The Pandora's Travel

di Gagiord
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dolori inaspettati ***
Capitolo 3: *** Corsa contro il tempo ***
Capitolo 4: *** Operazione suicida: montagne russe ***
Capitolo 5: *** Confusione ***
Capitolo 6: *** Panico da palcoscenico ***
Capitolo 7: *** Un nuovo arrivato ***
Capitolo 8: *** La sincronizzazione ***
Capitolo 9: *** Il Moussaieff Red ***
Capitolo 10: *** Cos'è la normalità? ***
Capitolo 11: *** Il meridian ***
Capitolo 12: *** Sospetti ***
Capitolo 13: *** Compromesso ***
Capitolo 14: *** Sfogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                            DICIASSETTE ANNI PRIMA
 

"Ginzo, promettimi una cosa" disse la giovane donna mentre correva disperatamente insieme a suo marito, con una neonata fra le braccia.
Lui annuì, non avendo né il tempo, né il bisogno di parlare. Si fidava di lei come di nessun altro, e non importava cosa lei gli dicesse, l'avrebbe assecondata senza alcuna esitazione.
"Non dirle nulla fino a quel momento." Ansimava, sapeva che non le rimaneva molto tempo, così imboccò una stradina deserta, e il marito la seguì.
"Lo so. So che potrebbe rimanerne profondamente turbata. Ma cosa le dirò di te? Cosa farà al primo salto?" chiese lui preoccupato mentre scappava da ciò che ormai erano decine di guardiani.
"L'ABBIAMO QUASI PRESA! NON LASCIATELA SCAPPARE!" un uomo, che i due innamorati riconobbero come Hiro Hirawata, gridò.
"Le dirai che sono morta." Ginzo, dopo aver sentito quella frase, strabuzzò gli occhi.
"Ma..."
"Sarà un colpo meno duro della verità. Per il primo salto se la caverà, fidati. So già che sarà una ragazza intelligente, saprà come fare. D'altronde, il primo non dura, solitamente, più di un'ora. Non raccontarle nulla nemmeno di Johanne. È una ragazza troppo particolare, sopportare tutto ciò sin da piccola non la farà crescere bene. Preferisco che viva un'infanzia libera e spensierata." 
I due si accorsero, a malincuore, che i Guardiani li stavano raggiungendo e che il loro tempo stava per scadere.
"Yume, è arrivato il momento." Si sentì gli occhi pizzicare per le lacrime, ma se esse fossero cadute, avrebbero potuto essere scambiate per gocce di sudore. "Mi prenderò cura di lei, anche senza te. Promettimi di prenderti cura di te, di fare sempre attenzione. Non abbassare mai la guardia" Quasi le sussurrò per il male che gli attanagliava il cuore.
"Te lo prometto. Falla crescere bene" Detto ciò, gli passò delicatamente -per quanto potesse essere delicata mentre correva a perdifiato- la bambina ancora in fasce, mentre lui le diede velocemente quella specie di cubo, apparentemente privo di significato.
"Sono sicuro che andrà tutto bene, con lei. Ci salverà. Ci vedremo tra poco più di diciassette anni, ne sono sicuro."
Lei era forte, lo era sempre stata. Ma in quel momento si sentì cedere, fragile come un gioiello. Dopotutto, lei era l'ametista. Prese il cubo, fece girare il cerchio tempestato di gemme fino a far raggiungere la sua, l'ametista, sotto l'indicatore. Dal cubo spuntò un piccolo ago, con cui lei punse leggermente il proprio indice.
"Arrivederci. Ti amo" esordì lei, gli occhi che le punzecchiavano, minacciando di far scendere lacrime piccole, ma piene di significato.
"Ti amo anche io, Yume." Lui, dal canto suo, stava davvero per scoppiare a piangere. Ma non potè fare altro che continuare a correre, allontanandosi sempre di più dalla figura della sua amata, la quale aveva iniziato ad essere risucchiata dal tempo.
La neonata, che piangeva già da tempo, prese a strillare e a piangere più forte, come se percepisse i sentimenti presenti nell'aria, quasi tangibili con un coltello. 
"NO! DANNAZIONE! E ora? Come faremo? Siete degli incapaci! Nell'altro non sono presenti le gemme degli altri prescelti!" strillò l'uomo identificato come Hiro Hirawata, vice capo della setta, mentre la giovane Yume veniva risucchiata dal cubo in un'altra epoca.
Ginzo, nel frattempo, non avendo attratto particolarmente l'attenzione dei guardiani, era riuscito a nascondersi in un vicolo cieco, dietro un cassonetto dell'immondizia.
"Shhh, shhh, bambina mia" sussurrò lui, carezzando le morbide guance della neonata. "Tra poco saremo di nuovo a casa." Ripensò alla discussione che avevano avuto qualche giorno prima lui e Yume.

"Yume, sei sicura che non mi identificheranno come ricercato? Forse vorranno anche uccidermi!"
Lei ridacchiò un po' alle parole dette dal marito. Eppure, lui era completamente serio, quasi terrorizzato.
"Macché! A loro interessa solo dei prescelti. Al massimo ti chiederanno in che epoca sia andata. E tu non lo sai. Mi spiace non dirtelo, davvero, ma non si è mai troppo prudenti. E se ci stessero ascoltando? Se lo stessero facendo, avrebbero prove sufficienti per incarcerarti. So che ci nascondiamo ormai da mesi, ma è meglio non avere troppa fiducia. E poi, fidati, non sono persone meschine. Sono solo degli accaniti seguaci di un pazzo. Ma non possiamo biasimarli, si fidano ciecamente e non si sognerebbero mai di fare ricerche sul suo conto. E lui, per non destare sospetti, non chiederebbe mai ai Guardiani di uccidere." Gli diede un piccolo bacio sulla guancia, godendosi quegli ultimi momenti insieme a lui. Ginzo annuì.
"Mi fido di te. Molto più di quanto quei guardiani da strapazzo si fidino di quel verme. Però... non so se ce la farò. A lasciarti, a crescere il bambino..."
"Eccome se ce la farai! E poi, non sappiamo ancora se è un maschietto o una femminuccia, non puoi chiamarlo bambino! Chissà cosa avremmo fatto senza mia sorella... Un paio di ore fa, mi ha detto che tra pochi giorni dovrei partorire. Dobbiamo tenerci pronti." Lui annuì ancora, non proferendo parola.



 

 Angolo autrice: Ehilà! Sono tornata, e stavolta sto provando a scrivere una long. Non so quanti capitoli avrà, ma vi posso dire una cosa: sarà mooolto lunga. Sulla trentina di capitoli, credo. Spero di aggiornare ogni settimana, cercando di essere regolare! Uhm, riguardo al capitolo... probabilmente ci avete capito ben poco. Non preoccupatevi, tra un po' di capitoli capirete tutto XD Spero che, nonostante ciò, sia stato di vostro gradimento! Grazie per aver letto e al prossimo capitolo! ;)

Shizuha

 

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Capitolo 2
*** Dolori inaspettati ***


"Buon compleanno, Aoko!" disse il padre alla giovane ragazza, che, proprio quel giorno, compieva diciassette anni.
'Solitamente, alle prescelte accade dopo i diciassette anni' pensò Ginzo. 'Staremo a vedere.'
"Grazie mille, papà!" rispose lei poco dopo avergli dato il buongiorno con un bacio in guancia.
"Che ne dici di preparare una colazione abbondante, oggi?"
"Uhm? Perché?"
"Mi pare ovvio! Oggi è il tuo compleanno, devi godertelo!" esclamò lui.
'In realtà, preferisco che tu sia pronta per ogni evenienza. I salti sono molto impegnativi. Anche se... non so se a te capiterà proprio oggi.'
"Bene! Allora mi metto all'opera!" replicò entusiasta lei mentre, in un gesto teatrale, alzava le maniche del proprio pigiama.
Era decisamente di buon umore, quella mattina, e si promise che nulla avrebbe potuto rovinare quel giorno.
Subito dopo aver gustato quella abbondante, nonché deliziosa colazione, si lavò e mise la sua divisa scolastica.
Erano da poco tornati dalle vacanze estive, essendo settembre, ma aveva cominciato a fare freddo, così si avvolse una sciarpa di cotone attorno al collo.
"Papà, io sto andando! A dopo!" gridò lei sull'uscio della porta, pronta per andare a scuola.
"A dopo, tesoro!" la salutò lui, urlando dalla sua stanza, mentre si preparava per andare alla stazione di polizia.
'Buona fortuna, piccola mia' le augurò mentalmente lui. 'Che il potere dello zaffiro ti protegga.'

Suonò ancora una volta, spazientita, il campanello della casa accanto.
"KAITO! Insomma, quanto vuoi farmi aspettare?" gridò da dietro la porta, sperando che il suo amico la sentisse.
Proprio quando ebbe pronunciato l'ultima sillaba della frase, la porta si aprì di colpo.
"Si può sapere perché urli tanto?" le chiese lui con nonchalance, ancora con le mani impegnate ad abbottonarsi la giacca della divisa.
"Si può sapere perché mi devi far aspettare tanto proprio oggi?" ribatté lei, un'espressione stizzita sul suo volto. Aveva volutamente marcato di più le sillabe della parola 'oggi', speranzosa che lui si fosse ricordato che giorno fosse. 
Aoko aveva la sua colazione in mano: due semplici toast con la marmellata e un bicchiere di succo di frutta. Gliela diede, ma lui non accennò né a bere, né a scartare qualcosa.
"Mmh? Che ha di particolare questo giorno? L'annuncio del furto di Kid?" Un ghigno apparve sul suo viso appena pronunciò il nome 'Kid'.
'Anche stavolta sarà una passeggiata!' pensò, il suo ego salito a dismisura.
Tuttavia, quel ghigno scomparve in tanto tempo quanto ci aveva messo a comparire: Aoko aveva un'espressione triste, gli occhi rivolti a terra e le mani chiuse in due pugni. 
"Ehi, che-"
"STUPIDO! SEI UNO STUPIDO!" gli urlò contro lei, correndo sotto gli occhi increduli del ragazzo.
E lo era davvero, si disse. Si maledisse più volte per aver agito così freddamente, facendo finta di dimenticare che giorno fosse. E si maledisse ancora di più per aver nominato Kid. Sapeva quanto lei lo odiasse, eppure lo aveva nominato. Il giorno del suo compleanno. Sapendo che suo padre sarebbe stato occupato con il suo furto, piuttosto che con il compleanno della figlia.
'Possibile che debba sbagliare tutto con lei? Dannazione!'
Non provò nemmeno a rincorrerla, sapeva che era inutile. Probabilmente, lo avrebbe ignorato per tutta la giornata. Così, bevve rapidamente il succo, mise i toast, ancora avvolti in diversi fazzoletti di carta, nella cartella e cominciò ad avviarsi verso la propria scuola.
 

'Dannazione! Perché deve rovinare tutto? Mi ero anche promessa che nulla avrebbe potuto abbattere il mio buon umore! Maledizione a lui!' Aveva voglia di urlare. Per tutti poteva essere una semplice presa in giro, ma per lei no. Decisamente no. Non sapeva nemmeno del furto del ladro, e questo la adirava ancora di più. Suo padre stava fuori quasi tutto il giorno, tornando a notte fonda, ogni qualvolta ci fosse un furto di Kid. Ovvero sempre. Quel ladro da strapazzo -così lo definiva lei- annunciava almeno un giorno prima i suoi furti. Così suo padre si ritrovava in questura per tre giorni, piuttosto che uno: un giorno per ragionare sul suo annuncio, quello del furto per cercare di acciuffarlo e il seguente per stilare gli avvenimenti del giorno precendente. Ed essendo i furti di Kid molto frequenti, al povero poliziotto restava poco più di un giorno a settimana per stare con la propria figlia.
'Stupido Kid! Perché proprio oggi?'
Lei continuava a correre inconsciamente verso scuola -conoscendo il percorso come le proprie tasche-, gli occhi lucidi, ma che si rifiutavano di far uscire alcuna lacrima. 
E dopo pochi minuti, si ritrovò davanti l'edificio della propria scuola, seppur in largo anticipo. Qualche secondo dopo essersi fermata ansimando per la corsa, sentì qualcosa saltarle addosso. O meglio, qualcuno.
"Auguri, Aoko!" le gridò Keiko, la sua più cara amica, dopo esserle letteralmente saltata addosso, abbracciandola.
"Grazie, Keiko" rispose lei ricambiando l'abbraccio, le punte delle sue labbra leggermente incurvate. Sapeva decisamente come farla sorridere, anche con un piccolo gesto.
"Che regalo vuoi? Un libro? Un vestito?" le chiese l'amica, ma vedendola scrollare il capo, si fermò.
"Non ti preoccupare, non mi serve nulla. Ormai ho diciassette anni, sto crescendo" esordì lei con un sorriso triste sul viso.
"Crescendo? Eppure non mi sembra" la prese in giro una voce fin troppo conosciuta. "Hai le stesse misure di seno, vita e fianchi da quando avevi quattordici anni. Non è che sei un maschio?"
Sapeva di chi fosse quella voce. Si girò, trovando un sorriso beffardo sul suo volto. Non ne poteva più, riteneva inutile anche arrabbiarsi e gridargli contro.
"Perché ti comporti così? Che ti ho fatto?"
L'espressione triste e le parole da lei pronunciate fecero perdere un battito al cuore di Kaito. Era sconvolto, non si sarebbe mai aspettato una tale reazione da parte sua, così calma e pacata, nonché piena di tristezza. Poi, una voce parlò.
"Sarà meglio che vi lasci soli. Le lezioni, comunque, stanno per iniziare; non ritardate!"
Kaito non aveva prestato la minima attenzione all'amica di Aoko, essendo quest'ultima l'unico pensiero che, in quel momento, gli balenava in testa.
"Aoko... Io... Scusami. Volevo scherzare un po', non pensavo fossi ancora arrabbiata per la storia di prima... Scusami, davvero." Non sapeva come facesse, quella ragazza, a fargli perdere ogni minuscolo tratto di orgoglio del suo essere. E lui, di orgoglio, ne aveva molto. Fin troppo. Eppure, quando la vedeva in quel modo, come se non ci fosse modo di consolarla, non poteva fare altro che provare a scusarsi. Perché, molto spesso, il motivo della sua tristezza era proprio il giovane mago, tanto pieno ed orgoglioso di sé. E si malediva ogni volta. Avrebbe tanto voluto dirle tutto; la situazione con suo padre, i suoi furti, ma, soprattutto, il modo in cui si sentiva quando le stava accanto, parlava o anche solo pensava. Non era sicuro nemmeno lui di cosa si trattasse, ma di una cosa era certo: non vedeva Aoko come una semplice amica. Tuttavia, se gliel'avesse detto, si sarebbe ritrovato sempre più vicino a lei, trovandosi costretto a svelarle l'identità del suo famoso alter ego. E non poteva permetterselo. L'avrebbe odiato, non avrebbe più potuto vederlo. Ma soprattutto, l'avrebbe messa in pericolo. Doveva combattere da solo contro l'Organizzazione, doveva trovare da solo Pandora e doveva distruggerla sempre e comunque da solo, non potendo esporre una delle persone che amava di più a un tale pericolo.
Aoko alzò un po' la testa, fissando i suoi occhi in quelli del ragazzo.
'Mi sa che il cuore mi si fermerà del tutto, se dovesse perdere un altro battito' ironizzò Kaito.
"'Scusa'? Mi stai prendendo ancora in giro? Perché fare degli scherzi -come li definisci tu- così pesanti? Che motivo hai? Non posso credere che siano semplici prese in giro. Avanti, Kaito, ti conosco da una vita! Ci siamo sempre stuzzicati, ma mai sei arrivato a deridermi. E, soprattutto, non prima di aver fatto pace. Invece, negli ultimi tempi, sei cambiato. Sempre più misterioso, freddo e distaccato. Eppure, non perdi mai l'occasione di screditarmi, in particolar modo in pubblico. Diamine, se ho qualcosa che non va, dimmelo! Parliam..." Prima di poter finire la parola, Aoko fu fermata dal suonare della campana.
Kaito la fissava con occhi sgranati, un dolore che gli avvolgeva il cuore e che cresceva ad ogni parola della ragazza.
"Quando vorrai dirmi qualcosa al riguardo, sai sempre dove trovarmi. Ora, io vado in classe" continuò, pronunciando le ultime frasi con una freddezza che nemmeno lei sapeva di possedere.
Lui restò lì per circa un minuto, come se fosse paralizzato, rimuginando sulle parole dell'amica. Dopo che si risvegliò dal suo stato di trance, si diresse, quasi correndo, verso la propria classe. Aveva deciso, ormai. Prima o poi, le avrebbe detto tutto. Tuttavia, voleva aspettare ancora un po', spaventato dalla reazione della ragazza.
 

"Allora? Cosa vi siete detti?" chiese Keiko impaziente.
"Nulla di che" mentì l'altra. "Abbiamo semplicemente fatto pace."
"Non ti credo. Non vi parlate da quando siete entrati in classe! Aoko, sei la mia migliore amica, con me puoi parlare, lo sai."
"Io... Gli ho detto di non parlarmi più, almeno fin quando non voglia dirmi la verità. L'hai notato anche tu, no? Il suo modo di fare, intendo. È cambiato negli ultimi mesi. Sospetto che mi nasconda qualcosa..."
"E perché non provi semplicemente a chiederglielo?" replicò l'amica. "Vi conoscete da troppo tempo per rompere così facilmente il vostro rapporto! Non siate immaturi, parlatene!"
"Keiko, hai perfettamente ragione. Però, ogni volta che lo vedo, mi sento lo stomaco completamente a soqquadro. Sono sconvolta anche solo per il fatto che io sia riuscita a parlargli così direttamente! E poi, è da un po' che cerca anche di evitarmi. Le uniche volte che mi rivolge la parola sono solo le occasioni per deridermi! Sono quasi convinta che..." Una fitta di dolore allo stomaco le impedì di pronunciare altre parole.
"Aoko, che succede?" chiese preoccupata la ragazza. "Che hai?"
"Non lo so. Mi sento... mancare."
"Mancare? Ti accompagno in infermeria, allora! Le prossime lezioni dovrebbero essere di inglese e matematica, e tu eccelli in entrambe. Potrai andare a casa a riposarti."
"Mhm" fu l'unica cosa che Aoko riuscì a pronunciare.
'Prima le fitte, ora questa sensazione. Che succede? Non mi è mai accaduto nulla di simile in vita mia! Che sia una semplice influenza? Un virus, magari?' ipotizzò la giovane, ancora provata da quella strana sensazione che l'attanagliava.
Erano rimaste da sole in classe, nessuno avrebbe potuto sentirle. A parte una persona, entrata da poco.
"Ciao, Kuroba. Aoko non sta bene, la sto portando in infermeria. Se non dovessi fare in tempo, puoi dire tu al professore in che situazione siamo?" chiese Keiko, un po' infastidita dalla presenza del ragazzo che faceva soffrire la sua amica.
Tuttavia, la mente di Kaito smise di pensare quando venne a sapere che la ragazza non si sentiva bene.
"Aoko non sta bene?" ripeté, come se fosse in trance. "Che hai? Cosa ti senti? Ti fa male qualcosa?"
All'improvvisa preoccupazione del ragazzo, le gote di Aoko si colorarono di una leggera sfumatura di rosso.
'Aoko, non puoi mostrarti debole davanti a lui!' disse una vocina nella testa della ragazza, come se un'altra parte di sé le stesse parlando.
"A te che interessa?" replicò lei con tono acido, rimanendo sorpresa di averne ancora le forze. Detto ciò, riprese a trascinarsi fuori dalla classe, verso l'infermeria, con Keiko.
'E questa è la terza volta, oggi' si rimproverò il mago, rimasto paralizzato dalla reazione della giovane. 'Cavolo, comincio a pensare che quella ragazza abbia dei super poteri per potermi ridurre in questo modo.' E, effettivamente, non aveva tutti i torti.
 

"Allora? Come ti senti? Stai meglio?" La voce della ragazza tradiva ansia e apprensione.
Le due ragazze si trovavano in un sala dell'infermeria; Aoko era distesa su un lettino, gli occhi chiusi per la continua e orribile sensazione, Keiko seduta accanto a lei.
"Ora che mi sono distesa, sì. Grazie Keiko."
"Ma di che! L'importante è che tu ti senta meglio", disse con un sorriso l'amica. "Mi chiedevo... Come mai ti sei rivolta con tanto astio a Kaito?"
A sentire il nome dell'amico, Aoko arrossì e aprì gli occhi.
"Non lo so nemmeno io. È come se una vocina mi dicesse di farlo. Sono un po' matta, eh?"
"È per questo che ti voglio bene."
Ridacchiarono un po', Keiko ancora più felice di aver fatto sorridere l'amica.
"Appena starai meglio ti accompagnerò a casa. Non si sa mai, potresti sentirti male di nuovo durante il percorso. E poi, devi riprenderti presto! Oggi è il tuo compleanno, dovevamo andare insieme al Tropical Land, ricordi?" esclamò felice Keiko.
Aoko annuì semplicemente, sperando di riprendersi al più presto per poi uscire con l'amica.
'Almeno mi distrarrò un po' da lui.'

 

"Che attrazioni potremmo provare, una volta arrivate lì? Sai bene che mi piace programmare, e non vedo l'ora di andare in quel parco!" esclamò Keiko, tutta euforica per il parco divertimenti in cui sarebbero dovute andare lei e Aoko quel pomeriggio. "Ha aperto da pochissimo, sai? Ci saranno un sacco di cose super tecnologiche e fighissime! Fremo al solo pensiero!"
Aoko ridacchiò un po' alla vista dell'amica tanto eccitata. Era davvero grata che non sentisse più nulla; niente strane sensazioni né fitte allo stomaco. Certo, aveva dovuto aspettare un po' prima di potersi alzare dal lettino -circa un'ora, grazie alla compagnia di Keiko e alla compressa che aveva preso-, ma ora si stavano dirigendo a casa, dove, comunque, sarebbe restata sola.
"Perché non provarle tutte? Se non sbaglio, quella presente nel parco è la ruota panoramica più grande del Giappone! Potrò rimediare alla mattina... ehm... sfortunata."
"Sono sicura che ci divertiremo molto. Ah, guarda! Siamo già arrivate. Non penso di tornare a scuola: è già passata un'ora e mezza, sarei presente per poco più di cinque minuti. Tu cerca di riprenderti del tutto, ci aspetta un pomeriggio movimentato!" esclamò Keiko, tutta la sua eccitazione racchiusa in un sorriso che andava da un orecchio all'altro. "Ci vediamo alle 5:00, allora. A dopo!"
"Alle 5:00 qua, mi raccomando. A dopo!" Si salutarono agitando la mano, mentre l'amica si allontanava.
Subito dopo, Aoko aprì la propria cartella ed estrasse le chiavi di casa in un rapido gesto. Altrettanto rapidamente, le inserì nella serratura della porta, aprendola. Appena mise piede in casa si accorse di una cosa alquanto strana.
'Mio padre ha lasciato la TV accesa? Che strano. Eppure, è sempre il primo a dirci di spegnere sempre tutto prima di uscire.'
"Aoko, tesoro? Sei già tornata?" chiese una voce che la ragazza riconobbe come quella di suo padre, sorprendendola.
'Kaito mi ha detto che Kid aveva annunciato un furto, stamattina' pensò Aoko. 'Allora perché papà non è in questura?'
Ci ripensò su. 'Aspetta, come faceva Kaito a saperlo? L'avevano già annunciato al telegiornale?'
Nonostante le domande che si pose, decise di non pensarci più.
"Sì. Non mi sono sentita bene e ho deciso di tornare prima" si giustificò Aoko. "Piuttosto, perché tu non sei in questura? So che Kid ha annunciato un nuovo furto, pensavo che fossi già a lavo..."
"Ho preso un giorno di ferie" la interruppe lui. "Perché ti sei sentita male? Ti faceva male qualcosa?"
'Se è ciò che penso io, allora...'
"Qualche fitta allo stomaco e mancamenti, nulla di che. Penso sia influenza."
'È ciò che penso io.'
Aveva voglia di urlare, lui. Non voleva. Aveva paura. Aveva paura di lasciare la propria bambina al tempo, di affidarla a loro, di farla combattere. Dopotutto, aveva solo diciassette anni. Poi ripensò alle parole della moglie: 'Non dirle nulla fino a quel momento. Se la caverà.'
'Se lo dici tu, principessa.' Al solo pensiero della donna si presentarono diverse fitte al cuore.
"Lo penso anch'io" mentì l'ispettore. "Sei stata in infermeria?"
"Sì. Keiko mi ha tenuto compagnia."
"Capisco. Per riprenderti del tutto, cerca di mangiare un po' di più."
"Papà! Vuoi farmi rotolare?" ridacchiò la figlia. "Ma va bene. Preparerò un pranzo abbondante."
"Kaito mangia con noi, no?"
"No" rispose secca la ragazza. Anche solo il pensiero dell'amico la faceva infuriare e, allo stesso tempo, rattristare. "Mi ha detto che sua madre sarebbe ritornata dall'America, oggi. Voleva mangiare con lei."
'Che pessima bugiarda' pensò il padre. 'Proprio ieri ho sentito Chikage, mi ha detto che non sarebbe tornata prima di due settimane.' Nonostante sapesse che non aveva detto la verità, evitò di farle altre domande.
"Va bene. Hai impegni per oggi pomeriggio?"
"In realtà sì. Io e Keiko andiamo al Tropical Land, il nuovo parco divertimenti!" esclamò elettrizzata.
"Oh." Era preoccupato, doveva ammetterlo. Sarebbe sembrato... strano, se qualcosa, o qualcuno, si fosse smaterializzato in un luogo e ricomparso in un altro.
'Se la caverà, se la caverà.' Ginzo continuava a ripetere quella frase in mente, come se fosse un mantra.
"Mmh? C'è qualche problema?" domandò la ragazza con un'espressione interrogativa.
"No, no. Solo... fai attenzione. Potresti sentirti di nuovo male."
"Non ti preoccupare, papà. Ho alcune pillole nella borsetta, se dovessi averne bisogno, le prenderò senza esitazione" replicò lei, agitando con una mano un pacchetto di compresse appena preso dalla cartella. "Papà, ti va del curry? Abbiamo gli ingredienti, giusto?"
"Sì, penso di sì."
E dal momento in cui Aoko si mise ai fornelli, nessuno dei due proferì parola.

'Oggi mio padre è strano' rimuginò la ragazza mentre saliva le scale per andare nella propria camera. Erano le 3:00, e si era già prefissata di studiare un po' prima di uscire. 'Non si assenta mai in questura, tantomeno i giorni degli annunci di Kid. Nemmeno ai miei compleanni. L'ho visto anche più preoccupato.'
'Ci credo che era preoccupato, gli hai detto che non ti sei sentita bene' le disse ancora quella misteriosa vocina.
'Sto diventando pazza?' si chiese allarmata la ragazza mentre apriva la porta della propria stanza e la richiudeva dietro di sé.
'Macché pazza! Buongiorno Aoko! Stai crescendo, sei diciassettenne!'
Cominciava a trovare quella vocina alquanto irritante.
'Decisamente pazza' si disse mentre si buttava, letteralmente, sul letto. 'Meglio che mi riposi un po'.'
'Aoko, aspetta! Ci sono tante cose di cui dobbiamo parl...'
La strana vocina non fece in tempo a finire la frase nella mente della ragazza: si era già abbandonata tra le braccia di Morfeo.


Ehii! So bene che, in realtà, non dovevo pubblicare oggi, ma giovedì. Però... non ce l'ho fatta, mi spiace xD Principalmente per due motivi: aspettavo con troppa ansia il vostro parere su questo capitolo e non so davvero se il 14 avrò la possibilità di stare al PC. 
In ogni caso, eccovi il primo capitolo! E' abbastanza lunghetto, spero non risulti noioso (ehi, d'altronde è il primo capitolo, mica potevo metterci super lotte galattiche con serial killer e uomini con poteri sovrannaturali!). Se vi fa piacere, lasciate una recensione! ;)
Uhm, riguardo al secondo capitolo... non so quando lo pubblicherò. Se riesco a finirlo prima che parta (starò via per circa dieci giorni e non credo avrò la possibilità di scrivere, se non di notte), lo posterò sicuramente! In caso contrario, arriverà tra non meno di due settimane. (Questo perché dovevo essere regolare, certo)
Mi scuso in anticipo per possibili errori!
Alla prossima xD

Shizuha


 

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Capitolo 3
*** Corsa contro il tempo ***


"Aoko! Svegliati, tesoro. Non dovevi andare al parco con Keiko?"
"Mmh?" fece la ragazza, ancora con gli occhi chiusi. "Che ore sono?"
"Le 4:30."
"EH?" esclamò sgranando gli occhi e balzando in piedi. "Grazie, papà! Non so cosa farei senza te!"
Il padre si beò delle parole e dell'abbraccio che la figlia gli aveva appena dato, ridendo un po'.
"Suppongo che sia tardi, eh? Bene, ti lascio preparare." La ragazza aveva già cominciato ad aprire tutte le ante e i cassetti dell'armadio quando il padre si chiuse la porta alle spalle.
Prese a buttare i propri vestiti alla rinfusa sul letto, in cerca di uno adatto.
'Visto cosa succede quando cerchi di farmi tacere?'
Ancora quella vocina irritante.
'Oh, piantala! Giuro che mi rimetto a dormire, a costo di dire a Keiko di sentirmi di nuovo male.'
Effettivamente, non poteva definirsi normale parlare con se stessa in quel modo. 
'Ok, ok! Che scorbutica. Non mi era mai capitato un'umana così irascibile e bisbetica. Certo, a parte la tua bisnonna...'
Aoko ne aveva abbastanza. Che cosa stava succedendo? UmanaBisnonna? Si chiese se il sonno avesse solo peggiorato la situazione.
'Ora taci! Sei solo una parte della mia coscienza.'
'Agli ordini, ma'am!' Poteva essere solo una sua impressione, ma il tono della cosiddetta 'vocina' le sembrava decisamente ironico. Decise di non pensarci più. Insomma, era già in ritardo! Non poteva mica perdere tempo a riflettere su quelle follie.
Nel frattempo, aveva già uscito una decina di vestiti -tra cui abiti, magliette e felpe-, gettandoli senza ritegno sul letto e a terra.
'Abito o maglietta?' si chiedeva. 'Gonna o pantaloni?' Ci ragionò per due minuti, per poi giungere finalmente ad una conclusione: una semplice maglietta a mezze maniche a righe blu e bianche, un paio di jeans aderenti e una felpa -se dovesse sentire freddo- blu elettrico. Dopotutto, si disse, è solo un'uscita tra amiche, non un appuntamento romantico.
Lanciò un'occhiata all'orologio: 16:40. Si svestì come un lampo ed entrò nella doccia. 
'Penso che quella che farò sarà la doccia più breve in tutta la mia vita' osservò ironica.
Uscì dopo poco più di cinque minuti. Afferrò due asciugamani: uno se l'avvolse intorno al seno, lasciandolo ricadere fino all'altezza delle cosce; l'altro, invece, lo arrotolò attorno ai capelli ancora bagnati a mo' di turbante. Non si guardò nemmeno allo specchio che corse subito nella propria camera, asciugandosi del tutto e vestendosi. Fece cadere nuovamente gli occhi sull'orologio-sveglia -peccato che come sveglia non facesse granché- accanto al proprio letto, sul comodino. Le 16:53. Aveva sette minuti per asciugare -seppur in modo superficiale- i capelli e indossare le scarpe. Anch'esse semplici e sportive, naturalmente. Normalissime scarpe da ginnastica modello Converse di colore rosso.
'Questa marca sta facendo impazzire tutte le ragazze' pensò ridacchiando un po'. In realtà, a lei interessava solo che fossero comode e semplici. Era una tipa 'acqua e sapone', come si suol dire. Non che non le piacessero gli abiti, al contrario, li amava! Solo che aveva una così bassa stima di se stessa che riteneva inutile indossarli. 'Se non possono mettere in risalto le mie forme -dato che non ne ho- e devo sembrare una bambina, che senso ha?' si chiedeva sempre. In realtà, non era affatto così. Aveva una figura perfetta, forse un po' magra, ma impeccabile. Alta circa 1.65 m, portava una coppa B di seno -che, inoltre, veniva adeguatamente nascosto dall'uniforme scolastica- e gambe magre e slanciate. Il principale motivo delle sue paranoie era il suo amico Kaito Kuroba. Era spesso costretto ad offenderla, seppur con tono sarcastico, e lei non reagiva bene ai suoi scherni. O almeno, non lo dava a vedere. Lei stessa era così abituata a sentirgli uscire parole beffarde dalla bocca che, ormai, ci rideva su. Tuttavia, la sua autostima diminuiva a ogni sua 'constatazione'. Che poi, constatazioni non erano. Sapeva lui stesso che, in realtà, Aoko non corrispondeva ad una sola parola che diceva. Non era poco femminile, né non aveva forme, e lui lo sapeva bene. Qualche volta, quando uscivano -doveva ammetterlo-, gli cadeva lo sguardo sulla sua scollatura. Non che fosse granché, dato che era solita coprirsi, ma Kaito -da buon diciassettenne pervertito che era- ci fantasticava spesso. Poi, però, si richiamava all'ordine. Se solo lei l'avesse scoperto!
'Aoko, puoi lasciare i capelli bagnati per una volta, non muori mica!' A quanto pareva, la vocina non aveva imparato la lezione.
Aoko sbuffò soltanto, dando, tuttavia, ascolto alla sua 'coscienza'.
16:59. Sapeva che Keiko era solita arrivare puntualissima, e lei non voleva farla aspettare. Il suo insegnante di pattinaggio sul ghiaccio, ai tempi, dava solo un minuto di tempo per togliere le scarpe, indossare i pattini ed entrare in pista. Poteva farcela benissimo! Prese le scarpe e le mise in fretta e furia.
17:00.
Afferrò la borsa, mise dentro le pillole che aveva delicatamente poggiato sulla scrivania prima di dormire, e si avviò verso il piano terra. Era da pochi secondi arrivata sull'uscio ed aveva appena aperto la porta, quando il campanello suonò.
Keiko le rivolse un sorriso raggiante. "Tempismo perfetto!"
"Non sai quanto mi è costato" mormorò Aoko leggermente trafelata. Era scesa dalle scale correndo, rischiando persino di cadere.
"Mmh?" fece Keiko.
"Oh, nulla. Andiamo? Non vedo l'ora di provare le montagne russe!"
"Non dirlo a me! Comunque, ti sei ripresa? Hai ancora senso di vertigine?"
Aoko scrollò la testa. "No, almeno per ora. In ogni caso, ho portato le compresse dell'infermeria nella borsa." Picchiettò con l'indice sulla graziosa borsetta a tracolla.
"Perfetto! Allora andiamo!"
Prima di chiudere la porta alle proprie spalle, Aoko gridò un "Ciao, a dopo!" a suo padre, che prontamente rispose.
"Noti qualcosa di strano?" le chiese Keiko guardandola di sottecchi.
"Ovvio che l'ho notato! Keiko, ti conosco dalle medie, come potrei aver dimenticato le tue codine?"
Effettivamente, la ragazza aveva i capelli sciolti. Era solita portarli in due codine alte ai lati della testa sin da quando aveva dodici anni.
"Ecco..." cominciò, la guance leggermente arrossite. "Sai, le parole che mi hai detto oggi mi hanno fatto pensare. Il fatto che stiamo crescendo, intendo. Quell'acconciatura mi sembrava un po'... infantile."
"Sei comunque carinissima, Keiko" replicò la giovane. "Ti stanno davvero bene." Le rivolse un piccolo sorriso. Poteva sembrare un gesto normalissimo, ma Keiko colse un accenno di tristezza in esso. La conosceva troppo bene.
"Aoko? Non mi dire che c'entra di nuovo Kaito! Giuro che un giorno o l'altro gli stacco il naso."
"Eh?" Arrossì di colpo. "No, no! Lui non c'entra nulla. In realtà, non ho nulla in generale."
Keiko ribatté con una semplice occhiata, una di quelle che, di solito, erano accompagnate dalla frase "Tu non me la racconti giusta." Tuttavia, lasciò perdere. Sapeva che non avrebbe ottenuto nulla pressando.
"Va bene" mentì. "Oh, guarda! Siamo già arrivate."
La casa di Aoko, per loro fortuna, distava solo poche centinaia di metri dal Tropical Land.
"Già. Guarda quant'è grande!" Aoko prese per il polso l'amica, trascinandola davanti l'ingresso e confondendola ancora di più.
'Questa non è Aoko' pensò Keiko sconvolta. 'Questa è una lunatica.'
'Questa non sei tu' ripeté la vocina all'interno della ragazza. 'Smettila di comportarti così, ragazza mia. Mi sa che anche la tua amica se n'è accorta.'
'Finiscila di trattarmi come se fossi mia nonna! Sei solo una stupida parte della mia coscienza.' Anche se non ne era più così sicura. Le sembrava tutto strano. Le vertigini e le fitte allo stomaco, l'irritante vocina e il suo modo di rivolgersi a lei. Tutto il giorno del suo compleanno. Che fossero semplici coincidenze? Decise ancora una volta di non pensarci, almeno per oggi. Voleva liberarsi di tutti quei pensieri pazzi che le balenavano in testa.
L'ingresso era lungo e ampio, e sopra di esso vi era una grande scritta al neon: "TROPICAL LAND". L'ingresso era suddiviso a sua volta in lasciapassare e casse più piccoli. Vi erano file brevi e poco affollate, ma si sentiva un gran brusio di voci dall'interno del parco, nonostante fosse martedì pomeriggio.
Aoko trascinò l'amica davanti alla cassa con meno persone. Pagarono dopo poco più di dieci minuti. Appena entrarono, un lampo di stupore e ammirazione entrò nei loro occhi.
'Ruota panoramica enorme; montagne russe da sballo; fontana dei piccioncini; vedetta che farebbe invidia ad una nave americana... Tutto molto stupefacente. Davvero, tesoro. Tuttavia, ci sarebbero altre cose a cui pensare, come...'
"Ne ho piene le tasche" sbottò Aoko ad alta voce. Dopo essersi accorta di ciò che aveva fatto, portò entrambe le mani alla bocca e si girò verso Keiko. L'amica, dal canto suo, aveva un grande punto interrogativo dipinto in volto.
"Eh?"
Nel frattempo, la vocina nella testa di Aoko sembrava ridersela di gusto, il che non fece altro che irritare di più la ragazza. Naturalmente, però, non poteva darlo a vedere.
"Oh, nulla. Stavo pensando a Kaito."
'Ma, bambina mia, non puoi mica attribuire ogni colpa a quel povero ragazzo! Anche se devo ammettere che è davvero uno stro...'
'Adesso basta! Non ti lascerò dire un'altra parola!' ribatté irata la ragazza. 'Mi hai già fatto fare una figuraccia.' Aveva cercato di ignorare quel 'bambina mia' con tutte le sue forze, restando non poco compiaciuta di esserci riuscita. Ma chi si credeva di essere per chiamare in quel modo una parte di se stessa? Aoko si chiese, per l'ennesima volta in quella giornata, se stesse definitivamente impazzendo.
"Oh. Allora avevo ragione? Aoko, sai che ti voglio bene, ma stacco il naso anche a te se non smetti di pensare a lui!" la rimproverò Keiko, seppure con un grande sorriso in viso. "Ora vieni." La prese per il polso, proprio come aveva fatto Aoko poco prima, e la trascinò via.
"Dove vuoi andare?"
"Che ne dici della ruota panoramica?" ipotizzò l'amica. "È la più importante, non possiamo mica perdercela! E poi sta per tramontare. Ci sarà una bellissima vista da lassù!" Indicò eccitata il punto più alto della ruota.
Alla vista della migliore amica così felice, Aoko non poté far altro che sorridere a sua volta mentre veniva trascinata verso quello spettacolo artificiale.
"Già. Chissà come sarebbe salirci con Ka- papà."
"Aoko!" Keiko le scoccò un'occhiata truce. Ne aveva piene le tasche anche lei! Erano andate in quel luna park per svagarsi, non per fantasticare sui ragazzi!
"Scusa, scusa" si difese lei con un'espressione divertita sul volto. "Giuro che ora mi distraggo." Tuttavia, lo disse con un tono talmente ironico che non ne era sicura nemmeno lei.
Le bastò un'altra occhiata di Keiko per farle cambiare idea, ma subito dopo si rallegrò e disse: "Eccoci qua. Dovremmo aspettare un quarto d'ora, da quanto posso capire dalla lunghezza della coda." Ed, effetivamente, ci aveva azzeccato, perché proprio dopo quindici minuti -interminabili, concordarono- si ritrovavano sopra una cabina ad allacciarsi la cintura.
Quando cominciò a girare entrambe le ragazze erano cariche di adrenalina. Man mano che si allontanavano da terra, l'una diceva all'altra, e viceversa, con voce elettrizzata: "Guarda, lì c'è casa tua, Aoko! Com'è piccola!" o "Quello è il market dove andavamo a comprare le caramelle dopo la scuola! Ora è poco più grande di un'unghia."
Risero insieme per circa mezzo minuto. Quando arrivarono in cima, entrambe trattennero il respiro. La vista era semplicemente mozzafiato! Nel cielo era già possibile osservare i colori caldi e cangianti, tutto il quartiere sottostante sembrava solo una costruzione con dei Lego e gli abitanti tante, piccole formiche. Come se non bastasse, proprio in quel momento passarono diverse decine di gabbiani in volo. Sembrava davvero una scena rappresentata in una fiaba.
Entrambe le ragazze fecero versi di sorpresa e meraviglia.
Aoko si stava godendo decisamente quella piccola escursione a settanta metri dal suolo. Anche più di Keiko. Da quando erano arrivate -poco più di mezz'ora-, si sentiva constantemente osservata. O per meglio dire, spiata. In ogni caso, non voleva allarmare Keiko, o quella giornata si sarebbe rovinata inequivocabilmente. Preferì, ancora una volta in quella bizzarra giornata, lasciar perdere.
Poco prima di arrivare a terra, sentì di nuovo quella strana sensazione. Ma attribuì il senso di vertigine all'altezza a cui, naturalmente, non era abituata. Così non si preoccupò troppo, e continuò a bearsi di quel magnifico panorama.
Una volta scese a terra, Keiko chiese: "E ora che facciamo?"
"Che ne dici della vedetta? Possiamo approffittare del tramonto" osservò l'altra. "E poi ci sono i binocoli!"
"E vedetta sia!"

