Tutto Il Coraggio Del Mondo

di jacksonrauhl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte Prima - Scommessa Indecente ***
Capitolo 3: *** Tormento ***
Capitolo 4: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 5: *** Una seconda possibilità ***
Capitolo 6: *** Regali ***
Capitolo 7: *** Cena alternativa ***
Capitolo 8: *** Amici ***
Capitolo 9: *** Un solo sguardo ***
Capitolo 10: *** Sogni ***
Capitolo 11: *** Chicago ***
Capitolo 12: *** Paura di perdersi ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni ***
Capitolo 14: *** Parte Seconda - Ricordi ***
Capitolo 15: *** Di nuovo lui ***
Capitolo 16: *** Restare ***
Capitolo 17: *** Verità ***
Capitolo 18: *** Destinati ad amarsi ***
Capitolo 19: *** Un'altra volta - Parte prima ***
Capitolo 20: *** Un'altra volta - Parte seconda ***
Capitolo 21: *** L'altra faccia del successo ***
Capitolo 22: *** Casa Bieber ***
Capitolo 23: *** Migliore amica ***
Capitolo 24: *** Conti con il passato - parte prima ***
Capitolo 25: *** Conti con il secondo - parte seconda ***
Capitolo 26: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Prologo

 

New York,

17 settembre 2015
 

Il sole è sorto da tempo. Un vento gelido picchia contro le mie gote rugose e mi costringe a strizzare gli occhi di tanto in tanto. Non mi dispiace affatto sostare nel solito bar in centro ogni mattina: le persone in quel posto sanno accoglierti a dovere. Tossisco prima di lanciare un'occhiata strabica sulla vecchia insegna dai colori sbiaditi.
Le mani coperte dai guanti di lana stringono la maniglia del locale, e con quella poca forza rimasta in corpo, spingo all'indentro la porta. Una vampata di calore mi avvolge tutta e con mio piacere, noto che Sebastian ha avuto la brillante idea di tirar fuori la vecchia stufetta a gas. Avrei giurato di avergliela vista scaraventare a terra anni prima, eppure è ancora lì.
Non è un locale molto frequentato, non almeno dai giovani. Ma non importa: di tavoli pieni ve ne sono anche questa mattina, quindi gli affari anche dopo lungo andare vanno alla grande.
Sfilo via i guanti delicatamente e mi scruto intorno, in cerca di Sebastian che non tarda a sbucare da dietro il bancone. Sorregge un bicchiere di vetro con una mano e con l'altra un vecchio straccio umido.
"Wendy" abbassa il capo l'anziano, in segno di benvenuto.
"Che giornataccia. Il solito" gli dico, accomodandomi su uno degli sgabelli di fronte al bancone. Posiziono le mani sotto il mento e mi sorreggo sui gomiti.
"Magari con meno zucchero" aggiungo in fine, facendo sorridere lievemente l'uomo.
"Continui a stare attenta alla linea?" domanda, versando del caffè già pronto all'interno di una tazzina.
"Sciocchezze" sventolo una mano in aria. Afferro con le dita la tazzina e ne assaporo intensamente il profumo. Ottimo come sempre, nessuno è tanto bravo quanto Sebastian a New York nel preparare caffè.
"Cosa mi racconti?"
"Beh non c'è molto...sai, in un giorno non succedono di certo chissà quali cose" gli faccio notare. Ogni mattina la stessa domanda, come se la mia vita fosse abbastanza entusiasmante da poterne scrivere un libro.
"È quello?" mi blocco di colpo, notando il suo sguardo concentrato all'interno della mia borsa, posizionata sul bancone.
"Che maniere, Sebastian! Non si sbircia nelle borse delle signore" sorseggio di poco, quasi bagnando solo le labbra. "E comunque sì" sbuffo. "È quello"
"Quando vorrai farmelo leggere?" la sua risulta una supplica.
"Ovvio che mai" bevo tutto d'un sorso, rischiando di bruciarmi. "Ora se non ti dispiace, ho da fare" afferro la borsa, indosso in fretta e furia i guanti e lascio qualche monetina sul bancone. "Tieni il resto" sussurro, sgattaiolando via e lasciandolo a bocca asciutta.
Sospiro a pieni polmoni nonostante odi il freddo con tutta me stessa. Poi, quasi involontariamente, sposto lo sguardo all'interno della borsa e a dita tremanti afferro il libro del quale avevo discusso qualche secondo prima con Sebastian.
Sulla copertina grigiastra un enorme "TUTTO IL CORAGGIO DEL MONDO" è inciso a caratteri cubitali. Accarezzo le lettere, una ad una, quasi fossero vive. Le accarezzo delicatamente, prima di voltare pagina un po' indecisa e ritrovarmi a leggere sottovoce, nonostante sappia ogni singola frase a memoria. Nonostante ogni attimo raccontato, è ben impresso nella mia mente da ormai più di sessant'anni. 

 

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Capitolo 2
*** Parte Prima - Scommessa Indecente ***





Scommessa Indecente
 

New York,

4 giugno 1950

Non doveva trovarsi lì quella sera. Wendy lo stava ripetendo da interi minuti, ma Pauline non aveva la men che minima voglia di darle retta. L'amica l'aveva trascinata a tutti i costi fuori da quel locale, strappata dalle "grinfie" di Tom Jackson, un sempliciotto del quarto anno che dopo mesi era riuscito nell'intento di invitarla a cena
"Sei stata irrispettosa" sussurrò incerta, facendo attenzione a non calpestare bottigliette di Coca-Cola in vetro che giacevano tra gli spalti del palazzetto.
"Oh Wendy, quanto sei ingenua" sospirò amaramente Pauline, girando lo sguardo tutto intorno e allungando il collo di tanto in tanto per scrutare attentamente il ring ormai vuoto.
"Ingenua io? È solo che...povero Tom!" esclamò. Stringendo a sé la borsetta di seconda mano, continuando a traballare sui tacchi.
Tom Jackson non era di certo il ragazzo più bello della scuola, ma neanche il più brutto. Non era il migliore, ma neanche il peggiore. Una via di mezzo: piuttosto educato, timido e per niente loquace. A Wendy non dispiacque affatto accettare il suo invito a cena, eppure destino volle che nulla sarebbe dovuto andare secondo i piani.
"Non dovremmo essere qui Pauline" bofonchiò, sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
L'amica si voltò di scatto, fulminando con lo sguardo Wendy che abbassò il capo timidamente.
"Ma di cosa hai paura? Dovresti solo ringraziarmi per averti salvata da una delle serate peggiori della tua vita" esordì, lanciando un'ultima occhiataccia sui grossi orecchini che accerchiavano il dolce e pallido viso della ragazza.
"Menti. Sarebbe stata una serata stupenda. È vero, forse Tom non è il migliore in quanto rapporti umani, però..."
Pauline inarcò un sopracciglio, continuando a scendere grintosamente le scale degli spalti. Non diede retta alle parole della compagna, non ascoltò neanche un discorso, come se la ragazza fosse invisibile. Wendy cercò di seguirla a ruota, ma le risultò difficile.
"Pauline!" richiamò la sua attenzione. Quest'ultima si bloccò sul colpo, sorridendo successivamente.
"Ci siamo!" affermò entusiasta con due occhioni lucenti.
Wendy non capì in primo luogo. Dove l'aveva trascinata? In quel momento sarebbe dovuta trovarsi a conversare con Tom, magari gustando un buon gelato al cioccolato. Che stupida che era stata ad averlo abbandonato e ad essere caduta nel tranello dell'amica. Jackson, l'unico ragazzo che si era degnato di invitarla ad un appuntamento, l'avrebbe odiata per il resto dei suoi giorni.
Torturandosi di pensieri, morse il labbro inferiore quando, purtroppo, si rese conto che avevano fatto irruzione nei sudici spogliatoi.
"Pauline torniamo indietro" cercò di attrarre a sé l'amica tirandola per il polso, ma perse l'equilibrio sui tacchi. Quanto li odiava: no, non facevano per lei.
Continuò ad ignorarla e contro la sua volontà, la trascinò dentro una piccola stanza dalle bianche pareti, illuminata da una fioca luce. Parve un centro psichiatrico a primo impatto, e Wendy si ritrovò a stringere involontariamente il braccio di Pauline, che al contrario, era stranamente affascinata da quel postaccio.
La tensione era alle stelle, tanto che non si rese neanche conto che già da qualche secondo, Pauline aveva preso a conversare con un uomo. Alto, muscoloso, incuteva non solo terrore, di più. Un colosso se messo a confronto con Wendy , la quale rimase inerme e con lo sguardo rivolto verso il basso, sulle scomode scarpe. Stava già immaginando il momento in cui le avrebbe sfilate via e scaraventate a terra.
"Sai dove si trova Colossus?" sentì dire da Pauline. E chi era mai questo Colossus?
L'uomo indicò un punto ben preciso in fondo alla stanza, poi si voltò verso Wendy e le sorrise. La ragazza non ricambiò, anzi, si sentì ancor più a disagio di quanto già non lo fosse.
"Voglio tornare a casa" sussurrò nell'orecchio dell'amica.
"Non prima di aver ottenuto un autografo da Colossus. Ha vinto il suo quindicesimo incontro consecutivo, roba da pazzi!" Pauline era felice, felice come poche volte l'aveva vista in quell'ultimo periodo. Forse concederle quell'opportunità non sarebbe stata poi una cattiva idea, alla fin fine non fruttava nulla di negativo nei confronti di Wendy, se non ulteriore dolore ai piedi per via dei tacchi.
"E va bene. Però ce ne torniamo subito a casa" disse seria. L'amica annuì, incamminandosi verso un gruppetto di ragazze che accerchiavano un uomo che pareva la copia, per un minimo più decente, dell'uomo di qualche secondo prima.
Lentamente, si distaccò da Pauline. A lei non interessava incontrare quel Colossus o come si chiamava. Non le interessava il suo autografo e nulla che lo riguardasse. La lasciò proseguire da sola, concedendole quel magico momento con quel qualcuno che ammirava molto, in solitudine. Pauline non si voltò neanche una volta, proseguendo a gambe molli verso l'uomo.
Wendy si strinse a se, scrutandosi intorno, leggendo di tanto in tanto vecchie locandine di incontri, orari, nomi dei pugili, palazzetti in cui si sarebbero disputati gli incontri. Neanche quello le importava più di tanto, ma le parve l'unica cosa un tantino più interessante da fare in quel momento.
Quando si rannicchiò in un angolo della stanza, di fianco ad una panchina vuota, distolse lo sguardo di colpo, scioccata, verso l'amica che tardava a tornare. Dinanzi a lei, nascosti tra due pile di armadietti, un ragazzo e una ragazza erano intenti a scambiarsi baci, carezze, sguardi. Si sentì in imbarazzo quando il biondo fiondò le mani sui seni semi-coperti della donna che socchiuse gli occhi, tirando indietro il capo e gemendo di tanto in tanto.
Si schiarì la gola, così da attirare l'attenzione dei due che non tardò ad arrivare. Non tanto da parte di lei, quanto da parte di lui. Si voltò di scatto verso Wendy, e i loro sguardi si scontrarono per una frazione di secondi. Il tempo di vedere finalmente arrivare Pauline correrle incontro, entusiasta, finalmente con in mano l'autografo di Colossus.
"Ce l'ho fatta!" esclamò cercando di riprendere fiato. "Devo stare calma" ripetette un paio di volte.
Ma stranamente in quel momento i ruoli si erano invertiti, tanto che Wendy non si rese neanche conto delle parole colme di gioia dell'amica. Era come se tutto ad un tratto, le persone, gli oggetti, le parole superflue fossero sparite. E cerano solo due grandi occhi color caramello ad ammirare da cima a fondo la sua figura, che timidamente, cercava di sostenere lo sguardo del ragazzo che smise di preoccuparsi della donna che sosteneva tra le possenti braccia.
Poi tutto tornò alla normalità, quando le labbra di lui catturarono nuovamente le labbra della bionda stretta con le spalle al freddo metallo. Quando i loro sguardi si persero e l'acuto vociferare di Pauline richiamò l'attenzione di Wendy, ella scosse la testa, come per scacciare via ogni pensiero.
"Mi ha abbracciata, ti rendi conto? Non farò mai più la doccia" scoppiò a ridere Pauline, che continuò a strattonare il braccio di Wendy, come per richiamare la sua attenzione.
"Non dire sciocchezze. Dai, andiamocene" afferrò la mano di un amica che si ritrasse. Si voltò incerta, cercando di capire il perché di quel gesto.
"Devo andare in bagno" sussurrò mordendo il labbro.
Wendy alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo in segno di diniego.
"No Pauline, scordatelo. Hai un bagno anche a casa tua. Ce ne dobbiamo andare" era ormai sfinita, glielo aveva ripetuto tante di quelle volte che ci stava perdendo le speranze.
"Mi scappa, che ci posso fare" si guardò intorno, accertandosi che nessuno la stesse ascoltando. "È tutta questa situazione che..."
"Sbrigati!" esclamò Wendy, e Pauline allentò la presa dell'amica, dirigendosi verso una porta per poi scomparire poco dopo. Sbuffò amaramente per l'ennesima volta: il dolore che le procuravano le scarpe, un non indifferente picchiettare alla testa e lo sbadigliare continuo, erano segni che davvero non ce la faceva più e il limite di sopportazione era ormai alle porte.
Rivolse lo sguardo verso l'uscita, notando che uno ad uno, le persone abbandonavano gli spogliatoi. Quando tornò con lo sguardo fisso tra i due armadietti, la bionda era ormai intenta a sistemare una grossa borsa sulle spalle e a salutare con un occhiolino il ragazzo che ricambiò con un sorriso a metà volto. Wendy tornò a fissare le sue scarpe quando la ragazza le passò davanti, scomparendo poco dopo dietro le tende.
Non riuscì a far a meno di ammirare accuratamente i movimenti del biondo, intento a disinfettare le nocche rossastre. Seduto sulla panchina, indossava solo un paio di pantaloncini bianchi dall'elastico blu. I capelli gli ricadevano sul volto, bagnati com'erano. Il petto gocciolava per quel poco e i pettorali, scolpiti alla perfezione, andavano su e giù guidati da un regolare respiro. Un delicato sorriso si fece spazio tra le sue gote rossastre, mentre dalla tempia, goccioline di sudore ricadevano lentamente verso l'incavo del collo, ove una vena in rilievo lo rendeva stranamente più attraente di quanto non lo fosse già.
"Ehi Bieber, davvero bell'incontro" affermò Colossus, mentre si dirigeva verso l'uscita.
"Grazie amico. La prossima volta vedrò di fare di meglio" lo salutò con un cenno di mano, mentre l'uomo ricambiò con un cenno di capo per poi scomparire anch'egli dietro la tenda.
Wendy appoggiò le spalle contro il muro, stringendo con ambedue le mani la borsa e mordendo il labbro interiore alla guancia di tanto in tanto. Si ritrovò a leggere per la terza volta consecutiva la solita locandina, ma nel leggere il nome Justin Bieber, vi si soffermò su pochi secondi, ripensando a come Colossus aveva chiamato il ragazzo. Quindi il suo nome era Justin. Era divertente come tra tutti quei soprannomi sciocchi e insensati, l'unico normale fosse proprio quello di Justin. Probabilmente il suo reale nome.
"Come ti chiami?" qualcuno domandò.
La ragazza scattò sull'attenti, rabbrividendo nell'udire quella voce roca, calda. Notò nuovamente lo sguardo di Justn puntatole contro. Si guardò prima a destra, poi a sinistra e si concentrò nuovamente sul ragazzo che aveva scaraventato all'interno di un secchio le pezze bagnate.
"Come scusa?" chiese, quasi sussurrò. Justin sorrise ancora una volta, facendo sorridere a sua volta Wendy.
"Come ti chiami?"
Wendy esitò qualche secondo, magari perché non si era mai permessa di avere una conversazione con qualcuno che non rientrasse nelle sue conoscenze. Per quanto Pauline potesse essere la sua migliore amica, erano come il giorno e la notte. Wendy era sempre stata quella troppo timida, quella che non inviteresti mai a nessuna festa perché altrimenti ti annoieresti a morte. È per questo che continuò a torturarsi la mente, quella sera, anche dentro quello spogliatoio, pensando al povero Tom. L'unico che in fondo in fondo era riuscita a colpirla.
"Wendy" rispose qualche attimo dopo, dolcemente. Al diavolo la timidezza, mai una ragazzo così carino le aveva rivolto al parola.
"Wendy" ripetette lui, come per prendere dimestichezza con il nome. Come per farlo suo. "Wendy ti va di fare una scommessa?" chiese in un secondo momento, portando in spalla la borsa.
Per un attimo Wendy pensò di aver compreso male. Ma quel Justin le aveva davvero proposto una scommessa, ed incredula, non potette far a meno che restare in silenzio, a bocca socchiusa e ciglia inarcate.
"C-come scusa?" balbettò. Oh no, odiava ogni qual volta, nel bel mezzo di un discorso, si faceva prendere dal panico e andava in confusione. Odiava balbettare e mostrarsi agli occhi degli altri così ingenua.
"Facciamo così" si avvicinò alla figura della ragazza che si ritrasse il più possibile con la schiena verso il muro. Per fortuna, Justin si bloccò a metà percorso. Vi era almeno un metro di distanza tra i due, il che rassicurò Wendy. "Se io indovino di che colore è l'intimo che indossi in questo momento, uscirai con me"
Per poco la ragazza non si strozzò con la sua stessa saliva. Stava scherzando, non c'erano dubbi: ma allora perché quello sguardo serio?
"No!" gridò quasi. "Assolutamente no" lo guardò un istante, notando il solito sorrisetto. "Perché non chiedermelo direttamente?" disse, senza pensarci su.
"Ti va di uscire con me?" si affrettò a chiedere lui, tirando la borsa per bene in spalla.
"No!" non esitò a negargli l'invito.
"Appunto" sussurrò lui. "Ci stai allora?" disse a voce alta, compiendo un passo in avanti.
Wendy non rispose, anche perché non seppe come affrontare l'imbarazzante situazione. Ispirò a pieni polmoni ed espirò lentamente. Annuì successivamente, dandogli in consenso. Il biondo posò a terra la borsa e si avvicino ancora una volta alla figura di Wendy che non si sa come, riuscì a ritrassi ancore e ancora.
Bagnò le labbra, scrutò da cima a fondo la ragazza. Dalle gambe scoperte, le scarpe con i tacchi, la gonna blu. Quando si soffermò sul formoso seno, allucinato ne scrutò i particolari e Wendy si coprì d'istinto con le braccia.
"Allora?" chiese impaziente. Voleva che tutto finisse il prima possibile e che arrivasse da un momento all'altro Pauline.
"Bianco" disse semplicemente.
La ragazza stava per ribattere, quando Pauline si piantò tra i due, bloccandola sul colpo. Fissò sconcertata prima Justin, poi l'amica che continuò a fulminare il ragazzo che se la rideva sotto i baffi.
"Possiamo andare?" domandò lei, stringendo con una mano l'autografo.
"Sì" affermò Wendy. "E subito" girò sui tacchi e voltò le spalle a Justin che scoppiò a ridere tra se e se.
"Ehi Wendy!" si sentì chiamare non appena oltrepassò la tenda rossa. La giovane non rispose, ma si limitò a sistemare i capelli, in attesa di un qualcosa da parte del ragazzo. Un gesto, una parola. Quando notò un semplice occhiolino, la rabbia ribollì come mai prima d'ora dentro di lei. Scomparve definitivamente da quegli spogliatoi, afferrando come di consueto la mano di Pauline che poverina, era riuscita a capirci poco e niente dell'accaduto.
Wendy giurò a se stessa che non avrebbe mai più messo piede dentro quel postaccio, come solo lei lo definiva. Ma si sa, il destino non va mai secondo i piani, proprio come quella sera. 



 

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Capitolo 3
*** Tormento ***





Tormento
 

New York,

6 giugno 1950

Le vacanze estive erano ormai alle porte. In realtà, per Pauline e Wendy erano iniziate già qualche settimana prima, ma quel giorno, solo pochi minuti le dividevano dall'essere definitivamente libere. L'euforia era tanta, e Wendy sentiva l'eccitazione salire alle stelle. La gonna che le ricadeva dolcemente sulle gambe, sotto il banco, era ormai un cartoccio unico dopo che le mani tremanti della ragazza avevano preso a strofinare sul tessuto. E quando la campanella, l'ultima di quell'anno scolastico e della sua vita riecheggiò tra le quattro mura della stretta aula, un sorriso a trentadue denti si fece spazio tra le sue gote rosee. Si voltò verso Pauline, la quale era già scattata sull'attenti. Afferrarono entrambe le proprie borse e senza proferire parole corsero fuori l'aula, senza degnarsi neanche di salutare la professoressa.
"Oh mio Dio finalmente" esultò Pauline, inserendo la combinazione dell'armadietto. Allentò il foulard che le accerchiava il collo, indossando gli occhiali da sole neri come la pece.
Wendy si limitò a recuperare ogni singolo bene e scaraventarlo all'interno della borsa, chiudendo in fine l'anta, per l'ultima volta.
"È tutto finito" disse Wendy. L'amica riuscì quasi a percepire un lieve velo di malinconia nella sua voce.
"E non sei contenta? Addio scuola, addio studio, addio stress" sventolò in aria la mano, delineando le carnose labbra con un rossetto rosso.
"Certo che lo sono, solo che..." lasciò in sospeso la frase, sperando che l'amica riuscisse a comprendere il suo disagio. Ma niente affatto, Pauline afferrò semplicemente la mano dell'amica e la trascinò fuori l'edificio, senza che Wendy potesse obbiettare.
"Adesso goditi quest'estate, per favore" quasi la pregò, fortificando la presa. Wendy roteò gli occhi al cielo.
"Sai che lo farò" aggiunse successivamente. "Il problema non è l'estate, ma ciò che verrà dopo"
"Quanto sei noiosa" sussurrò l'amica. La trascinò ancora per qualche metro, giù per le scale. Poi mollò la presa.
Wendy si voltò verso l'amica inarcando un sopracciglio, cercando di capire il perché avesse deciso di allontanarsi così bruscamente da lei. Con una mano, Pauline era intenta ad abbassare leggermente gli occhi dal naso così da poter vedere meglio. L'altra invece era occupata sul petto, mentre le labbra socchiuse rilasciarono uno strano stridulo di entusiasmo.
"Guarda che bel pezzo" sorrise lievemente, più che altro rimase incantata a fissare un punto ben preciso nel parcheggio della scuola.
Wendy seguì la traiettoria dei suo occhi, che si andarono a soffermare su un ragazzo piuttosto alto e muscoloso. Capelli neri, occhi azzurri e lineamenti ben definiti. Indossava la solita giacca nera in pelle e non potette di certo dare all'amica tutti i torti. Era davvero un bel ragazzo. Poggiava sulla sua Nash - Healey nuova di zecca.
"Mi sono innamorata" proseguì il solito monologo che Wendy era costretta a sopportare ogni qual volta si imbattevano in un qualche bel ragazzo. "E guarda i suoi occhi"
Wendy ne aveva abbastanza di quel suo caratterino smielato, che per quanto tutta la sceneggiata durasse sì o no cinque minuti, qualcosa in lontananza attirò la sua attenzione. Tom Jackson era intento a mettere in moto la sua Vespa malandata. Senza pensarci su due volte, abbandonò Pualine e corse verso il ragazzo.
"Tom!" urlò a squarciagola, pregando che l'avesse sentita nonostante il frastuono di chi se la rideva e di chi invece festeggiava la fine della scuola. "Tom aspetta!" abbassò di poco il tono della voce quando notò lo sguardo di quest'ultimo che scrutò da cima a fondo la figura di Wendy.
"Ehi" sussurrò lievemente lui, cercando di non dare a vedere l'evidente imbarazzo.
"Tom volevo scusarmi" la ragazza, delicatamente, portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Non preoccuparti, avrai avuto i tuoi motivi" stringeva tra le mani il casco, rigirando tra le dita le corde alle estremità.
"Ehm...sì Tom, purtroppo ho avuto un contrattempo" morse il labbro inferiore, dispiaciuta della presa in giro gratuita. Ma cosa avrebbe mai potuto dirgli? Di certo non la verità.
Lo ringraziò con un bacio casto sulla guancia, sorridendogli dolcemente e giurò di averlo visto arrossire.
"Ehi Wendy" qualcuno sussurrò alle spalle della ragazza, facendola rabbrividire. Si voltò di colpo sentitasi chiamare in causa e per poco non svenne. Rizzò i muscoli, sgranando gli occhi, incredula.
"Tom, potresti accompagnarmi a casa?" chiese, voltandosi nuovamente verso il diretto interessato, il quale, era concentrato a squadrare da cima a fondo il biondo alle spalle di Wendy. "Per favore?" lo pregò, attirando su di se l'attenzione di Tom che annuì debolmente.
"Non si saluta?" domandò il biondo alle sue spalle. Wendy fece roteare gli occhi al cielo, Tom nel frattempo sentì tagliarsi  fuori.
"Ci conosciamo?" chiese scioccamente.
Il biondo sorrise di cuore, divertito. Passò una mano tra i capelli e morse il labbro inferiore, il che fece rabbrividire Wendy. Non gli s poteva di certo dire di non essere attraente.
"Tu" fissò dritto negli occhi Tom, il quale gli si gelò il sangue per un secondo. Wendy si voltò a fissare il ragazzo, sperando che reagisse ad una qualsiasi minaccia. Ma il tremolio delle sue mani fece presagire il contrario. "Smamma" ordinò Justin.
Tom infilò il casco senza farselo ripetere una seconda volta, sotto lo sguardo incredulo di Wendy.
"Tom..." sussurrò la ragazza, pregandolo di restare.
"Ci si vede Wendy" rizzò la mano e partì a tutto gas. L'aveva lasciata sola, non poteva crederci.
"Che ci facevi con uno come quello?" domandò Justin tra una risata e l'altra. La rabbia ribolliva in Wendy come mai prima d'ora.
"Facile prendersela con i più piccoli" sbraitò contro la figura del biondo che continuava a ridersela. Ne aveva abbastanza.
Urtando il braccio del ragazzo, corse via sperando che la lasciasse andare senza battere ciglio. Ma quando si sentì afferrare per un polso, capì che la tortura era appena iniziata. Si dimenò, cercando invano di non sottostare alla possente stretta del biondo.
"Cosa vuoi?" sibilò la ragazza. 
"Sbaglio o mi devi un appuntamento?" domandò, semplicemente.
Wendy incontrò lo sguardo del ragazzo che fino a quel momento aveva cercato di evitare il più possibile e, con un ringhio sommesso cercò di trattenere la calma. 
"Neanche ti conosco!" si giustificò poco dopo, sperando che ragionevolmente  se ne sarebbe andato. Ma niente da fare. Non era intento a mollare la presa, anzi, la intensificò, avvicinandosi cautamente al viso della ragazza.
"Possiamo conoscerci" sussurrò dolcemente, e per un attimo le iridi di Wendy parvero trasparire un velo di serenità, compiaciuta da tanta ostinatezza. Cercò di non dare a vedere il suo stato d'animo, e pregò che non fosse diventata rossa in volto com'era solita fare nelle situazioni imbarazzanti. 
Abbassò lo sguardo, sentendo il volto andare a fuoco. Le scarpe di Justin, nuove di zecca, in quel momento parvero molto più interessanti del solito: si concentrò sul nero, sulle stringhe, sulle rifiniture, fin quando non fu costretta dalla voce del biondo a scacciare via ogni pensiero. Due dita irregolari le afferrano il mento, delicatamente, quasi avesse paura di farle del male. Mai nessuno era riuscito con un contatto così misero a farla rabbrividire tutta d'un colpo, dalla testa ai piedi. 
"Allora, che ne dici?" domandò, chinando la testa da un lato. Wendy sorrise leggermente: era difficile sottostare a tanto fascino, soprattutto era arduo tenere testa alle sue iridi caramellate capaci di catturarti al primo sguardo, come le era successo quella sera negli spogliatoi. "Guarda che non mordo" bisbigliò, portando una ciocca di capelli della ragazza dietro l'orecchio. 
"No, Justin" afferrò decisa la mano calda del biondo, scostandola di lato così da liberare finalmente il suo volto dalle grinfie del ragazzo. 
Il cuore le batteva all'impazzata, spaventata dalla reazione che avrebbe potuto avere Bieber. Quando le spalle di lui si alzarono lentamente a causa di un pesante sospiro, la ragazza si ritrasse d'istinto.
"D'accordo" le sorrise con occhi gentili. "Non voglio di certo importunarti" dal suo volto era evidente il suo disagio. 
Solo in quel momento Wendy si rese conto di quanto ci fosse rimasto realmente male. Si sentì in colpa e si schiaffeggiò mentalmente, ma quando cercò di rimediare le parole fuoriuscirono indecise e incomprensibili. 
"M-magari un'altra volta..." ripetette, concentrandosi. Se pur balbettando, ci era riuscita e il lieve luccichio caramellato di lui ne era la prova. Si sentì sollevata tutto d'un colpo, rilassando i muscoli e tirando un sospiro di sollievo.
Era certa che non si sarebbero mai più rivisti, tanto da non preoccuparsi affatto. Non lo odiava, semplicemente c'era un qualcosa di insopportabile eppure così attraente nella sua arroganza che mandavano in tilt ogni suo principio morale.
"Adesso vado" disse, e prima ancora che Justin potesse proferire parola, la lunga gonna azzurra di Wendy già volteggiava in balia della rinfrescante brezza. 
Correva a perdifiato, senza voltarsi neanche una volta. Dimenticò Pauline, Tom, tutto e tutti. Sentiva le guance avvampare per l'ennesima volta e socchiuse gli occhi, stanca di quella giornata. Il mondo è piccolo, ma il quel momento il destino aveva giocato un brutto scherzo alla ragazza che dovette sostare in un angolo, buio e tetro fra due palazzetti. Doveva calmarsi, non pensare agli occhi di lui, alle dita irregolari che le avevano accarezzato la guancia che in quel momento bruciava come non mai. Appoggiò il capo contro il gelido muro di mattoni e si lasciò cullare dal silenzio. Odiava con tutta sé stessa questo lato del suo carattere: ogni volta che un ragazzo o ragazza, chiunque fosse, le rivolgeva un qualche complimento o la considerava un po' più del dovuto, lei avvampava. Quando era costretta a mostrarsi forte, ma dentro moriva di vergogna e la timidezza cercava di riconquistare terreno. 
Si decise solo dopo una decina di minuti di abbandonare quel postaccio, gelido e umido. Svoltato l'angolo però qualcosa la urtò, o meglio, qualcuno urtò l'esile figura della ragazza che perse l'equilibrio. Strizzò gli occhi, preparandosi alla imminente caduta che per sua più grande fortuna non arrivò mai. 
"Scusami!" esclamò, rendendosi conto solo successivamente che l'uomo, molto più grande di lei, la stava sorreggendo dolcemente tra le possenti braccia. Si ritrasse di colpo, sistemando la camicetta al petto. 
Morse il labbro inferiore piuttosto in imbarazzo: decine di fogli erano sparsi sul marciapiede e nella valigetta di pelle nera vi era rimasto poco e niente. Vestito elegante, capelli strapieni di gel e occhiali da sole neri. Incuteva terrore al solo ammirare le sue muscolose braccia, che nonostante fossero coperte dalla bianca camicia, erano pur sempre rilevanti. 
"Mi scusi, la aiuto io" si chinò in fretta e furia, ma la voce roca di lui la bloccò sul colpo, non lasciandole neanche il tempo di raccogliere un misero foglio.
"Lascia, ragazzina. Hai già combinato abbastanza guai" le parole colme di disprezzo fecero rizzare i capelli a Wendy che scattò in piedi, a bocca socchiusa e sguardo interrogativo. 
"Volevo solo aiutarla..." sbuffò. "Impertinente!" disse senza rendersene conto. Si tappò la bocca con una mano e scappò via, urtando di proposito la figura dell'uomo, il quale si voltò e la richiamò senza risultato.
Wendy corse ancora qualche metro prima di ritrovarsi dinanzi il solito bar. Un buon tè era quello di cui aveva bisogno per calmare i bollenti spiriti di quella mattina fin troppo movimentata. La sua vita tanto monotona non era mai risultata così avventurosa. 
Entrò dentro e il campanellino sul suo capo richiamò l'attenzione di alcuni ragazzi, soprattutto del barista. Un uomo sempre così gentile e cortese, con il sorriso perenne stampato sul volto. Non conosceva il suo nome a dire il vero, ma non si era mai permessa di chiederglielo. 
"Wendy, il solito?" e sì, lui era a conoscenza del suo nome, stranamente. 
"Sì, grazie" gli sorrise, prendendo posto sul solito sgabello dinanzi al bancone. Si lasciò sprofondare sul gelido marmo con ambedue le braccia. 
"Giornata pesante?" sentì dire. 
Alzò lo sguardo e l'uomo, probabilmente sulla cinquantina, era intento a scrutare divertito lo spettacolo esilarante che stava dando dinanzi a tutti. Si ricompose, tossendo leggermente.
"SÌ, signor..." si lamentò, bloccandosi successivamente. Aveva dimenticato che il nome dell'uomo era a lei sconosciuto. Frequentava il locale da ormai qualche mese, possibile che neanche una volta era capitato di sentirlo nominare? Ci pensò su. Davvero strano.
"Kennedy. Larry Kennedy" le porse la mano che Wendy strinse con molto piacere.
"Wendy Casey, ma a quanto pare conosce già il mio nome. Piacere mio" 
"Ti prego dammi del tu, risulta molto più...giovanile" ammise scoppiando a ridere successivamente. Una risata contagiosa, tanto che Wendy ricambiò a trentadue denti.
Afferrò una tazza verde, posizionandola sul bancone. Inserì al suo interno la bustina e si voltò per afferrare il pentolino colmo di acqua calda. Tutto filò liscio, finché qualcuno richiamò l'attenzione del signor Kennedy.
"Ehi papà" una voce roca di fianco a Wendy fece scattare la ragazza sull'attenti. Il figlio di Larry era appoggiato con i gomiti sul bancone, intento a sistemare il ciuffo di capelli pieno di gel che gli ricadeva davanti gli occhi. Quel ragazzo lo aveva visto da qualche parte, ne era più che sicura. Ma dove? Cercò di ricordare ma nulla, tutto troppo incerto.
"Alla buon'ora, Sebastian" l'uomo si lamentò versando l'acqua nella tazza. "Ho preso in considerazione l'idea di denunciare la tua scomparsa" 
"Non esagerare. Ho avuto da fare" un ghigno si dipinse sul suo volto e gli occhi azzurri si dipinsero di malizia. "Da dove comincio?" domandò, liberandosi della giacca in pelle e indossando il grembiule. Ecco!
Qualcosa scattò nella sua mente: era semplicemente il ragazzo che neanche un'ora prima era piantato dinanzi l'edificio scolastico. L'ultima cotta passeggera di Pauline. Ripensando all'amica abbandonata come se nulla fosse, si ripromise che sarebbe andata subito a scusarsi con lei. Ma solo dopo aver gustato il tè, ovviamente.
"Ha avuto sicuramente di meglio da fare, Larry" una voce fin troppo familiare fece rabbrividire Wendy che rizzò le orecchie, afferrando quasi d'istinto uno dei tanti menù sparsi sul bancone. 
Si coprì il volto e si accovacciò, soffiando all'interno della tazza. Tutta la sua figura, dal capo fino al petto era ben coperta dall'oggetto cartaceo che venne sfilato via come se nulla fosse. Si maledisse mentalmente quando nel voltarsi, due occhi caramellati la accolsero calorosamente.
"Ehi, moretta" disse Justin, sorridendo.



