How Ya Doin'?

di Ibizase80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorry, you can’t get through ***
Capitolo 2: *** Why don't you leave your name and your number? ***
Capitolo 3: *** ...and we'll get back to you ***
Capitolo 4: *** Ain’t got no time... ***
Capitolo 5: *** ...for what you think can be described as love ***
Capitolo 6: *** I’ll cut your holds on me ***
Capitolo 7: *** You’re missing me ***
Capitolo 8: *** I’ve had enough ***
Capitolo 9: *** It’s been so long since you... ***
Capitolo 10: *** ...have treated me like I deserve ***
Capitolo 11: *** So long, baby I'm gone ***



Capitolo 1
*** Sorry, you can’t get through ***


Le verdi colline e i prati fioriti scorrevano veloci fuori dal finestrino. Una leggerissima brezza entrava, facendo odorare la macchina di erba appena tagliata ed altri cento inebrianti profumi. Il signore alla guida, un uomo sulla quarantina, guardava il mondo con fare allegro e distratto, quasi ricordandosi all’ultimo di dover anche guidare; la ragazza al suo fianco, sua figlia, era tutt’altro che distratta, malgrado stesse guardando la macchia verde e fiorita che li circondava. Il vento spostava appena i suoi boccoli biondi, dandole l’aria di una regina che, a bordo di una carrozza, vedeva per la prima volta tutti i suoi possedimenti. Effettivamente era la prima volta che li vedeva, ma non voleva assolutamente possederli. Probabilmente neanche respirarli.
-Manca molto, papà? – chiese, sospirando.
-Annabeth, tesoro, non preoccuparti, dovremmo arrivare in giro di poco – disse l’autista, con sorriso ebete e tono rilassato.
La ragazza chiuse i finestrini, forse comprendendo che il prato poteva essere una droga più che letale. Alzò il sopracciglio destro, mostrando tutta la sua perplessità.
-Dovremmo? Non sai neanche dove si trova questo posto sperduto nel nulla? –
-Non essere così scettica, tesoro! Vedrai, prima o poi arriveremo. –
Lei girò di scatto la testa verso il padre, per poi alzare gli occhi al cielo e sbuffare rumorosamente, appoggiandosi sullo schienale bordò. L’uomo la guardò, ricordandosi di dover evitare di schiantarsi contro un albero per…beh, la durata del loro viaggio. Effettivamente stava durando un po’ troppo.
Annabeth lo lesse nel pensiero. Prese il cellulare, il navigatore e iniziò a pregare che la sua connessione internet prendesse; sfortunatamente, lo schermo rimaneva dello stesso colore verde del prato, indicando in maniera abbastanza cordiale quando brutale che erano dispersi nel vuoto più totale. Forse era solamente un po’ tragica, cosa scaturita dal suo stato d’animo fortemente sconvolto. La settimana prima, dopo la sua solita passeggiata di metà pomeriggio, tornata a casa il padre l’aveva accolta con un sorriso enorme, davvero inusuale. Non lo aveva mai visto così felice, e la cosa le aveva davvero illuminato la giornata..
-Tesoro, ho una splendida notizia! –
Annabeth fremeva, anche se il suo infallibile sesto senso aveva già avvertito qualcosa che le sarebbe andato contro. Rovinosamente.
-Ho trovato un lavoro. Certo, è un po’ fuorimano… ma potrò fare finalmente quello che ho sempre sognato!-
-Ma è bellissimo, papà!-
Era corsa ad abbracciarlo, malgrado il formicolio sospetto che percepiva nel lobo dell’orecchio sinistro. Brutto affare.
Si era fermata, e aveva analizzato nuovamente le parole del padre.
- Aspetta…cosa intendi per fuorimano? E’ fuori città?-
Il signor Chase l’aveva guardata con sguardo colpevole. Anzi, supplichevole.
-A dire il vero, cara Annabeth, non è proprio fuori città…-
 
E brava, a fidarsi del suo infallibile sesto senso. Si era ritrovata, una settimana dopo, in una macchina piena di libri, valigie, spade e scudi della collezione tanto amata da suo padre, scatoloni pieni di scartoffie, una dozzina di cartine mordicchiate agli angoli, e molte altre cose inutili. E lei stava tenendo sulle sue gambe da più di due ore i suoi libri e il modellino in scala del Partenone. Inutile dire che era alquanto scocciata. L’estate era ormai finita, e lei doveva tornare a scuola.
“Ho chiesto se la tua presenza poteva essere un problema in qualche modo, ma mi hanno detto che sono ben contenti di accogliere anche te. Non è fantastico, tesoro?”
Aveva intenzione di urlare “NO, NON E’ FANTASTICO, ACCIDENTI” ma l’unica cosa che era riuscita a bofonchiare era stato “Fantastico, davvero fantastico”. Niente di tutto questo era fantastico.
Non aveva particolari affetti, nella sua vecchia scuola, ma era così…vicina. Vicina al suo sogno.
Così sfumava tutto. Se avesse solo avuto intenzione di scappare, minimo ci avrebbe messo una settimana ad arrivare a casa, e non si credeva dotata di una particolare sopravvivenza. Cercava con gli occhi paesini, città, qualcosa di collegato alla sua fuga. Ma niente, erano circondati da prati, colline e un sacco di fiori. Oltre a corone multicolor, non sapeva proprio che farsene.
La settimana prima avrebbe voluto sbattere i piedi come una bambina viziata – cosa a lei parecchio distante, ma forse sarebbe servito a qualcosa. Allo stesso tempo, però, il sorriso ritrovato di suo padre e gli occhi emozionati la mantenevano coi piedi ben ancorati a terra. Non poteva fargli una cosa del genere.
E così aveva perso senza combattere. Lei non perdeva mai. Forse stava perdendo qualche colpo.
 
Finalmente le ruote della vettura incontrarono qualcosa di diverso dalla strada sterrata.
Ghiaia, sana ghiaia. Annabeth si sentì sollevata. Ma non voleva alzare gli occhi per scaramanzia; continuava a fissare lo schermo del suo cellulare, evitando di fare qualsiasi commento.
Questo finché suo padre non inchiodò di colpo. Colpì lo schienale bruscamente, cosa che la costrinse a guardare il signor Chase. In quel momento avrebbe avuto bisogno di una di quelle sue fantastiche occhiate fulminanti, quelle che zittiscono chiunque nel raggio di cinquanta metri. Ma non fece in tempo ad alzare la testa che si trovò davanti a qualcosa di…stupendo.
Si, stupendo.
Si trovavano davanti a un edificio, rettangolare, bianco e rossiccio. Due enormi colonne sembravano sostenerlo come fosse un filo di paglia. Le finestre donavano un tocco appena azzurro alla superficie splendente; distribuite simmetricamente, alcune si scontravano con il sole, accecando chiunque provasse a guardarle per più di tre secondi. Il nome della scuola, “Dyson Moore’s  School”, campeggiava sopra il portone di legno scuro. La ragazza si sentì osservata, ed incrociò lo sguardo del padre.
-Sono davvero contento ti piaccia, almeno il posto – rise soddisfatto.-
Non si era resa conto di avere la bocca spalancata.
-Si, insomma…meglio di quello che mi aspettavo. –
“Ricomponiti”, si diceva. “Non sembrare una bambina di quattro anni davanti ad un gelato. Ce la puoi fare, Annabeth Chase. ”
Scesero entrambi dalla macchina. Suo padre indicò l’entrata, e in giro di poco sparì tra il legno scuro del portone. Lei si appoggiò alla macchina, dopo aver depositato con la grazia di una vera regina il suo scatolone sul sedile. I suoi occhi grigi scrutavano ogni minimo movimento. Contò tutte le finestre che vedeva, ed erano già parecchie; non osò immaginare quante potevano essere quelle nascoste.
Diede nuovamente un’occhiata all’entrata, e al nome della scuola. Qualcosa non le tornava, ma non aveva voglia di pensare a nient’altro che alla sua incolumità. Ce l’avrebbe fatta. E forse, visto il luogo, avrebbe rimosso i suoi piani di fuga. Forse.
Il padre le aveva detto che doveva avere pazienza. Capiva l’impazienza, che era stata anche la sua diversi anni prima. Era riuscito ad entrare nel college più importante del paese, e aveva esaudito il suo più grande sogno: l’insegnamento.
Annabeth amava l’architettura. Nel vero senso della parola. E l’essersi portata con se il suo modellino preferito le faceva ricordare sempre più il suo, di sogno. Lei voleva studiare. Ma alla fine aveva lasciato correre e aveva dato ragione al padre, considerando che le mancavano ancora all’incirca due anni prima del college. Inoltre, lui le aveva promesso che l’avrebbe iscritta ad una scuola prestigiosa, anche fuori nazione. Annabeth sognava l’Europa, e magari di vedere il vero Partenone. Un altro dei suoi innumerevoli sogni.
Si distolse dai suoi pensieri solo quando vide il padre venire verso di lei, accompagnato da un’altra persona. Era una signora: sembrava avere almeno il doppio degli anni del padre, a primo impatto, ma scorgendola meglio avrà avuto circa cinquanta, sessant’anni. Indossava un completo nero, accompagnato da degli scomodi – ipotizzava Annabeth – tacchi, ovviamente in tinta. Il viso, appuntito, le dava l’idea di una zitella costretta dentro a quella scuola giusto per non farsi vedere in giro. “Che crudeltà, signorina Chase” si disse la ragazza, con finto sguardo contrito. Gli occhietti scuri, appena visibili dietro due spessi occhiali, la fissavano da lontano. Il padre, non facendo caso a tutto ciò, discuteva amabilmente con lei, e Annabeth cercava di capire il loro labiale. Ma, per qualche strana ragione, non ci riusciva.
Strinse appena l’occhio sinistro, per cercare di limitare il fastidio che il sole le dava; ma appena i due furono abbastanza vicini, aprì l’occhio soffrendo in silenzio.
-Annabeth, ti presento la signora Duff, la tua futura preside. –
Il padre sembrava più che soddisfatto della frase appena detta; Annabeth evitò di stringerle la mano.
La signora apprezzò il gesto, e le fece un cenno con il capo.
-E’ un piacere averla qui con noi, signorina Chase. –
Annabeth ricambiò. Ma evitò di aprire la bocca, non voleva farsi conoscere in giro di così poco.
La preside la squadrò per qualche secondo, per poi volgere la testa verso il padre.
-Che ragazza ubbidiente. Non sembra proprio una ragazza da collegio.-
 
Ad Annabeth cadde il mondo addosso.
Il suo sguardo omicida colse in pieno il padre. Lui non capiva, anzi, fingeva di non capire. Ne era più che convinta.
Era sempre stata la prima della classe. Vinto un’infinità di premi. Sempre attenta e mai richiamata all’ordine. Sul serio?
Lei, in un collegio. La morte sarebbe stata la via più veloce e meno dolorosa.
Il padre si avvicinò alla macchina, aprì gli sportelli e iniziò ad appoggiare a terra le loro valigie. Lei avrebbe avuto voglia di fermarlo, ma il panico ebbe la meglio.
Si ricordò di avere la preside a due metri di distanza. La guardò sorridere in maniera sinistra, e girare i tacchi come se nulla fosse successo.
-Benvenuti alla Dyson Moore’s School. –
Già non la sopportava.
Sbuffò, e prese il suo amato scatolone.
 

Angolo autrice: LA SODDISFAZIONE.
Cioè, spero davvero vi sia piaciuto questo primo capitolo. Dubito vi abbia aperto qualche spiraglio su quello che avverrà poi nella trama...cioè, me lo auguro, voglio mettervi addosso tutta la curiosità possibile!
Detto questo, spero di avere dei commenti, ma la vostra lettura sarebbe già un dono più che gradito, perciò...grazie! <3
Elisa

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Capitolo 2
*** Why don't you leave your name and your number? ***


Annabeth raggiunse il portone ed entrò. L’interno era piuttosto semplice: attraversato da una moquette rossa, ospitava solamente tre sedie e una cabina trasparente, nella quale stava seduto dietro un tavolo un uomo minuto – un omino. Indossava degli occhiali circolari, ed era completamente pelato; la fronte rifletteva lo schermo del computer vecchio di secoli.
La ragazza si sedette in una delle sedie, che cigolò appena poggiò una mano. Incrociò le gambe, mise lo scatolone vicino alla sua valigia e rimase in silenzio. L’unico rumore udibile era la tastiera che l’omino utilizzava incessantemente. L’orologio ticchettava, ma era come se non volesse interrompere quel clima che si era creato, ed evitava di farsi sentire troppo spesso. Il cellulare era quasi scarico, ed Annabeth aveva deciso di non usarlo più, se non una volta in carica, anche se suo padre continuava a dirle che avrebbe potuto prendere qualche scossa o radiazioni.
Si ricordò quindi dell’esistenza del signor Chase; stava ancora svuotando la macchina. Allora la ragazza bussò nel vetro che aveva davanti agli occhi per attirare l’attenzione dell’instancabile lavoratore. Lui alzò gli occhi, e sollevò un piccolo scomparto plasticato, utile per avere un minimo contatto con l’esterno.
-Si? Desidera?-
-Mi scusi, è possibile lasciare qui la mia valigia?-
Lui rifletté per qualche secondo sulla risposta, per poi ritornare a fissare la ragazza.
-Sarebbe meglio di no, signorina. Il dormitorio non si trova qui, e potrebbe essere scomodo recuperare le sue cose poi.-
“Caspita, allora questo posto è grande sul serio” realizzò senza entusiasmo Annabeth. Ringraziò, e prese le sue cose. Si trascinò fuori dall’edificio, inciampando due o tre volte nella moquette scarlatta nel tentativo di trasportare nello stesso momento scatola e valigia. Sbuffò, e raggiunse il padre, momentaneamente scomparso tra i sedili della macchina.
Lei scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
-Potrei avere un’illuminazione su quello che staresti facendo, papà?-
-Ah, tesoro, eccoti! Vieni un attimo qui…-
La ragazza appoggiò per terra la scatola, per poi avvicinarsi. Lui indicò i tappetini scoloriti.
-Credo…credo di aver perso la mia spatha in miniatura…tu la vedi per caso, Annabeth cara?-
Si sentì rivolti su di lui degli occhi freddi come ghiaccio, sperò la figlia. Non poteva aver perso così tanto tempo per una…si, una spada in miniatura. Gemette, ma non disse nulla; aveva già dato abbastanza grattacapi al padre; non voleva essere una di quei figli assillanti, che fanno i capricci finché non ottengono quello che vogliono. Si piegò in avanti, e sollevo con cautela i tappetini. Non aveva nessunissima intenzione di ritrovarsi davanti insetti o ragni vari. Ma, dopo diversi ciuffi di polvere – “che schifo, che schifo, che schifo”, si ripeteva in continuazione – e qualche minuto riuscì finalmente a scorgere un bagliore estraneo alla sporcizia che respirava,e allungò la mano. Afferrò qualcosa di freddo, e si sentì sollevata. Era proprio la spatha di suo padre. Si rimise in piedi, e sternutì più di una volta a causa della polvere. Poi prese la sua maglia, e pulì al meglio la piccola arma. “Chissà quanto può essere bella a grandezza naturale” pensò la bionda, e ticchettò sulla spalla del padre, che nel frattempo era finalmente riuscito a svuotare la macchina.
-Grazie tesoro, ero così in pensiero! - ridacchiò il signor Chase, prendendo in mano il suo pezzo da collezione e infilandolo in tasca.
La ragazza lo guardò. Era così felice del suo nuovo lavoro. Da anni, ormai, non facevano altro che vivere di rendita, o del denaro che lui riusciva a guadagnare dalle decine di lavori differenti che faceva. Purtroppo, l’insegnamento era solamente un sogno nel cassetto; e questo non lo rendeva triste, ma Annabeth notava la scintilla assente nei suoi occhi scuri. A dire il vero, lei, quella scintilla non l’aveva mai vista…forse solo sua madre lo aveva fatto. La madre che non aveva mai conosciuto.
Ma quel giorno, tornata a casa…aveva notato qualcosa di diverso. Suo padre era felice. Veramente felice. Non come quando avevano le giornate padre-figlia a scuola, in cui non riusciva bene a definire che tipo di lavoro facesse. “Mio papà è un maestro bravissimo! ” tentava di far capire ai suoi compagni la figlia, ma lui scuoteva sempre la testa divertito, e diceva di essere un maestro un po’ pazzo, ma in senso buono. E la piccola Annabeth metteva il broncio, perché era davvero convinta che suo padre fosse l’insegnante migliore mai visto sulla faccia della Terra.
Era piena di orgoglio, ora più che mai. Avrebbe dimenticato il suo sogno, almeno per un po’. In fondo lo faceva per suo padre, non per il primo straniero incontrato per strada.
-Tesoro, mi dai una mano? Dai, tra poco forse vedrai la tua stanza!-
Quella notizia la riportò alla realtà. Annuì, ed afferrò le cartine ingiallite.
 
Nel giro di un’ora erano riusciti a trasportare tutto nella struttura principale. Pallidi e ansimanti com’erano, i due si abbracciarono, e il cuore di Annabeth si scaldò. Il signor Chase la sciolse dall’abbraccio e, con un sorriso furbo, le prese il suo modellino del Partenone.
Se lo mise sottobraccio, noncurante di tenerlo in maniera stabile, e corse fuori dal portone. La figlia, sconvolta, lo seguì, lasciando le loro cose incustodite nel corridoio principale.
Corsero per almeno cinque minuti senza sosta, fino a che Annabeth vide il padre crollare a terra, sotto un albero. Lei, agile com’era, non si era stancata particolarmente; ma il gracile professore non proveniva esattamente dalla stessa scuola, e stava boccheggiando cercando di respirare in maniera controllata e regolare. Lo raggiunse: per prima cosa, prese il suo modellino, alzandolo sopra la sua testa per controllare che non si fosse rovinato o anche solo scheggiato durante il percorso. Poi lo appoggiò sull’erba, osservando che non ci fossero formiche o qualsiasi tipo di insetto in giro – non voleva avere il suo tesoro infestato da mostriciattoli schifosi. Per terza cosa, di sedette accanto al padre, prima di scoppiare in una enorme risata. Era da diverso tempo che non si lasciava andare.
Una settimana, forse anche mesi. Il signor Chase la guardò, per poi ridere a sua volta.
Era qualcosa di cristallino, chiaro, come acqua sgorgante da una roccia, in qualche monte lontano.
La ragazza si distese completamente a terra, e guardò il sole tra le fronde dell’albero.
Era senza pensieri. In quel momento, non voleva pensare proprio a nulla; erano lì, lei e suo padre, si stavano divertendo, e lo stavano facendo sul serio. Non voleva svegliarsi da quel sogno così surreale.
 
Rimasero nella stessa posizione qualche minuto. Il signor Chase attinse a tutta la sua energia rimasta e si alzò; Annabeth lo guardava, sperando cambiasse idea e si rimettesse seduto accanto a lei.
-Credo sia ora, tesoro…-
La ragazza si stiracchiò, e lentamente piegò le gambe per tornare in piedi. Rimasero per qualche secondo in silenzio, il tempo necessario ad Annabeth per rendersi conto che il padre attendeva la sua risposta.
-Uhm, si, direi che possiamo portare…-
“Le mie cose in camera” si disse, senza però riuscire a pronunciare una singola parola.
Il signor Chase apprezzò il suo tentativo, e si incamminò di nuovo verso - lo stramaledetto - portone
di legno, lasciando prendere alla figlia il suo modellino.
Quando lei era ancora sulla ghiaia, lui le aveva già trascinato le sue valigie vicino, e portato la scatola con i suoi libri. La ragazza ripose con cura il Partenone in essa, ed afferrò in trolley. Si diressero verso un altro edificio, molto simile a quello principale, solo che giallognolo e leggermente più piccolo. Le finestre erano contorniate da una leggerissima decorazione turchese, che spiccava solamente grazie al sole.
Entrarono attraverso un portone identico al primo, solo che più chiaro e decisamente più piccolo.
“Il legno è sicuramente diverso” realizzò in molto poco Annabeth. Non erano delle realizzazioni così argute, a dire il vero, ma il concentrarsi su qualcos’altro l’avrebbe sicuramente aiutata a sentirsi meglio. Una strana sensazione le stava invadendo il petto; agitazione, ansia, paura. Non riusciva a distinguerle in paniera precisa. All’entrata c’era solamente una cabina trasparente, identica a quella dell’omino, posta alla sinistra di chiunque entrava; davanti agli occhi del signor Chase e di sua figlia, invece, prendeva posto una grande scalinata, ricoperta dalla ormai inconfondibile moquette rossa.
Annabeth rimase vicino alla scalinata, mentre il padre bussava sul vetro della cabina. Chiese due o tre cose al massimo, per poi tornare dalla figlia.
-Secondo piano, ala Ovest, stanza 62. Mettiamoci in marcia!- ululò contento il signor Chase, mentre la figlia sbuffava divertita.
 
Persero la cognizione dello spazio e del tempo, totalmente. Impiegarono un’eternità a salire tutte le scale – che erano davvero tante, anzi, troppe – , e prima di imboccare l’ala Ovest sbagliarono due volte direzione. Dal momento in cui riuscirono a leggere i numeri sulle porte delle camere, capirono di essere andati troppo avanti, e dovettero ricominciare tutto da capo. Il signor Chase imperlava di sudore, ed Annabeth era spazientita a livelli estremi. Solo quando vide il numero 50 iniziò a calmarsi. Prese le valigie, le scatole, e guardò il padre dritto negli occhi.
-Da adesso vado avanti da sola, non preoccuparti.-
Si sporse sulle punte dei piedi, e diede un bacio a suo padre. Lui la guardò riconoscente, e borbottando qualcosa di incomprensibile tornò indietro.
“Spero non si perda per strada, ora” pensò preoccupata la ragazza.
Sentì ancora quella sensazione stranissima. Ansia, mista a paura, con una leggera spruzzata di agitazione. No, niente, un’ abbondante dose di agitazione. Praticamente non si reggeva più in piedi a causa del tremore delle sue gambe.
Prima di trascinarsi dietro le valigie, andò a cercare la sua camera. Continuava a ripetere il numero 62 in maniera insistente, finchè non lo vide scritto. Sospirò, e tornò indietro. Trasportò con tutta la calma del mondo le sue cose, per ritrovarsi ancora una volta davanti alla stessa porta.
Inutile fingere, era davvero agitata. Aveva paura. Non voleva aprire quella porta.
In una percentuale molto alta, la sua compagna di stanza non era ancora arrivata. Le lezioni, da come le aveva detto sue padre, sarebbero iniziate solo una settimana dopo, all’incirca. Tranquillizzata da ciò, aprì la porta senza indugio.
La camera era davvero carina, pensò la ragazza. Vi erano due letti, uno perfettamente accanto all’altro, disposti sulla sinistra; la porta del bagno, collocata dalla stessa parte, era poco distante dal primo comodino. Una finestra si trovava perfettamente al centro; avvicinandosi, Annabeth scoprì dare sullo spiazzo principale. Un armadio, molto grande, si trovava al fianco destro della finestra. Oltre a quello, c’era una scrivania molto grande, sulla quale erano già attaccate foto varie. “Probabilmente della mia coinquilina” pensò la ragazza.
Fortunatamente, vi erano anche tre scaffali, lo spazio necessario per i suoi libri e il suo modellino adorato. Lanciò un’occhiata all’unica sedia della stanza, quando si accorse che, accatastati su di essa, vi erano un dizionario, diversi libri di testo e all’incirca sei quaderni. Annabeth si stupì parecchio; in teoria, la ragazza che abitava in quella stanza lo faceva da due anni – sempre se non aveva fatto la sua stessa fine – e trovare i libri di testo che le sarebbero dovuti servire per i compiti delle vacanze lì, con un dito di polvere, non era proprio il massimo. Non per lei.
“Iniziamo con il piede giusto” ridacchiò.
Osservò per un po’ i due letti, cercando di capire quale fosse quello della sua coinquilina. Scoprì, nella spalliera del primo, due fotografie, perciò andò sul sicuro buttandosi sul secondo.
Chiuse gli occhi, stravolta. Aveva sonno, davvero molto sonno. Diede un’ultima occhiata alle valigie, chiuse la porta della stanza e si tolse le scarpe. Troppo sonno.
 
Annabeth aprì gli occhi sobbalzando. Aveva sognato di cadere nel vuoto, e di essere arrivata in un collegio sconosciuto pieno di gente mai vista. Affacciandosi dalla finestra, capì che era un sogno molto più reale di quello che credeva. Se non per il fatto dell’essere “pieno di gente”, considerando che da quando era arrivata non aveva incrociato praticamente nessuno. Per quanto tempo aveva dormito? Chissà. Il cielo stava iniziando a scendere dal cielo, assumendo un colore rosato.
Iniziò ad avvicinarsi alle sue scatole, e le svuotò sopra il nuovo letto. Non fece in tempo a mettere in ordine alfabetico i libri, che sentì un cigolio e un tonfo improvviso.
Alzò la testa, e rimase di sasso. Davanti ai suoi occhi c’era qualcuno, qualcuno che non si aspettava minimamente.
 
Deglutì lentamente, spalancando gli occhi grigi. Davanti a lei una ragazza, accompagnata da due valigie e una borsa, la stavano fissando, probabilmente cercando qualcosa da dire in giro di poco.
 


Angolo autrice: Finalmente qualcosa di più interessante accadrà e non vedo l’ora di aggiornare, uhm-
Cioè! Spero vi sia piaciuto questo capitolo, anche se dai prossimi aggiornamenti prometto di abbandonare le descrizioni infinite per dedicarmi a qualcosa di più divertente :D
Grazie per essere arrivati fin qui, dal profondo del mio cuore! <3
Al prossimo aggiornamento!
Elisa
 

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Capitolo 3
*** ...and we'll get back to you ***