Ancora una volta, assisterono ad un panorama meraviglioso. Anche se l'altezza della vedetta non si poteva paragonare a quella della ruota, rimasero entrambe a bocca aperta. Usarono i binocoli, ma Aoko lo puntò al cielo, anziché al suolo. Adorava l'astronomia. Certamente dei binocoli di un parco divertimenti erano nulla a confronto con dei microscopi di un osservatorio, ma si accontentò.
"Aoko, sappiamo tutti che ami l'astronomia e cose varie, ma ti prego, non anche qui!" la richiamò l'amica. "Siamo andate ieri all'osservatorio di Tokyo." Sospirò. "Non ti è bastato?"
"Non posso farci nulla. E poi, cos'ha di più interessante il quartiere di Haido rispetto ad un tramonto?" Sospirò a sua volta.
"La cacca di uccello, naturalmente" osservò sarcastica Keiko con un sorrisetto stampato sul volto. "Non trovi anche tu?"
Aoko sogghignò un po'. Ah, quanto le voleva bene.
'La tua amica comincia a piacermi' ammise la ormai soprannominata vocina. Aoko non la zittì: se non altro, non aveva fatto osservazioni sarcastiche e non aveva detto nulla di irritante, a parte il fatto che parlava come se fosse un'altra persona. 'Se non fosse per quel nome che si ritrova. Insomma, chi chiamerebbe la propria figlia Keiko? Che nome orribile.' Okay, si sbagliava.
Di colpo, l'espressione di Aoko s'incupì.
"Ehi, Keiko..." cominciò. L'amica si girò verso Aoko, ma non disse nulla. "Ti capita mai di parlare con te stessa?"
'Te stessa?' fece eco la vocina. 'Pff, ti piacerebbe! Ma per chi mi hai presa?' Aoko non replicò.
"Certo. È del tutto naturale" constatò la ragazza. "Per esempio, mi chiedo sempre come faccia ad essere così bello Kid."
"Sì, come no." La ragazza sbuffò. "Nel senso... ti capita mai che una voce ti parli? Non so, come se fosse la tua coscienza."
'Ti ho già detto che non sono la tua coscienza!' obiettò la vocina.
"Uhmm... sì, diciamo. Però non mi parla. È come se la coscienza intendesse parlarmi, ma, dato che è una parte di me, non ce ne fosse bisogno" spiegò. "Capisci? Comunque, perché tutte queste strane domande? Non mi dire che un alieno ti ha fatto il lavaggio del cervello e riesce a leggerti nel pensiero!"
"Ma no!" Rise piano. "Solo... spesso sento una voce parlarmi. E, credimi, non è piacevole. Pensavo fosse solo un'irritante parte della mia coscienza, ma... non lo so. Mi parla come se fosse una mia antenata di un millennio fa! Ha cominciato solo oggi. So che mi conosci già abbastanza bene e che sei consapevole della mia pazzia, ma pensi che sia normale?"
'Tu... piccola ragazzina insolente! Come ti permetti di definirmi vecchia di un millennio?' Oh, oh. La vocina sembrava piuttosto adirata, e per poco la sua ospite non scoppiò a ridere. 'Non sai nemmeno chi io sia! Ora vedrai! Scommetto che tra poco avrai bisogno di me.' Aoko decise ancora una volta di non ribattere.
"Di certo non è normale" ridacchiò Keiko. "Ma è forte! Non sai quanto ti invidio. Almeno avrai sempre un po' di compagnia!"
"Sai che compagnia" borbottò l'altra. 
Almeno sapeva di non dover andare in un manicomio. Forse. In ogni caso, era felice di averlo detto a qualcuno. Tuttavia, non riusciva a capire cosa significassero le parole con cui la vocina l'aveva appena ammonita. 'Scommetto che tra poco avrai bisogno di me.' A cosa avrebbe potuto servire quella voce così irritante?
"Ora, dopo questo aggradante scambio di battute" cominciò Keiko con tono estremamente ironico. "Che ne dici di fare un giro sulle montagne russe?"
"Volentieri!" esclamò felice Aoko. 
Si stava proprio godendo quella giornata. Chi se ne fregava se era stramba? Chi se ne fregava della vocina? Allo stesso tempo, Aoko cercava anche di non notare la strana impressione di essere spiata.
Così, le ragazze presero l'ascensore e si diressero a grandi falcate all'ingresso delle montagne russe.
"Guarda! Fanno anche il giro in aria! Aah, mi sento già le ginocchia molli!" Aoko indicò proprio la parte in cui la struttura delineava un perfetta circonferenza in aria.
"Hai ragione! Mio Dio, che figata! Ti immagini i capelli sottosopra?"
Aoko ridacchiò. Da quanto poteva notare, il giro durava poco più di tre minuti. Tre minuti di pura eccitazione, però.
'Certo, certo. Voi pensate ai vostri stupidi capelli! Io resterò zitta e quieta qua, come se nulla fosse. E non pensare che ti aiuterò!' declamò offesa la vocina.
'Parli come se, nel bel mezzo del giro, dovessi saltare di sotto.'
'Potrebbe anche succedere!'
'Ehi! Sarò anche pazza, ma non sono impazzita!' Alzò gli occhi al cielo. 'C'è una bella differenza tra le due cose. Non mi butterei mai da un'altezza simile!'
'Non lo metto in dubbio, bambina mia. Però non sai mai cosa potrebbe succedere' l'avvertì la voce.
'E sentiamo: perché proprio io dovrei avere una tale sfortuna?'
'Non è affatto una sfortuna! Almeno credo. Loro dicono che sia un dono.'
Aoko si trattene dallo sbuffare. Insomma, ma di che cosa stava parlando? 'Loro?' ripeté. 'Loro chi? E non credo proprio che precipitare da trenta metri sia un dono! Diamine, se prima dicevo di non essere impazzita, tu stai riuscendo nell'intento di farmici diventare! Mi sta scoppiando la testa. Ora, per favore, taci.'
'Come vuoi. Però stai attenta!'
'Sì, sì, va bene.'

Le due ragazze aspettarono circa venti minuti prima di poter prendere posto nel proprio giro. Si sedettero agli ultimi due posti e, dopo varie esclamazioni da parte di Keiko, abbassarono la cintura di sicurezza.
"Assicuratevi che la cintura sia messa bene e tenetevi saldamente ad essa durante il percorso" raccomandò l'uomo responsabile di quell'attrazione.
"Allora? Non sei eccitata? Io potrei lanciare un urlo!"
"Certo che lo sono" rispose Aoko con un risolino. "E sono sicura che potremo urlare quanto vorremo!"
"Attenzione: tra pochi secondi, il vostro girò avrà inizio" avvertì un voce metallica femminile proveniente da due altoparlanti posti ai lati del lasciapassare.
E così fu. Si sentivano urla e grida provenire dappertutto, mentre il vento fendeva l'aria. Aoko e Keiko si tenevano, proprio come aveva detto l'uomo, fermamente alla propria cintura di metallo, gli occhi chiusi e le labbra schiuse a emettere gridolini.
D'un tratto, però, Aoko avvertì di nuovo la sensazione di vertigine. Era possibile che fosse dovuta alle montagne russe, ma stavolta era ancora più intensa e violenta. Si sentì strattonare, e il suo stomaco compì diverse capriole. Improvvisamente, non si trovava più seduta accanto a Keiko. Stava precipitando dalla bellezza di trenta metri di altezza.




Ed eccomi con un nuovo capitolo! So che sto pubblicando in anticipo, ma davvero non riesco ad aspettare ;; Tanto, probabilmente, anche anticipando i capitoli, ritarderò una volta ricominciata la scuola *sob.
Ma vabbé, lasciamo perdere i miei problemi esistenziali e passiamo alla nuova parte! E' principalmente un capitolo "filler-divertente", a parte la fine. A proposito del finale; evviva la suspence, eheh! Allora, come vi sembra? Ho cercato di renderlo noioso il meno possibile con le "osservazioni sarcastiche" della vocina. Se vi va, lasciate una recensione! ;)
Al prossimo capitolo! xD

Shizuha

 

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Capitolo 4
*** Operazione suicida: montagne russe ***


 

Aoko ebbe la prontezza di aprire gli occhi. Si era appena materializzata in un punto indeterminato di una via, precisamente a trenta metri dal suolo. Le poche persone che passavano da lì si limitarono a strabuzzare gli occhi, come se quella ragazza fosse solo un'allucinazione prodotta dal loro cervello. Purtroppo, però, quella giovane era reale e, se non avesse fatto qualcosa, sarebbe morta di certo. 
'Aoko! Se non fai qualcosa ci schianteremo al suolo come delle uova in padella!' La ragazza, però, non stava prestando la minima attenzione alle parole della vocina. Stava pensando al massimo delle sue possibilità. Non sapeva cosa le stesse accadendo, né il perché. Sapeva solo che doveva pensare, e alla svelta. Non era forse conosciuta per la sua spiccata intelligenza e i suoi riflessi sempre pronti? Forse le lezioni di fisica riguardanti il moto uniformemente accelerato, le forze e la massa di qualche giorno fa servivano realmente a qualcosa. Ma chi, oltre lei, si sarebbe ritrovato ad una simile altezza, dopo essere stata catapultata in un'altra epoca? Santo cielo! Stava viaggiando a 5 m/s verso terra, non aveva più di cinque secondi per pensare! E quei cinque metri si sarebbero presto trasformati in sei. Si rese conto, dopo un paio di secondi, che era realmente impotente. Si sarebbe schiantata irrimediabilmente a terra, senza avere alcuna speranza di vita. Era a quindici metri dal suolo, quando si accorse che, proprio sotto di lei, si ergeva un enorme albero. Non era certamente uno dei migliori atterraggi, ma forse avrebbe potuto evitare la morte certa. Al massimo qualche osso rotto.
Mise più in fretta che poté la borsetta sotto la testa e la tenne pressata con una mano, come se fosse un cuscino. In realtà, voleva solo limitare i danni alla testa. Poi allungò l'altra, la destra, e con una forza e prontezza che non sapeva di avere neppure lei, afferrò uno dei rami più robusti della quercia. Sentì un dolore lancinante alla spalla. Probabilmente era uno stiramento, se non uno strappo, muscolare, dato che il braccio non era assolutamente abituato a sostenere un peso simile. Lasciò cadere la borsetta e protese anche l'altra mano verso il ramo che, proprio un secondo prima, le aveva salvato la vita. Nonostante il dolore opprimente al braccio e alla spalla destra, si issò con tutte le proprie forze sopra l'albero.
'Aoko! Ce l'hai fatta! Ci siamo salvate! Giuro che ti riterrò il mio Dio in eterno.' Anche se non poteva vederla, Aoko si immaginò la proprietaria di quella voce sul punto di scoppiare a piangere. E, naturalmente, la proprietaria non era lei: aveva detto chiaro e tondo 'Ci siamo salvate'. Anche se si sarebbe volentieri fatta un bel piagnisteo pure lei. Decise, però, che non era il momento. Era ovviamente sotto shock, ma non poteva rimanere là sopra per l'eternità, anche perché avrebbe dato nell'occhio. Un paio di passanti la guardarono sgranando gli occhi, ma chissà perché, stavolta non pensarono fosse un'allucinazione. Una donna, sulla sessantina, vestita con un lungo kimono di seta verde oliva con un motivo floreale, cominciò a strillare.
"Ma dove diamine sono finita?" mormorò Aoko. Le sembrava tutto assurdo. Cosa le stava succedendo? Si trovava su di un albero e provava un bruciore continuo alla spalla e al braccio. Invece, solo qualche minuto fa, era con Keiko, la sua migliore amica, più felice che mai.
'Tesoro, ora non c'è tempo di stare a pensare. Devi assolutamente scendere da quest'albero, non sai quando salterai indietro! Non penso che tu voglia fare un altro volo.' Il tono della vocina era carico di compassione e paura.
"Non mi muovo da qui se prima non mi spieghi tutto!" sbraitò Aoko. La donna, che prima strillava con occhi severamente chiusi, li sbarrò e guardò la ragazza interdetta.
"Scenda subito da lì, ragazza sconsiderata!" le urlò la donna, ma mantenendo sempre una postura eretta, come se avesse ingoiato un bastone.
'Mio malgrado, devo dare ragione alla nonnina.'
Aoko non capiva più nulla. Aveva un grande vuoto nella mente, ciononostante sembrava le volesse scoppiare.
'Aspetta...' disse la vocina, più rivolta a se stessa che alla ragazza. 'Io conosco quella donna!'
La giovane dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non prorompere in una risata isterica. "Sì, certo!" sbottò con la voce carica di sarcasmo. "E la Terra è piatta. Non ho mai visto questa donna in vita mia."
"Non l'ho mai vista nemmeno io, ma di certo non conosce le buone maniere" osservò irritata l'altra. "La prego di portarmi un po' più di rispetto."
A differenza di Aoko, la vocina non si trattene e scoppiò in una fragorosa risata. 'Bambina mia, ho abitato altre sedici umane prima di te! E una di queste era sposata con il fratello di questa nonnina. Precisamente era la tua quintisava.'
"Quintiche?"
'Quintisava', ripeté scandendo ogni silliba. 'La nonna della tua trisavola. Carino, no? Sei tornata indietro di centoventi anni, è molto...'
"Ma smettila!" la interruppe. "È impossibile che la cognata di questa nonnetta sia la mia quinti... quello." Infuriata, puntò l'indice contro la donna, che aveva ancora un'espressione a dir poco contrariata. "E non sono tornata indietro di centoventi anni! Dimmi un po' come sarebbe possibile."
'Questo lo spiegherà tuo padre' ribatté la voce. 'Ora scendi! È pericoloso.'
"Ora ricordo! Sei Aoko Nakamori, la mia quintisnipote, giusto?" Il tono della donna su addolcì un po', ma la smorfia di fastidio non abbandonò il suo viso. "Quarant'anni fa eri molto più educata. Però, effettivamente, mi avevi detto di aspettare la tua improvvisa caduta dal cielo. In ogni caso, posso chiamarti nipote? So che i titoli di parentela dovrebbero andar rispettati, ma capisci bene che non è pratico ripetere 'quintisnipote'."
Aoko la fissava attonita. Se prima non capiva nulla, ora voleva bucarsi la testa con un trapano.
'Visto?' la rimbeccò la vocina con tono soddisfatto. 'Ora non ammutolirti e, sarà la millesima volta che te lo dico, scendi da questo maledetto albero!'
Aoko, tuttavia, era quasi incapace di muoversi. Era davvero sotto shock. Si rese conto solo in quel momento di cosa, più o meno, le era accaduto. Si era smaterializzata ed era comparsa chissà dove, rischiando di spiaccicarsi al suolo. Aveva appena rischiato la vita. E non sapeva nemmeno il perché di tutto ciò. O come. Com'era possibile che, un secondo prima, ci si ritrovi seduti sulle montagne russe e, quello dopo, si precipiti da trenta metri? Era impossibile. O meglio, non possibile. Inoltre, tremava come una foglia. E non riusciva a muovere l'arto superiore destro. In realtà, non riusciva a muoversi del tutto, ma solo per lo shock subito. Aveva tantissime domande che le balenavano in mente: la prima in assoluto era "Che sta succedendo davvero?"
Qualcosa, però, la ridestò dalla trance. La donna, la quale diceva di essere la quintisava di Aoko, le picchiettava il parasole turchese contro il piede. Senza proferire parola e facendo attenzione a non sforzare il braccio dolorante, scese con cautela dall'albero. Per sua fortuna, era abituata a farlo. Quando era piccola -poco più di sei anni-, era solita giocare a guardia e ladri con Kaito, e lui adorava arrampicarsi sopra gli alberi di ciliegio e poi, quando lei era appena salita e stava riuscendo a prenderlo, scendere con un salto continuando a correre. Le prime volte, lei aveva avuto troppa paura di saltare a sua volta, quindi perdeva tempo per scendere nuovamente dal ciliegio. Un giorno, però, aveva preso coraggio e si era decisa a saltare, finendo con un ginocchio sbucciato e una mano scorticata. Kaito, per consolarla, faceva finta di curarla con 'trucchi di magia' -come li definiva lui-, e quella fu la prima volta in cui la piccola gli disse "Ti voglio bene". Teneva quel ricordo saldo nel suo cuore, come se fosse un gioiello da custodire. Ricordava benissimo come le guance del piccolo amico si colorarono di una leggera sfumatura di rosso, come sul suo viso comparì un sorriso un po' sdentato, come disse allegramente le parole "Anch'io". E ogni qualvolta lo ricordasse sorrideva.
Appena scese, prese la borsetta -sulla quale aveva prontamente ceduto la presa prima di aggrapparsi al ramo anche con l'altra mano- e la rimise a tracolla. Sinceramente, quell'oggetto era l'ultimo dei suoi pensieri, ma non sapeva né cosa dire, né cosa fare. Voleva domandare tutto ciò che le passava per la testa, ma se ci avesse provato, sarebbe uscito un esilarante balbettio.
"Mi hai detto anche che abbiamo poco tempo" soggiunse l'antenata della ragazza. "E ne approfitto per dirti qualcosa di importante, ragazza mia: dovresti decisamente ingrassare." La squadrò dall'alto verso il basso e viceversa. "Agli uomini piacciono le donne in carne. Anche se penso che tu sia ancora troppo giovane per questo genere di cose."
Aoko aveva la fronte corrugata, come se si stesse impegnando a risolvere un problema più grande di lei. D'un tratto, però, il nodo in gola le si sciolse e fu nuovamente in grado di parlare.
"Mmmh... ci penserò. Ma dovremmo discutere di cose più importanti, Lady..."
"Kouno Meiko. Solitamente, però, mi chiamano per nome, come tutte le donne della famiglia. Se così non fosse, allora ci confonderemmo tutte. Anche tua madre era una Kouno. Suppongo, però, che abbia perso il suo nome da nubile, non è così? Dal suo punto di vista, è da un po' che non viene a trovarmi..."
"La mamma è morta" la informò Aoko con tono gelido. Non sopportava si parlasse di sua madre: era morta prima ancora che lei potesse riconoscerla e le mancava troppo. Le si formava sempre un groppo in gola e lo stomaco le si contorceva per il dolore, quando si parlava di lei.
"Oh!" fece Lady Meiko. "Mi rincresce molto, piccola. Però non ti posso dare ragione sulla tua prima affermazione: finirai per diventare anoressica!"
"Non ti preoccupare, tutte le mie coetanee sono così. O almeno, quasi tutte" rassicurò la ragazza. "In ogni caso, per ora non me ne frega niente. Voglio sapere dove sono finita."
"Nipotina, sii educata!" la rimproverò l'anziana. "Certamente non ti potranno mandare nel diciottesimo secolo se hai un modo di parlare così rozzo. Delle espressioni così non sono bene accette nemmeno nella mia epoca! E mi duole informarti che io non posso dirti nulla, almeno per ora. Dovrà essere tuo padre a spiegarti il tutto, dato che tua madre è venuta a mancare."
"Mio padre?" fece eco l'altra. "Cosa sa di questa storia mio padre?"
"Sicuramente più di quanto ne so io." La voce della donna assunse una nota seria. "Ascoltami, bambina. Probabilmente salterai indietro tra pochi minuti. E, molto probabilmente, sarà l'ultimo nostro incontro. È stato un evento davvero singolare incontrarti di nuovo, nipotina. Ti prego di stare sempre all'erta intorno a loro; non mi hanno mai convinta. Capirai più tardi a chi alludo." Fece qualche passo verso Aoko, fino ad essere davanti a lei. "Vieni, piccola mia, fatti dare un bacio." Era una situazione buffa, considerato che la ragazza superava di almeno dieci centimetri la sua antenata. Ciononostante, si abbassò senza proteste e la donna poggiò un leggero bacio sulla fronte della discendente.
'Ecco, di nuovo quella sensazione' pensò la ragazza, inquieta.
"Lady Meiko, solo un'altra cosa. Cosa preannuncia il senso di vertigine?"
"Stai per saltare. Addio, Nakamori Aoko."
"No!" protestò la giovane mentre lo stomaco faceva capriole come un campione di ginnastica artistica. "Farò in modo che questo 'addio' diventi un 'arrivederci', se è nel limite delle mie possibilità."
Aoko sentì solo un leggero risolino e le parole "tutto è nel limite delle tue possibilità, Aoko", prima di essere letteralmente assorbita dal tempo.

Appena tornò indietro, lanciò un urlo soffocato: era appena atterrata -se così si può dire- a pochi centimetri da qualcuno. Quel qualcuno -dovette ringraziare il cielo, la Terra e chiunque fosse a portata di mano- era la sua amica Keiko.
"Aoko! Ti ho cercata dappertutto" l'ammonì l'amica. "Dov'eri finita? Stavo per crepare dalla paura!" In effetti, la ragazza era pallida come un cadavere. Abbracciò Aoko di slancio, come se fosse appena tornata da una spedizione militare in Afghanistan.
La ragazza, però, era ancora paralizzata. "Keiko, io..."
L'amica sciolse l'abbraccio, per poi posizionare saldamente le sue mani sulle spalle dell'altra. "Non ti preoccupare. Ora ci prendiamo un bel gelato, ci sediamo e mi spieghi tutto."
"P-per quanto tempo sono s-stata via?" chiese Aoko, che ora tremava insanabilmente.
"Tesoro, ma stai tremando!" Le gettò nuovamente le braccia al collo. "Okay, forse è meglio non prendere alcun gelato. Comunque sei stata via per poco più di venti minuti."
"Non preoccuparti, sto bene." Stavolta, fu lei a porre fine all'abbraccio. "E il gelato mi va più che bene. Sono solo un po'... scossa."
"Lo vedo. Forza, andiamo!"
'Aoko, forse è meglio non dirle niente...'
'Invece le dirò proprio tutto' la interruppe Aoko. 'D'altronde, voi non fate che non rispondere alle mie domande. Perché, quindi, dovrei seguire i tuoi ordini?' Ne aveva davvero abbastanza. Quel giorno era un vero e proprio incubo. Non bastava la lite con Kaito, né la comparsa di quella strana ed irritante vocina -la quale, tra l'altro, sembrava sapere tutto-, assolutamente no; doveva rischiare anche la vita. E il braccio le faceva ancora un male cane. Aveva avuto solo una botta di fortuna: se quell'albero non fosse stato lì, probabilmente sarebbe stata ritrovata chissà dove e chissà quando, spiaccicata sull'asfalto. E, come se non bastasse, si sentiva infinitamente stanca.
'Aoko...' La voce dentro la sua testa aveva perso ogni nota di sarcasmo ed ironia. Viceversa, era piena di compassione e apprensione.
'Sta' un po' zitta, per piacere. Mi sta venendo il mal di testa.' Sebbene non stesse veramente parlando, il tono dei suoi pensieri era gelido e distaccato.
Arrivarono al bar del parco senza articolare sillaba. Ogni tanto, Aoko emetteva un gemito soffocato per improvvise fitte al braccio, ma Keiko si limitava a scoccarle degli sguardi preoccupati.
"Che gelato vuoi?" le domandò Keiko nel modo più allegro possibile.
"Penso che andrò sul tradizionale: un cono con vaniglia. Tu, invece?"
"Già lo sai" sogghignò. "Non posso separarmi dai miei amati cioccolato e nocciola." Detto ciò, presero i loro coni, pagarono e andarono a sedersi sulla panchina più vicina. 

Pertanto, Aoko cominciò a riferire l'accaduto. Espose tutto, senza omettere nessun particolare, e Keiko non la interruppe nemmeno una volta. Sembrava quasi un fiume in piena e, quando arrivò all'ultima parte, esso traboccò: scoppiò a piangere. Keiko -che, dapprincipio, aveva sbarrato gli occhi e poi si era portata una mano alla fronte corrugata mentre mangiava lentamente il gelato- la accolse nelle sue braccia. Pianse per ciò che le sembrò un'eternità, mentre l'amica le carezzava dolcemente i capelli. Non osò pronunciarsi: odiava vedere la migliore amica in quel modo e non voleva peggiorare la situazione.
Dopo un tempo che sembrò ad entrambe infinito, Aoko parlò: "Ti voglio bene". Soltanto tre parole, anche all'ordine del giorno, ma che colpirono in pieno l'amica. Nonostante fosse il momento meno adatto, Keiko azzardò a curvare gli angoli della bocca in un piccolo sorriso.
"Anch'io te ne voglio" le assicurò. "Ora, però, dobbiamo andare, Oko. Non sappiamo quando... questa cosa avrà di nuovo modo di manifestarsi. Devi dirlo a
tuo padre." Sospirò. "E dobbiamo vedere cosa ti sei fatta al braccio. Potrebbe essere una cosa seria!" Aoko si limitò ad annuire.

Si diressero a casa, ancora una volta, senza dire alcuna parola. Anziché aprire con le chiavi, la ragazza suonò il campanello. Era ovvio che le avesse, ma era talmente stanca che riusciva a malapena a reggersi in piedi. Quando l'ispettore aprì la porta, provò un tuffo al cuore: la figlia aveva gli occhi e le guance arrossate -segno inevitabile che avesse pianto- e sembrava decisamente provata.
"Aoko?" tentò l'uomo. Sperò con tutto il cuore che non si trattasse di quello, ma era ormai una certezza che non poteva essere rimediata.
"Ho bisogno di spiegazioni" rispose fredda lei. Dopo di ciò, le due ragazze si guardarono e, subito dopo, annuirono.
"Arrivederci, ispettore Nakamori" salutò educata Keiko. "A domani, Oko."
"Oko?" chiese Ginzo cercando -invano- di cambiare argomento. Se avesse parlato di tutto ciò che le aveva tenuto nascosto per anni, sarebbe scoppiato in lacrime.
"Un soprannome." Il tono di voce della ragazza si intenerì. "Papà, per favore. Ho già avuto modo di venire a conoscenza di una cosa in particolare: tu sai tutto. Sai com'è; tua figlia ha appena rischiato di morire per il semplice motivo che non conosce alcune cose." Tuttavia, nell'ultima frase la sua voce si impregnò di veleno e lei digrignò i denti.
"Aoko... vieni. Ti devo spiegare un paio di... mmh... cosette." Il padre fece entrare la ragazza in casa e, insieme, si accomodarono sul modesto divano del salotto.
"Ma guarda, non l'avrei mai detto" osservò la giovane sarcastica, ma decisamente in ritardo. Il padre fece finta di non aver sentito.
"Aoko, siediti comoda e stammi a sentire, perché sarà un lungo discorso. Ecco... non so da dove cominciare."
"Comincia e basta" lo incalzò la figlia.
"Bene. Da generazioni -secoli e secoli-, la tua famiglia tramanda un potere. È il potere dei viaggi nel tempo." Aoko lo fissò interdetta, ma non parlò. "In realtà, solo la linea femminile lo possiede. Non si sa bene il perché, ma sappiamo che ci sono anche viaggiatori maschi. E l'ultimo è proprio un tuo coetaneo, penso che tra poco si trasferirà nella tua scuola. Comunque, proseguiamo. L'origine di questo potere non è stato ancora identificato, ma si pensa possa essere una gemma. Per la precisione, una gemma per ogni viaggiatore." L'ispettore sospirò, vedendo che la figlia aveva sgranato gli occhi e aveva cominciato a tastarsi il petto e l'addome. "Naturalmente, ciò non significa che abbiate delle gemme incastonate nel corpo. La gemma si manifesta sotto forma di energia. Tuttavia, l'energia nel vostro corpo è soltanto una parte della gemma. Ma di questo parleremo più tardi. Ora, ovviamente, non farai più salti incontrollati. Vi è un oggetto che serve proprio voi, i viaggiatori nel tempo. Si chiama meridian. Ho avuto modo di vederlo solo una volta e... diciamo che non avevo proprio il tempo di esaminarlo attentamente. È un cubo -oddio, non esattamente. Ha un lato più bombato, come la custodia di un violino- poco più grande di una mia mano. Funziona a sangue." Ginzo sospirò nuovamente, dato che la ragazza aveva assunto un'espressione disgustata e aveva aggrottato la fronte. "Sì, bambina mia, proprio sangue. Non guardarmi così! Non serve mica un serbatoio, al massimo qualche goccia. Ebbene, continuiamo. Esso ti apre la possibilità di viaggiare quando vuoi, in che epoca preferisci e per il tempo che stabilisci. Questo oggetto si trova in mano a persone potentissime, appartenenti ad un'Organizzazione. La chiamano anche loggia, o setta, e le persone che lavorano in essa e per essa sono nominati con l'appellativo di Guardiani."
'Oh. Forse Lady Meiko accennava ai Guardiani, quando ha detto 'loro'.'
Un altro sospiro, stavolta più intenso e profondo dei precedenti, uscì dalle labbra del padre. "Anche tua madre era una viaggiatrice."
"La mamma?" chiese Aoko, sbigottita. "È così che è morta?"
"Ecco, in realtà..." Ginzo era irritato. Diciassette anni fa, non le aveva chiesto cosa avrebbe dovuto dire ad Aoko una volta maturata. Una lacrima bollente si fece largo nei suoi occhi. "Tua madre non è morta. Almeno spero. Questa è un'altra lunga storia, forse è meglio se..."
"Raccontamela" lo interruppe la ragazza, ormai con le lacrime agli occhi. Con tutto ciò che aveva pianto e che stava per piangere, avrebbe sicuramente svuotato il suo serbatoio personale di lacrime. E, di certo, avrebbe garantito l'irrigazione quotidiana di un campo africano per un mese.
"Io e tua madre ci nascondemmo in una vecchia casa di sua sorella a Kagoshima, nell'isola di Kyushu, al terzo mese della sua gravidanza. Esatto, portava in grembo te. Ma come, ti chiederai, dato che doveva saltare nel tempo? Ovviamente, non poteva permettersi di fare salti incontrollati. Quindi rubammo il meridian. O meglio, un meridian. Ce n'erano due, ma noi prendemmo quello con le gemme dei viaggiatori precedenti incastonate. Mi sembra scontato dire che non lo facemmo per ragioni economiche. Tua madre era fortemente convinta che il capo dell'Organizzazione -di cui, però, non si sa ancora il nome- avesse in mente qualcosa di malvagio da fare con quell'oggetto. Naturalmente, per i Guardiani erano solo fandonie dette da una traditrice. Il meridian nasconde, effetivamente, un segreto. Esso si svelerà quando le pietre di tutti i viaggiatori saranno presenti nell'oggetto. Ciononostante, non abbiamo mai saputo che segreto fosse, ma il cosiddetto 'capo' ha sempre fatto credere ai suoi seguaci che fosse una panacea per tutte le malattie e le ingiustizie. Tuttavia, tua madre venne in possesso di alcuni documenti che la portarono a formulare idee diverse. Mi spiace non potertele dire, ma non le conosco nemmeno io." Il suo tono di voce diveniva sempre più rotto e disperato a ogni parola. Lacrime silenziose rigavano il suo volto, così come quello della figlia. Lei, in tutto questo, voleva solo tapparsi le orecchie e ripetere fastidiosamente 'lalala'. Sapeva, però, che non era possibile. Doveva stare ad ascoltare, per quanto struggenti potessero essere le parole pronunciate dal padre. "Ha cercato di coinvolgermi il meno possibile per far sì che i Guardiani non avessero nulla da trarre da me. Tornando a noi. Restammo per circa sei mesi in quella casa, sotto le cure di mia cognata. È stata un grande aiuto per noi: ha sparso false tracce per tutta l'Asia; ci ha aiutati, in veste di medico, con la gravidanza di tua madre. Però, dopo quei sei mesi estenuanti, i Guardiani ci trovarono: tua madre fu costretta a viaggiare permanentemente nel passato con il meridian. Fu una delle cose più difficili che abbia mai fatto, lasciarla, intendo. E lasciarci fu una delle cose più difficili che lei abbia fatto, credimi. Tua madre è una persona molto forte. L'ho vista piangere una sola volta, e fu quella. È ovvio che non potesse tornare indietro. Così, ti ho cresciuto io e, come tua madre mi aveva consigliato, ti ho tenuto all'oscuro di tutto. Ti prego di perdonarci."
Entrambi erano scoppiati in un pianto silenzioso, come se volessero speculare il loro dolore sordo. Per Aoko era troppo. Sarebbe scoppiata. Non sapeva cosa dire, né cosa pensare. L'unico pensiero che le viaggiava in testa in quel momento era 'Perché a me?'. Dato che lei ne era momentaneamente incapace, il padre prese in mano la situazione: asciugò prima le lacrime della figlia e poi le sue.
"Aoko, non possiamo autocommiserarci, devo dirti ancora tante cose." La ragazza annuì lentamente, nonostante non fosse per niente sicura di voler ascoltare anche solo un'altra parola. Però doveva. "Bene" proseguì Ginzo, stavolta con voce più stabile e sicura. "Dove mi ero fermato? Oh, sì. Come ti ho appena detto, anche tua madre era una viaggiatrice. E la cosa risulta piuttosto strana: non tutte le tue antenate possedevano questo strano potere. Solitamente, passavano anni, se non secoli, prima che esso si manifestasse di nuovo. Mai era successo che una madre e una figlia possedessero entrambe l'energia. Tuttavia, quando tua madre ti prese in braccio per la prima volta, mi disse che percepì un forte potere. Non poteva sbagliarsi: era il dono -o la sfortuna, dipende da come lo si vede- dei viaggi nel tempo. Sostenne che fosse un potere addirittura superiore al suo."
'Aha. Ecco perché siamo saltate così indietro' osservò la vocina, la quale si era ammutolita per più di un'ora. Aoko non replicò.
"Ad ogni modo, ci sono diverse cose che dovresti fare adesso. Prima di tutto, dovrai rubare."
La giovane scattò in piedi, non sapendo lei stessa dove ne avesse trovato la forza. "RUBARE?" strillò. Si sedette nuovamente, ma la smorfia scontenta continuò ad abitare il suo viso. "Hai idea di cosa mi stai chiedendo, papà? Sei un ispettore di polizia!"
"Questo lo so" rassicurò con un tono che traboccava ironia. "Però non si parla di furti veri e propri." La sua voce abbandonò nuovamente la nota di sarcasmo che prima la presiedeva. "Dovrai solo constatare quale sia la tua gemma. O meglio, il pezzo mancante della tua gemma. Come ho detto prima, infatti, l'energia presente nel tuo corpo è solo una parte della gemma. La parte mancante è una pietra preziosa in forma solida, una di quelle sparse qui in Giappone. Mi sono sempre chiesto il motivo di quest'area ristretta, ma nessuno ha mai saputo darmi risposta. Ogni viaggiatore rappresenta ed è rappresentato da una gemma. Tu sei lo zaffiro, la dodicesima gemma, colei che chiude il cerchio. Sì, Aoko, sei l'ultima. Da come avrai ben capito, ci sono dodici viaggiatori: sei dalla linea maschile e sei dalla linea femminile. Tua madre era la decima, l'ametista. Come il colore dei suoi occhi..." L'ispettore scosse la testa, come se volesse dimenticare qualche brutto ricordo. Poi procedé: "È proprio per questo che dovrai diventare una ladra. La ladra Johanne. Esiste da parecchi secoli, ormai, e non è mai stata catturata. Tutto ciò lo farai per trovare il tuo zaffiro. Niente paura: ti accorgerai al primo tocco se quella che hai preso è la parte mancante. Tua madre non me lo ha spiegato bene, ma è come se... fossi completa. Nel vero senso della frase. Inoltre, aumenterà il tuo potere. Successivamente, però, dovrà essere posizionata nel meridian. Essa ti permetterà, dopo essere stata registrata dall'oggetto, di scegliere l'epoca in cui andare. Purtroppo, prima di aver trovato la tua pietra, non potrai stabilire né il secolo, né l'anno del viaggio. Ma non ti preoccupare: non potrai saltare più indietro dell'anno di nascita della loggia. Sarai sempre al sicuro. Naturalmente, non si può sapere di che dimensioni e che particolarità avrà la gemma, quindi il legno verrà intagliato apposta per la tua. Se così non fosse, allora non vi sarebbe alcun bisogno di Johanne." Ancora uno dei suoi profondi sospiri. "Hai capito tutto, tesoro?"
"Più o meno" rispose Aoko con voce stanca e assonnata. "Che mi dici della vocina nella mia testa, invece?"
'Aspetta, Aoko...'
Ginzo inclinò la testa di lato in un'espressione interrogativa. "Quale vocina?"
'Non è come pensi...'
"Ma come "quale vocina"?" obiettò la ragazza, interdetta.
'Sei l'unica con...'
"Non so davvero di cosa tu stia parlando, Aoko", replicò il padre. In tutto ciò, quella povera voce era stata interrotta per ben tre volte. Si stava davvero esasperando! "Forse è questa 'vocina' -come la chiami tu- il potere di cui parlava tua madre" mormorò più a se stesso che altro.
"Ne dubito", borbottò incomprensibilmente la giovane.
'Grazie, eh! Ora, se permettete, mi presento. Sono Johanne.'
"Johanne?" sbottò Aoko ad alta voce.
"Johanne?" ripeté il padre.
"Questa vocina mi dice di essere Johanne. Ma Johanne non è solo uno pseudonimo da ladra?" Schioccò la lingua e sospirò, contrariata. Era solo una perdita di tempo! L'unica cosa che volesse fare in quel momento era posare la testa sul cuscino e abbandonarsi ad un sonno tranquillo -per quanto tranquillo potesse essere dopo gli ultimi eventi.
"Ma certo!" La faccia dell'ispettore s'illuminò all'improvviso, come se avesse appena fatto la scoperta del secolo. "C'è una cosa che non ti ho detto: quando si mettono in atto i furti, entra in gioco una specie di seconda personalità. Naturalmente si è sempre se stessi, ma si ricevono consigli da una vocina -l'aveva chiamato così anche tua madre!-, ma per te deve essere diverso! Il tuo potere è molto forte, quindi probabilmente anche la presenza di Johanne deve essere più intensa. È logico!"
'Oh, guarda un po': c'è arrivato anche il babbo' ridacchiò Johanne.
"Capisco." In realtà, capiva ben poco.
"Bene, tesoro. Sono già le otto, suppongo che tu sia stanca. Domani non andrai a scuola: dobbiamo recarci alla sede dei Guardiani. Ci vorrà un po' prima di convincerli che tu sei veramente lo zaffiro." Si grattò distrattamente la guancia. "Vuoi mangiare o... ?"
"No!" lo interruppe lei. "Voglio andare a dormire."
Il padre scrollò le spalle. "Come preferisci." Si alzò e le diede un bacio sulla fronte, proprio come aveva fatto qualche ora prima la sua ava. "Buonanotte, tesoro."
"Buonanotte, papà."
Salì le scale barcollando e, appena arrivata in camera, si svestì velocemente, per poi indossare il grazioso pigiama color celeste chiaro con un coniglietto rosa disegnato al centro del pezzo superiore. Si buttò sul letto come un sacco di patate e s'infilò sotto le coperte, coprendosi fino al mento e rannicchiandosi in posizione fetale.
'Buonanotte, Aoko.'
'Buonanotte, Johanne.'



E buonanotte anche a me! Davvero, ho scritto questo capitolo in UN GIORNO e avevo il cervello che fumava. Vi dico solo che ho fatto il mega monologo alle due di notte, tanto per intenderci.
Comunque ho deciso che non pubblicherò ogni settimana (tanto non l'ho mai fatto), ma ogni qualvolta abbia un capitolo di riserva già pronto. Così, se mi dovessi bloccare (e mi succederà di certo), non lascerò un margine di tempo troppo lungo tra un capitolo e l'altro.
Ma lasciamo stare queste paranoie inutili e passiamo al capitolo! Vi piace? Vi fa schifo? Ci sono errori? So che risulta un po' noioso, ma, ehi, dovevo spiegare tutto sia a voi che ad Aoko! Se vi va, lasciate una recensione e fate felice una (pseudo)scrittrice! x'D
Be', alla prossima ;D

Baci,
Shizuha

 

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Capitolo 5
*** Confusione ***


Aoko dormiva tranquilla sul proprio letto, coperta da un lenzuolo e una trapunta arancione, nella stessa posizione in cui si era addormentata la sera prima. Purtroppo, però, qualcosa disturbò il suo quieto sonno...
'Aoko! Svegliati, dobbiamo andare!' strillò veemente Johanne nella testa della giovane.
"Mhmm" fu l'unica cosa che riuscì a pronunciare la ragazza, ancora in stato di dormiveglia.
'Dato che la tua sveglia non funziona, da ora in poi ti sveglierò io personalmente' declamò fiera mentre Aoko premeva il viso contro il guanciale, come se volesse metter fine ad un irritante mal di testa. 'È tardi, devi alzarti! Certo, a meno che tu non voglia fare un altro viaggio incontrollato...'
"Mmmh... Viaggio..." mormorò la giovane, ma le parole uscirono distorte per via della pressione sul cuscino, rendendole incomprensibili.
'Aoko! Santo cielo, non sei mica andata in letargo! Be', in questo caso, posso canticchiarti il motivetto che la tua trisavola intonava per far svegliare la tua nonnina...'
La ragazza balzò in piedi come un felino, sbraitando: "Non ti preoccupare, posso farcela da sola!" Johanne scoppiò a ridere.
'È strano che tu non sia ancora svenuta, piccola. Non sei sconvolta?'
Aoko alzò gli occhi al cielo, lasciandosi cadere ai margini del materasso, poggiando i gomiti sulle gambe e sostenendo il capo con le mani. "È ovvio che lo sia" ammise affondando il volto nei palmi. "Ma è inutile pensarci ancora. Ho la sfortuna di avere questa... cosa e non posso farci nulla. Sono solo scossa." Sospirò. "Non saresti sconvolta anche tu dopo aver sentito queste cose? Oh, ma che dico: vivi da un millennio nella testa delle mie antenate e hai sempre saputo tutto." Nell'ultima frase la sua voce s'impregnò di freddezza e digrignò i denti. Alzò il viso, spostando le mani dalla loro precedente posizione e collocandole accanto ai propri fianchi, sul letto.
'Ehi, guarda che sono stata umana anch'io!' si difese lei. 'E non sono millenaria! Ho solo... poco meno di mezzo millennio.'
"Ah, sì? Allora dimmi un po': come ti chiamavi? Come saresti diventata una... voce nei corpi delle Kouno?"
'Non lo so.' Ora fu lei a rispondere con freddezza. Era vero; non lo sapeva. Aveva solo un ricordo vago della sua vita terrestre, prima di essere stata inglobata nel corpo della prima viaggiatrice della linea femminile. Erano secoli, ormai, che cercava di comprendere e svelare la verità dietro la sua misteriosa scomparsa, invano. E ora aveva poco più di cinquant'anni per riuscire a disfare quell'intricata matassa. Ma sapeva -lo sentiva- che quella volta ce l'avrebbe fatta. Sapeva che Aoko era quella giusta: le si era già affezionata; le voleva già bene; sentiva di poter fare di tutto accanto a lei. O meglio, dentro di lei.
"Oh. Bene, farò meglio a prepararmi."
Si alzò dal letto con flemma, barcollando un po' prima di raggiungere uno stato di stabilità sui propri piedi. Gettò uno sguardo all'orologio: 7:38. Aveva dormito davvero tanto, rasentando le dodici ore di sonno. Nonostante ciò, non si sentiva per niente riposata né lucida. Al contrario, aveva una gran confusione irremovibile nella sua mente. Si sentiva come se stessero cercando di costruire un villaggio, il quale, però, doveva contenere l'intera popolazione della Terra. Troppe informazioni, troppe emozioni assimilate in un solo giorno, in un solo cervello. Il cervello di una diciassettenne, tra l'altro, che di problemi ne aveva già abbastanza. Poteva non sembrare, ma, in realtà, voleva buttarsi sul proprio materasso, far sprofondare il capo nel cuscino e lasciarsi andare ad un pianto liberatorio. Tuttavia, voleva, allo stesso tempo, chiudere quella faccenda al più presto possibile. Ciò che più la disgustava era l'argomento sui furti da compiere come Johanne, la ladra immortale. Non era nella sua natura. Viceversa, odiava chiunque andasse contro la legge! Proprio come quel ladro che tanto disprezzava, ma che ammirava per i suoi incantevoli trucchi di magia, si sarebbe ritrovata ad estorcere pietre preziose per poi, probabilmente, renderle nuovamente. Somigliare ad un personaggio che tanto sdegnava, le riempiva la bocca di amarezza, facendole storcere il naso: un motivo in più chiudere ancor più celermente quella questione. 
'Non ti devi preoccupare; ti aiuterò io nei furti.'
"Eh?" La ragazza agitò leggermente il capo, vagando con gli occhi in cerca del possessore di quella voce: non si era ancora abituata alla presenza di Johanne nella propria testa.
'Proprio così. Prenderò io il sopravvento nelle tue rapine. Penso che dovremmo rubare qualcosa stasera stessa.'
"Starai scherzando, spero." Scrollò intensamente la testa. "Io, stasera, voglio soltanto prendere una tazza di tè caldo e leggere un libro."
'Ma non volevi chiudere la faccenda al più presto possibile?'
Aoko sbarrò gli occhi: non si ricordava di averle mai detto una cosa del genere. "E tu come fai a saper..."
"AOKO! Sei già sveglia, tesoro?" le giunse la voce di suo padre, probabilmente ancora nella sua stanza. 
"SÌ" urlò di rimando lei. Sentì dei passi avvicinare la porta della camera, quando quest'ultima si aprì.
"Ti va di fare colazione al bar?" le chiese allegro l'uomo. "All'occidentale va bene, no?"
"Certo, papà" asserì la giovane.
"Perfetto! Allora forza, va' a prepararti!" Si avvicinò e posò un bacio tra i capelli della figlia, prendendo il suo capo fra le mani. "Sarà una giornata dura per entrambi" decretò, spostando le mani dal viso alle spalle di Aoko, fissando i suoi occhi in quelli della ragazza.
La piccola viaggiatrice annuì. "Lo so. C-c'è qualcosa di... mmmh... particolare che devo portare?"
"No, tesoro" negò con una leggera scrollata di capo. "Ti daranno e spiegheranno tutto loro."
"Oh, ok."
L'ispettore baciò un'altra volta la fronte della amata figlia, per poi farla dirigere in bagno.
 