 

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Capitolo 4
*** Primo appuntamento ***





Primo Appuntamento

 

Wendy strofinò violentemente la pezza sulla gonna zuppa, alzò lo sguardo e l'immagine disastrosa che le si presentò allo specchio la fece sbuffare di malavoglia. Capelli scompigliati, camicetta stropicciata e un'espressione fin troppo stanca. Continuò senza sosta ad asciugare l'indumento ma al limite della sopportazione, scaraventò all'interno del lavandino il panno ormai umidiccio e rilassò i muscoli, riprendendo fiato. Solo dopo circa cinque interminabili minuti si decise ad abbandonare il bagno del locale, nella speranza che Justin fosse andato via o semplicemente che si fosse arreso all'evidente antipatia che la ragazza nutriva nei suoi confronti.
"Moretta? Sei così poco creativo" la voce roca di Larry richiamò l'attenzione di Wendy che rimase immobile dietro la porta, intenta ad origliare.
"Per via dei capelli!" si giustificò Bieber e la ragazza abbozzò un sorriso istintivo. 
"Non solo il nomignolo orrendo, anche il tè addosso le hai rovesciato!" questa volta invece a proferire parola fu Sebastian.
Per sua più grande fortuna, il bagno era situato proprio di fianco al bancone e non risultò difficile alla ragazza assistere alle ripetute prese in giro di padre e figlio nei confronti di Justin.
"È stata colpa sua!" esclamò quest'ultimo e giurò di averlo visto indicare la porta dove, incredula dalle parole appena pronunciate, Wendy scattò fuori.
Si ammutolirono tutti e tre: Larry e Sebastian cercarono di soffocare una risata, mentre l'imbarazzo per la ragazza aumentava di secondo in secondo.
"Grazie mille per il panno, Larry. L'ho lasciato in bagno se non è un problema" ammise gentilmente.
"Figurati, non preoccuparti" le sorrise di rimando. "E il tè non devi assolutamente pagarlo" aggiunse frettoloso.
"Grazie di nuovo. Ho combinato un gran bel casino" detto ciò, si voltò a scrutare la figura di Sebastian che, straccio in mano, era intento ad asciugare il pavimento bagnato.
"Non è stata proprio colpa tua..." Larry si voltò verso Justin al pronunciare testuali parole.
Gli occhi caramellati di lui si incontrarono con quelli scuri di lei. Successivamente si concentrò sulla gonna e di nuovo sul volto di Wendy che se ne stava in silenzio in attesa di qualche scusa.
"Almeno non era bollente" scrollò le spalle con un sorriso a trentadue denti che andava da una parte all'altra del volto.
La ragazza socchiuse le labbra non riuscendo a credere alle proprie orecchie. Avrebbe tanto voluto schiaffeggiarlo dinanzi a tutti, ma si limitò a stringere i pugni per attutire il colpo appena ricevuto.
"Arrivederci Larry" si voltò verso l'uomo che a stento riusciva a trattenersi dal ridere.
"Ciao Wendy" la salutò a sguardo basso, troppo concentrato a ridersela sotto i baffi. Non lo biasimò, quel Bieber era un idiota.
"Ciao Sebastian" aggiunse, afferrando la borsa da sopra il bancone che aveva gentilmente lasciato in custodia al padre del ragazzo che si appoggiò al manico dello straccio, strofinando il volto e scuotendo il capo, probabilmente incredulo anche egli delle parole dell'amico. La salutò di consueto.
Si diresse verso l'uscita, sperando che il sole cocente di quella mattina che dava il via alla stagione estiva, asciugasse per quel poco l'enorme chiazza sulla gonna azzurra. Ma neanche il tempo di udire il campanellino sul suo capo, che la fastidiosa voce di Justin la richiamò.
"Sai che non è stata colpa mia" sussurrò nervosamente.
"Cosa vuoi da me esattamente?" domandò lei restando la corsa, senza però voltarsi.
"Che tu ti assuma la colpa. Sappiamo che non c'entro niente" ammise Justin. 
Quel ragazzo era strano: insistente, sciocco e si preoccupava sempre troppo poco del peso delle parole dette. Wendy ne aveva avuto abbastanza per quella giornata.
"Devi lasciarmi in pace, Bieber. Non uscirò con te, non ti calcolerei neanche se tu fossi l'ultimo ragazzo su questa terra. Ora, se vuoi scusarmi, o cose molto più importanti da fare" indossò gli occhiali estratti dalla borsa come tocco finale e si incamminò verso destra, sul marciapiede fin troppo affollato.
Neanche le decine di persone, uomini che leggevano il giornale, che impugnavano una ventiquattro ore o donne sui tacchi vertiginose riuscirono ad abbindolare lo sguardo di Justin che si fiondò nuovamente sulla sua preda.
"Del tipo leggere uno dei tuoi tanti libri seduta sulla solita sedia a dondolo nel tuo solito giardino?" domandò rincorrendo la figura di Wendy che scattò sull'attenti, sfilando via gli occhiali da sole e voltandosi verso il ragazzo.
"E tu che ne sai? Mi spii per caso? Sei uno stalker!"
La mano di Justin soffocò un imminente grido di Wendy. Sorrise ai passanti che lo fulminarono con lo sguardo.
"Non sono uno stalker, ma ti pare?" detto ciò, allentò la presa sul volto della ragazza sperando che quest'ultima avesse il buon senso di non aprire bocca. In effetti, per grande fortuna del biondo, Wendy decise di starsene in silenzio. "Sebastian vive dall'altra parte del quartiere. Credimi, non passi di certo inosservata ogni pomeriggio. Sempre con quei cosi in mano" mimò un blocco con le mani di dimensioni decisamente esagerate per essere un libro.
Wendy non seppe come reagire: primo perchè finalmente, aveva capito perchè Larry era a conoscenza già da tempo del suo nome. Che figura. E pensare che mai, neanche una volta aveva visto padre e figlio aggirarsi da quelle parti. Stava di fatto che a Wendy neanche interessavano un granché i vicini fastidiosi e insolenti.
"Allora?" la roca voce di Justin richiamò nuovamente l'attenzione della ragazza.
"Cosa?" domandò scioccamente, facendo sbuffare Bieber che strofinò il volto con ambedue le mani.
Wendy si concentrò sulle sue dita irregolari, sui cerotti che accerchiavano la maggior parte di esse e in primis le nocche violacee. Non erano un bel vedere.
"Vieni con me" e senza che se ne rendesse conto, le dita tanto ammirate fino a quel momento si incastrarono perfettamente con quelle delicate, ben curate e pallide di lei. 
Non proferì parola, ancora intenta ad elaborare ciò che le aveva rilevato qualche secondo prima. Le aveva esplicitamente detto che non era mai, neanche una volta passata inosservata. Non seppe come interpretare questa frase, ma le guance le si colorarono di colpo. Il solito rossore che cercò di ritrarre quando Justin si bloccò dinanzi ad un'auto fin troppo lussuosa. 
"Sali" le ordinò, aprendo lo sportello. 
Gli interni erano uno spettacolo, una quattro ruote così l'avrebbe solo potuta sognare la ragazza che, ancora intontita, abbozzò un sorriso. Probabilmente non le sarebbe mai più capitato in vita sua di avere l'opportunità di salire su un tale gioiellino. Senza pensarci su due volte, si lasciò abbindolare stupidamente dal biondo che si fiondò di fianco a lei, allacciando la cintura successivamente. Wendy compiette gli stessi ed identici movimenti, scrutando ogni piccola rifinitura.
"Ti piace?" domandò divertito.
Imbarazzata, Wendy si concentrò sullo spettacolo mozzafiato che la meravigliosa New York le regalava oltre il finestrino. Time Square non era solo un bel vedere, ma bensì considerato dalla ragazza una delle meraviglie del mondo. Un incastro perfetto di colori, accompagnati dalla calda luce del giorno che rendeva il tutto più accogliente. I passanti, ognuno di loro immerso nei propri pensieri, i taxi gialli che sfrecciavano a destra e a sinistra, i turisti sui bus con i loro capellini colorati. Un'esplosione di positività da ogni dove. Adorava quella città, più di quanto possiate immaginare. Amava la caoticità che la città che non dorme mai riesce a regalarti. Ogni singolo particolare era ben voluto da Wendy che solo dopo troppo tempo si rese conto che in realtà, l'auto era diretta da tutt'altra parte. 
"Casa mia è dalla parte opposta" indicò con l'indice il retro dell'auto, scrutando un sorriso fin troppo divertito sul volto di Justin.
La mascella del biondo si contrasse facendo rabbrividire Wendy che si perse nello sguardo serio di lui, intento a guidare con cautela.
"Lo so" ammise, voltandosi in direzione della ragazza che si irrigidì. Ci era cascata. Si maledisse mentalmente e sbuffò amaramente.
Ma l'auto meravigliosa, le parole dette e tutto il contesto l'avevano talmente intontita che non se ne era neanche resa conto. Si era mostrata incoerente e debole, ed odiava darla vinta a quell'idiota.
"Dove mi stai portando?" domandò cercando di mantenere la calma.
Strinse tra le mani la gonna del tutto asciutta e si concentrò sulla rilevante chiazza rimasta.
"In un posto. Come primo appuntamento non sarà il massimo, ma ti piacerà" ammise, accelerando tutto d'un colpo.
Gli occhi di Wendy si spalancarono come mai prima d'ora. Primo appuntamento?


 

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Capitolo 5
*** Una seconda possibilità ***





Una Seconda Possibilità

 

Vi è una sottile linea che divide la pazzia dalla follia. Una minuscola eppure rilevante traccia che distingue il folle dal pazzo: colui che trova piacere, consapevole dei propri atti e colui che invece è offuscato dai propri pensieri contorti, senza alcun autocontrollo. Quel Justin Bieber era un mistero a tutti gli effetti. Un ragazzo decisamente folle, conscio di ogni movimento o parola detta. Un folle attraente, non lo si poteva negare. Ma pur sempre un folle. 
Descriverne il carattere risultava alquanto arduo: più Wendy ci provava, più la testa le si gonfiava come un palloncino. Nessuno prima di allora si era degnato di recarle tanto fastidio, se pur con le più buone intenzioni del mondo. La ragazza non riusciva a capacitarsi del perché di tanta insistenza da parte del biondo. Era pur sempre uno sconosciuto, incontrato per puro caso qualche sera prima. Un ragazzo mai visto in vita sua, nonostante lui sostenesse di conoscerla già da tempo. Ma non importava. Wendy non voleva avere niente a che fare con Bieber e la sua follia. Però ogni qual volta le sue iridi caramellate andavano a scontrarsi con quelle scure di lei, qualcosa nella testa di Wendy la spronava a provarci. A fidarsi, magari scioccamente, del ragazzo più carino che avesse mai visto. 
E pensare che ci aveva anche sperato in un primo appuntamento decente, fino a quando la macchina non sostò in un parcheggio fin troppo famigliare. Aveva giurato a sé stessa che mai più avrebbe rimesso piede in quel postaccio, eppure eccola di nuovo lì, una ragazzina di mezzo a dei bestioni quattro volte più grandi. Ricordava ogni singolo particolare stranamente: dal ring perfettamente al centro della stanza, agli spogliatoi giù in fondo, lontano da occhi indiscreti. Una insopportabile puzza di sudore, proprio come quella sera, la costrinse ad assumere un'espressione di disgusto. Si sentì mancare il fiato quando un uomo dai lunghi capelli dorati le passò di fianco, urtandole la spalla con il braccio zuppo da cima a fondo. 
Wendy pensò in quel momento che, oltre che folle, Bieber potesse essere addirittura pazzo. Quale persona sana di mente inviterebbe al primo appuntamento una ragazza in una vecchia palestra? Era così strano. Il sorriso a trentadue denti stampato sul suo volto fece dubitare ancor di più la ragazza della sua sanità mentale. Avrebbe tanto voluto obiettare, ma Justin la costrinse a seguirlo all'interno degli spogliatoi, afferrandole come di consueto la mano. Non oppose resistenza, ancora scossa. Pensò che probabilmente, conoscendosi, sarebbe scappata via da un momento all'altro ma non mosse muscolo. Non sentenziò, non sospirò, non proferì parola. Seguì a ruota il ragazzo che al settimo cielo, fece irruzione nella stanza in cui si erano visti la prima volta.
"Lo avevo detto che come primo appuntamento non sarebbe stato il massimo" iniziò, voltandosi verso la ragazza che a testa bassa, cercò di mantenere la calma.
Il biondo rabbuiò di colpo: non era questa la reazione che si sarebbe aspettato, per quanto strambo potesse risultare il tutto.
"Non è per niente il massimo, Justin" ammise frettolosa Wendy, sperando che il ragazzo si decidesse ad andare via da quel posto. 
Perché non un bar o una passeggiata al parco? Non poteva davvero essere tanto ingenuo. Un ragazzo tanto affascinante di sicuro avrebbe dovuto avere al suo carico decine di ragazze pronte a tutto, possibile che ne sapesse poco e niente di romanticismo?
"A me piace" inclinò il capo di lato, sorridendo lievemente. "E piacerà anche a te, fidati" concluse quando Wendy accennò ad interromperlo. 
Quest'ultima si ammutolì, lasciando al caso ogni cosa. Era stufa, stanca di quella giornata e prima avrebbero iniziato, prima avrebbero finito. Annuì incerta e Justin riscontrò nella sua espressione un velo di malinconia. Il ragazzo non riuscì a capire da dove provenisse tanto odio nei suoi confronti ma soprattutto come potesse una tale ragazza, all'apparenza così ingenua, risultare così aggressiva.
"Se non ti divertirai, alla fine avrai il diritto di picchiarmi" propose sicuro più che mai.
Wendy non capì da dove provenisse tanta ingenuità. Il ragazzo era davvero convinto, anche troppo. La giovane scrutò l'espressione appagata di chi non ha paura di perdere, perché già sa di aver vinto in partenza.
"Ma se riuscirò a farti sorridere più volte, allora sarai costretta ad accettare un mio secondo invito" disse alzando in aria due dita.
"Non se ne parla nemmeno!" si affrettò a rifiutare la proposta la ragazza che si scagliò con uno sguardo omicida sul ghigno sommesso formatosi sul volto di Justin.
"Hai paura di perdere? Sai bene che questo potrebbe essere l'unico momento divertente della tua monotona vita"
"Non ti permetto!"
"Altrimenti?" domandò avvicinandosi lentamente alla figura inerme di Wendy.
Quest'ultima indietreggiò di qualche passo, intimidita dalla possente figura del ragazzo. Folle, pazzo e un tantino bipolare. Le aveva tutte.
"Non voglio spaventarti, Wendy. Ho solo voglia di divertirmi e trascorrere un pomeriggio alternativo" le afferrò delicatamente la mano, sfiorando il palmo con le dita.
Wendy assunse la solita area altezzosa che solo Bieber era capace di tirarle fuori. Ma sotto sotto, anche il ragazzo si rese conto di quanto in imbarazzo fosse. Smarrita al solo tocco del biondo, rabbrividì per l'ennesima volta e quindi Justin continuò a solleticarle il palmo, scrutando compiaciuto un lieve sorriso sulle sue rosee labbra.
"Perché io?" chiese successivamente Wendy, spazzando via come se nulla fosse l'unico momento di intesa tra i due. 
Justin sbuffò di malavoglia ma non si lasciò scappare alcuna parola. Decise di non arrendersi e continuò dolcemente ad accarezzarle l'interno della mano ma la ragazza, per ripicca, ritrasse l'arto senza distogliere per nessuna ragione al mondo lo sguardo sul ragazzo. Massaggiò sul punto esatto in cui fino a quel momento si era divertito Bieber, come se tutto ad un tratto si fosse sentita vuota, come se avesse avuto la necessità di avere un contatto con il biondo, qualunque esso fosse. 
"Perché voglio divertirmi con te. Ci sei tu adesso qui, smettila di porti tante domande" e detto ciò, probabilmente per non dare a vedere il suo dispiacere, oltrepassò velocemente la figura inerme di Wendy che si voltò troppo tardi: era già scomparso oltre la tenda, sicuramente diretto verso il ring.
Senza pensarci su due volte si decise una volta per tutte a seguirlo senza opporre resistenza e come ben aveva intuito, due enormi guantoni accerchiavano già le sue mani. Salì sul ring, chinandosi per oltrepassare le sbarre in corda e saltellò un paio di volte.
"Hai davvero intenzione di allentarti vestito in questo modo?" si intromise la ragazza, accomodandosi su uno degli spalti più vicini. Non indossava alcuna tuta, al contrario era fin troppo elegante: di certo non un abbigliamento adeguato per tali attività.
"E tu hai intenzione di tenere il broncio per tutto il tempo?" e senza attendere risposta, iniziò a tirare pugni su un sacco piuttosto alto e all'apparenza fin troppo consistente. 
Ogni pugno era un gemito, uno scansarsi da sinistra a destra come se stesse disputando un vero e proprio incontro. Wendy rimase affascinata da tanta determinazione e scioccamente pensò che tutto fosse nella norma quando Bieber sfilò via i quanti gettandoli a terra e iniziando a colpire alla rinfusa. Il dolore era lancinante, e lo capì dalle urla  strazianti che le arrivarono dritte in testa, facendola saltare sull'attenti.
"Smettila, ti farai male!" esclamò avvicinandosi al ring.
Come parole dette al vento, Justin continuò a scalciare e a tirare bruschi pugni. Wendy si guardò intorno e nessuno dei presenti si degnò di proferire parola, anzi era come se non si fossero accorti di nulla. Tutto nella norma per loro, ma non poteva esserlo anche il sangue che fuoriuscì dalle nocche del biondo, non lo era lo sguardo così cupo e colmo di rabbia. Non c'era nulla di normale in quel comportamento.
"Justin!" lo richiamò un'ultima volta prima di salire goffamente sul ring, strisciando al di sotto dell'ultima corda e alzandosi barcollando. 
Si avvicinò con cautela sperando che nessuno di quei perfetti ganci la colpisse in nessun punto. Ne schivò fortunatamente soltanto uno, meravigliandosi di sé stessa. Solo successivamente si rese conto Bieber aveva cessato la sua irregolare sfida uomo-sacco. Perché prendersela così tanto con un ammasso di plastica e spugna?
Justin riprese fiato, osservando le nocche e lo stesso fece Wendy che pensò per una frazione di secondo che addirittura potesse trovarci gusto nel procurarsi dolore fisico, ma scacciò via quella agghiacciante ipotesi Quando si decise a tornarsene seduta sullo scalino, prima ancora che potesse voltarsi definitivamente si sentì afferrare per un polso. Non si voltò, non ne ebbe il coraggio.
"Non volevo spaventarti" sussurrò, evidentemente dispiaciuto. 
"Non importa. Voglio solo tornare a casa se non ti dispiace"
Justin non oppose resistenza e la lasciò andare via. Non si sedette sullo scalino, non si voltò neanche per un attimo ma bensì corse verso l'uscita. Bieber calciò un'ultima volta il sacco e raccolse i guanti, portandoli sotto braccio. Senza sciacquare le mani seguì a ruota la ragazza che si bloccò dinanzi la lussuosa auto, aprì lo sportello e vi si infilò dentro. Justin potette tirare un sospiro di sollievo: il destino gli stava regalando un'altra possibilità. Si precipitò sul sedile del guidatore, scaraventando sul sedile posteriore i guantoni e voltandosi a scrutare ogni perfetto lineamento del viso di Wendy. Quest'ultima si girò lentamente verso il ragazzo, inarcando un sopracciglio. I loro sguardi si incontrarono ancora una volta, come se avessero fame l'uno dell'altro. Il giovane deglutì e lo stesso fece Wendy, sentendo la tensione salire alle stelle. Bieber sorrise lievemente e la ragazza sentì il cuore accelerare tutto ad un tratto, sentendosi avvampare: c'era qualcosa che non andava. Sentiva le guance bruciare e tanto, troppo caldo. Morse il labbro inferiore cercando di trattenere un sussultò quando Justin si avvicinò anche fin troppo al suo viso, chinando di poco il capo. 
"Forse dovremmo andare" bisbigliò Wendy, troppo concentrata sulle rosee e all'apparenza morbide labbra del biondo.
"Già" soffocò una risposta, sempre più vicino al volto della giovane.
Nessuno dei due decise di bloccarsi, Wendy men che meno. D'istinto si aggrappò alla prima cosa che trovò: la mano di Justin, purtroppo. Il ragazzo che ci era quasi riuscito gemette dal dolore, scattando all'indietro e imprecando.
"Oddio scusami!" Wendy portò ambedue le mani sulle labbra socchiuse e si ricompose, afferrando quella di Justin.
"Non preoccuparti" strizzò gli occhi cercando di trattenere gemiti di dolore.
"Ma sta ancora sanguinando" 
"Non è un problema" 
Wendy lo fulminò con lo sguardo e Justin morse il labbro. Successivamente estrasse dalla sua borsa un fazzoletto di stoffa e fasciò la mano sanguinante, se così si può definire l'arrotolare goffamente un panno attorno ad una mano.
"Non ne ho due" annunciò frugando per bene nella borsa. "Perciò sei costretto a tenerne solo uno"
Ringraziandola, Justin partì a tutto gas e tutti e due erano ancora fin troppo scossi da ciò che sarebbe potuto accadere in quella macchina se solo Wendy non ne avesse combinata una delle sue. In tutti quei minuti chiusa lì dentro con lui, risultò impossibile non fare congetture sulla sua vita, ad esempio pensò giustamente che non tutti i semplici ragazzi si sarebbero potuti permettere un tale lusso. Doveva essere davvero importante, uno di quei pezzi grossi figli di papà che nella vita non hanno bisogno di ottenere nulla perché hanno già tutto e tutti ai loro piedi. E poi l'abbigliamento così formale, se pur giovanile. La giacca in pelle da chissà quanti dollari, persino le scarpe parevano essere uno di quei modelli che Wendy era solita ad ammirare nelle vetrine dei negozi senza permettersene neanche una. Poi si fermò un attimo e riprese fiato: doveva smetterla. Era inutile, nonostante le migliaia di ipotesi quel ragazzo rimaneva un mistero bello e buono. 
Scrutò un'ultima volta la mano avvolta dal fazzoletto e notò qualche chiazza rossa. Sentiva dolore addirittura ella stessa, tanto da accarezzare le nocche dolcemente quasi d'istinto. Lo sguardo crudo e serio di Justin la affascinò a tal punto che da ormai cinque minuti lo stava fissando senza sosta e solo dopo decise di farla finita a di voltarsi come di consueto dalla parte del finestrino, scrutando qualche particolare di qua e di la.
"Avrei tanto voluto condividere una delle mie più grandi passioni con te" Justin la guardò al pronunciare queste parole. Per interminabili secondi, i suoi occhi caramellati scrutarono da cima a fondo la figura di Wendy che giurò di aver intravisto uno strano luccichio nello sguardo del giovane. "Sono sicuro che il prossimo appuntamento sarà migliore" concluse facendole l'occhiolino e tornando a concentrarsi sulla strada.
Wendy fece per ribattere ma si bloccò pensandoci su: forse una possibilità avrebbe potuto dargliela. Se solo si fosse fidata una volta tanto, se pur di un effettivo sconosciuto, magari si sarebbe potuta davvero divertire.Condividere la mia più grande passione con te. Queste parole ancora le ronzavano nella mente quando l'auto frenò di colpo, arrivata a capolinea.
Il giovane slacciò la cintura di sicurezza e saltò fuori, precipitandosi ad aprire la portiera a Wendy che sorrise di cuore finalmente. Afferrò la mano che Justin le porse scherzosamente e uscì fuori, voltandosi verso la figura un tantino più alta.
"Voglio portarti a cena fuori, in uno dei migliori ristoranti della città. Accetta" bisbigliò Justin.
Wendy finse di pensarci su e poi scrollò le spalle. Immaginò già la serata, pensando al tanto lussuoso ristorante appena nominato.
"Non lo so Bieber, devo rifletterci" 
"Concedimi questa seconda possibilità. Passo a prenderti domani sera alle otto. Non preoccuparti per il vestito...riceverai una sorpresa" poi si chinò e scansò una ciocca scura dei capelli della giovane così da avere campo libero. "E grazie per il fazzoletto. Te lo farò recapitare, perfettamente pulito" le sussurrò nell'orecchio, facendola rabbrividire.
"Wendy!" una voce roca richiamò l'attenzione di entrambi che si voltarono nel medesimo istante verso l'abitazione. Un uomo sulla cinquantina era intento a martellare una gamba sul legno scricchiolante del portico. 
"Mio padre" si affrettò a dire Wendy e Justin capì.
"Ci vediamo domani sera" le disse come ultima cosa. Poi si chinò e le lasciò un bacio casto sulla guancia, soddisfatto del risultato ottenuto: guance rossissime come mai prima d'ora e una docile Wendy perfettamente in imbarazzo.
"Non esserne sicuro" scosse il capo. "Non ho ancora accettato"
"Ma lo farai" concluse sicuro di sé e si dileguò, salendo in macchina e ripercorrendo il percorso a ritroso, diretto per chissà quale via. 
La ragazza si diresse verso l'uomo che sgranò gli occhi, incredulo. Lo abbracciò come era solita fare dopo scuola, in tal caso dopo un intero pomeriggio e lo baciò dolcemente.
"Mi sono preoccupato" accarezzò i capelli della sua piccola per poi voltarsi verso i segni delle ruote ancora ben incisi a terra. "Un amico?" 
"Nessuno di importante" sorrise leggermente cercando di non allarmalo ulteriormente.
Tornò in casa ancora intontita, con due guance fin troppo rosse, un sorriso strambo che le andava da una parte all'altra del volto e tante, troppe domande senza sapere che da quel giorno, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