Un silenzio tombale continuava ad essere presente nella stanza. O almeno, era quello che percepiva Annabeth. Si concentrò sulla ragazza che aveva di fronte: i capelli, color cioccolato, erano raccolti in una mezza coda, tenuta insieme da treccine; inoltre, legate ad esse, aveva delle piume molto colorate, che contribuivano a darle un aspetto buffo ma interessante. La sua pelle, probabilmente già abbastanza scura di suo, era lievemente abbronzata, e risultava dorata. Gli occhi, estremamente grandi, erano di un colore che Annabeth non riuscì a individuare nell’immediato: verdi? Grigi? No, non come i suoi. Forse un marrone chiaro. Le labbra, per quanto carnose, rispettavano l’armonia del suo viso, a contrasto con gli zigomi leggermente marcati. Indossava una canottiera appena rosata e dei pantaloni che le arrivavano circa al ginocchio. La sua espressione facciale, in quel momento, era di dubbio misto a curiosità: osservava Annabeth con il sopracciglio destro leggermente alzato, e la bocca appena schiusa.
-Non mi aspettavo di avere una coinquilina – ribadì per prima lei, rompendo quel muro di tensione che si era creato.
-Però finalmente ho un po’ di compagnia! –
     Sorrise, e mostrò due file di denti bianchissimi; Annabeth, di tutta risposta, alzò gli angoli della bocca…cosa che per lei era un più che sufficiente sorriso di benvenuto.
La ragazza si spostò rumorosamente dalla porta, e gettò una delle valigie sul letto, presumibilmente la più leggera. Poi, saltò su di esso e girò verso Annabeth, trovandosi faccia a faccia con lei.
-Piacere di conoscerti, io sono Piper. – e sorrise di nuovo.
-Piacere mio, Piper. Io sono Annabeth. – e anche lei fece un sorriso leggermente più pronunciato del primo.
-Abiti molto lontano da qui?-
-Abbastanza. Tu?-
-…neanche tanto. Mio padre mi ha messo qui perché era il collegio più vicino a casa.- Alzò le spalle con aria di indifferenza, ma un velo di tristezza le coprì momentaneamente gli occhi, prima di farla tornare allegra come prima.
-Come mai sei qui tu, invece? –
Annabeth si portò una mano dietro al collo, massaggiandolo un po’: era nel panico più totale. Avrebbe dovuto dire a Piper di suo padre? Il signor Chase, che sarebbe presto diventato Professor Chase? Era in dubbio. La sua coinquilina l’avrebbe vista in modo diverso?
Ormai la domanda l’aveva fatta. Non era una bugiarda, Annabeth, e preferiva dire la verità piuttosto che invenzioni. Anche se doveva ammettere la divertivano molto, in quanto molti ci credevano.
Il motivo per cui lei non aveva mai avuto amici era la sua schiettezza disarmante. Se le chiedevano un parere, non aveva timore nel dire a qualcuno che cosa ne pensava sul serio. E per quanto molti si lamentano della non sincerità della gente, Annabeth aveva sperimentato più che bene che le persone non vogliono sentire la verità, ma quello che per loro è giusto. Perciò, aveva rinunciato ad avere qualcuno a cui affezionarsi da tempo.
Ma Piper era un’opportunità. Sarebbe stata la sua compagna di stanza per uno, o forse più anni. Non avrebbe potuto ignorarla, come aveva sempre fatto con tutti gli altri; e il fatto di dover dire la verità, per una volta nella vita, le costava davvero fatica.
-Ecco…mio padre ha ottenuto un posto di lavoro qui, ed essendo appunto lontano da casa, ha deciso di portare anche me.-
Era soddisfatta. Aveva trovato una scappatoia più che buona. Aveva detto la verità, ma senza specificare nulla. “Ottimo lavoro, Annabeth Chase”.
-Forte! E per cosa l’hanno assunto?-
Il cuore della bionda sprofondò nel vuoto. Di nuovo.
-Ehm, come…come insegnante.-
Osservò Piper aprire la bocca in una grande “o”, prima di notare nei suoi occhi una scintilla di ammirazione e stupore. Che scompensarono Annabeth non poco, a dire il vero.
-E non sei contenta? –
-Beh…certo!-
-E allora perché fai quella faccia? – rise.
-In realtà non sapevo come l’avresti presa.-
Boom. Tutta quella confidenza in un attimo solo faceva girar la testa ad Annabeth, che non aveva mai rivolto più di dieci frasi di media lunghezza consecutive alla stessa persona. E che avessero un contenuto importante, specificando.
-Perché? Come la dovevo prendere?-
-No, io…niente.-
-No, dimmi!-
-Insomma, diventerà tuo professore…e cose così…-
-… sul serio? – Piper guardò seria Annabeth, che stava lentamente ricominciando a riprendere colore.
-…beh, si.-
-Prima di tutto tu non sei tuo padre, quindi se dovrò insultarlo non mi farò problemi.-
Dopo aver visto diventare Annabeth color carta, scoppiò a ridere e allungò il braccio destro, appoggiandole la mano sulla spalla.
-Stavo scherzando, ovviamente. Quello che intendo dire è…non farti troppi problemi di questo genere qui, o almeno non con me.-
Si rimise composta ed alzò le spalle, lasciando un accenno di sorriso sarcastico in viso.
Solo dopo queste parole, Annabeth rincominciò a respirare regolarmente e riprendere colore – sempre bianco, ma, insomma, incominciò a star meglio.
Girò il collo verso la finestra: ormai si era fatto buio, e il gorgoglio del suo stomaco le ricordò l’ultimo pasto fatto.
-Tu hai un orologio?-
-Si! – disse Piper, scattando dal letto e buttandosi nella sua borsa. Tirò fuori, dopo un minuto circa, un orologio rosso, presumibilmente di gomma. Preso in mano, strinse gli occhi in due fessure, prima di annunciare:- Le sette e un quarto, circa.-
-A che ora è la mensa, qui?-
-Alle otto, se non ricordo male.- Annabeth la guardò interrogativa.
-Se non ricordi male?-
-Non è che mi presenti molto spesso a mensa. Di solito prendo qualcosa a pranzo e me lo mangio qui, in stanza, da sola, ma visto che quest’anno ci sei tu probabilmente mi toccherà cambiare abitudini.- Strizzò un occhio.
-Altra domanda. Perché i tuoi libri sono tutti lì?-.
-Ah…questi! Li lascio sempre  qui…- altra occhiataccia di Annabeth-  perché arrivo sempre una settimana prima, e d’estate non ho il tempo necessario per farli.-
-Quindi li fai questa settimana. Tutta quella roba.-
-…ce l’ho sempre fatta, di norma.-
-Da sola?-
Piper annuì.
Annabeth allora alzò le spalle, come per dire “contenta tu”, e si alzò dal letto.
Incominciò a mettere gli altri libri sullo scaffale, e a sistemare le sue cose; divisero l’armadio in due, secondo le esigenze di ognuna, così che Piper si prese un quarto dell’armadio, e Annabeth l’altro quarto. La bionda fu felice di scoprire che, malgrado l’impressione, neanche la compagna fosse una grande modaiola; anzi, in proporzione aveva forse anche meno vestiti di lei.
Il problema iniziale fu la scrivania: per quanto non fosse piccola, entrambe avrebbero avuto bisogno di studiare, durante l’anno scolastico, e avrebbero condiviso più della metà delle lezioni. Ma, alla fine, il problema fu risolto in giro di poco: Piper le concesse tutto il tempo che voleva per lo studio, e lei si sarebbe arrangiata poi, a patto che Annabeth l’avesse aiutata coi compiti delle vacanze. La bionda fu all’inizio scettica, ma dopo tutte le preghiere della coinquilina accettò di buon grado la sua disponibilità…per quanto, aveva già capito che il lavoro da fare con lei sarebbe stato molto, molto duro. Fecero i letti, e appoggiarono i loro asciugamani in bagno; anche lì Piper si mostrò di straordinaria generosità, lasciando buona parte dello scaffale alla nuova arrivata.
Non fecero in tempo ad appoggiarsi sul letto, che sentirono un suono fastidioso e insistente; la campanella della cena. Entrambe si alzarono, chiusero a chiave la stanza e si avviarono per i corridoi.
Per grande fortuna di Annabeth, Piper si dimostrò molto più pratica del padre: riconobbe corridoi e scale immediatamente, ed arrivarono nell’ingresso del dormitorio in meno di due minuti. Si segnò mentalmente di farsi dire tutti i luoghi utili e di disegnarsi una cartina del collegio, per evitare di perdersi.
La mensa si trovava dalla parte opposta del cortile, ora illuminato dalle luci di piccoli lampioni. Lo attraversarono, e si trovarono davanti ad un edificio marroncino, con lievi accenni di bianco scolorito. O almeno, fu quello che vide Annabeth nel buio quasi totale.
Entrarono tra due porte di vetro, sicuramente aggiunte durante l’estate. “L’anno scorso un ragazzo del quarto anno ha dato un calcio al portone, facendo saltare uno dei cardini” bisbigliò sottovoce Piper, con aria divertita.
L’edificio era davvero enorme: i tavoli erano di media lunghezza, e all’incirca potevano sedere in ognuno dieci persone. La  stanza sembrava essere divisa in settori: Piper rivelò che nei tavoli più vicini ai fornelli stavano i “novellini”, ovvero i ragazzi del primo anno; poi quelli del secondo, e così via. In fondo alla sala vi erano dei tavoli, in proporzione, più grandi rispetto agli altri; probabilmente destinati ai professori, realizzò Annabeth, visto il padre aggirarsi tra quelli. Poi vi era lo spazio dedicato a coloro che lavoravano nel collegio: donne delle pulizie, bidelli, cuochi. La zona in cui si poteva prendere il cibo era molto grande: sicuramente la postazione era per quattro o cinque persone.
-  I ragazzi del collegio sono molti? -
-  Beh, si; di solito i più numerosi sono quelli del primo anno, ma andando avanti si aggiungono sempre nuove persone- come te, ad esempio.- disse Piper.
Si sistemarono in un tavolo centrale, malgrado non ci fosse praticamente nessuno. Dalle informazioni date da Piper, c’erano due ragazzi del quinto anno, uno del quarto e uno del secondo, mentre del terzo erano le uniche.
-Spesso, se non obbligati in qualche modo – si indicò la mora- tutti gli studenti arrivano al massimo due giorni prima; non ci tengono a presentarsi troppo prima in un posto del genere – disse, sbuffando. – Molti sono ancora in vacanza in qualche isola tropicale, o dall’altra parte del mondo; io e mio padre siamo andati in vacanza a luglio, quindi non aveva nessuna scusa per tenermi a casa.-
Annabeth voleva sparire sotto il tavolo. Lei e il padre non andavano in vacanza da anni, se non in altri posti dell’America non troppo lontani; l’ultima volta era stato a New York, e furono ospiti di parenti. Il signor Chase le aveva promesso che un giorno l’avrebbe portata in Grecia, e che avrebbero visto moltissimi luoghi stupendi e, primo fra tutti, il suo adorato Partenone; ma erano in ristrettezze economiche, e solo pensare ad un viaggio del genere era per Annabeth solamente un sogno ad occhi aperti.
Piper la riportò al mondo reale:- Immagino quello laggiù sia tuo padre!- rise.
La bionda si girò, giusto in tempo per guardare il padre alzare lo sguardo e salutarla. Lei ricambiò il saluto, e portò di nuovo il suo busto verso Piper.
-Sembra simpatico – fu il commento di lei – che cosa insegnerà?-
-Storia. E’ il suo pallino fisso dall’età di cinque anni- disse rapidamente Annabeth.
-Allora vuol dire che è una persona appassionata al proprio lavoro, no?-
La bionda alzò lo sguardo, e le rivolse un sorriso. Vero. Sperava non lo avesse detto per compassione di una povera ragazza costretta in un collegio che non voleva in mezzo a gente che non voleva. Ma, a dire il vero, in quel momento non pensò a niente di tutto questo. Che avesse trovato un’amica? Troppo presto per dirlo. Ma Piper le piaceva. Sembrava schietta quanto lei, forse leggermente più estroversa. Insomma, lei, sorridente o meno sorridente, continuava a sembrare una statua di marmo.
Si alzarono, presero dei vassoi gialli di plastica, se li fecero riempire e tornarono ai loro posti. Annabeth non amava il purea, e neanche la carne, ma era così affamata che avrebbe divorato tranquillamente il tavolo. Dopo circa mezz’ora, lasciarono la mensa per tornare nella loro stanza.
Chiusa la porta, Piper si stiracchiò, ripose le valigie vuote dentro l’armadio, e sbuffò visibilmente. Poi si avvicinò alla scrivania. Appoggiò tutti i suoi libri sul letto; prese un pannò, li spolverò rapidamente e recuperò dal cassetto un libricino, che sembrava essere il suo diario. Diede ad Annabeth un’occhiata, come per ricordarle la sua promessa; ma lei era già in piedi, e si avvicinò lentamente alla mora. La vista dell’immensa lista presente nelle pagine del suo diario fecero sentire male la bionda; ma Piper sembrò non essere particolarmente turbata, e lanciò l’agenda con noncuranza sulla scrivania. Diede una letta ai titoli dei vari libri scolastici, prima di afferrarne due e separarli dagli altri.
-Da cosa vorresti iniziare?- chiese Annabeth.
-Per questa sera faccio da sola, non preoccuparti – le rispose l’altra.
-Che vuoi dire?-
-In matematica e chimica me la cavo abbastanza…il problema verrà con altre materie- disse Piper, estremamente calma.
-Quindi…-
-Dormi, ti fa bene.-
Annabeth ringraziò mentalmente e non la coinquilina, trovò tra i panni sistemati nell’armadio il pigiama e se lo infilò. Piper, intanto, si era già seduta sulla scrivania, e aveva iniziato a scrivere.
-Sei proprio sicura di non volere una mano?-
-Sicurissima! Buonanotte! -.
La bionda si girò sul fianco sinistro, e l’unico rumore che sentì per qualche minuto fu la penna premuta sui fogli. Poi più nulla.
 
I raggi del sole entrarono a poco a poco negli occhi di Annabeth. Si stiracchiò, tolse le coperte dalle sue gambe e si alzò in piedi. La tenda era tirata: la aprì appena, giusto per vedere che giornata si sarebbe presentata.
Il cielo era di un azzurro tenue, e puntellato di nuvole; gli alberi del cortile muovevano appena le fronde, forse agitate da un venticello lieve.
Sì sentì un lungo sospiro, e un suono simile ad un grugnito; girandosi, Annabeth scoprì la sua compagna di stanza sveglia, intenta a stiracchiarsi tranquillamente e senza fretta.
-Buongiorno – disse Annabeth, con voce appena roca; Piper le rispose con un sorriso e un suono gutturale.
-A che ora sei andata a dormire ieri sera?-
Altro suono simile al precedente. Annabeth corrugò la fronte, e ripropose la domanda:
-Le tre, credo.-
La bionda si sentì improvvisamente in colpa. Ma prima che potesse proferir parola, Piper terminò la frase precedente:
-Vado sempre a dormire a quest’ora, anche a casa- .
-Quindi non sei andata a dormire tardi per studiare?-
-No, l’ho fatto di mia spontanea volontà – rise la mora.
Sollevata, Annabeth si avvicino alla scrivania.
-Ieri hai finito tutto?-
-Per quanto sembra assurdo si, matematica e chimica sono a posto- annuì.
-Cosa abbiamo intenzione di fare oggi?-
-Inglese. E non solo oggi.-
Annabeth si girò verso di lei, che aveva un viso funereo.
-Perché così preoccupata?-
-Devo leggere tre libri…cosa che non riuscirò mai a fare, vista la mia lentezza.-
La bionda scoppiò a ridere, non riuscendo a trattenersi. Anticipando qualsiasi insulto di Piper, prese il diario, lo sfogliò, vide i titoli e lo richiuse, appoggiandolo sulla scrivania.
-A questi penso io. Tu preoccupati delle altre materie scritte.-
La mora, con viso stupito e raggiante nello stesso momento, ringraziò un centinaio di volte Annabeth.
Quel giorno mangiarono, per colazione, i panini presi da Piper la sera precedente – non erano freschissimi, ma per due studiose delle otto di mattina va più che bene - , e studiarono abbondantemente fino all’ora di pranzo. Ricominciarono alle tre; e così, ininterrottamente fino a sera. Andarono a dormire a mezzanotte passata, con una Piper ancora sveglissima ed una Annabeth che non si trascinava più per la stanchezza.
 
La loro settimana passò così; Piper, in quattro giorni, riuscì a finire tutti i compiti, grazie al sostegno della coinquilina, ed Annabeth non pensò per parecchio tempo al fatto di essere in un collegio in cui conosceva in maniera sufficiente solamente suo padre e la sua compagna di stanza.
Il problema si ripropose solamente quando, la mattina del venerdì, Piper spalancò la finestra in un impeto di gioia, ed Annabeth cadde dal letto per lo spavento.
La bionda, dopo essersi ricomposta, chiese cosa fosse successo di così eclatante.
-Ma non te ne rendi conto? Oggi iniziano ad arrivare tutti! –
E Piper iniziò a dire come sarebbe stato bello rincontrare Tizio, fare quattro chiacchiere con Quella del quarto anno, ed altri discorsi di questo genere.
Lo stomaco di Annabeth divenne grande quando un pugno, il suo viso simile a quello di un morto, e prima che la coinquilina se ne rendesse conto, si era chiusa in bagno.
 
“Che la fine abbia inizio”.


Angolo autrice: Ehilà! Fate finta che non siano passati quattro mesi e un po', grazie.
Sono stata occupatissima con la scuola, e avendo dovuto scrivere un sacco anche lì, è passato un po' di tempo prima che mi ci mettessi di mia spontanea volontà...ma chi non muore si rivede, no?!
Ecco a voi il terzo capitolo, spero tanto vi piaccia! Ci ho messo tutto l'impegno del mondo! :D
E buon capodanno! Spero il 2016 sia per voi un anno meraviglioso! 
Elisa

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Capitolo 4
*** Ain’t got no time... ***


Piper bussò una decina di volte sulla porta del bagno, consecutivamente, cosa che costrinse Annabeth a parlare e risponderle.
-Io…io oggi rimango qui. Tu vai in giro, io leggo un po’ e ti ricontrollo i compiti.-
-Sei impazzita per caso?-
Piper non poteva capirla. Sperava in un malanno improvviso, che la costringesse a letto. Ma niente, oltre ad un dolorosissimo mal di stomaco generato dall’ansia, non sentiva assolutamente niente. O almeno, niente da usare come scusa.
-Dai, Annabeth, esci di lì, così ne parliamo da persone civili!-
Non aveva mai fatto discorsi del genere con la mora, ma aveva una brutta sensazione a riguardo. Rimase in silenzio, e si sedette sul bordo della vasca.
-Annabeth Chase, apri questa porta, sennò…-
-Cosa fai?-
Sentì degli strani rumori dalla stanza. Poco dopo, vide con orrore una chiave infilarsi magicamente nella toppa, e Piper aprire la porta.
-La apro con la copia della chiave del bagno – disse in uno sbuffo tra il divertito e l’arrabbiato. I suoi occhi colorati stavano fissando Annabeth in un’espressione…assurda: era un misto di rabbia, stupore e compassione. Era molto simile alla sua quando il padre bruciava la cena, oppure faceva qualche altra strana idiozia, ma non avrebbe mai pensato potesse essere così…”pesante”. Sentiva il suo volto assumere un’ espressione tra il contrito e il divertito. Non sapeva proprio che dirle: avrebbe dovuto giustificarsi? Dire a Piper che era un’idiota in piena regola? Che la “regina di ghiaccio” – era quello il soprannome che i suoi vecchi compagni di scuola le avevano appioppato – era così spaventata dal conoscere nuove persone che si sarebbe chiusa in bagno e, con molta probabilità, ci sarebbe rimasta per tutto il giorno, se non per tutto l’anno scolastico? Forse non era una buona idea. Era meglio aspettare una domanda da parte di Piper, per poi dare una risposta adeguata.
Ma la coinquilina non sembrava di avere intenzione di fare nulla. Anzi, continuava a fissarla in silenzio, finchè non la afferrò per un braccio e la portò fuori dal bagno. Annabeth prese la sedia della scrivania, e si sedette; Piper si buttò nel suo letto, non smettendo di fissare la bionda.
-Dammi una spiegazione, e io ti dirò cosa ne penso - disse, dopo un minuto di silenzio.
-Ho paura…ho paura di incontrare nuove persone che mi odieranno in giro di poco, che mi vorranno fuori dai piedi in neanche un secondo e che non vorranno guardarmi in faccia per…mio padre, ecco.-
Le uscì di bocca tutto in un attimo; Piper, dopo dieci secondi di riflessione, aprì la bocca senza lasciar uscire dalle sue labbra neanche un suono. Poi la richiuse, appoggiò i gomiti sulle gambe e tornò a fissare Annabeth con aria concentrata. Stretti gli occhi come fessure – uno dei suoi tic, ormai noti alla bionda- , si decise e si mise dritta.
-Non vorrei essere scortese né distruttiva, ma…come puoi dire questo senza conoscere assolutamente nessuno?-
-Come…-
-Hai detto che ti odieranno, e che non riusciranno neanche a guardarti in faccia perché tuo padre è un professore. Ancora non conosci neanche un terzo della gente che sarà nei tuoi corsi. Non sai come sono. Perché già li dipingi come terribili, se non li hai mai neanche visti?-
Annabeth emise un gemito. Non poteva protestare; effettivamente, il discorso di Piper non faceva una piega. Ma non si sentiva a suo agio. La guardò, con gli occhi lucidi, e tornò a fissare il pavimento. Vista la reazione, Piper rimase zitta per quelli che possono essere…cinque secondi, prima di riprendere parola.
-Una delle mie migliori amica è una punk darkettona. Non è quello che si più dire una persona particolarmente socievole, ma campa comunque benissimo, ha il suo cerchio di amicizie e, per quanto un sacco di gente non la sopporti, lei se ne frega. Ha i suoi amici, che le bastano e le avanzano. Ora, se tutti ti odiassero ti dico, e giuro solennemente – alzò il pugno destro e lo appoggiò sul cuore- , che li prenderei a calci nel didietro e gli direi di pensare prima di parlare. Perché, per quanto ti conosco da neanche una settimana, non ho mai visto nessuno così disponibile, soprattutto a studiare con me e saltare i pasti. E non è che tu mi conoscevi da prima. Quindi, direi che non puoi essere etichettata come menefreghista e “figlia di papà”, e questo già conta tanto.-
Annabeth la fissò con la bocca spalancata. Non se lo aspettava minimamente, da Piper. Per quello che le aveva detto riguardo al stare con chi le pareva, le era abbastanza familiare: nessuno ti vuole? Stai da sola piuttosto che stare con gente imbecille. E lì, c’era arrivata all’età di…sette anni, circa. Ma le aveva detto che era una persona disponibile, e che non era menefreghista. Cosa di cui era stata accusata molto spesso. Quindi non lo era? O almeno, non così tanto?
Guardò la mora riconoscente. Il discorso non l’aveva convinta del tutto – sarebbe benissimo comunque rimasta nella loro stanza -, ma le aveva tirato su il morale. Una persona si fidava di lei. E non la riteneva così fredda e cinica. Annabeth rivolse a Piper un sorriso, per ringraziarla.
Ma la mora non era soddisfatta.
-Non ce l’ho fatta, eh?-
-A fare cosa?-
-A farti venire giù.-
-Mhh…no, in realtà no. Ma ti ringrazio per avermi dato della disponibile- annuì convinta la bionda per un motivo sconosciuto.
-Che poi, sarebbe molto più semplice di quello che credi…-
-Cosa?-
-Se hai tanto paura che possano giudicarti come figlia di un prof, fai in modo che non lo facciano.
-Sei un genio assoluto, Piper. HAI IDEE SU COME FARE?- alzò la voce Annabeth, in un misto di rabbia e disperazione.
Piper le rivolse un sorriso di sfida.
-Conoscili prima.-
-Prima di che?-
-Prima che scoprano chi è tuo padre.-
La mora alzò il mento e serrò gli occhi, come per accentuare la sfida già lanciata.
Annabeth rimase sconcertata.
-Fai poco quella faccia – rise Piper – due giorni sono più che sufficienti per conoscere gente a posto. A cui, tra l’altro, non importerebbe assolutamente niente se sei figlia del prof di storia o meno.-
Ora fu la bionda a  serrare gli occhi. Quell’occhiata che di solito lanciava a chiunque, e  che per qualche sconosciuta ragione non aveva più utilizzato, le era mancata.
Però non era usata nello stesso modo. Di solito era per coloro che inveivano contro il nulla, gli idioti che la chiamavano “regina di ghiaccio”, e una lunga lista basata sulla non-sopportazione del mondo. Ma, in quel momento, l’aveva utilizzata per accettare una sfida.
Alzò appena il labbro inferiore, si alzò in piedi di scatto e disse solamente due parole:
-Ci sto.-
Piper le rivolse un sorriso entusiasta, afferrò l’asciugamano ed entrò nel bagno.
-Renditi il più presentabile possibile, Chase – sghignazzò – non perderò!-
-Si, come se potesse esistere un mondo in cui io perdo qualcosa- rispose a tono Annabeth.
Aprì l’armadio e afferrò la sua maglia preferita, un paio di pantaloncini di jeans e, prese le sue sneakers blu, si buttò sul letto, con un sorriso sulle labbra.
Non si spiegava bene il motivo, ma era felice.
Poi, si rifece seria.
“Sto per conoscere tutte le persone che non ho mai conosciuto in tutta la mia vita” realizzò, un poco più cupa.
 
Piper dovette faticare per farle attraversare la porta della camera 62. Infatti, dopo i discorsi entusiasti iniziali, Annabeth si era seduta sulla sedia della scrivania, e aveva incrociato i piedi tra le gambe della sedia, come per legarsi da sola in una camicia di forza. La mora aveva preso lo schienale e, solo dopo le minacce di farla cadere a terra con la sedia e tutto, l’altra si era sganciata e si era alzata in piedi con poco entusiasmo. Poi aveva seguito Piper tra gli immensi corridoi; già erano arrivati i primi ragazzi. Nell’ala opposta alla loro, le ragazze dovevano avere massimo uno o due anni più di loro; cosa confermata poi dalla compagna, che glielo accertò solo dopo averle salutate. La cosa continuò per molto: nei corridoi, per le scale, fino al portone del dormitorio; tutti sembravano conoscere Piper. E la bionda era seriamente sorpresa, considerando che nella sua vecchia scuola era già tanto la conoscenza completa dei nomi dei suoi compagni di classe. Ma la mora, malgrado avesse salutato moltissime persone, non l’aveva ancora presentata a nessuno.
Il fatidico momento arrivò pochi minuti dopo aver messo piede nel cortile. Piper continuava a girare la testa in ogni direzione, ed Annabeth sentiva il suo stomaco diventare della grandezza di un fagiolo. A un certo punto, vide una massa di ricci venire verso di loro.
Appartenevano a una ragazza, forse leggermente più piccola di loro; indossava dei jeans neri e una maglia porpora. La sua pelle era scura; una volta avvicinatasi, la bionda notò che aveva gli occhi di un marrone chiarissimo, simile al giallo. Le ciglia, quasi invisibili nel suo volto, erano lunghissime; nelle labbra, appena più carnose della media, era disegnato un enorme sorriso, che scaldò immediatamente il cuore di Annabeth.
Piper corse ad abbracciarla, facendola sparire dalla visuale della bionda. Lei, una volta liberatasi dalla presa della mora, rivolse il suo sguardo alla nuova arrivata.
Un sorriso e un’espressione ancora più radiosa apparirono nel suo viso appena tondo; dall’altra parte, Annabeth non sapeva se sentirsi in imbarazzo oppure mostrarsi allegra quanto lei.
Prima di poter scegliere cosa fare, Piper le si avvicinò e si girò di profilo.
-Ecco a te Annabeth, la mia nuova compagna di stanza! Annabeth, ti presento…-
-Hazel – disse l’altra, osservando divertita la mora.
-E’ un piacere fare la tua conoscenza! Ben arrivata, e in bocca al lupo con questa qui come compagna di stanza- disse, scuotendo la testa e facendo zigzagare in aria i suoi ricci scuri.
-Piacere mio – rispose senza esitazione la bionda. Allungò la mano, che incontrò immediatamente quella di Hazel; la ragazza aveva una stretta vigorosa, a differenza della sua statura. Arrivava esattamente alla spalla di Annabeth, ma non sembrava farne un dramma.
Piper diede un’occhiata furtiva alla coinquilina, accompagnata da una risatina sarcastica; la bionda sembrò non farci caso, ma si segnò mentalmente di fargliela pagare prima dell’inizio delle lezioni.
Hazel osservò la mora e rise; poi si rivolse nuovamente ad Annabeth:
-Che anno farai? Il terzo, immagino!-
Annabeth annuì convinta.
-Anche io – disse lieta.
-Come…?-
La bionda si pentì del suo intervento. Ma la ragazza non ci fece caso; anzi, ricondusse insieme i tasselli del puzzle formatosi nella mente di Annabeth.
-Dovrei fare il secondo – sorrise – sono più piccola di voi. Ma…-
-I professori hanno deciso di mandarla un anno avanti perché è un geniaccio – concluse entusiasta Piper.
Se solo avesse potuto farlo, Hazel avrebbe fulminato la mora con lo sguardo; ma si limitò a tossicchiare ed agitare un gomito verso Piper, che lo schivò abilmente.
Annabeth rise, quasi senza accorgersi. Ma la verità era che la nuova amica le piaceva molto: era semplice, spontanea. Cosa dimostrata dalla sua reazione alle parole di Piper.
Hazel piroettò alla destra di Annabeth, e si mise ad osservare tutti i ragazzi che stavano arrivando.
-L’hai portato?-
La bionda guardò interrogativa la coinquilina, prima di capire che la domanda era rivolta all’ultima arrivata, che annuì con forza.
-Sono troppo invadente se chiedo…-
Non fece in tempo a concludere la domanda, che Piper sobbalzò.
Annabeth girò la testa verso di lei, cercando di capire cosa l’avesse agitata tanto. Vide il suo viso dorato diventare di un colore rosso rubino; inoltre, si mordeva le labbra in maniera ossessiva.
La bionda sentì toccarsi sulla spalla, e si voltò; trovò Hazel con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, ma con qualcosa di strano.
-Sta arrivando…- disse ridacchiando, indicando con il mento prima Piper e poi la folla.
La mora sembrava assente; cosa che divertiva abbastanza Annabeth, che non l’aveva mai vista così disorientata prima. Iniziò ad osservare la moltitudine di ragazzi in arrivo, che erano come minimo raddoppiati dopo l’arrivo di Hazel; ma nessuno catturò in modo particolare la sua attenzione.
Ad un certo punto, fu come vedere le acque aprirsi: partirono risolini da molte parti del cortile, e dal modo in cui fremeva Piper sembrava non farle particolarmente piacere. Poi, tutto divenne improvvisamente chiaro ad Annabeth. Apparve un ragazzo, alto e dalle spalle larghe; i capelli erano così biondi che, al sole, poteva essere tranquillamente scambiato per un albino. Gli occhi, di colore azzurro intenso, si distinguevano anche da lontano; indossava una felpa larga, che sicuramente non rendeva giustizia al suo fisico. Nel suo viso era disegnato un sorriso di cortesia – probabilmente rivolto a tutte le sue ammiratrici -, e trascinava la valigia e il borsone con noncuranza, come se intorno a lui non ci fossero state più di trenta ragazze che sognavano di ricevere un saluto. Le labbra di Piper erano ora inesistenti, per quanto le stava torturando coi denti; Hazel rimase impassibile, anzi, guardò Annabeth come per dirle “Adesso hai capito, eh?”, provocando nella bionda una risatina sommessa.
Lui, come aveva fatto Piper quelli che ormai sembravano secoli prima, si era fermato a parlare con alcuni probabili conoscenti. Venne invece incontro al trio in attesa una ragazza: di media statura, dai capelli corvini e dagli occhi cobalto; diede quella che sembrò un’occhiata annoiata e sconsolata alla mora al fianco di Annabeth, ormai in silenziosa adorazione.
Una volta fermatasi, la bionda approfittò per osservarla meglio: i capelli corti erano rasati da un lato; le orecchie erano tempestate di orecchini – cinque ad orecchio, contò velocemente -; aveva un buco anche nel lato destro del naso, ma non c’era nessun piercing. Le lentiggini erano presenti in abbondanza sul suo volto; l’ abbigliamento, formato da una giacca di pelle, una canottiera, jeans strappati e anfibi, tutto rigorosamente nero, stonava con la pelle chiarissima; l’unica cosa che spiccava nel suo volto erano le labbra, leggermente rosate. Aveva minimo quattro valigie, ma non sembrava affaticata; oltre a un borsone, portava sottobraccio una strana scatola nera, troppo piccola per contenere vestiti ma troppo grande per essere un beauty-case, o simili. Alzò lo sguardo verso Annabeth; appoggiò la misteriosa scatola, e continuando ad osservare con sguardo dubbio Piper, le allungò la mano.
-Ciao, non so chi tu sia, ma io sono Talia. Spero io non debba picchiarti in un futuro prossimo.
La bionda non volle sapere se era seria o se stava scherzando. Si limitò ad allungare la mano, alzare un angolo della bocca e stringere appena gli occhi.
-Farò in modo che questo non accada. Comunque, piacere mio, Annabeth.
Hazel scoppiò a ridere, e si fermò dopo minimo un minuto; Piper sembrò svegliarsi dal suo stato di catalessi, per poi ritornarci in meno di mezzo secondo.
Talia sembrò a sua volta divertita dalla risposta. Alzò anche lei un angolo della bocca, come per presentarsi ancora meglio ad Annabeth, poi si sporse ad abbracciare la riccia, che nel frattempo aveva finalmente smesso di ridere. Infine, spostò la sua attenzione sulla mora, che fissava il vuoto. Abbandonò tutte le borse a terra, provocando un fracasso incredibile; Piper si limitò a guardarla interrogativa, mentre la ragazza dai capelli corvini aveva incominciato a muovere lentamente la testa da destra verso sinistra.
-Ti ho detto di lasciar perdere.
-Ma…
-Niente ma. Lascia perdere.
La scena aveva un sapore comico. Hazel si sporse appena verso l’orecchio di Annabeth, cercando di dirle qualcosa; ma Talia la guardò con espressione corrucciata.
La riccia alzò le spalle e i suoi occhioni sembravano dire alla bionda “Volevo dirtelo, non è colpa mia”. Probabilmente Annabeth avrebbe compreso di più Hazel guardandola negli occhi più che parlandole. Piper si ricordò allora dell’esistenza della compagna di stanza, e la guardò con sguardo colpevole. La bionda stava per iniziare a parlare, quando si bloccò. Vide il biondo, tanto venerato da Piper, venire proprio verso di loro. Unì le sopracciglia per la sorpresa, e lanciò sguardi interrogativi intorno a lei. La mora, allarmata, evitò di girarsi. Hazel, realizzò Annabeth, le disse mentalmente – con gli occhi – che era tutto assolutamente normale. Solo Talia sembrò non stranirsi, si girò con disinvoltura, prese le due valigie più vicine ai suoi piedi e le tirò verso di lui. I sensi del ragazzo dovevano essere molto allenati, perché in giro di poco aveva in mano entrambi le valigie, e senza che queste avessero toccato terra. Annabeth vide la sua bocca stringersi, cosa che fece risaltare una strana cicatrice alla sinistra del labbro superiore. Talia si bagnò appena le labbra con la lingua, gli diede un’occhiata di sufficienza identica a quella data poco prima a Piper e appoggiò le mani nelle tasche del giubbotto.
-Il signorino palestrato che si lamenta per due valigie!
L’altro bofonchiò quello che assomigliava molto a uno “smettila”, mentre alzava lo sguardo verso di lei. Si mise in posizione eretta; girò la testa verso Hazel, Annabeth e Piper, salutandole. A differenza di quello che si era immaginata pochi secondi prima la bionda, le altre due ricambiarono pacate il saluto; la cosa più sconvolgente era vedere il viso della coinquilina, prima di colore rossastro, essere tornato alla solita tonalità, e la sua espressione ripristinata a quella degli attimi prima dell’arrivo del biondo.
Lui riprese allora le valigie, e iniziò a muovere dei passi verso quello che sembrava l’edificio gemello del loro dormitorio: stesse decorazioni e stesso identico portone, ma di colori diversi.
Piper sbuffò rumorosamente, e fulminò per qualche assurda ragione Talia, che continuava a ridere sotto i baffi. Annabeth, che voleva capire di più, iniziò a tossicchiare; la mora la guardò, capendola al volo, e ritornò di colore simile ad un rubino; la riccia schiuse appena le labbra, giusto per lasciarle il beneficio del dubbio, e Talia la guardò per qualche secondo interrogativa, prima di capire dove volesse arrivare.
-Novellina, quello che ti è appena passato accanto è – sospiro di Piper – Jason Grace, studente modello, figo mostruoso e…mio fratello. Mi dispiace di averti costretto così a fare la sua conoscenza – concluse la frase Talia, con gesti teatrali delle mani.
-E la cotta segreta della nostra diva preferita – ridacchiò in aggiunta.
Piper si fece seria, e strinse le labbra.
-Che bello rivederti, darkettona del mio cuore.
-Piacere mio, tesoro.
Dopo secoli, si abbracciarono; e la mora tornò la ragazza spensierata e sarcastica di prima.
Annabeth, dopo l’iniziale stupore, rimase particolarmente divertita dalla casualità degli eventi – soprattutto di come potevano essere fratello e sorella due persone che non potevano sembrare più diverse tra loro -, e rise di gusto.
Piper allungò la schiena, e si girò verso Annabeth.
-Bene, e con questo hai conosciuto il nucleo di inizio. Sei sulla cresta dell’onda, mia cara – alzò il mento. La bionda alzò le spalle.
Hazel e Talia le guardarono stranite, ma non vollero indagare. La riccia prese le sue cose, e si avvicinò sempre più al portone.
-Tal, tu che stanza hai quest’anno?
-15, Ala Est! Tu?
-55, Ala Ovest.
-Anche noi siamo in Ala Ovest! – disse entusiasta Piper, prima di prendere la misteriosa scatola di Talia ed avvicinarsi ad Hazel.
Annabeth rimase sola con Talia, ed entrambe iniziarono a muoversi nella stessa direzione delle altre. Dopo una ventina di secondi, Annabeth non resistette più:
-Scusami, ma cosa c’è lì dentro? – disse, indicando Piper e la scatola nera.
-Una gran figata, fidati – fu l’unica cosa che riuscì ad estrapolare dall’altra.
Abbastanza confusa, la bionda si fermò un attimo, per poi riprendere a camminare; una volta superate le eterne rampe di scale, raggiunsero prima la camera di Talia e poi quella di Hazel, scoprendo che la prima avrebbe condiviso la stanza con una ragazza che conosceva, mentre la riccia sarebbe stata sola, con suo grande dispiacere.
Piper ed Annabeth, per dare il tempo alle altre di disfare i bagagli, ritornarono nella loro stanza; la mora rischiò di inciampare sulla sedia lasciata in mezzo al passaggio dalla bionda, che in risposta rise di gusto.
Stettero due ore circa nei loro letti, finchè non sentirono bussare alla porta; si alzarono e, insieme alle altre due, andarono verso la mensa.
Scesero velocemente le scale – secondo consiglio di Talia, che riferì loro dei posti perfetti che aveva intenzione di occupare -, uscirono dal portone e si unirono alla folla che andava nella loro stessa direzione.
Annabeth stava dicendo ad Hazel da dove venisse, e dando qualche informazione utile per comprendere più o meno dove fosse la sua città natìa, quando sentì una forte pressione venire da destra; perso l’equilibrio, malgrado il tentativo della riccia di aiutarla, cadde rovinosamente a terra, sentendo un dolore acuto sotto la sua coscia sinistra e le sue ginocchia friggere sempre più.
Assente per qualche secondo, tentando di realizzare l’accaduto; sentì solo di essere presa per entrambi le braccia e, una volta rimessa in piedi, barcollò appena. Non capiva cosa fosse successo: forse una spinta da…qualcuno? Sentiva la voce di Talia leggermente ovattata, e si girò verso la direzione del suono. Vide lei, particolarmente infuriata; Piper che tentava di vedere in che stato era il suo ginocchio, e Hazel dietro di lei.
Davanti a lei c’era un insieme di tre…forse quattro, o al massimo cinque persone; riconobbe immediatamente Jason – impossibile non riconoscere i capelli biondissimi -, ma le sembrava ovvio non aver mai visto gli altri dell’allegra compagnia che stava digrignando i denti al pari di Talia.
A poco a poco le sue orecchie stavano ricominciando a funzionare, e quelle che sembravano semplici chiacchierate tra amici – se non per i volti tirati, si erano trasformate in delle grida infuriate. L’unica cosa che le venne in mente fu di fermare tutto quel disastro; senza comprendere bene né come né perché, appoggiò una mano sulla spalla di Talia ed esercitò una lieve pressione, giusto per farle capire che era ora di farsela finita. Lei si interruppe di colpo, e si girò lentamente verso di lei; dall’altra parte, il messaggio non era stato recepito, malgrado Jason non tentasse più di dividere la sorella dagli altri.
- Non pensavo avresti mollato così presto, Grace.- disse qualcuno.
Annabeth alzò gli occhi, che si incrociarono con quelli del ragazzo.
Erano di colore verde. Estremamente verde. Stomachevolmente verde.
 