Aoko era entrata nella doccia ancora un po' assonnata e parecchio confusa. 
"Cosa succede se non viaggio con il miran?" chiese, all'improvviso, a nessuno in particolare, mentre si massaggiava le spalle cosparse di bagnoschiuma.
Johanne, assumendo che la domanda fosse per lei, rispose: 'Prima di tutto: non si chiama "miran", ma meridian'. Sogghignò un po'. 'Secondo: nulla di speciale: ti ritroveresti a saltare incontrollabilmente per almeno cinque volte al giorno -visto il tuo potere-, rischiando di fare la fine che ieri hai evitato.' La ragazza rabbrividì al solo pensiero. 
"Oh. Incoraggiante." Fece un risolino isterico. "Ma con il meridian - giusto? - non saprei comunque dove salterò... uhm... Quando salterò."
Benché la giovane non potesse vedere la posseditrice della voce - la vera personalità della ladra Johanne -, la immaginò alzare gli occhi al cielo. 'Come ha già detto tuo padre, non salterai più indietro dell'anno di nascita della loggia' spiegò. 'Comunque, a parte tutto questo argomento... Come va il braccio?'
"Uh?" Lanciò un breve occhiata alla spalla e poi all'avambraccio. "Oh. Bene, credo. Forse è uno stiramento. Ah, Johanne, volevo chiederti una cosa: ieri non ti sentivi, uhm, osservata?"
'Certo, anche se direi più spiata, che osservata. Ecco, quello che volevo dirti prima, quando siamo state interrotte, è che io... riesco a percepire ogni tuo pensiero.'
"EH?" urlò Aoko, rischiando di farsi cadere il tubo flessibile della doccia sul piede. "E me lo dici con tanta leggerezza?" Assunse un'espressione contrariata, come quando, al mattino, ci si ritrova con due bollette della luce, una del gas e l'altra dell'acqua nel cassettino della posta. Insomma, una sensazione poco piacevole. "Allora perché mi hai chiesto se fossi sconvolta, se lo sapevi già, Mrs Ohpossoleggertinelpensiero?"
'Per intavolare una discussione' ammise l'altra, come se fosse la cosa più scontata al mondo. 'Lì, su due piedi, non sapevo di che argomento parlare.'
"Certo, come no!" ribatté inviperita. "Ci sono altre diecimila cose di cui potremmo parlare, e tu mi vai a chiedere come mi senta!" Sbuffò sonoramente. "Sei proprio assurda."
'Concordo' asserì la ladra con una nota ironica nella voce. 'D'altronde, se vivo nel tuo corpo ci sarà un motivo, no?' Sghignazzò di gusto, come se fosse la cosa più penosa al mondo.
Aoko si sentì fremere dall'irritazione. Poi chiuse gli occhi sotto il caldo getto d'acqua, inspirò ed espirò lentamente, per infine riaprire le palpebre con apparente pacatezza. "Hai ragione" le concesse. "Ti ripagherò con la stessa moneta, credimi."
'Sai, dovresti avere questo atteggiamento anche col tuo... amichetto.' Non era difficile scorgere una nota di malizia nel tono di voce di Johanne, e, naturalmente, Aoko la colse. Capì anche a chi alludeva la ladra, assumendo un colore vermiglio su tutto il viso.
"TU!" tuonò la povera ragazza. "Tu! Io..." Grugnì fragorosamente, ripose con violenza il tubo che le permetteva di direzionare l'acqua in ogni parte del corpo, aprì il box doccia e prese l'asciugamani, per poi avvogerlo attorno al seno. Una volta entrata nella propria camera, si chiuse con impeto - avrebbe potuto far concorrenza a quello delle anziane che denunciano per disturbo della quiete pubblica - la porta alle spalle, raggiungendo a grandi falcate il letto e buttandosi su di esso senza ritegno.
'Ehi, ehi! Non c'è bisogno di scaldarsi tanto! Sai che conosco i tuoi...'
"Non mi piace Kaito!" decretò furiosamente, cercando di convincere più se stessa che altro.
'Oh, ma io non ho parlato né di piacere né di Kaito' continuò a stuzzicarla. Aoko immaginò ancora una volta la donna; stavolta, però, con un sorriso malizioso e compiaciuto ad illuminarle il viso. Grugnì nuovamente, inabissando - per la seconda volta in quella giornata - il volto nel guanciale. 'Tesoro, è inutile negare i tuoi sentimenti a me. Ti conosco meglio di quanto tu possa già farlo.' Il tono s'addolcì, ma la nota maliziosa non abbandonò totalmente la sua voce.
"Tanto è uno stronzo e non ricambia."
'Oh, e chi ti ha detto che non ricambia?'
"Andiamo, ma l'hai visto?" obiettò la ragazza. "Non mi rivolge mai la parola e, quando lo fa, mi prende sempre in..."
'Shhh' la zittì la ladra, sebbene avesse una voce estremamente dolce e comprensiva, come quella di una madre. 'So cosa pensi. E, purtroppo, devo darti ragione. Ma pensaci, potrebbe avere qualche problema personale.'
"Me l'avrebbe già detto. No, lo escludo." Sospirò con fare drammatico. "Secondo me, si è trovato una ragazza in quei suoi show di magia."
'Ma ha occhi solo per te!' replicò la donna. 'Sei davvero cieca se non riesci a vederlo. Ieri è rimasto paralizzato per ben tre volte!'
Aoko si mise a sedere e si strinse nelle spalle. "Sarà, ma solo perché gliene ho dette quattro." Si alzò dal letto, prendendo la biancheria intima dal cassetto e indossandola.
'Per me - quando ti sei girata - ti guardava il sedere.'
Il colore scarlatto, che aveva abbandonato da qualche minuto il viso di Aoko, cominciò a riprenderne possesso. Decise, però, di replicare con tranquillità: "Ah, sì? Tu come lo hai capito? Ciò che vedi tu lo vedo anche io."
'L'ho percepito' rispose orgogliosa Johanne. La ragazza dovette trattenersi a stento dallo scoppiare a ridere. Intanto, aveva cominciato -come suo solito- ad aprire ogni anta e ogni cassetto dell'armadio per trovare dei vestiti adatti.
"Oh, ora sei anche una sensitiva!" sghignazzò lei.
'Hai qualche problema?' chiese la ladra simulando una voce offesa. 'Oh, ci sono! Quel ragazzo - l'ultimo della linea maschile - ha diciassette anni, proprio come te! È un'occasione per toglierti quel mago da strapazzo dalla testa.' Sospirò in modo melodrammatico. 'Lo sogni anche la notte!'
Le gote della ragazza divennero - se possibile - ancora più vermiglie. "Davvero?" sussurrò, come se lei stessa stentasse a crederci.
'Certo, piccola! Ti mentirei mai su faccende così serie?' Ridacchiò un po'.
"Finiscila!" esclamò irritata mentre indossava un lungo maglione bianco di cotone. "Invece, veniamo a te: so che sei millenaria e tutte quelle cose, ma... non hai mai avuto una cotta?"
'Te lo ripeto: non sono millenaria!' contrastò la donna contrariata. 'E poi, be', c'è quel ladro... Come lo chiamano? Il ladro dalle ali d'argento!'
"Oh, no! Ti prego, non anche tu!"
'Ehi, lo conosco da vent'anni, ormai! Tua madre lo adorava, anche se il tuo babbo...'
"Mio padre gli dà la caccia e a te piace? Mio Dio, anche le millenarie hanno pessimi gusti!" Prese degli stivaletti - neri, bassi e semplici -, li indossò e vi infilò dentro l'ultima parte di stoffa dei jeans celesti. Afferrò dalla sedia davanti alla scrivania la borsetta del giorno prima, mettendola a tracolla. 
'Ma ci vedi?'
"Fin troppo bene" replicò, avviandosi verso il piano di sotto. Frugò un po' nella borsa, finché trovò ciò che stava cercando: il cellulare. Storse un po' il naso e assunse un'espressione compunta alla vista della chiamata persa di Kaito. Erano le 8:00 passate, ormai; la scuola doveva essere iniziata. Era pur vero che i due amici avevano l'abitudine di andarci assieme, ma cosa si aspettava dopo la litigata di ieri? Dopo aver riflettuto un po', si chiese se, la sera prima - in seguito al grande monologo del padre -, fosse venuto a mangiare insieme all'ispettore. Cosa gli aveva detto Ginzo? Il ragazzo aveva chiesto di lei? Johanne, alla fine, aveva ragione: quel ragazzo si stava impadronendo dei suoi pensieri. Si sentì persino colpevole, ricordando che non gli aveva portato la colazione quella mattina. Sperò vivamente che ci avesse pensato il padre.
Si destò dai suoi pensieri: vi erano anche due chiamate perse e un messaggio di Keiko: "Quando puoi raccontami tutto ;D". Aveva dimenticato di chiamarla! C'era anche da aspettarselo, dato che era davvero sfinita. Decise, quindi, di mandarle - a sua volta - un messaggio.
"Appena finisco una faccenda ti chiamo!" digitò sul touchscreen. Rimise il cellulare dentro la vezzosa borsetta bianca, raggiungendo il salotto: suo padre era sull'uscio ad aspettarla.
"Tutto bene? Ti ho sentito urlare e ora hai la faccia rossa."
"Qualche... mmmh... discussione con Johanne." Si grattò distrattamente il polso dietro la schiena, evitando lo sguardo di suo padre. La suddetta, invece, sogghignò con soddisfazione.
"Oh, capisco." Sorrise leggermente. "Se volessi saperlo, ho portato io la colazione a Kaito."
La ragazza sgranò gli occhi, sbigottita. 'Ma, in questa famiglia, c'è qualcuno che non mi sappia leggere nel pensiero?'
'Tu' ridacchiò la ladra.
"E ieri ha chiesto di te" proseguì il padre. Il cuore di Aoko si liberò di un peso e gli angoli delle fini labbra della ragazza si curvarono un po', creando un inconsapevole sorriso. "Non gli ho detto nulla sui viaggi, ovviamente. Gli ho detto che non sei stata bene e che stavi dormendo." Il sorriso dell'uomo si allargò, mostrando i denti bianchi e allineati. "È salito nella tua stanza e se n'è andato dopo mezz'ora." Il cuore della ragazza stava per esplodere dalla gioia. Invece, il suo viso divenne ancora più rosso.
'Calma i bollenti spiriti, tesorino! Scommetto che si potrebbero cuocere delle uova sulla tua faccia, in questo momento.' Johanne scoppiò in una fragorosa risata. A quanto sembrava, prendere in giro la sua povera ospite la divertiva alquanto.
"A-ah. Va bene" balbettò, tenendo lo sguardo fermo sui suoi piedi. "Vogliamo andare?"
"Certo." Il sorriso si affievolì, ma non lasciò il volto dell'ispettore.
 

"Allora? Dove si trova questa setta?"
"Non farti strane idee! Non bevono mica il sangue dai teschi. Odiano essere chiamati 'setta'" disse Ginzo. "Comunque, alla torre dell'orologio."
"Alla torre dell'orologio?" fece eco la ragazza, interdetta. Quel luogo era uno dei più importanti, per lei: lì era avvenuto il suo primo incontro con Kaito.
L'ispettore, alla guida della propria macchina, si limitò ad annuire, tenendo lo sguardo fisso sulla strada. Stringeva il volante in modo quasi violento, facendo diventare le nocche delle sue dita bianche. Aveva un'espressione seria, le labbra contratte in una strana smorfia: era preoccupato. Quella vicenda lo allarmava, lo rendeva ansioso. Aveva il timore di lasciare la propria figlia in mani così potenti. Del resto, però, i viaggi incontrollati erano altrettanto pericolosi: al salto iniziatico Aoko aveva rischiato di morire. Se non fosse stata così intrepida, probabilmente in quel momento non sarebbe stata accanto a lui, seduta sul sedile anteriore della macchina. Quel pensiero lo paventava ancor di più.
"Più precisamente, nei sotterranei della torre dell'orologio" aggiunse poi.
"S-sotterranei?" mormorò lei, costernata. Già immaginava l'ambiente: interminabili corridoi e innumerevoli stanze pullulanti di topi e chissà quali altri animali; i Guardiani riuniti attorno ad un lungo tavolo e incappucciati, articolando formule magiche ed espressioni raccapriccianti e orrifiche.
Johanne, percependo la corrente di quei pensieri, sogghignò. 'Non ti preoccupare, non ti offriranno come sacrificio: preferiscono i neonati.'
La ragazza trasalì, deglutendo: si sentiva un enorme sasso bloccato in gola.
'Stavo scherzando, coniglietta!' La ladra, avvertendo la smorfia d'irritazione sul viso di Aoko, scoppiò a ridere.
'Oh, ma quanto sei divertente!' osservò sarcastica. 'Ti stai proprio godendo questa mattinata, eh?'
'Puoi scommeterci.'
Aoko si limitò a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo, attirando un'occhiata curiosa del padre.
 

"Eccoci."
Dal dialogo circa la posizione della loggia, nessuno proferì parola. Nemmeno Johanne. Era passato un quarto d'ora, e il tempo aveva solo fatto aumentare la tensione dell'ispettore. Ora che erano arrivati, il cuore batteva nella trachea del poliziotto, rendendogli impossibile pronunciare più di una parola senza strozzarsi.
"Papà?" Aoko aveva aperto lo sportello della macchina, esitando a scendere e cercando conforto e sicurezza negli occhi del padre -il quale stava apparentemente quieto davanti a lei, aspettandola. Gli occhi della ragazza si fissarono nello sguardo dell'uomo: non trovarono sicurezza, né conforto; solo una grande paura. Scese comunque, provando a rintracciare la mano di Ginzo. La prese e la strizzò, come se fosse uno dei tanti giocattoli anti-stress. L'ispettore non protestò. Poteva sembrare strano vedere una diciassettenne stringere la mano del proprio padre, ma la giovane non vi badò. Al contrario, era felice: le sembrava quasi un'utopia stare con suo padre per tutta la mattina.
Camminarono fino all'entrata: un portone alto circa 3 m era inserito nella mastodontica ed imponente struttura della torre.
"Lo ricordo" disse d'un tratto Aoko.
"Uh?"
"Ricordo di quando siamo venuti qui. Avevo quattro anni."
"Oh, sì. Hai incontrato qui Kaito per la prima volta." Sorrise suo malgrado. Era iperprotettivo con la figlia, ma quel ragazzo gli faceva particolarmente simpatia. Era un bravo ragazzo: stava con lei quando per il padre non era possibile; quando erano piccoli, proponeva sempre di giocare insieme a lei; anche in quel momento - da ragazzo liceale -, si prendeva cura di sua figlia. E l'accaduto del giorno prima ne era una prova. Le era sempre stato accanto, in ogni situazione. Ginzo gliene era davvero grato.
Anche sul volto della ragazza si fece strada un piccolo sorriso. Era stato davvero magico, quell'incontro. Nel vero senso della frase. Aoko, a quel ricordo, non poteva reprimere un sorriso. Gli voleva davvero bene. In quel periodo, però, si era spesso posta la stessa domanda: "Ma lui ricambia?" Non parlava della cotta, ma del solo e puro sentimento d'amicizia. E il titubare della risposta le provocava sempre una fitta al cuore.
"Lavoro..." mormorò, ragionando ad alta voce. "Era questo il tuo lavoro?"
Lui le lanciò un'occhiata che la giovane non riuscì ad interpretare del tutto, tuttavia aveva potuto leggervi un "sì".
"Esatto" confermò poi lui, seppur in modo superfluo. "Ora andiamo."
Aprirono l'enorme portone che si ergeva dinanzi a loro, avendo la sensazione di star aprendo le porte dell'Inferno. Appena misero piede nell'edificio, furono accolti da una folata d'aria gelida.
"Salve" li salutò una voce maschile. "Cosa posso fare per voi?" Era il portiere della torre, una specie di segretario. Indossava un maglione grigio e dei semplici jeans; non doveva essere troppo importante, dedusse Aoko.
"Ci porti dai Guardiani. La loggia della doppia Kappa."
'Doppia Kappa?' si chiese la giovane. 'Non me ne avevate parlato! Che significa?'
'Non si sa' ridacchiò Johanne.
'Sii seria, per una volta' l'ammonì la viaggiatrice.
Il portiere - così lo aveva nominato Aoko - sobbalzò. "S-subito, signore" disse con voce tremante e guidando padre e figlia in lungo corridoio.
'Oh, ma io sono serissima!' Sogghignò per qualche altro secondo, per poi smettere all'improvviso, assumendo una sfumatura seria nel tono di voce. 'Ad essere sinceri, potrebbe significare anche "siamo degli idioti" in arabo e a quelli non fregherebbe nulla.'
'Ti dispiacerebbe spiegarti meglio?' domandò la giovane, irritata, mentre camminava e si guardava attorno: stavano percorrendo un corridoio macabro, piuttosto buio e spoglio. A parte la polvere, naturalmente.
'Gliel'ha dato quel presuntuoso del capo. Fanno tutto ciò che dice.'
'Lo incontrerò?'
'Assolutamente no!' replicò con tono teatrale, imitando una voce sconosciuta al cervello della giovane. 'Tutti gli scambi di lettere dovranno avvenire tramite un fattorino! Nessun viaggiatore deve incontrarlo!' Sbuffò sonoramente. 'Capisci? Si fidano di un perfetto sconosciuto! Questo perché gli dice che il segreto salverà l'umanità. Pff!'
'Nessuno l'ha mai conosciuto? Potrebbe anche essere un criminale! Un assassino, forse!' Aoko era sgomenta. Come assecondare un estraneo così ciecamente? Forse, pensò, sua madre aveva ragione.
'Nessuno. Se si escludono i primi membri dell'Organizzazione, nessuno l'ha mai visto e nessuno ha mai sentito la sua voce. Si fondano su avvenimenti accaduti nel 1700, mentre noi siamo nel 2015. Avvenimenti vecchi quasi quanto me, assurdo!'
'Mi stai dicendo che posso andare nel 1700? Manco morta!' Aveva un mix di emozioni che ballavano la gavotte nel suo stomaco, provocando caos e nausea. Provava rabbia, incredulità, panico e, come se non bastasse, le veniva da vomitare. 'Stiamo parlando di tre secoli!'
Intanto, il portiere, l'ispettore e la giovane viaggiatrice proseguivano, notando che a pochi metri da loro si levava una grande porta. Era di circa 20 cm più bassa rispetto a quella dell'ingresso, ma sembrava avere un aspetto importante: era decorata con diversi intagli con motivi naturali e floreali; il pomello, invece, rappresentava la testa di un leone e sembrava esser fatto di oro puro.
'Lo so, bambina mia, lo so.' La voce della ladra assunse un tono compassionevole. 'Ma non ti preoccupare: dovrai restare in una stanza -sarà sempre illuminata- per non più di tre ore.'
'Divertente' commentò la ragazza, ironica. 
Raggiunsero la porta e il portiere, esitante, poggiò la mano sul pomello, ma poi lo lasciò di scatto, come se scottasse. Prese un guanto dalla tasca e cominciò ad indossarlo, seppur con difficoltà, dovendosi aiutare con la bocca e i denti. Padre e figlia, nel frattempo, stavano dietro di lui, trepidanti.
'Però hai me!' trillò contenta la donna.
"Sai che consolazione" borbottò la giovane incomprensibilmente, guadagnandosi un nuovo sguardo attento dal padre.
Frattanto, l'uomo riuscì ad infilare il guanto. Nonostante indugiasse ancora, fece scivolare la mano protetta dal guanto sul pomello, aprendo la singolare porta. Aoko rimase delusa nel vedere una piccola sala d'attesa con una postazione da segretario. Si aspettava qualcosa di lugubre e spento. Quella stanza, invece, così luminosa e pulita, assomigliava alle tipiche sale d'attesa degli ospedali: una decina di sedie riposte parallelamente ai lati più lunghi della sala e una scrivania non più estesa di un metro e mezzo, con un vetro divisorio collocato sopra di essa. Un uomo - sulla sessantina - con un viso allungato e il naso adunco protese il capo dalla scrivania posta al lato della porta, alzandosi. Lui sembrava davvero un segretario: occhiali tondi - oggetti che spesso conferiscono un'aria intellettuale -; smoking grigio con camicia bianca; portamento innaturalmente e forzatamente eretto, quasi comparabile a quello della cognata della quintisava della viaggiatrice. Si piazzò davanti sull'uscio, facendo un piccolo inchino.
"Signor Nakamori, che piacere. A cosa dobbiamo questa visita?" Squadrò la ragazza, la quale, nel frattempo, lo fissava nel modo più dignitoso possibile, cercando di non risultare ridicola - il che non le risultava molto facile, avendo conati di vomito che le risalivano la gola ogni due minuti. "E chi è la signorina accanto a lei, se posso permettermi?"
Il portiere si guardò attorno nervosamente, per poi decretare con voce tremante: "Mi v-vogliate scusare". Sparì nel lungo ed anonimo corridoio, allontanandosi a grandi falcate.
'Oh, adesso arriva il bello!' sgignazzò Johanne. Aoko tacque anche nei suoi pensieri.
"Lei è lo zaffiro. Ed è mia figlia."






Angolo autrice
E ci sono arrivata anche con questo, yeee! Vi giuro che questo è stato il capitolo - almeno per ora - più divertente da scrivere: ho adorato far comportare la nostra Oko in quel modo. E amo Johanne! Mentre scrivevo la parte "AdAokopiacetantotantotantoKaito" stavo ridendo come un'ebete x'D
Già che ci sono, mi scuso per il nome del capitolo, ma sono una frana con i titoli ç.ç
Allora? Che ne dite? Che ve ne pare del segretario? Ok, basta, non è un interrogatorio (e per fortuna, direi).
Vorrei ringraziare Shinichi e Ran amore per le continue e bellissime recensioni che scrive ad ogni capitolo! 

Se avete tempo, se avete qualcosa da dirmi/consigliarmi, o tutte queste cose qua (la pigrizia, capitemi) lasciate una recensione! ;)
Alla prossima xD

Baci,
Shizuha

 

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Capitolo 6
*** Panico da palcoscenico ***


"Oh. Si è per caso risposato?" chiese il segretario, ridendo piano. Poi, l'espressione seria si ripresentò, facendogli corrugare le sottili labbra. Squadrò ancora un volta Aoko, che ricambiava il suo sguardo nel modo più altezzoso possibile. "Lo zaffiro? Cos'è, un scherzo?"
"Non mi sono risposato." Il suo tono di voce perse ogni cortesia, diventando gelido. Anche il suo sguardo era divenuto tagliente, quasi offensivo e violento. "Lei è la figlia di Yume Kouno, la decima prescelta: Aoko Nakamori, lo zaffiro."
L'uomo scoppiò in un'amara risata, provocando un lampo di stupore negli occhi della ragazza: non si immaginava che delle persone così discrete potessero addirittura scoppiare a ridere. "Ha fatto tornare la traditrice da un'altra epoca, ispettore?" chiese ironicamente tra le risate che gli scuotevano le spalle. "Oppure è andato direttamente da lei?"
"Lei è nata prima che Yume se ne andasse. Due giorni prima, precisamente."
Il segretario mise improvvisamente fine alle sue risa, alzando gli occhiali di fine montatura con l'indice della mano sinistra. "Se lei sta dicendo la verità, ci deve molte spiegazioni. In caso contrario, è pregato di andarsene subito."
"Bene, allora ci faccia entrare, signor Tamura."
'Sono tutti così inquietanti?' domandò la giovane a Johanne, sbigottita.
'Oh, figurati. Lui è solo il segretario.'
Il signor Tamura - così lo aveva chiamato Ginzo - fece spazio all'ispettore e alla viaggiatrice, facendoli accomodare nella sala. Si diresse nuovamente alla sua postazione, digitando alcuni numeri in un telefono fisso. Aoko, però, non poteva vederli senza allungare il collo e protendere il viso verso la scrivania, così decise di restare immobile al centro della stanza, insieme al padre. L'uomo borbottò qualcosa di incomprensibile per la ragazza, ma riuscì a cogliere le parole "zaffiro" e "millantatori". La giovane si chiese se li stesse davvero definendo come dei megalomani, pensando che stessero solo dissimulando per attirare l'attenzione. L'attenzione di chi, poi? Di una potentissima Organizzazione segreta? Come se a loro interessasse una cosa così futile!
Tuttavia, dopo aver parlato con un ricevitore sconusciuto, frustato, mormorò: "Venite. Ho l'ordine di portarvi nella Sala Magna".
La viaggiatrice rivolse uno sguardo interrogatorio al padre, ma lui si limitò ad annuire, offrendole un sorriso insicuro e vacillante.
Il segretario si abbassò a tastare diverse mattonelle di marmo del pavimento, quando una si abbassò improvvisamente: si aprì un varco tra i mattoni, lasciando intravedere una lunga scala di legno, protendente verso il basso. Aoko era meravigliata, confusa e sgomenta. Le sembrava di appartenere ad un film, uno dei tanti con tutti quei passaggi segreti che percorrono tutti i sotterranei della città soprastante. Ginzo, viceversa, sembrava stare ancor peggio di prima: aveva le mani chiuse in due pugni, le dita intente a conficcare inconsciamente le unghie nella carne dei palmi; le labbra erano contratte in una smorfia di ansia e preoccupazione; si muoveva nervosamente, passando il proprio peso da un piede all'altro.
"Samizu Kichiemon ha partecipato alla restaurazione della sede: tutti i congegni qui presenti sono stati ideati e realizzati da lui" informò con una sfumatura di orgoglio nella voce, come se stesse parlando del proprio bambino.
La più piccola, però, non sapeva chi fosse quell'ingegnere sopracitato.
La ladra, avvertendo l'ignoranza della sua ospite in quel campo, intervenne. 'Era un nonnetto a cui piaceva ingannare le persone con i propri giochetti' le riferì. 'Per tua fortuna è vissuto 150 anni fa.'
'Oh. A quanto pare, questa loggia segreta non è così segreta.'
Nel frattempo, il signor Tamura aveva cominciato a scendere i gradini. Il padre della ragazza lo seguì, ma si fermò sulla soglia. "Aoko, vieni?"
'Solo tra le persone più potenti' la corresse lei. 'È possibile che, da un giorno all'altro, ci troviamo davanti la Merkel che impreca in tedesco.'
"Arrivo!" Gli stette dietro, mentre percorrevano quell'interminabile e polverosa scala. L'elegante segretario - il quale presiedeva la breve fila - aveva con sé una lampada a LED, per illuminare modestamente quello stretto corridoio.
'Anna Merkel è il primo ministro tedesco, giusto?'
'Angela Merkel. Cosa studiate in geografia? Come si bacia in dieci nazioni diverse?' la schernì. 'Tu, di certo, fai coppia con Kaito.' Sogghignò.
Aoko sbuffò, incrociando le braccia al petto. Il più anziano l'osservò di sottecchi, pensando fosse pazza; il padre, invece, le scoccò un'occhiata divertita, intuendo che stesse parlando con Johanne.
Arrivarono al termine della scala: si allungava un altro esteso andito. La ragazza notò, però, che questo era abbastanza largo per contenere vetrine e armadietti. All'interno di essi vi erano documenti, boccette con liquidi sconosciuti e libri. Circa ogni dieci metri, scendevano dal soffitto preziosi lampadari di cristallo che illuminavano il passaggio. Quest'ultimo, a differenza della scala, era pulito e luminoso, benché non ci fossero finestre. Al posto di esse, le lunghe pareti di legno d'ebano erano ricoperte da quadri e da attestati scritti in lingua occidentale. Anche il solo corridoio, pensò la giovane, valeva quanto una casa. L'atmosfera, seppur si trovassero in un luogo così ristretto, era piacevole: le costose pareti e il pavimento composti in pregiato legno ricavato dall'albero di ebano erano illuminati dalla luce calda diffusa dai lampadari; l'aria, nonostante fosse un corridoio senza aperture, aveva un leggero aroma di cannella ed era perfettamente respirabile.
Camminarono fino ad un bivio: proseguirono in avanti, ma Aoko era troppo curiosa di sapere fin dove portava l'altro passaggio.
'Nell'atelier della signora Zhao' rispose Johanne dopo aver captato la corrente dei suoi pensieri.
"Uh?" Un altro sguardo di sbieco da parte del segretario. Quando se ne accorse, coprì la propria bocca con un mano, per poi imprecare sottovoce. Johanne ridacchiò un po'.
'Atelier?' domandò in seguito. 'Di che cosa?'
'Di vestiti, naturalmente.' Aveva la voce sognante - proprio come quella di una ragazzina che fantastica davanti ad un film d'amore. 'Sono tutti stupendi! Non sai quanti kimono spettacolari ci sono là dentro!'
A una ventina di metri dalle tre persone, si potevano scorgere due grandi porte. Procedettero, diminuendo la distanza tra loro e l'imponente portone.
'E a cosa dovrebbero servire, scusa?'
'Usa la testa, Aoko! Sei intelligente, o sbaglio?' la canzonò. 'Quando potrai decidere l'epoca in cui andare, dovrai indossare quei meravigliosi abiti per non dare nell'occhio.' Esalò un sospirò. 'Sai com'è; cent'anni fa non c'erano le Converse.'
Sommise un risolino: aveva già fatto troppe figuracce in presenza di quell'anziano.
'Me li faranno vedere prima di poterli indossare, vero?' Era euforica al solo pensiero di poter osservare quei capi così ben designati dalla ladra.
'Ma certo! Quella brava donna - ora sarà una vecchietta sulla sessantina - dovrà prima prenderti le misure. Sarà felicissima di disegnare per una mora!' esclamò la donna, ancora più euforica - se possibile - della sua ospite.
Si trovavano a pochi metri dalla porta, ormai. Aoko la scrutò con i suoi grandi occhi azzurri: legno di mogano dell'Honduras dal colore rossastro - che ben si abbinava al colore bruno dell'ebano - meravigliosamente intagliato. La ragazza notò una somiglianza tra questo portone e l'ingresso - decisamente meno imponente - della sala d'attesa in cui si trovavano pochi minuti prima: anch'esso aveva i pomelli delle due ante rappresentanti volti di due leoni con le fauci apertamente schiuse, visibilmente fabbricati in oro. Era anche più grande dell'entrata della torre: era poco più alta di 3 m e le sue larghe ante abbracciavano l'intero corridoio.
'Per una mora? Mi stai dicendo che tutte le Kouno erano bionde?'
Ora si trovavano proprio davanti la porta: il segretario afferrò una delle maniglie, spalancando lentamente un battente - come se fosse una fatica di Sisifo anche solo spostarlo di un centimetro.
'Esatto' asserì Johanne. 'Sai, agli inizi dell'undicesimo secolo, una ricca ragazza europea - ovviamente dai capelli biondi - venne qui, in Giappone, per visitare l'allora capitale nipponica: Kyoto. Ne rimase affascinata, così decise di viverci. Incontrò un ragazzo e - manco a dirlo - si sposarono. Indovina un po'; il ragazzo aveva il cognome "Kouno". A quanto dicono, così è nata la dinastia.' Fece un breve pausa, prima di realizzare una cosa. 'Ehi, ma mi stai ascoltando?'
L'uomo aveva aperto definitivamente la porta, lasciando che una decina di sguardi volgessero verso di loro. In particolare, si soffermarono sulla ragazza, esaminandola. Lei, sentendosi in soggezione, abbassò lo sguardo, ponendo fine a ogni attività del suo cervello. Si sentiva le guance bruciare, e, per di più, calò un imbarazzante silenzio. Fu un signore di circa cinquantacinque anni a romperlo. Sembrava piuttosto arzillo, sebbene avesse i lunghi capelli - che prima dovevano essere di un nero lucente - striati da ciocche bianche e grigie. Un grande e caloroso sorriso illuminò il suo volto - mostrando i suoi denti un po' cariati -, e si rivolse alla giovane.
"E così tu sei il nostro zaffiro, eh?" La sua voce presentava note calde e affettuose, somigliando a quella di un nonno. La viaggiatrice non lo ascoltò, non fece nulla per confermare quella domanda retorica. Anzi, restò immobile, come una statua di cera che si scioglie lentamente davanti al fuoco.
In seguito, posò gli occhi sul padre, e la sua espressione mutò totalmente: il suo sorriso comprensivo lasciò spazio ad una smorfia irritata; il suo sguardo si fece tagliente - come se con il solo suo ausilio volesse tranciarlo -; le sue bianche e mal curate sopracciglia si aggrottarono, accentuando le rughe che andavano spargendosi a partire dal suo naso aquilino. Si alzò, dirigendosi verso la povera ragazza ancora immobilizzata davanti la grande porta della Sala.
"Ginzo, amico mio, da quanto tempo." Il suo tono sembrava riflettere il suo sguardo: il veleno in essi impregnato era lo stesso. "Come stai?"
L'ispettore, dapprincipio, da quando tutto ciò era iniziato, aveva cominciato a tremare impercettibilmente. Il panico gli attanagliava il petto, così come il dolore. Era rimasto fermo lì, a poco più di un metro da sua figlia, paralizzato, proprio come lei. Non aveva abbassato lo sguardo, né aveva cominciato ad arrossire, ma era momentaneamente incapace di dire o fare qualcosa. Poi, quando sentì gli occhi di quell'uomo - tanto affettuoso e comprensivo con la figlia ma altrettanto tagliente e aspro contro il padre -, abbassò anch'egli lo sguardo. Sembrava qualcosa di impossibile da sostenere. Non ce l'avrebbe fatta, gli passò per la mente. Avrebbe ceduto. Anche dopo le raccomandazioni, i consigli e gli incoraggiamenti che la sua amata gli aveva rivolto tanti anni fa, sapeva che non sarebbe riuscito a sostenere tutto ciò. Si ricordò di Yume. Quella sfumatura nella sua voce era presente anche quando parlava con lei. Quella tranquillità che trasmetteva, tutto quel calore con cui l'avvolgeva si trasformarono in freddezza, disprezzo. L'aveva chiamata traditrice, da quando quell'evento si era susseguito alla rapina del meridian: la fuga della giovane donna. Così, una nuova emozione si fece strada in quel cuore ormai martoriato: la rabbia. Essa sostituì il panico, la paura: prese il sopravvento. Alzò gli occhi, sostenendo in modo altezzoso tutti quei volti che solo un'altra sensazione riuscivano a suscitargli: disgusto. Volse il capo verso colui che più odiava, assottigliando lo sguardo e alzando il mento nella maniera più dignitosa possibile. Doveva farlo per Yume. Doveva farlo per loro.
"Rimandiamo a più tardi i convenevoli, se non ti dispiace." La sua voce riusciva in tutto e per tutto a sostenere quella dell'uomo più anziano. Era analogamente pungente, sprezzante. "Pensavo che non guidassi più questa loggia, Hiro."
Hiro - così l'aveva chiamato il poliziotto - stava ancora avanzando verso Aoko, ma al suono di quelle parole si fermò di scatto e scoppiò in un'amara risata. "Non l'ho mai guidata e mai lo farò." Si avvicinò a grandi falcate alla ragazza. Le mise un braccio sulle spalle in un gesto quasi amorevole, ma lei sembrava pietrificata. Non provò nemmeno a scansarsi. Non fece - ancora una volta - nulla. Quegli sguardi la stavano esaminando. Stavano penetrando il suo corpo, raggiungendo la sua anima, il suo cuore. Si sentiva vuota, priva di ogni cosa. L'uomo si rivolse nuovamente a Ginzo. "Ora, mio caro amico, ti dispiacerebbe raccontarci questa storia?" Scosse un po' le spalle della giovane, ma lei non si destò da quella specie di trance. "Oppure dobbiamo chiedere a lei?"
Ma lui come faceva ad esporre tutto ciò che aveva passato? O meglio, tutto ciò che avevano passato. Doveva essere schietto, ma secco. "Yume ha partorito due giorni prima della sua fuga." Esalò un sospiro. Doveva dirglielo, o avrebbero pensato che la neonata - ai tempi - fosse stata inserita in qualche registro di ospedale. "Sua sorella ci ha aiutato."
Hiro sfilò il braccio dalle spalle della viaggiatrice. Rientrò nella Sala, quindi cominciò a camminare su e giù dinanzi a tutti loro. "Cos'è? Uno scherzo? Sai bene che non è possibile che un genitore e il proprio figlio abbiano il potere. Non possiamo sapere se stai dicendo la verità." La voce ora aveva assunto una nota seria, ma quella tagliente non l'aveva abbandonata del tutto.
"Potrete vederlo, invece" obiettò l'ispettore. "L'ultimo salto l'ha fatto ieri. Aoko, tesoro, ti ricordi a che ora?"
Ora tutti gli occhi presenti in quella Sala e nel corridoio erano indirizzati a lei. Anche quello di suo padre, che la guardava con aspettativa. Le sembrava tutto un incubo. Era troppo inverosimile per essere la realtà. Dal giorno prima la sua vita sembrava talmente surreale che anche lei stentava a crederci.
'Aoko?' sussurrò Johanne. La sua voce era morbida, soave, come se non volesse disturbarla. Avvertiva i suoi sentimenti, sapeva cosa provava. Era preoccupata: solo un giorno fa le avevano cambiato totalmente la vita. Le avevano detto che era l'ultima di un cerchio della massima segretezza, che doveva cominciare a rubare gemme preziose per soddisfare un desiderio di un uomo completamente estraneo, ma soprattutto le avevano detto tutto circa la "morte" di sua madre. Era stata costretta ad assimilare troppe informazioni in poco più di un'ora, era naturale che ne fosse rimasta sconvolta, turbata. E ora, tutti quegli sguardi erano rivolti verso di lei. Tutti erano pronti ad ascoltarla e, probabilmente, a contraddirla.
Il padre le si avvicinò, le si pose dinanzi e la trasportò in un caldo abbraccio. Anche quel solo gesto poteva trasmettere i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue parole alla figlia, ma decise di parlare.
"Scusami" mormorò mentre le carezzava gentilmente i capelli. Non gli interessava se la giovane non stesse ricambiando tutte le attenzioni, sapeva solo che doveva consolarla e farla ritornare in sé. "Sono stato uno sciocco. Scusami... Aoko, io e la mamma ti vogliamo bene, sappilo."
Al suono dell'ultima frase, il cervello della viaggiatrice si riattivò, come se prima fosse solo stato messo in stand-by. Chiuse gli occhi per assaporare meglio quella sensazione meravigliosa: essere avvolta nelle braccia del padre. Ricambiò l'abbraccio, e il padre capì che si era ripresa. Sorrise dolcemente.
"Ehm..." Quel che sembrava essere il direttore della loggia si schiarì la gola, spezzando quel momento magico. Tutti coloro sedessero nella Sala avevano un sorriso compiaciuto stampato sul volto. Effettivamente, dava l'impressione di essere il primo abbraccio da parte di un padre verso la figlia. Anche Hiro - che non provava un'evidente simpatia per il poliziotto - sorrideva lieto.
Ginzo si scansò, dando così la possibilità alla ragazza di rispondere alla sua domanda precedente.
Aoko si rese conto solo in quel momento che molte delle persone che la stavano osservando non sembravano ostili, o in qualche modo non avevano intenzioni maligne. Al contrario, la maggior parte di loro aveva un aspetto bonario. Si soffermò ad osservare pochi di loro: una donna - poco più che ventenne - era vestita con dei pantaloni neri che seguivano le sue delicate forme e una maglietta bordeaux, che era coperta da una giacca nera. Non aveva i lineamenti completamente orientali, ma non sembrava nemmeno una straniera. Un carré di capelli mossi e color biondo cenere le contornava il volto dai tratti dolci e morbidi. Delle lentiggini le danzavano sul naso e occhi a mandorla verdi le luccicavano vispi. Aveva un piccolo naso alla francese e labbra sottili e vermiglie. Era davvero bella, constatò la viaggiatrice. Poi, gli occhi si posarono su un uomo dell'età di suo padre, robusto, ma non grasso. Occhi scurissimi, quasi neri, si accordavano perfettamente ai capelli castano scuro che orlavano il viso come un casco. Poi ancora, adocchiò una giovane donna - nemmeno di trent'anni- che vestiva un kimono di un delicato ciano. Aveva enormi occhi a mandorla di un colore quasi unico: l'iride sembrava una vera e propria pietra d'ambra. Aoko ne rimase rapita. Erano davvero singolari, meravigliosi. Capelli nerissimi le ricadevano lisci sulla spalla sinistra dopo essere stati raccolti in un'elaborata acconciatura: delle trecce piccolissime partivano dalle ciocche adiacenti all'orecchio destro, per poi essere sciolte sulla parte della nuca opposta. Infine, rivolse lo sguardo ad un'ultima persona. Trattenne un risolino: l'uomo era vestito totalmente di bianco e aveva un grande cappello dello stesso colore sul capo. Era davvero buffo: la veste da cuoco gli stava eccessivamente larga. Era magro - fin troppo - e degli occhietti sopra il suo naso adunco vigilavano attenti tutto ciò che li circondava.
In seguito al quel breve esame, la giovane si decise a parlare. "I-ieri... I-io..." balbettò. Dannazione! Aveva ancora la voce tremante. Cercò di riprendersi e di stabilizzarsi meglio. "Ieri" ricominciò "sono saltata per circa venti minuti. Penso che fossero le 6:00, o giù di lì." Si sorprese della voce ferma e matura che riuscì a simulare. Per una volta nella sua vita, era riuscita a ribattere in modo diretto, anche se si trovava al centro dell'attenzione di tutti. Almeno in un'occasione era stata fiera di sé.
Il sorrisetto che prima delineava la forma delle labbra di Hiro svanì. "Bene" sentenziò con un tono indecifrabile. "Se quella è stata l'ultima volta, allora dovrebbe manifestarsi di nuovo. Staremo a vedere."
'E starai via per molto, molto tempo.' Era Johanne. Non aveva detto nulla dopo la sua delucidazione circa le origini della famiglia Kouno.
'E perché?' domandò Aoko. Non capiva. C'erano dei tempi standard per ogni viaggio?
'Perché hai il potere più forte che abbia mai sentito! È strano che tu non sia ancora saltata. Non ritornerai prima di un'ora, ne sono sicura.' Anche la sua voce lo dimostrava. Non tradiva incertezze né dubbi.
"Che incubo" borbottò in modo incomprensibile la sua ospite, ottenendo qualche occhiata stranita dalle poche persone che aveva sentito quell'inspiegabile mugugno.
"Dovrai essere stanca" osservò l'uomo che la ragazza aveva appurato essere coetaneo di suo padre. Si alzò dalla pregiata sedia imbottita e ricamata con velluto rosso. Era piuttosto basso per essere un uomo - superava la giovane di tutt'al più un paio si centimetri. Le sorrise apertamente, riscaldando il cuore della piccola viaggiatrice. Provava già simpatia per quella persona. Non sapeva bene il perché, ma le sembrava particolarmente leale - come se fosse una cassaforte in cui infondere fiducia. "Vuoi sederti?"
Lei annuì, rivolgendogli un timido sorriso. Egli prese una sedia dal lungo tavolo presente in quella sala, posizionandola accanto alla sua.
"Penso che ci dovremmo presentare" disse imbarazzato, mentre si grattava distrattamente uno zigomo. "Comincio io: sono Takashi Sugimoto. È un piacere conoscerti."
Aoko si limitò ad annuire nuovamente e ad accentuare il sorriso.
"Sono Kohaku Zhao, la sarta" si presentò la ragazza dagli occhi d'ambra. Le sorrise dolcemente.
'Ma non doveva essere sulla sessantina?'
'Ehi!' si difese Johanne. 'Non sapevo fosse cambiat...'
"Ayame Sakura." La ragazza con le lentiggini le sorrise raggiante. "Sono nuova, sono sicura che andremo d'accordo." Le strizzò l'occhio. Il sorriso di Aoko si allargò e i grandi occhi azzurri le brillarono.
"Non vedo perché mi dovrei presentare" bofonchiò l'uomo che la ragazza aveva identificato come il cuoco. "In fondo, non siamo sicuri che tu sia l'ultima." La giovane storse il naso a quell'affermazione. Se solo avesse saputo!
Il vicecapo dell'Organizzazione sospirò e socchiuse gli occhi, lasciandosi cadere su una sedia. "È vero" asserì. "Però potresti essere meno sgarbato, Iwa..."
Aoko non fece in tempo a sentire il nome, che già si trovava catapultata in un'altra epoca. Per poco non cadde a terra. Si rese conto che era immersa nel buio più totale.
'Ecco cos'era quel senso di nausea.'




Ehilà, ragazzuoli! Eccomi con un nuovo capitolo!
Intanto, ringrazio Miky2911 per aver recensito il Prologo e per aver inserito sia me che la storia tra i preferiti :3
Ora, passiamo al capitolo! Che ve ne pare dei nuovi personaggi? Chi vi fa più simpatia? A me la ragazza col carré e Takashi, è tanto carino lui :P
Lasciate una recensione, così posso sapere se il capitolo vi è piaciuto ;)
Bien, alla prossima!