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Capitolo 6
*** Regali ***





Regali
 

New York,

7 giugno 1950

Faceva caldo, anche troppo. Quel sabato mattina si percepiva nell'aria una strana energia: il primo giorno di vacanze era iniziato e la ormai non più liceale Wendy sgranchì per bene le braccia ancora distesa sul comodo letto. Socchiuse gli occhi e sorrise leggermente quando notò che aveva dormito ben tre ora in più, piuttosto che svegliarsi e memorizzare qualche formula matematica o leggere qualche vecchio scritto. Nonostante adorasse la letteratura, finalmente si sarebbe potuta concentrare interamente sui suoi romanzi rosa. L'ultimo acquistato giaceva sul comodino di fianco ad un bicchiere di acqua e una cornice in legno; aveva adorato quel libro fino all'ultima pagina, letta la sera precedente. Saltò dal letto rabbrividendo al contatto con il gelido pavimento e tirò giù il pigiama che le era arrivato al di sopra della coscia. Senza battere ciglio si precipitò in cucina saltellando entusiasta.
Harry Casey era come di consueto intento a leggere il giornale, una tazzina di caffè sporca sul fondo sul tavolo e dei biscotti per metà mangiucchiati. Si voltò verso i fornelli e notò, per niente sorpresa, che anche in quell'occasione l'uomo aveva provato invano a cuocere delle uova e così, in alternativa, aveva optato per dei semplici biscotti integrali.
"Le hai bruciate di nuovo?" domandò la ragazza retoricamente, afferrano la padella con all'interno le uova nerastre.
"Buongiorno" disse calmo, senza voltarsi a guardarla.
Wendy ricambiò il saluto e scaraventò all'interno del lavandino la padella, afferrandone un'altra successivamente.
"Ti ho detto già molte volte che puoi benissimo svegliarmi" risuonava più come un rimprovero, tanto che l'uomo sbuffò amaramente.
La giovane aprì il frigo e suo malgrado notò che la confezione di uova era vuota, la afferrò e scuotendo il capo la buttò nel cestino di fianco all'elettrodomestico, richiudendone l'anta in fine.
"Esco a comprarne delle altre, so che odi quei biscotti" annunciò, indicando i dolcetti sul tavolo.
Lei gli adorava a dire il vero, ma di alternative non ve ne erano molto quella mattina. Solitamente Harry ogni qual volta ne combinava una delle sue mangiucchiava qualche barretta al cioccolato o biscotti più sostanziosi. Le ripeteva di continuo che avrebbe dovuto cominciare ad arrangiarsi da solo, che sicuramente un giorno o l'altro Wendy sarebbe andata via di casa, vuoi per studiare o per mettere su famiglia. Non aveva tutti i torti, ma più ci provava e più sbagliava. Era un caso perso.
"Prima che tu vada...poco fa è passato il fattorino" si voltò a fissare la figlia negli occhi. Quest'ultima lo incitò a continuare. "Ha recapitato dei pacchi. Sono sul tavolo nella sala da pranzo" e detto ciò tornò a concentrarsi sul giornale.
Wendy inarcò un sopracciglio non capendo. Si diresse a braccia conserte nella stanza di fianco alla cucina e si appoggiò allo stipite della porta scrutando attentamente i due pacchi: uno piccolo nero e uno fin troppo grande blu. Attese qualche secondo prima di avvicinarsi, cercando di fare mente locale; ebbe un sussulto ricordando le parole di Bieber dette il giorno prima e si affrettò ad afferrare ambedue le scatole e a posizionarle sulle ginocchia non appena si accomodò sulla poltrona. A primo impatto notò subito una lettera che staccò via dal pacco più grande. "LEGGERE PRIMA DI APRIRE", queste le parole riportate sul fronte. Sorrise istintivamente e decise di seguire le indicazioni: scansò i pacchi e aprì la busta, la stirò tra le mani e si lasciò andare sulla comoda poltrona, godendosi il momento.
"Se stai leggendo questa lettera e ancora non hai aperto i pacchi ti faccio i miei complimenti Wendy Casey, per una volta sei riuscita a darmi ascolto. -continuò a sorridere di cuoreSe così non è stato mi hai molto deluso, sappi che me la pagherai -roteò gli occhi al cielo scuotendo un paio di volte il capo-. Scherzi a parte, spero vivamente che tu sia psicologicamente pronta a trascorrere una delle serate più belle della tua vita (non per vantarmi, ovviamente). L'orgoglio a volte bisogna metterlo da parte: so che in fin dei conti hai già accettato il mio invito. Conoscendoti per quel poco, ci scommetto la vita che stai sorridendo senza neanche rendertene conto e le tue guance sono talmente rosse da bruciare, proprio come ogni qual volta ieri ti afferravo compiaciuto la mano. -alzò lo sguardo posando una mano su una guancia e sì, le bruciava come mai prima d'ora- So che in cuor tuo non vedi l'ora di indossare il vestito che è chiuso in quella enorme scatola."
Ebbe un sussulto di stupore e aprì velocemente la scatola. Scacciò via la carta in eccesso e portò le mani sulle labbra socchiuse, lasciando scivolare sulla poltrona la lettera. Delicatamente, quasi avesse paura di rovinare una tale meraviglia, estrasse dal cartone l'abito che liberato, scivolò sulle sue ginocchia. Scattò in piedi e lo scrutò da cima a fondo con occhi lucidi: un misto di felicità, stupore, una voglia pazzesca di indossarlo seduta stante. Il corpetto che avrebbe delineato il suo seno se pur minuto, lungo fino alle ginocchia, largo sul fondo. Una cintura di strascichi sulla vita che contrastava alla perfezione il blu notte del capo. Gli occhi le si illuminarono quando notò all'interno della scatola un paio di scarpe identiche alla cintura a tacco alto e aperte sul davanti. Luccicavano che una meraviglia. Indossò l'abito per prova sul davanti e parve calzarle a pennello stranamente, successivamente si concentrò su una piccola scatoletta in un angolo del pazzo. La afferrò e non potette credere ai propri occhi: non era bastato il meraviglioso vestito o le costosissime scarpe, per completare il tutto vi erano dei lunghi orecchini -Wendy ipotizzò potessero essere vere e proprie pietre preziose da chissà quanti migliaia di dollari- con tre fiori, uno di fila all'altro. Ne provò uno prestando molta attenzione e nonostante non riuscisse a vedersi giurò di piacersi troppo con indosso quell'accessorio. Lo sfilò, riposandolo al proprio posto e lo stesso fece con l'abito e le scarpe. Si risedette sulla poltrona coprendo il volto con le mani, ancora troppo stupita. Dovettero trascorrere ancora altri interminabili minuti prima che si rendesse realmente conto di ciò che le era capitato. Senza pensarci su due volte continuò a leggere la lettera nonostante gli occhi lucidi e l'adrenalina che saliva alle stelle attimo dopo attimo.
"Appena l'ho visto l'ho immaginato addosso a te; ho dovuto acquistarlo a tutti i costi. Sono sicuro che ti calzerà a pennello. Se stai pensando di non meritare tali omaggi ti sbagli Wendy: non porti domande di continuo, non chiederti perché io ti abbia scelta. Voglio trascorrere questa serata con te, è tanto impossibile da credere? Passerò a prenderti alle otto come di accordo. Se indosserai quell'abito sarai costretta inevitabilmente a trascorrere l'intera serata in mia compagnia, ma se rifiuterai il mio invito lascia sull'uscio della porta i pacchi, me ne farò una ragione. A quel punto ti lascerò in pace e non ti cercherò mai più. Vivrò questa giornata nel beneficio del dubbio, ma non ti temo Wendy Casey, questa volta ho la vittoria in pugno. Lo sento: ti sta battendo il cuore all'impazzata perché lo vuoi tanto quanto lo voglio io, vero? Concedimi quest'ultima possibilità, non te ne pentirai. Justin"
Wendy portò una mano sul petto: il cuore accelerò tutto d'un tratto. Inerme, fissò un punto ben preciso sulla parete di fronte e prese un gran respiro, voltandosi a fissare il pacchetto più piccolo. Tornò a concentrarsi sulla lettera.
"p.s: grazie di nuovo per il fazzoletto. Mi sono permesso di applicare qualche cambiamento, spero ti piaccia."
Aprì anche l'ultima scatola e il fazzoletto le si presentò davanti perfettamente ripiegato su sé stesso e due iniziali attirarono la sua attenzione in primis: W.R.C. Era venuto persino a conoscenza del suo secondo nome Rose. Non curante di come potesse saperlo, la ragazza afferrò il tessuto tra le mani e lo portò sul viso, ispirando a pieni polmoni. Profumava. Adorava da impazzire quel profumo. Era il profumo di Justin.
"Mi sono perso qualcosa?" la voce roca di Harry richiamò l'attenzione della figlia che si voltò di scatto, notando l'uomo sull'uscio in attesa di una risposta.
"Nulla" disse risistemando per bene le scatole e lasciando all'interno di quella più grande la lettera. "Sono solo dei regali da parte di un amico, niente di più" si giustificò, distogliendo lo sguardo dagli occhi del padre che la dicevano lunga.
"Non mi prendere in giro Wendy" si avvicinò lentamente con ai piedi delle vecchie scarpe.
Wendy scordò addirittura da quanti anni indossasse le solite scarpe: rattoppate in più di un'occasione e così malandate, aveva bisogno di un nuovo paio, assolutamente.
"Non ti sto prendendo in giro papà, sono davvero dei regali di un amico che-" venne interrotta dalla risata dell'uomo che si chinò a baciarle dolcemente i capelli.
"Deve essere davvero speciale questo amico" si accomodò sulla poltrona di fianco e distese le gambe, stanco. "Non devi mentirmi" ripetette.
La giovane roteò gli occhi al cielo e iniziò a giocherellare con il fiocco del pigiama sul petto.
"Ho un appuntamento questa sera" annunciò timidamente.
Non era solita trattare di certi argomenti con il padre, probabilmente perché le capitava talmente rare volte di uscire che l'uomo non si preoccupava più di tanto.
"Con quel ragazzo?" Wendy percepì un velo di preoccupazione nella voce di Harry.
Odiava complicare la vita del padre, anche per una sciocchezza. Il signor Casey non poteva concedersi il lusso di badare costantemente a sua figlia, perciò Wendy molte volte era stata costretta a cavarsela da sola. Nonostante ciò, Harry era sempre stato presente nel momento del bisogno e si preoccupava, di continuo: per un brutto voto, che qualche ragazzo la facesse soffrire ingiustamente o anche per una discussione con le amiche. Harry Casey teneva alla sua bambina più di ogni altra cosa al mondo.
"Si chiama Justin. È solo un amico, fidati"
L'uomo sbuffò, zittendola. Wendy colse al volo il richiamo e si fece piccola piccola sulla poltrona.
"Tua madre anche si ostinava a dire a tuo nonno che io ero solo un amico" mimò due virgolette con le dita sull'ultimo appellativo. "Ed eravamo già fidanzati"
"Tu e la mamma vi siete sposati dopo un mese"
"Non è questo il punto. Voglio che tu non mi menta" detto ciò, si sporse per afferrare una mano di Wendy, accarezzandola delicatamente sul dorso. "E non voglio che tu soffra. Andrai a questo appuntamento se è quello che vuoi" si alzò sorridendo lievemente e si diresse in camera sua.
Wendy rimase in silenzio a pensare, si torturava continuamente di pensieri. Non si era mai permessa neanche una volta di disubbidire ad Harry: quell'uomo aveva sofferto troppo. Non voleva deluderlo e non voleva mostrarsi debole, non voleva farlo soffrire il doppio. Se l'era sempre cavata da sola contro voglia del signor Casey; era pur sempre il padre, una figura fondamentale nella vita di ognuno di noi e ne risentiva della propria autorità mancata.Ma Wendy non ci riusciva. Quando qualche anno prima, all'età di trentacinque anni gli fu diagnosticato il Lupus Eritematoso tutto cambiò. La vita, la quotidianità di Wendy furono scosse dalla malattia autoimmune che poco a poco le stava portando via l'unica persona disposta a volerle bene, l'uomo della sua vita.
"Corro a prenderti le uova" scattò sull'attenti scacciando via ogni pensiero negativo e tirando su con il naso.
Portò i pacchi sotto braccio fino in camera da letto e si vestì di fretta e furia indossando le solite gonne lunghe fin giù alle caviglie, le scarpe nere e una camicetta a metà maniche. Lavò i denti, sciacquò il pallido viso e pettinò i lunghi capelli legandoli con un nastro del medesimo colore della gonna. Conciata in quel modo pareva avere la metà degli anni ma non se ne curò un granché.
"Papà tornerò prima di pranzo. Non metterti ai fornelli per nessuna ragione al mondo" urlò afferrano la maniglia in acciaio dorato e sgattaiolò fuori prima ancora che l'uomo potesse ribattere.
Indossò il solito paio di occhiali e si accomodò sullo scomodo sedile del vecchio furgoncino di Harry. Al primo colpo non partì ma non si scoraggiò, le succedeva ogni due per tre. Al secondo invece sfrecciò via dal viale di casa per dirigersi al supermercato più vicino. Aprì il finestrino lasciandosi trasportare dalla leggera brezza mattutina e accese la radio; si godette il momento fino all'ultimo. Parcheggiò al solito posto e fece irruzione nella struttura tenendo stretto tra le mani un cestello rosso e nero.
"Buongiorno Wendy" William, il cassiere del turno mattutino salutò di cuore la ragazza che ricambiò.
William con il passare degli divenne un buon confidente visto e considerato che era solita ogni fine settimana ad uscire a fare compere. Piuttosto basso e paffutello con una chioma da far invidia a chiunque: lunghi ricci rossi e lentiggini sparse su un po' tutto il viso.
"Devo raccontarti assolutamente una cosa" bisbigliò al settimo cielo la ragazza prendendo dallo scaffale più vicino alla cassa i soliti biscotti integrali.
William le fece l'occhiolino e servì l'anziano signore in attesa, così Wendy si precipitò a comperare tutto l'occorrente e primis le uova. Riempito il cestello si accodò alla signora che pagò e se ne andò via sorridente.
"Un appuntamento" disse secca posando bruscamente anche l'ultimo pacco di cereali sul bancone.
"Un appuntamento?" domandò lui di rimando cominciando a riempire le buste.
"Proprio questa sera. Non puoi capire che vestito meraviglioso mi ha regalato e-" William la interruppe prima che fosse troppo tardi. Una volta che iniziava a parlare nessuno l'avrebbe più fermata.
"Si può sapere il nome di questo bel fusto che è riuscito nella formidabile impresa di farti uscire il sabato sera?"
"Justin, e sappi che hai ferito i miei sentimenti" rispose afferrando anche la seconda busta. "Scappo che ho fin troppi impegni, ci vediamo" lo salutò con un bacio a mezz'aria e Willam ricambiò con un cenno di capo e un sorriso a trentadue denti, concentrandosi sul cliente successivo.
Tornata a casa il tempo trascorse velocemente, fin troppo. Subito dopo pranzo si ritrovò con una marea di impegni quali fare il bucato, lavare i piatti e cosa più importante preparare la cena ad Harry. In quel pomeriggio le era passato più volte per la mente di rifiutare l'invito così da non dover abbandonare il padre, anche se si trattava pressoché di qualche oretta. Poi scacciava via il pensiero negativo e tornava ad occuparsi del pollo arrosto che rosolava del forno. Mai come quella volta l'ansia l'aveva avuta da padrone costantemente, ad ogni secondo. L'orologio pareva avercela con lei: più cercava di darsi una mossa e più il tempo accelerava la corsa.
"Wendy" si sentì chiamare di punto in bianco.
Era un disastro: i capelli lavati un'ora prima le ricadevano a ciocche sul viso, i restanti erano retti da una coda fin troppo stramba. Indossava un vecchio grembiule sporco da cima a fondo e le calze color pelle che aveva indossato poco prima erano ormai strappate su ambedue le ginocchia a causa di un tonfo sulle scale.
"Wendy" di nuovo la voce roca di Harry, svegliatosi probabilmente a causa del troppo frastuono causato dalla figlia, riecheggiò in cucina.
"Papà la cena è quasi pronta. Il pollo purtroppo sarai costretto a tirarlo fuori tu, mi raccomando di usare il guanto altrimenti ti bruci e combini uno dei tuoi soliti casini" frettolosamente posò sul tavolo anche l'ultima posata e passò una mano sulla fronte sudata.
"Wendy mi credi davvero così incompetente?" domandò l'uomo, inarcando un sopracciglio.
"No papà, semplicemente mi preoccupo e basta" si guardò intorno e tutto parve essere perfettamente in ordine, poi spostò lo sguardo sull'orologio a pendolo ed ebbe un sussulto. "E se resto a casa? Tanto ormai è tardi. Davvero, non vorrei lasciarti da solo e-"
"Wendy ti ordino di andare a quell'appuntamento"
Cautamente, il signor Casey si sedette al solito posto e iniziò giocherellare con il bicchiere di vetro sotto lo sguardo scioccato della figlia.
"C-come papà?"
"Se solo avessi avuto l'opportunità di regalare a tua madre un abito così meraviglioso per il nostro primo appuntamento, un rifiuto sarebbe stato un duro colpo da digerire"
Wendy sentì una morsa allo stomaco immaginando sua madre con addosso l'abito blu che le aveva gentilmente regalato Justin. La immaginò con addosso le costose scarpe e gli appariscenti orecchini. Poi tentò di immaginare suo padre un po' più giovane, con meno barba e tanta voglia di amare.
"Quindi per quanto io non tolleri questo Justin--" Wendy lo interruppe sul momento.
"Papà non lo conosci"
"Sono tuo padre, ho il diritto di odiare il ragazzo con cui trascorrerai la serata, pur non conoscendolo. È un dato di fatto"
La ragazza si zittì, incrociando le bracci al petto, non potendo credere alle proprie orecchie. Rimuginò una risposta piuttosto spiazzate ma scosse il capo, cercando di non darvi peso.
"Per quanto non tolleri questo Justin" riprese. "Tu andrai a quell'appuntamento perché è giusto così. Hai bisogno di divertirti un po' come tutte le tue coetanee" concluse il discorso afferrando la caraffa di acqua e versandone un po' nel bicchiere, sorseggiando successivamente.
Interminabili secondi di silenzio si sovrapposero tra la testardaggine del signor Harry e l'ansia di Wendy che tutto sommato, dopo le parole di "conforto" da parte del padre, andò a sfumare per sua più grande fortuna.
"Il pollo sarà pronto tra una mezz'oretta" annunciò, dirigendosi in camera.
Il vestito era perfettamente disteso sul letto ma non ricordò di averlo mai tirato fuori dal pacco. Pensò a suo padre e sorrise istintivamente. Slegò i capelli e si scrutò allo specchio sull'anta dell'armadio, sbuffando di malavoglia: era più che un disastro.
Sfilò via le calze e ne indossò un altro paio sperando che fosse il definitivo, afferrò delicatamente il vestito e lo indossò con cautela, facendo attenzione. Quando le cadde perfettamente addosso e alzò lo sguardo per ammirare la sua figura allo specchio non riuscì a crederci: mai in vita sua aveva indossato una tale meraviglia. Le calzava a pennello e le stava anche meglio di come aveva immaginato tutto il giorno.
Accarezzò il viso e pensò a quanto fosse orribile la sua pelle in quel momento, cercò quindi di rimediare con un filo di trucco ma non esagerò, si concentrò dopo sulle scarpe che la resero qualche centimetro più alta del solito e poi gli orecchini. Tutto decente se non fosse stato per i capelli, ma il tempo era ormai agli sgoccioli. Un quarto d'ora alle otto e una capigliatura da svenire seduta stante se solo Justin l'avesse vista. Non c'era tempo per lisciarli o rimediare con qualche acconciatura, visto che un po' ci sapeva fare con trecce e chignon vari.
Decise di lasciarli legati e di aggiungere qualche fermaglio, facendo ricadere dolcemente le ciocche ricce sul viso. Molto meglio, ma non il massimo. Stirò per bene il vestito e traballò un tantino sui tacchi pregando che qualcuno lì su la aiutasse; se mai fosse caduta a causa della sua non capacità di stare più di un'ora su scarpe dal tacco che andava oltre i tre centimetri si sarebbe rinchiusa in casa per il resto dei suoi giorni. Al solo pensiero rabbrividì e cercò di non pensarci troppo.
Nel momento in cui prese un grande respiro e immaginò che Justin le stesse porgendo la mano, mimando un "grazie" con le labbra e roteando su sé stessa dalla felicità, il campanello suonò. Ebbe un sussultò e perse un battito voltandosi verso l'orologio e notando le lancetta delle ore perfettamente allineata sul numero otto e quella dei minuti sul dodici. Puntualissimo.
Un attimo dopo sentì la porta principale venire aperta e incrociò le dita sperando che il padre ne combinasse almeno una buona. Si affrettò a scendere le scale per non lasciare i due uomini da soli ma poi si ricordò nella borsetta a corse a prenderla, squadrandosi si nuovo allo specchio. Calma e sangue freddo - pensò.
Questa volta scese lentamente i primi gradini facendo attenzione a dove mettere i piedi. Li contò tutti e dodici prima di arrivare a capolinea. Alzò lo sguardo e due pozze caramellate la accolsero scacciando via definitivamente ogni timore.
Un Justin tutto in tiro e una tenuta blu notte era intento a scrutare da cima a fondo la figura di Wendy, sbalordito. Il vestito gli stava di incanto, per non parlare dei capelli biondi tirati indietro con del gel. Si guardarono per interminabili secondi, lei un po' meno scioccata. Era come lo aveva immaginato in fin dei conti: uno schianto. Lui probabilmente non se lo sarebbe mai aspettato e gli ci volle qualche attimo in più per fare mente locale.
Harry Casey richiamò per sfortuna l'attenzione di entrambi e con una stretta di mano fin troppo marcata salutò il ragazzo, raccomandandogli di trattare bene la sua bambina e tante altre parole che Wendy non ascoltò. Si dileguò subito dopo, non prima di aver mimato un "sei bellissima" alla figlia. La giovane lo ringraziò sussurrando e si avvicinò alla figura di Justin che non si mosse dall'uscio della porta.
"Ecco..." iniziò, passando una mano sui capelli per l'imbarazzo. "Sei bellissima" balbettò.
Justin Bieber, il ragazzo tanto sicuro di sé messo alle strette a causa di Wendy Casey, una ingenua ragazzina di città.
"Grazie. Per il complimento e per i meravigliosi regali" abbassò lo sguardo cercando di appagare il rossore sulle guance.
Notò la figura del ragazzo avvicinarsi sempre di più. Le sue morbide labbra sfiorarono il lobo dell'orecchio di Wendy, facendola rabbrividire e poi sussurrò un:
"Te lo avevo detto che avresti accettato"


 

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Capitolo 7
*** Cena alternativa ***





Cena Alternativa 

 

Il lussuoso lampadario al centro della hall catturò lo sguardo attento di Wendy, le centinaia di catene di cristalli brillavano di luce propria sul capo della giovane che tenne gli occhi puntati in alto per interminabili secondi. Si respirava un'aria di raffinatezza, quasi intimidatoria. Non aveva mai visto tanti abiti di lusso tutti insieme: perle, gemme, strascichi da migliaia di dollari. Tacchi vertiginosi e cravatte di ogni forma e colore. Un intruglio di luci e colori da mozzare il fiato e la cosa più emozionante era che per una volta, Wendy riuscì a sentirsi parte di quel meraviglioso mondo nettamente superiore alla sua monotona vita. Non avrebbe mai immaginato di poter mettere neanche piede in un locale del genere, e in un certo senso continuò a non poterselo permettere a priori, se non fosse stato per Justin. 
Il ragazzo non le staccò gli occhi di dosso neanche per un secondo: la squadrava da cima a fondo in ogni minimo dettaglio facendola arrossire di continuo. Di canto suo Wendy, anche se meno esplicitamente, fece la stessa cosa per tutto il tragitto in macchina nei confronti di Justin; aveva perso il conto di tutte le volte che si era ritrovata ad esaminare l'elegante completo blu del ragazzo, per non parlare delle iridi caramellate, i lineamenti nei definiti e quella che pareva fosse una cicatrice sulla guancia. 