Angolo dell'autrice: questa volta sono stata brava e ho aggiornato dopo una settimana precisa...probabilmente perchè ho più ansia di chiunque altro di sapere come andrà avanti questa storia.
Che dire...spero vi sia piaciuto questo capitolo, che vi siano piaciuti i precedenti, 'nsomma...grazie di essere arrivati fin qui! Mi impegnerò ad aggiornare con una certa regolarità (non so se ve ne importa o meno, io lo dico), e cercherò di darmi una regolata con la lunghezza dei capitoli, che fosse per me sarebbero anche più lunghi di così-
Buona serata/giornata, e spero alla prossima!
Elisa

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Capitolo 5
*** ...for what you think can be described as love ***


Annabeth non fece altro che prendere Talia sotto il braccio sinistro, trascinarla via e ignorare il gruppetto, che stava ancora parlottando. Il ragazzo dagli occhi verdi continuava a provocare l’amica, e quella a ringhiare, ma lo sguardo tagliente e deciso della bionda l’avevano convinta di quale fosse la cosa più giusta da fare. Hazel e Piper le seguirono a ruota, senza dire una parola.
Entrarono in mensa, nella folla: grazie alla loro bravura nel squagliarsela, nessuno aveva notato l’evento e aveva continuato a seguire i morsi della fame.
La coscia sinistra di Annabeth era dolorante, e lei evitava di guardarsi le ginocchia, probabilmente sanguinanti. Non voleva essere data della piagnucolona ancor prima dell’inizio delle lezioni, e non voleva dar soddisfazione a chiunque l’avesse fatta cadere, per sbaglio o no. Talia aveva rinunciato a farsi valere perché glielo aveva imposto; sicuramente, non era una cosa che le sarebbe costata poco. Guardò Hazel: da quando l’aveva vista, era la prima volta in cui la vedeva scura in volto, e il suo inconfondibile sorriso era sparito. Piper era, se possibile, ancor più seria; si diresse immediatamente in un tavolo, si buttò sulla panca provocando un frastuono assurdo e occupò il tavolo. Le altre si sedettero insieme a lei, Annabeth al suo fianco, Hazel e Talia di fronte a loro. Rimasero in silenzio per un minuto circa; la bionda ebbe il coraggio di guardarsi le ginocchia, diventate bitorzoli indefiniti, e appoggiò su di esse un fazzoletto. Piper fissava il tavolo, in una posizione tale da essere scambiata per una statua greca; i ricci di Hazel fremevano appena nell’aria, in corrispondenza del suo respiro; Talia era sdraiata quasi del tutto, e i suoi occhi erano velati da una profonda…frustrazione, o tristezza. Passarono quelli che sembrarono secoli; si mossero dalle loro posizioni solamente quando si resero conto che quasi la metà del salone aveva il cibo nei vassoi. Prima che qualcuno potesse parlare, Piper e Talia si alzarono contemporaneamente, scambiandosi un’occhiata d’intesa; Hazel sospirò, e Annabeth le vide precipitarsi verso i vassoi. La bionda voleva dire qualcosa alla riccia, forse ringraziarla, o chiederle scusa, o solamente chiedere. Non sapeva precisamente cosa, ma voleva chiedere. Perché Talia aveva fatto tanta resistenza. Perché, mentre lei discuteva e si scannava, Piper e Hazel non avevano detto una parola. Ma la riccia la anticipò:
-Lascia perdere…per Talia.
-In che senso?
-Fa sempre così con loro.
-….chi?
Hazel sospirò rumorosamente.
-Quelli che ti hanno spinto. Quello che ti ha spinto.
-Quindi…lo hanno fatto volontariamente?
La riccia annuì, lasciando Annabeth sconvolta. Si era chiesta il perché non si fossero scusati, o si fosse scusato; ma non avrebbe mai pensato…niente. A dire il vero, non pensava proprio niente.
-Ma…perché?
-E’…una questione di principio.
-…una che?
La bionda incrociò gli occhi dell’altra, cercando di capire  se le stesse dicendo una bugia o la verità; ma Hazel non poteva essere più seria.
-Saprai che, in ogni scuola superiore, ci sono dei…corsi aggiuntivi.
-Quelli in orario extra scolastico?
-Si. Ci sono anche qui. Noi le usiamo come attività…pomeridiane, dopo le ore di lezione.
-Da una determinata ora in poi?
-Esatto.
-E tutto questo cosa c’entra con quello che è successo?
La riccia la fulminò, perciò Annabeth decise di rimanere in silenzio per tutto il tempo che rimaneva dalla spiegazione ufficiale.
-Nel nostro corso ci sono anche quei tipi. Quelli di prima. E, ecco…c’è una specie di faida, tra noi e loro. E Talia, che è sempre stata quella che i guai se li cerca, si è sempre presa la responsabilità di rispondere a tono. Anche perché, sai, quelli non sono proprio personcine con cui parlare tranquillamente. Anzi, più li eviti e meglio è.
-Personcine?
-Si, prenditela con loro e la tua vita diventa un inferno – fece una smorfia distorta -.
Sono popolari. E gli altri studenti non difenderebbero mai noi, ma loro. Per questo Talia si è fatta avanti.
-…Talia…?
-Fa in modo che non se la prendano con noi. A Pip non va bene, e neanche a me, ma lei dice che abbiamo ancora una reputazione da difendere. E poi Pip…
-Non si metterebbe mai a discutere, in particolare…
-Sei perspicace, accidenti.
Annabeth guardò Hazel stupita, e fece un sorriso. Anche se in realtà non capiva come fosse possibile che qualcuno non si accorgesse della cotta di Piper.
-Non è così scontato – ridacchiò la riccia – Pip è un’attrice fenomenale. Sa piangere per finta. Non sai quanto ci sono rimasta male la prima volta!
La bionda rise all’affermazione di Hazel; soprattutto, si immaginava la scena.
-Che subdola, accidenti.
-Già.
La riccia si rifece seria.
-Comunque, tornando a quello che è successo poco fa…puoi capire che, dopo aver sempre risposto a tono, lasciare il palco a metà dell’opera non è il massimo per la nostra Talia. Non so perché lo ha fatto. Ci abbiamo provato moltissime volte, io e Pip, ma…non ci ha mai ascoltato. Anzi, si è presa spesso sgridate dalla preside, e non la spaventano. Devi ispirarle davvero molta fiducia, considerando che ti conosce da all’incirca quattro ore e già ti ha dimostrato ubbidienza. Con i nostri peggior nemici.
-Mi sento lusingata, davvero.
-Però non pensare che Talia te la faccia passare liscia, in ogni caso – riprese Hazel, guardando dritta negli occhi Annabeth.
-Lei non perde mai. E, facendosi trascinare via, è come se si fosse ritirata. Se ti ha dato ascolto, come è sicuramente successo, te lo rinfaccerà a vita.
-Sai qual è la cosa divertente di tutto questo?
Hazel corrugò la fronte, con viso interrogativo.
-Non capisco cosa ci sia di divertente.
-Io non perdo mai, Hazel – disse seria la bionda. Il suo viso era pacato ma deciso; gli occhi leggermente socchiusi, e le labbra strette.
-Non so se ho fatto un errore, cosa molto probabile. Rimedierò, in un modo o nell’altro. E se è vero che Talia si è, come dire, ritirata, non auguro a quei tipi di incontrarmi in giro. Non si fa cadere a terra per vendetta Annabeth Chase.
La sua testa aveva iniziato ad ondeggiare, da destra verso sinistra, per accentuare ciò che aveva appena detto; la riccia era stupita, e la bocca formava un’enorme “o”.
Non fece in tempo a rispondere; Talia e Piper erano di ritorno coi vassoi pieni di cibo, che appoggiarono con poca grazia sul tavolo, rimasto nel frattempo vuoto.
Guardando le facce delle compagne, Annabeth si spiegava anche il perché; erano così scure in volto che un regista, passato di lì per caso, le avrebbero senz’altro prese come attrici protagoniste di un nuovo film horror. Talia si sedette così violentemente che Hazel rischiò seriamente di cadere, ma fece finta di niente; Piper si sedette accanto alla bionda pacatamente, senza però nascondere una profonda frustrazione. Senza dire una parola, la mora infilò il primo boccone in bocca, soffocando un “buon appetito”. Le altre fecero lo stesso, se possibile con un tono di voce ancora più basso, ed iniziarono finalmente a mangiare. Annabeth attendeva il momento giusto per parlare; non aveva intenzione di non dire niente, dopo tutto quello che era successo. E ciò che le aveva riferito Hazel l’aveva convinta ancora di più. Doveva dire quello che pensava. Al diavolo quello che avrebbero fatto le altre; in fondo, aveva bisogno di tutto tranne che di altri problemi. Quello di avere un padre professore e che insegnava in un collegio sperduto nel nulla erano già abbastanza impegnativi.
La sua coscia aveva smesso di far male, e le sue ginocchia non sanguinavano più. Cose che la rendevano un minimo più sollevata. Lei e Piper avevano appena terminato di mangiare il primo; Talia aveva quasi finito il secondo, mentre Hazel si stava prendendo tutta la calma del mondo, e non era nemmeno a metà della sua pasta.
Il viso di Talia era una maschera di cera; non aveva alzato gli occhi dall’inizio del pranzo, cosa sicuramente più preoccupante rispetto alla strigliata che si sarebbe aspettata la bionda. Ciò significava che, per capirci meglio e chiederle scusa – senza comprendere bene il perché, ma  il suo sesto senso non mentiva mai -, sarebbe stata lei a dover fare il primo passo. Tutto stava a come iniziare.
La mente di Annabeth vorticava, quando la mano di Piper sfiorò appena il suo braccio destro. La bionda la guardò cercando spiegazioni; la mora, per risponderle, spostò gli occhi dal suo viso, per poi spostarli verso il tavolo degli insegnanti. Il signor Chase si stava alzando in quel momento, guardando nella loro direzione; il cuore di Annabeth si fermò per qualche attimo.
Eccolo, il suo primo problema. Avrebbe dovuto fare una “scaletta”, prima; dal meno risolvibile al più risolvibile. Il quel caso, la soluzione era impossibile quanto introvabile; c’era chi ce l’aveva con lei, chi la conosceva da pochissimo, e suo padre, il nuovo prof di storia, che veniva verso di lei. Non poteva andare peggio.
Inizialmente pensò di andargli incontro, per deviarlo dal loro tavolo; ma, considerando la condizione in cui si trovavano le ginocchia e la coscia sinistra, scartò immediatamente l’ipotesi.
Preparò il suo migliore sorriso, per distogliere le sue compagne da lui, e viceversa; ma sarebbe stato così stranito dalla novità – Annabeth non sorrideva praticamente mai, felice o triste che fosse – che sarebbe rimasto molto più del dovuto. Abbandonò il sorriso tirato, e accettò l’inevitabile. Il padre era a metà percorso. Piper guardò la bionda, come per chiederle “Sei pronta?”; l’altra annuì, con poco entusiasmo e sbuffando appena.
Hazel non si era accorta di nulla, e continuava a fissare concentrata il suo piatto; Talia aveva percepito qualcosa di strano, si era fermata ed era rimasta come in sospensione, con il naso a due palmi dal piatto. Dieci secondi; Annabeth girò appena il collo, come per far finta di accorgersi in quel momento dell’arrivo del padre, e gli sorrise appena.
Il signor Chase ricambiò con dolcezza; a differenza dei suoi modi precipitosi e distratti, si avvicinò con discrezione e rimase a quattro piedi dal tavolo.
-Ciao tesoro! Va tutto bene? – sussurrò appena.
-Ciao. Si, tutto a posto – annuì la figlia, senza tralasciare uno sguardo amorevole.
-Sono contento che già abbia trovato qualcuno. Alla fine non è così male qui, vero?
Si piegò appena in avanti, come per nascondersi da qualcosa o qualcuno.
Annabeth divenne sarcastica in poco meno di tre secondi.
-Aspettiamo un po’ prima di dirlo, pa’.
-Va bene.
Salutata lei con la mano, il signor Chase si allontanò furtivo. La bionda pensò di non poter desiderare un padre migliore. Così premuroso, dolce, sincero; deve avergliene dette di tutti i colori, due settimane prima, ma non poteva scordarsi di perdonarlo. Ci riusciva anche senza volerlo, anche senza dirle niente; bastava un attimo per sciogliere il suo cuore da regina di ghiaccio. Con un tipo come suo padre, che aveva fatto di tutto per non farsi notare, e che cerca in tutti i modi di chiedere scusa per qualcosa che, alla fine, non era stata causata propriamente da lui, era impossibile essere distanti e distaccati. Le parole giuste, quelle che avrebbe dovuto dirgli a cinque anni, il giorno della festa del papà, le vennero in mente in quell’attimo: erano “Sei il migliore del mondo”, ma allora le era sembrato estremamente monotone, e si era limitata a un “Ti voglio bene”. Ancor più monotono, se possibile.
In quel momento di riflessione esistenziale, si era totalmente dimenticata delle altre. Si girò lentamente, per non destare sospetto; Piper aveva ripreso a mangiare, con estrema calma, mentre Talia aveva finalmente concluso il secondo. Solamente Hazel la stava guardando; i suoi occhi erano dilatati, e nel suo viso si era nuovamente formato il sorriso di poche ore prima.
-E’ tuo padre quello, Annabeth?
Lei, senza esitazione, annuì. Sentì la mora accanto a lei tirare qualcosa come un sospiro di sollievo, e finalmente gli occhi di Talia riapparvero dalla foresta di capelli corvini.
-Sul…serio?-
La bionda sentì lo stomaco stringersi sempre più, ma fece sì con la testa in modo ancor più convinto di prima. Poi fissò gli occhi tempestosi sulle lentiggini di Talia.
-E’ per lui che sei qui?
-Si.
Con estrema sorpresa, la dark fece un sorriso dolce come il miele.
-Sembra molto tenero.
-Lo è. – rispose sollevata Annabeth.
-Anche se combina un disastro dopo l’altro. E brucia la cena due volte a settimana.
Piper ridacchiò; la bionda le aveva raccontato una delle sue peggiori disavventure, in cui fu costretta a gettare la cena nel giardino della vicina. Per fortuna, non essendo loro mai in casa, la signora non aveva potuto incriminarli, e se l’erano scampata con la solita risposta del signor Chase “Visto? Tutto risolto” e con l’occhiata omicida di Annabeth.
Pensare ad una situazione del genere non poteva che generarle una enorme, enorme…nostalgia. Odiava tutti, nella sua vecchia città, nella sua vecchia vita; ma non quei momenti vissuti col padre. Perché, beh, pensandoci attentamente erano parecchio divertenti. E assurdi.
Sicuramente, ora non avrebbero mai potuto fare nulla del genere. Niente cenette al lume di candela – strana usanza della famiglia Chase; niente passeggiate al parco, niente riflessioni sulla gente strana che passava sotto casa loro; basta divertimento, quel poco che aveva. Non sarebbe sicuramente riuscita a rimpiazzarlo; ma, vedendo i visi radiosi delle ragazze, lasciò una minuscola probabilità di aggiunta.
-Mio padre…mio padre non c’è mai – disse intensamente Talia, con espressione leggermente corrucciata -, i regali di compleanno ce li spedisce e ogni tanto si degna di una visita. Lo odio.
Hazel girò il collo verso sinistra.
-Non puoi dire di odiarlo, Tal. Non è ve…
-Si, che è vero – ripeté convinta l’altra, scuotendo energicamente il capo.
-Ha lasciato la mamma e Jason da soli. Non si può perdonare un uomo così spregevole. E’ logico, non puoi semplicemente volergli bene. Fine, caput. Jason non può odiarlo perché non lo conosce, era troppo piccolo quando se ne è andato… ma io si, e lo faccio con tutto il mio cuore.
La riccia non trovò nient’altro da dire, e poggiò la forchetta sul bordo del piatto.
Annabeth era stupita: non si sarebbe mai aspettata una simile apertura da parte di Talia. Le sorrise, e lei rispose allo stesso modo.
Piper si muoveva rumorosamente, e premeva le dita per far scricchiolare le ossa della mano sinistra; sembrava essere in apprensione, ma non pronunciò una sola parola.
-Senti, Talia, mi dispiace…per prima. Avrei dovuto lasciarti fare e farti picchiare quel tipo insopportabile. Non accadrà più, promesso.
La bionda chiuse gli occhi, solenne, e poggiò entrambi le mani aperte sul tavolo, fuori dal vassoio di plastica. Le altre la  guardarono, con viso interrogativo; ma Annabeth si sforzò di sembrare il più seria possibile, ed evitò di incrociare qualsiasi sguardo, se non quello di Talia, che riuscì ad intercettare. Dopo l’iniziale stupore, la ragazza dai capelli corvini inclinò appena la testa verso destra, socchiuse gli occhi, e disse con enfasi:
-Sapevo che avevi fegato.
-L’unica cosa che riesci a dire, dopo tutto quello che è successo, è “Sapevo che avevi fegato”? MA DAI! – borbottò Piper, in un tono tra il divertito e l’arrabbiato.
Hazel guardò la bionda, ed annuì convinta; Talia strinse ancora di più gli occhi, e le labbra  divennero una striscia sottile.
-Sei forte. Quando decidi di fare una cosa, la fai e basta. Senza pensarci troppo.
Proprio forte.
Dire che non pensava troppo prima di fare qualcosa era quasi una battuta, ma Annabeth sorrise raggiante.
-La prossima volta mi aiuti a picchiarli?
-La prossima volta ti aiuto, promesso. Facciamo una finta, e poi li stracciamo tutti.
Piper aveva un’espressione tra lo scandalizzato e il molto divertito, ma capì che c’era poco da fare.
Hazel si limitò a ridere di gusto.
Si sentì uno strascichio rumoroso, e le ragazze notarono che tutti si stavano alzando per lasciare la sala; fecero lo stesso, portando i vassoi verso la cucina. Poi, passato un panno appena umido sulle ginocchia livide di Annabeth, si diressero fuori dalla mensa.
 
-Quindi…avremo un professore un po’ scricciolo, quest’anno?
-Dai, Talia, non è così scricciolo!
-…ha una faccia simpatica!
La bionda, in quel momento, aveva tutte le buone intenzioni di sotterrarsi, ma si limitò a borbottare qualcosa come “Già, esatto, mh-mh” e guardarsi nervosamente i piedi.
-Bene, vi saluto, vado a farmi il letto e schiacciare un pisolino – disse sbadigliando Talia.
-Ti seguo a ruota – annuì Hazel.
-Noi no!-
Piper prese un braccio di Annabeth, che rischiò di perdere ancora l’equilibrio; si avvicinarono a un albero, salutarono le due e attesero in silenzio.
-Cosa vuoi fare?
Gli occhi di Piper la penetrarono.
-Ti spiego un po’ di cose.
-Tranquilla, Hazel ha già…
-Altre cose.
La bionda la guardò, incerta.
Piper non era mai stata più seria di così.
 
-Riguarda Ja…
-Lascia perdere Jason, accidenti!
La mora battè il piede destro a terra, frustrata. Probabilmente Talia la scocciava abbastanza, per quella storia.
-Anzi, a proposito…non parlarne quando c’è Talia in giro. Non me lo ha mai perdonato.
-Cosa?
-Lascia stare.
Piper mise entrambi le mani in tasca, e si buttò all’indietro, finendo sopra la stessa erba verdissima in cui Annabeth e il signor Chase, una settimana prima, si erano riposati all’ombra degli alberi.
La bionda si poggiò accanto a lei a fatica, non riuscendo a piegare perfettamente le ginocchia.
L’altra attese, in silenzio, finchè la coinquilina non si sedette perfettamente a terra.
-Quindi, che ci facciamo qui? Discorsi esistenziali?
Piper scosse appena la testa. La bionda sospirò rumorosamente.
-Allora?
-Aspetta un minuto, accidenti.
Il comportamento della mora era strano, ma non aveva alcuna intenzione di indagare più del dovuto; era più che convinta che, se solo c’avesse provato, avrebbe cercato di farle male sul  serio. Altro che ginocchia malconce.
Attesero in silenzio per quella che sembrò un’eternità; l’unico rumore che proveniva da Piper era il suo respiro, quasi impercettibile.
Annabeth era stanca. Non era passata neanche metà giornata, e già aveva voglia di tornarsene a letto; o, in alternativa, chiudersi in bagno. L’allettavano entrambe.
La mora emise un gemito sommesso solamente dopo circa dieci minuti – o mezz’ora, secondo l’orologio interno della bionda. Piegò rapidamente le gambe e stette in equilibrio sui piedi;poggiò le mani in avanti, e avanzò a piccoli saltelli fino ad arrivare dietro l’albero che si trova davanti a loro.
Annabeth decise di non seguirla; però alzò la schiena da terra, dove si era poggiata, e tornò seduta.
Vedeva la coinquilina girata di profilo, che sembrava cercare di captare qualche suono in particolare; lentamente, come un leone che attende la sua preda, girò il collo, facendo sparire i suoi occhi dalla visuale della bionda. Guardò qualcosa in lontananza – probabilmente, e si voltò verso Annabeth, facendole un cenno con la mano.
-Vieni – disse, non facendo uscire nessun suono dalla sua bocca, ma muovendo teatralmente le labbra.
La bionda, tra lamenti che teneva per sé e insulti alla polvere entrata nelle  ferite, fece per alzarsi in piedi; ma Piper spostò la testa da destra a sinistra così violentemente che comprese non fosse la cosa giusta da fare. Saltellò anche lei, rischiando di cadere con il viso rivolto verso terra; raggiunse la mora, e la guardò con sguardo omicida, cercando di farle comprendere i suoi pensieri più profondi, molto simili a “Me la pagherai, te lo giuro” e insulti di vario genere e lingua. Inspirò l’odore del muschio, e sperò non ci fossero insetti di nessun genere sotto la sua corteccia, ora che le sue mani erano aggrappate disperatamente all’albero. Specialmente ragni. Annabeth odiava i ragni.
Piper rimase immobile; mosse il collo verso sinistra. Poi diresse un’occhiata fugace alla bionda, invitatola a fare lo stesso dalla parte opposta. Annabeth annuì, si sporse appena verso destra, e rischiò di perdere l’equilibrio.
Stavano osservando Jason che ridacchiava sulle scalette del dormitorio, e  il ragazzo dagli occhi verdi che lo guardava, con in viso un sorriso sarcastico; erano accompagnati da altri tre coetanei, probabilmente gli stessi di…prima.
-Che stiamo facendo, Piper?! – sussurrò Annabeth, con una voce tagliente quanto la lama di un coltello.
La mora si voltò verso di lei, rivolgendole un’occhiata più che intimidatoria, che rischiò di far indietreggiare la bionda.
-Impara a conoscere il nemico, Annabeth.
Conosci il nemico.
Angolo Autrice: Non abituatevi troppo a questi ritmi, non so se la prossina settimana riuscirò a mettere qualcosa e ho approfittato. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate un parere se vi va e buon pomeriggio!
-Elisa
Ps. Sperando di avervi lasciato un po' di suspance...