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 7
*** Un nuovo arrivato ***


Girò l'angolo. Stava camminando in una viuzza sporca e certamente mal vista, ma, in ogni caso, era mattina presto: nessuno si sarebbe azzardato a fare qualcosa ad un ragazzo alle 7:50 del mattino. Mangiava il suo ultimo toast con la Nutella, lo sguardo rivolto a terra e la mente affollata da mille pensieri. Aoko non stava male da almeno un anno. Certo, l'aveva vista anche lui, ieri sera, con quell'espressione poco serena. L'aveva sentita brontolare qualcosa di incomprensibile, mentre una strana smorfia si creava sul suo viso. Era confuso. Non sembrava stesse male fisicamente, piuttosto pensava che avesse qualche problema a livello emotivo. Ma più ragionava, più il caos nella sua testa aumentava. Gli aveva sempre detto tutto, ma non riusciva a capire cosa la prostrasse in quel modo. Era già preoccupato per l'avvenuto del giorno prima, quando lei gli aveva detto che non stava tanto bene e che stava per andare a casa. Quel giorno sì, stava male. Glielo si leggeva sul volto. Invece, quando la sera prima l'aveva osservata mentre dormiva, sembrava che qualcosa la turbasse. Era stato lì, a dedicarle quelle carezze tanto dolci quanto piene di dolore.
'Quando vorrai dirmi qualcosa al riguardo, sai sempre dove trovarmi.'
Si fidava di lui. E lui, come ringraziamento, non aveva fatto altro che mentirle e starle lontano. Aveva provato un dolore incomparabile al suono di quelle parole. Sapeva cosa voleva dire realmente: "Finché non mi dirai nulla, stai lontano da me". Ma lui ne aveva abbastanza. Ci aveva già provato, e aveva fallito miseramente. Non sarebbe riuscito a starle lontano. Non di nuovo. Avevano già sofferto - lo sapeva, anche Aoko non era felice di quel suo comportamento - per troppi mesi. Voleva dirle tutto, voleva liberarsi, almeno con lei. Quel suo muro che aveva innalzato per nascondere a tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni, si apriva solo a lei. Solo con lei poteva togliere la sua Poker Face. Ma tutto ciò succedeva prima che lui prendesse le sembianze di Kaito Kid, il famoso ladro dalle ali d'argento. Non sapeva nemmeno lui come si sentiva circa il suo alter ego. Era euforico, in estasi, ogni qualvolta avesse un furto; adorava provare l'ebrezza di qualcosa di proibito, sentire l'adrenalina scorrergli nelle vene. Inoltre, doveva farlo per lui. Per suo padre. Per l'intera umanità. Doveva trovare Pandora e distruggerla, a qualsiasi costo. Non poteva lasciare che quell'Organizzazione criminale potesse ancora girovagare libera, lasciando che i suoi uomini meschini e spietati pullulassero per le strade come normali civili.
Allo stesso tempo, odiava quella doppia personalità che lo costringeva alle menzogne. Soprattutto, non riusciva a sopportare di mentire a lei. Colei che gli aveva sempre confidato tutto, che lo aveva consolato per la morte del padre - stando ore e ore accanto a lui, senza proferir parola. Avevano solo nove anni, ma quei suoi gesti rasentavano la maturità di un adulto. Stava insieme a lui, accovacciata a terra con le piccole ginocchia raccolte al petto, accanto al migliore amico quasi inerme. E lo faceva per giorni interi, fin quando lui decise che non poteva obbligare quella bambina tanto dolce a restare con lui per il resto dei suoi giorni per il solo motivo che non poteva far altro che piangersi addosso. Era stato forte. Sapeva che suo padre sarebbe stato fiero di lui. Ma senza di lei non ce l'avrebbe fatta. Non lasciava avvicinare nemmeno sua madre: non voleva sentire alcuna parola, e Chikage provava sempre a confortarlo con esse. Invece, lei lo aveva capito: non avrebbe detto nulla, nemmeno un semplice saluto, finché lui non avesse deciso di farlo per primo.
Sorrise a quel ricordo, e si rese conto che era appena arrivato davanti la propria scuola. Guardò l'orologio del cellulare: 7:55. Tempismo perfetto. Il loro preside era talmente pignolo da aver stabilito l'inizio delle lezioni cinque minuti prima della norma, cosicché - a dir suo - potessero cominciare effettivamente alle 8:00 in punto. Kaito pensava fosse solo un'idiozia: il professore perdeva ugualmente tempo, e tra i ritardi, l'appello e le giustificazioni, la lezione non cominciava prima delle 8:15. Insomma, erano cinque minuti sprecati in tempo inutile, che invece lui avrebbe preferito investire in sonno o più tempo nella doccia, considerando la sensazione dello scorrere dell'acqua bollente sulla sua pelle idilliaca.
La campanella suonò in quell'istante, e Kaito non poté far altro che dirigersi nella struttura, ma non prima di aver esalato un sospiro: considerava la scuola pressoché superflua. Certo, aveva imparato molte cose, imprigionato in quelle mura, ma la maggior parte del tempo in quell'Inferno interminabile lo passava a scherzare e a dormire. Dunque, non poteva essere considerato uno studente modello. Tuttavia, aveva sempre ricevuto dei risultati più che buoni dai suoi test e interrogazioni. Forse, era anche questo il motivo per cui tutte le ragazze del suo anno e di quelli precedenti gli sbavavano letteralmente dietro. A lui non importava granché. O meglio, ne approfittava: spiava lo spogliatoio femminile senza particolari conseguenze - al massimo un urletto da parte di qualche ragazza con un po' di pudore -; si divertiva ad alzare la gonna a tutte le sue compagne di classe, beffeggiandone una in particolare; adorava più di tutto ricevere quell'infinità di dolcetti deliziosi e squisiti a San Valentino. Ma, nel complesso, il tutto non andava oltre alla goduria personale e a qualche scherzetto. Gli interessava solo una persona, la quale mai gli aveva dato la soddisfazione di guardare sotto la gonna dell'uniforme scolastica senza un colpo di straccio in testa. E lui ne era felice; era felice di sapere che fosse diversa. Sì, magari aveva una cotta anche lei per un qualche ragazzo - e che ragazzo fortunato doveva essere, pensava sempre lui -, ma certamente rimaneva sempre composta e discreta. Be', almeno fin quando Kaito non la scherniva con i suoi soliti giochetti. Era molto irascibile, e lui ne aveva preso atto, avvalendosene. Gli piaceva vedere quelle guance tanto morbide di un colore più roseo del solito, quella smorfia d'irritazione e imbarazzo sul suo volto. 
Si stava dirigendo in classe, camminando per i lunghi corridoi affollati della scuola, quando un ragazzo lo chiamò da circa cinque metri di distanza. Si bloccò, volgendo la parte superiore del corpo. Vide un suo compagno, Masashi Kawaguchi, raggiungerlo a grandi falcate. Appena gli si accostò, riprese ad avviarsi verso la propria aula.
"Ehi, Kuroba! Come ti va la vita?" domandò quasi urlando, dandogli più volte qualche pacca sulla spalla.
"Bene" bofonchiò l'altro - sebbene sapesse fosse un'enorme bugia -, con il capo chino verso terra. Ma, alla fine, cosa avrebbe dovuto dire? "Uno schifo"?
"Ohi, Kuroba! Dov'è finito il tuo sorriso?"
Non rispose, si limitò a scoccargli un'occhiata torva.
"Oh, ho capito" continuò, con un ghigno beffardo che si faceva strada sul suo viso. "Ieri qualche pollastrella ti ha mollato? Dai, non tutte poss..."
"Ma quale pollastrella!" sbottò Kaito. Si ricompose all'istante, dopo essersi accorto di ciò che aveva detto. "Ieri non ho fatto proprio nulla. Vedrò se oggi posso rifarmi." Gli rivolse un sorriso sghembo e un occhiolino, per poi aumentare il ritmo dei passi. Voleva limitare al minimo le conversazioni, quella giornata. Non era dell'umore adatto per quegli argomenti da ragazzini in preda agli ormoni.
Varcò la soglia della porta, passando dalla cattedra della professoressa che stava già sistemando le proprie cose sulla superficie.
"Oggi Nakamori Aoko non c'è: sta male" annunciò lui. Keiko, la sua migliore amica, aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata di sottecchi.
'E lui come lo sa?'
Decise di dar voce ai propri pensieri non appena il ragazzo si andò a sedere al proprio posto - dietro la sedia vuota dell'amica -: "E tu come lo sai?"
"Me l'ha detto suo padre stamattina." Non le rivolse nemmeno uno sguardo, e questo la irritò ancor di più.
La professoressa si intromise. "Peccato, si perderà la presentazione di un nuovo compagno." Si strinse nelle spalle. "In ogni caso, è giustificata."
Tutti gli alunni presenti nell'aula aguzzarono la vista e le orecchie: dovevano assolutamente vedere come fosse quel nuovo compagno. Solo quel ragazzo tanto enigmatico quanto bello restò con la testa poggiata sulle braccia incrociate sul banco, gli occhi serrati e le labbra leggermente schiuse. Gliene importava davvero poco.
Una presenza sconosciuta per tutti gli studenti di quella classe entrò. Era un ragazzo alto, con un fisico asciutto e di una bellezza mozzafiato. Capelli castano chiaro, corti e sbarazzini gli decoravano il volto illuminato da un sorriso a trentadue denti che, con ogni probabilità, stava facendo sciogliere ogni ragazza. Occhi color nocciola brillavano vivaci, osservando tutti quei ragazzi tanto stupefatti nel vedere un essere così bello entrare nella propria aula. Si avvicinò alla professoressa, che gli sorrise a sua volta.
"Eccolo qui. Lui è Katashi Hirawata" lo presentò, con un raggiante riso dipinto in faccia. Poi si rivolse a lui: "Puoi andare a sederti lì, alla sinistra della sedia vuota di Nakamori".
Tutte le ragazze lo seguirono con lo sguardo: alcune con la bocca completamente aperta, altre con gli occhi divaricati, altre ancora con entrambi. 
Keiko, invece, si divertiva a vedere tutte le sue compagne ammaliate da quel ragazzo. Si sporse verso il migliore amico di Aoko, sussurandogli: "Sembra che tu abbia un rivale". Ridacchiò.
"Non me ne frega nulla" mugugnò lui, e le parole uscirono ovattate dalla sua posizione. Girò la testa dall'altro lato.
Il nuovo alunno, nel frattempo, aveva raggiunto il posto stabilito e si stava sedendo. Poi si voltò, esaminando la nuca di Kaito. Si sedette, con il busto ancora volto verso il ragazzo che, nel frattempo, non sembrava avere il benché minimo interesse in Takashi.
"Ehi, coso," lo chiamò "sai dov'è questa Aoko Nakamori?"
Aveva decisamente attirato l'attenzione del giovane. Alzò il capo di scatto, guardandolo con aria truce. Come faceva a sapere il nome di Aoko? Ricordava perfettamente che l'insegnante aveva accennato solo al cognome. Inoltre, chi era quel tizio per rivolgersi a lui in quel modo? 
"Come fai a sapere il suo nome?" ribatté, scontroso.
Il sorriso del nuovo studente si trasformò in un ghigno sprezzante. "Sai, io e lei abbiamo qualche rapporto... fuori dalla norma." Il suo tono era pungente e derisorio, come se avesse captato il fastidio che aleggiava intorno all'altro ragazzo. Detto ciò, si volse, ascoltando apparentemente la lezione che la professoressa di fisica aveva cominciato a spiegare, non smettendo di ghignare.
'Fuori dalla norma?' si chiese, quasi preoccupato. Cosa voleva dire? Pensò, cercò di ricordare, ma la sua memoria non custodiva nessun avvenimento che potesse ricollegarsi a quel misterioso ragazzo. Non capiva. Tutto ciò non faceva che irritarlo ancora di più. Sbuffò lievemente, ricollocando il mento sopra le braccia conserte.
La migliore amica della ragazza si sporse ancora una volta verso il ladro, facendo attenzione a non farsi scoprire dalla professoressa, lanciandole sguardi di sottecchi.
"Ehi, Kuroba" bisbigliò, curiosa. "Cosa intendeva quello?" Scoccò una fugace occhiata al nuovo arrivato, facendo capire al moro a chi alludesse.
"Non lo so." Sbuffò un'altra volta. "Se lei ti fa sapere qualcosa, dimmela."
La ragazza lo guardò con aria torva. "E perché dovrei?" chiese, mentre sul suo volto appariva un sorrisetto maligno.
Lui sollevò il capo, reggendo la mascella con il palmo della mano. Chiuse lentamente gli occhi e sospirò, come se volesse reprimere un'improvvisa ira. "Keiko, per favore."
La ragazza sgranò gli occhi e spalancò leggermente le labbra: non la chiamava mai per nome, e tantomeno pronunciava espressioni come "per favore". Il ghigno quasi derisorio che aveva abbandonato il suo viso pochi secondi prima ritornò, ancora più deciso. "Devi essere proprio disperato!" Ridacchiò piano, mentre il diretto interessato la fulminava con gli occhi color mare. Nessuna ragazza avrebbe resistito davanti a quella visione celestiale; certo, nessuna, tranne Keiko. Era immune al fascino del moretto - almeno nella sua versione da normale studente. Non sapeva nemmeno lei perché; forse dipendeva dal fatto che, avendo notato sin da subito l'interesse dell'amica nei suoi confronti, si era semplicemente fatta da parte e non aveva fatto altro che aiutarli. Già, cinque anni di aiuto, vani. Ma quando si parlava di amore, quei due bruciavano istantaneamente i loro neuroni, riducendo il loro brillante cervello alle dimensioni di una nocciolina. E, purtroppo, lei non poteva farci nulla.
"Kuroba!" All'improvviso richiamo, l'appellato sobbalzò, assumendo una posizione eretta. "Sarai anche intelligente, ma questo non significa che puoi distrarre i tuoi compagni!" ringhiò la professoressa, infuriata. Ah, si doveva aggiungere anche la loro insegnante di fisica alla lista "Chi resiste a Kaito". Poi proseguì con la sua ramanzina: "E tu, Momoi! Non farti sedurre dal suo finto fascino, intese?"
La ragazza sommise a stento una risatina: lei? "Sedurre dal suo finto fascino"? Piuttosto usciva con un criceto! "Certo, professoressa." Le sorrise bonariamente, lanciando occhiate furtive al soggetto di quel rambuffo: il povero ragazzo stava imprecando sottovoce.
"Ma è possibile che danno sempre a me la colpa?" borbottò in modo indecifrabile. La professoressa, tuttavia, sembrò aver sentito, e gli scoccò uno sguardo minaccioso, provocando un brivido lungo la schiena del ragazzo. Poi si girò, continuando ad esporre la lezione. Kaito, invece, ritornò ad oziare nella sua solita posizione, non riuscendò, però, ad addormentarsi sul serio: era troppo impegnato a cercare di interpretare quelle strane parole dette qualche minuto prima da Katashi Hirawata.

 


"Oh! Aoko mi ha mandato un messaggio." Fece vedere all'amico ciò che la viaggiatrice le aveva scritto.
"Non puoi chiamarla ora?" domandò, troppo irritato per aspettare ancora. "Tanto abbiamo ancora venti minuti, prima che la pausa pranzo finisca."
La ragazza sembrò meditare. Si mise a sedere sul suo banco, facendo penzolare le gambe. Aveva fame, ma pensò che ciò che le doveva dire l'amica doveva essere molto più importante. Si ricordò, però, che la mora le aveva scritto che l'avrebbe chiamata lei, una volta uscita da scuola: forse era occupata. Ma cosa la poteva impegnare a tal punto da saltare un giorno di lezioni? Se lo chiese più e più volte, non riuscendo a trovare risposta. Perché lo sentiva, anzi, lo sapeva, che la sua migliore amica aveva problemi molto più gravi rispetto ad una semplice influenza o malore, e gli eventi del giorno scorso non facevano che confermarglielo. Decise, quindi, di chiedere informazioni al ragazzo accanto a lei. Si girò, intenzionata a parlargli, ma lo vide con due dita che massaggiavano lentamente il mento, lo sguardo perso nel vuoto, totalmente assorto nei suoi pensieri. Si chiedeva cosa Aoko dovesse dire alla biondina così urgentemente. Una smorfia gli increspò le labbra: non era l'unico a nascondere qualcosa. Tuttavia, Keiko era restia a rivelargli tutto. Non che lei sapesse molto, dato che non riusciva a spiegarsi l'accaduto del giorno prima, ma non era sicura che l'amica avrebbe acconsentito ad esporlo. Inoltre, presumeva che Kaito non avrebbe creduto ad una sola sua parola. Ma, del resto, come biasimarlo? Si parlava di un improvviso salto in un'altra epoca, per non parlare della miracolosa caduta da trenta metri; ne era uscita quasi illesa, al massimo qualche ferita sui palmi delle mani e uno stiramento al braccio destro. Niente che lasciava presupporre una disastrosa cascata nel bel mezzo di una via di centoventi anni fa.
Il ragazzo, che prima aveva assunto una vera e propria aria da detective intento a rimuginare su un caso, chiese alla giovane accanto a lui: "Cosa significa il tuo messaggio?"
"Eh? Oh, nulla! Sai, ieri sera Aoko era uscita con un tizio" gli ammiccò lei. Un sorriso compiaciuto si stava facendo largo sul suo viso, ma si fermò nel vedere il ladro ghignare beffardo.
"Ah, sì?" Alzò un sopracciglio, incuriosito. "Peccato che ieri sera io l'abbia vista a letto."
"COSA?" sbraitò Keiko, incredula. Scese dal banco con un balzo, fronteggiando il giovane. Cosa voleva dire? "Giuro che se l'hai anche sfiorata..."
"No, no, no" si difese l'altro, le mani alzate in un segno di resa e le gote insolitamente avvampate. "Ieri sono andato a casa sua per cenare, ma suo padre mi ha detto che era a letto perché stava male. Quindi sono salito, e l'ho trovata già addormentata." Dopo aver notato lo sguardo bieco dell'amica, aggiunse, distogliendo lo sguardo: "Non ho fatto nulla."
"Meglio per te." Si rimise a sedere, poggiando un gomito sulla coscia e sostenendosi il capo con la mano.
"Quindi? Cosa intendevi in quel messaggio?"
Lei, presa alla sprovvista, fece vagare gli occhi per qualche secondo, per poi riposarli su di lui, dopo aver trovato una scusa soddisfacente. "Ieri siamo andate in negozio di vestiti; Aoko ha preso una camicia per suo padre - sai, tra poco fa il compleanno anche lui." Sorrise, soddisfatta, mentre lui la osservava con un sopracciglio alzato. "Le chiedevo semplicemente se gli fosse piaciuta." Cercò di essere più convincente possibile, ma il ragazzo aveva le sopracciglia corrugate e doveva essersi reso conto che era una scusa, quindi riprese a parlare: "Invece, dimmi un po': sai cosa sta facendo? Hai detto che stava male, era ovvio fosse una balla".
Lui sbuffò, evidentemente frustato: non sapeva nemmeno lui cosa stesse succedendo. "Ho detto quello che suo padre mi ha riferito ieri sera" tentò, ma notando lo sguardo indagatore di Keiko, alzò gli occhi al cielo. "Sto dicendo la verità. Non ci credo nemmeno io, ma a quanto pare 'sta cosa è top secret, eh?"
L'amica azzardò un risolino. "Comprare una camicia è top secret? Certo, ha un rilevatore GPS e un microfono integrati, ma shh, non dirlo a nessuno!"
Il mago sospirò e socchiuse le palpebre. "Come preferisci." Un ghigno spavaldo si aprì sul suo luminoso viso. "Sono sicuro che lei mi dirà tutto."
"Che c'è, vuoi una camicia anche tu?" gli chiese, sarcastica. Almeno era riuscita ad evitare di dire qualcosa; se la sua amica non ne avesse voluto parlare con lui, si sarebbe cacciata in un mare di guai.
"Sei impossibile." Sbuffò, cercando nelle tasche dell'uniforme il suo cellulare, assumendo una smorfia contrariata nel vedere che mancavano pochi minuti alla prossima lezione. "Alla fine della scuola mi devi dire tutto, intesi?" Assottigliò lo sguardo: quella ragazza sapeva essere davvero furba, e avrebbe tentato l'impossibile pur di non riferirgli niente, lo sapeva.
Lei scese nuovamente dal banco, virando la traiettoria del suo corpo verso la porta. Poi, volse la testa, rivolgendo un occhiolino al ragazzo, ancora fermo davanti alla finestra, con le mani incrociate al petto e uno sguardo penetrante. "Come no, Kuroba." Si diresse alla mensa, intenzionata a mangiare qualcosa prima della ripresa delle lezioni, mentre il mago poggiò le braccia sul davanzale della finestra, scrutando nei minimi particolari il cielo grigio, pensando alla ragazza che gli provocava tutti quei problemi.

 


"Aoko!" esclamò, mentre percorreva il cortile dell'edificio che pullulava di ragazzi di tutte le età. "Finalmente."
"Metti il vivavoce" ringhiò il ragazzo al suo fianco, sporgendo il capo verso il cellulare che l'amica teneva saldamente vicino al suo orecchio, sperando di sentire qualcosa.
"Mmh... Keiko?" la chiamò la voce dall'altro capo del telefono, quasi incerta.
"Dimmi."
"C'è Kaito, lì con te?" Ridusse la sua voce ad un bisbiglio, provando a criptare le sue parole da orecchie indiscrete.
L'appellato, tuttavia, si sporse ancor di più verso l'oggetto, avendo fortuitamente udito il suo nome. "Momoi, giuro che il microfono lo metto io!"
Lei, però, non lo degnò di uno sguardo, sorridendo sorniona. "Ah, la camicia è piaciuta a tuo padre?"
Aoko corrugò le labbra in una smorfia, spaesata. Dopo qualche secondo, però, si rese conto di ciò che la sua amica stava facendo: aveva omesso gran parte delle cose al ladro, e gliene era realmente grata; sorrise, quindi, e sostenne il gioco. "Oh, sì! Davvero tanto." Aveva quasi urlato, auspicando che il moro potesse sentire le sue parole, dissimulando alla perfezione. Quelle due ragazze si capivano al volo, su questo, di certo, non si poteva discutere.
Kaito rimase esterrefatto dalle parole dell'amica, schiudendo per un attimo la bocca. Un attimo dopo, contrasse le labbra e socchiuse gli occhi, sibilando un "Non me la bevo". D'altra parte, però, non poteva che credere alla viaggiatrice: sapeva che non gli mentiva mai, che gli diceva sempre tutto. Tuttavia, il suo atteggiamento non lo convinceva totalmente. Certo, però, che non poteva biasimarla: era il primo ad essere sempre enigmatico e ambiguo.
"Ah, come ti senti? Ho saputo che stai male" continuò a fingere, non abbandonando il ghigno che, ormai, albergava il suo viso. Varcò l'uscita del liceo Ekoda, insieme al suo compagno che, tra l'altro, non sembrava intenzionato a lasciare la sua posizione da ascoltatore furtivo. "Saranno state le montagne russe di ieri!"
Il riso della futura ladra si allargò ulteriormente. "Eh, sì." Poi, seppur le guance si fossero sfumate di un leggero rosso e lei stessa provasse un certo imbarazzo a pronunciare quelle parole, aggiunse: "Se Kaito è ancora con te, salutamelo".
All'udito di quella frase, il moretto sussultò: non si aspettava una cosa del genere, nemmeno lontanamente. Poi sogghignò, compiaciuto. "Momoi, sappi che non mi convinci affatto" esordì, con tono pungente. "Ma va bene. Ah, ricambia il saluto." Le rivolse un sorrisetto sghembo, per poi svanire in una nuvola di fumo grigio.
"Finalmente quel mago da quattro soldi se n'è andato." Sospirò in modo melodrammatico. "Ti saluta anche lui."
"D-davvero?"
"Aoko!" l'ammonì la biondina. "Non ho intenzione di parlare del tuo principe azzurro!"
"Non è i..."
"Forza, racconta" la incalzò, interrompendola. Si era seduta alla fermata dell'autobus, aspettando quest'ultimo e aguzzando le orecchie per il discorso dell'amica.
"Oh, è una storia lunga..."
"Quindi comincia subito!" Si stava spazientendo, e per poco non aveva alzato la voce.
Aoko le raccontò tutto, ricordando al meglio delle sue possibilità il discorso del padre; non preterì nessuna vicenda. Certo, i Guardiani le avevano severamente vietato di parlare di questa storia con chicchessia, ma, oramai, il gioco era fatto. Il giorno prima le aveva riferito tutto riguardo al suo pericoloso ed inaspettato imprevisto; ora, quindi, come poteva mentirle? In ogni caso, non avrebbe saputo che scusa inventare.
"Stamattina sono andata alla torre dell'orologio" seguitò. Keiko rimase ammutolita, come aveva fatto per l'esposizione precedente - salvo un "Che figata!" alla rivelazione dei viaggi nel tempo. "E' la sede dei Guardiani. Dopo un po', siamo riusciti a convincerli che io ero davvero lo zaffiro - anche se mi sono procurata un bel livido sul gomito. Mi hanno detto che dovevo 'spropriare'. Sarebbe un altro modo per dire viaggiare o saltare, ma con il meridian. Bah! Si complicano la vita. Ah, però c'è stata una cosa bella: sono entrata in un atelier."
"Atelier?" sbottò la ragazza, guadagnandosi uno sguardo attonito di un'anziana che, come lei, era seduta alla fermata.
"Proprio così! Non puoi immaginare che cose meravigliose c'erano là dentro!" decretò, mentre teneva il telefono tra la spalla e l'orecchio. Stava studiando, dato che non ne aveva avuto voglia né tempo il giorno prima. Era intenta a risolvere una disequazione di secondo grado; benché per lei la matematica - e in particolar modo l'algebra - non fosse un problema, non riusciva a riflettere lucidamente per via di tutti quei pensieri che le offuscavano la mente. "Kimono di tutti i colori, abiti occidentali del Settecento, vestiti di attori e celebrità... Di tutto! Un Paradiso, davvero." Sospirò, sognante. "A te com'è andata? Ci sono novità a scuola?"
"Puoi scommetterci!" asserì, con voce squillante e vivace. "Abbiamo un nuovo compagno."
"Scherzi?" La mora, nel frattempo, si era alzata dalla sedia posta dinanzi alla scrivania, lasciando stare momentaneamente la matematica, e camminando avanti e indietro per la stanza.
"Assolutamente no. Ah, e tutte le ragazze gli sbavano dietro." La donna sulla settantina, seduta vicino all'amica della viaggiatrice, aveva cominciato ad ascoltare i loro discorsi, evidentemente interessata a quei gossip adolescenziali. "Effettivamente, è carino. Però non credo che tu gli darai attenzione: hai sempre il tuo principe azzurro, no?" ridacchiò, punzecchiando la ragazza con cui stava felicemente dialogando. 
La giovane sbuffò. "Non ho nessun principe azzurro!" Alzò gli occhi al cielo, mentre prendeva nuovamente posto sulla sedia di legno. "Stasera c'è il furto di Kid, vero? Tu ci vai?"
"Certo! Sai che non me ne perdo mai uno. Perché?"
"Voglio venire con te" declamò lei, stupendo l'amica. "Devo vedere come si ruba e come si fa a scappare dalla polizia."
Keiko aveva gli occhi sgranati, quasi le fosse stato detto che era incinta. Si riebbe dopo qualche secondo di pura incredulità. "Ma tuo padre è un ispettore! Dovrebbe sapere come si fa a scappare dai piedi piatti, no?"
"Mi ha detto lui stesso di andare con lui, a vederlo, in realtà. 'Potrai vedere tutto dal vivo, saprai meglio come fare', sue testuali parole." Sbuffò - ancora una volta - rumorosamente. "Dovrò somigliare a quel ladro da strapazzo, ti rendi conto?" proruppe, infuriata. "Perché, naturalmente, le mie antenate dovevano complicare tutto: dovrò fare spettacolini, mica posso limitarmi a rubare, certo!"
La bionda, intanto, era salita sull'autobus che era solita prendere, trovando un posto libero e mettendosi a sedere. A differenza della sua amica, a lei brillavano gli occhi: riteneva estremamente eccitante dare vita a furti come quelli di Kaito Kid. "Stai scherzando! Avrai un'audience tutta tua, e, chissà, potrai incontrare anche Kid! T'immagini collaborare con lui?"
La viaggiatrice alzò gli occhi al cielo, irritata. Quella era una delle cose che la sdegnava di più. "Sicuro, non vedo l'ora di diventare sua amica!" ironizzò, con le labbra contratte in una strana smorfia. "Piuttosto mi faccio sbattere in galera."
"Ah, quanto t'invidio!"
Un rumore interruppe la loro conversazione: il cellulare di Aoko si stava scaricando.
"Keiko, ti devo lasciare! Fatti trovare alle 10:00 qua, mio padre ci riserverà posti in prima fila."
"Ti adoro!" Ridacchiò un po', felice, e qualche secondo dopo si unì anche la moretta. "A stasera!"
La figlia del poliziotto mantenne il riso sul suo volto, sapendo che, almeno, con lei ci sarebbe stata anche la sua migliore amica; questo non poteva che rincuorarla: a lei non andava proprio di assistere a una delle esibizioni di quel ragazzo che, anche in veste di normale cittadino, non faceva altro che occupare i suoi pensieri. "A dopo!"






Nota autrice: Ehilààà, popolo di EFP! Se! Magari potessi dirlo sul serio x'D Ho fatto presto, stavolta, eh!
Ma, ora, passiamo al chap! Abbiamo un tonno (<3) frastornato e geloso (anche se non se ne rende conto, poverino), che pensa talmente tanto alla sua amata, che non si rende conto di essere arrivato a scuola. Di chi sto parlando? Ma della Nutella, ovviamente! Okay, devo tornare seria...
Cosa ve ne pare di Mr Tichiamocoso? Vi sta simpatico? A me no :P
E della relazione Kaito-Aoko? Sembriamo tanto io e mio fratello :'D
Infine, c'è il furto del gelataio! Lo vedremo nel prossimo chap, eheh.
Fatemi sapere cosa ne pensate ;) Alla prossima!

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 8
*** La sincronizzazione ***


"No, Keiko! Io non lo metto 'sto coso!" Prese la tuta in ecopelle con due dita, come se fosse la cosa più disgustosa del mondo. Il viso era paonazzo: era imbarazzata, ma allo stesso tempo infuriata.
La bionda rise ancora un po', divertita dal suo atteggiamento. "Allora cosa vuoi fare? Vuoi andare a rubare con jeans e maglietta?"
La viaggiatrice lanciò il costume sul suo letto, gesticolando, indemoniata. "Sarebbe decisamente meglio!" sbottò.
L'altra si tolse gli occhiali, asciugando le lacrime delle sue risa. "Dai!" la spronò. "Poi mando una foto a Kaito." Le fece l'occhiolino, continuando a ridere.
Se possibile, il volto di Aoko divenne ancora più vermiglio. "Keiko!" S'impose l'autocontrollo, inspirando ed espirando lentamente per qualche secondo: non poteva pensare continuamente a lui, avevano cose più importanti da fare. "Mmh... Ma che scarpe dovrei indossare?"
L'amica parve ponderare, ed alzando l'indice, si picchiettò il mento. "Ci starebbero bene dei bei tacchi a spillo, però..."
"Io non so neppure camminare sui tacchi, figurati andare a rubare!" la interruppe, lasciandosi cadere, esasperata, sul materasso.
"Eh, appunto..." Poi, sembrò illuminarsi, e con lei, anche i suoi occhi. "Ce li hai degli stivali alti?"
"Uhm..." Pensò per qualche attimo, guardando il soffitto e poggiando le mani ai lati dei suoi fianchi. "Dovrei avere degli stivali neri invernali."
"Perfetto!" esclamò, briosa, saltellando da una parte all'altra. Poi, si voltò a guardarla, con occhi supplichevoli. "Dimmi che sono comodi, ti prego."
La moretta annuì, mentre sul suo viso si faceva strada un sorriso compiaciuto. "Sì, almeno quelli sì" ridacchiò.
Lei la osservò, stranita, piegando la testa da un lato. "Mi stai dicendo che la tuta non è comoda?"
"No, no!" Alzò le mani, agitandole leggermente. "Anzi, sembra una seconda pelle. Ma è proprio questo il problema..." Abbassò lo sguardo, imbarazzata al solo pensiero di dover indossare quel vestito tanto succinto.
"Macché!" obiettò Keiko, sedendosi accanto a lei e cingendole le spalle con un braccio, scrollandole un po'. "Sarai una femme fatale perfetta!" Sogghignò, immaginando la sua migliore amica flirtare con gli agenti di polizia.
La viaggiatrice si scansò, alzandosi, contrariata. "Io non sarò proprio nulla!"
'Non posso che darle ragione, tesoro!' Certo, Johanne non poteva mancare.
L'espressione della biondina si fece d'un tratto più seria. "Comunque... hai già parlato con tuo padre per la strategia?"
Aoko si abbandonò nuovamente sul letto, sospirando. "Sì... più o meno."
"Come 'più o meno'!?" proruppe l'amica, afferrandole entrambe le spalle con le mani. "Mancano due ore al furto e tu mi dici 'più o meno'?"
La mora agitò una mano, quasi volesse scacciare un fastidioso insetto. "Non farmici pensare. Mio padre ha detto che funzionerà."
"Cosa dovrai fare?"
La sua migliore amica sospirò ancora una volta. "Sai che ho fatto pattinaggio per sette anni e ginnastica ritmica per tre, no?"
L'occhialuta annuì, sciogliendo la presa sulla schiena della compagna.
"Ecco, lui mi ha detto che potrebbero andare a mio favore... Cioè, potrei fare rovesciate, salti o cose così."
Gli occhi di Keiko brillarono, e lei riprese a saltellare nella stanza della sua amica. "Tuo padre è un genio!" affermò, ridendo. "Puoi scappare da tutti i poliziotti, i tuoi pivot e i tuoi ejambeé sono imbattibili!"
Il suo sorriso si allargò. "Sì, come no." Si alzò dal letto, cominciando a svestirsi. "Dai, mi devo preparare, ché è tardi."
 

Quella mattina, il suo adorato compagno - sia di scuola che, purtroppo, di avventure - non aveva fatto che lanciarle occhiate e sogghignare beffardo.
Kaito - con cui non aveva parlato per tutta la giornata -, che aveva ormai notato quelle occhiate fugaci, li osservava, insospettito, passando gli occhi da una figura all'altra.
Lei, invece, si era concentrata il più possibile sul suo test di lingua giapponese, cercando di trattenersi dal dare dei bei colpi di straccio in testa ad entrambi.
Il pomeriggio - come ogni giorno, ormai - era andata alla torre dell'orologio, ritrovandosi catapultata in chissà quale epoca, sullo stesso divano blu, a studiare per il suo imminente compito di educazione civica.
Appena ritornata dal suo viaggio di ben tre ore e mezza, era ritornata a casa con suo padre, ed un'aura di fuoco che la circondava: era venuta a conoscenza che "quel deficiente di Katashi" - come lo aveva nominato lei -, benché avesse già ottenuto la sua gemma e fosse già stata posizionata nel meridian, continuava a dilettarsi nei suoi finti furti. Non ne trovava il motivo, dato che la sua tormalina l'aveva già trovata cinque mesi prima, dopo un mese dal suo primo viaggio. Aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per non spegnergli quell'insopportabile ghigno con un pugno.
Che poi, si era chiesta, perché non si trovava in galera? Certo, non erano vere e proprie rapine, ma, se fosse stato per questo, nemmeno Kaito Kid rubava. Si divertiva a schernire la polizia, proprio come l'ultimo Mugen. Cos'avevano, quindi, di diverso?
Ah, certo, Kid. Avrebbe avuto anche lei un ispettore tutto per sé? Di sicuro non poteva andarne fiera. Però, considerando che la ladra 'immortale' Johanne non si faceva viva da più di venti anni, ne dubitava.
Solo ora, in macchina con suo padre, si rese conto che di paura ne aveva fin troppa. Il suo cuore palpitava più velocemente del solito, e per un attimo ebbe il timore che esso potesse uscire dal suo piccolo sterno. Certo, era anche eccitata, ma nelle sue vene circolava più ansia che sangue. E se non ce l'avesse fatta? Se non fosse riuscita a scappare? Stava cominciando a diffidare anche delle sue capacità di ginnasta agonista. Avrebbe dovuto lasciare la palestra: dove avrebbe trovato il tempo di allenarsi? Avrebbe dovuto lasciare una delle sue più grandi passioni. Sebbene non si allenasse da ormai giorni, aveva riscaldato i muscoli della schiena, delle gambe e delle spalle a casa, poco prima di uscire; aveva notato con soddisfazione che la scioltezza non l'aveva lasciata.
E ora si trovava lì, accanto ad una Keiko trepidante e fin troppo esaltata, con il cuore che le martellava nel petto, le gambe che le tremavano e le mani sudate, solo ad un'ora di distanza dal suo show. Il furto si sarebbe svolto alla Tokyo Tower, al terzo piano; da lì avrebbe potuto saltare senza problemi. Si era accorta solo dopo aver indossato la tuta che essa conteneva una cintura interna, da cui si potevano trarre una marea di vantaggi; ma ciò che le interessava maggiormente era il filo in fibra d'acciaio, avvolto in una piccola rotella al fianco destro, lungo ben 100 m. Inoltre - con grande stupore e meraviglia sua e di Keiko - era possibile far attivare un arpione, nel caso dovesse agganciarsi a qualche palazzo. Se doveva essere sincera, quella situazione le sapeva molto di Tarzan moderno. I dubbi la stavano divorando, e certe volte le veniva anche da chiedersi se sarebbe morta schiacciata contro la finestra di qualcuno. Era da un quarto d'ora che non faceva altro che porsi domande così - che, tra l'altro, persino lei considerava idiote. Puntualmente, però, sopraggiungeva la voce di Johanne, che le confermava, con voce dolce e comprensiva, che ci sarebbe stata lei. Ciononostante, Aoko si sentiva stanca e prostrata. Chissà, si diceva, se una volta entrata nella sua parte si sarebbe ridestata?
"Aoko? Dai, è da più di un minuto che stai lì dentro" le giunse la voce della sua migliore amica, leggermente preoccupata.
Lei alzò il capo - che prima teneva chino, con lo sguardo sulle sue gambe - di scatto, trascinata via da quel vortice di pensieri ed incertezze che l'intrappolava. Vide la sua migliore amica e il padre che la osservavano con aspettativa, con la testa lievemente curvata da un lato.
"Dai" ripeté il padre. "Tra un'ora devi andare." Le porse la mano, che lei prontamente prese, scendendo dall'automobile grigia. Poi proseguì: "Ti devi cambiare e devi riscaldarti meglio, se vuoi toccare il Blue Hope." Virò lo sguardo a sinistra, verso la torre, e la figlia poté scorgervi inquietudine.
Solo alle parole dell'ispettore, la moretta si ricordò che non era uscita col costume; almeno quello gliel'aveva concesso, dato che avrebbe destato troppi sospetti. Poi, seguì la traiettoria degli occhi del poliziotto, e per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite: almeno una cinquantina di persone - da liceali a cinquantenni - erano raggruppate intorno alla Tokyo Tower, con cartelli e striscioni in cui una sola scritta prevaleva: JOHANNE. Urlavano e gridavano per l'imminente arrivo della ladra, emozionati ed agitati.
"S-sono... sono qui per... m-me?" Era decisamente incredula. Come potevano così tante persone supportare il suo nuovo alter ego, se non si faceva vivo da più di venti anni?
Il padre le sorrise debolmente, prendendo il borsone in cui avevano riposto il vestiario - se così poteva esser definito - di Aoko, chiudendo l'anta posteriore della macchina.
L'amica, invece, le poggiò un braccio sulle spalle, scuotendola un po'. "Certo che sono qui per te! Visto? Hai già un sacco di fan!"
"E non sono solo questi" aggiunse Ginzo, leggermente nervoso, incamminandosi verso l'entrata. 
Le due ragazze lo seguirono, ma la viaggiatrice era ancora troppo ansiosa per camminare senza barcollamenti, quindi non si scansò dall'abbraccio della bionda.
"Che significa?" C'erano altre persone? No, sarebbe morta dall'imbarazzo.
'Non ti preoccupare, sono qui per me' soggiunse, fiera, la vera ladra. 'E, giuro che è l'ultima volta che te lo ripeto, ti aiuterò io. Fidati di me!'
"Facile dirlo" mugugnò ancora lei, attirando un'occhiata incuriosita di Keiko.
"Significa che nella sala ce ne saranno almeno un'altra cinquantina." E lo sapeva bene. Ricordava di tutte le rapine della moglie, in cui gli ammiratori erano almeno il triplo di questi.
Se avesse potuto, la mascella di Aoko si sarebbe ritrovata a terra.
Nel frattempo, avevano raggiunto l'ingresso della torre, entrando, mentre l'ispettore aveva già chiamato l'ascensore.
"Ma ti rendi conto? Sei già famosa!" La strattonò ancora un po' Keiko, ridendo.
"Mmmh, meraviglioso" commentò sarcastica l'altra, ma non riuscì a reprimere un radiante sorriso.
Sì, era ansiosa, ma la sua migliore amica sapeva sempre come stemperare la tensione, e anche in quel momento, ci stava riuscendo.
L'ascensore arrivò e, insieme ad una decina di persone, salirono.
Un uomo selezionò la fermata a tutti piani; tuttavia, soltanto le due compagne e il poliziotto uscirono dall'elevatore al terzo piano. Si resero conto appena entrati del perché: la sala era gremita di fan e agenti, così tanti che era difficile addirittura farsi strada.
Un uomo robusto e alto, con capelli rasati a zero, li fermò, sbarrando loro la via; si accorse solo un attimo dopo chi c'era in quel gruppetto.
"Salve, ispettore Nakamori" lo salutò, educato, seppure la sua voce era così baritonale da mettere quasi paura. Si scansò, rendendo loro libero il passaggio. "Potete passare."
Aoko ridacchiò un po', insieme alla sua amica. "Ecco la fortuna di avere un ispettore come padre."
Lui le lanciò uno sguardo divertito, mentre camminava, provando a non dare spintoni alle persone circostanti.
La mora si avvicinò a Ginzo, sussurandogli: "C'è un ispettore anche per Johanne?"
"Ai tempi di tua madre sì, ora non so se sia ancora in servizio" rispose, pensieroso.
"Certo che sono ancora in servizio."
La viaggiatrice andò a sbattere contro un uomo piuttosto basso e grasso, con piccoli occhi azzurri e i capelli - quei pochi che ancora aveva - neri. Sembrava sulla cinquantina, e aveva entrambe le mani posate sui larghi fianchi. Aveva un grande sorriso soddisfatto che gli accentuava le rughe, ma ad Aoko fece tenerezza.
"M-mi scusi..." provò lei, ma l'uomo non sembrava prestarle la minima attenzione.
"Ciao, Ginzo! Da quanto tempo, eh?" Dovette urlare per farsi sentire dal collega, a cui strinse la mano e diede una forte pacca sulla spalla.
La ragazza non s'interessò più di tanto alla scena, poiché cominciò a guardarsi attorno, in cerca di qualcosa che le sarebbe potuto essere utile: oltre a tutti quegli ammiratori, la ragazza notò che - fortunatamente - le pareti consistevano in pannelli di vetro, che potevano lasciar vedere tutto il paesaggio sottostante; gli uomini dell'ispettore - il quale nome, Koichiro Gamano, le era giunto alle orecchie di sfuggita - erano posti davanti ai divisori, ed altri intorno alla teca al centro della stanza; l'unica luce che subentrava era quella dell'illuminazione della torre, e così risultava fioca e soffusa.
"Questa è mia figlia, Aoko Nakamori, mentre lei è una sua amica, Keiko Momoi" le presentò il poliziotto, indicando rispettivamente la figlia e l'amica.
"Piacere" dissero all'unisono, benché la mora avesse altre cose da fare, anziché salutare colui che le avrebbe dato la caccia per mesi, se non per anni.
Decise di inventare una scusa banale per fuggire da quel posto. "Papà, io sto andando in bagno." Fece l'occhiolino al suddetto e alla bionda, attenta a non farsi scorgere dal suo nuovo rivale.
Keiko le sorrise incoraggiante, stringendo un pugno ed alzando il pollice. L'altra le sorrise a sua volta, mentre captava il labiale del padre: "Stai attenta".

 

'Lasciati andare.'
"Eh?" fece lei, al limite del palazzo.
'Lasciati andare' ripeté.
Era salita sul tetto di un edificio abbandonato a pochi metri di distanza dalla torre, cambiandosi nei vestiti del suo alter ego. Aveva cominciato a provare slanci, ejambeé, biche à bouchle, rovesciate e pivot; non poteva far altro che essere compiaciuta di se stessa. Le sue gambe, né tantomeno la sua schiena la stavano tradendo: ore ed ore passate ad allenarsi le erano state davvero d'aiuto, e lei non ne era stata nemmeno a conoscenza.
Ora si trovava in procinto di lanciare il suo rampino dalla "rotellina" - che, con suo immenso sconcerto, si poteva trasformare in una piccola pistola per sparare, appunto, il gancio -, per poi andare a trovare un punto debole del vetro del terzo piano della Tokyo Tower, provando a perforarlo.
La sua paura si era presto tramutata in adrenalina e la sua ansia in eccitazione. Era pur vero che sarebbe dovuta presentarsi davanti ad un centinaio di persone, ma quella non era lei, era Johanne. Johanne avrebbe dovuto appurare se quella fosse stata la gemma, Johanne avrebbe dovuto fare i suoi show, Johanne sarebbe dovuta fuggire dalla polizia. Ma, a quanto pareva, alla vera Johanne, questi pensieri non andavano bene.
"Certo! Ora mi butto, stanne certa" sbottò, sardonica, cercando di maneggiare quell'astruso aggeggio che si ritrovava in mano.
'Non intendevo in quel modo.'
Ad Aoko venne quasi da ridere. "Ci mancherebbe." Si stava innervosendo: non aveva mai usato una pistola, figurarsi una pistola lancia arpioni; come poteva usarla e prendere la mira?
'Non sarà Johanne a rubare' esordì, con voce ferma, che non tradiva alcun dubbio. 'E nemmeno Aoko Nakamori; saremo una persona sola.'
L'appellata arricciò le labbra in una smorfia stizzita, sia per le parole della donna che per l'oggetto che stava tentando di adoperare. "Mmh... Johanne Nakamori non suona bene, sai?"
'Aoko! Sii seria!'
"Senti da che pulpito viene la predica" bofonchiò, quando finalmente riuscì a far scattare la "sicura" - si chiese a cosa servisse una sicura in una pistola falsa, visto che le sembrava ancora più inutile di andar a rubare per conto di un estraneo.
'Dai, ascoltami: devi lasciare che io entri nel tuo essere. Sarà perché riesci a sentirmi, ma... non riesco a fondermi con te senza il tuo consenso. Lasciati andare. Va bene, piccola?' La sua voce sembrava quella di una madre - soave e benevola -, e non quella di un'amica che non fa altro che sfottere per la cotta dell'altra - come aveva prevalentemente fatto da quando il potere della sua ospite si era destato.
Lei sbuffò, non avendo compreso appieno la questione. "Se tu la pianti di chiamarmi piccola, va bene."
'Dai, bambina' continuò lei, caparbia, ad appellarla con quei nomignoli.
Nonostante ciò, Aoko fece come le era stato richiesto. Posò la pistola a terra, chiudendo gli occhi, e restò immobile; si concentrò in qualcosa che non sapeva neppure dove avesse appreso. Era come se una seconda linfa vitale, un secondo tipo di sangue, una seconda persona si fossero integrati nel suo corpo, nella sua anima, nel suo essere. Percepì scorrere nelle proprie vene qualcosa oltre la semplice emoglobina: era energia. Si sentiva più forte, su tutti i fronti: le sembrava di esser capace di tutto, come se non avesse alcun limite, sia fisicamente sia psicologicamente.
"Visto?"
Era la voce di Johanne. Era forte e chiara: tutti avrebbero potuto udirla. Pareva quasi una melodia, per quanto fosse bella. E nemmeno lei poteva crederci: non parlava in modo vero e proprio da quando era stata accorpata nelle Kouno. Avvertì l'impulso di abbracciare la sua amata ospite: le voleva bene, sul serio. Non era più sola dopo secoli e secoli; quella ragazza riusciva a sentirla, ed ora era stata in grado di farle sentire la sua stessa voce, limpida e cristallina. Ed era felice. Non sapeva nemmeno lei da quanto non provava la felicità; da quando aveva finito la sua vita terrestre, forse. Certo, aveva nutrito gioia, ma non era felice da secoli. Nel vero senso della parola.
Dal canto dell'altra, invece, era tutto un caos; un caos piacevole, ma pur sempre immane. Percepiva una strana sensazione: come se, insieme a Johanne, fosse anche lei felice, piena di energie e briosa come mai. Avrebbe potuto cominciare a saltellare - proprio come aveva fatto la sua amica Keiko qualche ora fa -, se non fossero mancati solo dieci minuti all'ora prestabilita. Tuttavia, era più che confusa.
"Ti voglio bene" le giunse ancora una volta quella voce argentina. C'era solo un problema: quelle parole erano uscite dalla sua bocca.
Si portò una mano tremante alle labbra, sfiorandole con un tocco lieve.
"J-johanne?" mormorò, e, anche stavolta, le labbra si mossero.
"Ti aiuterò io, ricordi?"
Un sorriso si formò sul viso di Aoko; era di ambedue le ragazze.
Due essenze, ma un solo corpo; entrambe non si erano mai sentite così. Così vive, così sincronizzate, in armonia, come se fossero una sola persona. E ora, non era solo Johanne ad avvertire la corrente di pensieri della viaggiatrice: pensavano allo stesso modo, le stesse cose. Provavano le stesse emozioni, quasi non ci fosse divisione.
La mora era già riuscita a capire i sentimenti dell'altra, ma le fece un immenso piacere sentirsele dire. Certo, era strano udire una voce che non fosse la sua uscire dalla sua bocca, delle parole rivolte a lei - e non dette da lei - varcare le sue labbra. Ma superati la sorpresa e il disorientamento, si fece avanti. Insieme a Johanne.
Come se si conoscessero da una vita; come se fossero una cosa sola.
 

