L'amore più grande

di Luce_Della_Sera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Doppio lieto evento ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Una cattiva notizia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Visita alla neomamma ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Tensioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Soddisfazioni e dubbi ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: La bugia di Kevin ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: la finzione va avanti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Trucchi e bugie ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Vendite e decisioni ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Giù la maschera ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Legame ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Decisioni per il futuro ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: La manifestazione ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Doppio lieto evento ***


L’AMORE PIU' GRANDE

Capitolo 1: Doppio lieto evento

“Pronto, mamma? Sofia ha partorito?”.
Irene si sentì invadere da una strana emozione, sentendo la voce della madre al cellulare; anche a quarantadue anni suonati, non riusciva a resistere al fascino dei neonati.
“Sì tesoro. I bambini sono sani e bellissimi!”.
“Oh, che bello! Appena finisco di lavorare corro in ospedale, d’accordo?”, assicurò, mentre si sventolava con dei fogli da stampante: era il dodici agosto, e faceva piuttosto caldo!
“Va bene, ci vediamo là. Verranno anche Sara, Vittoria e Gabriele?”.
“Vittoria e Gabriele verranno di sicuro, mamma: tua nipote non vede l’ora di conoscere i cuginetti, e Gabriele vuole vederli perché è molto curioso. Credo che non abbia mai visto dei neonati tanto da vicino! Per Sara, invece, dipende da quanto ha da fare al lavoro, ma credo che si libererà! A più tardi!”.
Irene, stringendo ancora il cellulare in mano, si fermò a pensare a sua sorella. Sofia e Riccardo si erano sposati quattro anni prima, e avevano avuto qualche difficoltà a concepire; poi, finalmente, era arrivata quella gravidanza. Né lui né lei si aspettavano di avere due gemelli, ma la loro gioia alla notizia era stata incontenibile, nonostante sapessero che con due bimbi le responsabilità sarebbero aumentate … e lei li capiva: i bambini erano sempre una benedizione, ma erano anche molto impegnativi!
Guardò l’orologio: aveva ancora tempo prima di dover ricominciare a lavorare.
“Bene: ora chiamo Sara, poi passo a Vittoria. Non vedo l’ora di conoscere i miei nipotini!”.
 
 
“Mamma Irene, la sai una cosa? Io ieri notte quando ho visto la stella cadente ho desiderato di conoscere presto i cuginetti … e adesso si è avverato!”.
Gabriele, eccitato com’era, riusciva anche a saltellare sul sedile nonostante avesse la cintura di sicurezza.
“Gabri, stai fermo, su!” gli fece Vittoria, che era seduta accanto a lui. “Sto cercando di mettermi la matita intorno agli occhi! Se non la smetti di saltellare finirà che mi acceco”.
“Ma perché devi metterti quella roba?”.
“Per essere più carina!”.
“Beh, mamma Irene non se la mette mai, eppure è bella lo stesso! Vero, mamma Sara?”.
Sara, che era seduta al posto anteriore accanto a quello del guidatore, si girò verso suo figlio.
“Hai ragione, amore. Però se Vittoria si vuole truccare va bene lo stesso!”.
Irene dal canto suo, cercò di concentrarsi sulla leva del cambio; non le piaceva quando il discorso virava sul suo aspetto, anche se indirettamente e anche se a parlarne era un bambino di dieci anni come il suo figlio adottivo.
“Gabriele, davvero hai desiderato di vedere i cuginetti, ieri sera?” chiese, tanto per cambiare discorso. Il dieci agosto non avevano visto neanche una stella cadente, ma la sera successiva erano stati più fortunati … o meglio, i suoi figli lo erano stati: lei e Sara non ne avevano vista neanche una, ma erano contente così, perché avevano già tutto ciò che potevano desiderare.
“Sì, sì: io lo sapevo che si avverava presto!”.
Irene e Sara sorrisero nello stesso momento: sarebbe stato crudele spiegare al bimbo che la stella cadente non c’entrava nulla con la nascita dei bambini. Lui sapeva a grandi linee come avveniva il concepimento, ma se voleva credere che un meteorite infuocato influenzasse le nascite, chi erano loro per smentirlo? Avrebbe avuto molto tempo per capirlo da solo.
 
 
“Sofia! Auguri!”
La neomamma alzò lo sguardo, proprio mentre la sorella entrava nella stanza.
“Ciao, Irene! Grazie per gli auguri”.
“Ho portato dei regalini per i piccoli Leonardo e Alessandro”.
“Oh, ma non dovevi!”.
“Figurati, l’ho fatto con piacere. Come mai sei sola nella stanza?”, chiese la maggiore delle due sorelle, posando i pacchetti che aveva portato sul comodino e sedendosi su una sedia posta accanto al letto dove la più piccola era sdraiata.
“L’altra ragazza è stata portata in sala parto poco fa. E’ una bambina lei per prima, in realtà, sai? Ha sì e no l’età di Vittoria!”.
Irene represse un brivido, figurandosi sua figlia incinta, e per non pensarci fece la prima domanda che le venne in mente.
“Come … come ti è sembrato?”.
“Bello. Mi ha fatto malissimo, ma poi ho visto i miei due piccolini, e … è passato tutto!”.
“Ti capisco. E’ così che funziona: gli ormoni entrano in circolo quasi subito. Vedrai che tra qualche tempo il dolore non te lo ricorderai più!”.
Sofia si limitò a sorridere.
“Ho visto Riccardo, qui fuori. Pare che non stia più nella pelle, o mi sbaglio?” continuò Irene, allegra.
“No, non sbagli. E’ venuto in sala parto con me, ed era emozionatissimo!”.
“Ci credo!”. Per un attimo, Irene perse il sorriso: lei, diciotto anni prima, non era stata altrettanto fortunata. Aveva avuto i suoi parenti vicino e Sara era venuta a vedere la piccola poco dopo la nascita, ma il padre di sua figlia non c’era: non aveva voluto saperne nulla della bambina, fino a sette anni dopo la sua nascita. E quando era ricomparso, si era comportato in modo spaventoso con lei, cercando di portargliela via … fece un sospiro, e si affrettò a scacciare quei ricordi tanto dolorosi. Ormai facevano parte del passato, ed era inutile rimuginarci ancora sopra!
“A me i tuoi figli sono parsi dizigotici, comunque, giusto?”.
“Sì, è vero. E’ un bene, così quando saranno più grandi non potranno scambiarsi!”.
“Non è detto che l’avrebbero fatto qualora avessero potuto, però, no? Comunque, sono proprio dei bei bimbi. Come la loro zia, del resto! Però ho notato una cosa di loro che mi ha impressionato …”.
Sofia si agitò sotto il leggero lenzuolo, inquieta.
“In che senso? Pensi abbiano qualcosa di grave?”.
“No, non è grave … ma hanno entrambi la fontanella girata in verso antiorario!”.
“E dai, mi hai fatto prendere un colpo!”. Sofia fece per prendere la sorella a cuscinate, ma non era affatto offesa.
“Beh, te lo avevo detto che un po’ mi somigliavano, no? Comincia ad avvertire Riccardo: saranno due splendidi gay, una volta cresciuti! Mi sa che il gene xq28 è passato a te, invece che a me!”.
“Suvvia, Irene, sai bene che le fontanelle dei neonati non indicano davvero la sessualità futura, e la teoria del gene xq28 risale al 1993 e ha più falle di una barca in procinto di affondare!”.
Le due donne risero, divertite, pensando a quante teorie strampalate e assurde esistevano ancora riguardo a quella che, dopo studi trentennali autorevoli svolti qualche decennio prima, era risultata essere una variante della natura umana; poi, alla fine, Irene si alzò.
“Bene, sorellina … ora credo che sia il caso di far entrare gli altri. Vittoria e Gabriele sono rimasti incantati dai loro cuginetti quando siamo passati alla nursery, sai? E adesso non vedono l’ora di coccolare un po’ la zia. Faccio entrare anche Sara, ok?”.
“Per me va bene. Lo sai che non ho problemi! Dille però che poco prima della fine dell’orario di visita lei e Gabriele dovranno uscire, perché vorrei passare qualche minuto sola con mia nipote; così avremo modo di spettegolare un po’ e potrò sapere anche se si è presa qualche cotta, ultimamente!”.
“Che io sappia, attualmente non ne ha prese. So soltanto che è indiscutibilmente eterosessuale, come suo padre…bleah!”.
Facendo una smorfia di finto disgusto, Irene fece un veloce cenno di saluto alla sorella e si diresse verso la porta della stanza.
 
 
“Allora, amore, ti sono piaciuti i miei nipoti? Mi somigliavano tanto, vero?”.
Irene guardò la moglie, che era sdraiata accanto a lei nel loro letto matrimoniale.
“Non vorrei deluderti, ma non ti somigliavano neanche un po’ … in realtà, erano di gran lunga più carini di te!”.
“Grazie, sei gentile!”.
“Figurati, per te questo ed altro!”.
Irene sorrise, maliziosa.
“Lo so che avevamo stabilito di non fare più bambini, ma … ti va di fare qualche tentativo, stasera? Magari in questo modo riusciremo a concepire senza aiuti esterni!”.
Sara appoggiò l’indice della mano destra sulla bocca, fingendosi pensierosa.
“Fammi riflettere … sì, direi che è una proposta interessante! Si può provare”.
“Ok, allora …” fece Irene, togliendosi in fretta la maglietta del pigiama e fissando la compagna con sguardo provocante prima di iniziare a togliersi anche pantaloni e mutandine. “Cominciamo quando vuoi!”.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Una cattiva notizia ***


Capitolo 2: Una cattiva notizia

Vittoria regolò il tapis roulant, e si mise a correre sull’attrezzo adeguandosi presto alla velocità che aveva scelto. Venire in palestra non le piaceva particolarmente, ma lo faceva per mantenersi in forma e per un’altra ragione ben precisa … la quale, però, ancora non si era fatta vedere.
“Strano, mi aveva detto che sarebbe venuto!”, pensò. “Possibile che abbia avuto qualche contrattempo?”.
Stava giusto per chiedersi se doveva rintracciarlo al cellulare, quando si sentì chiamare.
“Vittoria! Ciao, come va?”.
Davide, rosso in viso, la raggiunse.
“Bene, grazie! Tu?” rispose la giovane, diventando immediatamente paonazza.
“Tutto regolare, nessuna novità”.
“Sono contenta di sentirtelo dire! Ehm …”. La ragazza stava cercando disperatamente di dire qualcosa di particolarmente arguto o divertente che potesse colpire favorevolmente il suo interlocutore, quando le sue riflessioni furono interrotte dallo squillo del suo cellulare, che si trovava nella borsa che lei aveva posato accanto al tapis roulant. Lasciava sempre il borsone contenente gli asciugamani e i vestiti di ricambio nello spogliatoio, ma non si fidava abbastanza da fare altrettanto con la sua borsa personale, che conteneva, oltre al telefonino, anche i soldi e i documenti … e a volte, come in quel caso, la sua diffidenza si rivelava utile!
“Pronto?” fece, con un tono tra l’agitato e il sollevato, dopo aver fermato l’apparecchio su cui stava correndo e dopo aver svuotato quasi completamente la borsa prima di trovare quel che cercava.
“Vittoria? Sono papà”.
“Ah, ciao!”, fece la diciottenne, sorpresa. Suo padre non la chiamava mai quando era in palestra, quindi non sapeva come interpretare quella novità! Ma non dovette attendere molto per venire a capo di quel piccolo mistero.
“Sei in palestra, vero?”, le chiese infatti Dario.
“Sì, perché?”.
“Se riesci, dovresti venire via da lì il prima possibile: nonna Maria non ce l’ha fatta”.
“Oh, no!”.
Vittoria si sentì come svuotata; sapeva che sua nonna paterna non stava bene da tempo ed era quindi consapevole del fatto che presto o tardi l’avrebbe lasciata, ma nonostante ciò non poteva fare a meno di provare una grande tristezza.
“Lo so, è tutto molto triste. Però, bisogna pensare che, almeno, adesso è in pace …”.
Il cervello della ragazza registrò quelle parole, ma lei si sentiva stordita: dovette controllarsi per non tremare e fece un bel respiro per mostrarsi forte. “Hai ragione. Ora mi cambio, mi do una lavata, avverto mamma Irene e mamma Sara e vengo subito! Dove sei? In ospedale?”.
“Sì … ci vediamo lì tra poco, ok? Se hai qualche problema chiamami, così ti vengo a prendere!”.
“Tranquillo, dovrei farcela da sola”.
Vittoria chiuse la comunicazione dopo aver salutato il papà, ma anziché riporre subito il cellulare in borsa, rimase a fissare il piccolo schermo con aria imbambolata, incurante delle occhiate che le stavano lanciando gli altri occupanti della sala.
“Vittoria? Va tutto bene?”.
Davide, che da quando era arrivato si era messo a usare lo stepper, si voltò preoccupato verso la sua amica.
“Non molto”, rispose lei, con voce tremula, “mia nonna paterna è morta!”.
“Davvero? Mi dispiace!”. Il ragazzo lasciò perdere i suoi esercizi, senza neanche curarsi di spegnere la macchina che stava utilizzando, e le si avvicinò, cercando di capire quale fosse il modo migliore per confortarla.
“Vieni, andiamo di sotto, verso gli spogliatoi”, disse poi. “Così potrai dirmi bene cosa è successo!”.
Sapeva che molto probabilmente c’era ben poco da dire, ma voleva che Vittoria si sentisse a suo agio, e di certo ciò non poteva essere possibile in quel luogo e in quel momento, con tutte le altre persone che, seppure intente almeno apparentemente a farsi gli affari loro, avrebbero potuto cogliere anche accidentalmente qualche parola su un discorso serio e che non li riguardava; quindi, la guidò fuori della sala.
“Allora”, le fece poi, quando furono giunti a destinazione. “Ti va di parlarne? Mi è sembrato di capire che devi andare via, ma magari se me ne parli ora, starai un pochino meglio!”.
Vittoria lo guardò; era vero che doveva andare via in fretta, ma aveva una gran voglia di parlare con lui. Dopotutto, si conoscevano sin da quando erano bambini, e Davide in quell’ultimo periodo per lei era diventato più di un semplice amico …
“Sai bene che mio padre mi ha riconosciuta quando avevo già sette anni e mezzo; questo ha fatto sì che io e mia nonna paterna ci conoscessimo quindi con molto ritardo rispetto a tutti gli altri nipoti con le loro nonne … non sempre siamo andate d’accordo, visto che il 97% delle volte che ci vedevamo lei insisteva a dire che convivo con due depravate e che avrei fatto la loro stessa fine, ma era comunque mia nonna! Quindi, quando ho saputo che aveva problemi di Alzheimer la cosa non mi ha fatto piacere. Aveva ottanta anni, però… adesso non potrei più cercare di conoscerla, tentare di farle cambiare idea sulla mia famiglia …”.
Davide annuì. Anche se la sua situazione era un po’ diversa, perché lui aveva sempre vissuto con i suoi due padri e aveva avuto a che fare sempre e soltanto con due nonni naturali e due acquisiti, poteva ben capire come si sentiva Vittoria: era chiaro che la ragazza stava soffrendo molto, perché con gli anni aveva imparato a voler bene alla nonna anche se questa non la apprezzava pienamente per via della sua mentalità riguardo a certi argomenti, mentalità che tra l’altro l’anziana signora condivideva con il suo unico figlio …
“Senti, che ne dici se ti do un passaggio fino all’ospedale? Basta che mi dici quale è, e io ti ci porto: ho girato parecchio in motorino qui in città, quindi conosco moltissime zone!”.
Non era del tutto vero: aveva sì usato spesso il motorino per spostarsi da quando aveva iniziato le superiori … ma non poteva dire di conoscere molte zone, e soprattutto non poteva dire di conoscerle bene. Nonostante ciò, si guardò bene dal dire la verità alla sua amica d’infanzia, e continuò ad ostentare una sicurezza che era ben lungi dal provare anche quando la sentì accettare la sua offerta!

 
 

“Grazie per il passaggio, sei stato molto gentile!”.
Vittoria si sfilò il casco e lo porse all’amico, che ne indossava uno a sua volta: Tommaso e Marco avevano sempre insistito affinché il figlio ne portasse sempre due anche quando viaggiava da solo, in modo da poter stare tranquillo qualora qualcuno avesse deciso di farsi un giro con lui all’ultimo minuto, e così nessuno dei due ragazzi aveva avuto problemi durante il viaggio. E non ne avevano avuti, fortunatamente, neanche per quel che riguardava la strada da percorrere: Davide non conosceva proprio tutto il tragitto, ma una buona parte sì, e così era riuscito a cavarsela anche grazie alle indicazioni che Vittoria gli aveva fornito spontaneamente.
“Figurati, non c’è di che!” riuscì a rispondere, mentre tornava al presente e cercava di non restare troppo incantato nel guardare la ragazza, che lo fissava con i suoi bellissimi occhi verdi.
“Allora … io vado”.
“D’accordo. Poi se te la senti chiamami, ok?”
“Va bene!”.
Vittoria si allontanò, cercando di non far capire quanto si sentisse triste; Davide si sentì stringere il cuore al pensiero di doverla lasciare sola, ma sapeva che certe cose riguardavano soltanto le famiglie, quindi non se la sentiva di mettersi in mezzo. Inoltre, lei non aveva manifestato concretamente il desiderio di averlo fisicamente vicino in quel momento così difficile, perciò non se l’era sentita di imporre la sua presenza!
Mentre rimetteva in moto il suo mezzo a due ruote, vide la ragazza fermarsi a parlare con una donna di colore, che si trovava davanti alla porta dell’ospedale. Sapeva chi era quella donna, e si sentì rassicurato al pensiero che con lei Vittoria sarebbe stata in buone mani; la guardò un’ultima volta, reprimendo l’istinto di correre da lei per tenerla stretta tra le braccia e confortarla, e infine partì.

 

“Ciao Jasmine!”
“Ciao Vittoria! Come mai ci hai messo tanto? Hai avuto qualche contrattempo?”.
“Colpa del traffico … mi sono fatta accompagnare da un amico, forse l’hai visto!”.
Avrebbe volentieri evitato di citare Davide, ma sapeva che c’era una concreta possibilità che la sua matrigna l’avesse visto; quindi, tanto valeva non fingere.
“Sì, ho notato. Era il figlio di Tommaso e Marco, vero?”.
“Già”, fece la ragazza, abbassando lo sguardo per non far notare all’adulta che stava arrossendo violentemente. Poi, però, ricordandosi dov’era, lo rialzò immediatamente, e chiese:
“Papà e Kevin sono dentro, vero? Isabel è con loro?”.
“Isabel non è qui, l’ho mandata dai miei genitori: è arrivata in Italia a metà giugno, adesso siamo all’inizio di settembre e non mi sembra il caso di sconvolgerla con una visita alla camera mortuaria di un ospedale. Ha solo cinque anni! Comunque, tuo padre è dentro, Kevin invece è nella sala adiacente: non è voluto entrare nella sala dove sta vostra nonna!”.
Vittoria guardò la moglie di suo padre, lievemente confusa: capiva perché Isabel non fosse presente, e capiva anche a cosa servisse la camera mortuaria, ma cosa intendeva dire Jasmine affermando che Kevin si trovava in una sala adiacente? C’era una sala vicina a quella dove stava la bara? Per sua fortuna, non aveva mai avuto lutti prima d’allora, e quindi non sapeva come funzionavano le cose dopo una morte! L’unica cosa che sapeva, era che il senso di vuoto e di dolore che si era impadronito di lei dopo che il padre le aveva dato la brutta notizia non l’aveva mai abbandonata per tutto quel tempo, nonostante avesse fatto del suo meglio per non mostrarsi troppo disperata sia davanti a Davide sia davanti alla madre del suo fratellastro.
“Vieni, su”, le disse Jasmine,  mettendole una mano su una spalla e conducendola dentro l’ospedale, guardandola come se avesse capito benissimo cosa le passava per la testa. “Mentre andiamo, ti spiego come funzioneranno le cose da ora in poi!”.

 
 

Kevin fissava il muro davanti a sé, come inebetito. I suoi pensieri vagavano, confusi, al punto che, quando si sentì chiamare con un bisbiglio, poco mancò che saltasse dalla sedia su cui era seduto.
“Vittoria! Ciao!”, esclamò qualche istante dopo, tenendo un tono di voce molto basso.
“Ciao Kevin, scusa se ti ho spaventato”.
“No, figurati … è che, sai …”.
La ragazza, che si trovava poco oltre la soglia della stanza, si avvicinò al fratellastro e si sedette su una sedia posta accanto alla sua.
“Tranquillo, ti capisco. E’ tutto così … strano, brutto, avvilente! E quindi, è normale essere un po’ stralunati e sconvolti, credo”.
“Ma tu l’hai vista?”.
“Sì, sono entrata nella camera mortuaria … sia per salutare papà sia per vedere nonna”.
“Ok … allora devo andarci anche io”, fece Kevin, alzandosi in piedi.
“In che senso, scusa? Non sei andato a vederla?”.
“No, avevo stabilito di non farlo”, spiegò il ragazzo. Poi si avvicinò alla sorella e le parlò stando praticamente quasi attaccato ad una delle sue orecchie, come se temesse che anche i muri della stanza potessero ascoltarlo.
“Ma sai come la pensa papà su queste cose: se io non vado, ora che ci sei andata tu dopo il funerale troverà il modo di rinfacciarmelo. Mi dirà che sono una femminuccia, che sono uno smidollato, un immaturo, e che in generale non ho avuto il coraggio di fare una cosa che invece una ragazza ha fatto tranquillamente! Non voglio litigare con lui anche per questo; lo faccio già spesso in condizioni normali”.
Detto questo, fece per andarsene; ma dopo aver fatto solo due passi, fu costretto a voltarsi indietro, perché la sua sorellastra lo stava trattenendo per un braccio, tirandolo all’indietro.
“Mi dispiace, fratellino, ma tu non vai da nessuna parte, se non sei convinto. Non ho mai vissuto lutti fino ad ora, per fortuna, ma ho già capito che sono momenti delicati; quindi, se non te la senti di entrare nella camera mortuaria hai diritto di restare fuori. La nonna di certo non se la prenderebbe, e se papà non riesce a capire certe cose beh, ha quarantacinque anni, è ora che lo faccia!”.
Il ragazzo annuì; sapeva che Vittoria aveva ragione.
“D’accordo, allora non entrerò. Però ti va se usciamo fuori, all’aria aperta? Almeno lì potremmo parlare con tono di voce normale! Non ne posso più di stare qui!”.
Fu così che i due fratelli uscirono dalla sala dei dolenti.

