava meno le attese, ma Kate era veramente insofferente e preoccupata.
In realtà lo era già da un paio di giorni, da quando lui aveva cominciato a fare i preparativi per andare negli Hamptons e a ricordarle della visita. Aveva insistito poi ad andare con lei il pomeriggio prima della visita di controllo a fare shopping perché per lui era indispensabile che Kate rinnovasse il suo guardaroba con vestiti più comodi e leggeri, visto quanto le dava fastidio il caldo e che il bambino sarebbe inesorabilmente cresciuto ed anche lei. A Rick sembrò di non aver detto nulla di particolare ma da quella frase Kate si incupì ed il suo umore, già non buono perché non aveva voglia di fare shopping, peggiorò. Non valse a nulla fare per tutto il tempo il buffone ricordandole più volte come fosse l'unica donna che non si divertiva ad andare in giro a spendere i soldi della sua carta di credito in vestiti. Alla fine comprarono comunque molte più cose di quante Kate avrebbe immaginato, visto che Castle diceva che avrebbero preso ogni cosa che lei provava senza nemmeno darle tempo di scegliere. Beckett riuscì solo ad imporsi, minacciandolo con un ritrovato piglio autoritario, per non comprare nulla per il bambino.
Quando tornarono a casa Kate era molto stanca e Rick si pentì di averla sottoposta a quel pomeriggio controvoglia. Martha vivacizzò la serata mostrandosi, al contrario, entusiasta per tutte le cose che avevano comprato e strappando al figlio la promessa di darle la carta di credito per fare shopping prima che andassero negli Hamptons. Prima di andare a dormire Castle passò a dare la buonanotte a Kate che invece di salutarlo lo raggelò con una domanda inaspettata.
- E se non cresce Castle?
Era seduta appoggiata alla spalliera del letto, rannicchiata come si metteva sempre quando era turbata. Lui si sedette sul bordo vicino a lei.
- Perché questi pensieri ora? Sei stata male e non mi hai detto nulla?
Negò convinta e non aveva motivo di non crederle.
- Allora cosa c'è Kate?
- Sono preoccupata. Ti ricordi cosa avevano detto l'altra volta? Era piccolo.
- Sì, ma avevano anche detto che era normale che lo fosse e che stava bene.
- Alcune volte quasi mi dimentico di essere incinta, mi sembra impossibile. Poi quando ci penso come adesso mi prende il panico che qualcosa possa andare storto. Non è normale comportarsi così Rick! Dovrei essere sempre euforica di aspettare questo bambino ed invece ogni volta che ci penso ho solo terrore. Che di non essere pronta, di non essere in grado... Che qualcosa vada storto, che non stia bene.
- Kate, sei normalissima. Sei solo preoccupata, come chiunque lo sarebbe nella tua situazione.
- Allora sono preoccupata di essere sempre preoccupata.
- Non ti aiuterà saperlo, ma da ora in poi sarai sempre preoccupata per lui. Per qualsiasi cosa e passeranno gli anni ma non passeranno mai le preoccupazioni, solo cambieranno in base alla sua età.
- No Castle. Non sei decisamente d'aiuto.
- Però ti assicuro ci preoccuperemo sempre insieme. Staremo le notti svegli a guardarlo dormire quando sarà piccolo e poi ad aspettarlo rientrare quando sarà grande.
Kate sorrise della sua voglia di infonderle sempre e comunque positività. Rick prima di andarsene le diede una bacio sui capelli, ma lei si aggrappò alle sue spalle, facendolo abbassare per baciarlo, Rick si sedette di nuovo e si sporse su di lei per poterlo fare più agevolmente imponendosi mentalmente di contenersi, perchè essere lì, insieme, nel loro letto non lo aiutava per niente.
Kate combatté tutto il tempo per non chiedergli di rimanere con lei e Rick sperò che arrivasse quella richiesta fino a quando non so chiuse la porta alle spalle dopo averla salutata ancora con altri baci e la sua solita promessa: a domani.
Quando Kate sentì finalmente chiamare il suo nome dall'assistente del dottor Yedlin si alzò come una molla e raggiunse a grandi falcate lo studio. Sembrò ritenere le domande del medico solo un'inutile perdita di tempo, alle quali rispose nel modo più sbrigativo possibile. Il dottor Yedlin sorrise comprendendo la sua situazione evidentemente non era la prima a comportarsi così.
- Andiamo a vedere come sta il bambino, così sarà più tranquilla.
A quelle parole sorrise anche Kate imbarazzata per essere stata così facilmente scoperta. Doveva rivedere qualcosa nelle proprie capacità di non lasciar trasparire le proprie emozioni, ma diede tutta la colpa agli ormoni della gravidanza.
Mentre era sdraiata ed aspettava afferrò la mano di Rick e la strinse talmente forte da fargli quasi male, ma lui indossò la sua migliore faccia da poker e le sorrise.
Kate allentò la presa e si rilassò concedendosi finalmente un sorriso sincero solo quando sul monitor comparve il suo minuscolo bambino che si muoveva ed il dottore le disse le parole che più aspettava: "sta bene" e a conferma fece sentire loro ancora una volta il battito veloce del suo piccolo cuore. Rick si lasciò definitivamente vincere dalla commozione quando Kate allungò una mano verso l'immagine sullo schermo regalando uno dei suoi sorrisi speciali al loro bambino, di quelli dove le ridevano anche gli occhi ed il suo viso si illuminava di una luce speciale. Sentì di non averla mai amata tanto come in quel momento, ma sapeva che ci sarebbero stati da lì a pochi mesi altri momenti in cui le avrebbe detto la stessa cosa, eppure gli sembrava impossibile poterla amare di più, avrebbe voluto solo che lei lo capisse per rendere tutto perfetto come era perfetto quell'esserino che era sullo schermo.
Rick pensò che se vederlo la rendeva così felice, avrebbe potuto comprare uno di quei macchinari ed assumere un tecnico per i prossimi mesi, così poteva farlo quando voleva, ma sapeva che se glielo avesse proposto lei lo avrebbe come minimo minacciato di sparargli, anche se non aveva più una pistola.
Kate poi, più tranquilla dopo essersi accertata che andava realmente tutto bene, aver avuto le prove, riempì il dottore di tutte le domande che le passavano per la testa, rispondendo ora sì al dottore in modo più accondiscendente.
Il bambino stava bene e cresceva, era questa l'unica cosa importante per loro, anche se i consigli per Kate erano sempre gli stessi, era sempre convalescente e non doveva stancarsi troppo, pur potendo fare una vita pressoché normale.
Uscirono dallo studio e Castle fu bloccato dal direttore dell'ospedale che voleva parlargli solo qualche minuto. Kate preferì rimanere ad aspettarlo fuori e Rick non si accorse di una presenza nel corridoio che l'avrebbe fatto desistere dall'andarsene per parlare con chiunque o, almeno, avrebbe obbligato Kate a seguirlo. Ma non fu così.
Quando Castle tornò e li vide parlare si precipitò come una furia verso di loro.
- Dai Kate andiamo.
Il tono di Rick era asciutto, non era una domanda e non le diede nemmeno tempo di rispondere che la prese avvinghiandola con un braccio sul fianco, portandola via cogliendola di sorpresa e non dandole modo di reagire.
- Castle ma si può sapere cosa ti prende?
Kate era furiosa, odiava essere trattata così senza motivo, non era una bambina che doveva essere portata via.
- Che stavi facendo Kate?
- Cosa ti sembrava stessi facendo? Parlavo con una persona che mi ha salutato, presumo che lo conoscessi prima.
- Già lo conoscevi. Lo conoscevi Kate. Non te l'ha detto chi è?
- No, mi stava chiedendo come stavo, non credo che tu normalmente ti presenti alle persone che conosci, cosa dici?
- Lo hai visto come ti guardava?
- No Castle, non l'ho visto. Mi puoi dire gentilmente chi è?
- Sono Josh, Kate. Il dottor Josh Davidson. Quello che ti ha soccorso quando per colpa sua ti hanno sparato e che al tempo era anche il tuo fidanzato. - il dottore li aveva seguiti ed era nel corridoio proprio dietro Kate.
- Vattene Josh, non sono affari che ti riguardano. - Rick si parò davanti a Kate, coprendola quasi totalmente con la sua stazza, togliendola dalla vista di Josh.
- Finiscila scrittore. Hai ottenuto quello che volevi, no? Quello che hai sempre voluto anche se sei la cosa più dannosa per lei. Non ti bastava l'altra volta vero? Ancora giochi con lei a fare il poliziotto...
- Non c'è Jim questa volta e non mi lascio insultare da te.
- Non è necessario che io ti insulti, Castle. I fatti parlano per me. - Rick si avventò su Josh prendendolo per il bavero del camice sbattendolo al muro. Lui non si scompose, lo guardava e rideva sardonico.
- Cosa vuoi fare scrittore? Mi vuoi picchiare? Non è con me che te la devi prendere.
Kate si avvicinò guardando i due uomini, mise una mano sul braccio di Castle che teneva Josh contro il muro e poi fissò il dottore che le regalò un sorriso. Il gesto non sfuggì a Rick che si voltò a guardare sua moglie.
Lasciò la presa sull'altro uomo e andò velocemente verso l'ascensore, tanto che Kate quando si accorse che se n’era andato così di fretta non riuscì a tenere il suo passo, lo chiamò inutilmente e arrivò davanti alle porte che si erano già chiuse.
- Il tuo scrittore è geloso, lo è sempre stato. - Le disse Josh avvicinandosi mentre si sistemava il camice.
- Scusami, io non mi ricordo… - Kate tentava di giustificarsi ed odiava farlo. Odiava scusarsi ogni volta con le persone dicendo che non si ricordava di loro o di qualcosa che avevano condiviso. Si sentiva stupida e questa situazione le faceva rabbia. Chiamò nervosamente l’ascensore per andarsene il prima possibile.
- So tutto, non ti preoccupare, non c’è bisogno che ti scusi, non è colpa tua. È strano sai? Pensavo che quando ti avrei rivista ti avrei chiesto delle spiegazioni sul perchè mi hai lasciato così, ma adesso credo che non sapresti darmele e comunque non ce ne sarebbe bisogno vista la situazione. C’è sempre stato lui nel tuo cuore, eh… so che ora non mi puoi rispondere, ma non è necessario Kate… Tanti auguri per il bambino.
- Josh, mi dispiace, non so cosa è successo, però scusami.
Entrò rapidamente in ascensore, premendo il tasto del piano terra compulsivamente. Voleva andarsene da lì. Voleva delle spiegazioni e Castle avrebbe dovuto dargliele quando l’avrebbe trovato.
Rick era fuori dall’ospedale appoggiato al muro vicino la porta d’ingresso.
- Non lo fare mai più Castle! - Gli urlò contro
- Tranquilla Beckett non lo tocco più il tuo dottore.
- Non è il mio dottore, non so nemmeno chi sia.
- Beh, io lo so chi è ed ho visto come lo guardavi!
- Come lo guardavo? Ma cosa stai dicendo?
- Cosa volevi fare, volevi provare a baciare anche lui per vedere se ricordavi qualcosa?
Castle non si accorse di quello che aveva detto e non si accorse nemmeno della mano di Kate, fino a quando non si stampò sonoramente sul suo volto.
- Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere Castle. Mai più. - Il tono di Kate era basso e calmo. Contrastava con il suo respiro agitato che preoccupò Rick. Il caldo di quel luglio era soffocante e l’afa che opprimeva New York era pesante da sopportare per chiunque.
- Stai bene Kate? - Castle cambiò immediatamente atteggiamento verso di lei, quello schiaffò sembrò averlo tirato fuori da quella coltre di gelosia che lo aveva ottenebrato.
- Ti importa come sto? Fino a poco fa non sembrava.
- Non dire così Kate.
- Non dirmi cosa devo dire. Non dirmi nulla.
- Kate, possiamo parlarne in un altro posto?
- Non dobbiamo dirci nulla adesso Castle.
- Non è vero. Andiamo dai...
- Dove andiamo Rick? A casa a discutere davanti tua madre e tua figlia? Non mi pare una grandissima idea.
- Andiamo.
Rick condusse Kate all'auto dove il loro autista li aspettava. La fece entrare e subito si sentì meglio con l'aria condizionata a darle refrigerio.
Rick diede istruzioni e poi entrò anche lui.
- Parliamo girando in auto? - chiese lei sarcastica
- No
- Allora?
- Aspetta.
Arrivarono all'entrata del Four Season e Castle andò a parlare con la reception, poi tornò fuori a prendere Kate.
- Andiamo
- Non sono una di quelle che ti porti in una camera di un hotel per fare pace
- Non ti porto qui per fare pace, ti porto qui così possiamo discutere indisturbati, dai scendi.
Kate scese dall'auto e le veniva quasi da ridere per quella situazione paradossale, che divenne ancora di più tale quando arrivarono all'ultimo piano accompagnati da Bob e vide la camera che aveva preso Castle per discutere.
- Quindi tu mi porti in una suite da qualche migliaio di dollari a notte per discutere?
- Esatto. Così possiamo urlare quanto vogliamo e non ci sente nessuno. È insonorizzata.
- Sei megalomane Castle.
- Lo so. Allora? Dai sfogati, urlami quello che volevi dire prima.
- Non stavo urlando Castle.
- All'inizio sì
- E poi non è che una persona può litigare, smettere e ricominciare a comando. - disse esasperata dal suo atteggiamento. Rick senza scomporsi si andò a sdraiare sul divano cominciando a spilluzzicare l'uva dal vassoio di frutta fresca che dovevano aver portato mentre loro stavano arrivando.
- Va bene. Quando vuoi ti aspetto qui. Se cominci ad urlare tanto ti sento.
- Mi viene da vomitare. - Accompagnò la sua frase con un’espressione disgustata del volto.
- Non dovrebbero passare le nausee a questo punto? - Castle era seriamente preoccupato del suo stato di salute ma quella frase aveva un tono troppo ironico che servì solo ad indispettire di più sua moglie.
- Non lo so, ora è in senso metaforico. - Specificò Beckett rimanendo appoggiata allo stipite della porta della sala da pranzo della suite.
- Pensi di sederti o rimani lì in piedi tutto il tempo?
- Quanto dobbiamo stare qui? - Chiese Kate senza muoversi.
- Fino a che non abbiamo discusso o anche di più come vuoi.
- Voglio andare via.
- No, dobbiamo discutere prima.
- Non sei divertente Castle.
- Non voglio esserlo. E non voglio nemmeno far finta di nulla o essere accondiscendente. Quindi vieni a sederti e discutiamo. - Rick assunse una posizione più composta
La situazione per Kate era paradossale. Stavano discutendo della possibilità di discutere in quel momento o meno. Si sedette nel divano davanti a lui.
- Eccomi Castle. Allora, discutiamo, forza. - Aveva quell’atteggiamento tipico di quando era nella sala interrogatori, mancava solo il finto specchio alle spalle. - Perchè mi ha lasciato lì, così, con quello?
- Da come lo stavi guardando mi pareva evidente che volevi approfondire la conoscenza.
- Lo guardavo come una persona che non conosco, preoccupata per quello che stavi facendo. Se invece che insinuare che volessi fare chissà cosa mi lasciavi spiegare lo avresti saputo anche tu, invece che evincere cose inesistenti e offensive.
- Offensive?
- Sì, offensive. Dire che volevo baciarlo come se fossi una che va in giro a baciare tutte le persone delle quali non si ricorda non è un gran complimento Castle.
- Scusami.
- Le scuse non servono. Questo è l’esatto motivo per il quale non volevo diventare dipendente da te, perchè non volevo lasciarmi andare e affidarmi a qualcuno. È bastato che mi vedessi parlare con una persona, hai tirato le tue conclusioni e non mi hai nemmeno fatto spiegare e mi hai lasciato lì, da sola, ad umiliarmi nello spiegare a qualcuno che mi dispiaceva ma non sapevo chi fosse nè cosa fosse successo, mentre lui mi faceva discorsi sulla mia vita che io non conoscevo!
Kate si alzò ed andò verso la grande finestra del soggiorno. Guardava fuori le macchine passare sotto di loro, ipnotizzata dal movimento per rilassarsi e non pensare. Castle la raggiunse e rimase un passo indietro a lei.
- L’ultima volta che avevo visto Josh, tu mi avevi detto che non volevi vedermi per un po’ e sono diventati mesi. Mesi nei quali ho sempre pensato che tu stessi con lui. Eri in ospedale, dopo che ti avevano sparato al funerale di Montgomery. Mentre ti operavano Josh mi ha aggredito, dicendo che era colpa mia se tu rischiavi di morire, perchè ti avevo spinto io ad indagare sull’omicidio di tua madre. Ci ha diviso tuo padre, ma lui aveva ragione. Ed ha ragione a dire che ero geloso di lui, perchè voi stavate insieme ma lui non c’era mai quando tu avevi bisogno di lui ed io non lo sopportavo.
Kate a braccia conserte ascoltava, senza parlare, quel racconto un po' sconclusionato di Castle che non riusciva nemmeno a raccontare quanto era accaduto in modo lineare e coerente, segno di quanto quegli eventi lo avessero colpito e quanto a distanza di anni fosse ancora difficile per lui parlarne.
- Lui ti piaceva, me l’hai detto, anche dopo che vi eravate lasciati. Quando ti ho visto parlare con lui e poi…
- Quindi ogni volta che mi vedrai parlare con qualcuno del mio passato che non ti era simpatico reagirai così? - Kate gli parlava continuando a guardare fuori, vedeva sul vetro il riflesso di un Rick teso ed immobile dietro di lei. - Non è questo che voglio Castle. Non posso vivere così.
- Non è facile nemmeno per me tutto questo Kate.
- Se lo avessimo incontrato qualche mese fa ti saresti comportato così?
- No Kate! Ovvio che no! Ma tu probabilmente lo avresti solo salutato e te ne saresti andata e poi io sapevo cosa c’era tra noi. Ora non lo so e non sono sicuro di niente di quello che ti riguarda. Tu non sai cosa provi per me, lo hai detto tu, non ti devo chiedere di più. Potresti incontrare qualcuno, avere un colpo di fulmine, innamorarti, andare via e… - Kate si voltò
- E?
- E non mi rimarrebbe più nulla.
Castle pareva sconsolato nel dire quelle parole, mentre Kate dal momento stesso in cui si era voltata e aveva incontrato i suoi occhi aveva perso tutta la decisione che si era imposta di avere.
- Lo guardavo così Castle? Lo guardavo come sto guardando te?
Castle scosse la testa e si diede da solo dello stupido. Aveva smesso di ragionare dal momento stesso in cui li aveva visti parlare. Lei avrebbe potuto dirgli qualsiasi cosa, lui non avrebbe comunque sentito era totalmente preso da quella scena che da non sentire ragioni. Gli buttò le braccia al collo e si avvicinò a lui. Lo baciò intensamente, con passione, sentendosi quasi in dovere di rispondere così ai suoi dubbi, in modo istintivo, lasciandosi trasportare da quell'irrazionalità che aveva guidato ogni sua decisione che riguardava Castle. Rick la cinse con il suo abbraccio protettivo e quando le loro labbra si separarono cominciò a sussurrarle le sue scuse tra altri baci e altri ancora.
Imparare ad amarsi è sempre difficile. Lo è ancora di più quando chi deve farlo viaggia a due velocità diverse, quando uno è già innamorato e l’altra non lo sa nulla di lui. Anche tenersi per mano risulta difficile, perchè chi è davanti rischia di correre e lasciare che le dita di lei scivolino via dalla sua stretta. Castle temeva questo ogni giorno. Aveva paura di correre troppo, di lasciarla indietro, sola. E lo aveva fatto quando meno avrebbe voluto e quando meno avrebbe dovuto. Non lo aveva fatto nel loro nuovo rapporto, lo aveva fatto fisicamente. Era corso via e la aveva lasciata indietro, aveva lasciato che le sue paure fossero più grandi di quelle di lei. Doveva essere il suo appoggio e invece l’aveva lasciata sola e barcollante mentre lui se ne andava via e poi l’aveva anche accusata. Si sentiva come il peggior uomo sulla terra.
La trascinò letteralmente sul divano facendola sedere sulle sue gambe. Kate faceva scorrere le sue dita sul suo volto. Sulla guancia il segno rosato dello schiaffo che gli aveva dato prima era ancora visibile, lo percorreva segnandone in contorni e sorridendo. Per quel che si ricordava non aveva mai fatto così con un suo ragazzo in vita sua. Un suo ragazzo. Era quello che pensava fosse Rick per lei? Una cotta adolescenziale scattata tra due adulti? Erano gli ormoni della gravidanza che le provocavano queste sensazioni così diverse da quella che era abituata a provare di solito? Così senza pensarci era passata da accarezzare a baciare il segno della sua mano, avvicinandosi sempre di più alla bocca di lui, per poi prenderla di nuovo tra le sue labbra e lasciandosi andare di nuovo.
- Non mi lasciare più sola con persone di cui non ricordo nulla. - Fu tutto quello che gli disse ancora di quella giornata, ottenendo da lui ogni tipo di rassicurazione che non lo avrebbe fatto mai più. Lei non voleva più parlarne. Diceva a se stessa che un rapporto si costruiva anche attraverso situazioni di criticità come quelle, ma non ne aveva proprio bisogno. Quella mattina gli avevano detto che il loro bambino stava bene e non avevano nemmeno fatto in tempo ad essere sollevati per quella notizia che avevano subito discusso. Andava tutto bene, avevano appuntamento dopo tre settimane, potevano partire. Non avevano parlato di nulla, ma fu Rick che sembrò leggere i suoi pensieri e anticiparla.
- Partiamo tra due giorni, va bene? Domani devo andare a parlare con la mia casa editrice, poi possiamo partire.
La sua risposta fu baciarlo di nuovo e si preoccupò di essere diventata dipendente non solo da lui, ma anche dalle sue labbra.
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Capitolo 20 *** VENTI ***
Castle aveva appuntamento con il direttore della sua casa editrice, lo aveva chiamato varie volte ma Rick aveva sempre preso tempo. Aveva parlato più volte con i suoi avvocati per decidere cosa fosse meglio fare in quella situazione e tutti gli avevano detto, più volte, che per lui sarebbe stato meglio rimanere lì e non dover intraprendere azioni legali contro la casa editrice senza prove concrete, soprattutto quando la sua agente sembrava fare molto di più gli interessi della sua editor che i suoi. Con Paula però risolvere la questione era stato semplice: una ricca buonuscita ed il contratto era stato rescisso. Non era più un burattino nelle mani di quelle due donne. Avrebbe cercato un altro agente, non sarebbe stato difficile per lui trovare qualcuno che lo avrebbe rappresentato, la cosa più difficile era trovare la persona giusta, ma ci avrebbe pensato in seguito, tanto al momento non voleva avere nulla a che fare con pubblicità e serate. Kate aveva avuto modo di ascoltare qualche discussione di Richard al telefono con i suoi avvocati, non per voler spiare le sue conversazioni, solo perchè lui urlava talmente tanto che era impossibile non seguirlo. Aveva, però, sempre fatto finta di non saperne nulla, in effetti non si sentiva nella posizione di potergli dire niente per quello che riguardava la sua vita o le sue decisioni professionali. Le dispiaceva, però, che molte delle scelte che stava facendo, anche drastiche, riguardavano lei e la sua situazione. Aveva capito che durante il suo ricovero in ospedale dovevano essere accadute delle cose spiacevoli con la stampa ed aveva avuto una prova di quanto i giornalisti potevano essere fastidiosi quando erano usciti dall’ospedale ed in un altro paio di occasioni quando li avevano seguiti mentre erano usciti solo per fare una passeggiata. Avrebbe voluto solo dirgli di non prendere nessuna decisione per lei. Castle, invece, la sorprese, chiedendole di accompagnarlo. Le sembrò una richiesta strana, per quanto potesse non ricordarsi nulla del loro passato insieme, le sembrava difficile credere che potesse essere una persona che accompagnava il marito alle riunioni di lavoro, soprattutto se il suo lavoro era sempre così impegnativo come ricordava.
Rick le confermò che in effetti non era mai andata con lui alla Black Pawn, ma che non per questo non doveva farlo adesso. Faceva parte dei nuovi ricordi, le disse e che se una cosa non l’aveva mai fatta, non era un buon motivo per continuare a non farla. Andò con lui e fu a pieno in quella mattina, la Signora Castle e si sentì profondamente a disagio. Incontrò Gina e si scontrò con tutto il suo sarcasmo e la sua arroganza nel volerla mettere in imbarazzo con battute fuori luogo, alle quali rispose in modo ancora più acido Rick per lei. Non le piaceva che qualcuno parlasse al posto suo, me essere difesa da Castle la faceva sentire al sicuro e lei sapeva di non essere ancora pronta per sostenere una discussione davanti alla quale si presentava disarmata. Quando incontrò Charles Price, il direttore della casa editrice, Kate si sentì più a suo agio: il fatto di non averlo mai conosciuto prima ed i suoi modi decisamente più gentili resero tutto più semplice, l’uomo non più giovane e con una galanteria di altri tempi nel suo completo grigio che profumava di colonia le fece un baciamano dicendosi onorato di conoscere finalmente la musa di Castle, la vera Nikki Heat, mostrandosi veramente dispiaciuto per quanto le era accaduto.
Rick, che era deciso a imporre le sue decisioni, durante la conversazione con l’uomo si ammorbidì molto, era evidente l’intenzione del direttore di non perdere il suo scrittore di punta, soprattutto in quel momento di grande fama, anche se per motivi non voluti e i benefici dagli introiti delle future opere erano sicuramente maggiori di quelli di un risarcimento per interrompere il contratto. Mr Price gli venne incontro su tutto, sorprendendo lo stesso Castle, anche alla sua richiesta di cambiare editor e di non lavorare più con Gina, se voleva poteva già dal giorno dopo fare dei colloqui con il personale della casa editrice per scegliere personalmente con chi preferisse lavorare, ma Rick gli disse che avrebbe rimandato tutto a dopo l’estate, per ora voleva solo riposarsi e scrivere. Così erano entrati con l’idea di dover affrontare una battaglia, ne uscirono da vincitori senza aver nemmeno combattuto, anzi con la promessa di ritrovarsi a fine estate per firmare un nuovo contratto per altri tre volumi della saga di Nikki Heat.
Castle disse che dovevano festeggiare andando a mangiare in un posto speciale. Kate non aveva voglia di finire in uno di quei ristoranti formali da vip e rimase piacevolmente sorpresa quando Castle la portò in un posto che invece amava particolarmente, tra la 26° e Park Avenue, dove facevano dei cheeseburger da sballo e fu felice di constatare che la sua memoria almeno in questo non si sbagliava, erano sempre buonissimi e Rick come al solito era stato capace di sorprenderla con una scelta totalmente fuori dagli schemi.
Raggiunsero poi come da programma il distretto. Dovevano parlare con la Gates e comunicarle della gravidanza di Kate ora che il periodo critico era finito.
Il distretto era immerso nel solito via vai di gente di ogni tipo: poliziotti, disperati, criminali, avvocati.
Quando l’ascensore si aprì scoprirono che, per motivi diversi, quel luogo era mancato ad entrambi. Castle anche se non lo frequentava più assiduamente come un tempo trovava sempre il modo di essere presente con le sue indagini personali ed andare a trovare gli amici detective e Beckett.
Kate dal canto suo, era convinta che fino ad un paio di mesi prima era ancora una giovane detective. Mentre camminava ancora non con il suo solito passo spedito nel corridoio, tutti si fermavano a guardarla, salutandola stupiti e con lo stesso stato d’animo lei ricambiava il saluto. Non era abituata a sentirsi chiamare capitano e si accorgeva come molti di quelli non li conosceva e molti altri li ricordava decisamente diversi.
Arrivata davanti a quella che era la sua scrivania, ebbe molta nostalgia nel vederla vuota. Esposito e Ryan non c’erano, Castle quindi l’accompagnò in quello che era il suo ufficio, dove ora c’era la Gates. Poteva leggerlo anche nella targa fuori, la scritta con il suo nome. Ci passò sopra le dita, per rendersi conto che era vero.
Bussarono e la Gates li fece accomodare, accogliendoli con un sorriso che Castle difficilmente aveva visto nella donna. I loro rapporti erano migliorati decisamente.
Aveva molto apprezzato la sua telefonata per chiedergli cosa ne pensasse se fosse stata lei a sostituire Beckett al distretto, non voleva che andasse in mani sconosciute. Lui ne fu entusiasta, quella non era una proceduta standard e pochi avrebbero rinunciato al proprio incarico per tornare a fare il capitano, anche se temporaneamente, come le aveva sempre ripetuto lei. Rick chiamò personalmente anche il suo amico sindaco, per fare in modo che non ci fossero intoppi in quella procedura e lui gli assicurò che non ci sarebbero stati, era il minimo che poteva fare per lui e Beckett.
La risoluzione del caso Loksat ebbe molta eco sulla stampa nazionale per molti giorni dopo il loro ferimento. Tutti parlavano di come il capitano di polizia di New York era riuscita a sconfiggere una pericolosa organizzazione che minava la sicurezza nazionale, riuscendo dove squadre ben più addestrate e attrezzate avevano fallito. La conclusione quasi tragica della cosa, aveva attirato quindi non solo la stampa di cronaca e politica, ma anche quella molto più frivola che aveva di che riempire le pagine con la storia della giovane capitano di polizia moglie dello scrittore milionario che rischiano di morire insieme nella loro casa come i protagonisti di una tragedia romantica. Pescarono nel torbido, molto. Qualcuno che parla troppo c’è sempre e molti al distretto avrebbero voluto scoprire chi fosse la gola profonda che aveva spifferato qualche notizia di troppo ai media. Parlarono della loro separazione e fecero anche insinuazioni pesanti che ferirono Rick nel profondo ipotizzando tradimenti, altre donne e rivangando il suo passato di playboy incallito che era tornato in pista. Ipotizzarono che la loro unione era stata solo una trovata pubblicitaria per lui per vendere di più e per lei per fare carriera, cosa tra l’altro avvenuta con successo per entrambi.
Castle in quei giorni fu felice che Beckett non aveva potuto leggere o sentire nulla di quello che veniva detto su di loro, lei non avrebbe mai accettato una tale intrusione nella loro vita privata ed anche lui, sempre abituato a stare al centro dell’attenzione aveva avuto difficoltà nel farlo in quei termini e in quel momento.
Tutto questo, non dava fastidio solo a Castle e alla sua famiglia, la stessa Alexis si era più volta lamentata per le incursioni nella vita di suo padre e Kate chiedendogli se non potesse legalmente fare qualcosa, ma anche ai suoi amici, soprattutto ad Esposito che più di qualche volta aveva minacciato qualche giornalista che si era presentato fuori dal distretto per fargli domande sul suo capitano: l’ispanico era stato chiaro con tutti, dovevano girare a largo dal distretto e non fare domande a nessuno, altrimenti sarebbe stato peggio per loro.
Di contro c’era chi era molto soddisfatto. In primo luogo Gina, che era stata estasiata da tutta questa pubblicità inaspettata che aveva fatto impennare le vendite dei vecchi volumi della serie di Nikki Heat che tutti ora volevano leggere per scoprire l’alter ego del capitano Beckett. Anche il sindaco Weldon era entusiasta di questa ottima pubblicità per la città ed aveva rilasciato più di qualche intervista dichiarando come sia Castle che sua moglie fossero, oltre che degli ottimi professionisti, anche suoi personali amici, ricordando quanto lui avesse insistito per fare in modo che Castle collaborasse con l’allora detective Beckett contribuendo in modo decisivo alla loro unione professionale e privata.
Kate si guardò intorno nell’ufficio e si sorprese a trovare sul mobile a lato della scrivania del capitano molti suoi oggetti estremamente familiari.
- Li ho messi lì solo per comodità - le disse la Gates notando lo sguardo di Kate, non lavorava più sul campo ma era sempre un’ottima detective, oltre che una grande osservatrice. Iron Gates, come la chiamavano tutti, aveva sempre capito ed appoggiato Beckett molto più di quanto lei pensasse, nonostante si fossero scontrate più volte, ma la Gates aveva visto nella giovane detective quel piglio e quella determinazione giuste per fare carriera ed imporsi in quel mondo maschile e maschilista che non risparmiava nulla alle donne e lei lo sapeva bene.
- Non si preoccupi Capitano… io stavo solo cercando di capire qualcosa… - Beckett cercava di studiare minuziosamente ogni luogo per vedere se riusciva a trovare qualcosa che facesse scattare la sua memoria. Ma per lo più erano sensazioni o flash che non riusciva a collocare nel tempo. Aveva in quel preciso istante la sensazione di essere già stata lì, davanti a quella donna che la scrutava da sotto gli occhiali, in una situazione estremamente spiacevole.
- A cosa devo il piacere della vostra visita? - Chiese la Gates alla coppia
- Capitano - esordì Kate - purtroppo non ci sono stati molti miglioramenti con la mia amnesia e non so, quindi, se questa situazione sarà temporanea o quanto durerà. Però… - si voltò a guardare Castle cercando un sostegno, non era ancora molto facile per lei parlarne
- Però Capitano - Continuò Rick - c’è anche un’altra questione che sicuramente ritarderà il ritorno di Kate al distretto.
La Gates li osservava attentamente, anche un po’ preoccupata dalle loro parole e dalle loro espressioni serie. Aveva già vissuto una situazione simile con Kate appena arrivata al 12°, le avevano appena sparato, era stata mesi fuori dal distretto e aveva dovuto fare un percorso lungo di riabilitazione, fisica e non solo.
- Sono incinta. - Disse quindi Kate. Il volto della Gates si distese, non era una brutta notizia quindi, ne fu felice.
- In questo caso, Capitano Beckett, ha tutto il diritto di prendersi tutto il tempo che ritiene necessario. - Girò intorno alla scrivania ed andò ad abbracciarla calorosamente, stringendo poi vigorosamente la mano a Castle, congratulandosi anche con lui. Le chiesero di mantenere il massimo riserbo sulla cosa, perché non l’avevano ancora comunicato a nessuno, nemmeno ai “ragazzi”, ma la Gates era di certo la persona migliore per mantenere la loro riservatezza e gli disse di non preoccuparsi, lei non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Apprezzò la loro correttezza nell’avvisarla prima degli altri, visto che si era offerta di sostituire Kate quando tutti speravano e pregavano che la sua assenza fosse solo di qualche mese, ed invece sarebbe stata decisamente più lunga: anche il capitano Gates doveva decidere cosa fare, se far prevalere la sua volontà di carriera o occuparsi di quel distretto che negli anni era stato l’unico luogo di lavoro dove aveva avuto modo di sperimentare veramente un senso di familiarità e collaborazione, anche grazie a quello strampalato scrittore che all’inizio proprio non sopportava e che usciva fuori da ogni suo schema mentale.
Uscirono dall’ufficio delle Gates proprio mentre Javier e Kevin stavano tornando alle loro scrivanie.
- Ehy Bro guarda! Mamma e papà sono venuti a farci visita!- Esposito si era rivolto a Ryan che era talmente assorto nei suoi pensieri che non si era accorto della presenza di Kate e Rick. Beckett sentendosi chiamare così guardò Castle preoccupata, chi è che poteva aver detto della sua gravidanza ad Esposito ma soprattutto perché lui lo stava urlando così a tutti? Stava per fare una sfuriata, lì, in mezzo al distretto. Non era in servizio, non lo sarebbe stata per mesi, ma era il capitano, no? Ne aveva il diritto. Rick capì che per lei quella frase innocua aveva tutto un altro significato e si precipitò a spiegarle il senso prima che scoppiasse come una bomba ad orologeria, suscitando sorrisi e scuse da parte di Javier che non aveva considerato che non sapesse che li chiamavano così. Si rasserenò, almeno in parte.
- Tutto bene Ryan? - Chiese Castle vedendo l’irlandese molto provato
- Sì, tutto bene, solo un caso molto impegnativo, finito purtroppo malissimo… - Disse indicando con la testa un uomo che veniva condotto nella sala interrogatori senza apporre la minima resistenza, rassegnato al suo destino e non solo.
- È lui il colpevole? A guardarlo così sembra più la vittima. - Osservò Rick
- Robert Bryan. È più vittima che colpevole in effetti, Castle - disse Esposito - fossi stato al posto suo avrei fatto la stessa cosa, purtroppo però non abbiamo potuto fare altrimenti.
Castle e Beckett si erano seduti sopra la scrivania, mentre Javier cancellava la lavagna e toglieva le foto, non avevano fatto in tempo a leggere molto, se non a vedere la foto di una donna, Melissa, al centro, il posto della vittima.
- Ha ucciso lei? - Chiese ancora Rick curioso. Era più forte di lui, quell’uomo lo aveva colpito e voleva sapere la sua storia
- No, lei era la moglie. È stata uccisa per sbaglio da un gruppo di studenti figli di papà che annoiandosi si sono improvvisati rapinatori ed è partito un colpo. - Esposito mentre raccontava la storia si teneva i pugni stretti, si capiva che avrebbe voluto darla anche lui una lezione a chi gioca così con la vita della gente.
- Non hanno fatto nemmeno qualche ora di galera - continuò mestamente Ryan - grazie ai bravi avvocati di famiglia, sono subito usciti su cauzione, facendosi beffe anche del dolore di quell’uomo che durante l’autopsia ha scoperto che la moglie era incinta del loro secondo figlio.
Castle deglutì a fatica ed istintivamente portò un braccio intorno alla vita di Beckett avvicinandola se.
- È andato ad aspettare Nicholas Brand, il ragazzo che aveva sparato a sua moglie, fuori da casa sua e lo ha ucciso. Poi ci ha chiamato lui stesso.
- È terribile… Assurdo… - disse Rick ancora sconvolto per quella storia.
- L’altro figlio dov’è? - Chiese Beckett
- Paul è con la sorella della moglie. Se ne occuperà lei. Ha solo quattro anni. - Ryan aveva raccolto tutto nel fascicolo e lo stava mettendo sulla scrivania prima di finire di fare rapporto. - Ora scusateci, ma dobbiamo andare ad interrogarlo.
- Posso… posso parlarci un minuto io, per favore? - Chiese Castle ai due
- Castle, non credo che tu possa, poi non capisco… - Non fece finire di parlare Ryan che già si stava dirigendo verso la sala interrogatori.
- Solo un minuto, non di più, promesso.
I tre lo seguirono andando nella sala attigua per vedere e sentire quello che stava facendo.
Kate osservava la scena attenta a braccia conserte, mentre i due detective aspettavano fremendo che uscisse da lì, se li avesse beccati la Gates sarebbero stati nei guai.
- Cosa ci fa il signor Castle lì dentro? - La voce del capitano li colse di sorpresa. I due si girarono immediatamente, pronti a subire una ramanzina, mentre Kate rimaneva concentrata a guardare ed ascoltare Rick parlare con quell’uomo disperato.
La Gates fu meno intransigente del previsto, anzi disse ai detective di rilassarsi e andarsi a prendere un caffè, tanto avrebbero dovuto aspettare l’avvocato dell’uomo.
- Non c’è nessun avvocato, Capitano. - Disse Esposito.
- Se il signor Castle è lì dentro, ci sarà tra poco. - Concluse la Gates prima di tornare nel suo ufficio
Kate sorrise. Rick uscì ed andò direttamente nella sala dietro la stanza interrogatori, sapeva che sarebbero stati tutti lì ad aspettarlo. Guardò Kate che capì subito le sue intenzioni e propose ai ragazzi di spostarsi nella sala relax.
Castle con nonchalance si mise a preparare i caffè, mentre Kate faceva apprezzamenti sul fatto che al distretto ora avevano anche una macchina del caffè decente. Gli raccontarono perché quella macchina era lì e chi era stato il benefattore. Punzecchiarono un po’ Castle sul fatto che anche quella era stata una tattica per conquistarla, facendola passare per un regalo per tutti. Risero di questo anche con Rick che in quell’ambiente familiare sembrò allentare un po’ la tensione per la situazione precedente. Kate era stupita nel vedere come Castle fosse assolutamente a suo agio nel distretto, un luogo che aveva sempre considerato come suo e nel quale non riusciva a collocarlo.