La figura slanciata di una donna tanto elegante quanto affascinante si piantò dinanzi ai due ragazzi. Notò sin da subito il furtivo sorriso scambiatosi tra i due -a quanto pare conoscenti- e si irrigidì, sentendosi tremendamente a disagio e il solito terzo incomodo della situazione. Aveva sperato con tutta sé stessa che quello straziante teatrino di sguardi maliziosi e ghigni finisse il prima possibile; erano lì da cinque minuti e già sentiva tremendamente caldo, le mani sudare e i piedi fare male all'interno delle alte scarpe. Nessuno dei due si era interessato neanche una misera volta a rivolgerle la parola e non ce l'avrebbe fatta a sopportare un altro secondo dietro la figura di Justin, come se fosse inesistente: l'aveva invitata per chiacchierare con quella ragazza o era davvero interessato a lei?
Wendy si schiarì la voce, tossendo leggermente e richiamando l'attenzione del biondo che non tardò ad arrivare: gli occhi di lui si andarono ad incastrare senza indugio in quelli di lei, facendola sussultare. 
"Tutto bene?" chiese sussurrando dolcemente e sorridendole successivamente.
Wendy annuì, fulminando con lo sguardo la mora che abbassò lo sguardo; vittoriosa, si lasciò sfuggire un sorriso che non passò inosservato da Justin, il quale inarcò un sopracciglio.
"Bieber, il suo tavolo è pronto. Se vuole seguirmi..." annunciò la ragazza saltando fuori dalla sua postazione di lavoro.
Senza rendersene conto, la mano di Justin afferrò quella di Wendy e incastrò perfettamente ogni singola dita, Wendy ricambiò senza esitare perché quel gesto, stranamente, lo aveva sperato così tanto per tutto il tempo. Irruppero nella grande sala mano nella mano e sentì gli occhi di molte, troppe persone puntante sulla sua figura; che sia stato per il vestito, i gioielli o il ragazzo al suo fianco, Wendy si sentì così a disagio che si precipitò al tavolo il prima possibile, prendendo posto su una delle due sedie a centro sala e facendo ridere di cuore Justin.
"Non mi hai dato neanche il tempo di farti accomodare per bene" disse con voce roca, sedendosi di fronte a lei. 
La mora era ormai sparita, lasciandoli da soli e ancora una volta Wendy si ritrovò ad esultare senza un motivo ben preciso. Era una cameriera, cosa avrebbe dovuto fare? Beh, tra il menù non credo siano inclusi anche sorrisi maliziosi -pensò.
"Non importa" bisbigliò afferrando uno dei cinque bicchieri di fronte a lei, inclinando il capo verso destra.
A cosa servivano tutti quei bicchieri proprio non riusciva a capirlo, per non parlare delle posate che parevano non finire mai, sia a destra, a sinistra e sul davanti del piatto vuoto. Quando alzò lo sguardo, notò Justin contorcersi dal ridere e strizzare gli occhi e si sentì così in imbarazzo, talmente tanto che le guance iniziarono a bruciarle come mai prima d'ora. 
"Quello più grande è per l'acqua" sogghignò vedendola in difficoltà.
Wendy lo ringraziò afferrando il bicchiere che le era stato indicato e lo riempì di acqua naturale, sorseggiando lentamente successivamente. Bagnò le labbra e rinfrescò la gola che stava bruciando: si sentì meglio.
"Come ti sembra?" domandò di punto in bianco, spiazzando la ragazza, la quale si guardò intorno intimorita.
"C-carino" borbottò. 
In realtà era stata molto riduttivo definirlo 'carino' e lo sapeva molto bene; quel posto era una meraviglia, un sogno, un locale tanto elegante quanto mastodontico nel suo fascino. Ogni tovagliolo, bicchiere di cristallo, candela al centro del tavolo o semplice fiore rendevano il tutto così accogliente e piacevole. Wendy non avrebbe potuto desiderare di meglio, ma per qualche strano motivo il primo appellativo che le era venuto in mente era stato quel misero 'carino', facendole rimanere l'amaro in bocca subito dopo essersi resa conto di aver rovinato tutto.
"Solo?" chiese Justin serio. "Davvero è solo...carino?" ripetette stizzito. 
Wendy scuotette il capo maledicendosi mentalmente e cercando di rimediare, elogiò il ragazzo per la giusta scelta del locale, ringraziandolo ancora e ancora per averle dato la possibilità di trascorrere una serata alternativa, diversa e divertente. Justin la scrutava intensamente, soffermandosi sulle sue carnose labbra delineate da un leggero rossetto per poi passare agli occhi colmi di felicità che le brillavano. Si sentì appagato nel rendersi conto che era riuscito nel suo intento, senza ribattere alcuna delle sue parole: gli piace ascoltarla, perdersi in quelle frasi dette di fretta e a volte senza senso. Ci trovava gusto e la trovava così buffa e ingenua.
Poco dopo, due eleganti camerieri affiancarono il loro tavolo, facendo sobbalzare Wendy che era riuscita finalmente a starsene zitta dopo interi minuti intenta a blaterare; lei era così, se nessuno la fermava o le diceva di darci un taglio non era in grado di mettere la parola fine ad un discorso, qualunque esso fosse. Justin non la zittì neanche per un attimo e questo le piacque, la fece ricredere ulteriormente, rendendosi conto che forse accettare quell'invito a cena era stata la cosa migliore che potesse fare.
Quando abbassò lo sguardo sul suo piatto, spalancò gli occhi e senza rendersene conto, scoppiò a ridere. Una risata genuina che fece rizzare le orecchie di Justin e dei camerieri che si scambiarono uno sguardo di intesa, piuttosto irritati. Bieber socchiuse le labbra non riuscendo a capire, guardandosi intorno e notando che tutti gli occhi erano puntati sulla figura della ragazza che senza indugio, continuava a ridere di cuore.
I camerieri abbandonarono la grande sala prima che Justin potesse chiedere spiegazioni a Wendy la quale, dopo un lungo sospiro di chi proprio non ce la fa più a ridere, si decise a spiegare.
"Cos'è questo?" domando indicando la minuscola porzione di carne nel suo piatto. 
Minuscola si fa per dire: quel piatto era praticamente vuoto, enorme e vuoto. Spoglio e privo di vitalità, una cosa del genere non se la sarebbe mai aspettata in un locale di lusso come quello, ma forse era proprio così che piaceva a quelle persone, spendere soldi per un nonnulla.
"Che intendi dire?" chiese Justin, posando la forchetta che aveva afferrato poco prima. "Non ti piace? Possiamo cambiare se vuoi" era evidentemente preoccupato dal suo tono di voce.
Wendy morse il labbro inferiore per costringersi a smetterla di ridire, ma le risultò piuttosto difficile; la buffa espressione di Justin alimentava in lei la strana voglia di scoppiare a ridere senza dare retta a tutte quelle persone che la stavano scrutando da cima a fondo come se fosse un'aliena.
Si rese conto dopo qualche secondo che qualcuno aveva preso parte a quel buffo teatrino e, quando alzò lo sguardo, notò il ragazzo sedutole di fronte portare due mani sul viso per soffocare una risata. Strizzò gli occhi e scoppiò a ridere molto più forte di quanto avesse fatto precedentemente Wendy, senza curarsi degli sguardi schifati di chi invece continuava a degustare quelle piccole porzione di cibo. Justin rideva di cuore, senza un motivo preciso: la cosa che più affascinò Wendy era che nonostante tutto, al ragazzo importava poco e niente dei bisbigli in sala. Tutti e due ridevano a crepapelle, Wendy massaggiando la pancia a causa del dolore e Justin strofinando il volto. 
Continuarono per alcuni secondi senza decidere di smetterla neanche una volta, Wendy si sentì appagata nel rendersi conto che in fin dei conti non aveva distrutto un bel niente con quel suo atteggiamento piuttosto infantile anzi, Justin era persino scoppiato a ridere in sua compagnia. Ogni qual volta la ragazza copriva la bocca e abbassava lo sguardo per riprendere fiato, Bieber sembrava non voler smettere. 
Si costrinsero però a mangiare e a divorare tutto, sorseggiando bicchieri di qualche vino pregiato che Wendy non avrebbe mai più potuto assaporare in vita sua e acqua -che in realtà benne solo Wendy. Sorridendo, raccontandosi e cercando di trovare un punto di incontro nelle vite di entrambi. Justin era un libro aperto, un ragazzo piuttosto dolce e cordiale, completamente differente dal Bieber che qualche sera prima le aveva proposto quella stupida scommessa che era riuscito addirittura a vincere, ma non glielo avrebbe mai rivelato. Di tanto in tanto il silenzio l'aveva da padrone, ma Justin pareva riuscisse a percepire il disagio di Wendy con un solo, misero sguardo e cercava di argomentare su un qualcosa che potesse essere di suo piacimento, dall'abito meraviglioso che le aveva gentilmente regalato al cibo squisito. 
Quando il tempo parve passare troppo in fretta, furono costretti a pagare il conto e ad abbandonare il locale. Wendy si sentì tutto d'un tratto più serena quando si lasciò alle spalle il profumo di pulito, candele e fiori affiancando Justin. Aveva adorato cenare in un posto così accogliente, ma per quanto potesse aver apprezzato l'invito, c'era un qualcosa che l'aveva costretta a desidera di andarsene il prima possibile: non si senta di appartenere a quel mondo. Il giorno prima avrebbe desiderato con tutta sé stessa mettere piede in un ristorante del genere, indossando un abito così costoso ed elegante, ma in quel momento ringraziò Dio per averla salvata da tanta monotonia e serietà. 
"Devi ancora piegarmi perché sei scoppiata a ridere di punto in bianco" sentì dire alla sua destra. 
Si voltò incontrando lo sguardo divertito del ragazzo e, al solo pensiero di ciò che era accaduto qualche oretta fa, sorrise lievemente. Prima ancora che potesse proferire parola un brontolio proveniente dalla sua pancia rispose al suo posto, facendola vergognare. Massaggiò l'addome arrossendo.
"Hai fame?" domandò Justin quasi sconvolto. 
Ogni portata era stata una delizia, un'esplosione di gusto per le sue papille gustative ma le porzioni erano talmente piccole che per quanto potessero essere squisite, Wendy era abitata a divorare porzioni enormi di cibo. Esitò qualche secondo cercando di non apparire per niente scortese perché in fin dei conti a pagare il conto era stato proprio Justin, ma non riuscì a trattenersi.
"Io sto morendo di fame" si lasciò sfuggire. "Ma è legale servire porzioni di cibo così piccole? Come fate  a saziarvi?" chiese curiosa.
Justin si bloccò di fronte alla sua auto, con lo sportello del passeggero semiaperto e le labbra socchiuse. Si voltò verso Wendy, la quale inclinò il capo di lato risultato ancora una volta piuttosto ingenua. Non le fu concessa alcuna risposta perché Justin le scoppiò a ridere in faccia, scuotendo il capo. Wendy come suo solito fare morse il labbro inferiore e si sentì piuttosto presa in giro dal ragazzo che, invece di contenersi, aumentò il ritmo delle risate che riecheggiarono nello spazio circostante richiamando l'attenzione dei passanti. 
"Sono seria, non prendermi in giro" disse incrociando le braccia al petto e assumendo il broncio di chi se l'è presa più del dovuto. Sapeva che alla fin fine Justin non si stava beffando di lei, era a conoscenza di quanto fosse buffa alle volte e quindi non gli diede alcuna colpa, sarebbe scoppiata a ridere anche lei se avesse avuto uno specchio a portata di mano.
"Ma dove sei stata tutto questo tempo?" domandò con le lacrime agli occhi il ragazzo.
Wendy fece per rispondere ma non seppe come interpretare il punto interrogativo che le era appena stato posto. Ritrasse le parole che le si bloccarono in gola e si costrinse a non proferire parola, aprì semplicemente lo sportello e prima che Justin potesse aiutarla a salire, richiuse la portiera facendo sobbalzare Bieber che fece il giro dell'auto, andandosi ad accomodare sul sedile del guidatore.
"Siamo piuttosto irritabili questa sera" disse allacciando la cintura e mettendo in moto.
Wendy si voltò verso il finestrino ancora con le braccia incrociate al petto e il broncio di una bambina alla quale è stato negato qualche dolcetto. Sentì lo sguardo di Justin puntatole contro ma non cedette, restando in silenzio per tutto il tragitto e udendo di tanto in tanto sospiri di sorrisi sommessi. Si rese conto troppo tardi però che l'auto era ormai diretta in direzione opposta alla sua abitazione; troppo presa e affascinata dalle miriadi di luci e dallo spettacolo da mozzare il fiato che la straordinaria New York era in grado di regalare a quell'ora. Non era molto solita ad uscire la sera, anzi a dire il vero le era capitato un paio di volte nella vita -se si esclude l'appuntamento con Jackson. Stava sfruttando l'occasione per assaporare ogni singolo particolare.
Quando l'auto frenò di colpo, Wendy alzò lo sguardo notando sul suo capo l'insegna di un fast food. Si voltò di scatto verso Justin che si lasciò sprofondare sul comodo sedile, voltandosi a sua volta verso la ragazza. Si guardarono in silenzio per alcuni secondi, nessuno dei due seppe cosa dire ma Wendy decise di mettere da parte l'orgoglio di chiedere spiegazioni.
"Perché siamo qui?" chiese rilassando i muscoli che erano rimasti tesi per tutto il tempo.
"Hai detto di avere fame. Visto che a quanto pare i ristoranti non sono il tuo forte, che ne dici di...pizza e patatine fritte?" 
Justin era agitato: se mai Wendy lo avesse rifiutato non se lo sarebbe mai perdonato ed è per questo che, quando Wendy si sporse per lasciargli un dolce bacio casto sulla guancia, si lasciò sfuggire un gemito. Non se lo sarebbe mai aspettato, ma si sentì così fiero di sé in quel momento: era riuscito ad addolcire la ragazza che pareva essere così scontrosa con tutti.
Wendy scese dall'auto ringraziando con voce debole il ragazzo che la affiancò, afferrandole la mano. Irruppero nel piccolo locale, sentendo lo sguardo di tutti puntatoli addosso: non è normale presentarsi vestiti così eleganti in un fast food, persino i camerieri si sporsero dal bancone per scrutare da capo a piedi le loro figure. Si accomodarono ad uno dei tanti tavoli vuoti e Wendy si lasciò sprofondare sulla comoda poltrona, prendendo un grande respiro. 
"Vedo che sei più tranquilla" udendo le parole di Justin aprì di scatto gli occhi che aveva socchiuso precedentemente.
Non voleva metterlo a disagio e fargli credere che la serata non era stato di suo gradimento, semplicemente al caviale preferiva una pizza margherita, tutto qui. Infatti non rispose alla provocazione di Bieber che afferrò uno dei menù che erano sparsi sul tavolo, leggendo attentamente. Wendy scosse il capo afferrando il libricino di plastica dalle sue mani.
"Davvero hai bisogno del menù?" domandò divertita. In quel momento era lui ad essere a disagio e a sembrare ingenuo, ma si contenne dallo scoppiargli a ridere in faccia.
Prima ancora che Justin potesse ribattere, una ragazza affianco i due ragazzi con una penna e un taccuino saldo tra le mani. 
"Due pizze margherite, due porzioni di patatine fritte e due Coca -Cola medie" si affrettò ad ordinare Wnedy sotto lo sguardo assente di Justin che era intento a scrutare le slanciate gambe della giovane. 
Wendy roteò gli occhi al cielo: possibile che era così attratto dalle cameriere?  A quanto pare sì, visto e considerato che quando la ragazza gli sorrise maliziosamente, lui ricambiò con un occhiolino. La ragazza sedutagli di fronte schioccò le dita davanti al volto di Justin che scosse il capo, probabilmente rimasto imbambolato. Che fosse anch'ella una ragazza affinante non era da mettere in dubbio, ma c'era Wendy in quel momento in sua compagnia e quindi avrebbe dovuto darle le attenzione che meritava.  
"Terra chiama Justin" disse sventolando successivamente una mano davanti agli occhi di Justin che ricominciarono a concentrarsi sul viso di Wendy.
"Che c'è?" 
"Come che c'è? La stavi divorando con gli occhi" disse serrando le mascelle e cercando di non dare a vedere la sua espressione irritata.
Non voleva dare l'impressione di essere ossessionata o meglio, gelosa. Non lo era a dire il vero, semplicemente le dava fastidio che in qualunque posto si trovassero, lui era sempre intento a scrutare qualcosa che va ben oltre il semplice viso. Anche la sera del loro primo incontro era occupato a divertirsi con una bionda, molto più alta e formosa di Wendy, ma non era questo il punto...o forse. Non era gelosa, ne era sicura, era semplicemente irritata. 
"Gelosa?" domandò con il solito sorrisino malizioso dipinto in volto.
"Ah! Taci" sventolò una mano a mezz'aria concentrandosi su uno dei menù richiuso perfettamente sul tavolo. 
Justin sorrise leggermente e quando si alzò dal suo posto per affiancare Wendy, la ragazza sentì un brivido percorrerle l'intera spina dorsale fino ad arrivare al cervello. Stava impazzendo, lo aveva a pochi centimetri di distanza e non riuscì neanche per un attimo a voltarsi, nonostante sentisse bruciare sulla sua pelle l'intenso sguardo di Justin. Si voltò verso il muro, concentrandosi su delle minuscole incisioni con cuori e nomi di ragazzi e ragazze, probabilmente innamorati. Quando si sentì afferrare con due dita il mento, si lasciò guidare dal delicato movimento di Justin e si voltò tenendo lo sguardo basso.
"Non devi esserlo. Sono qui con te perché lo voglio" sussurrò, facendo leva sul piccolo mento ancora e ancora.
Wendy si costrinse ad alzare il capo e ad incrociare le sue scure iridi a quelle più chiare di lui. Le labbra di Justin erano alzate sul lato sinistro e una scarica di adrenalina la invase tutta quando cominciò ad accarezza quel punto di pelle che aveva tenuto tra le dita fino a qualche attimo prima. Riuscì quasi a specchiare il suo viso teso negli occhi di lui, il riflesso di una ragazza così impacciata e alle prese con il suo primo e vero appuntamento.
Justin Bieber, il ragazzo così affascinante si avvicinò lentamente al volto di Wendy Casey. Stava per succedere, avrebbe dato il suo primo bacio proprio in quello stupido fast food ma non le importava, sentiva la voglia di dover assaporare quelle rosee e all'apparenza morbide labbra. Non le interessava se erano seduti attorno ad un vecchio tavolo, pur sempre eleganti, in uno dei soliti locali colmo di operai e anziani signori. C'erano solo loro due, lei riflessa negli occhi di lui e nessun altro...almeno fino a che la cameriera richiamò la loro attenzione, tossendo leggermente e posando i piatti e le bibite sul tavolo.
Wendy scosse il capo tirandosi indietro e Justin socchiuse gli occhi irritato, voltandosi verso la ragazza e ringraziandola con un falso sorriso stampato in volto. Quando si voltò nuovamente verso Wendy per concludere ciò che aveva iniziato, quest'ultima, ingenuamente e con una miriade di pensieri che le affollarono la mente, addentò la sua fetta di pizza senza degnarsi di guardare Justin. 
Bieber esitò qualche secondo e alla fine si ritrovò a gustare la sua portata, arrendendosi e sospirando. Nessuno dei due parlò, gustarono le loro pizze e patatine nella più completa tranquillità, Wendy maledicendosi mentalmente e Justin, probabilmente, maledicendo la cameriera.