 
 
“Hai idea di quante volte siamo venute in questo parco?” chiese Sara ad Irene, mentre entrambe erano sedute su una panchina e seguivano con lo sguardo Gabriele, che si divertiva sull’altalena.
“Parecchie, direi … ma goditi questa e le prossime, perché saranno le ultime: dubito che Gabriele vorrà tornare qui, quando farà le scuole medie! Semmai, ci andrà da solo, per bighellonare con gli amici”.
“E’ vero. Spero comunque che succeda il più tardi possibile! E che non ci vada per fumare, magari. Ci pensi mai, a quanto tempo è passato? Sembra ieri che Vittoria e Gabriele erano dei frugoletti minuscoli, e invece guardali adesso!”.
“Già. In passato, spesso mi ritrovavo a desiderare che restassero sempre piccoli, sai? Adesso, invece, vorrei soltanto che vivessero una vita serena e meno complicata e dolorosa possibile. Non hai idea di cosa avrei dato per stare al fianco di Vittoria, oggi! Non sono andata con lei soltanto perché me lo ha impedito, e io ho pensato che forse voleva vivere il suo dolore da sola e che il mio compito consistesse solo nel consolarla quando tornerà a casa. L’adolescenza è un periodo complicatissimo! A volte non so davvero come prenderla!”.
Sara, che stava guardando il figlio, ci mise un po’ a rispondere; alla fine, però, si voltò verso la donna che da quindici anni era sua moglie.
“La nostra piccolina è in una fase complicata e delicata, è vero … ed è logico quindi che tu possa avere delle difficoltà con lei. Le ho anche io! L’importante però è che lei sappia che può sempre contare su di noi quando lo vorrà, e che sia convinta che noi ci saremo sempre, per aiutarla … perché noi la amiamo!”.
Irene annuì: capiva perfettamente cosa voleva dire la sua compagna. Lei amava infinitamente sia Vittoria che Gabriele; si considerava madre di entrambi, e sarebbe stata disposta a compiere anche le imprese più impossibili, assurde e disperate pur di farli stare bene. L’affetto che nutriva per i figli era una delle poche certezze che poteva affermare di avere nella sua vita … ed era certissima che anche per Sara fosse lo stesso!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Visita alla neomamma ***


Capitolo 3: Visita alla neomamma

“Sicure che non volete fermarvi ancora un po’?”.
Marco guardò le sue due amiche, mentre contemporaneamente tendeva le orecchie per sentire cosa stesse combinando Gabriele in camera sua; con l’esperienza aveva imparato che i bambini andavano controllati di continuo, e quindi si era ormai abituato a stare sempre all’erta quando suo figlio veniva a stare da lui.
“Ci piacerebbe, ma mia sorella ci sta aspettando!”, gli disse Irene, sinceramene dispiaciuta, mentre si avviava alla porta insieme a Sara.
“Allora sarà per un’altra volta”.
“Sì, infatti. Potreste venire tu e Tommy da noi, in realtà, alla prossima occasione! Vero, tesoro?”.
“Ma certo”, si intromise Sara. “Perché no?”. Poi si fece più seria. “Mi raccomando, per qualsiasi problema chiamami, ok?”.
“Va bene … ma puoi stare tranquilla: dubito fortemente che ce ne saranno!”.
“Lo so: Gabriele è un bravo bambino … somiglia in tutto e per tutto alla sua splendida mamma biologica, ovviamente!”.
“Sì, certo, come no!”.
“Sei solo invidioso, ammettilo. Comunque”, fece poi la donna, tornado seria, “Salutaci Tommaso e Davide quando tornano, ok? Dove hai detto che sono?”.
“Davide dovrebbe fare delle gare di nuoto, a breve, e quindi gli serve il certificato di sana e robusta costituzione; indovinate chi deve accompagnarlo a procurarselo e deve firmare l’autorizzazione per farlo partecipare alle competizioni, onde evitare problemi dovuti a burocrazia ed ignoranza varia?”.
“Il genitore biologico”, rispose Irene, con il tono di chi aveva sentito simili storie centinaia di volte.
“Esatto, centrato in pieno. Quindi, in questo caso, io sono superfluo … ma già che siamo in tema di figli, forse è meglio che vada a chiamare Gabriele in modo che possa salutarvi: dopotutto, oggi è venerdì e lo verrete a riprendere dopodomani!”.
Marco si allontanò, e le due donne si guardarono: capivano perfettamente come si sentiva il loro amico. Dopotutto, anche loro avevano provato lo stesso sentimento di esclusione e di impotenza, in varie occasioni! Era tremendamente ingiusto, ma la mentalità della società e le leggi erano quelle che erano, specie riguardo ad alcuni temi: nonostante l’approvazione delle unioni civili, grazie alla quale avevano potuto vedere riconosciuta la loro coppia anche dal punto di vista legale, nella questione dei bambini c’erano ancora grosse lacune che il governo non sembrava così ansioso di colmare.
Quando il loro bimbo venne a salutarle, lo abbracciarono con calore, anche se non era la prima volta che lo lasciavano con il padre; per Sara in particolare il distacco fu un po’ difficile, ma alla fine uscirono dall’appartamento e si avviarono verso la loro automobile.
 
 
“Ciao ragazze!”.
Sofia aprì la porta e si scostò leggermente, per far entrare le sue ospiti.
“Sedetevi pure! Riccardo sta lavorando, ma mi ha chiesto comunque di salutarvi. Vi posso offrire qualcosa? Caffè, tè, succo di frutta? Biscotti?”.
Irene e Sara si guardarono per qualche istante.
“Va bene il tè, grazie!”, esclamarono poi, praticamente all’unisono.
La padrona di casa non poté fare a meno di ridere, ma poi parve pentirsi di essersi lasciata andare e tese le orecchie, per captare eventuali movimenti provenienti dalla sua camera da letto; fortunatamente, però, tutto taceva.
“Scusate”, fece poi, rivolta alla sorella e alla cognata.
“Figurati”, le rispose Irene, che nel frattempo aveva accolto l’invito che era stato rivolto a lei e Sara qualche istante prima, e quindi era seduta su una delle sedie che erano attorno al tavolo della cucina di Sofia.
“Stavi sentendo se i piccoli erano svegli?”.
“Sì. Cerco di fare sempre meno rumore possibile, quando dormono, ma non sempre ci riesco!”.
“Ti capisco … anche io facevo così, quando Vittoria era una neonata. Te lo ricordi, amore?”.
“Oh, sì, mi ricordo eccome! Se per caso qualcuno suonava alla porta mentre la bambina dormiva, si innervosiva da morire, e vedessi come si arrabbiava quando venivano a trovarci amici e parenti e pretendevano di parlare normalmente invece di bisbigliare come si fa di solito nelle biblioteche o nelle chiese”, spiegò Sara alla cognata, “Io all’inizio non la capivo benissimo, poi quando è arrivato Gabriele anche a me è venuto naturale comportarmi in quel modo, almeno per i primi tempi … ma c’era anche Vittoria, quindi ho imparato presto a non farci caso. Il fatto è che quando hai un neonato e un bimbo più grande in casa, non puoi pretendere che ci sia sempre silenzio! E così, pian piano anche tu impari che se anche il bambino viene svegliato da qualche rumore, non è la fine del mondo. Adesso che sei alla prima esperienza hai l’istinto di uccidere chiunque osi disturbare il sonno dei tuoi figli, ma vedrai che se ne avrai altri, poi ti passerà!”.
“Ho capito cosa intendi … però sinceramente non so se avrò altri bambini, dopo Leonardo e Alessandro. Bisogna tenere presenti tante cose …” Sofia sembrava quasi sul punto di elencare le cose in questione, ma poi ci ripensò.
“E voi, invece? Non vorreste altri figli?”, chiese, mentre prendeva la bottiglia contenente il tè dal frigo e due bicchieri di vetro dalla credenza.
“Io no, sto bene così”, rispose Irene. “E in ogni caso, adesso sarebbe troppo tardi. Ho quarantadue anni, ormai! Lo so che ci sono tante donne che fanno figli dopo i quaranta, e alcune li fanno addirittura in età in cui dovrebbero già essere nonne, ma averne uno ora significa che quando lui o lei avrà sette anni io starò quasi per farne cinquanta. Mi sentirei una vecchia rimbambita in confronto a tutte le altre madri!”.
“E tu Sara? Non vorresti un altro figlio?” chiese Sofia, mentre versava il tè ad entrambe le ospiti.
“Beh, ho quarantuno anni”, rispose la diretta interessata, “e quindi in questo senso la mia situazione non è molto diversa da quella di Irene … e poi, la mia prima gravidanza è finita con un aborto spontaneo nelle prime settimana, e Gabriele invece è nato sano ma con ben dieci settimane d’anticipo, dopo che ho avuto una pre-eclampsia: non me la sento di rischiare ancora, specie se consideri che più si va avanti con l’età e più i rischi per madre e feto aumentano! Oltretutto, se ci pensi, io e Irene dovremmo comunque ricorrere all’inseminazione artificiale, che è una cosa molto lunga. Non abbiamo più molto tempo per queste cose, adesso”.
“Avete ragione entrambe, vi capisco”. Sofia esitò, quasi come se non volesse aggiungere altro; ma poi ci ripensò.
“Io non so ancora se ne avrò altri, come dicevo”, disse. “Però sinceramente sono molto dubbiosa. Voglio già un bene dell’anima a Leonardo ed Alessandro, quindi come potrei essere in grado di amare un’altra creaturina tanto quanto amo loro due?”.
“E’ un dubbio legittimo, sorellina … ma non devi preoccuparti”, la rassicurò Irene, bevendo un sorso del suo tè. “Vedi, dieci anni fa quel simpaticone di Dario venne a trovarci a casa, con l’intenzione di registrare qualche affermazione mia o di Sara che potesse dargli un appiglio per portarci via Vittoria … la bimba era agitata perché aveva la classica gelosia del fratello maggiore verso il minore, e così fece una scenata in cui diceva che nessuno le voleva bene. Sai cosa le disse suo padre? Testuali parole, le ricordo come se fosse ieri: ‘i genitori vogliono sempre bene ai figli: a tutti i figli. Quando ne hanno due, vogliono bene a tutti e due allo stesso modo; se ne hanno tre, il loro affetto viene ripartito in tre parti, e così via’ ”.
“Wow, quanta saggezza!”.
“Eh, già. Ogni tanto anche a lui è capitato di fare affermazioni sensate … e chissà, forse adesso che ha adottato quella bimba sudamericana insieme a Jasmine ha messo definitivamente la testa a posto! Comunque, quel che ti volevo dire è che in effetti è così: anche se dovessi fare dodici figli, avresti comunque amore per tutti loro. L’amore per i figli è l’amore più grande: è infinito, così infinito che ti lascia senza fiato. Credimi, so di cosa parlo: ho amato Vittoria dal suo primo istante di vita, e l’amo tuttora. Così come amo Gabriele, ovviamente, anche se non l’ho partorito! E’ come se avessi due figli, se ci pensi: e voglio bene ad entrambi allo stesso modo”.
“Lo stesso vale per me, in tutto e per tutto”, confermò Sara, che in tutto quel tempo non aveva smesso di guardare sua moglie, dimenticandosi completamente del suo bicchiere con il tè all’interno.
“A proposito di figli, come stanno Vittoria e Gabriele? Vittoria s’è ripresa dalla morte della nonna?”.
Irene finì il suo tè, prima di rispondere.
“Sta meglio, adesso; dopotutto, ora è ricominciata la scuola, e questo in un certo senso l’ha aiutata a soffrire meno. Non ho mai capito come facesse a voler bene a quella donna, sinceramente, visto che le diceva spesso che viveva insieme a due malate mentali, ma era pur sempre la nonna, dopotutto … non sai quanto avrei voluto risparmiarle questo dolore. Ma la sofferenza, specie quella dovuta ad un lutto, fa parte della vita, purtroppo!”.
“Già, è vero. Quello non si può scontare a nessuno, sfortunatamente! Gabriele invece che combina di bello?”.
“Adesso è da Marco e Tommaso; ci resterà fino a domenica …”.
Sara, che aveva anche lei finito di bere, stava iniziando a spiegare alla cognata qualcosa della vita tranquilla che conduceva suo figlio, con l’intenzione di raccontarle anche cosa aveva detto il bambino in macchina poco prima di andare a trovare lei in ospedale il giorno della nascita dei gemelli, quando i due bimbi si fecero sentire, quasi come se avessero intuito che a breve si sarebbe parlato di loro.
“Ti diamo una mano con i bambini, già che ci siamo, ti va?”, chiese a Sofia, mentre lei ed Irene si alzavano in contemporanea. Forse, avrebbero avuto tempo di parlare di Gabriele più tardi!
 
 
Irene aprì la porta, e fu sorpresa di vedere che l’appartamento era buio.
Accese la luce con un senso di ansia e smarrimento dentro, poi tolse le chiavi dalla serratura, fece qualche passo e guardò la sua consorte.
“Ma dov’è Vittoria?” domandò, con voce allarmata.
“E’ fuori, amore”, rispose Sara, mentre chiudeva l’uscio. “Ci aveva chiesto se poteva fermarsi a dormire da un’amica, ricordi? Domani andranno a scuola insieme, e poi la madre della sua amica la riporterà qui”.
“E’ vero … me ne ero completamente dimenticata, stavo già entrando nel panico!”.
“Ti ho vista … ma adesso calmati, e guardati intorno: i nostri figli sono al sicuro, e noi siamo sole solette … non credi che dovremmo approfittarne per farci qualche coccola?”.
Sara si avvicinò alla moglie con fare provocante, e unì le sue labbra a quelle di lei in un bacio appassionato che durò diversi minuti.
“Wow! Mi piace questa nostra conversazione non verbale”, dichiarò Irene, quando si furono staccate. “Che ne dici di continuarla anche in camera da letto?”.
“Non chiedo di meglio! Tu pensa soltanto a sdraiarti, e al resto ci penso io”.
Raggiunsero in fretta la loro camera, e in men che non si dica si ritrovarono nude sul letto; Sara baciò Irene sulle labbra, poi passò al collo, ai suoi piccoli seni, alla pancia e infine arrivò nel punto più sensibile del corpo della sua compagna, che gemette di piacere.
Quella, lo sapevano entrambe, sarebbe stata una lunga e soddisfacente nottata; ma neanche il pensiero di alzarsi l’indomani per andare a lavorare le avrebbe dissuase dal godersela fino in fondo!
 
 

Sofia si svegliò di soprassalto: le era parso di sentir piangere i gemelli, ma tutto taceva.
Da quando sua sorella se n’era andata, non aveva fatto che pensare alle sue parole: l’amore per i figli era quello più grande di tutti. L’aveva sempre immaginato, ma solo da poco più di un mese poteva dire che capiva fino in fondo cosa volesse dire …
“Siete tutta la mia vita, piccoli”, pensò.
Non resistette, e si alzò dal letto, avvicinandosi alle culle; sbirciò dentro ad entrambe, e sorrise. Stette lì per qualche minuto, finché non si accorse che stava iniziando a sentire un po’ freddo; così, tornò a letto e si accoccolò vicino al marito, che era tornato all’ora di cena.
 

 
“Allora, cosa ti hanno detto per Davide?”.
Marco, seduto sul letto, fissava colui che da quattordici anni era suo marito.
“Che va tutto bene. Può fare le gare!”.
“Sono contento”.
“Ma?”.
“Ma cosa?”.
“Marco, amore, ormai ti conosco bene. Che c’è? Ti va di parlarne?”.
“Niente, è solo che questa cosa del certificato e delle gare mi ha fatto sentire un po’ estromesso, tutto qua. So che è normale, e non è la prima volta che capita, però questo non vuol dire che ogni tanto io non mi senta messo da parte. Davide non avrà i miei geni, ma è comunque anche figlio mio!”.
“Ti capisco … anche io mi sento in quel modo quando tu sei chiamato a fare delle scelte per Gabriele. Ma non è certo colpa nostra se le cose stanno così, no? E poi, anche se è brutto è per la tutela dei bambini: pensa se dovessero sentirsi poco bene, cosa potremmo fare? Per la legge, io non sono il padre di Gabriele, e tu non sei il padre di Davide; è brutto, però è così. La legge ordinaria e la legge del cuore non vanno sempre d’accordo, lo sai benissimo!”.
“Già. Ma ciò non vuol dire che sia un’ingiustizia bella e buona, questa!”.
“Dai, vieni qua”. Tommaso si avvicinò al compagno, e lo abbracciò. “Davide ti vuole molto bene, anche se non avete lo stesso patrimonio genetico. E anche Gabriele ti vuole bene, mentre io ti amo più della mia stessa vita …”.
“Ah, davvero?” fece Marco, divertito.
“Certo: non mi credi?”.
“Mah, chissà …”.
“Hai bisogno di essere convinto?”.
“Non so … fai tu!”.
“Ok … allora tu spogliati, e poi penso a tutto io!”.
“Ma ci sono i bambini!”.
“E che importa? L’abbiamo fatto già altre volte con loro in casa, no? Farò piano, te lo prometto”.
“Va bene”. Marco, già mezzo svestito, fissò il suo consorte con evidente eccitazione. “Mi fido di te!”.
“Vedrai, non resterai deluso”, gli bisbigliò Tommaso, aiutandolo a spogliarsi e poi spogliandosi a sua volta.
Qualche istante più tardi, mentre sentiva la bocca di Tommaso scendere sempre più in basso, Marco pensò a quanto fosse fortunato: non aveva diritti su un ragazzo che considerava suo figlio, era vero, ma amava comunque quell’adolescente a volte tanto ribelle, così come adorava il piccolo Gabriele e Tommaso: per lui, non c’era altra cosa più importante.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Tensioni ***


Capitolo 4: Tensioni

“So, we’re after something either simple or elaborate, with sleeves or strapless, possibly with beading and/or embroidery and either with a train or without”. 
Irene dovette controllarsi per non sorridere, mentre leggeva il brano che doveva tradurre: era troppo divertente!
“E’ parecchio indecisa, questa ragazza”, pensò. “Io non sono mai stata una tipa facile con i vestiti, ma almeno sul vestito da sposa avevo le idee chiare!”.
Per un attimo, lasciò perdere la tastiera del computer e ripensò a quel giorno di quindici anni prima: non era stato facile, perché molti suoi parenti non erano stati entusiasti e le avevano detto che non avrebbero mai partecipato ad un “evento contro natura” e persino i suoi genitori all’inizio non erano stati entusiasti della cosa, sollevandole mille dubbi legati alla sua vita futura e a quella di Vittoria che allora aveva appena tre anni … ma alla fine, lei e Sara avevano vinto. Il loro amore era stato più forte di tutto il resto, e così avevano coronato il loro sogno.
Dopo la cerimonia, era così felice che aveva raccontato dell’evento a tutti i suoi colleghi; ovviamente, non tutti avevano capito, e le era toccato subire occhiate piene di disgusto, battutine a volte nemmeno troppo velate dei colleghi maschi su possibili menage à trois che la vedevano coinvolta insieme a loro e alle loro mogli o compagne, oltre a vedersi evitare come la peste da persone che fino a qualche tempo prima aveva ritenuto ragionevoli … ma quelli che non si erano rivelati omofobi le avevano risollevato il morale. L’ignoranza era ancora tanta, ma per fortuna sempre più gente iniziava a ragionare con la sua testa: non tutti erano come il suo ex!
“Non pensarci!”, si impose, ma non poté fare a meno di avere dei flashback molto dolorosi: lui che le diceva di abortire e la metteva di fronte all’obbligo di scegliere tra sé e Vittoria … e quella sera di dieci anni prima, quando da gentiluomo qual’era per poco non l’aveva violentata, con la scusa di farla tornare eterosessuale.
Rabbrividì. In seguito si erano rivisti, ovviamente, perché nel frattempo Vittoria aveva saputo chi era suo padre, e avevano mantenuto rapporti civili, per il bene della piccola; ma spesso la donna si chiedeva cosa ci avesse trovato in un tipo del genere vent’anni prima.
“Le uniche cose buone che ha fatto Dario nella sua vita, sono stati Vittoria e Kevin. E anche Isabel, pure se non è biologicamente sua figlia!”, pensò.
Poi con un grande sforzo di volontà, tornò al lavoro. Rilesse velocemente la frase che doveva tradurre, e cominciò a battere sulla tastiera del computer.
 
 

Al suono della campanella che annunciava l’inizio della ricreazione, Vittoria si alzò dal suo banco, con l’intenzione di andare a cercare Davide: non lo cercava spesso quando erano a scuola, per timore che qualcuno, della sua classe o di quella di lui, si accorgesse di quel che provava, e potesse quindi creare imbarazzi. Però, quando ci andava, le sembrava quasi di volare! Proprio per questo, si accorse che c’era qualcuno che la stava chiamando solo quando era quasi fuori dell’aula.
“Che c’è?”, chiese, bloccandosi di colpo sulla soglia.
“Finalmente mi hai sentita!” Una delle sue compagne di classe, che si chiamava Paola, la stava fissando con aria torva.
“Scusami. Avevo altro per la testa!”.
“Ma dai? Non me ne ero accorta! Comunque, volevo solo chiederti: ma è vero che vuoi candidarti come rappresentante per il consiglio d’istituto?”.
“Sì, è vero. Perché me lo chiedi? Eppure mi pare che ne ho parlato, durante l’ultima assemblea di classe!”.
“Lo so che l’hai fatto, ma ho voluto comunque domandartelo per sicurezza. E perché volevo dirti che io e la maggioranza della classe abbiamo deciso di non votarti”.
“E allora?”.
Vittoria guardò la compagna dritta negli occhi. Il fatto che la maggioranza della sua classe improvvisamente non volesse più votarla la feriva, visto che tutti le avevano assicurato più volte che l’avrebbero sostenuta, ma non voleva farlo notare! E sapeva che ci sarebbe riuscita: la sua mamma biologica le aveva detto spesso che era molto brava nel non mostrare i suoi veri sentimenti, quando voleva, e le aveva sottolineato più volte come questa caratteristica l’avesse ereditata dal padre …
“Così…”. Paola, evidentemente colpita dall’indifferenza della sua interlocutrice, per qualche istante parve non sapere come continuare; ma poi si riprese.
“Non vuoi proprio sapere perché?”.
“Perché?” chiese Vittoria, con il tono di chi sta facendo una concessione; in realtà, però, era ovviamente curiosa di conoscere il motivo dell’improvvisa ostilità dei suoi coetanei verso di lei.
“Perché hai due madri”.
“Ah”.
Vittoria sentiva che stava iniziando ad innervosirsi; quando qualcuno nominava le sue madri come se fossero un qualcosa di sbagliato o un problema, si metteva sempre sul chi va là. Temeva quindi che entro breve avrebbe smesso di fingere … e sentendosi punta sul vivo, non poté fare a meno di continuare:
“E perché, di grazia, questo per voi sarebbe un problema? Sono io che mi candido, mica le mie due madri!”.
“Ma noi non riteniamo che tu sia adatta: la figlia di due lesbiche non può rappresentare la scuola, a nostro parere. Se gli altri studenti vorranno votarti, bene: ma non contare su di noi!”.
“D’accordo, come vuoi. Ma posso sapere, ora”, chiese Vittoria, con gli occhi verdi che ormai dardeggiavano verso tutti gli altri che fissavano la scena in silenzio, “in quanti la pensate in questo modo? Fatevi avanti, se ne avete il coraggio!”.
Come prevedeva, nessuno si mosse; ma la sua amica Priscilla, forse sconvolta quanto lei, si fece avanti per difenderla.
“Paola, smettila! Di’ la verità: vuoi candidarti anche tu, per questo stai facendo tutte quelle storie! E voi, tutti, dovreste vergognarvi: il fatto che Vittoria abbia due mamme non vuol dire che non sia una candidata adatta! Deve soltanto portare avanti gli interessi della nostra scuola di fronte al preside, mica deve fare una perorazione a favore delle famiglie omogenitoriali!”.
Paola, sentendosi chiamata in causa, si vide costretta a spiegare ancora:
“Stavo pensando di candidarmi, è vero. Ma è anche vero che lei non è adatta a diventare la nostra rappresentante d’istituto! Bisogna essere rappresentati da qualcuno che abbia una famiglia normale, non da qualcuno che vive ogni giorno una realtà che non si può neanche chiamare ‘famiglia’! Io non la voglio una rappresentante di istituto lesbica, mi fa schifo solo l’idea”.
“Cosa ti fa pensare che io sia lesbica?” saltò su Vittoria, incapace di trattenersi.
“Hai due madri. Come puoi essere eterosessuale?”.
“Ti ricordo che sono stata fidanzata già due volte … e con dei ragazzi! Se questo vuol dire essere lesbica, allora lo sono”.
“Capirai, hai fatto solo sei mesi con uno e otto con l’altro! Magari ancora non lo sai, ma sei lesbica: non può essere altrimenti, con l’esempio che hai avuto”.
“Ma ti rendi conto di quello che dici? Le tue parole non hanno un briciolo di logi …” Priscilla, indignata, si era lanciata di nuovo in difesa della sua migliore amica, ma l’altra la bloccò: la cosa riguardava lei, e lei sola quindi doveva affrontarla.
“Hai ragione: io forse sono lesbica perché ho due madri. E tu invece sei eterosessuale perché hai un padre e una madre e da piccola vedevi le principesse Disney, vero? Quindi, lo sei diventata per emulazione!”.
“Per me il discorso è diverso: io sono normale!”.
“Ah, sì? Beh, lascia che ti dica questo: vivere la propria sessualità è normalissimo, ma interessarsi a quella degli altri e pensare che questa possa condizionare tutto il resto ha un che di morboso. Riflettici, se ti è rimasto almeno un quarto di neurone funzionante! Ne dubito, ma non si sa mai”.
Detto questo, uscì sparata dalla stanza, facendo del suo meglio per non tremare di rabbia.
 
