Broken Wings

di giamma21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La festa ***
Capitolo 2: *** Lunedì ***
Capitolo 3: *** Senza via di fuga ***
Capitolo 4: *** Il risveglio ***
Capitolo 5: *** Non lo sai ***
Capitolo 6: *** La mia luce ***
Capitolo 7: *** Quella notte ***
Capitolo 8: *** La lettera ***
Capitolo 9: *** Dolore ***
Capitolo 10: *** I ricordi di Vanessa ***
Capitolo 11: *** La scelta migliore ***
Capitolo 12: *** Ci troveremo sempre ***



Capitolo 1
*** La festa ***


La musica house usciva dagli amplificatori facendo vibrare ogni parete della casa attraverso i bassi.
I ragazzi ballavano stretti tra di loro, sudati, consapevoli che probabilmente non sarebbero tornati dai genitori camminando dritti.
Vanessa Burges, di 18 anni, aveva pensato che sarebbe stata una buona idea chiedere al proprio ragazzo di invitare qualcuno per stare in compagnia, ma non si aspettava di certo un’invasione di ormoni e alcool nella sua piacevole abitazione di campagna. I suoi genitori sarebbero stati fuori per tutto il weekend, ed era Venerdì sera, quindi avrebbe avuto tempo in abbondanza per risistemare tutto.
Mentre nei vari spazi della casa si consumavano sfide di ballo e giochi con alcolici, al piano superiore stava avvenendo un incontro piuttosto strano.
Logan Roberts e Trevor Davis, di rispettivamente 17 e 19 anni, si erano ritrovati per caso a chiacchierare del più e del meno.
“Per caso” significava “bloccati nella stessa stanza a causa della porta chiusa a chiave”.
Logan, “segretamente” gay, aveva una cotta per Trevor sin dai tempi delle medie. I due erano piuttosto differenti caratterialmente. Il primo era timido e riservato, mentre l’altro era estroverso e amichevole con tutti.
Non a caso era uno dei ragazzi più popolari della scuola!
Quanto all’aspetto fisico, Logan era minuto e di statura media, mentre Trevor era alto e in forma (era solito andare in palestra nel tempo libero).
Da un punto di vista esterno sarebbe sembrata una scena da film romantico di serie B, ma Trevor non era gay... quindi niente scene di sesso (purtroppo).
-Allora, come va l’ultimo anno?- chiese Logan, stringendosi la manica della felpa tra le dita della mano. Il ragazzo era seduto sul bordo di un letto singolo. Forse erano nella camera di Vanessa.
-Ehm, domanda di riserva?- rispose Trevor con un sorriso nervoso. Lui era appoggiato alla scrivania di fronte al letto, e teneva le mani nelle tasche dei jeans stretti. 
-Come va in generale?- replicò dunque Logan.
-Non lo so, faccio un po’ fatica a coordinare scuola, tempo libero e il lavoro alla discoteca, ma penso di stare bene- disse Trevor, spostandosi dalla scrivania al letto, accanto all’altro, -Tu invece cosa mi racconti?- chiese guardando Logan.
-Io... sarei dovuto restare a casa, a leggere un libro. A fare qualcosa di più sensato- rispose lui, fissando un punto distante nella camera, lontano dagli occhi dell’altro.
-Tu, non sei molto un tipo da feste, vero?-.
-Da cosa lo hai dedotto?- Logan sorrise, dando per scontata la risposta.
-Diverse cose. A scuola, ad esempio, durante la pausa tutti escono dalla classe, ma tu resti... che sia per leggere un libro o per restare in silenzio-.
Logan restò un istante in silenzio.
-Già, non avere amici è una cosa fantastica, vero?- disse poi.
-Non credo sia questo il punto, a me sembra più che ti piaccia la tranquillità. Se volessi degli amici potresti benissimo farteli, sei un ragazzo simpatico- spiegò Trevor.
Forse aveva ragione, forse a Logan piaceva restare nel suo mondo tranquillo, o forse non ricordava più cosa significasse avere dei veri amici. D’altronde l’amicizia non era mai stata il suo campo migliore, bastava sapere quello che era successo l’anno prima...
Durante le vacanze di natale, Logan aveva provato ad andare in un locale gay fuori città insieme al suo migliore amico d’infanzia Toby.
Si era fatta notte tarda ed entrambi avevano pensato che fosse meglio tornare, ma una volta usciti dal locale furono presi di mira da un gruppo di vandali omofobi. Ci volle un mese prima che la faccia di Logan si sgonfiasse e si riassestasse del tutto, ci volle un mese perché si risvegliasse dal coma.
Una volta lucido, scoprì che la famiglia di Toby si era trasferita, lontana centinaia di chilometri da lui.
Della serie: attento, il mondo ti sta crollando addosso.
-E se non volessi avere degli amici?- chiese Logan, rivolgendosi a Trevor con un tono di voce serio, -Forse non voglio sopportare l’idea di poter perdere una persona a cui tengo-.
-Hai ragione, scusa... era solo un consiglio spensierato- Trevor si sentì in leggero imbarazzo.
Logan prese un respiro profondo.
-Scusa, Trevor, è che divento scontroso a volte. Non volevo risponderti male, tu sei gentile con me. Non come gli altri. Loro mi guardano e pensano: “quel deviato di Roberts mi è passato davanti, ora diventerò un frocio come lui”-.
-Sai, le persone possono pure fare schifo. Ma non devi ascoltare le stronzate che dicono. Chi prende in giro deve mettere in imbarazzo gli altri per non mostrare le proprie debolezze. Tutti siamo stati presi in giro, persino io, ma è come rispondiamo alle prese in giro che definisce tutto. Mostra quanto siamo disposti a lottare per noi stessi, e anche per gli altri, a volte...- spiegò Trevor, guardando il tappeto nero sul bianco pavimento marmoreo.
Logan rimase in silenzio, di nuovo. Non si aspettava un tale livello di profondità dal ragazzo, forse perché lo giudicava uno senza cervello per via del suo bel faccino. Lo aveva stereotipato.
Gli passò per la testa l’idea di toccarlo con una mano, per dimostrargli solidarietà, ma pensò che forse sarebbe stato un gesto troppo gay.
Fu Trevor, improvvisamente, a stringergli la mano.
-Tutto migliora, in un modo o nell’altro-.
La porta della camera si aprì, sbattendo contro il muro.
La mano del ragazzo si allontanò dall’altro.
Era appena entrata Vanessa, probabilmente ubriaca.
-Ragazzi, mi dispiace, qualcuno deve avervi chiusi dentro per sbaglio. Avete avuto paura?- chiese girovagando per la stanza, controllando il letto e le lenzuola in modo ambiguo.
Trevor si alzò ad accompagnarla di fuori.
-Ti sembra che un ragazzo tosto come me si spaventi così facilmente?- commentò con un tono di voce fiero.
Logan trattenne una piccola risata.
-Guarda che ti ho sentito- disse Trevor, ridacchiando, prima di uscire dalla camera.
Questa volta Logan sorrise, e si passò una mano tra i mossi capelli biondi.
Pensò a quanto fosse stato rilassante chiacchierare con il suo compagno di scuola, poi si rese conto che probabilmente non si sarebbero più rivolti parola. Magari nei corridoi, o prima dell’ora di Scrittura Creativa uno di loro avrebbe sorriso all’altro... o magari no.
D’altronde era così che funzionava: i popolari con i popolari, i solitari soli.
La porta della stanza scricchiolò, e Logan si voltò non appena se ne accorse.
Era di nuovo Vanessa, che questa volta sembrava più lucida di qualche minuto prima. Lei era una ragazza davvero carina; indossava sempre vestiti che mettevano in risalto la chiarezza della sua pelle e i suoi occhi verdi. Quella sera, i suoi lunghi capelli neri erano stati piastrati in occasione della “festa che non si aspettava”.
-Come stai?- chiese al ragazzo.
-Bene, anche se questa festa comincia a farmi sentire fuori luogo-.
-Tutto ciò che include il dover socializzare ti fa sentire così. E pensare che tempo fa eri sempre tu ad animare la festa...- disse Vanessa, avvicinandosi a Logan.
-Cadere al compleanno di qualcuno che mi odia, seguito dalle risate di tutti, lo chiami animare la festa?-.
-I punti di vista sono discordanti, evidentemente- replicò la ragazza ridacchiando, -Però ci eravamo divertiti. La prima festa “importante” delle superiori, che alla fine è stata uno schifo-.
-Perché ci hanno cacciati?-.
Entrambi risero, poi Logan sbuffò.
-Ora sei tu che organizzi le feste importanti, guarda come cambiano le cose-.
Vanessa si schiarì la gola. Capì subito dove voleva andare a parare l’altro.
-Non dimenticarti che Toby era anche il “mio” migliore amico. Mentre tu eri in coma io ho conosciuto una persona che mi ha aiutata a non chiudermi in me stessa... perché quello è stato il mese, anzi, l’anno più brutto della mia vita. E mi rendo conto di non esserci stata come avrei dovuto, dopo-.
Il ragazzo si alzò.
-Hai ragione, Vanessa, perché non ci sei stata per niente. Mi hai lasciato in mano ai miei genitori e in mano ai miei fottuti pensieri. Quindi scusa se non mi sto divertendo, scusa se non ti sono grato per esserti ricordata di invitarmi!-.
Ci fu un lungo e dilaniante silenzio.
La ragazza si alzò sistemandosi il vestito, mentre Logan uscì in corridoio. C’erano poche persone, che non avevano fortunatamente sentito la discussione.
-So che ti è sempre piaciuto, e io ho sempre dubitato della sua sessualità- disse Vanessa, maneggiando la chiave della sua camera.
-Di chi stai parlando?- chiese Logan, confuso.
-Di Trevor. Ho chiuso io la porta. Spero di aver movimentato la tua serata.
Logan sbuffò.
-Dovevo sospettarlo... comunque non penso sia gay, è solo un bravo ragazzo- disse, riprendendo il controllo del suo umore altalenante.
-E’ meglio che vada ora- aggiunse, salutando Vanessa.
Mentre il ragazzo andava a prendere la sua bicicletta, si chiedeva perché avesse deciso di andare alla festa, se in fin dei conti non aveva nemmeno voglia di vedere la sua ex-amica. Forse sperava di chiarirci, di sicuro non si aspettava nessuna discussione o litigio.
Una volta in sella, diretto verso casa sua, Logan si sentì più tranquillo.
Non gli piacevano le feste, non gli erano mai piaciute.
Lungo la strada che conduceva a casa Burges era parcheggiata la macchina di Trevor; appoggiata ad essa c’erano lui e una ragazza che gli stava facendo un succhiotto nel collo.
Logan li vide e provò una sensazione di sconforto, ma d’altronde non poteva farci niente se il destino aveva deciso così.
Lui era gay, e Trevor era etero. In altre circostanze si sarebbe rassegnato, ma questa volta il ragazzo si ritrovò combattuto.
Da un lato sapeva che l’avrebbe dovuto lasciare stare.
Dall’altro, per la prima volta dopo molto tempo, sentiva di voler fare una stupidaggine.

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Capitolo 2
*** Lunedì ***


Le dita del ragazzo accarezzavano l’addome di Logan.
Sfioravano delicatamente ogni zona del suo corpo, mentre le labbra venivano a contatto con il suo morbido collo. La lingua compiva piccoli giri sulla pelle.
Trevor stringeva Logan contro di lui, contro i suoi boxer stretti attraverso i quali cercava di liberarsi un’imponente erezione.
WOAH. HEY. NO. CALMATI.
Logan… stai sognando.
Il ragazzo si girò dall’altro lato del letto. Aveva bisogno di freschezza.
Sotto i pantaloni del pigiama, era… (come dire?) duro, e si strusciava contro il materasso. Il sedere sodo del ragazzo si muoveva con colpi delicati verso la pancia.
Okay, fai pure, ma sappi che è quasi ora di svegliarti.
-Trevor…- sussurrò all’orecchio del ragazzo, stringendo tra le mani il suo...
 
Lunedì. Il giorno odiato probabilmente da tutti.
Logan si alzò a fatica dal letto una volta che la sveglia del telefono prese a suonare.
Si sentiva un po’ scosso dal sogno, che ricordava nei minimi dettagli.
L’erezione era ancora abbastanza evidente, quindi andò in bagno a terminare il lavoro. Adolescenti…
Erano le 7, e i raggi del sole illuminavano dolcemente la stanza del ragazzo, filtrando dalle finestre. I poster di cantanti e film appesi alle pareti, tuttavia, erano ancora poco illuminati.
Logan non aveva voglia di vestirsi, né tantomeno di andare a scuola per un’altra settimana di prese in giro, ma doveva farlo.
-Sei in piedi?- chiese Laura, sua madre, bussando alla porta.
Lui mugugnò un suono in risposta alla domanda della donna, che scese al piano inferiore senza repliche.
La madre di Logan lavorava come agente immobiliare della zona, e il fatto che coinvolse suo figlio l’anno precedente fece parlare molto della sua famiglia “particolare”. Fu dura per tutti riprendersi da quell’evento, e soprattutto dalla dipartita improvvisa di Toby, ma bisognava andare avanti.
Scendendo in cucina, circolava nell’aria il dolce odore di pancakes appena preparati, che erano già pronti in un grazioso piatto giallo sul tavolo in legno marrone.
-Dormito bene?- chiese Laura, finendo di pulire alcuni piatti che aveva lasciato nel lavandino la sera prima.
-Hm, come tutte le sere. Non ho fatto tardi ieri-.
E in effetti oltre alla festa di Venerdì, Logan non era più uscito.
Aveva passato due giorni a pensare alla conversazione con Trevor, alla discussione con Vanessa, a quella scena nel parcheggio di casa Burges (tra Trevor e chiunque fosse la ragazza che lo stava baciando).
Pensò che se fosse uscito di più negli ultimi mesi, probabilmente avrebbe vissuto anche eventi più bizzarri; d’altronde era bastata una sera fuori per aprirgli gli occhi sulla vita che non stava vivendo a pieno. Poi si aggiunse quel sogno…
-Vuoi un passaggio a scuola?- chiese Laura, prendendo chiavi e borsa dalla sedia del tavolo.
-No, vado a piedi, tanto sono in anticipo…- rispose Logan, scuotendo la testa.
La scuola superiore di Stanton era a 10 minuti di camminata da casa sua (durante la quale poteva ammirare la gioventù prepararsi per le lezioni).
Non ti era mai successo prima d’ora di sognare in quel modo.
Già… mai.
Arrivato a scuola, Logan andò al suo armadietto per prendere i libri della prima ora.
Cominciavano già ad arrivare gli altri studenti, alcuni con un’espressione infelice sul volto, altri allegri o carichi di caffè. A Logan non piaceva il caffè, era amaro e gli dava la nausea anche solo sentirne l’odore. Toby invece ne prendeva sempre una tazzina, prima di andare in classe. Dio, gli era impossibile vivere qualcosa senza collegarla immediatamente al migliore amico. Un’adolescenza passata a costruirsi un passato e a formare un futuro, e poi boom: tutto esplode.
Si era cancellato dai social network, e conoscendo la sua famiglia conservatrice come minimo aveva anche cambiato nome.
Tutto questo, perché gli piacevano i ragazzi.
Il mondo stava veramente andando a puttane.
-Scoop della giornata: Trevor potrebbe non essere gay, o potrebbe comunque esserlo- disse Vanessa, appoggiandosi all’armadietto di Logan. Lui non si aspettava di vederla, o che gli andasse a parlare, ma non aveva voglia di stare da solo anche quella mattina.
-Fammi indovinare: ha a che fare con Venerdì e con del sesso campagnolo?- chiese lui.
-Potresti avere ragione. Ma… con Olivia Collins, sul serio? Quella se la fanno persino i morti, cristo. Pensavo avesse gusti migliori-.
-Ah, era la Collins. Non l’avevo riconosciuta…-.
-In che senso? Non dirmi che già lo sapevi!-.
Logan spostò l’amica per prendere il libro di Filosofia.
-Li ho visti mentre tornavo a casa, e non è stata di certo una visione eterea, non so se mi spiego…-.
-Uh, orrore, posso solo immaginare. Quindi non ti interessa più, Trevor?-.
Logan sbuffò.
-Non mi interessava in partenza- GAY –E poi non lo sai che gli etero bisogna lasciarli in pace?- SUPER GAY.
Ripensandoci, nessuno era così gay quanto Logan in quella scuola, e in più era bugiardo, perché negava i suoi sentimenti reali verso il ragazzo che aveva sognato qualche ora prima. Era interessato.
-Sì, beh, hai ragione. Ma non venirmi a dire che non ti interessa, perché quando sono entrata in camera, l’altra sera, eri tutto nervoso e imbarazzato!- aggiunse Vanessa, ridacchiando.
-Forse perché è un figo e io ero bloccato in camera con lui? E’ tipo il sogno di ogni diciassettenne gay con un minimo di cervello, V-.
V, il soprannome che aveva dato alla ragazza quando ancora erano amici stretti.
-Era da molto che non sentivo quella lettera- disse lei, pensierosa.
Lui le diede un colpetto sulla spalla.
Il suono della campanella interruppe il momento sentimentale.
-Ci vediamo- disse Logan, chiudendo l’armadietto.
Vanessa gli sorrise, poi andò nella direzione opposta dell’amico.
L’aula di Filosofia era vicina, e il professore non era ancora arrivato, perciò Logan si sedette al suo solito posto, vicino alla finestra.
Non aveva ancora visto Trevor, ma in realtà non ci aveva neanche fatto particolarmente caso. Aveva avuto poco tempo per mettersi a cercarlo nei corridoi, e comunque sarebbe stato inopportuno.
-Ragazzi, oggi non c’è il professore e non c’è nessuno a sostituirlo. Mi raccomando, non comportatevi come delle scimmie, studiate, o fate cose da studenti…- disse la bidella. Marnie, una donna di mezz’età che lavorava a scuola da prima che Logan nascesse, era sempre stata amica degli studenti. Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto dal vecchio dirigente.
Non appena diede l’annuncio, i ragazzi si spostarono vicino ai loro amici. Tutti tranne Logan, ovviamente, che si alzò per andare in bagno (anche se in realtà voleva fare una passeggiata).
Marnie, seduta alla sua postazione di guardia, diede un’occhiata investigativa al ragazzo.
-Bagno- disse lui, sorridendole.
La donna continuò a sorvegliare, soddisfatta dalla risposta.
Mentre camminava tra i corridoi, Logan passò sul serio per il bagno, ma non si fermò. Voleva prendere solo una boccata d’aria, anche se quella che si respirava nella scuola non era proprio gradevole.
Quante volte aveva percorso quegli spazi con Toby… ora erano solo corridoi vuoti. Non c’era nessuno a renderli speciali o importanti. Anche loro erano soli.
La porta del bagno sbatté alle spalle di Logan.
Quando si voltò, vide a grande sorpresa Trevor, che si accorse allo stesso modo dell’altro.
Si guardarono per qualche istante, poi l’altro se ne andò, lasciando Logan interdetto.
Ok, di certo non si aspettava un abbraccio o un caloroso abbraccio, ma almeno “un saluto” sì! Lo sapeva che non doveva farsi storie nella testa, non ne valeva la pena. Era solo un ragazzo come tanti, senza cervello, innamorato di sé stesso.
Come aveva potuto cascarci anche solo per due giorni?
Tornò in classe deluso.
Prima regola da rispettare quando ti piace qualcuno: non farti false speranze, non farti viaggi mentali, perché nel 90% dei casi rimarrai fregato.  
Il resto della mattinata passò in fretta, e lui cercò di non pensare a quello che era successo. Non voleva farlo.
Quando fu ora di tornare a casa, alle due del pomeriggio, Logan prese le sue cose e uscì a testa bassa dalla scuola.
E fu mentre si allontanava a piedi che si sentì strattonare il braccio.
Era Trevor, e aveva qualcosa da dirgli.