Passò le due tazze ai ragazzi ed una la tenne per se. Lo guardarono stupito.
- Non dimentichi nessuno Castle? - Dissero indicando Beckett senza la sua razione di caffeina
- No ragazzi, va bene così. - rispose Kate anticipando Rick
- Problemi Beckett? Ancora non puoi bere caffè? Come hai resistito tutto questo tempo? - Chiese Javier che sapeva bene come Kate non riuscisse a stare senza caffè a lungo.
- Per un po’ di mesi dovrò ancora evitare la caffeina, insieme agli alcolici e a tante altre cose…
Javier fece cenno che andava bene con la testa senza in realtà comprendere veramente il perchè e guardò Ryan che stava bevendo e non disse nulla nemmeno lui. Rick e Kate si guardarono scuotendo la testa.
- Certo che per essere detective siete abbastanza lenti a decifrare gli indizi eh! Come fate senza di me in questo periodo? - Chiese Kate scherzando ma fino ad un certo punto.
- C’è qualcos’altro Beckett? - Le chiese serio Javier bevendo un altro sorso di caffè
- Tra qualche mese ci sarà un altro, o altra, Castle a rendere questo mondo un posto ancora più bello. - Disse infine Rick gongolando e pavoneggiandosi non poco.
Esposito rischiò seriamente di strozzarsi, Kevin appoggiò la tazza sul tavolo poco prima di farla cadere. Rick e Kate osservavano calmi e divertiti la scena dei due amici colti di sorpresa.
- Io non credevo che voi due adesso… - Balbettava Esposito non trovando le parole per non sembrare più impertinente di quanto non era già stato, mentre Ryan era rimasto in silenzio sorridendo agli amici
- E’ successo prima - Kate interruppe lo sproloquio dell’ispanico facendo calare il silenzio sulla sala. Immediatamente i due collegarono la reazione di Castle a quanto avevano raccontato in precedenza.
- Fratello, mi dispiace, non sapevamo, altrimenti non ti avremmo detto nulla…
- Tranquillo Javi, va bene così. Ho solo capito oggi, ancora di più, quanto sono stato fortunato e quanto avrei rischiato di perdere. Rick guardò Kate spostò lo sguardo in basso verso le sue mani chiedendosi se sarebbe mai riuscita non imbarazzarsi quando le parlava così.
I ragazzi si congratularono con Castle e Beckett che ancora faceva fatica a capire come comportarsi davanti a tante scene di affetto: alcune volte le sembrava che fossero più felici gli altri per lei di quanto non lo fesse lei stessa, che non riusciva mai ad esternare quello che provava, perchè in realtà non lo sapeva di preciso nemmeno lei. Amava quel bambino, quella parte di se che cresceva dentro di lei, ormai diventata reale ed anche visibile. Non riusciva però a gioire a pieno della cosa, non era in grado ancora a considerarla pienamente sua e temeva che non ci sarebbe mai riuscita. Si sentiva diversa da quello che erano di solito le future madri e si sforzava di avere dei comportamenti che non riusciva ad avere con naturalezza. Avrebbe voluto vivere in modo diverso la sua gravidanza, sarebbe dovuto essere un momento di gioia, invece era solo una gran confusione sotto tutti i punti di vista. Aveva provato anche a parlarne con Rick, ma ogni volta che vedeva la sua gioia totale per l’arrivo di questo bambino si bloccava per non dargli altre preoccupazioni. Gli diceva sempre che andava tutto bene, ma lei temeva che lui in realtà avesse capito che non era proprio così, ma faceva finta di nulla.
Castle una volta le aveva detto che “la prossima volta sarà tutto diverso”, con quel suo solito tono di quando voleva dire una cosa seria alleggerendone il significato per non metterle pressione e Kate si era ritrovata a pensare che al contrario di quanto potesse lei credere, non era più una ragazzina di trent’anni che si diceva che aveva tutta la vita davanti, era una donna: spesso si doveva guardare allo specchio per ricordarselo e vedere i segni sul suo viso e sul suo corpo del tempo e non solo, sentiva il suo orologio biologico scorrere e si era trovata a pensare più volte se ci sarebbe stata una prossima volta: non se lo nascondeva più, era stato anche questo uno dei motivi che l’avevano spinta con tanta sicurezza a voler tenere quel bambino nonostante tutto.
Si chiedeva quale vita in futuro avrebbe avuto se non avesse mai riacquistato la memoria. Sarebbe rimasta comunque con Caste? E se avesse incontrato qualcuno di cui si sarebbe potuta innamorare, cosa avrebbe dovuto fare? Erano dubbi questi che ogni tanto la prendevano quando era presa dallo sconforto di non riuscire più a riprendere in mano la sua vita. Nessuna delle sue vite.
- Credo che quello che hai fatto oggi per Robert Bryan sia una delle cose che mi avevano fatto innamorare di te. - La rivelazione di Kate mentre tornavano a casa sorprese anche lei stessa per quel pensiero ad alta voce, ma non sapeva come altro esprimergli quanto avesse apprezzato quello che aveva fatto per quell’uomo: si era fatto carico di tutte le sue spese legali, mandando lì uno dei suoi avvocati per fare in modo che ottenesse il minimo della pena. Castle rimase senza parole e non sapeva come rispondere ad un’affermazione per lui così importante in quel momento. Le avrebbe voluto chiedere se questo voleva dire che poteva farlo ancora, innamorarsi di lui intendeva, ma si trattenne.
- Ho pensato a quanto stesse soffrendo, lo posso capire sai. Ho temuto la stessa cosa anche io per giorni. Non è stato semplice. - Kate annuì senza aggiungere altro. Si parlavano, faticavano a rispondersi, ma si capivano. - Vorrei aprire un fondo per Paul Bryan, il figlio di Robert. Quel bambino ha già perso tutto, vorrei che almeno potesse avere quelle cose inutili che gli potrebbero regalare qualche attimo di felicità, garantirgli un minimo di futuro con una buona istruzione. Cosa ne pensi?
- Perchè mi stai chiedendo cosa ne penso?
- Sei mia moglie, è una cosa importante, vorrei che mi dicessi se è un’idea che ti piace o se ti da fastidio, ora con il nostro bambino in arrivo, che vado a pensare al figlio di qualcun altro.
- Rick, a nostro figlio non mancherà mai nulla, ne sono certa. So cosa vuol dire, invece, crescere senza una madre e quel bambino è così piccolo e non avrà nemmeno suo padre per molto tempo. Qualsiasi cosa tu voglia fare per lui, io sarò solo orgogliosa di te, veramente.
Lo baciò dolcemente cercando, anzi imponendosi, di scacciare dalla sua mente ogni pensiero negativo fatto in precedenza.
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Capitolo 21 *** VENTUNO ***
Gli Hamptons erano per Kate uno di quei posti glamour da copertine per riviste frivole, dove si incontravano per feste private e cene patinate le celebrities di New York e non solo.
Non sapeva cosa aspettarsi da quel posto ma comunque non vedeva l'ora di cambiare aria per un po'. Erano passati a salutare suo padre prima di partire, non lo vedeva da qualche giorno e sapeva quanto ci tenesse ad accertarsi che lei stesse bene. Jim fu entusiasta dell'idea che Rick e Kate trascorressero un po' tempo soli nella loro casa al mare: lì aveva accompagnato sua figlia tra le braccia di quell'uomo che ogni giorno la trattava come se fosse il gioiello più prezioso della terra e sapeva che non poteva desiderare di meglio per lei, e che, nonostante tutto quello che era accaduto, con Rick Kate era al sicuro dal suo nemico peggiore: se stessa.
Quando uscirono di casa Kate si aspettava di trovare come al solito l'autista ad attenderli ed invece Rick le comunicò che si sarebbe dovuta accontentare della sua guida. Era la prima volta che avrebbe guidato di nuovo per un lungo tragitto, però si sentiva bene come da tanto non gli capitava ed era convinto che fosse proprio perché stavano per partire: aveva in mente molte cose per quei giorni da fare con lei e questo lo rendeva euforico.
Controllò più volte che tutto fosse apposto, che Kate stesse comoda, che avesse acqua a sufficienza se avesse avuto sete, che la temperatura dell'aria condizionata fosse confortevole e che la musica fosse quella giusta. Sistemò specchietto e sedile, mise gli occhiali da sole, si voltò verso Kate, le diede un bacio e poi partì.
Guidava sorridendo, era un giornata infrasettimanale e non c'era molto traffico, ogni tanto si voltava a guardare Kate che osservava fuori dal finestrino un mondo che in otto anni doveva trovare almeno un po' cambiato, poi cullata dall'andatura costante di Castle si addormentò. Quando Rick se ne accorse accostò per sdraiarle il sedile e farla stare più comoda. Non riuscì ad evitare di osservarla per un po' mentre riposava tranquilla ed infine la coprì con il foulard che teneva nella borsa per evitare che si infreddolisse.
Kate si svegliò quando erano quasi arrivati. Percorrevano una strada panoramica dove le ville dei "milionari capricciosi" come si era divertita a chiamarli si susseguivano, nascoste tra gli alberi ed i viali per rispettare la privacy: Rick passando davanti ad ogni proprietà le diceva chi ci abitava e lei commentava spesso con irriverenza la maestosità di certe abitazioni. Abbassò il finestrino per sentire i suoni della natura: il canto delle cicale, il frusciare del vento, gli uccellini che saltellavano sulle recinzioni ai bordi delle strade. Era tutto diverso rispetto a New York e già solo essere lì, in quella strada costeggiata dagli alberi e dalla natura la faceva sentire rigenerata.
Quando lasciarono la strada principale per entrare in un vialetto ben protetto da alti platani Kate rimase a bocca aperta nel vedere la villa che si rivelava ai suoi occhi. Rick si voltò varie volte ad osservare il suo volto stupito ed un sorriso spontaneo nacque sul suo viso. A Kate quel posto era sempre piaciuto, dalla prima movimentata volta in cui erano stati lì. Era lì che si sarebbero dovuti sposare e lì che poi si sposarono ed era sempre lì che si rifugiavano appena potevano, anche fuori stagione, quando lei aveva un paio di giorni liberi e così potevano stare da soli godendo solo della reciproca presenza, senza nessuno che li disturbasse. Da quando si erano ritrovati dopo quell’assurda separazione, avevano deciso che quei pochi momenti che ritagliavano solo per loro dovevano essere tali, senza nessuna distrazione, senza nessuno che li interrompesse nei momenti meno appropriati. Lo avevano fatto anche poche settimane prima della sparatoria al loft un colpo di testa alla Castle, era passato a prenderla al distretto il sabato pomeriggio e l’aveva portata lì senza dirle nulla per tornare a New York il lunedì mattina presto riportandola direttamente a lavoro. Non era stato un week end propriamente riposante, ma sicuramente molto divertente e gratificante per entrambi.
- Castle mi avevi detto che avevi una casa, non una villa enorme!
- Tecnicamente Beckett una villa enorme è una casa. - Le rispose mentre parcheggiava l’auto, poi corse per aprirle lo sportello e farla scendere. Kate si guardò ancora intorno cercando di capire quanto effettivamente fosse grande quella villa.
- E’ molto grande - le disse Castle rispondendole prima ancora che glielo chiedesse. - Ma la cosa più bella è fuori, dall’altra parte.
Rick aveva dato istruzioni al personale di preparare l’intera villa per il loro arrivo: la dispensa era stata rifornita, le camere sistemate e la piscina riscaldata perché anche se era piena estate era sempre difficile avere l’acqua alla temperatura ottimale. Mike, uno degli inservienti, lo attendeva all’interno e lo aggiornò di tutto quello che avevano fatto, come da sue disposizioni e mentre Castle conduceva Beckett sul retro, il ragazzo portò in casa i loro bagagli e poi li lasciò soli. Se avevano bisogno di qualcosa, avrebbero chiamato loro.
La prese per mano, attraversarono la grande sala ed uscirono dalla veranda. Il verde del prato si perdeva fino ad arrivare all’azzurro dell’oceano tagliato dal piccolo sentiero che conduceva alla spiaggia. Era, come quasi sempre negli Hamptons, una giornata ventilata. Kate non amava molto il vento, ma lì era diverso. Alzò la testa e chiuse gli occhi, lasciando che quelle morbide folate le scompigliassero i capelli lasciati sciolti. Spesso non si ricordava di avere i capelli così lunghi adesso, da quando era morta sua madre ed era entrata in accademia li aveva sempre tenuti corti per limitare la sua femminilità che temeva fosse un ostacolo in un mondo tendenzialmente maschile e maschilista, ma non si era mai resa conto di come lei sprigionasse qualcosa che andava ben al di là di un’acconciatura.
Si ritrovò inebriata della vecchia piacevole sensazione di farsi spettinare dal vento. Non era solo un refrigerio che allontanava il caldo afoso della città, quel vento la faceva sentire viva ed amava anche la percezione dei brividi sulla pelle che risvegliavano i sensi intorpiditi. Aveva bisogno di vita dopo essere quasi morta. Aveva bisogno di vita per nutrire la sua e quella del suo bambino. Castle lasciò che si godesse quella sensazione di ritrovata libertà, poi la invitò a sedersi con lui su uno dei divani bianchi che si trovavano sotto la veranda. Le prese una mano e la tenne tra le sue, accarezzandola. Gli piacevano le mani di Kate, le sue dita sottili, gli piaceva il contrasto con le sue molto più grandi che facevano sembrare quelle di lei ancora più piccole. Trovava il tenersi per mano qualcosa di molto intimo a cui lui dava un grande significato, voleva dire che l’avrebbe protetta, che non l’avrebbe lasciata, che sarebbero rimasti uniti. Quante volte negli anni si erano comunicati tutto solo tenendosi per mano e non c’era bisogno che nessuno dicesse niente, perchè loro si capivano solo sfiorandosi le dita, accarezzando il dorso, era una cosa loro, uno dei loro modi di connettersi nel quale nessuno poteva interferire in nessun modo e gli mancava quel gesto così naturale di intrecciare le loro mani insieme e stringerle. Era un gesto istintivo che avevano fatto dalla prima volta che avevano lasciato libero il loro amore.
- Cosa ti va di fare Kate?
- Non lo so… è tutto stupendo qui, così… “wow”
- “Wow” è un complimento bellissimo! Dopo ti faccio fare un giro della casa… di là si va al mare - disse indicandole il sentiero - c’è un po’ da camminare, a me non piacciono le case troppo vicine alla spiaggia sai, gli tsunami quelle cose lì… Però se vuoi abbiamo la golf car per spostarci.
- Credo di riuscire ad arrivare a piedi alla spiaggia Castle!
- Ok, niente golf car, come non detto. A sinistra c’è la piscina è riscaldata se vuoi fare il bagno. Se vuoi leggere o rilassarti, prendere il sole, quello che vuoi non ti disturberà nessuno, qui, in piscina o nel giardino c’è tutto quello che vuoi, tutto per te.
- Sei un perfetto padrone di casa Richard Castle! È qui che porti tutte le tue conquiste?
- Non ho più bisogno di conquistare nessuno da anni Kate e non ho intenzione di farlo in futuro. L’unica persona che voglio riconquistare sei tu. La prima volta che ti ho portato qui avevi le stesse paure di adesso, lo sai?
- Quali paure? Chi ti dice che ho delle paure? - Rispose Beckett un po’ infastidita di essere stata punta sul vivo.
- So so da come lo hai detto. Ti dava fastidio che avevo portato qui le mie donne.
Si morse il labbro per essere stata scoperta. Perchè le doveva dare fastidio il suo passato di tanti anni prima?
- Quel giorno ti ho detto una cosa, che vale ancora oggi e varrà per sempre…
- Nessuna è te - Kate si stupì di averlo detto. Nella sua mente quella frase riecheggiava insieme a quella vista sull’oceano. Nulla di più, ma sapeva che l’aveva detta lui, anche se non ricordava quando. Rick sorrise ed i suoi occhi azzurri brillavano come zaffiri purissimi, non commentò con le parole l’essersi ricordata la sua frase, ma quello sguardo esprimeva tutta la sua gioia.
- Sì Kate. Nessuna è te. Nessuna sarà mai te.
Kate lo guardava sforzandosi di portare a galla qualche altro frammento della sua vita, ma quei ricordi apparivano come flash improvvisi senza lasciare altra traccia di se da seguire, nessun filo per raggiungere il bandolo della matassa. La cosa che l’aveva scossa di più era non riuscire a collegare a quel ricordo nessuna emozione. Come se avesse visto qualcosa che non la riguardasse, era un ricordo sterile, senza sentimenti eppure era sicura che quando lui le aveva detto quella frase, il suo cuore doveva essere stato un groviglio di emozioni diverse, come lo era in quel momento dove la paura, la rabbia e qualcosa al quale non sapeva, o non voleva ancora, dare un nome si mescolavano in lei.
Rick l’accompagnò a vedere l’interno della casa. Gli spazi ampi sembravano, con le grandi vetrate ed il mobilio chiaro, ancora più grandi. Al piano superiore c’era un numero impressionate di camere “sette, anzi no otto” le disse Castle correggendosi e Kate trovò buffo che non sapesse nemmeno di quante stanze fosse composta la sua casa. Le disse poi che la casa era talmente grande che, se lei avesse voluto, avrebbe potuto passare giorni interi senza incontrarlo ma Kate ne dubitava, perché era certa che lui si sarebbe fatto trovare da lei ovunque.
La condusse nella loro stanza e non poté non notare la grande ancora, il caminetto per le fughe romantiche fuori stagione, i richiami alla vita marina delle conchiglie e coralli e la porta aperta che dava sull’enorme bagno con una grande vasca idromassaggio al centro. Era tutto molto rilassante, avrebbe detto che sarebbe stato anche tutto perfetto in un’altra circostanza. Pensava a come avrebbe dovuto vivere quei giorni lì con Castle. Ne aveva parlato anche con Burke e lui le aveva semplicemente detto di viverli come avrebbe voluto fare, senza pensare a cosa era stato o a cosa sarebbe stato in seguito. Di concentrarsi sul presente e sulle proprie emozioni. Burke le aveva anche consigliato di smettere di farsi domande su cosa lei e Castle fossero o cosa sarebbero diventati, e Kate aveva deciso di provare a farlo, di tentare di vivere il suo presente e seguire la strada dove l’avrebbero portata le sue emozioni e i suoi sentimenti. Di non vedere Rick come il marito ed il padre del bambino che portava in grembo del quale non ricordava nulla, ma come l’uomo che aveva imparato a conoscere in quelle settimane, la persone di cui le piaceva la compagnia, con la quale si divertiva a ridere, che la faceva stare bene, quello a cui piaceva rimanere abbracciata quando voleva sentirsi protetta e del quale aveva imparato ad amare il sapore delle labbra ed il profumo della pelle. Sapeva che non sarebbe stato facile, perchè alla confusione che regnava nella sua mente si univano i sentimenti fin troppo palesi di Castle che non facevano altro che ricordarle tutto il di più che c’era stato tra loro, non era facile vivere con un uomo che non perdeva occasione per dichiararle il suo amore e quanto lei fosse importante per lui, si sentiva rivestita di un carico di responsabilità nei confronti dei suoi sentimenti che a volte le sembrava estremamente difficile da sopportare ed aveva paura di ferirlo, non se lo sarebbe meritato dopo tutto quello che faceva per lei. Sapeva, però, che Rick avrebbe camminato al suo ritmo, lo stava facendo dall’inizio, senza mai forzarla e lo avrebbe fatto ancora, a costo di buttarsi il sale sulle ferite del cuore.
Kate girò su se stessa per ammirare ancora meglio quella stanza e vide in un angolo i suoi bagagli.
- Anche qui lasci a me la nostra camera?
Faticò a dire quel nostra ma si sforzò di farlo. Non era una cosa le veniva naturale, ma ci provava, lo faceva per lui, erano quelle piccole cose che aveva capito lo rendevano felice.
- Per lo stesso motivo, Kate. Troppi ricordi. Anche recenti.
L’umore di Rick cambiò improvvisamente e lei se ne accorse. Le disse che sarebbe andato a sistemare la tavola per il pranzo, così lei avrebbe avuto modo di prepararsi in tutta tranquillità. Non finì nemmeno di mostrarle il resto della villa, le diede un bacio sulla guancia ed uscì.
Kate capì che lui doveva aver pensato a qualcosa in particolare, che forse gli era venuto in mente solo in quel momento, perchè il suo umore era stato ottimo fino a poco prima. Indossò un paio di shorts ed una comoda tshirt e scese al piano inferiore.
Il tavolo rotondo in sala da pranzo con la vista sul retro della villa e l’oceano era già apparecchiato e varie pietanze erano appoggiate su un carrello a lato. Rick non c’era ma intravide il suo ciuffo fuori dalla veranda. Non sapeva se raggiungerlo o aspettarlo dentro, se avesse preferito averla vicino oppure essere lasciato solo con i suoi pensieri e i suoi ricordi. Non fece in tempo a decidere cosa fosse meglio, che Rick rientrò, sorpreso nel vederla lì in piedi vicino al tavolo.
- Ehy, sei qui da molto?
- No, sono appena scesa, ti stavo cercando…
- Ero fuori scusami
- Nessun problema Rick.
Era una conversazione nella quali erano entrambi in imbarazzo. Lui per essere stato colto da lei in un momento di difficoltà e lei per essere stata scoperta mentre lo osservava. Entrambi avrebbero voluto dirsi altro e spiegarsi, ma non lo fece nessuno dei due, così si accomodarono silenziosamente a tavola, mangiando quanto era stato preparato per loro.
- Carol ci ha preparato manicaretti per un paio di giorni - disse Rick interrompendo quel silenzio fatto solo di posate che tintinnavano sui piatti - Ha fatto tutto quello che sa che ti piace di più.
- È tutto buonissimo infatti. - Gli sorrise prendendo la sua mano sul tavolo. Voleva in qualche modo fargli capire che gli era vicino. Finirono di mangiare senza dirsi nient’altro. Quando Castle stava per rimettere a posto la tavola Kate lo aiutò e per la prima volta si trovarono a fare le normali cose di casa come una coppia qualsiasi. Le loro mani si scontrarono sullo stesso piatto e ritraendole entrambi lo fecero cadere rovinosamente a terra andando in mille pezzi.
- Scusami Castle…
- No, Kate, scusami tu e non per il piatto.
Rick cercò di finire rapidamente di sistemare, mettendo i piatti nella lavastoviglie ed il cibo avanzato in frigo, mentre Kate in piedi davanti alla cucina lo osservava muoversi a testa bassa da una stanza all’altra.
- Fermati Castle - gli disse prendendolo per un braccio ed obbligandolo ad interrompere il suo andirivieni. Lui alzò gli occhi incrociando il suo sguardo. - Cosa è successo?
- Nulla Kate, va tutto bene.
- Non fingere con me, non sei capace.
- Scusami.
- Non voglio le tue scuse Castle, voglio sapere cosa è successo, perchè qualsiasi cosa che ti ha fatto cambiare umore così all’improvviso so che riguarda anche me e qualcosa che è successo qui. Qui per favore dimmelo.
Le chiese di aspettarlo fuori, si sarebbe cambiato anche lui e l’avrebbe raggiunta. In un angolo riparato del giardino c’era una grande cabana ricoperta di morbidi cuscini. Kate non resistette alla tentazione di sdraiarsi lì all’ombra, cullata dal rumore delle onde e dal vento che gonfiava le tende bianche appena legate ai lati. Si addormentò senza nemmeno accorgersene e quando Rick arrivò la trovò dormire tranquillamente. Si sdraiò al suo fianco osservandola amorevolmente, accarezzandole delicatamente i capelli. Sarebbe rimasto così anche tutto il pomeriggio e tutta la notte. Così era tutto come sempre, come quando Kate dormiva e lui la guardava e fantasticava su di loro pensando al futuro. Kate all’improvviso si voltò e Castle, pensando che si stesse svegliando, provò ad alzarsi per mettere più distanza tra loro, ma fu bloccato dall’abbraccio di lei che, continuando a dormire, avvicinò la testa al suo petto appoggiandosi su di lui. Continuò a dormire così come aveva sempre fatto, vicino a lui, tra quelle braccia che aveva sempre considerato come la sua vera casa, ovunque si trovassero.
Rick non riuscì a fare finta di nulla e la strinse a se, inspirando il suo profumo, rigenerandosi. Fece scivolare la mano lungo il suo fianco e poi la spostò più avanti fino a raggiungerle il ventre appena accennato e lo accarezzò prima timidamente, poi indugiando più a lungo in quel gesto che adesso sentiva essere così naturale che non capiva come poteva aver fatto a privarsene fino a quel momento. Cominciò piano piano a sussurrare al loro bambino, a dirgli quanto era amato, nonostante tutto quello che stava accadendo, gli raccontava di quando con sua madre avevano parlato di lui pensando come sarebbe stato avere un piccolo Castle per casa, di quante volte lui aveva fantasticato nell’immaginarlo così piccolo e perfetto, metà Castle e metà Beckett, con la sua fantasia e la razionalità di lei. Mentre lo accarezzava gli raccontava di quanto lo avesse desiderato da sempre perchè non ci sarebbe stato nulla di più bello che avere un figlio da Kate e lo pensava ancora adesso e c’era una cosa della quale non avrebbe mai dovuto dubitare il loro bambino: anche se era arrivato all’improvviso in un momento in cui erano del tutto impreparati, lui era il bambino nato dall’amore più assoluto. Castle disse a suo figlio che gli era grato per aver anticipato i tempi per arrivare tra loro, perchè ora lui lo doveva aiutare, doveva essere il suo alleato per far ricordare alla sua mamma tutto quello che avevano fatto per arrivare ad avere lui.
Rick era talmente preso dalla sua prima conversazione padre/figlio che non si era accorto che Kate si era svegliata e lo stava ascoltando fino a quando, convinto che come primo discorso fosse sufficiente perchè non voleva dirgli troppe cose o annoiarlo, si rilassò addormentandosi. Kate allora aprì gli occhi e osservò il volto dell’uomo che la stava stringendo dolcemente a se molto più sereno di quando lo aveva lasciato prima, ma come si mosse, anche lui spalancò gli occhi e si irrigidì. La sciolse immediatamente dal suo abbraccio, balbettando scuse.
- Kate… io non avrei dovuto… sei stata tu ad avvicinarti… io non lo avrei mai fatto adesso… non…
- Castle è tutto ok. Non è successo niente. - Kate si pentì di quella frase non appena si accorse di quanto il suo significato poteva essere sbagliato. Non era vero che non era successo niente. Aveva appena sentito una delle conversazioni più belle della sua vita e stare così le piaceva ed anche molto. - Cioè, non è successo niente di brutto.
Si corresse e per fagli capire ancora di più il senso delle sue parole, prese il braccio di lui e fece in modo che la abbracciasse ancora. Rick non si muoveva, non voleva fare nulla di sbagliato in un senso o in un altro.
- Mi devi ancora dire cosa è successo prima che ti ha fatto cambiare umore.
- Ho pensato all’ultima volta che siamo venuti qui.
- Ricordi belli o brutti?
- Belli, molto belli. Una vera e proprio fuga dalla città, come due ragazzini.
Kate sorrise ad immaginarsi lei, capitano del 12° distretto scappare con suo marito nella loro villa al mare come due adolescenti. Immaginò la nostalgia di Rick per quei giorni, si accoccolò meglio sul suo petto e gli accarezzò il volto. Aveva una leggera barba incolta che le piaceva molto.
- Ho fatto due conti Kate e sono quasi sicuro che è successo qui, quel giorno.
- Cosa Rick?
- Il nostro bambino. Da quello che ha detto il tuo ginecologo, credo proprio che sia stato quando siamo venuti qui l’ultima volta.
- Mi piace qui Castle. Mi piace molto. Mi piace essere qui con te.
Le piaceva veramente stare lì tra le sue braccia. Aveva sentito tutto il discorso che aveva fatto al loro bambino e pensava che non poteva desiderare padre migliore per lui, era certa che qualsiasi cosa fosse successa tra loro, Castle per il loro bambino ci sarebbe sempre stato. Kate continuava ad accarezzare dolcemente il volto di Rick che chiuse gli occhi godendosi quel momento. Se quegli erano gli effetti di stare negli Hamptons potevano anche fermarsi lì fino a che lei avesse voluto, anche per sempre.
- Castle…
- Uhm?
- … Credo che questo sia stato il posto perfetto dove aver concepito nostro figlio.
Rick avrebbe voluto risponderle mille cose, ma tutte gli sembravano stupide, ed anche se avesse voluto, non avrebbe potuto farlo, perchè le sue labbra erano imprigionate da quelle di Kate.
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Capitolo 22 *** VENTIDUE ***
Kate aveva dormito fino a tardi. Non ricordava da quanto tempo nella sua vita precedente era rimasta a letto senza fare assolutamente nulla fino a quell'ora. Aveva dormito bene quella notte come da tempo non le capitava, come sicuramente non aveva mai fatto dall'inizio della sua nuova vita, aveva deciso di chiamarla così quella fase. Aveva mentalmente diviso la sua vita in tre parti: la sua vecchia vita, fino a dove arrivavano i suoi ricordi; l'altra Kate, ovvero il periodo di oblio; la sua nuova vita, quella che stava vivendo adesso. Le sembrava un buon compromesso. Niente di particolarmente tragico o strappalacrime, qualcosa che non la facesse sembrare una povera vittima da compatire. Non voleva la pena della gente, non voleva che tutti la trattassero come una donna fragile da tenere sotto una campana di vetro, per quello ci pensava già Castle, ma era convinta che, vista la situazione ed il suo stato, lui lo avrebbe fatto comunque.
Quando Rick bussò alla sua porta ed entrò con la colazione Kate si rese conto che poteva essere più ora di pranzo che di colazione. L'odore del caffè la svegliò completamente: era incredibile come Castle riuscisse a farle un ottimo caffè anche se decaffeinato. Lui la osservò mangiare compiaciuto illustrandole tutte le possibilità di quello che potevano fare durante il giorno e lei lo ascoltò senza interrompere mentre si gustava muffin, pancakes e succo d'arancia. Solo alla fine fece la sua proposta.
- E se rimanessimo come ieri tutto il pomeriggio a non fare nulla?
- Beckett da quando in qua sei diventata così scansafatiche?
- Da quando ho scoperto che mi piace!
- Va bene, vuol dire che mi sacrificherò a fare il tuo cuscino personale.
- Chi te lo dice che ti userò come cuscino?
- Se vuoi fare come ieri, lo hai fatto tutto il tempo, quindi...
Le diede un bacio e se ne andò portando via i resti, pochi a dire il vero, della colazione.
Kate sorrise pensando che Castle aveva ragione, era esattamente quello che ieri aveva fatto tutto il pomeriggio, stare sdraiata tra le sue braccia a chiacchierare, scherzare e coccolarsi e le era piaciuto. Immensamente. Non aveva mai passato del tempo così con nessuno dei suoi precedenti fidanzati. Nemmeno durante le sue storie che ricordava più importanti, come quella con Sorenson, aveva mai passato così tanto tempo come con Rick a parlare di tutto, dalle cose più importanti a quelle più futili. Con Will avevano parlato di futuro, ma si rendeva conto che in realtà non avevano mai parlato affatto di loro ed i risultati si erano visti: lui a Boston a seguire la sua carriera messa davanti alla loro relazione e tutto era naufragato.
Aveva passato tutto il pomeriggio e gran parte della serata sdraiata tra le braccia di un uomo che non le aveva chiesto nulla di più di quello, di stare lì insieme. Anche questa era una novità. Lei non era mai stata una donna che usciva con un ragazzo solo per andarci a letto, divertirsi e salutarsi la mattina dopo, Lanie la rimproverava anche per questo dicendole che doveva godersi di più la vita e tutti i bei ragazzi che ci provavano con lei. Allo stesso tempo però, tutte le volte che era stata con qualcuno, nessuno dei suoi ragazzi erano mai stati i tipi da coccole e chiacchiere, il letto o quello che era, diventava un posto frequentato solo per attività molto più fisiche. Non si era mai lamentata per questo, il sesso piaceva anche a lei, ma non aveva mai nemmeno pensato che ci potesse essere altro che era altrettanto gratificante per altri sensi. Ripensandoci lo trovava qualcosa di estremamente intimo e che mostrava una grande complicità. Si impose di fermare i pensieri, stava correndo troppo.
Scendendo le scale sentì suonare alla porta e vide Rick andare ad aprire.
- Giudice Markway che piacere vederti!
- Ciao Ricky ho saputo che eri venuto da queste parti
- Le notizie corrono sempre troppo presto qui negli Hamptons! Vieni Theo accomodati.
Castle fece accomodare il suo amico Markway nel salotto versandogli due dita di quello scotch invecchiato che sapeva che il giudice amava particolarmente. Kate conosceva bene Markway ma solo per motivi strettamente professionali ed era stupita nel vederlo così confidente con Rick.
- Sai Ricky i ragazzi si parlano, i miei hanno saputo da Mike che avevi fatto tirare a lucido la villa e quindi sono passato a farti un saluto e ad invitarti al torneo di poker da me.
- Grazie Theo, ma non posso, sono venuto per stare con mia moglie.
- Dai Castle verranno tanti novellini da spennare e se sapranno che ci sarai anche tu saranno ancora più curiosi di sentire le tue storie. Ci divertiremo.
- No, giudice, veramente, non sono proprio dell'umore adatto per queste cose in questo periodo. Voglio solo stare con Kate.
- Certo Ricky capisco. Come sta il Capitano Beckett?
- Meglio. Stiamo cercando di tornare alla normalità.
- Avrà una grande carriera davanti a se tua moglie. È una tosta e sono in molti a stimarla, lo sai.
- Lo so Theo.
- Fai come se io non ti avessi detto nulla, ma so per certo che presto torneranno a farle quella proposta, c'è quel posto che l'aspetta e dopo l'ultima vicenda di LokSat la sua fama negli ambienti giusti è già aumentata e molti stanno facendo il suo nome, in modo informale.
- Kate farà quello che si sentirà di fare. È un'eccellente poliziotta, non le farò pressioni per cambiare la sua strada.
- Dille di pensarci però. Sarebbe un peccato che non sfruttasse una tale opportunità
Kate ascoltò la conversazione senza palesarsi, incuriosita di quale fosse questa proposta. Entrò quindi nella sala come se nulla fosse, salutando Rick ed il giudice Markway che si alzò per contraccambiare il saluto.
- Capitano Beckett è sempre un piacere vederla. Sono felice di trovarla in splendida forma.
- Grazie giudice, è un piacere anche per me.
- Allora Ricky, proprio sicuro di non volerci allietare con la tua presenza?
- Sicurissimo Theo. Sono tutto per mia moglie in questi giorni
Rick cinse con un braccio la vita di Kate che era in piedi vicino a lui che stava seduto in poltrona e le diede un bacio sul ventre. Il giudice li guardò sorridendo facendo ad entrambi le congratulazioni per il prossimo lieto evento, poi salutò la coppia che lo accompagnò all'uscita.
- Saresti dovuto andare - disse Kate a Castle una volta rimasti soli seduti sul divano in veranda.
- Assolutamente no. Non avrei nè dovuto nè avrei voluto.
- Non è necessario che stai tutto il giorno a farmi da babysitter Rick.
- Sono voluto venire qui non per andare a giocare a poker da Markway, ma per stare con te.
- Non voglio che ti annulli e rinunci alle tue passioni.
- Kate, stare con te non mi fa rinunciare a nulla.
Beckett annuì ma non sembrò comunque molto convinta, non voleva veramente che Castle rinunciasse alle sue abitudini e alle sue amicizie per stare solo con lei, era convinta che alla fine questo non avrebbe portato a nulla di positivo tra loro, ma Rick non era dello stesso avviso. Tutto quello che voleva era passare più tempo possibile con lei, doveva recuperare tutto quello che avevano perso per colpa loro e de destino, non gli sembrava mai abbastanza ed ogni sera quando si salutavano e facevano ritorno ognuno nella propria camera, gli sembrava di sprecare altro tempo prezioso che avrebbe potuto trascorrere con lei. Non c'era nessun secondo fine, anche se non poteva negare che gli mancasse la vecchia intimità con sua moglie, ma non era questo che avrebbe voluto, gli sarebbe bastato stare insieme come avevano fatto anche durante il pomeriggio, farla dormire tra le sue braccia tutte le notti, vederla svegliarsi e baciarla appena apriva gli occhi.
- Cosa dovrei accettare che mi hanno già chiesto in passato?
- Markway è convinto che ti chiederanno di nuovo di candidarti come senatrice.
- Scherzi?
- Non potrei mai. Te lo hanno già chiesto prima di diventare capitano e tu hai rifiutato. Ma Kate, lo stanno dicendo in molti non solo Markway, anche Weldon me lo ha detto e sai che tra i suoi amici ci sono persone che certe cose non le dicono per caso. Dopo quello che è accaduto con LokSat te lo chiederanno di nuovo per le elezioni che ci saranno tra due anni.
- Mi piacerebbe saperlo anche a me cosa è accaduto con LokSat Rick… Questo è uno degli argomenti sui quali sei sempre molto evasivo.
- Ancora non è facile nemmeno per me parlarne.
Rick si tirò su, fece un profondo respiro prendendo le mani di Kate e cominciò a raccontargli quanto era accaduto con negli ultimi mesi, il collegamento con Braken, i pericoli che avevano corso e i chi era e di come alla fine avevano sconfitto Wood.
Tralasciò solo di parlare della loro separazione, accennando ad un dover lavorare separati per motivi di sicurezza. Evitò quel discorso non solo perchè ancora gli faceva male pensare a quel periodo, ma anche perchè aveva paura. Una paura irrazionale, ma che gli fece evitare di parlare di quanto lei aveva deciso per loro, a senso unico, e che lui aveva subito. Non sapeva come spiegargli la sua contraddizione nel lasciarlo senza spiegargli nulla e non fare dall’inizio quello che avevano provato a fare quando la situazione era diventata insostenibile, una separazione solo di facciata. Aveva paura che lei non comprendesse il suo stesso comportamento, che lo vedesse al di fuori dell’ottica di quello che lui le aveva raccontato della loro relazione e che lei potesse avere dei dubbi su di loro, magari pensando che le motivazioni che l’avevano spinta ad allontanarsi fossero anche altre. Ora che tra loro le cose avevano cominciato ad andare in una giusta direzione sentiva che non poteva permettersi che le venissero dei dubbi su di loro e rompere quel precario equilibrio che si era creato.
- Mi sembra tutto così assurdo...
Kate era rimasta senza parole nell’ascoltare chi era LokSat ed il suo coinvolgimento nella storia. Già le era sembrato impossibile che lei avesse combattuto e sconfitto un senatore, candidato a presidente, che aveva una rete tentacolare di corruzione e riciclaggio con la quale controllava le istituzioni e finanziava la sua ascesa politica. Adesso addirittura contro agenti della CIA fuori controllo. Le sembrava alcune volte di essere dentro qualche libro di Castle ed il dubbio che quello che lui le raccontava fosse vero gli era anche venuto, poi però aveva letto tutto il fascicolo di Braken e dovette constatare che era la verità, quindi doveva esserlo anche questa, per quanto assurda.
- Io non so quale potrebbe essere il mio contributo con una carica così importante. - Pensò ad alta voce Kate riflettendo sul fatto che volessero che lei si candidasse al Senato.
- La tua onestà, il tuo senso di giustizia, la voglia di fare sempre la cosa giusta per gli altri e cercare la verità.
- In questo momento non penso che potrei fare una cosa simile.
- Ancora non ti hanno proposto nulla, quando accadrà prederai il tuo tempo per pensarci e decidere. Adesso hai qualcosa di più importante a cui pensare - Le disse sorridendo.