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Capitolo 6
*** I’ll cut your holds on me ***


Annabeth capiva sempre meno.
Piper, dopo averle rivolto la parola, rimase in religioso silenzio; continuava a guardare in direzione dei ragazzi, ignorando le occhiate della bionda, che era ancora indecisa tra il tirarle un pugno in pieno volto o ascoltare, docilmente, le sue spiegazioni. Forse non troppo docilmente.
Nel frattempo, sentendosi ignorata come un soprammobile, aveva deciso di assecondare un minimo la mora; sporse nuovamente il viso al di là dell’albero, tentando di vedere qualcosa e cercando, nello stesso momento, di non essere vista. Le ginocchia cantavano sotto il peso nel suo corpo; la coscia aveva incominciato a friggere di nuovo, e la testa a farle estremamente male. Tutto quello che voleva fare era tornare nella sua stanza, buttarsi sul suo morbidissimo e comodissimo letto e dormire, dormire profondamente. Ma si ripeteva la stessa cosa da tanto, troppo tempo, e iniziò a non credere più neanche al suo più bramato desiderio. Era lì, a spiare – o, per essere più precisi, stalkerare – le persone che le avevano provocato il dolore fisico e morale dell’ultima ora; dire che aveva voglia di uscir fuori dal suo nascondiglio, avvicinarsi con camminata decisa, tirare cinque pugni diretti a cinque visi differenti – sei, se si considerava un gentile omaggio diretto al signorino “Occhi Verdi”- e allontanarsi impettita, senza voltarsi, era un eufemismo bello e buono.
Sentì qualcosa sfiorarle il braccio. Perse qualche battito, pensando agli innumerevoli insetti che condividevano con lei quel fantastico momento; fortunatamente, nel controllare terrorizzata il suo corpo, vide solamente una mano dalla carnagione scura allontanarsi. Non sapeva se essere sollevata, oppure desiderare ardentemente un ragno appoggiato sul gomito per fuggire a gambe levate senza dare spiegazioni. Ma, pensandoci bene, Piper era la scelta migliore.
La mora le rivolse uno sguardo d’intesa.
-Tutto bene?
La bionda unì il più possibile le sopracciglia per farle capire quanto stava amando stare attaccata ad un albero, con una gamba totalmente fuori uso, l’altra in condizioni di poco migliori, la testa dolorante, i piedi assenti e la mente disconnessa.
Grugnì appena. La mora aprì gli occhi il più possibile, mostrando un caleidoscopio di colori differenti, e schiuse nuovamente le labbra.
-Posso iniziare?
-A FARE COSA?
-Non urlare, An! Ti sentiranno!
Non sapeva da quanto la sua cara coinquilina si era presa il disturbo di chiamarla “An”, ma evitò qualsiasi domanda a riguardo. Si limitò a lanciarle uno sguardo freddo come il ghiaccio, fissandola senza sosta.
-Chiariscimi il perché siamo qui. Per spiare il tuo amato?
La domanda non fece scomporre Piper, che alzò semplicemente gli occhi.
-Per evitare quello che è successo, devi conoscere il nemico. Fine. Che cosa vuoi che ti dica?
Annabeth aveva molte risposte, ma l’unica cosa che fece fu rivolgere nuovamente lo sguardo al di là dell’albero.
-Facciamo questa cosa in fretta.
-Ah…e-
-Non devo dirlo alle altre?
La mora si girò di scatto.
-Dopo mi spieghi come fai a leggere la gente nel pensiero.
La bionda sbuffò, e fece un gesto con la mano sinistra, intimandole in maniera cordiale di muoversi.
Piper sospirò.
-Iniziamo dalle cose semplici. Il biondo.
Annabeth spostò lo sguardo su Jason. Stava seduto sulle scalette, come due minuti prima, senza però ridere sguaiatamente; osservava i suoi compagni, con gli occhi socchiusi a causa del sole – trauma che Annabeth conosceva molto bene -, e ogni tanto un sorriso si formava nel suo volto appena spigoloso.
-Jason Grace. Terzo anno. Chiamato dai suoi migliori amici “Il gigante buono” e da tutte le gallinelle che gli vanno dietro “Superman”.
-“Superman”?
-Ha una maglia con…oh, non è importante – disse Piper con noncuranza.
-Non farebbe male a una mosca. E’ sempre gentile con chiunque…anche con la sorella.
Tossicchiò appena, prima di ricominciare a parlare.
-Ha una splendida voce. Il che, lo rende automaticamente affascinante.
-Ne parli come se lo odiassi.
Piper strinse le labbra, come stizzita. Fulminò Annabeth, per poi sussurrare qualcosa di molto simile a un “dovrei”.
La bionda si voltò verso di lei.
-Tutto questo a che mi deve servire?
-Mi fai finire, accidenti? Abbiamo appena iniziato!
-Ok, ok.
La mora alzò gli occhi al cielo, per poi ritornare nella stessa posizione.
-Poi. Lo vedi  il tipo seduto nell’ultimo gradino?
Annabeth avrebbe giurato fosse seduto a terra, ma probabilmente la distanza non giocava a suo favore. I suoi capelli erano castani, e poco meno ricci di quelli di Hazel; il suo viso era leggermente più allungato di quello di Jason. La pelle era simile al caramello; gli occhi, scuri e svegli, si muovevano senza sosta cercando di guardare contemporaneamente tutti i suoi amici.
Le sue gambe erano incrociate, e le sue mani non riuscivano a rimanere ferme più di mezzo secondo. Se si fosse trovato in Annabeth o Piper, si sarebbe fatto scoprire in meno di un minuto.
Indossava dei jeans, leggermente larghi per lui, che sembrava essere davvero magro e…molto meno allenato di Jason, i cui muscoli avevano fatto capolino da sotto la felpa; la camicia candida, invece, era in netto contrasto con la sua pelle. Nel viso era impresso un gran sorriso, fatto di sarcasmo puro, che ora era rivolto al signorino “Occhi Verdi”. Quest’ultima caratteristica bastò per far innervosire Annabeth come non mai.
-Valdez, Leo. Terzo anno.
La bionda alzò le sopracciglia, con stupore. Non dimostrava assolutamente la sua età. E neanche quella di Hazel, che aveva un anno meno di lei.
-Seria?
-Yesss, serissima.
-Non sembra.
-Lo so. Posso andare avanti?
Annabeth iniziava a non sopportare più la coinquilina. Annuì, con la testa pesante.
-E’ un po’ il buffone del gruppo. Fa ridere chiunque, anche la dark depressa nascosta dietro la porta. Probabilmente affetto da problemi di autocontrollo; non sta fermo per quelli che possono essere tre secondi consecutivi.
-Avevo immaginato.
-Batteria – riprese Piper, quasi ignorando l’intervento della bionda.
-Spesso è chiamato “Bad boy”. Non so il perché, e non lo voglio sapere.- concluse la mora, con una smorfia di disgusto.
Annabeth la imitò, senza nessun freno.
Dopo essersi ripresa, Piper spostò gli occhi appena più in alto.
La bionda fece lo stesso, trovandosi davanti ad un…cadavere vivente. Stava in piedi, appoggiato alla porta del dormitorio; teneva le mani in tasca, la testa pendente appena verso il basso e gli occhi fissi sul terreno. Se la pelle di…Valdez, era color caramello, la sua era più simile al latte in frigo da qualche giorno: era cadaverica, se non un po’ giallognola. Annabeth sperò fosse per il sole. Aveva dei capelli corvini, che gli cadevano quasi sulle spalle; era impossibile distinguere i suoi occhi, da quella distanza e con le ciocche poggiate sulla fronte, ma la bionda immaginò fossero neri. Era vestito completamente di nero, se non per un enorme teschio presente sulla maglietta, insieme ad una scritta, che recitava “I AM the king”. La bionda registrò mentalmente di non scontrarsi con quel ragazzo per il resto della sua permanenza; non perché non l’avrebbe spuntata, ma perché… insomma, chi vuole sfidare qualcuno che indossa una maglia del genere?!
Non era sicuramente la rappresentazione umana della felicità, ma non sembrava essere infastidito dalle risate degli altri. Ogni tanto qualcuno dei quattro gli rivolgeva la parola, e poche volte apriva la bocca per rispondere. Si limitava a muovere la testa, orizzontalmente o verticalmente, per dire se fosse d’accordo o meno.
-Nico di Angelo. Secondo anno.
-Allora che ci fa con loro?
-Shh, fammi finire.
-…si, ti faccio finire.
Piper scosse la testa con disappunto, facendo trasparire una leggera nota di ironia. Annabeth sospirò rumorosamente.
-E’…abbastanza terrificante, lo ammetto, ma non troppo scontroso.
-Come fai a saperlo?
-Ci ho parlato, delle volte. E Hazel lo conosce molto bene.
La bionda spalancò gli occhi, per poi ricordarsi che la riccia era passata al loro anno grazie alla sua media.
-Avevano qualche corso in comune?
-Si, diversi. Hazel dice che non è antipatico, ma solamente un po’strano.
-Io mi fido di Hazel. Anche se, ti dirò, c’ero arrivata da sola.
Piper ridacchiò appena.
-Non essere cattiva, Chase.
-Beh, è la verità…
Già la bionda si sentiva in colpa. Non voleva fare commenti affrettati su una persona appena vista, considerando che quella era una delle sue più grandi paure. Tacque, rivolgendo di nuovo lo sguardo al di là dell’albero.
-E’ un bassista eccezionale. Anche lui ha il suo gruppetto di gallinelle schiamazzanti. Ma, a differenza di Jason, non se le calcola minimamente e continua a vivere la sua vita in pace.
Sentire che il ragazzo aveva qualcuno interessato a lui stranì appena Annabeth, ma osservandolo meglio…chi non vorrebbe un bel tipo tenebroso al suo fianco? Lei, no di certo, ma probabilmente altre non disdegnavano questa opzione.
Iniziava lentamente a chiedersi per quale motivo Piper, nel descrivere gli ultimi due ragazzi, avesse aggiunto anche uno strumento. Si appuntò questo particolare in un angolo della mente, ritenendola una domanda più che lecita.
La mora distolse lo sguardo dal fantasma vivente per poggiarlo su un ragazzo dalla pelle chiara – non cadaverica – , resa vivace dalle lentiggini; i suoi capelli erano di un biondo più scuro, rispetto a quelli di Jason, e ondulati. I suoi occhi erano azzurri; indossava dei bermuda da spiaggia e una maglia color corallo, di cui Annabeth non riusciva a vedere la stampa, poiché era girato di profilo, e ai piedi aveva un paio di infradito. “Il perfetto surfista californiano”, pensò immediatamente la bionda. La sua espressione era pacata, e alle risate sguaiate dei compagni corrispondeva un suo sorriso accennato, come se si fosse svegliato da cinque minuti. Sembrava in uno stato di profonda catalessi.
Annabeth stava per chiedere, ma Piper la precedette:
-No, è sempre così. Il suo soprannome è “Bello addormentato”.
La bionda scoppiò a ridere, per poi soffocare immediatamente le sue risate e far uscire dalla sua bocca qualcosa di simile ad un’ innocua tosse.
-“Bello addormentato”? Sul serio?
-Ovvio. Come vorresti chiamare qualcuno con una faccia del genere?! – le rispose sarcastica Piper.
-Lui non fa una piega…non perché alla gente cambierebbe qualcosa. Qui se ti prendi un soprannome, te lo tieni per tutti e cinque gli anni.
Un brivido corse lungo la schiena della bionda. Il soprannome che le avevano affibbiato all’asilo era lo stesso che si era tenuta alle superiori. E non augurava a nessuno una sventura simile, specialmente se il soprannome in questione ti dava tanto, tanto fastidio.
Regina di ghiaccio. Regina di ghiaccio. Ci può essere un soprannome più stupido?
Le sue vecchie compagne di scuola le dicevano che era bello, alla fine; e lei, in risposta, lo odiava con tutto il cuore, forse perché era qualcosa che la rispecchiava sul serio. Una regina crudele e gelida, che non scende dal suo trono se non per congelarti. Era una scena raccapricciante, ma Annabeth non poteva fare altro che pensare fosse vera. Era una suggestione della sua mente? Forse non del tutto.
Piper riprese a parlare, interrompendo i pensieri impetuosi della bionda.
-Si chiama Will, Solace. Anche lui fa il terzo anno. E’ una persona disponibile, anche se non si capisce mai se quando dice qualcosa scherza o fa sul serio. E’ uno dei dubbi della mia esistenza – disse, alzando il sopracciglio sinistro.
-Tastiera, effetti speciali, quella-roba-lì. Anche lui, per quanto sembri assurdo, ha abbastanza successo con le ragazze.
Ormai, alla bionda sembrava strano il contrario. Sospirò senza entusiasmo.
Poi tornò immediatamente concentrata.
-Lo hai lasciato per ultimo apposta?
La mora la guardò, interrogativa.
-Il tipo dagli occhi verdi. Hai evitato di parlarmene prima per non farmi alzare e picchiarlo in diretta?
Piper alzò appena il lato destro della bocca, senza però sorridere.
-…in realtà no, ma penso sia stata una scelta più che giusta.
Annabeth annuì.
-Voglio sapere come si chiama.
-Adesso, con calma!
La bionda si limitò a fissare il ragazzo con lo sguardo più gelido che possedeva, nell’eventualità in cui lui scoprisse le due ragazze dietro l’albero.
La mora fece schioccare appena la lingua.
-…lo vuoi proprio sapere?
-Ti muovi?
-Ok, ok, d’accordo.
Il ragazzo, in quel momento, stava ridendo di gusto insieme a Jason; era seduto sull’ultimo gradino delle scale, e i suoi piedi poggiavano sull’ultimo. I gomiti erano poggiati sulle ginocchia, e lui era appena sporto in avanti. Oltre ad avere gli occhi verdi, possedeva una carnagione chiara, lievemente abbronzata; i suoi capelli, nerissimi, formavano un ciuffo che andava a cadere sul sopracciglio destro. Indossava una maglia verde acqua – stomachevolmente in tinta con gli occhi – e dei jeans.
Anche lui aveva gli occhi socchiusi a causa del sole, ma non provocava in Annabeth nessun sentimento di pietà. La sua bocca, nel sorridere, andava da orecchio ad orecchio; i suoi denti erano incredibilmente candidi. Annabeth realizzò che sarebbe stato molto più divertente, scoperto ciò, tirargli un pugno in pieno volto.
-Perseus…Percy Jackson.
-Terzo anno.
-Come fai a saperlo?
-Ho buttato a indovinare.
Piper non reagì, e riprese a parlare come se niente fosse.
-Non ha nessun soprannome in particolare…il suo nome è già un soprannome.
La bionda ignorò il giro di parole, lasciando la mora interdetta.
-Comunque. Per essere popolare, lo è, e anche parecchio, ma le sue innamorate almeno non si sa chi siano, perché non sghignazzano ogni volta che passa.
-Caspita, bisognerebbe dare premi a queste intelligentissime ragazze.
-Lo odi a morte?
-Giusto un po’.
-Più che comprensibile, non ho proprio niente da dirti.
Annabeth si girò verso Piper, incredula. Lei era l’ultima persona da cui si sarebbe aspettata un commento del genere.
-‘Nsomma, ti sei fatta anche parecchio male, e io gliene avrei dette quattro lì. Tu hai preso e te ne sei andata. Hai tutto il mio più profondo rispetto – si giustificò la mora.
L’altra la guardò, sospirò e lasciò per qualche secondo il suo appiglio nell’albero per far riposare la mano sinistra.
-Continua.
-Cosa?
-Hai detto che devo conoscere il nemico? Muoviti – Fu la giustificazione di Annabeth.
Piper alzò le spalle.
-Chitarra. E’ abbastanza bravo.
-Interessante.
La bionda continuò a guardare la coinquilina, che la fissava interrogativa.
-Ho finito.
-Vuoi dire che ora posso alzarmi, insultarlo per un po’ e andarmene?
-Non fare nulla di tutto questo, altrimenti Talia non me lo perdonerà mai.
Annabeth inclinò appena la testa verso destra.
-Non vuole mettervi nei guai?
-Non proprio…cioè, si, ma…
Silenzio.
-Non voleva dirti tutto subito. Non voleva incasinarti, visto che sei arrivata adesso. Si sente in colpa, cioè, ci sentiamo in colpa per quello che è successo. Hai le ginocchia ridotte in quello stato per una nostra questione, e solamente perché parlavi con Hazel. Già ci sembra abbastanza.
-Continuo a non capire. Ok, è una vostra questione, ma…perché c’è una questione?
Che cosa avete fatto di così terribile per arrivare a questo punto di disperazione?
La bionda voleva essere sarcastica, ma la mora non sembrò prenderla allo stesso modo. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro e, dopo aver dato due o tre occhiate ai ragazzi, si spostò dietro l’albero e si alzò lentamente in piedi. Poi, offrì una mano ad Annabeth, aiutandola ad alzarsi. Si allontanarono il più velocemente possibile, e la bionda riuscì ad ignorare il dolore proveniente dalla parte inferiore del corpo. Arrivate ad una distanza di sicurezza, Annabeth guardò negli occhi Piper, per poi riproporre la stessa domanda.
-Che c’è, Piper? Dopo tutta questa cosa, vuoi anche prenderti il disturbo di non dirmi niente?
La mora le fece capire che quelle sarebbero state le sue intenzioni, ma dopo due o tre respiri forzati e un minuto di riflessione ricambiò lo sguardo della bionda.
-Non vogliono che facciamo la stessa cosa.
-La stessa cosa?
-Li abbiamo come copiati, senza volerlo.
Qualche secondo di buio, e poi una lampadina si accese nella mente di Annabeth.
 
-Non vogliono che voi suoniate.



 

Angolo Autrice: ...e niente, aggiorno appena posso. Sono arrivata a questa conclusione. 

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, e che anche per voi si stiano iniziando a movimentare le cose...per me si, abbastanza.

Vi saluto, e spero al prossimo capitolo! 

Elisa

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Capitolo 7
*** You’re missing me ***


-Dimmi quali sono i tuoi poteri a me sconosciuti, Chase. Mi fai sempre più paura.
Il viso di Piper non era cambiato. Era serio, tirato, e sembrava non avere nessuna intenzione di continuare il discorso. Si girò, con calma, per poi andarsene via senza dire niente.
Annabeth la guardò per qualche secondo, per poi andarle dietro; ignorava il dolore alle ginocchia, che si stava facendo sempre più insistente. Aveva l’impressione che si fosse gonfiato, muovendolo, ma in quel momento non le importava. Tutto ciò che voleva e cercava erano risposte, che, a quanto pareva, erano state rivelate solo in parte.
-Piper, aspetta! Non riesco a camminare!
Non era del tutto vero, ma sperava in un impeto di bontà dell’amica; l’altra era, però, ormai lontana, e sembrava essersi totalmente dimenticata di lei. La frustrazione della bionda salì alle stelle. Vedeva luci vagare nella sua visuale, e i ciottoli a terra sdoppiarsi. Le sembrò più saggio sedersi da qualche parte; sicuramente stare ferma nella scomoda posizione di dieci minuti prima non era stato il massimo, e l’essersi tirata in piedi di colpo non aveva contribuito. Raggiunse, lentamente, la porta del dormitorio femminile; trovò, allungando le  braccia davanti al suo volto, delle scalette, e ci si buttò sopra. Poi chiuse gli occhi, leggermente sofferente. Che ora era?
Era Piper ad avere l’orologio, non lei. E, per colpa dell’entusiasmo e dell’avere qualcuno con cui scambiare due parole – che non fosse la sua coinquilina, aveva lasciato il suo cellulare in stanza. La chiave era nella tasca destra dei jeans di Piper. Battè il piede destro a terra, cercando di sfogarsi; ma il dolore lancinante che le arrivò bastò per farle capire di aver fatto la scelta sbagliata. Strinse i denti, e imprecò contro Perseus. O Percy. Quel dannatissimo pallone gonfiato.
Era infuriata anche con Piper, ma decise di eliminare quel pensiero dalla sua mente.
Non aveva nessunissima voglia di alzarsi; le sue gambe si erano fatte pesanti, e stare lì ad osservare un po’ di movimento nel cortile non le dispiaceva, considerando il fatto che, malgrado fosse lì da una settimana, non aveva mai visto dalla sua finestra più di tre persone contemporaneamente.
I ragazzi se ne stavano in gruppetti ben distribuiti, non lasciando nessuno spazio vuoto; molti si abbracciavano, oppure erano intenti a raccontare la loro estate.
La sua era stata tremendamente noiosa, anche se le dispiaceva ammetterlo. L’unica cosa che aveva fatto ininterrottamente era studiare, passeggiare, dormire e studiare di nuovo. Il padre le chiedeva scusa ogni giorno che passava, per non potersi permettere un viaggio in qualsiasi luogo, neanche il più vicino; lei mentiva spudoratamente, dicendogli che le sue vacanze non potevano essere più belle di così. La verità era che, quando il padre non era in casa, si sentiva tremendamente sola.
Non aveva amici, né cugini, che abitavano troppo lontano per passare del tempo insieme a lei. I parenti di sua madre non li aveva mai conosciuti; o almeno, ne aveva ricordi sfocati. Non che si potesse pretendere nulla di più da una bambina di tre, massimo quattro anni; ma dire che, ogni volta che ci ripensava, le si stringeva il cuore, era niente. L’unica cosa che distingueva chiaramente, erano degli occhi: dei grandi, grandissimi occhi tempestosi. Erano la copia spiccicata dei suoi…come poteva solo pensare di poterli dimenticare?
Era l’unica cosa che ricordava sul serio. E la rendeva, forse, anche più sola.
Abbracciò le gambe, sospirando. In un posto come quello, aveva tutto tranne che voglia di sentire quella sensazione bruttissima. Eppure, quando vedeva i suoi vecchi compagni in cerchio, da lontano, nella sua vecchia scuola, non sentiva lo stomaco restringersi in quel modo…
Diresse lo sguardo verso il dormitorio maschile. I cinque ragazzi erano spariti nel nulla. Ma, se solo si fossero trovati lì in quel momento, Annabeth non li avrebbe odiati. Invidiati, sarebbe stata la parola giusta per dare voce ai suoi pensieri più oscuri e nascosti. Erano uniti; ridevano insieme, erano in sintonia, anche nel buttar per terra una persona presa a caso. O forse, a quel punto, non così
a caso.
Poggiò la testa, che si era fatta pesante, al muro. Chiuse appena gli occhi, godendo la brezza fresca; sentiva i suoi capelli sfiorarle appena il volto.
Dopo un po’, qualcosa le solleticò il braccio destro; pensò immediatamente ad un insetto, ma per essere sicura non verificò. Rimase lì, in pace col mondo, per la prima volta dopo tanto tempo. Ma sentì nuovamente qualcosa nello stesso punto; questa volta era più simile ad un tocco leggero.
Allora aprì solamente la palpebra destra, e per poco non cadde; vide la bocca di Hazel muoversi, senza però sentire nessun suono; piano piano, iniziò a percepire una voce ovattata. Il suo udito ritornò il solito solo quando la riccia l’aveva aiutata a rialzarsi; le indicava le ginocchia, gesticolava appena, ma il sorriso aveva nuovamente preso posto nel suo viso scuro. Annabeth ondeggiava la testa da destra verso sinistra, cercando di farle capire che non riusciva a comprendere una sola parola di tutto quello che stava dicendo.
-…non ti trovavamo da nessuna parte! Volevamo-
- Ciao, Hazel.
La bionda sorrise, e un briciolo di buonumore le tornò in corpo. Il volto radioso di Hazel era un più che ottimo toccasana; era come se la sollevasse lentamente dai problemi, dalle sue preoccupazioni più assurde, e le facesse rimettere i piedi per terra.
-Ero venuta a trovarvi nella vostra stanza, ma non ho trovato nessuno; la porta era chiusa. Dove siete state?
Annabeth si ricordò di cosa le aveva detto Piper, ovvero che Talia non doveva sapere assolutamente niente di tutto ciò che avevano fatto. Ma si ricordò anche di essere arrabbiata con la coinquilina, e soprattutto realizzò che, strano ma vero, Hazel non era Talia.
Stava per riferirle la verità, e nient’altro che la verità; ma qualcosa la bloccò.
-Abbiamo fatto un giro, tutto qui.
-E perché non siete insieme?
La bionda aveva tutta la voglia di sputare veleno, ma si trattenne e inventò la scusa più credibile possibile.
-Doveva fare una cosa, mi ha detto di aspettare qui.
Indicò le scale, con aria innocente.
-Ma da quanto siete in giro?
-Ah, non saprei. E’ Piper ad avere l’orologio…
-Non sai da quanto tempo aspetti qui?
-…no, sinceramente no.
Hazel le rivolse uno sguardo strano. Quella ragazzina era intelligente, accidenti; con molta probabilità, era anche parecchio più scaltra di lei, e aveva fiutato l’enorme baggianata.
Ma fece finta di nulla; alzò le spalle, si guardò il polso sinistro, e lo mostrò alla bionda.
-Sono quasi le cinque.
Annabeth perse qualche battito. Per quanto tempo era rimasta su quelle scalette? Da quanto diceva la riccia, si era con molta probabilità addormentata, senza averne la minima intenzione.
Ma si sentiva più rilassata, ed era una cosa molto positiva.
La riccia abbassò lo sguardo.
-Le tue ginocchia, non sono messe molto bene.
-Oh, al diavolo le ginocchia, sto benissimo. Andiamo a fare una passeggiata, che dici?
Una Hazel leggermente stupida annuì.
-Sei sicura di sentirti bene, Annabeth?
-Mai stata meglio.
Scesero le scalette, fino a trovarsi nuovamente sui ciottoli bianchissimi; la bionda lasciò guidarsi dall’amica, che senza volerlo la precedeva di qualche passo.
Iniziarono a chiacchierare amabilmente, del più e del meno; ripresero la discussione avvenuta poco prima dell’evento che aveva rovinato la giornata di tutte, e rimossero quest’ultimo dalle loro menti. Annabeth scoprì che, in realtà, il cortile era molto più grande di quanto pensava; si estendeva per circa quattro, o cinque minuti di camminata dal dormitorio, e portava ad altri edifici. Hazel le rivelò che quelle sarebbero stati i luoghi in cui avrebbe passato buona parte della sua vita fino all’estate successiva – o più, se fosse rimasta..
-Quella sarebbe la…”scuola”?
-Esattamente.
-E’…strana.
La riccia rise, facendo muovere freneticamente i suoi capelli in aria.
-Anche a me ha fatto questo effetto, la prima volta in cui l’ho vista. Ma, fidati, dentro è qualcosa di stupendo! C’è un laboratorio di chimica…
Sembrava davvero appassionata, nel raccontare le sue avventure scolastiche. Doveva davvero amare quel posto, realizzò Annabeth nel vedere i suoi occhi, già vispi, illuminarsi di una luce nuova e finora sconosciuta.
Probabilmente aveva aspettato tutta l’estate per tornare lì, tra i banchi. Aveva confessato alla bionda di essere stata ammessa solo grazie alla sua media, poiché la retta era qualcosa di esagerato per una famiglia non proprio benestante; dai suoi racconti, lei e la madre vivevano in una casa popolare.
-L’anno scorso, mi è sembrato di raggiungere finalmente il mio sogno. Non so come spiegartelo…ho visto il cortile, sono entrata là dentro e mi sono sentita davvero a casa. E’ una sensazione bellissima!
-Immagino!
-Tu non…non hai mai provato niente di simile prima d’ora?
-…a dire il vero no, non credo.
Il viso di Hazel cambiò radicalmente; gli occhi si allargarono, lasciando il posto ad un espressione che era un misto tra stupore e dispiacere.
-…sul serio?
La bionda annuì senza entusiasmo.
-Ho un sogno, ma…è lontano. Decisamente lontano. Ed ora che sono qui, è decisamente irraggiungibile.
-Qual è il tuo sogno, An?
-Io…
Guardò in volto della riccia, fatto di pura curiosità.
-…vorrei fare l’architetto.
-…non l’avrei mai detto, ci credi?
Hazel scoppiò in una risata, ed iniziò a saltellare appena senza un motivo apparente.
-E perché ti piacerebbe?
La bionda rimase senza apparenti parole. Riflettè per qualche secondo, ragionando il perché fosse così ancorata a quell’idea da anni.
-…forse perché, quando costruisci qualcosa, hai sempre la speranza che rimanga per sempre…pensa al Partenone: è stato fatto secoli fa, ed è ancora in piedi!
La riccia era sempre più stupita ogni secondo che passava.
-Ripensandoci bene, ti si addice proprio, come sogno. E’ lineare come te.
Annabeth ridacchiò appena.
-Cosa intendi chiamandomi “lineare”?
-Sei…per quello che ho potuto constatare in un giorno, sei una persona posata, malgrado pretenda molto da se stessa. E’ un po’ quello che serve per fare l’architetto. Devi avere belle idee, anche un po’ folli, ma bisogna rimanere sempre coi piedi ben ancorati a terra. Sennò, vedrai come dopo neanche un anno la casa crolla!
Fece un occhiolino, sorridendo appena.
La bionda si complimentò mentalmente con lei; nessuno le aveva mai fatto una scannerizzazione simile in neanche un giorno; la maggior parte delle persone che la conoscevano non la capivano mai oppure ci mettevano parecchio, pensando a suo padre – che l’aveva iniziata parzialmente a capire solamente dopo dieci anni circa. O la conosceva da molto prima e non lo dava a vedere. Le ipotesi erano molte.
-Che mi dici di te?
-In che senso?
-Qual è il tuo sogno?
La riccia chiuse ripetutamente le palpebre per una decina di volte; probabilmente era il suo modo per concentrarsi. Si guardò i piedi, prima di tornare concentrata sul viso di Annabeth.
-Voglio studiare.
-E…basta?
-Per ora si, non voglio fare altro.
-Cosa ti piacerebbe studiare, nello specifico?
-…mi piacciono i minerali!
La bionda la guardò dritta negli occhi; Hazel non poteva essere più seria.
-E’…strano, come sogno. Di solito si pensa ad un obiettivo da raggiungere, dopo lo studio.
 Tornarono sui loro passi, e ripresero la strada conosciuta da Annabeth. Le fronde degli alberi si muovevano ogni tanto, come distratte; il sole, malgrado fosse ancora abbastanza alto nel cielo, stava iniziando lentamente a calare.
-Sai, quando non sei sicuro di riuscire neanche a studiare, credimi…è un sogno più che valido.
-Lo credo bene, accidenti.
I minuti successivi non furono occupati da nessun tipo di conversazione. La bionda si era finalmente calmata; le ginocchia non le facevano più male, la coscia sinistra aveva smesso di friggere e l’aria profumata le aveva permesso di dimenticare tutta la tensione accumulata durante la giornata e, probabilmente, durante tutta la settimana.
Era rilassata, finalmente. Anche la testa non le faceva più male; probabilmente il dolore era provocato solamente da una gran dose di nervosismo.
Però doveva risolvere ancora un problema, se così poteva essere chiamato.
 