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Capitolo 3
*** Senza via di fuga ***


Trevor era fisicamente molto più grande rispetto a Logan, e questo risultava ancora più evidente ora che i due erano uno di fronte l’altro.
Lo strattone aveva scosso Logan, che si era ritratto leggermente turbato.
-Scusa, non volevo spaventarti così- esordì Trevor, portando avanti una mano. Fece un sorriso rassicurante.
-No, è che non sono abituato a eventi così emozionanti, non è colpa tua. Quando succede qualcosa di inaspettato reagisco sempre d’istinto, sono un po’ psicopatico- spiegò Logan, ridacchiando nervosamente. Trevor gli fece compagnia nella risata per circa mezzo secondo, prima di tornare serio.
-Senti, posso parlarti in privato?- domandò poi, incrociando le braccia e lanciando qualche occhiata nei dintorni.
Logan deglutì, improvvisamente sentendosi fuori posto; stava davvero succedendo? Lui e Trevor non si erano mai scambiati una parola e ora dal nulla parlavano “in privato”?
Se non altro, la festa a casa di Vanessa aveva portato a risvolti curiosi.
-Certo, tanto non è che abbia di meglio da fare- rispose Logan, lasciando per una volta dopo molto tempo i compiti nello zaino.
I due cominciarono a passeggiare, allontanandosi dalla scuola, proseguendo verso il parco. Nel frattempo, le parole scambiate erano davvero poche, probabilmente a causa dell’imprevedibilità di quella situazione. Il clima andava sempre più tranquillizzandosi, con la natura del parco comunale che acquistava terreno e la città in lontananza.
-Hai idea di dove stiamo andando, vero?- chiese inquisitoriamente Logan, rendendosi conto che non si sarebbero fermati neanche al parco.
Trevor sghignazzò, rispondendogli: -Tranquillo, non ho intenzione di portarti in un angolo tetro per ucciderti-.
Logan emise un respiro di sollievo.
Salendo su due collinette inoltrate nella radura, il ragazzo si rese conto del motivo dietro alla segretezza. La vista sul campo di girasoli era grandiosa, e lui non aveva mai saputo che per godersela bastavano quattro passi.
-Com’è possibile? Vengo qui da una vita, e non ho mai visto questo spettacolo!- commentò interdetto Logan.
-E’ così solo in questo periodo dell’anno, si avvicina l’estate e i girasoli fioriscono. Io l’ho sempre trovato fantastico- spiegò Trevor, sedendosi a gambe incrociate sull’erba. Logan lo seguì, sistemandosi al suo fianco, a debita distanza.
-Posso chiederti una cosa?- cominciò poi.
Trevor lo guardò nervosamente, interrompendolo.
-Non c’è bisogno, posso spiegarti io perché ti ho rapito mentre tornavi a casa. Ti sembrerà strano e probabilmente uno scherzo, ma non è così-.
Logan aggrottò le sopracciglia, a metà tra la confusione e la curiosità.
-Il fatto è che… dall’altra sera continuo a pensare alla nostra conversazione. Penso a quanto mi sia sentito sereno nel parlare così apertamente con una persona. E non posso dire che succede spesso che provi queste cose nei confronti di qualcuno-.
-E quel qualcuno sarei io?- Logan era stupito dalle parole del ragazzo, e voleva sapere improvvisamente il seguito di quella dichiarazione.
-Credevo fosse sottinteso- ridacchiò nervosamente Trevor, grattandosi la base del capo con una mano.
-Se ti sei sentito così, perché non mi hai fermato per parlarne subito al posto di andarti a imboscare con Olivia Collins?- ribatté Logan, seccato dal ricordo di quei baci viscidi.
-Andiamo Logan, tu più di tutti dovresti sapere cosa significa nascondersi per paura di essere giudicati dagli altri. Almeno io sto tirando fuori le palle per parlarne con te- sbuffò Trevor.
In effetti aveva ragione nel dire che Logan aveva familiarità con le chiacchiere alle spalle; sin da quando aveva superato le violenze al club sentiva il suo nome sulla bocca di tutti i coetanei e persino dei docenti. Chi si finge disinteressato fa presto a diventare la prima persona a conoscenza dei fatti, quando le cose si fanno movimentate, come era accaduto a Stanton quel natale. Ma Logan era giunto, forse grazie all’aiuto della madre, alla conclusione che ad un certo punto le parole si accumulano e basta, senza occupare altro spazio nel pavimento del cervello. Sai che sono lì, ma riesci a tenerle in equilibrio finché poi non cadono e scatenano di nuovo la paranoia.
Quindi sì, Logan capiva Trevor, ma in quel momento era solo concentrato sulle braccia muscolose del ragazzo e sulle sue perfette labbra carnose.
-Scusa, hai ragione. So come ti senti, ma sono qui per ascoltarti- disse dandogli una pacca sulla spalla.
Una pacca sulla spalla? Potevi accarezzargli la mano, cretino. Beh forse sarebbe stato un po’ troppo gay. Sei comunque fuori luogo.
-Non ho mai pensato di essere così interessato ai ragazzi, e ad essere onesto non è che lo pensi anche ora. Mi interessi solo tu, e il pensiero di stringerti mi sta uccidendo da quella sera. Sembrano capricci ma fidati, non smetto di pensare a te-.
Wow. Quante informazioni da processare in così poco tempo.
Logan stava per andare in sovraccarico, incerto su cosa dire dopo quella rivelazione.
Fece per riprendere fiato, quando Trevor gli si avvicinò con la bocca, baciandolo passionalmente. Tutte le attività in funzione nel corpo del ragazzo sembrarono cessare momentaneamente per fornire energia a quel bacio. Era come addormentarsi dopo aver disperatamente cercato il sonno, una sensazione che almeno tutti dovrebbero vivere nella vita. Loro la stavano vivendo in quel momento, carezzati dalla luce di un’imminente temporale, che gettava il vento nella direzione di Stanton.
-Forse dovremmo andare via da qui- suggerì Trevor, distaccandosi leggermente dal volto di Logan, che annui guardandolo negli occhi. Aveva momentaneamente perso la capacità di parlare, ma chi poteva biasimarlo?
Dopo che lo aveva gettato a terra, la vita gli stava dando una nuova occasione per avventurarsi in quello di positivo che ancora aveva da offrirgli, ma per il momento anche solo dare un’occhiata a ciò che l’attendeva era sufficiente. Nonostante ciò, forse le aspettative stavano aumentando troppo in fretta? Cosa poteva nascondersi dietro questa inaspettata “fuga” romantica? Forse i problemi che l’avrebbero seguita, i fatidici giudizi, un cambiamento da parte di Trevor. Era avvenuto tutto troppo velocemente, e vivere nella speranza di rivivere quell’attimo non sarebbe stato onesto.
Fu così che Logan riacquistò un po’ di razionalità.
-Sì, hai ragione. Dovremmo andare, ma per due strade diverse, almeno per qualche giorno. Ho bisogno di elaborare la cosa Trevor. Ne hai bisogno sicuramente anche tu, perché così è sbagliato, anche da parte mia. Ti prego, capiscimi- disse, desolato e affranto, rialzandosi. Trevor restò seduto a fissarlo.
-Non capisco di cosa stai parlando, io mi sento sicuro di quello che sto facendo ora. Quel bacio è stato reale, e voglio rifarlo. Non mi sono mai sentito così con qualcuno, te l’ho detto. Ma esplorare questa cosa non deve essere doloroso. Non lo è per me, al momento- sbottò, poi, alzandosi.
-Lo è per me, però. Forse lo capirai quando tutti ti deluderanno nella tua vita, quando non potrai mai essere sicuro di fidarti del prossimo. Io mi sento così invece, Trevor. Hai scombussolato il mio mondo, non solo il tuo!- replicò Logan, andandosene, -Ho bisogno di riflettere, scusa-.
Allontanandosi, non poté fare a meno di chiedersi se quello che stava facendo fosse giusto o sbagliato. Tutta quella preoccupazione non sarebbe stata necessaria però se fossero stati cittadini di un mondo giusto, dove non esistono pregiudizi e violenze. Forse, le parole nel cervello di Logan stavano cominciando a perdere l’equilibrio.
Il vento si faceva sempre più intenso, trascinando con sé le foglie che cadevano dagli alberi e spingendo il ragazzo a raffiche.
Non era attesa una tempesta di quell’intensità, almeno non che lui sapesse. Prese il telefono dallo zaino e notò diverse chiamate perse dalla madre. Non fece in tempo a richiamarla che il suo numero apparve nuovamente sul display.
-Mamma, scusa, sono uscito con un amico e mi sono dimenticato di dirtelo- si giustificò Logan, omettendo la parte in cui “l’amico” lo aveva baciato subito dopo avergli confessato un’improbabile infatuazione.
-Logan, torna subito a casa, al notiziario hanno diramato un’allerta meteo. Dove sei? Devo venire a prenderti?- la voce di Laura era nervosa e spaventata.
-Ma no mamma, sto per arrivare, comincio a correre- la rassicurò il figlio. Il vento, nel frattempo, diventava sempre più invasivo.
-Sbrigati, per favore-.
Chiudendo la chiamata, Logan sentì l’urgenza di voltarsi per osservare le colline un’ultima volta. Riflettendoci in seguito, forse sarebbe stato meglio se avesse continuato a camminare. Un’enorme tornado si era formato nelle vicinanze del campo dei girasoli e stava avanzando minacciosamente verso Stanton.
Il ragazzo spalancò gli occhi, sentendosi il cuore in gola e il sangue nelle vene gelido. La potenza del turbine pareva devastante, e quando raggiunse i girasoli lo dimostrò radendoli al suolo, distruggendo il ricordo che aveva di loro Logan.
La Natura che ferisce la Natura. Geniale.
Il corpo cominciò a muoversi autonomamente, non più guidato dalla volontà del ragazzo, ma dall’istinto di sopravvivenza.
Lui voleva voltarsi e correre a fermare il tornado, la tempesta, la violenza del mondo, ma buttarsi alla cieca non gli sarebbe servito a nulla. Logan raggiunse casa sua giusto in tempo per sentire la distruzione fermarsi, per vedere il tornado dissolversi nel cielo.
Era durato così poco, eppure sembrava passata un’eternità dall’inizio della corsa. Così improvviso e inspiegabile, il turbine di vento se n’era andato, lasciando spazio ad un’incessante pioggia.
Tutto d’un tratto, un dolore pervase il corpo del ragazzo, un colpo che partiva dal cuore e che si era insidiato dappertutto. Trevor.
Era ancora sulle colline quando Logan aveva ricevuto la chiamata di Laura, e non lo aveva visto corrergli incontro. Era rimasto lassù? Era caduto?
-Oh no, che cos’ho fatto?- lamentò Logan, cadendo contro la porta d’ingresso, riparato dal portico.
Aveva abbandonato Trevor alla morte? Se non si fosse fatto prendere dal panico non si sarebbero distaccati, ma era successo tutto così inaspettatamente.
La mente del ragazzo era andata in cortocircuito, e non rispondeva più alla sua volontà. Qualcuno lo raccolse da terra, stringendolo tra le proprie braccia. Mentre la testa di Logan penzolava da una parte all’altra, gli parve di riconoscere un volto famigliare.
-Toby…- disse, prima di perdere i sensi. 

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Capitolo 4
*** Il risveglio ***


Poco prima che la sua visione si offuscasse, Logan ebbe l’impressione di essere tornato al Rainbow, il locale dove era stato aggredito insieme al suo amico Toby. Le sensazioni erano le stesse: battito del cuore fuori controllo, sudore gelido, incapacità di reagire. E pensare che se i due ragazzi fossero usciti dieci minuti dopo o prima, avrebbero potuto evitare il gruppo di assalitori. Il destino aveva voluto così, però. Quella era un’amicizia non destinata a durare, e lo avevano dimostrato i taglienti colpi di quegli individui disturbati.
“Frocio”, “Succhiacazzi”, “Pigliainculo”, erano solo alcuni dei diversi e creativi soprannomi che erano stati rivolti a Toby e Logan prima di passare alle mani, e alle spranghe di legno.
Già, perché a spedire Logan in coma fu il colpo duro di un robusto bastone, che gli aveva provocato una commozione cerebrale. E per rendere le cose più sgradevoli, il dottor Stewart gli aveva spiegato come le conseguenze di quel trauma lo avrebbero accompagnato per il resto della sua vita, o quasi. Con alcuni postumi come l’ansia e i disturbi del sonno aveva imparato a conviverci, mentre con l’irritabilità intermittente non c’era niente da fare; passare da uno stato d’animo sereno ad uno di rabbia e odio improvviso era la cosa più fastidiosa del mondo, per Logan. Prima era solare ed energico. Ora era statico, appassito, traumatizzato.
Ecco perché sentirsi così lo aveva fatto svenire: troppe informazioni allo stesso tempo. Nel suo cervello si era disfatto l’equilibrio.
Poco a poco, Logan riuscì ad aprire gli occhi. Si trovava nella sua camera, e dalle finestre filtravano i colori della sera. L’orologio al fianco del letto segnava la data del giorno dopo allo svenimento.
Merda, sono rimasto così per un giorno, puzzo da far schifo.
Oltre alle condizioni igieniche migliorabili, al ragazzo brontolava lo stomaco.
-Cibo…- esordì in silenzio, trascinandosi fuori dalle coperte blu.
Entrò in bagno e si spogliò dei vestiti sudati, gettandosi sotto l’acqua calda della doccia. Il calore che pervase il suo corpo lo fece rilassare, sciogliendo i suoi nervi tesi, ripulendolo di quel giorno tremendo.
Terminata la riflessiva doccia, sotto la quale riuscì a sistemare un po’ le idee nel cervello, si cambiò e fece per scendere in salotto.
I pantaloni grigi della tuta accarezzavano le sue piccole, ma sufficientemente muscolose gambe, mentre la maglia a maniche lunghe metteva in mostra il suo recente calo di peso. Doveva assolutamente recuperare le vecchie abitudini. Scendendo le scale, Logan rallentò il passo abbastanza per poter sentire le voci di qualcuno nella cucina.
-E’ stato così improvviso, comunque- diceva la madre ad un ragazzo.
-Già, è questo che mi ha spaventato di più. Forse era un segno della Natura, tipo nei confronti dell’inquinamento- replicò questo, con un tono inquisitorio e curioso.
Per un attimo, Logan pensò di aver riconosciuto quella voce, ma non ne era certo. Decise quindi di proseguire verso la porta mezz’aperta della stanza e capire chi fosse l’ospite misterioso.
 