- Già, molto più importante… - Gli rispose accarezzandosi il ventre.
- Perchè non avevo accettato?
- Pensavi di aver ancora molto da dare come poliziotto e volevi provare ad essere tu a gestire il tuo distretto.
- Tu eri d'accordo?
- Sarei stato d'accordo con qualunque tua scelta.
- Come fai Rick ad avere sempre tutta questa fiducia in me e nelle mie scelte?
- So quanto vali Kate mi fido totalmente di quello che decidi. Eri la migliore detective di New York e saresti diventata un ottimo capitano. Ma ero altrettanto certo che avresti conquistato tutti anche da Senatrice, perchè tu avresti sicuramente vinto e sono sicuro che se deciderai di farlo in futuro andrà benissimo.
- Vorrei avere il tuo ottimismo per tutte le cose della vita come te Castle!
- Non fossi stato ottimista non sarei riuscito a resistere in tutti questi anni! Non sei stata mai facile Kate! - Rick le sorrise.
Kate gli propose nel tardo pomeriggio di andare a fare una passeggiata sulla spiaggia. Camminavano sul bagnasciuga tenendosi per mano, lasciando che l’acqua fredda dell’oceano accarezzasse i loro piedi. Ogni tanto si fermavano a raccogliere qualche conchiglia e giocavano a schizzandosi come due ragazzini. Kate aveva bisogno di qualche momento di leggerezza dopo che il pomeriggio, parlando di LokSat e del suo ipotetico futuro, era stato molto meno allettante di quanto avesse pensato quella mattina.
C'era una famiglia che camminava in direziona opposta alla loro, mamma e papà camminavano abbracciati e davanti a loro una bambina correva ancora con passi incerti, fermandosi ogni tanto e voltandosi a guardare i genitori, per poi riprendere a correre. Le sue risate e gridolini si confondevano con il rumore delle onde.
Si fermarono a guardarli sorridendo. Kate si domandò da quando in qua vedere bambini correre felici le trasmetteva tanta serenità, poi diede colpa come sempre agli ormoni, la sua giustificazione per ogni cosa di se che non comprendeva. La bimba correndo cadde proprio davanti a Kate che già si era preoccupata pensando che potesse cominciare a piangere, invece la piccola alzò la testa per guardarla e le sorrise provando a rialzarsi e lei istintivamente si abbassò per aiutarla sotto lo sguardo estasiato di Rick. La bambina una volta in piedi riprese la sua corsa e i genitori la ringraziarono con un sorriso benevolo.
Arrivarono fino ad un grande tronco cavo dalle forme sinuose che sembrava scolpito e lì si sedettero aspettando il tramonto.
- Perchè i genitori non si sono preoccupati che la bambina è caduta? - chiese Beckett a Castle.
- A quell'età cadono spesso, e poi sulla sabbia non si fanno male. - Rick forse in quel momento non si ricordava quanto fosse stato iperprotettivo con Alexis quando era piccola.
- Sì ma sotto la sabbia poteva esserci un sasso o un frammento di conchiglia, un vetro, si poteva fare male!
- Poteva anche venire fuori dalla sabbia un granchio gigante che la rapiva! - la prese in giro Rick sorridendo e mimando con le mani le chele che pizzicandola sulle braccia.
- Castle non sei spiritoso! - Spostava le mani di Rick che le facevano il solletico.
- Beckett sei già così apprensiva?
- Non lo so... - disse mordendosi il labbro
- Comunque ora sono sicuro, sarà una femmina.
- Castle come fai a dirlo?
- Lo so e basta. Sarà una piccola Beckett ed io sarò ufficialmente rovinato.
- Ehy Castle perchè rovinato?
- Perché sarò solo e circondato da donne! E poi amare due Beckett sarà estremamente impegnativo!
- Ed il tuo ottimismo dov'è finito adesso?
- Sono ottimista! Sarà bellissimo avere una piccola te! E poi chiederò aiuto a Jim facendomi svelare tutti i segreti!
- Non ti azzardare Castle - lo fulminò con uno sguardo
- Hai dei segreti da nascondere già da quando eri piccola?
- Tantissimi segreti - lo prese in giro lei.
- Mi piaci Beckett! Trasgressiva fin dalla tenera età!
Kate con lo sguardo continuava a seguire la famiglia in lontananza, l’allegria della bambina e la dolcezza della coppia l’avevano colpita al punto di chiedersi se anche loro sarebbero mai stati così. In quei giorni aveva sempre pensato solo a lei, non aveva mai riflettuto sul fatto che le sue scelte avrebbero condizionato non solo la sua vita e quella di Rick, anche quella del loro bambino.
- Castle io non voglio ferirti o illuderti. Non so cosa ci sia tra di noi. Mi piace stare con te. Mi diverti, mi fai stare bene. Sai sempre quello di cui ho bisogno. Certo parti avvantaggiato, ma non è una cosa da tutti.
- Li devo prendere come complimenti Beckett?
- Sì, ma non ti ci abituare.
- Non lo farò... Dicevi?
- Che non voglio farti del male.
- Perché dovresti farmi del male?
- Perché tu potresti avere delle aspettative su di noi, su quello che potrebbe essere, che io non sono in grado di sostenere adesso. Per te siamo sposati, io invece ti conosco da poche settimane. Irrazionalmente mi sono subito fidata di te e sento che c'è qualcosa che ci lega. Se mi conosci sai cosa vuol dire per me dirti queste cose. Però non so cosa sia questo legame adesso. Mi piaci Richard Castle. Mi piaci moltissimo.
- Spero di diventare di nuovo quell'abbastanza che hai sempre cercato e non rimanere solo uno che ti piace moltissimo.
Kate annuì guardando l’oceano. Il sole aveva formato una striscia luminosa e brillante sull’acqua il cielo si stava tingendo di rosso. Sospirò.
- Sei sicura che non sei tu che ti stai chiedendo quello che potrebbe essere?
Castle non ricevette nessuna risposta.
- Cosa ti spaventa Kate?
- Tutto. In alcuni momenti mi sembra che tutto vada bene, che andrà tutto bene. Poi mi rendo conto che non si tratta solo di me e te e che giocare a fare i fidanzati un pomeriggio al mare non è come avere una famiglia.
- Io non sto giocando Kate. - Castle si allontanò, interrompendo il contatto dei loro corpi che fino a quel momento erano vicini tanto da toccarsi.
Beckett sentì la mancanza della sua vicinanza.
- Non gioco nemmeno io Rick. Non era quello che intendevo.
- Cosa intendevi allora? Spiegamelo.
- Intendevo proprio questo quando dicevo che non volevo farti del male. Lo so che per te le cose sono diverse. Io non sto giocando, sto cercando di ricostruire in qualche modo la mia vita, una vita che non conosco ancora e che avrà talmente tanti cambiamenti che non so se riuscirò a stare al passo. Vorrei far funzionare tutto tra di noi, non solo perché sto bene con te, ma anche perché ci sarà un bambino che dovrà vivere in un ambiente sereno.
- Perché parli sempre come se non dovessi più ricordare nulla di noi? Perché dai per scontato che sarà così e non che tornerà tutto come prima?
- Perché sono realista Rick! Perché in tutto questo tempo non ho ricordato quasi nulla, se non qualche flash o qualche situazione che non so nemmeno cosa siano. Perché tutto quello che ricordo è piatto, senza emozioni e le poche emozioni che vivo nei miei incubi sono angoscianti ed ho anche paura a ricordare. Perché tra di noi, qualcuno realista che non pensi che vada sempre tutto bene come nei tuoi libri ci deve essere.
- Sentirti parlare di noi per me è già motivo di essere ottimista.
- Rick come faccio a non parlare di noi? Avremo un bambino, ci sarà sempre un noi.
- Tra me e Meredith non c’è nessun noi nonostante Alexis.
- Ma io non sono Meredith. Non ti lascerò crescere nostro figlio…
- Figlia - La interruppe.
- Castle, fai il serio per favore. Non lo crescerai da solo.
- Non voglio farlo Kate, non ne ho nessuna intenzione, devi credermi.
- Hai mai pensato allora cosa accadrà se non dovessi riacquistare la memoria? Se tra di noi le cose non tornassero più come prima? Cosa faremmo? Ti accontenteresti delle visite programmate una volta ogni tanto? Un Natale con me, uno con te? Se tu dovessi rifarti una vita, se io dovessi rifarmi una vita con qualcun altro, come la prenderesti? Io ho paura di tutto questo.
- Io non mi rifarei nessuna vita Kate. Aspetterei, anche per sempre, che tu possa ricordarti di noi. Perché so che ci sono da qualche parte nei tuoi ricordi.
- Rick, sono seria, non voglio frasi ad effetto.
- Non lo sono, è la verità. Perché non provi a pensare, invece, che potrebbe andare tutto bene? Che tra un paio d’anni ci potremmo essere noi a camminare sulla spiaggia con la nostra bambina ed io avrò controllato prima palmo palmo che non ci siano sassi, vetri, conchiglie spezzate o granchi giganti con cui si possa far male? Perché non pensi che anche se non dovesse essere così, ed è un’ipotesi che non voglio nemmeno contemplare, non potremmo essere persone civili da riuscire a trascorrere comunque un Natale tutti insieme per farla contenta o che potremmo vederla senza che sia un giudice a stabilire quando?
- Ti rendi conto che hai cominciato a parlare del bambino al femminile?
- Sì, perchè te l’ho detto, sarà una bambina.
- Tu non hai mai paura Castle?
- Di cosa?
- Di noi. Che non ce la possiamo fare. Che magari un giorno ti stancherai di aspettare che il passato ritorni.
- Ho sempre paura Kate. Che tu non voglia ricordare o che nel frattempo tu possa voler percorrere altre strade, senza di me.
- Come fai a superarle e a trovare la forza di esserci, di essere qui con me, malgrado tutto?
- Mi aggrappo alle piccole cose. A quel noi che hai detto prima.
- Qualunque cosa accada, saremo sempre legati Rick. Per il nostro bambino.
- Vorrei che potesse avere una vera famiglia. Quella che Alexis non ha avuto e che non ho avuto nemmeno io. Noi avevamo tutto per potergliela dare.
- Piacerebbe anche a me Rick. Ma non voglio nè illudermi nè illuderti. Vorrei darti le stesse certezze che tu mi dai, ma non le ho nemmeno io.
- Ti chiedo solo una cosa Kate. Che farai di tutto per cercare di recuperare la memoria, che non la lascerai andare via, non lascerai andare via tutto quello che abbiamo fatto e siamo stati. Ti chiedo solo questo.
In quei giorni in cui spesso si era ritrovato in silenzio con Kate, Rick non aveva mai smesso di pensare a loro ed alla situazione che stavano vivendo. Da bravo scrittore nella sua mente aveva già costruito mille storie ed ogni giorno pensava che quello che avrebbero li avrebbe portati al perfetto lieto fine, con Kate che avrebbe ritrovato la memoria ed il loro amore. Non era ancora accaduto. C’era stato un altro tramonto e non era cambiato nulla.
Si stava rendendo conto sempre più come in realtà i legami tra le persone sono solo qualcosa di astratto, di non tangibile, è solo pensiero, sono collegati alla memoria e se questa svanisce, svaniscono anche loro. Si era trovato a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro che fosse toccata anche a lui la stessa sorte, per qualche strano scherzo del destino. Si sarebbero visti e non si sarebbero riconosciuti, sarebbero stati due estranei che si salutavano come lo sconosciuto che incontri in ascensore, avrebbero incrociato i loro sguardi per strada ed avrebbero continuato ognuno per la propria strada, senza che le loro vite si sfiorassero più e tutto quello che c’era tra di loro sarebbe stato come se non fosse mai esistito. Sarebbe stato, in pratica, come se li avessero realmente uccisi, perché di loro, di quello che erano, non sarebbe rimasto nulla.
Invece non era così, lui aveva ogni singolo istante di loro impresso nella sua mente. Ogni sorriso, bacio, abbraccio, risata, sospiro, pianto, urla. Aveva dentro di se il ricordo di ogni porta sbattuta, ogni addio, ogni corsa per trovarsi di nuovo, ogni passo fatto per raggiungersi, ogni volta che si erano presi le mani, ogni promessa di non lasciarsi mai, per sempre.
Gli occhi di Rick erano lucidi mentre le chiedeva di non lasciar scomparire dentro di se il ricordo di loro. Quella cosa sì, lo terrorizzava e ci pensava ogni notte quando era solo e il pensiero lo faceva tremare dalla paura, come stava facendo anche in quel momento. Quell’immagine della famiglia felice si era trasformata in un boomerang per loro.
Era quasi buio, il sole era tramontato e c’era quella luce rarefatta che rendeva i contorni delle case e della natura più indefiniti, meno limpidi, come era tutto quello che c’era dentro di loro, offuscato dalle rispettive paure. Guardavano il mare, ormai solo una chiazza scura punteggiata in lontananza dalle luci di qualche imbarcazione di pescatori che stavano uscendo dal porto.
Kate prese la mano di Rick e non sapeva se stava cercando il suo conforto o se era lei che, per una volta, voleva donarglielo.
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Capitolo 23 *** VENTITRE ***
- Katherine? Katherine Beckett? Sei proprio tu?
Beckett era seduta sulla sabbia in spiaggia ed aspettava Castle rientrato alla villa per prendere delle bevande. Si voltò verso quella voce stranamente familiare che la stava chiamando e si stupì quando vide quello che lei ricordava solo come un ragazzo.
Viktor Varos era un suo compagno ai tempi dell’accademia e per un periodo era stato anche qualcosa di più. Vik, come lo chiamavano tutti, aveva voglia di cambiare il suo destino che per quelli come lui sembrava già scritto: un ragazzo di origine kossovara a Staten Island poteva diventare solo un membro degli Albanian Boys, come i suoi fratelli e i suoi cugini. Viktor però voleva per lui qualcosa di diverso, voleva una vita, una vita vera ed aiutare quelli come lui che volevano una possibilità di scegliere la loro strada. Kate amava la sua forza di volontà di ribellarsi a quella vita per seguire la sua idea di giustizia e per questo legarono molto inizialmente: erano due persone giuste segnate in modo diverso dalla crudeltà della vita. Il destino però fu più forte della volontà di Viktor: fu immischiato suo malgrado in una azione della polizia ai danni di alcuni membri della sua famiglia, durante la quale un poliziotto rimase ucciso. Dovette rinunciare al suo sogno, lasciare l’accademia e Kate. Le disse che per lei era meglio non farsi vedere con uno come lui, che non sarebbe stato utile alla sua carriera. Lei capì a malincuore che era vero e così si persero di vista.
- Vik! è bello rivederti dopo tutto questo tempo!
- Già, è passato veramente tanto tempo! Avevo ragione però, tu ce l’avresti fatta, sei diventata capitano prima di chiunque altro!
- Così pare… - Era a disagio a chiedergli cosa ne era stato della sua vita, aveva paura anche della risposta, anche se a vederlo sembrava un ragazzo apposto
- Io anche ho trovato la mia strada. Legale eh, Capitano! - le sorrise - Mi occupo di sicurezza privata, non esattamente quello che volevo fare, ma va bene così.
- Sei in vacanza da queste parti?
Kate si accorse subito dell’inadeguatezza della sua domanda visto l’abbigliamento dell’uomo in giacca e cravatta in spiaggia.
- No, solo qualche ora libera, il mio cliente è in una di queste ville dei ricconi di città ed ho approfittato per una passeggiata sulla spiaggia. Certo non pensavo di trovare te qui.
- Si beh… sto aspettando mio… mio marito: è andato a casa e dovrebbe tornare tra poco.
Kate istintivamente si coprì la mano sinistra, non le avrebbe chiesto spiegazioni ma le sembrava strano parlare di suo marito e non portare la fede: si rese conto, però, che era più suo il disagio che la curiosità degli altri a indurla a compiere certe azioni.
- Un modo elegante per dirmi di andarmene prima che torni?
- No, è solo la verità Vik.
- Posso? - disse indicando a terra davanti a Kate.
- Certo.
L'uomo si sedette vicino a lei e fu così che Castle li trovò quando tornò con due bicchieri di succo di frutta fresca. Rimase fermo a distanza ad osservare Kate chiacchierare allegramente con l'uomo: dalla postura del suo corpo sembrava veramente rilassata e questo gli fece piacere, sebbene non sapesse chi fosse, e questo allertò non poco i suoi sensi iperprotettivi e non solo quelli. Si avvicinò quindi lentamente indossando il suo miglior sorriso di circostanza che sperava servisse a coprire almeno in parte il suo imbarazzo. Raggiunse Kate alle spalle e le porse la bevanda, salutandola con un bacio tra i capelli.
- Piacere Rick Castle! - si presentò da solo a quell'uomo sfoggiando tutta la sua nonchalance
- Piacere Vik Varos, sono un vecchio amico di Kate
Castle offrì all'uomo l'altro bicchiere che aveva preparato per se, da ottimo gentleman: Vik inizialmente rifiutò ma dovette infine cedere all'insistenza di Rick.
Si mise anche lui seduto sulla spiaggia vicino a Kate prendendo la sua mano libera tra le sue mentre li ascoltava raccontare aneddoti del loro passato annuendo e sorridendo quando l'occasione lo richiedeva, senza mai lasciare la mano di sua moglie, un modo delicato per rimarcare la loro unione.
Furono interrotti dal cellulare di Vik che lo richiamava a lavoro.
- Mi dispiace, ma devo andare. Il mio cliente nella villa qui vicino mi ha richiamato.
- Ah, è alla villa del giudice Markway per il torneo di poker! - Intervenne Castle.
- Eh sì, una di quelle cose per ricchi annoiati che devono buttare un po’ di soldi in modo stupido - Rispose Viktor
- Il mio passatempo preferito, almeno fino a quando mia moglie non è entrata nella mia vita. - Lo fulminò Rick mettendo in imbarazzo l’uomo che si congedò velocemente con Kate.
- Magari ci incontreremo di nuovo uno di questi giorni Kate.
- Magari non faremo passare di nuovo tutti questi anni Vik.
Castle fu lieto che l’amico di Kate se ne fosse andato, ma non disse nulla e proprio da quello lei capì il suo malumore.
- Cosa c’è Castle? - Chiese Kate percependo il suo malumore.
- Nulla - rispose lui evasivo.
- Dovresti rivedere le tue abilità di giocatore di poker, non sei molto convincente.
- Non ti posso mai lasciare sola che ti ritrovo con un tuo ex intorno - le disse con un sorriso tirato cercando di risultare più sciolto di quanto non fosse
- Eravamo ragazzini Rick, nulla di importante. Però apprezzo che non lo hai affogato. - provò lei una volta tanto ad alleggerire il discorso.
- Vedi sto migliorando.
- Mi è piaciuto parlare con lui. È stata una bella sensazione, dopo queste settimane, parlare con qualcuno che non mi dicesse nulla delle cose che non ricordo ed anzi, ricordare con lui avvenimenti del mio passato in modo così naturale.
- Ti ho visto, eri molto rilassata. sono contento di vederti così, veramente.
- Grazie.
- Però sono ugualmente geloso.
- Di Vik?
- Di tutti. Chiunque vorrebbe essere al mio posto.
- Passare le giornate a fare da babysitter ad una persona che non si ricorda di te?
- No, passare le giornate a cercare di far innamorare di nuovo di me la persona che amo. Sono patetico così vero?
- No. Non lo sei. Credo di essere fortunata, nonostante tutto. Nessuno avrebbe fatto per me quello che stai facendo tu.
- Non lo avrei fatto per nessun altra.
Kate sospirò e cominciò a fissare il mare e l'andirivieni delle onde. La rilassava quel suono costante.
- Ti va di andare a fare un tuffo in piscina? Da quando siamo venuti non ci siamo mai andati.
- Veramente no Rick. Preferisco rilassarmi su uno di quei comodissimi lettini senza fare nulla!
- Vieni almeno a farmi compagnia!
- Se me lo chiedi con quella faccia da cucciolo abbandonato non posso dirti di no!
Arrivati alla grande piscina Kate apprezzò particolarmente l'ambiente riparato da sguardi indiscreti con le alte siepi tra le colonne bianche, i lettini tutti intorno alla piscina, le due cabanas ai lati, la jacuzzi in una zona ancora più riservata.
Kate appoggiò il suo libro su un lettino all'ombra e si sedette, osservando Rick di spalle che si spogliava. Indugiò sulle spalle larghe, il fondoschiena sodo che si vedeva bene nonostante i boxer non troppo aderenti e le gambe possenti. Pensò che anche se non aveva un fisico particolarmente atletico era veramente molto affascinante.
- Ti piace quello che stai vedendo Beckett?
- La piscina è molto bella. - rispose evasiva ed imbarazzata
- Non parlavo della piscina. - si voltò e lei osservò sfacciatamente tutto il suo corpo fermando lo sguardo sulla cicatrice sul suo petto. Sentendosi osservato proprio in quel punto Castle se la sfiorò con la punta delle dita e Kate distolse lo sguardo. Si tuffò in piscina schizzando ovunque.
- Dai Beckett vieni a farti un bagno!
- Non ho il costume Castle!
- Puoi farlo anche senza - le disse malizioso
- Scordatelo Castle!
- Dai vai a metterti il costume, si sta benissimo!
- No Rick, sto bene così non mi va! - Kate alle insistenze di Castle chiuse il libro e si spostò da lì andando su un lettino più lontano dalla piscina. Rick uscì dall'acqua seguendola.
- Cosa c'è Kate?
- Niente Castle.
- Se non vuoi andare in piscina c'è la Jacuzzi, ti rilassi... Hai sempre adorato fare lunghi bagni rilassanti
- Adesso invece non ho voglia di fare nessun bagno.
- In costume starai più fresca - insistette temendo di aver capito quale fosse il problema
- Sto bene così.
- Se vuoi me ne vado, così ti senti più libera.
- Che stai dicendo Castle?
- Non stare sulla difensiva Kate e non farti nessun tipo di problema. - prese la mano di lei e la portò sul suo petto. Kate ebbe un brivido per il contatto con la pelle di lui ancora velata da qualche gocciolina d'acqua. - è solo un segno Kate. Non è niente. Non cambia nulla.
Lei ritrasse la mano ed andò via.
Rick rimase seduto sul lettino valutando cosa fare. Si rivestì e l’andò a cercare infine. Non era nè in giardino nè in spiaggia. Rientrò a casa e non trovandola al piano inferiore, salì fino alla sua camera. Si schiarì la voce sulle scale, come ad annunciare la sua presenza senza volerla cogliere impreparata. La porta della camera era socchiusa, la scostò appena.
- Che c'è Castle? - chiese Kate abbassando gli occhi dal libro
- Frozen Heat eh? Bel libro, conosco l'autore una persona molto simpatica ed affascinante.
- Anche modesta suppongo.
- No quello no. - tornò serio - cosa fai qui Kate?
- Stavo leggendo il libro di questo affascinante autore.
- Ok, perché qui in casa? Vieni giù... Puoi fare un bagno, prendere il sole.
- Non ricominciare Castle, per favore.
- A fare cosa? A dirti di comportarti come una persona normale?
- Non sono normale Castle? - Kate si alzò dal letto furiosa
- No Beckett non sei normale, se ti comporti così. Siamo qui da giorni, non ti sei mai fatta un bagno in piscina o nella jacuzzi, non hai mai preso il sole...
- Castle allora? Qual è il problema?
- Dimmelo tu Kate, perché non lo fai? Sono io il problema? Vai da sola.
- Non sei tu, non sei tu. - urlò Kate andando verso la finestra. La aprì e si affacciò a guardare l'oceano. - sono io il problema Castle.
Rick si avvicinò e provò ad abbracciarla da dietro, ma lei scivolò dalla sua presa spostandosi in un altro angolo. Sembrava una preda braccata e indifesa.
- Non puoi pensare di risolvere tu tutti i miei problemi, non è così che funziona, non puoi farlo Rick
- Non tutti ma questo sì, se solo tu me lo lasciassi fare.
- Non ti avvicinare Rick - gli disse mentre lui invece lentamente si avvicinava a lei che si spingeva sempre di più nell'angolo
- Non devi avere paura di me. Non devi aver paura di te stessa. Del tuo corpo, del tuo splendido corpo.
- Non mi prendere in giro Castle.
- Non lo sto facendo. Tu sei stupenda, quante volte te lo devo dire? Te l'ho detto cosa penso delle tue cicatrici. Mi devi credere Kate.
Kate strinse le braccia intorno al corpo chiudendosi in se stessa e mettendosi ancora di più sulla difensiva.
Castle non si fece condizionare dal suo atteggiamento, anzi fu ancora più determinato a scardinare quella sua stupida paura. Avrebbe rischiato, forse lei si sarebbe anche allontanata e chiusa di più, ma non poteva sempre temporeggiare. Le spostò le braccia con decisione ma senza forzarla e Kate le lasciò inermi lungo il corpo. Aveva paura di dove volesse arrivare Rick ma allo stesso tempo non riusciva a fermarlo. Sapeva che non le avrebbe fatto del male, in nessun modo, o almeno lo sperava con tutta se stessa.
Castle posò una mano sulla maglietta di Kate tra i suoi seni indicando con le dita il punto esatto dove l'aveva colpita il cecchino, poi scese più in basso e percorse la cicatrice che si era ricucita da sola, spostandosi più a lato ad accarezzare quella di quando l'avevano operata e non riuscivano a fermarle l'emorragia. Poi si spostò dall'altra parte e con ancora più delicatezza le indicò le cicatrici più recenti. Conosceva a memoria il corpo di lei, più del suo. Fosse stato bravo a disegnare avrebbe potuto ritrarlo in qualsiasi momento senza omettere nessun dettaglio.
Kate osservava con quanta precisione e dolcezza toccava ogni suo segno. Ogni suo movimento era carico di amore, rispetto ed ammirazione e lei li percepiva.
- Ricordo ogni tua cicatrice Kate e posso sentire viva ancora oggi la paura che ho provato per ognuna, più che se fossero mie. Non ho bisogno di vederle per sapere che ci sono e non cambiano nulla di te, se non che dimostrano quanto sei forte.
- Rick... - non riuscì a dire altro mentre lo guardava fisso negli occhi
- Non ti devi mortificare. - Le prese il viso tra le mani per darle un dolce bacio sulle labbra. - Ti aspetto giù.
Uscì dalla stanza lasciandola sola con i suoi pensieri. L'aveva messa a nudo senza toglierle un vestito. Più nuda di quanto aveva paura di essere.
Rick tornò in piscina e si mise seduto su un lettino ad aspettare. Non era per nulla convinto che arrivasse ma ci sperava. In caso contrario non avrebbe desistito, ci avrebbe provato ogni giorno, con ogni modo possibile, non poteva lasciare che le sue paure vincessero su di lei.
- Rick...
Si voltò di scatto e la vide vicino al cancello. Era avvolta in un accappatoio corto annodato in vita che lasciava scoperte le sue lunghe gambe.
- Hey, vieni qua... - le disse aprendo le braccia. Kate andò verso di lui e si lasciò abbracciare. Rimase seduto stringendola a se ed appoggiando la testa sul suo petto. - Sono contento che sei venuta.
- Non mi avresti dato tregua se non lo avessi fatto. - gli disse accarezzandogli i capelli. - Allora, com'è l'acqua?
- Ottima. Io intanto vado, se tu ti vuoi preparare con calma... - fece per alzarsi ma Kate gli mise una mano sulla spalla
- No Rick, aspetta. - prese le mani di lui e le portò sul nodo dell'accappatoio.
Castle alzò lo sguardo cercando gli occhi di lei e fissandoci i suoi. Sciolse lentamente il nodo, portò le mani sotto la spugna morbida toccando la pelle di lei, cingendole i fianchi ed aprendo l'indumento senza abbassare mai lo sguardo dal volto di Kate. Percorse con le mani i lati del suo addome fino a congiungerle sulla schiena di lei che mosse appena le spalle lasciando scivolare l’accappatoio: Rick spostò le braccia e lo fece cadere a terra. Non aveva ancora guardato il corpo di Kate, aspettava che lei gli desse il permesso, ma il solo fatto di sentirlo sotto il tocco delle sue mani lo fece emozionare al punto di rendergli necessario respirare più profondamente.
Rick si sfilò la tshirt e si alzò, avvolse Kate nel suo abbraccio.
- Brava Kate, un passo alla volta.
Castle poi si buttò in acqua schizzandola di nuovo ed ora sì la guardava, da dentro l'acqua mentre si portava all'indietro il ciuffo bagnato ed invitandola con le mani a raggiungerlo. Kate si tuffò con uno stile decisamente migliore di quello di Rick e riemerse proprio davanti a lui togliendosi i capelli dal viso scuotendo la testa con quel movimento che Rick trovava così sensuale. Gli sorrise buttandogli le braccia al collo.
- Non è così male la tua piscina Castle.
Kate lo bacio e poi scomparve di nuovo sott’acqua, lasciando Rick appoggiato al bordo della piscina con un sorriso compiaciuto sul volto.
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Capitolo 24 *** VENTIQUATTRO ***
- Io non capisco perché abbiamo tantissimi divani, poltrone e lettini e tu vuoi stare sempre seduta a terra! - Esordì Castle divertito vedendo sua moglie sul prato ad accarezzare l’erba fresca innaffiata da poco
- Mi piace, mi fa sentire più a contatto con la natura, con la vita.
Rick si sedette a terra un po’ riluttante. Era convinto che un divano fosse molto più comodo. Dovette constatare, però, che sentire l’erba sotto le sue mani era una sensazione piacevole. Si sdraiò con le mani dietro la testa ad osservare il cielo.
- A cosa pensi Castle? - Gli chiese Kate appoggiandosi sul suo petto
- Potremmo vivere qui per sempre - rispose lui mentre aveva spostato un braccio per accarezzarle i capelli
- E Alexis e Martha?
- Potrebbero venire qui quando vogliono, poi New York è a poco più di due ore non sarà un problema andarle a trovare. Stavo pensando a dei lavori da fare qui… una nuova piscina per bambini, mettere in sicurezza le scale e l’accesso alla piscina più grande, un’area giochi dall’altra parte, sistemare una delle camere…
- Non stai correndo un po’ troppo?
- Ci vorrà un po’ di tempo. Dovrei chiamare il mio architetto per capire le tempistiche, la camera sarà la prima cosa da fare.
- Castle, se io riprenderò il mio lavoro, non potremmo stare qui.
- Non lo riprenderai subito in ogni caso, potremmo stare qui fino a quando non tornerai al distretto.
- Non credo che scappare da New York sia la cosa migliore. Nemmeno per te Rick.
- Perché credi che io stia scappando da qualcosa?
- Mi hai proposto di andare a vivere in ogni angolo del mondo. Poi siamo venuti qua. Io sto benissimo, mi piace molto, sono felice di essere qui con te. Ma la mia vita è a New York ed anche la tua. Mi piacerebbe riprendere il mio lavoro e se non fosse possibile fare qualcos’altro, non di certo passare tutta la mia vita a non fare nulla dalla mattina alla sera
- Ci saremmo io e miniBeckett o miniCastle, ti terremmo molto occupata.
- Lo so, ma tu non vorresti questa Kate. Non ti sei innamorato di una Kate che fa la donna di casa, giusto?
- No…
- Ecco, vedi Castle?
Rick si sentì colto in fallo. Certo che rivoleva la sua Beckett, ma ora la avrebbe voluta a casa al sicuro, per sempre. In una casa dove potesse esserlo. Non le aveva detto che tra tutte le cose che aveva pensato di cambiare c’era anche l’idea di fare un nuovo impianto di sorveglianza su tutta la proprietà affidandosi ad un’agenzia di sicurezza privata, era stato proprio l’incontro con il suo amico Vik a dargli l’idea, ma gliene avrebbe parlato solo a tempo debito.
- Beckett, tu stai veramente pensando a dove dovremmo vivere in futuro? Cioè vivere io e te?
- Credo che sia una cosa da prendere in considerazione
- Questo non è proprio in linea con il vivere alla giornata che mi avevi detto.
- È un problema Castle?
- No, il contrario, ne sono felice. Anche se…
- Se?
- Non so come interpretare questa cosa.
- Come una speranza che tutto si risolva nel migliore dei modi? Che ne dici Rick?
Castle rimase un po’ in silenzio a pensarci. Anche Kate stava diventando un po’ più ottimista su di loro? Era un’ottima cosa, molto meglio di quanto si fosse immaginato. Un sorriso gli nacque spontaneo sul viso, fece per alzarsi e Kate dal suo petto si spostò sdraiandosi a sua volta sull’erba. Rick si appoggiò sul fianco sinistro guardandola così bella e rilassata, non potè fare a meno di accarezzarle il volto, mentre lei chiudeva gli occhi godendosi il tocco delicato di lui.
- Mi sembra un’ottimo proposito Kate.
Rick roteò per baciarla, trovandosi sopra di lei. Kate aprì gli occhi e vide il volto di Castle che sorrideva a pochi centimetri dal suo, mentre continuava ad accarezzarle il volto, sorridendogli a sua volta. Si immerse nell’azzurro dei suoi occhi, azzurri come il cielo sopra di loro. Una folata di vento più forte delle altre solleticò il corpo e le mani di Kate con l’erba ondeggiante. Il suo corpo si contrasse. Spalancò gli occhi ed il sorriso morì tra le sue labbra. Il volto di Rick divenne sfocato. Le mancò il respiro, si sentì come paralizzata.
Castle si bloccò di riflesso. La chiamava, ma lei sembrava in totale shock, era cambiata da un momento all’altro, come se qualcosa l’avesse investita.
- Kate! Kate! - La chiamava dolcemente, accarezzandole il viso ma lei sembrava non vederlo nè sentirlo. - Kate… ti prego rispondimi. - Lei aprì la bocca ma non riuscì proferir parola.
Rick si guardò intorno e si alzò immediatamente mettendosi seduto sull’erba, prese Kate sollevandola di peso, le fece appoggiare la testa sulle sue gambe e le accarezzava i capelli aspettando che si calmasse. - Va tutto bene amore mio… Stai tranquilla.
Beckett si portò una mano sul petto e poi la guardò, non ci fu sollievo nei suoi occhi, ma ancora solo paura. Rick prese quella mano e la strinse nella sua, la avvicinò alle sue labbra e la baciò.
- Ti ho visto Rick… Eri sopra di me… avevo freddo… dolore… Era come nei miei incubi…
- Lo so Kate...
- Ho paura Rick.
Castle sentì una morsa allo stomaco a quelle parole di Kate che si tirò su, buttando le braccia al collo di Rick. Sapeva che erano fatti di molti anni prima, lui le aveva raccontato tutto, le aveva detto anche che ormai erano tutti morti, era morto il suo cecchino, chi lo aveva assoldato ed il mandante. Quella sua paura era irrazionale, come se avesse appena vissuto tutto: sentì il dolore, l’angoscia, il sentirsi scivolare via sotto gli occhi disperati di Castle che la guardavano già pieni di amore e di sgomento. Sentiva la sua voce, che prima era solo un rumore indefinito, adesso invece ne capiva bene ogni parola. Poi il nulla, solo dolore, freddo e paura.
Rick la sentiva tremare tra le sue braccia. Per la prima volta non sapeva cosa dirle, non gli venivano in mente parole per consolarla, perché anche lui stava rivivendo la paura di quel momento. Dopo anni ancora la sentiva viva dentro di lui, esattamente come gli aveva detto pochi giorni prima sfiorando la sua cicatrice. Respirava il suo profumo, sentiva il battito del suo cuore accelerato e forte: quanto avrebbe voluto sentirlo quel giorno quando in ambulanza quel bip prolungato credeva gli stesse portando via anche l'anima insieme alla donna che amava. Quanta paura aveva avuto di perderla prima ancora di averla mai avuta. Quante volte si era rimproverato di non essersi accorto di quel bagliore anche solo una frazione di secondo prima che sarebbe bastata per metterla al sicuro.
Seduti a terra abbracciati erano in realtà chiusi nelle loro paure, in quel momento incapaci di consolarsi a parole ma per motivi diversi ceravano entrambi le braccia ed il calore dell’altro. Rick come sempre voleva accertarsi di sentirla viva, si era accorto che questa era diventata una sua fobia. Sentirla respirare, vedere il suo corpo alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, sentire il suo cuore battere. Spesso quando dormiva doveva resistere alla tentazione di andare a controllare e qualche volta non c’era nemmeno riuscito. Lei lo avrebbe trovato inquietante, lui pensava che se avessero dormito insieme sarebbe stato tutto molto più semplice per lui, gli sarebbe bastato aprire gli occhi e vederla, si sarebbe subito rassicurato.
Kate invece sentiva dentro una forza inconscia che nei momenti di panico la spingeva da lui e non solo perchè era l’unica persona che c’era sempre, ma perché era quella di cui sentiva di aver bisogno, quella che riusciva a calmare il suo cuore con la sola presenza. Era questo il legame di cui forse parlava sempre lui, quello che lei non sapeva ancora riconoscere, descrivere e nemmeno accettare, ma che lo spingeva a fidarsi di lui oltre ogni limite che credeva possibile.
Kate si tranquillizzò. Rick lo capì dalla stretta di lei che diventava sempre più abbraccio, portando le mani sulla nuca dello scrittore ed accarezzandogli i capelli in un silenzioso ringraziamento mascherato in un gesto d’affetto.
- Ti vado a prendere dell’acqua Kate? - Lei annuì e Rick andò ancora scosso dentro casa per prenderle da bere. Doveva riprendersi anche lui.
Appena fu sola le sue paure tornarono impetuose e la travolsero ancora come il mare in tempesta e lei si trovava sola su una zattera di legno che andò in mille pezzi alla prima onda più forte che la schiaffeggiò.
Beckett cercò di stringersi su stessa il più possibile, voleva che ogni fibra del suo corpo fosse vicina, per sentirsi più forte. Era una di quelle crisi di panico di cui le aveva parlato anche Burke. Non ricordava di aver mai sofferto di questo, nemmeno dopo che era morta sua madre. C’era dolore, rabbia, disperazione, ma mai crisi come quelle che aveva cominciato a vivere da quando si era risvegliata che la coglievano all’improvviso, ogni volta che qualche ricordo tornava alla mente, anzi che quel ricordo tornava alla sua mente, in forme diverse. Ma le paure si rese conto non erano dovute solo ai ricordi. Era qualcosa di più, qualcosa che viveva da qualche parte dentro di se che non conosceva e la terrorizzava senza conoscerne il motivo.
Ora non aveva nemmeno più una zattera a cui aggrapparsi, era sola nel mare delle sue paure. Nuota o affoga: Kate non aveva alternative. Era persa nel mare, nel profondo blu dell'oceano, blu come gli occhi di Castle. E sentiva le onde che la spostavano la trascinavano a largo dei suoi sentimenti, lontano dai porti sicuri, la inghiottivano e sputavano fuori, sconquassata dalle emozioni che faticava a riconoscere, si sentiva senza fiato quando raggiungeva la spiaggia, senza possibilità di riposarsi perché veniva subito ritrascinata a largo dalle proprie emozioni in tumulto che non lasciavano spazio al riposo dell'anima. La prendevano di nuovo, sommergendola, facendole desiderare aria ed ossigeno, un approdo sicuro e vincere quella sensazione di annegare in se stessa e nella propria anima dove il blu dell'oceano diventava il nero dell'oblio, del suo oblio interiore.
Le sembrava veramente di essere senza fiato e inspirava aria violentemente per forzare i polmoni a riceverla nella paura di rimanere di nuovo senza, nel buio della paura della sua anima inquieta.
Si sentiva pesante, come una pietra scagliata in un pozzo andare giù inesorabilmente e a nulla valeva allungare le braccia e urlare perchè nessuno l'avrebbe salvata da se stessa, e nei polmoni entrava acqua e dalla bocca non usciva rumore e si sentiva affogare e si sentiva male.