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Capitolo 8
*** Amici ***





Amici
 

New York,

14 giugno 1950

I Bieber erano senza ombra di dubbio una delle famiglie più ammirate, ben viste e apprezzate nel campo dell'imprenditorialità a quei tempi. Jeremy Bieber era riuscito nell'impossibile soltanto dieci anni prima, nel 1940, costruendo con le sue sole forze un impero degno di essere definito tale.  Un giovane umile prima di essere incoronato milionario, un ragazzino nato in povertà che era riuscito a trasformare radicalmente la sua vita e quella della sua famiglia. Un uomo da ammirare, non c'erano dubbi, eppure non tutti avevano avuto il privilegio -o la sfortuna- di conoscerlo per chi era davvero.
L'occasione da prendere al volo si presentò fulminea agli occhi di Wendy il 14 giugno del 1950, mentre era intenta a leggere uno dei suoi soliti libri sulla comoda sedia a dondolo. Le piaceva godersi il pomeriggio nella più completa tranquillità, cullata dalla leggera brezza e dal cinguettio degli uccelli che incessantemente riempiva lo spazio circostante. Si concentrava di tanto in tanto sui piccoli nidi ai margini dei rami e ammirava le minuscole creature, poi tornava a concentrarsi sulle avventure dei suoi personaggi preferiti. Aveva letto quel libro quattro volte nell'ultimo mese ma non ne aveva di nuovi e, molto probabilmente, non ne avrebbe avuti per molto tempo.
Si sistemò il maglioncino azzurro sulle spalle, ispirando a pieni polmoni l'inebriante profumo che quest'ultimo emanava: fissò la morbida seta, accarezzando i bottoni del medesimo colore e socchiuse gli occhi: chissà quante volte la madre aveva indossato quell'indumento. Pensare che quel maglioncino era prima appartenuto alla donna che l'aveva messa al mondo la faceva rabbrividire ogni volta. Lo indossava solo nei momenti di solitudine, non si era mai permessa di metterlo per uscire a fare compere o per andare a scuola. Sentiva di doverlo indossare a casa, proprio sopra quella sedia a dondolo che il padre aveva costruito con le sue mani, per la moglie, nei nove mesi di gravidanza. Come se fosse un rituale, un modo per sentirla più vicina. La percepiva nella brezza che le scompigliava i capelli, la sentiva nel cinguettio degli uccelli e la vedeva nel cielo azzurro privo di nuvole. Era un momento magico, tutto suo e di sua madre.
Proprio durante quel pomeriggio del 14 giugno, quando il mondo pareva essersi fermato un attimo e sembrava le avesse lasciato il tempo di riflettere, tutto mutò. Una voce roca richiamò la sua attenzione facendola sobbalzare di malavoglia e chiudere il libro di scatto. Nel momento in cui però si rese conto che Justin, in tutto il suo fascino, era intento a scendere dall'auto e a dirigersi sotto il vecchio portico in legno, Wendy sorrise istintivamente.
Dall'ultimo appuntamento, il ragazzo era ormai solito ad andarla a trovare tutti i pomeriggi e a Wendy non dispiacque mai, le faceva piacere che qualcuno si interessasse a lei e, visto e considerato che Pauline era stata costretta dai genitori a partire per le vacanze, non si sarebbe poi sentita tanto sola. Senza la sua amica, Wendy era abituata da anni a starsene rincasata tutto il mese di giugno, aiutando il padre e lavorando qualche giorno in biblioteca e qualche altra settimana invece dalla sua vicina di casa, aiutandola con i bambini e con le faccende di casa. Non erano soliti a pagarla molto, ma alla ragazza bastavano quei pochi spicci.
"Non dirmi che hai iniziato a leggerlo di nuovo" disse il ragazzo salendo un paio di gradini e affiancando la ragazza, chinandosi per lasciarle un bacio casto sulla guancia.
Wendy ripensò alla settimana precedente quando le sue labbra non riuscirono a catturare per poco quelle di lui e arrossì, abbassando lo sguardo sul libro che strinse tra le esili mani.
"Mi piace" si giustificò timidamente. "In realtà lo adoro" aggiunse in fine, voltandosi decisa verso il ragazzo che si accomodò su una delle vecchie sedie che accerchiavano un piccolo tavolinetto in legno. Stese le gambe su quelle di Wendy e si lasciò andare con il capo all'indietro, sospirando. 
"Sono distrutto" si lamentò.
Justin tutti i pomeriggi era solito ad aiutare Sebastian al bar; si giustificava ammettendo che non aveva mai nulla di bello o elettrizzante da fare a casa sua e che preferiva di gran lunga dare un mano e rendersi utile per l'amico piuttosto che poltrire tutto il giorno sul divano. Quando però aveva gli allentamenti, come in quell'occasione, tornava stanco il doppio. Wendy non doveva chiederglielo, lo capiva dalle nocche rossastre o da qualche livido sul braccio e raramente sul volto.
"Com'è andato oggi l'allenamento?" domandò alzandosi e costringendo il ragazzo a posare i piedi a terra.
"Una meraviglia. Martedì ho l'incontro, ricordi? Hai promesso che saresti venuta a fare il tifo per me" disse scattando in piedi e seguendo la giovane dentro casa.
Wendy posò il libro sul tavolo della cucina e aprì il frigo per afferrare una birra fresca nel momento in cui Justin si accomodò su una delle sedie. Lei invece si concesse una dolce limonata e si sedette di fronte alla figura dell'amico che bevve tutto d'un sorso il liquido all'interno della bottiglia di vetro.
"Ho promesso di venire, non di fare il tifo per te" rispose la ragazza scoppiando a ridere successivamente. 
J
ustin socchiuse le labbra e finse di rimanerci male, incrociando le braccia al petto a sporgendosi in avanti per incastrare alla perfezione le sue iridi caramellate in quelle più scure della ragazza che sussultò. Si rese conto di averla detta grossa quando Justin scattò sul tavolo, scavalcandolo, e si ritrovò di fianco a Wendy, bloccandola per un braccio proprio quando si alzò per scappare. Fu tutto inutile anche quando sorridente, pregò l'amico di lasciarla andare. 
"Rimangiati ciò che hai detto" le ordinò il biondo avvicinando la sua figura a quella della ragazza.
"Non ci penso proprio Bieber" esclamò sentendosi solleticare sulla pancia.
A quel punto iniziò a contorcersi sotto il tocco leggero di Justin che le solleticò la pancia per interi secondi, facendola abbandonare sul tavolo in legno e facendola urlare: lo pregava di smetterla mentre lui continuava a ridersela come non lo aveva mai visto fare. Nella stanza risuonavano solo le loro risate di cuore, fino a che il tossire di qualcuno richiamò l'attenzione di entrambi. Si voltarono in direzione della soglia della porta notando Harry Casey sorreggere due buste all'apparenza molto pesanti.
Justin si staccò dalla figura di Wendy ricomponendosi e quest'ultima si alzò da sopra il tavolo, tornando in posizione eretta e sistemando la lunga gonna, la camicetta e per ultimo il maglioncino della mamma. 
"Signor Casey, lasci che lo aiuti" disse Justin avvicinandosi all'uomo.
Nel momento in cui cercò di afferrare una delle buste, Harry ritrasse le mani lasciando spiazzato il biondo che si voltò verso Wendy. La ragazza scosse il capo vergognandosi del padre e alzò le spalle in segno di resa, facendo sorridere lievemente Justin.
"Lascia qui ragazzo, non sono poi così vecchio" disse indispettito, avvicinandosi al tavolo e posando su di esso le buste colme di abiti, scarpe e qualche borsa. Tutte cose mai viste prima d'ora che lasciarono qualche secondo in trance Wendy, la quale venne richiamata dalla calda voce dell'amico.
"Ero venuto a chiedere una cosa a Wendy" ammise, massaggiando il capo con una mano in evidente imbarazzo.
Durante tutta la settimana, Harry e Justin non si erano mai direttamente rivolti la parola ma Wendy sapeva che alla fin fine, al padre stava molto simpatico il ragazzo. Non lo dava a vedere per una questione di principio come la aveva detto, ma conosceva l'uomo, sapeva che se veramente non gli fosse stato simpatico Bieber, lo avrebbe cacciato via di casa la sera in cui mise per la prima volta piede in quella casa. Solo che le dispiaceva per Justin che si sentiva sempre a disagio in presenza del signor Casey, ed è per questo che ogni volta era solita a scusarsi in privato per l'arroganza mostrata dal padre.
"Ne parliamo fuori, Justin" intervenne la giovane, fulminando con lo sguardo il padre che scrollò le spalle, segno che non si sarebbe mai scusato.
Afferrò per il braccio Justin che salutò timidamente l'uomo che ricambiò il saluto senza voltarsi a guardarlo. Si chiuse la porta alle spalle sospirando e scusandosi ancora una volta con il biondo.
"Cosa volevi chiedermi?" chiese dopo aver risolto la questione del padre-troppo-protettivo.
"Ah sì, giusto. Questa sera i miei danno un ricevimento a casa, nulla di che. Volevo sapere se..." si bloccò non riuscendo a trovare le parole. Morse il labbro inferiore sentendo a disagio e Wendy per aiutarlo gli afferrò una mano, si lanciarono uno sguardo di intesa e si sorrisero, tanto che Justin si sentì molto sollevato. "Ti andrebbe di venire?" 
Quel punto di domanda lasciarono spiazzata la ragazza che cercò in fretta e furia di fare mente locale e di trovare il prima possibile una risposta. Voleva, le sarebbe molto piaciuto ma presentarsi a casa dei Bieber non era forse un tantino eccessivo? Come l'avrebbero presa se i genitori vedendo il proprio figlio affiancato da un ragazza mai vista prima d'ora? 
"Ma i tuoi genitori...ecco loro..." iniziò lei che venne subito interrotta dalla voce di lui.
"Non preoccuparti. Siamo amici, vorrei tanto farti conoscere la mia famiglia" disse dolcemente, afferrando anche l'altra mano della ragazza. "Ti prego, non costringermi a trascorrere un'altra noiosissima serata"
Wendy non ascoltò neanche l'ultima frase pronunciata da Justin, si concentrò sulla parola 'amici' e si sentì sprofondare, neanche riuscendo a capire il perché. Come uno schiaffo in pieno volto, l'affermazione l'aveva talmente tanto segnata che mollò la presa sulle mani di lui. Istintivamente abbassò lo sguardo e cercò di non dare a vedere il suo mal'umore: aveva sperato che forse, dopo quel quasi bacio, a Justin interessasse di più la ragazza. Definirsi amici era una grossa menzogna e forse ne era a conoscenza anche il ragazzo perché c'era qualcosa tra i due, un'alchimia unica che non può essere definita semplice amicizia. Non si può desiderare una settimana prima di baciare una ragazza e qualche giorno dopo catalogarla come una normale amica.
"D'accordo, accetto il tuo invito" disse sforzando un sorriso.
Bieber se ne rese conto e rabbuiò tutto d'un colpo, infilando le tasche nei pantaloni e ringraziando la ragazza. Non le lasciò neanche un bacio casto sulla guancia come aveva fatto i giorni precedenti quando se ne tornava a casa e sfrecciò via dal viale principale, lasciando a bocca asciutta al ragazza sotto il portico.
Se ne tornò dentro sbattendo bruscamente la porta alle sua spalle e quando cercò di sfuggire al richiamo del padre, scappando per rifugiarsi in camera sua, l'uomo la richiamò esclamando il suo nome. Tornò indietro, in cucina, e si sedette di fronte alla figura del padre che smise di rovistare all'interno delle buste.
"È successo qualcosa?" domandò.
Wendy scosse il capo ma quando l'uomo si alzò per abbandonare la stanza, senza insistere, la ragazza si decise a parlare o meglio, a domandare.
"
Papà..." lo richiamò con voce incerta, sperando di non pentirsene successivamente.
"Sì?"
Prese un lungo respiro e lasciò che le parole fuoriuscissero da sole, senza darsi dei limiti.
"Quando hai capito di amare la mamma?" chiese frettolosamente.
Calò il silenzio tra i due, imbarazzante e teso. Nell'aria si percepiva la tensione e il sospiro dell'uomo che tornò indietro per ri-accomodarsi sulla sedia fece, purtroppo, pentire Wendy. Forse non avrebbe mai dovuto chiederglielo, ma in quegli ultimi giorni era solita a domandare spesso e volentieri della madre mentre prima cercava sempre di svariare il discorso. Pensava che forse sarebbe stato meno doloroso per tutti, soprattutto per l'uomo. Allora perché gli aveva appena posto quella domanda?
Quando cercò di aprire bocca per dirgli di non preoccuparsi e di scusarsi, la voce dell'uomo la bloccò e si maledisse mentalmente quando notò il tremolio delle sue labbra e lo sguardo cupo dipinto nelle iridi scure del padre, tali e quali alle sue. Se fisicamente aveva ripreso dalla madre, il viso era identico a quello del signor Casey, dagli occhi alle labbra carnose.
"Dal primo momento in cui l'ho vista. Ho subito amato tua madre, non mi serviva parlarle o conoscerla meglio...mi è bastato uno sguardo" sussurrò dolcemente, come se con la mente stesse rivivendo quel preciso istante in cui i loro sguardi si incontrarono.
La giovane avvertì un nodo allo stomaco, sentì il suo cuore accelerare e gli occhi inumidirsi. Wendy non sapeva cosa significasse amare ma una cosa era certa: Harry aveva amato con tutto sé stesso sua moglie. Glielo si leggeva negli occhi ogni qual volta sedeva da solo sul divano di casa, immaginando l'amore della sua vita sedutogli di fianco o quando andava a dormire, stringendo il cuscino della donna. Amanda Hunt sarebbe rimasta costantemente, sinceramente e profondamente nei ricordi dell'uomo ma soprattutto, viva nel suo cuore. L'avrebbe amata anche con la morte di mezzo e non avrebbe ma dimenticato nessuna emozione provata in sua compagnia. Molte volte aveva pregato l'uomo di rifarsi una vita, di conoscere altre donne perché troppo giovane per passare il resto dei suoi giorni in solitudine ma mai, neanche una volta Harry aveva acconsentito. Come se non avesse bisogno di nessun altro perché da qualche parte la moglie gli era sempre rimasto accanto. Lui sapeva che un giorno si sarebbero rincontrati e si sarebbero vissuti, continuati ad amati e mai lasciati.
"Sapevo di doverla conquistare, non me lo sarei mai perdonato se me la fossi fatta scappare. Ho amato tua madre sin dal primo momento" ripetette, alzando lo sguardo e afferrando la mano della figlia. 
I loro sguardi si incontrarono e Wendy tirò su con il naso, notando una lacrima solcare il viso dell'uomo. Si alzò di colpo e corse ad abbracciare il padre.
"Vorrei tanto che fosse qui" singhiozzò la giovane stringendo a sé forte il signore, accomodandosi sulle sue gambe e lasciandosi cullare dall'uomo. Erano anni che non si concedeva un tale lusso. 
"Sarebbe fiera di te. Non smetterò mai di ripeterti che le somigli tantissimo" bisbigliò cercando di ritrarre le lacrime.
Restarono avvinghiati uno all'altra per molti minuti, come se a quell'abbraccio avesse partecipato anche la donna, la signora Amanda. Wendy si sentì cullare da quattro braccia, quelle di suo padre e quelle di qualcuno che da qualche parte, ovunque si trovasse, le era sempre rimasta accanto. Non aveva avuto la fortuna e il privilegio di conoscere la donna che l'aveva tenuta in grembo per nove mesi, non ricordava granché del suo viso, non aveva mai udito la sua voce. Non c'era stata il primo giorno di scuola a tenerle la mano, non era stata lei a svegliarla tutte le mattine, a prepararle la colazione, a cucirle abiti stupendi. Non c'era quando si schiantò contro il tronco di un albero la prima volta che mise piede in una macchina, quando pronunciò la prima parola, quando ebbe la sua prima cotta a dodici anni e non ci sarebbe stata il giorno del suo matrimonio, non avrebbe mai cullato i suoi nipoti eppure la sentiva costantemente di fianco a sé. Era il suo angelo custode e anche quella sera, dopotutto, le sarebbe stata affianco.
"Papà?" richiamò l'uomo che aveva smesso di accarezzare la schiena della figlia.
"Cosa?"
"Justin mi ha invitata a casa sua, questa sera" disse diretta, strizzando gli occhi e preparandosi psicologicamente ad un'esagerata reazione da parte dell'uomo che non arrivò mai.
Aprì un occhio solo notando l'uomo calmo e tranquillo e poi spalancò anche l'altro, chinando il capo di lato.
"Va bene" scrollò le spalle.
Wendy non riuscì a credere alle sue orecchie e scattò in piedi, portando una mano sulla fronte dell'uomo scherzando su una sua probabilmente influenza. Si era già immaginata l'uomo urlare e sbraitare contro la sua figura e invece se ne era rimasto seduto e aveva acconsentito. 
"Stai bene papà?" domandò continuando a tenere la mano sulla fronte dell'uomo. Quest'ultimo le afferrò il polso e la scansò, ridendo.
"Sì, sto benissimo. Se vuoi puoi andare" acconsentì ancora una volta e Wendy gli saltò al collo, ringraziandolo con piccoli baci casti su una guancia.
Con la coda dell'occhio notò che erano già le diciotto e quindi si precipitò in fretta e furia in camera, frugando all'interno dell'armadio. Il meraviglioso abito blu non lo avrebbe potuto indossare di nuovo e, visto e considerato che Pauline non c'era, doveva sbrigarsela da sola ma risultò molto più difficile di quanto avesse immaginato. Il suo guardaroba non era chissà quanto ampio e non erano presenti chissà quali meravigliosi abiti quindi, dopo un'ora a rovistare tra lunghe gonne, camicette, basse scarpe e orrendi maglioncini, in fondo al tunnel trovò un abito piuttosto elegante. 
Lo aveva indossato solo una volta nella sua vita, al matrimonio di suo cugino Stefan ormai residente in Texas. Erano trascorsi circa tre anni eppure l'abito pareva calzarle a pennello, un po' stretto sul davanti per via del seno un tantino più prosperoso ma nulla di insopportabile. Era stupendo, si maledisse tra sé e sé per essersi dimenticata di una tale meraviglia: bianco con dei fiori sul fondo e una scollatura a ics sul davanti. Leggermente più corto paragonato alle sue solite gonne ma avrebbe sopportato in quell'occasione la vista delle sue gambe nude. Optò per un paio di ballerine del medesimo colore e lasciò i capelli mossi sulle spalle, accerchiando il capo con un nastro azzurro. Quando si scrutò come suo solito allo specchio si piacque e si precipitò giù per le scale buttando lo sguardo sull'orologio che segnava oramai le sette e mezzo.
Salutò il padre ricordandogli che la cena era nel frigo, baciandolo dolcemente su una guancia e abbracciandolo. Quest'ultimo ricambiò l'abbraccio e le fece i complimenti per la scelta dello stupendo abito, tanto che Wendy arrossì. Si salutarono e l'uomo le ordinò di non rincasare troppo tardi e la giovane, sbuffando, lo rassicurò. In fin dei conti doveva solo andare a casa di Justin, cosa sarebbe mai potuto accadere?
Si precipitò nell'auto e partì a tutto gas, sperando di essere puntuale almeno una volta nella sua vita e così fu: alle otto in punto preciso spense l'auto nel vialetto principale di casa Bieber. Quando alzò lo sguardo e uscì dal mezzo, non riuscì a credere ai propri occhi: la mastodontica villa sorgeva su un giardino enorme, ettari e ettari di prato con sempreverdi e rose di ogni tipo. Un viale in ciottoli che dava sull'entrata principale preceduta da un arco di rose. Lentamente, incrociando le braccia al petto raggiunse l'arco e l'oltrepassò, ritrovandosi davanti un giardino interno che era ancor più bello del precedente. Il viale era accerchiato da fiori di ogni tipo e colore, un gazebo sulla destra ove al di sotto,  un paio di camerieri erano intenti a sistemare vassoi con stuzzichini e bicchieri per il brindisi e sulla sinistra invece una donna era intenta a tagliuzzare rose secche e foglie in eccesso dalla siepe che circondava l'abitazione. Un'altra signora invece, più anziana, era intenta a sistemare una meravigliosa fontana strappando via le erbacce in eccesso al di sotto della struttura.
Wendy pensò che forse si era sbagliata ma aveva semplicemente seguito alla lettera le indicazioni di Justin e così si costrinse ad andare avanti, a proseguire e a salire i gradini per ritrovarsi di fronte ad un'enorme porta in legno. Esitò qualche secondo sussultando quando notò i piccoli lampioni sparsi su tutto il prato accendersi, visto che il sole era ormai sorto all'orizzonte. Si concentrò un attimo sul tenue arancione del cielo e si decise a bussare, tirandosi indietro successivamente.
Sentì dei passi oltre la porta e quando quest'ultima venne spalancata, un'affascinante signora dai lunghi capelli castani e occhi azzurri si piantò davanti alla giovane. La ragazza, di canto suo, cercò di aprire bocca ma le parole le si bloccarono in gola sentendo il bisogno estremo di bere, qualsiasi cosa, purché riuscisse a bagnarle e a rinfrescarle la bocca secca. La donna tanto affascinante quanto intimidatoria scrutò da cima a fondo la figura di Wendy che sorrise leggermente e, quando si decise a presentarsi venne interrotta.
"Sei la cameriera? Non pensavo lasciassero lavorare ragazzine così giovani...comunque entra, c'è molto lavoro e gli invitati arriveranno da un momento all'altro" si scansò di poco per lasciar passare Wendy.
La giovane sentì il sangue ghiacciare nelle venne, i muscoli pietrificarsi e il cuore smettere di battere per un misero istante. Sarebbe tanto voluta sprofondare nell'ammirare il meraviglioso abito che accerchiava le forme da capogiro della donna, mentre il suo era così fuori luogo. In quell'istante odiò il suo abito, le sue scarpe, i suoi capelli, si odiò come non aveva mai fatto prima d'ora. Gli occhi le bruciarono e le labbra tremavano ma, quando si tirò ulteriormente indietro per correre via e sperare di riuscire a dimenticare tutto, una voce calda e così accogliente richiamò la sua attenzione.
Justin era fermo dietro la figura della donna, sorridente, mentre quest'ultima si voltò a fissare il ragazzo, sbalordita. 


 

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Capitolo 9
*** Un solo sguardo ***





Un Solo Sguardo

 

Pattie Malette era la donna più affascinante che Wendy avesse mai visto in tutta la sua vita. Nel fiore dei suoi trentasette anni, pareva dimostrarne molti di meno: i lunghi capelli castani le ricadevano lucidi sulle spalle scoperte e il filo di trucco risaltava alla perfezione gli occhi cristallini e le labbra carnose. 
Non risultava affatto scontrosa ed egocentrica, al contrario di come le si era presentata pochi minuti prima. Si era cordialmente scusata per il malinteso, invitando la ragazza ad accomodarsi ma nessuna delle due ne fece parola con Justin che ancora un tantino stordito, cercò di capire a cosa erano dovute tante scuse da parte della madre. La donna rimase in silenzio e lo stesso fece Wendy, sorridendo appena. 
"Che ti ha fatto?" domandò Justin, bisbigliando non appena Pattie lasciò i due ragazzi soli.
"Nulla" scosse il capo Wendy. "È molto simpatica tua madre" aggiunse sinceramente.
"Si vede che non la conosci" disse scoppiando a ridere lui.
Wendy cercò di soffocare una risata ma le fu impossibile, così si lasciò trasportare dall'ironia e la positività che il ragazzo era in grado di regalarle. Quando Justin divenne serio, scrutò da cima a fondo la figura della giovane che arrossì, sentendosi fin troppo al centro della scena.
"Sei bellissima" sussurrò con voce roca e rotta. 
"Sei davvero molto gentile ma...nessuno ti costringe a mentire" aggiunse la ragazza, cercando di non dare a vedere il suo malumore.
Per quanto le scuse di Pattie fossero stare sincere, il rancore di aver indossato un abito talmente semplice e privo di classe la stava divorando viva. 
"Wendy sei stupenda, smettila con tutte queste paranoie" e prima ancora che la ragazza potesse ribattere, si sentì afferrare per una mano e trascinare sugli scalini lucidi e attorniati da una lunga ringhiera in ferro. 
Salirono spensieratamente e a tutta velocità la lunga scalinata che pareva non finire mai fino a che si costrinsero a riprendere fiato nel bel mezzo di un corridoio così cupo, con porte che sorgevano da ogni dove, da destra a sinistra per concludere in fondo con un'enorme finestra decorata da lunghe tende bianche. Wendy non aveva mai visto una casa così grande, non riusciva a credere ai suoi occhi: Justin viveva nel lusso più totale, una vita del genere lei l'avrebbe soltanto potuta sognare.
Quando l'acuto suono del campanello richiamò l'attenzione dei due giovani, Justin sbuffò di malavoglia voltandosi verso Wendy e avvicinandosi lentamente alla sua figura. Le portò una ciocca di capelli dietro le orecchie e le accarezzò il pallido viso delicatamente, come se fosse una bambola di porcellana e avesse paura di frantumarla.
"Restami accanto tutta la serata, ti prego" bisbigliò ad un palmo di mano dal volto di Wendy che deglutì rumorosamente, annuendo poco dopo.
La ragazza non riuscì a capire perché tanta insistenza nell'invitarla ma soprattutto nell'averla a tutti i costi al suo fianco. La serata si preannunciava piuttosto movimentata e piacevole, perché tanta agitazione? Non le spiegò neanche quando poco a poco la casa si riempì di donne, uomini e bambini. Eleganti, raffinati, con abiti da capogiro e gioielli da far sentire a disagio la piccola Wendy. Quando Justin, intento a salutare tutti con strette di mano e baci casti sulle guance si voltò verso la ragazza, notò nella sua espressione un velo di agitazione, così si costrinse ad avvicinarsi lentamente.
"Sei bellissima" le ripetette in un orecchio.
Wendy rabbrividì socchiudendo gli occhi e lo ringraziò, pregandolo di tornare ad accogliere gli invitati visto e considerato che la signora Malette stava fulminando i due giovani con lo sguardo. Saranno stati una sessantina forse, uomini di affari e mogli al seguito. Dolci bambini girovagavano beati tra le quattro mura: i capi delle bambine attorniati da graziosi nastri colorati o minuscoli capelli, mentre i maschietti con al collo cravatte o papillon. I sorrisi sui loro volti catturarono per alcuni secondi lo sguardo di Wendy che dimenticò per un po' il suo abito, il suo buffo nastro sul capo e le sue basse scarpe. Non gioiva alla slanciata ed elegante figura di Justin, stargli accanto pareva una barzelletta, ma quando il braccio di lui accerchiò la vita di lei, si lasciò andare a quel tocco così spontaneo e voluto dal ragazzo. 
Il biondo chiacchierava del più e del meno: affari, di quanto fosse cresciuto con anziane signore e si scusava cordialmente -insieme a Pattie- del ritardo del padre, Jeremy Bieber. A dire il vero anche Wendy era molto curiosa di conoscere l'uomo. Nonostante continuasse a sentirsi a disagio di mezzo a tanta raffinatezza, bastava uno sguardo svelto o un sorriso del ragazzo per calmarla. 
Quando Pattie invitò tutti a raggiungere la grande sala da pranzo, Wendy venne bloccata per un braccio e tirata indietro. Avrebbe tanto voluto dare un'occhiata, sbirciare più a fondo, ma quando le ante della porta si spalancarono, tutto quello che riuscì ad intravedere fu un grosso e largo lampadario di cristallo al centro della stanza. Si voltò di malavoglia verso Justin che continuò a tirarsi indietro per lasciare spazio agli altri.
"Dobbiamo proprio?" chiese guardandosi intorno, sperando che nessuno lo avesse sentito.
"Non so se te ne sei reso conto, ma la tua presenza è abbastanza gradita e non passi di certo inosservato. Non puoi non andare" risuonò più come un rimprovero, tanto che Justin sbuffò.
Apparve come un bambino al quale hai negato di comprare il suo giocattolo preferito, così buffo e dolce che risultò arduo per Wendy non scoppiare a ridere.
"È solo una sera Justin! Queste persone sono così cordiali, non capisco: perché sei così negativo?" domandò alzando con due dita flebili il mento del ragazzo che si perse nello sguardo di lei per alcuni attimi, non riuscendo a battere ciglio.
"Odio questi ricevimenti. Non odio queste persone, ma il motivo per il quale sono qui. Affari, sempre soldi e affari. Non ho voglia di stare a sentire noiosi monologhi proprio ora che ci sei tu. Al mio futuro penserò quando arriverà il momento di pensarci" disse tutto d'un fiato.
Wendy si zittì non riuscendo a trovare le parole adatte per ribattere. Forse non ve ne erano in quel momento e tutto quello che avrebbe potuto fare era restarsene in silenzio. Le parole del ragazzo risultarono così colme di rancore e fastidio che si decise a lasciargli libero campo.
"E va bene. Dove vorresti andare?"
Justin esultò a bassa voce e afferrò come di consueto la mano della giovane che si lasciò trascinare via. Quando però una figura piuttosto alta, possente e intimidatoria si piantò dinanzi a loro, si bloccarono di colpo. Justin retrocedette e alle sue spalle lo stesso fece Wendy, perdendosi nello sguardo serio dell'uomo che era intento a sistemare la cravatta al collo. Lo aveva visto da qualche parte, lei. Non ricordava dove ma era un viso conosciuto.
"Dove vai figliolo?" domandò cauto.
Justin strinse ancor di più la mano di Wendy che parve rassicurarlo e si decide a proferire parola.
"Papà lei è Wendy, una mia amica" serrò la mascella e indicò la ragazza dietro di lui. Il padre, frettolosamente, rivolse uno sguardo alla giovane e sorrise.
"Piacere di conoscerti Wendy" chinò di poco il capo, poi continuò a concentrarsi solo ed esclusivamente su Justin, dimenticandosi di lei.
Si sentì tagliata fuori ma non gliene fece una colpa, non voleva immischiarsi negli affari di padre e figlio e così si fece piccola piccola dietro Justin, cercando di non dare nell'occhio.
"Cos'è questo?" domandò l'uomo avvicinando la grande mano al volto del figlio. Avvicinò il suo viso allo zigomo del ragazzo e si concentrò sulla macchia violacea in rilevanza. Justin scosse il capo per allenare la presa di Jeremy, il quale parve piuttosto irritato.
"S...sono caduto" balbettò.
Wendy non lo aveva mai visto così a disagio. A quanto pare Jeremy Bieber non ne sapeva niente degli allenamenti di boxe, incontri serali e pugni in faccia al figlio. Gliene avrebbe dette di santa ragione una volta fuori da quella casa; come poteva mentire ai suo stessi genitori?
"Ultimamente hai la testa da tutt'altra parte" si riferì molto probabilmente al resto dei giorni in cui Justin, vuoi un livido al braccio o uno sul viso, si era presentato a casa di Wendy ammaccato come dopo ogni allenamento pomeridiano. "Comunque non hai risposto alla mia domanda: dove stai andando?" sillabò autorevole.
Non desistette e attese con urgenza la risposta del figlio che dopo una pausa di riflessione, arrivò insicura.
"A prendere una boccata d'aria con Wendy. Non si sente molto bene" disse stringendo ulteriormente la mano della giovane, pregandola di stare al gioco.
Nuovamente gli occhi di Jeremy si concentrarono sulla figura intimidita di Wendy che annuì per dare ragione al giovane. Il signor Bieber concesse loro la possibilità di assentarsi per qualche minuto dal ricevimento, ordinando al figlio di rincasare il prima possibile per una sorpresa che avrebbe gradito molto.
Justin rassicurò il signore e corse fuori, portandosi dietro Wendy. Si chiusero la porta alle spalle ed ispirarono tutti e due pesantemente, all'unisco, perché l'aria all'interno era diventata davvero insostenibile. Sentiva soffocare dentro quelle mura, soprattutto con Jeremy che la scrutava da cima a fondo, divorandola con uno sguardo penetrante. 
"So cosa stai pensando" disse una voce spezzata al suo fianco. La ragazza si voltò di scattò sperando di catturare il caldo caramello delle iridi di lui ma a capo basso, quest'ultimo era intento a sbottonare la camicia stretta. "È piuttosto serio, severo e tutte queste cose qui" 
In realtà non era questo il punto di domanda che divorava Wendy da interi secondi, anzi, la questione era ben altra.
"Perché non glielo hai detto?" chiese incrociando le braccia al petto.
"Cosa?"
"Perché non hai detto ai tuoi genitori della boxe?" si piantò davanti a Justin con fare minaccioso.
Bieber roteò gli occhi al cielo sbuffando e scuotendo il capo. 
"E non fare il bambino" 
"Non sto facendo il bambino. Semplicemente non lo accetterebbero, tutto qui" si difese portando le mani nelle tasche dei neri pantaloni per poi dirigersi oltre il portico. 
Scese le scale senza fermarsi neanche quando Wendy lo richiamò, quest'ultima lo seguì a ruota, inoltrandosi nel giardino e avvicinandosi alla fontana illuminata che brillava di acqua cristallina. Rifletteva alla perfezione il cielo ormai cupo, senza neanche una nuvola.
"Ti sto parlando" si lamentò la ragazza sedendosi di fianco a lui, sul bordo in marmo della struttura che spruzzava acqua all'interno della concavità ove piccoli pesciolini sguazzavano indisturbati.
Si udì soltanto il frusciare del liquido dietro di loro per alcuni secondi. Justin non volle assolutamente dare retta alla giovane che, spazientita, scattò in piedi.
"Sei così insopportabile a volte!" gli puntò il dito contro, girando i tacchi in direzione del suo vecchio camioncino.
C
onvinta di sé, Wendy strinse i pugni e a falcate si allontanò da Justin ma avrebbe dovuto sapere -fortunatamente- che il ragazzo non l'avrebbe lasciata andare via così facilmente. Sentì il suo polso essere avvolto da una grande mano e sorrise istintivamente, si voltò di scattò verso il ragazzo che la attirò alla sua figura e si ritrovò a pochi centimetri dalle carnose labbra di lui. Si guardarono negli occhi proprio come qualche sera prima, lei si concentrò su quelle iridi che l'avevano catturata sin dal primo momento e che le erano rimaste tatuate in mente. Mai una volta, una sola era riuscita a spazzare via il pensiero di quanto quegli occhi fossero perfetti; riuscivano a trasmetterti dolcezza e calore, riuscivano a farti sentire protetta. Si sentiva al sicuro ogni qual volta quegli occhi catturavano i suoi, come per fa intendere che sarebbero sempre rimasti lì a vegliare su di lei. 
Riuscì ad inalare a fondo l'inebriante profumo dei suoi indumenti e il solito che sapeva di Justin e qualche altro miscuglio a dir poco fantastico. I loro nasi si sfiorarono dolcemente e Wendy socchiuse le labbra: se anche quella volta tutto sarebbe sfociato in una serata all'insegna dell'imbarazzo per via di un bacio strappato dalle mani del destino, non se lo sarebbe mai perdonato. Però fu cauta, attese che anche le loro labbra si sfiorassero e percepì un brivido attraversarle la spina dorsale. Le mani di lui erano impresse sui fianchi di lei, le dita ben incise sull'abito per non farla andare via. Tanto non se ne sarebbe andata, non quella volta.
"Ho così tanta voglia di baciarti" sussurrò debolmente lui, scosso probabilmente da una valanga di emozioni e brividi su tutto il corpo. 
"F...fallo" balbettò Wendy sentendo le guance andare a fuoco. 
Le parole erano fuoriuscite da sole, ma erano state sincere. Voleva quel bacio, desiderava quelle labbra sulle sue e mai come quella volta era entusiasta di dare il suo primo vero bacio a Justin Bieber.
Il giovane continuò a sfregare le sue labbra con quelle della ragazza che sentì lo stomaco formicolare e il cuore accelerare ogni qual volta il caldo respiro di lui picchiettava sulla pelle di lei. Justin si ritrasse di qualche millimetro per godersi a fondo la vista degli occhi di Wendy che per quanto non fossero chissà quanto speciali, lo incantavano ogni volta. 
"Sai perché ho insistito tanto?" domandò di punto in bianco, accarezzando una guancia della giovane che si lasciò andare a quel soave tocco.
Non aprì bocca ma gli fece intendere di dover continuare con un cenno di capo. Non aveva ben capito di cosa stesse trattando, poi tutto le fu più chiaro.
"È il tuo sguardo, Wendy. Ha qualcosa di unico, di magico. È stato questo sguardo che tre mesi fa mi ha completamente catturato"
Wendy inarcò un sopracciglio e socchiude le labbra desiderose di assaporare il dolce sapore delle sue.
"T...tre mesi fa? Di cosa stai parlando?" domandò curiosa.
Si erano conosciuti neanche due settimane fa, cosa c'entravano i tre mesi? Wendy cercò di fare mente locale, scavare a fondo in quell'arco di tempo in cui Justin sorrise leggermente e cercò di ricordare: non lo aveva mai visto in vita sua, ne era più che sicura. 
"Pensi davvero che io ti abbia scelta quella notte come se nulla fosse? Ti ho vista per la prima volta tre mesi fa, seduta sul solito sgabello, intenta a bere il tuo solito tè. So tutto di te Wendy Casey: so che ogni volta, dopo scuola, eri abituata a sostare nel bar di Sebastian. So che odi lo zucchero nel tè, che adori i romanzi rosa e che spesse volte adori scrivere sul tuo solito taccuino qualsiasi pensiero ti passi per la mente" 
Wendy era sconvolta: gli occhi sgranati, le labbra socchiuse e il respiro pesante. Il cuore sarebbe potuto esploderle nel petto da un momento all'altro e come se non bastasse, Justin era ancora tanto vicino al suo viso da mandare il tilt il cervello della giovane che incredula, cercò di dire qualcosa, ma per sua fortuna venne preceduta.
"Non ti ho proposto quella stupida scommessa per puro caso. Wendy mi è bastato uno sguardo, solo uno. I tuoi occhi sono la mia rovina. Ci credi all'amore a prima vista?" chiese.
Wendy non seppe da dove cominciare e men che meno come finire. Quella prole l'avevano colpita talmente tanto che qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe risultata assolutamente insensata. 
"I...io, credo di sì" disse incerta. 
Le tornarono in mente le dolci parole del padre e tutto ad un tratto quegli occhi, quel caramello, quelle iridi acquistarono una nuova forma. Wendy credeva nell'amore a prima vista, proprio come suo padre aveva amato sua madre nel preciso istante in cui i loro sguardi si erano incontrati per poi non perdersi mai più. Wendy credeva nell'amore a prima vista perché per quanto le costava ammetterlo, quegli occhi l'avevano talmente travolta che in quegli ultimi giorni non era riuscita neanche una volta a spiegarsi del perché di tanti brividi, farfalle nello stomaco e voglia di vederlo costantemente.
In quell'ultima settimana aveva negato a sé stessa che quegli occhi, l'avevano stregata, come un uragano che arriva quando meno te lo aspetti. Credeva nell'amore a prima vista perché lo aveva vissuto in prima persona, ed è la cosa più bella che possa capitare. 
"Io ci credo" interruppe i pensieri di Wendy "Credo nell'amore a prima vista, altrimenti non saprei spiegarmi perché è da tre mesi che penso costantemente a te. Non ti avrei mai lasciata andare, ho cercato in tutti i modi di avvicinarmi, mi sono costretto a farmi avanti anche con l'aiuto del vecchio Larry" scoppiarono a ridere al pensiero di Larry, soprattutto Wendy. Justin era a conoscenza di tutti quei piccoli particolari solo ed esclusivamente perché qualcuno -per fortuna- si era divertito a spifferare abitudini quotidiane che alla ragazza erano sempre parse così banali. "Ma ti ho sempre vista così immersa nei tuoi pensieri, sempre così assente e...non volevo sentirmi un peso" ammise rabbuiando.
Wendy afferrò con ambedue le mani il volto del ragazzo, costringendolo ad alzare il capo. Catturò le sue iridi un'ultima volta e finalmente, si fiondò sulle labbra di lui. Le bacio dolcemente sentendosi finalmente appagata e si godette il momento in prima fila, ad occhi aperti mentre quelli di Justin erano ormai socchiusi. Un bacio leggero, semplice eppure così passionale. Si staccò subito, il tempo di tornare finalmente a guardarsi, ambedue con gli occhi lucidi.
Mai nessuno era riuscito a smuovere tanto Wendy, a farle provare sensazioni così profonde e importanti. 
"Credo nell'amore a prima vista, Justin" disse sorridendo. Non si vergognò delle parole dette, le pensava davvero, ci credeva sul serio e niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea.
Bieber ricambiò il sorriso e baciò nuovamente le morbide labbra di lei, questa volta per molto tempo. Si lasciarono trasportare dai lenti movimenti sincronizzati, mentre i brividi invadevano le loro figure, incessantemente. Continuarono a baciarsi sotto un cielo blu, al chiar di luna, e Wendy non avrebbe potuto chiedere di meglio.
È vero, la ragazza non era mai riuscita ad amare tanto profondamente qualcuno, ma una cosa era certa: in quel momento, amava Justin Bieber. Lo aveva amato dal primo momento, con un solo sguardo.