24 DICEMBRE, 20:45
Toby Duval aspettava impaziente che il migliore amico sbucasse dal giardino della sua casa. Entrambi sarebbero dovuti andare, quella stessa sera, in un locale gay per il quale avevano ottenuto due ingressi. Tecnicamente nessuno dei due aveva ancora 18 anni, ma l’amica etero del gruppo, Vanessa, era riuscita a farsi il dj del locale (sorprendentemente etero) ad una festa; tra i due per un po’ c’era stata una storiella, terminata qualche giorno prima che Vanessa desse i pass a Toby.
-Non vi consiglio di fare il nome di Mark, o potrebbero cambiare idea. Fingetevi due adulti- aveva consigliato la ragazza agli amici, l’ultimo giorno di scuola.
-Oh allora mi sa che Logan dovrà abbandonarmi in questa “fuga colorata”. La maturità non è proprio il tuo forte, vero Wolverine?- chiese Toby, ridacchiando. Logan gli diede un colpetto alla spalla.
Wolverine era il suo soprannome da quando un giorno aveva colpito una porta a scuola così forte da lasciare il segno delle sue nocche, come se avesse trafitto il legno con delle lame invisibili. Vanessa lo aveva medicato con quel che poteva e i tre avevano promesso di non dirlo a nessuno. Da allora lo sgabuzzino della palestra non era più stato lo stesso per loro.
Finalmente, dopo quella che era sembrata un’eternità, ecco che Logan sgattaiolo fuori dal suo giardino, indossando una camicia bianca sotto la sua giacca di pelle, che faceva risaltare il suo volto dolce.
-Carino- commentò Toby con un piccolo sorriso, mentre nella mente visualizzò per qualche istante uno scenario piccante insieme al suo amico. D’altronde lo aveva sempre ritenuto il suo ragazzo ideale, nonostante l’altro si mostrasse contrario su quel punto. Non voleva rovinare la loro amicizia, che durava dai tempi della quinta elementare, quando Toby si era appena trasferito. Nonostante ciò, prima che si confessasse qualche possibile attrazione, i due si erano “esercitati” con baci, carezze, e cose così.
-Finalmente, mia mamma non se ne andava più. Mi aveva trattenuto per sapere se mi sentivo con qualcuno. Sì, certo, magari. Le ho detto che volevo andare a letto per sognare un po’- spiegò Logan salendo in macchina. Toby trattenne una risata e sospirò.
-Mi dispiace Wolverine, troverai il tuo ragazzo ideale un giorno-.
Logan sistemò la cintura.
-Sento della aggressività passiva nelle tue parole-.
Questa volta risero entrambi, e continuarono a scherzare durante il viaggio intero. Giunti al Rainbow, trovarono un parcheggio non troppo lontano e si avviarono.
-Promettimi che se entriamo, non ci divideremo- disse Toby, stringendo la mano di Logan.
-Mai e poi mai T-.
Il locale era apparentemente piccolo, ma una larga sezione era in oscurità per via della radura. Essendo relativamente presto, c’erano ancora poche persone fuori, quindi i due aspettarono un po’ prima di approcciare il bodyguard all’ingresso. Le luci al neon poste sulle finestre illuminavano di rosa e rosso il giardinetto che circondava il Rainbow.
Man mano arrivavano ragazzi e ragazze, drag queen e aspiranti drag queen, facendo sentire Logan leggermente estraneo da quel gruppo di individui. Tuttavia, c’era dell’altro nel suo timore: curiosità.
Nella fila che si era formata per entrare, Toby aveva fatto amicizia con chi li circondava, e tutti trasmettevano umori positivi e voglia di divertirsi.
-E’ impossibile che tu abbia diciassette anni, ne dimostri almeno ventidue!- illustrò incredulo un bel biondino a Toby. In effetti Toby sembrava più grande, forse per via della barba curata, dei capelli lisciati di lato e dell’abbigliamento semi-formale che sapeva portare alla grande. Poteva passare per un universitario, alla peggio.
-Tu invece quanti anni hai?- chiese Logan, con un sorriso infastidito al biondo. Non gli piaceva granché, perché ci stava esplicitamente provando da un po’ con il suo amico, e si comportava da ochetta.
Il ragazzo lo guardò con un sorriso forzato e rispose in modo poco convincente di avere 18 anni.
Toby ci chiacchierò ancora un po’, prima di giungere alla biglietteria.
Il buttafuori squadrò sia lui che Logan, strizzando un po’ gli occhi.
La tensione sui loro volti era tangibile. Mister Muscolo li esaminò per qualche altro secondo (forse più per controllare la mercanzia) e poi li fece passare ai biglietti.  
Dietro un bancone in legno li aveva accolti una ragazza carina con i capelli viola. Era simpatica e attenta nell’accogliere i clienti, ballando di tanto in tanto a ritmo con la musica della discoteca.
-Ciao ragazzi!- disse sorridendo agli amici, -Non vi ho mai visti qui, prima volta?-.
-Ce l’ha consigliato un amico. Anzi, è qui anche lui in real- ribatté Logan, frenato prontamente da Toby con un calcio tattico alla gamba.
-Sì, è la prima volta. Abbiamo due inviti- intervenne poi lui, passando i biglietti di Vanessa alla ragazza dai capelli viola, la quale non pareva aver colto la situazione.
-Okay, siete a posto così, ecco i vostri ticket per la consumazione- riprese poi, dando due piccoli fogliettini rosa a Logan.
Incredibile ma vero: erano riusciti ad entrare.
Spalancate le porte della sala principale, non ci volle molto prima che, colti dall’entusiasmo, si gettassero entrambi sulla pista da ballo. Si era creata una sensazione magica quella notte, che aveva unito tutti; era come essersi ritrovati dopo una disperata ricerca.
La musica non lasciava spazio alle chiacchiere, ma ai twerk e alle linguacce.
Dopo un drink e qualche ora poi, tra Logan e Toby sfuggì anche un bacetto. Nulla di preoccupante, ma avevano capito che forse era troppo presto per provarci con qualche estraneo, quindi perché non fingere di stare insieme?
Solo che quel bacetto sotto le luci del palco, e accompagnato dalle improvvise canzoni romantiche, portò ad un altro bacio più profondo. Poi seguirono due grosse risate da parte di entrambi.
E un abbraccio. Si volevano bene.
 
25 DICEMBRE, 00:00
 
Prima ci fu uno spintone, che allontanò Toby pericolosamente.
Poi Logan si buttò tra l’amico e il rozzo membro del gruppo di reietti che li aveva insultati e punzecchiati sin da quando avevano lasciato il Rainbow. Avevano quasi raggiunto il parcheggio. Avrebbero dovuto affrettare il passo, invece di far finta di niente.
Quella volta, fingere di non aver sentito era stata la loro condanna.
Gli altri ragazzi del gruppo accorsero a pestare Logan, buttandolo contro l’asfalto freddo. Toby urlò.
E i ricordi terminano lì.
 
Dalla cucina ondeggiava un profumo di spezie e aromi molto invitante.
-Ti fermi a cena?- chiese di nuovo Laura, con un tono di voce molto amichevole.
Logan aprì la porta bussando, e trasalì. Sia la madre che il ragazzo misterioso si voltarono a guardarlo.
-Toby…- disse Logan, quasi come se pronunciare quel nome fosse un peccato. Ci fu un momento di silenzio, seguito dal campanello della porta d’ingresso.
-Devono essere Vanessa e il suo amico. Vi lascio un attimo da soli, sono certa che avrete piacere di parlare. Ve lo meritate- intervenne Laura, calma e composta. Lasciò la stanza e accolse in soggiorno Vanessa Burges, visibilmente emozionata, e… Trevor.
Quella sera, si sarebbe svolta una cenetta a base di ricordi e rimpianti, e forse la portata principale non sarebbe stata facilmente digeribile.

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Capitolo 5
*** Non lo sai ***


A Logan piaceva San Valentino, contrariamente a quanto diceva Toby era una giornata magica e misteriosa. L’idea che due persone festeggiassero l’amore reciproco che le univa, o che qualcuno semplicemente lo professasse all’altro, era dolce. L’ultimo anno della loro amicizia, quell’anno, i due ragazzi scelsero di passare San Valentino insieme. D’altronde erano amici e non ci sarebbe stato nulla di strano nel farsi compagnia. Quel giorno, Logan si fece portare a casa di Toby alle otto di sera. La giornata a scuola era stata emotivamente stressante. Se da un lato le coppie troppo sdolcinate avevano sempre turbato Logan, che non capiva perché fosse necessario usare così tanta lingua per un bacio, dall’altro lo incuriosivano. E il 14 febbraio era un manuale da cui imparare molto sugli innamorati. Le ragazze aspettavano i rispettivi cavalieri ai loro armadietti, leggermente appoggiate con la spalla (ma non troppo, perché secondo Vanessa non bisognava dare l’impressione di essere annoiate), fingendo di non aspettarsi nulla da quel giorno (sperando che il ragazzo invece lo facesse) e stupidamente in tiro. Quando la disinvoltura iniziale svaniva cominciavano i baci, bacini, gli abbracci, le tastate, tanto che la scuola diventava momentaneamente un bordello “vietato ai minori”.
-Guardone- punzecchiava di tanto in tanto Toby. La curiosità trasportava il ragazzo in altre dimensioni. Per qualche minuto i suoi occhi guardavano oltre i corpi, oltre San Valentino. Vedeva la bellezza dell’amore, vero o finto che fosse.
-Fanculo- rispondeva prontamente Logan, con un tono tra il sarcasmo e il disinteresse. Lui non sa, per lui è solo sesso. I due avevano parlato più volte delle relazioni, ma avevano idee contrastanti. Toby preferiva le cose veloci, anonime, spensierate.
-Anche l’amore può renderti spensierato- commentava l’altro, lasciando trasparire una nota di speranza. Voleva forse che l’amico cambiasse idea? Era stato ammaliato a tal punto da quei bacetti?
-Che ne sai tu? Non hai mai avuto una relazione, e di questi passi non me avrai una entro tempi brevi. “Devi uscire dall’armadio”-.
Logan si indisponeva a quel punto.
-A quale scopo? I tuoi non sono diventati dei genitori arcobaleno dopo che hai fatto coming out. Anzi, mi sembra che siano sempre più turbati quando ci vedono insieme-.
Quando si parlava dei suoi genitori, Toby non commentava molto. Non lo mostrava, ma Logan lo coglieva dalle sue espressioni: stava soffrendo, sia per come avevano reagito i suoi alla scoperta del suo orientamento sessuale, che per come lo avevano messo da parte.
Quella sera del 14 febbraio, tuttavia, non si parlò molto di coppie e amore. Logan e Toby restarono in camera a fare binge-watching. Si cambiava film o serie ogni quarto d’ora, ma non sembrava essere una cosa fastidiosa. Logan adorava stare sdraiato accanto a Toby, che ogni tanto lo coccolava, accarezzandogli la testa dolcemente.
Quei momenti purtroppo erano brevi, veloci e spensierati.
Forse fu per l’occasione, o perché entrambi inconsapevolmente si erano avvicinati “quel poco in più”, che le coccole si trasformarono in baci, sfuggenti ma travolgenti, ingenui ma consapevoli, e in carezze tanto caute quanto pericolose. Logan aveva sempre rinnegato l’attrazione per il migliore amico, come mai si era lasciato andare? Aveva bisogno di amare, tanto quanto ne aveva Toby. Se fosse stato uno sbaglio? Avrebbero affrontato le conseguenze. Nessuno si aspettava che due anni dopo, due migliori amici sarebbero stati degli estranei.
 