Respirava come se fosse impossibilitata a farlo ed aveva paura di soffocare veramente. Sentiva che poteva morire lì, soffocata dal nulla, all'aperto, mentre il vento le faceva volteggiare i capelli. Si portò le mani al petto piegandosi su se stessa, tossendo come se dovesse buttare fuori l'acqua ingerita nel panico della sua mente.
Castle la vide, non si curò appoggiare i bicchieri che aveva in mano, li buttò via e corse da lei. Si mise in ginocchio al suo fianco, provò a prenderle le mani ed allontanarle dal suo petto senza risultato, la forzò a guardarlo ma la sua testa rimaneva bassa. Si sedette dietro di lei, accogliendola tra le sue gambe, la spinse ad appoggiare la schiena contro il suo petto mentre con le braccia la teneva stretta. La cullava come se fosse una bimba impaurita, ripetendole di respirare seguendo il suo ritmo.
Eccole le braccia che l'avrebbero tirata fuori e salvata, quelle a cui tendere le proprie e farsi sollevare. Chiuse gli occhi reclinò la testa all'indietro trovando la spalla di Castle. Sudava per la lotta contro se stessa e le sue paure. Rick le ricordava di respirare insieme a lui e lei lo faceva. Si affidava a tal punto da fargli decidere anche il ritmo del suo respiro. Aveva bisogno di lui. Assoluto bisogno ed aveva paura dirselo, di rendersi conto che aveva così tanto bisogno di lui, un bisogno innato, forse ancestrale.
Era questo l’amore o lo stava confondendo con altro? Si malediva per non riuscire a capirlo perché si sentiva sopraffatta da sentimenti così diversi e così nuovi che non riusciva a distinguerli, avrebbe voluto lasciarsi andare, farsi travolgere da quell’amore strabordante di Castle che la invadeva. Voleva sentire sulla sua pelle quel sentimento voleva che tutto il suo corpo provasse la beatitudine di amare ma non sapeva come fare. Ripensava a loro due, a quello sguardo di Rick che la fissava disperato mentre lei si stava spegnendo tra le sue braccia, alle sue parole.
- Le tue parole Castle… mi sono aggrappata a quelle.
- Quali parole Kate?
- Quelle che mi hai detto quel giorno. Quando tutto diventava buio pensavo a quello che mi avevi detto.
La strinse un po’ di più. Non glielo aveva mai detto, non ne avevano mai parlato, era una cosa che aveva sempre fatto troppo male a tutti, causato troppo dolore a lui ed imbarazzo a Kate. Lei non si ricordava evidentemente ancora cosa era accaduto dopo, per questo ne aveva parlato, era riaffiorato quel ricordo nella sua mente ed aveva voluto condividerlo, incurante di quello che aveva fatto.
- Rick… io stavo con Josh vero?
- Sì.
- Perchè lo hai fatto? Avresti potuto essere colpito tu al posto mio.
- Era il mio posto Kate, al tuo fianco. Sempre. Il perché è in quello che ti ho detto dopo.
- Potevi morire Rick.
- Potevo perderti Kate. Sarebbe stato peggio.
Rick si alzò e fece alzare Kate. Doveva interrompere quella conversazione. La condusse in cucina e le versò un bicchiere d’acqua, ne prese uno anche per se. Bevvero senza interrompere il contatto visivo tra loro. C’era una forte tensione emotiva tra loro, Rick la stava percependo e non sapeva come comportarsi. Se avesse seguito il suo istinto l’avrebbe presa e portata in camera: non ne sarebbero usciti per ore e sentiva che lei non si sarebbe opposta. Non era il momento, non era la situazione adatta, non sarebbe dovuto andare così e soprattutto non voleva essere lui a fare il primo passo, anche se l’avrebbe voluta con ogni fibra del suo corpo, la voleva far sentire amata in ogni modo possibile per spiegarle con i gesti, laddove non riusciva con le parole, tutti quei perché a cui lei cercava una risposta.
Appoggiò il bicchiere sul tavolo, facendo più rumore di quanto credesse e questo lo risvegliò dai suoi pensieri.
- Usciamo! - Le disse
- Cosa?
- Usciamo, facciamo un giro poi andiamo a cena fuori. Ne abbiamo bisogno credo.
- Castle non so se…
- Dai Kate, andiamo. Dobbiamo svagarci un po’.
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Capitolo 25 *** VENICINQUE ***
- Rick?
- Mmm
- Avrei voglia di gelato
Camminavano tenendosi per mano lungo le vie di uno dei tanti villaggi degli Hamptons che durante i mesi estivi si trasformavano in succursali della Fifth Avenue o di Broadway con le vetrine impreziosite da vestiti ed accessori di grandi marche. Kate riuscì a far desistere Castle da fare altro shopping per lei ed ora era tutto concentrato nel cercare il miglior posto per soddisfare la sua voglia di gelato.
Alla fine Rick trovò un locale che lo ispirava, una costruzione in mattoncini rossi con le tende azzurre e bianche ed una grande e colorata insegna che inequivocabilmente rappresentava un cono gelato. L'ambiente interno riproduceva l'arredamento del classico fast food americano stile anni cinquanta, un po' alla Happy Days, con pavimento a scacchi bianco e nero, tavoli con divanetti rossi tutti intorno e un bancone dove invece servire pollo fritto ed hamburger, servivano gelati e dolci di ogni tipo. Kate sorrise divertita dall'atmosfera del posto dove anche le cameriere per vestiti e acconciature sembravano delle pin up del secolo scorso.
La ragazza che prese la loro ordinazione non era da meno e allo sguardo attento da detective non sfuggirono le occhiate che questa riservava allo scrittore.
- Hai fatto conquiste Castle!
- Dai Beckett non scherzare!
- Ti sta mangiando con gli occhi!
- Almeno qualcuna approfitta di me! - Rick si divertiva a punzecchiarla e ad infastidirla.
- Castle falla finita!
- Sei gelosa Beckett?
Kate non ebbe tempo di rispondere che la ragazza tornò al loro tavolo con una copia di Driving Heat in mano.
- Signor Castle mi può fare un autografo? - chiese la ragazza molto più timidamente di quanto la detective si aspettasse
- Ma certo - sorrise Rick alla giovane prendendo il libro - a chi lo dedico?
- A Kate. - rispose imbarazzata facendo sorridere Rick ancora di più
- Hai un bellissimo nome. - le disse lo scrittore mentre firmava e la ragazza arrossiva per tornare nel retro del locale soddisfatta di quanto appena ottenuto.
- Hai fatto felice quella ragazza - gli disse Kate
- Già, a volte basta poco e fino a quando i fan non diventano invadenti non è un problema dedicargli qualche minuto, anche se preferirei uscire con te senza essere disturbati.
- Non è un problema per me Rick, almeno fino a quando tengono le mani apposto!
- Allora ammetti che sei gelosa?
- Sei mio marito no? Non mi piace avere una brutta reputazione.
- Lo prendo per un sì Beckett! - concluse Castle soddisfatto
L'altra Kate gli portò infine le loro coppe di gelato. Enormi e ricoperte di panna. Perché con Castle era impossibile ordinare qualcosa che non fosse esagerato.
- Quando Alexis era piccola e Meredith stava anche settimane senza farsi vedere o sentire, ogni tanto aveva i suoi momenti di crisi in cui le mancava la madre ed allora andavamo in una gelateria vicino la nostra vecchia casa e prendevamo due gelati enormi, così è nato il nostro rito del gelato consolatorio, ma non dirle mai che te l’ho detto!
- Il tuo segreto è al sicuro Rick! - Sorrise Kate - Ma non era per festeggiare il gelato?
- Oh va bene per tutto! Ogni motivo è buono per un gelato con tanta panna! - Rick prese una cucchiaiata sporcandosi il naso con la panna. Kate lo pulì con un tovagliolo sorridendo.
- Le è mancata molto?
- All'inizio sì, era molto piccola. Poi si è abituata. È stata sempre fin troppo matura, molto più di noi, per fortuna.
- Non sarà lo stesso Rick. Tra di noi dico, comunque vadano le cose, non sarà così.
- Lo so Kate.
Lasciarono da parte i pensieri negativi e finirono in modo più spensierato il loro gelato con grande soddisfazione per entrambi, cucchiaiata dopo cucchiaiata.
Kate pensò che era vero che il cioccolato aveva il potere di cambiare l'umore, la magia di far apparire sul volto un sorriso, migliorare sensibilmente tutto quello che sembrava grigio fino a poco prima. Guardava Rick mangiare il suo gelato con lo stesso entusiasmo di un bambino mentre il ciuffo gli ricadeva più volte sugli occhi e tentava di rimetterlo apposto sbuffando, senza successo. Le venne spontaneo sporgersi verso di lui e passargli una mano tra i capelli per sistemarglielo. Era incredibile come quell'uomo al quale si stava aggrappando per sconfiggere le sue paure, che era diventato il suo unico punto fermo in questa nuova vita, avesse un lato così fanciullesco, un Peter Pan intrappolato nel corpo di un adulto, con quelle espressioni da bambino così buffe e dolci.
Immaginò un bimbo uguale a Castle seduto vicino allo scrittore che mangiava una coppa di gelato più grande di lui con il viso sporco di cioccolato che le sorrideva. Al loro bambino doveva sicuramente piacere molto il cioccolato visto come anche lei stava mangiando con gusto quello che in quel momento le sembrava il gelato al cioccolato più buono che avesse mai mangiato. L'immagine del piccolo vicino a Castle le riempì il cuore: era così bella che sperò fosse reale. Aveva per la prima volta immaginato il sorriso di suo figlio e si emozionò a quel pensiero. Si chiese se era quindi questo che provavano le madri, se le avrebbe fatto sempre quell'effetto pensare a lui da ora in poi, se avrebbe passato i giorni ad immaginarlo a sognare come sarebbe stato, immaginarne i lineamenti e le somiglianze. Si sentì curiosa ed impaziente che nascesse come mai le era capitato: fino ad ora vedeva con un certo sollievo il fatto che ancora mancassero molti mesi al parto, data la presenza di tutti i problemi che aveva ancora da risolvere che in quel momento, però, le sembrarono tutti di scarsa importanza e secondari, compreso il fatto che non ricordasse nemmeno di averlo concepito quel bambino. Era solo un dettaglio anche quello, perché mai come in quel momento era stato stato nella sua mente tanto reale quanto voluto. Non era forse bellissima l’idea di avere un figlio, un figlio con Castle? Di certo al bambino non sarebbe mai mancato nulla, sotto tutti i punti di vista, si ripeteva questa come giustificazione al pensare che l'idea che lui fosse il padre non le dispiacesse affatto.
Pensò che se era questo l'effetto che faceva mangiare il gelato al cioccolato non ne avrebbe mangiato più fino a quando il bambino fosse nato. Anzi no, lo avrebbe mangiato tutti i giorni.
Persa nei suoi pensieri non si accorse che il cucchiaino che teneva in mano scivolò sul tavolo producendo un rumore acuto che distolse Rick dalla sua coppa ormai quasi finita.
- Tutto bene Kate?
- Benissimo Castle. - rispose sorridendo ed accarezzandogli una mano. - Sei buffo quando mangi il gelato, sembri un bambino!
- Faccio tante altre cose come i bambini: gioco con i lasertag, con la xbox, mangio popcorn quando vedo i cartoni animati…
- Basta Castle! Tremo a sapere cosa altro fai come i bambini! - Kate rise di gusto prendendo un ultimo cucchiaio di gelato prima di arrendersi.
Rick andò a pagare e prese anche dei muffin da portare via. La ragazza ancora emozionata per l’incontro con lo scrittore gli diede il sacchettino con le mani tremanti e Rick insieme ad uno dei suoi migliori sorrisi le lasciò anche una generosa mancia come suo solito. Controllò l’ora, era ancora presto e dopo quel gelato avrebbero potuto cenare anche più tardi del solito.
- Cos’altro ti va di fare? - Chiese a Kate uscendo dal locale
- Non lo so, scegli tu…
Kate si aggrappò al braccio di Rick e si lasciò condurre in giro per la cittadina. Camminavano lentamente, senza fretta, abbandonando le strade principali e passando per quelle interne, più piccole, fermandosi di tanto in tanto davanti alle vetrine di piccoli negozi di artigianato che Kate preferiva decisamente rispetto alle grandi marche anche perché non si era mai potuta nemmeno permettere di avvicinarsi a quei vestiti o accessori che ora Rick le proponeva con disinvoltura, ma non le piaceva approfittarsi e spendere i suoi soldi, anche se lui non se ne curava ed anzi la cosa sembrava piacergli.
Kate trovò un piccolo negozio che vendeva candele profumate in eleganti portacandele di vetro soffiato ed entrò. Si perse tra i giochi che la luce tremolante creava con il vetro colorato ed i profumi che sprigionavano. Osservava ogni sfumatura di colore, assaporava ogni essenza, scegliendo accuratamente quelle che accarezzavano i suoi sensi in maniera più dolce. Era talmente presa che non si accorse nè del tempo che aveva passato lì, nè che Castle era uscito dalla bottega. Realizzò che lui non c’era solo quando la commessa lo salutò vedendolo rientrare.
- Trovato qualcosa che ti piace? - Le chiese annusando una candela con un’essenza caratterizzata dal profumo di sandalo e patchouli
- Sì - le rispose indicando il banco con quattro scatole - ma non riesco a scegliere quali prendere
- Le prendiamo tutte - disse alla commessa aggiungendo anche quella che aveva appena preso lui.
Kate si oppose, ma sapeva bene che le sue proteste sarebbero state inutili e si mise l’anima in pace mentre Castle pagava e si informava se eventualmente spedivano le loro creazioni anche a New York prendendo uno dei biglietti da visita. Si accorse solo quando Rick prese il pacchetto che aveva accuratamente preparato la ragazza che aveva anche un’altra busta, segno evidente che mentre lei era immersa nel suo viaggio sensoriale tra luci e profumi, lui era andato a fare shopping in qualche altro negozio lì vicino. Era molto curiosa di chiedergli cosa avesse preso e, dalla sua faccia, lui era altrettanto impaziente che lei lo facesse, ma tenne il punto.
Camminarono ancora un po’, fino a giungere al porto. Non era uno di quei porti turistici con ormeggiati yatch e motoscafi, ma uno piccolo, con barche di legno di pescatori. Kate rimase incantata da quel posto e si sedette su un muretto invitando Castle a raggiungerla.
- Non mi chiedi nulla? - Chiese Rick fremendo
- No, cosa dovrei chiederti? - Rispose Kate fingendosi seria
- Ehm… - Abbassò lo sguardo alla busta che teneva appoggiata sulla sua gamba indicandola con il dito.
- Hai fatto acquisti anche tu, non ci avevo fatto caso! - Kate si finse sorpresa
- Dai Beckett, non ci credo che non ti sei accorta!
- Va bene Castle, dimmi, cosa hai comprato? - Si arrese Beckett. Rick sorrise finalmente felice ed emozionato le diede la busta.
- Per me? - Chiese Kate imbarazzata
- Sì, più o meno… Dai apri!
Kate tirò fuori dalla busta una scatola bianca chiusa con un nastro di raso giallo. Sciolse il fiocco, tolse il coperchio e scostò i lembi della carta velina che nascondeva il contenuto. Una morbida copertina di lana bianca con i bordi di seta gialli e in un angolo ricamato un elefantino. Kate la aprì, la accarezzò saggiandone la morbidezza ed il calore che emanava, nonostante la giornata calda non le dava fastidio, tanto ne era presa: era letteralmente senza parole.
- So che avevamo detto di non comprare nulla per il bambino, però non ho resistito. - Si giustificò Rick.
- È splendida Rick - Kate aveva gli occhi lucidi, accostò la coperta al suo volto per sentire ancora meglio la consistenza delicata e calda.
- Ti piace? Non sei arrabbiata? - Castle era quasi stupito che Beckett non si fosse risentita del suo gesto.
- Mi piace tantissimo. È perfetta - La ripiegò e la ripose con cura nella scatola. Si avvicinò a Rick e lo baciò teneramente a lungo. - Grazie Castle.
- Se questo è il ringraziamento, aspettami qui, ne vado a prendere altre 10 - Fece per alzarsi e Kate lo bloccò. Si guardarono e risero entrambi. Poi Rick tornò serio - Nascerà in inverno, quando l’ho vista ho pensato a te con lei in braccio, avvolta in questa coperta…
- Lei eh!
- Te l’ho detto, per me sarà una femmina, una piccola te.
- Potevi prenderla rosa allora, no?
- Ehm… mi sono tenuto un margine di errore, ma se vuoi la vado a cambiare.
- Non ti azzardare, è perfetta così! Sarà la sua copertina, lui o lei che sia. - Fece una pausa - Sai Rick, ero convinta che tu, visto che avevi già Alexis, preferissi un maschio.
- Lo pensavo anche io. Però sono convinto che sarà una femmina e sarà una splendida miniBeckett e sarà bellissima ed io felicissimo. Tu, invece, cosa preferiresti?
- Non lo so, non ci ho mai pensato - mentì, evitando di dirgli dei suoi pensieri di prima nel café. - Mi basta che vada tutto bene, che sia sano. Poi per me è indifferente.
Rick appoggiò la mano libera sul ventre di Kate, che subito portò la sua sopra quella dello scrittore.
- Andrà tutto bene, il mio sesto senso da Spiderman lo sa. - Fu lui questa volta a baciarla con la stessa tenerezza.
Osservarono i pescatori andare a largo al tramonto e poi decisero di tornare indietro alla loro auto. Kate si fece promettere da Castle che non sarebbero andati a cena in nessun ristorante alla moda frequentato da vip e lui mantenne la promessa. Lungo la strada per tornare alla villa fece una deviazione dalla strada principale, passando in una stradina stretta e buia, che fece dubitare Kate della scelta di Rick e chiedersi più volte se quella fosse effettivamente la strada giusta. Si ritrovarono, infine, davanti ad una struttura direttamente sul mare, con l’ingresso illuminato da fiaccole. Era un piccolo ristorante a gestione familiare. Rick fece entrare Kate ed il cameriere li accompagnò al loro tavolo sulla veranda esterna che si affacciava sull’oceano. Attraversarono la sala dove nei pochi tavoli ben distanziati uno dall’altro per mantenere una certa privacy, sedevano soprattutto coppie. Il cameriere fece accomodare Kate spostandole la sedia e poi lasciò loro i menu, dopo aver acceso una candela al centro del tavolo e versato l’acqua nei bicchieri. La luna si rifletteva sull’oceano, creando una striscia argentea movimentata dalle onde che increspavano la superficie. Le piaceva quel luogo intimo e ricercato, non pensava che in un luogo così fuori mano si potesse trovare un posto così. Mangiarono parlando sottovoce per non rovinare quell’atmosfera, sorridendo molto, sfiorandosi le mani con finta casualità, distogliendosi lo sguardo di dosso spesso ed altrettanto spesso invece lo incrociarono legandosi per qualche lungo istante.
Dopo aver mangiato abbondantemente e con soddisfazione per entrambi dell’ottimo pesce fresco (“mi raccomando, che sia tutto ben cotto” si era raccomandato Castle con il cameriere specificando lo stato di sua moglie) Rick notò Kate sbadigliare e lei se ne dispiacque molto: le piaceva quella serata ed avrebbe voluto passare dell’altro tempo lì, almeno per prendere anche il dolce, ma Castle fu irremovibile: era stanca, era stata una lunga giornata e doveva riposare.
Si fece, quindi, portare subito il conto e tornarono verso casa. Il viaggio fu breve ma Kate si addormentò qualche minuto, lasciando lui guidare assorto nei suoi pensieri. Ripercorse quando accaduto quel giorno, dalle crisi di panico per quel ricordo riaffiorato in modo così prepotente alla commozione per quel regalo simbolico per il loro bambino. Si accorgeva nelle piccole cose di quanto quella Kate, ancora così diversa dalla sua Kate, riusciva ad emozionarsi sempre per le stesse cose, che apprezzava più i gesti ed i simboli degli eccessi e delle apparenze. Quella cena era stata perfetta, era stato tutto nuovo eppure era come se fosse sempre stato così tra loro, era una di quelle cose che gli faceva pensare che tutto sarebbe potuto andar bene, in ogni caso.
Kate si svegliò quando percepì il motore dell’auto spegnersi. Si stiracchiò mentre Castle stava andando dal suo lato per aprirle, come sempre, la portiera.
- Scusami Castle - gli disse dandoli un bacio dopo essere scesa dall’auto - non avrei mai voluto addormentarmi.
- Ho capito Beckett, era un modo carino per dirmi che la mia compagnia ti annoia! - La schernì Rick con un’espressione melodrammatica
- Stupido! - Gli diede un pugno sul petto e lui contrasse la faccia in una smorfia di dolore, facendola preoccupare - Hey, ti ho fatto male?
- Naaaa, però mia madre sarebbe orgogliosa delle mia capacità di attore che ha diciamoci la verità, sempre fin troppo sottovalutato.
- Io mi chiedo come faccio a sopportarti! - Sbuffò Kate esasperata - Mi hai fatto veramente preoccupare! Pensavo di averti fatto male, di averti preso dove ti hanno… - non completò la frase, era scossa e non sapeva nemmeno perchè.
Rick stupito dalla sua reazione prese i pacchi e la raggiunse sul portico dove aspettava per entrare in casa. Una volta dentro, appoggiò tutto su un mobile e provò a raggiungerla mentre stava già salendo le scale.
- Dai Kate, era solo un gioco! - Provò a spiegarsi
- Non mi piacciono questi giochi Rick. Mi sono spaventata. - Gli rispose senza nemmeno voltarsi
- Ci sono i muffin che ho preso oggi pomeriggio! Non ne vuoi uno?
Non ottenne risposta. Kate andò in camera e si tolse stizzita i vestiti, arrabbiandosi più che con Rick, con se stessa per quella reazione che aveva avuto. Si era veramente preoccupata che gli potesse aver fatto male e si rendeva conto che con tutta probabilità l’unica cosa che invece l’aveva ferito era stato il suo atteggiamento. Aveva appena rovinato una serata bellissima. Indossò una maglia larga che usava per dormire. Era una di quelle di Rick che le aveva dato dicendole che a lei piaceva indossarle. Era così. Attese, nel silenzio della villa, di sentire i suoi passi salire sulle scale e poi il rumore della porta della sua camera che si chiudeva. Era vigliacca, non aveva nemmeno il coraggio di andargli a chiedere scusa. Aspettò ancora un po’, poi scese in cucina dove su un piattino c’era un muffin al cioccolato e vicino su un tovagliolo scritto a penna “per miniBeckett”. Kate sorrise e poi lo addentò ingolosita. Vide le altre buste, prese la scatola con la coperta e si sentì ancora più in colpa per come aveva trattato Rick. Tornò nella sua camera e si distese sul letto abbracciando quel caldo tessuto sperando le desse conforto. Come chiuse gli occhi le immagini di quella mattina tornarono ad invaderle la mente, con le stesse angoscianti sensazioni, lo stesso dolore al petto, la stessa paura, la stessa ansia ed il terrore impresso negli occhi di Castle che la guardavano imploranti. La sua voce riecheggiava nella sua testa e a quella angoscia si aggiungeva quella per come si era comportata. Si tirò su, aveva il fiatone e sentiva il cuore battere troppo forte. Si impose di calmarsi “pensa al bambino Kate, pensa al bambino, non gli fa bene se stai così” se lo ripeteva in continuazione.
Si ritrovò a bussare alla porta di Castle, senza nemmeno essersi accorta di quando aveva effettivamente preso la decisione di farlo e troppo tardi per ripensarci, perchè la aprì prima che lui le potesse rispondere.
- Beckett! Che succede? Stai male? - Solo a vederla si era già allarmato. Kate si avvicinò a lui in silenzio, si morse il labbro, imbarazzata.
- Posso dormire con te?
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Capitolo 26 *** VENTISEI ***
- Posso dormire con te?
- Cosa.. cioè come mai... Tu... Come... - Castle balbettava non sapendo cosa stesse dicendo. Si era messo seduto sul letto, non era riuscito ad addormentarsi nemmeno lui e, come aveva fatto lei prima, aveva seguito il rumore dei suoi passi scendere le scale e poi tornare in camera. Non si aspettava di trovarla lì, che fosse lei a cercarlo dopo quell'assurda discussione appena rientrati a casa, soprattutto non così presto, non di notte, non con quella richiesta.
- Posso? - glielo chiese ancora.
Rick pensò a quando Alexis era piccola e faceva dei brutti sogni e allo stesso modo si intrufolava in camera sua e, senza dire nulla perchè troppo orgogliosa, andava stringersi a lui che faceva finta di dormire e solo quando anche lei aveva chiuso gli occhi si girava ad abbracciarla stringendola a se.
- Certo, vieni qua. - Si spostò lasciandole la parte destra del letto mettendo tra loro la giusta distanza di sicurezza per non invadere i suoi spazi. Erano entrambi molto imbarazzati della situazione.
Kate era con le spalle appoggiate sulla spalliera del letto e guardava nella penombra fissa davanti a se. Rick non sapeva cosa dirle, non sapeva perchè fosse venuta da lui a chiedergli di poter stare con lui e poi non parlava, non aveva detto una parola da quando si era messa a letto, nè si era mossa. Si mordeva nervosamente il labbro, lasciandosi scappare qualche sospiro ogni tanto. La sentiva, non aveva il coraggio di voltarsi a guardarla, magari lei poi sarebbe scappata in camera, ci avrebbe ripensato.
- Ok, cosa c'è? - all'ennesimo sospiro di Kate, Rick non resistette oltre a far finta di nulla e si mise seduto nella sua stessa posizione. La luce era spenta e la camera illuminata solo da quella che filtrava dalla tenda della finestra.
- Nulla, Rick... - la voce di Kate era un sussurro spezzato.
- Prima te ne sei andata arrabbiandoti senza motivo, poi sei venuta qui, ora stai lì immobile e non dormi ma ti stai torturando. Non mi dici nulla. - il suo tono deciso la indusse a spostarsi ancora un po' verso il bordo del letto. Pensò che era stata una stupida ad andare lì senza riflettere ed ora cosa avrebbe dovuto fare? Dirgli che ci aveva ripensato e che era inutile? Non voleva chiudere gli occhi, aveva paura di rivedere sempre la stessa immagine e rivivere le stesse sensazioni.
- Sei arrabbiato con me? - gli chiese infine
- Dovrei esserlo in effetti - rispose serio Castle - però, no, non lo sono.
- Perché ti sei allontanato allora?
- In che senso scusa? - Rick non capiva quale fosse il problema di Kate
- Quando mi hai detto che potevo restare, sei andato lontano, dall'altra parte del letto, lasciandomi sola. - disse tutto d'un fiato lasciando da parte la vergogna per quello che stava ammettendo.
- È questo il problema? Che ti ho lasciato spazio per dormire? - Castle avrebbe voluto ridere ma si trattenne. Kate annuì all'ovvietà di quello che lui aveva detto.
Rick le si avvicinò, la prese tra le sue braccia e la trascinò vicino a se, obbligandola di fatto a sdraiarsi al suo fianco appoggiandosi su di lui.
- Così va meglio? Sono abbastanza vicino adesso?
Si sentì tremendamente stupida mentre lui ridacchiava. Gli passò la mano sul torace nudo e solo in quel momento realizzò che lui dormiva solo con i boxer e che lei era completamente avvinghiata al suo corpo. Non le importava, anzi le piaceva.
- Cosa è successo Kate? - riprovò a chiederglielo ancora senza successo. Lei non gli rispose ma cominciò ad accarezzargli lentamente i pettorali.
Si sollevò per cercare le sue labbra e farlo smettere, a modo suo, di farle domande alle quali non aveva voglia di rispondere. Passò la lingua sul contorno della bocca di lui invitandolo a baciarla: lui non si fece pregare ed il bacio diventò mano a mano sempre più intenso, ma senza frenesia. Fu Kate a staccarsi da lui, così come lo aveva cercato. Era lei a dettare i tempi di ogni cosa e percorse con le labbra il corpo di Castle baciandogli il collo con una scia continua di baci umidi fino a tornare sul petto e cercare quella cicatrice causa di quell'assurda discussione: ne percorse con le dita il contorno e poi lasciò anche lì spazio alle labbra, mentre spostò la mano dall'altra parte del suo ampio torace continuando ad accarezzarlo sempre più intensamente. Rick era totalmente perso nelle attenzioni che Kate gli stava riservando, mai avrebbe immaginato quello che stava accadendo. Sentì le lunghe gambe nude di lei intrecciarsi con le sue, in quella sensazione così amata e familiare dei loro corpi vicini. Non riusciva, però, a togliersi dalla mente l'immagine di lei quando era entrata nella sua stanza, impaurita ed inquieta. Castle era inerme ai suoi baci e alle sue mani che percorrevano il suo corpo mal celando quella brama che ogni movimento rivelava più di quanto lei volesse fargli capire. La mano di Kate scese sempre più in basso, fino ad arrivare all'elastico dei boxer di Rick, sollevandolo appena per insinuarsi all'interno e lui solo in quel momento sembrò ridestarsi e riprendere coscienza di se, bloccando la sua mano appena sentì l'indumento scostarsi.
- No Kate. Non ora. Non così.
Rick non avrebbe mai pensato di doverlo dire e nemmeno che avrebbe mai avuto la forza di farlo. Ma sapeva che non sarebbe stato giusto quella notte, né il momento né il modo, né le motivazioni.
Kate spalancò gli occhi, come se quelle parole fossero state una secchiata di acqua gelida in pieno viso. Ritrasse la mano sfilandola da sotto quella di lui. Si voltò rigirandosi, andando questa volta lei nell'angolino di letto più lontano da lui. Avrebbe voluto alzarsi ed andare via, da quella camera, da quella casa e forse anche da quella città. Non si mosse, non ci riusciva. Si sentiva paralizzata, bloccata dai detriti di se stessa. Si diede della stupida, ancora una volta.
Rick dalla sua parte fece lo stesso, sognava il momento in cui lei sarebbe stata di nuovo pronta a farsi amare da lui ed ora era lui che l’aveva rifiutata: era una cosa che gli faceva male solo a pensarla. Era, però, sempre convinto che quella era stata la scelta migliore, lo doveva solo spiegare anche a lei. Sapeva che l'aveva ferita, lo capiva da come singhiozzava e gli spezzava il cuore essere lui la causa del suo pianto.
Si avvicinò piano, le accarezzò la schiena, lentamente, senza dire nulla. Aspettò che i suoi singhiozzi si calmassero un po', inutilmente, anzi aumentarono.
Voleva essere amata da lui? Lo avrebbe fatto, quanto voleva, come voleva, ma sapeva che non era la cosa giusta e si impose di non cedere, per il bene di lei e di loro.
La abbracciò da dietro, facendo aderire il suo corpo a quello di lei. Le scostò i capelli appoggiò le labbra sul suo collo, baciandola come prima lei aveva fatto con lui. Però Rick tra un bacio e l'altro le parlava, le doveva parlarle o si sarebbe allontanata da lui, non solo fisicamente. Immaginava cosa stesse passando nella sua mente, dopo tutte le paure che gli aveva manifestato, dopo tutti i suoi dubbi su se stessa e sul suo corpo. Non voleva essere lui la causa di altre insicurezze, le doveva far capire quello che lui provava, sotto tutti punti di vista.
- Ti amo Kate. Tu non immagini quanto.
- Castle ti prego lasciami stare - cercava di mantenere la sua voce ferma ma non ci riusciva.
- No, perchè altrimenti tu trai le tue conclusioni sbagliate, lo so.
- Cosa c'è da capire Castle? Quello che hai detto e fatto mi pare chiaro. Tu non mi vuoi.
- Non dire assurdità. Credi veramente che io non ti desidero? Tu non hai nemmeno idea di quanto ti sbagli, di quanto ti voglio. - Ed accostò ancora di più il bacino a lei per farle capire quanto la sua voglia di lei fosse vera ed autentica - Ma non è ora il momento giusto e non sai quanto mi costa dirtelo, perchè fare l’amore con te è la cosa che più desidero. Ma sei venuta qui sconvolta e non voglio che accada per questo. Non deve essere così tra noi, non voglio amarti perchè sei triste e preoccupata, voglio farlo mentre sorridi e farti sorridere di più.
Castle la sentì prendere la sua mano che la cingeva, stringerla e poi calmarsi lentamente. Continuava a darle tanti piccoli baci alternandoli a sussurri che le ripetevano solo due parole: ti amo.
Kate si voltò, infine, dalla sua parte. Erano entrambi su un fianco, fronte contro fronte.
- Ogni volta che chiudo gli occhi rivedo la scena del funerale di Roy. Sento lo stesso dolore, la stessa angoscia, ti rivedo terrorizzato su di me. Ho paura. - Kate accarezzava dolcemente il volto di Castle mentre gli confidava le sue paure.
Rick la strinse a se, come prima e lei allo stesso modo si poggiò di nuovo sul suo petto, lasciandosi solamente proteggere dal suo abbraccio avvolgente.
- Dopo che ti hanno sparato, dopo che mi hai mandato via, per mesi non ti ho sentito. Erano solo i ragazzi al distretto a dirmi come stavi fino a quando sono potuto stare lì con loro a cercare quel bastardo di Maddox. Ogni sera quando andavo a dormire vedevo sempre il tuo volto ed i tuoi occhi che si chiudevano ed io che mi sentivo morire con te. Anche se non volevi vedermi, anche se ero convinto che tu stessi con Josh non cambiava nulla, avevo sempre la stessa paura che ti avevo perso per sempre, lì su quel prato.
Rick le parlava piano, sussurrandole quasi, baciandola ogni tanto tra i capelli, per riprendere fiato, stringendola tra le sue braccia, cullandola come una bambina. Kate aveva gli occhi spalancati persi nel buio della stanza, era stanca, sfinita dalla lunga giornata e dal continuo susseguirsi delle emozioni. L’abbraccio consolatorio di Castle la faceva stare bene ma aveva paura ugualmente di provare di nuovo quella sensazione di soffocamento e dolore se avesse provato a chiudere gli occhi. Si chiedeva se fosse stata così anche dopo che le avevano sparato, se era questa la sensazione che provava ogni notte prima di addormentarsi e come avesse fatto a dormire sola, senza le braccia di Rick a proteggerla ed il suo corpo a farle da cuscino. Aveva appena provato cosa volesse dire e già le sembrava qualcosa di indispensabile.
- A quell’incubo poi ne sono seguiti altri e altri ancora. - Rick continuò il suo racconto - Ogni volta l’unico modo per calmarmi era aprire gli occhi e vederti dormire al mio fianco, sentire il tuo profumo, ascoltare il tuo respiro e il battito del tuo cuore. Allora mi riaddormentavo vicino a te, poggiando un braccio intorno alla tua vita, per sentirti più vicina, oppure eri tu che ti accorgevi che ero sveglio e ti mettevi così come sei adesso e ti addormentavi di nuovo. A me bastava questo e mi calmavo. Ancora oggi ho gli incubi, ogni volta che ripenso a quel maledetto giorno al loft e ogni volta che mi sveglio non riesco più a dormire se prima non ti vedo, non sono certo che stai bene. Spesso non ho più dormito, ma alcune volte sono stato talmente male che sono venuto fino alla tua camera a spiarti mentre dormivi, ti ho guardato per un po’ e poi sono tornato a letto.
- Potevi svegliarmi… potevi dirmelo.
Reclinò la testa all’indietro per guardarlo, avevano entrambi gli occhi lucidi. Castle si piegò per baciarla e lei si sporse verso di lui per raccogliere il bacio sulle labbra. Sembrava tutto ciò di cui avessero bisogno.
- Potevo, certo. Ma non dovevo. Avevi già le tue paure, non potevo darti le mie.
- Tu però stai prendendo le mie paure Rick.
- È diverso. Io le tue le conosco già, le ho già vissute e le abbiamo già superate. Prova a chiudere gli occhi adesso.
Kate si sistemò sul suo petto, il miglior cuscino che potesse desiderare, chiuse gli occhi, si concentrò sul battito del cuore di Rick, sul suo respiro calmo, sulle sue braccia che la accoglievano.
- Castle… perdonami per tutte le volte che sono intrattabile e che mi arrabbio senza motivo.
Lo scrittore sorrise, accarezzandole i capelli
- Perdonata Beckett. Hai paura adesso?
- No.
- Allora dormi, amore.
Sentì il corpo di Kate rilassarsi tra le sue braccia ed il respiro più lento e cadenzato, sembrava una bambina. Poche volte aveva visto Beckett così impaurita e bisognosa di conforto e riparo nel suo abbraccio. Era molto stanco anche lui, ma non riusciva a prendere sonno. Si rendeva conto che Kate era molto diversa, più fragile, meno forte. Era la ragazza che aveva conosciuto che si trovava sulle spalle tutte le difficoltà emotive della donna che era diventata, senza aver accumulato la forza interiore che aveva acquisito proprio dalle dure battaglie che la vita le aveva imposto di combattere. Rischiava di perdersi tra le sue paure, di affogare in se stessa. Alcune volte se ne dimenticava di quanto fosse cambiata e non capiva che certi suoi comportamenti, che la sua Kate conosceva benissimo e sapeva interpretare senza bisogno di spiegazioni, per lei ora non erano così. Tutto questo gli faceva pensare spesso anche quanta strada avevano fatto, senza rendersene a volte nemmeno conto e di quanto in realtà tutti quegli anni passati a rincorrersi, a volte anche nel senso letterale del termine, fossero serviti a cementare il loro rapporto, a conoscersi alla perfezione nelle tante piccole cose del quotidiano e trovarsi innamorati e già maturi. Avevano saltato tutte le fasi convenzionali del corteggiamento, delle prime uscite nelle quali ci si innamora, o forse lo avevano fatto a modo loro, non nei ristorantini romantici brindando con una coppa di champagne durante la cena scambiandosi languide occhiate, ma davanti a qualche omicidio con una tazza di caffè e le occhiate taglienti di Beckett che riprendevano Castle: forse sì, si poteva definire anche questo un corteggiamento, dove le prime uscite al cinema erano sostituite da “le prime volte che abbiamo rischiato di morire insieme” o “le volte in cui ci siamo salvati la vita”. E così quando entrambi erano finalmente pronti per amarsi erano già ben consapevoli di un sentimento represso per troppo tempo, che stava trovando solo la strada di casa per accomodarsi ognuno nel cuore dell’altro.
Adesso Rick si ritrovava invece a corteggiare sua moglie, a farsi conoscere da lei come non aveva mai fatto e si trovava davanti una Kate che non sapeva ancora quello che voleva, ma non era sfuggente e distante ed il fatto che fosse lì tra le sue braccia ne era la prova.
Ripensava a quella sera che si presentò a casa sua tutta bagnata, la sera in cui lui e lei erano diventati loro: a quella Kate non avrebbe mai potuto dire di no. Sorrise nel buio per questo. Era arrabbiato, furioso, ma gli era bastato vederla così, davanti a lui, sentirsi dire quello che aveva aspettato da anni per far cadere tutti i suoi propositi e l’avrebbe accompagnata anche all’inferno se glielo avesse chiesto. Si era ritrovato spesso negli anni a pensare cosa avrebbe fatto se non fosse stata lei quella sera a fare il primo passo e ad andare da lui, se veramente avrebbe mantenuto fede alla sua decisione di finirla lì e non vederla più, se ci sarebbe mai riuscito. Tutte le volte che se lo domandava credeva che non sarebbe stato possibile, che alla prima mezza occasione di poterla vedere ci sarebbe ricaduto perché non si può smettere di amare una persona, nemmeno se ci fa soffrire.
Nei momenti di maggiore sconforto, invece, pensava a cosa avrebbe fatto se Ryan non fosse arrivato in tempo su quel tetto. Quando qualche giorno dopo il fatto, l’irlandese gli aveva raccontato come erano andate le cose gli si chiuse lo stomaco. Sentire che era lui che chiamava per chiedere aiuto, che pensava che era la sua mano a tirarla su, che lo cercava con lo sguardo tra chi era andata a salvarla lo faceva star male. Non se lo sarebbe mai perdonato, lo sapeva da quando le aveva detto che non sarebbe rimasto a guardarla gettare via la sua vita e se n’era andato da casa di lei, perché Rick non voleva vederla gettar via la sua vita, voleva riprenderla ogni volta, portarla in salvo e tenerla al sicuro da tutti, soprattutto da se stessa, come doveva fare anche adesso.