 
“Capito cosa mi ha detto, quel puffo nevrotico? Almeno però lei ha parlato: gli altri sono stati zitti! E io che pensavo che almeno la mia classe mi avrebbe appoggiata … non vincerò mai le elezioni, mi sa!”.
Kevin, appoggiato al cancello della scuola, guardò la sorellastra, mentre intorno a loro gli altri ragazzi li superavano: le lezioni erano appena finite, e loro due sembravano gli unici a non essere particolarmente impazienti di tornare a casa.
“E quindi? Che vorresti fare? Lasci perdere?”.
“A dirti il vero, per un attimo ho pensato di mollare tutto … ma poi mi sono detta che no, non ne valeva la pena. Se mi ritirassi, in pratica è come se la dessi vinta a Paola e a chi la pensa come lei, no?”.
“Giusto. E brava la mia sorellona! Comunque dovesse andare, il mio voto ce l’hai, lo sai benissimo”.
“Voto? Ma se staremo nella stessa lista! Si può fare una cosa del genere?”.
“Certo che sì! Figurati che ci sono studenti che si votano persino da soli!”.
“Ma non è giusto!”.
“Forse no, ma quando anche solo un voto può fare la differenza, perché non darlo, anche se si tratta di darlo a se stessi?”.
“Sarà, ma a me non pare giusto ugualmente!”.
Kevin stava per rispondere, quando fu interrotto dall’arrivo di Davide.
“Buon pomeriggio, signori futuri rappresentanti … come mai siete ancora qui?”.
“Niente, stavamo giusto discutendo delle elezioni; ma io credo che andrò via, perché sennò chi la sente mia madre? Anzi, è strano che ancora non mi abbia chiamato per sapere dove sono finito!”.
Kevin filò via, dopo aver fatto solo un lieve cenno di saluto alla sorella e al loro amico; così, Vittoria e Davide rimasero soli.
“Ehm … allora, hai avuto qualche problema riguardante le elezioni?”, chiese Davide alla ragazza, piuttosto imbarazzato. Aveva letteralmente tirato ad indovinare, ma senza saperlo aveva azzeccato il problema!
“Una mia compagna mi ha detto che non sono adatta a fare la rappresentante, perché ho due madri. Io davvero non capisco … cosa c’entra il fatto che ho due madri con la mia candidatura? E’ incredibile che ci siano ancora certi pregiudizi, nel ventunesimo secolo!”.
“Hai ragione, ma purtroppo ci sono! Io ne so qualcosa, anche se non mi sono mai candidato alle elezioni scolastiche …”
“Posso immaginarlo. Per un ragazzo con due padri, le cose sono ancora più difficili!”.
“Già … ma ora non me la sento di parlarne, e comunque dovremmo andare! Ho parcheggiato il motorino qui vicino, se vuoi posso accompagnarti”.
Davide, sorridendo, si mise al fianco di Vittoria, ed entrambi si lasciarono alle spalle il cancello della scuola.
 

 
“Sei stata bravissima, tesoro. Io non avrei saputo fare di meglio, eppure sopporto certe cose da più anni di te!”.
Sara, che era rimasta a casa per prendersi cura di Gabriele che si era ammalato la sera prima, guardò la figlia adottiva con autentica ammirazione.
“Grazie, mamma. Però a volte mi chiedo: quanto tempo ancora dureranno questi pregiudizi? Io, Gabriele, Davide e tanti altri, siamo ragazzi normali! Perché c’è ancora gente che non lo capisce? Eppure ormai il nuovo millennio è iniziato da un bel pezzo!”
“Lo so tesoro … ma certi tipi di mentalità sono duri a morire. Figurati che giusto qualche tempo fa ho sentito delle mie colleghe chiedersi come mai io sono sempre così femminile, nonostante conviva con una donna da anni”.
“Insomma, pensano che tu sia un maschio mancato? Tipico!”.
“Eh già. Sarà tipico, ma non per questo fa meno male! Quando non attaccano me, attaccano Irene: a volte le sento dire che, se io sono la donna della coppia, allora l’uomo è lei. Ho provato a spiegare loro che se entrambe abbiamo un seno e una vagina evidentemente siamo due donne, non un uomo e una donna, ma loro continuano a fare questi commenti quando pensano che io non le senta”.
“Perché non le licenzi? Sei la responsabile del tuo reparto, no? E questo è razzismo!”.
“I licenziamenti li decide il titolare del negozio, non io. E se anche avessi questo potere e lo usassi, loro appellerebbero alla libertà di opinione: gli omofobi lo fanno spesso”.
“Cioè, ti hanno detto che fai schifo, e questa sarebbe una opinione?”.
“Non hanno detto questo: hanno solo affermato che è strano che non sia un uomo mancato, e che se io sono una lipstick lesbian allora mia moglie deve per forza essere una camionista. Non sono state affatto carine, ma sono le classiche affermazioni che fa la gente ignorante: le offese vere sono ben altre. Se avessero detto una cosa tipo ‘quella lesbica di m… mi fa schifo’, allora sarebbe stato diverso, ma anche lì a parte una citazione per diffamazione non avrei potuto fare granché! Devi imparare certe differenze, Vee: è su questo che tanti omofobi attaccano gay e lesbiche, e in misura minore quindi anche i bisessuali come me e Irene. Dicono che noi facciamo sempre le vittime, e che lediamo la loro libertà di opinione … mica vorrai dar loro ragione, no?”.
“Assolutamente no!”.
“Ecco, appunto. Ma ora basta parlare di questo. Andrò a controllare Gabriele in camera sua, anche se credo stia ancora riposando, e poi ti preparo la merenda, d’accordo? Però poi dopo tu vai a studiare! Fai il quinto, quest’anno avrai …”
Gli esami di stato, e non puoi permetterti di andare male. Lo so, lo so … tu e mamma Irene me lo dite praticamente quasi tutti i giorni, che noia! Come se potessi dimenticarmelo”.
“Ecco una delle tante cose per cui famiglie etero e famiglie omogenitoriali sono identiche: i genitori rompono sempre le scatole ai figli sui compiti, in un modo o nell’altro!”, pensò qualche secondo dopo sbuffando, mentre apriva il diario per vedere con quale materia le convenisse cominciare per prima.
 

 
“Allora Kevin, come sono andati gli allenamenti?”. Jasmine guardò il figlio, mentre portava gli ultimi piatti della cena in tavola.
“Insomma … non un granché”.
Sentì su di sé lo sguardo curioso della sorellina adottiva, Isabel: la poverina aveva di sicuro capito ben poco di quel che lui e sua madre si erano detti, anche se stava imparando l’italiano velocemente, grazie all’aiuto dei suoi coetanei e delle maestre della scuola materna che frequentava. Peccato per lui però che ci fosse un’altra persona nella sua famiglia, la quale non solo conosceva bene la lingua, ma spesso la interpretava anche a modo suo!
“Ancora non hai segnato neanche un gol?”, chiese infatti Dario, con espressione schifata.
“Guarda che non è mica facile. Non gioco da solo, e la vita sui campi di calcio non è come quella di Holly e Benji, chiaro?”.
“Holly e Benji?” chiese Isabel, con aria interrogativa.
“Es un dibujo animado japonés, Isabel”, le spiegò Jasmine, sperando che la sua frase in spagnolo servisse ad incuriosire un po’ la bimba e a calmare gli animi degli altri due; ma riuscì nell’intento solo a metà.
“Oh, un dibujo animado!” fece infatti la bimba, annuendo. Stava per aprire di nuovo bocca, forse per fare un’altra domanda sulla natura del cartone animato in questione, ma fu interrotta bruscamente dai due maschi della sua nuova famiglia.
“Non sarà come Holly e Benji, ma non capisco proprio come mai tu non riesca mai a segnare. Eppure, sono anni che ci vai!”.
“Già. Chissà per colpa di chi!”.
“Non fare lo stupido: lo sport è importante!”.
“Lo so benissimo, ma per quel che mi riguarda sarebbe anche importante fare uno sport che piace a ME, non a te!”.
“Io ti ho chiesto quale sport volevi fare, mi sembra!”.
“Sì, in terza elementare! A quell’età a malapena conoscevo tutti gli sport, quindi ho scelto il calcio perché era il primo che mi era venuto in mente, e l’unico che sentivo nominare spesso anche dai miei compagni di classe. Ma tu non hai visto l’ora, vero? Non ti sei mai chiesto neanche per un istante se il football faceva davvero per me o no”.
“Come può non fare per te? Qualsiasi ragazzo sa tirare calci ad un pallone! A meno che tu non sia una…”.
“OH, STAI ZITTO! Mamma, io vado a mangiare in camera mia”.
“Ma Kevin, perché non puoi restare qui? Dovresti dare l’esempio ad Isabel!”, esclamò Jasmine, cercando di riportarlo alla ragione.
“Sono certo che Isabel mi perdonerà”, disse il ragazzo, guardando la sorellina che gli restituì uno sguardo curioso e allarmato insieme. “Ma io quel tizio lì non lo sopporto, quando fa certi discorsi! E lo sopporto ancora meno quando fa certi sottintesi assurdi!”, continuò, indicando il padre.
Dopodiché, prima che uno qualsiasi dei suoi familiari potesse replicare, prese il suo piatto e le sue posate, andò in camera sua e vi si chiuse dentro, non prima di aver sbattuto violentemente la porta per segnalare, semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto si sentiva arrabbiato. Sapeva bene cosa pensava il padre: il calcio è un gioco maschio, e se lui non sapeva giocare allora voleva dire che non era un vero uomo. Alla luce di questo, come avrebbe mai potuto confessargli che l’unico sport che gli piaceva davvero era la pallavolo, che nonostante avesse anche squadre maschili era uno sport notoriamente associato alle donne?
“Anche se Vittoria deve scontrarsi spesso con la realtà legata all’essere figlia di due madri, almeno non deve dimostrare di continuo di essere donna; io invece devo costantemente dimostrare di non essere una femminuccia. E’ un problema che hanno un po’ tutti i ragazzi, credo, ma nessuno dei miei coetanei è chiamato a dimostrare una cosa del genere al proprio padre!”, rifletté amaramente, mentre mangiava.

 
 

“Hai provato a parlare con Kevin?”.
Jasmine, in camera da letto, fissò il marito.
“Ci ho provato. Ma lo sai come è fatto: da quando è entrato nell’adolescenza, sembra considerarmi il suo principale nemico! Ogni scusa è buona per attaccarmi”, le rispose Dario, alzando le mani in segno di resa.
“Beh, è normale. Un ragazzo è sempre in lotta con il padre, no? E le ragazze lo sono con la madre … è la natura. Lui deve diventare uomo, e per farlo deve mettere in discussione te”.
“Deve diventare uomo, dici? Lo spero per lui”.
“Che intendi dire?”.
“Non ti pare che dimostri scarso interesse per qualsiasi attività tipicamente maschile? A volte gioca persino con le bambole di Isabel!”.
“Non essere ingiusto, lo sai che non è così: lui gioca con Isabel. Lei gioca con le bambole come qualsiasi bambina di cinque anni, e quindi anche lui ci gioca. Ma lo fa per lei, mica perché gli interessano i suoi giocattoli! E il fatto che non si precipiti a guardare il campionato di calcio ogni domenica e non impazzisca per gli allenamenti non vuol dire che sia gay”.
“Se lo dici tu! A me risulta che se un uomo non si comporta come tale, è gay. E lo stesso dicasi per le donne … guarda la mia ex, per esempio: si sarà truccata sì e no un paio di volte in vita sua, e infatti convive con una donna!”.
“Vorresti dire che io sono una donna vera solo perché mi trucco e vivo con te che sei un uomo?”
“Esatto. Tu mica ti senti uomo, no?”
“E’ vero, ma neanche Irene si sente tale, secondo me. Transessualismo e omosessualità non sono la stessa cosa!”
“Sì, certo. E tu sei un’esperta sull’argomento, vero?”.
“Non credo di esserlo, ma di certo ne so più di te. E so anche che Kevin non è gay: me lo sento! Quindi, non devi preoccuparti …”.
“E’ mio figlio: non posso fare a meno di preoccuparmi!”.
Jasmine alzò gli occhi al cielo: era inutile. Quando suo marito si metteva in testa una cosa, non c’era proprio verso di farlo ragionare!
“D’accordo, pensala come vuoi: io non so proprio più cosa dirti. Forse, dovresti iniziare a pensare cosa è davvero bene per nostro figlio invece di farti problemi inutili, non trovi?”, gli fece, seccata. E per fargli capire che non aveva intenzione di continuare la conversazione, si infilò sotto le coperte e si girò su un fianco, in modo da dagli le spalle.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Soddisfazioni e dubbi ***


Capitolo 5: Soddisfazioni e dubbi

Per il liceo di Vittoria, Kevin e Davide arrivò il giorno delle elezioni; alla fine, la ragazza aveva scelto di non seguire il consiglio del fratellastro e non si era auto-votata, sperando nella buona sorte.
E alla fine, era stata premiata; ma anche Kevin aveva avuto la sua soddisfazione.
“Ci pensi?” le disse, ridendo, quando uscirono i risultati. “La figlia di due lesbiche e un mulatto come rappresentanti d’istituto: qualche decennio fa, parecchia gente sarebbe inorridita, sapendolo!”.
Irene e Sara, volendo festeggiare il successo della figlia, la portarono fuori a cena insieme a Gabriele proprio il sabato sera dopo la sua nomina; avevano invitato anche Kevin, ma il ragazzo non era potuto venire, perché suo padre si era opposto … a nulla erano valsi i tentativi di Jasmine e della stessa Vittoria: Dario era convinto che la sua ex e la sua compagna potessero contagiare il figlio, e così il poveretto era stato costretto a restare a casa, nonostante avesse ingaggiato un’aspra lotta verbale contro il padre per cercare di esporre le sue ragioni.
Quanto a Davide, invece, dal giorno dell’uscita dei risultati delle elezioni aveva parecchi dubbi, e non riusciva a risolverli. Prima delle votazioni stesse infatti si era ripromesso che avrebbe confessato il suo amore a Vittoria una volta che questa avesse saputo com’era andata, ma poi non ce l’aveva più fatta! Aveva iniziato a domandarsi se ne valesse la pena, perché lei era più grande e sapeva che molte ragazze inorridivano alla sola idea di potersi mettere con un ragazzo più piccolo; era già alto quanto lei, questo era vero, ma purtroppo l’anagrafe era un qualcosa di fin troppo concreto. Oltretutto, bella com’era, era improbabile che notasse uno come lui!
Era combattuto su cosa fare, e non sapeva se fosse il caso di confidarsi e con chi: essendo figlio di due uomini, non aveva molti amici, e anche se quei pochi gli volevano bene a prescindere dalla sua sessualità, si vergognava ugualmente a chiedere aiuto su come conquistare una ragazza. Non poteva farlo, ne andava del suo orgoglio! Ovviamente, se aveva delle riserve a parlare con i coetanei, di certo non poteva farlo con i suoi padri: Tommaso e Marco erano due genitori fantastici, a suo parere, ma erano pur sempre adulti e di ragazze ne sapevano comunque ben poco … per tutti questi motivi, si ritrovava sempre da solo ed incerto su come agire; però sapeva benissimo che non poteva restare in quel limbo in eterno, e che quindi prima o poi avrebbe dovuto prendere una decisione in merito!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: La bugia di Kevin ***


Capitolo 6: La bugia di Kevin

“Ehi, tu! Ma è vero che hai due padri?”
Davide, che aveva appena finito di mangiare il suo panino nel cortile della scuola, alzò lo sguardo: davanti a lui c’erano quattro ragazzi che ad occhio e croce dovevano frequentare il quarto anno, tutti piuttosto ben piazzati.
“Sì, è vero. E allora?”.
Il quindicenne era abituato a simili domande, ma il tono minaccioso con cui uno dei quattro lo aveva apostrofato non gli piaceva per niente: nonostante ciò, aveva deciso di rispondere con aria di sfida. Era così occupato a cercare di farsi valere che a malapena si accorse che attorno a lui e agli altri si era formato un capannello di studenti, come succedeva sempre quando c’era un potenziale scontro e nessun insegnante era in vista.
“E allora, non ci piaci”, continuò un altro degli appartenenti al quartetto.
“Buon per voi, io me ne frego di quel che pensate”.
“E invece dovrebbe fregartene, frocio che non sei altro!”, esclamò il terzo. “Noi la feccia come te qui non la vogliamo. Vogliamo gente normale nella nostra scuola, non dei malati pervertiti!”.
“Perché, scusa? Vi siete comprati l’istituto, per caso? No, perché a me non risulta! Io ho diritto di venire qui, così come lo avete voi!”
“Ma sentitela, questa checca di merda”, si fece sentire l’ultimo componente del gruppetto. “Parla, parla e ancora parla, ma poi non fa niente. Scommetto che non avrebbe mai il coraggio di misurarsi con noi da uomo a uomo, perché effettivamente non è un uomo, è una donna mancata!”.
“Avete finito di sproloquiare? Siete noiosi, piantatela!”.
“Ora basta, verme, ci hai stancato!”.
“Ehi!”.
I quattro, che stavano per lanciarsi sulla loro vittima si bloccarono, sentendo la voce di un’altra persona; Kevin si era intromesso, mettendosi dalla parte di Davide.
“Ma bravi, quattro contro uno. Non vi vergognate? E meno male che secondo voi il codardo sarebbe lui!”.
“Stai difendendo questo frocetto? Bleah, che schifo, meno male che non ti ho votato. Sei frocio pure tu, per caso?”, chiese quello che per primo aveva parlato a Davide
“Questo non è affar tuo, Riccioli d’Oro. In ogni caso, io difendo chi mi pare, perché ho una certa antipatia per i razzisti di ogni genere! E non li voglio nella scuola dove studio. Quindi, invece di fare gli spavaldi con i ragazzini più piccoli, perché non ve la prendete con chi ha la vostra età?”.
“Kevin, lascia perdere”, si intromise Davide, avvertendo un cambiamento negativo nell’aria. “Non ne vale la pena!”. Cercò di spingere via l’amico, ma troppo tardi: i quattro energumeni, scambiandosi un’occhiata, avevano deciso di prendere il neo rappresentante della loro scuola alla lettera e si erano diretti su di lui: mentre uno lo teneva, gli altri tre iniziarono a dare calci e pugni a più riprese.

 
 

Davide, spaventato, correva a perdifiato per le scale: si sentiva un vero codardo, ma se si fosse messo contro quel quartetto così aggressivo non solo si sarebbe fatto molto male, ma non avrebbe aiutato l’amico! In preda al panico, era riuscito a farsi largo tra la folla, dopo aver inutilmente chiesto a tutti i presenti una mano con il solo sguardo, e si era diretto verso l’edificio scolastico: aveva chiesto aiuto ai primi bidelli che aveva incontrato, dovendo rispiegarsi parecchie volte per quanto era agitato e spaventato, e poi aveva proseguito la sua corsa: se c’era qualcuno che poteva aiutare Kevin, almeno dal punto di vista morale, quelli non erano né i professori né i bidelli, e neanche la vicepreside, che di sicuro sarebbe stata avvertita entro breve … ma Vittoria. Lei, ne era sicuro, avrebbe saputo trovare una soluzione!
 
 

Vittoria aveva sognato molte volte che Davide venisse a chiamarla durante le lezioni; ma immaginava succedesse per motivi più romantici, non per cose così gravi!
“Dove hai detto che si trova? In cortile?”.
“S…sì, esatto!”, Davide aveva una paura terribile: temeva che la ragazza, una volta passati gli effetti dell’adrenalina e della preoccupazione per il fratellastro, se la prendesse con lui per non averlo difeso. Si sentiva già abbastanza colpevole di suo, quindi voleva evitare di essere bersagliato di rimproveri anche dalla persona che amava e a cui purtroppo ancora non aveva avuto il coraggio di dichiararsi!
Quando arrivarono, la folla si era già un po’ dispersa, ma c’era comunque un capannello di gente attorno ad un unico punto: e fu lì che Vittoria e Davide si diressero, sempre più in ansia.
Kevin non sembrava avere ossa rotte, ma aveva sangue che gli usciva dal labbro e sembrava dolorante in più punti del corpo; Vittoria si guardò intorno, con i suoi occhi verdi che mandavano saette, ma non vide nessuno che sembrasse essere l’aggressore di suo fratello: molto probabilmente, i colpevoli erano già stati portati in presidenza. In compenso, vedendola così arrabbiata molti curiosi si allontanarono … e vedendoli andar via, lei sospirò.
“La scuola avrà di certo avvertito l’ambulanza, e probabilmente avrà contattato anche Jasmine … io però non posso stare con le mani in mano!”.
Si chinò quindi verso il fratello, e insieme a Davide lo aiutò ad alzarsi.
“Ma che ti è successo? Ti hanno aggredito per razzismo?”.
I due maschi si scambiarono un’occhiata, poi il più grande rispose, debolmente:
“E’ una lunga storia”.
“Va bene, ho capito … semmai, me la racconterai bene quando starai meglio, d’accordo? Ora scusami un attimo”, gli disse, mentre lo lasciava alle cure dell’amico e si spostava poco più in là. Estrasse il cellulare dalla tasca destra dei pantaloni, trovò il numero della sua mamma non biologica e stava quasi per chiamarla, quando ci ripensò: né Sara ne la sua madre naturale potevano aiutare Kevin da un punto di vista pratico. Avrebbero potuto supportare lei, ma come potevano essere utili a suo fratello, considerando che non erano sue parenti? Proprio mentre formulava quel pensiero, però, si rese conto che invece una persona che poteva aiutarlo c’era, e quella persona aveva un legame di sangue anche con lei … tornò quindi a rivolgere l’attenzione alla rubrica, e fece il numero di suo padre.

 
 

All’ospedale, Kevin dovette attendere, prima di essere visitato; anche se la sua sorellastra era maggiorenne, i medici avevano preferito aspettare che arrivasse un adulto prima di fare qualsiasi visita, e così non si era potuto muovere fino all’arrivo dei suoi genitori. La diagnosi dei medici, alla fine, parlò soltanto di una quantità imprecisata di contusioni, lividi e graffi, ed escluse fortunatamente la spaccatura del labbro, cosa che invece sia Vittoria che Davide avevano temuto; nonostante questo, al ragazzo fu assegnata una camera d’ospedale dove trascorrere la notte. Sarebbe stato indubbiamente dimesso l’indomani, ma la cosa lo disturbava comunque parecchio; non che fosse molto ansioso di tornare a scuola per le lezioni, ma aveva delle responsabilità verso gli altri studenti, e inoltre detestava gli ospedali! Ma la cosa che odiava di più in assoluto, erano certe osservazioni fatte da una certa persona …
“Allora, Kevin”, disse Dario, circa un secondo netto dopo che sua moglie ebbe lasciato la stanza per fare una telefonata ai suoi genitori che volevano sapere come stava il nipote, “Cosa è successo, esattamente?”.
“Te l’ho già spiegato, papà, e te lo ha detto anche Vittoria al telefono. Mi hanno picchiato!”.
“Sì, ma tu almeno hai reagito, oppure no? Mi auguro che tu gli abbia fatto vedere quanto vali!”.
L’adolescente alzò gli occhi al cielo.
“E ti pareva? Ci avrei scommesso: a te non frega nulla del fatto che mi hanno fatto del male! Tutto quel che ti interessa è sapere se mi sono comportato da vero uomo, non è così? Ebbene, allora puoi iniziare a sceglierti una parete da usare come muro del pianto, se vuoi, perché la risposta è no! Mi sono saltati addosso in quattro, e visto che non ho poteri sovrannaturali anche se ci ho provato ho avuto la peggio! Mi sarebbe piaciuto fare qualche piroetta e stenderli tutti a suon di calci e pugni, ma certe cose succedono solo nei fumetti”.
“D’accordo, ho capito, non ti sei difeso, o per lo meno non abbastanza. Ma nessun insegnante ha visto cosa è successo?”.
“Sono arrivati i bidelli, e poi alcuni insegnanti e la vicepreside, dopodiché i miei assalitori sono stati portati via, ma non so se verranno sospesi …”.
“Sospesi è poco, direi: dovrebbero essere proprio espulsi! E oltretutto, anche gli adulti hanno le loro colpe. Sarebbero dovuti arrivare parecchio prima! Da non credere: c’è un episodio razzista a scuola, e nessuno interviene per tempo! Appena rientra tua madre, esco e penso che andrò a fare una bella telefonata a questi signori …”.
Kevin aprì la bocca, stupefatto: suo padre lo stava difendendo! Era improbabile che telefonando riuscisse ad ottenere una qualche informazione e riuscisse a fare la scenata che aveva detto di voler fare, ma apprezzava lo sforzo. Eppure, nonostante questo gli bruciava ancora il fatto che lo considerasse un pappamolla: che fosse per questo che aveva deciso di contattare la scuola? Lo riteneva indegno di difendersi da solo, e quindi lo faceva lui al suo posto, avvalendosi del fatto che era il padre di un ragazzo mulatto e minorenne? Con questo dubbio in mente, e in preda ad un gran nervosismo, prese una decisione repentina.
“Grazie, papà. Però, prima che rientri la mamma, dovrei dirti una cosa. Una cosa che riguarda quello che mi è appena successo”.
“Cioè?”.
“Ecco, vedi, non sono stato picchiato solo per razzismo … c’è un’altra ragione”.
“Ah, sì? E sarebbe?”.
“Sono gay, papà”.
“COSA??? Stai scherzando, vero?”.
“No, affatto”.
“Com’è successo?”.
“Ci sono nato; cose che capitano!”.
“Ma …”
“Cosa succede? Kevin, mica ti senti male, vero, tesoro?”.
Jasmine era tornata, seguita a ruota da Isabel che osservava il fratello maggiore con aria alquanto attonita.
“No mamma, tutto a posto”.
“Meno male. Mi era sembrato di sentire delle urla!”.
La donna si girò istintivamente verso il marito, con espressione interrogativa; anche se le parole del figlio l’avevano rassicurata, aveva comunque intuito che c’era qualcosa che non andava!
“Jasmine, io … credo che me ne andrò fuori!” fu tutto ciò che invece riuscì a dirle Dario, prima di uscire dalla stanza con una espressione truce dipinta sul volto.