La tavola era imbandita con diversi tipi di pietanze. Da un lato spiccava un pollo arrosto dall'aspetto invitante, dall'altro una trionfante insalata contornata da pomodorini, salse e fette di pane. Mentre Vanessa, Trevor e la madre di Logan prendevano posto, tutti e tre rigorosamente in silenzio, Toby e l'amico ritrovato si erano spostati nella camera di quest'ultimo.
Logan era ancora in pigiama, e per non “sfigurare” di fronte a quel bizzarro e insolito pubblico si stava mettendo addosso una camicia rossa stile scozzese e un paio di jeans strappati. Nel frattempo, Toby passeggiava per la stanza squadrandone ogni dettaglio. I capelli lisciati di un tempo erano cresciuti, come se tagliarli non fosse più una possibilità. Strano, pensò Logan, quei capelli lo facevano dannare per ore.
-Sembra passata davvero una vita, cavolo- sospirò Toby, posando gli occhi sul comodino dove un tempo erano esposte le immagini del trio Vanessa, Logan e Toby.
-Succede questo quando sparisci senza lasciare tracce, no?- chiese Logan, sottolineando uno spruzzo d’ironia. Toby sussurrò una risata nervosa, che lasciava intravedere molto più rispetto ad una semplice sparizione.
-Spero che tu sappia che non è così, noi eravamo più di questo. È stato scelto dai miei genitori, e io non ero incluso nel loro comitato-.
-Quello che vorrei sapere è il perché. Ve ne siete andati quando avevamo più bisogno l'uno dell'altro, quando io avevo bisogno di una certezza. Dovevo sapere che non ero stato abbandonato dall'unica persona per la quale sarei anche morto!- sbottò Logan, stringendo i denti, trattenendo le lacrime negli occhi lucidi, tenendo bassa la voce per evitare di farsi sentire dal piano inferiore. Questo è il mio dolore, non il loro. Non sanno niente, non possono sapere. La loro vita va avanti, la mia è ferma a quella notte.
Toby si asciugò una lacrima dal viso e propose di raggiungere gli altri. I suoi occhi caldi come il sole al tramonto ora erano attentamente nascosti dietro le ombre del dolore che animavano il suo volto.
Mentre raggiungevano la sala da pranzo, la tensione tra i presenti cominciò a farsi tangibile.
La cena prese il via, con i piatti che passavano da una mano all'altra e gli occhi di tutti strettamente rivolti al cibo.
-Allora Toby, quando sei arrivato in città? Ci sono anche i tuoi?- chiese Vanessa, inarcando le labbra in un sorriso visibilmente forzato. Era comprensibile, dato che il padre di Toby aveva scelto il trasloco come soluzione per curare la sua immagine, già sufficientemente macchiata dagli atteggiamenti del figlio gay. Pensava sul serio che il ragazzo avesse delle colpe, che la sua sessualità lo avesse destinato ad una vita indegna e sbagliata. Quante stronzate.
-Sono arrivato ieri sera in realtà, da solo. I miei non hanno ben accolto l'idea di tornare qua, sai...- spiegò Toby, -Da quando ci siamo trasferiti, mi hanno sempre tenuto segregato in casa, non ci parliamo neanche tanto-.
Trevor intervenne, schiarendosi la gola, -E come mai tutto d'un tratto questa scelta di fare marcia indietro?-.
Toby lo studiò attentamente mentre elaborava la sua risposta. Si chiedeva cosa ci facesse lì Trevor, che era sempre stato un miraggio per chiunque nella scuola.
-Da quanto state insieme voi due, invece?- chiese poi a Vanessa, ignorando di proposito la domanda.
Lei lanciò uno sguardo a Trevor e entrambi sorrisero nervosamente, bevendo un sorso d'acqua.
Logan era curioso di sapere la storia di come Trevor e Vanessa fossero finiti a cena da lui tanto quanto Toby. Se non altro lo rassicurava sapere che il suo nuovo interesse amoroso non era morto per via di un tornado.
-Non stiamo insieme, io sono già impegnata. Trevor è un amico, mio e di Logan- spiegò Vanessa, sottolineando "e di Logan" con un sorriso compiaciuto in volto. Anche Trevor sorrise, tenendo lo sguardo basso, per non far notare la sua reazione. La ragazza si era agghindata per la cena e aveva arricciato i capelli bruni, che cadevano lungo le spalle accompagnati da un dolce profumo di pesca.
Trevor indossava una camicia bianca, decorata da piccoli cerchi blu, che definiva il suo petto muscoloso e le braccia possenti. Vanessa pensò che se non fosse stata fidanzata, ci avrebbe fatto un pensierino.
Logan finì di mangiare prima di tutti, colpevole un’improvvisa mancanza di appetito.
-Dunque le cose non sono cambiate molto qui. Logan single, Vanessa fidanzata, la città imprevedibile come al solito- commentò Toby sospirando.
Sembrava che durante la cena la tensione iniziale fosse sfumata, ma c'erano ancora troppi segreti e cose non dette. In particolare, Trevor avvertiva qualcosa che lo turbava, forse per la situazione nuova in cui si trovava o perché del ritorno di Toby mancavano pezzi d'informazione importanti.
Continuarono tutti con le chiacchiere e le battute dai messaggi velati, ma pareva che nessuno si lamentasse.
Dopo cena, mentre la madre sparecchiava con l'aiuto di Vanessa, Logan e gli altri due si spostarono in soggiorno. Lui sulla poltrona rossa, di fronte al divano dove sedevano loro.
-Da quanto siete amici?- chiese Toby ammiccando l'ennesimo sorriso a Logan.
Lui sbuffò e disse: -Da un po', perché ti importa?-.
-Sento che state nascondendo qualcosa-.
-Anche tu non sembri sincero al cento per cento- intervenne Trevor, guardandolo male.
Chi era Toby per apparire dopo un anno di silenzio e farsi gli affari degli altri con questa insistenza? L’amicizia, quello che c’era stato con Logan era terminato.
Toby ridacchiò, -Qualcuno è un pochetto suscettibile-.
A Logan non stava piacendo per niente il comportamento del ragazzo, tentava di ridicolizzare Trevor, Vanessa, persino lui stesso. Non aveva il diritto di farlo, ma per qualche motivo lo stava facendo.
-Che cazzo ti prende Toby? Ti comporti da stronzo- sbottò finalmente Logan, -Te ne torni qui dopo tutto questo tempo, senza neanche mai aver provato a contattarmi su Facebook o per telefono, e fai così!-.
Toby tornò serio e trattenne diverse espressioni contrastanti: stupore, tristezza, odio, dolore.
-Tu invece perché non l'hai fatto? Perché non hai provato a cercarmi?- replicò poi.
-Non sapevo come trovarti. Sei sparito quando io ero in coma-.
-Non sono sparito! Non sai cos’ho passato anche io. Non sai quello che mi hanno fatto i miei genitori- tuonò Toby, -Pensi che ad oggi io non ti abbia pensato ogni giorno? Quella notte non ho perso solo un amico. Eri molto di più per me. Io…-.
Logan era sconvolto e confuso.
Trevor lo afferrò per il braccio, cercando di calmarlo. Lui lo respinse.
Toby si alzò prontamente.
-Lascialo- ringhiò a Trevor, allontanandolo con uno strattone.
Lui reagì colpendolo in faccia, trascinandolo a terra con una forte e impetuosa presa.
-Non devi più aspettarti nulla da lui- lo avvisò una volta tenuto fermo.
Toby gli serrò lo sguardo addosso.
-Prova a fermarmi- rispose, tremolante.
Laura e Vanessa accorsero subito.
La ragazza allontanò Trevor con la forza, mentre di Logan si prese cura la madre.
-È abbastanza per stasera- ordinò Laura, indicando agli ospiti l’uscita.
Trevor torno in sé, e guardò Logan mortificato. Lo aveva spaventato, non l’avrebbe più voluto. Cominciava a sentire pressione sulle guance: era ora di andare.
-Grazie per la cena signora, scusi per…- disse, incerto su come continuare le scuse. Non finì la frase. Vanessa lo accompagnò fuori, poi tornò a prendere Toby, seduto a terra, con le lacrime agli occhi per ciò che era successo.
-Vieni anche tu- incalzò lei, dandogli la mano.
Ben presto la casa tornò uno spazio sicuro. Laura riprese il controllo della situazione, e per quella sera le pratiche del lavoro avrebbero potuto aspettare.
Quella sera, lei, danneggiava sempre tutto.

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Capitolo 6
*** La mia luce ***


Quando si era risvegliato dal coma, Logan fu sorpreso di vedere suo padre nella stessa stanza della madre. Dopo il divorzio, anche se in realtà durava da tempo, i due non riuscivano più a guardarsi in faccia. Il loro amore era giunto al termine, lasciando spazio alla nuova storia tra Matthew Roberts e Christine Colfer, la segretaria.
Una volta scoperta la storia, Laura si era affrettata a gettare il marito fuori da casa. Non era rimasta ad ascoltare giustificazioni e scuse, perché lei era una donna concreta, che non credeva possibile perdonare l’infedeltà. Logan, all’epoca quindicenne, si trovò a pentirsi di questa sfumatura caratteriale; voleva bene al padre, nonostante condividessero poche cose oltre al sangue. Pensò che la madre stesse sbagliando, che dovesse ascoltare la sua versione dei fatti.
-Non esiste una versione diversa da quella che so io, amore- spiegò un giorno Laura, mentre risistemava l’armadio, -Tuo padre ed io non eravamo più gli stessi, e questo cambiamento lo deve aver destabilizzato così tanto che ha preferito trovare l’equilibrio con un’altra persona. Non ce l’avrò con lui per sempre, ora però ho bisogno di smaltire quello che è successo-.
In quel momento Logan capì che tornare indietro non è sempre possibile. Si vergognò per non aver compreso subito il dolore della madre, quasi incolpandola della piega presa dagli eventi.
-Ti voglio bene mamma, io ci sarò sempre per te- confessò, quasi come se volesse scusarsi per essere arrivato tardi alla giusta conclusione.
Laura abbracciò il figlio, con qualche lacrima agli occhi.
-Sei ciò di cui sono più fiera Logan, la cosa più importante che esista-.
Tra un colpo e l’altro, il ragazzo ricordò quelle parole. Pensò che sua madre aveva detto una bugia, perché nessuno ferirebbe la cosa più importante tra tutte.
Che pensiero ingenuo. Può aiutarti a chiudere gli occhi?
Quanta brutalità in quelle ferite, quanto odio represso.
Matthew corse subito al fianco di Logan, non appena vide i suoi occhi aprirsi.
Inizialmente tutto era apparso sfocato, ma dopo poco la vista del ragazzo tornò normale.
-Logan, come stai? Riesci a sentirmi?- chiedeva il padre, agitato, teso, intimorito dalle conseguenze che quell’aggressione avrebbe comportato.
Logan annuì e cercò di mugugnare una risposta, ma parlare all’improvviso bruciava.
Sarò muto a vita, non avrò più nessuno, è finita.
-Laura, vieni, Logan è sveglio- incitava Matthew, improvvisamente più tranquillo.
Forse in quel mese nessuno credeva che Logan ce l’avrebbe fatta, lo avevano già spacciato per morto. Avevano smaltito anche loro quello che era successo, come Laura?
Questo risveglio inaspettato aveva turbato tutti, così come rivedere una vecchia foto in cui si è venuti male ci sconvolge riaprendo vecchie ferite.
Il tempo continuò a scorrere, e Logan proseguì la riabilitazione. Più restava nell’ospedale, solo o con i suoi genitori e i dottori, più si accorgeva di essere rimasto solo.
Un giorno chiese persino se Toby era morto, con le lacrime agli occhi.
-No amore, non è morto- lo rassicurò la madre, accarezzandogli la testa, così come aveva fatto l’amico la notte del 14 febbraio.
E allora dov’era? Le botte lo avevano paralizzato, per caso?
Negativo di nuovo. Se n’era andato, lasciandosi alle spalle solo una montagna di ricordi.
No, è impossibile.
-Suo padre ha pensato che fosse necessario cambiare paese, non chiedermi il perché però- rivelò Laura, dispiaciuta tanto quanto il figlio.
Lui la guardò addolorato, chiedendosi cosa legasse un figlio al proprio genitore oltre al legame biologico. Per le mamme era diverso, oppure i padri sentivano la stessa vicinanza ai figli? Oppure essere legato alla propria progenie era un obbligo morale. Logan pensò solo che qualunque cosa fosse a tenere uniti Toby e suo padre fosse svanita.
-Lo so io perché. E lo sai anche tu, mamma, forse più di me e Toby- replicò il ragazzo, incapace di trattenere ulteriori lacrime.
Laura capì quello che intendeva suo figlio, tuttavia non parlarono più di quella faccenda. Forse, sapere che entrambi sapevano era sufficiente ad andare avanti. Così come Logan aveva capito il dolore della madre di fronte alla sua perdita, lei aveva capito il suo.
-Io ti vorrò sempre bene- gli disse prima di lasciarlo dormire un altro po’.
Una volta a casa, i rapporti col padre tornarono sporadici.
 
Tanto inaspettato quanto la tempesta di lunedì, a metà settimana il caldo pervase nuovamente Stanton. Logan realizzò successivamente che il “tornado” era stato più un’allucinazione che un evento catastrofico. Probabilmente le rivelazioni di quel pomeriggio lo avevano scombussolato più del dovuto. La pioggia invece era vera, a dimostrarlo il raffreddore del ragazzo che terminò al suo ritorno in classe il primo di giugno.
L’aria estiva si respirava già solo mettendo il naso fuori dalla porta di casa. Tutti d’un tratto parevano più felici e sorridenti. Il sole calava dolcemente dopo le sei e mezza, permettendo ai ragazzi di restare fuori casa più a lungo prima di cena e a chi andasse di curare il prato. L’estate, rifletté Logan, era il momento dell’anno che serviva a chiudere il ciclo. Serviva ad unire le due estremità del tessuto prima di serrarle con la cerniera.
Dopo la cena di martedì i contatti con Toby, Vanessa e Trevor erano pressoché cessati.
Forse, finalmente, avevano capito che bisognava andarci piano con Logan e che non potevano aspettarsi tutti di entrare nella sua vita senza prima chiedere il permesso.
-E così che mi sento- spiegò a sua madre la notte stessa della cena, quando le acque si erano calmate. Raccontò degli sbalzi d’umore, del sonno costante, di come questo lo facesse sentire in colpa.
-Per cosa?- chiedeva lei, ignara di questo stato d’animo irrequieto.
Perché tutti vivevano la loro vita tranquilli, comportandosi come la vita si aspettava che facessero. Lui si sentiva lasciato indietro dalla Natura, abbandonato.
Era la prima volta che si sfogava realmente con qualcuno, e una volta fatto si era persino chiesto perché fosse arrivato così tardi alla conclusione che non poteva cucire le sue ferite con le braccia legate.
Parlare con la madre aveva liberato Logan di un piccolo ma importante peso.
Era sui passi giusti per riprendere il controllo.
Data la natura frenetica della settimana, rendersi conto del bacio con Trevor e del ritorno di Toby fu quasi impossibile. Ripercorrendo ogni giorno, momento per momento, Logan assaporò ogni sfumatura dello stupore, dell’emozione, dell’attrazione e del dolore provati.
Non gli era mai capitata un’esperienza simile, destabilizzante ma eccitante.
Come per ogni cosa nuova, doveva imparare ad agire.
L’idea di rivedere le solite facce non fu proprio incoraggiante, ma addentrandosi sempre più nei corridoi della scuola tornare indietro sembrò semplicemente vigliacco.
Logan raggiunse l’armadietto e vi depositò il cellulare. Niente distrazioni. Prese il libro di Scrittura Creativa che aveva dimenticato e si diresse alla classe. Voleva muoversi, mantenersi attivo e si era persino messo addosso dei vestiti carini: una maglietta con motivi dinamici, giacca smanicata di jeans e dei pantaloni attillati quanto bastava a delineare la curva del suo sedere.
Pareva quasi che non fosse cambiato nulla da quel freddo dicembre.
Raggiungendo la direzione, il pensiero di rivedere Trevor si ritagliò una posizione in primo piano. Aveva visto Logan piangere, ed era stato persino respinto. Chissà cos’avrebbe pensato. Se era insicuro su quello che stava facendo, sulla propria sessualità, certamente avrebbe cambiato idea.
Logan trovò la classe piena a metà, mancavano dieci minuti all’inizio della lezione.
Qualcuno si voltò ad osservare il nuovo ragazzo, prima di rendersi lentamente conto che si trattava del Logan di sempre, solo vestito meglio.
Sentire gli occhi addosso, per una volta, era liberatorio.
Guardatemi stronzi, vergognatevi per aver pensato qualsiasi cosa vi sia balenato nella mente.
Il “nuovo ma vecchio” ragazzo prese posto vicino alla finestra, ma a metà classe. Se era vero che voleva fare più passi in avanti, per quel momento si sarebbe limitato a proseguire di una fila di banchi. D’altronde se siedi davanti i prof sono più propensi a farti domande.
Il posto accanto a lui era ancora vuoto, ma quando sulla porta si presentò Trevor la sedia si prenotò automaticamente. L’arrivo di giugno non poteva che avergli fatto bene, perché il palestrato diciannovenne appariva più solare che mai. Questo intimorì Logan, e per poco non confermò le sue preoccupazioni.
Notandolo in classe, gli occhi di Trevor parvero illuminarsi, nonostante lui restasse composto. Logan se ne accorse e il suo cuore palpitò.
Cosa vedi in me? Cosa sei riuscito a trovare sotto questa distruzione che mi sfugge da così tanto tempo? Dimmelo, perché se scovassi questa informazione la userei a mio vantaggio e quindi a nostro vantaggio. Dentro i tuoi occhi brilla una luce alimentata dalla mia esistenza, ma non riesco a giustificarla. Ho bisogno di sapere che quello che provi è reale, per liberarmi dalle catene che mi obbligano a fingere di stare bene. Voglio credere alla possibilità che tra di noi ci sia una verità in grado di cancellare le bugie.
-Hey, posso sedermi?- chiese Trevor raggiungendo il banco non-occupato. Il modo in cui parlò non era troppo diretto, semmai prudente. Dava l’impressione di non voler turbare nuovamente la sua luce.
Logan esitò, trovandosi all’improvviso in imbarazzo. Per una settimana si era fatto castelli in aria su come avrebbe riconquistato il ragazzo e ora il silenzio?
La pancia cominciò a compiere degli strani movimenti, impercettibili dall’esterno ma chiaramente avvertiti da Logan. Il suo corpo si stava risvegliando, dopo un lungo letargo. Le sue emozioni tornavano a prendere il sopravvento?
Gli tornò in mente la conversazione avuta un giorno con la madre, mentre ricordavano il primo appuntamento con il suo papà.
-Io mi ero messa il vestito più bello che avevo nell’armadio, o almeno quello che pensavo fosse il più bello. Mi venne a prendere a casa alle sette in punto, e lo ricordo perché ci eravamo dati appuntamento a quell’ora anche se tuo padre mi aveva detto di essere un “ritardatario”. Se fossi stata come le mie amiche non me ne sarei accorta, ma a me piace attribuirmi l’onore di essere molto riflessiva- raccontava Laura, prendendo un cucchiaio di gelato alla vaniglia, -Dunque andammo in uno splendido ristorantino fuori città, che ancora oggi ricordo per l’ospitalità di chi ci lavorava. Parlammo un sacco, non necessariamente di cose serie, ma parlammo ininterrottamente. E per una ragazza riflessiva parlare molto con qualcun altro era il massimo. Durante la cena non potevo fare a meno di pensare a quello che mi stava comunicando il mio corpo. Avevo le farfalle allo stomaco, come si suole dire. Era lui quello giusto-. Anche negli occhi di Laura risplendeva una luce, flebile, distante, ma che all’epoca doveva aver splenduto enormemente.
Svelato l’arcano mistero. Logan non stava per morire, il suo corpo gli stava parlando.
-Prego- fece poi, spostando la sedia per Trevor. Un gesto che non passò inosservato da quest’ultimo, che lo ringraziò con il sorriso di un bambino al quale hanno appena detto di essere il più bello del mondo.
Un giorno il dottor Stewart, un uomo dal tatto sia freddo che a tratti disarmante, aveva appoggiato la cartella clinica di Logan sul suo letto e vi si era seduto per un istante.
La sua folta barba bianca gli dava più anni di quanti non ne avesse, e gli occhi vitrei potevano di primo impatto ingannare un astuto osservatore. Sembrava, e forse era veramente, un uomo estremamente razionale interessato solo all’aspetto pratico del suo lavoro. Tuttavia quando appoggiò la cartellina sul letto abbassò la guardia.
-So come ti senti, ragazzo, e non lo dico nel vano tentativo di tirarti su di morale- confidò, sostenendo con il paziente uno sguardo premuroso, -Capita a volte di sentirsi estranei nel mondo al quale apparteniamo. Ora vedi solo il buio, fuori e dentro di te. Pensi che quello che passi tu adesso dovrebbe capitare a chi ti ha fatto questo, ed è un pensiero giustificabile. Però voglio dirti una cosa che non sono solito a dire neanche a me stesso. Nasciamo come complesse creature in grado di amare, e moriamo sperando che l’amore torni ad addolcire il nostro addio. Tra la nascita e la morte sperimentiamo i piaceri e i dolori dell’anima, del corpo… pensiamo che sia tutto programmato, non è vero?- Logan non voleva rispondere a quella domanda. Se la vita avesse programmato questo per lui, non sarebbe mai stato in grado di perdonarla.
-Beh, niente è programmato- continuò il dottore, -E così come un gruppo di persone può distruggere il tuo mondo in pochi minuti, tu puoi ricostruirlo pezzo dopo pezzo e cambiarlo, renderlo migliore sui frammenti del passato. Non sei morto, non è arrivato il tuo momento per dire addio, quindi non farlo. Vivi e trova l’amore nei tuoi cari, cercalo. Voglio che tu lo sappia, vedo troppe persone che gettano la spugna-.
Logan deglutì, aveva trattenuto la saliva in bocca per tutto il tempo.
-Lei l’ha gettata?- chiese poi, con una mossa un po’ azzardata e inaspettata.
Il dottor Stewart sospirò.
-E’ successo, sì. La cosa più stupida mai fatta in vita mia, che ancora oggi rimpiango. E a pagarne le spese è stato mio figlio. Se n’è andato pensando che non lo amassi più. Il mio giudizio lo ha spinto nel buio-.
A Logan fu chiaro tutto. Qualche anno prima a Stanton un ragazzo si era impiccato lasciandosi alle spalle una lettera di addio, dove salutava i propri cari e il ragazzo che amava.
-Come stai?- chiese Trevor, togliendosi la giacca di pelle.
-E’ un po’ complicato per risolverlo in un “bene” o “male”- rispose Logan.
-Non ho nulla da fare per le prossime cinque ore- replicò Trevor, lasciando sottintendere che la scuola poteva aspettare.
Se solo avessi parlato prima, stupido.