Mai si stava divertendo come in quel momento: faceva rovesciate, saltava e girava. Le parve di essere una farfalla.
E si rallegrò ancor di più nel vedere le facce dei suoi ammiratori - e degli agenti stessi -, dipinte con espressioni meravigliate, stupefatte ed incantate. Anche le persone attorno alla torre potevano osservare tutta la sua maestria e la sua grazia.
Si accorse che, tra quella folla esultante, c'era anche il suo migliore amico: Kaito. Non poté far altro che restare compiaciuta e continuare a fare del proprio meglio, notando i suoi occhi luccicanti e il suo viso sbalordito.
Decise, dopo qualche altro ejambeé, di finire il suo show. Ora prendere la mira non sembrava più tanto difficile, così lanciò l'arpione in un punto preciso del palazzo in cui si trovava prima, facendolo agganciare alla balaustra del tetto. Non prestò nemmeno attenzione alle imprecazione che le stava scoccando l'ispettore Gamano, che subito fece riavvolgere il filo con cui si era cinta la vita, trasportandola verso l'edificio di fronte.
"Bye bye."
Non sapeva chi l'avesse detto: lei o Johanne? Sembrava un miscuglio tra le due voci; anche su quel fronte erano una cosa sola.
Diede le spalle alla Tokyo Tower, protendendo la mano libera - dato che l'altra aveva la presa salda sulla fune - verso la ringhiera. Stese le sue gambe in avanti, poggiando i piedi sul muro dell'edificio, e piegò le ginocchia, come se fosse una molla. Afferrò un pilastro del parapetto, sforzandosi di tirarsi su. Una volta scavalcato, si appoggiò ad esso, ansimando.
"Piccola, dobbiamo tornare come prima." Stavolta era solo Johanne.
Aoko annuì impercettibilmente. Avvertì una strana sensazione: sembrava quasi che il sangue avesse invertito il suo flusso circolatorio. Poi, lentamente, tutte le forze, le energie che sentiva di avere, si concentrarono nuovamente in un solo punto: il suo cuore.
Si accasciò a terra, ancora ansante, e priva della sua precedente vitalità e del suo vigore. Solo ora cominciava a percepire tutta la stanchezza e la debolezza accumulate.
'Aoko, stai bene?' le chiese la donna. Non era più la sua voce udibile, ma solo un flusso di pensieri nella mente della sua ospite.
"E me lo chiedi?" mormorò, boccheggiando. Sapeva che tutta quella spossatezza non era dovuta alla sua performance: non si era mai affaticata così tanto, nemmeno durante le sue tre ore giornaliere in palestra; ma allora cosa poteva essere?
'Penso che sia stata la nostra... unione.' Sebbene la sua voce non fosse forte e chiara, si poteva notare una nota di preoccupazione in essa.
"Unione?"
'Come la vuoi chiamare? Fusione? Sincronizzazione?' Parve pensarci un attimo, per poi continuare: 'Sì, sincronizzazione mi piace. Che te ne pare?'
Si alzò, avanzando verso il borsone, contenente i suoi vestiti: di lì a poco sarebbero arrivati gli agenti, non poteva farsi trovare nelle vesti di ladra.
"Sì, sì, va bene."
Barcollò un po', abbassandosi e prendendo lo zaino cilindrico blu. Si diresse verso un magazzino all'ultimo piano, pieno di utensili per la pulizia e pullulante di scarafaggi e topi.
'Ma mi ascolti?' le domandò, sbuffando.
Aoko, per tutta risposta, si limitò a sospirare rumorosamente, scendendo dalle polverose scale. Raggiunse il magazzino nel giro di pochi secondi, dato che aveva affrettato il passo: se non avesse voluto ritrovarsi dietro le sbarre, avrebbe dovuto muoversi. Si cambiò al più presto possibile, sia per l'incombente arrivo della polizia sia per non tornare a casa con qualche morso di topo.
Si premurò di scendere altre quattro rampe di scale e di uscire dalla porta di emergenza, che dava su un cortile scolastico. Virò il proprio corpo verso la torre, notando agenti correre qua e là, ma si rincuorò, notando anche il padre e l'amica. Fece un giro largo, sperando di non farsi scorgere.
Provava ancora quell'infinito senso di stanchezza, ma aveva solo due cose in mente: una doccia calda ed il suo comodo letto.
Ginzo e Keiko si accorsero della ragazza, raggiungendola a grandi falcate.
"Quindi non era quella la gemma, eh?" ovviò la bionda, abbracciando l'amica.
"Non posso mica essere fortunata come quell'Hirawata." Sbuffò, per poi simulare la sua voce arrogante e orgogliosa: "Ho trovato la mia tormalina verde al solo quinto furto".
La migliore amica sogghignò, sottraendosi momentaneamente dalla stretta, e l'ispettore non riuscì a trattenere un sorrisetto.
"Sei stata comunque fenomenale!" Le buttò nuovamente le braccia al collo, facendo indietreggiare e ridacchiare la moretta. "Erano tutti a bocca aperta!" proseguì, adulandola.
Il padre le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. "Si è fatto tardi" osservò, con voce assonata. "Non sei stanca?"
Le due ragazze sciolsero l'abbraccio, mantenendosi, comunque, una accanto all'altra.
"Puoi dirlo forte."
"Allora andiamo, forza" le incalzò.
Prese il borsone dalla spalla della figlia, caricandoselo sulla propria, e avanzò verso la propria automobile, seguito dalle due amiche.

 

"Signore, qui vi sono le informazioni su di lei." Il giovane uomo porse un involucro al più vecchio, per poi continuare: "Questa sera ha avuto il suo primo furto".
L'anziano prese la busta, esaminandola per qualche secondo tra le sue mani grandi e raggrinzite. Poi alzò gli occhi - neri come la pece -, fissandoli in quelli del subordinato, il quale venne percosso da un violento brivido; forse, tra i primi della sua vita.
"Il prossimo furto del mago, invece?" domandò, con voce apparentemente calda, ma che celava freddezza e perfidia.
Il più giovane trasalì, deglutendo: perché non gli aveva chiesto come fosse andato il furto della ladra?
"D-domani, signore."
"Bene" sentenziò, mentre un sorriso maligno si faceva strada sul suo viso incartapecorito, evidenziando ancor di più i segni provocati dal tempo. "Fategli una visita; ne sarà allietato."


Ehi, ehi! Sono qui con un nuovo capitolo, anche se un po' in ritardo.
La nostra povera Aoko non vuole mettere il "vestito"... Del resto, come biasimarla? x'D
Abbiamo, poi, tutti i sentimenti della viaggiatrice e di Johanne, per arrivare alla sincronizzazione; vi consiglio di fare attenzione alle emozioni della cara vocina, serve ad inquadrare meglio la storia del personaggio ;)
Cosa ne pensate, invece, del cambio di umore di Aoko? Non vi preoccupate, è solo momentaneo (e no, Johanne non è una sostanza stupefacente x'D) 
Infine, c'è questa bella conversazione tra il "signore" ed il subordinato... Penso che abbiate capito chi è questo misterioso ladro, eh? :P
Per ultima cosa, vi dico di tenere a mente i colori (non vi posso dire di cosa, o sarebbe troppo facile); c'entrano con i fantomatici bolli ^^
Ringrazio sempre Shinichi e Ran amore, che non si perde mai nemmeno un capitolo; ma ringrazio anche i lettori silenziosi! xD
Al prossimo chappy! ;)

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 9
*** Il Moussaieff Red ***


"Aoko? Dai, sbrigati!" gridò sull'uscio della porta aperta, mentre una Keiko elettrizzata si dedicava a delle risa eccitate. "Stasera devo catturare quel maledetto Kid!"
La viaggiatrice scese le scale velocemente, spense tutte le luci e si avviò fuori casa insieme al padre e all'amica.
"Allora, tesoro, devi stare attenta a tutte le sue mosse, sa bene come scappare e travestirsi. Quell'incosciente di Jirokichi Suzuki ha esposto il Moussaieff Red al museo più grande della città, dentro una teca. Voglio proprio vedere cosa s'inventerà oggi."
"Moussaieff Red?" chiese la biondina, ignara.
L'ispettore prese le chiavi della macchina e l'aprì, avvicinandola, insieme alle due ragazze. "È il diamante più famoso al mondo" spiegò, arricciando le labbra. "Anche se - a dir la verità - non è nemmeno così grande. È rosso ed è stato usato per una pubblicità, ecco tutta la sua fama. E il riccone l'ha comprato alla bellezza di cinquecento milioni di yen. Ma da dove li prende?"
Le due amiche ridacchiarono un po' alle parole del poliziotto, evidentemente irritato. Aoko aprì uno sportello posteriore della macchina, facendo entrare la sua migliore amica, per poi adagiarsi accanto a lei.
"Mi dispiace che tu sia stata coinvolta in questa faccenda, Keiko" proseguì, ma con una cromatura presente nella voce molto più seria rispetto a quella precedente. "Ti prego di non dirlo a nessuno." Sospirò drammaticamente. "Anzi, quei pazzi daranno di matto anche per te."
La mora sorrise, baldanzosa. "E se noi non glielo dicessimo?"
Il padre sogghignò piano, un po' per l'idea - che, tra l'altro, gli andava più che bene -, un po' per l'audacia della figlia. "Non ti sarai agitata troppo per questa storia?" domandò ironicamente lui, ancora ridente, mentre dava gas, seduto davanti al volante della sua modesta Toyota Yaris grigia.
Se avesse dovuto essere sincera, avrebbe risposto "Sì". "Macché!" ribatté, invece. "Guarda, non vedo l'ora di andare a rubare qualche gioiello." Cercò di simulare uno sbuffo, ma, in realtà, voleva saltellare per l'adrenalina che si stava producendo nel suo corpo.
'Ehi, ehi!' l'ammonì Johanne in modo canzonatorio, divertita. 'Devo dare ragione al tuo babbo. Non dimenticare che posso leggerti nel pensiero!'
'Tanto non puoi dirlo a nessuno!' Voleva quasi scoppiare a ridere, per quanto intensa fosse la sua allegria. Ignorava completamente la sua origine, ma le piaceva; almeno, riusciva a tralasciare i pensieri che potevano incupirla. La entusiasmava quella situazione, sebbene lei stessa non riuscisse a capirne il motivo. Voleva provare l'euforia nel compiere qualcosa d'interdetto, vietato; si rimproverava per questo: odiava le cose illegali. Forse era l'influenza di suo padre, o magari il suo buon cuore, ma sosteneva sempre la giustizia. Nonostante ciò, quella vicenda quasi la esaltava, perché sapeva, in fondo, che i suoi non si sarebbero potuti definire veri e propri "furti": doveva solo toccare delle gemme, e poi, se fosse stata quella giusta, rubarne una. Ma, in ogni caso, era per una buona causa, e forse si sentiva giustificata. Le venne in mente il ladro che stavano andando a vedere ed i suoi show.
'E se anche lui rubasse per una buona causa?' si chiese. Poi, però, scosse la testa con veemenza, come se quell'ipotesi fosse da scartare sin dal principio. No, era impossibile, si disse. Lo faceva solo per deridere suo padre e per fare i suoi stupidi spettacolini, e lei ne era perfettamente consapevole. Si divertiva a beffeggiare i poliziotti, cercando di attirare l'attenzione del pubblico su di lui. Uno spaccone in cerca di fama - così lo definiva lei.
'Sta' attenta alle parole che usi per Kid, ragazzina!'
La piccola viaggiatrice represse un risolino: aveva dimenticato della cotta della donna che tanto si divertiva a parlare nella sua mente. 'Certo, piccioncina.' Be', ora erano 1-1.


 

"Eccoci al Tokyo Museum" esordì Ginzo.
Erano davanti alla porta principale, in procinto di entrare. Il furto - a dir dell'ispettore - doveva avvenire alle 23:00 in punto; quindi mancavano tre quarti d'ora all'apparizione del fantomatico ladro.
Il poliziotto aprì la porta, ritrovando dinanzi a sé due ragazze - che identificò come la nipote del signor Suzuki e la sua amica -, cinque ragazzini delle elementari e, naturalmente, l'organizzatore dell'esposizione. Vagò con gli occhi per trovare anche la sua squadra, e trovò una decina di agenti messi in riga, appoggiati ad una parete del museo.
"Salve" salutarono all'unisono le due ragazze, mentre l'uomo andò a confabulare qualcosa con il signor Suzuki - probabilmente relativa al furto.
Si avvicinarono lentamente, fianco a fianco, all'ereditiera e alla sua amica, che, in quel momento, davano le spalle alle altre due, sperando di poter dialogare.
"Uhm... Ciao" disse Keiko, quasi intimorita.
Le due ragazze si girarono: la mora sembrò sorpresa, ma poi sfociò in un raggiante sorriso; la biondina, invece, dapprima assottigliò lo sguardo, esaminando le altre ragazze dinanzi a lei; dopo qualche istante, però, rise anche lei.
"Ehi" rispose la karateka, briosa.
"Tu sei la figlia dell'ispettore Nakamori!" esclamò la ragazza accanto a lei, puntando un dito contro Aoko.
'Sei diventata famosa, tesoro' sogghignò la ladra.
La viaggiatrice simulò una risatina nervosa, confermando: "Sì, sono io".
"Sonoko Suzuki." La giovane era alta circa quanto la futura ladra, ma era decisamente più sinuosa. Aveva due grandi occhi azzurri, mentre dei capelli biondo cenere le ricadevano lisci, tagliati in un carré scalato.
"Ran Mouri" si presentò; era di qualche centimetro più bassa rispetto all'amica, con le forme riposte nei punti giusti. Gli occhi di un blu intenso - tendente al viola - luccicavano come gioielli; lunghi capelli castani le circondavano il grazioso volto ridente.
"Io sono Keiko Momoi, l'amica di Aoko." Ricambiò allegramente il sorriso.
Era ovvio che provassero la stessa simpatia le une per le altre, perché, subito dopo le presentazioni, girarono per il museo, parlando e ridendo come se si conoscessero da una vita. Mentre, però, si erano soffermate ad osservare estasiate l'oggetto principale della mostra - un anello con un bellissimo diamante rosso incastonato -, riposto in una teca enorme, Aoko si pose una domanda.
"Ma..." esitò, ma dopo aver attirato l'attenzione delle altre tre ragazze, continuò: "Nell'annuncio c'è scritto l'orario preciso?"
Ran, che in quel momento aveva già le labbra leggermente incurvate, sorrise fulgente. "No. È stato il mio fratellino a risolvere l'enigma" decretò, con una sfumatura di orgoglio nella voce.
"Il tuo fratellino?" chiese Keiko. La moretta accanto a lei alzò un sopracciglio, curiosa.
"Conan Edogawa, un moccioso saputello." Stavolta, fu Sonoko a rispondere, agitando la mano, quasi volesse scacciare una mosca fastidiosa. "È chiamato anche l'Anti-Kid." Indicò un bambino: aveva circa sette anni, indossava vistosi occhiali che coprivano i suoi occhi di un azzurro deciso, mentre dei capelli corvini gli orlavano il giovane viso, ribelli. "L'avrete visto almeno una volta, no?"
Le studentesse del liceo Ekoda virarono la traiettoria dei loro sguardi verso il soggetto di quella discussione, per poi esclamare all'unisono, soprese: "Ma certo!"
"Ehi, Conan!" lo chiamò la karateka; il ragazzino si volse, strabuzzando gli occhi alla vista della viaggiatrice: si rese conto che era praticamente uguale a sua "sorella".
"D-dimmi, Ran-neechan." Tenne fisso lo sguardo su quella che lui considerava una sosia uscita male, assottigliando lo sguardo e scrutandola.
"Vieni, saputello! Spiegaci come hai fatto a risolvere l'indovinello." L'ereditiera strizzò l'occhio alle due amiche, che, intanto, spostavano gli sguardi dal bambino alle ragazze: com'era possibile che un bambino di sette anni fosse riuscito a risolvere un indovinello di quel ladro tanto astuto? Certo, si parlava dell'Anti-Kid, il famoso bambino prodigio, ma era pur sempre uno studente delle elementari!
Il piccolo detective fece un cenno ai suoi amici, andando incontro alle giovani. Prese un foglietto dalla tasca dei suoi pantaloni - su cui c'era indubbiamente scritto qualcosa - e lo porse alla viaggiatrice, che, seppur titubante, lo afferrò. La biondina con gli occhiali - accanto a lei - sporse il capo per leggere, mentre le altre due le osservavano con un sorrisetto compiaciuto e le braccia incrociate al petto.
"La notte del 21 settembre illuminerò il cielo di rosso e d'argento" cominciò a recitare la mora, quasi sussurrando. "Ruberò il gioiello che di detriti è l'addensamento. Il bagliore è nuovo ed è fonte di tormento."
"Finora è facile" la interruppe il bambino, suscitando una reazione meravigliata ed esterrefatta nelle ragazze. "Illuminerà il cielo di rosso e d'argento: il rosso deve essere il colore della pietra, mentre l'argento si riferisce al suo deltaplano." Sospirò, indicando la grande teca in cui vi era contenuto il Moussaieff Red. "I diamanti, per natura, sono trasparenti, ma quando c'è un addensamento di detriti possono cambiare colore."
"Io l'ho detto che questo moccioso è un'enciclopedia portatile di cose inutili!" sbottò Sonoko, facendo ridacchiare la migliore amica e guadagnando un'occhiata torva dal piccolo.
"Il bagliore nuovo, invece," continuò, senza prestare attenzione alla giovane, "rappresenta l'età del gioiello, dato che è stato levigato e messo in luce solo l'anno scorso. Be', è fonte di tormento perché tutti farebbero qualunque cosa per averlo. E poi, zio Jirokichi l'ha comprato solo una settimana fa e la notizia è finita su tutti i giornali, quindi non era difficile da capire." Sul suo viso si creò un riso ingenuo, mentre le ragazze che avevano chiesto delucidazioni riguardo la rapina lo guardavano con occhi divaricati, come se avessero visto la cosa più allucinante del mondo. Effettivamente, non potevano essere biasimate.
"Dai, continua a leggere" la incalzò la karateka.
Fece come le era stato richiesto. "Tre volte riesumerà. Ma attenti, alle nove non sarà. Sembra il dieci e, come un detective, rappresenta l'intuito, ma quello non è. L'ignoranza si piegherà all'aria. È l'Acquario, ha la vibrazione del due, ma precaria. Ah, Urano, Maestro, che gran sognatore! TU, sono queste le ore." Aveva le labbra arricciate e la fronte corrugata: tutte quelle parole le ricordavano qualcosa, ma non sapeva bene cosa.
La biondina accanto a lei, invece, sbuffò fragorosamente. Come poteva capirci qualcosa? Erano tutte frasi senza senso!
"Qua Kid ha semplificato ancora di più le cose" ridacchiò nervosamente Conan.
"Sai anche questo?" domandò, incredula, Keiko, facendo leva sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza. "Io non ci capisco nulla!"
Il mini detective si portò una mano alla nuca, grattandola, impacciato. "Basta sapere un po' di astrologia" affermò, con la tipica espressione innocente di un bambino. "Per quanto riguarda le tre volte, basta saltare tre parole dall'inizio della nuova frase e ci ritroviamo con 'alle'."
"Il numero undici!" decretò, all'improvviso, la viaggiatrice, interrompendo la spiegazione del piccolo. Gli occhi color mare le brillavano, mentre faceva oscillare l'indice della mano destra, quasi volesse dire "Giusto, giusto". "Fino a 'gran sognatore' si riferisce alle caratteristiche del numero undici in astrologia!" Intanto, il bambino aveva cominciato a fissarla con gli occhi sgranati, come se stentasse a credere alle sue orecchie, e le amiche lo imitarono. "'TU', invece, può rappresentare il numero ventitré nell'oroscopo numerologico; quindi sarebbero le undici di sera!" Si accovacciò accanto all'amica, posando le sue mani sulle esili spalle del ragazzino, che, nel frattempo, si era lasciato andare ad un sorriso soddisfatto, annuendo. "Sei un genio!" E lo pensava davvero. Senza il suggerimento di quel piccolo talento, non sarebbe mai arrivata a quelle conclusioni. Amava l'astrologia, non c'era da stupirsi che ne sapesse così tanto.
Lui simulò una risata - ancora una volta - inquieta, rigraziandola.
"C-come hai fatto?" chiesero insieme le due studentesse del Teitan, stupefatte.
La moretta si alzò, lisciando la gonna bordeaux che aveva deciso di indossare. "Oh, mi piace l'astrologia" disse semplicemente, sorridendo radiante.
Si alzò anche la sua migliore amica, scoccandole un'occhiata infastidita. "E figuriamoci." Poi, però, scoppiò a ridere insieme alle amiche.
Gli uomini di pattuglia, in tutto ciò, si erano moltiplicati, raggiungendo la ventina e affollando il museo. Vi erano, ormai, un'altra cinquantina di persone, che, tuttavia, erano costrette fuori una soglia prestabilita, e che esultavano e chiamavano il ladro gentiluomo del ventunesimo secolo.
"Ma che visione celestiale" osservò una voce fin troppo conosciuta per le loro orecchie. 
Gli occhi dell'ispettore e della figlia guizzarono in diverse direzioni, non trovando, però, nulla. La ragazza assottigliò lo sguardo, esaminando le circostanze in modo più accurato; riuscì, infatti, a scovare una figura che, tra quasi cento persone presenti in una sala, poteva passare inosservata, ma non a lei: era un poliziotto, il quale stava evidentemente parlando con qualcuno al telefono, mentre sul suo viso si faceva strada un ghigno spavaldo. Avanzò cauta verso quella sagoma tanto sospetta - dato che tutti si guardavano intorno per rintracciare la provenienza di quella voce assai smielata -, ma venne colta alla sprovvista: il finto agente aveva scagliato tre piccole granate fumogene, provocando panico tra gli agenti e giubilo tra i fan. Dopo circa un minuto di tossicchi, grida ed adulazioni, il fumo - di una cromatura tra il grigio e il rosa - scemò, lasciando intravedere una figura: Kaito Kid.
"MALEDETTO KID" gridò, infuriato, l'ispettore Nakamori, con le braccia alzate e le labbra traboccanti d'imprecazioni. Tutta l'ansia di quella mattina era svanita tutt'a un tratto, essendo rimpiazzata da disprezzo ed irritazione. Ciononostante, quando il gas si dissolse, il suo sguardo cercò quello della figlia, auspicando che lei stesse attenta alle "lezioni di ladrocinio". E, per suo compiacimento - o dispiacere, non lo sapeva nemmeno lui -, la rinvenne ferma, con le braccia conserte al petto, intenta a studiare ogni minimo movimento del suo rivale; l'ultimo mago del secolo si trovava sulla teca di vetro - ormai vuota -, con le braccia spalancate, come se volesse trasportare tutti i presenti in un caloroso abbraccio, e un sorrisetto sfrontato. Aoko - doveva ammetterlo -, benché potesse risultare ridicolo con il suo enorme cilindro e il suo costume interamente bianco, salvo la camicia del colore dei suoi occhi ed una sfavillante cravatta arancione, lo trovava bello. Inoltre, non sembrava nemmeno troppo vecchio, nonostante i vent'anni passati a compiere furti.
'E se ci fossero stati più Kid?'
Scrollò il capo, cercando di concentrarsi sulle sue mosse, anziché sulla sua bellezza o presunta età.
"Ladies and gentlemen! Che lo sh..."
"KID! Non abbiamo tempo per le tue frasi fatte!" esclamò il direttore della Task Force di Kaito Kid, infervorato.
"Oh, ispettore! Mi rincresce sapere che lei ha una così bassa considerazione delle mie doti di attore" rise, infastidendo il suo nemico ancor di più.
Kaito, sotto le spoglie del suo alter ego, si sentiva decisamente osservato: era a disagio. Gli erano sempre piaciute le attenzioni della polizia e dei suoi fan, ma ora sentiva uno sguardo algido esaminarlo, studiarlo, privandolo della sua Poker Face. E non era quello del piccolo detective, che, comunque, stava scrutando ogni suo gesto, con le sue scarpe estremamente particolari già messe in azione. Vagò con lo sguardo, quindi, in tutta la sala, provando a risultare il più normale possibile al suo pubblico e alla polizia. Gli venne quasi un colpo al cuore, quando scorse lei: lo osservava, con gli occhi ridotti a due fessure, mentre stava in piedi, rigida, accanto alla sua compagna di classe e le amiche del suo amico-rivale. Fece di tutto per non darlo a vedere, e si compiacque, notando di esserci riuscito: il suo ispettore stava lanciando chissà quante imprecazioni contro di lui, mentre i suoi agenti cercavano di prenderlo, e lui - inconsciamente, quasi fosse un'abitudine - svaniva da un punto della sala all'altro, facendoli spazientire.
"Vi piacciono le stelle?" domandò il mago. La folla scoppiò in urla di lusinghe e blandizie, dando conferma al giovane ladro che, al suono di quelle grida, sogghignò sfacciatamente.
Il piccolo detective e la viaggiatrice alzarono un sopracciglio, curiosi di vedere la sua nuova - ed unica - performance.
"Ebbene, ne vedrete proprio ora!"
'A quanto pare non sei l'unica che ama le stelline, piccola' ridacchiò la ladra, schernendo la sua ospite.
'Più tardi facciamo i conti, Johanne.'
Non riusciva a capire cosa volesse fare quel ragazzo che tanto si vantava delle sue doti da prestigiatore. Come potevano vedere una stella all'interno di un edificio? Ebbe la risposta in quello stesso istante: il ladro si dileguò dietro una grande nuvola di scintille scoppiettanti - simili ai giochi pirotecnici che si fanno tradizionalmente a Capodanno. Poi vide, con suo immenso stupore, questa polverina luccicante muoversi, collocandosi in vari posti per formare una scritta precisa: KAITO KID.
'Il solito egocentrico.'
Come se non bastasse, al di sotto della scritta fluttuante in aria, si creò il suo "marchio di fabbrica": l'immagine stilizzata del suo viso, visto di profilo, e ghignante, che sempre andava ad ornare i suoi annunci e le sue lettere. Rimase meravigliata da quel gioco di luci, ponderando sul come fosse possibile una cosa del genere.
Dopo circa trenta secondi, si guardò attorno: il pubblico stava ancora esultando per il magnifico show, suo padre lo stava insultando, con ogni probabilità, anche in aramaico, e i suoi poliziotti osservavano ancora l'area, frastornati. Notò anche che il fratellino della sua nuova amica, Conan, non era più presente in sala. Conoscendolo come l'Anti-Kid, Aoko suppose che, magari, stava saettando con l'abilità che solo un ragazzino potrebbe avere, provando a catturare il suo rivale. Volse la testa verso le altre tre ragazze: le due biondine tripudiavano, lanciando urletti; la mora, invece, cercava di calmare la sua migliore amica con un riso comprensivo stampato sul viso.
Avanzò verso il padre, il quale stava dando ordini ai suoi agenti per trovare una qualsiasi prova per smascherare il ladro e il suo trucco.
"Cosa avrei dovuto imparare?" chiese all'ispettore, sarcastica. "Non so fare trucchi di magia, non ci riuscirò mai!" Tutta quell'euforia e baldanza che prima albergava il suo corpo e il suo animo era completamente svanita. Si sentiva un nulla posta accanto a quel prodigioso ladro, che altro non faceva che regalare eccezionali esecuzioni ai suoi ammiratori. Cosa poteva fare, viceversa, lei, per impressionare i suoi, di fan? Pensava di non avere alcuna dote! Non era nemmeno sicura di non farsi mettere dietro le sbarre alla sua prima rapina. Come poteva fare spettacoli paragonabili a quelli del mago al chiaro di Luna?
Ginzo si avvicinò al suo orecchio, criptando il labiale delle sue parole con una mano. "Ne riparliamo a casa" sussurrò, convinto. "Ho già in mente una cosa." Si allontanò nuovamente, parlottando con il signor Suzuki.
La piccola viaggiatrice sbuffò, confusa, tornando dalle sue amiche che, nel frattempo, chiacchieravano contente. 



 

La sala era illuminata da una luce calda e soffusa, che si andava a posare sul viso gremito di rughe e prostrato dal tempo dell'uomo accomodato su una pregiata e raffinata poltrona.
L'uomo dinanzi a lui, visibilmente più giovane, si calò in un piccolo inchino. Rialzatosi, porse una busta al più anziano.
"Qui vi sono le novità, signore."
Il suddetto rise piano. "La metà di queste me le hanno consegnate ieri." La sua voce era profonda, penetrante, ma - per via della vecchiaia - era piuttosto gracchiante. Tese - a sua volta - degli oggetti: due buste sigillate. "Questa è per gli inconcludenti." Indicò l'involucro con un bollo rosso scarlatto. "Quest'altra è per loro." Gli offrì - stavolta - quello con un suggello verde petrolio. "Voglio altre novità su di lei" ordinò, con voce aspra e severa.
Il più giovane annuì solennemente, facendo una nuova riverenza, asserendo: "Certo, signore".



Ehi, ehi! Ci ho messo poco anche stavolta, sebbene il capitolo sia un po' cortino.
Allora, abbiamo questo fantomatico furto del gelataio (<3), con l'indovinello (c'ho messo UN'ORA a ricordare cosa avevo letto su una rivista dal dentista e a partorire quelle maledette frasi), e... *rullo di tamburi* CONAN!! Come poteva perdersi un furto del ladro più amato del Giappone (e non solo)? Comunque, per chi è interessato, spiego meglio l'indovinello: la prima parte l'ha spiegata per bene Shin-chan, ma la parte dell'orario è un tantino più complessa (seppure lui dica il contrario, ma va be'). E' il decimo numero (dato che manca il dieci) e rappresenta l'intelligenza, la perspicacia, ma - naturalmente - non il numero dieci. L'elemento di questo numero è l'aria, e si dice che questa persona possa spazzare via l'ignoranza. Come segno zodiacale è l'Acquario, e rappresenta la maggiore vibrazione del due, anche se raramente tende a comportarsi come il numero stesso, per questo "precaria". Il pianeta è Urano, e l'undici è un numero Maestro, e viene rappresentato come, sì, una persona intelligente, ma anche come sognatore. Invece, la T, nell'oroscopo numerologico, rappresenta il due, mentre la U il tre. Ok, mi starete prendendo per pazza.
E poi abbiamo la scena misteriosa! Chi sarà mai? :P
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e, come sempre, vi invito a lasciare una recensione! xD

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 10
*** Cos'è la normalità? ***


Non sapeva perché, ma si ritrovavano insieme, di nuovo - e come sempre -, in quella strada. Nessuno dei due aveva fiatato, se non per un flebile "ciao" davanti alla porta di casa di lui. Lei aveva il capo chino a guardarsi i piedi, come fossero la cosa più interessante al mondo. 
Egli, al contrario, teneva il mento alto, mentre con la mano destra - appoggiata alla spalla - sorreggeva la sua cartella. Tuttavia, il suo solito sorriso, che faceva sempre impazzire le ragazze, che le ammaliava, che le faceva cadere ai suoi piedi era assente. I suoi occhi color mare, che tante persone avevano fatto annegare, naufragare in una piacevole isola di fascino erano spenti, privati della loro luce.
Proprio come due giorni prima, il prestigiatore aveva bevuto tutto d'un sorso l'aspro, ma allo stesso tempo dolce, succo allo yuzu; i toast farciti con marmellata alle ciliegie e burro li aveva scaraventati nello zaino senza alcun ritegno. Ma, del resto, non aveva nemmeno fame.
Poi, gli venne in mente la domanda che si poneva testardo dal giorno prima; decise, quindi, di formularla e di darle voce.
"Aoko?" sussurrò quasi. 
La sua testa saettò nella sua direzione, mentre deglutiva, nervosa. Fissò i suoi occhi in quelli del ragazzo a poco meno di un metro da lei, provocando al cuore del mago un balzo. 
Lui riuscì, comunque, a mantenere il suo viso imperturbabile, protetto da un fittizio ghigno. "Posso sapere cosa volevi dire a Keiko?"
La viaggiatrice sbarrò gli occhi, colta in contropiede. Certo, doveva aspettarselo: non avrebbe mai creduto alla scusa della camicia. Ma suo padre le aveva raccomandato, mentre i Guardiani le avevano proprio ordinato, di non parlare con nessuno delle inopinabili e surreali vicende che le avevano riempito le due giornate precedenti. Ma ora cosa poteva dirgli? Se avesse inventato un'altra scusa, si sarebbe insospettito ancora di più: perché raccontare la storia della camicia, e, tra l'altro, assecondarla? No, non era certamente la via migliore.
"La camicia di mio padre, ricordi? Ieri ne parlavo al telefono insieme a lei, e mi pareva di capire che c'eri anche tu..." Optò per la strada più semplice: perseverare.
Kaito assottigliò lo sguardo, insicuro. Cercò di vagare in quei suoi occhi che, lo sapeva, non erano capaci di mentire: non vi scorse, tuttavia, nulla.
Esalò un sospiro, rassegnato. Alzò il capo vero il cielo, osservandolo: proprio come il giorno prima, era grigio, scevro del colore che solitamente lo contraddistingue. Sembrava quasi che - ironia della sorte - l'etere si stesse incupendo, rispecchiando quelle giornate che non ne volevano sapere di prendere il verso giusto.
Rivolse nuovamente gli occhi a lei, scorgendola nel momento in cui scrutava ancora il suo viso perfetto, mancante d'imperfezioni.
Il volto della giovane si sfumò di rosso, mentre, impacciata, distoglieva lo sguardo, virandolo a terra, trovando - ancora una volta - una certa attrattiva nei suoi piedi.
Lui le rivolse un sorriso sincero; non era uno di quei ghigni che gli increspavano le labbra, nelle vesti del suo alter ego, solo per stizzire e per affascinare; né, tantomeno, era uno dei risi falsi che creava per murare e nascondere le sue emozioni. Era il sorriso di Kaito: non sembrava felice, ma era sincero.
"E che mi dici di Faccia da schia... Katashi Hirawata?" Il suo sorriso, che era appena accennato, scomparve del tutto alla pronuncia di quel nome. Ancora non riusciva a digerire quella questione, ma, in particolar modo, non riusciva a sopportare lui.
La viaggiatrice rialzò il capo, guardandolo con aria interrogativa: chi poteva essere? Però, quel nome non le sembrava del tutto sconosciuto. "N-non lo so?"
Il giovane strabuzzò gli occhi, per poi assottigliarli: quel ragazzo, dunque, come poteva affermare di sapere il suo nome e di avere rapporti "fuori dalla norma"? No, lo doveva conoscere necessariamente. "È il nuovo studente. Ha detto di conoscerti."
Spalancò gli occhi, proprio come aveva fatto l'amico qualche secondo fa. "Ti giuro che non lo conosco" ribatté, veritiera, lei. Ma allora perché quel cognome le risultava così poco estraneo? Cercò di vagare nei meandri della sua memoria, auspicando che anche solo un insignificante avvenimento potesse correlarsi a quel nome, a quel ragazzo.
Nonostante stesse dicendo la pura verità, lui si stava esasperando. Alzò un sopracciglio, e un ghigno sarcastico si stese sul suo volto teso. "Ah, sì?" fece, sardonico. "Perché sa il tuo nome? Perché avete 'rapporti fuori dalla norma'?" lo scimmiottò, spazientendosi. Stava provando... gelosia? No, non era gelosia. Era fastidio. Ma, d'altronde, chi non s'irriterebbe sentendo che la propria migliore amica ha rapporti misteriosi con un tizio che lo chiama coso? Non tutti, magari, ma lui certamente sì. 
Improvvisamente, il cervello di Aoko s'illuminò, accendendo una lampadina: aveva finalmente capito di chi si trattasse. Poi, però, contrasse le labbra in una smorfia stranita ed aggrottò la fronte: come poteva sapere il suo nome? Che gliel'avesse detto qualche suo compagno?
"Ah! Ora ricordo: è il figlio di un collega di mio padre" buttò lì; stava diventando piuttosto brava a mentire, anche se non sapeva se compiacersene o meno. "Forse avrà sentito il mio nome da qualche parte, chi lo sa?" Rise istericamente, ma fece di tutto per non darlo a vedere.
Intanto, stavano per raggiungere l'edificio del liceo Ekoda; mancavano solo pochi metri dal cancello, che si apriva su un gran cortile, già straripante di studenti.
"Io non li chiamerei fuori dalla norma, 'sti rapporti..." bofonchiò lui, indispettito. Non credeva ad una sola parola della sua amica d'infanzia. Ma, alla fine, non poteva replicare; sapeva che lei gli avrebbe chiesto la stessa sua domanda: "Cosa mi nascondi?"
La viaggiatrice reclinò nuovamente il capo, incapace di guardarlo negli occhi: non sarebbe riuscita a mentirgli, non più. Era una sua debolezza, sebbene potesse essere definita un pregio: non sapeva dire menzogne. Non era nel suo carattere, nel suo essere.
Avanzarono - ancora una volta - senza pronunciarsi. Il silenzio era assordante; non era capace di romperlo nemmeno il suono dei loro passi, né il brusio di voci - sempre più vicino e tonante - proveniente dalla corte della scuola.
Raggiunsero in poco meno di un minuto l'entrata: lì, la ragazza incontrò Keiko, separandosi dal ladro, che, subito dopo, si unì ad un gruppetto di studenti.
Quando Aoko riferì all'amica l'identità del loro nuovo compagno, lei boccheggiò, incredula.
"Scherzi?" sbraitò, attirando alcuni sguardi curiosi ed interdetti.
"Scherzerei mai su una cosa simile?"
La campanella suonò, interrompendo il chiacchierio delle due giovani, che, però, pettegolarono fino alla soglia di entrata della propria aula.
Là, uno sguardo profondo penetrò il fisico e l'anima della viaggiatrice: quello di Katashi.
 

Non poteva far altro che pensare a quelle occhiate profonde - quasi invadenti - che il suo 'compagno' le aveva scoccato in continuazione, caparbio. Si era sentita terribilmente a disagio: non si erano mai parlati, ma quelle occhiate sembravano volerle esprimere tutto il suo disprezzo, il suo scherno, ma, allo stesso tempo, il suo interesse e curiosità.
"Aoko?"
Camminava, costante, senza fermarsi, assorta nei propri pensieri. Chissà, si chiedeva, se anche Kaito si era accorto di quelle sbirciate furtive?
"Aoko... ?"
Scosse impercettibilmente la testa: doveva imporsi un certo autocontrollo, non poteva pensare sempre a quel mago stacanovista! Anche Keiko gliel'aveva raccomandato: non poteva distrarsi; almeno, non ora, quando, sulle spalle, aveva una responsabilità pesante quanto un macigno a tartassarla e a non darle un attimo di quiete.
"Aoko!"
Una scrollata di spalle la ridestò dai suoi pensieri: stava avanzando, senza aver controllo delle sue facoltà, non sapendo cosa avesse davanti, quando un'Ayame piuttosto interdetta le aveva afferrato le spalle e le aveva scosse per bene.
La viaggiatrice si girò, alzò lo sguardo, imbarazzata, sulla giovane donna dinanzi a lei. Le sue elucubrazioni erano state bruscamente interrotte - per fortuna, si disse lei - da quella ragazza, con solo qualche anno in più rispetto alla moretta, che, ora, la fissava attenta, ed una smorfia irritata a corrugarle le labbra e ad arricciarle il piccolo naso alla francese.
Abbozzò un sorriso timido, scusandosi con voce fievole.
"Dai, andiamo" la incoraggiò Ayame, dopo aver imitato la più piccola, sorridendole e dandole un buffetto sul braccio. "Kohaku deve prenderti le misure, ieri ti sei incantata a guardare i vestiti." Ridacchiò un po', riprendendo a camminare, seguita da Aoko.
Stavano procedendo in un lungo corridoio, simile a quello che portava alla Sala Magna: dopotutto, questo era un andito che si collegava a quello più ampio - come un immissario confluisce nel fiume principale. Era, tuttavia, molto più polveroso, come se ci si passasse solo di rado.
La mora si unì alle risa. "Be', come potevo non farlo?"
"Effettivamente..." Le lanciò un'occhiata effimera, in cui, però, la ragazza scorse una nota di malizia. "A cosa pensavi prima? A qualche ragazzo?" le ammiccò lei, facendola sogghignare leggermente.
"Mmh... Sì, più o meno." Al nascente sorriso che si stava spianando sul bel viso della sua nuova amica, si fermò di scatto, alzando le mani e agitandole, cromandosi di una leggera sfumatura vermiglia. "Non come lo pensi tu!"
Ma il riso malizioso che abitava la biondina non decise di abbandonarla, mentre riprendeva il passo. "E allora come?" chiese, ironica.
"Uhm... In un modo più strano." Alla vista della fronte aggrottata della ragazza, scelse di domandarle il quesito che l'aveva oppressa da quella mattina: "C-conosci Katashi Hirawata?"
Ayame fece una smorfia contrariata, quasi le avessero detto la cosa più brutta al mondo. "Sì. È l'altro prescelto, il tuo coetaneo. È il ragazzo più prepotente, arrogante e scocciante che abbia mai conosciuto." 
Poi, parve illuminarsi, strabuzzando gli occhi, e si voltò verso la più piccola, afferrandola per le spalle. Quella la fissò con un sopracciglio alzato, come se fosse pazza.
"Non mi dire che stavi pensando a lui! Ti piace?" Il suo tono era incredulo, forse anche troppo stridulo, per i gusti della viaggiatrice.
"Nemmeno morta!" Be', stava dicendo la verità: non le piaceva per niente, al contrario, le suscitava un certo disagio e stizza. "Però sì, stavo pensando a lui" ammise.
Ripresero ad avanzare, ma la bionda non faceva che indirizzarle occhiate di sbieco, così decise di spiegarsi meglio: "Si è trasferito ieri nella mia classe, e oggi mi guardava in continuazione". Sbuffò, irritata a quel solo pensiero. "È strano."
"È soltanto un idiota" la corresse l'amica, con una voce che tradiva tutto il suo biasimo per il ragazzo.
"Non lo conosco, quindi non so..."
"Fidati di me, è un imbecille patentato."
Alla sprezzante definizione della donna, Aoko scoppiò a ridere di gusto. Sarebbero diventate sicuramente buone amiche, quelle due; era indubbio.
Si avvicinarono ad una porta - che la mora riconobbe come quella della sartoria - e si bloccarono. Abbozzarono entrambe un sorriso.
"Tesoro, ti devo lasciare." Poi le ammiccò, facendole l'occhiolino e accentuando il suo riso. "Ci vediamo tra una mezz'oretta, ché devi" simulò due virgolette con le dita, scimmiottando Hiro, "'spropriare'."
L'altra sogghignò, divertita. "Certo. A dopo, Ayame." Alzò una mano, agitandola un po'.
La biondina si volse, facendo due passi, per poi girare il capo verso la viaggiatrice. "Ah, se vuoi una consulenza amorosa, io sono qui" ridacchiò, strizzandole nuovamente l'occhio.
Le gote della moretta si sfumarono di un lieve rosso, mentre lei annuiva, leggermente imbarazzata.
'Peccato' intervenne Johanne, facendo quasi trasalire la sua ospite. 'Mi sarebbe piaciuto continuare a sfotterti su Kaito.' Ridacchiò, facendo innervosire appena la ragazza, che, però, non la degnò di una risposta.
Si voltò anche lei, afferrando la maniglia della porta ed abbassandola, per poi entrare in quel meraviglioso Paradiso.