Ebbe la necessità di andarla a cercare e, con la scusa di parlargli di una delle sue teorie, la portò in una stanza al distretto dove secondo lui non li avrebbe visti nessuno e l’abbracciò forte, dimenticandosi della paura che li potevano scoprire, della Gates e di tutto il resto del mondo. Fosse stato per lui l'avrebbe portata via dal distretto, sarebbero andati in un posto qualsiasi e l'avrebbe tenuta stretta a se anche per sempre. Aveva bisogno di aria ed il suo ossigeno era il profumo della sua pelle. Non gli disse mai perchè lo aveva fatto e lei pensò che il suo gesto era solo una delle sue tante follie dettate da quell’impazienza che avevano di stare insieme e che gli veniva difficile anche a lei controllare, ma erano a lavoro e dovevano darsi un contegno. Si abbandonò anche Kate nel suo abbraccio per qualche istante, ma subito dopo lo rimproverò intimandogli di non farlo più e Rick accettò il richiamo senza dire nulla. Si riprometteva, adesso, che appena avesse recuperato la memoria glielo avrebbe detto, gli avrebbe raccontato dell’urgenza di quell’abbraccio.
Quante volte aveva rischiato di perderla? Eppure nonostante tutto lei era sempre lì, con lui, che dormiva sul suo petto. Al momento tanto gli bastava. Era esausto anche lui da quella giornata, dalle emozioni provate e dai ricordi che invadevano la sua mente. Al resto, a come comportarsi dopo quello che era successo quella notte, ci avrebbe pensato dal giorno dopo.
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Capitolo 27 *** VENTISETTE ***
Che il sole fosse già alto Kate lo aveva capito da quanta luce c’era nella stanza quando aveva aperto a fatica gli occhi. Quella stanza era esposta ad est e la luce era molto più forte che nella sua. Non si rese immediatamente conto che era ancora appoggiata sul petto di Castle, che le accarezzava i capelli: se non fosse stato per la luce, avrebbe tranquillamente potuto pensare che aveva chiuso gli occhi solo per pochi minuti. Sentiva il corpo di lui sotto il suo e le loro gambe ancora intrecciate, si spostò rapidamente, imbarazzata e lo fu ancora di più quando si ricordò di cosa aveva fatto la notte precedente.
Rick si accorse che si era svegliata dai movimenti troppo repentini e da come il suo corpo si era irrigidito.
- Buongiorno - le sussurrò tra i capelli
- Ciao - gli rispose lei tirandosi su, facendo scorrere una mano sul suo torace. - Che ore sono?
- Le undici, più o meno.
- Così tardi? - Chiese con la voce ancora impastata dal sonno
- Avevi appuntamenti questa mattina, Beckett? - Si divertiva Rick a prenderla in giro, non gli sarebbe capitato spesso in futuro che fosse lei quella che dormiva fino a tardi.
- Mmm no… - Rispose appoggiando la testa sulla spalla di lui.
- Bene. Dovremmo andare a mangiare qualcosa, che ne pensi?
- Altri cinque minuti Castle!
I cinque minuti diventarono molti di più ma Rick non se ne preoccupò. Gli piaceva vederla sonnecchiare rilassata, soprattutto considerato quello che era accaduto durante la notte e le montagne russe emozionali che avevano percorso.
- Sono rimasta tutta la notte così? - Chiese timidamente Rick
- Non tutta, ma gran parte. - Le sorrise lui.
- Scusami non volevo.
- Allontanarti? - Rick sorrideva ancora divertito e Kate abbassò lo sguardo, adesso molto a disagio.
Si alzò e non potè fare a meno di notare Castle disteso sul letto vestito solo dei boxer che lasciavano bene poco all’immaginazione e si rese conto che era lì che aveva passato tutta la notte e la mattinata. Si morse il labbro mentre usciva dalla stanza.
- Vado in camera a farmi una doccia - gli disse uscendo senza indugiare oltre a guardarlo.
- Vuoi che vengo con te? - Chiese lui malizioso
- Non credo che sia il caso. - Rispose quando era già fuori dalla porta
- Io ho dimostrato di sapermi comportare bene Beckett! - Disse Castle a voce più alta per farsi sentire, poi si accomodò meglio sui cuscini con un sorriso beffardo stampato in volto. Il punto era suo questa volta.
Saltarono la colazione, pranzando direttamente. Castle aveva preparato una Cesar Salad e dei crostini con avocado e salmone. Kate quando vide la tavola apparecchiata e Rick ad aspettarla rimase stupita di come in poco tempo riusciva a preparare piatti così gustosi. La stava viziando e si chiedeva se lui fosse effettivamente sempre così oppure se quello era un comportamento particolare che aveva in quel periodo.
- Ehy Chef Castle ha preparato il pranzo!
La fece accomodare e le servì quanto aveva cucinato. Kate decise affrontare l’argomento che la teneva sulle spine.
- Ehm Rick... Quello che è successo stanotte...
- Va tutto bene Kate. - Tentava di rassicurarla.
- Sì ma io ci tenevo a dirti che di solito non sono così, non so cosa...
- Ehy, so come sei non ti devi giustificare. Non è mica la prima volta che prendi l'iniziativa - Castle rideva sotto i baffi tra una forchettata e l'altra e tanto lei si imbarazzava, tanto lui si divertiva - Poi non hai fatto nulla di male, hai solo provato a sedurre tuo marito!
- Comunque volevo ringraziarti per quello che hai fatto e non hai fatto.
- Ti saresti pentita? - Chiese Rick tornando serio.
- Sì, cioè no. Uff... - sbuffò faticando a trovare le parole giuste e per vincere l'imbarazzo di parlare di questo - Non mi sarei pentita di quello che poteva accadere, ma avevi ragione tu, non era il momento nè il modo giusto.
- Ok. Siamo d'accordo su questo quindi. Vale lo stesso per me...
- Ok... - guardò a lungo nel suo piatto giochicchiando con il cibo.
Non ne parlarono più per il resto della giornata che passarono tranquillamente in spiaggia. Tornò Mike a portare le altre cose che Rick aveva ordinato riempiendo di nuovo la dispensa. Approfittava di quelle giornate che trascorrevano fuori per far rassettare la villa senza essere disturbati.
Fecero lunghi bagni e passeggiate, si riposarono sotto il gazebo in un angolo di spiaggia riparato da occhi indiscreti, mangiando frutta fresca imboccandosi a vicenda cercando nelle piccole cose una intimità che stavano ricostruendo pian piano. Kate adorava quei grandi lettini matrimoniali più comodi di tanti letti in cui aveva dormito, ma in nessuno di quelli che ricordava c'era il petto di Castle su cui appoggiarsi ed anche questo faceva la differenza. Le piaceva poi il rumore del vento che sbatteva sulle tende ed il profumo di salsedine che trasportava.
- Mi piacerebbe rimanere qui stanotte - Kate non credeva che aveva detto ad alta voce quella che sembrava solo una sua fantasia: dormire in spiaggia in un gazebo era una cosa così lontana dalla Beckett che ricordava di essere eppure adesso le sarebbe piaciuto veramente. Fosse stata insieme a qualunque altro uomo di quelli che aveva frequentato le avrebbe fatto presente quanto quella sua idea fosse folle, elencandole tutti i motivi per i quali sarebbe stata una cosa impossibile e insensata. Ma lei era con Richard Castle.
- Ti piacerebbe dormire in spiaggia? - Chiese Rick sorpreso e Kate l'unica cosa che fece fu annuire.
- Ok! Mi sembra una bellissima idea! - Castle era già entusiasta della cosa - Ah Kate, ma la tua idea include che io stia qui con te oppure vuoi dormire in spiaggia da sola?
- Se non trovi un cuscino più comodo mi accontento di te, Castle!
Rick immaginava che il buon senso avrebbe dovuto dirgli che dormire in spiaggia non fosse una cosa estremamente sicura e che non si confaceva con l'idea che doveva avere di tenerla al sicuro, ma erano quasi morti dentro casa loro, in un palazzo sorvegliato e con un sofisticato sistema di sicurezza, potevano anche fare questa pazzia di dormire in spiaggia, al massimo lui non avrebbe dormito per vegliare su di lei, ma se voleva stare lì lo avrebbero fatto.
Ancora qualche bacio al tramonto e poi Castle tornò alla villa per preparate tutto, come aveva pianificato mentalmente in quei minuti. Tornò con la golf car facendo ridere Beckett tantissimo quando non si accorse che la strada era finita e rimase insabbiato e sotto il suo sguardo divertito faceva avanti e indietro per prendere tutto quello che aveva portato. Cuscini, soprattutto e delle coperte perché non aveva idea quanto calasse la temperatura la notte con l'umidità del mare e Kate era sempre stata freddolosa.
- Non hai paura della concorrenza? - gli disse Beckett indicando i tanti cuscini di varie dimensioni
- Sono molto sicuro di me stesso e delle mie qualità di cuscino umano - rispose sicuro Castle sdraiandosi al suo fianco baciandola intensamente fino a quando non furono interrotti dal suono del cellulare di Rick.
Fu una breve conversazione e riattaccò.
- Hai fame Kate?
- Un po'... Qualche proposta?
- Tra poco vedrai!
Non dovettero aspettare molto: Mike arrivò seguito da altri due uomini. Sistemarono vicino a loro un tavolo basso di legno bianco sul quale appoggiarono due vassoi coperti e delle bevande mentre uno di loro posizionava intorno al gazebo delle fiaccole per illuminare l'ambiente ormai totalmente avvolto nell'oscurità, rischiarato solo dalle luci della villa in lontananza.
Quando furono di nuovo soli Rick prese i vassoi e li mise sul letto in mezzo a loro. Tanti piccoli spiedini di vari tipi di carne, di pesce e di verdura.
- Così sono pratici da mangiare - disse Castle prendendolo uno e mangiandolo di gusto, imitato subito dopo da Kate che fece lo stesso in maniera molto più provocante. - Non avevo pensato a questo aspetto - disse infine deglutendo rumorosamente suscitando le risate di Kate che esasperava volutamente i suoi gesti stuzzicandolo.
Mangiarono spilluzzicando uno spiedino ogni tanto per gran parte della serata, alternandoli con chiacchiere sul nulla, coccole e risate. Più Kate rideva, più il cuore di Rick si riempiva di lei, con il fuoco che illuminava il suo viso ed il suo sorriso creando giochi di luci e ombre che la rendevano ancora più bella. Per questo lui continuava a raccontarle aneddoti buffi e storie divertenti narrando con le sue innate qualità di affabulatore situazioni particolari che avevano vissuto lavorando insieme in quegli anni.
- Perchè trovi sempre qualcosa da raccontare per farmi ridere? Mi fanno male i muscoli del viso! - Protestò lei fintamente arrabbiata
- Perchè amo da morire vederti ridere - le diede un bacio - ed il tuo sorriso - le diede un altro bacio - ed il suono della tua risata - un altro bacio ancora. Tolse tutto quello che di superfluo c’era in mezzo a loro e la strinse tra le sue braccia, coprendo entrambi con un leggero plaid.
Kate si accoccolò su di lui e constatò che preferiva decisamente quando dormiva senza maglietta per sentire la sua pelle a contatto con il suo volto.
- Castle?
- Uhm?
- Sei sempre molto comodo.
Beckett si svegliò alle prime luci dell’alba che illuminava la spiaggia. Ci mise un po’ a realizzare dove erano. Durante la notte Castle le aveva appoggiato un’altra coperta sopra e le piaceva quel tepore di prima mattina mentre la bassa marea allontanava il mare da loro. Si alzò piano, cercando di non svegliarlo, ma non resistette alle sue labbra un po’ imbronciate mentre dormiva e ci appoggiò sopra le sue baciandolo lievemente e poi coprendolo meglio. Prese una delle coperte che erano ancora piegate sulla sabbia, l’avvolse sulle spalle e si sedette in riva al mare che era ancora lontano. Lo vedeva avvicinarsi lentamente, onda dopo onda. Giocava con la sabbia umida facendola scorrere tra le mani, scrivendo sulla sabbia i suoi pensieri con le dita, cancellandoli subito dopo ancor prima di averli riletti, per paura di scorgere verità che non voleva ancora ammettere a se stessa.
Il sole ormai era sorto e l’oceano era tornato a lambire la spiaggia. Kate si sentì abbracciare da dietro e poi le labbra di Rick appoggiate sul suo collo disegnando baci.
- Buongiorno dormiglione - gli disse senza guardarlo, stringendo le braccia di lui ancora di più su di se.
- Buongiorno mia musa - le rispose continuando a baciarla con la voce ancora impastata
- Musa?
- Sì, ti vedevo e mi hai ispirato, come sempre.
- Vuoi scrivere oggi?
- Dopo colazione, se non ti dispiace, prima che l’ispirazione mi abbandoni, mi concedi una mattinata di scrittura?
- E va bene scrittore!
Quando tornarono in casa trovarono una scatola con ciambelle ancora calde lasciate da Mike poco prima, che accompagnarono con i caffè fatti da Rick. Kate andò a farsi un lungo bagno per togliersi di dosso e dai capelli la salsedine accumulata nella notte e quando tornò al piano inferiore trovò Rick intento a scrivere sul suo portatile. Era la prima volta che lo prendeva da quando erano lì e la prima volta che lo vedeva all’opera. Si era chiesta tante volte quando leggeva da ragazza i suoi libri come era quando scriveva, come lo faceva, se era calmo e riflessivo o, come nella realtà, frenetico. Muoveva le dita veloci sulla tastiera picchiettando ritmicamente e seguendo con lo sguardo le linee sullo schermo che si susseguivano velocemente.
Stava sulla sua poltrona con le gambe allungate sul puff davanti a lui ed il portatile sulle ginocchia, si fermava solo ogni tanto, qualche istante per rileggere e poi riprendeva a far danzare le sue dita tra i tasti, come abili ballerini di tip tap.
Kate si sedette sul divano con le gambe incrociate, aveva preso un libro per leggere, ma non lo aprì, preferendo rimanere a guardare il suo scrittore e si morse il labbro quando si rese conto di aver pensato che era suo, ma Castle era così preso che non si accorse nemmeno per un istante che lei aveva i suoi occhi fissi su di lui.
Quella che doveva essere una mattinata di scrittura divenne un giorno intero. Quando in serata Kate lo vide stropicciarsi gli occhi e stiracchiarsi, gli andò vicino, gli chiuse il portatile e glielo tolse dalle gambe.
- Ora basta scrittore… Sei esausto. - Si sedette sulle sue ginocchia e appoggiò la testa sulla sua spalla.
- Scusami Kate… Ti ho trascurata tutto il giorno. Era da tantissimo tempo che non scrivevo più.
- Mi farai leggere quello che hai scritto?
- Solo quando avrò finito! E poi devi ancora finire gli altri libri di Nikki Heat, non puoi leggere questo adesso!
Rick volle portarla fuori a cena, anche se Kate avrebbe preferito rimanere a casa. Andarono in un ristorante italiano non lontano dalla villa dove Castle sosteneva facessero la migliore pizza degli Hamptons e dopo averla mangiata di gusto, Kate convenne che era vero. Conclusero il pasto con un tiramisù e tante altre chiacchiere, Rick le raccontò più o meno quello che aveva scritto e la trama del suo nuovo romanzo, senza però rivelarle troppo. Le comprò un intero mazzo di rose rosse, le fece dedicare una dietro l’altra tutte le canzoni classiche italiane dal cantante del ristorante al quale lasciò una generosa mancia. Tornarono a casa tardi dopo aver passato una bellissima serata spensierata.
- Ci vediamo domattina Kate - Erano davanti alla porta della camera dove dormiva Beckett e Rick le diede un bacio sulle labbra troppo delicato per poter essere un vero saluto. Era uno di quei baci che potevano essere solo l’aperitivo di un pasto più succulento o l’ultimo cucchiaino di dolce di uno già consumato.
- Rimani. - Gli disse lei. Non era una domanda, nemmeno una richiesta. Era un’affermazione seguita da una presa sul braccio così ferma e decisa che non poteva fare altrimenti.
- Hai ancora paura degli incubi? - le chiese Rick con voce bassa ad un passo dalle sue labbra.
- Ho paura dei sogni
Era un’affermazione, quella di Kate, alla quale Castle non volle o non seppe dare una risposta. La lasciò cadere in un angolo della sua mente, domandandosi solamente quale potesse essere il sogno di lei.
Entrarono nella stanza di Kate, in quella che da anni ormai era la loro stanza. Rick chiuse la porta, non perchè qualcuno potesse disturbarli, ma voleva che quel momento non si disperdesse, che rimanesse chiuso tra le quattro mura della loro stanza.
- Castle… Io credo che sia il momento giusto… - Kate sorrise nervosamente mentre lui diventò serio a tal punto che lei pensò che ci fosse qualcosa che non andava. Il pensiero durò solo un attimo.
Rick le percorse il contorno del viso con l'indice, per poi passarlo sulle labbra di lei. Le scostò i capelli dal collo e si piegò a baciarlo, prima da una parte poi dall'altra. Le sbottonò solo un paio di bottoni della camicia di seta chiara, scoprendo il suo décolleté e un po' di più le spalle alle quali dedicò subito le sue attenzioni continuando la scia di baci che partiva dal collo. Non c'era una parte del suo corpo che non voleva amare, aveva l'urgenza di farle capire che amava tutto di lei ma lo voleva fare senza frenesia, avevano tutto il tempo che volevano e nessuna fretta di appartenersi. Per lei sarebbe stata la loro prima volta e voleva che fosse speciale. Kate lo lasciava fare, gli accarezzava i capelli mentre lui la baciava e si perdeva nei suoi occhi ogni volta che alza la testa e cercava nel suo sguardo una tacita conferma nel poter andare avanti e Rick non aveva nessuna voglia quella sera di fermarsi. La guardava fissa negli occhi mentre le finiva di sbottonare la camicia che si aprì lasciando in vista i suoi seni coperti solo da un velo nero di pizzo ed il ventre prezioso, mentre lei faceva lo stesso con quella di lui.
Castle le poggiò le mani sui fianchi facendole risalire lungo la schiena, cercando il gancio del reggiseno che aprì rapidamente e poi fece scivolare via dal suo corpo sia quello che la camicia e fece lo stesso con la sua. Si piegò davanti a lei accostando delicatamente entrambe le mani sul suo ventre, erano così grandi che lo coprivano quasi tutto e poi appoggiò le labbra nello spazio lasciato libero dalle mani baciandola dolcemente. Kate ebbe un brivido nel vedere e vivere una situazione così intima e dolce e pensò che in quel momento i suoi ormoni le stavano facendo proprio un brutto scherzo perché tanto lo desiderava quanto si commuoveva a vederlo così, ma Rick incurante della lotta interiore di Kate, continuava nel suo intento e slacciò il cordino dei pantaloni di lino di lei che andarono a fare compagnia a terra al resto dei loro abiti, raggiunti dai suoi che si sfilò appena rialzato.
La fece sdraiare sul letto e lei si lasciò condurre. Era sopra di lei, tenendosi sugli avambracci per non pesare sul suo corpo. La baciò dolcemente.
- Niente incubi Kate, lasciati amare. - le sussurrò ricordandosi quanto accaduto pochi giorni prima.
Si sollevò per ammirarla coperta solo dal pizzo nero del perizoma: i seni pieni più gonfi e il ventre pronunciato erano segni inequivocabili della vita che cresceva in lei e solo ora ammirava anche i lineamenti del viso più morbidi del solito. Era così donna, così florida che la trovava ancora più eccitante. Era in completa adorazione di lei. Kate sentiva il suo sguardo addosso che la lambiva come fossero dolci carezze e si rese conto che nessuno in tutta la sua vita l'aveva mai guardata così e si sentì lusingata. Castle si piegò nuovamente sul corpo di lei baciandole ogni cicatrice, ogni segno delle sue battaglie e più i ricordi erano dolorosi, più gli prestava attenzione, perchè non avesse più alcun tipo di dubbio o preoccupazione: la voleva far sentire bella, eccitante, desiderata, amata. Rick alzava la testa ogni tanto, tra un bacio e l'altro e cercava gli occhi verdi di Kate che luccicavano della sua stessa passione e lei si perdeva in quelli di Castle ora inscuriti dal desiderio ed un brivido la percorse quando fu pienamente consapevole che era lei la fonte che lui bramava come un’assetato nel deserto e si sentì veramente viva per la prima volta, come forse non si era mai sentita.
Anche quella poca stoffa che li separava divenne di troppo per l'urgenza, ora sì, dei loro corpi di ritrovarsi. Rick si beò del volto di Kate sorpreso, appagato e cupido quando lui scivolò dentro lei senza incontrare nessuna resistenza. A Kate scappò un gemito che Castle raccolse tra le sue labbra baciandola ancora prima che la loro danza d'amore cominciasse. Poi fu solo il tempo della pelle che incontrava la pelle, delle mani che cercavano avide il corpo dell’altro, dove il pensiero lasciò il posto ai desideri che seguivano solo la passione primordiale che faceva unire due anime fatte per non poter stare separate, anche quando non ne erano pienamente consapevoli. Si amarono a lungo, senza fretta, lentamente e intensamente ed anche l’aria della stanza si riempì di loro: odore, sudore, gemiti, sospiri e i loro nomi ripetuti, sussurrati e gridati.
Poi si abbandonarono stremati da loro stessi, dai loro sensi squassati dalla passione appena consumata, con i respiri ancora affannati. Rick si girò su un fianco per guardarla. Quella era la versione di Kate che gli piaceva di più: senza trucco, con il volto ancora stravolto dall’amplesso, i capelli spettinati sparsi sul cuscino, le labbra gonfie e semi aperte. Non c’era visione più bella per i suoi occhi di lei che portava ancora i segni del piacere che lui le aveva procurato. Non reggeva il confronto con nulla, non ci poteva essere niente di più bello e soddisfacente da vedere.
- Ti amo Kate - Riuscì a dirle solo questo guardandola prima di baciarla di nuovo, riuscendo a trattenersi a fatica dall’amarla di nuovo. Solo in quel momento si era reso conto di quanto le era mancata, anche fisicamente. Lei sorrise e lui amava quel sorriso che gli riservava dopo, un sorriso beato e rilassato, un sorriso felice.
Castle infine si distese e si rilassò, svuotò la testa da ogni pensiero e la riempì di tutto quello che aveva appena vissuto.
Kate guardò Rick addormentarsi e non si capacitava come quell’uomo che fino a poco prima le aveva fatto provare sensazioni mai provate prima, ora fosse lì, sdraiato accanto a lei, con l’aria di un bambino solo bisognoso di coccole e lo trovava estremamente eccitante. Non sapeva se era vero, se erano realmente gli ormoni della gravidanza ad amplificare ogni sensazione, ma di una cosa in quel momento Kate Beckett era assolutamente certa, non sapeva come era stata la sua vita prima di allora e nemmeno le importava, ma sapeva esattamente come voleva che fosse da quel momento in poi.
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Capitolo 28 *** VENTOTTO ***
Si svegliarono con il rumore della pioggia che picchiettava sui vetri. Si sentivano ancora stravolti per la notte appena trascorsa, non solo fisicamente ma soprattutto emotivamente e sembrava che avessero stravolto anche tutto quello che avevano intorno, a cominciare dal cielo.
- Stai bene? - Le chiese Rick con la voce ancora impastata dal sonno, vedendola rigirarsi tra le lenzuola sfatte, impregnate di loro. Lei si voltò verso di lui, aveva il ciuffo sfatto e i capelli gli ricadevano sulla fronte. Glieli sistemò facendogli quasi una frangetta, gli sembrò adorabile.
- Sto molto bene Castle.
- Anche io sto molto bene Kate.
Era tardi anche quella mattina, ma fuori non sembrava quasi giorno, erano avvolti da uno di quei temporali estivi che faceva sembrare, al di là dai vetri, che fossero in pieno novembre, con il vento più forte del solito che piegava gli alberi intorno alla villa, faceva vibrare forte le tende esterne e sibilava tra le colonne del portico.
Nonostante tutto a Kate piaceva. Aveva raccolto la camicia di Rick a terra, se l'era infilata abbottonandosi solo un paio di bottoni, ed era andata verso la finestra a guardare fuori. Aveva appoggiato i gomiti sul davanzale interno lasciando sporgere dalla camicia il suo fondoschiena nudo che Castle non poteva fare a meno di ammirare. Sapeva che lui era sveglio e la stava guardando e adesso le piaceva sentire il suo sguardo su di se.
Aveva avuto tutto quello che restava della notte per pensare a cosa era accaduto realmente dentro di lei quando aveva rotto gli argini della sua vulnerabilità donandosi a lui senza riserve. Non lo aveva ancora capito, sapeva solo che aveva voluto lui per tutta la notte e lo avrebbe voluto ancora.
Se c'era una cosa che a Rick era sembrata subito palese era come Kate avesse finalmente ripreso possesso e consapevolezza di se e del suo corpo. Non lo temeva, non ne aveva più paura, aveva capito il potere che esercitava su di lui e stava imparando ad usarlo di nuovo con disinvoltura, come aveva sempre fatto.
Si era alzato e l'aveva raggiunta senza preoccuparsi di rivestirsi. Le spostò i capelli per scoprire il collo e riprendere a baciarlo come gli piaceva tanto fare.
- Mi era mancato tanto anche questo sai Beckett?
- Il maltempo? - ironizzò lei
- No, il vederti con le mie camice dopo. Stanno decisamente meglio a te.
- Ne hai molte da farmi mettere? - gli chiese provocatoria
- Sì, ma posso ordinarle e farmene portare quante ne vuoi se non ti bastano. - rispose continuando a baciarla lascivo. - Però ti preferisco sempre senza.
Il tono di Kate poi cambiò
- Mi piace la pioggia - disse osservando fuori dal vetro le gocce che cadevano violente e fitte
- Lo so. - Castle intrufolò le mani sotto la camicia di lei per sentire la pelle morbida, accarezzandole dolcemente la pancia. Si sentiva più libero adesso di compiere certi gesti, certo che lei non lo vedeva più come un intruso che invadeva il suo spazio anche se ancora si trovava a vivere delle strane sensazioni, quasi si sentisse in soggezione davanti a quella piccola vita che cresceva in lei, sentiva come se non avessero ancora raggiunto a pieno un grado di intimità e complicità tale da parlarne sempre liberamente.
- Già tu sai tutto di me... Più di me stessa. - Quella di Kate era un’amara considerazione. Certamente Castle conosceva molte cose di lei, di quella che era diventata e di come era cambiata, molto meglio di lei stessa e presumeva che anche del suo passato lui ormai sapesse molto, se non tutto. Alcune volte si chiedeva se avesse senso parlargli ancora di se stessa convinta che Rick sapesse spesso esattamente cosa le passava per la testa, analizzando solo le sue reazioni, ma si stupiva quando lui, in quelle che erano magari piccole cose del quotidiano le diceva di non conoscere quelle cose di lei, quelle che Kate dava per scontato che lui conoscesse e si chiedeva, perché invece non gliene aveva mai parlato. Perché non gli aveva mai detto che era il suo scrittore preferito o quanto l’avevano aiutata i suoi libri dopo la morte di sua madre, ad esempio? In quel momento le sarebbe piaciuto potersi rispondere più a queste domande che ricordare avvenimenti del suo passato persi nella memoria.
- No Kate... Tu sei il mistero che non smetterò mai di voler comprendere. So quello che tu mi hai voluto lasciar scoprire, ma devo scoprire ancora tanto di te.
- Sai perché mi piace la pioggia?
- Perché potevi uscire e piangere senza che nessuno se ne accorgesse.
- Te l'ho detto io?
- No, ma sarebbe una cosa da te. Ho indovinato?
- Sì... - Gli occhi di Kate di velarono di tristezza e lacrime pronte ad uscire, ma Castle non voleva permetterlo.
- Anche a me oggi piace la pioggia - le disse serio
- Oggi?
- Sì, oggi. Sai perché?
- No...
- Perchè è una splendida scusa per non alzarci dal letto per tutto il giorno e continuare a fare quello che abbiamo fatto per gran parte della notte.
- Tra noi è stato sempre così?
- Beh diciamo che quelle volte, troppo poche per i miei gusti, in cui eravamo entrambi liberi e soli, sì, era più o meno sempre così. Io te ed il nostro letto o divano o quello che era. - la voce di Rick era calda s profonda e non lasciava molto all'immaginazione di cosa volesse.
- Ok... Ci piace divertirci - sorrise arrossendo un po' avvicinandosi ancora di più al vetro per sfuggire almeno in parte ai suoi baci che non la facevano ragionare molto - ma è sempre così... Intenso?
- Beckett non hai mai protestato! - rise Castle - Anzi spesso hai chiesto il bis apprezzando molto tutte le specialità della casa. Quindi penso che sì, è sempre così.ù
- Non sei molto modesto eh!
- Dovrei esserlo? - Kate si voltò e gli allacciò le braccia dietro al collo strusciando il bacino contro il suo, risvegliando desideri mai del tutto sopiti.
- No Castle, direi proprio di no...
Lo fece indietreggiare fino a raggiungere di nuovo il letto. Quando Rick sentì sbattere le gambe sul materasso si lasciò cadere mentre guardava Kate in piedi davanti a lui che sbottonava lentamente la camicia che tornò a breve nel posto più naturale dove doveva stare: per terra.
Si mise a cavalcioni su di lui, raccolse i capelli e li spostò sul lato sinistro del collo facendoli ricadere davanti andando a lambire il seno.
Castle la guardava ergersi su di lui come una dea, allungò le mani sul suo corpo avvolgendo i seni nei suoi palmi meravigliandosi ancora di come le sue forme stavano cambiando. Ondeggiò meticolosamente su di lui sorridendogli quasi in segno di sfida.
- Dio Kate... - Ansimò Rick troppo sensibile alla vista e al calore del corpo di sua moglie.
Kate si sollevò appena per poi ricadere su di lui che la aspettava pronto a perdersi in lei e si muoveva volutamente piano sul corpo del suo scrittore, che non aveva più nemmeno una parola a disposizione nella sua mente.
La vedeva danzare con la testa reclinata e la schiena inarcata che vibrava di piacere e Kate poteva sentire il centro del mondo che era il centro di se stessa piena di lui.
Era lei ora che conduceva il gioco alternando i movimenti fin troppo lenti, che facevano lamentare Castle, ad altri che erano pieni di sussulti di vita. Si concesse non solo fisicamente, senza alcuna reticenza. Le piaceva provocarlo, passandosi le mani tra i capelli e la lingua ad umettarsi labbra. Rick la lasciò fare fino a quando non sopportò più quella lenta tortura e sollevò la schiena, per raggiungerla e cingerla tra le sue braccia, per avere i loro corpi più vicini, come se quella vicinanza intima non bastasse e volesse tutto il corpo di lei sul proprio. Poi Castle si allontanava ancora, per guardarla meglio, e godere di lei anche solo con gli occhi nella visione di quel corpo di un angelo lussurioso.
Ora era lui a sostenerla e a scandire il ritmo del loro piacere avanzando e ritraendosi da lei, come le onde di quell’oceano in tempesta che era lì fuori dalle loro finestre e allo stesso modo di quello la investiva di se.
Quando la abbracciò di nuovo le unghie di lei percorsero la sua schiena ampia muscolosa, imperlata dal suo sudore, tracciando delle sottili linee sulla sua carne nel momento in cui arrivò al punto di non ritorno, per poi abbandonarsi tra le sue braccia tremante mentre lui la stringeva e impetuosamente aumentava i suoi movimenti, prolungando il piacere di lei ed accelerando il proprio fino a quando non si placò in lei mentre avidamente baciava, mordeva e suggeva il suo collo, stimolando ancora i sensi squassati di Kate.
Beckett aveva cominciato quel gioco di seduzione con l'intento di far bruciare Castle dalla passione ma fu lei, ancora una volta, a rimanere ustionata da lui.
Appena ripresero fiato scostarono i loro toraci solo la distanza necessaria per guardarsi negli occhi mentre le loro gambe erano ancora un groviglio con il resto dei loro corpi. Si sorrisero. Castle andò a togliere i capelli dal volto di Kate e la baciò teneramente sulle labbra, mentre con le mani le teneva fermo il viso. Si sorrisero ancora.
- Che c’è? - Le chiese Castle
- Sono felice Rick.
- Felice o appagata?
- Entrambe.
La fece alzare da sopra di se, sollevandola di peso e facendola sdraiare. Prima di prendere il lenzuolo per coprirla le accarezzò ancora una volta dolcemente il ventre.
- Credo che lo abbiamo fatto ballare un po’ troppo nelle ultime ore
- Ho letto che se la mamma è felice è felice anche il bambino. Quindi credo che sia stato molto felice nelle ultime ore, Castle.
- Da quando in qua leggi di sesso, gravidanza e bambini?
- Da quando sono incinta e c’è un uomo molto provocante che mi ronza intorno.
- Molto provocante dici eh? Vorrei sapere che razza di uomini frequenti Beckett! - Le disse mentre con una mano andava ad accarezzarla con la punta delle dita nell’interno coscia.
- Dai Castle… Ti prego - Lui sghignazzando ritrasse la mano
- Nelle tue letture hai trovato anche che dopo l’attività fisica è meglio nutrirsi in modo adeguato? Dovresti mangiare qualcosa.
- Non ho fame adesso. Perché non vieni qui e ti sdrai un po’ vicino a me?
- Solo se prometti di non abusare di nuovo di me! - Disse lui fintamente risentito
- Non te lo posso promettere questo… - Gli rispose maliziosamente.
Si misero ognuno nella propria parte di letto, sfiorandosi le mani lasciate al centro.
Kate pensò che infondo innamorarsi era stato facile, era stata una bomba che non aveva voluto disinnescare. Quello che la spaventava, che le faceva realmente paura era amare. Perché amare era difficile, amare era impegnativo e implicava mettere in gioco tutto se stessi tutti i giorni, camminare su un filo teso tra due grattacieli senza senza corda di sicurezza. Per amare bisognava sempre essere in due e remare costantemente insieme.
Lei per ora sapeva solo di essersi innamorata, non voleva dirsi di più.
Si era innamorata di tutte quelle cose di lui che le davano sicurezza: la sicurezza della sua presenza, del saperla far ridere, dell'amarla mentalmente ed anche fisicamente. Le sembrava che il corpo di Castle fosse stato creato appositamente per accoglierla e fondersi con il suo.
Si era innamorata delle sue labbra che le lambivano il collo, delle braccia che la cingevano forti, degli occhi che la guardavano adoranti, della sua voce quando chiamava la chiamava in preda al piacere.
- Sai Castle, penso che potrei veramente amarti
Lo sussurro appena tra le labbra, un segreto raccolto dalle mura di quella stanza. Rick si era addormentato esausto e non sentì mai quella dichiarazione di Kate che se fosse stato sveglio non avrebbe avuto il coraggio di fargli.
Lo lasciò dormire e andò a farsi una doccia. Mentre si insaponava e passava le mani sul proprio corpo se chiudeva gli occhi immaginava di sentirsi quelle di lui e scoprì che la sua pelle era rimasta ancora estremamente sensibile al tatto. Un brivido le percorse la schiena ed abbassò la temperatura dell’acqua nella speranza che il getto più freddo la distogliesse da quei pensieri.
Pensava a come nelle ultime dodici ore Richard Castle fosse entrato dentro di lei, letteralmente si disse e rise da sola del suo pensiero, ed avesse stravolto la sua vita più di quanto non avesse già fatto in precedenza, cambiando molte delle sue convinzioni e la percezione delle cose e di quello che stava vivendo.
L’acqua fresca che scivolava sulla pelle le dava una sensazione di benessere e le donava nuovo vigore. Era incredibile come non si sentisse stanca nonostante nelle ultime ore si fosse riposata ben poco. Però aveva ragione Castle, doveva mangiare, cominciava a sentire il suo stomaco brontolare. Chiuse l’acqua dopo essersi concessa ancora per qualche secondo il getto potente sulle spalle, si avvolse in uno dei morbidi accappatoio e fece lo stesso con i capelli in un grande asciugamano. Prese dall’armadio una delle magliette di Rick e un paio di shorts ed andò direttamente a vestirsi al piano inferiore, pensando a cosa potesse mangiare.
Era primo pomeriggio, non aveva ancora mangiato nulla. Si era incantata nuovamente a guardare la pioggia scendere: per quel che ricordava non aveva mai smesso da quando si era svegliata. Rick ancora dormiva, decise di andare in cucina e prese della frutta che mangiò comodamente sul divano. Pensò che quella casa doveva essere molto bella ed accogliente anche fuori stagione. Si immaginò lì avvolta in qualche calda coperta, con il camino acceso e Castle vicino a lei che le accarezzava la pancia ormai molto più ingombrante, una zuppa ai cereali fumante, una fetta di torta calda e una cioccolata con panna. Loro due a parlare del loro futuro e poi si vide ancora dopo, con un piccolo bambino con tanti capelli come Castle avvolto in quella copertina bianca che lui le aveva regalato che le dormiva in braccio mentre era appoggiata al petto del suo scrittore che li abbracciava entrambi. Era questa l’idea di vita che immaginava nel suo futuro e si ritrovò a sorridere ed accarezzarsi dolcemente il ventre. Era un’idea così bella che si commosse a pensarci e ne ebbe paura. Le cose belle nella sua vita erano sempre state destinate a sparire e ne era la prova che era sparita anche tutta la sua vita con Rick. Si mortificava per non riuscire mai a godere a pieno di nulla senza che i suoi pensieri nefasti tornassero a turbarla. Perché doveva essere così difficile per lei essere felice? Perché non poteva solamente lasciarsi la libertà di sognare senza che la sua realtà arrivasse a distruggerla anche un solo pensiero felice? Perché non poteva sperare come tutti che prima o poi anche per lei ci sarebbe stata un po’ di serenità. In fondo pensava di meritarsela ed era quello che voleva per il suo bambino: una famiglia felice dove poter crescere lieto.
- Vedo che i miei vestiti ti piacciono - le disse Rick appena scese vedendola con la sua tshirt sul divano
- Sono molto comode - gli sorrise Kate.
- Hai mangiato?
- Solo un po’ di frutta - disse sfuggendo lo sguardo dai suoi occhi e dalla sua espressione di biasimo.
- Ok, vado a preparare qualcosa che ti dia un po’ più di energia…
- Stai facendo i pancakes? - Chiese Kate prendendo con un dito della Nutella da un barattolo aperto. Era stata attirata in cucina dal dolce profumo che aveva riempito la casa
- Sì! Sai cosa dice Esposito, vero? - Castle girava le frittelle adagiandole poi su un grande vassoio
- Veramente no!
- Che sono il miglior modo per ringraziare dopo una notte di sesso appagante. - Rispose Rick estremamente orgoglioso
- Punto primo non è stata solo una notte, punto secondo non è ora per i pancakes. - Puntualizzo Kate
- Hai voglia di pancakes, Beckett?
- Sì ma…
- Allora se hai voglia è l’ora giusta per i pancakes, fine della discussione. Ora mettiti lì seduta ed aspetta che te li porto.
- Pensi di farli per tutti gli Hamptons Castle? - Chiese vedendo il vassoio che strabordava
- Aspetta e vedrai!
Castle portò quattro piatti con diversi tipi di pancakes: classici con sciroppo d’acero, Nutella, Mashmallows e granella di nocciole, crema alla vaniglia e frutti di bosco.
Kate sorrise e cominciò a mangiare quello classico sotto lo sguardo soddisfatto di Rick che invece prese una generosa porzione con i mashmallows.
- Se mi ingrasserò troppo e diventerò come una balena sarà solo colpa tua Castle!