 

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Capitolo 10
*** Sogni ***





Sogni
 

New York,

7 luglio 1950

Le settimane successive trascorsero molto più velocemente di quanto Wendy e Justin avessero potuto immaginare. Durante i primi di luglio le giornate si allungarono ulteriormente, tanto che Justin era solito a rincasare molto tardi, controvoglia del signor Casey. Eccetto i fine settimana quando i due si concedevano un'uscita romantica -cinema o cenette a lume di candela- Justin e Wendy trascorrevano intere ore o a casa di lei o nel piccolo palazzetto in cui nell'ultima settimana si erano disputati ben due incontri di boxe. 
Wendy si sentiva in dovere di restargli accanto in tali occasioni, nonostante fosse piuttosto turbata: gli aveva ripetuto e lo aveva pregato di farne parola con i genitori ma ogni volta cambiava argomento, come se non gli interessasse più di tanto. Ci aveva rinunciato da un paio di giorni oramai.
La sera prima del terzo incontro, Justin era pronto per tornarsene a casa dopo il solito pomeriggio trascorso in compagnia di Wendy e di Harry che continuava a risultare scontroso e serio nei confronti del ragazzo. Non li aveva lasciati da soli un solo minuto e non si era concesso più volte il lusso di lanciare frecciatine sul conto di Bieber. Wendy, di malavoglia, lo avrebbe accompagnato come d'abitudine fuori e lo avrebbe salutato a dovere senza occhiate sospette nei dintorni. Quando si avvicinò alla porta della sua stanza, la voce roca di lui richiamò la sua attenzione, facendola voltare.
"Hai intenzione di andare al college?" chiese afferrando tra le mani uno dei volantini sulla scrivania colma di libri.
Nelle ultime settimane, visti i recenti avvenimenti, Wendy aveva completamente dimenticato il college e gli studi. Si era concentrata unicamente su Justin, scordandosi di quei fogli di carta che da mesi, prima ancora che terminasse l'ultimo anno di liceo, se ne stavano impolverati sulla scrivania. 
"Non penso" rispose la ragazza, scuotendo il capo.
"E questi allora?" Justin indicò il resto dei volantini e ne afferrò qualcun altro. Lesse soltanto i rispettivi nomi dei college e poi tornò a concentrarsi sulla figura della giovane che a braccia conserte, appoggiò la schiena al freddo legno della porta.
"Li ho presi a scuola, qualche mese fa. Nulla di importante" 
Wendy cercò si risultare il più sincera possibile, ma la verità era ben altra: uno dei suoi più grandi sogni era di sicuro quello di essere ammessa ad uno di quei cinque college -scelti accuratamente- e studiare lettere. La matematica non le era mai piaciuta, nessuna materia scientifica era riuscita ad affascinarla quanto le materie letterarie. 
"Non mentirmi" le disse Justin facendole segno di sedersi sul letto, di fianco a lui.
La giovane si accomodò di fianco al biondo e sentì lo sguardo di quest'ultimo bruciale addosso. Non seppe come reggere la tensione, così si lasciò sprofondare sul morbido materasso e lo stesso fece Justin poco dopo, affiancandola. Fissarono entrambi il bianco soffitto per una manciata di secondi, lasciandosi cullare dal più tranquillo dei silenzi. Wendy teneva una mano sul suo addome mentre l'altra, di fianco al suo bacino, venne afferrata dolcemente da quella del ragazzo. Non oppose resistenza e lasciò incastrare perfettamente le dita l'uno con l'altra. 
"Non è nelle mie priorità ora come ora" ammise , cercando si autoconvincere prima sé stessa.
Il college era sempre stata una priorità, sia per lei che per il padre e proprio quest'ultimo, le ripeteva di continuo che anche la madre sarebbe stata fiera di vederla proseguire con gli studi, ma negli ultimi anni le cose erano degenerate: il denaro scarseggiava, le spese parevano aumentare di mese in mese e in più c'era di mezzo la malattia di Harry. Non avrebbe mai lasciato suo padre da solo, soprattutto in tali condizioni. Per quanto desiderasse ardentemente iscriversi al college, purtroppo era stata costretta a ripensarci già mesi e mesi prima. Aveva cercato di farsene una ragione, per quanto difficile potesse essere. 
"Perché menti?" domandò roteando il volto in direzione di Wendy la quale rimase immobile con lo sguardo fisso su un punto ben preciso del soffitto.
"Tu perché non hai continuato?" ribatté Wendy.
Justin si prese qualche secondo per pensarci, poi si decise a concedere una risposta concreata alla domanda della ragazza.
"Non ne ho mai parlato con i miei. A dire il vero, non ci ho proprio mai pensato" iniziò pensieroso.
Forse, proprio in quell'attimo, qualcosa cambiò nella mente del ragazzo; l'idea di intraprendere un nuovo viaggio in un college, qualunque esso fosse, dovette colpirlo a tal punto che rimase a bocca asciutta per molto tempo, disteso sulle profumate lenzuola. Wendy capì che per quanto l'idea di continuare gli studi aveva colpito come un fulmine a ciel sereno rare volte il ragazzo, quest'ultimo non si era mai soffermato a riflettere attentamente sulle sue possibilità. Economicamente avrebbe potuto permettersi il college più prestigioso dell'intera America, allora perché non ne aveva mai fatto parola con i genitori? Non era affatto un ragazzo svogliato e spesse volte glielo aveva dimostrato.
"La verità è che non ne ho bisogno, so già cosa farò e chi sarò in futuro" concluse alzandosi con il busto e tirando con sé Wendy che ritrasse la mano, incredula.
"Sai già chi sarai?" le fece eco. "Sono soddisfazioni personali, Justin" borbottò cercando di far ragionare il ragazzo.
L'appagamento che si prova nell'aver raggiunto con le proprie forze un traguardo in grado di cambiarti la vita, di questo stava parlando Wendy, ma forse non era in grado di vedere al di la del suo naso. Justin aveva tutto quello che lei non avrebbe mai potuto avere, ogni ricchezza e possibilità: a cosa gli serviva esattamente un pezzo di carta, essendo il figlio di un noto milionario? Il ragazzo non aveva tutti i torti.
"Le mie soddisfazioni personali sono ben altre" disse irritato.
Wendy capì di aver colpito un tassello fin troppo sensibile e cercò di rimediare: si avvicinò a Justin e si accucciò sulla sua spalla socchiudendo gli occhi e accerchiando il suo busto. Justin si strinse a lei, sentendosi stranamente protetto tra le braccia della sua amata. Non avrebbero potuto desiderare di meglio in quel momento.
La giovane aveva capito che i rapporti di Justin con i genitori non erano dei migliori, soprattutto con Jeremy. Lo aveva intuito la sera del ricevimento, quando il ragazzo le aveva stretto la mano talmente forte da rischiare di romperle le ossa. Però, non gli aveva mai chiesto il perché: aveva preferito in quelle settimane non farne parola e soprattutto, non autoinvitarsi mai, neanche una volta a casa Bieber. Sentiva di non andare a genio al padre: sarà stato lo sguardo che di dolce e amichevole aveva poco e niente, quello che le aveva rivolto quella stessa sera, ma Wendy aveva deciso di non avere a che fare con quella casa per ancora molto tempo. Non sapeva neanche se Justin lo aveva detto alla madre, di loro due; in fondo Pattie pareva davvero una donna amichevole e cordiale e le stava anche simpatica. 
"Quali?" sussurrò Wendy.
Justin ispirò a pieni polmoni e rilassò i muscoli, lasciandosi trasportare dal caldo respiro della giovane che picchiava sul suo collo. 
"Mi fa schifo tutto ciò che riguarda l'azienda di mio padre. Mi fanno schifo gli affari, le giornate passate dietro ad una scrivania, i vestiti eleganti e i capelli sempre in perfetto ordine" sputò velocemente, come per liberarsi finalmente di un peso tenutosi per troppo tempo dentro.
Dopo l'ultima affermazione, Justin afferrò con ambedue le mani i suoi capelli e li scompigliò. Wendy, vedendolo in difficoltà, iniziò a lasciargli piccoli baci sul collo, tanto lenti e dolci che gemette un paio di volte.
"Io non voglio diventare come lui. Non fa per me quella vita" 
"Diglielo" lo interruppe lei.
Justin sorrise, come se avesse appena ascoltato una barzelletta e si concentrò sulle sue mani, torturando le dita.
"Lo avrei già fatto se fosse possibile" sussurrò, come per non farsi sentire.
Wendy aveva capito che a Justin non andava a genio mostrarsi debole, ma purtroppo il padre aveva questo effetto negativo nei suoi confronti: si sentiva oppresso da quell'uomo, una marionetta da manovrare, un codardo. Non era di certo una personalità fragile la sua, eppure non si riusciva a spiegare questo suo sentirsi inferiori nei confronti di Jeremy, talmente tanto da non riuscire a trovare le parole adatte per ogni domanda che gli veniva posta. 
"Perché non ci provi? Non puoi continuare a fingere di essere felice. Hai venti anni Justin, non sei più un bambino"
"So di essere abbastanza maturo per affrontare i miei genitori, grazie per il promemoria" proseguì Justin con il suo discorso colmo di rabbia e collera.
"Sto solo cercando di aiutarti. Non credo di aver detto nulla di sbagliato, anzi" si alzò di scatto Wendy sentendo l'ira salire alle stelle.
Si diresse a falcate verso la porta ed uscì, seguita a ruota da Justin che cercò di fermarla ma non ci riuscì. Harry, dalla finestra della cucina, seguì con la coda dell'occhio i due ragazzi prima oltrepassare il portico e successivamente avvicinarsi alla costosa macchina di lui.
Cercò di richiamare l'attenzione della giovane ma quest'ultimo si voltò di scatto, a braccia conserte.
"Credo sia arrivato il momento di andare" sentenziò quest'ultima, indicando la quattro ruote al suo fianco.
Justin passò lentamente una mano tra i capelli e tirò sulle punte, maledicendosi mentalmente. Non avrebbe dovuto dire quelle cose, alla fin fine Wendy stava soltanto cercando di dire la cosa giusta al momento giusto. 
"Mi dispiace, piccola" si avvicinò cautamente alla figura della ragazza.
Quest'ultima, evidentemente irritata, indietreggiò. Harry Casey sbucò fuori dalla porta lasciata spalancata precedentemente e richiamò l'attenzione di entrambi, soprattutto quella di Justin.
"Io vado a dormire" annunciò con un tono di voce altezzoso. 
Wendy sapeva che in realtà il padre non sarebbe andato a dormire. Harry Casey era un uomo molto protettivo, tanto che quella sera riuscì a capire che qualcosa non andava tra i due e, con una scusa all'ultimo minuto, si precipitò fuori l'abitazione. Wendy lo rassicurò con un sorriso e Justin lo salutò, ringraziandolo nuovamente per l'ospitalità. A passo lento, fidandosi di sua figlia, rincasò chiudendosi la porta alle spalle un attimo dopo aver annuito, senza farsi notare dal giovane.
Justin continuava a guardare dritto negli occhi Wendy, cercando di tenere la situazione sotto controllo. La ragazza d'altro canto sapeva benissimo che avrebbe ceduto a quello sguardo dispiaciuto, e così fu non appena il biondo si avvicinò e l'attirò a sé, avvolgendo la sua figura con le possenti braccia. Wendy si accucciò sul petto del ragazzo e si lasciò trasportare dai battiti del suo cuore, si strinse a lui il più possibile e socchiuse gli occhi. Justin le accarezzò il capo, i morbidi capelli e li baciò dolcemente. Rimasero l'uno nelle braccia dell'altra per interi minuti, senza la necessità di proferire parola. Si lasciarono cullare dal silenzio. 
Quella, altro non fu che una delle tante serate dell'indimenticabile estate del 1950. Pauline tornò a New York una settimana dopo e Wendy, entusiasta, le raccontò tutto nei minimi dettagli. I giorni trascorsero talmente velocemente da non rendersene conto: le notti al chiar di luna Wendy non le avrebbe mai dimenticate, le serate al cinema, i pomeriggi trascorsi al parco gustando un gelato o una bibita fresca. Jeremy Bieber e Patte Malette continuavano ad essere allo scuro di tutto ma questo, a Wendy, non importava. Tutto quello che desiderava era trascorrere del tempo insieme a Justin e sentirsi finalmente amata. Perché Wendy e Justin quell'estate si amarono molto, più di quanto possiate immaginare. Fu un estate a dir poco meravigliosa, magica in un certo senso. Wendy avrebbe ricordato ogni abbraccio, ogni dolce bacio, ogni sussurro, ogni piccolo dono. Gli anni e il lungo andare non avrebbero mai cancellato alcuna traccia di quei giorni; quando una mattina di fine luglio si svegliò con affianco Justin che le accarezzava dolcemente i capelli o quando la notte di S.Lorenzo, sotto un manto di stelle, si dichiararono amore eterno. 
Un po' sciocco se si pensa che la piccola Wendy, a quel tempo, aveva soltanto diciassette anni. Eppure, nonostante la giovane età, sentiva di amare Justin talmente tanto da desiderare di trascorrere il resto dei suoi giorni in sua compagnia. Per Justin in un certo senso era lo stesso: la sincerità che trasparì quella notte nei suoi occhi, sarebbe rimasta impressa nella mente di Wendy, per sempre. Si dichiararono amore eterno perché era quello che più desideravano e quello di cui sentivano la necessità. Nessuno avrebbe lasciato l'altro, per nessuna ragione al mondo. 
Ma se in quell'anno la fortuna e la buona sorte erano rimaste al fianco di Wendy per molto tempo, le cose presto sarebbero cambiate. Si sa, la vita è continuo girovagare, una ruota che, da dove è partita, prima o poi torna. Harry Casey pareva finalmente aver messo da parte l'orgoglio e nulla sarebbe potuto andare meglio in quel momento, soprattutto se si prende in considerazione il fatto che il padre sembrava stare molto meglio, nonostante la malattia autoimmune. Il 1950 fu un anno d'oro, Wendy era felice, Justin altrettanto, nessuno avrebbe potuto distruggere tale felicità...ancora per poco.

 