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Capitolo 7
*** Quella notte ***


Verso il termine dell’ora, Logan lasciò la classe per andare in bagno. Il succo di pesca che aveva bevuto per colazione doveva uscire dal suo corpo. Si pitturò in mente un’immagine sessualmente esplicita, poi sospirò e si ricompose.
Giunse al bagno passando per i corridoi che illuminavano ogni volta lampadine nella sua testa, cariche di ricordi. Ciò che balzò alla sua attenzione fu il giorno seguente San Valentino: il confronto.
 
 
Era un mercoledì uggioso, il cielo contornato dalle nuvole lasciava presagire le gocce d’acqua che avrebbero seguito a breve. Logan si svegliò con le coperte tirate fino a sopra la testa, ancora ignaro di dover alzarsi per affrontare una nuova giornata scolastica e quello che era accaduto la notte precedente con Toby.
Nulla di serio, scherzò quest’ultimo indossando la maglietta che l’amico aveva ferocemente sfilato. In effetti non si erano spinti oltre i baci e le toccatine, nonostante in quel momento la sete fosse accecante.
Logan non commentò quell’affermazione, anche se dentro al suo cuore sentì qualcosa muoversi. Tristezza? Poteva essersi allontanato così tanto dai canoni tipici che definivano la sua amicizia? Colmare il vuoto causato da un’attrazione non ricambiata lo avrebbe ferito sempre più, così come dover crescere con Toby e vederlo sperimentare l’amore che tanto disprezzava per la prima volta.
Lo avrebbe vissuto senza di lui, o meglio, insieme a lui, come amici.
Beh, che mi prende? Erano solo baci, mi sto lasciando trasportare da semplici sogni.
Logan non aveva mai baciato un ragazzo, prima di Toby. Questo aveva influito sicuramente sull’idea che aveva di lui. Prima lo vedeva come il migliore amico del quale si poteva fidare, con il quale non ci sarebbero mai state porte chiuse, ma dopo quella sera fidarsi divenne sempre più difficile. Toby usciva con qualcuno e Logan gli faceva i complimenti, sperando che trovasse “quello giusto”. Da un lato si fingeva contento, dall’altro provava la stessa sensazione che si ha quando l’unica felpa che ci attrae al negozio manca della nostra taglia.
Quel giorno, quando Logan raggiunse l’armadietto dell’amico non trovò nessuno. Aspettò qualche minuto ma poi andò in classe. Incontrando Vanessa pensò di doversi confidare con lei, quindi le raccontò i trascorsi della notte precedente.
-Wow, tu e Toby! Vi ho sempre trovati molto carini insieme, e poi sarebbe anche ora che lui cominciasse a pensare di frequentare qualcuno per più di due giorni- esultò lei, sistemandosi i capelli, -Però non posso fingere che questo non intaccherebbe il vostro, il nostro rapporto. Da quanto siete amici, Logan? Da tipo una vita. E gli amici che si conoscono da così tanto rischiano sempre di superare la linea del non ritorno, quando l’imbarazzo è più forte del volersi bene- dichiarò, assumendo un tono maggiormente piazzato, e la sua affermazione colpì Logan dritto al cuore. Lui stesso sapeva che costruirsi dei castelli in aria sulla relazione perfetta era sbagliato, soprattutto se il fulcro di quei castelli era il suo migliore amico. Doveva lasciare andare quegli accaduti prima che fosse troppo tardi.
-Già, comunque ha espresso la sua opinione. Per lui non è stato nulla di fuori dal normale. Si è fatto un altro tipo e se ne farà sicuramente altri- replicò Logan, grattandosi il capo, fingendo che non gli importasse.
-Tu… non sei solo un altro tipo. Tu sei il feroce Wolverine- scherzò Vanessa, ridacchiando, -Sei un ragazzo dolce e con un fantastico carattere, che deve uscire di più-.
Il ragionamento non faceva una piega.
Logan scrisse un messaggio a Toby ma non ricevette risposta fino a qualche ora dopo.
“Stavo poco bene. Ci sentiamo dopo xo”.
Logan sbuffò.
 
 
Uscendo dalla cabina del bagno, il ragazzo si sciacquò le mani.
Per la stanza aleggiava un sinistro silenzio, lo stesso che ti fa sospettare di non essere solo quando dovresti esserlo.
Logan fece per andarsene quando dalla porta apparve Trevor.
I due si sorrisero nervosamente. Trovarsi confinati in quello spazio ristretto rendeva la situazione particolarmente imbarazzante. Dopo il pomeriggio sulla collina, non c’erano più stati scambi di effusioni, né chiarimenti riguardo a come erano rimasti.
-Ti ho spaventato? - chiese Trevor a bassa voce, temendo che qualcuno dall’esterno potesse origliare.
Logan arrossì.
-Nah, non so se lo sai ma sono abituato a spaventi più forti- scherzò, riferendosi inevitabilmente a quella notte. Già, perché in un modo o nell’altro tutto rimandava a lei.
Trevor si avvicinò lentamente a Logan che, insicuro, fece un passo indietro. L’altro se ne accorse, e lo scrutò attentamente, aspettandosi forse un incoraggiamento a proseguire, a tentare di nuovo.
Logan rimase in silenzio, intento a studiare i forti lineamenti del volto di Trevor. Era così dannatamente bello, che il suo interesse verso di lui pareva quasi surreale.
Si morse istintivamente il labbro inferiore. Voleva la sua bocca, la sua lingua, il suo corpo.
La passione sessuale lo coglieva sempre impreparato, d’altronde faceva così con tutti. (Eccetto i maniaci sessuali, ew.) Risvegliava lati nascosti del suo io che neanche lui aveva mai conosciuto.
I due si avvicinarono sempre di più, e unirono le labbra, prima lentamente, poi in modo feroce. Era come se avessero schiuso una fiamma che non vedeva l’ora di ardere.
Logan finì con la schiena contro la parete del bagno, mentre Trevor gli baciava il collo.
I brividi che percorrevano tutto il corpo del ragazzo gli ricordarono il sogno che fece la notte dopo la sua prima conversazione con l’altro. Voleva che lo toccasse, voleva sentirlo dentro.
Improvvisamente suonò la campanella, e i due si separarono come se trascinati da una forza invisibile: la paura.
Paura di cosa, direte?
La paura di farsi scoprire, che li avrebbe sempre tormentati, così come sapere che vivere una vita alla luce del sole non sarebbe stato semplice. Non lo era neanche per i più esperti. Chi sceglie di mettere sé stesso al primo posto e vivere la vita come se fosse veramente la sua, non incontra mai il terreno spianato. Ci sono buche, intersezioni, strade barrate.
Fuori dalla scuola, ad attendere Logan, c’era Toby. Era seduto su una panchina e quando tutti cominciarono ad andarsene si fermò a salutare qualche vecchia conoscenza.
Logan passò sperando che non si accorgesse di lui. Non era pronto per parlargli.
Mentre camminava verso la fermata del bus però si sentì strattonare. Ormai era la norma coglierlo di sorpresa.
-Ehi, speravo di incontrarti. Volevo scusarmi per l’altra sera, ho mandato tutto a puttane, vero?-.
Logan si fermò a guardarlo. Era così che se lo sarebbe ricordato negli anni a venire? Come quello che era stato un tempo? Forse, abbassare le difese e ascoltare la sua versione avrebbe reso le cose su cui riflettere più chiare. D’altronde la vita di Toby non era stata meno semplice della sua, anzi, forse anche più difficile. I suoi lo avevano ripudiato, allontanato dalla sua vita a Stanton perché lo vedevano come una vergogna.
Guardare il suo vecchio amico, con la barba più folta del solito e l’aria sbarazzina, lo colpì più della volta precedente. Si rese conto che il tempo e le ferite avevano cambiato anche lui, che una volta flirtava tramite le battute e sapeva sempre cosa dire. Una volta era tutto più bello. Oppure era tutto più sul bordo, e una folata più forte ha fatto cadere ciò che era già traballante. Forse niente era mai stato normale sul serio, ma sopportabile.
In quel momento, rivedendo in Toby il suo migliore amico, Logan capì cosa univa un figlio alla madre: l’amore.
E lui amava Toby, così tanto che averlo perso lo aveva reso un pezzo di carta svolazzante, senza più un riferimento.
Gli tornarono alla mente le parole del Dottor Stewart. Vivi e trova l’amore nei tuoi cari.
E fu tutto più chiaro.
Il suo scopo nella vita non era l’odio, il dolore, la paura. La soluzione non sarebbe stata tantomeno dimenticare, perché solo facendo pace con il passato sarebbe stato onesto con il presente.
Logan abbracciò Toby, che lo strinse a sé liberando finalmente il peso di quegli anni.
-Posso?- chiese Vanessa, che aveva intercettato i due dopo il suono della campanella, ma che era rimasta nascosta per lasciare le redini della situazione al fato.
Toby le sorrise.
-Tutte le volte che vuoi-.
E l’abbraccio dei due si trasformò in un abbraccio di gruppo, di amici ritrovati, di persone che non sarebbero state più un lontano ricordo, ma una certezza.
-Sapevo che prima o poi saremmo finiti in una cosa a tre- scherzò Vanessa, provocando una risata di gruppo.
Sì, quella notte era ancora presente, ma così Toby e Vanessa. Ormai non era altro che parte della storia del nuovo mondo di Logan. Un mondo aperto a tutte le possibilità, all’amore e non all’odio, al perdono e non al rancore.
Trevor rimase spiazzato nel vedere la scena da lontano, ma non fu troppo sconcertato, perché accettava di non sapere tutto e di dover impegnarsi, se quello che voleva davvero era stare con Logan.
Finalmente, accompagnata dalla brezza della stagione estiva, la pace era tornata a cullare le vite dei ragazzi.  

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Capitolo 8
*** La lettera ***


Il penultimo giorno di scuola, Logan, Toby e Vanessa si riunirono a casa della ragazza per una serata popcorn e cinema. Fino a quella sera, Toby non aveva ancora rivelato le informazioni relative al suo piccolo viaggio in solitaria. I suoi genitori non si erano ancora fatti vivi e lui stava esaurendo i fondi per pagare il motel in cui soggiornava.
-Onestamente, i tuoi sanno che sei qui?- chiese Vanessa, bevendo un sorso d’acqua, seduta sul letto. Toby esitò nel rispondere, poi si imboccò una manciata di popcorn.
-Diciamo che è complicato da spiegare- rispose spostandosi dalla sedia girevole alla finestra, leggermente aperta. L’aria era torrida ma in camera di Vanessa era in funzione un ventilatore che rendeva l’atmosfera più rilassante. Era come trovarsi in vacanza ai Tropici, con la brezza marina a spezzare la monotonia del caldo.
Logan si coprì la faccia con le mani.
-Toby, non sarai scappato?- chiese con timore.
Ancora una volta, l’amico esitò.
In quei giorni si erano aggiornati sugli ultimi avvenimenti: Trevor, Vanessa e il suo ragazzo, la vita a Stanton dopo la notte al Rainbow. Tuttavia della vita di Toby dopo Stanton i ragazzi scoprirono sorprendentemente poco. Forse era stata molto noiosa, oppure Toby preferiva non parlarne perché si stava trovando bene lì con i suoi veri amici. Il ragazzo si sedette accanto a Vanessa.
-Fino a qualche giorno fa… ero bloccato in un collegio, per volontà dei miei- spiegò, senza affrettarsi nel raccontare i fatti, -Uno di quei posti dove si cerca di correggere quello che non va nelle persone-.
Vanessa avvolse un braccio intorno alle spalle dell’amico, guardando Logan con uno sguardo d’intesa.
-E cos’avrebbero corretto in te?- chiese la ragazza, mantenendo un tono di voce pacato.
Non serviva una risposta per quella domanda, ma Toby trovò comunque le forze per risponderle.
-La mia omosessualità-.
Il cuore di tutti sembrò fermarsi per un attimo. Pensare veramente che esistesse un posto del genere era terrificante, e la cosa più dolorosa era sapere che i genitori di Toby ce lo avevano mandato di proposito. Prima o poi sarebbero scoppiati, Logan lo aveva sempre saputo.
-E ci sono riusciti?- domandò lui, cercando di sostenere il contatto visivo con l’amico.
-Beh, mi piace ancora il cazzo, quindi no. Però gli etero mi stanno meno simpatici- scherzò Toby, lanciando un’occhiataccia ironica a Vanessa.
-Ehi, considerami lesbica- esordì lei, provocando una risata generale.
I ragazzi avvolsero Toby in un caloroso abbraccio. La nota positiva era che lui riusciva a scherzare su quello che aveva vissuto.
-Chi è lo stupido che pensa di poter decidere chi vuoi amare?- chiese Logan, ancora esterrefatto dalla precedente rivelazione.
Toby sospirò, -Dunque, la signora Pittsbury, il preside Crowny…-.
Vanessa ridacchiò, -Scusate, ma uno che di cognome fa Crowny non dovrebbe avere alcun diritto di scegliere come devi vivere la tua vita-.
-Già. Lì dentro almeno ho conosciuto persone splendide. Mi hanno fatto capire un sacco di cose. In un modo o nell’altro qualcosa dentro di me sono riusciti a cambiarla-.
Logan e Vanessa tornarono ad ascoltare, incuriositi.
-Incredibile ma vero, durante il mio soggiorno non sono stato con nessuno, sebbene le proposte non mancassero. Ho capito che dovevo mettere in pausa questa sete di sesso che mi guidava e capire cosa volevo dalla vita-.
Un ottimo ragionamento, avrebbe detto la madre di Logan.
-Se questo ti rende felice, allora va bene- lo rassicurò lui.
-Esatto, le esperienze le hai fatte, puoi rilassarti un attimo. Tanto è stato appurato che ti piace la materia C- aggiunse Vanessa. I tre risero ancora.
-Ne vado matto- replicò Toby, fingendo di mordere Logan come uno zombi affamato. Lui scoppiò a ridere e finse di urlare dal terrore.
-La prego signor zombi, non prenda il mio casto fiorellino!-.
Toby si ricompose.
-Aspetta, quindi non l’hai ancora fatto?-.
Logan arrossì.
-No- rispose, quasi sulla difensiva, -Non ho esattamente avuto modo di mettermi a nudo…-.
-…con Trevor- concluse Vanessa. Toby le cadde tra le gambe.
-Dio, quanto è bello. Non ci credo che ti venga dietro- Logan corrugò le sopracciglia, -Non che tu abbia qualcosa che non va, ma… Trevor era così etero!-.
Logan lo pizzicò nella gamba.
-Credo che sia bisessuale, è molto confuso-.
-E’ l’effetto che fai tu, Wolverine- disse Toby, -Tu confondi le idee a tutti-.
Logan ridacchiò, soffermandosi a pensare a quelle parole.
Come aveva confuso le idee a Toby? Di sicuro lo aveva fatto senza accorgersene. Vanessa accese la TV e selezionò l’ultimo film della saga di Saw.
-Forse un film horror non è quello che ci serve, in effetti- corresse poi, scegliendo un altro genere, -L’asso nella manica, che ne dite?-.
Gli altri due concordarono e il film cominciò. Si sistemarono ai piedi del letto, sopra alcuni cuscini colorati. Logan bisbigliò qualcosa a Toby.
-Quindi sei un fuggitivo?-.
Toby gli mise il braccio intorno alla vita, pizzicandolo sul fianco.
-Non stasera. Ora ho raggiunto la mia meta-.
 