- Non ti preoccupare Beckett, lo sai anche tu adesso che tra di noi l’unica balena sono io e ti aiuterò a mantenerti in forma con tanta attività fisica estremamente soddisfacente.
- Mi chiedo come ho fatto a sopportarti per otto anni Castle…
- Perché sono estremamente soddisfacente, ovvio! - Disse mangiando quelli alla Nutella
- Taci Castle! E lascia un po’ di quei pancakes anche a me!
- Senti Kate... Quello che è successo stanotte... e prima...
- Rick, sul serio ne vuoi parlare? Adesso? - Chiese Beckett stupita addentando un'altra forchettata di dolce mentre Rick semplicemente annuì con la testa - Ok... vai avanti.
- Dicevo... Quello che è successo, per me è stato importante, molto importante.
- Certo che è stato importante Rick... Cosa pensi che vado a letto con il primo che capita?
- No, certo che no Kate! - si affrettò a giustificarsi - Ma ecco, vedi... Per me non è stato "andare a letto", non è stato sesso, non solo... Capisci che voglio dire?
Kate si pulì la bocca, allontanò il piatto e bevve un bichiere d'acqua prendendo tempo. Sperava di non dover arrivare a quel punto della discussione.
- Sì, Rick lo capisco.
- Spero che anche per te non sia stato solo quello.
- E' importante per te che non lo sia stato?
- Sì, sarebbe molto importante.
- Nemmeno per me è stato solo quello, Rick. Ma ti prego, non mi chiedere cosa è stato di più, perchè adesso non saprei spiegartelo. - Non fu sincera con lui fino in fondo, ma non era pronta a dirgli di più, anche se aveva paura che potesse fargli male sentirla parlare così. Gli prese una mano, stringendola sotto la sua. - Rick per me sei importante e non per la situazione, ma perchè sei te. Mi rendi felice, molto felice e mi fai stare bene. E' una cosa che non mi era mai capitata. Però ti prego, non chiedermi di più, non adesso. Non ancora.
- Va bene Kate. Ci tenevo solo a fartelo sapere. Perchè se fosse diverso, non so se lo sopporterei. - Disse amaramente Castle.
- Credimi Rick e fidati di quello che ti dico. So che ti chiedo tanto, molto più di quello che dovrei e che posso meritarmi. - Non voleva vederlo triste, non dopo quello che avevano vissuto insieme che sembrava la causa, invece, della sua tristezza. - Non voglio che rovini quello che c'è stato tra noi con quel viso triste, perchè se ci ripenso, tutto provo tranne che tristezza. Ti prego Rick...
- Va bene Beckett. Niente tristezza e niente pressioni. Però finisci l'ultimo boccone di pancakes almeno! - Le regalò un sorriso che Kate non capì quanto fosse sincero e quanto si fosse sforzato per farlo. Avrebbe voluto ripetergli in quel momento quello che gli aveva detto prima quando dormiva, ma non trovò il coraggio di dirlo prima di tutto a se stessa, così gli sorrise ri rimando, finendo quanto aveva ancora nel piatto.
Dopo che Rick aveva cucinato per lei, Kate si impose per sistemare lei la cucina, mentre Castle la aspettava sul divano per vedere un film insieme. Lo trovò, invece, intento a scrivere al computer.
Gli si sedette vicino accarezzandogli i capelli.
- Le ultime ore ti hanno ispirato per qualche incontro ravvicinato tra Heat e Rook?
Rick inviò l’ultima e mail che stava scrivendo, chiuse il portatile e lo mise sul tavolino davanti a loro. La prese e la fece sedere sulle sue gambe, appoggiandosi allo schienale del divano e trascinando lei con se.
- Quello che succede tra di noi, rimane tra di noi. Non lo leggerà mai nessuno. È mio e tuo e basta. - Le disse con voce così seria e profonda che Kate trovò estremamente eccitante - Comunque no, stavo rispondendo al mio editore. Mi ha detto che sono in lizza per vincere un premio.
- Che premio?
- Edgar Award, miglior libro giallo dell’anno. Dice anche che sono tra i favoriti per il miglior scrittore.
- Vedo il tuo ego espandersi per tutti gli Hamptons Richard Castle! Sei contento?
- Se vincessi sì, ovviamente però…
- Però?
- Però la cerimonia si è sempre svolta a New York, invece quest’anno hanno deciso di farla a Boston, la città natale di Poe.
- E allora?
- Mi hanno chiesto se posso fare già che vado lì un paio di giorni di promozione del libro e partecipare ad un party.
- Qual è il problema Rick?
- Che non mi va di lasciarti per 3 o 4 giorni. Vieni con me?
- Non credo sia una buona idea. Poi tu sarai impegnato ed io non penso che reggerei il ritmo di stare ai party alle promozioni.
- Mi puoi aspettare in hotel, avrai una suite comodissima e la sera staremo insieme.
A Kate fece tenerezza la richiesta di Rick, per come glielo stava chiedendo e per la richiesta in se. Si strinse a lui, a quell’uomo bambino che la stava facendo diventare matta.
- Ehy è il tuo lavoro, è giusto che tu vada. Saranno pochi giorni, dai…
- Posso sempre dire che vado solo per la cerimonia degli Edgards. In fondo glielo avevo detto che non volevo fare tour promozionali in questo periodo.
- No Rick, è il tuo lavoro. Lo devi fare.
- Non credo che potrei resistere lontano da te per quattro giorni adesso. Impazzirei. - Castle ispirò profondamente il profumo dei capelli di Kate ed appoggiò la sua testa a quella di lei.
- Ehy, Castle, non puoi diventare triste adesso però… - gli sussurrò Kate dolcemente lasciandogli un bacio sul collo proprio sotto l’orecchio.
- Ho bisogno di una dose massiccia di coccole, adesso. - Disse perentorio.
- Va bene scrittore… - Si accoccolarono sul divano e la tv rimase spenta, perché non ne avevano bisogno per passare il tempo.
Quella notte, per la prima volta, andarono a dormire insieme nella loro camera. Non c’erano stati inviti a rimanere o richieste. Era la normalità delle cose.
NOTA: Non ho mai scritto nulla a commento dei vari capitoli, però questa volta mi sento di farlo. Il capitolo precedente e questo sono un po' uno spartiacque nella storia. So che da ora in poi, anche all'interno degli stessi capitoli o tra un capitlo e l'altro, troverete emozioni e pensieri contrastanti da parte dei nostri due protagonisti e questa sarà un po' la cifra più o meno da qui fino alla fine, e questa confusione di pensieri e sentimenti che si mescolano e si alternano non è altro che lo specchio di quello che accade dentro di loro. Spero che sia di vostro gradimento. Spero di riuscire ad aggiornare sempre con la stessa frequenza, perdonatemi se non sempre ci riuscirò.
Vi ringrazio, Elena
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Capitolo 29 *** VENTINOVE ***
Tornò il sereno sugli Hamptons, il giorno dopo, ed i temporali avevano lasciato un aria decisamente più fresca e godibile. Le temperature si erano abbassate di qualche grado e questo faceva sì che stare in spiaggia e in piscina fosse decisamente più invitante. La ritrovata intimità di coppia aveva reso le loro giornate molto più movimentate e sembrava che avessero l'urgenza di recuperare il tempo perso. Non c'era un momento in cui non si cercassero, anche quando erano più distanti. Sdraiati su due lettini separati, a bordo piscina, allungavano la mano per stringersela, ritrovandosi, dopo poco, ad essere abbracciati e stretti sullo stesso. Anche quando nuotavano finivano per abbracciarsi e baciarsi in acqua, sia che si trovassero al mare o in piscina e più di una volta tra le onde dell'oceano avevano dovuto darsi un contegno ricordandosi di essere in un luogo pubblico, sotto gli occhi di tutti. E finivano a ridere di loro stessi e del loro comportamento da diciottenni sopraffatti dai propri ormoni, tra un bacio e l'altro.
Poi arrivava il momento in cui la passione si acquietava, Rick si trovava solo e i suoi pensieri non erano più catalizzati su di lei e si trovava a riflettere. Bastava una piccola cosa per fargli capire che si stava solo autoconvincendo che tutto fosse normale, tutto come prima, ma non era così: una battuta non capita, un gesto d'intesa non corrisposto, un riferimento non colto. Stavano vivendo in una perenne vacanza, mettendo da parte i problemi che avrebbero affrontato una volta tornati a casa.
Evitavano di parlarne ed il più delle volte che cominciavano lui finiva con un "Ci penseremo quando saremo a casa, godiamoci questi giorni".
Aveva paura più lui di lei di tornare a New York, temeva che fuori da quella bolla protettiva degli Hamptons, tutto quello che avevano accantonato li avrebbe investiti ed obbligati a fare i conti con la realtà e non sapeva se erano ancora abbastanza forti da affrontarla, sia singolarmente che come coppia. Avrebbe voluto prolungare quel soggiorno il più possibile, ormai mancavano pochi giorni alla visita di controllo di Kate, la data di scadenza che si erano dati per tornare a casa, ma le avrebbe chiesto se poi sarebbe voluta tornare lì, in fondo potevano rimanere ancora un po', mancava del tempo prima che lui dovesse andare a Boston e quel tempo potevano trascorrerlo lì negli Hamptons, non glielo avrebbe impedito nessuno, se avessero voluto.
Gli serviva ancora tempo per dare basi più solide al loro nuovo essere coppia che, aveva paura una volta al loft, con la presenza di Martha e Alexis, ne avrebbe risentito, perdendo la loro spontaneità in un momento nel quale non sapeva se erano in grado di sostenere la situazione senza generate malumori che potevano degenerare, conoscendo bene i loro caratteri.
Si era reso conto che anche nell’intimità qualcosa era diverso, essendo comunque sempre fantastico. Era come far l’amore con una persona nuova della quale però conosceva alla perfezione ogni desiderio. All’inizio questa cosa la trovava divertente, perfino eccitante, poi però si rese conto che gli mancava qualcosa che non riusciva a compensare nè con l’eccitazione nè con il divertimento: la complicità.
Non era un problema fisico, il sesso con lei era sempre splendido e lui sapeva sempre come farle raggiungere l’apice del desiderio, conosceva a memoria tutti i suoi punti più sensibili che rispondevano ai suoi tocchi facendola vibrare di piacere, un piacere che dalle sue reazioni sembrava addirittura amplificato della gravidanza.
I loro corpi si trovavano e riconoscevano come sempre alla perfezione come se fossero stati fatti per congiungersi in una armonia totale. Kate non era mai stata una timida tra le lenzuola e non lo era nemmeno adesso, così come non lo era lui, anche se doveva stare attento a contenersi per evitare di fare male a lei o al bambino.
Erano i particolari, anche qui, che però Rick non trovava, quel modo in cui gli accarezzava la nuca e stuzzicava l’orecchio, come gli parlava quando, trasportata nel vortice del piacere, lo chiamava e gli diceva quanto lo amasse, quei sorrisi complici che non avevano bisogno di spiegazioni a parole, ma che sapevano esattamente cosa nascondessero e cosa avrebbero fatto, come scherzavano dopo, ogni volta, prima di coccolarsi a vicenda.
Quel tarlo che girava nella sua mente che lei non gli avesse ancora mai detto che lo amava, che non aveva mai nemmeno accennato all'idea di indossare la fede di nuovo si fece sempre più grande e si insinuò prepotentemente, al punto di farlo giungere all'amara conclusione che quello che c'era stato tra loro non era mai stato fare l'amore ma solo sesso.
Sesso splendido e molto soddisfacente, ma solo quello, altrimenti lei glielo avrebbe detto, ma non era stato così.
Ed ecco cosa gli mancava, gli fu infine chiaro e lampante, fare l'amore con sua moglie e questa cosa cominciava a creargli disagio. Si ripeteva che era un discorso stupido, che non poteva pretendere di più adesso e che aveva già tantissimo se ripensava al macigno che lo aveva colpito al risveglio di Kate, ma era un malessere irrazionale che non riusciva a controllare.
Gli mancava la sua voce quando diventava più roca per il piacere che gli diceva "ti amo" mentre lui la faceva sua, e quella che invece glielo diceva dolcemente quasi sussurrandoglielo per invitarlo ad amarla, o quando lo faceva sorridendo ancora stremata dal piacere e rimanevano abbracciati a coccolarsi. Era stato sempre un uomo molto sicuro di se, che non aveva mai bisogno di troppe conferme, anche se al suo immenso ego piaceva essere adulato, ma più passava il tempo più invece gli mancava sentire Kate dirgli quelle due piccole parole che lui le ripeteva sempre: Ti amo.
Non glielo disse e se lo teneva per se. Non voleva caricarla di maggiori preoccupazioni, non voleva che la vedesse come una forzatura che voleva farle, per il timore che questo potesse allontanarla. Faceva finta di nulla, comportandosi come aveva sempre fatto, amandola sempre nello stesso modo, sempre in modi diversi, perché non si stancasse mai di lui e lasciandosi amare, quando voleva essere lei farlo. Nonostante tutta la sua amarezza sopita, non riusciva a fare a meno di lei, in nessun aspetto, nemmeno quello più carnale e questo gli dispiaceva. Con Kate non era mai stato solo sesso. Mai.
E i giorni passavano, conoscendosi e scoprendosi un po’ di più, ma evitando sempre tutto quello che poteva turbare la calma apparente del nuovo equilibrio. Dopo quella breve conversazione mangiando pancakes Castle non le espresse più nessuna sua paura o preoccupazione e Kate non gli chiese più niente, perché era la prima che non avrebbe avuto nessuna riposta a nessuna domanda.
Era l’ultimo sabato sera che avrebbero trascorso agli Hamptons. Il martedì successivo Kate avrebbe dovuto essere in ospedale per le visite di controllo sue e del bambino. Magari, pensava Castle, con un po’ di fortuna avrebbero saputo anche il sesso, ma più di tutto sperava che tutto andasse bene, ne era intimamente convinto, ma aveva bisogno di rassicurazioni, come tutti i padri ansiosi e in lui l’ansia era esponenziale visto tutto quello che avevano passato e che il loro piccolo miracolo era sempre lì, nonostante tutto, ogni giorno un po’ più visibile. Anche Kate negli ultimi giorni aveva cominciato ad agitarsi un po', tanto che Rick le aveva più volte chiesto se si sentisse bene e se volesse anticipare il controllo.
La razionalità di lei vinse sulle preoccupazioni da futura madre e gli disse che non c'era motivo di spostare la visita: Kate capiva che, tra loro, almeno uno dei due doveva cercare di mantenere un briciolo di ragionevolezza e lucidità ed aveva compreso, soprattutto, che non poteva essere Castle a farlo.
Kate credeva, in fondo, che quell’istinto materno, che dicono sia innato in ogni donna che sta per diventare madre, le avrebbe detto se ci fosse stato realmente qualcosa di cui preoccuparsi o che non andava.
Pensava, però, che in lei questo istinto non fosse mai nato e non si era mai sviluppato, visto che inizialmente nemmeno aveva sentito che il suo bambino stava vivendo in lei e che dopo, per molto tempo, tendeva quasi a dimenticarsene, se non fosse stato per quei sintomi fastidiosi: non si dava come attenuante nemmeno la sua situazione. Si condannava senza appello, si era già arrestata, sbattuta nella sala interrogatori e imposta di confessare tutto davanti al suo stesso sguardo tagliente che la incalzava. Sì, lo aveva confessato a se stessa, era colpevole di tutto e meritava di stare in ansia anche solo per aver pensato che poteva disfarsene, ora che quel pensiero le faceva chiudere le stomaco tanto le faceva male. Era già il suo piccolo Castle avvolto nella copertina bianca con l’elefantino, con i capelli uguali a quelli del padre e le stesse facce buffe, il bambino che mangiava il gelato al cioccolato con tanta panna sporcandosi tutto.
Era così presente nella sua mente adesso e così reale che se ci pensava ancora un po’ si sarebbe anche arrestata per tentato omicidio anche se era stato solo un breve pensiero, tanto bastava, per lei, per giudicarsi colpevole. E meritava di stare in ansia.
Ma quando era sola, sempre più spesso, invece, aveva cominciato a parlargli, come a volergli chiedere scusa per la situazione in cui si sarebbe trovato per causa sua, perché era quasi morto prima ancora che loro sapessero che esisteva, per non averlo considerato o amato dal primo istante come avrebbe meritato. Si scusava se in futuro non sarebbe stata una buona madre per lui e gli chiedeva di perdonarla per tutti gli errori che avrebbe commesso ed era certa che sarebbero stati tanti. Però voleva anche fargli capire che lo amava ed avrebbe fatto di tutto da ora in avanti per proteggerlo, per sempre. Non le importava se non ricordava perché lui era lì, ma c’era ed era diventato la cosa più importante ed almeno su questo avrebbe dovuto crederle e cercare di essere lui un po’ più indulgente con lei di quanto non lo fosse lei stessa.
In quell’ultimo sabato, che era anche il primo sabato di agosto, Rick ricevette un invito per andare ad un party nella villa di Howard Stern. Ci sarebbe stato tutto il jet set newyorkese e non solo, visto che negli ultimi giorni gli Hamptons si erano riempiti di tutti i vip in villeggiatura. Con grande stupore di Castle, Kate gli aveva detto semplicemente “Andiamo!” quando le leggeva l’invito.
Le chiese più volte se fosse sicura, accertandosi che non lo facesse solo per assecondarlo, perchè lui sarebbe stato benissimo anche solo a casa con lei.
Ne era sicura, voleva una serata diversa, in fondo le attenzioni non sarebbero state mica tutte su di loro con tutte le altre celebrità invitate. Con lei c'era Castle, si sarebbe divertita con lui, ovunque, anche in un contesto completamente diverso da quelli che era solita frequentare. Quell'ambiente, invece, era l'habitat naturale per Richard Castle, almeno di quel Richard Castle che era nei suoi ricordi, che usciva da una festa all'altra con il suo sorriso smagliante ed una donna diversa ogni sera sottobraccio. Una smorfia disgustata si disegnò sul suo volto.
>Lo guardò attentamente quella sera mentre si preparava. Come aveva scelto i vestiti, l'elegante completo nero con la camicia bianca indossata lasciando aperti i primi due bottoni così era più informale, come si sistemava i capelli ed ciuffo e si metteva quel profumo che le piaceva tanto. La barba no, non l'aveva fatta. L'aveva lasciata un po' incolta, glielo aveva chiesto lei. Gli piaceva così, meno perfetto, e lui l'aveva accontentata.
Lo aveva abbracciato stretto ancora in lingerie prima di andarsi a vestire e truccare, non ricordava nemmeno quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che lo aveva fatto.
Non riusciva a dirgli molto a parole, però con i gesti cercava di fargli capire quanto ci tenesse a lui.
- Beckett se mi abbracci così non andremo a nessun party! - sorrise lui nell'accarezzare la sua schiena nuda e lei dopo avergli strappato un bacio andò in bagno a prepararsi.
Quando Kate lo raggiunse al piano inferiore, la prima cosa che Rick notò, mentre lei ancora scendeva le scale, erano le scarpe nere con quei tacchi vertiginosi. Chiuse gli occhi, deglutendo a fatica nella gola diventata improvvisamente secca. Alzò lo sguardo percorrendo il corpo di Kate, le lunghe gambe lasciate scoperte da un abito nero molto corto, con una scollatura a V che metteva in risalto il suo décolleté più florido, raccolto più stretto sotto il seno da un motivo in cristalli lucenti e che scendeva poi morbido fino a metà coscia, nascondendo appena la rotondità del ventre.
Aveva lasciato i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle ed il trucco leggero esaltava i lineamenti resi più dolci dalla gravidanza. Le andò incontro, trovandola con i tacchi, di nuovo a quell'altezza a cui era abituato.
- Sei splendida Kate! - E lei si imbarazzò, come sempre, ogni volta che riceveva i suoi complimenti.
Arrivati alla villa c’erano molti più fotografi ad attenderli di quanti Kate si immaginasse e una volta scesi dall'auto tutti le chiedevano di voltarsi e salutare. Rick la prese sottobraccio, sfoggiò il suo miglior sorriso, le diede un bacio sulla guancia prontamente immortalato dai presenti e poi si diressero all'interno. Cibo, alcool e musica scorrevano in quantità tra l'immenso salone ed il giardino intorno alla piscina. Rick, sempre tenendo Kate vicino a se, andò a salutare il giudice Markway che parlava con il suo amico, il sindaco Weldon.
- Bob, Theo, è un piacere trovarvi qui.
- Ricky, finalmente hai portato la tua signora a respirare un po' di ambiente mondano degli Hamptons! Capitano Beckett, è splendida come sempre, anzi ancora di più!
Le sembrava così strano che il giudice Markway al quale si ricordava di essersi rivolta solo per ricevere qualche mandato firmato la trattasse così familiarmente, ma fece finta di nulla ringraziando e salutando.
- Allora Richard, pensi che stiamo parlando con una futura senatrice? Perché in quel caso poi sarò io a chiederti di sdebitarti per quel favore che mi pare porterà presto dei bellissimi frutti! - disse il sindaco Weldon ridendo e provocando non poco imbarazzo in Kate.
- Bob, credevo di essermi già sdebitato lasciandoti vincere a poker almeno 3 volte! E non sono sicuro che per Beckett, almeno all'inizio, sia stato un grande favore avermi intorno, anzi credo che se avesse potuto ti avrebbe sparato dopo averlo fatto a me!
- A te sicuro Castle! Ma forse il sindaco non sapeva quanto potevi essere assillante, altrimenti non ti avrebbe mai sostenuto! - Kate cercava di essere più sciolta riprendendo la sua consueta sicurezza di se stessa che aveva sempre avuto. Risero tutti, ma Weldon non lasciò cadere il discorso sulla sua possibile candidatura.
- Allora Kate, cosa pensa di fare? Accetterà questa volta la corte serrata del partito per candidarsi?
- Sindaco, ancora nessuno mi ha corteggiato...
- A parte me ovviamente, io lo faccio sempre! - intervenne Castle dando un bacio sulla guancia di sua moglie
- ... Comunque - riprese Kate - quando e se sarà il momento vedremo. Per adesso voglio solo pensare a quello che accadrà da qui a pochi mesi, più importante di qualsiasi candidatura e poltrona. - disse portandosi una mano sul ventre
- Ma certo Kate, ovviamente, anzi le mie più sentite congratulazioni. Ma si ricordi che hanno molta stima di lei e non sono solo chiacchiere quelle che stanno facendo. Lei sarebbe una figura di rottura nella politica del nostro paese ed è quello di cui ora in molti pensano ci sia bisogno.
L'attenzione di Markway e Weldon fu poi attirata da un altro gruppo di persone che li salutava. Si congedarono raccomandando ancora a Kate di pensarci seriamente.
- Sembra che mi vogliano proprio senatrice i tuoi amici! - sorrise Kate
- Fosse per me ti vorrei anche presidente - le rispose Castle baciandola di nuovo.
C'erano anche i colleghi di Castle Conelly e Patterson, la giovane Veronica Roth e Cassandra Clare. Kate si guardò intorno, poi, stupita nel vedere tanti protagonisti dello showbiz passarle intorno, gente che ricordava di aver visto solo in tv o sui giornali.
- Tutto bene Kate? - le chiese Rick vedendola guardarsi intorno con aria a tratti un po' spaesata mentre lui salutava calorosamente tutti, presentandola ai vari ospiti.
- Sì, è che è ancora tutto così strano...
La fece poi accomodare su uno dei divani all'aperto vicino ad un tavolino basso dove appoggiò dei drink analcolici per entrambi, lei non poteva bere e lui doveva guidare, mentre andava a prendere dal buffet qualcosa per mangiare, mentre lei si sarebbe potuta riposare un po'.
Apprezzava la lounge music di sottofondo e le luci non troppo forti era, tutto sommato, un ambiente piacevole, con invitati eterogenei, anche se alcuni fin troppo esibizionisti, soprattutto molte donne più o meno famose che mettevano in mostra le loro grazie.
- Detective Beckett! - Si sentì chiamare da una donna vestita di rosso in un vestito troppo stretto che strizzava oltremodo le sue curve. Kate la guardò cercando di capire chi fosse e perchè la conoscesse, ma l’unica cosa che poteva notare era l’eccessivo uso di botox che alterava i lineamenti. Era un volto conosciuto, sicuramente, ma non riusciva a capire dove l’avesse vista.
- Detective, non si ricorda di me? Kristina Coterra ci siamo conosciute qualche anno fa a casa di Richard…
Kate annuì rimanendo sul vago.
- È riuscita ad accaparrarsi uno dei migliori partiti di New York! Ci hanno provato in tante a mettere un guinzaglio a Richard Castle! Me lo ricordo ancora quella sera quando ci ha interrotti sul suo divano proprio mentre noi stavamo per… mi capisce no? Che situazione imbarazzante! Chi lo avrebbe detto che poi lo avrebbe sedotto proprio lei!
Beckett cominciava a provare una strana sensazione di fastidio ad immaginarsi quella donna addosso a Rick e quella sua risata acidula e quel tono fintamente amichevole la irritavano profondamente.
Fortunatamente ad interrompere quella conversazione arrivò proprio Castle, con due piatti pieni di cose sfiziose e quando vide la Coterra seduta vicino a Kate, accelerò il passo. Fece in modo di congedare rapidamente la donna, facendole capire educatamente che la sua presenza non era gradita e si sedette al suo posto, vicino a Kate. Le passò un braccio intorno alle spalle avvicinandola a se. Kate si spostò ancora infastidita dalle sensazioni che le aveva lasciato quella breve conversazione con la donna.
- Che c’è Beckett?
- Quando è che ci ha provato con te quella?
- Eh? - Castle preso in contropiede da quella domanda così diretta di Kate prese tempo
- Mi ha detto che io vi ho interrotto a casa tua.
- Ah… te l’ha detto…
- Quindi?
- Poco dopo che stavamo insieme. Ma… ma… fammi spiegare. - Disse prima che lei si alterasse ancora di più - Non dovevamo dire a nessuno che stavamo insieme, eri d’accordo anche tu su questo, dovevamo far finta di essere single! Lei mi ha invitato a cena in diretta tv, ho dovuto accettare, poi si è presentata da me e mi è letteralmente saltata addosso! Ma ti assicuro che non ho fatto nulla e che mi hai già punito prima e perdonato poi per questo!
Kate rise per quelle scuse così particolari di Castle.
- Rick, pensavo che avessi più buongusto che uscire con Madame Botox!
- Ma io volevo uscire solo con te, il mio buongusto è salvo! Non sarai mica arrabbiata?
- No…
- Sicura?
- Sì… Forse… - Kate si morse il labbro guardando Rick e avvicinandosi di nuovo a lui.
- Forse? - Chiese curioso
- Forse un po’ gelosa. - Lo baciò dolcemente a lungo e poi appoggiò la testa sulla spalla di lui incurante di qualche flash di troppo
- Questo mi piace Beckett. Mi piace molto.
Mangiarono, brindarono con due dita di champagne e ballarono qualche lento a bordo piscina. Per essere la loro prima uscita mondana era andata decisamene bene.
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Capitolo 30 *** TRENTA ***
Mangiarono, brindarono con due dita di champagne e ballarono qualche lento a bordo piscina. Per essere la loro prima uscita mondana era andata decisamene bene.
Tornarono alla villa decisamente sorridenti, dopo essersi concessi ancora una volta ai fotografi mentre aspettavano che il parcheggiatore andasse a riprendere la loro auto dal parcheggio dietro la villa. Per tutto il breve viaggio di ritorno Castle non potè non voltarsi a guardare le lunghe gambe di Kate scoperte sempre di più dal visto che era risalito, accarezzandole in modo molto poco casto. Ripensava agli sguardi di quegli uomini che osservavano sua moglie ai quali lei non aveva fatto caso ma che a lui non erano sfuggiti: lei nella sua semplice bellezza, che niente aveva da invidiare ad attrici e modelle, con quel carico di seducente sensualità fiera che non ostentava, ma era naturale in lei e quella camminata sicura che la faceva ancheggiare appena, senza essere mai volgare, sui tacchi vertiginosi, che slanciavano ancora di più quelle gambe per le quali avrebbero fatto follie anche le top model più quotate. Si sentiva un privilegiato a sapere che quelle gambe erano quelle che si intrecciavano con le sue ogni notte, che circondavano i suoi fianchi quando facevano l’amore, ma si sentì anche tremendamente geloso quando intravide qualche gesto non troppo elegante a commento di sguardi invadenti e sorrisi lascivi da parte di un paio di ragazzi mentre stavano ballando ed in quel momento rivalutò l’usanza del delitto d’onore ed anche quella del burqa. Non glielo avrebbe mai detto.
Parcheggiò davanti all’entrata di casa e una volta dentro ebbero solo modo di chiudere la porta prima di cercarsi di nuovo con mani vogliose. Non fecero in tempo a salire le scale e ad arrivare in camera, a mala pena raggiunsero il salotto disseminando i loro vestiti che andavano a completare l’arredo di quella casa, sparpagliati per terra o casualmente su qualche mobile. Avevano uguale urgenza in quel momento di amarsi ma ancora di più di appartenersi e così si amarono: intensamente e freneticamente, stringendosi fino quasi a farsi male, nella necessità di aversi fino in fondo.
Kate si alzò con ancora i segni della passione appena consumata addosso. Le sembrava di vedere la sua pelle ancora modellata dalle mani e dal corpo di Rick e di sentire le sue labbra umide che le percorrevano la pelle. Invece lui era lì, che la guardava mentre lei velocemente recuperò gli slip, indossò la camicia di Castle, in un gesto che ormai le veniva naturale ed uscì a passo veloce dalla villa, attraversando la veranda.
Rick rimase interdetto. Era stupito e non capiva. Pochi istanti prima era lì, tra le sue braccia e dopo si era allontanata senza nessun motivo. Ripensava agli ultimi momenti trascorsi insieme, se avesse fatto o detto qualcosa di sbagliato, ma no, era stato tutto come sempre, bello e intenso, anzi aveva anche sentito una Kate diversa, più emotivamente coinvolta e quello che gli aveva detto un attimo prima che l’acme del piacere arrivasse a portarla via rimbombava ancora nella mente di lui tanto da fargli male: “Sei solo mio Castle”. Non sapeva che era stato proprio questo a spingere Beckett ad allontanarsi prima di cedere, di ammettere quello che non voleva dire, quello che non voleva palesare a se stessa ad alta voce. Pensava di essere una stupida e mentre correva verso il mare gli occhi erano carichi di lacrime di rabbia verso se stessa. Cosa le sarebbe costato, in realtà lasciarsi andare a quei sentimenti che ogni volta erano più prepotenti e che era sempre più difficile trattenere? Ne aveva avuto una prova con quella frase uscita per sbaglio nel momento in cui tutte le sue difese erano abbassate, quando la frase di quella donna al party le era tornata alla mente e con quella l’immagine di lui che stringeva qualcuna che non era lei. E non l’aveva sopportata e glielo aveva detto: era solo suo, però non aveva il coraggio di dire a se stessa e di dire a lui che lo amava, ma non era già quella un’ammissione? Non sarebbe forse stato bellissimo anche per lei riuscire ad essere se stessa, felice, libera di amare quell’uomo che la amava così tanto e del quale non riusciva più a fare a meno? Aveva paura di quel sentimento che in così poco tempo si era impossessato di lei come mai le era successo, che non riusciva a controllare come aveva sempre fatto in ogni sua storia, forse perché, in realtà, non aveva mai amato veramente. Ora era diverso, sentiva un legame con Castle che andava al di là del puro aspetto fisico che era stata solo l’ultima molla che aveva fatto scattare la serratura del suo cuore, che forse però era già aperta, perché altrimenti non sarebbe arrivata tanto in là con lui. Non era sesso, come lui le aveva pregato di dirgli fin da subito ma lei non aveva trovato le parole per spiegare cosa fosse, perché l’unica che poteva spiegarlo non la voleva usare: amore.
Kate aveva paura, una paura irrazionale che non riusciva a controllare, la paura che tutto svanisse, la paura che la attanagliava in continuazione e non le permetteva di vivere liberamente. Quella paura che la faceva mentire, agli altri e a se stessa, che si illudeva la tenesse al sicuro anche al prezzo di ferire chi gli stava intorno e se stessa. Cosa le sarebbe costato si ripeteva e si rispondeva da sola: tutto.
Non era solo il suo amore a farle paura, era anche quello di Castle, che era sempre stato così totale e sincero. Quell’amore che di solito descrivono nei libri e nelle canzoni, che si vedono nei film, che aveva sempre pensato non esistere e se mai fosse esistito non avrebbe di certo toccati a lei, che non sarebbe mai stata l’oggetto di qualcosa così, non lo avrebbe permesso a nessuno di innamorarsi di lei a tal punto, nè lo avrebbe fatto lei stessa. Illusa ed ingenua. Come si poteva sopravvivere se si perdeva qualcosa del genere? A cosa ci si aggrappava? Poteva essere stata tanto fragile da lasciarsi andare fino a questo punto, a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lei se non avesse avuto più qualcuno a cui affidarsi, lei che per anni aveva solo pensato a costruire un muro dietro il quale ripararsi per non soffrire più?
Si stringeva nella camicia di Castle, respirando nel colletto largo il suo profumo dove era più intenso e si illudeva di essere nel suo abbraccio, ma le mancava il calore. Più si allontanava da lui, più la sua mente lo cercava, più gli era vicino più gli diceva di allontanarsi per non farsi del male. Non aveva messo in conto l’amore. O meglio, non aveva messo in conto che l’amore potesse essere una cosa così e che potesse essere altrettanto grande la paura di perdere tutto, che tutto svanisse, come i suoi ricordi, con i suoi ricordi, o per colpa dei suoi ricordi se fossero ritornati. Dovunque guardava non vedeva via d’uscita, era in un labirinto sigillato ed ogni strada era sbagliata. Voleva essere se stessa e non sapeva più chi era, non sapeva cosa fosse meglio fare, non sapeva andare avanti o tornare indietro ed anche stare ferma le sembrava sbagliato.
Castle la raggiunse con il fiatone, qualche minuto dopo. Lei era in piedi in riva al mare con i piedi lambiti della acque fredde della notte: c’era solo la luna piena che si rifletteva nell’oceano ad illuminarla e le luci in lontananza della villa. Era arrabbiato e amareggiato. Kate si accorse di lui, dal suo respiro pesante alle sue spalle e dal suo profumo ora diventato più forte. Il vento le agitava i capelli come fossero una bandiera che sventolava fiera e quando alzò la testa al cielo, lasciò che quello stesso vento trascinasse una lacrima lungo il suo viso.
Lei solo con addosso la sua camicia, lui solo con i pantaloni, erano complementari anche in questo.
- Penso di meritare almeno una spiegazione, che ne dici Kate? Cosa ti ho fatto? Perché sei corsa via? - Il tono aspro di Rick la colpì come una frustata. Lei continuava a guardare in alto, nella parte di cielo più buia dove non c’era nemmeno la luna. Meritava molto di più di una spiegazione e lei lo sapeva bene.
- Kate! Rispondimi maledizione! Cosa è successo?
Castle aveva temuto per un attimo che avesse avuto qualche altro ricordo, una crisi di panico. Ci poteva essere qualche cosa che era successa in quegli anni che lui non sapeva e che aveva risvegliato in lei qualche brutto ricordo a lui sconosciuto? Qualche esperienza negativa di cui non le aveva mai parlato, magari con qualche altro uomo o peggio… No, no mandò mandò via quei pensieri dalla sua mente, era impossibile, lo avrebbe capito se fosse successo qualcosa del genere, non glielo avrebbe tenuto nascosto, non dopo, non per tutti quegli anni.
La postura del suo corpo non era però quella di quando aveva avuto attacchi di panico, si rannicchiava su se stessa, cercava conforto diventando piccola piccola e non scappava via, ma si paralizzava. Lì, invece, vedendola di spalle con le braccia chiaramente intrecciate davanti, la testa alta a sfidare il vento era regale nella sua sagoma stagliata nel nero della notte, con quei raggi di luna che la facevano risaltare appena tra il mare e la sabbia. Era stata una reazione diversa, una fuga vera e propria da lui, anzi da loro.
Non gli rispose. Il silenzio tra loro era interrotto solo dallo sciabordio delle onde. E nei momenti in cui le onde si ritraevano verso il mare, quando c’era più silenzio, Kate sentiva distintamente il respiro spezzato di Castle dietro di sé. Avrebbe preferito sentirlo arrabbiarsi, ma non reagire così. Si voltò a testa bassa: non resisteva più nella lotta contro se stessa che faceva male ad entrambi ma si vergognava tremendamente per quella stupida fuga. Provò ad avvicinarsi ma lui si ritrasse.
- No Kate. Voglio delle risposte. Le voglio adesso.
Alzò lo sguardo a cercare i suoi occhi, brillavano ma non era desiderio, non era passione. Erano le piccole lacrime che stava cercando di ricacciare indietro, per farle affogare nel mare blu dei suoi occhi, per non dargliela vinta, per non mostrarsi debole, perché lui doveva essere forte. Erano lacrime come le sue che invece le bagnavano il viso, incuranti loro di essere viste, incurante lei di apparire forte.
- Perché piangi Kate? - Le sembrò che il suo tono si fosse già addolcito. Si sentì ancora peggio pensando che bastava così poco per fargli cambiare atteggiamento.
- Ho paura. - La risposta fu sincera ma troppo sintetica per racchiudere tutto quello che aveva dentro.
- Di cosa hai paura? Di me?
- No, non di te. Ti tutto. Anche di noi.
- Non ti capisco Kate. Perchè hai paura di noi?
- Non lo so… - In realtà lo sapeva ma non riusciva a spiegarlo, perché avrebbe voluto dire scoprire tutte le sue carte e non si sentiva pronta. Provò ad avvicinarsi di nuovo e questa volta non la respinse. Appoggiò la testa sul suo petto e lo sentì gelido, sferzato dal vento notturno dell’oceano. Si era appoggiata lì, proprio sopra il suo cuore. Lo sentiva battere veloce, rabbioso, dentro al petto. Era lei la causa di quel tumulto e se ne dispiaceva. Avrebbe voluto parlare a quel cuore, senza che Castle sentisse, chiedergli scusa e ancora del tempo per essere pronta a prendersi cura di lui. Accostò la mano sinistra dall’altra parte del suo petto e non era abituata a sentirlo così freddo, ma Rick sembrava non curarsene. Kate lo sentì poi irrigidirsi.
- Hai freddo? - Gli chiese sentendosi in colpa ritraendosi da lui. Era lei che era uscita con la sua camicia.
- Sì, dentro. - Rispose lui più sferzante del vento. - Io vado a casa.
Non le disse altro, si girò e lo vide allontanarsi nella notte, fino a quando si confuse con il buio che lo avvolgeva.
Le aveva lasciata accesa la luce della veranda. Quando lei entrò, però, la casa era immersa nel buio e nel silenzio. Si aspettava di trovarlo lì, seduto su quel divano dove lo aveva lasciato, come se il tempo in quella notte si fosse fermato, se lei non fosse corsa via e lui avesse ancora il suo sapore sulle labbra da baciare.
Invece lui non c’era e l’unica sua traccia era la luce lampeggiante del notebook lasciato in carica. Non c’era più nemmeno il resto dei loro vestiti sparsi a terra lì dove la passione li aveva trasportati, né quelle scarpe col tacco altissimo che lo avevano fatto impazzire. Aveva cancellato tutte le prove di quello che avevano fatto lì poco prima, non c’era più traccia di quanto era stato, almeno non nell’apparenza esteriore della casa, ma se lei chiudeva gli occhi gli sembrava di sentire ancora i gemiti e i sospiri ed il profumo di loro.