 
-Hazel, senti…
-Dimmi!
-Tu…
Doveva trovare un modo per non destare sospetti. Domande troppo dirette e puff, saltava tutto; e, tanto per cambiare, Hazel era una persona estremamente sveglia. Meno cose le riferiva, e meglio sarebbe  stato.
-…tu sei un’appassionata di musica?
-…perché me lo chiedi?
La riccia sorrise appena; probabilmente la domanda era di suo gradimento. Annabeth tirò un primo sospiro di sollievo; aveva attirato la sua attenzione e, a quanto pareva, non in modo negativo.
-…così, per chiedere!
-…un sacco.
-Sul serio?
-Non potrei vivere senza musica! Non sei convinta anche tu che la musica sia la più grande forma di magia che abbiamo?
La bionda rimase stupefatta da quell’affermazione, ma si limitò a sorridere – se il suo poteva essere chiamato sorriso – e annuire. Sperando che la sua espressione non sembrasse la più falsa e tirata del mondo.
-…immagino tu non ne sia convinta. Ma è così, te lo assicuro! Hai mai pensato…alle visualizzazioni di Youtube?
-Come ti vengono in mente adesso le visualizzazioni di Youtube?
-Sono tutte le persone che hanno sentito una canzone. Magari l’hanno sentita per radio, e sono andati a sentirla di nuovo; e magari sono tornati altre cinque, sei volte nella stessa pagina, per risentirla un’altra, un’altra e un’altra volta ancora! E’ come un’attrazione. O almeno, io la vedo così.
-Una visione filosofica, devo dire.
-Neanche tanto, in realtà. Basta lasciare per cinque secondi lo scetticismo, e vedrai che non potrai fare altro che darmi ragione.
Annabeth realizzò le parole di Hazel solo quando vide quella scoppiare a ridere ed iniziare a correre, senza voltarsi; sentì qualcosa di simile ad un “Vieni a prendermi, se ne hai il coraggio!”, che non poteva lasciare la bionda indifferente.
Le andò dietro, e per qualche secondo le sembrò di librare in aria come una farfalla. Una farfalla piccola e colorata, di quelle che si catturano col retino quando si è piccoli.
Rise di gusto, Annabeth; vide la riccia zigzagare tra gli alberi, e sparire tra essi. La seguì; evitò di passare troppo vicina alla  vegetazione – le brutte esperienze del pomeriggio non erano state totalmente rimosse dal suo povero cervello stravolto -, ed ogni tanto rivolgeva lo sguardo in alto. Per un po’ aveva sentito le grida divertite di Hazel, poi più nulla; rendendosi conto di trovarsi quasi in uno di quei fantomatici gruppetti riuniti nel cortile da non si sa quanto tempo, evitò la figuraccia e si piegò in due per riposarsi. Caspita, quell’esserino in miniatura era più veloce di una scheggia.
Altro che farfalla. Una cavalletta. Una cavalletta coi ricci al posto delle antenne.
Malgrado fosse stata la punta di diamante della squadra di atletica della sua vecchia scuola, Annabeth boccheggiò; era fuori allenamento da troppo tempo, per pensare di raggiungerla.
-Come mai sei ancora qui?
La bionda fece un salto di tre metri circa. La riccia era lì, al suo fianco.
-DOVE CASPITA ERI FINITA?!
-Mi sono fermata dietro l’ottavo albero a partire dal fondo. Ma tu non mi hai visto, e mi sei sfrecciata vicino. Caspita, se sei veloce!
In quel momento, Annabeth non sentì il complimento di Hazel; si sentiva collassare.
Alzò lo sguardo verso di lei dopo un minuto circa, e, trovati i suoi occhi giallognoli, borbottò qualcosa di simile a un “Grazie”. L’altra sorrise, furba; le afferrò una mano, e si incamminarono verso il dormitorio femminile.
 
Annabeth ed Hazel stavano ancora ridacchiando tra loro, quando il cuore della bionda perse qualche battito. Vide Jason Grace uscire dal dormitorio maschile, guardarsi intorno una decina di volte e dirigersi verso di loro, con passo furtivo. La sua testa non si fermava un attivo; una volta fissava il prato, una volta la mensa, una volta un muretto. Probabilmente aveva il timore di essere seguito. Anche Hazel smise di ridere, e si fece seria; si fermò, e diede uno sguardo ad Annabeth. La bionda ricambiò, senza dire una parola.
Il ragazzo era ormai vicinissimo, quando rivolse loro un sorriso. Hazel rispose con un altro, altrettanto smagliante, mentre la bionda non fece assolutamente niente, se non guardare perplessa il nuovo arrivato.
-Ciao Hazel! Bentornata!
-Grazie Jason! Come sono andate le vacanze?
-Bene, grazie.
Mister Superman girò appena la testa verso Annabeth, ed allungò la mano destra:
-Piacere, sono Jason, fratello di Talia. Anche se penso tu lo sappia già.
Sperava non si riferisse a qualcosa riguardante Piper, ma piuttosto alle dolci parole della sorellona.
La bionda strinse appena le labbra, annuì lentamente e tese il braccio.
-Piacere mio, Annabeth.
La stretta del ragazzo non era molto diversa da quel che si aspettava, ma era bilanciata; la forza era dosata, come se volesse farla sentire a suo agio senza sembrare invadente.
Jason si mise le mani in tasca, cercando qualcosa. Dopo aver frugato per circa dieci secondi buoni nella destra, Annabeth si prese il disturbo di indicare l’altra parte, facendogli notare un minimo rigonfiamento. Subito gli occhi del ragazzo si illuminarono; infilò le mani nella sinistra, e tirò fuori un panno…non propriamente piegato. Non era fatto di un tessuto conosciuto dalla bionda; sembrava tecnico, o mirato per una determinata cosa.
Delle lampadine iniziarono ad accendersi nella sua mente, ma cercò di non darlo a vedere.
-Potreste dare questo a Talia? L’ho trovato tra le mie cose, e io non ci faccio nulla – concluse, simulando una piccola risata. Hazel lo prese in mano, sistemandolo in maniera ordinata.
-Glielo restituirò al più presto!
-Grazie mille!
Il ragazzo fece per allontanarsi, ma si bloccò a metà. Puntò gli occhi, azzurrissimi, sulla bionda, e un’espressione seria prese posto nel suo volto.
-Mi…mi dispiace per ciò che è successo, prima. Non sono riuscito a  fare niente…spero tu non ti sia fatta male in maniera grave.
Annabeth rimase lievemente sorpresa da quella novità; era vero che Piper lo aveva chiamato “gigante buono”, ma non si aspettava fosse così sul serio.
Fece un gesto appena sbrigativo con la mano destra.
-Sono ancora viva, quindi non mi è successo niente. Comunque, grazie.
-…grazie?
-…per le scuse. Grazie.
Nel viso del biondo si formò una “o”, e poi fece un sorriso amaro.
-Penso siano il minimo. Mi dispiace solamente che…
-Basta, fine. Sto in piedi. Le ginocchia mi fanno male, ma non mollo.
Stavolta il sorriso sul volto di Jason si fece radioso:
-Barcollo ma non mollo?
-…si, qualcosa del genere.
Hazel, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, appoggiò il gomito sinistro sulla spalla di Annabeth.
-Se avremo lei in squadra, altro che tua sorella.
-Spero di no, altrimenti siamo fregati sul serio.
Risero entrambi di gusto, e anche la bionda accennò ad una piccola risata.
Jason si guardò le spalle, fece qualche passo indietro, mimò un “ciao” con la mano e il labiale, e se ne andò veloce come era arrivato.
Dopo qualche secondo di silenzio, fu Annabeth, a sorpresa, a prendere la parola.
-Non me l’aspettavo.
Hazel ridacchiò.
-Jason è fatto così. Non…
-Non farebbe male ad una mosca.
La riccia la guardò, interrogativa.
-E tu come fai a saperlo?
-Gliel’ho detto io.
 
La voce di Piper fece sobbalzare sia Hazel, che Annabeth.
La mora le raggiunse in poco meno di cinque secondi. Il suo viso era più rilassato di prima; la passeggiata sembrava averle fatto bene. La bionda si dimenticò addirittura di essere arrabbiata con lei.
-Che vuol dire? Glielo hai detto tu?
-Vuol dire che le ho parlato di lui, e le ho detto anche questo.
-…solo di lui?
Mentre Piper faceva “no” con la testa, lo stomaco di Annabeth fece una capriola. Un’ora prima le era sembrata un’assurdità dire tutto ad Hazel, e invece…
-Capito. Li hai trovati tutti insieme?
-Sì.
-E lei che ha detto?
Parlavano della bionda come se non esistesse. Lei aveva voglia di dire qualcosa come “Ehi, guardate che sono qui!”, ma era troppo curiosa della piega che stava prendendo la conversazione.
-Che odia Jackson.
La riccia, dopo un primo attimo di stupore, iniziò a ridere quasi isterica. Era strano guardarla; la testa era buttata all’indietro, e i ricci si muovevano frenetici intorno al suo volto.
-E’ una cosa così divertente?
Hazel realizzò la domanda dopo un minuto circa, quando si fermò e si asciugò una lacrima.
-No, di solito le ragazze lo amano alla follia…ma sai, un po’ di sano odio non fa altro che bene in certe situazioni! – disse con voce appena roca, e rincominciò a ridere sguaiatamente.
Piper soffocava una risata sotto i baffi, ed Annabeth la guardava con la sua perfetta aria di sufficienza.
Mentre la riccia si stava sforzando di non soffocare, la bionda rivolse uno sguardo alla coinquilina, che ricambiò con espressione colpevole.
-Ero un pelettino scioccata; sai com’è, non pensavo ci arrivassi così presto.
-Così presto cosa?
Hazel si reintrodusse senza esitazioni nella conversazione.
-A capire perché Jackson e la sua amabile truppa ce l’ha con noi.
La bionda alzò le spalle, con noncuranza; la riccia le rivolse uno sguardo che andava dallo scioccato all’estremamente preoccupato.
-Cosa hai capito tu?
-Io…suonate, giusto?
L’espressione della riccia cambiò di nuovo; ora sfociava nell’arrabbiato.
-Ecco perché mi hai chiesto della musica!!
-Le hai chiesto cosa?
-Le ho chiesto se le piaceva la musica, tutto qui…
-TUTTO QUI?! Stavi cercando di smascherarmi come se niente fosse!
-E’ un segreto di stato?
-…no, in realtà no.
-DOVEVI DIRMELO FIN DALL’INIZIO!
-Non pensavo potessi…
-…ok, adesso stiamo tuuuutti calmi. Hazel, respira. Annabeth…mi sembri abbastanza calma.
La bionda annuì.
Gli occhi della riccia leggevano sulla sua fronte un “colpevole” scritto a caratteri cubitali.
-Senti, Hazel, capiscimi, mi ha abbandonato così su due piedi…
-Ma tu devi FIDARTI di me!
-TI CONOSCO DA STAMATTINA ALLE UNDICI, TI PREGO!
Hazel finalmente si calmò appena. Guardò Annabeth dritta negli occhi.
-Scusami, hai ragione. Do’ troppe cose per scontato.
-Adesso, non esagerare…
La bionda si sforzò di sorridere; l’altra apprezzò il gesto, e ricambiò a sua volta. Piper tirò un sospiro di sollievo.
-Ora che siamo tutti più calmi…
-Io ho una domanda!
La mora guardò la coinquilina col sopracciglio destro alzato.
-…quale domanda…
-Cosa suonate?
Hazel e Piper si scambiarono un rapido sguardo.
-Io in realtà non suono niente, l’anno scorso ho imparato qualche accordo con la chitarra. Ma adoro cantare – ribadì la mora, con aria sognante.
-Io suono il flauto traverso, ma…con loro mi occupo di effetti speciali e pc. Non immagini quanto sia divertente!
Annabeth vide di nuovo gli occhi di Hazel scintillare. Le doveva piacere davvero tanto, suonare.
-Ma seguite un corso, o cosa?
-Ti ricordi di oggi a pranzo?
-Ovvio.
-Di cosa parlavate oggi a pranzo?
-Ohh, sta zitta Pip, tu non c’eri!
-Ahh, era quando…
-TACI un attimo, gentilmente.
La mora sbuffò con espressione corrucciata.
-Dicevo: c’è un corso, a scuola. In realtà non è molto frequentato, se non dalle top model che provano un giorno e poi se ne vanno.
-Che vuoi dire?
-Si fa fatica. Non è che devi essere solo intonato, o saper fare Fra Martino al pianoforte. E’ roba seria. Ci vanno solo quelli che vogliono veramente imparare a suonare, oppure migliorarsi, come ragazzi che magari frequentavano conservatori in giro per l’America e poi sono venuti qui a studiare.
-In realtà, anche chi canta non ha una vita semplice – ribadì Piper.
-Oltre ad essere intonato, appunto, devi studiare solfeggio come ogni musicista, preparare l’esame, studiarti cori, canti e controcanti, ‘nsomma…se è vero che un corso è obbligatorio, quello di musica non è molto indicato per gli sfaticati.
-Mi piace, come disciplina. Lavora, lavora, lavora. Si, mi piace proprio.
La bionda non stava scherzando. Le piaceva quell’organizzazione. Vuoi fare qualcosa di serio? Bene, sei il benvenuto. Vuoi stare qui solamente per sembrare estremamente figo e non alzare neanche un dito? Alzati e vai via.
Era un po’ la sua filosofia di vita.
-Quindi, anche Talia…
-Si, c’è anche lei.
-E studia?
-Dovrei essere io a dire certe cose su di me, non vi pare?
Alle tre il sangue nelle vene smise di circolare.
Mentre Hazel e Piper erano girate, Annabeth riusciva benissimo a vedere l’espressione della punk.
Rabbia, mista a collera, con un pizzico di desiderio di picchiare qualcuno.
La bionda deglutì lentamente, facendo un minuscolo passo indietro.
Sarebbero stati attimi di fuoco.



Angolo autrice: guardate il positivo, è passata solo una settimana.
A parte gli scherzi, eccoci qua un nuovo capitolo! Mi sono lasciata un po' andare, ed è leggermente più lungo dei precedenti, ma...se siete arrivati fin qui, spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto!
Ne approfitto per informarvi della mia presenza su Wattpad (io sono ibizase80)! Non ci capisco assolutamente niente, ma questi sono particolari...
Se avete anche voi un profilo lì e scrivete cosine su PJO, magari mandatemi un messaggio privato col vostro nome, così perdo un po' di tempo lì invece che studiare! - sob -
Niente, vi lascio, che devo studiare greco - arisob -! Vi ringrazio ancora per essere arrivati fin qui, e aver letto i capitoli precedenti!
Se volete lasciatemi un parere, sarò ben felice di ascoltarli!
Alla prossima, ovvero speriamo il prima possibile! <3
Elisa

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Capitolo 8
*** I’ve had enough ***


Annabeth non sapeva ancora per quale motivo Talia se la prendesse tanto, ma dalle facce di Piper e Hazel sembrava ne avessero già discusso, in qualche modo; e le due, senza ascoltarla, avevano fatto il completo opposto di ciò che aveva detto. Non voleva essere al posto della sua coinquilina e della riccia, in quel momento.
Piper si voltò senza vergogna; Hazel esitò un poco, lanciando un’occhiata nervosa alla bionda.
Quest’ultima cercò di infonderle coraggio, ma non sembrava funzionare.
La dark aveva mosso qualche passo; teneva le braccia incrociate, e la sua espressione era dura.
-Guarda chi si rivede! – ridacchiò appena la mora.
-Ehilà, Tal! Che fai di bello qua in giro?
-Non fate finta di niente.
Silenzio tombale. “Di bene in meglio”.
-Di cosa staremmo facendo finta?
-Io vi avevo…
-Qualsiasi cosa tu stia per dire, è colpa mia. Non te la prendere con loro.
-Tu stanne fuori.
Annabeth sentì nella sua mente una sensazione simile al suonare una nota al posto di un’altra.
-Cosa, prego?
-Stanne fuori. Non ti voglio in mezzo.
La bionda era rimasta a bocca aperta. Se c’era una cosa che la infastidiva sul serio, era quella.
Obbligarla a stare in silenzio quando aveva tutte le buone motivazioni per parlare.
-Aspetta un attimo, non ho capito bene. Perché dovrei starne fuori?
-Sono successi già abbastanza casini, eh, novellina? Ti sto chiedendo gentilmente di non occuparti di situazioni in cui non c’entri niente e di cui non sai niente. Non mi pare di averti chiesto il mondo.
-Io c’entro, Talia.
Hazel e Piper davano occhiate fugaci prima dall’una, poi dall’altra parte, come si guarda una pallina durante una partita di ping pong.
La bionda sentiva la rabbia salire a poco a poco. Ma, dal primo momento in cui l’aveva vista, Talia le aveva già espresso il suo desiderio di non voler essere costretta a farle male, molto male; e, nell’angolo più nascosto e oscuro della sua mente, non aveva alcuna intenzione di costringerla. Non aveva paura, aveva solamente care le sue ossa. Già aveva le ginocchia fuori uso.
-E, dimmi, cosa c’entreresti? Cosa ne sai?
-Ragazze, direi che…
-Non abbiamo chiesto il tuo parere, Piper.
La mora strinse i pugni, ma la sua bocca rimase sigillata; Hazel rimaneva in silenzio, mentre un guizzo le attraversava gli occhi. Paura? Preoccupazione? In quel momento la bionda non riusciva a capirlo. Quando si arrabbiava, perdeva il senno.
-Fino a prova contraria, questa volta quella che è finita per terra non sei stata tu.
Gli occhi grigi di Annabeth erano diventati di pura pietra. Non le interessava di tutto quello che era successo: delle ginocchia gonfie, della coscia sanguinante, della testa che scoppiava. Le avevano dato delle spiegazioni, e lei ne era felice. Le avevano chiesto scusa, anche se lo aveva fatto Jason e probabilmente non da parte di tutti, ma di sua spontanea volontà. Ma che Talia la ignorasse, le dicesse praticamente che andava tutto bene, e ciò che andava male riguardava lei, Piper e Hazel, no, non le stava assolutamente bene. Lei ormai c’era, in mezzo, e senza volerlo neanche. Era un segno del destino? Non lo sapeva. Non ne aveva la minima e più pallida idea.
Considerando che lei, al fato, non ci credeva, la situazione le sembrava uno scherzo. Uno scherzo molto divertente, in cui l’avevano buttata solamente per ridere un po’. Ma, a quel punto, non poteva che pensare altrimenti.
Talia la fissava con sguardo truce; ora si sentiva anche gli occhi delle altre due ragazze addosso.
Si sentiva quasi male. Non voleva arrabbiarsi. Non dopo aver trovato qualcuno per la prima volta in sedici anni di vita. Ma lo aveva appena fatto, e senza molto scrupolo. Si vantava di essere una persona riflessiva, che soppesava bene le parole prima di farle uscire dalla sua bocca, ma non era altro che una ragazza della sua età. Impulsiva, che si arrabbiava per niente. A cui tutto era dovuto.
Lei, che non aveva mai preteso nulla nella vita, voleva sapere.
Impastò un “mi dispiace”, e si voltò col cuore in gola. Sentì qualcuno muoversi, dietro di lei; era Hazel, che si stava avvicinando per andarsene insieme. La ringraziò mentalmente, non essendo dell’umore adatto per farlo.
-Aspetta, Annabeth…vieni qui.
La voce che si era rivolta a lei era quella di Piper. La bionda scosse appena le spalle, continuando a camminare; ma la riccia aprì la mano sinistra, bloccandole la strada.
La bionda la guardò dritta negli occhi. Il suo sguardo era sicuro, e irremovibile.
-Vieni qui, muoviti.
Annabeth si girò quasi di scatto. Questa volta, le parole provenivano dalla bocca di Talia.
-Mi spiace, io…insomma, ne parliamo, se ti muovi.
Per una volta nella vita, la bionda annuì e ritornò sui suoi passi; rivolse un’occhiata fugace ad Hazel,e vide che il suo volto era leggermente più disteso, e si rilassò appena.
Tornò nella stessa posizione di qualche minuto prima, e poggiò i suoi occhi prima su Piper, che le rivolse uno sguardo fiero, e poi su Talia, che era sicuramente meno nervosa.
-Mi spiace – disse la bionda, scandendo bene le due parole.
-Colpa mia, più o meno. Non scaldiamoci prima del tempo, se non necessario.
La ragazza dai capelli corvini sorrise; la bionda fece lo stesso, e le altre due le assecondarono.
-Dunque…qual è il segreto di stato?
 
 
-Ma che segreto di stato, idiota – ridacchiò Talia.
Le quattro si mossero verso il cortile; puntarono un albero leggermente nascosto, e si sedettero sulle sue radici. Lasciarono ad Annabeth quella più rialzata; la ragazza ringraziò con un sorriso.
-Allora come lo chiami, se non posso saperne niente?
-E’ una storia lunga…
-Ma dai Tal, non è una storia lunga, bisogna avere solo la pazienza di raccontarla.
La bionda non era più stupita dalla saggezza di Hazel; la guardò con un sopracciglio alzato, e lei ricambiò con un sorriso smagliante. Dire che adorava quella ragazza era poco.
-Attimo, attimo.
-Cosa?
-La domanda che ho fatto prima non ha avuto risposta.
-Cioè?
-Talia, cosa suoni?
Quella ridacchiò appena.
-Secondo te?
-Boh, la batteria?
-…no.
-Basso?
-Certo che no!
-Chitarra elettrica?
-Decisamente no.
-Ho esaurito tutti gli strumenti che secondo il mio cervello potresti suonare.
Piper rise di gusto; Hazel fece lo stesso.
-Ti arrendi?
-Mi arrendo.
Talia alzò il mento, godendo la vittoria ottenuta.
-Dai, muoviti Tal!
-Ok, ok. Suono il violino.
-IL CHE?!
-E qualche volta la chitarra elettrica. Sono riuscita a strimpellare qualcosa l’anno scorso.
-Non me l’aspettavo.
Una dark che suonava il violino era l’ultima cosa a cui Annabeth avrebbe pensato di assistere.
Hazel si infilò una mano in tasca, tirando fuori lo strano fazzoletto che Jason aveva lasciato a lei e alla bionda quelli che ormai sembravano secoli prima; solo in quel momento comprese fino in fondo il suo reale utilizzo.
-Tieni, ce l’ha lasciato prima tuo fratello. Lo ha trovato tra le sue cose.
-Colpa di quella decerebrata di mia madre che non distingue un fazzoletto da naso da un panno in microfibra.
Talia sbuffò appena, abbassò la testa per ringraziare la riccia e si infilò con poca grazia il panno dentro la tasca destra dei jeans.
-Quindi avete incontrato mio fratello. Cosa ci faceva in giro?
-Non so, probabilmente ci ha visto arrivare e ce lo ha lasciato. Ha chiesto anche scusa ad An.
La bionda continuava a chiedersi perché tutte avevano così tanta confidenza da chiamarla An, ma non diede molto peso al pensiero. Insomma, non le dispiaceva affatto. Meglio di “regina di ghiaccio” era sicuramente.
-Ah. Senti, stava camminando e vi ha raggiunto, oppure è sbucato fuori dal nulla?
-E’ sbucato fuori dal nulla.
-Allora voleva chiedere scusa ad An e basta. Il panno è stata solo una scusa.
-Come…e perché?
La bionda era leggermente interdetta.
-Jason…è buono. E non dovrebbe stare con Jackson e la sua banda di idioti.
Quella che aveva parlato era Piper. Le sue guance divennero rosse, e strinse le labbra per non dire altro; iniziò a torturarsi le dita, e a fissare il prato.
Talia guardò la mora con…compassione? Ma non sembrava di parere molto diverso, a dire il vero.
-Sicuramente ha fatto tutto di nascosto, senza dirlo ai suoi amici del cuore.
-Da come se n’è andato poi, è probabile. Non ci ha detto praticamente neanche ciao.
-E’ come dico io, visto?
Piper, Hazel ed Annabeth sbuffarono nello stesso istante. La ragazza dai capelli corvini non fece altro che incominciare a ridere; si teneva la pancia con le mani e il busto era buttato all’indietro, per dare ancor più enfasi alla sua risata.
-Perché ha dovuto farlo di nascosto?
-Siamo…avversari, An. Non può permettersi di mostrare il suo lato tenero al nemico.
-Non vorrei sembrare ripetitiva, ma…avversari?
-Ti hanno già detto del corso?
La mora e la riccia annuirono ancor prima che la bionda riuscisse ad intercettare la frase; anche se in ritardo rispetto alle altre, fece lo stesso.
-Bene, abbiamo tot lezioni a settimana, e bla bla bla. Cose non interessanti.
Veniamo al dunque.
Talia si fece seria.
-Non siamo molti, ma la maggior parte di noi si unisce in gruppi…band, o come le vuoi chiamare. Tipo noi.
-Siete sole?
-Noi…mi fai finire?
-Si, scusa.
-Quindi. Siamo divisi in gruppi, e…
-Immagino che “I simpatici cinque” siano in gruppo insieme.
-Te la smetti di interrompermi?
-Pardon, colpa mia.
-Ecco. Si, comunque, quelli sono un gruppo.
-Sono curiosa di sapere come si chiamano.
-Non è importante, adesso. FAMMI FINIRE, OH DEI.
-Sto zitta, te lo prometto.
Piper, smettitela.
La mora stava per collassare; le sue risate erano praticamente impercettibili, poiché non emetteva nessun suono, ma nel suo viso era disegnata una smorfia divertita.
-Continuate, non calcolatemi.
-Come facciamo, se hai quella faccia?
-Pip, datti un regolo, dai!
Anche Hazel ridacchiava appena, ma non in maniera così isterica.
-Farò finta di non aver visto niente. Resettiamo.
Dicevo: loro sono un gruppo, noi un altro, e ce ne sono anche altri. Non molti, ma altri. Qui al collegio c’è un posto…in cui possono andare i ragazzi, in particolare i fine settimana. E’ una specie di bar, forse più un locale, in cui si parla, si mangia, ed è sicuramente più emozionante della mensa.
Aggiunse alla descrizione un’occhiata emozionata e, al nominare la mensa fece uscire il disgusto da ogni poro del suo corpo.
-Siccome alcune band sono davvero brave, da un paio di anni la preside ha permesso di far suonare i ragazzi del corso, giusto per dargli un minimo riconoscimento. Per il calcio ci sono i tornei, per il corso d’arte le mostre…e per i musicisti i concerti. E’ una specie di premio, capiamoci. Non ci vanno tutti. In particolare, i primini non hanno accesso in nessun modo. Anzi, in genere rilascia il permesso solo dal secondo in poi, se non dal terzo.
-Voi avete mai suonato?
-La prima settimana di maggio dello scorso anno.
Aveva risposto Hazel.
-Ma scusa…tu l’anno scorso non eri una primina?
-Si possono chiedere dei permessi…speciali. Per i veri talenti, o per quelli che magari suonavano già prima del collegio. Io andavo già a lezioni private, e ho avuto la fortuna di essere integrata nella band già dallo scorso anno.
-Hai talento, Hazel, non negarlo.
-Ok, ma…
-Allora zitte e fatemi finire.
Talia riprese il controllo della situazione, pur senza lamentarsi delle continue interruzioni. Per una volta.
-Il fatto è che…delle band, se non hanno il monopolio del locale e del calendario scolastico,
poco ci manca. Non perché non siano stupefacenti, anzi. Hanno anche le fan urlanti dietro, per capirci. Sono diverse le band che hanno suonato, proprio per dare la possibilità a tutti, ma alcune hanno avuto così tanto successo che sono state richieste tante, tante volte. Anche tutti i fine settimana. Esempio semplice semplice? Jackson e la sua banda.
-Ma…sono bravi?
-Eccome. – disse Piper seria.
-Te l’ho detto, sono eccezionali. Non dico fossero i più bravi del corso da soli, ma…una volta uniti, sono diventati imbattibili. Oltre ad essere bravi tecnicamente, hanno grinta, e la sfacciataggine che basta su un palco davanti ad un pubblico.
-Volete dirmi che sono i più bravi?
-Senza dubbio.
Hazel annuì, e Piper aprì le braccia in segno di resa.
-E, fatemi capire, per quale motivo dovrebbero avercela tanto con voi, se sono i migliori sulla piazza?
-Riguarda la prima settimana di maggio dello scorso anno. – rivelò tetra Talia.
La mora prese la parola.
-Eravamo state fortunate. Quel fine settimana, non mi ricordo se Jackson o qualcun altro, era tornato a casa per un motivo sconosciuto. Ci hanno proposto di suonare, e noi abbiamo accettato.
-E?
-E’ andata benissimo – continuò Hazel – ma forse è stato quello il problema. Certo, non eravamo arrivate ai loro livelli, ma i ragazzi che erano venuti quella sera al Blue Note avevano gradito. E richiesto nuovamente la nostra presenza, malgrado la bravura di Jackson e company. Da quel momento, hanno ben pensato di farcela pagare.
-In che modo, scusa?
-In tutti i modi. Rovinandoci le attrezzature una volta, facendo in modo di essere richiesti da non si sa quanta gente un’altra, o boicottandoci.
-Ecco quello che mi è successo oggi.
-Ecco quello che ti è successo oggi.
-…non me lo aspettavo.
-Quante cose non ti aspettavi, Annabeth; ma sono tutte vere.
La verità era strana, realizzò la bionda. Molto strana.
-Ma perché…perché anche quest’anno? Non è una cosa dell’ultimo mese di scuola?
-Dovrebbe. Ma i ragazzi sono cocciuti, quando ci si mettono.
-La cosa che però non capisco – disse Hazel – è perché hanno preso di mira An. Insomma, ok che stava con noi, ma perché magari non hanno spinto me? In fondo, ero poco più in là.
-Io non vorrei che…la vedessero come una nuova rivale.
-Cosa?
-Potresti, An. Non ci hai pensato neanche un attimo? O magari volevano solo divertirsi un attimo, e hanno scelto a caso la prima persona che è capitata.
Entrambi le supposizioni di Piper potevano essere giuste; Annabeth non faceva in tempo a capire una cosa, che le venivano in mente altre migliaia di domande da porre.
Calò il silenzio tra loro. Era leggermente teso, notò la bionda. Le tre si scambiavano occhiate, che lei non riusciva a decifrare; se ne rimaneva quindi nel suo angolo, a mettere in ordine tutte le nozioni che le erano state date. Le ragazze erano brave, ma Jackson non poteva accettarlo, quindi lui e la sua banda è stato per circa un mese alle calcagna di Talia, Hazel, Piper, e chissà chi altro. Le ragazze sono tornate, felici e contente, ed hanno abbassato la  guardia. E bum, si sono trovate di nuovo in un incubo. Non le biasimava, nel non voler rivelare tutto questo. Da quello che aveva capito, “I fantastici cinque” erano davvero influenti, alla Dyson Moore; non biasimava le amiche per non aver fatto assolutamente niente. Cioè, forse biasimava loro il fatto di non aver reagito. Mentre le raccontavano le loro disavventure, aveva subito pensato alla Presidenza. Ma, rivedendo l’immagine della preside nella sua mente, scacciò immediatamente l’idea; non sembrava una tipa a cui sarebbe importato qualcosa di tutto questo. Da quello che aveva capito, i ragazzi, nel Blue Note – così lo aveva chiamato Hazel – facevano tutto da soli; dall’organizzazione dei turni, al reperire strumenti e simili. Aveva pensato ad un’accusa di bullismo, ma probabilmente Jackson e i suoi avevano cercato in tutti i modi di nascondere le prove e non farsi scoprire. Magari le ragazze li avevano scoperti grazie a Jason. O, molto più probabile, erano così intelligenti da averlo capito da sole, o aver valutato fin dall’inizio il problema. Ma il monopolio che avevano gli altri nelle esibizioni, da quello che aveva capito la bionda, era enorme, ed era una possibilità che non potevano sprecare.
Ergo, non le biasimava per niente. Lei sarebbe scappata via, quindi non poteva che stringere le mani alle ragazze per il loro coraggio magistrale.
-Senti, An.
La voce di Hazel la riportò alla realtà.
-Dimmi.
-Tu hai un minimo talento musicale?
-In…in che senso?
-Sai suonare qualche strumento, sei portata, sai cantare?
-…in realtà non ho provato a fare mai nulla di tutto questo.
-Non hai mai cantato in vita tua?
-Sotto la doccia.
Piper rise.
-E’ una cosa seria – ribadì Talia – te lo dico perché…l’hai detto tu prima, ormai ci sei dentro.
Ti abbiamo portato, senza volerlo, nei casini. Perciò, ti chiediamo…ti piacerebbe venire a fare il corso?
-Io…non lo so. Se fosse per aiutarvi, per darvi sostegno, io lo farei senza esitazione. Ma…
La verità era che non aveva mai toccato uno strumento. Il padre le diceva sempre di aver studiato pianoforte, quando era piccolo. Ma era più stonato di una campana, e anche quando Annabeth era una bimba di cinque anni, aveva cercato in tutti i modi di non metterlo in imbarazzo. Le piaceva canticchiare, quando sentiva le sue canzoni preferite; ascoltava molta musica classica, per concentrarsi meglio nello studiare. Ma far diventare tutto questo una cosa seria?
-Non è necessario che ce lo dici subito, in ogni caso; i corsi ricominciano mediamente o la seconda o la terza settimana di scuola. Oppure potresti venire a provare poi, una volta iniziato il corso.
-Lascia perdere, è stata un’idea stupida – disse all’improvviso Talia.
-A dire il vero, non mi dispiace…
La dark rivolse gli occhi azzurrissimi verso la bionda, con fare stupito.
-Sei seria?
-Serissima. Valuterò tutto, ve lo prometto.
Hazel e Piper le rivolsero un sorriso, e lo stesso fece Talia.
La mora guardò prima il cielo, e poi il suo orologio.
-Ragazze, tutto questo è molto bello, ma sono le sette e mezza passate e dobbiamo andare in mensa per avere dei posti decenti.
-Giusto – notò la dark, alzandosi. Allungò una mano ad Annabeth, che la afferrò e si mise in piedi.
-Ti fanno ancora male le ginocchia?
-No, a dire il vero.
-Ne sono molto felice.
-Anche io.
Raggiunte da Piper ed Hazel si incamminarono verso la mensa. Questa volta, la strada venne percorsa in silenzio, prestando attenzione anche al sasso che rotolava davanti ai loro piedi.
La cena fu tranquilla; furono la riccia e la bionda ad andare a prendere il cibo, ed anche lì non abbassarono mai la guardia. Annabeth vide solamente Jason, intento a chiedere ai cuochi il menù della serata; come immaginava, non le rivolse neanche uno sguardo. Talia ci aveva visto giusto.
Portati al tavolo i vassoi, chiacchierarono amabilmente del più e del meno per tutta la sera. Molte persone erano arrivate nel pomeriggio, ed ormai i tavoli erano quasi tutti pieni; solamente quelli dei primini rimanevano praticamente vuoti.
-Di solito arrivano la domenica sera; evitano di venire troppo presto. Sai che ansia. – rivelò Piper. La bionda era loro particolarmente solidale. Scoprì, durante la serata, che Talia era più grande di lei; era stata bocciata il primo anno, ed era stata costretta a ripeterlo, ritrovandosi in quasi tutte le classi il fratello.
-All’inizio è stato abbastanza strano e fastidioso: non per mio fratello, più che altro per i suoi amici stupidi.
-Immagino quanto stupidi – commentò con la bocca piena Annabeth, guadagnandosi una pacca sulla spalla di Piper e un “batti il cinque, sorella” di Talia.
Con loro si sentiva bene. Non si vergognavano di dire ciò che pensavano; ovvero, facevano ciò che Annabeth aveva fatto per sedici anni della sua vita, senza essere però compresa. Non fece rivelazioni shock, quella sera; lasciò alle amiche il compito.  Amiche.
Non aveva mai chiamato nessuno così, ma si sentiva libera di poterlo fare, con loro. Le conosceva da un giorno appena, e l’avevano già fatta entrare nel loro strano, folle mondo; e, per lei, quella non poteva che essere una grande dimostrazione di affetto. Non solo erano state sincere con lei, ma si fidavano, cosa per niente scontata.
E, dopo un giorno passato a nuotare nell’agitazione, il suo cuore si calmò.
Stettero un po’ di più in mensa, per parlare tra loro; verso le nove si incamminarono verso il dormitorio. Si diedero la buonanotte nel corridoio dal tappeto rosso; poi Talia andò nell’ala Est, ed Hazel proseguì con Annabeth e Piper per la Ovest.
-Domani penso rimarrò in clausura – disse la riccia – ho finito tutti i compiti, ma vorrei rileggere i libri che hanno lasciato. Come ti è sembrato Sherlock Holmes, Pip?
-DOVEVI LEGGERE SHERLOCK HOLMES?!
-Lo faccio domani, An, perché ti agiti tanto…?
-Io AMO Sherlock Holmes. Ti prego, fatti aiutare.
-…se proprio vuoi!
Le tre risero.
-Bene, la mia camera è questa – Hazel indicò una porta con scritto 55.
-Buonanotte, riposatevi!
-Buonanotte anche a te!
Piper ed Annabeth fecero qualche passo; la mora tirò fuori dalle tasche le chiavi e, finalmente, dopo un pomeriggio di preghiere, la bionda si buttò di peso sul letto, sprofondando di qualche centimetro.
-Come ti è sembrata la giornata, Chase?
La coinquilina era prima passata in bagno, e si era slegata i capelli.
-Ti dirò, pensavo peggio.
-In che senso?
-Di casini ce ne sono stati comunque tanti, eh.
-…in effetti, quelli non ci sono mancati.
-Però è stato tutto…bello.
-In che senso “bello”?
-Che hai vinto la scommessa, Mc Lean.
Annabeth si infilò sotto le coperte, e bisbigliò un “buonanotte” di sfuggita ad una coinquilina particolarmente stupita.
 