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Capitolo 11
*** Chicago ***





Chicago
 

New York, 

22 gennaio 1951

I fiocchi scendevano silenziosi sulla città, comprendo tutto ciò che era visibile agli occhi di Wendy; i tetti innevati delle case erano uno spettacolo da mozzare il fiato, per non parlare degli alberi spogli e i piccoli giardini di ogni abitazione che erano oramai lastre bianche. Ad ogni passo, la ragazza rischiava di perdere l'equilibrio sentendo il piede affondare nella neve di almeno una decina di centimetri. Il primo mese dell'anno nuovo era ormai agli sgoccioli e mancava poco più di una settimana al diciottesimo compleanno di Wendy. Mai come quell'anno era tanto entusiasta di aggiungere una candelina sulla torta: avrebbe festeggiato insieme alle persone che più amava, dal padre a Justin, da Pauline e addirittura il signor Larry con il quale nell'ultimo mese aveva stretto un rapporto assai curioso. 
Ventidue giorni erano trascorsi da una delle notti più indimenticabili della sua vita: il miglior capodanno era stato proprio quello del '50. Tutto fu assolutamente come lo aveva immaginato, dallo scoccare della mezzanotte, alla bottiglia di champagne bevuta in meno di dieci minuti in compagnia di Justin, Pauline e Sebastian. Quella notte se ne restarono tutti e quattro a dormire sotto il portico di casa Casey. Harry aveva addirittura acconsentito a lasciarli divertire da soli, controvoglia di Wendy che lo avrebbe voluto tanto al suo fianco. Non avrebbe mai scordato la ramanzina che il giorno seguente dovette subirsi dall'uomo che nello svegliarsi all'alba, si ritrovò inerme davanti ad una scena buffissima. Ciononostante Wendy non si pentì di aver trascorso la notte precedente nel migliore nei modi, divertendosi come era giusto che fosse e facendo ciò che più si era sentita di fare.
Ventidue giorni dopo si sarebbe disputato il primo incontro di boxe dell'anno, uno dei più importanti, come lo considerava Justin. Wendy stringeva il lungo cappotto intorno alla sua figura e ad ogni sospiro, una nuvoletta fuoriusciva dalle sue crespe labbra. Il piccolo palazzetto non era poi così lontano rispetto all'altro o nel quale si erano disputati i precedenti incontri che lo avevano visto vincere ogni volta, quello dove si incontrarono per la prima volta. Un po' di amaro in bocca era rimasto purtroppo, sapendo che per questioni di sicurezza dovute al mal tempo, le successive gare si sarebbero tenute nella piccola palestra a pochi isolati da casa di Wendy. Per quanto agevolata fosse, la ragazza odiava non poter mettere più piede nel luogo in cui tutto ebbe inizio circa sette mesi prima. 
Continuava a camminare a grandi falcate sorreggendo l'ombrello con la mano destra mentre l'altra era immersa nella calda tasca del cappotto. Una lunga fila di automobili affiancava il marciapiede che dava sul palazzetto e grazie al lavoro degli spazzaneve, le vie erano perfettamente pulite, non un solo cumulo di neve. Entrò frettolosa all'interno della struttura e una calda ventata la invase tutta, sovrastando il gelo. Chiuse l'ombrello e  sbottonò uno ad uno i bottoni del pesante indumento, si incamminò verso gli spogliatoi notando con suo immenso piacere che gli spalti erano già abbastanza colmi di spettatori, mentre una lunga scia di impronte dovuta dalle scarpe zuppe seguiva la sua figura, venne richiamata all'attenzione da Justin che, proprio sotto il ring, non si era reso conto della presenza della giovane.
Accelerò il passo per accoglierlo con un caloroso abbraccio ma qualcosa nel suo sguardo, soprattutto in quello di Sebastian, il quale era intento a conversare con Bieber, la fece rallentare e avvicinare cautamente. C'era qualcosa che non andava, glielo si leggeva negli occhi. Gesticolava, sembrava avere il respiro affaticato e la vena sul collo era più rilevante del solito. Quando fu abbastanza vicina per origliare, Sebastian spostò lo sguardo sulla sua figura e lei si ritrasse automaticamente, sperando che non si fosse reso conto che si stava praticamente facendo gli affari loro.
Sebastian la salutò con un sorriso a trentadue denti e Justin si voltò di scatto, facendo segno all'amico di andare. Wendy ricambiò il saluto del ragazzo che non tardò di un secondo a lasciarli soli, scomparendo negli spogliatoi. Prima ancora che Wendy potesse aprire bocca, Justin si avvicinò con uno scatto felino e le afferrò il volto con ambedue le mani, stampandole un dolce e casto bacio sulle labbra.
"Mi sei mancata" sussurrò sopra di esse, facendo socchiudere gli occhi di Wendy. Il caldo respiro sulla sua pelle la fece rabbrividire e quelle labbra, Dio quanto le erano mancate.
"Anche tu" disse, lasciandosi andare tra le sue braccia. 
Justin era a torso nudo, indossava un paio di pantaloncini ma non le importò più di tanto. Si buttò tra le sue braccia, mentre le mani di lui già fasciate erano intente ad accarezzare i profumati capelli di lei. Le baciò la testa e si staccarono solo quando qualcuno richiamò con voce squillante Justin dagli spalti; un paio di ragazzi gli augurarono buona fortuna e lui li ringraziò, sempre gentile e cortese com'era.
Bieber afferrò la mano di Wendy successivamente e quest'ultima si lasciò trasportare dal giovane su uno degli spalti vuoti; si sedettero, lei accavallando le gambe e posando l'ombrello alla sua destra mentre Justin, a testa bassa, era intento a stringere le bende. Qualcosa non andava sul serio: non le aveva sorriso neanche una misera volta e non era di certo da lui. Wendy raccolse il poco coraggio che le era rimasto e si decise a farsi avanti, volendo a tutti i costi andare a fondo alla questione.
"C'è qualcosa che devi dirmi?" domandò scrutandosi attorno e notando che quell'ala della struttura era praticamente vuota.
Constatò in quel momento che in confronto al precedente, quel palazzetto era di gran lunga molto più ampio e con una capienza maggiore. Se non si fossero venduti tutti i biglietti comunque sarebbe stato un gran traguardo per Justin e questo la rendeva così fiera del suo campione. Si concentrò nuovamente su Justin dopo averlo sentito sbuffare e risultò piuttosto nervoso, facendo spazientire ancora di più Wendy.
"In realtà sì" 
"Non farmi preoccupare, Justin. Dimmi tutto" disse prontamente Wendy, stringendo in una mano un lembo della sua lunga gonna.
Il giovane si voltò verso la ragazza e incastrò le sue iridi caramellate in quelle di quest'ultima, sperando che qualsiasi cosa avesse detto, non si sarebbe alzata ma al contrario, sarebbe rimasta di fianco a lui. Wendy non capiva, più cercava di percepire qualcosa in quello sguardo e più le risultava difficile comprendere.
"Starò via per un po' di tempo" ammise bagnando le labbra secche.
Wendy inarcò un sopracciglio: non era stato molto specifico così con un cenno di capo gli fece segno di essere più chiaro e di proseguire.
"Mio padre ha delle importanti riunioni le prossime settimane e vuole che io vada con lui" 
Wendy continuò a non capire.
"E allora? L'ufficio di tuo padre non dista poi così tanto, dov'è il problema?" chiese sorridente. 
Justin scosse il capo arruffando i capelli come era solito fare nei momento di disagio e afferrò le mani di Wendy la quale ebbe un sussulto, presa alla sprovvista.
"Tu non capisci. È a Chicago che si terranno le riunioni, dovrò partire dopodomani"
Come un terremoto, la terra crollò ai piedi di Wendy. Justin aveva parlato di settimane, troppo per i suoi gusti. Cercò di fare mente locale, magari aveva soltanto capito male ma le parole di Justin erano state ben chiare e nitide. 
"Chicago?" chiese stordita la ragazza, stringendo a sua volta le mani di Justin.
"Chicago" gli fece da eco lui. "Non so per quanto tempo, forse giorni o settimane. Spero non mesi" aggiunse evidentemente preoccupato. 
E se si fosse trattato di mesi? Addio alla speranza di trascorrere il miglior compleanno della sua vita in sua compagnia. Ma cosa ancor più insopportabile, sarebbe stata la lontananza che li avrebbe divisi per troppo tempo. Avrebbe così tanto voluto tranquillizzarlo, che in fondo qualche giorno sarebbe passato alla svelta ma in cuor suo sapeva che così non sarebbe stato: quella settimana avevano avuto l'occasione di incontrarsi soltanto due volte e ne avevano risentito entrambi, soprattutto la ragazza. Cosa sarebbe successo se al posto di qualche giorno, Justin sarebbe stato via addirittura mesi interi?
"Perché non me lo hai detto prima?" domandò con voce strozzata.
Non erano di certo queste le parole che avrebbe voluto pronunciare ma sentiva la necessità di capire il perché. 
"L'ho saputo solo oggi" si giustificò e questo fece rincuorare Wendy. 
Wendy annuì debolmente, abbassando lo sguardo. Riflettette sul da farsi e quando si rese conto che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l'ultima serata che avrebbero trascorso insieme, si costrinse a sorridere e a scattare in piedi, trascinando con sé il ragazzo. Justin in primo momento rimase a bocca asciutta nell'ammirare tanta positività da parte della giovane, ma alla fine anche egli capì che piangersi addosso sarebbe servito poco e niente; tanto valeva la pena godersi le ultime ore insieme al massimo.
"Hai un incontro da vincere" disse lei. "E non so se te sei reso conto, ma qui è praticamente pieno" concluse, indicando gli spalti circostanti.
In quel quarto d'ora passato a discutere, nessuno dei due si rese conto che effettivamente, ogni singola sedia o gradino era occupato da uno spettatore. La struttura era satura, talmente tanto che Justin non riuscì a credere ai propri occhi, diventati lucidi nell'ammirare tanta devozione da parte del pubblico per un qualcosa, una passione che amava con tutto sé stesso.
"È meraviglioso" commentò il ragazzo voltandosi verso Wendy, lei gli saltò al collo stampandogli un bacio sulle labbra e successivamente, mano nella mano, si diressero verso gli spogliatoi.
Le ore trascorsero velocemente e ormai le grida di chi era stanco di attendere erano ben udibili a tutti, soprattutto a Justin che sentiva la tensione salire alle stelle. Continuava a camminare avanti e indietro ripetendosi di vincere a tutti i costi, di dovercela fare mentre Wendy, di canto suo, se ne stava seduta su una delle panchine lasciandolo alle sue paranoie. Se c'era una cosa che aveva imparato, era sicuramente che in tali momento, la cosa migliore era restarsene in silenzio e lasciarlo sfogare. Quando il presentatore ufficiale della serata annunciò il benvenuto a tutti coloro che erano stati tanto gentili da seguire l'incontro, un boato si elevò nella stanza affianco. Justin si voltò di scatto verso Wendy e lei gli sorrise, rassicurandolo. 
Fischi e cori riecheggiavano all'interno della struttura facendo rizzare le orecchie della ragazza e probabilmente, facendo rabbrividire Bieber che si bloccò di punto in bianco. In quel momento Wendy capì che quello sarebbe stato sicuramente uno degli incontri più importanti della stagione visto che non lo aveva mai visto con ansioso. 
"Andrà tutto bene" esitò lei.
"Lo spero" rispose lui, indossando i guantoni.
Da quel momento in poi non si rivolsero più parola: Wendy uscì dagli spogliatoi prima ancora che Justin e l'avversario facessero capolinea sul ring. Le era sempre stato riservato un posto a sedere da Sebastian così, scrutando per bene nella folla, notò un piccolo spazio vuoto proprio accanto a Sebastian che continuava a battere le mani e ad urlare il nome di Justin. Non lo aveva mai visto indossare un qualcosa di diverso da una giacca di pelle nera e una maglietta bianca, i capelli sempre pieni di gel e una sigaretta sull'orecchio. Wendy adorava il suo stile.
"Come sta?" domandò il ragazzo non appena Wendy si accomodò, sospirando.
"È molto in ansia, spero non si faccia prendere dal panico" commentò. 
Sebastian risultò piuttosto preoccupato e si zittì, attendendo l'arrivo dell'amico. Il presentatore, un uomo molto giovane, non tardò ad annunciare i due pugili che salirono affiancati dai loro coach. Sebastian saltò sull'attenti urlando a squarcia gola il nome dell'amico che salutò la folla mentre Wendy, stranamente, non riuscì a muovere un muscolo. 
Incrociò le dita e strizzò gli occhi quando il suono del gong annunciò l'inizio dell'incontro. Justin era abile, come sempre d'altronde: era bravo a schivare, era bravo ad attaccare e ad ogni suo movimento Wendy si chiedeva: cosa sarebbe successo se i suoi genitori sarebbero venuti a saperlo? Sarebbero stati fieri di loro figlio? Perché lei lo era, tantissimo. Era fiero di quel ragazzo come mai nessuno prima d'ora. Non era solita a dirglielo spesso ma quella sera si rese conto di quanto era riuscito nel suo piccolo a realizzare per metà il suo più grandi sogno. Wendy sapeva che per Justin era già una vittoria combattere su un ring del genere, con centinaia di persone pronte a sostenerlo. 
Erano trascorsi  soltanto sette mesi eppure i cambiamenti erano visibili: i suoi miglioramenti nel gioco ma soprattutto non era difficile notare la grinta e la voglia che ci metteva, senza chiedere niente in cambio. Era lui che trascorreva tutti i pomeriggi chiuso in una palestra ad allenarsi e con il terrore di essere scoperto dai proprio genitori. Era sempre quel ragazzo su quel ring che se ne tornava a casa con un occhio nero o con lividi enormi sparsi si tutto il corpo ed era sempre quel ragazzo che aveva deciso, di sua spontanea volontà, di condividere quella passione con Wendy.
Quest'ultima si sentiva onorata: le aveva confidato così tante volte che un giorno sarebbe diventato un grande, un pugile conosciuto, un esempio per molte persone. Le aveva promesso che avrebbero girato il mondo intero insieme e ci aveva creduto perché sapeva che un giorno tutto ciò sarebbe diventato realtà. Confidava in lui.
Justin continuava a schivare pugni e calci, a colpire l'avversario con tanta di quella semplicità che Wendy saltò in piedi applaudendo e unendosi al coro di Sebastian. Tutti sugli spalti stavano urlando il suo nome, tutti continuavano a gridare di darci dentro e quelle voci altro non erano che pura energia per Justin. 
Ma se il primo tempo si concluse nei migliore dei modo per il ragazzo, il secondo purtroppo non fu così. Si resero conto tutti della difficoltà con la quale purtroppo Justin era intento a colpire l'avversario con con destrezza schivava tutti i singoli colpi.
"Che bastardo. Avrei dovuto immaginarlo" commentò Sebastian, sedendosi.
"Cosa?" chiese Wendy alzando di poco la voce per contrastare le grida altrui.
"Justin avrebbe dovuto capirlo. Il suo avversario è uno dei più temuti in questa stagione...ovviamente prima stava solo...fingendo" tirò un pugno sulle sue ginocchia.
"In che senso?"
"Justin si è solo affaticato, mentre quel bastardo se la rideva sotto i baffi fingendosi in difficoltà. Sarà difficile adesso per Justin riacquistare le forze" concluse voltandosi verso la ragazza che a sua volta, tornò a fissare Justin.
In quell'istante il biondo cadde a terra inerme, immobile, ad occhi socchiusi. Wendy scattò in piedi urlando il suo nome: le grida diminuirono, i fischi aumentarono e l'arbitro fermò l'avversario che era già pronto per colpire la figura di Justin. I capelli bagnati ricadevano sul suo viso rosso e troppo sangue colava dalla sua tempia.
Wendy mollò la presa di Sebastian che la afferrò per un attimo ad un polso e si precipitò alla fine degli spalti, sotto il ring. Venne bloccata da due guardie, due bestioni che non avrebbe mai superato se non fosse stato per il coach di Justin, Oliver Crowely, che diede il permesso a Wendy di avvicinarsi ulteriormente.
L'arbitro scosse la figura di Justin ma quest'ultimo non dava segni di vita. A Wendy iniziarono a tremare le gambe, le mani e le labbra. Il cuore perse un battito, gli occhi si inumidirono e la voce che fino ad allora era rimasta come intrappolata giù, in fondo alla sua gola, fuoriuscì squillante.
"Justin!" gridò a pieni polmoni portando successivamente due mani davanti alle labbra. "Oliver che succede?" domandò all'uomo, con voce tremante. "Oliver!" richiamò nuovamente la sua attenzione  che si avvicinò a Justin, scansando l'arbitro.
"Campione, vedi di svegliarti" disse Crowely, continuando a scuotere la figura di Justin ma nulla da fare. 
Wendy respirò faticosamente e scoppiò a piangere: la figura dell'amore della sua vita, distesa sul ring e Oliver, l'uomo che l'aveva preparato per affrontare uno degli incontri più duri, divenne poco a poco meno limpida. Le lacrime fuoriuscirono velocemente, tanto da bagnare in un batter d'occhio l'intero volto della ragazza.
"Chiamate un'ambulanza!" urlò. "Cosa fate lì impalati? Chiamate un'ambulanza!" urlò contro il presentatore che con mani tremanti, afferrò il cellulare da dentro la tasca dei suoi pantaloni.
Poco dopo venne annullato l'intero evento e molti, insoddisfatti, abbandonarono la struttura. Chi mandava a quel paese gli organizzatori e chi invece, molto preoccupato, era intento a scrutare Justin ancora disteso sul ring.
Wendy salì su quest'ultimo seguita a ruota da Sebastian che tirava i capelli bruscamente, imprecando. Non dando peso alle pesanti parole del ragazzo, Wendy sfilò via un guantone a Justin nonostante la vista offuscata dalle lacrime. Qualcuno le afferrò l'esile polso notando che a causa del tremolio, non era riuscita neanche a slacciare il laccio dell'altro guanto. 
"Sta calma" disse fermamente Oliver, pareva un ordine.
Aveva ragione, avrebbe dovuto calmarsi ma Justin era disteso di fianco a lei e una pozza di sangue continuava ad espandersi a macchia d'olio sotto la sua nuca. Si avvicinò al suo volto e lo chiamò, ancora e ancora ma nulla da fare. Mai come quella volta si pentì di averlo rassicurato negli spogliatoi, perché non era andato affatto bene, perché continuava a non rispondere e quel silenzio, la stava lacerando lentamente.




 

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Capitolo 12
*** Paura di perdersi ***





Paura Di Perdersi

 

L'aria era pesante in quella stanza di ospedale; le pareti bianche e le tende socchiuse del medesimo colore bruciavano alla vista di Wendy. Stava odiando il tintinnio continuo della macchina che affiancava il letto dove Justin riposava da ormai due ore. La testa fasciata, le nocche rossastre, un occhio nero e il respiro, per fortuna, regolare. Seguiva il ritmo del torace del ragazzo che si innalzava e poi abbassava incessantemente, avvolta nel silenzio più totale. Non un sussurro, non un mormorio: Justin dormiva beatamente, ignaro di ciò che gli era successo.
Di tanto in tanto Wendy si avvicinava con la poltrona sempre di più al materasso, come se non le bastasse mai. Scansava le ciocche di capelli dorate del giovane che gli ricadevano dolcemente sul viso e gli accarezzava il dorso della mano scoperta. La stringeva, incastrava perfettamente le dita l'uno nella mano dell'altra e lo richiamava dolcemente, pregandolo di svegliarsi.
Il medico le aveva parlato di una commozione celebrale, nulla di tanto pericoloso. Nessuna frattura ossea era stata rilevata e questo rincuorò molto Wendy, la quale decise di restargli accanto per tutto il tempo necessario.
La quiete che la faceva da padrone all'interno delle quattro mura venne spazzata via da un tonfo: qualcuno aprì talmente bruscamente la porta che Wendy sobbalzò. Fece per voltarsi, maledicendo chiunque fosse stato ma ritrasse ogni parola quando Larry le si presentò davanti, estremamente preoccupato.
"Mi sono precipitato appena ho saputo. Ho chiuso il locale e..." si bloccò, spostando lo sguardo sulla figura del giovane. "Santo Dio..." sussurrò, prendendo un grande respiro.
"Lo so" commentò prorompente Wendy.
La ragazza non ebbe la forza di alzarsi da quella poltrona, sentiva le gambe flebili e la testa scoppiare. Era stanca e affaticata, sia mentalmente che psicologicamente. Le lacrime si erano poco a poco placate e le guance erano raggrinzite, la vena alla tempia pulsava con prestante forza, talmente tanto che avrebbe voluto solamente chiudere definitivamente gli occhi e riposare, nonostante fossero trascorse nient'altro che due ore.
Larry, gentilmente, posò una mano sulla spalla di Wendy, accarezzò quel punto preciso senza proferire parola, cercando nel suo piccolo di darle quanta più forza possibile e necessaria. Larry teneva a Justin, molto più di quanto si possa credere: in un certo senso lo aveva visto crescere di fianco al suo unico figlio e sapeva che, tanto quanto non era una passeggiata dover sopportare uno spettacolo così straziante per lei, non lo era neanche per lui.
Wendy tirò su con il naso sentendo una morsa dritta nello stomaco e cercò di ritrarre le lacrime che minacciavano di solcarle nuovamente le guance. Ne aveva avuto abbastanza di piangere e disperarsi.
"Sebastian?"
A Wendy si mozzò il respiro nell'udire la domanda che le era stata posta con voce ferma. Non avrebbe di certo potuto mentire a Larry, qualunque fossero state le conseguenze. Per nessuna ragione al monto gli avrebbe mentito perché meritava più di tutti sapere dove si era recato il figlio circa venti minuti prima.
La giovane passò il dorso della mano su una guancia, asciugando la singola goccia che era scesa tanto velocemente da non rendersene conto.
"È a casa di Justin" rispose frettolosamente.
Larry lanciò un'occhiata a Wendy che sedeva a testa bassa, tanto che dovette chinarsi per guardare dritto negli occhi la ragazza. Cercò di dire qualcosa ma poi si bloccò, probabilmente sperando di non dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
"Sai che ci saranno delle conseguenze, vero?" osservò lui.
Wendy annuì debolmente cercando di non farsi prendere dal panico: aveva fatto ciò che più si era sentita in dovere di fare. I genitori di Justin avevano il diritto di sapere cosa era successo al loro unico figlio, perché fosse ridotto in tali condizioni e perché fosse disteso su un letto di ospedale. In un certo senso si sentiva in colpa perché sapeva di non aver fatto il possibile, insistendo giorno dopo giorno per far si che Justin si decidesse una volta per tutte a farne parola con i genitori. Un senso di colpa la stava divorando lentamente, torturandole la mente: sentiva come un macigno dritto nel petto che poco a poco la trascinava giù, sempre più a fondo.
"Era inevitabile questa volta, Larry. Spero possa capirmi" disse singhiozzando, rivolgendo lo sguardo verso Justin.
L'uomo si sedette sull'angolo del materasso cercando di non recare alcun disturbo al ragazzo che tanto non si sarebbe svegliato molto facilmente. Guardò anch'egli Justin, concentrandosi sull'occhio interamente nero, sulle labbra tagliate nel mezzo, sugli zigomi gonfi. Era un vero e proprio supplizio starsene lì, inermi, senza poter far nulla.
"Non è di lui che mi preoccupo...so che capirà" ammise. "Justin non ha mai avuto un rapporto...diciamo...facile con i suoi"
Wendy notò le labbra dell'uomo tremare leggermente, che da quando lo conosceva non lo aveva mai, neanche una volta, visto così vulnerabile. Eppure ne erano trascorse di settimane in sua compagnia, ma proprio come un libro aperto che si rispetti, ogni giorni era una scoperta nuova. Larry lo era di sicuro e in un certo senso era questo che più adorava Wendy del suo essere: si trovava a suo agio in sua compagnia perché ogni giorno era un'avventura, un divertirsi continuo. Peccato che in quel momento tutto parve tranne che spassoso ascoltare quella voce rotta dalla paura e dal dolore nel vedere un amico, un secondo figlio, ridotto in tali condizioni.
"Me ne ha sempre parlato e non ha mai smesso di soffrire per questo. Non ha avuto un padre presente, al contrario di Pattie che nel suo piccolo ha cercato di restargli sempre accanto, ma non abbastanza. Jeremy ha sempre preteso fin troppo da lui...in un certo senso ha sentito quasi la necessità di iniziare a boxare. Aveva bisogno di svagarsi, poi però il semplice hobby della domenica pomeriggio si è trasformato in una vera è propria passione, quasi un tormento...capisci cosa intendo..." si bloccò, riprendere fiato. "E allora ha messo da parte tutto: il rancore nei confronti del padre, lo studio...ma non è mai riuscito a farne parola con i suoi genitori. So che lui vorrebbe tanto vederli seduti sugli spalti pronti a fare il tifo per lui, ma sa meglio di chiunque altro..." si voltò nuovamente verso Justin, mentre Wendy decise di non trattenersi più dallo scoppiare a piangere. "Che non accadrà mai perché non è quello che Jeremy vuole per suo figlio. Justin ha semplicemente cercato di riscrivere il suo futuro e ciò che gli spetta una volta che sarà costretto a mettere da parte i sogni, pur sapendo che non ci sarebbe mai riuscito"
La ragazza rimase a bocca asciutta nell'udire quelle parole. Leggeva negli occhi di Larry la fierezza, la contentezza nell'essere sempre rimasto di fianco a Justin anche nei momenti più critici, come quello. Non si era mai concentrata del tutto su ciò che potesse realmente significare la boxe per Justin: fino a qualche ora fa era certa che quello sport, altro non era che una semplice passione per il ragazzo e invece, dopo quello sfogo da parte dell'uomo, tutto acquistò un senso. Justin aveva riscontrato nella boxe il modo di poter fuggire anche se per poco tempo dai suoi doveri di figlio perfetto. Si rese conto che in ogni calcio, in ogni pugno dati su quel ring erano racchiusi la rabbia e il tormento che non era in grado di manifestare in nessun altro modo, se non dando tutto sé stesso, a costo di trovarsi privo di sensi in un ospedale. E le vittorie, quelle sudate, non rappresentavano solamente dei semplici punti in più per scalare la classifica, ma piuttosto delle vittorie personali. Metaforicamente, ogni vincita rappresentava a pieno la sua vittoria nei confronti di una vita che non sentiva sua e non avrebbe mai apprezzato a fondo. C'era qualcosa che andava oltre il divertimento e lo sport in sé, e quel giorno, seduta su quella poltrona, Wendy lo capì.
Si avvicinò nuovamente a Justin con la vista offuscata e il sapore delle goccioline bagnate che le bagnavano le labbra. Strinse la mano del ragazzo il più forte possibile e scoppiò letteralmente in un pianto isterico, grida e sospiri affannosi; Larry non si degnò di interrompere lo sfogo della ragazza perché era giusto che finalmente riuscisse a tirare fuori tutto ciò che si era tenuta dentro. Non era stato l'incidente, ma l'accumularsi di sette mesi trascorsi a non capire, a non comprendere il ragazzo che diceva di amare. Ed ecco che il senso di colpa aumentava, cresceva a dismisura in lei senza che potesse fermarlo.
"C-così mi fai male" sussurrò qualcuno.
Wendy alzò il capo notando gli occhi aperti di Justin, nonostante il destro gonfio. Allentò la presa sulla mano fasciata e sorrise istintivamente, continuando a piangere. Si era svegliato, dopo due ore e mezzo di agonia ce l'aveva fatta. La ragazza si chinò di scatto e gli lasciò un bacio casto sulle labbra, leggero, quasi impercepibile, pur di non recare ulteriore dolore. Le labbra avevano smesso di sanguinare ma il taglio nel mezzo era molto evidente e ancora fresco. 
Justin socchiuse gli occhi lasciandosi trasportare da quel gesto amorevole, mentre Larry scattò in piedi avvicinandosi dal lato opposto del letto.
"Hai fatto stare molto in pensiero la signorina" disse guardando la ragazza, la quale sorrise leggermente. 
Justin si voltò lentamente verso Wendy: la giovane notò lo sguardo spaesato, di chi ha capito poco e niente. Risvegliarsi in una camera d'ospedale, dopo una aver perso i sensi per molto tempo, non è mai una cosa piacevole. Quando il ragazzo cercò di alzarsi a scatti, soltanto con il busto, Wendy lo rimproverò.
"Assolutamente no. Il medico ha severamente ordinato di restartene a letto e riposare"
"Cos'è successo?" domandò sovrastando la voce di Wendy, cercando di mettere a fuoco le figure delle due persone, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra.
Larry e Wendy si scambiarono un'occhiata furtiva in silenzio, cercando i trovare le parole adatte; la ragazza cercò di dire qualcosa ma ci ripensò, al contrario di Larry che fu deciso e fermo.
"Hai preso proprio una bella botta. Il medico ha ragione, hai bisogno di riposare" 
"D'accordo" furioso, rispose Justin.
Larry si ammutolì, percependo molto probabilmente la stessa tensione che aveva colto Wendy che aleggiava nell'aria circostante, la quale diventò sempre più calda e afosa, tanto che Wendy fu costretta a distaccarsi da Justin sentendo la mano sudare.
Il medico le aveva rivelato che, una volta svegliato, avrebbe sofferto di forte emicrania, coniati di vomito o perdita della memoria -temporanea- e così, per allentare tale tensione, cercò di farsi avanti.
"Hai mal di testa?" chiese premurosamente. Justin scosse il capo. "Coniati di vomito?" e di nuovo il ragazzo negò con il capo. "Ti fischiano le orecchie?" continuò e il biondo sbuffò di malavoglia, ondeggiando il viso. Stranamente non riscontrava alcun sintomo dovuto ad una commozione celebrale e questo preoccupò molto la ragazza: e se si fossero sbagliati? Impossibile. In fondo stava bene, anche se un po' scontroso rispetto al normale, ma comunque era in salute.
Quando Wendy cercò di porre un'ulteriore domanda, la porta alle sue spalle si spalancò di scatto. Larry sbiancò in volto e Wendy non dovette voltarsi perché capì anche dallo sguardo impaurito di Justin che Jeremy Bieber, affiancato da sua moglie Pattie Malette, aveva oramai fatto irruzione nella stanza.
"Cosa diavolo è successo?" esclamò a pieni polmoni il padre, furioso. Wendy si tirò di istinto indietro non appena Justin le afferrò la mano, sgranando gli occhi.
"Non puoi averlo fatto d'avvero..." sussurrò, continuando a stringere l'arto della ragazza. 
Quest'ultima mollò la presa sentendo dolore proprio nel punto in cui Justin aveva affondato tutte e cinque le dita. Non riuscì a rispondere, a dare nessuna spiegazione a Justin perché il lamento della signora Pattie richiamò la sua attenzione; la donna sprofondò sulla poltrona di fianco al letto, portando una mano sul petto l'altra sulla fronte.
"Piccolo mio, che ti è successo?" domandò non riuscendo a trattenere le lacrime, accarezzando delicatamente il volto di suo figlio, proprio come solo una madre sa fare.
"Sto bene, mamma" cercò di tranquillizzarla senza distogliere lo sguardo dalla figura di Wendy.
La giovane era spaventata: non lo aveva mai visto così furioso e quegli occhi, sempre così dolci e capaci di trasmettere tranquillità, quelle iridi di un caldo caramello, in quel momento erano saturi di furia, collera nei confronti della ragazza che aveva semplicemente fatto ciò che era giusto che facesse. Avrebbe così tanto voluto spiegargli tutto nei minimi dettagli ma quando si avvicinò, si sentì tirare per un braccio.
"Ti ringrazio per aver aiutato mio figlio ma adesso possiamo occuparcene noi" 
Jeremy serrò la mascella e Wendy riuscì ad udire lo sfregare dei denti, rabbrividendo. Era ancor più furioso del figlio ma al contrario di Justin, quegli occhi l'aveva sempre intimorita. Portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e si voltò verso Justin, il quale strinse i pugni e non proferì parola.
Wendy si sentì definitivamente sprofondare: la stava abbandonando, stava lasciando che il padre avesse la meglio su di lei. Non riuscì a credere ai suoi occhi che poco a poco divennero lucidi ma si costrinse a non piangere di fronte a quell'uomo tanto crudele. Justin, non riuscendo a sostenere lo sguardo ferito di Wendy, si voltò verso Larry e quest'ultimo scosse il capo, probabilmente deluso dal comportamento inopportuno del ragazzo che aveva sempre ammirato e sostenuto. 
La giovane annuì debolmente non riuscendo a parlare; era come se la voce l'avesse abbandonata. Quando si girò un'ultima volta per incastrare i suoi occhi in quelli di Justin, lui non si degnò di ricambiare. Larry la affiancò senza salutare nessuno nella stanza ed uscirono insieme, chiudendosi la porta alle spalle.
"È solo furioso, gli passerà" cercò di giustificare il comportamento di Justin ma fu tutto inutile.
L'aveva tremendamente delusa, non se lo sarebbe mai aspettato. Perché non era stato in grado di capire che aveva avvertito i suoi genitori solo ed esclusivamente per il suo bene? Cos'altro avrebbe dovuto fare? Non sarebbe tornato di certo a casa quella stessa sera, cosa avrebbero pensato Jeremy e Pattie? Disperso, il loro unico figlio volatilizzato nel nulla e non è di certo la notizia che ogni genitore vuole sentirsi dire. Lo aveva fatto con le più buone intenzioni, eppure Justin non era stato in grado di capirla. Si sentiva ferita, umiliata dal ragazzo che amava o che, in quel momento, credeva di amare.
Non trattenne le lacrime e si lasciò coccolare da Larry che le accarezzò dolcemente i capelli e per un attimo, immaginò suo padre Harry lì di fianco. 
"Non piangere..." disse ondeggiando, premendo l'esile figura di lei sempre di più contro il suo petto.
Wendy nascose il viso nella profumata maglietta dell'uomo, sperando di non bagnarla molto. Si rese conto in quel momento di ciò che era appena accaduto e le fu inutile trattenersi dal lamentarsi e dal singhiozzare, cercando di riprendere fiato.
"Sei troppo buona per certe persone..." bisbigliò, forse sperando che Wendy non riuscisse ad udirlo ma fu tutto inutile ovattare le parole con piccoli colpi di tosse. La giovane lo aveva sentito eccome.
Non seppe se si stesse riferendo a Justin o direttamente a Jeremy -molto più probabile- ma quella sera tutto cambiò. Che sia stato per il dannato orgoglio del ragazzo o per l'inopportuno ordine del padre, tutto mutò. Inevitabilmente, da quella sera di gennaio del 1951, nulla sarebbe stato più lo stesso. Era accaduto tutto così velocemente che più Wendy ci rifletteva, più non riusciva a crederci e più sentiva mancare l'aria e la testa riempirsi di paranoie. Come un cartoccio stropicciato e poi gettato via come se nulla fosse, la ragazza abbandonò l'ospedale nella speranza di non rivederlo per ancora molto tempo.
Per quanto potesse amarlo quella volta la deluse a tal punto che dovette ricredersi sul sentimento che li aveva legati per tutti quei mesi e soprattutto, dovette ricredersi sul conto di Justin: era davvero il ragazzo coraggioso e sicuro di sé che tanto diceva di essere? A maggior ragione iniziò a guardare sotto una luce differente il loro amore che tanto pareva essere indistruttibile. In sette mesi non avevano mai discusso a tal punto di non volersi più vedere. Tutto perse di valore: dalla notte di S.Lorenzo trascorsa insieme, alle dichiarazioni di amore eterno alle serate divertenti in compagnia. Ogni carezza, ogni sguardo in quel momento parevano essere stati spazzati via, gettati in quel lasso di vita colmo di menzogne e bugie. Sta di fatto che i desideri di Wendy vennero ascoltati ed esauditi perché da quella sera, lei e Justin non si incontrarono per molto tempo; non si sarebbero più abbracciati, baciati, sussurrati di amarsi per un periodo di tempo fin troppo lungo, più di quanto possiate immaginare.