 
 

“Ma sei matto? Perché gli hai detto una cosa del genere?”.
Vittoria, che era rientrata nella stanza poco dopo che il padre e sua moglie erano usciti, fissava il fratellastro, incredula.
“Vorrei vedere te al mio posto: non ha fatto altro che dirmi che sono un debole! Adesso, almeno, potrà darsi una spiegazione logica, così impara”.
“Kevin, per l’amor del cielo, hai diciassette anni! Non sei più un bambino!”
“Intendi dire che mi sto comportando da immaturo? Sì, forse. Ma ti ricordo che lui di anni ne ha quarantacinque: dovrebbe essere in grado di amare qualcun altro oltre se stesso, no? Se avesse davvero tenuto a me, non mi avrebbe rimproverato solo perché non ho reagito essendo in minoranza. E non avrebbe riconosciuto te quando avevi solo sette anni e mezzo, e per un motivo che conosciamo entrambi!”.
“Ok, ho capito il tuo punto di vista. Sorvolando un attimo sul perché papà mi ha riconosciuta tardi e sulle motivazioni, perché gli hai detto che sei gay? Lo sei davvero?”.
“Ovvio. Sono talmente gay che sono preso da due ragazze, e ho una mezza idea di mettermi con entrambe contemporaneamente”.
“Che? Ma sei scemo? Non si fa!”.
“Il fatto è che non riesco a decidermi, sul serio!”.
“Beh, vedi di farlo, allora. Papà per un periodo è stato sia con mia madre naturale che con la tua, sai? Vedi di non fare come lui!”.
“Cosa? Davvero? Questa mi mancava. Che faccia tosta!”.
“Già. Ora devo andare, perché mi stanno chiamando”, fece la ragazza, sentendo il suo cellulare che squillava nella sua borsetta, che aveva appoggiato sulla sedia posta accanto al letto di Kevin. “Penso che sia mamma Irene che è venuta a prendermi per portarmi a casa. Ma tu vedi di deciderti tra quelle due, ok? Poi mi dirai anche chi sono, se te la senti!”.
“Va bene, te lo dirò”.
“D’accordo. E preparati, perché riparleremo anche della bugia che hai detto a papà. Ti coprirò se vuoi, ma secondo me la cosa non porterà nulla di buono!”, lo avvisò ancora Vittoria, mentre si metteva la borsa su una spalla.
“D’accordo. Consolati: questa faccenda impedirà a papà di capire bene di chi è innamorata la sua figlia primogenita … sai come si infurierà scoprendo che sei cotta persa del figlio di due uomini?”.
Senza neanche degnarsi di rispondere, Vittoria uscì, sperando che il fratello non notasse quanto era arrossita.
 

 
“E’ gay. Ti rendi conto?”.
“Dario, ti prego. Non davanti ad Isabel!”.
“Cosa è gay?” chiese la bambina, un po’ allarmata, non capendo bene cosa agitasse tanto il suo papà adottivo: entrambi gli adulti però la ignorarono.
“Scusami se non prendo la cosa alla leggera, sai!”.
“Dovresti preoccuparti del fatto che tuo figlio è all’ospedale perché è stato picchiato, non della sua sessualità!”.
“Se non fosse stato una femminuccia, si sarebbe difeso, e non sarebbe finito in ospedale. Ho sempre intenzione di chiamare la scuola per dirne quattro a tutti quanti visto che nessuno s’è degnato di porre fine alla lite, ma credo che anche lui abbia la sua responsabilità!”.
“In pratica, stai dicendo che se l’è quasi cercata? E perché non dici anche che magari l’ha meritato, già che ci sei? Andiamo, Isabel, torniamo da Kevin”, fece poi, rivolta alla bambina. “Forse papà ha bisogno di restare qui da solo a riflettere per un po’ ”.
Lanciando un vero e proprio sguardo inceneritore al marito, rientrò nell’ospedale insieme alla figlia adottiva.

 
 
“Davvero? Kevin è gay?”.
Irene fissò la figlia, mentre si fermava ad un semaforo.
“Sembra di sì, mamma”.
Vittoria non amava mentire alle sue mamme, ma doveva farlo: il fratellastro era determinato a mandar avanti la farsa, e quindi lei voleva avallare tutto.
Forse, se la cosa fosse durata abbastanza a lungo, suo padre avrebbe finalmente capito che non c’era nulla di male nell’essere omosessuali!
“Povero bambino. Non vorrei essere nei suoi panni!”esclamò l’adulta proprio in quel momento; la giovane, quindi, fu costretta a prestarle attenzione, anche se sapeva cosa sarebbe venuto dopo.
“Ossia?”.
“Lo sai. Tuo padre non è esattamente una persona gay-friendly! Non mi stupirei se lo mandasse da qualche psichiatra per farlo guarire …”.
“Ma non sarebbe legale!”.
“Non esattamente: psicologi e psichiatri che pensano che l’omosessualità non sia normale non dovrebbero esistere, e infatti per fortuna ora sono pochissimi, anche perché sarebbero passabili di denuncia. Ma tuo fratello è minorenne: e quindi, il tuo amato paparino può ancora decidere per lui!”.
“Ma Kevin ha anche una madre! E lei non mi sembra omofoba”.
“Jasmine? Hai ragione, non è omofoba. Non più, almeno … sai bene com’è andata tutta la storia. Però ecco, tende ad essere un tantino ingenua. Dario l’ha imbrogliata parecchie volte in parecchie occasioni, e non è detto che non lo rifaccia ancora!”.
“Parecchie volte in parecchie occasioni? In che senso? Cosa le ha combinato?”
“Lascia perdere, è meglio”.
Irene alzò volutamente il volume della radio, per far capire alla figlia che voleva lasciar cadere il discorso; la ragazza dal canto suo avrebbe voluto approfondire la questione, ma sapeva perfettamente che quando la madre biologica non voleva parlare di qualcosa era inutile insistere! Quindi, sospirando, si impose di ascoltare le notizie che passavano nel piccolo apparecchio elettronico presente nell’automobile; ma per quanto si sforzasse, i suoi pensieri si rivolgevano sempre e soltanto ad una persona.
 
 

“Insomma, questo è quanto. Mi sento colpevole!”
Davide alzò gli occhi dal piatto della cena, e fissò i suoi due papà.
“Non devi. Dopotutto, non è colpa tua! Se fossi intervenuto, quei quattro avrebbero infierito anche su di te, e non avresti affatto aiutato Kevin, in questo modo! Probabilmente, a quest’ora se avessi reagito sareste stati ricoverati entrambi”, gli fece notare Tommaso.
“Sì, ci ho pensato anche io. Però non posso comunque evitare di sentirmi un cretino, un codardo … se sta all’ospedale, penso che sia un po’ anche colpa mia!”
Marco scosse la testa, sentendo parlare in quel modo il figlio adottivo; capiva cosa provava, perché sapeva quanto fosse brutto avere un’ingiustizia sotto gli occhi e non poter far nulla per evitarla. Dopotutto, era proprio per la volontà di fare giustizia che qualche anno prima aveva scelto di diventare un poliziotto! Forse, però, in quel caso le rassicurazioni sue e di suo marito sarebbero servite a ben poco: probabilmente, il quindicenne doveva aver modo di riflettere sulla questione per arrivarci da solo. Perciò, scelse di intervenire rimanendo sempre in argomento, ma spostandosi lievemente dalla questione principale …
“Hai sentito Vittoria, qualche ora fa? Magari Kevin sta già meglio, adesso!”.
Il giovane sobbalzò, sentendo il nome della ragazza che amava; rendendosi conto di essersi scoperto un po’ troppo con la sua reazione, si affrettò a rispondere:
“Sì, l’ho sentita. Dice che forse lo dimetteranno domani! Però dice anche che…”.
Davide esitò per qualche secondo. Doveva dirlo? E in che misura? Vittoria gli aveva infatti raccontato della bugia di Kevin, e di come lei l’avesse fatta passare per verità prima davanti alla madre biologica, e poi anche all’altra. Lui doveva fare lo stesso? Doveva mentire ai suoi genitori, per proteggere l’amico e la ragazza di cui era innamorato? Oppure era meglio dire loro che la cosa non era vera, e che i due fratelli si erano semplicemente messi d’accordo alle spalle del padre omofobo? Loro avrebbero capito, dopotutto!
Alla fine, però, scelse la prima opzione: i suoi padri erano due adulti, e non era detto che avrebbero mantenuto il segreto: anzi, probabilmente avrebbero spifferato tutto a Sara e Irene alla prima occasione possibile, magari anche facendosi quattro risate. E lui non poteva sopportare che si ridesse di qualcosa che vedeva coinvolta anche Vittoria, seppure indirettamente!
“Dice anche che Kevin ha fatto coming out, in ospedale: prima con il padre, e poi con la madre”.
Marco e Tommaso si guardarono: non avevano dubbi sulla sessualità di Davide, avendo avuto modo di notare come si comportava quando c’era Vittoria nei paraggi. Sapevano che la loro situazione avrebbe sempre creato qualche problema al figlio, e quanto era successo quella mattina ne era una spiacevole riprova; ma riguardo a Kevin, non se lo aspettavano proprio, specie sapendo quale opinione avesse suo padre dei gay! Per il bene del ragazzo, sarebbe stato meglio che fosse stato etero; ma nessuno meglio di loro sapeva che la sessualità non è mai una scelta …

 
 
“Credi che dovremmo fare qualcosa per Kevin?”.
Irene, con la testa appoggiata ad una spalla della moglie, diede voce al primo pensiero logico che era riuscita a formulare dopo l’amore.
“Non penso che potremmo, anche volendo”, rispose Sara, facendo correre una mano su quel corpo nudo che nonostante i quindici anni di matrimonio la eccitava ancora parecchio. “Non è nostro figlio dopotutto! Possiamo solo sperare che il tuo ex non faccia l’idiota come suo solito”.
“Già. Spero che Jasmine sia abbastanza forte da contrastarlo, perché ce ne sarà di certo bisogno!”.
“E’ un po’ ingenua, ma non è stupida fino a quel punto. E’ la madre di Kevin, vorrà proteggerlo, no? Anche se questo vorrebbe dire difenderlo dal suo stesso padre”
“Poveretta. Almeno però non dovrà fare la fatica che ho fatto io per proteggere Vittoria da Dario, dieci anni fa!”.
“Tranquilla, essendo eterosessuale lei non correrà questo rischio. Al massimo, si dovrà sentir dire che è colpa sua se il ragazzo è gay, perché come ogni persona rimasta al Medioevo sa bene, ovviamente un maschio diventa gay quando la madre lo soffoca troppo!”.
“Già. Peccato che questi egregi signori non abbiano trovato una motivazione per le ragazze lesbiche! E poi, per chi è bisessuale come me e te come sarebbe la storia? Sono stati inadeguati entrambi i genitori, e quindi i bambini escono confusi?”.
“Non credo che questa gente consideri i bisessuali: a dir la verità, la nostra categoria è un po’ bistrattata persino dai gay! Anche se ad essere del tutto onesta, la maggior parte dei bifobi che mi è capitato di incontrare erano quasi tutti etero!”.
“E’ vero, vale anche per me. Ma c’è anche da dire che di bifobi maschi noi donne bisessuali ne incontriamo pochi: gli uomini etero impazziscono all’idea di due donne in intimità!”.
“Sì, e si fanno anche un sacco di film mentali in cui entrano eroicamente nel quadretto, e al colmo della loro virilità convertono le due poverette a suon di spinte. Per fortuna che non sono proprio tutti così, ed esistono anche quelli che sanno far funzionare bene il cervello!”. Sara si morse il labbro per non ridere: fino a quel momento la conversazione si era svolta a bassa voce, e non voleva rischiare di svegliare i figli, che invece già dormivano.
“A proposito di sessualità”, continuò poi, colta da un pensiero improvviso. “Secondo te, Vittoria sarà veramente etero? Non che la cosa abbia importanza, naturalmente, ma è chiaro che se si è eterosessuali si vive molto meglio: vorrei che le fosse risparmiato tutto quello che abbiamo dovuto passare e a volte ancora passiamo noi due per farci accettare!”.
“Puoi stare serena: è etero. E credo anche di sapere chi è il fortunato oggetto dei suoi desideri, almeno per ora”.
“Ah, sì? E chi sarebbe?”
“Davide”.
“Cosa? Sul serio? Ma pensa! Te lo ha detto lei?”.
Sara, interessata, smise di accarezzare sensualmente la compagna, per seguire meglio il discorso.
“No, ma l’ho capito. Dopo aver parlato di Kevin, abbiamo ascoltato per un po’ la radio, e poi lei è partita in quarta a parlare della scuola e della palestra. E, in un modo o nell’altro, Davide veniva sempre nominato! Con tanto di scintillio negli occhi, tra l’altro. Hai presente Superman? Ecco, qualcosa del genere. A sentire lei, lui è perfetto e non sbaglia mai!”.
“Wow! Allora la cosa è seria!”.
“Aspetta prima di mettere le pubblicazioni, Sara: non stanno ancora insieme, e poi non so se lui sia interessato, e fino a che punto. Sai bene quanto me, oltretutto, che le relazioni tra adolescenti non sono quasi mai per sempre! Dopotutto, la nostra Vittoria è già stata fidanzata due volte, no? Ora però basta parlare di questo: ho una cosa più importante da fare”.
“E sarebbe?”.
“Devo punirti per avermi accarezzata in quel modo tutto il tempo: mi hai fatta eccitare di nuovo, quindi ora devi pagare!”.
“Oh, sai che dispiacere!”.
Irene distese il suo corpo su quello della consorte, e dopo qualche attimo, le due donne stavano di nuovo viaggiando verso il loro mondo privato.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: la finzione va avanti ***


Capitolo 7: La finzione va avanti

“Quindi, fatemi capire bene: avete detto quella bugia a vostro padre perché pensate che così facendo lui possa cambiare idea sugli omosessuali?”.
La ricreazione era iniziata da pochi minuti, e Davide ne aveva approfittato per trovare Kevin e Vittoria e portarli in un angolo tranquillo del corridoio di fronte alla sua classe: voleva evitare il cortile, dopo quel che era successo il giorno precedente!
“Io in realtà gliel’ho detto di getto, perché sono stufo di come mi tratta: all’inizio non volevo proseguire la messa in scena”, spiegò Kevin, “Ma poi mi sono deciso: se lo meriterebbe, dopotutto. Vittoria all’inizio era contraria, ma adesso pare che pensi addirittura che questa bugia potrebbe servire a nostro padre per cambiare idea su quelli che lui attualmente chiama ‘pervertiti’. In pratica, anche lei vuole dargli una lezioncina nonostante abbia ventisette anni meno di lui, e anzi, sembra quasi più determinata di me!”.
“Beh, direi che ne ho diritto, non trovi?” si intromise la ragazza, lievemente risentita. “Non capisco perché tu debba usare quel tono, visto che sai come stanno le cose. Vivo con due donne, con loro sono sempre stata benissimo ma sono stufa di sentirlo chiedere se ho un ragazzo perché lui teme che subisca la loro influenza! Non dimenticatevi che dieci anni fa ha persino cercato di portarmi via dalla mia famiglia, solo perché non vivevo in un contesto eterosessuale”.
“Nessuno lo dimentica! Sto solo dicendo che sei troppo ottimista: papà non cambierà mai. Ma forse, questo mio piccolo imbroglio gli farà considerare cose che prima non aveva mai ritenuto degne della sua attenzione!”.
“Tipo te, per esempio?”.
“Anche. Comunque, a questo punto se siete tutti d’accordo a mandare avanti la cosa, direi che ci sono alcune cosette che dobbiamo definire …”.

 
 

Dario sospirò, sentendo la porta di casa chiudersi: ora che sua moglie era uscita per fare la spesa insieme ad Isabel, poteva avere campo libero.
Accese quindi il computer, pregustando quanto stava per fare …  e appena ebbe trovato quel che voleva, chiamò il figlio a gran voce.
“Kevin? Puoi venire un momento?”
Non ottenne risposta.
“KEVIN!”.
“Che vuoi? Che hai da urlare tanto, si può sapere?”.
Il ragazzo aveva fatto capolino dalla sua stanza, piuttosto irritato.
“Puoi venire nel mio studio, per favore? Devo farti vedere una cosa!”.
“E’ così urgente? Sto studiando!”.
“Lo studio può aspettare. Sbrigati!”.
“Arrivo!”.
Suo malgrado, il diciassettenne era curioso: da quando in qua per suo padre lo studio poteva aspettare?
“Eccomi”, disse, restando fermo sulla soglia.
“Ti puoi avvicinare, sai? Non mordo!”.
Il ragazzo obbedì, mentre l’adulto spostava il computer portatile nella sua direzione: e quello che vide lo lasciò senza fiato. Lo schermo era pieno di immagini di donne! Non erano tutte completamente nude, ma di certo non ce ne era una che fosse completamente vestita; ed erano tutte bellissime.
Mentre sentiva il suo corpo reagire a quell’inaspettata visione, Kevin capì le intenzioni di suo padre: quello era il suo primo tentativo di farlo guarire da quella che lui riteneva essere una malattia. Capiva tutta quell’urgenza: anche se sua madre era appena uscita e difficilmente sarebbe rientrata nel giro di breve tempo, quella era una cosa che andava fatta in fretta!
Sforzandosi in tutti i modi di non ridere e di assumere uno sguardo disinteressato, si fece sentire.
“Perché mi fai vedere queste cose?”.
“Non sono belle?” gli chiese suo padre per tutta risposta, contravvenendo ad una delle regole a cui lui stesso aveva sempre tenuto, ossia a quella secondo cui non si rispondeva ad una domanda con un’altra domanda.
Kevin si strinse nelle spalle, fingendo una indifferenza che non provava affatto.
“Se lo dici tu!”.
“Non ti piacciono?”.
“Non particolarmente”.
Dario guardò il figlio con disappunto. Come poteva restare indifferente davanti a tutte quelle bellezze? Per un attimo, si chiese se dovesse cercarne altre ancora più svestite, e magari colte in qualche posa particolare ma poi ci ripensò: suo figlio aveva comunque diciassette anni, e non sarebbe stato educativo da parte sua mostrargli cose che notoriamente erano per soli adulti.
Già così, aveva fatto troppo. Però forse poteva dargli qualche dritta, in modo che le vedesse da solo …
“Davvero? Ne sei sicuro? Se vuoi, puoi anche guardarle tutte completamente svestite: non sono male. Le donne sono delle vere e proprie meraviglie della natura, se le guardi bene te ne accorgerai!”.
Kevin fece del suo meglio per non scoppiare a ridere: la situazione, a suo parere, era davvero paradossale.
“Roba da non credere: dove si è visto mai un padre che consiglia al figlio minorenne di guardare delle donne nude? Non che mi dispiaccia, per carità, anzi: però è strano lo stesso”, pensò.
“Dici? A me non sembrano tutto questo granché, in realtà”, disse poi, sforzandosi di nuovo con tutto se stesso di apparire totalmente disinteressato.
“Però ci proverò … adesso scusami, ma devo continuare a studiare, perché domani ho una interrogazione!”.
Detto ciò, filò in camera sua alla velocità della luce; chiuse la porta a chiave, si buttò sul letto e mise la faccia sul cuscino, per soffocare le risate. Dopodiché, prese il cellulare e mandò un messaggio alla sorella.

 
 

“Ciao come va? Non immaginerai cosa è appena successo! Sto ancora ridendo … papà mi ha …”

Vittoria aggrottò la fronte, leggendo l’sms del fratello. Irene le aveva detto spesso che suo padre era parecchio omofobo e molto ristretto mentalmente riguardo a certi temi, ma non immaginava che lo fosse fino a quel punto! Scosse la testa: com’era possibile pensare che bastasse vedere qualche immagine più o meno provocante per cambiare orientamento sessuale?
 
Certo che ne ha di fantasia, scrisse. Perché non gli chiedi se vedendo foto di donne nude io rischio di diventare lesbica? Mi interesserebbe sapere che ne pensa!
 
Non volle specificare che stava scherzando, perché era sicura che Kevin l’avrebbe capito da solo; e infatti, ne ebbe la prova appena due minuti dopo.
 
Ma certo che puoi diventarlo, non lo sapevi? La lobby gay controlla tutto, vuole impossessarsi delle nostre menti e manda messaggi subliminali per convertirci! Stai attenta, mi raccomando.
 
Leggendo quella raccomandazione strampalata, la ragazza non poté fare a meno di ridere: dopo che si fu calmata, si decise a rispondere.
 
Oh, certo, starò attenta. A proposito di omosessualità, per quanto hai intenzione di mandare avanti la storia? Credo che papà si stia torturando abbastanza, e presto ti renderà la vita impossibile a forza di cercare di “guarirti”: sicuro che il gioco valga la candela?
 
In realtà, la sola cosa che le premeva davvero di sapere era una sola, perché in un certo senso la riguardava da vicino; ma non voleva prenderla di petto.
 
Credo che lo terrò sulla corda ancora per parecchio. E’ troppo divertente! E comunque, so perché non vedi l’ora che io la smetta. Ti da fastidio il fatto che userò Davide come mio falso fidanzato, vero?
 
“Vorrei ben vedere!”, pensò Vittoria punta sul vivo, scrivendo esattamente quelle parole sul suo cellulare. Kevin sapeva tutta la storia, quindi non ritenne di dover essere ancora più esplicita, e schiacciò il tasto invio …
 
Ah ah, lo immaginavo. Perché non gli parli, allora?
 
“Fosse facile”, si disse la ragazza. Molte volte aveva provato a convincersi a farlo, ma non c’era riuscita: e questo perché ogni volta che incontrava gli occhi di Davide si sentiva tremare, e a malapena riusciva a tirare fuori dalla bocca frasi di senso compiuto. Che figura avrebbe fatto, quindi, se avesse cercato di dirgli cosa sentiva esattamente per lui? E poi, lui l’avrebbe voluta? Ne dubitava: c’erano diverse quindicenni molto carine, quindi non vedeva perché doveva interessarsi ad una come lei!

Eh, è una parola! Perché non fai tu da paraninfo, dato che a quanto ho capito passerai molto tempo con Davide?.
 
Il messaggio aveva una venatura polemica, ma lei non poteva farci nulla: era parecchio gelosa.
 
Para … cosa? O.o Comunque, potrei accennarglielo, la prossima volta che lo vedo. Ora devo andare: dovrei ripassare, e credo di aver perso fin troppo tempo!
 
Vittoria fece uno squillo al fratello, per segnalargli che aveva capito. Dopotutto, anche lei doveva ripassare, quindi doveva mettersi all’opera! Era sola in casa, ma le sue due mamme sarebbero potute rientrare da un momento all’altro, e l’ultima cosa che voleva era farsi rimproverare perché non era sui libri. Prima di tuffarsi nel libro di letteratura latina, però, non poté fare a meno di pensare che, se la messa in scena del fratello fosse continuata più del dovuto, avrebbe dovuto fermarlo. A tutto c’era un limite, e comunque il fatto che lui si fosse appropriato del ragazzo che amava, seppure con la sua complicità, non le andava molto giù!