Salì silenziosamente le scale ed arrivò davanti alla porta di camera. Era socchiusa. Voleva entrare ma temeva che fosse vuota, di non trovarlo lì e non sapeva come avrebbe reagito. La scostò appena ed il profumo di lui le arrivò ancora prima di vederlo. Andò in bagno cercando di fare il meno rumore possibile, per togliersi dai piedi la sabbia e il sale. Si soffermò invece a guardarsi allo specchio. Ancora, alcune volte, si prendeva alla sprovvista da sola e faticava a riconoscersi nei lineamenti di quella donna che era. Si tolse la camicia e sul letto trovò la maglietta che aveva lasciato prima di uscire. Sapeva di buono, sapeva di Castle.
Si sdraiò e nonostante la sua presenza sentì il letto incredibilmente vuoto. Rick non invadeva tutto il suo spazio come faceva di solito, standole vicino, ma era disteso di fianco nel nel lato più lontano e Kate si domandava come facesse uno della sua stazza ad occupare così poco spazio. Pensò di avvicinarsi a lui di accucciarsi addosso alla sua schiena per respirare il suo profumo direttamente dalla fonte, ma non lo fece. Evidentemente voleva che tra loro ci fosse una certa distanza e lo rispettò. Si voltò dalla sua parte per vedere le sue spalle alzarsi in quel movimento impercettibile e costante assecondando il respiro. Si addormentò così e fu convinta di aver dormito molto quando aprì di nuovo gli occhi, ma in realtà non erano passare che un paio d’ore. Era ancora notte, nemmeno rischiarata dal primo bagliore dell’alba. Si voltò per cercare Castle ma lui non c’era. Si tirò su, impossibilitata in quel momento a dormire oltre. Sentiva la testa che le faceva male, pulsante, come dopo una sbronza. Non erano stata di certo colpa delle due dita di champagne a ridurla così. Corse in bagno e vomitò tutto quello che aveva mangiato la sera precedente. Non le sembrò di stare meglio. Aveva ancora quella fitta allo stomaco e quel senso di nausea persistente. Non era il cibo a procurarglielo, era se stessa. “Kate, pensa al bambino, non ti fa bene stare così”. Se lo ripeteva mentalmente, mentre continuava a scusarsi con lui per non essere quella buona madre che avrebbe dovuto essere, che si doveva preoccupare solo di star bene, rilassata ed il suo unico pensiero doveva essere quello di trovargli un nome. Non ci aveva nemmeno mai pensato.
Si sciacquò il viso e si lavò i denti. Si sciacquò il viso ancora, sperando di togliersi quella patina di dolore dal volto. Non servì, però almeno adesso con l’acqua fredda era perfettamente sveglia, nonostante avesse dormito quasi nulla.
Vide la porta della camera dove aveva dormito Rick quando erano arrivati lì. Era chiusa. Si domandò se lui fosse lì dentro, se se ne era andato quando si era accorto della sua presenza. Non voleva saperlo.
Scese al piano inferiore, voleva farsi qualcosa di caldo, magari avrebbe calmato un po’ il suo stomaco.
Fu attirata, però, dalla luce soffusa della sala: Castle era lì, addormentato con il computer aperto sulle gambe. Si avvicinò e prese il notebook per appoggiarlo sul tavolo, ma spostandolo disattivò lo stand by e apparve un documento di testo scritto fitto fitto. Era il nuovo libro che stava scrivendo. Non resistette alla curiosità, si sedette e cominciò a leggere quelle ultime pagine. Quelle descritte, però, non erano scene d’azione. Non si parlava di intrighi e omicidi. Lesse freneticamente di come Nikki stava lasciando Rook, per il suo bene, perchè seguirla sarebbe stato troppo pericoloso, di come era decisa e ferma, di come non lasciava apparire il suo conflitto interiore nel separarsi da quell’uomo che amava a tal punto che per vederlo al sicuro, preferiva saperlo lontano da lei, che non lo avrebbe mai potuto amare come meritava e non avrebbe mai potuto tenerlo al sicuro dopo quello che era successo. Lesse di tutto il dolore dell’uomo lasciato solo di come non riusciva ad accettare quella decisione e di come non si voleva dare per vinto davanti alla scelta unilaterale di lei, ma allo stesso tempo di come fosse stanco di combattere per lei. Lesse il dolore di Rook per l’abbandono e ci vide il dolore di Castle.
- Cosa stai facendo? - La voce di lui la destò dalla lettura e chiuse immediatamente il computer.
- Io… scusami, non volevo… lo stavo spostando, si è acceso…
- E non hai resistito dal leggere quello che stavo scrivendo. - Completò amaramente la sua frase. Non era la stessa cosa adesso.
Annuì mentre appoggiava l’apparecchio sull’angolo più lontano del divano. Si vergognava tremendamente di essere stata beccata con le mani nella marmellata. Non provava queste sensazioni da quanto? Più o meno da quando suo padre non l’aveva beccata a rientrare a casa ben oltre l’orario concordato e con una gonna molto più corta di quella indossata quando era uscita, ed aveva forse sedici anni.
Rick si stropicciò gli occhi e poi si passò nervosamente le mani nei capelli. Andò in cucina, lasciandola lì a testa bassa incapace di dire nulla.
- Tieni, bevi… Ti farà bene qualcosa di caldo. - Aveva una tazza sotto il naso e la mano di Castle che gliela porgeva, lasciandogli il manico per poterla prendere senza scottarsi. Era del tè verde. Era sempre lui, quello che sapeva di cosa aveva bisogno senza che glielo chiedesse.
- Grazie. - Prese la tazza e se la portò alle labbra prendendone appena un sorso. Era molto dolce, proprio come lo avrebbe voluto, ma non aveva dubbi che fosse così. Si era seduto di nuovo anche lui, aveva appoggiato la sua tazza sul tavolo davanti a loro.
- Sei stanco anche tu Rick? - Kate ruppe il silenzio che era sceso tra loro di nuovo.
- Ho solo un po' sonno, non ho dormito molto. E anche tu dovresti dormire di più.
- Non importa adesso e non parlavo di me, mi chiedevo se fossi stanco come Rook.
- Rook è stanco? - Non ricordava nemmeno cosa avesse scritto prima di addormentarsi.
- Sì, di combattere per loro.
- Ti preoccupa questo? Perché?
- Eri distante, mi sono svegliata e non c'eri. Pensavo che...
- Non sono io quello che sono scappato fuori di casa dopo che abbiamo fatto cosa Kate? L'amore, sesso, una scopata, una botta e via? Non lo so nemmeno io. Potevi lasciarmi i soldi sul tavolo già che c'eri prima di uscire.
Avrebbe preferito sentirlo urlare e sfogarsi e invece Castle diceva tutto quanto con un tono estremamente calmo e tranquillo. Fin troppo.
Era così che si era sentito? Usato? Non aveva capito nulla di quel fiume di emozioni che scorrevano dentro di lei, di quanto fosse lontano dalla realtà. Kate pensò che, rapito dal piacere, non aveva nemmeno sentito quella frase uscita senza permesso. Appoggiò la tazza anche lei sul tavolo, si alzò di scatto e corse verso il bagno. Era ancora piegata sul water e non si accorse che lui era dietro di lei fino a quando non sentì le sue mani sorreggerla e spostarle i capelli. Era solo in preda agli spasmi, il suo stomaco era vuoto. Si alzò bruscamente, si sciacquò il viso ed uscì. Non meritava il suo sostegno nè la sua compassione. Cominciava appena ad albeggiare e Kate era davanti alla finestra della vetrata. Il mondo ricominciava a prendere colore, l’oscurità stava abbandonando i contorni degli alberi e si cominciava a distinguere lo il mare dal cielo. Lei, invece, si sentiva sempre avvolta dalle sue tenebre, quelle che generavano paure che rendevano il suo comportamento irragionevole e contraddittorio ne pienamente consapevole.
- Dovresti stenderti un po’. Hai preso freddo prima.
- Sto bene Rick. Non ti preoccupare.
- Come faccio a non preoccuparmi Kate?
Sospirarono entrambi. Era una situazione surreale.
Stavano male tutti e due e tutti e due si preoccupavano di come stesse l’altro, ma non si parlavano e non sfogavano quello che avevano dentro. Erano in una situazione di stallo dalla quale non sapevano come uscire.
Rick pensava che i problemi li avrebbero investiti una volta tornati a New York, invece erano arrivati ben prima, senza che capisse perché, quali erano le paure di Kate che non riusciva a confessarle.
Tornò a sedersi lasciandola lì in piedi a guardare fuori la notte che lasciava il passo al giorno. Si strinse le tempie con le mani. Pensava al tempo trascorso da quando erano arrivati lì. Aveva sperato che la memoria di Kate fosse riaffiorata più rapidamente, invece a parte qualche raro flash non avevano fatto alcun passo avanti. Alcune volte si dimenticava quanto doveva essere difficile per lei vivere così, pensava a quanto invece era andato avanti il loro rapporto in così poco tempo, era convinto che questo fosse perché nel suo inconscio il ricordo di loro doveva essere ancora presente, altrimenti Katherine Beckett non si sarebbe mai esposta così tanto in così poco tempo. Non era come prima, non gli aveva mai detto che l’amava, però aveva fatto tanto altro, non lo poteva negare. Gli era piaciuto la sera prima vederla gelosa di lui e così possessiva mentre facevano l’amore, gli piaceva ancora pensare che fosse quello, anche se a lei aveva detto cose delle quali ora si stava pentendo.
Avrebbero dovuto forse fare un passo indietro e venirsi incontro di nuovo, glielo doveva dire. Ricominciare a camminare passo dopo passo insieme. Si era illuso che tutto fosse più semplice che il sesso avrebbe coperto quelle mancanze che sentiva, invece le aveva amplificate ed anche in lei aveva provocato qualche emozione che l’aveva turbata.
- Kate… Credo che noi dovremmo fare un passo indietro.
Lei si voltò a guardarlo. La stava lasciando? Tecnicamente loro erano sposati, ma adesso cosa poteva dire che erano, due che stavano insieme?
- Mi stai lasciando? - Glielo chiese con voce atona, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
- Io cosa? No! Kate! No! - Rick fu colto alla sprovvista da quella domanda, come poteva pensarlo? Non aveva capito nulla di lui allora!
- Allora cosa vuol dire fare un passo indietro?
- Vuol dire non correre, almeno per me. Non pensare che sia tutto apposto, perché non lo è. Vuol dire che ci sono ancora molti problemi e forse sarebbe meglio parlarne, perché c’è qualcosa che ti fa stare male e ti turba e se non la risolvi non andremo mai avanti ed io vorrei invece andare ancora molto avanti con te, perché se penso al mio futuro non c’è un’immagine dove tu non ci sei.
Kate tornò a guardare fuori. Non sapeva se quelle parole l’avevano rassicurata oppure no. Castle era tutto quello che aveva nella sua nuova vita, senza di lui non avrebbe avuto niente eppure avere tutto la spaventava in ugual modo.
- Pensi che ce la faremo Rick?
- Ce la dobbiamo fare Kate. Non solo per noi.
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Capitolo 31 *** TRENTUNO ***
- Pensi che ce la faremo Rick?
- Ce la dobbiamo fare Kate. Non solo per noi.
Quello che era nato sarebbe stato, secondo i loro programmi, l’ultimo giorno da trascorrere negli Hamptons. Il giorno dopo sarebbero tornati a New York, di lunedì, per evitare il traffico più intenso del fine week end.
Kate era salita in camera, aveva aperto l’armadio, guardava i suoi vestiti e la valigia sul letto. Dopo quanto accaduto ieri sera, fare i bagagli le sembrava ancora più difficile. Prese il vestito nero che Castle aveva ripiegato e appoggiato sulla sedia e lo mise dentro la valigia. Amava la cura con la quale lui trattava tutto di lei, anche le sue cose, anche un vestito abbandonato per terra e ripiegato con cura.
Quella notte era rimasta a guardare fuori dalla veranda fino a quando il sole non era sorto. Non aveva più dormito e nemmeno Rick che era rimasto a guardarla seduto nel divano. Non aveva mai sentito così tanta distanza tra loro ed era lei che non riusciva a fare nessun passo per accorciarla.
Esausta di stare in piedi si mise a sedere anche lei sul divano, dalla parte opposta di dove era lui. Bevve un po’ di quel tè ormai freddo, così come fece anche lui, non sapeva se per vera voglia di farlo o per imitare il suo gesto.
- Un tempo all’alba bevevamo caffè con altissimo contenuto di caffeina. - Sorrise Rick guardando la bevanda chiara dal gusto delicato ormai fredda.
- Non mi ci far pensare. Non so che darei per un caffè bollente. - Kate aveva l’acquolina in bocca al solo pensiero chiuse gli occhi e si morse il labbro sospirando.
Castle le fece il primo sorriso dalla sera precedente ed andò in cucina. Lo sentì armeggiare un po’ e poi l’aroma pungente del caffè arrivare piano piano a stuzzicarle le papille gustative. Era una mossa scorretta, pensò. Si era andato a fare un caffè proprio quando lei gli aveva detto che ne aveva voglia.
Tornò, invece con due tazze.
- Non decaffeinato. Per una volta non ti farà male, lo hai detto tu che quello che fa felice la mamma fa felice il bambino. - Le loro mani si sfiorarono mentre lei prendeva la tazza. Lo prese un sorso, gustandolo lentamente ad occhi chiusi, sporcandosi il labbro superiore con la schiuma leggera. Le sembrò il caffè più buono che avesse mai bevuto in vita sua. Sorrise e quando riaprì gli occhi Castle la fissava pensieroso. Si pulì il labbro con la lingua, in un gesto che poteva essere facilmente frainteso, ma che in quel momento a Rick ispirò solo tenerezza e sorrise anche lui.
- Che c’è Castle? - Gli chiese Kate vedendolo con la mente molto lontano da lì dove erano adesso.
- Mi hai fatto ricordare perché per anni sono venuto ogni mattina al distretto a portarti il caffè.
- Perché?
- Per vederti sorridere. Perché tu sei la persona più incredibile, esasperante, intrigante, snervante che abbia mai conosciuto.
- È la dedica di Frozen Heat.
- Sì, dopo è stato anche quello.
- Immagino che me lo avevi detto, allora.
- Sì, in un momento particolare…
- E lo pensi sempre?
- Certo. Insieme a tante altre cose che non mi faranno mai essere stanco, fino a quando ci sarà anche solo una possibilità.
Castle bevve il suo caffè. Kate solo qualche altro sorso. Non voleva abusarne ed era già felice di aver riassaporato dopo tanto tempo l’aroma pieno di un caffè normale.
Ora si ritrovava lì, con una valigia da fare, dentro la quale non avrebbe dovuto solo mettere i vestiti, ma molto altro da portarsi via in di quei giorni. Aveva creato tanti nuovi ricordi, alcuni splendidi altri meno, ma non c’era stato un momento che, nel bene o nel male, non avesse vissuto con straordinaria intensità.
- Ti disturbo?
Castle era entrato in camera bussando. Erano molti giorni che non lo faceva più.
- Non è necessario che bussi Rick…
- Ok… Stai facendo la valigia… Io odio fare le valige, mi mette tristezza.
- Già… - sospirò Kate mentre piegava dei pantaloni per metterli via. Castle le bloccò le mani.
- Mettiti il costume, vestiti, prendi occhiali da sole, solari e vieni con me.
- Vuoi andare in spiaggia?
- No… Ho pensato ad un’altra cosa. Ti piacerà.
- Ma quando…
- Ora, mentre tu eri qui, mi è venuta un’idea ed ho organizzato una cosa speciale. Dai Beckett non farti pregare.
Castle aveva ritrovato il suo solito fanciullesco entusiasmo. Kate non sapeva se fosse solo una facciata o fosse veramente di buon umore, ma decise di assecondarlo. Si mise il costume un vestito comodo e leggero, prese un cambio e mise nella borsa solari ed asciugamano, insieme ad un cappello ed un foulard.
Andò diretta verso la veranda, per uscire verso il mare, ma Rick la riprese, indirizzandola all’uscita principale. Vide che aveva le chiavi della macchina ed un abbigliamento piuttosto sportivo, con una polo e dei pantaloncini corti.
Guidò per un breve tratto di strada, lasciando poi quella principale e seguendone una più piccola che li condusse ad un piccolo porto privato dove tra le tante piccole barche dei pescatori vi era ormeggiato uno yacht.
- Dai, andiamo!
Castle la invitò ad uscire dall’auto e a seguirla sull’imbarcazione dove li attendeva Tim, un ragazzo moro alto ed abbronzatissimo, il loro skipper. Salirono a bordo passando oltre la jacuzzi ed i lettini prendisole situati a poppa, Tim li condusse all’interno, mostrandogli la zona pranzo con i divani intorno al tavolo ed il tetto panoramico. Invitò poi Kate a scendere al piano inferiore, dove c’era la zona relax, la cucina e le camere da letto con i bagni il tutto arredato come un hotel di lusso con materiali di prima qualità e dal design moderno ed elegante, ma non troppo impegnativo e formale, con toni chiari e rifiniture metalliche, pellame bianco e molti elementi naturali nelle rifiniture degli arredi. Poi si congedò, dicendo che cominciava le manovre per salpare e la raggiunse Castle mentre lei continuava a guardarsi intorno stupita.
- Castle, non dirmi che è tuo!
- No, l’ho preso solamente a noleggio… Però se ti piace, possiamo pensarci
- Dai Castle non scherzare!
- Non sto scherzando! - Rispose serio - Ce lo possiamo permettere.
- Tu te lo puoi permettere Castle!
- No, noi ce lo possiamo permettere.
- Ok, ok non compreremo nessuno yacht, Rick!
- Per ora Beckett! - Sorrise sapendo che la stava esasperando - Vuoi sapere perché siamo qui?
- Avanti, dillo…
- La scorsa estate abbiamo noleggiato questo yacht per due giorni e a te era piaciuto molto passare del tempo qui, solo io e te. Ho pensato che potesse piacerti ancora, trascorrere un po’ di tempo in mare, insieme. Un nuovo ricordo.
- È molto bello, veramente.
- Puoi rilassarti fuori, prendere il sole o stare all’ombra rilassarti qui dentro, come vuoi tu. Ho fatto preparare per mangiare a bordo, ma se preferisci possiamo anche scendere e cercare un ristorante da qualche parte.
- A bordo va benissimo.
- Ok… Allora lo vado a dire a Tim… - Rick fece per uscire quando Kate lo richiamò.
- Castle…Grazie, per tutto.
- È un piacere Kate. Sempre.
Uscì fuori ed avevano già preso il largo. Trovò Rick a prua, in piedi sulla punta appoggiato alla balausta.
- Ehy, scruti l’oceano?
- Già… - Le rispose continuando a guardare dritto davanti a se, dove non si vedeva altro che cielo e mare.
- Sei molto serio.
- Stavo solo pensando.
- A quello che è successo stanotte? - La voce di Kate era preoccupata, non aveva voglia di affrontare nuove discussioni ma nemmeno di vedere Rick di malumore tutto il giorno in barca, dopo che era stato lui a proporle quell’uscita.
- In realtà no, pensavo ai viaggi transatlantici, a chi vedeva solo questo per giorni e giorni, mare e cielo, mare e cielo e nient’altro. A quanto lasciavano a casa per andare verso l’ignoto, quanto coraggio e disperazione dovevano avere. Magari molti non erano mai usciti dal proprio villaggio fatto di poche anime e sarebbero sbarcati a New York. Pensa quanti pensieri, sogni e speranze hanno affidato ad ogni onda che incontravano. Quante lacrime ha raccolto l’oceano per quelli che lasciavano a casa e forse non avrebbero mai più visto.
La sua fervida fantasia di scrittore che correva veloce lo aveva portato ad immaginare volti di uomini e donne e le loro storie appena furono partiti e vide in lontananza il porto della Southampton di Long Island pensando ad un altra Southampton, più lontana al di là dell’Atlantico, dalla quale in tanti salparono alla volta degli Stati Uniti.
Kate si appoggiò alla sua spalla. Quello che veniva fuori in queste occasioni era un Castle così diverso dall’immagine che aveva sempre avuto nella sua mente del playboy frivolo. Certo aveva avuto modo di conoscerlo e di vedere che non era affatto così, ma riusciva a sorprenderla ancora con queste riflessioni così lontane dal modo in cui veniva raccontato dagli altri ma anche da se stesso. Rick le cinse il fianco stringendola di più a se. Potevano guardare il mare verso l’infinito insieme. Affidavano anche loro alle onde sogni e speranze.
- Perché sei sempre voluto apparire così diverso da quello quello che sei?
- Cioè? Come voglio apparire?
- Superficiale, egoista, egocentrico, viziato… - Rick fece una risata che interruppe il flusso di "complimenti" di Kate.
- Sono anche quello. Quando serve sono superficiale, sono sicuramente molto viziato ed anche molto egocentrico. Ed egoista beh, alcune volte lo sono stato e forse lo sono ancora.
- Io non credo che tu sia egoista, anzi, sei forse una delle persone più altruiste e generose che ho conosciuto.
- Il confine tra l’egoismo e l’altruismo spesso è labile. Stai pensando a come mi comporto con te vero?
- Sì, ma non solo, anche quello che hai fatto per Robert Bryan e suo figlio, non è da tutti.
- Ho aiutato Robert Bryan perché la sua storia in quel momento mi ha colpito molto, mi sono sentito fortunato a non aver passato quello che stava passando lui, un modo per sdebitarmi in minima parte con il fato benevolo. Quello che faccio per te, invece, ti può sembrare altruista, ma non lo è. Non lo faccio per te, lo faccio per me. È brutto dirlo vero? Ma io non posso farne a meno, forse se fossi realmente più altruista ti lascerei vivere la tua vita, i tuoi spazi, decidere da sola cosa essere e cosa no, invece di importi una vita che non ricordi senza sapere nemmeno se la vuoi.
- Allora sono contenta che sei stato tanto egoista da farmi conoscere quello che voglio.
- Ne sei sicura?
- Sì. Assolutamente.
- Bene.
Kate cominciava a risentire della notte passata per lo più in bianco e si sdraiò sul prendisole a prua, addormentandosi dopo poco. Rick si voltò ed ora invece che il mare osservava lei. La trovava sempre adorabile quando dormiva e non poteva fare a meno di sorridere. Il sole era alto e caldo. Notò come il grande foulard che aveva indossato a mo di pareo le lasciava in realtà scoperto gran parte del corpo, coprendole solo l’addome e parte della schiena. Pensò che così si sarebbe ben presto scottata. Frugò un po’ nella sua borsa per cercare la crema solare, non senza qualche imbarazzo nel mettere le mani tra le sue cose.
Si sedette vicino a lei che dormiva sdraiata su un fianco, si versò un po’ di lozione sulle mani e cominciò a spalmargliela delicatamente sulle braccia. Sapeva che l’avrebbe svegliata, ma non voleva che si bruciasse. Kate si mosse un po’, poi evidentemente apprezzando il massaggio mugugnò muovendosi appena e facendo sorridere molto Rick per le smorfie che faceva. Quando dalle braccia passò alla schiena Kate aprì un po’ gli occhi e lo guardò incuriosita da quello che stava facendo.
- Non voglio passare la serata a farti impacchi calmanti con il tè verde - le disse
- Sicuramente è meglio che berlo… - protestò lei
- Vero, ma comunque è meglio che non ti scotti.
Si tirò su e Rick mettendosi ancora un po’ di crema sulle mani, la spalmò sulle lunghe gambe. Era molto concentrato nel cercare di coprire ogni centimetro di pelle con una generosa dose di solare. Kate, invece, lo guardava sorridendo quando le sue carezze arrivarono nell’interno coscia, ma lui sembrava non avere nessun secondo fine se non quello di assicurarsi che non le venisse un eritema solare. La fece mettere bene seduta e tornò ad occuparsi della schiena e delle spalle, poi mentre lei si convinse a metterla anche sul viso, lui la spalmò sul suo décolleté.
- Castle…
- Dimmi!
- Hai finito?
- Quasi, perché?
- Indovina…
Castle sorrise sornione.
- Fatto! - Le disse soddisfatto infine.
- Ok, adesso togliti quella maglia che tocca a te.
Rick rimase seduto sul prendi sole a torso nudo e Kate si mise in ginocchio dietro di lui, cominciando il suo stesso dolce supplizio, massaggiandogli le ampie spalle e scendendo fino all’elastico dei pantaloncini, con tocchi volutamente provocanti per restituirgli quanto fatto prima da lui, per poi risalire e scendere dalle spalle fino ai pettorali. Lo invitò a voltarsi e si mise anche lui in ginocchio difronte a Kate, che riprese subito il suo massaggio con la stessa cura che aveva messo lui prima, accarezzandogli tutto l’ampio petto e le braccia. Raccolse infine un ricciolo di crema e gliela mise sul naso facendogli un puntino bianco che la fece sorridere mentre lui si imbronciava. Gli allacciò le braccia intorno al collo dandogli un bacio sfuggevole vicino alle labbra poi lo si appoggiò con la testa sulla sua spalla abbracciandolo. Aveva bisogno di un po’ del suo calore. Gli dava dei piccoli baci sul collo, senza alcuna malizia adesso, voleva solo un po’ di affetto.
Castle strinse le braccia su di lei coprendole con le mani quasi interamente la parte di schiena scoperta. Era più forte di lui, non riusciva a tenere il punto, per quanto si fosse imposto di mantenere le distanze non ci riuscì e la strinse ancora più forte. Era Kate, era sua moglie.
Tim tossì per richiamare la loro attenzione e Kate controvoglia si sciolse dall’abbraccio di Rick: li stava avvisando che il pranzo era pronto. Si alzarono indolenziti, erano rimasti abbracciati più di quanto pensassero. Mangiarono in un silenzio imbarazzante, non erano ancora pronti per parlarsi. Castle sapeva che quello non poteva essere il modo per affrontare la situazione, già in passato avevano evitato di parlare e questo aveva creato solo maggiori incomprensioni, però ora capiva che non era il momento, era ancora presto, così fece quello che per lui era un grande sforzo, non parlare, anche se ultimamente gli capitava fin troppo spesso. Ripresero la navigazione per arrivare fino a Montauk, la punta più ad est degli Hamptons. Cullati dal beccheggiare costante dello yacht che si muoveva rapido con il vento che mitigava la temperatura, si sdraiarono, questa volta entrambi, sul prendisole e in breve tempo, nell’inconscio del sonno, dove la ragione nulla poteva imporre, si avvicinarono sempre di più, fino a dormire abbracciati, come era naturale, per loro, che fosse.
Arrivati davanti Turtle Hill, dove si trova il grande vecchio faro a pianta ottagonale, uno dei più antichi di tutti gli Stati Uniti, Tim fermò i motori per far sì che gli ospiti si godessero il panorama. Rick e Kate si svegliarono non appena furono fermi sorridendo nel ritrovarsi abbracciati senza averlo voluto: faceva piacere ad entrambi, anche se non se lo dissero. Si alzarono andando sulla punta di prua osservando il paesaggio, le onde che si infrangevano sui frangiflutti sotto il faro spruzzavano anche le persone che erano lì vicino. Era tutto estremamente tranquillo, nonostante la spiaggia adiacente brulicasse di gente.
- Ti sei riposata? - Chiese Castle premuroso
- Sì, ho dormito molto bene.
- Anche io.
- Avevo il cuscino più comodo… - Si strinse a lui che non le negò il suo abbraccio. Fece un cenno a Tim sul ponte superiore e ripresero il viaggio tornando indietro. Vedevano davanti a loro il sole che si avvicinava al mare, facendo il cielo man mano più rosato. Arrivarono al porto poco prima del tramonto.
Stavano tornando alla loro auto quando Castle fece voltare Kate verso il mare e gli indicò lo yacht.
- Hai visto come si chiama? - Le chiese con quel viso e quel tono di voce che non lasciavano intendere nulla di buono. Stava per fare una delle cose alla Castle, Kate lo aveva già capito.
- No...
- Leggi.
- Caskett? - Chiese sbarrando gli occhi. Rick annuì sorridendo estremamente soddisfatto.
- Non è quello che penso, vero Castle? - Kate già sapeva che era esattamente quello che pensava, era solo una domanda retorica.
- Non so cosa stai pensando Beckett! - Rispose con voce fintamente angelica.
- Caskett. Castle. Beckett. - Disse decisa.
- Uhm sì...
- Mi preso in giro per tutto il giorno! - Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, ma solo perchè non aveva con se la sua pistola e in questo momento le mancava tantissimo.
- No, cioè non proprio... È una lunga storia... Posso spiegarti tutto!
- Sentiamo. - Kate a braccia conserte picchiettava con le dita sulle sue stesse braccia.
- Ecco... Lo scorso anno siamo veramente venuti su questa barca due giorni e ti era piaciuta molto anche se era un pochino diversa e con un nome molto meno bello...
- Continua Castle e trova una storia convincente! - Gli parlava come se lui fosse seduto nella sua stanza degli interrogatori e dovesse trovare un alibi per il delitto appena scoperto. Castle trovava tutto questo estremamente divertente.
- A fine estate ho saputo che il proprietario l'aveva messa in vendita, così ho pensato di comprarla, avrei voluto fartela vedere per il nostro anniversario di matrimonio. Poi le cose sono andate diversamente, così nel frattempo ho deciso di farla ristrutturare e metterci delle cose in più che potevano piacerci, come l'idromassaggio, ho fatto rifare gli interni delle camere e della zona relax ed anche il prendisole esterno. Doveva essere pronta per l'inizio dell'estate poi con quello che è successo non ho seguito molto il progetto ci sono stati dei ritardi... Ma stamattina mi hanno telefonato che ieri l'avevano ormeggiata al porto ed era pronta. Così non ho resistito.
- Perché non me l'hai detto subito?
- Ehm... Volevo vedere prima se ti piaceva, come reagivi...
- Non c'è bisogno di comprare una barca solo perché ti ho detto che mi piace, Castle. Penso che un anno fa ti avrei detto la stessa cosa.
- Sì avresti detto la stessa cosa. Ed io ti avrei risposto "Perché no, Beckett?". Ora invece so perché c'è bisogno. Perché non si sa mai la vita cosa ci riserva e, se possiamo, non dobbiamo evitare di fare le cose che ci rendono felici, perché non sappiamo se avremo la possibilità di farle ancora in futuro. Probabilmente se avessi saputo quello che sarebbe successo tra noi, ti avrei portato a far vedere lo yacht il giorno stesso che ho firmato il contratto, così dopo avermi fatto la predica avresti sorriso felice ed avremmo festeggiato a bordo nel migliore dei modi.
- Rick…
- Dimmi. - Si stava già preparando mentalmente ad un altro rimprovero.
- Pensi sia possibile dopo la visita, passare un paio di giorni sullo yacht?
- Certo che lo è!
Castle sorrise felice e Kate si avvicinò a lui, baciandolo teneramente sulle labbra prendendolo alla sprovvista.
- Non dobbiamo evitare di fare le cose che ci rendono felici. - Gli sussurrò all’orecchio e lasciandolo lì impalato si voltò e andò verso loro auto.
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Capitolo 32 *** TRENTADUE ***
New York li avvolse con la sua afa ed il suo caldo insopportabile, tanto che l’idea di tornare negli Hamptons non gli sembrò solamente buona, ma necessaria. Sembrava che il loro fisico non fosse più abituato a sopportare quella calura mescolata con lo smog cittadino che rendeva l’aria difficile da respirare in quei giorni di caldo veramente sopra la media. Kate soprattutto lo stava accusando particolarmente, ma era normale visto il suo stato, così aveva letto, essere più sensibili alle alte temperature. Tutto questo solo per essere passati dal parcheggio, senza nemmeno andare in giro.
L’aria condizionata che li accolse appena messo piede dentro il loft gli fece tirare un sospiro di sollievo. Rick andò subito a posare le valige con le poche cose che avevano riportato a casa nella loro camera, mentre Kate prendeva dell’acqua fresca. Era estremamente assetata.
- Katherine, tesoro! - Martha fece il suo ingresso scendendo le scale come una vera diva, anche con quelle temperature così alte per stare in casa non rinunciava alle sue vestaglie drappeggiate e piumate.
- Ciao Martha! - Kate la salutò calorosamente
- Che bello rivederti! Mi era sembrato di aver sentito aprire la porta. Ma Richard dov’è?
- Madre! Sono in camera, tranquilla non mi sono perso negli Hamptons!
- Allora mia cara, raccontami, come è andato questo soggiorno al mare?
- Bene, Martha, molto bene.
- Hai…
- No. Solo qualche situazione, nulla di più - Kate la interruppe subito. Non aveva molto voglia di parlare dei suoi non progressi in quel campo. Non aveva ancora fatto in tempo ad entrare e cambiarsi che già aveva ricevuto la prima domanda, se fosse continuata così per ogni persona che conosceva, sarebbe uscita fuori di testa.
- E con Richard? - Chiese ancora l’attrice con tono divertito ed impertinente
- Con me va tutto benissimo, grazie del tuo interessamento mamma! - Rick era uscito da camera ed aveva raggiunto Kate, cingendole la vita, avvicinandola a se e dandole un bacio sulla guancia, in un gesto che era eloquente e che sperava servisse a mettere a tacere sua madre, anche se ci sperava poco.
- Oh che bello sono molto contenta per voi! - Martha batteva le mani con enfasi a sottolineare la sua gioia che Rick però dovette interrompere subito prima che la situazione potesse degenerare
- Ora madre, ci permetti di cambiarci e rilassarci un attimo senza farci il terzo grado?
- Ma certo ragazzi! Voi mi raccomando fate come se io non ci fossi! - Disse mentre saliva al piano di sopra
- Sì, mamma, farò anche finta di essere a casa mia! - Rispose Castle ridendo
- Ehy, scusami per mia madre. Sa essere sempre decisamente inopportuna.
- No, Rick, figurati. Non è lei il problema, è che penso che la stessa domanda me la faranno tutti, poi tutti chiederanno di noi, poi del bambino… Se ci penso mi viene la nausea.
Erano in camera e Castle stava sistemando le loro cose, mentre Kate era in bagno che si rinfrescava.
- Eri seria quando mi hai chiesto di stare qualche giorno sullo yacht? - Le chiese tornata in camera
- Sì, se ti va, ovviamente.
- Siamo d’accordo, allora. Mi organizzo con Tim e giovedì mattina salpiamo, che ne dici?
- Fantastico! - Gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia provocando un rumoroso schiocco poi si sdraiò sul letto e lui la raggiunse, sdraiandosi vicino a lei. Le prese una ciocca di capelli e cominciò a giochicchiarci, arrotolandosela su un dito e poi lasciandola andare, ripetendo il gesto all’infinito.
- È bello essere di nuovo qui, con te. Negli Hamptons abbiamo condiviso tanti bei momenti, ma qui è diverso, qui è casa nostra. - La vide assente, come se fosse persa in un mondo molto lontano da lui. - Ehy, mi hai sentito Kate?
Si voltò a guardarlo, in realtà no, non aveva sentito nulla e lui lo capì da come lo guardava spaesata.
- Cosa succede Kate?
Rick, intento a guardarla e a giocare con i suoi capelli, non aveva notato i movimenti di Kate che si stava teneramente accarezzando la pancia.
- Nulla… pensavo…
- A qualcosa di bello o di brutto?
- Di bello. A lui… Domani lo vedremo di nuovo. - Il volto le si aprì in un meraviglioso sorriso. Uno di quelli che di solito dedicava solo a Castle, ma che adesso anche lui sapeva che avrebbe dovuto dividerli con qualcun altro.
- Sì, sei felice?
- Non vedo l’ora…
- Nemmeno io. Poi se siamo fortunati domani potremo sapere se ho ragione io ed è una mini Beckett!
Rick stava preparando la cena quando Martha invase la cucina cercando una bottiglia di quel vino bianco che le piaceva tanto.
- Madre, Alexis?
- Oh tesoro la tua bambina è uscita con Dustin - disse soddisfatta per aver trovato quel Gewurztraminer ideale per il suo aperitivo.
- E chi sarebbe questo Dustin? - Castle tagliò la carota con maggior veemenza, immaginandoci sopra la scritta DUSTIN.
- È un nuovo amico di Alexis. - Martha rispose con estrema leggerezza gesticolando con il calice in mano.
- Amico in che senso? - Proseguì Rick affettando le verdure ree di chiamarsi tutte Dustin.
- Amico nel senso che può essere un ragazzo per una ragazza dell’età di tua figlia, tesoro!
- Mamma! - Esclamò lo scrittore in un attacco di gelosia paterna
- Richard, ti devo ricordare cosa hai fatto tu all’età di Alexis?
- No, mamma non c’è bisogno! È proprio per questo vorrei sapere chi è questo Dustin!
- Tesoro, tua figlia è molto più responsabile e matura di te, non a 22 anni, anche adesso, quindi finiscila di fare il bambino!
Kate aveva assistito dal divano a tutta la scena sorridendo mentre sfogliava una rivista senza prestare alcuna attenzione. Le piaceva quel Castle papà premuroso e apprensivo per la sua “bambina” anche se Alexis era ormai una giovane donna e pensava che sarebbe stato un ottimo padre anche per il loro bambino, che nascondeva dietro il suo lato di amico e compagno di giochi, un’indole molto protettiva ed attenta.
Dopo aver cenato rimasero ancora un po’ a chiacchierare sul divano, davanti ad un film che nessuno stava seguendo. Martha li riempì di domande, voleva sapere tutto quello che avevano fatto negli Hamptons, se Rick l’aveva portata in tutti quei posti molto chic che conosceva, rimanendo scioccata del fatto che tranne una sera non avessero mai fatto vita mondana. Così aveva cominciato con una serie di frasi di che cominciavano tutte con “Ai miei tempi…” e “Quando io ero giovane…” dicendogli che non sapevano proprio più godersi la vita, loro giovani d’oggi. A poco valsero i discorsi di Rick che gli ricordava come lui avesse sicuramente frequentato negli anni passati una quantità di feste e party per riempire almeno due vite di chiunque e Kate nel vedere madre e figlio battibeccare si divertì moltissimo, tenendosi fuori da quella discussione che la vedeva proiettata in un mondo completamente diverso dal suo e così lontano. Rick e Kate tacitamente, aspettavano che Martha andasse a dormire per poter andare anche loro senza essere sommersi dalle battute e altre domande dell’attrice, ma lei pareva della stessa idea: avrebbe aspettato che loro si fossero ritirati per andare a dormire. Quando si alzò per prendere dell’altro vino, Rick la richiamò chiedendole se non fosse giunta per lei l’ora di andare a dormire.
- Non essere sciocco Richard, la notte per me è ancora giovane e c’è ancora molto vino in quella bottiglia! Voi piuttosto, dopo il viaggio sarete stanchi
- In effetti io sono un po’ stanca. Buonanotte Martha - intervenne Kate alzandosi dal divano
- Sì, anche io. A domani madre - Le fece eco Rick.
- Bene, allora buonanotte ragazzi! - Li salutò sorseggiando il vino
Castle per non darla vinta a sua madre e non mettere in imbarazzo Kate, le lanciò uno sguardo rammaricato e poi si avvicinò alle scale, ma Kate scosse la testa e prese la sua mano, il tutto sotto lo sguardo soddisfatto dell’attrice. Si guardarono per un attimo e lei gli annuì solamente e poi insieme andarono nella loro camera, mentre sul viso di Martha compariva un sorriso molto soddisfatto.
Rick chiuse la porta alle loro spalle tirando un sospiro di sollievo per aver messo della distanza tra loro e le domande di Martha.
- Non avrebbe finito più, credo. - Disse Kate ridendo per giustificare la sua presa di posizione - Ti dispiace che l’abbia fatto?
- No, anzi, sono felice. Solo non volevo forzarti a farlo.
- Hai una delle tue magliette da darmi? - Gli chiese mentre si spogliava ormai con estrema naturalezza davanti a lui.