 

Le aveva preso le misure dei piedi, caviglie, cosce, fianchi, vita, seno e spalle. Insomma, chi più ne ha, più ne metta.
Kohaku era una donna - più grande di Aoko di circa dieci anni - piuttosto riservata e composta, ma era decisamente molto simpatica. Aveva fatto una marea di complimenti sul fisico e l'aspetto della sua indossatrice.
L'appellata, invece, era rimasta - come le volte precedenti - ammaliata dalle sue singolari e strabilianti iridi. Sebbene fosse abbastanza bassa, osservò la viaggiatrice, era davvero carina. E poi, si era soffermata per almeno dieci minuti a fissare e a volteggiare in quell'enorme salone, stracolmo di vestiti di tutti i generi: abiti occidentali del Rococò, kimono risalenti a secoli fa - che, però, dovette constatare tristemente la mora, non potevano essere indossati -, vestiti del Novecento, il centennio in cui il Giappone venne fortemente influenzato dalle mode del Sol Ponente. Era rimasta rapita da tutti quegli ammassi di pizzi, raso, seta, cotone e stoffe varie.
Successivamente, Ayame era venuta di nuovo ad accompagnarla, dirigendosi alla Sala Magna, dove avrebbe dovuto viaggiare con il meridian.
Suo padre era stato vago nella descrizione di quell'aggeggio: era, sì, un cubo, ma aveva un lato più bombato degli altri; era, inoltre, tempestato da gemme - Aoko ne aveva contate otto -, gremito di sportellini e rotelle. Lei aveva avuto tutte le possibilità di scrutarlo e fissarlo; tralasciando il commento poco simpatico di Iwao Kataki, il cuoco.
"Secondo me, questa ragazzina non dovrebbe nemmeno vederlo, il meridian" aveva brontolato, attirando uno sguardo truce da parte del vicecapo - così lo denominavano - e della giovane Sakura.
C'era da aspettarsi che la povera ragazza avesse chiesto il perché, al quale il signor Hirawata le aveva gentilmente risposto che c'era stata una "complicazione" con Yume e un altro meridian.
"Conosco già la storia." La sua voce era gelida - come ogni qualvolta si parlasse di sua madre.
Nel frattempo, Ayame aveva taciuto, estraendo la piccola macchina del tempo da un'altrettanto piccola cassaforte.
"Certo, raccontata da quel vigliacco di tuo padre. Bah! Tra qualche mese sparirà anche questo, tutto per colpa di questa qui" si era lamentato - ancora una volta - il cuoco, indicando, sprezzante, Aoko, la quale, intanto, aveva assunto una smorfia contrariata.
Come si permetteva di chiamare suo padre "vigliacco"?
"Ora basta, Iwao!" lo aveva ammonito Hiro, irritato. "È solo una ragazzina!"
La mora stava passando lo sguardo da un uomo all'altro, come se fosse una partita di tennis. Alla fine di quell'insopportabile discorso, lei aveva sbuffato, stizzita, mentre la bionda, vicino a lei, le aveva scoccato un'occhiata compassionevole, quasi volesse scusarsi per l'indisponente atteggiamento dei colleghi.
"Il meridian è pronto" aveva annunciato lei. "Quando vuoi, Aoko." Le rivolse un gentile sorriso, che riscaldò il cuore dell'amica: già l'adorava.
La piccola viaggiatrice aveva preso il suo zaino - le avevano detto che poteva studiare per passare ed occupare il tempo, il che le era sembrato piuttosto ironico -, la torcia, delle candele e dei fiammiferi - nel caso fosse dovuta arrivare ai tempi in cui l'elettricità non c'era ancora. Le avevano riferito che la Sala Magna veniva usata solo da una decina di anni, quindi non avrebbe trovato mai nessuno. Aveva porto il dito medio ad Ayame, che le aveva bucato la pelle con il piccolo ago dell'oggetto.
Ora, quindi, si ritrovava su uno scomodo divano, con davanti un tavolino di vetro - su cui aveva posizionato le candele accese -, con la torcia in funzione pendente dal suo collo, una penna in mano e il quaderno e il libro di inglese sulle gambe. Non poteva definirsi una posa confortevole, quella.
Certo, però, che non era totalmente capace di lamentarsi: stava studiando Oscar Wilde, uno degli scrittori - e uomini - che più ammirava. Le era stato assegnato di scegliere dieci suoi aforismi, commentarli - in inglese, naturalmente - ed impararli a memoria. Ne adorava uno in particolare, più di tutti:
"Anybody can sympathise with the sufferings of a friend, but it requires a very fine nature to sympathise with a friend's success."*
Era diventato una specie di motto, per lei. Cercava sempre di gioire per le vincite di un suo amico - in particolare, ci riusciva con Kaito e Keiko -, e con sua soddisfazione, spesso ne era capace; chissà, magari, come diceva Wilde, aveva un animo gentile anche lei. Secondo la sua opinione, quella frase rappresentava l'amicizia, quella vera. Quel sentimento tanto puro, che è addirittura difficile da descrivere, ma che fa sentire complice, empatico verso il proprio amico.
Anche se, ironizzò la giovane, in questo momento le sembrava molto più adatta alla sua situazione un'altra citazione:
"I can believe anything, provided that it is quite incredible."*
Arrivata a quel punto, poteva davvero credere di tutto; d'altronde, era la prima ad essere incredibile: essere l'ultima di una serie di viaggiatori nel tempo che portano con sé una sorta di energia; avere dentro alla propria testa una vocina che parla costantemente; dover rubare una gemma che, insieme ad altre undici, cela un ignoto segreto. No, se avesse raccontato la sua storia a qualcuno, probabilmente sarebbe scoppiato a riderle in faccia.
Esalò un sospiro rassegnato.
'Guarda il lato positivo: sei unica!' provò a consolarla Johanne, con tono estremamente dolce.
Lei sorrise lievemente, sebbene parve rattristarsi. "Forse è proprio questo il problema."
'Ma che vai dicendo?' La sua voce era mutata: adesso sembrava più un rimprovero materno. 'Vorresti essere come tutti gli altri?'
Sospirò di nuovo, finendo di scrivere il commento per l'ultimo aforisma di Wilde. "Non dico questo" obiettò, mentre chiudeva il libro e il quaderno, rimettendo il tappo alla penna. "Vorrei essere più normale."
'Non esiste la normalità.'
"Ah, no?" Sogghignò, sarcastica. "Quindi non esiste nemmeno l'anormalità, eh?"
Controllò l'orologio del cellulare: stava lì da due ore e mezza, ma mancava ancora un'ora al suo ritorno; dato il suo potere così intenso, i Guardiani avevano pensato bene di farla spropriare per almeno tre ore, così da non farla saltare incontrollatamente.
'No' rispose, categorica, la ladra, con tono severo.
Sbuffò dal naso, risentita. Si alzò dal divano con flemma, come fosse la cosa più faticosa del mondo; così, cominciò a sistemare i libri di letteratura inglese, giapponese e filosofia nella propria cartella.
"Allora, dimmi, cosa sarei io?"
'Una ragazza abbastanza irascibile che può viaggiare nel tempo' la ovviò lei.
Sbuffò di nuovo, alzando gli occhi al cielo. "Ma va?" replicò l'altra, esasperata, mettendo il volume di Freud nella borsa scolastica. "Quindi non posso definirmi normale!"
'Secondo quale principio esiste la normalità? Nessuno!' Stava alzando così tanto la voce, che Aoko si sentiva pulsare le meningi.
"Senti, Johanne, è vero che ho appena studiato filosofia, ma tu non sei né Kant né Adler!"
Si stava infastidendo di secondo in secondo: doveva restare ancora lì per un'altra ora, in una stanza - probabilmente - gremita di topi, con dei fili di luce e su un divano blu che stava cadendo a pezzi; come se non bastasse, la cara vocina che albergava la sua mente aveva deciso di darle preziose lezioni di vita.
'Ho vissuto venti volte più di te, permetti che io abbia più esperienza?' Non le diede il tempo di ribattere, ma proseguì: 'La normalità non è oggettiva, non esiste' ripeté. 'Per me potrebbe essere normale buttarsi dal nono piano, ma per Caio no.'
"Ci credo" borbottò, stizzita, la giovane. Tuttavia, la lasciò continuare, abbandonando la propria mole sul divano.
'Capisci, bambina mia? La normalità è solo una vana illusione, una nostra invenzione per convincerci che siamo come gli altri. È tutto relativo, facciamo tutti parte di un grande enigma che non verrà mai risolto. Non dimenticarlo mai, Aoko.'
Aoko s'era incupita d'un tratto: aveva preso seriamente le parole della donna. Aveva ragione, si disse.
Chi sono io per definirmi normale?
Chi sono gli altri per dirmi che non lo sono?
Si poneva queste due domande da ormai un paio di giorni, senza, tuttavia, aver il coraggio di articolarle. Cosa le avrebbero dovuto rispondere, dopotutto?
Ora, però, Johanne lo aveva fatto. Quella voce che non aveva fatto altro che assillarla ed innervosirla negli ultimi due giorni era arrivata a farle un discorso così importante, saggio, che ne era rimasta sensibilmente sconcertata.
"Aspetta, fammi capire... Le hai inventate tutte tu queste frasi?" domandò, incrociando le gambe - seppur indugiando - sulla polverosa imbottitura.
'Nemmeno una' declamò, fiera.
Alla mora quasi cadde la mascella. "Eh?"
'Sai com'è, quando tre delle tue ospiti sono amanti della filosofia, non puoi che imparare a memoria tutte le frasi dei libri.'
Ecco, le sembrava troppo strano: insomma, Johanne che si mette a dare lezioni di etica? Avrebbe riso per l'eternità.
'Però le penso davvero! Non te le direi, se no.'
Aoko tirò un sospiro di sollievo. Certo, magari non era la persona più seria a cui poteva rivolgersi, ma le voleva già bene. Ripensò, poi, a ciò che aveva detto prima: chi erano le altre due ospiti, oltre a lei?
"C'era anche mia madre tra queste tre ospiti?"
Se l'avesse saputo, avrebbe scoperto qualcosa in più su sua madre. Quante cose conosceva di lei? Era bionda, con gli occhi verdi, e - a detta di suo padre - era audace e decisa.
'E me lo chiedi? Tua madre ha letto i libri di tutti i filosofi del Novecento! Ha riletto almeno tre volte Umano, troppo umano di Nietzsche.'
"Davvero?" domandò, contenta. Le brillavano gli occhi: era lieta di poter venire a conoscenza di qualcosa in più su Yume. Inoltre, si sentiva ancora più allegra di apprendere che aveva una cosa in comune con lei.
'Davvero, piccola.' La viaggiatrice immaginò la ladra con un grande sorriso dipinto in faccia.
Non riusciva a capire bene perché, ma Aoko si sentiva finalmente felice.
 

Ritornò alle 19:30, e stava letteralmente morendo di fame.
Vide, attorno a sé, diverse figure: Ayame, il vicecapo della loggia, Takashi Sugimoto, il cuoco - con la sua solita espressione imbronciata -, suo padre, ma soprattutto... Katashi Hirawata. Probabilmente, avrebbe avuto un sacco di incubi sulle sue occhiate penetranti.
Suo padre si avvicinò a lei, prendendole il viso tra le mani, e posò un baciò sulla sua fronte.
"Com'è andata?" le chiese, con un tono di voce un leggermente insicuro.
Un sorriso increspò le sue labbra, raggiante. "Bene."
Lui si allontanò un po', mandando occhiate infuocate al signor Hirawata. "T-tesoro..."
Lei lo guardò con un'espressione interrogativa, quasi stesse dicendo follie.
"Domani avrai il tuo primo furto" concluse, per lui, Hiro, rivolgendole un sorriso benevolo.
Lei prese a tremare insabilmente. Come domani? Non poteva farcela! Non era pronta, non sapeva fare nulla!
'Aoko, ti prego, calmati' cercò di sedarla la vera ladra. 'Ti aiuterò io.'
Lei parve quietarsi davvero, benché continuasse a tremare. "I-io... non ce la faccio..."
Takashi e la Sakura le mandavano occhiate piene di comprensione, suo padre di paura; l'espressione del vice, invece, era indecifrabile; il signor Kataki continuava a mugugnare qualcosa d'incomprensibile; Katashi, viceversa, alla dichiarazione della compagna, scoppiò a ridere, beffardo, guadagnando da tutti - compresa Aoko - sguardi sinistri, ma non se ne curò minimamente.
"Dovrai andare da Kohaku" intervenne, con voce dolce, colui che la viaggiatrice aveva identificato come "coetaneo di suo padre". "Là ci sono tre cambi del tuo costume." Le sorrise, bonario.
Provò anch'ella ad abbozzare un sorriso, ma l'ansia l'attanagliava come una patella ad uno scoglio, rifiutando di lasciarla andare.
"C-certo... Mmh... C'è anche un ladro maschio?" I suoi occhi cristallini guizzarono sull'altro viaggiatore.
"Sì" rispose, orgoglioso. "Mugen."
Lei si torturò le mani dietro la schiena, conficcando le unghie nella carne dei palmi. "Oh. Anche voi avete... uhm... una seconda personalità?"
"No." Stavolta, a parlare fu il cuoco, con tono fermo. "Solo la linea femminile la possiede." Sorrise, derisorio, come se le donne fossero esseri inferiori.
Ad Aoko, invece, luccicarono gli occhi per la speranza. "C'è un altro viaggiatore?" Ma, alla vista di tutte quelle persone che la stavano fissando quasi fosse folle, aggiunse, a bassa voce: "A parte lui".
Il volto di Hiro s'imbrunò all'improvviso.
"No, tesoro" le confessò Ayame, con un sorriso triste. "È venuto a mancare venti anni fa."
La moretta portò le due mani alla bocca, spalancando gli occhi, e sussurrò un "Mi dispiace".
Calò un imbarazzante silenzio, che si mantenne per circa un minuto, quando Ginzo comunicò agli altri che dovevano andare e che sarebbero passati dall'atelier per ritirare i costumi; la mora si meravigliò talmente tanto, che quasi si strozzò con la sua stessa saliva: una tuta in ecopelle verde petrolio, piuttosto aderente, le sarebbe andata a fasciare in modo perfetto tutte le forme; una maschera - tipica di quelle da Carnevale - nera, con piume svolazzanti dello stesso colore, le avrebbe coperto la metà superiore del viso.
Certo, anche l'ispettore era riluttante a far vestire - se così si può definire - la propria bambina in quel modo, ma non poteva obiettare.
'Kaito sarebbe contento di vederti così' aveva, invece, commentato Johanne, ironica, facendo divenire Aoko paonazza.
Be', questo era indubbio; in ogni caso, molto presto avrebbe avuto modo di vederla, così come tutti gli abitanti di Tokyo, e perché no, dell'intero Giappone.

 

*"Tutti possono accettare le sofferenze di un amico, ma bisogna avere un carattere molto buono per accettare i suoi successi."
*"Posso credere a qualunque cosa, basta che sia abbastanza incredibile."



Saalve! Qua c'è un altro capitolo!
Cominciamo con i due piccioncini che camminano ed un Kaito sospettoso. E chi ci deve essere, poi? Quell'idiota bravo ragazzo di Katashi!
E Ayame, quel bocconcino tenerino ** Non si è capito che l'adoro, eh? Cioè, è dolcissima! Ora finalmente sapete dov'è andata a finire Aoko nel suo viaggio alla loggia ;) Vi è piaciuta la mia lezione di filosofia? ...Okay, finisco di fare la stupida. Ah, vi informo che "Mugen" si legge "Mughen". E infine... IL VESTITO! Per Kaito sarebbe un bello spettacolo, eh? x"D
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ringrazio sempre Shinichi e Ran amore che recensisce e mi ha messo negli autori preferiti; dico mille grazie ad _Ayaka_ che ha messo la storia tra le seguite, e ringrazio anche i lettori silenziosi! xD
Al prossimo chap! :D

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 11
*** Il meridian ***


Entrambi non stavano prestando la minima attenzione alla lezione d'informatica.
Lui, come suo solito, aveva il mento poggiato sulle braccia conserte sulla scrivania, e meditava, testardo. Ultimamente aveva trascurato il suo "lavoro". O meglio, lo faceva - e anche bene -, ma non era mai presente mentalmente. I suoi pensieri viaggiavano, ed erano lontani ed estranei dalla realtà. Si chiedeva, in primo luogo, che fine avessero fatto gli uomini dell'Organizzazione. Era ormai da un mese che non si facevano vivi, e, a meno che non fosse successo qualcosa che impedisse loro di andare avanti con i loro piani, il tutto risultava abbastanza strano. Perché impegnarsi tanto in uno scopo - quello di ostacolarlo nel trovare Pandora -, per poi lasciar stare? No, non era da loro. Ma, soprattutto, non da Snake, e tantomeno da Spider. Da una parte poteva essere sollevato, dato che poteva agire indisturbato - tralasciando la polizia, che, comunque, non era un grosso problema -; ma dall'altra? Certamente no. Doveva riuscire a sgominare quella banda di criminali, non poteva limitarsi a distruggere quella gemma che non faceva altro che provocare problemi.
E poi c'era lei, la sua migliore amica - se così si poteva ancora definire. Cosa diamine le stava succedendo? Se prima era lui a comportarsi freddamente, ora lei lo stava decisamente vincendo. Ma si domandava il perché. No, non era il suo carattere, quello: lei era vivace, irascibile, turbolenta, sempre presente per urlargli contro; perché, quindi, ora era pacata, quieta, e forse anche un po' distratta? Per un attimo, gli parve addirittura triste. Inoltre, gli nascondeva qualcosa; e lui aveva tutta l'intenzione di scoprirlo. Tuttavia, almeno in questo periodo, lui si voleva concentrare sull'Organizzazione.
Lei, dal canto suo, era altrettanto assorta. Da circa mezz'ora osservava le goccioline d'acqua infrangersi sul vetro della finestra accanto a lei, e sembrava udire solo quel rumore; quel rumore che le ricordava tantissimo il battito accelerato di un cuore. Proprio come il suo la sera prima. Non si era mai sentita in colpa come in quel momento. Se quella notte si stava divertendo come mai aveva fatto, il 23 settembre, a scuola, provava i più grandi sensi di colpa che avesse mai avuto. E, sebbene Johanne l'ammonisse per quelle speculazioni un po' stupide, era come se un macigno la opprimesse: lei, che tante volte aveva insultato il nome di Kid, non poteva che notare la stessa sfacciataggine che l'aveva sopraffatta negli avvenimenti di qualche ora prima. Si era presa gioco degli agenti, proprio come quel ladro dal manto bianco faceva con suo padre; non era forse la stessa cosa? No, la contraddiceva Johanne, perché loro non rubavano, e facevano tutto ciò per una buona causa. Ma come poteva essere una buona causa se nemmeno lei la conosceva? E, in ogni caso, nemmeno il grande mago rubava. Sotto quell'aspetto, si somigliavano; ed era proprio quello a suscitarle stizza.
Da ore, oramai, erano persi nelle loro elucubrazioni, talmente tanto che non sentirono neppure la campanella suonare: avevano la pausa pranzo.
Keiko si alzò, raggiungendo la sua amica, e le mise una mano sulla spalla, scrollandola un po'. 
"Ehi, Aoko. Si può sapere che hai? È da quando sei entrata che fissi la finestra!" La sua voce era un misto tra fastidio e preoccupazione. Ma, del resto, come biasimarla?
Lei, che era stata appena destata dai suoi coinvolgenti pensieri, si dedicò ad un grande sbadiglio: nonostante le sette ore di sonno, la stanchezza del giorno prima persisteva nel suo corpo.
"Ma è ovvio che guardasse me!" Era Hirawata. La prima frase che le rivolgeva direttamente, senza che lei dovesse chiedergli di farlo. Tuttavia, non era cambiato il suo tono di quando rispondeva alle sue domande: sempre schernitore, puntualmente accompagnato da un ghigno beffardo.
La bionda lo fulminò, ringhiandogli. Lui, semplicemente, non le diede retta; anzi, prese il suo bentou, deciso ad andare in mensa. Le due ragazze lo seguirono con gli occhi che sputavano fiamme, ma lui, arrivato al banco di Aoko, si fermò, volgendo il corpo verso di loro.
"E ora che vuoi?" abbaiò l'occhialuta, tranciandolo con il solo sguardo.
Il suo sorrisetto si espanse, irritando ancor di più le compagne. "Non ti conviene usare questi toni con me: potrei dire a mio zio quando e come voglio che tu sei a conoscenza di tutto."
La mora trasalì, scambiando un'occhiata preoccupata con la sua migliore amica, per poi rivolgere nuovamente gli occhi a lui, riducendoli a due fessure. "E tu come lo sai?" sibilò. "E poi, Hiro sarebbe tuo zio?"
Lui sembrò sorpreso: il suo sorriso scomparve, lasciando posto ad un'espressione ebete di pura incredulità. "Volevo dire mio nonno." Riacquistò, così, il suo ordinario attegiamento.
Ciononostante, le due inarcarono un sopracciglio, scettiche. Keiko incrociò le braccia al petto, sorridendo con aria di sfida.
Lui non si lasciò, però, impressionare; quindi continuò: "Ripeto: potrei dire tutto a mio nonno, e per te sarebbero guai, Momoi."
"Tutto cosa?" sopraggiunse un'altra voce. Aoko la conosceva bene: era quella di Kaito.
Sobbalzò un'altra volta, girandosi - per quanto potesse, essendo seduta - verso il proprietario di quel timbro. Boccheggiò per qualche secondo, colta alla sprovvista.
'Ma che è? La giornata nazionale delle apparizioni a sorpresa?
Un sorriso ironico non poté fare a meno di nascere sul suo viso, alle parole di Johanne.
Kaito, però, non sembrava in vena di scherzi; assottigliò lo sguardo, posandolo prima su Katashi e, successivamente, sulle due compagne. Perché quel verme sapeva, gli passò per la mente, e lui no? Ma, soprattutto, cosa sapeva?
"Allora? Avete intenzione di rispondermi?"
La viaggiatrice si sentì subito in colpa, come se stesse guardando un cucciolo bastonato: era l'unica persona a cui tenesse, in fondo, a non sapere niente di niente. Poi, però, s'impose autocontrollo: aveva già coinvolto la sua migliore amica, in quella faccenda, ed era fin troppo restia ad implicare anche lui. E, per di più, perché chiedeva cose del genere? Non era lei, forse, a dovergli fare le stesse domande?
"Oh, nulla" rispose, ferma, lei. Non riuscì, comunque, a sopprimere un debole riso, quasi volesse scusarsi per le sue bugie.
Hirawata scoppiò a ridere, ottenendo due occhiate ammonitrici e un'altra esortativa. "Ma come?" riuscì a dire tra una risata e l'altra, con una nota sarcastica. "Ancora non l'hai detto al tuo fidanzatino? E io che pensavo lo andassi a spifferare anche ai tuoi vicini!"
I due appellati non poterono che arrossire violentemente alla parola del biondo. Tuttavia, Aoko aveva un altro motivo per divenire paonazza: stava ribollendo di rabbia. Prima diceva che avrebbe riferito di Keiko a suo nonno, e poi si esponeva così tanto?
Si alzò dalla sedia, guardandolo con occhi - e non solo - infuocati, stringendo i pugni talmente forte da farli tremare.
Erano, ormai, rimasti solo loro quattro in classe, dato che gli altri studenti si erano dileguati in mensa, perciò non si preoccupò di dare spettacolo.
"Quando vuoi piantarla!?" urlò, facendo indietreggiare tutti di un passo.
Il moro sapeva quanto poteva essere violenta, se solo avesse estratto il suo straccio - sempre sguainato da un luogo completamente sconosciuto a lui.
Katashi, invece, aveva stampato in volto un'espressione lievemente frastornata, pensando che fosse totalmente folle.
La biondina, dal canto suo, aveva mosso un passo indietro solo per assistere meglio alla scena: si sarebbe divertita da morire, vedendo la sua amica dare una bella lezione a quell'"idiota".
"Prova solo a rivolgermi un'altra volta la parola, e giuro che il tuo adorato nonnino non potrà più vedere la tua schifosissima faccia!" proseguì, sputando veleno, e gli puntò l'indice contro, mentre sembrava che l'aria intorno a lei prendesse fuoco.
Il viaggiatore, ora seriamente spaventanto, indietreggiò nuovamente. Riuscì, però, a mantenere il suo viso imperterrito. "Tu sei pazza, Nakamori." Lo disse con voce tremante, che non convinse nemmeno lui. Per la prima volta in vita sua, Katashi Hirawata era stato umiliato.
Keiko non riuscì a trattenere le risate, portandosi una mano all'addome e piegandosi in due.
Kaito, al contrario, si era rifugiato dietro un banco, terrorizzato alla sola idea dello straccio. Perse tutta la sua spavalderia e l'intenzione di chiedere spiegazioni alla compagna, almeno per quel momento.
'Vai, tesoro, così si fa!' si complimentò la ladra, orgogliosa e compiaciuta della sua ospite.
Il biondo uscì dall'aula, fuggendo quasi.
Aoko riacquisì il suo solito comportamento, rivolgendo un radioso sorriso alla sua migliore amica. Prese il suo bentou dalla cartella, stringendolo tra le due esili e affusolate mani. "Vogliamo andare?"
Lei colse una piccola lacrima dalle palpebre socchiuse, continuando a sogghignare. "Oh, certo" ridacchiò.

 

Il periodo in cui era capitata quel giorno non aveva più il divano. Anzi, vi era un elegante scrittoio con una candela spenta posta sopra di esso. Una sedia di legno - che, al contrario della scrivania, era vacillante ed aveva uno dei quattro sostegni rotto - le era dinanzi, e Aoko non aveva potuto che sedervisi sopra.
Aveva passato lì quattro ore - dato che, con suo sollievo, era stata esentata dai furti, almeno per quella sera -, due delle quali a risolvere problemi di fisica quantistica, equazioni di algebra e studiare letteratura giapponese. Avrebbe potuto - e voluto - approfittare delle altre due ore per compensare la stanchezza che l'opprimeva da tutto il giorno, ma sul tavolino la polvere aveva più strati di una torta nuziale, quindi era renitente a posarvi il proprio capo. Quindi, non aveva fatto altro che annoiarsi, parlando del più e del meno con Johanne. Doveva ammetterlo, però: quella vocina riusciva anche a rallegrarla e a farle dimenticare il fastidio nutrito per i membri della loggia, in particolare il suo insopportabile compagno e quello che aveva sin dal principio definito cuoco.
E adesso era appena tornata, alle 20:18, con il suo stomaco che richiedeva qualunque cosa fosse commestibile. Tuttavia, si ritrovò davanti solo Takashi e Ayame, seduti su un divano - sicuramente più comodo di quello blu - a dialogare allegramente.
Si accorsero di lei, e la biondina si alzò, andandole incontro.
La mora, invece, fece un'espressione confusa: perché suo padre non era lì? Non dovevano andare a casa e cenare? Perché, allora, in quell'enorme e dispersiva sala, non c'era nemmeno l'ombra di lui?
Sakura le mise una mano sulla schiena, sospingendola dolcemente verso l'"angolo del té" - così l'aveva appena nominato Aoko, visti il divano e le poltrone attorno ad un tavolino basso.
"Tesoro, tuo padre oggi non c'è... Anche lui deve lavorare." Le rivolse un morbido sorriso, che, come sempre, aveva l'abilità di far sciogliere il cuore della viaggiatrice; e quelle due fossette che si creavano sulle guance la rendevano ancora più adorabile.
Si sforzò di sorridere a sua volta, ma aver capito il motivo dell'assenza dell'ispettore glielo impedì. "È per Kid, vero?" chiese, leggermente frustrata.
Ma come poteva biasimare quel ladro, ora? Lei non si definiva migliore. Anzi, il contrario: lui lo faceva - secondo lei - per pura goduria personale, mentre lei era stata obbligata da un uomo - o donna, non si poteva mai sapere - che nemmeno conosceva. Era un burattino, una semplice marionetta di una figura più potente; e questo la incolleriva ancora di più.
Strinse i pugni, conficcando le unghie nella pelle dei palmi, con tale forza da far diventare bianche le nocche.
'Ancora, piccola? Ti ho detto che non ti devi parag...'
"Sì" la interruppe, seppur incosapevolmente, Sugimoto. Anche lui aveva accennato un sorriso sghembo, quasi triste: sembrava che volesse scusarsi per gli atteggiamenti del prestigiatore. "Però, se vuoi, puoi mangiare qui e fare quattro chiacchiere con noi" propose, e, man mano pronunciava suddette parole, il suo sorriso si allargava e la sua voce si sfumava di vivacità.
Il viso della più piccola guizzò su quello di Ayame, in cerca di conferma: lei si limitò a strizzarle l'occhio e ad accentuare il sorriso; come poteva rifiutare? D'altronde, erano le uniche persone di cui si fidava, e non le sarebbe spiaciuto capire qualcosa in più sull'Organizzazione.
Le due ragazze raggiunsero le varie poltrone, e Aoko si sedette su quella posta davanti al divano, mentre Sakura restò in piedi.
"Vado a chiedere al signor Tamura di dire a Iwao di prepararci qualcosa, voi restate qui."
Fece per andarsene, ma dopo pochi passi una voce la bloccò: quella della giovane.
"Aspetta!" esclamò, alzandosi di scatto, dopo aver realizzato cosa aveva detto. "Ce la deve preparare proprio lui la cena?" Abbassò il tono, riprendendo posto sul pouf, sotto gli occhi increduli e un po' divertiti dei due.
La bionda si voltò, ridacchiando un po'. "E chi, se no?" Poi si accorse della lieve agitazione della sua amica, rassicurandola: "Non ti preoccupare, sa cucinare meglio di quanto tu possa credere. E poi non ti avvelena mica!" Detto ciò, si volse, uscendo dalla Sala.
"Non ne sarei così sicura" farfugliò, ma un riso ironico non poté far a meno di nascerle.
Takashi sogghignò un po', per poi muoversi un po' sul sofà, ricercando una posizione più confortevole. Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, parlò: "Allora, dimmi un po': che hai fatto durante questi pochi salti?"
Lei accavallò gambe, posando il gomito su una coscia e sostenendo il capo con una mano. "Controllati o incontrollati?"
"Vedo che hai già imparato" ridacchiò, incrociando le braccia. "Tutti e due, comunque."
"Oh. Ecco, al primo sono caduta dalle montagne russe, rischiando di morire..." La sua voce conteneva una nota ironica, ma venne subito interrotta.
"Eh?" sbottò lui. Come poteva essere caduta dalle montagne russe? Ma, soprattutto, come poteva essere ancora viva?
Lei, dal canto suo, si aspettava una reazione del genere: ma, del resto, come contraddirlo? Al solo pensiero rabbrividiva: era sopravvissuta a quella caduta per miracolo. 
Tentò di non far notare il suo nervosismo, e annuì. "Già. Mi sono aggrappata a un albero."
Lui sgranò gli occhi, basito. Quella ragazza lo sorprendeva ogni minuto di più. "Oddio... Non credo di poter avere la lucidità per aggrapparmi a qualcosa, mentre sto per schiantarmi a terra." Provò a ridere, deciso a stemperare la tensione, ma gli uscì solo un risolino isterico. Non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe potuto fare, se solo si fosse trovato in una situazione come quella.
Cercò anch'ella di sorridere, e, a differenza del suo interlocutore, ci riuscì, seppur debolmente. "In effetti, non lo credevo nemmeno io." Ridacchiò nervosamente, torturandosi le mani, riposte e giunte sulle gambe.
"Oh... E poi?"
Aoko era indecisa: doveva raccontargli dell'incontro con la sua antenata? Ricordò quelle poche parole, ma che ebbero un effetto piuttosto stordente su di lei: Tutto è nel limite delle tue possibilità, Aoko. Non era ancora venuta a conoscenza del significato di quella frase, e aveva intenzione di farlo da sola. No, non poteva e non voleva dirlo; era compito suo apprendere il valore e lo spessore di quell'espressione.
"E poi sono scesa dall'albero, aspettando di capirci qualcosa e di ritornare alla realtà" mentì; stava diventando sempre più esperta in quella pratica, e ciò non faceva che stringerle la morsa che le attanagliava il cuore. "Johanne mi ha detto che, guardando i kimono delle donne, ho viaggiato nel 1900, circa." Aveva azzardato: non capiva nulla di moda, e ancora meno quella del Novecento. Sperò solo che le conoscenze dell'uomo non superassero le sue.
Tuttavia, non ebbe - fortunatamente, aggiunse lei - modo di scoprirlo: qualcuno spalancò il portone della Sala, entrando; era Ayame.
"Da quanto tempo!" esclamò lei scherzosamente, avviandosi verso il divano, baldanzosa. "Si mangia ramen di manzo! Vi va?"
"Be', effettivamente, con questo freddo..." La giovane sfregò le mani per riscaldarsi, come per accentuare il fatto che la temperatura si era abbassata drasticamente.
"Allora, di cosa stavate parlando?" Si sedé accanto al collega, sovrapponendo elegantemente le gambe e sorridendo, mettendo in mostra le sue fossette. Era una persona molto curiosa, e questo l'avevano notato tutti; tuttavia, era una curiosità genuina, benché potesse risultare invadente a primo impatto.
"Del suo primo salto" la informò, indicando Aoko con il pollice.
"Vero, ancora non te l'ho chiesto!" Batté le mani, e il suo viso s'illuminò. "Quindi? Come ti è andata?"
Sospirò rumorosamente. "Ad essere sincera, poteva andarmi meglio."
"Sì, ma poteva anche andarti peggio." E aveva ragione. Ogni qualvolta immaginasse la mancanza di quell'albero, si vedeva schiantata sull'asfalto; non era certo uno spettacolo allettante, e veniva sempre percossa da dei virulenti brividi.
Nel frattempo, Sakura aveva passato lo sguardo frastornato da una persona all'altra, come in una partita di tennis: non stava capendo niente.
"Avete intenzione di dirmi cosa è successo, sì o no?" La sua voce era leggermente irritata, e il suo stato d'animo non era da meno. Perché tanta cripticità?
"Ho rischiato di morire," rispose, finalmente, la viaggiatrice, sardonica, "dato che sono caduta dalle montagne russe."
Ayame, a differenza del suo amico, scoppiò a ridere, il che lasciò i due interdetti.
"A-ayame?" la chiamò Takashi, lievemente preoccupato.
"Ma dai!" Asciugò una piccola lacrima che le si era venuta a creare con l'indice. "Forza, non tenerci sulle spine, racconta." Dopo aver notato il silenzio del collega e dell'amica, tornò seria, squadrando entrambi, perplessa. "Stavate... Stavate dicendo la verità?" domandò, con una nota di agitazione. Entrambi annuirono, scambiandosi delle occhiate effimere. La bionda posò lo sguardo su Aoko, sgomenta, portandosi una mano alla bocca. "Oddio, mi dispiace! Ma... come hai fatto... insomma, a salvarti?"
L'altra sospirò ancora una volta: non le piaceva rimembrare quella vicenda, se non fosse stato per Lady Meiko. "Mi sono aggrappata ad un albero."
"Comunque," intervenne Sugimoto, attirando l'attenzione, "mi hai detto che Johanne ha riconosciuto l'epoca;" il cuore della ragazza prese a tamburellare più velocemente, mentre lei annuì impercettibilmente, "ma chi è Johanne?"
Lei fu tentata di esalare un'altra volta un sospiro - seppur di sollievo -, ma lo soppresse. "Avete ragione: non ve ne ho parlato. Ho una vocina che mi parla instancabilmente nella testa; mio padre ha detto che può essere collegato al mio" fece due virgolette in aria, "potere."
'Ehi!' protestò l'appellata, oltraggiata dalle parole della ospite.
"Ma è strabiliante!" Il primo a parlare fu l'uomo.
"Forte! Com'è, simpatica?" E poi la giovane donna.
Aoko sogghignò a tutte quelle attenzioni ed illusioni: le avrebbe smentite tutte, se non fosse stato per...
'Guai a te se mi insulti!' le intimò, e dovette trattenere un altro risolino.
"È petulante, sfacciata," elencò, mentre la povera Johanne ringhiava, "rompi scatole, impicciona... Però sì, è simpatica. E le voglio bene."
'Così mi piaci, ragazza!'
Stavolta, però, non riuscì a sopprimere una risatina, alla quale si unirono anche i due adepti.
Takashi divenne serio, tutt'ad un tratto. Si schiarì la voce, raddrizzandosi sul sofà. "Tu, invece? Vuoi farci qualche domanda, non so, sul meridian?" Giunse le mani sulle gambe, portando avanti il busto, il che gli fece comparire diversi rotoli di pancia che la giovane non poté fare a meno di notare. "Dovrai capirci davvero poco, in tutta questa faccenda" osservò.
"Ha ragione" confermò Ayame. "Sarai confusa."
Lei non riuscì a non arrossire: si sentiva spesso a disagio e in imbarazzo, quasi di troppo; era un suo difetto, e non avrebbe potuto farci nulla. "Be'... Sì, mi piacerebbe chiedere qualcosa sul meridian." Fece una breve pausa, come a voler meditarci su. "Mmh... Come mai c'era un secondo meridian?"
"Ecco," cominciò l'uomo, "in realtà, ce n'è sempre stato uno. Quando tua madre l'ha rubato..."
Aoko s'interessò subito, al solo suono di "tua madre"; era come se un angolo del suo animo si attivasse all'udito di quelle due parole. "Conoscevi mia madre?" lo interruppe bruscamente lei.
Lui annuì, facendo una piccola smorfia. "Sì. La stimavo molto, e non ti nascondo che ho avuto una debole cotta per lei." La sua interlocutrice sgranò gli occhi, sbalordita. Lui ridacchiò un po'. "Dopotutto avevamo la stessa età. Però lei era innamorata persa di tuo padre." Sospirò pesantemente, socchiudendo gli occhi: si stava lasciando andare a delle memorie che gli erano difficili da ricordare con un sorriso. 
Anche la moretta fu tentata di tirare un sospiro di liberazione, ma preferì evitare.
Intanto, Sakura lo ascoltava attentamente: non sapeva esattamente perché, ma le premeva sapere di più su quella donna; magari per il suo infinito interesse, magari per l'amica che aveva ormai preso a cuore.
"Non so perché abbia rubato quell'oggetto, ma Yume non era pazza: ci dev'essere stato per forza un motivo; anche se, purtroppo, non so di cosa si tratti." Riaprì gli occhi, tirando un altro lungo e profondo afflato. "Torniamo a noi."
Le due ragazze non poterono che rimanere deluse; la viaggiatrice, soprattutto, auspicava di poter venire a conoscenza di qualcosa in più sulla vita di sua madre. Tuttavia, entrambe annuirono.
"C'è stato un uomo che è stato in grado di ricrearne un altro" confidò loro, ma notando l'espressione interrogativa della mora, aggiunse: "Era lo zio di Katashi, il primogenito di Hiro".
"E ora come fate con le gemme?" s'incuriosì Aoko, corrugando le sopracciglia ed esibendosi in una buffa smorfia.
"Quel ragazzo spocchioso e viziato si diverte a saltellare da un'epoca all'altra." Stavolta, le aveva risposto la bionda, con un tono piuttosto seccato. "Deve prendere una parte della gemma, facendola intagliare dai" scimmiottò la voce del vicecapo, "maestri più esperti al mondo." L'altra trattenne un risolino, mentre lei incrociò le braccia sotto al seno. "Per ora ne abbiamo otto, ma ci manca la tua, quella di tua madre, la corniola di Fumiko Kaneka - la terza viaggiatrice - e lo smeraldo di Satoshi Miyamoto - il primo."
La più piccola ci rifletté un attimo, per poi chiedere un'ultima cosa: "Cosa succederà quando tutte le gemme saranno posizionate nel meridian?"
 

Sghignazzò, divertito: nonostante tutto, rubare lo allietava, lo distoglieva dai propri pensieri; dover soddisfare il suo pubbilco, in quei fugaci momenti di gloria assoluta, era la sua priorità. Ora la colomba più bianca mai vista in cielo volava, assumendo un colore argenteo per via della luce della luna piena presente quella notte. Si librava e si fondeva col vento non esattamente caldo del nuovo autunno, destreggiandosi in aria.
Agguantò l'enorme topazio, che aveva prima riposto nella tasca dei pantaloni - rigorosamente bianchi - e lo tirò fuori. Un topazio viola, particolarmente pregiato e ricercato: l'Anguished Purple. Lo collocò tra i suo occhi e la luna: no, non era nemmeno quello. Sbuffò, irritato da quella continua - e finora vana - ricerca.
Cercò con lo sguardo un palazzo su cui potesse soffermarsi un po': adorava osservare la luna, soprattutto se piena; era ammaliato dai suoi colori - argentei, ma anche dorati -, dal suo alone di mistero che le donava quell'enigmatico fascino che gli era sempre piaciuto. Adocchiò un grattacielo, e planò su di esso.
Appena toccò il duro cemento del palazzo, ritrasse "le sue ali", le quali ritornarono ad essere un lungo mantello dal colore algido, ma al tempo stesso morbido.
Una risata sinistra lo raggelò, facendogli rizzare i peli sulle braccia. Non osò girarsi, ma aguzzò le orecchie, accennando un ghigno.
"Noto che il lupo perde il pelo ma non il vizio." Rise di nuovo, prelevano la pistola dalla tasca interna della giacca nera. "Buonasera, Kaito Kid. Oh, aspetta, vuoi forse essere chiamato Kaito Kuroba? Oppure il principe azzurro della nostra preda?"
Solo in quel momento si voltò.