 
 
“Hai sentito Jasmine, oggi?” Sara guardò la moglie, abbassando leggermente il volume della televisione.
“No: credo che l’atmosfera a casa loro sia già parecchio tesa, perciò ho preferito evitare. La chiamerò tra qualche giorno, semmai”.
“Kevin avrà ancora problemi con Dario, secondo te?”
“Poco ma sicuro. Meno male che il mio ex ha solo quarantacinque anni, altrimenti avrei temuto che rendesse mia figlia orfana di padre facendosi scoppiare le coronarie per la bile”.
 “Addirittura? Forse. Ma magari cambia, no?”.
“Chi, lui? Ne dubito”.
“Vedremo, dai. Restando in tema di gusti sessuali, sbaglio o la nostra Vittoria ha problemi di cuore?”.
“Ho avuto anche io questa sensazione, però non te lo so dire con certezza. Ormai, non si confida più con me come una volta … e in ogni caso, da quando è entrata nell’adolescenza preferisce parlare più con te che con me!”.
“Forse è vero, ma in ogni caso a me non ha detto nulla. Chissà, magari si farà sentire tra qualche giorno! Intanto, che ne dici di alzarci dal divano, e andare in camera? Tanto i bambini di sicuro a quest’ora dormono già profondamente … sarà indimenticabile!”.
“Fammi pensare … ma sì, perché no? Potremmo andare!”.
Lanciandosi occhiate cariche di promesse, le due donne si alzarono e si avviarono verso la loro camera da letto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Trucchi e bugie ***


Capitolo 8: Trucchi e bugie

“Vittoria, posso parlarti un attimo?”
La ragazza si voltò, sorpresa: la prima assemblea d’istituto era stata un vero fiasco, perché si era presentata veramente pochissima gente, e anche se se lo aspettava, la cosa la deprimeva un po’: stava appunto parlandone con il fratellastro fuori dai cancelli della scuola, quando si era sentita chiamare dalla sua migliore amica.
“Certo, Priscilla. Cosa c’è?”.
“Ehm…” Priscilla guardò Kevin, imbarazzata. “Dovrei parlarti in privato. E’ una cosa un po’ da ragazze… ma se sei con tuo fratello…”
“Fate pure, non c’è problema. Tanto, io devo sbrigarmi a tornare a casa… mia madre tra poco comincerà a darmi per disperso!”.
Il ragazzo salutò e si allontanò in fretta: non gli sarebbe dispiaciuto restare a parlare con Vittoria ancora un po’, ma non gli era mai piaciuto stare in mezzo a due femmine che parlavano delle loro cose. Oltretutto, anche se alla sorella non lo aveva ancora detto, Priscilla era proprio una delle due ragazze che lo attraevano…e per non rischiare di fare qualche idiozia davanti a lei, aveva preferito filarsela.
“Dover fare la parte dell’omosessuale ha i suoi lati negativi, evidentemente”, pensò. “Ma questo mi darà anche più tempo per riflettere su quale delle due mi piace davvero”.
Sorrise tra sé, e un passante che proveniva dalla direzione opposta alla sua lo guardò con sospetto; ma a malapena ci fece caso. Raggiunse la fermata degli autobus, e si fermò ad aspettare insieme ad alle altre persone.
 
 

“Allora? Cosa devi dirmi?”
Vittoria era curiosa: sapeva praticamente tutto di Priscilla, così come Priscilla sapeva tutto di lei; ma era comunque sempre un piacere parlarle. A giudicare dalla faccia dell’amica, piuttosto serena, non dovevano esserci di mezzo problemi di cuore, o se c’erano non erano la questione più urgente: eppure, non poté fare a meno di chiederglielo.
“Qualche ragazzo in vista, per caso?”
“Ehm… no, no”.
“Sicura?”
“Starebbe davvero bene con Kevin”, pensò poi, scrutando la coetanea. “Peccato che lui abbia deciso di continuare la messinscena con papà, e che sia preso già da altre due ragazze! A proposito, devo proprio riuscire a farmi dire chi sono…”
“Hai capito quello che ti ho detto?”.
“Ops! Chiedo scusa, mi ero persa”.
“Mi sembrava, infatti … dicevo: hai mai sentito parlare di quelle aziende che assumono ragazze per far vendere loro trucchi, prodotti per capelli e per la pelle e altro?”.
“Sì, certo. Intendi quelle che chiedono la vendita porta a porta, vero?”
“Sì, ma non tutte. Alcune ti fanno organizzare il lavoro come vuoi, anche stando a casa… non si guadagna tanto, però io ci vorrei provare, con quelle. Perché non fai lo stesso anche tu? A te i trucchi piacciono, e poi è sempre una esperienza!”.
Vittoria ci pensò su: non aveva mai considerato l’idea di avere un lavoretto, prima della fine del liceo. Oltretutto le sue madri, e Sara in particolar modo, non sarebbero state felici di sapere che aveva preso in esame la possibilità di fare qualcosa che poteva distrarla dallo studio…
“Uffa, ma sono o non sono maggiorenne? Vedrò quello che mi conviene fare, e poi deciderò da sola! Devo pure fare le mie esperienze, no? Magari sbaglierò, ma almeno sarà per qualcosa che ho scelto di fare in totale autonomia!”.
“Hai ragione, potrei provare. Magari mettiamo su una attività tra qualche anno, chissà!”.
“Non correre…però potrebbe essere interessante, in effetti!”.
“Mi dici i siti internet dove hai trovato questa cosa? Così ci do uno sguardo anche io!”.
“Ok… vuoi scriverteli sul cellulare?”
“Sì, certo. Ma poi mi tocca andare, sennò finirà che daranno per dispersa anche me! Mio fratello avrà pure una madre ansiosa, ma io ne ho ben due…”.

 
 

“Insomma, la tua migliore amica ti ha proposto di fare la venditrice?”.
“Si chiama ‘esperta di bellezza’…”.
“Andiamo Vee, sai bene che è la stessa cosa! La chiamano in modo diverso per allettare la gente, ma di questo si tratta, alla fine”
Kevin non era interessato ai discorsi sui trucchi e i prodotti per il corpo, e di certo in un altro momento avrebbe fatto di tutto per cambiare argomento: ma c’era di mezzo anche Priscilla, quindi la cosa lo interessava.
“Non ci sarebbero anche prodotti per uomo, magari?”
“Tipo schiume da barba, shampoo antiforfora e deodorante? Mi sono dimenticata di controllare sul sito, se vuoi accendo il computer e ti faccio sapere al volo. Magari c’è qualche cosa di specifico per chi pratica sport, chissà!”.
“Già, mi servirebbe giusto quello. A proposito, sto saltando gli allenamenti di calcio, sai?”
Vittoria, che stava per premere il pulsante di accensione del suo pc, rimase con la mano sinistra bloccata a mezz’aria.
“Che? Dici sul serio?”.
“Certo!”.
“E papà come l’ha presa?”.
“Ho detto forse che lo ho informato, per caso?”.
“Vuoi dire che li stai saltando di nascosto???”
 “Esattamente”.
“Ma non puoi! Non è onesto, e poi cosa faresti se dovesse succederti qualcosa? Papà e Jasmine non potranno aiutarti, se pensano che tu sia in un luogo dove invece non sei andato! Parla con loro, di’ come ti senti riguardo al calcio, e risolvi tutto da persona matura. E’ meglio!”.
“Pensi che non ci abbia provato?”
“Beh, fatti aiutare da tua madre, no? Se papà è cocciuto su certi argomenti, lascia che sia lei a perorare la tua causa!”.
Kevin scosse la testa. Sua sorella non poteva capire. Aveva diciassette anni, non poteva nascondersi ancora dietro le gonne della madre come se fosse un bambinetto!
“Non posso”.
“Perché no?”.
“Questione di principio”.
“Certo che voi maschi siete strani,eh! E dove vai invece di andare agli allenamenti?”.
“Faccio le poste sotto casa di Davide, ovvio. E’ o non è l’amore della mia vita?”, disse, alzando la voce apposta sentendo sua madre che passava per il corridoio che si apriva immediatamente fuori dalla sua camera.
“Quando fai così ti detesto, fratellino, lo sai?”.
Kevin aspettò di sentire la madre allontanarsi, prima di rispondere.
“Non scherzo, sto approfondendo la conoscenza. Cerco di scoprire quante possibilità avrebbe la mia sorellona con lui, in realtà”.
Vittoria si sentì arrossire, ma passò al contrattacco per dissipare il suo imbarazzo.
“A proposito di questioni di cuore, tu come stai messo?”.
“Non mi sono ancora deciso”.
“Mi vuoi dire chi sono queste tizie, almeno? Magari se le conosco posso aiutarti…”.
“Aspetta un attimo…”.
Kevin coprì leggermente il cellulare con la mano, e domandò ad alta voce: “Mamma, cosa c’è? Mi hai chiamato?”.
Si affrettò a tornare in linea, sperando che la sorellastra non sentisse la risposta ovviamente negativa della sua genitrice.
“Devo andare. Mia madre mi chiama”.
“Va bene…ma sappi che non mi scapperai in eterno, prima o poi dovrai dirmelo!”.
“Lo so…ci vediamo domani a scuola, ok? Ciao!”.
Senza quasi dare a Vittoria il tempo di rispondere, Kevin chiuse la comunicazione.
 

 
“E’ o non è l’amore della mia vita?”.
Jasmine prese una molletta dal cestino, ma questa le sfuggì e cadde a terra.
Non riusciva proprio a togliersi quella frase dalla testa: non aveva potuto fare a meno di sentirla mentre andava a tirare fuori i panni dalla lavatrice, dato che suo figlio l’aveva praticamente urlata. Non aveva sentito il resto della conversazione, perché non era sua abitudine origliare e quindi se ne era andata in fretta per continuare a svolgere le faccende domestiche, eppure quelle poche parole la avevano scombussolata. Non le interessava la sessualità di Kevin: che fosse etero, bisessuale o gay, era sempre il suo bambino, e lei gli voleva bene comunque… però non poteva impedirsi di essere preoccupata: lo avevano già picchiato, cosa altro poteva succedere? Quanti guai avrebbe dovuto affrontare il ragazzo per la sua natura, da allora in poi? Cosa poteva fare lei per aiutarlo? Qualche giorno dopo il pestaggio che lui aveva dovuto subire, si era precipitata nella sua scuola insieme al marito, e avevano preteso la sospensione degli aggressori. Aveva temuto che Dario si lamentasse durante il tragitto in macchina, e criticasse Kevin per non essersi difeso… invece, non era successo. Quindi, forse la situazione era meglio di come l’aveva immaginata inizialmente… eppure, il problema restava. In che modo poteva proteggere suo figlio, almeno nel limite del possibile?
“Devo parlargli”, si disse, lasciando perdere i vestiti: a quelli avrebbe pensato più tardi. Uscendo dal balcone, diede una veloce occhiata ad Isabel, intenta a guardare i cartoni animati nel salotto, e dopo averla chiamata ed averle spiegato dove stava andando, in modo che nel caso in cui la bimba avesse avuto bisogno di lei avrebbe saputo dove si trovava, si accinse a fare quello che doveva.
 

 
Kevin sobbalzò sentendo bussare alla porta, ma non fu abbastanza svelto per spegnere il computer; così, si preparò a sentire sua madre che lo rimproverava perché non stava studiando.
“Che fai, tesoro?”.
“Ehm…faccio ricerche, mamma!”.
Non le sembrava che la madre fosse interessata a capire come mai non fosse chino sui libri, ma non poteva rischiare, così aggiunse: “Per la scuola, sai com’è!”.
Jasmine si sedette sul letto del figlio: forse esisteva un modo diplomatico per affrontare la questione, ma a lei proprio non veniva in mente quale potesse essere.
“Sei innamorato, Kevin?”
Il ragazzo spalanco gli occhi. Questa non se la aspettava proprio! Sua madre aveva davvero sentito quello che aveva urlato poco prima? Oppure stava semplicemente tirando ad indovinare?
Decise per quella che in fin dei conti era la verità, anche se un po’ diversa da come la voleva far apparire.
“Sì, mamma”.
“E…chi è il fortunato?”
Per un attimo, il diciassettenne fu tentato di confessare tutto. Ingannare suo padre era un conto, ma perché doveva andarci di mezzo anche sua madre? Non aveva forse diritto di sapere la verità, almeno lei?
“Non fare lo sciocco: lo sai che glielo direbbe. Non prima di averti fatto una bella lavata di capo, naturalmente! Devi andare avanti con la farsa, e basta!”, si disse. Mentre mentiva a sua madre, però, non poté fare a meno di pensare che forse lei si meritava qualcosa, per il torto che le stava facendo. Doveva proprio farle un regalo… e pensandoci, gli venne anche un’altra idea. Se avesse funzionato, suo padre si sarebbe imbestialito ancora di più!

 
 

Anche a cena, Vittoria non riusciva a smettere di pensarci. Suo fratello a volte aveva certe idee bizzarre! Però, almeno l’ultima le sembrava molto divertente.
Cosa sarebbe successo se suo padre avesse trovato i trucchi destinati a Jasmine nella camera del ragazzo? Le intenzioni di Kevin erano proprio quelle di farsi beccare, ovviamente, ma le sarebbe comunque piaciuto vedere se il tentativo andava a buon fine!
Comunque, non aveva tempo per pensarci: doveva fare un annuncio alle sue mamme.
“Ho preso una decisione”.
“Ah! Su cosa? Prenderai la patente?”, fece Irene, guardandola attentamente.
“No… a quella penserò dopo la maturità. Pensavo di iniziare a fare un lavoretto…”.
“Un lavoretto? Di che genere?” Anche l’attenzione di Sara si rivolse completamente alla figliastra.
“Me ne ha parlato Priscilla oggi dopo la scuola. In pratica, ci sono aziende che vendono prodotti per il corpo, make up…ecco, pensavo di mettermi a venderli”.
“Intendi dire che vuoi fare la promoter?”. Irene era sbigottita.
“No, mamma, non è servizio porta a porta! Non sempre, almeno. In pratica…”.
“In pratica, ti sfruttano e in cambio ti danno poco o niente. I soldi che ti passiamo noi saranno di più di quelli che ti toccheranno con questi lavori!”.
“Ma cosa ne sai, tu?”. Vittoria si stava scaldando.
“Cosa vuol dire promoter, mamma Irene?” si intromise Gabriele, cercando di stemperare la tensione e avere un po’ di attenzioni per sé: ma il suo tentativo andò a vuoto.
“Ho ventiquattro anni più di te, nel caso te ne fossi dimenticata, signorina!”.
“E allora? Hai mai provato a farlo?”.
“No, ma ho visto come funziona!”
“Io non voglio mica trovare il lavoro della mia vita! E’ solo per essere un po’ indipendente!”.
“Indipendente in cosa e come, di grazia? Pensi che venti euro in più, a dire tanto, ti cambieranno la vita?”.
“No, ma sarebbero i miei venti euro!”.
“Vittoria, per piacere, lascia stare. Sarà solo una delusione! Sono pochissime le persone che fanno carriera con cose del genere”.
“Io ci voglio provare. I trucchi mi piacciono davvero molto, e non si sa mai…”.
“Amore, non basta solo la passione, in certe cose…”
“Forse hai ragione…”.
Sia Irene che Sara si rilassarono sentendo quelle tre parole, ma così facendo si ritrovarono del tutto impreparate all’affondo finale della ragazza, che arrivò qualche istante dopo:
“Ma dopotutto tu, mamma, che ne puoi sapere? Non ti sarai truccata neanche una volta in vita tua… e adesso scusate, devo andare a ripassare!”.
Dopodiché si alzò e filò in camera sua; inviperita com’era, non si accorse che la madre biologica stava per seguirla e dirgliene quattro, e che la madre adottiva la stesse tirando verso la sedia per impedirglielo.
 

 
“Ti assicuro che non la capisco. E’ mia figlia, ma non la capisco proprio! Come le è venuta in mente una cosa del genere???”.
Irene andava avanti e indietro per la camera da letto, incapace di fermarsi.
“Falla provare, no? Almeno farà esperienza. Probabilmente non durerà a lungo, ma può essere che magari invece scoprirà che è il lavoro della sua vita,cosa ne possiamo sapere?”.
Irene si fermò di botto.
“E tu quello me lo chiami lavoro? Cioè, non fraintendermi: qualunque attività onesta va bene, non è che ci siano impieghi meno dignitosi di altri…non c’è niente di male nel fare servizio porta a porta, persino grandi scrittori hanno cominciato così per vendere i loro libri! Però il fatto è che non credo sia una cosa adatta a lei. Con la crisi che c’è, è probabile che la gente non compri nulla o che comunque compri il meno possibile, e i prodotti di quei tipi di aziende di solito costano molto. Oltretutto, non ha idea di quanti vaffa si prenderà, prima di poter vendere anche una sola cosa! Non voglio che ci rimanga male, ecco tutto”.
“Ma deve pur imparare, non trovi? E si impara soprattutto dalle delusioni, questo purtroppo è innegabile”
“Già. Anche perché, dubito che potrei fare qualcosa per impedirglielo, vero?”.
“Eh, no, non potresti proprio. Ha diciotto anni…”.
“Non dirlo con quel tono. Mi fai sentire vecchia”.
“Vecchia, tu? Ma dai!”.
“Certo che lo sono…”. Irene si sedette sul letto. “Ho le ossa tutte scricchiolanti e i muscoli tesi: non è che potresti farmi un massaggio?”.
“Davvero hai…”. Sara non finì la frase: aveva capito. “Ok…dai vieni qui che ci penso io!”.
Con un sorrisetto malizioso, la donna tese le braccia alla compagna.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Vendite e decisioni ***


Capitolo 9: Vendite e decisioni

Vittoria, seduta su uno scalino della rampa che portava al piano superiore a quello dove si trovava la sua aula, era sconsolata: le sue compagne le avevano detto che con i trucchi e i prodotti per il corpo erano a posto, ma che le “avrebbero fatto sapere” in caso ne avessero avuto bisogno. Non se la sarebbe presa più di tanto, se non avesse saputo che, appena aveva lasciato la stanza, le altre erano andate da Priscilla, che non si aspettava un assalto del genere per ovvie ragioni, e avevano fatto degli ordini! Era stata proprio la sua migliore amica a dirglielo.
“Ti giuro che non me lo aspettavo proprio, dopo che hanno detto di no a te. Ho scritto i loro ordini però, perché così ce li dividiamo!”, le aveva detto; ma lei aveva rifiutato. Non ce l’aveva con Priscilla, ma non poteva fare a meno di chiedersi se l’atteggiamento delle sue compagne non fosse legato ad una cosa che, lo sapeva, le avrebbe creato qualche problema tutta la vita…
“Ehi, Vittoria! Sai cosa abbiamo fatto io e le altre, mentre non c’eri?”.
La diciottenne alzò lo sguardo sulla compagna di classe: non la aveva vista arrivare, ma sapeva già cosa Paola stava per dire.
“Lo so, me lo ha detto Priscilla”, rispose, ostentando freddezza ed indifferenza; l’altra sembrò interdetta per questo suo atteggiamento, come già era accaduto in precedenza in altre occasioni.
“Non riuscirai a scalfirmi, mi spiace”, pensò la giovane eletta al consiglio d’istituto. Così, continuò:
“Beh? Ti sei mangiata la lingua?”.
“Ero venuta solo a dirti che, se vuoi, puoi provare a vendere qualche trucco ai ragazzi della classe…ah, no, dimenticavo: loro sono etero. Mica come quel frocio di fratellastro che ti ritrovi!”.
“Cosa hai detto su mio fratello? Come lo hai chiamato? Ripetilo se hai il coraggio, brutta tr…”.
Vittoria si rese conto troppo tardi che Paola l’aveva fatto apposta, voleva farla arrabbiare e ci era riuscita: ma ormai era fatta.
“Cos’è quella faccia scandalizzata? Ho detto solo la verità! Sta con un quindicenne, lo sapevi? Gli è andata bene, perché hanno solo due anni di differenza… se ne avevano quattro, poteva quasi essere tacciato di pedofilia. Ma d’altronde si sa, che i gay sono potenzialmente tutti…”
“I gay sono potenzialmente tutti cosa?”
Kevin sopraggiunse proprio in quel momento, scendendo le scale insieme a Davide.
“Oh, ma guarda: la coppia dell’anno”.
“Brutta cosa l’invidia, eh?”, fece Davide.
“Cosa dovrei invidiare esattamente? Il tuo talento nel lasciare che il tuo fidanzato prenda le sberle al posto tuo?”.
Il ragazzo indietreggiò, colpito in pieno dall’accusa. Si era prestato alla messa in scena per proteggere l’amico, ma ancora si sentiva colpevole per quanto gli era capitato il mese precedente…
“Le dinamiche interne alla nostra coppia non sono affar tuo, mi pare”, si intromise Kevin, fissando la ragazza con sguardo minaccioso: se quella ignorante pensava di fargli paura, si sbagliava. Non si aspettava che potesse essere così bella e così ristretta di vedute: se l’avesse saputo prima, non l’avrebbe proprio presa in considerazione. Evidentemente, il destino aveva deciso per lui: forse, era Priscilla la ragazza che faceva al caso suo!
“Comunque, stavi dicendo sui gay?”, chiese ancora.
“Una schiacciante verità. In ogni caso, Vittoria, sai una cosa? Credo che forse ordinerò qualche prodotto anche da te…mi mostri il catalogo? Ce lo hai in classe, no?”.
“Lo hai già visto il catalogo, svampita. Mi sbaglio o poco fa lo hai usato per ordinare le cose a Priscilla? Fatti bastare quelle: io non ti venderei niente neanche se tu fossi l’ultima donna sulla faccia della Terra. Forse un po’ di trucco potrà renderti più bella esternamente, ma dentro sei attraente come una mela marcia, fattelo dire. E ora scusami, ma dovrei parlare con mio fratello riguardo al regalo che mi ha chiesto per sua madre!”.
Detto questo, fece un cenno ai due ragazzi, che la seguirono: Paola rimase impalata a fissarli per qualche minuto, poi si diresse in bagno, per accertarsi che il suo aspetto esteriore fosse a posto.

 
 

“Kevin?”.
Il ragazzo alzò lo sguardo dal libro di matematica.
“Sì, mamma?”.
“Vado a prendere Isabel a scuola: quando ritorno ti ritrovo a casa, vero?”
“Oggi no, mamma…ho gli allenamenti di calcio”.
Jasmine fissò suo figlio.
“Tesoro, non ho molto tempo…ma dimmi una cosa, sinceramente: il calcio ti piace? Perché non mi è mai parso che nutrissi una grande passione per questo sport…”.
Ricordava benissimo le liti tra il marito e il figlio su questo punto: ma non riusciva a capire se il rifiuto del diciassettenne fosse totale o se dipendesse dal fatto che non rendeva bene come gli altri compagni di squadra.
“Ehm… no, mamma. Mi piace. Solo che non segno mai, tutto qua”.
La donna sorrise, rassicurata.
“Vedrai, ci riuscirai prima o poi! E comunque, se anche non fai gol non è una gran tragedia”.
“Per te, forse. Dimentichi che sono nove anni che vado ai corsi, e per quanto mi sia impegnato a parte qualche volta per pura fortuna non ho mai segnato un gol come si deve! E qualcuno a caso in famiglia rompe le scatole…”, pensò Kevin, indignato. Non volendo rattristare la madre, però, disse solo: “Se lo dici tu!”.
“Ma sì, dai!”. Jasmine corse ad abbracciare il figlio, che cercò invano di sottrarsi; poi lo salutò e uscì.
Kevin sentì la porta sbattere, e chiuse il libro: si sentiva un po’ in colpa.
Sua madre non meritava tutti quegli inganni, ma che altra scelta aveva?
Vittoria gli aveva detto che avrebbe ordinato i trucchi e che questi sarebbero arrivati entro un paio di settimane a casa sua; lui doveva solo andarli a prendere e darle i soldi, dopodiché poteva nasconderli e darli a sua madre in occasione del suo compleanno visto che non era poi così lontano, sempre che suo padre non li scoprisse prima per qualche ragione. Non gli importava più così tanto di farsi beccare con i trucchi, però: da qualche giorno, in realtà, quello che gli premeva era entrare in contatto con Priscilla, sapere qualcosa di più su di lei. Certo, poteva chiedere alla sorellastra: dopotutto, erano migliori amiche da quando avevano iniziato il liceo! Ma forse, almeno quel giorno, poteva avvicinarla in un altro modo…
“Vedrai come mi allenerò bene, tra poco!”, pensò, mentre si alzava dalla sedia e si allontanava dalla sua scrivania per andare verso l’armadio.