 
La domenica, come già previsto, la riccia rimase chiusa quasi tutto il giorno nella sua stanza.
Anche Piper ed Annabeth rimasero nella loro, controllando i compiti fatti; in più, la bionda tentava di spiegare la trama dei centomila libri che la coinquilina avrebbe dovuto leggere durante le vacanze estive, riuscendo in modo parziale. Infatti, la mora aveva un’attenzione maniacale per i dettagli – stupidi e inutili, tra l’altro –, mentre non riusciva a cogliere le parti importanti della trama.
-E’ D’Artagnan che diventa luogotenente, non Athos! Lui va in pensione!
-Ma i nomi sono tutti uguali! Aramis si sposa?
-Aramis si fa prete, COME PUO’ SPOSARSI UN PRETE?!
Si incontrarono con Talia a mensa; lei era particolarmente rilassata, malgrado non avesse toccato neanche un libro durante l’estate. Piper aveva finito tutto, Annabeth non doveva farne ed erano entrambe vicinissime alla crisi isterica.
Hazel le raggiunse dopo un quarto circa a pranzo, e a cena non si presentò neanche. Le ragazze la andarono poi a trovare nella sua camera, trovandola immersa tra i libri.
-Non mi manca molto, devo finire…
-Hazel, sono le dieci passate!
-…ho fatto…
La lasciarono lì, mentre stava cercando di ripassare aritmetica.
-Certo che era nervosetta bene.
-Già.
-Piuttosto…tu?
-Io cosa?
-Nervosa?
-…no no, avrei solo voglia di sprofondare nell’Ade e tornare qui tra qualche secolo, quando i collegi saranno stati smantellati e io non avrò bisogno di andare a scuola.
-Ma dai, An! Andrà tutto bene! – cercò di rassicurarla la mora, appoggiandole la mano sinistra sulla spalla.
-Si, andrà tutto bene. Con la fortuna che ho, la prima persona che incontrerò sarà Jackson.
-Spero per te di no.
-Lo spero anche io.
Sentendo il battito del cuore fin sopra i capelli, non riuscì a prendere sonno se non dopo un’ora e mezza, mentre Piper si addormentò dopo mezzo secondo.
“Annabeth, stai calma. Andare a scuola è una delle cose che ti riesce meglio, dopotutto. Non devi andare in ansia. Non devi. Andare. In ansia. Non conosci nessuno, e nessuno conosce te. E’ un vantaggio, e puoi sfruttarlo a tuo favore. Non. Andare…”
Si addormentò così, ripetendosi di stare tranquilla. Il suo stomaco era ridotto a un pugno, e non vedeva l’ora di vedere, il giorno dopo, se lo avrebbe ritrovato al suo posto.


Angolo Autrice: e rieccoci! Vi dico già che non vedo l'ora di aggiornare, pensate in che stato posso essere.
Vi ringrazio, INFINITAMENTE, perchè il primo capitolo della ff ha superato le 500 visite, e per me è un traguardo ENORME!!!
Grazie, grazie, grazie. Senza voi (anche VOI, Chiara, Ginevra e Irene, che leggete questa storia senza conoscere minimamente Percy Jackson, e lo fate a fiducia! Siete voi la mia soddisfazione più grande <3), non avrei mai avuto l'autostima necessaria per andare avanti nello scrivere questa ff. E lo dimostra il fatto che, fino a dicembre, l'ultima volta che era stata aggiornata era agosto.
Riassumendo, grazie.
Aspetto vostri pareri, sono sempre strafelice di riceverne, e più vado avanti e più sono curiosa di sapere cosa pensate dell'assurdità che sto scrivendo!
Alla prossima, spero!
Elisa

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Capitolo 9
*** It’s been so long since you... ***


Quando la sveglia suonò, si era da poco fatto giorno. Il cielo non aveva alcuna traccia di alba, ma lo spiffero che usciva dalla finestra era tutt’altro che caldo. Annabeth rabbrividì, portandosi le lenzuola fin sopra la testa; si girò dalla parte opposta del letto, per rimettersi a dormire.
Poi realizzò lentamente ciò che era successo. Non si era svegliata coi raggi del sole, e neanche per il fracasso fatto da Piper nel tentar di non far cadere la sua pila di libri. Si era svegliata con l’inconfondibile melodia che l’accompagnava ogni mattina dell’anno scolastico.
Scuola. Primo giorno. Aiuto. Furono le prime cose che pensò; spinse con un gesto rapido della mano sinistra il lenzuolo da una parte, e nel giro di tre secondi si era già chiusa in bagno. Non azzardò una doccia; si sciacquò il viso, legò i capelli biondi in una coda alta e si lavò i denti.
Quando ebbe finito, Piper si era appena alzata dal letto; sbadigliava vistosamente con le lacrime agli occhi per la stanchezza, e si stiracchiava tentando di allungare la schiena.
-Buongiorno – disse impercettibilmente la bionda.
-Ehilà, An! Buongiorno.
La mora parlò con tono allegro; si tirò in piedi con uno scatto, afferrò il suo asciugamano, superò Annabeth e si chiuse in bagno. La bionda, nel frattempo, sceglieva il suo abbigliamento: un paio di jeans lunghi, converse rosse, e maglietta color grigio sfumato.
-Sai, si intona con i tuoi occhi – tentò di dire la mora, con lo spazzolino in bocca.
-Ah…ok – fu l’unico commento della coinquilina.
Una volta vestita, la bionda rifece il letto e piegò il pigiama, sistemandolo sotto il cuscino; poi si sedette sul letto, attendendo Piper. Per ingannare il tempo, iniziò a giocherellare coi suoi capelli, dividendo i boccoli in due parti – cosa molto rilassante. Anche la mora stava armeggiando coi suoi capelli; fece due treccine, convergenti dietro la nuca, e con le ciocche sopra di esse fece una mezza coda. Lei indossò un paio di pantaloni sotto al ginocchio, di colore rosa stinto – se poteva essere considerato un colore -, abbinati ad una t-shirt azzurra; aggiunse al suo look anche qualche piuma abbinata, che incastrò nell’elastico delle sue treccine.
-Come mai metti le piume?
-Ho origini cherokee. Non so se hai presente gli indiani: hanno le piume in testa. A mia nonna piacciono un sacco, e me ne lascia sempre una ogni volta che vado a trovarla.
-Sei arrivata ad un totale di?
-Più di cento, credo.
-…sono tante, cavoli.
-Lo so.
La mora le sorrise, ed Annabeth mimò qualcosa di simile alla sua espressione.
Era nervosa, estremamente nervosa. In quel momento avrebbe avuto voglia di alzarsi dal letto, uscire dalla porta della sua camera, dal dormitorio, e fuggire inosservata. Ma il tutto era matematicamente impossibile, perciò tentava di reprimere il fastidioso mal di pancia che aveva.
Piper si avvicinò alla scrivania, e prese in mano il suo inseparabile orologio.
-Sono le sette, colazione è tra mezz’ora.
-A che ora iniziano le lezioni?
-Alle otto e mezza. Ma, visto che è il primo giorno e visto che per te è il primo in assoluto, ci troveremo lì con minimo mezz’ora di anticipo, e ti farò vedere tutto quello che devi sapere.
-Wow…grazie.
-Nulla.
La mora tirò fuori dall’armadio la sua valigia, ed Annabeth vide comparire magicamente uno zainetto porpora.
-Ti serve per i libri?
-Si, anche se in realtà oggi mi porto dietro poco niente. Insomma, chi corregge i compiti delle vacanze il primo giorno?
-…secondo me dovresti prenderli.
-Sesto senso?
-Chiamalo così.
La bionda alzò appena le spalle, prendendosi in pieno l’occhiata dubbia della coinquilina.
-Fidati di me, me lo sento.
-Sei un’indovina?
-Di solito, quando faccio queste previsioni, non sbaglio.
-…ho capito, prendo tutti i quaderni – sbuffò Piper, non poco divertita.
-Poco scetticismo, McLean, poco scetticismo.
-Tu non hai niente?
-Per cosa?
-Per portarti dietro i quaderni!
-…a dire il vero no, ma…avrei…
Annabeth si alzò dal letto, e si avvicinò agli scaffali in cui aveva riposto tutte le sue cose. Il suo sguardo si fermò su uno strano pacchetto; al suo interno vi erano i suoi libri preferiti in assoluto, che non avrebbe mai messo in bella vista. Si trovavano dentro una borsa di stoffa; la bionda la svuotò con cautela sopra il letto, prese il suo astuccio, un quaderno, e li ripose dentro.
-Può andare?
-Perfetto.
Annabeth sospirò appena, e si appoggiò nuovamente sul letto; Piper, nel frattempo, cercava i suoi quaderni e, una volta trovati, li gettava con noncuranza dentro lo zaino.
Per circa tre minuti ci fu, nella camera 62, un silenzio tombale; mentre la mora era alla ricerca del suo astuccio, Annabeth si era abbracciata le gambe, e sarebbe rimasta il quella posizioni per secoli.
Inutile dire che era in ansia, terribilmente. Non tremava, ma sentiva il suo cuore battere nel petto ad una velocità disarmante, e riusciva a percepirlo addirittura dalle orecchie; teneva gli occhi fissi a terra, e deglutiva ogni dieci secondi circa.
Stava tentando di porsi delle domande per trovare possibili risposte. Essendo in un collegio, e avendo ormai la veneranda età di sedici anni, sperava non le avrebbero fatto fare presentazioni idiote come nei film. “Ragazzi, questa è la vostra nuova compagna di classe! Per favore, scrivi il tuo nome alla lavagna!
No, assolutamente. Anche perché il suo nome sapeva benissimo dirlo, e scriverlo sarebbe stata una vera idiozia.
Chissà come era organizzata quella scuola; che classi avrebbe frequentato, che gente avrebbe incontrato il primo giorno. Anche se la parte più oscura e nascosta della sua mente avrebbe desiderato molto farlo, non voleva in nessun modo incontrare il padre per i corridoi. Era stato traumatico due giorni prima, a cena; figuriamoci durante le lezioni, quando i ragazzi iniziavano a conoscerlo e a notare giusto una leggerissima somiglianza tra il nuovo prof e una ragazza nuova. Traumatico.
E se non fosse capitata in classe con nessuna delle sue nuove amiche? Già stare in classe con solo una di loro l’avrebbe fatta sentire a disagio, figuriamoci non avere nessuno. E quale corso sarebbe stato il primo? Chimica, inglese, matematica? Anche se, a lei, non sarebbe cambiato assolutamente niente; in fondo, non doveva correggere nessun compito delle vacanze, e non aveva quei rimorsi di coscienza tipici di chi non ha fatto il suo dovere. Doveva essere in pace col mondo, in quel momento.
E invece no. Si rotolava avanti e indietro sul letto, cercando di pensare alle cose belle della sua vita. Il padre, il suo sogno, le nuove amiche. E poi tornava, nella sua mente, la scritta a caratteri cubitali “scuola”. E piombava nuovamente nel panico.
Al quarto minuto di silenzio, districò le gambe e si alzò in piedi di scatto.
-Piper…
La mora girò il capo, con sguardo interrogativo.
-Si?
-…come sono i professori?
-In che senso?
-Severi, buoni, incapaci…
La coinquilina stette per qualche secondo in riflessione, per poi assumere un’espressione tra il sarcastico e il corrucciato.
-Dipende. Ci sono professori bravi, ma troppo buoni; altri incapaci, ma romp…severi. Alcuni sono una via di mezzo, ma dipende tutto da con che piede si svegliano la mattina. In ogni caso, perché me lo chiedi?
-No, e che…stavo pensando, ecco.
-Abbastanza nervosa?
-Abbastanza.
Piper sorrise, questa volta senza canzonare nessuno. Si alzò in piedi, prese in mano l’orologio e disse solennemente:
-E’ ora, Chase. Le sette e mezza.
La bionda non poté far altro che ridere, con grande soddisfazione della mora.
-La borsa però portatela dietro, che dopo andiamo direttamente là. Altrimenti perderemmo un sacco di tempo solamente tornando indietro-
-Si, si, ho capito, ho capito.
Annabeth afferrò i manici di stoffa della borsa, mentre Piper infilava entrambi le bretelle dello zaino nella spalla destra. Uscirono dalla camera, e chiusero la porta a chiave. Una volta davanti alla camera di Hazel, bussarono; ma, non ricevuta risposta, dedussero fosse già scesa e si affrettarono a fare la stessa cosa.
-Ti dirò, probabilmente ha anche più ansia di te.
-Come è umanamente possibile una cosa del genere?
-Ah, non lo so. Ma l’hai vista ieri sera?
-La capisco, eccome se la capisco.
Non appena misero piede sui ciottoli del cortile, una fresca folata di vento le rimise al mondo; l’aria, quella mattina, era frizzantina, ed anche l’umore di Annabeth registrò un lieve miglioramento. Lieve, ma pur sempre un miglioramento.
Camminarono velocemente fino alla mensa; senza neanche prendere i posti a sedere, afferrarono un vassoio ciascuna e si misero in coda; fortunatamente, non sembravano molte le persone mattiniere, ed erano precedute solamente da due ragazze – che, neanche a dirlo, Piper salutò amabilmente con tanto di “buongiorno” e “spero di rivederti più tardi!”.
-Una domanda: ma quante persone conosci in questo posto?
-Sai, prima di scegliere il club in cui sono ora, ho girato per parecchio tempo. Può bastarti come giustificazione?
-Si, penso di si.
La cuoca, bionda e paffuta, rivolse loro un sorriso raggiante prima di poggiare sui loro piatti pancakes, latte e cereali; la mora ricambiò con un sorriso affettuoso, ed Annabeth fece lo stesso.
-Buon primo giorno, ragazze!
-Grazie, Catie, buona giornata anche a te!
Si allontanarono poi rapidamente, cercando con gli occhi un posto. Fortunatamente, la bionda riuscì ad individuare i ricci scuri di Hazel, e le due corsero verso di lei.
-‘Giorno! Pensavo non sareste arrivate mai!
-Scusa, Hazel! Buongiorno anche a te!
Questa volta, anche Annabeth si unì al coro, ottenendo come ricompensa un sorriso a trentadue denti.
-Un po’ nervosa, cara?
-Non me ne parlare, questa notte non ho chiuso occhio.
-Allora a me è andata bene! Però ci ho messo un sacco ad addormentarmi.
-…mamma mia, se siete paranoiche! Io ho dormito benissimo!
Piper si rimediò, in meno di tre secondi, le prime due occhiatacce della giornata.
-Tu non capisci – disse la riccia, recitando come a teatro – è un dramma! Non conosco nessuno, e passerò alla storia come “la piccola secchiona che riuscì a saltare un anno senza fare niente per recuperarlo”!
-Ma è vero? – fece la bionda.
-Beh, no! Ho studiato tutta l’estate per….
-Allora non preoccuparti, Hazel, fai finta di niente e vai avanti. Mica ti conoscono.
Le parole di Piper servirono a calmare momentaneamente anche Annabeth, che sospirò appena con poco entusiasmo.
-E anche tu, non ti far prendere dal panico! Andrai alla grande e farai un figurone, me lo sento.
-Non so se fidarmi o no.
-Fidati, fidati! Quando Pip dice qualcosa, al novanta percento è vero!
-Ti dirò, questa qua potrebbe soffiarmi il titolo.
-E perché?
-Non volevo prendere i compiti delle vacanze, e lei mi ha detto di sentire che oggi li correggeranno. Se ha ragione, le cedo il titolo.
-Senza offesa, ma non ci tengo, grazie.
La faccia imbronciata della mora fece sorridere, tra un boccone e l’altro, sia Hazel che Annabeth.
Talia non si fece vedere, se non quando le ragazze stavano per lasciare la mensa; non sembrava avere particolarmente fretta, e parlava con un’altra ragazza. Era sicuramente più grande di loro, osservò la bionda; aveva un viso allungato, dei lunghi capelli neri molto simili a seta e occhi azzurri, forse leggermente più scuri di quelli della dark.
-Ehilà, buongiorno!
Anche l’amica di Talia le salutò, e le tre ricambiarono in coro.
-Tu devi essere la nuova ragazza! Piacere, Silena!
Annabeth vide la nuova arrivata allungarle la mano e, leggermente sorpresa, la strinse.
-Piacere mio, Annabeth.
Non potè fare altro che sorridere; le aveva fatto piacere, non poteva negarlo.
-In bocca al lupo per oggi, spero vada tutto bene! E anche a te, Nocciolina!
La bionda capì a chi si riferisse solamente quando sentì la risata cristallina di Hazel; lei ringraziò, ed insieme lasciarono le due dirigersi verso i tavoli, che nel frattempo si erano riempiti.
 
 
-Nocciolina?
-Si, mi chiamano così. Perché…Hazel…Hazelnut…hai presente?
-Ah, capito.
Beh, in quel caso, forse “regina di ghiaccio” non era un soprannome così orribile. Ma solo in quel caso.
Piper ed Annabeth videro la riccia correre verso il dormitorio e urlare qualcosa; probabilmente si era dimenticata la borsa, realizzarono insieme le coinquiline. Intanto, loro proseguivano; superarono il cortile, e ripercorsero la stessa strada fatta dalla bionda con Hazel due giorni prima. Era un lungo viale; ogni tanto appariva qualche struttura, che Piper le descriveva. Riuscì, inoltre, a capire dove si trovasse il Blue Note; era non molto lontano dalla scuola, infilato in un angolo semi-nascosto.
-Vogliono proprio farlo vedere bene, eh.
-Vedo che hai capito, Chase – ridacchiò appena la mora.
Davanti all’edificio scolastico c’erano al massimo dieci persone; i portoni, due, erano già aperti.
-Che ore sono?
-Le 7.58. Siamo in perfetto orario.
Saliti tre gradini, le due entrarono; i muri erano color crema, segnati da strisce bianche e arancio.
Per quanto non volesse formulare un pensiero simile, Annabeth dovette ammettere che il luogo era davvero splendido: ordinato, pulito. Le comunicazioni – tre, che sarebbero sicuramente aumentate nel giro di una settimana – erano attaccate ad un piano in sughero marroncino con delle puntine rosse, intonate al colore delle strisce. Il pavimento era scuro e lucido; la bionda quasi riusciva a specchiarsi in esso. L’atrio era molto spazioso, e si divideva in tre corridoi principali, altrettanto spaziosi. Da futuro architetto, Annabeth non poteva fare altro che lodare la precisione della persona che aveva ideato quel luogo: grande, quasi maestoso.
Mentre la bionda era occupata ad osservare soffitto, porte e quanti cestini ci fossero nel raggio di venti metri, Piper si era avvicinata ad una specie di scatola gigante, molto simile a quella in cui Annabeth aveva trovato, il giorno del suo arrivo, l’omino troppo occupato a lavorare per guardarla.
Al suo interno vi era una signora; aveva i capelli, scuri, legati in una coda alta, ed indossava un tailleur nero. Alzò lo sguardo, e rivolse un sorriso cordiale alle ragazze; la bionda fece lo stesso, mentre Piper era occupata a chiederle informazioni sulle lezioni del giorno.
-Terzo anno…ah, si! Ecco qui!
La donna – il cui nome, Annie, era scritto in corsivo sul cartellino spillato sulla giacca – porse alla mora un foglio; lei ringraziò, le augurò una buona giornata e si allontanò con calma. Annabeth cercò di leggere qualche riga, ma era letteralmente impossibile. Nel foglio erano scritti, in ordine alfabetico, i nomi di tutti gli alunni frequentanti il terzo anno; accanto, era segnata la classe in cui avrebbero dovuto dirigersi con il corso che avrebbero frequentato.
-Caspita, che organizzazione – disse meravigliata la bionda.
-Si, non si può dire niente – rispose distrattamente Piper.
-Oh…guarda An! Siamo in classe insieme, alla prima ora!
-E la seconda?
-…anche!
-Ci sono le altre?
-…starai in classe con Hazel la terza ora, e…Talia la quarta.
-E le altre ore?
-Il primo giorno ci sono solo quattro ore, senza il pomeriggio. Da domani avremo cinque ore, e dalla prossima settimana incomincia l’orario regolare, ovvero fino alle quattro e mezza di pomeriggio.
-Capito. Cosa abbiamo la prima ora?
-…inglese, per la mia grande gioia.
La bionda ridacchiò appena.
-Non essere troppo felice, Piper.
-Ah-ah-ah, che simpatica che sei. Di qua.
Nel frattempo, le due stavano percorrendo gli innumerevoli corridoi presenti; dopo aver svoltato due volte a destra, una a sinistra e di nuovo a destra, Annabeth perse il conto.
Intanto, la mora indicava classi, dicendole quale materia sarebbe stata svolta al suo interno; anche da fuori, le stanze sembravano enormi. Altro che la sua vecchia scuola, in cui c’erano si e no undici classi, e in cui ci si spostava da una lezione all’altra solamente per andare in aula di informatica e in palestra; altrimenti, si rimaneva sempre nella stessa classe, e sempre con le stesse persone. Terribile.
Alla Dyson Moore avrebbe avuto la possibilità di conoscere persone diverse ad ogni ora. Da una parte, questo la spaventava a morte; dall’altra, considerava il tutto un’opportunità. Magari sarebbe riuscita a farsi degli amici. Era diventata leggermente più fiduciosa, da quando aveva conosciuto Piper, Hazel e Talia, malgrado i casini che avevano già affrontato.
 
-Sono le 8.20. Che dici, entriamo?
Annabeth annuì. La mora le sorrise, poggiò la mano sulla porta, già aperta, e spinse appena; lei entrò immediatamente, mentre Annabeth rimase indecisa per qualche secondo sullo stipite prima di seguirla.
La classe era semivuota; la maggior parte dei ragazzi presenti si era seduta negli ultimi banchi, lasciando sguarnite la prima, la seconda e parte della terza fila. Piper indicò con un dito il banco più a sinistra della seconda, e mosse la testa in quella direzione; Annabeth annuì, ed entrambe lo raggiunsero quasi di corsa. Qualcuno, nel frattempo, aveva ovviamente salutato la mora, che aveva risposto con un sorriso; l’altra non volle girare la testa, non desiderando nessun tipo di attenzione.
Era ricominciato il terribile mal di pancia, e sentiva il battito del suo cuore amplificato a mille.
Piper si girò verso di lei, e tentò di tranquillizzarla; ma la bionda vedeva solamente le labbra dell’amica muoversi, e niente di più. Nessun suono la sfiorava; era entrata nella sua bolla, e sarebbe stato difficile, se non impossibile, scoppiarla con qualche parola di incoraggiamento.
Annabeth raddrizzò la schiena, e sospirò appena.
Piano piano, la classe si riempì di facce mai viste. Tra ragazze che indossavano vestiti all’ultima moda, ragazzi coi pantaloni a vita bassa e urla varie, la bionda realizzò che, grazie agli dei, il signor Perseus Jackson non avrebbe frequentato la sua prima lezione. Però scorse, più o meno al suono della campanella, un viso da folletto già visto: era Valdez, che si precipitava nell’ultimo posto libero in quarta fila, probabilmente rimasto libero proprio per lui. Dopo un minuto circa, la porta si chiuse rumorosamente, ed Annabeth poggiò lo sguardo sulla sua nuova professoressa di inglese. Anche lei indossava un tailleur, verde smeraldo; gli occhiali da vista erano intonati, così come le scarpe. Poggiò con poca grazia la borsa e i libri sulla cattedra, facendo saltare la bionda; gli altri rimasero immobili, probabilmente abituati.
-Ragazzi, bentornati.
-Grazie prof – rispose in coro la classe.
“Almeno è educata, finora” osservò Annabeth.
-E benvenuti ai nuovi.
 