 
Ultimo giorno di scuola. Ultimi attimi tra i corridoi, tra i vecchi banchi usurati. Almeno per quell’anno. Trevor e Logan si erano tenuti in contatto via messaggio, mandandosi selfie ed emoticon dolci per tutta la settimana. Uscire insieme era ancora prematuro, secondo Vanessa. Prima dovevano conoscersi meglio e Trevor doveva scegliere da che parte stare.
-Non mi importa che si riconosca in gay o bisex. Quelle sono solo etichette, se gli piaccio e vuole stare con me però deve dimostrarlo- si era detto, più per autoconvinzione che per altro.
Gli venne in mente la notte della festa, quando aveva visto Trevor baciarsi con Olivia Collins. Lui si era scusato, ammettendo che il loro incontro lo aveva fatto sentire esposto. Voleva forse dimostrare di essere ancora un uomo? Perché stare con un ragazzo lo avrebbe reso meno virile? Era di questo che si preoccupavano quelli come lui. In realtà, un ragazzo attratto da un ragazzo non era più o meno importante di uno attratto da una ragazza. Era sempre la stessa persona, con interessi diversi.
Arrivato al suo armadietto, Logan fu colto di sorpresa alla vista di una lettera bianca incastrata tra le fessure metalliche. Nessuno nelle vicinanze però aveva l’aria di avercela messa. Logan spiegò la carta e lesse il messaggio scritto con un pennarello indelebile rosso.
“Trevor non è chi pensi che sia”.
Boom. Colpo di scena.
Logan si guardò intorno nuovamente, senza individuare persone vicine a lui. Camminò fino all’armadietto di Trevor, senza trovarlo. Vanessa era seduta nella zona bar insieme al suo ragazzo e gli amici. Logan le fece un cenno nervoso, che lei captò. Lo raggiunse.
-Che succede?, sei quasi pallido- quasi, ancora doveva valutare la minaccia.  
Le porse il biglietto.
-L’ho trovato prima nell’armadietto- spiegò, incrociando le braccia.
Vanessa parve sconvolta, -Beh, è strano. Hai qualche sospetto?-.
Lui scrollò le spalle.
-Qualcuno che sa di me e Trevor-.
-Non necessariamente, Logan- lo rassicurò lei, -Magari vi hanno solo visti insieme e pensano che siate amici-.
Logan ci pensò su.
-Ma perché scrivermi questo?-.
Vanessa ripiegò il biglietto.
-Dovresti trovare Trevor e parlarne con lui-.
Logan annuì, spazientito.
-Se solo sapessi dov’è-.
-E’ l’ultimo giorno di scuola, sarà da qualche parte con i suoi amici. Tranquillo- commentò Vanessa. I due si salutarono, rimandando la conversazione a più tardi.
Mentre raggiungeva la classe, Logan inciampò in Evan Bennett, il suo compagno di banco a Letteratura Straniera.
-Ehi, tutto bene?- chiese lui, afferrando Logan. La sua testa aveva sbattuto contro il petto di Evan, che risaltava grazie alla maglietta azzurra. Era andato in palestra, di recente? Oppure aveva sempre avuto qualche sfumatura di muscoli?
-Sì, scusa. Non do dove stessi guardando- spiegò Logan, risistemandosi.
-Di certo non davanti a te- scherzò Evan, mostrando i denti con un caloroso sorriso. Logan si accorse dei suoi occhi particolari.
-Eterocromia- aggiunse, e Logan tornò in sé.
-Come?-.
Evan si indicò gli occhi.
-Iride di un colore diverso rispetto all’altra- spiegò.
-Oh! Scusa, me ne sono accorto solo ora- dopo un anno di vicinanza.
-Tranquillo, a dire il vero questa è la prima volta che ci scambiamo più di cinque parole- scherzò Evan, -Ci vediamo, Logan-.
Il ragazzo se ne andò, e Logan gli ammirò il sedere, stretto nei pantaloni felpati. Di recente si era tinto i capelli di grigio, e Logan aveva considerato quel cambiamento coraggioso, soprattutto a Stanton. Lì tutti sparlavano di tutti e poi si fingevano grandi amici.
In classe Trevor non c’era. Ma che…?
La lezione finale proseguì solo per inerzia, e nessuno prestò attenzione alle indicazioni dei professori riguardo ai compiti estivi. Logan inviò un messaggio al suo… amico.
Trev, tutto ok? Pensavo che venissi oggi.”
Nessuna risposta.
A ricreazione, giunse un segno dal cielo. Passando accanto ai membri della squadra di football, Logan intercettò delle informazioni utili.
-Sembra che sia arrivato un membro di famiglia, o qualcosa del genere- spiegò a Vanessa, mentre finiva di masticare la barretta energetica.
-Odio i famigliari inaspettati- intervenne Craig, il ragazzo di V.
Logan lo salutò e lei lo baciò in bocca. La situazione si fece presto imbarazzante. I due presero a sbaciucchiarsi guidati dalla passione.
-Poteva scriverti però- aggiunse lei, liberandosi dalla presa di Craig.
-Chi?- chiese quest’ultimo. Vanessa lo picchiettò sulla spalla.
-Gossip tra ragazze, baby-.
Logan le lanciò un’occhiataccia. Craig capì e si fece da parte.
-Non stiamo insieme, gli posso concedere il beneficio del dubbio- concluse Logan.
 
Fine. La campanella terminò la sua lunga sentenza, e tutti fuggirono dalla scuola. Uscendo, Logan riconobbe Toby tra la mandria di ragazzi che passava sotto il portico.
-Ehi- fece lui, abbracciandolo. Logan lo trascinò lontano da sguardi indiscreti.
-Ho un problema- disse. Toby sospirò.
-Siamo in due-.
Logan rimase interdetto, -I tuoi ti hanno trovato?-.
Toby scosse la testa.
-Non ancora, ma non posso più permettermi il motel- spiegò.
Logan gli carezzò la spalla.
-Tranquillo, puoi stare da me-.
-Sul serio, non voglio sentirmi un peso per te e tua madre-.
-Non lo sei, scemo. Finché non troveremo una soluzione, starai da me-.
Ma l’avrebbero trovata?
Logan prese il foglietto dallo zaino e lo mostrò all’amico.
-Che palle, ma quanti anni devi avere?- chiese Toby in modo sarcastico.
Soprattutto, perché scrivere un biglietto così l’ultimo giorno di scuola?
-Ora sono nervoso e in ansia, non ho più sentito Trevor-.
Ding. Nuovo messaggio.
“Scusa Lo, posso farmi perdonare. Vengo da te?”
-Hm… e come farà a redimersi?- chiese Toby, ammiccando ad un sorriso malizioso.
Logan arrossì e rimase senza parole.
-Non lo so, ma sono decisamente curioso-.

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Capitolo 9
*** Dolore ***


-Sei pronto per gli esami finali?- chiese Logan, porgendo al ragazzo un bicchiere di acqua naturale. Trevo ne bevette un sorso.
-Decisamente no, ma sto lavorando molto per recuperare le materie nelle quali non vado forte- spiegò, fingendosi tranquillo.
Logan gli strinse una mano.
-Se hai bisogno di aiuto puoi chiedere anche a me-.
Trevor sorrise e lo baciò in bocca. Logan capì che, in quel momento, parlare delle preoccupazioni relative al futuro non era necessario. Entrambi i ragazzi si lasciarono trasportare dai baci ardenti.
Aspetta, io non l’ho mai fatto.
Si spostarono in camera di Logan, sicuri che in casa non ci fosse nessuno.
Almeno la doccia l’ho fatta, spero di non puzzare.
Le loro labbra continuarono a toccarsi, lasciando spazio per fare entrare e fuoriuscire le lingue. Ci fu un intenso scambio di saliva.
Dovremmo sdraiarci?
Logan strattonò la maglia di Trevor ed entrambi caddero sul letto, il primo schiacciato dai muscoli dell’altro. Ridacchiarono.
Che cosa pensavo?! Gli sarà piaciuto il mio spirito d’iniziativa?
Trevor si sfilò la maglia e… D I O.
Merda. Merda. Merda. Non posso competere con quella quantità di muscolo.
L’addome del ragazzo era decisamente scolpito, così come il petto. Aveva l’aspetto di un giocatore di football, in tutto e per tutto. Inaspettatamente, almeno per Logan, Trevor gli tolse la maglietta e prese a baciargli la pelle.
Cavolo, per non essere mai stato con un ragazzo ci sa fare.
La sua lingua compiva piccoli centri concentrici attorno ai capezzoli di Logan.
Ben presto si sfilarono anche i pantaloni, e i baci e le carezze si diressero altrove. Trevor maneggiava Logan come se avesse studiato quei movimenti centinaia di volte. Non voleva farsi mancare nulla da quel momento, quindi tolse il cartellino “vietato ai minori” e lo gettò fuori dalla finestra. Si posizionò dietro Logan e gli baciò il sedere, chiappa dopo chiappa.
Poi spinse la lingua in profondità e si gustò quello che aveva tanto ardito.
Logan fu travolto da un’immensa ondata di piacere.
Nonostante ciò, continuò a chiedersi se fossero andati troppo oltre e come mai il suo amante fosse così esperto. La risposta ancora non gli interessava.
Poi le parole vere.
-Ce l’hai un preservativo?-.
Aiuto.
 
 
I ragazzi erano sdraiati nel letto, Logan tra le braccia di Trevor.
Non poteva negarlo, gli bruciava il sedere. Forse i porno non erano così affidabili come pensava. Tutti sembravano sempre estasiati di farlo, senza provare alcun tipo di dolore.
Attori, pensò. Maledetti bugiardi.
Tentò di non pensarci, perché era un male minore che sarebbe passato nel giro di uno o due giorni. O una settimana. Ammettiamolo, Trevor era dotato.
Basta pensieri sporchi.
-E’ stato…- cominciò Logan.
-Fantastico- terminò Trevor.
Logan esalò un lungo respiro.
-Tu non eri vergine, vero?- chiese.
-Avevo già fatto sesso, con ragazze-. rivelò Trevor.
Nulla di nuovo, almeno per quanto aveva ipotizzato Logan.
-E con i ragazzi niente?-.
Trevor esitò.
-Tu sei il primo-.
Logan si sentì onorato, e felice di poter ricambiare quella confessione. Aveva sempre temuto di fare la stessa fine di Toby: a letto con sconosciuti e mai con qualcuno di importante. La sua prima volta era stata con un ragazzo del quale si stava piano piano innamorando, che metteva in dubbio ogni cosa in cui credeva.
Quella non era stata “solo” la sua prima volta, perché aveva anche rappresentato il culmine della sua rinascita, il punto di svolta.
Sentiva che sarebbero cambiate molte cose.
Il telefono di Logan continuava a illuminarsi con notifiche di messaggi.
 
“Sei stato aggiunto ad un nuovo gruppo: Logan ha perso il fiore”
V: Scusa, e questo?
T: Mentre impacchettavo le cose per spostarmi da Wolverine non ho potuto fare a meno di condividere con te questa novità.
V: Vai da Logan? Stasera usciamo tutti e poi dormiamo insieme.
V: Logan ha perso il fiore?!
T: Dio, quanto mi mancava questa vita.
L: Smettetela, pervertiti.
 
Logan appoggiò il telefono sul comodino accanto al letto e si alzò per andare a fare una doccia. Invitò anche Trevor, che lo seguì. Due corpi nudi, uno sull’altro, che si accettavano per quello che erano stati e per quello che sarebbero potuti essere. Niente giudizi, niente parole superflue. Partire dal necessario era un buon inizio.
Arrivò la sera, e il sole, affievolendosi, accompagnò i ragazzi per la strada verso casa di Trevor.
-Cosa farai dopo? Cosa ti attende al di là di Stanton?- chiese Logan, sorridendogli.
-Ho fatto domanda per qualche college con orientamento sportivo, quindi spero solo di scegliere quello migliore per me e il più lontano da qui-.
Logan sentì il cuore stringersi, e Trevor si accorse del cambiamento nella sua espressione.
-Però c’è ancora tempo e soprattutto c’è l’estate- corresse, ma era troppo tardi, perché aveva detto la verità. La loro relazione era destinata a finire, in un modo o nell’altro.
Era inutile prendersela, Logan non avrebbe mai potuto fermare Trevor dal seguire i suoi sogni, per quanto volesse far parte di loro. Era stato accecato da quei mesi, dai messaggi, i baci, la passione, e ora doveva affrontare la realtà dei fatti.
Arriva un momento nella vita in cui il cambiamento è inevitabile, e in certi casi cambiare fa male. Il sacrificio è parte di noi, parte dell’evoluzione, per quanto vogliamo fingere che non sia vero e che sia solo una scelta estrema.
Era stato bello, molto bello, e sicuramente sarebbe stato altrettanto emozionante passare tre mesi insieme a Trevor, preparandosi piano piano al distacco. Ma Trevor aveva le stesse intenzioni di Logan? Voleva passare anche lui i suoi ultimi mesi a Stanton insieme al suo… amico?
-Che ne sarà di noi? Dico d’ora in poi- sottolineò Logan, cercando di ragionare a mente fredda.
Trevor scosse le spalle.
-Continueremo quello che abbiamo già iniziato, questo non cambia nulla-.
-Invece sì, Trevor. Scusa, ma cambia tutto. Non voglio fare una scenata ma noi non ci vedremo più, e tu lo sai-.
Trevor smise di camminare.
-So che saremo distanti, e che non so se sarà facile. Ma cosa è stato facile finora?-.
Di sicuro lì aveva ragione. Tra il coma, il post e la nuova vita, niente era stato semplice. Logan si era gettato troppo fiducioso in quel rapporto, pensando che fosse la sua manna dal cielo, la sua pausa?
-Hai ragione, non avevo ancora pensato a questo, scusa. Sono stato assorto in… questo- spiegò, poi, -Non vorrei che finisse-.
Trevor si guardò intorno e baciò il ragazzo in bocca.
-Andrà come deve andare, nel frattempo godiamocela-.
Logan restò in quel punto della strada, mentre l’altro si incamminava verso la sua abitazione. Improvvisamente si ricordò della lettera, ancora piegata nei suoi jeans, e avanzò rapidamente verso l’altra parte della strada.
Non voleva urlare il nome di Trevor, perché qualcuno avrebbe sentito e non era certo che tutti sapessero della loro “amicizia”.
Giunse sul suo vialetto mentre il ragazzo entrava in casa, accolto da un famigliare.
-E’ questa l’ora di tornare a casa?- chiese il tizio alla porta d’ingresso.
Trevor gli indicò di levarsi di torno.
-Sei mio fratello, non papà, Warren. Spostati-.
Logan indietreggiò, inizialmente per non disturbare i due, poi per paura.
Non solo paura. Terrore.
La voce era la stessa e il volto, illuminato dalla luce del portico, anche.
Non poteva essere, doveva aver avuto un’altra allucinazione, eppure sembrava così reale e vivido.
Poi realizzò dell’altro.
Quella notte, poco prima che perdesse i sensi, qualcuno aveva cercato di interrompere la colluttazione.
-Basta, Warren. Che cazzo, non vedi che lo stai ammazzando?- urlò il ragazzo misterioso.
Eppure non era più un ragazzo misterioso.
Warren rientrò in casa sghignazzando dietro Trevor, chiudendosi la porta alle spalle, in faccia al ragazzo al quale aveva portato via tutto. Logan restò sul vialetto, tremolante, quasi sul punto di spegnersi.
 