 
 
Irene, intabarrata nel cappotto, si guardò intorno, cercando di intravedere Gabriele tra tutti i bambini che uscivano. Visto che in quella scuola si provvedeva a far uscire le classi dalle prime in poi, ormai erano rimasti pochi bambini, ma non voleva rischiare di perderlo di vista!
Girò ancora lo sguardo a destra e a sinistra, e infine lo vide, vicino alla maestra. Si stava guardando attorno anche lui: probabilmente cercava Sara, perché gli era stato detto che sarebbe venuta lei a prenderlo.
“Non mi vede”, pensò, cominciando a sbracciarsi, a chiamarlo e venirgli incontro.
“Tesoro, eccomi!”.
“Oh, sei venuta tu mamma Irene? Mamma Sara dov’è?”.
Prima che l’adulta potesse rispondere, l’insegnante si intromise.
“Lei ha l’autorizzazione per riprendere questo bambino, signora?”.
Irene si impose di mantenere la calma. La maestra era una supplente e a quanto ne sapeva aveva anche altre classi oltre quella di Gabriele, perciò era logico che si fosse dimenticata della situazione familiare di uno dei suoi alunni; inoltre, non si erano mai viste prima, dato che da quando era iniziata la supplenza c’era sempre stata Sara fuori la scuola… eppure, tanta supponenza la infastidiva. Ma cosa credeva quella donna, che lei fosse una rapitrice?
“Certo che ce l’ho. La madre naturale mi ha inserita tra le persone autorizzate”.
“Capisco. Quindi, lei sarebbe…”
 “Come, scusi?”.
“L’altra madre, cioè. Quella non biologica. Mia moglie mi aveva detto che gliene aveva parlato, non si ricorda forse?”
Irene era rimasta con lo zaino di Gabriele a mezz’aria.
“Ah. Sì. Giusto, infatti mi ricordavo di avere un bambino con una famiglia… particolare”.
“Lei è troppo gentile”, rispose la quarantaduenne, che nel frattempo era riuscita a mettersi lo zaino del figlio su una spalla. “In realtà, siamo una famiglia piuttosto ordinaria, più di quanto gli altri possano immaginare. Ora mi scusi, ma…”.
Senza neanche finire la frase, fece cenno al bambino di seguirla, e insieme si allontanarono.
“Mamma, perché tutti dicono che siamo una famiglia particolare?”.
L’adulta si bloccò poco oltre il cancello della scuola, fissando il bimbo.
“Tutti chi, tesoro?”.
“Tutti quelli che conoscono la nostra situazione da poco. O almeno, tanti tra loro…”.
“E’ che la gente è abituata a vedere bambini con un padre e una madre, Gabri, quindi una situazione come la nostra a queste persone appare strana. Lo sai, no? Mamma Sara e io te lo abbiamo spiegato tante volte!”.
“Sì, però… a volte lo dicono come se non ci considerassero normali!”.
“E poi dicono che i bambini sono ingenui: a modo suo, ha capito tutto!”, pensò la donna mentre riprendeva a camminare.
“Perché per la gente è così importante che i bambini come me abbiano per forza un papà e una mamma? Non capisco! Io sto bene, perché degli sconosciuti dovrebbero preoccuparsi per me? L’importante è che ci si voglia bene, io l’ho detto tante volte in classe!”.
“Ah, sì? E gli altri, cosa hanno detto?”.
“Gli altri bimbi hanno capito…”.
“E le maestre?”.
“Alcune quando lo dicevo mi guardavano strano”.
“Per forza: avranno pensato che quelle due pervertite che ti ritrovi in casa ti hanno fatto il lavaggio del cervello, avendo tu solo dieci anni”, pensò Irene, ma non lo disse: una frase del genere sarebbe stata troppo complicata per il suo figlio adottivo. Quindi, ignorò il commento, e ringraziò mille volte il cielo quando, pochi istanti dopo, arrivarono alla macchina.
“Eccoci qui, finalmente. Salta su, dai! Così mentre guido mi racconti cosa hai fatto oggi a lezione…”.
 
 

Dario uscì dal suo studio, sovrappensiero. Quel giorno aveva fatto più fatica del solito a concentrarsi… c’era infatti un pensiero che lo aveva tormentato sin dalla sera prima, mentre vedeva una partita di pallone del turno infrasettimanale. Che suo figlio fosse arrabbiato con lui non perché non volesse fare calcio, ma perché era venuto poche volte a vederlo da quando aveva iniziato ad andare al liceo? Non aveva mai pensato che potesse essere un problema, visto che sapeva per esperienza diretta quanto agli adolescenti desse fastidio la presenza dei genitori nei luoghi dove si divertivano… e pensava di aver avuto la conferma da quando anche Jasmine, presa da Isabel, aveva smesso di andarci. Che si fosse sbagliato?
“Beh, l’unica cosa da fare per scoprirlo è andare al suo allenamento: chissà, magari gli farà piacere! Può essere anche che sia per quello che non riesce a segnare, chissà?”.
Si diresse verso la sua automobile, soddisfatto: forse, entro la fine della giornata lui e Kevin si sarebbero finalmente chiariti, almeno riguardo la questione dello sport. Per il resto, ci sarebbe stato tempo…
 
 

“Insomma, capito? Roba da matti, siamo ancora a questi livelli! Mi ha guardata come se fossi un’adescatrice di minorenni. Gabriele è anche mio figlio, che alla gente piaccia o no! Se non ci fosse stato lui, sono sicura che quella cretina avrebbe usato la parola ‘anormale’ . Io l’ho ringraziata e ho fatto come se nulla fosse, tanto per spiazzarla… ma sapessi che umiliazione!”.
“Lo so, amore”, fece Sara, paziente. “Ma non sarà né la prima né l’ultima volta che capiteranno cose del genere però, giusto?”.
“Mica tanto giusto, in realtà. Non dovrebbe succedere, non nel ventunesimo secolo, e non dopo l’approvazione delle unioni civili. Gabriele poi ha già capito tutto, figurati. Sapessi cosa mi ha detto dopo che siamo usciti dal cancello della scuola…”.
Sara guardò la moglie dritta negli occhi, interessata. Non dubitava dell’intelligenza di suo figlio, e sapeva che prima o poi qualcosa dell’atteggiamento del mondo esterno verso di loro gli sarebbe arrivata… ma la cosa la preoccupava lo stesso. Come poteva proteggerlo da adulti che, fin troppo spesso, avevano meno capacità di comprensione riguardo a certe tematiche di quanta ne avesse lui?
 
 

“Mi dispiace, signore. Pensavo che Kevin si fosse ritirato, perché in effetti è da settembre che non si fa vedere. Sa, ho creduto che volesse concentrarsi solo sullo studio”.
Dario fissò l’allenatore di suo figlio, a bocca aperta: Kevin saltava gli allenamenti da più di un mese? Se si fossero trovati ancora nel periodo dopo il pestaggio, l’avrebbe capito: infatti, lui per primo aveva insistito affinché il figlio restasse a casa, la settimana dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Ma adesso, che motivo aveva per non andare? Sapeva che quelli come lui non amavano le partite di pallone: ma Kevin non aveva nulla che non si potesse curare, dopotutto, specie dopo la visita di qualche specialista serio. E poi, poteva anche essere solo una fase: tanti adolescenti attraversavano periodi di confusione, per poi tornare sulla retta via. Quindi, forse, con una chiacchierata da uomo a uomo… però c’era un problema: se Kevin non era lì, allora dove si trovava in quel momento?
“Mi scusi, devo andare”, disse al suo interlocutore; fece un breve cenno di saluto, e mentre usciva dal campo sportivo afferrò il cellulare e compose il numero di casa: sua moglie rispose dopo il secondo squillo.
“Pronto?”
“Jasmine, sono io. Kevin è lì?”.
Seguì un attimo di silenzio.
“Come sarebbe a dire, se è qui? Non è con te? Mi avevi detto che saresti andato a vederlo e lo avresti riportato a casa!”.
“Infatti sono andato al campo sportivo…ma lui non c’è”.
“COSA???”.
“Ha saltato gli allenamenti, Jas. E’ più di un mese che lo fa”.
“Dio mio…e adesso, dove può essere?”.
“Non ne ho idea. Dai tuoi genitori, forse?”.
“Potrebbe, ma mia madre me lo avrebbe detto. Sai com’è diventata, da qualche mese: quando Kevin va a trovare lei e papà, insiste sempre affinché io le porti anche Isabel! Quindi, se fosse stato da loro l’avrei saputo”
“Prova a chiamarli, non si sa mai”.
“Ok, poi ti faccio sapere. Non è che per caso è a casa di Vittoria? O da qualche amico?”.
“Amico? Ma quale amico, gli amici maschi giustamente se li sarà giocati tutti da quando è diventato fro… va bene, lascia stare. Provo a sentire mia figlia, intanto, poi si vedrà. Ma ti giuro che appena lo ritroviamo mi sente!”.
“Non so che dirti…io spero solo che stia bene, e che non gli sia successo niente. Del resto, mi importa poco”.
“Hai ragione. Allora, chiama i tuoi e poi fammi sapere, d’accordo?”.
“Va bene… se riesco,chiamerò anche a casa di qualcuno dei suoi amici, non si può mai sapere. A dopo!”.

 
 

Vittoria spense il phon, sentendo bussare alla porta del bagno.
“Sì?”.
“Vee, il cellulare!”, disse la voce di Irene da dietro l’uscio.
“Arrivo”.
Girò la chiave, e si ritrovò davanti la madre, che teneva in mano il suo cellulare che squillava.
“Forse è Priscilla”, pensò, mentre si portava il telefonino all’orecchio.
“Pronto?”.
“Vittoria, sono papà”.
“Ciao! Come va?”. Nella fretta, non aveva notato che la chiamata veniva da suo padre: ma la cosa peggiore era che le sembrava preoccupato.
“Senti, Kevin è lì?”.
Che strana domanda!
“No, perché?”.
“E’ sparito”.
“Come???”.
Irene, che aveva fatto per andarsene immediatamente dopo aver consegnato il cellulare alla figlia, si bloccò a metà corridoio e le rivolse uno sguardo allarmato: ma la ragazza a malapena ci fece caso.
“Oddio…mi aveva detto che saltava gli allenamenti, ma io l’ho preso sul serio solo per qualche minuto. Dopodiché, ho pensato l’avesse detto per fare lo spaccone!”.
Ci fu una pausa, durante la quale Vittoria pensò che suo padre stesse per prendersela con lei chiedendole come mai non gli aveva detto che il fratello le aveva confidato quelle cose, anche se non l’aveva considerato serio: invece, lo sentì dire solo:
“Hai un’idea di dove possa essere? Ho provato a chiamarlo, ma ha il cellulare spento”.
“Ehm…io… io non saprei… forse è da qualche compagno di classe, a fare i compiti per domani…”. La sua mente lavorava a ritmo frenetico: cercò di pensare a tutti gli amici del fratellastro, e dovette scartarne parecchi. Kevin infatti le aveva detto che dopo il falso coming out molti gli avevano voltato le spalle…
“Jasmine sta provando a chiamarli, per quanto ne so. Ma mi chiedevo se magari non ci fosse qualcuno a cui noi non abbiamo pensato. Qualcuno che tu conosci, e che io e mia moglie invece non abbiamo ancora incontrato…”.
“Mi sta praticamente chiedendo se ha un fidanzato. Incredibile!”, pensò la ragazza.
La finzione del fidanzamento tra lui e Davide valeva chiaramente solo a scuola: in famiglia era stato deciso di non dire nulla. In questo modo, si sarebbero evitati fraintendimenti e casini vari…per quel che ne sapeva lei, quando Jasmine aveva chiesto al figlio se si era innamorato lui le aveva detto di sì, ma era rimasto sul vago, senza accennare ad una possibile relazione. E conoscendolo come lo conosceva, non aveva sicuramente cambiato idea…
“Che io sappia non ha una relazione, papà”.
“Ma tu non hai notato qualcosa a scuola? Magari c’è qualcuno con cui va più d’accordo, con cui lo vedi più spesso…”.
Stava per dirgli che sì, in effetti lo vedeva spesso con Davide. Era la verità,dopotutto, anche se tra loro non c’era niente. Ma se glielo avesse detto, suo padre sarebbe andato sotto casa del ragazzo, e chissà cosa avrebbe fatto, dato quello che pensava di sapere! Non poteva rischiare che andasse a fare una scenata e sproloquiasse sulla innaturalità dell’omosessualità a casa di due uomini gay, specie considerando che Kevin poteva anche non essere là.
“No, papà, niente del genere: sta sempre con la stessa gente. O meglio, i suoi amici sono diminuiti, ma non aumentati, e non mi pare abbia un rapporto particolare con nessuno di loro”.
Non sentì la risposta del padre, e quando lui la salutò, rispose meccanicamente; chiudendo la comunicazione, si sentì quasi sopraffare dalla paura.
“Vittoria?”.
La diciottenne sobbalzò: non si aspettava che la madre fosse ancora nei paraggi.
“Cosa è successo, tesoro? Kevin è nei guai?”.
“Io…non lo so, mamma! Papà dice che non si trova!”
“Come, non si trova? In che senso?”.
Irene era consapevole di aver parlato a voce piuttosto alta: sapeva che molto probabilmente nel bagno sarebbero stati in quattro, ma non le importava: quello che le premeva era consolare la figlia che, dimentica del phon e del fatto che aveva ancora qualche ciocca bagnata, aveva iniziato a piangere per l’agitazione. La strinse forte a sé, e in quel momento, come aveva previsto, arrivarono gli altri due componenti della famiglia, uno dalla cameretta e l’altra da salotto.
“Vittoria, perché piangi? Ti sei bruciata con il phon?”.
Gabriele fissava la figlia della sua mamma adottiva, allarmato e incuriosito insieme: la ragazza gli fece cenno di no con un dito, ma non riuscì a dire altro.
“Gabri, forse è meglio che tu torni in camera con mamma Irene: Vittoria forse ha bisogno di stare un po’ tranquilla. Ci resto io con lei e poi ti racconto, va bene?”, gli disse Sara, che a differenza del figlio aveva intuito che la situazione era abbastanza seria.
Irene si staccò dalla sua bambina: un po’ le dispiaceva farlo, ma era anche vero che Vittoria si apriva di più con Sara, quindi forse era meglio lasciarla con lei. Che stesse in sua compagnia o con sua moglie, in fondo, non le importava: l’unica cosa che voleva, era che sua figlia stesse presto meglio: aveva sempre detestato vederla triste!
Lanciò quindi alla compagna un’occhiata che significava: “Quando sai bene tutto, avvertimi”, e uscì dalla stanza in compagnia del piccolo di casa.

 
 

“Non lo hai proprio sentito? Per niente?”.
Davide sospirò.
“No, Vittoria. Non ci siamo parlati, oggi, a parte a scuola, e degli allenamenti non me ne ha neanche accennato”.
“E…non sai dove può essere, giusto?”.
“Se lo sapessi, te lo direi, non trovi?”.
“Scusami. Sono nel panico più totale”.
“Lo vedo, ma cerca di non agitarti troppo. Se lo fai, la situazione comunque non cambia. Dove sei, ora?”.
“In giro per la città, con le mamme. Siamo in macchina”.
“Gabriele è con voi?”.
“Sì. E’ molto tranquillo, devo dire”.
“Lo vede come un gioco, immagino, o quasi: di certo le tue mamme non gli hanno detto tutto, e quindi non sa quanto la cosa in realtà sia seria. Perché non lo portate qui? Papà Marco è sempre felice di averlo a casa…”.
“Glielo abbiamo chiesto, dice che preferisce venire con noi. Però mamma Sara è riuscita a strappargli la promessa che, se non troviamo Kevin a breve, farà il bravo e si farà portare da voi per la notte: i tuoi padri lo sanno, ho sentito che li ha chiamati”.
“Ah, ecco con chi parlava papà Marco poco fa…io non avevo capito, perché stavo studiando e comunque non mi piace sentire le loro conversazioni private”.
“Ti capisco: vale anche per me”.
“Beh…spero che tutto si risolva, davvero”.
“Lo spero anche io. Se Kevin dovesse farsi vivo con me, te lo dirò, d’accordo?”.
“D’accordo. Io farò lo stesso con te”.
“Grazie…ciao!”.
“Ciao!”.
Il quindicenne sospirò. Parlare con la ragazza dei suoi sogni gli faceva sempre piacere, ma ovviamente avrebbe voluto parlarle di altre cose… non gli piaceva vederla tanto sconvolta. L’amico aveva combinato un vero disastro, aveva messo in agitazione tutti quanti…persino i suoi due padri, che erano i meno coinvolti in quella storia, erano parecchio preoccupati: al punto che venivano in camera sua a chiedergli come si sentiva ogni cinque minuti, quasi come se avesse quaranta di febbre. Quindi, in quel momento, c’erano ben tre famiglie che si stavano facendo la stessa domanda: dove si era cacciato Kevin?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Giù la maschera ***


Capitolo 10: Giù la maschera

Per quello che ne sapeva Priscilla, qualsiasi ragazza aveva sognato, almeno una volta nella vita, di incontrare il principe azzurro: ma quante potevano dire di esserselo ritrovato praticamente fuori la porta?
Certo, la sua situazione era comunque senza speranza, dato che Kevin era fidanzato con un ragazzo: ma quando aveva sentito il campanello per poco non era svenuta vedendo che si trattava di lui e non dei suoi genitori che tornavano a casa dopo essere stati al supermercato.
“Ciao! Come…”
“Vittoria mi ha parlato di te, e mi ha detto anche dove abitavi, tempo fa. Così…”
“Capisco… Entra, dai!”.
Una parte del suo cervello cercò di immaginare la faccia che avrebbero fatto i suoi, vedendola in compagnia: ma scacciò subito il pensiero.
“Cosa ti offro?”.
“Niente, grazie…sono venuto per parlarti”.
“Davvero? E di cosa?”.
“Adesso mi dirà che si è sbagliato. Che non è gay, e che è pazzo di me!”, pensò la ragazza, volando con la fantasia.
“Vittoria mi ha detto che vendete entrambe prodotti per il corpo, è vero? E che tra questi c’è anche qualcosa da uomo”.
“Ah. Cioè, sì che c’è…aspetta, vado a prendere il catalogo e torno!”.
La ragazza si allontanò, e Kevin non poté fare a meno di ammirare il suo fondoschiena mentre si muoveva. Tra le due, all’inizio era stata Paola, con le sue curve prorompenti e i suoi capelli biondo platino, ad attrarlo maggiormente dal punto di vista fisico; ma ovviamente anche Priscilla, mora e con una cascata di capelli mossi, era bellissima. E di certo, era molto più intelligente dell’altra! Altrimenti, la sua sorellastra non le sarebbe mai stata amica.
Il ragazzo si guardò attorno, cercando di registrare quanti più dettagli possibili della casa in cui viveva la sua amata: in questo modo, sperava di distrarsi da certi pensieri, e soprattutto forse, avrebbe potuto cercare di pensare a cosa altro dirle, dopo aver esaurito la scusa dei prodotti da uomo…
“Eccoci qua. Allora, ti va di dirmi per chi è? Così magari troviamo qualcosa di adatto: ogni persona ha il suo stile. E’ per… il tuo ragazzo?”.
C’era qualcosa di strano nella domanda dell’amica del cuore di sua sorella: Kevin lo sentiva, ma non sapeva proprio dire cosa fosse. Non era qualcosa di negativo, e non era neanche la curiosità morbosa che alcune ragazze dimostravano a volte verso di lui e Davide; sembrava più amarezza. Un’amarezza che lo colpì nel profondo e gli fece prendere una decisione: a lei, avrebbe rivelato la verità.
“No, è per me, non per il mio fidanzato. Io non ho un fidanzato. Sono etero”.
Quel coming out al contrario rimase sospeso per un po’ nell’aria; alla fine, fu Priscilla la prima a parlare.
“Sei etero? Ma allora perché…tua sorella lo sa?”.
“Sì, lo sa. Non prendertela con lei, quando la risentirai: sono stato io a chiederle di mantenere il segreto…”.
Kevin esitò: era davvero saggio raccontare ad un’altra persona la sua decisione? Priscilla non poteva conoscere le dinamiche interne alla sua famiglia, e forse, neanche le importava di conoscerle; ma aveva un gran bisogno di parlare, e con lei non voleva fingere. Quindi, prese un bel respiro e iniziò a raccontare.
 

 
“Squilla?”.
Irene si voltò verso la figlia: quando erano salite in macchina, Sara si era offerta di guidare, e così lei pur stando davanti aveva la possibilità di girarsi e fissare la sua bambina negli occhi quando voleva.
“No, mamma, non è raggiungibile. Dio mio che crisi di nervi che mi sta facendo venire… giuro che appena lo ritroviamo mi sente!”.
Vittoria rimise il cellulare nella borsa, con fare rabbioso.
“Per carità, Vittoria. Per un attimo, mi sei sembrata tuo padre! Stesso tono, e stessa espressione”.
“Sono solo preoccupata, mamma. E anche papà lo è. Avresti dovuto sentirlo poco fa al telefono!”.
“Ci mancherebbe che non lo fosse, Vee. Credimi, gli ho visto fare e dire cose tremende, e tu stessa ormai sai bene cosa ha cercato di farti dieci anni fa…ma vuole bene a Kevin, così come ne vuole a te. Magari a modo suo, e con ‘metodi educativi’, che paiono tali solo ai suoi occhi miopi e alla sua mentalità ristretta, però…a voi ci tiene, ne sono sicura”.
“Non ne dubito. Però ammetto che è fastidioso, a volte”.
“Puoi dirlo forte, credo. Sono quindici anni che lo conosco, si può dire, anche se in realtà la prima volta che lo vidi fu mentre Irene ti aspettava, su una panchina del parco dove abbiamo sempre portato te e Gabriele a giocare…e non gli sono mai stata simpatica”, si intromise Sara. “Però, per me il suo giudizio lascia il tempo che trova. Io ti voglio bene, tu sei mia figlia…e forse un giorno anche lui imparerà che i figli non sono di chi li fa, o almeno non solo: sono anche di chi li cresce”.
“Ma questo lo sanno tutti, mamma!”, esclamò Gabriele.  “Lo capisco persino io che sono più piccolo! Tu sei la mia mamma vera, ma anche mamma Irene è la mia mamma, pure se non mi ha fatto lei. Io voglio bene a tutte e due!”.
Irene si accorse di sentire un certo pizzicore agli occhi.
“Grazie, tesoro. Ma vedi, a volte i bambini sono più saggi degli adulti…”
“Davvero?”.
“Oh, sì. E tu sei un bambino molto saggio e molto forte. Troverai tantissima gente, crescendo, che ti dirà che sei strano perché hai due madri; ma tu saprai, grazie all’esperienza che vivi tutti i giorni, che le famiglie si fondano sull’amore. Noi siamo una famiglia perché ci vogliamo bene. E non siamo né migliori né peggiori di altri: siamo come loro. Hai capito?”.
“Credo di sì, mamma Irene. Dario quindi fa parte di quelle persone che non capiscono che le famiglie sono fatte con l’amore?”.
“Precisamente! Lui pensa che una famiglia per essere tale debba essere composta da madre, padre e figli. E ha paura che Kevin non possa farsi quel tipo di famiglia, da grande”.
Vittoria si sentiva molto a disagio ascoltando quei discorsi. Non che non condividesse le idee di Irene, e che non ammirasse come la donna riusciva a presentare a Gabriele le cose nel modo più semplice possibile, tacendogli altri aspetti dell’omofobia che lui non avrebbe potuto capire… era soltanto tesa, preoccupata, si sentiva lo stomaco annodato e preferiva non pensare ai guai in cui poteva essersi cacciato Kevin solo per aver fatto una bravata: oltretutto, era stanca di fingere.
“Papà non deve preoccuparsi per la futura famiglia di Kevin…” disse, di getto.
“Kevin è eterosessuale”.
“Come sarebbe a dire, eterosessuale?”. Sara dovette fare uno sforzo immane per non girarsi verso la figliastra e tenere gli occhi incollati sulla strada.
“Non è gay. Non è vero niente, l’ha fatto apposta. Papà l’ha fatto arrabbiare in ospedale, gli ha praticamente detto che era un pappamolla perché le aveva prese…e lui s’è vendicato così. Sperava, così come anche io lo speravo, che in questo modo papà avrebbe cambiato idea sui gay”.
Irene guardò istintivamente la compagna, pur sapendo che lei non poteva vederla: capiva perfettamente perché i due ragazzi avevano agito in quel modo. Kevin l’aveva fatto per orgoglio maschile, caratteristica dei maschi umani di qualsiasi orientamento; Vittoria invece perché, neanche tanto segretamente, sperava che suo padre la smettesse di trattare le sue madri come due povere malate mentali. Volendogli bene, lo scusava dando la colpa all’ignoranza e ai pregiudizi tipici dell’età, ma era chiaro che ne soffriva.
“E meno male che alcuni dicono che l’omosessualità è una malattia… eppure, essa non fa male a nessuno. L’omofobia fa un sacco di danni, invece, e ne ho appena avuto un altro esempio pratico…spero solo che tutto vada per il meglio, e che Kevin stia bene!”, pensò la donna.
“Forse dovresti dirlo a tuo padre, Vittoria. Di sicuro non ne sarà felice, ma magari questo farà sì che lui e tuo fratello si parlino, quando lo ritroveremo”, consigliò Sara, mentre si fermava per rispettare un semaforo rosso.
“Magari dovrei, mamma Sara. Ma credo spetti a Kevin parlare”.
“Mi sa che hai ragione. Dimmi un po’, manca ancora molto al posto dove di solito lui si ritrova con i suoi amici?”
“No, mancheranno pochi minuti. Adesso richiamo papà, e vedo a che punto sono lui e Jasmine! Avevamo detto che lo cercavamo fino ad un certo punto e poi avremmo chiamato la polizia, ma chissà, magari hanno cambiato idea…”.
 