 
Panico. Sudore freddo. Terrore.
“Sangue, continua a circolare nelle vene. Non è una buona scusa, questa, per farmi smettere di vivere”.
La bionda quasi bisbigliò un “grazie”, che in realtà si sentì come se l’avesse detto con un amplificatore. Deglutì lentamente, sentendo un vortice d’ansia divorarla sempre più rapidamente.
-Lei è la signorina?
-Chase. Annabeth Chase.
La sua voce tremava appena, ma le importava relativamente; vedeva le sue mani muoversi freneticamente quanto i ricci di Hazel, e ciò non la faceva stare affatto tranquilla.
-E’ un piacere averti qui con noi, Annabeth. Io sono la professoressa Quick, e la materia che insegno è inglese. Spero ti divertirai qui con noi.
Il sorriso che le rivolse non sembrò dirle proprio questo, ma la bionda fece finta di niente e ricambiò con un’espressione palesemente forzata. Ringraziando il cielo, lei non fece più domande, ed Annabeth si tranquillizzò appena.
-E se ti sei presentata senza esitazioni alla Quick, mia cara, hai già risolto un problema abbastanza grande – sussurrò Piper.
-McLean, cosa c’è di così interessante da riferire alla nuova arrivata?
-Nulla, professoressa, le stavo riferendo il programma fatto lo scorso anno.
-Ah, capisco.
La bionda rimase sconvolta nel vedere come la professoressa avesse dato corda in quel modo all’invenzione di Piper. Andiamo, chi è così fuori di testa da credere che un’alunna stia riferendo, bisbigliando, alla nuova arrivata il programma dello scorso anno? Dallo sguardo soddisfatto della mora, Annabeth non ebbe bisogno di cercare una soluzione.
Come aveva predetto alla coinquilina, la Quick iniziò a correggere i compiti delle vacanze; la bionda rimediò un’occhiata di Piper, che sembrava non riuscisse a capacitarsi delle sue capacità sovrannaturali. La professoressa iniziò da Sherlock Holmes; fece domande sparse, e fortunatamente non arrivò a chiedere a Piper chi fosse l’assassino in “Uno studio in rosso”, considerando che aveva continuato a ripetere, per tutta la lettura, che l’assassino dovesse essere per principio il maggiordomo. Poi passò a Zanna Bianca, e neanche lì interpellò la mora. Le chiese una parte della trama de “I tre moschettieri”, che fortunatamente non era la fine; chi lo spiegava, alla professoressa, che Aramis era riuscito a sposarsi da prete?!
Fece domande anche a Leo; per quanto rispondesse in maniera corretta, la Quick continuava a chiedergli qualsiasi cosa, arrivando quasi ad iniziare un dibattito riguardo al colore delle mutande del grande Gatsby. Arrivati a quel punto, la professoressa lo aveva guardato sdegnata, e lui aveva ricambiato lo sguardo serio, per poi incominciare a ridere sotto i baffi non appena si fosse girata dall’altra parte della classe.
-Annabeth, a che punto sei arrivata con il programma lo scorso anno?
-Abbiamo analizzato il romanzo inglese e americano, spaziando poi al romanzo europeo.
-Interessante. Ebbene, mi sai dire qualcosa?
La bionda voleva sparire. Piper aveva digrignato i denti, e si era voltata di scatto verso la compagna di banco, che era rimasta tale e quale ad una statua di cera.
“Il romanzo…il romanzo…cosa dovrei dirle?”
-A me è piaciuto moltissimo il romanzo, anche se la tradizione antica mi è sempre rimasta più impressa. Certo, Defoe potrebbe essere citato, ma come non chiamare in causa Ulisse, il primo grande viaggiatore? Anche se, come lei sa bene, non si considerano l’Odissea o l’Iliade romanzi, poiché fanno parte della tradizione orale e sono scritti in versi. Anche se il romanzo non è sempre stato un genere troppo serio, non fino a Manzoni in Italia. Altrimenti, se si considerassero personaggi come Don Chisciotte o Gangantua e Pantagruel…
-…oh. Bene, deve essere stato un lavoro interessante.
-Molto, professoressa.
Piper non le rivolse la parola fino al suono della campanella, momento in cui tutti si alzarono rumorosamente dai banchi e si affrettarono ad uscire in massa.
-SEI STATA ECCEZIONALE!!!!!  
-Urla poco, Pip. E poi, scusa, che ho  fatto di così eccezionale?
-Lei fa quelle cose per mettere in ridicolo la gente! E tu hai risposto a tono nel modo migliore che io potessi immaginare!
Annabeth rise, soddisfatta. Alla fine, non era stato così pessima, come prima ora.
La seconda ora sarebbe stata chimica. Le due ragazze corsero a perdifiato per i corridoi crema, cercando di non fare tardi; arrivarono dopo due minuti, e fortunatamente erano pochi i ragazzi che avevano raggiunto l’aula prima di loro.
Si sedettero anche questa volta in seconda fila; non riconobbe nessun viso familiare, e l’ora passò tentando di comprendere cosa il loro professore, il prof. Ben, uomo alto e leggermente in carne, tentava di dire loro. Per quanto incomprensibile, era sicuramente più simpatico della Quick; almeno, le aveva solamente dato il benvenuto e l’aveva praticamente ignorata per tutto il resto dell’ora. Alla fine, le si avvicinò, le chiese come si trovava e gli disse che, se avesse avuto bisogno di una mano, avrebbe solo dovuto chiamarlo per risolvere il problema. Altro che Quick, quell’uomo era un tesoro.
Piper trascinò Annabeth vicino ai distributori, che erano già pieni di ragazzi affamati; riuscirono, dopo tre minuti circa, a comprare qualcosa, e si allontanarono dalla folla urlante.
La bionda perse qualche battito quando vide un insetto stecco dai capelli biondi correre da una parte all’altra del corridoio; si avvicinò lentamente, e gli toccò la manica destra della giacca.
-Ehi, ciao papà. Com’è andata finora?
-Ehi, tes- Annabeth! Tutto bene, tutto bene. Sembravano abbastanza silenziosi e interessati. Ho avuto da fare solo con due o tre ragazzi, ma abbiamo fatto una discussione molto interessante che continueremo la prossima volta!
Il professore rideva, e sembrava essersi davvero divertito.
-Buongiorno, professor Chase! – Disse squillante Piper.
-Ah, ciao…- guardò la figlia in cerca di suggerimenti, ma lei scosse appena la testa.
-Piper – rispose immediatamente la mora.
-Spero di incontrarla nei prossimi giorni a lezione!
-Ah…si, ci sarà sicuramente l’opportunità!
La bionda aveva intenzione di rivelargli che avrebbe insegnato praticamente a tutti tranne che a lei, ma si limitò a sorridergli soddisfatta.
Il signor Chase guardò l’orologio.
-Devo andare nella classe B6 dopo il suono della campanella! Avete idea di dove sia?
-Si! Giri lì, al corridoio, a destra, e poi continui dritto…
-Grazie mille! Buona giornata!
-Grazie, ci vediamo-
Il padre era già sparito, preso com’era a ricordarsi le informazione date da Piper.
-Tuo padre è forte – disse la mora – non sembri sua figlia, se non per la somiglianza!
-Dice sempre che il mio carattere è identico a quello di mia madre…ma non ho mai potuto verificare.
La mora, per fortuna, non disse più niente, se non “Ti accompagno”.
Mangiarono le loro barrette, e si imbatterono in Hazel.
-Ragazze! Annabeth, stiamo in classe insieme!
-Lo so! – sorrise la bionda.
-Bene, allora ti lascio con lei – disse Piper con espressione gioconda.
-Io mi precipito ad informatica! Divertitevi!
-Si spera!
Videro la mora prendere un’andatura veloce e svoltare a sinistra.
-Bene, possiamo andare!
-Si, direi di si.
-Com’è andata finora?
-Bene, dai. A te?
-Non mi lamento. La classe è questa, aspettiamo la campanella?
-…si, dai.
Hazel raccontò alla bionda le sue disavventure, e viceversa. Inoltre, la riccia le disse che Talia aveva avuto, alla prima ora, suo padre.
-…e ne era parecchio entusiasta! Dopo fatti raccontare!
-Sicuramente, non mancherò – disse la bionda con finto entusiasmo.
 Al suono acuto della campanella, le due entrarono nella classe, prendendo posto in seconda fila. Hazel voleva stare in prima, ma al sentire la parola “secchiona” uscire dalla bocca di Annabeth la seguì a ruota.
-Sto scherzando, lo sai, vero?
-Si si, tranquilla. E’ meglio stare qui.
I ragazzi iniziarono ad arrivare dopo circa tre minuti. Come già era successo, molti si buttarono sui banchi in fondo; altri furono costretti alla seconda fila. Assistettero ad una sfilata di moda firmata Luis Vuitton; la bionda continuava a guardare la sua maglia grigia mentre queste prendevano posto in terza fila. Subito dopo di loro, entrò il loro professore di matematica: un omino piccolo e minuto, dal capo pelato e gli occhiali tondi. Ad Annabeth sembrò una caricatura in piena regola, ma non si azzardò a dir niente ad Hazel, che nel vederlo fece un piccolo sorriso. Chiuse la porta lentamente, e si mise seduto dietro la cattedra. Iniziò a fare l’appello; la bionda fu tra i primi, mentre la riccia, che si scoprì far di cognome Levesque, dovette aspettare di più.
Cinque banchi erano rimasti vuoti; ma, vedendo il modo in cui erano custoditi gelosamente, probabilmente erano riservati a qualcuno.
Il professore era arrivato alla lettera g, quando qualcuno bussò con violenza. Lui disse un leggero “avanti”, ed Annabeth vide tutto quello che non voleva vedere.
Capelli corvini, occhi verdi e una gran faccia tosta.
-‘Giorno prof – fu l’unica cosa che disse, e non si azzardò minimamente a scusarsi per il ritardo.
Con passo sicuro, giunse in terza fila, poggiò lo zaino – blu elettrico…ma chi andava in giro con uno zaino di colore blu elettrico?! – sul banco e si buttò sulla sedia. Altri ragazzi lo seguivano, e si posizionarono chi in quarta chi in terza fila.
 
-Quindi… Perseus Jackson?
La bionda strinse le labbra in una linea sottile, mentre Hazel sospirava, appena terrorizzata.
 
- Presente.
 


Angolo Autrice: questa settimana non sono riuscita ad aggiornare prima, perciò eccoci qui.
SIAMO ARRIVATI A 'STO STRAMALEDETTO PRIMO GIORNO DI SCUOLA, allelluia!
Spero questo capitolo vi sia piaciuto, e vi invito ad esprimere un vostro parere - ormai sapete che sono contenta di riceverne!
Special thanks alle mie lettrici d'eccezione (Chiara, Ginevra, Irene e Chiara! :D) che mi ossessionano la vita dicendomi di aggiornare DI CONTINUO.
Mi rendete strafelice! <3
Alla prossima, che vi dico già non sarà lunedì...spero di poter aggiornare per martedì!
Elisa

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Capitolo 10
*** ...have treated me like I deserve ***


Annabeth si sentiva tremendamente a disagio.
Non sapeva se era per la sua presenza, per il ricordo di quello che era accaduto qualche giorno prima, o per il comportamento di Hazel. La riccia non stava ferma un attimo, come se avesse degli spilli sulla sedia; la sua espressione era però estremamente concentrata.
Sta cercando di far finta di niente”.
La bionda la ringraziò mentalmente, e connesse di nuovo il cervello ripromettendosi di fare lo stesso.
Ormai, il professore di matematica aveva terminato l’appello, e stava cercando di ricordare agli studenti gli argomenti fatti l’anno prima; alle facce dubbie degli studenti, aveva preso il pennarello ed iniziato a disegnare qualche figura a caso sulla lavagna.
Hazel aveva tirato fuori dallo zaino un enorme quaderno viola, ed ora  stava scrivendo freneticamente: le parole uscivano dalla penna ad una velocità disarmante. Annabeth decise di imitarla, iniziando a tracciare su un foglio a quadretti linee e punti e scrivendo accanto qualche didascalia.
 Al contrario di ciò che si aspettavano sia la bionda che Hazel, nessuno disturbò il professore nella sua spiegazione. Di tanto in tanto, Annabeth sbirciava in direzione di Jackson: il ragazzo aveva un’espressione impassibile che non lasciava trasparire nulla, e “quattro occhiate su cinque” lo aveva sorpreso attento e con lo sguardo fisso, o in direzione della lavagna o del professore. Niente di condannabile, in poche parole. La bionda non sapeva se esserne delusa o segretamente contenta.
Al suonare della campanella Hazel sobbalzò, mentre gli altri studenti si alzarono di colpo tra  grida di gioia. Annabeth le rivolse uno sguardo veloce e allontanò piano la sedia dal banco.
-An, dove devi andare ora?
-Non saprei…so solo di dover essere in classe con Talia. Forse Chimica?
Nel frattempo, le ragazze lasciarono i loro posti e si mossero in direzione della porta. La bionda stava per chiedere ad Hazel dove si trovasse la classe seguente, quando la riccia la salutò in tutta fretta e si diresse verso il professore di matematica. Non fece in tempo neanche ad urlare una risposta che la furia dei suoi compagni di corso l’aveva spinta fuori dalla classe.
Annabeth si guardò intorno: cercò una faccia, una sola, che le potesse sembrare familiare in senso positivo; gli studenti che le passavano accanto erano completi estranei e, con grande gioia da parte della ragazza, non le rivolgevano neanche uno sguardo. In quel momento le sarebbe andata bene anche un’occhiata di disapprovazione. Rimasta per     qualche secondo immobile, pensò di tornare immediatamente da Hazel; ma, presa dalla foga e dal nervosismo, non fece altro che scontrarsi con un ragazzo che si trovava nella sua traiettoria, provocando le risate della sua banda. Non fece in tempo a chiedere scusa, che quello l’aveva spintonata via. Ignorando ciò, si mise  accanto alla porta cercando con lo sguardo Hazel, sperando stesse ancora parlando con il professore; ma lui era scomparso, e lo stesso aveva fatto l’amica.
Per la prima volta in tutta la giornata, Annabeth ebbe una voglia matta di piangere. Voglia di piangere e  far scivolare via quelle lacrime piene d’ansia, di stress e di paura. Poi si disse di non essere una bambina e di potercela fare: le ricacciò indietro e uscì dall’aula.
Erano passati cinque minuti, e la lezione sarebbe iniziata a secondi. La bionda si arrese all’idea di chiedere a qualcuno; vide una sola persona nel suo campo visivo e, dopo essersi fatta coraggio, si avvicinò rapidamente.
-Scusami, io avrei bisogno di un’informazione-
Al vedere degli occhi color smeraldo si sentì morta dentro e maledisse sé stessa.
Di tutte le persone che ci sono in una scuola di non so quanti metri quadri proprio lui dovevo andarmi a cercare?
Jackson si girò, sorpreso, e si fermò.
-Certo, dimmi pure.
La sua voce era calma e cordiale. La bionda deglutì impercettibilmente.
-Ecco, mi chiedevo…mi chiedevo dove fosse la classe C2. Sono nuova e…
Annabeth Chase, sta zitta”, disse una parte indefinita del suo cervello.
-  Si. Guarda,è semplice. Vedi il corridoio laggiù? Quando arrivi lì, gira a sinistra. Cammina un po’,   
   e troverai alla tua destra un altro corridoio; fai qualche altro passo, e trovi l’aula a sinistra.
   Destra. Sinistra.
Abbassò qualche secondo lo sguardo e mimò con le dita le due direzioni. Poi alzò le spalle e ridacchiò appena.
-Non lo so, non mi ricordo. Comunque-
-I nomi delle aule si leggono abbastanza bene e potrò trovarla benissimo da sola. Grazie mille per l’aiuto.
Con sguardo appena interrogativo, il ragazzo accennò un sorriso e annuì.
-Esattamente. Niente, figurati.
Annabeth guardò di sfuggita lui e il suo ciuffo e, prima che lui potesse accorgersi di qualcosa, si allontanò in tutta fretta.
 
Corse come non mai. Fortunatamente, le indicazioni erano giuste ed arrivò in un baleno. La porta era chiusa, indice di una lezione già iniziata; la bionda pregò mentalmente e, dopo un momento di esitazione, bussò con mano tremante.
Sentì partire dall’interno della classe un “Avanti” e, dopo essersi fatta coraggio, fece forza sulla maniglia ed entrò.
Confidando nelle sue abilità da attrice, fece la faccia alla “biondina sperduta” guardando prima di sfuggita la classe, e poi più intensamente la professoressa che trovava poggiata alla cattedra. Diversamente dalle sue aspettative, la donna le sorrise. Era giovane, molto più giovane della Quick: indossava un paio di jeans scoloriti ed una maglietta morbida; il viso era appena tondo, decorato da due occhi scuri, lentiggini accennate e labbra carnose. I capelli, di colore marrone chiaro, erano legati in una coda alta.
-M-mi scusi per il ritardo, professoressa, non sono riuscita a trovare la classe prima.
Si rese conto della frase assurda che aveva pronunciato solo alle risatine degli studenti; si sentì avvampare con violenza.
La professoressa, fortunatamente, non sembrava dello stesso avviso. La indicò, sorridente, e le chiese:
-Nuova?
Annabeth annuì senza pensare.
-Allora siamo in due. Per oggi chiudo un occhio. Puoi sederti. Tranquilla, dai!
La bionda cercò rapidamente con lo sguardo Talia, che trovò seduta in terza fila. La dark le rivolse un’espressione intrisa di sarcasmo, e buttò lo zaino a terra per farle posto.
-Mi raccomando, con calma Chase – le disse sottovoce.
La bionda le rivolse un’occhiata glaciale e tirò fuori il suo astuccio.
E anche questa è andata.”
La professoressa prese in mano un foglio, probabilmente quello su cui erano scritti i nomi degli alunni della lezione, e una penna. Diede uno sguardo veloce alla classe, che iniziava a mostrare i primi segni di impazienza, e si staccò dalla cattedra.
-Stavo dicendo – guardò in direzione di Annabeth – che è un piacere per me essere qui con voi oggi. Sono una nuova professoressa, come avrete notato, e vengo da lontano. Per iniziare bene questo viaggio insieme, vorrei conoscervi bene e parlare con voi.
Il tutto sembrava alla bionda leggermente “mieloso”, ma fece finta di niente. In fondo, si trovava nelle stesse condizioni di suo padre: nuova professoressa, che probabilmente non aveva mai insegnato ad una classe in vita sua, che aveva fatto non si sa quanti chilometri per trovarsi sola in un posto sperduto nel nulla. La capiva, eccome se la capiva.
-Magari prima di invecchiare, prof? – disse una voce imprecisata. Una risata immediata scoppiò nell’aula; Annabeth rimase impassibile, e Talia sollevò appena un lato della bocca, non particolarmente divertita.
-Invecchierei comunque prima io di voi, non preoccuparti.
Sorrise.
-Come stavo dicendo, mi piacerebbe conoscervi, ed ovviamente questo comporta che voi conosciate me. Io sono la professoressa Thomson, Ester Thomson. Insegno Biologia e Chimica, e sono abilitata al sostegno. Spero questo sarà un ottimo anno, sia per voi che per me.
Concluse il tutto con un’espressione decisamente più rilassata rispetto a quando aveva accolto la bionda in classe. Sospirò appena e spiegò il foglio che aveva in mano.
Iniziò a fare l’appello; ad ognuno chiedeva cose diverse, come la città di provenienza, l’hobby che amava, il tipo di pizza che preferiva. Il tutto era decisamente strano, ma gli studenti, probabilmente mossi a compassione verso quella che poteva effettivamente essere una sorella, le risparmiarono urla e commenti. Ovviamente rimanevano le risatine di sottofondo e le occhiate dubbiose, ma la Thomson ci passava sopra e faceva finta di niente.
Arrivata ad Annabeth, piegò appena la testa verso destra e la incassò tra le spalle.
-Annabeth Chase, dimmi: se sei nuova, cosa ti ha spinto a venir in questo posto? E’ strano che una ragazza di sedici anni si sposti da una scuola all’altra.
La bionda si strinse le mani ed iniziò a sudare freddo.
Si aspettava una domanda simile, considerando che “qual è il tuo colore preferito?” era già stato chiesto, ma non aveva pensato ad una risposta. O almeno, non aveva pensato ad una risposta credibile.
Non poteva dire  che era per le sue capacità innate: alla Dyson Moore entrava solamente chi aveva abbastanza soldi da gettare dalla finestra. Era vero che la scuola pubblica americana era un posto abbastanza terribile, ma prima di un luogo sperduto nel nulla una “normale persona ricca” avrebbe cercato nella sua città un collegio decente, non uno con la retta annuale pari al costo della casa dei Chase o di una qualsiasi famiglia non messa troppo bene economicamente. O i figli hanno vinto una borsa di studio, oppure è un modo anche poco segreto di toglierteli dai piedi. “Oppure tuo padre è venuto a lavorare qui e ti ha portato dietro come zavorra”.
Dire la verità era troppo. Non sapeva come avrebbe reagito la sua professoressa, né tantomeno cosa avrebbero fatto i suoi coetanei. Figurarci, le storie sulle preferenze verso i figli dei professori si sarebbero sprecate. Avevano lo stesso cognome e, nel giro di qualche giorno, metà scuola avrebbe scoperto tutto; ma Annabeth non aveva nessuna intenzione di velocizzare il processo.
Dire la verità a metà sperando che la Thomson non avrebbe fatto altre domande? Era l’unica soluzione plausibile nel giro di pochi secondi.
-Mio padre lavora qui e mi ha chiesto di accompagnarlo. Tutto qui.
Fece la faccia più innocente che le venne in mente. La professoressa, forse dopo aver colto il messaggio implicito della ragazza, non chiese nient’altro e passò oltre.
Talia guardò la bionda ed alzò un pollice. Poi iniziò a bisbigliare all’orecchio di Annabeth:
-Complimenti, An. Chiara e concisa. Ora spera che tutti gli altri non ti vengano a chiedere di chi sei figlia.
-Abbiamo la stessa faccia e lo stesso cognome, ti pare? Penso ci arrivino anche da soli.
-Sai, io non direi. Spesso agli studenti non importa niente, se non il suono della campanella. Molto probabilmente non si ricorderanno neanche che faccia abbia il nuovo professore di storia avuto due ore fa. Figurati se si ricordano il cognome! O, come minimo, non si ricorderanno il tuo. Quindi, aspettati di tutto, dalle domande esplicite a quelle implicite.
-In pratica, è meglio che non parli con nessuno e me ne vada rapidamente.
-Sì, può darsi.
La conversazione si interruppe nel momento il cui la professoressa nominò Talia e il suo cognome.
Le chiese quanti orecchini in tutto avesse, e lei rispose “undici” con noncuranza. Annabeth le lanciò uno sguardo appena sdegnato, provocando le risate della dark.
L’ora passò così, tra una risata e l’altra. La professoressa era disposta ad ascoltare tutti, anche chi avesse cose stupide da dire o non avesse voglia di fare il “questionario”; decise di ignorare gli studenti che giocavano a “tris” e quelli che disegnavano sul banco. Suonata la campanella, che avvertiva in maniera allegra quanto fastidiosa la fine del primo giorno di scuola, la Thomson salutò tutti con un gran sorriso e aprì la porta. Un mare di persone uscirono quasi contemporaneamente dalla classe, mentre Annabeth e Talia sistemavano le loro cose nei rispettivi zaini.
Mentre aspettavano il defluire dei ragazzi, la bionda guardò in direzione della Thomson. Decisamente sollevata, stava prendendo la borsa e i fogli degli studenti. Intercettando lo sguardo della bionda le rivolse uno sguardo euforico e le si avvicinò.
Sia Annabeth che Talia dissero qualcosa che assomigliava ad un “salve”.
-Posso chiedervi una cosa, ragazze?
Dopo essersi scambiate uno sguardo interrogativo, le ragazze fecero entrambi “si” con la testa.
-Come è andata secondo voi la lezione?
Dopo qualche secondo di silenzio, fu Talia a prendere la parola.
-Meravigliosamente, prof.
-Le lezioni degli altri professori sono simili a quella che vi ho fatto fare ?
-In realtà no, prof, ma sicuramente questo è un punto a suo favore. Gli altri professori non provano neanche ad essere simpatici.
Annabeth non fece in tempo a tirarle una gomitata; la dark sorrise e si allontanò rapidamente, mentre la Thomson augurava loro una buona giornata.
 
-Che diamine ti è saltato in mente? Ti pare il modo di fare? Davanti ad un’insegnante dire una cosa del genere…
-Senti, An, non è morto nessuno. Stai calma. E’ il primo giorno di scuola e, di solito, non a molti importa ciò che dicono gli studenti perché pensano abbiano ancora i postumi dell’estate. In vacanza, quando hai centomila compiti da fare per non si sa quante materie, tu per caso vuoi bene ai tuoi professori?
-Non avevi detto che tu i compiti delle vacanze non li avevi fatti?
-Non è quello il punto. Non volevo dire una cavolata. Ha detto che vuole conoscerci? Almeno capisce chi ha davanti: una darkettona tendente al punk che odia il genere umano. E a me sta bene.
-Non ti sembra di essere un po’, come posso dire, esagerata?
-Senti chi parla di esagerazione. Quella che un minuto fa mi ha detto “come ti è saltato in mente”-
Annabeth sospirò.
-Fai come ti pare.
-Giusto per informarti: ci faccio sempre, come mi pare.
Talia imitò una linguaccia e svoltò a destra.
Questa volta, la bionda era rimasta appiccicata come un insetto alla carta moschicida all’amica; voleva evitare di ritrovarsi nella stessa situazione di panico dell’ora prima. Ora i corridoi erano pieni zeppi di studenti: si raggruppavano attorno ad armadietti, classi e spazi vuoti per raccontare le loro vacanze ed avventure estive; qualcuno lasciava nelle mani degli amici dei pensierini portati dai luoghi di villeggiatura che, analizzata attentamente la loro abbronzatura, non potevano essere molto diverse dalle Hawaii o, considerando le possibilità economiche delle famiglie del Dyson Moore, le Mauritius o le Baleari. E pensare che lei non vedeva il mare dall’età di nove anni.
In cinque minuti furono fuori dall’edificio. Finalmente, dopo una giornata passata tra non si sa quanti muri, Annabeth vedeva il sole e il blu cobalto del cielo. Respirò a pieni polmoni l’aria fresca che le scompigliava appena i capelli. Sorridendo come non mai in quella mattinata, accelerò il passo per scendere le scalette. Talia era un passo più avanti a lei.
-Ah, An, ti ho detto che stamattina ho avuto il nuovo insegnante di storia?
-Davvero? No, non me l’avevi detto. Mi aveva accennato qualcosa Hazel.
La bionda sprizzava entusiasmo e sarcasmo allo stesso tempo da tutti i pori.
-E’ forte. Ha accennato solamente a qualcosa, perché ancora credo che non abbia idea di quello che dovrà fare quest’anno, ma è forte. Ha una bella parlantina e sembra simpatico. Mica è come te. Siete, a confronto, un orso grizzly e un agnellino.
-Ma quanto sei carina.
Annabeth fece un sorriso forzato.
-Comunque non assomiglio ad un orso grizzly.
-Sì che gli assomigli.
-In cosa, per esempio?
-Nel modo in cui mi guardi. Sembra che tu debba sbranarmi tra poco. E anche nelle tue simpaticissime e dolcissime risposte.
Talia imitò un sorriso angelico ed Annabeth fece lo stesso, aggiungendo però un pizzico di odio al tutto. Poi alzò le spalle e fece un impercettibile sorriso.
-Beh, meglio gli orsi grizzly che le regine di ghiaccio.
-Che?
-Niente.
 
Abbandonato il sentiero di ciottoli, le ragazze si sedettero sull’erba. Talia si distese e chiuse gli occhi, mentre Annabeth incrociò le gambe e rimase fissa a guardare il cielo.
Dopo poco, una testolina riccia fece capolino dall’ingresso; girò qualche volta la testa prima di individuare le due e, con un sorriso a tutti denti, le raggiunse saltellando. Le salutò e, prima che la bionda potesse replicare, già Hazel era seduta al suo fianco. Al contrario, Piper si fece attendere: passarono all’incirca venti minuti e non si sa quanti discorsi prima che la mora si unisse a loro.
-Un po’ più tardi, Piper. Non stavamo mica aspettando te.
-Che noiosa che sei, An! Avevo da fare.
La bionda e Hazel si guardarono con sguardo complice; anche Talia aprì un occhio.
Hazel si alzò in piedi.
-E, dimmi Pip, che genere di cose avevi da fare?
Annabeth rise delle occhiate maliziose lanciate dalla riccia. Piper si morse appena il labbro superiore; senza scomporsi, mosse la mano destra in giù e in su, come per far capire di lasciar perdere. Poi sbirciò in direzione di Talia: aveva nuovamente chiuso gli occhi.
In labiale disse qualcosa che assomigliava a un “dopo” imbarazzato ma leggero; sia Annabeth che Hazel annuirono piano.
La mora si rivolse alla coinquilina con fare entusiasta.
-Come hai passato in resto della giornata, Chase? Capisco che senza di me deve essere stato difficile andare in giro per la scuola.
Annabeth rise senza entusiasmo.
-Ma quanto siamo simpatici, oggi.
-Vedo che la cosa è reciproca.
La bionda rise sul serio, e lo stesso fecero Piper ed Hazel.
-Con me è andata benissimo. Ha preso appunti tutto il tempo!
Talia si svegliò dal suo letargo e rivolse un’occhiata più che interrogativa alla riccia.
-Significa che una persona con te va bene se prende gli appunti? Allora io dovrei andare tutti i giorni uno schifo.
La mora ridacchiò appena, ed Hazel fece una finta faccia offesa.
-Comunque la signorina Chase, nel suo primo giorno di scuola, è riuscita anche ad arrivare in ritardo a lezione. Le è andata bene che non c’erano persone come la Quick, ma la nuova prof di Biologia. Thomson, si chiama?
-Si, si chiama Thomson! Non è adorabile? Sembra una ragazzina!
Ora anche Annabeth e Piper guardarono Hazel con aria interrogativa. Talia fece schioccare la lingua.
-Da quanto in qua i professori sono adorabili se sembrano ragazzini?
-Non lo so, è la prima cosa che mi è venuta in mente. Dai, sembra dolcissima! Ha un viso simpaticissimo, e penso sia anche molto brava.
Piper alzò le spalle in segno di resa. Annabeth rise appena e Talia scosse la testa.
 