25 DICEMBRE, MEZZANOTTE.
-Ehi, passerine- canzonò un membro del gruppo di ragazzi che circondava una macchina al bordo della strada.
Toby gli lanciò un’occhiataccia, pronto a rispondergli.
-Toby, ti prego, non rispondere-.
Logan cercava di trattenerlo, continuando a camminare.
-Coglioni- replicò poi Toby, a bassa voce, ma non abbastanza per lasciar passare la faccenda.
-Che cazzo ha detto quel frocio?- chiese sarcasticamente lo stesso ragazzo di prima.
Toby strinse i denti.
-Merda- disse Logan, incrociando le braccia.
Continuarono a camminare, quando Toby si sentì tirare per la giacca.
Voltandosi, ricevette uno spintone, che lo scaraventò sull’asfalto bagnato.
Logan si gettò contro il ragazzo che aveva attaccato il suo amico.
-Che cazzo fai?- gridò, spingendolo via. Studiò il suo volto, i suoi tratti sporchi, il suo abbigliamento trascurato.
-Warren, ti serve una mano?- intervenne qualcuno da dietro.
Warren sorrise, scuotendo la testa.
-Per adesso no!-.
Poi sferrò un pugno in faccia a Logan, e un altro nella pancia, togliendogli il respiro momentaneamente. Toby gli corse incontro e agitò gli altri membri del gruppo, che si apprestarono a partecipare allo scontro.
Logan provò a rialzarsi ma si trovò sopraffatto da tutti quei colpi, quando per un momento il dolore diventò così forte che gli sembrò di non soffrire più.
 
 
Nonostante avesse la vista offuscata dal sangue che gli era finito su tutto il volto, sentì quel “Basta, Warren. Che cazzo, non vedi che lo stai ammazzando?”.
Se ne ricordò tardi, stranamente, anche se di sicuro lo aveva sempre saputo. Serviva un pezzo del puzzle perché tutto si allineasse e si rendesse conto che la persona con la quale aveva passato gli ultimi mesi era anche stata la persona che lo aveva distrutto.
 
 
-Stanne fuori Trevor, o le prendi anche tu stasera- ruggì Warren, strattonando il fratello.
 
Logan si incamminò verso casa, pensando a quello che aveva appena visto.
Entrò in camera, e trovò il letto ancora disfatto. Si era dimenticato di sistemarlo, o l’aveva fatto apposta per ricordarsi quel pomeriggio insieme a…
Insieme a…
Non riusciva a pronunciare il suo nome.
Dalla sala arrivarono le voci di Laura e Toby, intenti a conversare riguardo al caldo estivo che sarebbe stato insopportabile.
Logan cadde ai piedi del letto, scivolando lentamente sul tappeto, con le lacrime agli occhi. Lacrime piene di rabbia, dolore, tradimento, dolore, dolore.
Dolore.
 

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Capitolo 10
*** I ricordi di Vanessa ***


26 Dicembre
 
Vanessa si alzò alle nove e trenta, felice di aver dormito le ore necessarie per mantenere chiara la pelle intorno ai suoi occhi. Dalle finestre della camera proveniva una luce debole. Le nuvole di una pioggia imminente coprivano il sole. Ormai il clima era da accettare così: incerto, ma sicuramente freddo. La ragazza si stirò sotto le coperte, mormorando un verso di soddisfazione. La sveglia non era ancora suonata.
“Ho dimenticato di inserirla?”, pensò Vanessa, controllando il telefono.
Aprì l’app Orologio, e scoprì di aver segnato la sveglia per le dieci. Si sforzò di pensare al momento in cui lo aveva fatto, ma le tornarono in mente i bicchieri di vino rosso che aveva bevuto la sera prima. Risolto il dilemma. Notò diverse chiamate perse, ma non le controllò.
Accese il Wi-Fi e dopo qualche secondo apparvero sullo schermo decine di notifiche di messaggi. Toccò l’icona di iMessage, poi il primo dei nomi illuminati.
Uno dei suoi migliori amici, Toby, l’aveva tartassata di SMS, alcuni più lunghi di altri.
 
Toby: Logan è in ospedale.
Toby: Cazzo Vanessa ci hanno picchiati, ti prego rispondi.
Toby: Rischia di morire, non mi hanno detto niente, stanno arrivando i miei genitori e penso che abbiano chiamato anche i suoi.
Toby: Mentre uscivamo dal Rainbow un gruppo di pezzi di merda ha picchiato Logan e lo hanno ridotto molto male, non so cosa fare, mi hanno medicato le ferite ma ho bisogno di sapere come sta. Ti prego V rispondi…
 
Vanessa trasalì, e si sentì tremare il corpo. Stava per avere un attacco di panico? Da piccola le capitava spesso. Un momento era felice e giocosa, quello dopo il mondo attorno a lei sembrava volerla inghiottire. Crescendo, la situazione era senz’altro migliorata, ma vedere quei messaggi le stava facendo ricordare che prima o poi le cicatrici tornano a prudere.
Provò a chiamare Toby, poi Logan, senza ottenere risposta. Subito dopo realizzò che non avrebbero potuto rispondere, dall’ospedale. Ma Toby le aveva scritto, quindi doveva essere al sicuro. In effetti, anche Logan era al sicuro, no?
Vanessa corse da sua madre Karen, che stava piegando i vestiti appena usciti dalla lavatrice. Lei la vide tremare, con il volto più pallido del solito, e le chiese cosa stava succedendo.
-Mi ha scritto Toby, ha detto che Logan è stato picchiato e sono in ospedale. È grave, mamma- spiegò la ragazza, incapace di trattenere le lacrime. Sua madre le si avvicinò e la strinse tra le braccia.
-Tranquilla, respira- pronunciò con calma, tentando di evitare una crisi, -Vuoi andare in ospedale? Sicura che non sia uno scherzo?-.
Vanessa restò abbracciata alla madre, mentre faceva respiri lunghi e profondi.
-Non può essere uno scherzo, lo so. Dobbiamo andare, mamma-.
 
 
Il primo giorno alle superiori fu un trauma.
Nessuno l’aveva preparata ad un cambiamento così significativo.
Professori più esigenti, amici nuovi. Trasferirsi a Stanton, dalla grande città, era stato un duro colpo. I ragazzi sembravano morti viventi, e gli adulti rassegnati. Tutto pareva spento.
I genitori di Vanessa le avevano detto di prenderla come una nuova avventura.
-Nella vita non sarai sempre ferma in un unico luogo, ed è giusto così- le spiegò suo padre, mentre impacchettava i suoi averi.
-Lo dici solo perché ce ne stiamo andando- ribatté lei, sbuffando.
I suoi compagni di scuola, la sua casa, il vialetto, sarebbero diventati un ricordo.
Arrivata alla scuola superiore di Stanton, Vanessa pensò di voltarsi e tornare a casa sua, la sua vera casa, camminando. Ci sarebbe voluto qualche giorno, ma avrebbe sicuramente trovato un appoggio a casa di… nessuno.
Non le vennero in mente amici così fidati.
Che peccato. Tornò indietro e camminò verso il nuovo armadietto.
La serratura si sbloccò solo dopo qualche tentativo, e le pareti metalliche videro la luce.
Vanessa depositò i libri delle ore successive, per alleggerire il carico dello zaino, poi richiuse l’armadietto.
“Chissà se a fine scuola lascerai un segno”, pensò la ragazza, passando le dita sulle fessure di metallo.
Qualcuno la urtò da dietro.
-Scusa, non ti avevo vista- disse il ragazzo che le aveva colpito la spalla.
Lei sorrise.
-Nessun problema-.
-Sei nuova?-.
-Cosa mi ha tradita, l’abbigliamento?-.
Vanessa indossava stivaletti neri, jeans chiari e un leggero maglione di lana beige. Nulla di stravagante.
Il ragazzo la osservò.
-Beh, hai l’aspetto di una che non sa come sarà il meteo nella nuova città. Te lo dico io: pessimo. Ventiquattr’ore su ventiquattro-.
Vanessa sorrise nuovamente, sentendosi in leggero imbarazzo.
-A volte però ci viene concesso un piccolo assaggio di bel tempo, tranquilla. Siamo tutti più sorridenti con il sole-.
Lui allungò la mano.
-Toby-.
-Vanessa, piacere di conoscerti-.
A fine giornata i due si erano già scambiati le informazioni di base per una promettente amicizia. All’una trovarono un tavolo libero nella mensa e vi si sedettero, sistemando zaini e vassoi con il cibo.
-Sai, pensavo che vivere qui avrebbe fatto schifo, ma in realtà ora sto bene. Volevo ringraziarti, Toby-.
Lui finse di essere lusingato.
-Presto ti renderai conto di esserti cacciata in un bel guaio-.
Indirizzò lo sguardo verso qualcuno oltre Vanessa, che si voltò incuriosita.
-Tutto bene?- chiese lei.
Toby esitò, poi emise un verso di rassegnazione.
-Guarda quel ragazzo, non pensi che sia carino?-.
Vanessa cercò tra la folla la persona d’interesse, poi si fermò.
-Aspetta…-.
-Sì, mi piacciono i ragazzi, ops. Forse ho dimenticato di menzionarlo, è un problema?-.
La ragazza non rispose subito. Si chiese se fosse veramente un problema per lei. Lo sarebbe stato per qualcun altro? Perché doveva esserlo, poi?
-Basta che non ci mettiamo a litigare per lo stesso tipo- rispose.
Toby ridacchiò.
-Basta, ho siglato l’accordo. Sei ufficialmente la persona migliore della scuola, e mia amica-.
Vanessa partecipò alla risata e si sentì fiera. Aveva un amico, per quanto strano potesse essere.
-Allora, quel ragazzo, chi è?-.
Toby tornò ad osservare al di là dell’amica.
-Non lo so ancora, ma sembra un cucciolo sperduto. Invitiamolo a sedersi con noi!-.
Lei provò eccitazione.
-Sì, perché no?-.
Toby cercò di incrociare gli occhi con quelli del misterioso ragazzo, e gli sorrise. Non era un sorriso qualunque, perché a Vanessa trasmise una sensazione di pace e tranquillità. Le dava l’idea di essere un sorriso del quale ci si poteva fidare.
Nel giro di qualche secondo, un ospite si unì alla tavolata.
-Vanessa, ti presento Logan- disse Toby, simulando una stretta di mano.
Logan sorrise a Vanessa e sistemò lo zaino.
-Mi avete appena salvato, vi ringrazio- confessò.
 
 
Non poteva vederlo. Nessuno, oltre i genitori, poteva farlo.
-Terapia intensiva- specificò la dottoressa con la quale avevano parlato.
Vanessa cercò Toby per i corridoi dell’ospedale, ma non riuscì a trovarlo.
Si sentì terribilmente sola.
-Dove sono tutti, mamma?-.
Karen la strinse tra le braccia.
-Ho paura-.

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Capitolo 11
*** La scelta migliore ***


Vanessa e Toby ascoltavano senza battere ciglio la descrizione degli eventi.
Logan raccontava passo dopo passo ciò che aveva visto e compreso, perché quello era il fatto più terribile di tutti: scoprire che il ragazzo con il quale avevi avuto un rapporto sessuale, quasi definito come “amore”, in realtà ti aveva strappato via amici e genitori e non ti aveva mai detto nulla.
Ehi, a proposito, io e mio fratello ti abbiamo pestato e spedito in un coma dopo il quale hai scoperto che il tuo migliore amico era sparito.
Oppure.
Logan, devo confessarti una cosa terribile, della quale mi pento molto. Io ero lì, quella notte, e ho visto tutto.
Di sicuro non l’avrebbe perdonato, ma avrebbe capito più di quanto faceva in quel momento. Perché Trevor non glielo aveva detto? Cosa voleva da lui?
-Era tutta una finzione?- chiese Logan, soffiandosi il naso, coccolato dalle braccia degli amici. Vanessa gli carezzò il viso. Toby si alzò in piedi e camminò avanti e indietro, sfregandosi le mani sulle braccia.
-Logan, qualunque cosa sia stata, non può passarla liscia. Tu dei due hai vissuto il peggio, ma anche io sono stato ferito da quei pezzi di merda. Non posso permettere che la sua vita vada avanti mentre noi ancora viviamo le conseguenze di quella notte- enfatizzò poi.
Vanessa strinse Logan tra le sue braccia.
-Tesoro, noi ti staremo vicini, ti vogliamo bene. E per quanto l’intera faccenda sia terribile, devo dare ragione a Toby. Hai la possibilità di avere giustizia, ora-.
Logan si asciugò le lacrime dagli occhi con la mano e singhiozzò.
-Io non volevo giustizia, volevo solo andare avanti-.
Toby si mise le mani tra i capelli e si sedette alla scrivania di Logan, dove notò con piacere che la sua foto insieme ai due amici era tornata.
-Ti ha scritto o chiamato?- chiese, impaziente.
Logan guardò il telefono e ridacchiò.
-Mi chiede se sono tornato a casa sano e salvo- esclamò, mischiando sarcasmo e dolore a formare un nuovo tipo di tono, -Potevi preoccupartene quando mi hai lasciato a morire in un parcheggio, figlio di puttana-. Gettò il telefono contro le coperte.
Vanessa scese per prendere qualche bicchiere d’acqua, scossa da quella serata, dall’essere tornata con i suoi due migliori amici. Tutto questo era necessario, pensò, dopo aver perso più di un anno. Solo che vedere il suo amico ancora sofferente la faceva sentire in colpa. Pensò che sarebbe dovuta restare sin da subito, invece era tornata.
In cucina, Laura era seduta a sorseggiare un bicchiere di vino rosso. Sorrise alla ragazza, lasciando intravedere nel suo volto i segni del tempo e del dolore.
-Ha sentito tutto, vero?- chiese Vanessa, sedendosi di fronte alla donna.
Laura annuì, guardando il liquido scuro nel suo bicchiere.
-So che dovrei essere lì con lui, ora- disse, -Ma un po’ più di sua madre, ora Logan ha bisogno di voi. Ha bisogno dei suoi amici-.
Vanessa sorrise, capendo che la sua presenza sarebbe stata fondamentale per aiutare il suo amico.
-Ci saranno dei provvedimenti, vero?- chiese, alla madre di Logan.
-E’ inevitabile, e la cosa giusta. Quando vedo tutto il male che ha vissuto mio figlio penso di non essere stata una brava madre. Non ho saputo proteggerlo, ma in questo momento so che posso compiere la scelta migliore e permettere che si faccia giustizia-.
 
Toby si stese accanto a Logan, e gli strinse le braccia intorno.
-Non piangere, Logan. Ti prego, perché se piangi piango anche io-.
Logan si girò verso l’amico.
-Sto tanto male, Toby-.
-Lo so, e non voglio che tu stia male-.
-Non so come fare. Non so come riprendermi, sento di aver perso tutto di nuovo-.
Toby lo strinse di più.
-No, Logan. Non hai perso Vanessa, non hai perso me. Sono qui ora, ti proteggo io-.
Logan lasciò che l’amico asciugasse le sue lacrime.
-Per tutto questo tempo ti ho odiato, e ho sperato di non vederti più, in un certo senso. Ora invece ho bisogno di te più di chiunque altro, Tob- confessò.
-Lo so, Logan. Anche io mi sono odiato per aver permesso che mi allontanassero da te. Ma l’odio non fa parte di noi, e dobbiamo combattere per allontanarlo dalle nostre vite. Non so se quello che c’è stato tra te e Trevor sia genuino, ma ora devi pensare a ciò che è meglio per te-.
-Hai ragione, ma è così dura. Vorrei solo guardarlo negli occhi e chiedergli: perché?-.
Toby aiutò Logan a sollevarsi, sostenendo il bicchiere d’acqua portato da Vanessa.
-Se vuoi andiamo a chiederglielo- propose lei.
Toby le lanciò un’occhiata stile non-ci-provare.
Logan bevve l’acqua e volse lo sguardo all’amica.
-Ora?- chiese.
Vanessa si rivolse ad entrambi.
-Sentite, è la vostra occasione per poter mettere un punto all’intera storia. Andiamo, gli spilliamo le informazioni e lo mandiamo a fanculo-.
Logan singhiozzò.
-Ma io non riesco a mandarlo a fanculo. Mi stavo innamorando di quel bastardo. Ci ho scopato, abbiamo fatto… cose- confessò, cercando di tornare in sé.
Toby sospirò, e Vanessa lo spinse.
-E’ anche la tua occasione, Toby. Prima che sia troppo tardi e la passino franca-.
Logan si alzò, raggiunse il guardaroba e prese una camicia bianca. La indossò, togliendo prima la maglietta impregnata di lacrime.
-Tesoro, come fai a resistere con questo caldo?- chiese, stupita, Vanessa, che indossava una canottiera sportiva e dei jeans corti.
Toby si portò davanti all’amico.
-Voglio che ricordi come ero vestito quella notte- disse a bassa voce Logan, temendo di non essere compreso dagli altri due.
Toby lo guardò negli occhi e lo aiutò a chiudere la camicia.
-Avevi anche la giacca di pelle, ed eri veramente figo-.
 