 
“Tu sei proprio sicura che nessuno dei suoi amici lo stesse coprendo?”
“Ti ho già detto di sì! Non ho la sfera di cristallo, ma in alcuni casi ho parlato anche con le madri di questi ragazzi, e dubito che avessero sequestrato nostro figlio. Poi in questi giorni lui era normale, non ho notato niente di…”. Jasmine si bloccò. Come aveva fatto a non pensarci prima?
“Cioè, per la verità, credo di aver captato qualche stranezza, ma non la ho riconosciuta come tale sin da subito, purtroppo”.
“Ossia?”.
“Il calcio. Gli ho chiesto proprio qualche ora fa se questo sport gli piace davvero, perché mi pareva lo praticasse più per compiacere te che per una passione sua. Lui mi ha detto che sì, gli piaceva, solo che era triste perché non segnava mai. Lo ha detto dopo una piccola esitazione, ma io non ho capito che in realtà era proprio quella la chiave di tutto…”.
“Non ti seguo. Cosa stai cercando di dirmi? Che si è volatilizzato e si è reso irrintracciabile solo perché io lo avrei costretto a fare calcio?”.
“Ovvio. Se ha pure saltato gli allenamenti, a chi pensi sia rivolta la provocazione, a me?”.
“Ma pensa. Strano come funziona male il suo cervello, da…”
“Dario, ti avverto: finisci la frase, di’ una sola mezza parola contro mio figlio, e giuro che te ne faccio pentire! Se stiamo in questo casino è anche colpa tua! Se tu lo avessi amato per quello che è, come un qualsiasi padre decente farebbe…”
“OH, FINISCILA! STAI ZITTA! Credi che me ne freghi davvero qualcosa dei suoi gusti sessuali in questo momento? Quello che mi preme ora è trovarlo e capire se sta bene. Al resto pensiamo dopo, semmai”.
“Hai ragione, scusa. E’ che sono sconvolta. Non so come ho fatto a non crollare quando abbiamo portato Isabel dai miei, mi sentivo malissimo. E starò meglio solo quando ritroveremo Kevin”.
“Lo ritroveremo, fidati. Sicura che non vuoi chiamare la polizia? Magari loro possono darci una mano”.
“No, sono sua madre. Voglio essere io a ritrovarlo”.
“Come vuoi”.
Il cellulare di Dario prese a suonare proprio in quel momento.
“Questa sarà Vittoria, di nuovo. Perché non le rispondi tu stavolta? Così se ha qualche novità la dice direttamente a te!”.
“Va bene. Spero vivamente che le abbia!”.
Jasmine prese il telefono del marito.
“Vittoria? Cosa c’è? Hai saputo qualcosa???”.
 
 

“Quindi? Pensi che dirai la verità ai tuoi genitori?”.
“Sì. Gli scherzi sono belli quando durano poco, e anche se questa esperienza mi ha insegnato molto, non posso dire che io mi sia divertito”.
“Senti Kevin, non vorrei essere indiscreta…non sei tenuto a dirmelo, ma… dato che non sei gay, sei già innamorato di una ragazza?”.
Priscilla non poteva credere di essere stata così sfacciata: ma ormai, il danno era fatto.
“Bene. E’ l’occasione perfetta. Diglielo ora!”. Kevin sapeva che quella era un’occasione troppo ghiotta per farsela sfuggire.
“Beh, ecco, io…”
Una melodia interruppe le sue parole, e Priscilla si allontanò da lui di corsa per raggiungere la fonte del suono: si chinò sul cellulare, e assunse un’espressione sbigottita.
“Qualcosa non va, Priscilla?”.
“No, è solo…mi sta chiamando tua sorella!”.

 
 

Vittoria era distrutta; aveva sperato che suo padre e la moglie avessero qualche notizia, invece niente da fare… l’unica cosa che aveva capito era che Jasmine non era ancora intenzionata a chiamare la polizia. Erano arrivati nel locale che Kevin di solito frequentava con gli amici, ma non lo avevano trovato: ora, mentre gli adulti parlavano fuori del pub e Gabriele si divertiva a guardarsi in giro senza staccarsi troppo dalla madre naturale, lei sentiva di aver bisogno del conforto di qualcuno della sua età. Per questo, aveva chiamato la sua migliore amica…e fu del tutto impreparata a sentire cosa quest’ultima aveva da dirle.
“Capisco che tu sia preoccupata per tuo fratello… ma puoi stare tranquilla, lui è qui da me”.
“Eh? Puoi ripetere?”.
Temeva di aver capito male. Che la tensione le avesse fatto venire qualche allucinazione uditiva?
“Lui sta a casa mia. E’ venuto per consultare il catalogo dell’azienda per cui lavoriamo… però ti assicuro che non sapevo tutto quello che era successo. Cioè, lui me lo ha appena detto, ma quando è arrivato non ero a conoscenza di nulla. Altrimenti…”.
“Sì, lo so. Figurati se ce l’ho con te, non è colpa tua”.
“Non te la riprenderai con lui adesso, vero? Poverino, da quel che mi ha detto non deve essere stato facile”.
“Ehi, di solito non sei così comprensiva. Mi nascondi qualcosa, per caso?”.
“Ehm… no. Ma questo non è importante ora, giusto?”.
“Giusto. Ora devo andare: mi tocca dire a tutti che so dov’è. Ci siamo mossi in tantissimi, alla fine si sono aggiunti alle ricerche persino Marco e Tommaso insieme a Davide”.
“Marco sarebbe il padre biologico di tuo fratello Gabriele?”.
“Esatto”.
Vittoria sentì il silenzio dall’altra parte della linea, e immaginò cosa stesse pensando l’amica: era buffo il fatto che Gabriele venisse considerato come un fratello da lei e da Davide, quando invece non lo era per nessuno dei due a livello di sangue. Anche quella era una ulteriore conferma di come le famiglie non fossero solo quelle legate dalla parentela…
“Devo dirgli che presto sarete qui tutti quanti?”.
Vittoria alzò gli occhi al cielo, che si stava già scurendo.
“Non credo che verremo proprio tutti. Però digli di iniziare a organizzare per il suo funerale… non so sua madre, ma di sicuro mio padre appena lo becca lo ammazza”.
“Aspetta, te lo passo”.
“Vee?”
“Ben ritrovato, sai? Ti rendi conto di tutto quello che ci hai fatto passare???”.
“Mi dispiace. Ma non ne potevo più, te lo assicuro”.
“E pensi di aver fatto bene, così? Gabriele è più maturo di te!”.
“Gabriele non ha i miei problemi. E dubito li avrà mai”.
“Magari fosse vero! Ma li avrà, come tutti. Anzi, li ha già, a modo suo; la mia situazione e la sua non sono facili, Kevin! Così come non lo è quella di Davide. Tu non hai idea della fortuna che hai: noi dobbiamo dimostrare sempre qualcosa, veniamo sempre guardati come se fossimo bestie rare solo perché i nostri genitori non sono etero…e sarà così finché la mentalità non cambierà del tutto. Tu no. Tu da questo punto di vista sei a posto”.
“Vittoria, avrai anche ragione, ma non credere che per me la questione sia tanto facile. Ne abbiamo già parlato, no? Papà da quando sono entrato nell’adolescenza non fa che chiedermi prove di virilità, come se ne andasse del suo onore. E sembra non essere mai contento!”.
“E tu dagliele, queste prove di virilità. Affrontalo, parlagli da uomo. Digli la verità, e se lui non capisce perché gli hai mentito, fregatene”.
“Fosse facile. Tu parli così perché non ci vivi sotto lo stesso tetto”.
“Perché, secondo te io sono felice quando mi dice che dovrei andarmene via il prima possibile perché stare con le mie mamme non mi fa bene? Pensi sia stata felice di venire a sapere che dieci anni fa voleva portarmi a vivere con voi, solo perché pensava che le mie madri non fossero adatte a crescermi visto che nessuna delle due ha il pene?”.
“Ma tu non devi dimostrare di essere donna, di continuo”.
“Sarà, ma mi chiede di continuo se sono fidanzata. Neanche mio nonno mi fa queste domande, quindi figurati!”.
“Non è la stessa cosa”.
“Probabilmente no: ma resta il fatto che gli devi dire come stanno le cose, e…”
“E affrontare le conseguenze. Giusto?”.
“Esatto”.
“D’accordo. Tanto, probabilmente lo avrei fatto comunque: non avrei potuto vivere nella finzione ancora a lungo, dopotutto. Però, ti chiedo di darmi ancora un po’ di tempo per sistemare una faccenda”.
“Di che tipo?”.
“Personale. Dopo ti spiego. Ti passo di nuovo Priscilla, ok?”.
Vittoria stava per fargli un’altra domanda, ma rinunciò: quando risentì la voce dell’amica, la salutò dicendole che si sarebbe fatta sentire prima di arrivare da lei, e poi riattaccò. Dopodiché, si mosse verso tutti gli altri, che stavano parlando di figli e di lavoro, e fece il suo annuncio.

 
 
Alla fine, Gabriele aveva acconsentito ad andare a dormire a casa del padre; Davide invece era voluto venire con loro, e Irene era felice di aver dato il cambio alla moglie al volante; almeno, concentrandosi sulla strada non avrebbe rischiato di scoppiare a ridere vedendo gli sguardi che sua figlia e il ragazzo si lanciavano, alternativamente mentre l’altro non guardava. Non sarebbe stato un comportamento adatto ad una donna ultraquarantenne! Però era davvero felice per loro e sperava che, prima o poi, i due si parlassero.
Ormai non era più compito suo fare da tramite tra la figlia e i coetanei, come quando era piccola e lei e Sara la portavano al parco!
“Se qualche omofobo facesse un’indagine sulla nostra famiglia e su quella di Tommaso e Marco, forse si ricrederebbe sul fatto che i bambini cresciuti in famiglie gay vengono su come tali: per Gabriele ancora non si sa, ma Vittoria e Davide sono indiscutibilmente etero, a quanto pare!”, pensò.
“Cosa ne dite ragazzi, succederà il miracolo, stasera?”, domandò Sara, interrompendo le riflessioni della moglie.
“Che miracolo, mamma?”, chiese Vittoria.
“Quello che permetterebbe a tuo padre di smetterla di essere omofobo. E’ una buona cosa, prima di tutto per lui stesso e poi per voi figli; senza pregiudizi si sta meglio!”.
In quel momento, Vittoria esclamò: “Secondo me sì!”, mentre Irene rispose: “Secondo me no”: lo fecero praticamente nello stesso istante, e questo fece scoppiare a ridere tutti i presenti nell’abitacolo.
“Beh, non dovremo aspettare tanto per scoprirlo, no?”, fece notare Davide. “Vee, per quanto riguarda tuo fratello se vuoi io lo tengo fermo e tu lo picchi, dopo. O magari gli fai il solletico per punizione, o quello che ti pare!”.
Vittoria, che aveva appena smesso di ridere, fu scossa di nuovo dalle risate.
“Ma no, dai…non è necessario”, concesse poi, dopo essersi ripresa. “Vorrei solo capire cosa intendeva prima di ridare il telefono a Priscilla…”.
“E cioè?”
“Mi ha chiesto un po’ di tempo per sistemare ‘una faccenda di tipo personale’, ma non ha voluto dirmi altro”.
“Certo che è strano, a volte”.
“Mica tanto, ragazzi!”
Irene non era riuscita a trattenersi.
“Che vuoi dire, mamma?”.
“Vittoria, riflettici. Tuo fratello è a casa di Priscilla. Cosa ci è andato a fare, secondo te?”.
“A chiederle dei prodotti per sé…”.
“Forse, ma questo poteva chiederlo anche a te, non trovi?”.
“Sì, ma…”. La ragazza rimase interdetta per un attimo, poi si illuminò. “Non ci credo!”.
“Credici, tesoro. Perché è così!”.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Legame ***


Capitolo 11: Legame

“E’ qui allora, no?”.
Sara si girò verso i due ragazzi, e fissò la figlia adottiva. Si trovavano davanti ad un palazzo verde scuro, di sette piani; lì, stando a quanto aveva detto la diciottenne, c’erano la sua migliore amica, e il fratello.
“Sì, è qua”.
“Bene. Siete pronti?”.
I due ragazzi si guardarono. “Certo!”, esclamarono in coro.
Mentre parcheggiava e spegneva il motore, Irene sperò che il suo ex non fosse troppo severo con il figlio e che non usasse parole troppo offensive verso di lui e verso tutti loro: non era sicura infatti che, in quel caso, si sarebbe trattenuta dal non dirgliene quattro. Frammenti di immagini del loro passato le si affollarono nella mente: loro due insieme, mano nella mano per strada; lei con il test di gravidanza in mano, e l’unico,  tremendo consiglio si lui in merito: “Abortisci”; la mail che gli aveva mandato alla nascita di Vittoria, l’averlo ritrovato sette anni dopo e la battaglia legale che aveva dovuto fare quando lui aveva cercato di portarle via la bambina… e quello che le aveva quasi fatto dopo: al solo ripensarci, le venne la nausea.
“Mamma? Stai bene?”.
La voce della figlia, che le aveva aperto lo sportello e la fissava con sguardo preoccupato, la riportò alla realtà, e così si accorse di essere l’unica rimasta in macchina. Gli altri erano scesi, e lei non se ne era nemmeno accorta!
Prese un bel respiro, e sorrise.
“Sì, tesoro, sto benissimo. Andiamo!”.
 
 

“E’ Vittoria. E’ arrivata”.
Priscilla, seduta sul divano accanto al suo ospite, staccò lo sguardo dal cellulare per posarlo su di lui.
“Ah”. Kevin era così su di giri, che quasi fu scontento di sapere che la sorella era arrivata, e con lei tutti gli altri. Non gli andava proprio di andarsene! Non ora che si era liberato del peso che portava dentro riguardo alla sua bugia, e soprattutto non dopo che, finalmente, aveva trovato anche il coraggio di dire, seppure in modo quasi frettoloso, anche il resto… pronunciare quelle due paroline era stato magico, anche se erano state la cosa più difficile che avesse mai detto: ma la gioia più grande era stato sentirsi dire da Priscilla che anche per lei valeva la stessa cosa.
“Ehi, che c’è? Hai paura?”
“Chi, io? Ma no, figurati”.
“E allora, vai: vedrai che tuo padre capirà”.
“Lo spero. E’ cocciuto come un mulo, ma non si può mai dire”.
“Sarà, ma voglio conoscerlo, ok? E anche tua madre, e l’altra tua sorella”.
“Ehi, non stiamo correndo un po’troppo?”.
“Forse, chissà. Prima che vai, credo che tu debba fare una cosa”.
“E cioè?”.
A Priscilla venne quasi da ridere vedendo la faccia sbigottita del ragazzo: era evidente che non avesse idea di cosa stesse parlando!
“Vieni qua, stupido”.
Lo attirò a sé e posò le labbra su quelle di lui.

 
 

Aveva scelto l’ascensore perché gli sembrava la via più veloce, ma la discesa gli sembrò fin troppo breve: era stato così occupato a pensare, che si era quasi dimenticato dove si trovava! Non riusciva a smettere di pensare a Priscilla: al suo corpo, alla sua voce, al modo in cui rideva… e al modo in cui lo aveva baciato, poco prima, all’inizio esitante e poi sempre più sicura; anche se era solo, sentiva ancora le labbra di lei sulle sue, e le loro lingue che si cercavano.
“E pensare che papà crede ancora che…” non riuscì a finire la frase: fuori del portone, c’erano quasi tutti, chi più vicino, chi più distante; e il più vicino a lui era, per ironia della sorte, proprio suo padre.
 

 
“Indietro, ragazzi, lasciamoli soli”.
Sara, bisbigliando, fece cenno ai due adolescenti di allontanarsi ancora un po’ di più, per dare a Kevin e ai genitori un po’ più di privacy; guardò la moglie per trasmetterle il medesimo messaggio, e tutti e quattro si spostarono; Vittoria però non poteva fare a meno di lanciare al fratellastro occhiate preoccupate e curiose insieme.
“Voglio chiamare Marco e Tommaso, vi va di parlare con loro? Così sentiamo anche come sta Gabriele…” Sara pensava che una proposta del genere avrebbe distratto i ragazzi, e non rimase delusa: purtroppo però sapeva anche altrettanto bene che una donna di quarantadue anni non si sarebbe fatta incantare tanto facilmente. Irene infatti, pur dimostrandosi entusiasta anche lei per la proposta, lanciava occhiate in direzione di Kevin più spesso di quanto aveva fatto sua figlia fino a poco prima, e sperava che il giovane non rimanesse troppo ferito da quello che il padre molto probabilmente gli avrebbe detto.
 
 

“Ciao mamma. Ciao papà. Dov’è Isabel?”.
“Kevin, mio Dio, stai bene? Non ti è successo niente, vero?”.
Jasmine aveva deliberatamente ignorato la domanda del figlio e si era lanciata su di lui, stringendolo in un abbraccio che lo imbarazzò non poco.
“Dai, mamma… sto benissimo!”. Cercò di divincolarsi, ma niente da fare.
“Perché sei venuto qui? Come mai hai saltato gli allenamenti? Ci hai fatto stare in pensiero, lo sai?”.
“Mi dispiace…ho sbagliato, ma non ne potevo più del calcio, mamma”. Fece una pausa poi continuò, rivolto verso Dario: “Non è lo sport per me. Non ci sono portato. E non mi piace! Punto e basta. O dal prossimo anno si cambia, o continuerai a spendere i soldi senza che io mi presenti agli allenamenti. A te la scelta”.
“Ah, sì? E quale sport ti piacerebbe fare, sentiamo? Ne hai uno, almeno?”.
“La pallavolo”.
Dario fece una smorfia. “E questa, da dove ti è uscita?”.
“Dalla scuola. Sai che lì ci giochiamo, no? Ecco, lì mi diverto. Anche quando la mia classe perde, non mi importa, perché mi piace giocare e perché comunque so di aver sempre dato il meglio di me stesso. Poi sai, ho provato anche a guardarlo alla televisione, e come sport mi emoziona molto di più del calcio, il calcio mi annoia. Dopo cinque minuti di partita di pallone mi annoio da morire, con la pallavolo invece questo non succede; potrei vedermi anche dieci partite di fila, e mi andrebbe benissimo! In pratica, hai presente tutto quello che provi tu nei weekend, per novanta minuti? Ecco, io provo la stessa cosa quando riesco a vedere un altro sport. Che c’è di male in questo?”.
Approfittando di una distrazione della madre, che nel sentirlo parlare in quel modo aveva allentato la presa, Kevin si liberò dall’abbraccio, e si preparò a dire la cosa più importante.
“Oltretutto, c’è un’altra cosa che dovete sapere. Lì, dentro quel palazzo”, disse, indicando l’edificio che aveva alle spalle, “c’è la mia ragazza. Sì, la mia ragazza”, ripeté, vedendo lo sguardo sbigottito dei genitori. “Io non sono né gay, né bisessuale: sono etero. Ho solo finto di essere gay. E sai perché, papà?” chiese, scegliendo di rivolgere la sua totale attenzione solo ad un suo genitore, “perché quello che mi hai detto all’ospedale mi ha fatto davvero arrabbiare. Sembrava come se ti aspettassi che io mi tramutassi in un ninja e mi mettessi a dar colpi ai miei aggressori a destra e a manca! Eravamo quattro contro uno! Che altro avrei dovuto fare? Non mi sono mica divertito ad avere la peggio, cosa ti credi? Ma era normale che succedesse! Visto che secondo te ero una femminuccia, allora ho pensato di confermare le tue peggiori paure. Volevo vedere… se tieni veramente a me, o se invece tieni soltanto a quello che vorresti che io fossi!”.
Kevin chiuse gli occhi: ormai aveva lanciato la bomba: ora doveva solo sperare che tutto andasse bene. Si sentiva più leggero: aveva fatto la sua parte, si era liberato del tutto del peso che lo opprimeva… aveva lanciato la palla, ma adesso stava a qualcun altro raccoglierla. Certo, non gli aveva detto che aveva messo su tutta quella messinscena anche per fargli cambiare idea su una certa categoria di persone, ma per quello ci sarebbero state altre occasioni; o almeno, se lo augurava!
 

 
“Kevin sta bene adesso, vero? E’ ancora vivo? Certo che è incredibile, tutto quello che è riuscito ad inventarsi! E Davide che l’ha aiutato facendosi passare per il suo fidanzato a scuola, e non ci ha detto niente… ma noi eravamo così impulsivi alla loro età? Non mi ricordo proprio. Che dici Sara, stiamo invecchiando?”.
“Marco, ma quanto sei tragico… neanche avessi settant’anni! I tempi cambiano, tutto qua. E se certe pazzie non si fanno da ragazzi, quando si fanno?”.
“Hai ragione. Almeno, noi possiamo stare sicuri che Gabriele non ci farà scherzetti del genere!”.
“Ma ce ne farà altri, probabilmente”.
“Ah, beh, se ha ripreso da sua madre questo è sicuro”.
“Ehi, cosa vorresti insinuare?”. Sara finse di essersi offesa per qualche secondo, poi tornò seria.
“A proposito, ma Gabriele è lì?”
“Non esattamente: è in cucina con Tommaso, stanno preparando la cena insieme”.
“Pensi che potresti passarmelo per pochi minuti? Ci sono anche Irene, Vittoria e Davide che vorrebbero sentirlo!”.
“Cavoli, è richiesto il ragazzo, eh? E ha solo dieci anni!”.
“Tutta invidia, ammettilo”.
“Ovvio. Aspetta che te lo passo…”.
Qualche secondo dopo, tramite il cellulare arrivò una voce infantile.
“Ciao mamma!”.
Sara sorrise mentre rispondeva, anche se sapeva che il figlio non poteva vederla: era incredibile come due parole semplici come quelle potessero rendere una donna tanto felice!
 