Se Rick pensava al fatto che poco tempo prima aveva paura anche a farsi vedere in costume, gli sembrava impossibile che si fosse lasciata andare così tanto. Certo, tra loro c’era stato anche tanto altro e si sentiva uno stupido per averle detto certe cose in un momento di crisi. Era vero, dovevano essere più calmi, fare un passo indietro soprattutto in quello che pretendevano l’uno dall’altra, ma questo non voleva dire, come avevano fatto in quei giorni, che dovevano necessariamente stare sempre distanti, evitando quasi di sfiorarsi, tanta era la tensione tra loro e sentiva che era una sofferenza per entrambi. Prese una delle sue tshirt dall’armadio e gliela passò. La osservava indossarla e la trovava sensuale anche quando non faceva nulla per essere provocante. Quando Kate si voltò per andare in bagno, Rick allungò le braccia e la cinse prima che lei si potesse muovere. Erano stati giorni senza riuscire a staccarsi le mani di dosso, cercandosi e prendendosi negli Hamptons in ogni occasione e modo, senza pudori e senza riserve, ma dopo quella discussione sembravano imbarazzati anche a sfiorarsi. Fece aderire la schiena di Kate al suo petto, abbracciandola ancora più stretta, rendendole impossibile spostarsi. Ispirò il profumo dei suoi capelli e poi piegò la testa per sentire quello della sua pelle. Prese il lobo dell’orecchio tra le sue labbra, provocandole un fremito e poi scese a baciarle il collo. Sentì il respiro accelerato di Kate le diede un ultimo bacio e poi si fermò, tenendola solo stretta a lui, con la testa appoggiata sulla sua spalla. Adorava tenerla tra le sue braccia, forse più di ogni altra cosa. Ripensava a cosa lei gli aveva detto in quella notte che ruppe il loro precario equilibrio. Avrebbe voluto risponderle in mille modi, anche adesso cercava il modo migliore per farlo. Allentò un po’ la presa e la fece voltare, per guardarla negli occhi, erano carichi di desiderio e paura, come i suoi. Aprì qualche bottone della sua camicia, poi prendendo la mano di Kate la portò sotto, a toccare la pelle calda del suo torace: lei aveva le dita fredde ed insieme al suo tocco guidato da lui stesso, Rick sentì la sua pelle vibrare. La mise sul suo cuore tenendola ferma sotto la sua.
- È solo tuo Kate. Lo è da sempre. Lo sarà per sempre.
- Scusami Rick… Ti meriteresti molto di più, lo so.
Castle fece scivolare un dito sulla sua bocca, che poi baciò dolcemente: un tenero lungo bacio senza nessun secondo fine. Dormirono tutta la notte abbracciati nel loro letto, sentendo di non essere ancora loro, non potendo fare a meno, però, di esserlo.
Quando arrivarono in ospedale Kate era convinta che, come prima cosa, sarebbe andata dal suo ginecologo, invece vollero subito accertarsi del suo stato di salute. Le confermarono che a livello fisico il suo decorso post operatorio era praticamente concluso, doveva solo continuare a prestare attenzione alle normali attività fisiche, anche per via della sua gravidanza, ma per il resto poteva gradatamente ricominciare a fare tutto, anche a lavorare se se la sentiva. La risonanza alla testa confermò, anche a distanza di tempo dal precedente esame, l'assenza di lesioni, quindi la sua amnesia era da ricondursi esclusivamente ad un fattore psichico: non sapeva se prendere la notizia come positiva o meno.
Andarono quindi dal dottor Yedlin che li aspettava con il suo solito sorriso rassicurante. Ormai conoscevano la prassi, le solite domande sul suo stato di salute e poi venne il momento che più attendevano. Il dottore gli chiese se volevano sapere il sesso ed entrambi risposero di sì. Ecco che nel monitor apparve il loro bambino. Si teneva il dito in bocca e si muoveva repentinamente anche se i suoi movimenti erano impercettibili per Kate.
- La vostra bambina è molto attiva - disse il dottore - penso che tra poco se non si calmerà non le darà tregua Kate!
- Bambina? Ha detto bambina? - lo incalzò Castle
- Sì, posso dirvi pressoché con assoluta certezza che è una bambina.
Kate rimase sotto shock per alcuni secondi mentre Rick continuava a ripeterle che aveva ragione lui. Continuò a fissare il monitor riformulando all'istante ogni pensiero che aveva avuto sul suo bambino: era una bambina e sembrò che la sua mente si abituò all'idea prima di lei stessa, rimandandole adesso un'immagine femminile in ogni pensiero che la riguardava. Sorrise a quel monitor dove la sua bambina si muoveva irrequieta. "È tutta il papà" pensò prima di chiudere gli occhi per un attimo per rilassarsi con il battito del cuore di sua figlia
- Ciao piccola mia. - disse appena riaprì gli occhi e la vide nello schermo.
Gli occhi di Rick si riempirono di lacrime nel sentire Kate parlare alla loro bambina e tutta la sua euforia per aver saputo che era una femmina lasciò solo spazio alla commozione.
- Hey, avevi ragione tu! - si voltò per accarezzare il viso che non riusciva nemmeno a scherzare come il suo solito. Annuì e sorrise, non poté fare altro.
- Kate - disse il dottore - la bambina sta molto bene, aspetto i risultati delle analisi di questa mattina, ma a vederla non ci sono problemi. Tra un paio di settimane potrebbe cominciare a sentire i primi movimenti, ma se non dovesse succedere non si preoccupi, alla prima gravidanza può accadere di sentirli più tardi.
Kate annuì. Non vedeva l'ora di poter sentire la sua piccola muoversi. Si rivestì e si sedette con Castle alla scrivania del dottore che stava aggiornando la sua scheda.
- Bene, direi che possiamo adesso anche sapere con una buona approssimazione la data del parto, che dovrebbe essere intorno al 12 gennaio. Se non c'è niente di nuovo ci vediamo tra un mese Kate.
- Spero di non vederci prima allora! - sorrise Kate ancora emozionata.
Uscì dallo studio tenendosi stretta al braccio di Castle, non meno emozionato di lei.
- È una bambina Rick! - gli disse con gli occhi lucidi una volta saliti in auto.
- Ti vorrei ricordare che io lo dico da tempo, da quando ho parlato con Mini Beckett! - aveva riacquistato parte della sua spavalderia, anche se la voce nascondeva ancora la sua emozione non scemata - sei felice Kate?
- Sarei stata felice in ogni caso, ma adesso è... Non lo so, non ho parole... È lei. Non è più qualcosa di indefinito. È lei. Sai, io in realtà lo avevo sempre immaginato come un bambino, però da quando il dottore ha detto che è femmina è stato un attimo ed è diventata così reale, bambina, in ogni mio pensiero. - Aveva ancora un po' di pudore a fare certe confessioni a Rick, ma aveva bisogno di parlarne con qualcuno e chi meglio di lui per questo? Erano fermi in auto nel parcheggio dell'ospedale e parlavano della loro bambina, per Rick era tutto assolutamente splendido.
- Dovremmo parlare di molte cose adesso. Pensare al suo nome, come fare la sua camera...
- Piano Rick, con calma. Non nascerà prima di 5 mesi! C'è tempo!
- Meno di quanto pensi Beckett per tutto quello che dovremo fare. Dobbiamo comprare tutti i vestiti, tutto quello di cui ha bisogno!
- Va bene Rick, andremo a comprare un vestitino, uno solo per adesso, ok?
- Tre Kate. Tre è il numero perfetto.
- Uno Castle!
- Tre. Andiamo adesso?
Kate annuì rassegnata. Non le avrebbe dato tregua. Alla fine uscirono con due buste di vestiti e tutine da neonata ed anche un piumone a sacco per quando sarebbero uscite dall'ospedale. Anche Kate alla fine si era lasciata prendere la mano e si era divertita a scegliere tra l'infinita varietà di abiti per neonati più di quanto pensasse o volesse ammettere e non credeva che esistessero tante cose per i bambini quante ne aveva viste quel giorno. Rick era molto soddisfatto di tutti i loro acquisti, in particolar modo di una tutina sulla quale aveva fatto ricamare al momento la scritta "Baby Caskett" sul bavaglino coordinato, senza che Kate se ne accorgesse, sghignazzava pensando alla faccia che avrebbe fatto Kate quando l'avrebbe vista a casa.
Ritornarono a casa ed il loft era vuoto. Andarono in camera e Rick mise nella cabina armadio le buste con tutto quello che avevano comprato.
- Kate, che ne dici se domenica invitiamo tutti negli Hamptons?
- Tutti chi?
- Tuo madre, mia madre, Alexis, i ragazzi, Lanie...
- Per cosa?
- Beh, per dire della bambina e anche qualcos'altro se vuoi. Così potrai evitare di rispondere ogni volta a tutte le loro domande. Sarà un'occasione per stare tutti insieme, non lo abbiamo più fatto e nonostante tutto abbiamo molto da festeggiare e loro sono i nostri amici, si sono preoccupati ed ora sono felici per noi.
Kate era frastornata. L'idea di avere intorno tante persone che erano concentrate su di lei ancora la intimoriva, però aveva ragione lui, era una buona cosa.
- Va bene. Si può fare. Ma credevo che lo volessi dire subito ai tuoi, resisterai?
- Domani ripartiamo, per una sera ce la posso fare, credo!
- Devo chiamare mio padre e dirgli che va tutto bene.
- Invitalo a cena questa sera, sarà felice di vederti, che ne pensi?
Il suo sorriso era la risposta a quella domanda. Sapeva quanto Kate fosse legata a suo padre e le difficoltà che avevano attraversato li avevano uniti di più anche se in poche occasioni lo davano a vedere platealmente. Era più un rapporto silenzioso, fatto di sguardi e taciti consensi. Ma Rick aveva vissuto per due volte la disperazione di Jim per le sorti della figlia e sapeva quanto Katie, come la poteva chiamare solo lui, fosse importante per quell'uomo così riservato e dalla grande dignità. Avevano legato molto nell'ultimo periodo in ospedale, avevano avuto modo di parlare per alleviarsi dolore ed angoscia per la sorte di quella donna che era il centro comune delle loro vite ed ogni tanto, anche durante il soggiorno negli Hamptons, quando era solo per non farsi scoprire da Kate, Rick lo aveva chiamato per aggiornarlo sui progressi di lei e per assicurargli che stesse bene.
Jim Beckett fu molto felice di trascorrere del tempo con la figlia, così come Kate di vederlo. La trovò meglio di quanto si aspettasse. Non ebbero modo di parlare molto da soli, ma accettò con gioia l’invito ad andare negli Hamptons quella domenica, in quel posto conservava il più bel ricordo di sua figlia, quando emozionante l’accompagnava all’altare, mentre consegnava a Rick il suo bene più prezioso, all’uomo che riteneva più degno di poterla accogliere e quel periodo era la conferma che aveva avuto ragione. Osservò come le sue forme erano più floride, la pancia più visibile, il viso con i lineamenti più morbidi, la sua bambina se era possibile era ancora più bella.
- Stai bene Katie? - Le chiese poco prima di andarsene, quando accompagnandolo alla porta, erano rimasti qualche minuto a parlare da soli
- Sì papà, non ti preoccupare.
- Sei splendida bambina mia. - Kate abbassò la testa arrossendo e suo padre gliela alzò con un tenero gesto della mano - Assomigli tanto a tua madre, sei uguale a lei Katie, nei gesti, come ti muovi, il tuo sguardo.
- Mi manca tanto papà, ora più che mai avrei tanto bisogno di lei.
Jim abbracciò sua figlia che era una donna ma che mai come in quel momento da anni gli era sembrata la sua piccola bisognosa di essere protetta. Le diede un bacio sulla fronte e le accarezzò il viso.
- Sarebbe orgogliosa di te Katie, ne sono certo.
Castle osservava la scena da lontano. Non avrebbe voluto spiare quel momento tra padre e figlia, ma fu più forte di lui rimanere a guardarla, una Beckett ancora più invulnerabile ed indifesa di quanto fosse mai stata e doveva essere lui a proteggerla da tutti, anche dal suo amore che pretendeva di più di quello che lei ora poteva dargli.
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Capitolo 33 *** TRENTATRE ***
Quando tornarono negli Hamptons Kate ebbe la piacevole sensazione di essere tornata a casa, in fondo aveva trascorso molto più tempo lì che al loft. Le piaceva il fatto che fosse molto più tranquillo e meno appariscente nell’arredamento, forse più impersonale rispetto allo stile di Castle, anche se in alcuni particolari si vedeva il suo tocco, come nella grande ancora in camera da letto. Arrivarono nel primo pomeriggio e dopo un rilassante pomeriggio in piscina, andarono a cena fuori in un ristorante semplice ed informale, facendo quelle cose alla ricerca di quella normalità che in fondo bramavano, senza sbalzi continui d’umore, senza vivere costantemente sulle montagne russe, per quanto una vita vissuta al fianco di Richard Castle e delle sue megalomanie potesse considerarsi normale, visto che il giorno dopo sarebbero partiti sul loro yacht.
Era un’esperienza che Kate aveva molta curiosità di fare, e allo stesso tempo la metteva un po’ a disagio. Dividere uno spazio così piccolo, con un perfetto estraneo come Tim aveva paura la potesse condizionare ed essere meno spontanea. La sua presenza a bordo, invece, fu estremamente discreta. Li disturbava solo per avvisare quando il pranzo era pronto o per sapere quando volevano fermarsi per la notte o ripartire la mattina seguente. La sua cabina era divisa dal resto degli spazi della nave, quindi non correvano nemmeno il rischio di incontrarlo quando andavano sottocoperta e chiudevano la porta che conduceva fuori.
Rick ripensava a quanto l’estate precedente era stata diversa. Avevano visto veramente poco la luce fuori ed erano rimasti quasi tutto il tempo tra il letto ed i divani sottocoperta, recuperando tutto il tempo che a casa non riuscivano mai a trovare, ricomponendosi solo per mangiare e riprendere fiato, mai però realmente sazi di loro stessi. Quei giorni con Kate, invece, erano passati stando per lo più tranquillamente sdraiati a prendere il sole, “la vitamina D è importante in gravidanza” le ripeteva Rick, o a coccolarsi in camera, facendosi cullare dalle onde, parlando tanto della loro bambina ora che sapevano che era una femmina, davano molta più forma ai loro pensieri.
Si desideravano, lo sentivano entrambi, quando erano vicini e quando di baci diventavano più impertinenti, ma dopo quella notte sembravano quasi bloccati e nessuno dei due riusciva a prendere l’iniziativa per andare oltre, quindi imbarazzati si allontanavano per un po’, ma poi finivano inevitabilmente di nuovo ad abbracciarsi perché gli era ormai chiaro di non poter fare assolutamente a meno della reciproca presenza.
Quei due giorni erano volati e quando scesero a terra per tornare a casa, Rick promise a Kate che sarebbero tornati quando avrebbe voluto in quella che sarebbe stata la loro oasi lontana dal resto del mondo.
La domenica mattina, i loro ospiti arrivarono tutti abbastanza presto e la villa si riempì di persone come da tempo non accadeva. I ragazzi del distretto erano tutti felicissimi di vedere Kate così informa rispetto a come era prima di partire, soprattutto Lanie non mancò di congratularsi più volte con lei, abbracciandola felice di vederla così rilassata e così dentro il suo futuro ruolo di mamma: non le era sfuggito come inconsapevolmente si era accarezzata il ventre ogni volta le qualcuno le chiedeva qualcosa riguardo alla sua gravidanza.
Ebbe modo di “conoscere” anche Jenny e i due figli di Ryan, lo ricordava come un timido single e lo aveva ritrovato padre di due splendidi bambini. Sarah, la figlia più grande di Kevin amava nuotare, quindi Jenny andò con i bambini verso la piscina, dove Rick le aveva fatto trovare tutto il necessario per far giocare una bambina così piccola, ed anche una piscina gonfiabile già funzionante per il più piccolo. Quando tutti furono perfettamente a loro agio, Rick si scusò ed uscì dicendo che doveva andare a sbrigare alcune commissioni per il pranzo.
Lanie, che voleva parlare con Kate, per sapere tutti i dettagli di quello che stava accadendo tra lei e Castle, la condusse al piano di sopra per parlare in libertà in una delle tante stanze della villa. Non fecero in tempo a dirsi molto, che furono raggiunte anche da Martha che gironzolava per la casa in cerca della nuora e poco dopo arrivò anche Alexis che tentò inutilmente di portare via la nonna per lasciare a Kate e alla sua amica un po’ di tempo per parlare da sola, capendo quanto la donna ne potesse avere bisogno.
Alla fine si rassegnarono e rimasero lì anche loro chiacchierando amichevolmente più che altro di come si era comportato Rick in quel periodo, soprattutto Martha voleva sapere se fosse stato sempre un bravo gentleman come lei lo aveva educato. Tutte le loro chiacchiere, però, furono interrotte dal suono del cellulare di Kate che vedendo che si trattava di Rick si alzò per rispondere, andando un po’ più lontano rispetto alle tre.
Quando aveva il cellulare in mano che squiallava, però, Kate si paralizzò. Spostò rapidamente lo sguardo su Martha, poi su Alexis ed infine su Lanie. Lasciò cadere il telefono a terra che si adagiò continuando a suonare sul tappeto. Lei indietreggiò fino a quando con le spalle arrivò a toccare il muro. La riconosceva, era una delle sue crisi di panico. Non voleva rispondere al telefono, non voleva sentire quello che le dicevano. E si vedeva nella specchio con in vestito bianco, lungo, ricamato. Era il vestito di sua mamma. Perché indossava quel vestito? E poi Martha e Alexis disperate. La strada, le curve ed il fuoco che non la faceva avvicinare. No, non voleva rispondere al telefono. Rick, dov'era Rick? Perché non era con lei? Perché l'aveva lasciata lì da sola? Perché era uscito. No, non voleva rispondere al telefono e qualcuno, per favore, lo doveva far smettere. Si accucciò e portò le mani sulle orecchie e sulla testa. Lanie fece cenno a Martha e Alexis di rispondere, era Castle, si vedeva la foto sul display. La dottoressa si avvicinò alla sua amica. Provò a prenderle le mani, ma lei la allontanò.
- Tesoro cosa c'è? Va tutto bene stai tranquilla.
- Rick... Dov'è Rick?
Erano le uniche cose che riusciva a dire, sottovoce tra le lacrime mentre faticava a respirare e Lanie si preoccupava per la sua salute, non l'aveva mai vista così.
Martha nel frattempo aveva risposto al telefono al figlio, anche lei presa dall'agitazione, non riuscì a spiegargli cosa succedeva.
- Ditegli di venire subito! - Ordinò Lanie alle due rosse e Alexis prese il telefono dalle mani della nonna
- Papà, Beckett sta male, ha avuto qualcosa tipo una crisi di panico, ma chiede di te.
Rick non disse nulla, attaccò il telefono e accelerò tornando il più velocemente possibile alla villa.
Parcheggiò inchiodando davanti all'ingresso e si precipitò dentro casa.
- Dov'è Beckett? - chiese a Esposito e Ryan che ignori di quanto stesse accadendo lo guardarono perplessi
- Penso di sopra con le ragazze - disse Javier mentre Rick stava già salendo
- Kate! - urlò Rick quasi in fondo alle scale e sentì la voce di sua madre chiamarlo dall'ultima stanza in fondo al corridoio
- Richard siamo qui!
Rick corse e quando entrò vide sua moglie accucciata in un angolo che respirava faticosamente con Lanie vicino che cercava di aiutarla, sua madre e sua figlia che la guardavano preoccupate. Rick si precipitò da lei inginocchiandosi davanti, che appena lo vide gli gettò le braccia al collo.
- Ehy, che succede? Sono qui Kate... Tranquilla amore mio... Sono qui...
Le spostò i capelli sudati dagli occhi e le asciugò il viso dalle lacrime. Si sedette al suo fianco e la trascinò letteralmente tra le sue braccia lasciandole poggiare la schiena sul suo petto.
Le tre donne lo guardavano prendersi cura di Kate in modo commovente per come le parlava e la trattava e si stupirono della loro vicinanza. Alexis e Martha li avevano già visti brevemente al loft insieme, sapevano che dormivano insieme, ma questo tipo di rapporto, dove Kate si affidava completamente a Rick, era qualcosa di molto diverso, più profondo e intimo. Ne erano molto felici.
- Potete lasciarci soli? - chiese alle tre che rispettosamente lasciarono la stanza e chiusero la porta, scendendo al piano di sotto dove ai due detective si era unito anche Jim Beckett rientrato alla villa.
- Che sta succedendo su a Beckett? - chiese Esposito
- Una crisi di panico - rispose Lanie
- Come sta? Perché non ci avete chiamati? - la incalzò il detective
- Voleva solo Rick e non credo che a Beckett sarebbe piaciuto farsi vedere in quello stato da voi, dovreste conoscerla.
- Ok, hai ragione - sbuffò Kevin lasciandosi cadere sul divano
- Se c'è Rick saprà lui come farla stare meglio. - disse Jim infine - Non è la prima volta che le capita. Me ne aveva già parlato. Le era già successo quando si era ricordata del funerale del capitano Montgomery.
Tutti fecero silenzio alle parole del padre di Kate. Nessuno di loro poteva immaginare cosa volesse dire per la loro amica dover rivivere, come se fosse la prima volta, certe cose. Lanie faticò a trattenere le lacrime, consolata da Javier che le passò un braccio sulle spalle. Kevin si alzò di nuovo incapace di stare fermo ed uscì andando a cercare Jenny e i bambini.
- Povera cara, chissà cosa può averla fatta sentire così... - disse Martha visibilmente preoccupata
- Io credo di saperlo... - le rispose Alexis attirando gli sguardi curiosi degli altri.
Nel frattempo al piano superiore Rick stava ancora cercando di calmare Kate, aiutandola come l'altra volta a respirare più lentamente. Questa volta, però, non sapeva cosa era che la stava turbando, cosa era riemerso dalle profondità della sua memoria.
- Kate, cosa c'è? Cosa ti ha spaventata?
- Il telefono... Ha squillato il telefono...
- Ok, ero io.
- No... Non eri tu... Era... Non eri tu...
- Chi era Kate? Cosa ti dicevano al telefono?
- Era... Era un uomo... Tu non c'eri, ti aspettavo, non venivi... Mi diceva della tua auto... Eri andato fuoristrada... Era in fiamme... Io ero lì mi guardavo allo specchio... Avevo un abito bianco, l'abito di mia madre... Non mi sono sposata con quello Rick! Non è quello nelle foto! E poi c'era Lanie qui con noi...
- Ok, Kate, ok... Shhh ho capito, tranquilla... Sono qui adesso, ok? Non mi è successo niente...
Rick la stava cullando e non sapeva da dove cominciare per raccontarle cosa aveva ricordato. Le cominciò a parlare dolcemente, come se fosse una favola per bambini.
- Ci dovevamo sposare qui, con tutti i nostri amici. Avevamo fatto una lista di invitati lunghissima, molto più di quanto all'inizio volevamo ed abbiamo anche discusso per questo. Poi come sempre accade a noi, le cose si sono incasinate e viene fuori a pochi giorni dal matrimonio che tu eri sposata.
- Rick cosa stai dicendo? Io non mi sono mai sposata! Prima di te intendo! Io sono una da una volta sola nella vita, non vado a tentativi! - rispose Kate sinceramente risentita
- Ehm sì lo so.... Però ti eri ugualmente sposata. Las Vegas, Rogan O'Leary…
- O Mio Dio!
- Dai Beckett ammettilo che è divertente!
- Sto per vomitare...
- Sul serio Beckett? Ti porto in bagno?
- Metaforicamente Castle... Vai avanti...
- Ok... - era contento che quella divagazione sul suo ex marito l’aveva fatta rilassare un po’, adesso non tremava più e respirava in modo più calmo, ma lui continuava a stringerla e a cullarla. - Abbiamo fatto un po’ di salti mortali per fargli firmare le carte il divorzio e mentre tu eri venuta qui prima io sono rimasto a New York ad aspettare che tu diventassi ufficialmente una donna libera ed avere la licenza di matrimonio. Mentre stavo venendo qui… ecco… mi hanno rapito ed hanno spinto la mia macchina in una scarpata ed è presa fuoco. Da quello che mi hai raccontato tu sei andata lì, ancora con l’abito da sposa, eri convinta che io fossi lì dentro ma non c’ero, lo hai visto solo dopo, quando hanno spento le fiamme. Mi hai ritrovato dopo due mesi e poi ci siamo sposati qualche tempo dopo, ed eravamo solo noi questa volta.
- Ho avuto paura Rick… Tanta paura di perderti…
- Te lo ricordi? - chiese speranzoso
- No, adesso… quando ho visto quelle immagini, ho avuto paura che fossero vere, che ti fosse successo qualcosa… Castle io…
- Ragazzi! - Martha entrò nella stanza senza preavviso interrompendoli - Kate, tesoro, come stai?
- Meglio Martha, grazie. Scusami per prima, ma… - Rick guardava sua madre infastidito senza lasciare la presa su sua moglie che teneva ancora salda tra le sue braccia e Kate era visibilmente imbarazzata sia a farsi vedere così dall’attrice che per quanto accaduto prima.
- Mia adorata, non ti devi scusare, anzi siamo noi a doverlo fare per non aver capito!
- Avete capito? - Le chiese stupita, ma loro erano lì con lei, sicuramente ricordavano tutto di quei drammatici momenti.
- Alexis a dire la verità. Ha ricollegato quanto accaduto oggi con quel giorno.
- Ah… capisco…
- Madre - intervenne Rick - puoi lasciarci qualche altro minuto da soli? Poi vi raggiungiamo noi.
- Ma certo ragazzi, anzi scusate per l’interruzione. Vado a riferire che stai meglio, sono tutti molto preoccupati per te di sotto
Una volta di nuovo soli, Rick si scusò per il comportamento fin troppo invadente della madre, ma più di tutto fremeva per quello che Beckett gli stava per dire, perché era sicuro che si trattasse di qualcosa che aspettava da molto.
- Allora Kate, cosa mi stavi dicendo - Le chiese appoggiando le labbra sotto il suo orecchio, dopo averle accarezzato il lobo.
- Io… - Lei era visibilmente in imbarazzo, fece un respiro e lasciò andare quel pensiero che l’aveva accarezzata, riprendendo un po’ di autocontrollo - Ti ringrazio Rick. Perché mi sei sempre vicino, nonostante tutto e fai tutto questo per me.
- Lo faccio per noi Kate. Perché ti amo. - Le disse con una punta di amarezza per non aver sentito quello che sperava.
- Lo so Rick… Lo so.
- Andiamo giù? Tra poco arriverà il catering per il pranzo!
Si alzarono ma prima di uscire dalla stanza Rick prese Kate per un braccio e la tirò a se.
- Hey! Sei sicura di stare bene?
- Si anche se ho un aspetto orribile - disse Kate guardandosi nello specchio dietro di lui
- Impossibile
- Cosa?
- Che tu possa avere in aspetto orribile.
- L'unico impossibile sei tu Castle! - rise dandogli un bacio sul collo
Kate rise ancora e poi tenendosi per mano scesero dagli altri che li aspettavano visibilmente preoccupati. Erano tutti seduti nella sala, chi sui divani chi sulle poltrone. Ryan giocava con Sarah Grace e sua moglie teneva in braccio il piccolo Nicholas che aveva solo pochi mesi, Jim, Martha e Alexis parlavano tra di loro mentre Lanie ancora scossa teneva in silenzio la mano di Javier. Quando si accorsero che i due erano scesi volsero immediatamente lo sguardo a Kate che con un sorriso imbarazzato li rassicurò.
- Sto bene, sto bene non vi preoccupate.
Rick si ricordò dei pacchi lasciati in auto e corse a prenderli portando il tutto in cucina, lasciando Kate sola con gli altri dopo averle dato un bacio tra i capelli.
- Ragazza ma cosa mi combini! - la avvicinò Lanie ancora scossa
- Sto bene Lanie, veramente! - la abbracciò affettuosamente
- Mi hai fatto spaventare tantissimo dolcezza! - disse prendendola per mano e allontanandola dalla sala per parlarle in privato. Uscirono fuori sulla veranda - Ora però mi devi dire tu e lo scrittore in che rapporti siete, perché mi è sembrato di rivedere quello sguardo...
- Che sguardo?
- Quello che avevate un tempo! Certo tu non lo sai, ma appunto, dimmi come va tra di voi?
- Credo bene.
- Che vuol dire credo?
- Che penso di esserci caduta un'altra volta... - rispose Beckett sorridendo all'amica
- Ti sei innamorata di Castle anche se non ricordi praticamente nulla di voi? Io te l'ho sempre detto che voi eravate destinati a stare insieme dolcezza! Sei tu che non mi hai mai voluto dare ascolto! Sono così felice! E lui? Come l'ha presa? Sarà al settimo cielo!
- Non gliel'ho detto...
- Che vuoi dire?
- Beh che tra noi è tutto perfetto...
- Tutto? Tutto comprende anche quel tutto? - chiese Lanie maliziosa
- Sì, più o meno, anche se ci sono state un po’ di incomprensioni… - Rispose Kate mordendosi il labbro inferiore
- Però non gli hai detto che sei innamorata di lui. - sentenziò la dottoressa Parish e Kate annuì - Sei sempre la solita Katherine Beckett! Non cambierai mai! Cosa aspetti a dirglielo?
- Io non so se sia il momento giusto, non so nemmeno io di preciso cosa provo, ma sta diventando sempre più importante nella mia vita ed oggi quando ho visto quella scena ho avuto veramente paura che gli fosse accaduto qualcosa e mi sono sentita persa. Non posso perderlo Lanie!
- E non sai se sei innamorata? Tu sei cotta mia cara, come sei sempre stata! Fidati di me!
- Hey ragazze, è arrivato il pranzo, venite di là o rimante qui a spettegolare? - Esposito si era affacciato richiamandole e Kate e Lanie dopo essersi scambiate un’occhiata complice rientrarono
- Anche tu mi devi raccontare un po’ di cose - Disse Kate facendo l’occhiolino a Lanie che sorrise.
Rick come sempre aveva pensato a tutto, anche al seggiolone per i figli di Ryan, dicendo che tanto presto sarebbero serviti, suscitando un tenero sorriso su tutti, specialmente su Jim Beckett che guardava sua figlia incantato. Pensava a quella ragazza impaurita che aveva visto in ospedale subito dopo essersi risvegliata ed ora rivedeva almeno in parte la splendida donna che era, certo non si illudeva che tutto fosse tornato magicamente a posto, ma vedeva negli occhi della sua bambina una luce diversa.
Prima di cominciare a mangiare Castle si alzò in piedi per parlare ai suoi ospiti.
- Innanzi tutto vi ringrazio per essere venuti tutti oggi. La nostra famiglia ed i nostri amici, che per noi sono come una vera e propria famiglia. So che negli ultimi tempi siamo stati molto sfuggenti, che ci siamo isolati, ma penso che tutti potrete comprendere la situazione particolare che io e Kate stiamo vivendo, sotto tutti i punti di vista. Sappiamo, però, anche quanto voi tutti tenete a noi, quanto vi siete preoccupati sia prima che durante le ultime settimane, per la salute mia e di Kate e non solo - concluse sorridendo. - Beh, intanto vi rassicuro intanto dicendo che noi stiamo tutti bene, per tutti intendo tutti e tre. Vi starete facendo molte domande su di noi ed ecco…
- No, non ho recuperato la memoria - intervenne Kate visto che Rick stava andando per le lunghe, come suo solito - ho solo alcune volte dei ricordi confusi di alcune situazioni che di certo non mi fanno stare bene, come avete visto prima. Se vi state chiedendo cosa sta succedendo tra di noi non lo sappiamo di preciso nemmeno noi. Però stiamo bene così, insieme. - Finì la frase prendendogli la mano e guardando suo padre emozionato che le annuiva.
- C’è un’altra cosa che volevamo dirvi, come vi ho detto, stiamo bene tutti e tre, io, Beckett e mini Beckett. A quanto pare avrò un’altra figlia femmina.
Tra la commozione generale, Alexis si voltò ed abbracciò suo padre che si era appena riseduto e Martha fece lo stesso con Kate, che subito dopo allungò una mano prendendo quella del padre che era seduto davanti a lei con gli occhi lucidi.
- Fratello, sei un uomo finito con tutte queste donne intorno! - Gli disse Esposito
- Già, Castle, dì la verità vuoi mantenere il tuo status di unico uomo di casa eh! - Lo incalzò Ryan
- Bro, non ha considerato il fatto che tra poco avrà due Beckett per casa a dettare legge lo vedo molto male!
- Avete finito vuoi due? - Chiese Rick mettendo il broncio
- No Castle, abbiamo appena cominciato! - Risero entrambi i detective.
A fine pasto Rick mise sul tavolo la torta che aveva fatto fare appositamente per quell’occasione e che era andato a prendere quella mattina. Era tutta rosa e bianca, con sopra un paio di manette e la scritta “Mini Beckett is Coming Soon” suscitando le risate generali e un’occhiataccia di Kate all’oscuro di tutto.
Il pranzo continuò allegramente tra una portata e l’altra e tutti si complimentarono con Rick per la solita puntuale organizzazione. I ragazzi passarono il pomeriggio a chiacchierare sulla veranda bevendo qualche drink insieme a Jim, mentre le ragazze rimasero in casa con Jenny che controllava i due piccoli Ryan che riposavano tranquillamente sul grande divano mentre loro chiacchieravano. Martha, invece era andata al piano di sopra a riposare, perchè la sera doveva andare ad assistere ad un’importate prima e quindi doveva essere in splendida forma. Lanie, Jenny e Alexis riempirono Kate di domande, su come si sentisse, come andasse la gravidanza e se era contenta che fosse una bambina, lei si era piuttosto imbarazzata a rispondere, visto che alla maggior parte delle cose non sapeva nemmeno lei dare una risposta, ma dal suo sorriso una sola cosa era chiara, che era felice. Quando il piccolo Nicholas si svegliò, Jenny chiese a Kate se lo voleva tenere intanto che gli preparava il biberon per farlo mangiare. Beckett fu inizialmente riluttante, ma quando Jenny glielo adagiò tra le braccia si sentì subito a suo agio, sorridendo al bambino che ricambiava il suo sorriso con tante smorfie. Trovò tutto molto più naturale di quanto pensava e di quanto si era mai trovata quando aveva avuto a che fare con dei bambini così piccoli.
Fu proprio in quel momento che Rick entrò in casa seguito da Jim per andare a prendere un’altra bottiglia, ma quando videro Kate sul divano con il bambino in braccio si bloccarono tutti e due e rimasero a guardarla immobili, mentre Lanie ed Alexis trattenevano a stento le risate per la faccia totalmente imbambolata di Castle. Quando Kate alzò lo sguardo e vide Rick lo accolse con il suo miglior sorriso e gli fece un cenno d’intesa, annuendo con la testa mentre cullava il piccolo.
- Papà, puoi anche muoverti - gli disse Alexis mentre anche Jenny era tornata ed assisteva alla scena divertita
- Eh? Che c’è Alexis? - Chiese Castle totalmente rapito da Kate
- Dicevo che puoi anche muoverti e non rimanere lì come uno stoccafisso.
- Sì, sì certo… noi andiamo di là… poi torniamo fuori
Kate diede il piccolo alla madre e poi raggiunse suo padre che era con Rick in cucina. Diede un bacio a Castle mentre stava prendendo una bottiglia di soda dal frigo e fermò suo padre prima che uscisse di nuovo con lui.
- Tutto bene papà?
- Certo Katie, tutto benissimo - Disse Jim accarezzando il volto della figlia. Non era solito a questi gesti d’affetto e la colpì molto.
- Sei contento che è una bambina? - Gli chiese portandosi le mani sul ventre.
- Per me l’importante è che stiate bene entrambe. È l’unica cosa che mi interessa. Tu sei felice Katie?
- Della bambina? Adesso sono felicissima…
- No, dicevo di tutto, di te, di Rick…
- Ci provo. Non è sempre facile e ci sono momenti duri, però voglio provarci. Avevi ragione tu.
- Di cosa?
- Che mi dovevo fidare di lui.
- Castle ti ama tanto. Lo ha sempre fatto, da prima che anche tu te ne volessi rendere conto, ed è così anche adesso. Se non ero certo di questo non avrei lasciato che fosse lui a prendersi cura di te.
- Lo so papà e ti ringrazio.
- Comunque Katie, se sarà come te, sarò proprio curioso di vedere come ti comporterai con una bambina con il tuo caratterino e la tua testardaggine! - Rise Jim finalmente più rilassato, mentre sua figlia arrossiva visibilmente.
Jim fu il primo ad andarsene ed accompagnò Martha che si doveva preparare per la serata, poi furono Ryan e Jenny con i bambini ed infine Esposito con Lanie ed Alexis che rimasero più degli altri.
Quando Rick chiuse la porta dopo aver salutato e strapazzato a dovere sua figlia che lo pregava di darsi un contegno, sospirò sollevato di ritrovarsi finalmente di nuovo solo con Kate, che nel frattempo aveva preso un pezzo di torta avanzata e si era messa comoda sul divano. Castle si sedette vicino a lei che appena gli fu vicino lo imboccò dandogli un bel pezzo di dolce, sporcandogli la bocca con la cioccolata del ripieno che subito pulì con un bacio.
- Allora, hai passato una bella giornata, piccola parentesi della mattina a parte?
- Sì, sono stata bene. Sono contenta che alla fine abbiamo detto tutto a tutti.
- Anche io.
- Però potevi anche fartela consegnare la torta e non lasciarmi sola in quella situazione! - Sbuffò Kate mettendo il broncio come una bambina.
- Ecco, io non lo sapevo… - tentò di giustificarsi Rick anche troppo seriamente per quello che era stato il tono di Beckett - E poi non sono uscito solo per prendere quella. C’è un’altra cosa… Te la volevo dare a pranzo, però poi c’ho ripensato ed ho preferito aspettare che fossimo soli.
Castle tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un sacchettino di velluto verde acqua, che solo dal colore faceva capire la provenienza.
- Rick… non dovevi… io… non so cosa dire.
- Non dire niente, aprilo.
Kate posò il piatto con la torta a terra, si pulì le mani nel tovagliolo e prese il sacchettino dalle mani di Rick. Sciolse con cura il nodo mentre lui la guardava sorridendo, immaginandosi cosa le passasse per la mente in quel momento, ma in realtà nella mente di lei c’era ben poco, se non l’imbarazzo per un regalo importante che non era abituata a ricevere. Fece scivolare il contenuto nella sua mano e ne uscì una catenina con un pendente a forma di cuore contornato da diamanti.
- È bellissimo Castle… non dovevi, veramente, non era necessario… sarà costato tantissimo… - Le sembrava una frase bruttissima da dire in quel momento, ma era quello che pensava. Un regalo del genere sono mesi del suo stipendio e lei non riusciva ancora a stare al passo con quelle che erano le possibilità economiche del marito che a sentire le sue parole fece un’espressione melodrammatica per prenderla in giro portandosi la mano sul petto esasperando la sua mimica.
- Beckett tu così uccidi il mio romanticismo! - Poi tornò serio - Giralo…
Kate fece roteare il cuore a mezz’aria e poi lo fermò per vedere cosa ci fosse dietro. “Omnia vincit amor”: deglutì e le mancarono le parole guardò negli occhi Rick in cerca di una risposta.
- È una frase latina, di un poeta famoso, Virgilio. In realtà la frase completa è “Omnia vincit amor et nos cedamus amori” La usa anche il mio caro Edgar Allan Poe. Vuol dire che l’amore vince su tutto anche su noi stessi che cediamo all’amore, perchè non possiamo resistere a questo sentimento.
- Tu… tu sai…
- Sì, lo so. L’ho scelta apposta per questo motivo. Non è solo la verità a vincere su tutto. È anche l’amore per quanto lo possiamo combattere e fare finta che non ci sia, vince sempre Kate, è inutile opporsi. Ti piace?
- È bellissima Rick, lo è ancora di più adesso…
- Posso? - Le prese la collana dalle mani, le scostò i capelli e gliela fece indossare, sperando che quelle parole fossero vere anche per loro.
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