 
Quella sera si respirava aria di battaglia. Le strade erano insolitamente vuote, nonostante fossero quasi le dieci. I ragazzi erano sgattaiolati fuori dalla casa, ma Laura sapeva dove erano diretti. Non era necessario origliare attraverso le leggere pareti per capire che quella notte sarebbe successo qualcos’altro.
Logan, Trevor: ultimo round.
Il dolore era ancora presente, ma era giusto che avesse le sue risposte, le meritava. Era grazie ai suoi amici che si era alzato dal letto. Non avrebbe più aspettato altro tempo.
Scrisse a Trevor, chiedendogli di uscire per incontrarlo.
-Sicuro di farcela? Noi siamo qui- disse Vanessa, abbracciandolo.
Toby accettò di non prendere parte immediatamente alla discussione.
-Ho odiato quella notte, ho voluto dimenticarla e invece ci devo convivere. Ora, voglio metterci una pietra sopra una volta per tutte- concluse Logan, avviandosi verso la casa di Trevor.
La camicia bianca aderente lo faceva brillare nella notte, sotto la luce dei lampioni. Era sempre il Logan carino che Toby aveva visto un anno prima.
Durante le vacanze di Natale dell’ultimo anno, Logan provò paura ad uscire di casa. Il ricordo temibile di quei colpi tornò a farsi sentire, e lui cominciò a temere che i suoi aggressori lo aspettassero in giardino. Era passato un anno, come avrebbe sopportato ciò per il resto della vita?
Nonostante avesse creduto nella pace e nelle seconde possibilità, Logan voleva vendetta.
Attese l’arrivo di Trevor e raddrizzò la schiena, innalzandosi di fronte a lui.
Trevor parve incerto.
-Ehi, che succede? Come mai sei così elegante? Ma, hai pianto?-.
Tante domande, più di quante volesse porgli Logan.
Invece di rispondere, lui sospirò, cercando le parole migliori.
-Volevo vestirmi elegante, per piacere a qualcuno- cominciò, e Trevor sorrise.
-Pensavo, non so, che se mi fossi vestito bene allora le mie possibilità di rimorchiare veramente un ragazzo sarebbero aumentate-.
Trevor continuava a sorridere, ma non era sicuro di afferrare l’argomento.
-Più tardi ho capito che non era l’abito a fare il monaco. Puoi essere vestito bene quanto vuoi, ma alla fine è chi sei che ti permette di farti conoscere sul serio-.
Logan gli si avvicinò di più.
-Poi qualcuno ha picchiato me e il mio migliore amico, senza disturbarsi in presentazioni superficiali, senza chiedere com’era andata la serata… nulla era più importante degli insulti e dei pugni. Continuo io o pensi di sapere come continua la storia?-.
Trevor impallidì.
-Cosa intendi?- chiese.
Logan corrugò le sopracciglia.
-Forse hai bisogno di più dettagli, di sicuro ero così poco importante mentre tuo fratello mi uccideva che ti sarò sfuggito. Proprio lui, è stato il primo a punzecchiarci, e l’ultimo che ho visto prima di finire in coma per un mese. UN MESE, Trevor-.
Dopo quella ulteriore spiegazione, Trevor capì che Logan sapeva tutto.
Sembrava un manichino: immobile, inespressivo.
L’unica emozione che si poteva cogliere sul suo volto era la paura.
-Logan, tu… sapevi tutto? Io…- e rimase in silenzio, guardando l’espressione di Logan, deluso e schifato.
-No, tu sapevi. E sei stato zitto, per tutto questo tempo. Hai persino cercato di difendermi, la sera a cena da me. Sei quasi peggio di tuo fratello- ringhiò Logan.
Trevor cercò di prendergli le mani.
-Ti prego, tu devi capire che la mia vita non è stata facile. Mi sono sempre dovuto nascondere per via di mio fratello, quella sera non so nemmeno perché fossi con lui- spiegò nervosamente.
Logan lo allontanò.
-La tua vita non è stata facile? Qui non si tratta di un’incomprensione, Trevor. Voi ci avete picchiati e io sono rimasto in coma. Ho perso quasi la vita e ho perso i miei amici. Mia mamma non riusciva a guardarmi per quanto ero messo male in faccia. Nel frattempo, la vostra vita andava avanti, Trevor. Questo non è stato facile. Sapere che voi l’avevate fatta franca, e io no-.
Vanessa e Toby si fecero avanti.
-Sapranno tutti chi sei, Trevor- cominciò Toby.
Trevor incrociò le braccia, zitto, senz’altro da dire.
-La cosa triste, è che non potranno conoscerti come quello che ho conosciuto io- aggiunse Logan, -Il ragazzo per il quale mi stavo innamorando- e le lacrime tornarono a premere dietro i suoi occhi.
Anche Trevor lottò per non piangere. Fu inutile.
-Scusa, Logan. Ti prego, perdonami. Ho sbagliato, cazzo, non avrei mai voluto tenere segreto quello che è successo. Avevo paura di affrontare le conseguenze, ma quello che c’è tra noi, quello che c’è stato, è vero. Tu mi hai conosciuto per chi sono veramente. Quella sera non ti ho picchiato, ho cercato di fermarli. So che non mi puoi perdonare, ma non avrei mai voluto trovarmi in questa situazione-.
-Fidati di me, neanche io mi sarei voluto trovare qui, in queste circostanze- replicò, Logan.
Toby gli si avvicinò.
-In tutto questo tempo avresti potuto fare la cosa giusta e denunciare tuo fratello, invece hai preferito credere che la sua libertà importasse più delle nostre vite- disse.
Trevor cominciò a tremare.
-Denuncia? Io.. non pensavo che fosse necessario-.
Gli altri tre rimasero sconvolti.
-Sei serio? E cosa pensavi che sarebbe successo? Forse che vi avrebbero fatto pagare una multa? Danni fisici, psicologici, crimini d’odio. E’ una bella collezione d’illegalità, non trovi?- sbottò Toby.
Trevor provò a parlare ma la porta si aprì.
-Ehilà- esordì Warren, accendendosi una sigaretta sotto il portico.
Passarono dei secondi preziosi, e non riconobbe né Toby né Logan.
Ovvio. Perché avrebbe dovuto? Lui non li aveva guardati in faccia, prima di distruggerli. Non aveva pensato a quella notte per un anno intero, e non aveva perso tutto, dopo.
Vanessa si avvicinò a Toby, sussurrandogli che era ora di andare.
Logan rimase per un attimo in piedi di fronte a Trevor.
Esitò nel muoversi ulteriormente, poi si spinse a baciarlo in bocca.
Trevor accolse il bacio, scoppiando a piangere.
Staccando le labbra dalle sue, Logan lo capì.
Realizzò che sotto quella corazza c’era un ragazzo fragile e spaventato, che aveva bisogno di abbandonare tutto per trovare sé stesso.
Warren borbottò qualcosa, spegnendo la sigaretta.
Suo fratello, ormai arreso di fronte alla realtà, restò a guardare il ragazzo che amava andarsene, sofferente.
Già, certi cambiamenti richiedevano sacrifici.
Altri, necessitavano di una rinascita.
Andandosene, Logan tirò un sospiro di sollievo, accettando che la scelta migliore sarebbe sempre stata la più difficile.
 
 

 

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Capitolo 12
*** Ci troveremo sempre ***


Il giorno seguente, a casa di Trevor si presentò la polizia, a capo dell’agente che aveva seguito la vicenda sin dall’inizio. La notte prima, Logan andò in città con Vanessa e Toby, e comprarono due bottiglie di vino, brindando alla libertà. Camminarono verso la spiaggia, passeggiando lungo la riva, carezzati dalla fredda sabbia. Alcune coppie si baciavano, gruppi di amici ridevano, i guardiani li rimproveravano. Vivere quella realtà era bellissimo.
La madre di Logan aveva chiamato le autorità, non appena i ragazzi erano tornati a casa, nonostante lui ci avesse riflettuto seriamente. Per un attimo tornò a mente fredda, ricordandosi del tempo passato insieme a Trevor. Lo stava facendo diventare un altro ragazzo, forse quello che avrebbe sempre voluto essere, ma che non aveva avuto il coraggio di accogliere. Temere il fratello lo aveva spaventato così tanto da dover fingere di essere una persona diversa, e questa era un altro triste pezzo da aggiungere al puzzle.
Tuttavia, mantenere un segreto ha sempre un prezzo: regola numero uno della vita del bugiardo. Nel suo caso, il silenzio lo avrebbe spedito cinque anni in prigione.
Alla giustizia non piace chi mente o chi occulta la verità.
Warren, come al solito ignaro delle accuse a suo carico, sarebbe stato ospite dei tetri e angusti spazi del carcere per dieci anni, invece.
I maniaci, poi. Quelli li odiano tutti.
Prima del processo, Logan e Toby furono chiamati nuovamente a identificare gli aggressori. Per la seconda volta, in quella stanza buia, dietro ad uno specchio che rifletteva solo da una parte. In quel momento però, Logan non avvertì più la stessa sensazione dell’anno precedente, quella di solitudine e malessere. Il suo migliore amico era lì con lui, e non lo avrebbe più lasciato.
Riconoscere Trevor tra i volti dei sospetti non fu facile. Non lo sarebbe mai stato.
Si crea un collegamento quando due persone hanno un rapporto sessuale, quando cercano di costruirsi una storia con un lieto fine.
Nonostante la loro era terminata prima del “e vissero per sempre felici e contenti”, i ricordi e le sensazioni di quei momenti passati insieme sarebbero vissuti nel cuore di Logan fino alla sua morte. Avrebbe pianto, e si sarebbe asciugato le lacrime. Avrebbe visto due ragazzi camminare mano nella mano, e avrebbe pensato alle dita di Trevor, quando si sfregavano con le sue.
Il giorno del processo, si fecero avanti più vittime, altri ragazzi pronti a testimoniare contro Warren Davis e i membri del suo gruppo. Tra quei volti, segnati da un destino feroce, c’era quello di Evan Bennett. Un anno prima, mentre usciva di nascosto con Trevor, era stato scoperto a baciarsi con lui dal fratello, che gli aveva procurato un occhio nero. Fino a quel giorno aveva raccontato di essere caduto per strada, e tutti gli avevano creduto. Logan aveva studiato quell’occhio a lungo, perché era così gonfio che le palpebre si aprivano a malapena. Fu presto chiaro che Trevor aveva avuto altre esperienze, prima di lui. Quella sera del 25 dicembre, trovarsi al Rainbow con Warren non era stato un caso. Doveva mostrare di non essere come Toby e Logan: un finocchio.
Doveva pestare qualche ragazzo per far vedere che a lui non importava, che i suoi gusti non gli avrebbero evitato di picchiare qualcuno perché era diverso.
Logan capì che la lettera era stata opera di Evan, ma non si arrabbiò per il tempo che ci era voluto a confessare una piccola parte di verità.
Lui stesso sapeva che la paura poteva costringerti a chiuderti in te stesso.
-E’ stato stupido, sarei potuto venire a dirtelo di persona- confessò Evan, dopo l’udienza finale.
Logan lo abbracciò.
-Tranquillo, Evan. Non c’è bisogno di scusarsi, ti capisco. Ma come te ne sei accorto?-.
Lui alzò gli occhi al cielo.
-Si notano molte cose quando non guardi il pavimento-.
Messaggio ricevuto, Evan.
Arrivato a quel punto della sua vita, Logan aveva imparato tante lezioni, nonostante attenersi sempre ad esse fosse difficile.
 
Uno: se fai del male, prima o poi, ti ritornerà indietro.
Due: i segreti peggiorano con il passare del tempo.
Tre: la vita è sempre pronta a sorprenderti, e devi essere pronto ad accogliere sia le notizie positive che le negative.
Quattro: accetta l’aiuto dei tuoi amici e della tua famiglia.
Cinque: se alzarsi dopo una caduta è difficile, vuol dire che stai facendo la cosa giusta e devi continuare a lottare.
 
Fu aperta un’indagine anche nei confronti del collegio in cui era stato spedito Toby, che si rivelò efficace. Così come i ragazzi avevano sospettato, l’intero obiettivo scolastico era illegale, e c’erano anche delle robuste leggi a stabilirlo. Toby lasciò ufficialmente la sua casa, i suoi genitori, e si trasferì da Logan in tempo per l’ultimo anno.
-E’ quello che vuoi fare, sul serio Toby?- chiese suo padre, tenendo fermo il manico della valigia. Il figlio lo guardò, cercando di scorgere una luce dietro quegli occhi freddi.
-Tu non mi hai mai voluto, e non c’è bisogno che tu dica il contrario, sempre se lo vuoi dire. Credo che a volte si sbagli qualcosa quando si smistano i bambini da mandare ai genitori. Io non sono il bambino giusto per voi, e ora che ho la possibilità di raggiungere la mia vera famiglia, non tornerò indietro-.
Prima di andarsene, si voltò un’ultima volta a guardare il padre e la madre, entrambi nascosti tra le mura della loro fortezza.
-Eppure avreste dovuto amarmi-.
A Stanton si ricostituì il trio sacro, una volta per tutte.
Vanessa, Toby e Logan, insieme fino a quando il tempo non li avrebbe resi anziani.
Piano piano si riallineò tutto, e credere in un finale allegro non parve più una scemenza.
In fin dei conti, cambiare non era sempre brutto.
I tre tornarono anche al Rainbow, per una serata di follie, accompagnati da Craig ed Evan. Saltò fuori che il ragazzo di Vanessa non era poi così antipatico come sembrava. Suo fratello era gay e lui era un fiero sostenitore dei diritti della comunità LGBT. Aveva persino promesso di fargli incontrare Evan, che aveva ufficialmente fatto coming out. L’aveva vista come una vittoria, perché non avrebbe più vissuto tra le ombre di un mondo fatto di segreti e false identità. Sarebbe uscito alla luce del sole, con i suoi nuovi amici.
Laura scrisse un libro sull’intera esperienza come madre di un figlio gay. Il suo scopo era quello di spingere sempre di più i genitori ad un dialogo aperto e tollerante con i loro ragazzi. Era quella che serviva alla loro città, perché dopo la pubblicazione ci fu un’affluenza di vendite. L’ex marito le restò accanto durante tutta la fase di scrittura, e fu la sua spalla durante le presentazioni nelle librerie.
Agli inizi di Settembre, Logan festeggiò il compleanno con tutti i suoi cari, e dopo aver scartato i regali, la sera, aprì quello che Toby gli aveva preso con il primo stipendio del lavoro part-time. Si erano seduti sugli scalini del portico, e il sole stava per calare nuovamente su Stanton. Dentro al sacchetto bianco c’era una scatoletta elegante e semplice.
Al suo interno, un braccialetto.
Legata ai suoi anelli d’argento pendeva la piccola metà dorata di un’ala.
Logan sorrise e volse lo sguardo a Toby, che cautamente tirò fuori un braccialetto uguale, per sé stesso.
-Sai, io accetterò sempre che le tue ali possano avere bisogno di un sostegno- disse, legandolo al polso di Logan, -E finché avremo queste due metà, insieme formeremo un’ala in più-.
Logan lo baciò, trattenendosi in un momento di vera realizzazione dei propri sentimenti. Non aveva sentito farfalle strane nello stomaco, o sensazioni di passione ardente improvvise. Si sentiva semplicemente leggero, e pieno di amore.
Toby rimase appeso a quel bacio come un bimbo che torna dalla mamma dopo una giornata di asilo.
-E’ quello che vuoi veramente?- chiese poi, carezzando il candido viso di Logan.
Lui mantenne il contatto visivo e lo aiutò ad alzarsi.
-E’ quello che ho sempre voluto, sin dal giorno in cui ho pensato che fossi il più bel ragazzino della classe, alle medie-.
Toby rise dolcemente, e Logan lo strinse poco più a sé.
-Io ho pensato la stessa cosa di te, chissà, forse è per questo che ci siamo trovati-.
Il sole aspettò a calare.
-Già, è per questo che ci troveremo sempre-.
Logan passò una mano tra le ciocche dei capelli di Toby, permettendo al suo splendido volto di farsi carezzare dai raggi della luce che avrebbe illuminato il loro futuro insieme.
 

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