 
“Tuo figlio ti sta praticamente chiedendo se gli vuoi bene, a prescindere da quello che è. Diglielo una buona volta, ha il diritto di saperlo! Digli quello che senti, vedrai che capirà”
Lo sguardo che sua moglie gli aveva lanciato era fin troppo chiaro: ma se ne era reso comunque conto già da solo. Suo figlio non era ancora un uomo, ma lo sarebbe diventato prima che lui e Jasmine se ne accorgessero: ma per diventarlo, doveva acquisire delle certezze che ancora non aveva. E a quanto pareva, voleva che gliele desse lui...ripensò a come si era sentito fino a qualche momento prima, in macchina, non sapendo dove Kevin si fosse cacciato; quando poi erano scesi per andare nel locale dove lui si ritrovava di solito con i coetanei, pur vedendo tanta gente che mangiava non aveva sentito neanche un briciolo di fame, tanta era la paura che aveva. Lo aveva immaginato spaventato, ferito, aveva pensato che lo avessero aggredito di nuovo…più altre teorie una più spaventosa dell’altra; e nonostante non si fosse confidato apertamente, sapeva che la sua consorte aveva provato e pensato le sue stesse identiche cose. Rivide poi se stesso in ospedale, il figlio sdraiato sul letto, sotto quelle lenzuola bianche...e capì che non solo Kevin, ma neanche lui stesso aveva capito bene come si era sentito in quel momento!
“Kevin, quel giorno in ospedale non ce l’avevo con te. Ma con chi ti aveva fatto del male; l’agitazione può farti dire cose che non pensi davvero, lo sai”.
“Allora perché non te la sei presa direttamente con loro, invece che con me?”
“Se lo avessi fatto, non mi avresti capito: anche se non mi avessi detto nulla, sotto sotto ti avrebbe dato fastidio. O no?”.
Kevin ci pensò su. Il padre non aveva tutti i torti, effettivamente: se avesse preso le sue difese apertamente, l’avrebbe fatto sentire come quel pappamolla che immediatamente dopo l’aveva accusato di essere. Una difesa a spada tratta l’avrebbe tollerata di più da sua madre…anche se pure suo padre una parolina di conforto in più avrebbe dovuto dargliela, in ogni caso!
“Ti sta dicendo che era sconvolto, che aveva paura per te. Che altro vuoi di più?”, si rimproverò. “E poi ricordati che adesso viene il bello…”.
“Però non capisco perché hai dovuto fingere di essere gay. Se eri arrabbiato perché a tuo parere ti avevo fatto sentire quasi colpevole, potevi dirmelo invece di mettere su tutta quella commedia!”.
“La rabbia può farti dire cose che non pensi davvero, lo sai!”, ribatté il ragazzo, calcando appositamente su tutta la frase, “Però, dimmi una cosa… se io poco fa avessi detto: ‘lì dentro quel palazzo c’è il mio ragazzo’ che avresti fatto?”.
“Probabilmente ci sarei rimasto secco. Almeno per un po’. Però la sai una cosa? Sei stato via poche ore, ma sono state ore d’inferno: a me non importa chi ami, mi importa che stai bene!”.
“Oddio, questa sarebbe da riprendere. Peccato non avere un registratore… avrei potuto rubare il suo, lui ne ha uno e ne ha fatta di carriera quell’aggeggio! Ma forse certe cose è meglio raccontarle: Vittoria non ci crederà quando glielo dirò! E a proposito della mia sorellona…”.
“Il discorso vale anche per Vittoria, vero?”
“Certo che sì. Perché?”.
“Perché vedi, lei si è presa una cotta spaventosa per qualcuno che tu potresti non apprezzare…”
Tanto valeva dirglielo: sua sorella non se la sarebbe presa. Era sicuro che se suo padre era riuscito a dire quello che aveva detto, avrebbe retto benissimo venendo a sapere che la sua primogenita era innamorata del figlio di due uomini! E che oltretutto, udite udite, il ragazzo in questione pur crescendo in quel tipo di famiglia era etero….
“Questa giornata non se la scorderà più… ma credo che non me la dimenticherò neanche io. Perché ora finalmente so che ho un padre che mi vuole bene davvero!”.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Decisioni per il futuro ***


Capitolo 12: Decisioni per il futuro
 
Ottobre passò in fretta, e arrivò novembre: con esso, arrivò anche il compleanno di Jasmine. Kevin, consegnando il regalo alla madre, fece ridere tutta la famiglia con il racconto di quello che aveva pensato di fare inizialmente con quei trucchi; persino Isabel, che per via dell’età poteva capire ben poco circa le ragioni del fratello, si era messa a ridere con tutti gli altri.
A dicembre, per Natale, era arrivata anche Vittoria; da quando era stata riconosciuta infatti, si divideva tra la famiglia del padre e quella delle sue due madri.
“Come lo trovi?” le chiese Kevin, prima di andare a dormire: lei era stata sistemata in camera con Isabel, che già era sotto le coperte.
“Chi, papà?”.
“Certo: e chi sennò?”.
“Mah, mi pare migliorato, sul punto di vista che sappiamo. Sembra uno che sta cercando di abituarsi all’idea che i gay esistono davvero e sono persone normalissime, ma bisogna dargli tempo: tu sei suo figlio e ti avrebbe accettato comunque, per gli altri credo sia un po’ diverso”.
“Però dai, Davide non gli è così antipatico: pensavo peggio!”.
“Sì, ma non capisce ancora bene come faccia ad essere etero: per cui, come ti ho detto, credo che gli ci voglia un po’ di tempo”.
“Beh, è comprensibile se ci pensi: ma l’importante è che tu e Davide vi amiate, no?”
Vittoria arrossì. “Ah, questo è sicuro!”.
“Pensa: l’anno prossimo, quando andrai all’università, avrai il fidanzato al terzo superiore!”.
“Beh, che male c’è?”.
“Assolutamente nulla, però devi ammettere che non è una situazione molto comune!”.
“E’ vero. Ma anche la mia famiglia non è ‘comune’, a sentire tanti…e io la adoro lo stesso. Tutta quanta, te e papà compresi”.
“Dovresti scriverci un libro, sai?”
“Sulla mia famiglia?”
“Esatto”.
“Veramente, ci avevo già pensato. Ma non sono sicura… a chi potrebbe interessare la mia vita, dopotutto? Voglio dire, sono una tipa ordinaria, una ragazza come tante: perché tra tutte dovrei riuscire proprio io ad attirare l’attenzione di un editore?”.
“Secondo me potrebbe andare, invece: dovresti provare. Da quando sei nata fino ad ora, credo che almeno una trilogia ci uscirebbe tranquillamente!”.
“Che esagerato… non ho neanche scritto il primo, e tu già parli di trilogie! E poi, non mi sento tagliata per un tema del genere: mi sento più una da fantasy, in realtà”.
“Vuoi dire che scriveresti volentieri roba sui vampiri e licantropi? Ma per carità, che noia!”
“Sarà, ma avrebbe un enorme successo! E poi non ci sono solo vampiri e licantropi, in quel genere letterario…”.
“Sarebbe noiosissimo, invece, fidati. Prova con il filone lgbt, sul serio: quello ha bisogno di qualcuno come te, che possa raccontare le cose dall’interno! La gente ha bisogno di sapere cosa sono realmente le famiglie arcobaleno: più una cosa la conosci, meno ti fa paura!”
“Ci penserò”.
“Davvero, dovresti farlo. Comunque, se vuoi fare la scrittrice come farai con la vendita di prodotti cosmetici e per il corpo?”.
“Ah, quella… penso che mamma Irene avesse ragione, non è per me. Le vendite già iniziano ad andarmi male, per cui prevedo che non durerà ancora a lungo! Priscilla è più portata, credo che lei farà strada!”.
Fu il turno del ragazzo di arrossire; fosse stato per Vittoria, si sarebbe fatta raccontare da lui tutti i particolari piccanti della loro storia d’amore: ma era molto tardi, quasi le tre di notte, e poi sapeva che certi discorsi era meglio farli tra ragazze…. perciò, salutò il fratellastro, gli augurò la buona notte e andò a dormire, pensando a tutti i progetti che aveva per il futuro.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: La manifestazione ***


Capitolo 13: La manifestazione

“Mamma, posso averla anche io la bandiera?”
Sara e Irene si guardarono. “Ma sarà opportuno? Non sarà troppo pesante per lui?”, sembrarono chiedersi a vicenda. Alla fine, Sara abbassò lo sguardo verso il bambino.
“Non lo so, tesoro. Possiamo vedere se ne troviamo qualcuna piccola strada facendo, però intanto tieniti i palloncini, dai!”.
Gabriele teneva infatti sei palloncini colorati, tre in una mano e tre nell’altra: erano rispettivamente uno rosso, uno arancio, uno giallo, uno verde, uno azzurro e uno viola. Quello indaco purtroppo non era stato trovato… intorno a loro, però, i colori dell’arcobaleno risplendevano.
Carri, bandiere, autobus, persino le magliette di alcune persone riflettevano quei sette colori; e c’era davvero molta gente.
“Quanto scommettete che, come al solito, la televisione riprenderà solo i partecipanti più eccentrici?”, domandò Vittoria, sistemandosi meglio il cappello verde che aveva in testa: lo aveva scelto appositamente perché si intonava con il colore dei suoi occhi.
“Oh, sì. Sennò come fanno gli omofobi a parlare, poi? ‘Il Pride è una sciocchezza, guardateli come vanno in giro questi deviati’ “. Irene cambiò voce, mentre impersonava un’ipotetica persona molto bigotta. Poi tornò seria.
“A proposito di omofobia… sei sicura che verrà?”.
“Certo… anche perché non ha idea di dove Jasmine, Kevin e Isabel lo porteranno. Gli hanno detto che è una gita in famiglia!”.
“Oh mamma mia… mi fa quasi pena, diventerà più verde del tuo cappello quando capirà dove è capitato!”.
“Forse, ma secondo me gli farà bene”.
“Di chi parlate?”.
Gabriele si era intromesso nella conversazione.
“Stiamo parlando del mio…”, Vittoria aveva cominciato a rispondergli, quando vide una figura familiare, completamente vestita di fucsia acceso, che si avvicinava sorreggendo un passeggino doppio: vicino a lei, un uomo, e poco distante, due uomini adulti e un ragazzo.
“Oh, sono arrivati gli altri”, disse, indicandoli. “Zia Sofia è sempre la solita esagerata, si vede quasi solo lei tra tutta la folla!”.
La famigliola ebbe appena qualche istante di libertà prima di essere travolta dal fiume in piena di nome Sofia.
“Ciao a tutti! Gabriele, ma come sei cresciuto! Vittoria, tu ti fai sempre più bella, non so davvero come ci riesci…a scuola tutto a posto, vero?”.
“Sì, zia. Ma non mi parlare di esame di maturità, ti prego… ogni volta che ci penso mi prende l’ansia, anche se ormai gli scritti li ho fatti e manca solo l’orale. Mamma Irene e mamma Sara a volte mi dicono che farei meglio a prendere un tranquillante!”.
“Ah davvero?”. Sofia rivolse tutta la sua attenzione alla sorella, mentre Sara coglieva l’occasione per salutare Riccardo e coccolare un po’ Alessandro e Leonardo, che avevano ormai dieci mesi e mezzo; anche Gabriele era concentrato sui suoi cuginetti acquisiti, e così Vittoria si spostò, praticamente senza essere vista, verso gli altri tre: salutò con calore sia Marco che Tommaso ma, in realtà, la sua attenzione era tutta per Davide.
“Ciao”.
“Ciao”.
I ragazzi si guardarono per qualche istante, poi si abbracciarono; i due adulti si erano dileguati, ma loro non se ne erano proprio accorti.
“Come va? Tuo padre si è visto?” chiese il quindicenne.
“No, non ancora”.
Vittoria si sciolse dall’abbraccio. “Spero solo che non gli prenda un infarto!”.
“Ma no, tranquilla. Figurati, da quel che mi è parso di capire in questi mesi, direi che ha la pelle piuttosto dura!”.
Vittoria scoppiò a ridere; mano nella mano, i due raggiunsero le loro famiglie.
 
 
“Mi volete dire dove stiamo andando, adesso?”.
“In centro, papà! Quante volte te lo dobbiamo ripetere?”. Kevin stava facendo di tutto per mostrarsi seccato: in realtà, gli scappava da ridere.
“Questo lo vedo. Però..”.
“Niente però. Sbrigati, su, Vittoria ci aspetta!”.
“Kevin, ma c’è anche Gabriele?”. Isabel, che sapeva più o meno a cosa stavano andando incontro, guardò curiosa il fratello mentre scendevano tutti dall’automobile.
“Sì. Che c’è, ti piace?”
“E’ simpatico”.
“E’ un bambino molto sveglio e intelligente”, intervenne Jasmine sorridendo alla figlia.
Dario sbuffò, con aria leggermente scettica.
“Che hai da sbuffare? E’ solo un bimbo di dieci anni, non fare l’esagerato come tuo solito. E lui e Isabel non si stanno sposando”
“Grazie Jasmine, l’avevo capito. E ci mancherebbe pure che si sposassero adesso!”.
Avevano cominciato a camminare: ormai, Kevin doveva mordersi il labbro per non piegarsi in due dalle risate.
“Se stai pensando che Gabriele non sarebbe un buon partito per via la sua situazione familiare…”, cominciò, per mantenersi serio.
“Certo che lo sto pensando, Kevin. Hai idea di che vita avrà un tipo così?”.
“Hai ragione, avrà una vita complicata, su questo non ci piove. Ma la avrà solo in mezzo agli ignoranti. La società si evolve, papà, non resta sempre tutto uguale! E la mia generazione per fortuna la pensa diversamente dalla tua su certi temi”. Si interruppe per un attimo, iniziando a sentire il brusio della folla, ma poi riprese: “E comunque, ti accorgerai che Gabriele, Vittoria e Davide non sono i soli ad avere la situazione familiare che tu tanto trovi strana. Guarda un po’ cosa succede se giriamo l’angolo?”.
Girò a destra, e finalmente la risata che aveva tanto represso esplose nel suo petto: non vedeva la sorella e sue le madri da nessuna parte, data la folla multicolore che c’era, ma mentre estraeva il cellulare per chiamarla, pregustava già quello che sarebbe successo di lì a poco.
 
 
“Oh! Sono arrivati!”.
Vittoria attirò l’attenzione delle sue mamme e di tutti gli altri.
“Ah. Ora viene il bello. Aspettate che prendo il mio ventaglio: se qualcuno a caso a breve dirà anche solo mezza parola sconveniente, glielo darò in testa! E dalla parte del manico, ovviamente”, disse Irene.
“E dai, mamma, non ce ne sarà bisogno!”.
“Speriamo, Vee. Con tuo padre non si può essere mai sicuri di niente, fidati!”.
La ragazza scelse di non replicare, e cominciò a muovere la testa a destra e sinistra per capire dove fossero il fratellastro e la sua famiglia.
“Dove ha detto che sono, esattamente?”.
Davide voleva aiutare la sua ragazza, così si mise a cercare con lo sguardo anche lui.
 
 
“Cosa sarebbe questo? Una specie di carnevale fuori stagione?”.
Dario passava lo sguardo dalla moglie ai figli e viceversa: non capiva.
“No, non è un carnevale, papà. E’ una lotta per i diritti di persone che ancora non li hanno: a volte forse assomiglia fin troppo ad una festa, ma la maggior parte della gente che vi partecipa lo fa perché vuole essere ascoltata, riconosciuta dallo stato come persona. Questo, papà, è il gay pride”.
“Che???”.
“Cosa è quella faccia? Sei sorpreso di vedere che per il 90% le persone che ci partecipano non sono in maschera? Eppure dovresti sapere meglio di me che la tv a volte mostra le cose solo per aumentare l’audience e le polemiche!”.
“Sarà, ma non capisco a cosa serve. Adesso ci sono le unioni civili, cosa vogliono di più?”.
“La dignità, ecco cosa vogliono. Tu come ti saresti sentito se ti avessero detto che non potevi adottare Isabel perché sei contro natura? E come ti saresti sentito se il tuo essere eterosessuale fosse stato oggetto di prese in giro continue, e ti fossi sentito dire anche da perfetti sconosciuti che fai schifo? Prima dei diritti, vogliono essere trattati come persone. Non è così assurdo, ti pare?”.
L’adolescente guardò il padre, aspettandosi qualche battuta sarcastica: l’adulto però non disse niente.
“Buon segno”, pensò. “Vuol dire che il messaggio gli è arrivato, e si sta facendo qualche domanda in merito. Sta imparando più in fretta di quanto mi aspettassi, non c’è che dire!”.
“Kevin, guarda! Non è Vittoria, lì?”.
Isabel, incantata dai colori, dai carri e da tutte quelle persone con passeggini e bimbi al seguito, interruppe i pensieri del fratello, indicando con la mano  Vittoria che si faceva largo tra la folla, seguita a ruota da Davide.
“Mamma, quei signori cosa hanno scritto sulle magliette?”, chiese poi a Jasmine, indicando un gruppo di persone, uomini e donne, con delle maglie viola.
“C’è scritto ‘è l’amore che crea una famiglia’ tesoro. Sai cosa significa?”.
“Forse è qualcosa come noi?”
Jasmine sapeva cosa Isabel intendesse dire, anche se era piccola e se non aveva ancora tanta dimestichezza con la lingua italiana: stava parlando della sua situazione come bimba adottata. L’adulta, in quanto figlia di genitori adottivi a sua volta, la capiva sin troppo bene!
“Sì, Isabel. E’ qualcosa come noi. E anche come Vittoria e le mamme, Davide e i papà…se ci sono persone grandi che vivono nella stessa casa, e con loro ci sono anche dei bambini, e tutti quanti quelli che sono nella casa si vogliono bene, quella è una famiglia!”.
Jasmine sapeva che avrebbe avuto tempo per spiegare tutto alla figlia: ma sentiva fosse giusto muoversi a piccoli passi già da allora. Non voleva rischiare che Isabel prendesse consapevolezza di certe cose soltanto in età adulta, come aveva fatto lei; voleva che la piccola avesse ben presente sin da subito che c’erano diversi tipi di famiglia, e che i rappresentati di un tipo di famiglia in particolare in quel momento erano davanti ai suoi occhi: non erano né migliori, né peggiori di altri, ma uguali. E volevano farlo presente!
 
 
Irene guardava di sottecchi il suo ex: con la scusa di volergli parlare di Vittoria, lo aveva tirato da parte per prendersi una piccola soddisfazione. Dopo tutto quello che lui le aveva fatto passare, le sembrava il minimo!
“Allora, che te ne pare? Ti è piaciuto?”.
“Insomma, sembra il carnevale di Rio! Cosa pensate di ottenere facendo pagliacciate del genere ogni anno? Ma li hai visti come vanno in giro, certi tizi?”.
“Certo che li ho visti. E pure io pensavo che fosse una carnevalata, finché non ho scoperto cosa c’è veramente dietro al Pride. Non mi risulta che siano tutti in maschera poi, no?”.
“Sembri Kevin: mi ha detto quasi le stesse cose!”.
“Tuo figlio è molto saggio. Di certo non ha ripreso da te! Dimmi un po’, quanti alieni hai visto, esattamente, stasera?”.
“Alieni? In che senso? Ho visto persone, tutto qua”.
“Hai visto delle persone? Non dei pervertiti venuti a fare propaganda e avvelenare le menti dei giovani? Mi sorprendi!”.
“Irene, piantala, non è divertente”.
“Oh, sì che lo è. Allora è vero che per farsi passare le fobie è meglio affrontarle! Avevamo visto giusto a portarti qua, evidentemente”.
“Avevamo?”.
“Sì, carissimo. Eravamo tutti d’accordo. E tu ci sei cascato! Ma spero non te la prenderai con i tuoi familiari, dopo: loro volevano, come noi del resto, che vedessi con i tuoi occhi una parte della realtà con cui i tuoi tre figli, e dico tre perché ci metto pure Isabel, dovranno confrontarsi: esistono le famiglie etero, le famiglie con solo il papà o solo la mamma, le famiglie purtroppo composte solo da nonni e nipoti, le famiglie di divorziati, le famiglie allargate…e le famiglie gay. Nessuna di questa altre famiglie è di intralcio a quella etero, o ‘tradizionale’ che dir si voglia: non la minacciano. Se la gente chiede i diritti, è perché non li ha, non perché vuole sottrarli agli altri. Fino a pochi decenni fa, la famiglia era uomo bianco lavoratore, donna bianca madre e casalinga, con figli: c’era chi diceva che i matrimoni tra persone di razza diversa erano innaturali e contrari al disegno divino, sai? Non so se ti ricorda qualcosa… eppure, tu con chi sei sposato? Neanche tu sei ‘famiglia tradizionale’, in un certo senso, quindi. Vogliamo parlare dei figli, poi? Kevin, Vittoria e Davide sono tutti e tre etero, eppure solo Kevin ha un padre e una madre. Come la mettiamo?”.
“La mettiamo che devi piantarla con questi discorsi: non sono mica un ragazzino, non hai diritto di farmi la paternale!”.
Dario si allontanò dalla madre della sua figlia maggiore, di fatto comportandosi proprio come il bambino che aveva dichiarato con tanta forza di non essere. Irene sorrise tra sé: Dario la faceva stare sempre sul chi va là, perché non era difficile dimenticarsi cosa aveva cercato di farle, e cosa aveva cercato di fare anche a Sara e a Vittoria… ma quel giorno, sotto il sole di fine giugno, aveva avuto la sua piccola rivincita.
Il suo ex si fingeva seccato, ma lei sapeva che aveva capito perfettamente tutto quello che lei aveva detto: stava iniziando a cambiare, ma non l’avrebbe mai ammesso in sua presenza. Certo, difficilmente sarebbe arrivato a fare come Sofia, che da omofoba si era trasformata in gay-friendly sfegatata; ma comunque, considerando i livelli che aveva toccato fino a poco tempo prima, quello di Dario era un gran miglioramento. Ed era dovuto, lo sapeva, al comportamento tenuto da Kevin in particolare, circa sei mesi prima.
“E’ l’amore che fa una famiglia. Forse Dario non lo capirà mai, o almeno non del tutto, ma persino lui, con il suo comportamento verso il figlio, lo ha dimostrato!” si disse, mentre tornava da tutti gli altri per continuare a partecipare alla manifestazione.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: epilogo ***


Capitolo 14: Epilogo

“Non ci posso credere. Scusa, puoi ripetere?”
Irene sentì la figlia sospirare, come se le pesasse: in realtà, sotto sotto si sentiva che era contenta.
“Ho preso novantasette, mamma”.
“Allora avevo sentito bene! Novantasette su cento, pensa!”.
“Eh, già”.
Di nuovo, la ragazza faceva finta di nulla: Irene la immaginò mentre,davanti al portone della scuola, studiava con i suoi occhi verdi il tabellone con i risultati dell’esame di maturità.
“L’hai detto a mamma Sara?”
“Sì, poco fa”.
“E…a tuo padre?”.
“Lo farò tra poco”.
“Ora che fai? Sei da sola lì?”
Vittoria si guardò attorno: no, non poteva proprio dire di essere sola! Intorno a lei c’era un sacco di gente: i suoi compagni di classe che commentavano i voti, e i ragazzi delle altre quinte…ma per lei, esisteva una persona soltanto:era come se fossero solo loro due, lì in quel momento.
“No, mamma, non sono sola: c’è Davide qui con me”.
Ascoltò sua madre che le diceva di farle sapere quando sarebbe andata via, e scelse di non replicare al “quindi, il prossimo passo è la patente, no?”; non voleva pensarci: voleva solo godersi la giornata con il suo fidanzato. Poi, la sera ci sarebbe stato tempo per i festeggiamenti e i complimenti! Salutò la madre, e si preparò per la terza telefonata: prima, però, sorrise a Davide, che non aveva smesso un attimo di guardarla, e gli strinse la mano.
 

 
“So che sembrerò paranoica, e anche ripetitiva…ma pare ieri che è nata, e ora ha già preso il diploma!”.
“Verissimo…spero che con Gabriele il tempo non passi altrettanto in fretta”.
“Ne dubito: anche con lui, sono passati già dieci anni!”.
“Hai ragione. Ma almeno, lui è ancora un bambino e perciò non sa ancora cosa vorrebbe fare da grande! Vittoria invece vuole scrivere, a quanto mi ha detto”.
“Sì, lo so. Essendo portata, secondo me avrà successo… meglio che vendere cosmetici tutta la vita, di sicuro!”.
“E se il suo sogno fosse stato quello, invece?”
“Beh, l’avrei appoggiata, che domande: è mia figlia, dopotutto, e il mio interesse primario è quello di vederla diventare una adulta felice e realizzata. Però, a mio avviso i libri sono qualcosa di meglio… e non lo dico solo perché sono una gran lettrice e non mi trucco!”.
“Mi ha detto di aver preso in considerazione l’idea di scrivere libri sulla nostra famiglia, sai?”.
“Bella idea: il mondo dovrebbe sapere che le persone come noi non sono né divinità, né poveri incompresi, né mostri… con più libri sul tema, forse ci sarebbe più informazione e di conseguenza meno omofobia. Sarebbe utile far capire alla gente che gay si nasce e non si diventa, che non lo si sceglie e che avendo due padri o due madri non si rischia di diventare omosessuali. Sarebbe un bene far capire che se gay e lesbiche vogliono avere figli non lo fanno per capriccio, per ‘traviare i giovani’ o altro: lo fanno per istinto, come gli eterosessuali. E’ una scelta d’amore: perché l’amore per i figli, è l’amore più grande che esista! Si tratta di una legge universale, che travalica i gusti sessuali dei singoli”.
“Perfettamente d’accordo. Ma visto come stanno le cose, non ci resta che attendere e vedere come evolverà la situazione nei prossimi anni, no?”.
“Speriamo che evolva in meglio, Sara: intanto, che ne pensi se stasera faccio la pizza? Bisogna festeggiare!”.
“Ottimo! Che ne dici, invitiamo anche Tommaso e Marco?”.
“Ovviamente: sono i nostri consuoceri!”.
“E Dario e Jasmine?”.
Irene ci pensò un po’ su prima di rispondere: avere il suo ex in casa le trasmetteva molta inquietudine.
“Se a te non disturba, per me va bene. Sono sempre parte della famiglia di Vittoria dopotutto, in un certo senso”.
“Io non ho problemi, se tu non li hai. La nostra piccolina ha proprio una grande famiglia, vero? Invitiamo pure Sofia, tanto più siamo meglio è!”.
Famiglia. Genitori, figli: tre concetti così naturali, e così scontati per loro, ma non per il mondo esterno…entrambe le due donne, ognuna nel suo posto di lavoro, pensavano a come fosse possibile il dover lottare per avere un posto nel mondo all’interno di realtà che per tanti erano così scontate!
“Sono sicura che prima o poi vedremo riconosciuti i nostri diritti, così come tutti gli altri!”, pensava Sara, mentre salutava la moglie e si preparava a chiudere la comunicazione per tornare al suo negozio.
“Finiremo mai di essere considerati cittadini di serie B, prima o poi?”, pensò invece Irene mentre riponeva il cellulare nella borsa. “Kevin e Isabel hanno un padre e una madre; Davide ha due padri, e una madre naturale che ha dovuto rinunciare legalmente a lui; Tommaso si è dovuto far fare un documento in cui dichiarava di essere padre single di un bambino non riconosciuto dalla mamma, e tutto per cosa? Perché per la legge adesso sono una coppia vera e propria, ma i figli restano comunque solo del genitore biologico….poi ci sono Vittoria e Davide hanno noi: né io né Sara abbiamo un pene, ma questo non vuol dire che non li sappiamo amare. Anche se forse non tutti lo capiranno mai, anche se dovessimo metterci anni a farci sentire e ad avere un riconoscimento vero e proprio anche nella pratica e non solo sulla carta, cosa che comunque mi auguro avvenga quanto prima, il concetto non cambia: noi siamo una famiglia”.
Guardò fuori della finestra, verso il cielo limpido di luglio; poi abbassò lo sguardo verso il suo computer, ma l’ultimo suo pensiero prima di rimettersi a lavorare fu come sempre per le tre persone più importanti della sua vita: sua moglie, e i loro due splendidi figli.

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