Non linciatemi, please (quei pochi che mi seguono xD)! Scusatemi, ma l'estate, anche se in ritardo, è arrivata anche per me ^^' Tra l'altro, mancherò per almeno un'altra settimana, sperando, poi, di riprendere l'usuale ritmo!
Allur, un capitolo con un po' d'informazioni! E poi, chi abbiamo... il mio Kiddo-sama *_* Eheh, chissà chi sarà quello con la giacca nera? Dal prossimo chap comincerà ad esserci un po' di azione.
Ringrazio sempre Shinichi e Ran amore per la recensione dello scorso capitolo!
Alla prossima! xD

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 12
*** Sospetti ***


I due si scambiarono un'occhiata fugace, ma preoccupata. Sembrava stessero comunicando telepaticamente, come se fossero indecisi su cosa dirle.
Lei assunse un'espressione confusa, e, inarcando un sopracciglio, richiese risposta.
"Ecco..." cominciò Ayame, torcendo nervosamente le mani sul grembo.
Perché, si chiese la giovane, era tanto inquieta? Aveva fatto una semplice domanda, no?
"Non lo sappiamo neanche noi" terminò Takashi, volgendo lo sguardo a terra.
La ragazza sgranò gli occhi, sgomenta. Non solo lavoravano per un estraneo, ma non sapevano nemmeno per cosa lavoravano. Ed il senso dov'era? Era un'azione illogica ed irrazionale, quella. Percepì la rabbia montare dentro di lei, ma tentò di reprimerla e non esprimerla.
"Si dice che si creerà una medicina per tutte le malattie" si affrettò ad aggiungere la bionda, ancora agitata.
Aoko aggrottò la fronte, affilando gli occhi. "Si dice"? E chi poteva darle la conferma? Passò lo sguardo a Sugimoto, che, intanto, aveva cominciato a sudare.
"O una soluzione alle guerre." Iniziò a tremargli una gamba, provocando un ticchettio sul pavimento di quarzo bianco.
"Perché siete così nervosi?" Era meglio essere schietta, aveva deciso. Non doveva fare giri di parole, voleva solo sapere.
I colleghi si guardarono un'altra volta negli occhi, per poi rivolgerli alla più piccola.
"È una lunga storia, tesoro..." provò Sakura, ma la ragazza aveva tutte le intenzioni di estorcere loro quelle informazioni.
Incrociò le braccia sotto al seno, raddrizzandosi sulla poltrona. "Raccontamela. Abbiamo tutta la sera, non c'è fretta." Il suo tono era gelido e pungente, e fece deglutire la sua interlocutrice. Ma come biasimarla, del resto? Aveva il diritto di apprendere. Era stanca di dover essere trattata come un burattino per soddisfazioni di qualcuno a lei del tutto sconosciuto.
La donna cercò conferma nello sguardo dell'amico, che annuì, mesto.
"Hai ragione" asserì lui, fissando gli occhi piccoli e marroni in quelli grandi e blu di lei. La viaggiatrice resse il confronto, alzando il mento. "Riguarda tutto il capo, o Boss, o come lo vuoi chiamare."
Aoko s'interessò subito: poteva finalmente venire a conoscenza di chi si nascondeva dietro quel nome, quel semplice sostantivo che troppo spazio lasciava all'immaginazione.
"In realtà, non potrei nemmeno dirlo" proseguì lui, inspirando ed espirando con flemma.
La piccola emise un'esclamazione di stupore. Perché lui non poteva pronunciarsi? Perché lei non poteva sapere? "E... Il motivo?"
Lui e la collega si guardarono un'altra volta negli occhi, ma lei cominciava a stizzirsi. "Allora?" continuò, testarda, a domandare.
Takashi rilasciò un profondo sospiro, capitolando. "Va bene. È... una cosa che è stata detta solo a me, Ayame, Hiro, Iwao e, ovviamente, Katashi."
Aoko assottigliò gli occhi: ovviamente? Cosa c'era di ovvio? Tuttavia, decise di non interromperlo: non voleva perdere altro tempo, e non sapeva se lui, una volta disturbato, potesse cambiare idea. Semplicemente, preferiva non rischiare.
"Da ormai tempo, si pensa - o meglio, ce l'ha fatto credere lui" continuò. Un'altra cosa era quindi appurata: il capo era un maschio, "che il risultato di tutta questa fatica sia, appunto, un rimedio per tutti i mali."
La viaggiatrice annuì, con un'espressione perplessa dipinta in volto: non gliel'avevano già detto?
"Ma, qualche giorno fa, poco prima che arrivassi tu, Katashi portò qui una lettera, scritta dal capo in persona." Sospirò un'altra volta, sebbene ora sembrasse più indispettito che rassegnato. "Purtroppo non l'ho a portata di mano: la tiene sempre Hiro. Ma va be', penso che mi crederai, no?"
Aoko mosse nuovamente la testa in consenso; dopotutto, come poteva non credergli? Aveva udito e visto le cose più assurde, in quei giorni. Forse, non sapeva nemmeno più cosa significava "scetticismo".
"Ecco... Abbiamo trovato due lettere, dentro quella busta, non solo una. E l'altra, quella non scritta dal capo, diceva cose... strane."
La mora, a quelle parole, si accigliò, esortandolo a continuare.
Ayame, viceversa, sembrava del tutto estranea alla discussione: non li guardava, non li ascoltava, non si sentivano nemmeno i suoi respiri. Continuava a guardare i propri piedi, con i pensieri che vagavano lungi da quella realtà. Riusciva solo ad avvertire un brutto presentimento: come se, solo riferendo quelle parole alla ragazza, avesse potuto scoprirsi in pericolo.
"Come... 'Non fidatevi di lui' o 'Non c'è nessuna panacea'. Cose così, insomma." Si grattò distrattamente la nuca. "Però non sappiamo chi l'abbia mandata. La grafia non ci dice nulla, però sembra molto più - come dire?... grossolana, per gli standard del diciottesimo secolo." Giunse le mani in grembo, fissando intensamente la giovane dinanzi a lui.
"E quindi?" lo incalzò, spazientita.
"E quindi si pensa che sia... una persona che ha usato il meridian" concluse, austero e secco.
Aoko ragionò qualche attimo, collegando tutti gli indizi e cominciando a formulare ipotesi; non poté che restare sensibilmente amareggiata quando giunse ad un esito: stavano accusando lei.
Storse il naso ed arricciò le labbra, senza, però, pronunciarsi.
Lui parve aver capito cosa balenava nel cervello della ragazza, e alzò una mano, come a volere bloccare quei pensieri. "Non ti stiamo puntando il dito contro, Aoko."
Lei lo interruppe subito, sbuffando, e simulò una risata. "Ah, no? Perché - guarda un po' - mi hai fatto capire così."
L'uomo assunse un aspetto misericordioso, quasi volesse scusarsi. Provò a sorriderle, ma gli uscì solo un riso sghembo e forzato. "No, non è così" obiettò, scrollando il capo in senso di diniego. "Potresti essere tu, in un futuro, come potrebbe essere lo stesso Katashi."
L'altra poggiò un gomito sul bracciolo della poltrona di pelle, collocando la sua guancia destra sul pugno chiuso. "Non avete prove."
Lui ridacchiò. "Dovremmo forse controllare le impronte?"
Intanto, Sakura aveva alzato sia il mento che lo sguardo, sforzandosi di prestare ascolto a quel dibattito. "No!" esclamò, attirando gli occhi atterriti e sconvolti del collega e dell'amica. Era sempre stata impulsiva - proprio come Aoko -, e odiava questa sua caratteristica. Si maledì un istante dopo aver parlato; o meglio, urlato. Dannazione! Da dove le era uscita quella contestazione?
Takashi la scrutò ancora più interessato, iniziando a sospettare che potesse realmente celare qualcosa, magari conforme a quell'argomento.
"E perché?" domandò, dunque, lecitamente. 
La piccola, al contrario, la osservava con autentica curiosità, con un grande punto interrogativo - che, però, prendeva la forma di un "grazie" - ad accenderle il puerile viso. Quella sua sfaccettatura non l'aveva mai vista; era vero, conosceva Ayame solo da pochi giorni, ma le si era già affezionata: era come se fossero in armonia, come se si conoscessero da anni. Aveva anche notato delle analogie con Johanne, la quale sembrava quasi un disfemismo della bionda; quest'ultima, invece, era come un'attenuazione: meno maliziosa, ironica ma non dileggiatrice, attenta ma non indiscreta. Cionondimeno, non l'aveva mai vista nervosa, irruenta.
La giovane donna posò i palmi sulle cosce coperte dai jeans scuri, facendo pressione e stringendosi nelle spalle. Tossicchiò un po', decisamente a disagio, e si ritrovò a detestare sempre più la sua irriflessività. "Oh... ehm... Non penso che l'ispettore sarebbe d'accordo a far prelevare le impronte di sua figlia" inventò, la sua menzogna atta solo a convincere le due figure esitanti intorno a lei. "Sono sempre minorenni."
Sugimoto prese a ridere di gusto, quasi avesse appena udito la barzelletta più divertente al mondo, rimpiazzando la sua precedente tensione con puro divertimento. "Ma stavo scherzando, Ayame!" Le posò una mano sulla spalla. "Credete davvero che facessimo una cosa del genere?" chiese, rivolgendosi ad ambedue le ragazze.
L'adulta s'impegnò a sorridergli, e, restando compiaciuta di se stessa, seppe creare un perfetto e falso riso. "S-sì, scherzavo anche io..." Il suo tono, tuttavia, la tradì: era quasi tremante, flebile come quello di un malato.
L'imponente portone si disserrò proprio in quel momento, e Sakura ringraziò se stessa di essere andata a richiedere la cena: il signor Tamura sorreggeva con una sola mano - risultando più come un cameriere, che come un segretario - un enorme vassoio, avente sopra tre abbondanti porzioni di ramen di manzo.

 

Era vivo, fu la prima cosa che gli passò per la mente. Era svenuto per il dolore, probabilmente. Be', non che ora non ne sentisse, ma si era decisamente attenuato.
Provò ad aprire gli occhi, ma, appena schiusi, vide solo tanti pallini neri aleggiare davanti a lui, quindi optò per la chiusura, almeno per quel momento. Avvertì un corpo piuttosto morbido sotto il suo ancora dolente, cercando di identificarlo: era disteso su un letto.
"S-signorino? Si sente bene?" chiese una voce familiare.
Lui tentò di alzare il capo e di alzare le palpebre: fallì in entrambe. Aveva un mostruoso mal di testa, e si sentiva più pesante del solito.
"Non si deve sforzare. Deve restare a letto per almeno altri due giorni. Va bene, Konosuke?" Stavolta, era una voce del tutto estranea alle orecchie del ragazzo. Tuttavia, il proprietario sembrava essere in confidenza con il suo assistente: l'aveva appellato con il nome, e non con il cognome.
"Tieni, qua ci sono gli antidolorifici e gli antibiotici per evitare infezioni" proseguì lo stesso timbro. Non era poi così difficile da capire: era un medico.
Sentì qualche rumore, ma gli giunse smorzato. Che gli era successo? Perché si trovava lì? Non ricordava nulla; aveva solo una gran voglia di portare la mano alla testa e massaggiarla, come a voler alleviare quella greve sofferenza che gli attanagliava la mente e il corpo.
Cercò ancora una volta di aprire le palpebre, e, infine, ci riuscì, seppur lentamente. La vista era sfuocata, ornata da puntini neri e luminosi che gli impedivano di distinguere qualsivoglia oggetto gli si ponesse davanti.
"Finalmente ti sei svegliato, ragazzo."
Lui volse lo sguardo verso l'uomo che aveva appena parlato: era alto, piuttosto robusto, sulla quarantina, interamente vestito di bianco: indossava un camice. Dietro il dottore, scorse una figura più esile e bassa, riconoscendo il suo assistente. Aveva gli occhi colmi di preoccupazione, ed il suo viso era umido di sudore.
Il medico prese posto su una sedia, precedentemente posizionata al capezzale del letto. "Bene. Ora, figliolo, devi dirmi se ti fa male qualcosa e dove senti il dolore." Congiunse le mani coperte da guanti in lattice, lasciandole cadere sulle cosce.
"Dappertutto" mugugnò il moro, mentre al solo schiudersi delle mascelle gli doleva l'intero viso.
L'uomo sospirò, allungando le mani verso il corpo del giovane. Tastò piano la parte esterna della gamba destra, fasciata da innumerevoli metri di garza bianca; Kaito si trattenne a stento da urlare di dolore. Contrasse, quindi, il volto in una smorfia stramba, lasciandosi sfuggire un gemito.
"Ti fa male qui, eh?"
Il ragazzo lo mandò mentalmente al diavolo. "Già" ribadì, però, con voce rotta.
Un ricordo affiorò nella sua testa: il furto della sera prima. O almeno, pensava - e sperava - che fosse passato solo un giorno. La reminiscenza ne portò con sé altre, creando una vera e propria catena.
"Me lo aspettavo." Ritirò il palmo, raddrizzandosi sulla sedia. "Allora, ricordi qualcosa di ieri sera?"
Be', almeno gli aveva confermato che la vicenda era avvenuta proprio la notte precedente.
Lui annuì debolmente, avvertendo una nuova e straziante fitta alla testa.

"Buonasera, Kaito Kid. Oh, aspetta, vuoi forse essere chiamato Kaito Kuroba? Oppure il principe azzurro della nostra preda?"
Solo in quel momento si voltò.
"Snake." Affondò le mani nelle tasche, prendendo ancora una volta il gioiello viola. Lo estrasse, mostrandolo all'uomo che distava solo un paio di metri da lui. "Non è questa Pandora, quindi puoi andartene." La sua voce era glaciale, così come il suo sguardo, scevri di qualunque cortesia.
Il più grande sghignazzò, sollevando la mano con la pistola, puntandola al petto del mago, che non si fece, comunque, impressionare: si sapeva, lui era quasi sempre capace di mantenere il sangue freddo.
"Che c'è, Snake? Non mi credi? Controlla tu stesso." Gli lanciò la gemma, ma non prima di averla avvolta con un filo sottile, così da poterla ritirare: quell'uomo era un essere avido, e non si faceva scrupoli a rubare una qualsiasi fonte di denaro.
Il criminale l'afferrò, non sospettando minimamente del ragazzo. Poi, fece tutto ciò che Kaito non si aspettava: lasciò cadere il gioiello sul cemento del palazzo. "Ma quanto sei divertente!" ironizzò, rendendo la mente del moretto una zuppa di incertezze e paure. Fece tre passi avanti, dimezzando la distanza tra le loro sagome, e la pistola si trovò in procinto di toccare il petto tonico del suo nemico. "Ti ostini a non capire, eh?"
No, lui lo aveva capito. Eccome se l'aveva capito, forse fin troppo bene, ma non voleva realizzarlo. Sapeva a chi aveva alluso, con l'espressione "il principe azzurro della nostra preda": veniva definito in quel modo solo nei confronti di una persona.
"Cosa volete da lei?" sibilò, mentre la pazienza andava via via scemando dal suo corpo, lasciandolo incollerito e intimorito. Appunto, quasi sempre sangue freddo.
L'altro sogghignò. "Oh, non ti preoccupare: non la uccideremo, almeno per ora."
Kaito ebbe l'impressione che il suo cuore potesse uscire dallo sterno, quasi volesse andare incontro all'arma a pochi centimetri da lui. Una morsa gli strinse lo stomaco, e la sua mente si annebbiò. "Cosa volete da lei?" ripeté. Sembrava quasi un'affermazione, un ordine, per la voce con cui aveva pronunciato quelle parole, che aveva volutamente staccato con diversi respiri. "Non c'entra nulla!"
Snake rise di gusto, spiazzando il ladro. "Macché! C'entra molto più lei che tu, ragazzino."
Eccola: un'altra stilettata al cuore, la stretta gli contrasse le budella. Il suo cervello ripercorse i trascorsi dei giorni precedenti, e a ogni menzogna - perché, lo sapeva, non potevano essere altrimenti - che lei erigeva, l'espressione di dolore e fastidio si andava accentuando sul suo bel viso. Ma cosa significava? Che aveva a che fare con quei subdoli criminali? Il suo subconscio gli rispose automaticamente, ma lui ignorò tutte quelle ripugnanti opzioni che gli si presentavano.
"Spiegati meglio, Snake."
Proruppe in un'altra risata, la quale irritò smodatamente Kaito. "Perché non lo scopri da solo?" Fece una breve pausa, per poi rimuovere la pistola dal petto del ragazzo; levò la sicura, azione che al mago non sfuggì.
Aguzzò tutti i sensi, e, muovendo due saltelli indietro, si scansò. Lanciò un breve sguardo all'arma tenuta in mano dal suo antagonista, e seppe riconoscerla: Smith & Wesson M&P, sei colpi. Non riuscì ad apprendere il modello, ma era sicuro fosse piuttosto recente. Afferrò rapidamente la sua - finta - pistola dalla giacca bianca, postandola avanti a sé. Nel frattempo, l'uomo aveva preso accuratamente la mira.
Una detonazione squarciò l'aria, poi un'altra. Spari veri, però. Uno puntato al cuore del ladro gentiluomo; colpo che, però, non andò a segno. L'altro, viceversa, lo prese proprio dove il malavitoso voleva andasse a finire: un proiettile virò diritto alla coscia destra. Certo, non sembrava aver colpito l'osso, l'aveva trapassata di striscio, ma fu comunque una delle vicende più dolorose della sua intera esistenza. Dapprima non provò nulla, quasi la gamba non fosse sua; gli volle qualche secondo per capacitarsi di ciò che era appena successo. Ma come poteva essere possibile? Non aveva mai lasciato che nessuno lo ferisse, nemmeno superficialmente! Era stato capace di schivare solo la prima pallottola con un veloce saltello, ma l'altra l'aveva preso, sebbene non in un punto fatale.

Fece una nuova smorfia di sofferenza al solo ricordo.
Jii e il medico, nel frattempo, non avevano fatto che pendere dalle sue labbra.

Non riuscì a non cedere: si accasciò a terra, ma non svenì. Udì dei passi sul cemento freddo, che si stava sempre più impregnando del suo sangue, al contrario, bollente, così come i suoi pantaloni bianchissimi.
Snake, accovacciatosi alla destra del ladro che si contorceva e tratteneva stentatamente delle urla di dolore, prese a sghignazzare, quasi la figura che gli era dinanzi non fosse un diciassettenne con una pallottola nella coscia. Anzi, si dilettò anche a tastarla, quella parte ferita; stavolta, Kaito non poté fare a meno di gridare, divincolandosi ancor di più.
Respirava a fatica, e ogni secondo che passava, vedeva sempre peggio: le sagome a lui limitrofe divenivano man mano più nebulose, i suoni gli giungevano ovattati e lontani, come se stesse abbandonando gradualmente quel mondo.
"Mi piacerebbe vederti morire così," rise malvagiamente, mentre ritirava la mano ormai sporca di sangue dalla gamba dolente del mago; quelle parole gli arrivarono come uno sgradevole rumore che, tuttavia, si andava pian piano attutendo, "ma ci servi ancora." Si alzò, mantenendo il suo ghigno sprezzante. "Purtroppo - o per fortuna, decidi tu -, la mia mira è fin troppo precisa: se restassi qui, ti ci vorrebbe più di un giorno per morire dissanguato. Quindi, pivello," lo chiamò e, attirando la poca attenzione che il moretto ancora disponeva, gli lanciò un cellulare, che atterrò sul suo petto, "vedi di chiamare il tuo nonnetto."
Kaito sentì quelle parole, ma un sibilo costante gli ronzava nelle orecchie, ostacolandone la totale comprensione; gli occhi erano ormai chiusi, incapaci di vedere alcun profilo; il torace si alzava e abbassava piano, leggermente, e il senso di bruciore e gelo permaneva nel suo corpo debilitato. Non aveva mai avuto, fortunatamente, l'occasione di provare quelle sensazioni, prima d'ora: era sempre stato spavaldo, audace, privo di ogni paura - fatta eccezione per i pesci, ovviamente -, ed era sempre uscito vincente da tutte le circostanze in cui era stato implicato. Ciononostante, in quel momento, gli parve di star davvero soccombendo, spegnendosi sotto quella pressione troppo forte a cui era stato sottoposto in quei mesi per via della sua carriera apparentemente delinquenziale, dell'Organizzazione per cui nutriva odio e rancore, delle menzogne con cui era stato costretto a coesistere, senza, però, esservi in simbiosi. Ecco: per pochi attimi dubitò che potesse continuare a sostenere quell'incresciosa situazione.
L'uomo, che si era già incamminato verso l'entrata - ferrea e arrugginita - del palazzo, tuttavia, interruppe le sue deprimenti elucubrazioni. Si voltò un'ultima volta verso la figura oramai immobile, seppur non incosciente, del ladro.
"Non essere stupido, Kid: non chiamare l'ospedale o la polizia." Un'altra risata, che, disgraziatamente, gli pervenne fin troppo cristallina e tersa. Non riuscì ad udire, comunque, la porta rugginosa cigolare e sbattere alle spalle di Snake: le forze lo avevano abbandonato del tutto, lasciandolo disteso sul tetto di quel grattacielo in una posizione innaturale.

Di certo, non poteva dire di essere stato felice di rimembrare quel ricordo adesso troppo vivido. Ciononostante, poteva ritenersi relativamente fortunato ad essere sopravvissuto. Ma come aveva fatto? Non ricordava di aver fatto nessuna chiamata!
"Come mi avete trovato?" riuscì, quindi, a domandare, sussurrando.
"Ero spaventato, signorino." Fu Jii a rispondere, in tono greve. "Non tornava da quasi tre ore, non era mai stato via per così tanto tempo!"
Era vero: dopo i furti, amava volare con il suo deltaplano, osservando la luna. Tuttavia, rincasava sempre dopo poco più di un'ora. Non poteva passare troppe notti da insonne: era pur sempre un liceale.
"Quindi ha chiamato me per paura che ti fosse successo qualcosa" intervenne il dottore, muovendo passi avanti e indietro nella stanza del ferito. "E dopo un'ora e mezza di setaccio, ti abbiamo trovato."
"Grazie, signor Yamada."
L'uomo fu colto alla sprovvista, ma solo per un attimo; poi sorrise, compiaciuto. "Non mi deludi, ragazzo."
Kaito accennò un ghigno: aveva saputo, nonostante le sue condizioni fisiche non fossero le migliori, leggere delle minuscole lettere stampate sulla targhetta applicata al camice del medico.
Successivamente, tentò di collegare tutti gli avvenimenti, ma una cosa in particolare gli offuscò la mente, non permettendogli di pensare ad altro.
Sbarrò gli occhi, turbato. Osservò il suo corpo per qualche secondo: aveva ancora indosso il suo vestito di Kaito Kid. "Jii-chan..." appellò, interdetto. "Ma... Lui sa?" Indicò Yamada con gli occhi.
"Certo che lo so" lo ovviò, però, il sanitario.
"Non si preoccupi: era una di quelle poche persone che sapeva anche di suo padre" spiegò Konosuke, avvicinandosi al letto sul quale il suo maestro restava.
Lui si sorprese: le persone che erano a conoscenza della vera identità di Toichi si potevano contare sulle dita di una mano. Non lo diede, comunque, a vedere: si era già esposto troppo, doveva riprendere possesso della sua consueta Poker Face. Alzò, dunque, appena gli angoli della bocca, dissimulando il male che ancora attanagliava il suo corpo.
"A quando il mio prossimo furto?" chiese, apparentemente baldanzoso; in realtà, voleva concludere quel problema al più presto, dando una bella lezione a quei criminali che da troppo tempo girovagavano tra le città.
Il signor Yamada gli scoccò un sguardo bieco, fulminandolo. "A mai, possibilmente." Gli puntò contro un indice. "È vero che ti ha solo squarciato la carne, ma non potrai muoverti di qui per almeno due giorni!"
Il giovane arricciò le labbra, stizzito: "gli aveva solo squarciato la carne"? Allora perché non poteva agire e tantomeno spostarsi? Non sarebbe mai riuscito a rimanere fermo per due giorni interi! "Ma che bravo dottore" borbottò, roteando gli occhi blu intenso.
"Non c'è bisogno di ringraziarmi" decretò, sardonico, gettando un'occhiata al suo orologio da polso. Virò il suo corpo verso l'amico più anziano, che li ascoltava, divertito, annunciando: "Ho il turno di mattina, Konosuke: devo andare". Affiancatolo, accostò la sua bocca all'orecchio teso del suddetto, insospettendo e facendo ridurre le palpebre di Kaito a due fessure. "E sta' attento a questo teppista" intimò, bisbigliando e nascondendo il labiale con la sua grande mano.
Il vecchio ridacchiò un po', annuendo.
Il mago, invece, posò lo sguardo sull'orologio a muro davanti al suo letto, stupendosi: erano le 7:45. Era rimasto esanime per ben sette ore, e ora, ovviamente, stava perdendo un altro giorno di scuola. Non che gli importasse tanto; più che altro, voleva sottoporre la sua migliore amica ad un vero e proprio interrogatorio. 
In seguito a qualche secondo di meditazioni, arrivò ad un risultato: l'avrebbe chiamata, mettendo da parte l'orgoglio e l'imbarazzo, e lasciando liberi la sua curiosità e i suoi timori.
Gli venne nuovamente in mente la frase che Snake gli aveva rivolto nel precedente incontro: "Perché non lo scopri da solo?" aveva detto.
Ghignò. 'Puoi scommettere che lo farò, Snake.
'




Ehm... ehm... Chi non si è fatta vedere per quasi dieci giorni? Io? Davvero?
Mi scuso tantissimo per quest'altro ritardo, ma sono partita per il viaggio di cui vi parlavo un mese fa, e il capitolo non era nemmeno completo. Spero di riprendere il passo, dopo questo!
Bene, ora passiamo al capitolo... Ma 'sti qua sono idioti? Lavorano per qualcosa che nemmeno loro conoscono! Ma tanto quello li paga, quindi a loro va bene x'D Mmmh... Che ne pensate del nervosismo di Ayame? Non lasciatevelo sfuggire, eh! Per fortuna che arriva il signor Tamura a salvarle la pellaccia xP
Ehm... Poi c'è Kaito... No, non fucilatemi! Lo amo anche io, giuro! Però Snake è stato colpito da una scossa di intelligenza malvagità, e io non ho potuto impedire nulla :P
So che questo chap può risultare un po' cortino, ma se scrivessi anche la fantomatica chiamata, cosa metterei nel prossimo? xD Spero che vi sia piaciuto comunque!
Un ringraziamento speciale va a Aky ivanov, che mi ha (inconsapevolmente) spronato tantissimo a continuare questo capitolo, e in generale la storia, in cui avevo perso le speranze! Ringrazio tanto anche Shinichi e Ran amore che recensisce ogni capitolo, AlnyFMillen che l'ha aggiunta fra le seguite e Swain che l'ha aggiunta nelle preferite, ricordate e seguite! Grazie, grazie davvero! ;w;
Ci vediamo nel prossimo capitolo! ;D

Baci
Shizuha

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Capitolo 13
*** Compromesso ***


Svegliatosi, sgranò gli occhi, mettendosi immediatamente a sedere. Doveva chiamare Aoko! Per quante ore era rimasto addormentato? E perché sentiva dei rumori provenienti dal piano di sotto?
Gettò le coperte al lato del letto, balzando in piedi. Solo dopo che una fitta di dolore lancinante gli attraversò l'intera gamba destra, facendolo ricadere sul materasso, ricordò di non poter camminare. Ecco, quella ne era una prova: non sarebbe mai stato in grado di rimanere fermo, a letto, per almeno un paio di giorni.
Fece cadere gli occhi sull'orologio a muro, proprio come aveva fatto prima di lasciarsi abbracciare da Morfeo: le lancette segnavano le 13:53. Ma che diamine gli avevano dato? Narcotici?
Si passò una mano tra i capelli corvini e ribelli, sospirando e chiudendo gli occhi; qualunque cosa gli avessero somministrato, aveva fatto diminuire drasticamente il malessere alla coscia, sebbene avesse acuito quello alla testa. Tra l'altro, la pausa pranzo, a scuola, doveva già essere finita, quindi avrebbe potuto chiamare la ragazza tra più di un'ora.
Riprovò, comunque, ad alzarsi, ma più lentamente: fece forza sulla porzione del corpo sinistra, appoggiandosi al capezzale per sorreggersi meglio. Saltellò due passi, evitando di posare la parte dolente, sporgendo il busto e gravando sulla sedia davanti alla scrivania di legno. Mosse un altro salto, e, raddrizzatosi, sbuffò: ma in che stato si era ridotto? A zoppicare per un insignificante taglietto? Volse lo sguardo alla frazione strappata dei suoi pantaloni da ladro, trovando della spessa garza lievemente macchiata di un rosso rugginoso. Sì, era solo un taglietto, nulla di più. Jii, infatti, prima che lui prendesse sonno, gli aveva portato un bicchiere d'acqua - dove, molto probabilmente, il medico aveva fatto sciogliere un sonnifero -, dicendogli che il proiettile non l'aveva nemmeno perforato, solo tagliato; in ogni caso, per via della continua e repentina rotazione di esso, la pelle e la carne dell'esterno della coscia destra si era erano letteralmente dilaniati, aprendo una lacerazione spaventosa.
Una scarica d'audacia e sfacciataggine lo colpì, creando un ghigno spavaldo sul suo viso. Lui era un mago, era Kaito Kid: non poteva lasciarsi intimidire da un dolore fisico. Era stato capace di superare anche il male che la morte di suo padre gli aveva procurato, per altro quando era decisamente più piccolo, perché non poteva esserlo di sormontare un qualcosa ben più futile?
Provò a deporre il piede ancora lievemente scostato dal pavimento a terra. Niente sofferenze, almeno finora. Insisté gradualmente, mentre il malessere esordiva a ripresentarsi, sempre più intenso.
Il brunetto contrasse i lineamenti in una stramba smorfia, senza, tuttavia, desistere: non importava il dolore, solo venire a conoscenza di qualcosa che gli era stato estraneo, benché lui fosse piuttosto implicato in quell'opprimente faccenda.
Andò avanti così, non omettendo qualche imprecazione, fino alla soglia della scalinata. Ecco, là si mostrava il vero problema. Come avrebbe fatto a scendere e salire? E soprattutto, come avrebbe sorbito tutti gli ammonimenti di Konosuke, arrivato al livello sottostante? Sempre se era lui a fare quei fastidiosi rumori metallici, ovviamente: poteva benissimo essere a lavoro, nel suo piccolo pub. 
Proprio in quel momento, Kaito si accorse che aveva perso la cognizione del tempo: che giorno era? Era davvero un giorno feriale, come aveva pensato quella mattina, o era domenica?
Aveva troppe domande e troppe poche risposte, pertanto si decise a fare il primo passo, deglutendo ed osservando quei gradini come fossero i mostri che credeva si nascondessero nel suo armadio, quando viveva ancora la sua prima infanzia. Si resse anche con una mano, che faceva scivolare adagio sul corrimano in legno.
Arrivò finalmente al piano terra, sentendo sempre più prossimi i cigolii, probabilmente provenienti dalla cucina. Si diresse, dunque, all'angolo cottura - sempre inutilizzato, dal momento che consumava spesso i suoi pasti a casa Nakamori -, non evitando, purtroppo, le stilettate che dall'orribile vicenda della sera precedente lo angustiavano, concentrandosi sulla sua gamba sofferente.
Si appoggiò allo stipite della porta aperta, quasi ansante. Scorse, come presagito, la figura di Jii, che si dilettava ai fornelli. Aveva pensato proprio a tutto: naturalmente, non poteva presentarsi a casa della sua amica con una coscia fasciata in quel modo, claudicante, né tantomeno poteva permettersi di uscire e andare a mangiare fuori.
Nonostante la sua età, alle orecchie dell'anziano sfuggiva davvero poco: udì qualche respiro soffocato originarsi alle sue spalle, e si girò di scatto. Sgranò gli occhi nel vedere la sagoma instabile del suo giovane amico, mentre il senso di colpa si faceva strada nel suo essere. Prima che il suo primo insegnante, Toichi Kuroba, morisse, gli aveva fatto promettere che, appena il figlio avrebbe scoperto la sua vera identità e avrebbe preso il posto - perché, lo sapeva, lo avrebbe fatto -, lo avrebbe protetto, tenendolo lontano da posizioni e azioni troppo pericolose. E lui non vi era riuscito, aveva fallito; sì, non era stato in fin di vita, ma se quel proiettile fosse andato un po' più verso l'interno? Avrebbe colpito l'arteria femorale, e probabilmente, prima che lui e il signor Tamada fossero riusciti a ritrovarlo, sarebbe... No, non ci voleva nemmeno pensare. Tremava al solo pensiero.
Si apprestò a raggiungerlo. "Signorino!" Lo prese sottobraccio, e Kaito sorrise genuinamente a tutte le attenzioni che gli stava curando. "Ma che fa? Le avevamo detto di stare a letto!" lo rimproverò, con voce colma di preoccupazione, mentre si dirigevano nuovamente verso le scale, l'anziano che lo sosteneva e il giovane che camminava stentatamente. "Ha per caso poggiato la gamba?" Scosse la testa e schioccò la lingua, contrariato.
Il brunetto ridacchiò leggermente, quasi divertito da quell'appunto.
Giunsero alla scala, e, seppur con fatica, cominciarono a salire i gradi.
"Non ti preoccupare, Jii-chan. L'hai detto anche tu: è solo un taglio." 
Quasi strano a dirsi, ma il suo tono era allegro come sempre, anche in quello stato. Tuttavia, ciò che provava dentro non poteva essere espresso a voce. Si sentiva quasi tradito, e non gli importava se le aveva mentito anche lui; aveva sempre cercato di tenerla al sicuro, di non coinvolgerla. E chissà se lei sapeva del suo alter ego? Si convinse che l'avrebbe scoperto tra non molto, perché lui aveva il dovere di sapere.
Konosuke gli scoccò un'occhiata di rimprovero che, però, non lo smosse; anzi, lo esortò a continuare.
"E poi, sentivo strani rumori provenire dalla cucina" rivelò, mentre s'inerpicava per l'ultimo scalino. "Poteva essere chiunque!"
L'anziano lo fulminò, guardandolo con sguardo truce, come a dire: "Ma se tu stesso sei un ladro!"
Il ragazzo sogghignò ancora, ma decise di non replicare.
Raggiunsero l'apice della scalinata, ed entrambi rilasciarono un profondo sospiro.
"Signorino, ce la fa a raggiungere la camera?"
Lui annuì semplicemente, ringraziandolo con gli occhi.
"Bene." Sfilò il braccio dalla schiena di Kaito, e l'altro dalle spalle del suo assistente. Abbozzò un sorriso, mentre si girava nuovamente verso le scale. "Tra un po' il pranzo sarà pronto, glielo porterò direttamente a letto" garantì, cominciando a scendere al piano di sotto. 
"Grazie, Jii-chan." Sorrise anche lui, raggiungendo la propria stanza con passi sofferti.
Aprì la porta, chiudendola poi alle proprie spalle. Si diresse verso il suo letto a due piazze, lasciando cadere la maschera che era solito portare in pubblico. Si abbandonò sul materasso, mettendosi a sedere, e fece una smorfia nel constatare che il dolore alla gamba si stava ripresentando, forse per lo sforzo compiuto, forse per lo scemare dell'efficacia dell'antidolorifico.
Si distese, poi, poggiando la testa sul cuscino federato di bianco, e la volse dalla parte del suo comodino. Fissò intensamente il suo cellulare che giaceva su di esso, quasi solo con la forza del pensiero potesse comunicare con lei.
Sospirò, voltando il capo per guardare il soffitto algido. Era combattuto: sapeva per certo che non era il momento né il modo migliore per riferirle la sua autentica identità, ma voleva almeno estorcerle la verità.
Inspirò pesantemente e allungò la mano per afferrare l'aggeggio che era sicuro sarebbe stato l'intermediario di una nuova lite, di nuove bugie, non distogliendo lo sguardo dal tetto. Lo prese e lo portò davanti al suo viso. Con titubanza, accese il display, notando che più persone gli avevano scritto dei messaggi; non se ne curò. Immise la password - 1412, proprio come il nome originale del suo alter ego -, e si precipitò sul suo contatto.
Se prima era riluttante, ora tergiversava ancora di più. Doveva chiamare o no? Una voce nella sua testa gli imponeva di farlo, sia per la propria sicurezza che per quella di Aoko. Un'altra frazione del suo cervello, però, non ne era assolutamente sicura. E se fosse stato un equivoco? E se Snake gli avesse detto quelle parole solo per innervosirlo e intimidirlo?
Be', l'avrebbe scoperto tra poco. Pigiò il fantomatico tasto con l'indice destro, ed ecco che il solito suono di attesa comparve. Mise subito il vivavoce, posizionando il telefono sul suo petto che, per via del suo cuore che sembrava aver preso la rincorsa, si abbassava e alzava più rapidamente del consueto.
Udì quel fastidioso e apparentemente interminabile rumore cessare. Chiuse gli occhi di scatto, mentre prendeva un profondo respiro.
"Pronto, Kaito?"
 

Quel giorno, sebbene fosse domenica, aveva dovuto alzarsi presto: alle 9:00 erano già fuori, cosicché lei potesse spropriare al più presto possibile. Ovviamente, si era annoiata a morte, come nei giorni precedenti; come se non bastasse, era dovuta stare mezz'ora in più, perché era più - testuali parole di Hiro - "sicuro". 
Pertanto, ora si ritrovava a casa, buttata sul proprio letto a pancia in giù, a meditare sul furto che avrebbe dovuto compiere quella stessa sera. Solo al pensiero i sensi di colpa ricominciavano a consumarla, a farla sentire peggio di quanto già non le sembrasse. Puntualmente, però, Johanne interveniva, dicendole frasi inusualmente dolci e comprensive, assicurandole che lei ci sarebbe stata, ma ciò non fu per niente d'aiuto. Anzi, sapere che avrebbero portato a termine quella finta rapina insieme la faceva stare solo male: sarebbe stata capace di fuggire, stavolta? Si sarebbe stancata o non avrebbe avvertito nulla?
'Non ti preoccupare: riusciremo a non farti stancare, in qualche modo' la rassicurò la ladra, con tono benevolo e morbido.
"Non ne sarei così sicura" borbottò la brunetta, e i cuscini resero le parole ovattate.
'Aoko! Smettila di essere così pessimista. Ce la farai, ce la faremo!'
Lei girò la testa di lato e sorrise amaramente. "Ma hai idea di cosa stiamo facendo? Sai a cosa potrebbero servire queste gemme?" Alzò la voce. "Sai a chi diavolo stiamo dando ascolto?" gridò, mettendosi a sedere. Era frustrante non poter guardare la persona con cui parlava negli occhi: non poteva vedere cosa pensava davvero. "A un idiota del diciottesimo secolo! E sai che cosa si faceva a quell'epoca?" Non le diede neppure il tempo di rispondere. "Si buttava la pipì dalle finestre, fregandosene di quelli che passavano!" Si mise in piedi definitivamente, stringendo i pugni e chiudendo gli occhi.
Ma Johanne sapeva che era tutto giustificato. Come darle torto, del resto? Il suo discorso era logico, al contrario di ciò che i Guardiani continuavano a fare da più di tre secoli. Poteva compatirla, tuttavia percepiva in qualche modo che tutte le fatiche a cui si stavano dedicando portavano, almeno per lei, ad un esito. Non sapeva che tipo di conclusione potesse essere, né se avesse incluso qualcun altro; doveva, comunque, provare. In ogni caso, restò ad ascoltare la sua ospite sfogarsi: ne aveva bisogno e il pieno diritto.
"Si uccidevano persone come se nulla fo..."
Un suono l'aveva interrotta, trascinandola nuovamente nella realtà crudele e sfacciata su cui non osava sollevare lo sguardo.
Aprì gli occhi, leggermente spaesata, e notò il display del suo cellulare acceso, mentre una fastidiosa suoneria si ripeteva inesorabilmente.
Si avvicinò adagio alla scrivania su cui esso era poggiato, un po' confusa: chi poteva chiamarla? Keiko, forse?
Agguantò il telefono ancora vibrante, leggendo il nome che presentava: Kaito. Il suo cuore perse un battito; poi, cominciò a battere sempre più velocemente, instancabile.
Disserrò lievemente la bocca, stupefatta: perché avrebbe dovuto chiamarla? Nemmeno una settimana fa avevano discusso con toni piuttosto elevati, almeno da parte di lei, e in seguito si erano rivolti parola decisamente poche volte.
Ma che importava, alla fine? Poteva semplicemente volere delle delucidazioni sulla scuola, benché ciò non gli si addicesse per nulla.
Ancora tentennante, decise di rispondere. "Pronto, Kaito?" provò con voce bassa e che lasciava trasparire la sua perplessità.
"Aoko?"
Ecco, un altro battito perso, le palpitazioni del suo cuore irregolari. Sembrava quasi strano udire la sua voce pronunciare il suo nome, dopo quei giorni che sembravano eterni.
'Si vuole dichiarare via chiamata? È serio?'
La giovane arrossì violentemente, divenendo paonazza. Tuttavia, sapeva che quell'argomento doveva essere serio, o non avrebbe perso tempo a chiamarla, sopratutto se la sapeva infervorata con lui. Si chiese, però, il motivo per cui non era venuto lui stesso, di persona, invece di comunicare mediante un insignificante telefono.
"T-ti dovrei chiedere una cosa..." tergiversò.
Aoko si meravigliò: no, titubare non era assolutamente da lui. Ciononostante, lo lasciò continuare.
"Riguardo al tuo... ehm... segreto?"
La viaggiatrice aggrottò la fronte. "Segreto?"
"Segreto" ripeté, con voce più ferma: era pur vero che aveva voluto abbassare le sue barriere, ma doveva restare se stesso, sempre Kaito Kuroba. "Aoko, non mentirmi." Nel frattempo, lui non aveva distolto lo sguardo dal soffitto, quasi potesse leggere i termini da riferirle.
Si sedette, disorientata. "Non so di cosa tu stia parlando" mentì, invece. Dopotutto, non aveva scelta, e in ogni caso, non le avrebbe creduto.
"Ti prego." Non era nel suo carattere abbassarsi alle suppliche, ma quello sembrava più un ordine. Chiuse lentamente gli occhi, inspirando pesantemente.
"Perché non me ne parli di persona?" alzò i toni lei. La stanchezza, finora, aveva vinto la stizza, ma adesso quest'ultima la stava sopraffacendo. "Davvero, Kaito, non ti riconosco più!"
Il cuore gli martellava nel petto, ma non si fece intimidire; no, non stavolta. Era vero, ne avrebbe voluto parlare anche lui faccia a faccia, ma sapeva benissimo di non poterlo fare. Non voleva e non era in grado di aspettare ancora, e non voleva cadere un'altra volta nella stessa questione: lui che si comportava in modo sospetto, lui che mentiva, lui che non le rivolgeva sillaba... Era stanco; stanco di non poter ribattere, di essere etichettato come un bugiardo, di provare sensi di colpa, quando l'unica cosa che stava cercando di fare era proteggerla da un problema troppo grande per lei e persino per lui.
"Non posso uscire." Schiuse le palpebre, rivelando le iridi azzurre che brillavano nuovamente e finalmente della sua consueta luce di determinazione. "Aoko, non ci vuole tanto per capire che mi stai mentendo, sai? Vuoi davvero che mi beva la storia della camicia?" La voce diveniva sempre più sicura, più alta, nonostante il fatto che dentro di lui si stesse cucinando una zuppa di emozioni contrastanti.
"Ah!" rise, beffarda e aspra. "Senti chi parla! Vuoi dire a me di star raccontando menzogne? Sul serio?"
Sospirò, ormai spazientito. "Bene, ho capito. Se questo può spingerti a non mentire, ti posso dire una cosa?"
Lei annuì, sempre più smarrita, ma lui non poteva vederla.
"Ho pagato a mie spese" proseguì. "Vuoi davvero che delle persone soffrano?" Faceva male riferirle quelle parole, perché era a conoscenza che l'avrebbero ferita.
Lei perse un altro palpito, e spalancò gli occhi. Corrugò le sopracciglia, e stese il suo corpo sul materasso: non era più certa di riuscire a reggerne il peso anche solo parzialmente. "Cosa significa, Kaito?"
Prese un altro, profondo afflato. Al contrario di lei, il prestigiatore decise di mettersi a sedere, facendo forza sugli addominali ben allenati. No, non voleva dichiararle la sua identità celata: non era il momento, e, comunque, aveva il terrore di perderla. Già, terrore; poteva sembrare strano che uno come lui ne percepisse, soprattutto nei confronti di una ragazza. Ma lui sapeva bene che non era una semplice compagna: era la bambina che da sempre lo accompagnava a vedere gli spettacoli di magia di prestigiatori famosi, rinomati in tutto il mondo; era la ragazza che odiava Kaito Kid, ma, al tempo stesso, gli voleva bene; era la ragazza che, semplicemente, gli faceva battere il cuore. E no, non l'avrebbe ammesso. O almeno, non in quel momento. 
"Ti basta sapere che ho sofferto. Ti prego, Aoko. Per favore."
Ma cosa gli stava succedendo? "No che non mi basta! Perché hai sofferto? Cosa ti è successo?" Bene, ora doveva sembrare una ragazzina lunatica in preda agli ormoni: un secondo prima gli urlava contro, quello dopo si preoccupava per lui.
Ma il mago non se ne curò. Dopotutto, era quello il loro rapporto. "Niente di grave" tagliò corto, sebbene grave avesse potuto diventarlo. "Mi serve solo una risposta, nulla di più."
La giovane si accigliò: non sapeva cosa fare. Doveva comunicargli tutto oppure era meglio tacere? Nessuno le asseriva che lui non sarebbe scoppiato a ridere, né che i Guardiani non l'avrebbero rinchiusa in chissà quale inopinabile prigione. Se lei, però, avesse scelto di omettergli tutto, era più che certa che la loro amicizia sarebbe peggiorata ancora.
Poi, tuttavia, un qualcosa le affiorò in mente: perché doveva essere lei a dirgli il suo, di segreto, quando lui non aveva nemmeno spiegato come ne fosse venuto a conoscenza? Come era stato ferito, dove era stato ferito, cosa era realmente accaduto... No, non aveva voluto esprimere nulla, e la stessa cosa sarebbe valsa per lei.
"Ripeto: non so di cosa tu stia parlando."
"Aoko..."
"Niente Aoko!" lo interruppe bruscamente lei. Anche lei era più che sazia di tutte quelle scenate. "Si può sapere cosa vuoi da me?" Forse era stata un po' dura, ma non volle fermarsi. "È da una settimana che mi tormenti con 'sta storia! Quale segreto dovrei nascondere? Sentiamo!" Odiava rivolgersi a lui in quel modo, ma non poteva fare altrimenti se voleva depistare ogni suo sospetto.
Quelle parole gli arrivarono come un secchio d'acqua ghiacciata in pieno inverno, come un pugno nello stomaco mentre ti stai divertendo. Erano parole dette con un'acidità non da lei, ma che pensava fossero sincere. Però no, non doveva cedere.
"Non è forse questo che ti sto chiedendo?" Una nota più morbida si fece spazio nella sua voce, ma il tono rimase ugualmente sardonico. "Non capisco perché tu non voglia parlarmene. Tra l'altro, sono sicuro che Keiko lo sa. Perché non ti fidi più di me?" A pronunciare l'ultima frase si presentarono diverse fitte. Non alla gamba, ma al cuore.
Sospirò, snervata, serrando le palpebre. "Non mettere in mezzo Keiko, intanto!" Con un saltello degno di una ginnasta, si mise in piedi, e mosse qualche passo. "E mi chiedi perché non riesca più a fidarmi di te? Ma dici davvero?" Camminava avanti e indietro nella stanza, mentre teneva la mano stretta in un pugno, tentando di sbollire la sua ira. "Non discutiamo come due persone normali da non so quanti mesi, è ovvio che non sia in grado di parlarti come una volta!"
Possibile che dovesse sempre rinfacciargli quell'aspetto? "Non abbiamo mai parlato come due persone normali, se è per questo" ironizzò, poggiando il gomito sulla coscia sinistra e reggendo il viso con il medesimo arto, mentre la mano destra era impegnata a sostenere il cellulare vicino all'orecchio. 
"Kaito! Dannazione, io non sto giocando!"
"Pensi che mi sia fatto sparare per gioco?" urlò, raschiandosi la gola. Gli era uscito di getto, non era una replica ponderata. E ora lei sapeva. Cosa le poteva dire, ora? Che mentre voleva osservare la luna nelle vesti del ladro che detestava di più, un tizio di un'organizzazione criminale era andato lì per sparargli e divertirsi un po'? No, ci avrebbe riflettuto due volte, almeno su quello. Ed in entrambe la coscienza gli suggerì di non farlo.
Spalancò gli occhi, abbassò ambedue le mani, e per poco il telefono non cadde a terra. Ma non gliene importava affatto di quell'insulso aggeggio, almeno in quell'attimo. L'ultima frase che aveva pronunciato si ripeteva febbrilmente nella sua testa, come un'eco lontana, ma vivida. Il corpo iniziò ad essere scosso da singhiozzi silenziosi, mentre il labbro inferiore le tremava, venendo martoriato brutalmente dai suoi denti.
"A-aoko?" la richiamò Kaito, leggermente allarmato.
Lei sentì, ma non carpì. Continuava imperterrita a fissare il muro color pesca avanti a lei.
Dopo circa un minuto, in cui il ragazzo aveva cercato di riportarla alla realtà con flebili sussurri, accostò nuovamente il cellulare al suo orecchio.
Era più che sicura di aver sentito bene, ma non riusciva a realizzare. Era stato ferito, per di più da un'arma da fuoco. Però, lei cosa c'entrava? Perché l'aveva chiamata? Da chi era stato sparato?
Aoko non si pose tutte quelle domande; a lei, in quel momento, importava una cosa sola.
"S-stai bene... vero?" La voce era tremante, così come il suo corpo. Si vide costretta a sedersi ancora una volta sul materasso: non sapeva per quanto i piedi potessero reggere il suo peso.
Kaito non fu in grado di soffocare un sorriso che, spontaneo, voleva nascere sul suo volto. Aveva pensato prima alla sua incolumità, anziché a tutti i quesiti che sarebbe stato naturale formulare. Teneva ancora a lui.
Fu quasi tentato di tirare un sospiro di sollievo, ma si consigliò di replicare prima alla sua amica. "Sì..." affermò, chiudendo lentamente le palpebre. "Sto bene, Oko."
La suddetta lasciò cadere il resto del corpo sul materasso, e sorrise. L'aveva chiamata Oko, come ai vecchi tempi. Forse, avrebbero potuto risanare la crepa nella loro relazione. "Possiamo parlarne, allora?"
Dovette speculare un momento: non era facile decidere. Le avrebbe dovuto narrare tutto, senza tralasciare un singolo particolare; la stessa cosa avrebbe dovuto fare lei. Ma erano davvero pronti? Probabilmente no, ma entrambi avvertivano un legame tra tutte le loro vicende, e le parole che Snake aveva rivolto al ladro non potevano che essere una conferma.
"Va... Va bene." Sospirò, aprendo gli occhi. "Tutto, però." 
Potevano sembrare due vocaboli completamente sconnessi, ma Aoko colse al volo il loro significato: nessuna omissione, dovevano spiegare tutto.
Il riso si allargò. "Quando?"
Sembrava più un dialogo telepatico: lui comprese subito che lo voleva vedere, escludendo ogni tramite. "Stasera?" Fece una breve pausa. "Possibilmente a casa mia" ridacchiò, leggermente impacciato. Di certo non aveva voglia di farsi vedere da Ginzo - sempre se fosse stato a casa - in quella scomoda ed imbarazzante situazione, né tantomeno teneva a salire e scendere di nuovo delle scale.
"Mmmh..." esitò, tuttavia, lei: quella sera doveva attuare un furto, e non aveva scusanti. Fece una piccola smorfia. "Stasera non posso. Domani, dopo la scuola?"
Kaito aggrondò la fronte, ma non chiese chiarimenti. "Tanto io non ci posso andare" brontolò, infastidito. "Vada per domani, comunque." Non riusciva a spiegarsi il perché, ma il cuore gli martellava nel petto e sentiva lo stomaco contrarsi, come se degli elefanti vi stessero passeggiando dentro.
Il sorriso della moretta si accentuò ancora di più. "Okay. A domani!" Provò a reprimere l'eccessiva baldanza dalla sua voce, ma non ne fu del tutto capace. Da quanto tempo non si vedevano a casa dell'altro, se non per mangiare? Da quanto tempo non parlavano come due migliori amici sapevano fare - come solo loro due sapevano fare? Tanto, troppo.
Ed era finalmente ora di riprendere quelle vecchie, deliziose abitudini.