All’una circa le ragazze andarono verso la mensa. Annabeth si separò prima dal gruppo: non aveva intenzione di rivelarlo apertamente, ma era curiosa di sentire cosa aveva da dire suo padre per quanto riguardava il suo primo giorno di scuola. Cercò nel cortile, ma non lo trovò; andò in mensa, davanti ai dormitori, ma del signor Chase non c’era traccia. Tornò indietro, verso la scuola: un gruppo di professori stava uscendo in quel momento. Scorse, da lontano, un insieme di capelli biondi; senza dare troppo nell’occhio, camminando al lato della strada di ciottoli, si avvicinò rapida.
Da vicino, si accorse di aver preso un granchio enorme: i capelli biondi erano di una donna decisamente diversa dal signor Chase. Ringraziando il cielo di non aver urlato il nome del padre, superò il gruppetto di professori ed affiancò l’ingresso. Entrò senza fare rumore.
Aprì le orecchie tentando di cogliere qualche suono: sentì, in lontananza, qualcuno che parlava.
Non era sicura, ma le sembrava di riconoscere la voce di suo padre. Decise di raggiungerlo con calma; attraversò i corridoi con attenzione, cercando punti di riferimento per ambientarsi e non perdersi nel dedalo che era quella scuola. Svoltò uno, due angoli; si perse due o tre volte ma non se ne accorse, presa com’era dal raggiungere la fonte delle voci e dei rumori.
Svoltò un’altra volta, e finalmente vide suo padre. Era in mezzo al corridoio, e non era solo. Era abbastanza preso dalla discussione per fare davvero attenzione all’arrivo della figlia. Fu l’accompagnatore a distoglierlo ed indicare la bionda. Il signor Chase, entusiasta, la salutò e le fece cenno di avvicinarsi.
-Annie! Che piacere vederti qui!
Frederick Chase le rivolse un sorriso affettuoso, che lei ricambiò.
-Signor Chase, la saluto.
L’interlocutore fece per andarsene; ma il signor Chase lo fermò un attimo prima.
-Non è necessario, Percy. Annabeth, ti presento Percy: allievo che avrà bisogno di…un “aiuto speciale”. Percy, lei è mia figlia Annabeth.

La bionda lo guardava senza badare alle sue emozioni e sperava trasparisse abbastanza odio da tenerlo il più lontano possibile da lei. Lui, visibilmente sulle spine, tossicchiò appena prima di tenderle la mano.
-Piacere – disse piano.
-Piacere mio.
Annabeth allungò la mano e rispose al saluto con poco entusiasmo. Suo padre sembrava non rendersi conto di nulla, e continuava ad indossare quel sorriso che lo faceva sembrare così simile ad un ebete.
-Bene – disse infine – credo sia ora di andare a mangiare qualcosa. Voi non avete fame?
-Sì – risposero in coro i due, senza averne in realtà l’intenzione. Si lanciarono un’occhiata di sfuggita e tornarono a fissare punti imprecisati del muro e del pavimento.
Il signor Chase, più veloce della luce, si mise alla guida dei due, malgrado avesse senz’altro meno senso dell’orientamento di entrambi messi insieme. Un pesante silenzio iniziò a tessere le sue tele in un’aria diventata improvvisamente pesante. Perseus, in imbarazzo, teneva le mani in tasca e guardava avanti solo per assicurarsi che il signor Chase non sbagliasse strada, e di tanto in tanto apriva bocca per impedirgli di perdersi. Annabeth, con le braccia incrociate, fissava il pavimento e seguiva i passi del padre.
Usciti dalla struttura, il signor Chase si allontanò dal gruppo.
-Devo parlare con l’altro insegnante di storia e capire i programmi di quest’anno. Annabeth, tesoro, ci vediamo dopo pranzo, va bene?
La bionda fece un “si” con la testa. Il signor Chase rivolse un saluto a Percy, per poi andare verso il suo collega.
Resasi conto di esser rimasta sola col suo più acerrimo nemico, Annabeth si morse un labbro.
Non solo l’aveva fatta cadere, messa in ridicolo, in una storia e avventura infinitamente più grande di lei; sapeva anche del suo segreto, ora. Non aveva più niente da difendere.
La sua reputazione, che ancora non si era neanche formata, era in serio pericolo.
Il peggio del peggio era che, anche se il signor Jackson si fosse presentato come la persona più buona di questo mondo, per principio Annabeth l’avrebbe comunque odiato come se non ci fosse un domani. Non tanto per la caduta: in fondo, le ferite si rimarginano, e quella che aveva segnato il suo ginocchio fino a poco tempo prima era quasi scomparsa. Ma vedere il modo in cui Talia si innervosiva solo nel sentire il suo nome, in cui Hazel si agitava del vederlo, e in cui Piper si ritrovava ad osservare il muro al posto del suo interlocutore la rendeva rabbiosa. In realtà, lei non sapeva niente di ciò che era successo tra le ragazze e la banda di Jackson: ma la situazione non le era stata presentata come una delle migliore. Amica del nemico? Non se ne parla. Col nemico dovrebbe esserci una tregua, nient’altro. Se poi viene fatta alle spalle del nemico, ancora meglio.
-Quindi…sei la figlia del professor Chase?
La bionda rivolse lo sguardo di sufficienza destinato a Percy a terra. Non sapeva perché, ma non voleva mostrarsi ostile quando poteva ancora godere del "beneficio del dubbio". Piper, Hazel e Talia ormai avevano i nomi marchiati a fuoco nella mente di Jackson; ma lei no. Lei poteva ancora salvarsi e giocare. Perché poteva approfittare della situazione. Che lui non si ricordasse di ciò che era successo? Le sembrava assurdo, ma era plausibile.
L’unica cosa che poteva fare, in quel momento, era sembrare una normalissima ragazza che non provava nessun genere di rancore. Per ora.
-Si. E tu…hai bisogno di un “aiuto speciale”?
Il ragazzo posò rapidamente i suoi occhi su di lei. Erano socchiusi a causa del sole e del vento, ma non lasciavano spazio a fantasie.
-Sei…disgrafico? Dislessico?
-Ho un disturbo di apprendimento ed ho problemi a stare fermo, grazie per avermelo ricordato.
-Era per dire. Quando dice “aiuto speciale”, mio padre intende diverse problematiche.
-Problematiche?
Annabeth gli lanciò il suo sguardo come si lancia una pietra. Il ragazzo si zittì.
Camminarono per un altro tratto in silenzio.
-Ti trovi bene qui? Sei riuscita a farti degli amici?
-Si, abbastanza.
E anche dei nemici”.
Non si ricordava di lei. Una piccola parte del suo subconscio lo stava pregando con tutto il cuore. L’altra parte voleva indipendentemente riempirlo di pugni. Ogni parte di Annabeth stava cercando una motivazione per fare qualsiasi cosa.
 
-Facciamo così.
Percy si fermò, e la fissò con viso interrogativo.
-Cosa?
La bionda gli rivolse l’occhiata più fredda ed indagatrice che aveva a disposizione.
-Vuoi che si sappia in giro che hai bisogno di un “aiuto speciale”?
-Certo che no. Pensavo si fosse capito.
-Bene. Io non voglio che si sappia in giro che il professor Chase è mio padre. Abbiamo un segreto inconfessabile a testa.
Il ragazzo la guardò con rinnovato interesse.
-Quindi cosa proponi?
Annabeth alzò il mento, come faceva in ogni momento in cui voleva mostrare le sue abilità nascoste, e gli rivolse uno sguardo di sfida.
-Io non ti ho mai visto. Tu non mi hai mai visto. Io non ho idea di cosa tu faccia col professor Chase e tu non ti chiedi quale sia il mio cognome e non vai a porre questa domanda in giro.
Percy chiuse l’occhio sinistro.
-E perché dovrei fare una cosa del genere?
-Patti chiari, amicizia lunga.
-Questo mi sembra più un ricatto.
-Non te lo starei chiedendo se non fossi costretta dalle circostanze.
Il ragazzo fissò i ciottoli che stava smuovendo con un piede, poi girò il collo verso di lei.
-Dovrei anche far finta di non conoscerti?
La bionda rimase impassibile.
-Sarebbe preferibile.
-E per quale motivo?
La domanda trabocchetto non era attesa. La ragazza poggiò una mano sul fianco.
-Sarebbe tutto più credibile, non ti pare? E non penso tu abbia troppo voglia di far sapere in giro di aver fatto amicizia con una nuova arrivata.
-Per quanto mi risulta, non abbiamo fatto amicizia.
Complimenti per la perspicacia”.
Annabeth alzò le spalle con noncuranza.
-Chi lo sa? E’ un modo di dire.
Percy fissò un punto imprecisato del cortile e sorrise. Poi allungò la mano destra verso la ragazza.
-Io non dirò niente di tuo padre, e tu non dirai niente della mia dislessia e tutte le altre cose che ho. Affare fatto?
Annabeth allungò la sua, di mano destra.
 
-Affare fatto.
 
 



Angolo Autrice:
Si, vi do tutta la libertà di questo mondo. Potete picchiarmi e mandarmi alla forca, lo accetterei.
MI DISPIACE, la scuola è una brutta bestia e io, nel giro di sei, dico SEI mesi non sono riuscita a scrivere assolutamente niente.
Mi dispiace perchè per tutto questo tempo anche le mie idee sono scomparse, e mi sono trovata a vagare nel buio più totale.
L'unica cosa che spero, arrivati a questo punto, è che non mi abbandoniate come ho fatto con voi, anche se mi meriterei anche di peggio.
Nel fare questo capitolo ci ho messo tutto il cuore, malgrado non sia così diverso dagli altri. Probabilmente è il primo capitolo che faccio sì, per voi, ma in primo luogo per me. Perchè mi è mancato un sacco scrivere, e ora che posso finalmente farlo capisco per chi è necessario: me.
Vi chiedo ancora scusa, e vi ringrazio se state leggendo queste poche e insulse righe. Spero di non aver perso il vostro sostegno, che è stato per me davvero fondamentale in tutto questo periodo perchè, anche quando non scrivevo nulla, ogni tanto venivo a rileggermi le belle cose che mi avete scritto mesi fa e mi tiravo un po' su di morale.
Messo un punto a questo sproloquio, spero che il capitolo vi piaccia! Lasciatemi consigli, pareri: li leggerò più che volentieri. 
Bentornati a voi quanto a me.
Grazie per essere qui con me,
Elisa

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Capitolo 11
*** So long, baby I'm gone ***


Un brivido scosse Annabeth dalla testa ai piedi.
Con viso più rilassato, Percy guardò di sfuggita il suo polso sinistro, su cui faceva capolino un orologio color cobalto.
-   L’una e mezza. Forse è ora di andare.
La bionda annuì silenziosa.
Il cortile era ancora lontano, e nessuno dei due aveva voglia di correre; continuarono a camminare fianco a fianco senza emettere un fiato. Ogni tanto Annabeth alzava la testa per cercare qualche nuvola che potesse nascondere un sole troppo invadente; l’accompagnatore le lanciava delle rapide occhiate, quasi per registrare il viso della ragazza in un angolo della sua mente.
La bionda non sapeva che fare. Il silenzio era decisamente troppo pesante: avrebbe voluto fargli qualche domanda, ma aveva paura. Non sapeva precisamente di cosa, ma una strana tensione si impossessava di lei ogni volta che tentava di aprire bocca. Ma, in fondo, quella che aveva voluto quella situazione era stata lei, e solo lei era in grado di sbloccarla.
-   Abiti molto lontano da qui?
Domanda semplice ma non scontata. La ragazza si fece i complimenti da sola.
-   Un po’. Sono di New York.
-   Sul serio? Anche io abito lì.
Si disse che nessuno gliel’aveva chiesto. Annabeth si morse impercettibilmente il labbro.
-   Ah. Non ti ho mai vista in giro.
-   Probabilmente non abitiamo nello stesso quartiere. La Grande Mela è enorme, in fondo.
-   Giusto.
Percy sorrise appena. Aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma la richiuse; la bionda rimase in attesa. In fondo, aveva iniziato lei a parlare, e non aveva voglia di sembrare una ficcanaso. Soprattutto perché di lui gliene importava poco niente.
-   E’ stato difficile per te venire qui? Insomma, alla metà del percorso scolastico…non lo auguro a nessuno, sinceramente.
Annabeth sussultò appena.
-   Se qualcuno me lo avesse chiesto qualche settimana fa avrei risposto di si, ora non lo so. Mi trovo bene qui: il posto è bello, la scuola anche, ed ho trovato persone molto più disponibili di quelle che conoscevo. In fondo in fondo non è così male.
Un sorriso dolce si disegnò nel suo volto pallido. In quel momento non aveva risposto ad un’insulsa domanda: si era risposta. Si era detta la verità, per la prima volta dall’inizio di quell’avventura. Ripensare alla prima settimana, quando suo padre l’aveva pregata in ginocchio di seguirlo, le faceva male; lo aveva fatto sicuramente soffrire, stare in pena. Ed ora, invece, stava bene. Forse per la prima volta in tutta la sua vita, escludendo i momenti passati col signor Chase.
In un primo momento si vergognò di aver detto con tanto slancio una cosa così personale ad un estraneo…e che estraneo. Ma non gliene importava. In fondo quel ragazzo la considerava inutile quanto il tappo di una bottiglia finita; avrebbe dimenticato le sue parole, e lei sarebbe stata bene.
-   Però. E’ la stessa cosa che mi sono detto io quando sono arrivato qui il primo anno. Avevo davvero paura di essere giudicato per quello che…be’, per quello che sono. Invece ho scoperto che non a tutti interessa davvero ciò che ti fa star male. Cioè…non intendevo…scusami, sono una frana.
La bionda lo guardò e, per una volta, non smise di sorridere. Percy si morse il labbro e strinse ancora di più gli occhi.
-   Non sono bravo con le parole. Non ho idea di come si faccia a metterne una dietro l’altra. Sono un disastro.
Una risata amara uscì dalla sua bocca.
-   Non si è necessariamente un disastro se non si sa mettere una parola dietro l’altra. E’ più un disastro chi non lo ammette, non ti pare?
Il ragazzo la guardò con sospetto.
-   Forse. Ma non ne sono convinto.
-   La vita serve anche per convincersi di qualcosa, no? Quindi hai tempo.
Annabeth gli rivolse un’occhiata sarcastica e ridacchiò appena. Percy sospirò piano.
-   Probabilmente hai ragione.
-   Certo che ho ragione. Io ho sempre ragione.
Il ragazzo alzò le sopracciglia, sorpreso; la bionda rise e chiuse un occhio nel guardare il sole.
-   Non vi facevo così modesta, signorina Chase.
Di colpo Annabeth si fece seria.
-   Prova a dirlo un’altra volta e ti tiro un pugno.
Percy rallentò, mentre la ragazza continuò a camminare imperterrita.
-   Sai, di solito non do retta alle intimidazioni, ma tu mi fai davvero paura.
-   Bravo, così si fa. Continua su questa strada e potresti arrivare alla fine dell’anno scolastico col setto nasale intatto.
Il ragazzo ridacchiò in silenzio; la bionda tornò alla sua solita serietà.
Passò un minuto, ne passarono due: il silenzio che aveva spiccato il volo pochi attimi prima era tornato, e sembrava non avere intenzione di andarsene. Annabeth non lo percepiva più; in fondo, Perseus Jackson era sempre quello che era, e non aveva voglia di avere troppo a che fare con lui. Anche se, si disse, non era così male. Anzi, sembrava quasi impossibile che potesse provocare così tanto odio e rancore. Ma era con molta probabilità una prima sensazione, e non voleva assecondarla; forse si comportava in quel modo per tenerla a bada e non farle conoscere il suo lato oscuro…erano troppi i punti interrogativi, anche per una persona dal Q.I. come il suo.
-   Hai degli hobby, qualcosa che ti piace fare?
La bionda trasalì e si distolse dai suoi pensieri.
-   Io…no, niente in particolare. Io…amo l’architettura. E amo leggere. E mi piace studiare.
Suonava estremamente patetica, ma era stata presa alla sprovvista.
-   Alla faccia del “niente in particolare”! Architettura?
-   Sì, mi piace l’architettura.
-  Sei seria?
La bionda gli lanciò un’occhiataccia.
-   Perché non dovrei essere seria? E’ un hobby come tanti.
-   Non conosco molta gente che sia appassionata d’architettura. O almeno non della nostra età.
-   Vorresti dire che è roba da vecchi?
-   No, no, non intendevo…vedi che sono un disastro con le parole?
Annabeth sembrò calmarsi un attimo, ma non perse il suo fare combattivo.
-   Cosa intendevi?
-  Intendevo che…non è una cosa semplice. Non sono molte le persone che si metterebbero lì a studiare gli edifici…è una cosa impegnativa. Spero di non sbagliarmi.
-   Non sbagli, in realtà. Ma non è quello il punto. Se una cosa ti affascina non è importante quanto sia difficile o facile: la fai e basta. Io ho visto su un libro il disegno del Partenone e mi sono innamorata. Funziona così, o almeno è funzionato così per me.
Percy annuì rapido.
-   Non l’avevo mai pensata così. In effetti è vero. Io credo farei i salti mortali per ciò che mi piace fare.
Lo stomaco della bionda si strinse. Lo sapeva, eccome se lo sapeva.
Ma era strano. Tutto. E in quel momento non aveva intenzione di pensarci.
-   E cosa ti piace fare?
Lo disse con tono neutro, eliminando qualsiasi tipo di emozione dal suo cervello. In quel momento non sarebbero state sicuramente d’aiuto.
-   Diciamo che mi piace la musica, poi tutto il resto viene dopo.
Il ragazzo sorrise appena, mentre Annabeth rimase seria. Non sapeva se Percy avrebbe voluto che lei chiedesse altro, ma non gli avrebbe dato nessun tipo di soddisfazione.
Anche perché erano ormai arrivati in cortile, e non aveva intenzione di passare un secondo di più col signor Jackson.
-   Cosa intendi fare adesso, se vogliamo seguire il tuo patto?
-   Che intendi?
-   Se dobbiamo far finta di non conoscerci, entrare in mensa insieme non è certo una mossa geniale.
“Non è così stupido come sembra, allora.”
-   E quindi cosa proponi?
Lui alzò le spalle.
-   Non credo di essere tanto geniale. Lascio a te il compito, mi sembri decisamente più intelligente.
Annabeth si trovò a ringraziarlo senza un motivo preciso; lui le rispose con un “Niente” divertito.
-   Tu vai ora, io entro tra cinque o dieci minuti. Non ci vuole un gran genio per ideare una cosa del genere.
-   Era per dire.
-   Buon pranzo.
La bionda si allontanò senza dire nient’altro. Percy fece per alzare un braccio, ma lo abbassò.
-   Grazie – le urlò quando ormai era vicina alla porta del dormitorio.
Andò verso la mensa e il cortile rimase vuoto.
 
Annabeth non aveva fame; saltare un pasto non le avrebbe fatto male. Avrebbe detto a Piper, Hazel e Talia che aveva passato un po’ di tempo col padre, così avrebbe evitato ogni domanda imbarazzante.
Passò in portineria e chiese la chiave della sua stanza; percorse i corridoi scarlatti in poco tempo e, una volta entrata, chiuse la porta con delicatezza, appoggiò la sacca piena di libri sulla sedia e si buttò sul letto. Non aveva sonno e, in ogni caso, non avrebbe chiuso occhio. Aveva troppe cose a cui star dietro, e il suo cervello aveva bisogno di lavorare con lucidità; dormire non avrebbe sicuramente aiutato.
Domanda principale: chi era davvero Perseus “Percy” Jackson? Un mostro malvagio che prima si avvicina alle persone sotto forma di gattino spaurito e poi mangia le sue vittime senza pietà? Un vendicativo mascherato? E’ facile giudicare una persona che non si conosce. E’ facile dire che è insopportabile, adorabile, affascinante passandogli accanto senza aprir bocca. Sei sempre certo di aver ragione, per il semplice fatto che non c’è nessuno che ti possa dire il contrario; non si fa altro che nuotare in false certezze, come dei pesci che nascono in un acquario e non sanno dell’esistenza dell’oceano. Se si mettono i pesci nell’oceano impazziscono, non sanno dove andare, perché non erano pronti ad affrontare il buio più totale.
Annabeth si sentiva in quel modo. Non sopportava Percy, era vero, ma allo stesso tempo sembrava inoffensivo, quasi timido. Il suo stare sulle spine era timidezza, ne era quasi certa. Ma se fosse stato un bravissimo attore e avesse imitato delle emozioni a lui sconosciute?
La risposta era una sola: doveva chiedere cos’era successo. Si fidava delle sue amiche, ma potevano benissimo aver esagerato la situazione e inventato cose che in realtà non erano successe.
Rivolse un’occhiata alla ferita sul suo ginocchio, che iniziava ora a rimarginarsi.
Per quale motivo l’avrebbero fatta cadere, se non erano responsabili del comportamento di Talia, Piper e Hazel? E perché Talia se la sarebbe presa tanto?
Per la prima volta in tutta la sua vita, la bionda non sapeva cosa pensare, nel vero senso della parola.
Poi le venne un’illuminazione. Un’ idea prese vita nella sua mente contorta ed iniziò a formarsi.
Non sapeva come portarla a termine, né come agire senza che nessuno si accorgesse di niente.
Ma doveva provarci. Doveva arrivare alla soluzione.
Doveva vincere.
 
 
 
**
 
 
 
Si alzarono dal tavolo alle due inoltrate. Tutta colpa sua: era arrivato in madornale ritardo, e gli altri avevano insistito per aspettarlo. Gli avevano chiesto spiegazioni, ma non aveva intenzione di darne nessuna. Disse di aver incontrato una ragazza per strada e di averci chiacchierato un po’; gli altri, entusiasti, avevano chiesto nome, aspetto, se era affascinante o meno, ma aveva evitato ogni domanda con grande abilità. Mangiò con calma e aspettò che gli altri fossero impazienti di andarsene; appena si alzò ebbe i risultati sperati. Leo si ricordò di un impegno importantissimo e li lasciò quasi subito; Will aveva bisogno di riposare; Nico se ne era già andato da un pezzo. Solamente Jason era rimasto al suo fianco tutto il tempo.
Nel giro di qualche minuto erano entrambi seduti nei loro rispettivi letti. Lui e Jason condividevano la stessa stanza dal primo anno; si erano conosciuti proprio lì dentro. Lui, iperattivo, impaurito, con il punto fisso di non fare una cattiva impressione a nessuno; Jason, affascinante per qualsiasi ragazza nel raggio di qualche chilometro ma estremamente timido e riservato. Inutile dire che si erano capiti fin dall’inizio.
Erano migliori amici da allora, ed era l’unico a cui raccontava tutto di tutto. Anche della sua dislessia. Jason non l’aveva mai rivelato a nessuno, e gliene era profondamente grato; non che non si fidasse degli altri, ma dire, ad esempio, a Leo una cosa del genere significa stare sulla bocca di tutto il Dyson Moore nel giro di un pomeriggio. Sicuramente da evitare.
-   Allora? Come è andata col nuovo professore di Storia?
-   Bene, bene. E’ sicuramente meglio di Roth. Almeno lui non ti squadra dalla testa ai piedi.
Jason gli lanciò uno sguardo indagatore.
-   Cosa avete deciso di fare?
-   Niente di particolare, a dire il vero. Dobbiamo vederci nei prossimi giorni per preparare il piano di studi.
-   Gli hai già detto del corso?
-   No, ancora no. In ogni caso gli ho chiesto se possiamo non rendere la cosa “pubblica” ed ha acconsentito senza problemi. Ha detto che possiamo vederci anche fuori dall’orario scolastico.
Il biondo rise di gusto.
-  Uguale a Roth, insomma.
Roth era il professore dell’anno precedente. Estremamente scontroso e di un cinismo impressionante, lo aveva minacciato dopo la sua richiesta di non dire niente a nessuno. Aveva dovuto chiamare sua madre per mettere a tacere tutto, era stato costretto a rifiutare qualsiasi tipo di aiuto ed era passato al corso successivo per miracolo. Con una bella insufficienza di Storia, inutile dirlo.
-   Tra l’altro è simpatico. Sembra un po’ rimbambito, ma non possono essere tutti perfetti, no?
Risero in coro. Jason si alzò per andare a prendere un libro; lui si tolse le scarpe e si distese sul letto.
-   Complimenti per la storia della ragazza, Percy. E’ stata abbastanza credibile. L’unica pecca è che raramente ti fermi a parlare con una ragazza, per quanto la fantasia del genere femminile sia immensa.
Il biondo ridacchiò, mentre l’altro rimase serio. Si passò una mano tra i capelli nerissimi.
-  Era una balla, vero?
Percy sentì gli occhi dell’amico posarsi su di lui come spilli.
-   Certo!
-   Lo sapevo.
-   Cioè…
-   Che hai fatto, Percy?
-   Non proprio una balla, ecco. Una balla per metà.
Jason gli rivolse uno sguardo dubbioso.
-   Potresti spiegarti meglio?
Panico. Cosa gli avrebbe detto?
Era vero che lui sapeva tutto di lui e che era la persona di cui si fidava di più al mondo, ma non c’era solo Percy Jackson di mezzo. C’erano anche lei e il suo segreto. E non voleva davvero mettersela contro. Non perché le facesse paura; o, almeno, non solo per quello. Le era sembrata una ragazza abbastanza aggressiva.
-   Percy?
-   Si, si, ok, d'accordo, sono tornato in mensa con una ragazza.
-   Una ragazza?
Lo sguardo eloquente di Jason lo spingeva a raccontargli la verità, ma allo stesso tempo aveva messo il freno a mano. Non doveva dire il suo segreto.
-   E’ nuova, e aveva cercato Chase per chiedergli non so cosa. Sta di fatto che Chase ci ha abbandonato lì e siamo dovuti tornare indietro da soli.
-   Sai chi è?
-   Mi ha detto il nome, ma non me lo ricordo.
Il biondo alzò il sopracciglio, diventando il sarcasmo fatto persona.
-   Non te lo ricordi?
-   No, non credo. Tu e Piper, invece?
Bastò un nome per far diventare Jason color pomodoro. Strinse le labbra e assunse un’espressione seria.
-   Stiamo parlando di te, caro.
-   Ma le tue esperienze amorose sono più interessanti.
-   Si, interessanti. Con non si sa quante ragazze che ti cercano anche solo per chiederti di raccogliere i libri che sono stranamente caduti davanti ai miei piedi. Altro che addominali col coach, basta quello.
-   Ma tu sei così dolce e sorridente…”sciogli il mio cuore con un sorriso”!
Perseus iniziò a ridere isterico; Jason voleva solamente sotterrarsi.
-   Non citare più quella lettera, ti prego. E’ imbarazzante.
-   Immagino che se te l’avesse mandata Piper non sarebbe stata così imbarazzante
-   Sta’ zitto.
Il moro alzò le spalle ridacchiando.
-   Sei riuscito a parlarci oggi?
-   Stavamo parlando di te, se non mi ricordo male. Ti ricordi almeno che aspetto aveva?
-   Chi?
-   Come “chi”, idiota! La ragazza con cui sei tornato dalla scuola. Non ti è rimasta poi così indifferente.
Percy soffocò una risata.
-   Cosa vorresti dire?
-   Che si vede. A pranzo non ci stavi per niente, eri come in un mondo parallelo. Ed immagino non sia venuta a pranzo, considerando che guardavi ogni tre secondi la porta d’ingresso.
-   Io cosa?
-   Niente, figurati. Riccia, liscia, mora, bionda, alta, bassa?
-   Bionda. Abbastanza alta e magra. Capelli ricci.
Fece schioccare la lingua.
Jason stette in silenzio per qualche secondo, come in guerra con sé stesso.
-   Ed è arrivata quest’anno.
Percy annuì.
-   E’ una certa...Nicole?
-   No, amico, sei fuori strada.
-   Allora ti ricordi come si chiama.
Il viso abbronzato del moro divenne di un colore simile al corallo. Jason sorrise spavaldo.
-   Hai intenzione di dirmelo?
-   Anche tu lo sai.
-   Perché?
-   Hai pensato ad un nome totalmente diverso dal suo e ci hai messo un po’.
“Non sei l’unico intelligente” si disse ridacchiando tra sé e sé senza malizia.
-   Va bene, forse ho un’idea di chi potrebbe essere. Spara il nome.
-   Annabeth.
Jason annuì, come per confermare ciò che pensava.
-   Cognome?
-   Non ne ho idea.
Forse l’aveva detto troppo velocemente, ma non importava. Sapeva che l’amico non avrebbe fatto altre domande se si fosse mostrato contrario.
Il biondo non sembrò accorgersi di nulla.
-   Era quella che pensavi tu?
-   Sì, è lei.
-   Come fai a conoscerla?
-   Come la conosci tu. Me l’hanno presentata.
Gli occhi verdi di Percy erano dubbiosi; Jason si sbrigò a finire la frase.
-   Me l’ha presentata un’amica di mia sorella, dovevo ridarle una cosa.
Percy annuì. Jason riprese:
-   E poi…
-   E poi cosa?
-   L’avevi vista anche tu, non te la ricordi?
-   E’ importante ricordarsi dove l’ho già vista?
Lo sguardo serio di Jason lo fece trasalire. Il biondo riprese:
-   In ogni caso, ci hai parlato? Che impressione ti ha fatto?
-  E’ forte, accidenti. Altro che le gallinelle che ti girano intorno.
-   Serio?
-   Si. E’…strana, ma forte. Non so descriverla: è misteriosa, senz’altro intelligente, ma non ho ancora capito se le vado a genio o no.
-  E, giusto per sapere, ti importa?
-   Cosa?
-   Se le vai a genio o no.
Percy sospirò.
-   Non ne ho idea.
Jason sorrise con un che di malizioso. Il moro tornò dal suo stato di trance e lo guardò interrogativo.
-   Che c’è?
-   Niente, niente.
 
 
**
 
 
Jason osservò per qualche istante un Percy addormentato.
Gli dispiaceva. Ma allo stesso tempo non si era sentito capace di dire all’amico che, con molta probabilità, la ragazza lo odiava; in fondo era finita per terra per colpa sua.Era colpa sua.
Ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze.
Non osava immaginare cosa sarebbe successo se l’avesse scoperto.
Ed Annabeth? Lo odiava sul serio?
Voleva parlarle, anche se non sapeva esattamente cosa dirle.
Il telefono iniziò a squillare. Rispose alla velocità della luce, cercando di non svegliare Percy.
-  Pronto? Ah, Piper! Si, per me va bene. Dici?
Rise, mentre sentì un brivido salire sulla sua schiena.
-  Va bene, tra poco scendo. No, nessuno. Mia sorella è in giro?
Bene. Cosa?
Silenzio.
-  No, non che io sappia. Vengo, eh!
Il biondo chiuse la telefonata e sospirò. Poi prese un foglietto e una penna, scribacchiò qualcosa e, senza far rumore, uscì dalla stanza.
 
“Percy, augurami buona fortuna.
Ci vediamo a cena.
Jason

Angolo autrice: vi state sbagliando, non è passato quasi un mese.
Vi ricordate che vi voglio bene, vero?
A parte gli scherzi, ho un esame di pianoforte da preparare e un sacco di altre cose che "si fanno in estate perchè durante l'anno non c'è tempo per farle", quindi cercate di capirmi!
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, vi prego, ci tengo davvero!
Che mi dite di Percy, Annabeth...dai, sono stra curiosa!!
A presto! :*
Elisa

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