No, non sono morta! Ma capitemi, tra l'imminenete inizio della scuola, il rientro a ginnastica, la fiera che si è svolta in città, ed io non ho avuto tempo (né troppa voglia) di scrivere.
Ho voluto approfondire un po' il rapporto Jii-Kaito, ma niente di speciale. Invece, questo capitolo (che, sinceramente, non mi soddisfa tanto) è dedicato quasi interamente ai nostri due piccioncini! *^* Ho sclerato io stessa nella parte in cui Kaito ha chiamato Aoko Oko, sono troppo dolciasdfghjkasjdo *___* Sì, okay, la smetto.
In tutta sincerità, la chiamata non doveva finire così, ma poi ho voluto rendere loro due più vicini (se, ciao, vicini!) xD Be', vedrete nel prossimo chap cosa ci sarà! ;D
A presto (spero)!

Baci
Shizuha

 

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Capitolo 14
*** Sfogo ***


Era seduta sul materasso ormai scaldato dal tepore del corpo che aveva sostenuto per tutto il giorno, mentre lei si cambiava. Aveva deciso, insieme a suo padre e Keiko, che sarebbe stato meglio avere sempre la tuta sotto i vestiti ordinari, così da non perdere troppo tempo tra una sostituzione di abiti e l'altra. Inoltre, il caldo tipico della stagione estiva aveva abbandonato del tutto il tempo di Tokyo, perciò qualche veste in più non la infastidiva affatto.
Avevano parlato decisamente poco, quella sera; Aoko la guardava ogni tanto di sottecchi, con l'intenzione di comunicarglielo al più presto possibile.
Infilò anche la larga felpa nera, chiudendo gli occhi e disserrandoli non appena essa oltrepassò il suo capo. Si accomodò, poi, sul suo letto, sospirando. Distese completamente il corpo e aprì le braccia.
Keiko la osservò con sguardo interrogativo. "C'è qualcosa che devi dirmi?"
Possibile che tenerle nascosto qualcosa fosse un'azione così irraggiungibile? Capiva sempre quando c'era un problema, e anche quella volta non fece eccezione. In ogni caso, non si poteva sorprendere più di tanto: era pur sempre la sua migliore amica, e la conosceva da più di cinque anni. Le sarebbe risultato impossibile non dirle di quella chiamata.
Ridacchiò, furba: l'avrebbe messa alla prova. "Forse..." Poggiò i gomiti sul materasso, così da sostenere la parte superiore del busto. Creò un sorrisetto che non smosse assolutamente la bionda.
Si stese anch'ella, ma a pancia in giù, gravando sui gomiti. "Fammi indovinare..." sogghignò, sorniona. "C'entra Kaito, giusto?"
La viaggiatrice sbuffò e mise su un broncio ironico, e, voltandosi, le diede le spalle. "Con te non c'è gusto!"
Scoppiò a ridere, ma poi le diede un pugno amichevole sulla spalla, e la esortò: "Forza, racconta la fiaba!"
Le toccò roteare gli occhi: odiava essere considerata la principessa di Kaito. Era davvero così palese la sua cotta? Poi, però, si unì all'amica, ridendo di gusto. "Va bene, va bene!" acconsentì, non prima di aver sopportato altre due pacche sulle spalle e la minaccia del solletico al ventre.
Si mise nuovamente a sedere, incrociando le gambe davanti a sé.
Keiko aguzzò le orecchie: se si era messa comoda, allora doveva essere qualcosa di piuttosto importante.
"Oggi pomeriggio mi ha chiamata" esordì, lasciando leggermente interdetta l'amica. "Sospettava di me, e voleva che gli dicessi tutto."
"E tu non l'hai fatto," la interruppe, "vero?"
Sospirò. "No, ma lo farò."
"Eh?" esclamò, sconcertata. Scese velocemente, drizzandosi, e si mise davanti a lei, guardandola negli occhi. Poggiò due mani sui fianchi, risultando buffamente come una madre che sta rimproverando la propria figlia. "Stai scherzando, spero!"
Scosse la testa in segno di diniego, sbalordendo sempre più la biondina.
"Ma non puoi!" Aprì le braccia, quasi a volerla abbracciare. "E se quell'idiota di Hirawata lo scoprisse?" 
"E ti preoccupi di questo?" chiese, lievemente disorientata. Pensava che l'avrebbe criticata per quanto incosciente si stesse dimostrando, non per paura di come avrebbe potuto reagire Katashi.
Inarcò un sopracciglio. "Di cosa mi dovrei preoccupare, se no?"
"Ma come!" Sgranò gli occhi, incredula. "Non so, di tutta questa faccenda da dire a Kaito, lui che mi spiegherà tutto..."
La sua compagna alzò gli occhi al cielo. "Si vede che sei una frana in queste questioni." Sollevò le spalle con fare rassegnato, quasi spazientito. "Guarda che a me fa solo piacere se voi due teste di rapa vi mettete finalmente insieme, eh!" Incrociò le braccia al petto, annuendo alla sua stessa frase, completamente convinta.
Il suo viso si colorò di cremisi, a causa della stessa persona per la seconda volta in quella giornata. "Non mi metterò con nessuno, io!" strillò, chiudendo gli occhi. Era davvero buffa con quell'espressione e il colore scarlatto dipinti in volto.
Keiko rise di gusto, sedendosi accanto alla compagna e cingendole le spalle con un braccio. "Sì, certo, ci crediamo tutti!" sogghignò, prendendola in giro. 
L'altra sbuffò, facendo una strana smorfia che, probabilmente, doveva risultare un broncio ironico. Poi, scoppiò a ridere insieme all'amica.
'Sai che la ragazza non ha torto, vero?'

S'inchinò con eccessivo ossequio, quasi venerazione. "C'è qualcuno che vuole parlarvi, signore."
L'anziano non mutò espressione: palpebre serrate, il volto solcato da numerose grinze provocate dal tempo. "Lascialo entrare." Non sembrò neppure muovere le labbra.
Il giovane sussultò al suono della sua voce. "I-immantinente, signore!" Poi uscì con passo affrettato.
Qualche istante dopo entrò un uomo di circa cinquant'anni, interamente vestito di nero, alto e macilento. Si piazzò davanti all'evidentemente costosa poltrona su cui restava l'anziano, ancora imperturbabile. Restò immobile, fissando l'uomo più grande con occhi scuri e freddi.
Un angolo della bocca s'incurvò impercettibilmente. "Vedo che non cambi mai." Aprì di scatto le palpebre, rivelando due iridi nere come la pece; sembrava quasi che, guardandole, vi si potesse inabissare dentro, per poi non fare più ritorno.
Non fiatò, si limitò a continuare a scrutarlo con lo stesso sguardo algido, per niente intimidito.
Sollevò una mano, esaminando la pelle ormai incartapecorita di essa. "Noto che non sei in vena di scherzi" osservò, sarcastico.
Il più giovane alzò gli occhi al cielo, piuttosto spazientito. "Va' al dunque. Voglio tornare al più presto possibile, odio la puzza di stantio che c'è in quest'epoca."
Rise; una risata penetrante, capace di far rabbrividire chiunque. "Mi piacciono le espressioni del ventunesimo secolo" disse, una nota ironica sempre presente nella sua voce bassa e rauca. "E sarebbe davvero affascinante poter sentire che odore aleggia ai giorni vostri."
L'uomo vestito in nero lo fulminò con gli occhi, intenzionato a farlo tacere. Era alquanto ovvio, però, che quell'uomo non era colui che si lasciava zittire: era colui che ammutoliva. "Ho detto di andare diritto al dunque, Kibisu."
Abbassò repentinamente la mano, rivolgendo lo sguardo all'individuo avanti a sé. "Non prenderti troppe libertà, adesso. Sei sempre un mio subordinato." Non gli permise di ribattere, che proseguì: "Voglio sapere se qualcuno s'è recato".
Incrociò le braccia al petto, gettando una fugace occhiata al polso sinistro: solo allora si ricordò di non aver portato l'orologio per il pericolo di disperderlo. Stava decisamente dormendo troppo poco, in quel periodo. "Sempre Snake." Sbuffò.
"E al fanciullo cos'è accaduto?"
"Fanciullo non si può proprio sentire" mormorò, arricciando il naso aquilino. "Da quanto so, comunque, la ferita da sparo non è troppo grave."
Affilò lo sguardo, rendendolo ancora più tagliente. Aveva l'apparenza di un predatore che adocchia il suo bottino. "Bene" decretò, con voce più cupa del solito. "Lei mi serve illesa, sicché è ancora utile per Pandora."
"Scrivi una lettera," lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, "ché a me secca dirlo a Snake - soprattutto perché è duro di testa."
L'anziano corrugò la fronte: non era di certo solito alle locuzioni del 2015, perciò era naturale restarne leggermente smarriti. 
S'alzò, dunque, dalla pregevole poltrona, seppur con fatica. Era piuttosto basso, con la schiena e spalle ricurve, e, per sostenersi meglio, gravava su un bastone di legno di mogano accuratamente lucidato. I vestiti sfarzosi di quell'epoca lo raffiguravano ancora più goffo e robusto.
Si diresse allo scrittoio lievemente impolverato e decisamente di cattivo gusto, viste tutte quelle pomposità che lo adornavano. Spostò la sedia sfiorandola appena, come usasse telecinesi. Vi si sedette con eleganza, nonostante la sua corporatura lo ostacolasse. Prese una grande piuma grigia, per poi aprire il calamaio. Intinse con fare raffinato il piumino, lasciandolo sgocciolare un po' per non sporcare lo spazio limitrofo.
Cominciò poi a scrivere, mentre il più giovane incrociò nuovamente le braccia e iniziò a ticchettare la punta del piede sul pavimento, spazientito.
Dopo circa cinque minuti, colui che l'uomo in nero aveva chiamato Kibisu sospirò. "Smettila, Ookubo. Dai noia." Ghignò, consapevole di quale sarebbe stata la sua reazione.
L'appellato, contro ogni sua aspettativa, rise piano. "Oh, Ookubo non esiste, ormai. Non sono più Soichiro Ookubo, sappilo."
Non si sorprese, comunque; anzi, sorrise leggermente, in modo inavvertibile. "Lo so" ridacchiò, nella sua voce persisteva una sfumatura ironica, quasi sardonica. "Voleva essere una semplice rivalsa."
Soichiro Ookubo cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. Stava morendo dalla voglia di sapere che ore fossero, anche perché non era a conoscenza della durata rimanente dello sproprio.
"Sbrigati a finire quella maledetta lettera."
"Sì, sì" gli concesse, mentre intingeva nuovamente la piuma nell'inchiostro nero. Firmò; la sua grafia era fine, ma decisa. Il linguaggio era molto forbito, senza, tuttavia, apparire ampolloso. Sigillò, poi, la lettera con un francobollo verde petrolio.
Lanciò un effimero sguardo sul suo superiore a lavoro. Sbuffò lievemente, e successivamente lo raggiunse vicino alla sedia, torreggiandolo. "Non ho mai capito perché ti ostini a mettere questi bolli."
Kibisu non si volse, restò immobile a fissare la busta ormai adagiata sulla scrivania. "Servono a distinguere la loggia dall'Organizzazione" spiegò. Rivolse lo sguardo verso la figura accanto a lui, ma non virò minimamente né busto né capo. "Pensavo lo sapessi."
"Certo che lo so" ribatté con tono indifferente. "Ma non ne vedo l'utilità."
L'anziano si alzò adagio, facendo ricorso allo schienale dello scanno. Non rispose. Agguantò la lettera, e la porse al subalterno, che lo guardò perplesso. "Tieni." Agitò un po' la mano, ostentandola. "Raccomando la ragazza a te. Ti ricordo che, almeno per ora, deve continuare a cercare la gemma."
Soichiro prese l'involucro con titubanza, girandolo un po' tra le mani, quasi fosse un elemento a lui del tutto estraneo. Era quasi bizzarro vedere una figura così alta, imponente, seppure fin troppo gracile, osservare con tanto sospetto un oggetto così apparentemente insignificante.
"Per quanto concerne il giovine," aggiunse "vi lascio liberi di compiere ogni azione."
Incatenò i suoi occhi gelidi in quelli neri di Kibisu. "Con lui abbiamo già fatto abbastanza."

I capelli scuri vennero mossi dalla brezza fredda, creando un'immagine quasi magica: una figura slanciata, di spalle, al chiarore della Luna crescente che illuminava quella notte.
Si trovava ancora una volta su un grattacielo, ma era pressoché inutile, considerata l'altezza del palazzo in cui era custodita la gemma che doveva esaminare questa volta: The Shyness Of Green. Un nome insolito per un gioiello, aveva pensato lei. Inoltre, Ginzo le aveva espresso la sua opinione in merito: un nome insolito, sì, ma anche leggermente paradossale: la pietra era, in realtà, uno zaffiro blu. Un naturalissimo zaffiro blu, delle dimensioni di un un pugno di un neonato, preso in custodia dall'associazione dei Suzuki. 
'Aoko, lo sai. Lasciati andare.'
Sostava sul margine di quel tetto da circa un minuto, ormai. Aveva fatto tutto ciò che doveva fare: riscaldare i muscoli, indossare - con suo puntuale disappunto - la tuta, sistemare la maschera nera, attivare la cintura per un eventuale bisogno, oltre alla necessità dell'arpione... Voleva fare solo un'ultima cosa.
Alzò, dunque, la manica destra della veste verde petrolio, facendo scivolare un elastico nero dal polso. Poi, raccolse la folta chioma scura in una coda di cavallo alta, e la legò saldamente, stringendola ulteriormente in seguito. 
Non rispose né compì ciò che Johanne le aveva chiesto.
Lasciò cadere nuovamente le braccia lungo i fianchi, scrutando intensamente il palazzo che si ergeva sotto i suoi occhi. Avrebbe dovuto saltare sul tetto - a circa venti metri dai suoi piedi -, per poi passare dal condotto di aerazione che Keiko aveva gentilmente offerto di aprire di nascosto. Successivamente, avrebbe lanciato delle granate stordenti, proteggendosi con una maschera antigas, ambedue procuratele da suo padre. Un classico, insomma.
La parte più difficile, però, stava nel ricordare i luoghi precisi in cui non era possibile essere ripresi dalle telecamere. Ecco, aveva già dimenticato tutto!
'Ci sarò io, ricordi?' le rammentò Johanne in un dolce bisbiglio.
Strinse i pugni, continuando a fissare quel minuscolo edificio nella moltitudine inarrestabile e, per Aoko, squallida dell'enorme città di Tokyo. Probabilmente non vi aveva mai fatto attenzione, ma tutti quei palazzi, gli uni accanto agli altri, anche colorati... Li vedeva grigi, scialbi. O forse era soltanto il greve stato d'animo che l'assillava in quei giorni fin troppo pieni.
Fu nuovamente Johanne a destarla dalle sue elucubrazioni - piuttosto catastrofiche, si potrebbe aggiungere -, con un tempestivo e tuonante "Smettila!".
Lei sospirò semplicemente, dando finalmente ascolto a quella che poteva essere scambiata per una voce di coscienza. Titubò leggermente, prima di lasciarsi andare. Aveva paura di come sarebbe potuto essere il ritorno alla normalità, quando Johanne sarebbe stata nuovamente soppressa da chissà quale energia. Potevano davvero vincere la stanchezza e il vuoto che l'avevano sopraffatta l'ultima volta e che, quasi indubbiamente, l'avrebbero fatto anche quella sera? Non ne era per niente sicura. 
In ogni caso, lasciò che il potere di Johanne si unisse al suo, e che quella bizzarra sensazione di completezza la inebriasse. 
La ladra, dal canto suo, non vedeva l'ora di farlo un'altra volta. Certo, non la rallegrava né rassicurava la spossatezza che colpiva la sua ospite dopo la sincronizzazione - le stava davvero a cuore, nonostante le rivolgesse parola da poco più di una settimana -, ma era passato davvero troppo tempo da quando poteva nuovamente muoversi liberamente in un corpo: parlare, mettere in moto qualunque arto lei volesse. 
Dopo qualche secondo, Aoko sentì chiaramente la voce che tanto le era piaciuta l'ultima volta.
Johanne stiracchiò le braccia avvolte nel tessuto scuro, come reduce da una lunga dormita. "Ah, che bella sensazione!" esclamò, chiudendo gli occhi e godendo del leggero vento fresco che accarezzava il corpo di Aoko.
Già, il suo corpo. Non si era ancora abituata ad udire una voce non sua uscire dalle sue labbra, o movimenti non voluti attivare i suoi muscoli. Abbassò repentinamente gli arti superiori, e i suoi occhi si aprirono, formando due sottili fessure. "Johanne!" la ammonì con veemenza, chiudendo le mani in due pugni, come una bambina impettita che reclama il suo gelato; l'unica differenza era che lei reclamava la totale padronanza del suo fisico. "Ne avevamo già discusso l'altra sera!"
Lei sogghignò, com'era suo solito fare davanti alla stizza che suscitava in Aoko. "Sì, sì, come vuoi." 
La viaggiatrice non poté far altro che sbuffare, per poi sentire un "Dai, diamoci da fare" uscire dalle sue stesse labbra.

Prese - o, per meglio dire, presero - in mano il gioiello, e fu lì che si scaricò un'ondata sconvolgente di miriade di emozioni e sensazioni diverse. È quasi ostico provare a descriverle, poiché furono talmente fulminee ed effimere che loro non ebbero nemmeno il tempo di accorgersene. Perciò, atterrò perfettamente dalla rovesciata, con il The Shyness of Green in mano.
La stanza pullulava di agenti della polizia, mentre dall'esterno si potevano udire grida e adulazioni per la ladra "immortale".
Il padre di Aoko si trovava dentro l'edificio, in quanto poliziotto, e aveva accanto una Keiko elettrizzata, che era stata molto utile per le vie di fuga dell'amica. Entrambi osservavano con attenzione ogni movimento della giovane che si dilettava - quasi si divertiva - a saltare, roteare e danzare nella più assoluta libertà e grazia. Trattennero il fiato quando lei afferrò rapidamente la gemma, in attesa di sapere se fosse realmente quella giusta.
Keiko batté addirittura le mani, per tutto il suo fomento ed emozione, mente gli occhi le brillavano.
Non ebbero subito la risposta alla loro ansia; o meglio: si poteva dedurre dall'atteggiamento disorientato di Aoko - che era ferma ormai da qualche secondo, sotto gli occhi dei poliziotti leggermente confusi dal suo continuo volteggiare - che doveva essere, verosimilmente, quello zaffiro, o perlomeno uno importante.
Aoko restò ferma nello stesso punto di atterraggio, ed era talmente sconvolta da quelle strane sensazioni che non si accorse che i poliziotti le andavano incontro. Ginzo si preoccupò per un attimo, poi lo sguardo gli cadde sulla pietra tra le mani di Aoko e un lampo di consapevolezza gli attraversò il viso e diventò un'espressione curiosa e leggermente sollevata.
Il colore dello zaffiro era cambiato in un verde stinto, e all'interno brillava un rosso intenso.
Aoko si sentiva completa, questa volta davvero. Si sentiva potente, invincibile, e tutti i pensieri negativi sparirono del tutto.
Non sapeva se fosse la sua ospite a contagiarla, ma Johanne provava una strana sensazione: era come se fosse di nuovo nel suo corpo, come se non fosse mai stata una semplice voce per secoli. Era di nuovo libera
Un agente stava per afferrarle la caviglia, ma Aoko scattò in aria con un salto di circa un metro e mezzo - wow, non era mai arrivata così in alto -, aprendo le gambe in un meraviglioso ejambée, proprio come una farfalla che spiega le ali.

"Non voglio."
Aoko si riferiva a due cose: non voleva, intanto, che la sincronizzazione cessasse - aveva paura, troppa paura di soffrire -; e poi, non voleva separarsi da quella pietra.
Johanne le aveva espresso la sua meraviglia - "Che botta di culo!" - per aver trovato il proprio cristallo così presto, pressoché senza fatica. Peccato, si era detta, non mi sarebbe dispiaciuto continuare a divertirmi con gli sbirri. E ovviamente, Aoko aveva intercettato la sua corrente di pensiero e l'aveva ammonita, spiegandole istericamente che non si stavano divertendo e che era più che felice che quell'incubo fosse finito subito.
Ora, però, si rese conto che separarsi dal The Shyness of Green era davvero difficile; finalmente capiva perché per quei politici - disgustosi, aggiungeva sempre lei - fosse così difficile staccarsi dal potere. Perché lei si sentiva ed era potente. E quel potere, quel senso di completezza erano troppo difficili da abbandonare, sapendo soprattutto che in seguito ci sarebbero stati solo vuoto e dolore.
Sapeva anche di sbagliare a pensare quelle cose, ma che ci poteva fare? Non era forse umano proteggersi da un qualunque pericolo, pur avendo coscienza di essere vigliacchi, codardi, magari anche illusi di un qualcosa che si ha la certezza di avere?
E lei non voleva che quelle poche certezze che vantava vacillassero. In quel periodo, poi, la maggior parte si erano infrante contro la logica come delle bambole di porcellana contro terra.
"Dobbiamo, piccola." Sospirò, mentre sentiva i lineamenti della sua ospite contrarsi in un broncio afflitto. "Non sei la prima a dover affrontare questa situazione. Undici persone hanno dovuto rinunciare a questo potere prima di te - oddio, magari non proprio undici, però siamo lì."
Aoko fece un verso amareggiato. "E questo dovrebbe consolarmi? Io non ne posso più, Johanne..."
Johanne avvertì una morsa attanagliarle il petto; non sapeva se il dolore fosse suo o della ragazza. "Lo so." 
Probabilmente Aoko non era dell'umore giusto per farsi dare lezioni di vita, ma non le importava. Voleva che si rendesse conto di ciò che poteva e doveva fare.
"So anche che sarà difficile comprendere quello che ti sto per dire, ma col senno di poi ci ragionerai e mi darai ragione. Sappi che il male e il bene sono sempre troppo confusi per prendere una posizione precisa, soprattutto se si è emotivamente coinvolti; per questo non ti dirò che ciò che pensi è sbagliato, ma non sempre ciò che non è sbagliato è completamente giusto, e non sempre ciò che è considerato giusto è da fare." Sentendo una smorfia contrariata sul viso di Aoko, si affrettò a proseguire. "Dopotutto, tu stessa sei una ladra. Certo, non una vera e propria, ma..."
Aoko esplose in quel momento. "Non ne posso più" sibilò, ripetendo le parole di poco prima. 
Ma non fu quello a spaventare Johanne, quanto più il fatto che la sua energia era diminuita di molto - aveva interrotto la sincronizzazione -, ma che non avesse dato cenni di stanchezza. Restò in silenzio per qualche secondo, troppo sorpresa dall'improvvisa freddezza della giovane, ma poi accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettata; o meglio, se la sarebbe dovuta aspettare, ma non così presto e non in quel momento.
Un'energia sconvolgente scaturì dal corpo di Aoko, assumendo una strana sfumatura tra il rosso e il verde e illuminando la squallida palazzina e la strada sottostante, ancora con le volanti lampeggianti della polizia. Gridò, gridò, finché non finì il fiato in gola. Erano urla che volevano liberare qualcosa, ma non sapeva nemmeno lei cosa. E quando cessarono, quella stessa energia che era uscita da lei le fece fare un volo di qualche metro; sbatté sul pavimento freddo, inerme, e perse i sensi.
'No, Aoko! Merda, non doveva andare così!'

Dondolava come un pendolo, spostando il peso da un piede all'altro, nervosamente. Squadrò di sottecchi l'espressione dell'ispettore Nakamori, ma lui sembrava essere assorto nei suoi pensieri, mentre il suo sguardo era rivolto al palazzo abbandonato a una ventina di metri da loro.
"La prossima volta la prenderò, Ginzo, puoi starne certo!" Ma a quanto pareva, l'ispettore Gamano non se n'era accorto e sentiva il bisogno di dover giustificare la sua sconfitta.
Ginzo fu così strappato alle sue elucubrazioni, e simulò un sorriso per far capire che aveva recepito la sua "determinazione", anche se sapeva benissimo che era vana: Aoko era troppo agile e atletica per essere presa senza l'aiuto di armi da fuoco, e in tal caso il padre non avrebbe esitato un attimo ad impedirle di compiere un altro furto. Ad ogni modo, sembrava non essercene bisogno, perché da quanto aveva potuto vedere lo zaffiro aveva sortito nella ragazza uno strano effetto - che fosse quello zaffiro, poi, non lo sapeva. 
Keiko trattenne uno sbuffo. Non gliene fregava proprio nulla delle parole di quell'ispettore; voleva solo rivedere Aoko e accertarsi che stesse bene. Perché diavolo ci stava mettendo così tanto? La scorsa volta, a togliersi la tuta e a cambiarsi aveva perso al massimo dieci minuti, dal momento che - testuali parole - non aveva aspettato altro che infilarsi sotto le coperte e dormire.
Una luce rosso-verdognola si estese a qualche metro davanti a loro, sopra le loro teste, mentre Gamano continuava a snocciolare parole su come avesse messo alle strette la ladra Johanne durante uno dei suoi furti tanti anni fa.
La biondina sobbalzò e si guardò intorno febbrilmente, nonostante non sapesse nemmeno lei cosa cercare. Era dannatamente preoccupata per Aoko.
Cos'è successo? Perché è successo lì? Aoko sta bene?
Questi pensieri - sia di Keiko che di Ginzo - furono prontamente interrotti dall'ispettore Gamano, che urlava ai suoi sottoposti: "Andate subito a vedere cos'è accaduto! Potrebbe trattarsi di Johanne!" Aveva cominciato a correre - seppur in modo alquanto goffo - verso il palazzo anche lui.
L'ispettore Nakamori si scambiò una velocissima occhiata con Keiko, ed entrambi convennero silenziosamente. Pur di andare contro gli agenti, dovevano aiutare Aoko.

"Dobbiamo intervenire." Lo disse in tono perentorio, deciso e secco.
Snake lo guardò come se fosse folle. "Non potremmo prenderci la gemma e andarcene?" domandò ingenuamente. Un secondo dopo si ritrovò a fare un verso di dolore e disappunto, poiché l'altro gli aveva tirato uno scappellotto sulla nuca.
"Sì, così permetteremmo alla polizia di iniziare una nuova indagine, sicuramente aiutata dalla loggia. Meglio che non parli, dici solo cazzate" sibilò velenoso, mentre estraeva lentamente la rivoltella dalla fondina.  "Ora si passa alle maniere forti" mormorò, più a se stesso che non a Snake.
"E con la ragazza cosa facciamo?"
Lui spostò lo sguardo ora al corpo della giovane, a parecchi metri da loro, ora agli agenti che si ammassavano davanti all'entrata arrugginita dell'edificio. Ridusse le pupille a due fessure e sospirò. 
"La proteggiamo, ovvio."

Johanne poteva solo sentire; gli occhi di Aoko erano chiusi, e in ogni caso non sarebbe riuscita a vedere niente se non il cielo stellato. Non sapeva se rammaricarsene o meno: sentiva rumori di passi umani, di grida e di ordini, e stava in tutti i modi cercando di svegliare Aoko. E se fosse stata la polizia? No, non potevano lasciarsi sbattere in galera proprio dopo aver trovato il loro zaffiro.
Non ebbe il tempo di pensare altro, perché avvertì un tonfo dopo un rumore più lieve a pochi metri dalla sua ospite, e subito dopo una parola che le pervenne come "Incapace!", ma non era del tutto sicura: il frastuono delle volanti sotto di loro arrivava anche a loro forte e chiaro.
Restò interdetta. Di sicuro non erano agenti, appurò, ma allora chi erano? A questo punto non era più così sicura di voler Aoko sveglia.
"Gli sbirri sono davvero lenti."Snake sbuffò. "Io voglio fare a botte!"
Il suo compagno gli scoccò un'occhiata torva ed esasperata. "Non sai fare altro" borbottò. 
Decise che non voleva fare fuori nessuno, quella sera. E poi, quello bravo con la mira era Snake; lui se la cavava meglio con il corpo a corpo, malgrado la sua corporatura macilenta e apparentemente fragile.
Il desiderio di Snake si avverò qualche secondo dopo, proprio mentre quest'ultimo stava togliendo la sicura alla pistola.
Johanne non sapeva cosa fare. Più che altro, perché non poteva fare niente; odiava sentirsi così impotente, soprattutto se di mezzo ci andava Aoko. Se le fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato, e forse nemmeno Ginzo e Yume l'avrebbero fatto. 

I poliziotti salivano velocemente le scale: erano circa una decina, compreso l'ispettore Gamano che sciorinava ordini con voce stridula e assordante - "State sempre pronti, ci si può aspettare di tutto da una donna del genere!", "Non andate nel panico!", "Il vostro obiettivo è catturarla!", quando l'unico ad essere nel panico era lui.
Quando finalmente giunsero sul tetto, partì un colpo; non era da parte di un agente, però.
Snake aveva mirato mirato al polpaccio di una guardia presa a caso. L'uomo cadde a terra subito, ancora incredulo e sgomento davanti ai due criminali.
Poi sparò il secondo e il terzo e il quarto: ogni uomo che sbucava dall'angusto corridoio in salita veniva preso alle gambe e stramazzava sopra gli altri con un grido di dolore.
'Che stupidi', pensò il compagno di Snake. 'Sentono gli spari e le grida e si ostinano ad arrivare qui completamente scoperti.' Per una volta, comunque, era grato a Snake, poiché quella sera era proprio di malumore e non gli andava di iniziare alcuna colluttazione con nessuno; se l'avesse fatto, probabilmente il suo avversario avrebbe avuto vita breve.
Il quinto agente non sopraggiunse - non subito, almeno. Restò dietro la porta di ferro arrugginito e prese la mira quanto più decentemente possibile alle ginocchia di Snake, facendo cenno ai colleghi di stare zitti e di rimanere indietro.
Il socio di Snake lo vide: era in una posizione più angolata del tetto, perciò notò il la pistola e le braccia leggermente tese, e non esitò un attimo. Sospirò appena; poi alzò il braccio e aprì il palmo della mano. Un'energia dalla luce verde petrolio - quasi nera - uscì e andò a scagliarsi contro lo stomaco del povero poliziotto, facendolo sbattere contro il muro e accasciare a terra.
Snake lo osservò confuso, poi comprese. "Cielo, non pensavo saresti arrivato a tanto, Crocodile."
Crocodile scrollò le spalle con nonchalance. "Ah, quel tipo stava mirando alle tue gambe. Se non ci fossi stato io, ora saresti carne da macello."
Snake schioccò la lingua, ma non aggiunse altro.
Nel frattempo, gli agenti osservavano sbalorditi e inorriditi quella scena; ora avevano seriamente paura. Ad ogni modo, l'ispettore Gamano non volle sentire ragioni ed incalzò tutti ad uscire; ciononostante, l'ansia gli faceva sudare le mani e la fronte calva, e lui stesso aveva la paura che gli faceva tremare le gambe.
Gli altri tre uomini e l'ispettore sopravvennero quasi nello stesso momento - per quanto il passaggio lo permettesse -, ma i primi due furono subito colpiti da Snake, seppur non in punti fatali, e si accasciarono sul cemento immondo. Il terzo sfuggì di poco a un ennesimo proiettile, mentre Gamano sparò per primo, cogliendo Snake di sorpresa e perforandogli la parte superiore della spalla sinistra. Nel frattempo, Crocodile aveva atterrato l'agente ancora illeso - il poveretto, preso dall'ansia, gli era inconsciamente andato incontro - con un calcio alla mascella.
"Brutto bastardo..." soffiò, diventando rosso di rabbia; apparentemente, era più concentrato su Gamano che non sul suo dolore. "Io ti ammazzo!" E così fece: dalla sua fidata revolver Smith & Wesson uscì subito una pallottola, diretta alla testa dell'ispettore; gliene importava poco se il lavoro non sarebbe stato pulito, o se il cervello sarebbe saltato fuori: lui era orgoglioso e vendicativo, e non aveva intenzione di farsi mettere i piedi in testa.
Se non fosse stato per un unico inconveniente. Crocodile, infatti, non voleva lasciare più tracce di quanto ne avessero già fatte, né voleva avere nemica la polizia giudiziaria. Già ci pensavano gli agenti della polizia segreta giapponese a star loro dietro, a causa di tutti gli spacci d'armi e droga e assassinii vari. 
Dalla sua mano scaturì ancora una volta la strana energia verde scuro, e andò a deviare la traiettoria del proiettile. Lanciò un'occhiata più che bieca a Snake, e se lo sguardo avesse potuto uccidere, lui sarebbe stato già carbonizzato. "Provaci ancora e il tuo cuoricino smetterà di battere all'istante." Anche il suo tono era graffiante e freddo, e Snake non aveva dubbi che l'avrebbe fatto sul serio, se necessario. La prospettiva non lo allettava per nulla.
Il battito cardiaco di Koichiro, con ogni probabilità, era raddoppiato. Sto morendo, sto morendo, sto morendo... Era sicuramente un attacco di panico. Prese freneticamente il walkie-talkie dalla sua cintura e si sintonizzò immediatamente alla base. "Shinjuku, 7-36-80! Servono rinforzi, venite arm..." 
Non fece, però, in tempo a concludere la frase: Snake aveva velocemente ricaricato il tamburo dell'arma (aveva esaurito tutti i colpi, dopo quella strage) e, presa la mira, aveva fatto esplodere il dispositivo con un solo colpo. 
Gamano lasciò subito la presa sull'oggetto, ormai a fuoco, e lo fissò terrorizzato e sconvolto.
"E no, tesoro, ora ti stai allargando troppo. Mi spiace - oddio, mica tanto -, ma ti devo mettere fuori combattimento." 
Il più magro e alto dei due - Crocodile - tese di nuovo la mano, ma l'ispettore previde la sua mossa e cercò di scappare a sinistra, sparando una seconda volta: stavolta il proiettile andò a sbattere contro la ringhiera pericolante del solaio, producendo un assordante e fastidioso clangore metallico e facendo cadere un pezzo di ferro ossidato in strada. Nessuno dei tre sperò che non ferisse qualcuno passante di lì.
Crocodile spostò la direzione della sua mano, ma la sua destinazione era piuttosto lontana - circa cinque metri - da Koichiro, così lui continuò stupidamente a correre in una linea immaginaria somigliante ad un iperbole. Dopo appena due secondi, liberò una seconda sferza di forza, che colpì l'ispettore allo stomaco e lo vece volare contro il parapetto, che si piegò pericolosamente sotto il suo peso, ma che per fortuna non lo fece cadere. 
Snake ghignò.  "E i piedipiatti sono andati!" Mosse un pugno avanti come un ragazzino che ha appena vinto una scommessa. Si volse verso il compagno e  lo osservò interrogativo. "Ora prendiamo la pietra, vero?"
Crocodile sospirò per l'ennesima volta, snervato, e si passò la mano sinistra - d'altronde, non si poteva fidare di quella destra dopo averla usata - tra i capelli corti e corvini. "Sei proprio imbecille." La fece ricadere lungo il fianco e il suo sguardo lo trafisse, gelido. "Ti ho detto che non possiamo. Secondo te, la loggia non s'insospettirebbe se gliela portassi io, anziché la figlia di Nakamori?"
Snake parve provare a ponderarci un attimo, poi si rassegnò e scrollò le spalle con fare indifferente. "Quindi abbiamo finito?"
L'altro non rispose. Prese il suo arpione e lo lanciò sul soffitto del palazzo su cui si trovavano solo pochi minuti fa, poi disse: "Andiamo. Suo padre sta per arrivare", con inflessione piatta e secca.
Il criminale sbuffò, ripose la rivoltella nella fondina e ripeté le azioni del suo partner.
Johanne aveva sentito tutto.

Ginzo e Keiko avevano udito degli spari provenire dai piani superiori: l'uomo ci aveva pensato un attimo, ma poi si era detto che sarebbe stato meglio non coinvolgere anche l'amica di sua figlia, perciò avevano deciso di nascondersi nel cortile polveroso della palazzina e di aspettare il termine della strana sparatoria.
Appena passato un minuto dall'ultimo colpo, infatti, i due si precipitarono sul tetto e rimasero basiti alla vista di tutti quei corpi e sangue sparsi.
A Keiko salì un conato di vomito, ma tentò di controllarsi.
L'ispettore Nakamori scrutò l'area con sguardo raccapricciato e con la pelle d'oca, finché non trovò il corpo della figlia accasciato a terra. Non ci pensò due volte: corse verso di lei e cadde in ginocchio, subito seguito da Keiko. Constatò che non era ferita - non superficialmente, almeno. Rilasciò un sospiro di sollievo. Vide anche la gemma stretta in un palmo e gliela sfilò dolcemente, ponendola nella tasca interna della sua giacca marrone.
Soppesò due opzioni: chiamare altre agenti delle forze dell'ordine e l'ambulanza, ma immaginò che già qualcuno di sotto avesse provveduto; poi, andarsene con Aoko senza lasciare alcuna testimonianza del loro passaggio. Era cosciente dello sbaglio - sia morale sia giuridico - che avrebbe compiuto, facendo finta di niente, al tempo stesso, però, non poteva di certo lasciare che la sicurezza vedesse Aoko in quelle vesti.
"Keiko, aiutami" disse solo, con voce strozzata. Era stanco. Perché quella stupida setta doveva costringere i viaggiatori a rubare la propria gemma? Siccome erano tanto potenti, non era possibile approfittare della propria posizione sociale? Ginzo preferì non pensarci più.
La ragazza annuì, con le lacrime agli occhi. "Non dobbiamo metterle i vestiti?"
"Non possiamo perdere tempo." Ginzo sollevò la propria figlia e la prese tra le braccia. "La macchina è dietro il cortile, e saranno tutti concentrati davanti all'altro palazzo: noi abbiamo strada libera. La dovrai vestire in macchina."
Keiko annuì nuovamente, corse nel magazzino pieno di cianfrusaglie e pullulante di ragnatele e polvere, afferrò rapidamente il borsone di Aoko e cominciò a scendere le scale, seguita dall'ispettore. 

 

 

*Setta dell'autrice quasi-estinta*
*fischietta* Salve, gente! Tutto bene, vero? Mica sto aggiornando dopo mesi e mesi, eh, assolutamente!
...
Vi prego di perdonarmi! D: Non ho avuto per niente l'ispirazione per questa storia, anche perché ho abbandonato un po' il fandom di Detective Conan (e tra l'altro ho visto che sta andando un po' in "rovina" :c), quindi non ho più la voglia che avevo prima. Comunque, ho intenzione di finire questa long: ci sono molto affezionata, e poi è la mia prima long, quindi... Be', non posso lasciarla incompiuta.
Per farmi perdonare, ho portato un capitolo bello lungo e corposo (anche se il titolo fa schifo)! E' vero, non si scopre praticamente niente - anzi, forse la storia si riempie ancor di più di misteri -, ma ci sono un bel po' di cose interessanti... Intanto, il dialogo tra Soichiro e Kibisu; non so se avete capito, ma dopotutto non è così difficile. Spero, poi, di aver reso bene le emozioni di Aoko prima, durante e dopo il furto... Quella povera disgraziata ragazza ne sta passando di tutti i colori, per non parlare di Johanne - forse è tra i personaggi più sfigati, la nostra cara nonnetta secolare. :'D E Crocodile, poi, quest'altro mio OC, che probabilmente è quello che sta messo peggio... Insomma, mi piace trattarli bene, i miei personaggi. xD A proposito di Crocodile: avete qualche supposizione o domanda? Mi fa sempre piacere ricevere vostri pareri!
Ah, e scusatemi se il momento con più azione vi sembra un po' ripetitivo, ma faccio pena con queste scene (ci sarebbe da chiedersi perché ho iniziato una long anche d'azione)! All'inizio avevo intenzione anche di inserire il momento del mattino seguente, ma penso che già il capitolo sia lungo e pesantuccio così, perciò ho preferito evitare.
Ah, lo stile potrà sembrarvi diverso dalla seconda metà del capitolo in poi... Questo perché non ho continuato la storia per mesi e mesi, e la mia scrittura si è evoluta; in realtà ne sono molto felice, perché rileggendo i lavori che scrivevo prima mi salgono conati di vomito alla Keiko. xD Comunque, spero che vi sia piaciuto, e che possiate continuare a seguire la storia nonostante gli aggiornamenti piuttosto rari (ops xD)! Ci vediamo alla prossima (presto, spero). :3

Edit 30/06/2017: Ragazzi! E' da un po' che mi potete trovare anche su twitter, e, a parte i puntuali scleri su Haikyuu!! e Boku no Hero Academia, potete trovare anche anteprime sui prossimi capitoli. <3 Perciò, se siete interessati (ma chi voglio prendere in giro?), trovate qualcosina lì! ;3

Baci
Shizuha

P.S. Non ho riletto il capitolo, quindi è possibile che troviate errori! D:

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