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Capitolo 13
*** Rivelazioni ***





Rivelazioni
 

New York,

1 marzo 1951
 

Trentotto giorni. 

Era trascorso più di un mese dall'ultimo incontro di Wendy e Justin e durante quell'ultimo periodo, la ragazza non aveva mai smesso di pensare a come sarebbe andata se, invece di fare di testa propria, avesse rispettato il volere di Justin.
Spesse volte, soprattutto durante quell'ultima settimana, Pauline era solita a farle visita o invitarla ad uscire, anche solo per una semplice passeggiata al parco. Wendy non ci stava; persino New York pareva non essere poi così tanto meravigliosa come l'aveva sempre considerata. 
Non leggeva più da molto. Erano trentotto giorni che non apriva un libro mentre prima, nei momenti di pura solitudine, una buona lettura era la soluzione a tutto. Non indossava il maglioncino azzurro della mamma da più di un mese, non sedeva fuori, sulla comoda sedia a dondolo, non si concedeva neanche un secondo per pensare. Riflettere la faceva stare peggio e non aveva bisogno di piangere anche durante la giornata, ci riusciva alla perfezione la notte, quando nessuno l'avrebbe disturbata, sotto le coperte.
Si limitava a svolgere i doveri di unica figlia e donna, controvoglia del signor Harry che la pregava di svagarsi, uscire a divertirsi. Era tanto testarda da non dare retta neanche al padre, così ogni giorno era sempre la stessa storia; stirare, cucinare, spazzolare. La monotonia la stava consumando poco a poco ma a lei non dispiaceva. Stava bene così...o almeno era quello che credeva.
Un giorno di metà febbraio persino Sebastian e Larry si precipitarono pensierosi a casa sua: se prima era solita quasi tutti i giorni ad andarli a trovare al bar con Justin, quel mese non si era mai fatta vedere. Un po' si sentiva in colpa, in fin dei conti Larry e suo figlio non c'entravano nulla con tutta quella storia e, in effetti, fu molto grata ai due uomini quella mattina quando se li ritrovò davanti, tutti e due intenti a conversare con Harry.
Di Justin invece nessuna traccia da trentotto giorni. Pareva essersi volatilizzato, scomparso dalla circolazione. Soltanto una volta era capitato alla ragazza di sostare proprio dinanzi alla sua abitazione e dalle finestre sigillate, il cancello chiuso e la mancanza di una qualsiasi auto capì che molto  probabilmente era partito per Chicago e che come le aveva riferito, sarebbe stato via per un bel po'. Avrebbe ricordato per sempre il dolore lancinante che provò nel sapere che il giovane non si era degnato neanche di recapitarle una lettera per avvertirla del viaggio. Cosa avrebbe dovuto fare? Ci aveva provato a mettere da parte l'orgoglio ma fu tutto inutile; ripensare a quegli occhi saturi di rabbia e soprattutto al modo in cui aveva dato via libera a Jeremy per umiliarla la fecero soltanto stare peggio, non riuscirono neanche per un attimo a darle la forza necessaria per affrontarlo di nuovo.
Ed era partito. Se ne era andato e chissà quando sarebbe tornato, nonostante l'incidente non aveva esitato a lasciare New York e Wendy. Trascorsero i giorni, febbraio si concluse molto più velocemente di quanto la ragazza avesse pensato. Meglio così -pensò. Odiava quel mese con tutta sé stessa, non le era mai piaciuto nonostante fosse nata proprio il terzo giorno, diciotto anni prima.
Non festeggiò, non se la sentì a dire il vero; Pauline l'aveva come al solito pregata di pensare all'idea per un'ipotetica festa ma Wendy scartò a priori l'idea, così si ritrovò ad attendere la mezzanotte da sola, chiusa in camera sua. Quello che sarebbe dovuto essere il miglior compleanno della sua vita si trasformò nel peggiore. Fu una notte da dimenticare.
Non tardò ad arrivare neanche il ventunesimo compleanno di Bieber che avrebbe festeggiato proprio quel primo marzo, o a Chicago o nella sua mastodontica villa newyorkese. 
Quella mattina Wendy si svegliò come al solito di malumore: gli occhi gonfi erano la conseguenza di un notte trascorsa in bianco a piangere a dirotto. Il cuscino umido, le coperte sfatte e i capelli scompigliati più del solito a causa del vizio di rigirarsi senza mai riuscire a trovare una posizione che la soddisfacesse. Sapeva quanto speciale fosse quel giorno per il ragazzo che era costantemente nei suoi pensieri e, a maggior ragione, non ebbe le forze neanche di cambiarsi e di scendere a fare colazione con il padre.
Quanto avrebbe voluto svegliarsi di fianco alla sua figura, accarezzare i suoi soffici capelli dorati, porgli prima di tutti i più sinceri auguri di compleanno e trascorrere in sua compagnia l'intera giornata. Tutto ciò non sarebbe mai successo.
Dopo più di un'ora trascorsa fissare il solito punto sul soffitto e lasciare che migliaia di pensieri le distruggessero il cervello, si decise finalmente ad alzarsi, senza togliere il pigiama però. Scese frettolosamente le scale e si precipitò in cucina; non avrebbe lasciato a nessuno, neanche a Justin di rovinarle quella giornata. Non avrebbe trascorso altre notti come la precedente e non avrebbe avuto la meglio il rancore. Sentiva di essersi comportata tremendamente male con le persone che in quei trentotto giorni avevano semplicemente cercato di risollevarle il morale e lei, scioccamente, non era stata in grado neanche di ringraziare Pauline per tutti i pomeriggi che spendeva a casa sua, pur di strapparle un sorriso quando sarebbe potuta benissimo andare a divertirsi o a fare compere. A Larry e Sebastian che avevano chiuso più di un giorno l'attività, pur si accertarsi che stesse bene e al padre, soprattutto al padre che non si era mai permesso di ribattere il suo caratterino per niente gioioso. L'uomo le era rimasto affianco come un'ombra: in silenzio, ma pronta in un qualsiasi momento a risollevarla se mai fosse caduta definitivamente.
"Buongiorno!" esultò a trentadue denti notando il padre alle prese con i fornelli.
Harry Casey si voltò di scatto non riuscendo a credere ai proprio occhi perché sua figlia, quella che per più di un mese non si era degnata di accentuare un misero sorriso, era tanto estasiata quella mattina, nonostante tutto.
"Buongiorno amore..." bisbigliò scrutando da cima a fondo la figura della sua bambina, come era solito definirla.
"Lascia, faccio io" disse certa, afferrano la spatola dalle mani dell'uomo che si andò ad accomodare al tavolo, sorseggiando il suo caffè.
Wendy canticchiò, fischiettò, cercò in tutti i modi di ritrarre le lacrime e preparò la miglior colazione della sua vita sia per lei che per il padre. Posò sul tavolo i piatti colmi di uova strapazzate e bekon, riempì il suo bicchiere con del latte e si accomodò di fronte all'uomo che non le tolse gli occhi di dosso neanche per un secondo. Neanche il giornale era poi così interessante, non almeno quanto lo era stato rivedere la propria figlia finalmente sorridere. Ciò che non gli era chiaro però, era perché così d'improvviso, proprio il giorno del compleanno di Justin.
"Non mangi, papà?" domandò Wendy con il boccone. "Dovresti, è squisito" si elogiò, sorridendo successivamente.
Harry non mosse un muscolo del viso, rimase impassibile di fronte a quella scena; si decise solo dopo qualche minuto a mangiare una fetta di bekon ma alla fine non resistette, la curiosità ebbe la meglio su di lui.
"Stai bene, tesoro?" chiese.
Wendy annuì continuando a divorare tutto ciò che era commestibile all'interno del piatto. Harry aspettò qualche secondo prima di proferire nuovamente parola.
"Sei sicura?" continuò a porle domande, preoccupato. 
La giovane roteò gli occhi al cielo e sbuffò, mandando giù tutto il latte. 
"Sì papà, sto bene. Adesso per favore mangia, altrimenti finirò per divorarmi anche la tua colazione" borbottò ironica.
Harry non seppe più come affrontare il sorriso che tutto ad un tratto comparve sul viso di sua figlia e credette alle parole di quest'ultima. Pensò che forse, molto probabilmente, stava veramente bene e chiunque lo avrebbe pensato.
Wendy lavò ogni singolo piatto quando anche il padre gustò la sua colazione; continuò a canticchiare spensierata mentre l'uomo sedeva preoccupato al tavolo. Quando il silenzio si impossessò di entrambi, la ragazza non resistette alla tentazione di accendere la radio e così fece: corse in direzione della sala da pranzo e una volta trovata la stazione radio più adatta, alzò il volume al massimo facendo sussultare il signor Harry.
Tornò in cucina correndo e sfilò via il grembiule, posandolo su una delle quattro sedie. Harry era esterrefatto: non poteva credere ai suoi occhi, a sua figlia che iniziò a danzare serena e tranquilla di fianco a lui.
"Amore" la richiamò, afferrandola per un polso. Forse stava capendo, finalmente, che le cose non andavano affatto bene. "Amore smettila, neanche ti piace la musica" gettò sul tavolo il giornale e si alzò, tirandola a sé.
"Non è vero papà, io amo la musica" finse un broncio. "Semplicemente odio quella radio, è così vecchia però vedi...a qualcosa serve" e detto ciò, continuò a ballare. 
Harry se ne stava immobile richiamando di tanto in tanto l'attenzione di sua figlia ma quest'ultima, quando sembrò finalmente dare retta all'uomo, altro non fece che afferrarlo per le braccia e tirarlo a sé.
"Balla, papà. È da tanto che non lo fai" disse, incastrando perfettamente le dita di lei in quelle di lui.
Come una tavola di legno, il padre non mosse un muscolo, neanche quando le si tirò indietro e poi tornò in avanti, roteando nel suo braccio. Cercò in tutti i modi di farlo ballare ma fu tutto inutile.
"Smettila con queste idiozie Wendy!" esclamò cercando di fermarla per la vita.
La ragazza si contrasse e riuscì a scampare alla presa ferma del padre che dovette rinunciare ancora una volta a bloccarla, sarebbe stato tutto inutile. Wendy sorrideva, ballava, roteava e saltellava tenendo strette le mani di suo padre.
Per una frazione di secondo i loro sguardi si incrociarono: i loro occhi erano così simili, stesso colore e stessa forma ma non stessa lucentezza. Harry notò il luccichio negli occhi di sua figlia e prima che fosse troppo tardi esclamò nuovamente il suo nome.
"Wendy! Ti prego smet--"
"Balla papà! Balla!" il grido straziante di lei sovrastò la voce rauca di lui.
Accadde tutto così velocemente da non rendersene conto: gridò a pieni polmoni quegli ordini quasi fossero una supplica e successivamente, tirò a sé il padre con una forte spinta che lo costrinse a buttarsi addosso alla figura esile della giovane. Wendy accerchiò con le braccia la vita dell'uomo e scoppiò a piangere come mai prima d'ora.
Tirò fuori tutto quello che aveva dentro, mentre l'allegra musica aleggiava nello spazio circostante. Gridò contro il petto possente del padre che le accarezzò la nuca, cercando di consolarla con docili carezze alla testa. Harry posò il mento sulla testa di lei e socchiuse gli occhi, stringendo a sé la figura della ragazza. 
"Non trattenerti" sussurrò.
Wendy pianse ancora e ancora e migliaia di immagini, dal sorriso perfetto di Justin agli occhi caramellati che l'avevano odiata la sera di trentotto giorni prima in ospedale, le attraversarono la mente. 
L'aveva dimenticata, non c'erano dubbi: aveva resettato tutto, ogni bacio e abbraccio ed era andato avanti con la sua vita, dimenticandosi della ragazza che aveva amato dal primo sguardo. La stessa ragazza che le era rimasta accanto, sempre. Wendy Casey, quello che il ragazzo aveva definito il suo primo e vero grande amore non faceva più parte della sua vita.
Sentiva un vuoto dentro il suo petto, percepiva costantemente la mancanza dei dolci baci lui, delle labbra carnose, del suo profumo speciale. Erano trentotto giorni che non ammirava a fondo i suoi occhi, che non si perdeva in quelle iridi caramellate che tanto la facevano impazzire e che erano state l'inizio di tutto. Quanto tempo avrebbe dovuto aspettare ancora? Sempre se mai si fossero incontrati di nuovo.
Wendy stava male, tremendamente male perché sapeva, percepiva che nulla sarebbe andato per il vero giusto e che niente si sarebbe sistemato. Non sarebbero più tornati a dichiararsi amore eterno e questo la faceva disperare, tanto da piangere fra le braccia di suo padre per almeno venti minuti, senza mai smettere.
Quando si decise a calmarsi il padre le preparò premurosamente un tè caldo che gustò in silenzio, con Harry sedutole di fianco. Di tanto le accarezzava una spalla e lei gli afferrava la mano, sorridendo debolmente.
"Dovresti parargli" le consigliò di punto in bianco dopo che bevve anche l'ultima goccia di tè.
Wendy scosse il capo, portando le mani tra i capelli e sistemando le ciocche dietro l'orecchio.
"Quell'idiota..." iniziò Harry furioso ma si bloccò non appena notò l'occhiataccia di Wendy, così si corresse. "Justin..." disse a denti stretti. "Non può trattarti così. Amore io purtroppo non posso davvero fare niente questa volta che non sia andare lì e spaccargli la faccia" disse frettolosamente, facendo ridere la figlia. Questo lo rincuorò a tal punto che ricambiò, sorridendo anch'egli. "Ma è una cosa tra te e lui. Dovreste chiarire e anche se non vuole parlarti tu insistiti, prima o poi dovrà cedere" concluse l'impeccabile discorso baciandole una tempia, poi scomparve dietro l'angolo e salì le scale, chiudendosi in camera sua.
Wendy riflettete sopra le parole del padre e dopo una mattinata trascorsa a pensare, decise una volta per tutte a fare come le era stato consigliato. Si precipitò dentro la sua stanza, si cambiò, si lavò e pettinò i suoi lunghi capelli castani. Indossò una delle sue solite gonne lunghe, una camicetta e afferrò la borsa, correndo fuori di casa. Ringraziò mentalmente l'uomo che era stato in grado di spronarla a compiere quel gesto, e chi meglio di Harry? Non gli sarebbe mai stata riconoscente abbastanza. 
A tutto gas e con mille paranoie al seguito, si diresse verso la villa Bieber, non troppo distante da lì. Quando frenò di colpo e spense il motore, fissando il cancello aperto, perse un battito: tutta la tranquillità, se pur minima, scomparve e lasciò posto alla tensione e all'angoscia. Era tornato, chissà da quanto ma non le importò, era finalmente rincasato. Si guardò allo specchietto retrovisore sistemando la chioma e prese un grande respiro, stringendo i denti. Aprì lo sportello e scese chiudendoselo alle proprie spalle e portando una mano sulla fronte per impedire al sole di accecarla; mise a fuoco l'entrata principale dell'abitazione e non c'erano dubbi, era veramente tornato: decine di valigie erano accostate di fianco alla gradinata e un paio di domestiche erano intente a portare dentro tutto il necessario. 
Camminò lentamente verso il cancello e le tornò alla mente la prima volta che attraversò quel viale, facendola sorridere. Quando si ritrovò all'interno del giardino, lo sguardo istintivamente andò verso destra, in direzione della fontana e l'immagine di loro due, intenti a darsi il primo bacio le fecero socchiudere gli occhi, rabbrividendo. Non si rese neanche conto che qualcuno l'aveva richiamata e così si voltò di scatto, ritrovandosi davanti un'anziana signora, la stessa che la sera del ricevimento era intenta a strappare via le erbacce proprio dalla fontana.
Vestiva come tutto il resto del personale femminile: una lunga gonna nera accerchiata da merletti bianchi e un un lungo grembiule che copriva gran parte della maglietta del medesimo colore della gonna, con le identiche rifinire bianche. Un paio di ciocche grigiastre invece fuoriuscivano al di sotto del buffo capello, sempre nero. Era probabilmente la più anziana di tutte le domestiche.
"Ha bisogno di aiuto?" domandò cordialmente.
"Sto cercando Justin, è in casa?" chiese di rimando Wendy, sorridendo.
"Certamente. È da poco tornato da un viaggio..."
"Lo so" sussurrò Wendy, cercando in tutti i modi di non dare a vedere il suo malumore.
Nel momento in cui l'amichevole signora cercò di aprire di nuovo bocca, probabilmente per invitarla ad entrare, una voce squillante alle spalle di Wendy fece sobbalzare entrambe, sia lei che la domestica.
"Clara!" urlò una donna.
Wendy si voltò di scattò e una lunga chioma dorata le si piantò davanti; due occhi azzurri, lunghe gambe accerchiate da una gonna rossa fino ai polpacci, talmente stretta che Wendy non riuscì a capire come fosse in grado di camminare tanto abilmente. La camicetta color panna era invece stretta all'interno della gonna e una lunga collana di perle accerchiava il suo collo. Era bellissima, da mozzare il fiato. Alta, magra, forme al posto giusto e un sorriso a trentadue denti da far invidia a chiunque. 
"Chi è la nostra ospite?" domandò diretta a Clara, la quale mi considerò un'amica di Justin, ricordandosi probabilmente di me la sera del ricevimento. Peccato che da quella sera molte cose erano cambiate.
"Posso occuparmene io, non preoccuparti" disse cordialmente e l'anziana chinò il capo in segno di ringraziamento e tornò a recuperare le valigie mancanti.
Wendy si voltò nuovamente verso la giovane donna scrutando la sua figura da cima a fondo e lo stesso fece quest'ultima.
"Sei un'amica di Justin?" domandò.
Pareva molto gentile e cordiale, peccato che non sapesse chi fosse e cosa ci facesse a casa di Justin. Da come aveva dato ordini a Clara, doveva sicuramente trattarsi di una parente di Justin, non vi erano altre soluzioni.
"Sì" annuì la giovane.
Si sentì così in imbarazzo: in confronto a lei, la bionda si che poteva considerarsi bella e affascinante, per non parlare di quelle slanciate gambe da capogiro, senza un filo di imperfezione.
"Siamo da poco tornati da un viaggio. È molto stanco" ammise, unendo le mani in segno di dispiacere. 
Wendy si immobilizzò, riflettette, rielaborò e poi la domanda fuoriuscì spontanea dalle sua labbra:
"S-siete?" balbettò.
La giovane annuì e poi si diede un colpetto sulla fronte, sorridendo di sé stessa e facendo inarcare un sopracciglio di Wendy che ci stava capendo poco e niente.
"Che sciocca, non mi sono neanche presentata. Probabilmente Justin non te ne ne ha parlato perché è successo tutto così in fretta...sono Amanda" le porse la mano.
Wendy fissò le cinque dita della donna ma esitò qualche secondo prima di stringerle: Amanda? Justin non le aveva mai parlato di nessuna Amanda. Di sorelle non ne aveva, quindi al massimo poteva trattarsi di una cugina, giovane com'era. 
"Perdonami ma io..." la ragazza scosse il capo dispiaciuta facendole intendere che non ne sapeva nulla.
"Amanda Cooper, futura moglie di Justin" concluse.
Tutto intorno a Wendy divenne buio, cupo, offuscato. Ogni albero, fiore, uomo o donna scomparve; erano rimaste solo lei e Amanda che sorrideva di cuore. Il mondo intero scomparve, persino la terra ai suoi piedi, tanto da sentirsi sprofondare definitivamente. 
Se c'era una cosa che Wendy, scioccamente, non aveva capito nei sette mesi trascorsi di fianco a Justin, ma che era riuscita ad acquisire in trentotto giorni di solitudine è che l'amore, come tutte le cose, ha i suoi pro e i suoi contro. Lo Yin e Yang, l'equilibrio tra bene e male è reale: non è un caso che per ogni bacio vi sia uno schiaffo, per ogni abbraccio una spinta, per ogni "ti amo" un "ti odio".
Aveva trascorso i migliori sette mesi della sua vita, ma avrebbe dovuto capire che non può coesistere il bene senza il male e viceversa. Avrebbe dovuto rendersene conto e forse, avrebbe evitato di soffrire tanto. Se solo avesse capito che prima o poi qualcosa sarebbe accaduto per mettere alla prova l'amore che tanto si erano dichiarati, sicuramente l'avrebbe vissuta differentemente. 
Le parole di Amanda aleggiavano nella sua mente, ma curiosamente, quella volta, non sentì dolore; anzi nulla di nulla. Era come se tutti e cinque i sensi l'avessero abbandonata e non udiva, non vedeva, non riusciva a parlare. 
Era stato tutto reale però: la stretta di mano, la rivelazione che avrebbe troncato definitivamente l'amore che sarebbe vissuto costantemente nei ricordi di Wendy. Justin si stava per sposare, ed erano bastati soltanto trentotto giorni per rimuovere dalla sua vita l'unica ragazza che aveva dichiarato, avrebbe amato per il resto della sua vita.
Perché non si può dimenticate facilmente un amore come quello di Wendy e Justin, perché una parte dell'altro vivrà sempre nell'anima dell'altra. Non importa il tempo che corre veloce, gli anni che passano indisturbati, un amore del genere è immortale. Che sia stata una cotta adolescenziale, una svampata per un affascinante pugile ventenne o vero amore, quello che provi solo una volta nella vita, Wendy non avrebbe mai dimenticato Justin. 
Le aveva insegnato ad amare e ancor di più a farsi amare, ma aveva una vita davanti a sé e rincorrere quell'amore, che tanto l'aveva migliorata, sarebbe stato inutile, soprattutto in tal caso.
Quando vi dissi che per molto tempo non si sarebbero visti, sono stata sincera; credete a me, Wendy e Justin non si rividero per tanto di quel tempo che basta per dimenticare definitivamente qualcuno che, bruscamente, ha abbandonato le nostre vite. 

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Capitolo 14
*** Parte Seconda - Ricordi ***





Ricordi
 

Rock Hill - South Carolina,

30 settembre 1961

Un accecante sole brillava alto sopra i tetti delle case della piccola cittadina di Rock Hill, in South Carolina. Nonostante il lieve venticello di inizio autunno, nell'aria erano ancora percepibili le afose e roventi temperature di quella che era stata sicuramente una delle estati più calde degli ultimi dieci anni. Le foglie scendevano lentamente a terra coprendo ogni angolo di marciapiede e strada, i passanti sorridenti trascorrevano la loro giornata in tranquillità mentre oltre la piccola finestra della sua abitazione, la ventottenne Wendy Casey  era intenta a preparare la colazione con addosso il solito grembiule rosso.
Nell'aria era percepibile un'atmosfera alquanto quieta e positiva; la voce proveniente dalla radio di fianco alla sua figura assicurava una serena giornata dell'ultimo di settembre e una calda serata, senza nuvole nei paraggi. 
Il rosolio del bacon dentro la padella fece intendere alla ragazza che era finalmente pronto, così si precipitò ad afferrare un piatto di coccio dentro un'alta cristalliera dall'altro capo della stanza.
*E ora passiamo allo sport*
La calda voce dell'uomo, oltre la radio, richiamò l'attenzione di Wendy che trasferì le fette di carne sul piatto e poi passò ad occuparsi delle uova. Parlarono  di calcio, del tennis, di quanto fossero entusiasti della vittoria della squadra di baseball e la giovane, non curante, continuò a smuovere l'uovo nella padella.
*Invece non se la passa tanto bene Justin Bieber* esordì l'altro, piuttosto sentito.
Come un abbaglio, Wendy si voltò di scatto verso la radio e trattenne il respiro, stringendo tra le mani la spatola e attendendo impaziente. 
*Sappiamo tutti che il famoso pugile ha incassato proprio ieri sera la sua terza sconfitta consecutiva*continuò. 
La giovane si avvicinò sempre di più all'affare e quasi d'istinto roteò la manopola per regolare il volume, bloccandosi quando era ormai arrivata al limite. Sentì il cuore accelerare, le mani tremare e il respiro diventare talmente pesante da essere costretta a respirare con la bocca.
*Di questo passo, il pugile sarà costretto a ritirarsi dal campionato e sappiamo tutti che sarebbe a dir poco scandaloso per una figura tanto celebre a livello mondiale* disse tutto d'un fiato. *Ma adesso passiamo allo spettacolo*
Spense la radio tutto d'un colpo, rimanendo a fissare un punto preciso sul chiaro marmo della cucina. Migliaia di pensieri le attraversarono la mente in quei pochi secondi, ricordi che iniziarono a torturarla e fu costretta a socchiudere gli occhi. Prese un gran respiro e cercò di calmarsi: ripetette a sé stessa di darci un taglio. 
Non mi importa -pensò. Non mi interessa per niente- continuò nella sua mente. Sono passati dieci anni e...
Sgranò gli occhi e ispirò a pieni polmoni di colpo; un'insopportabile puzza di bruciato le invase le radici, si voltò verso i fornelli e notò una nuvola di fumo fuoriuscire dalla padella con le uova ormai fiammeggiate all'interno.
Si maledisse mentalmente, afferrò la padella e la lasciò cadere nel lavandino, aprendo il getto d'acqua fredda un attimo dopo. Il fumo diminuì e si lasciò sfuggire un sospiro di sollevo, maledicendosi mentalmente per l'inopportuna svista che le era fruttata metà colazione. 
Posò entrambe le mani sul marmo, guardando la padella nel lavandino e le poche gocce che fuoriuscivano dal lavandino. Rimane in silenzio, lasciandosi cullare dal cinguettio degli uccelli oltre la finestra e dalle risate dei passanti; strofinò il volto un paio di volte e decise di ricominciare.
Afferrò una seconda padella, le uova dal frigo e si rimise ai fornelli con la testa da tutt'altra parte. 
"Buongiorno" sentì dire dolcemente al suo orecchio.
Ebbe un sussulto e sobbalzò, sentendosi afferrare per la vita. Il delicato tocco di Mark la rassicurò a tal punto che rilassò tutti i muscoli tesi e socchiuse lievemente le palpebre lasciandosi andare.
"B-buongiorno amore" rispose sollevata. 
Mark Steele rabbuiò di colpo nel notare la sua amata Wendy piuttosto giù di morale, percepì che qualcosa non andava nel verso giusto e spostò lo sguardo nel lavandino, soffermandosi sulle uova bruciate.
"Tutto bene piccola?" domandò distaccandosi dalla figura della ragazza e andandosi a sedere al solito posto. 
Wendy annuì debolmente forzando un sorriso, voltandosi verso l'uomo che afferrò il giornale sul tavolo, il tutto senza però distogliere lo sguardo attento dalla figura della ragazza.
"Ti vedo abbastanza...stanca" ammise incerto, scrollando le spalle.
"Mi fa solo male un po' la testa" si giustificò Wendy. "Prenderò un'aspirina più tardi" e, detto ciò, riempì il piatto anche delle uova e spense i fornelli, posando la delizia sul tavolo di fronte al compagno. 
"Va a riposare" le consigliò premurosamente, addentando il bacon. 
Wendy, con le bracci conserte e appoggiata al marmo della cucina, annuì ancora una volta prima di avvicinarsi a Mark e, sentendosi in colpa, gli stampò un bacio sulla tempia.
"Mi dispiace amore, avrei tanto voluto fare colazione con te" ammise sincera.
La domenica erano soliti a gustare il primo pasto del giorno sempre in compagnia ma a quanto pareva, il destino quella mattina non era dalle loro parti. Wendy si sentì affaticata, non tanto fisicamente quanto psicologicamente e quindi seguì il consiglio del compagno e corse in camera da letto, non prima di essersi seduta sulle ginocchia dell'uomo e avergli baciato delicatamente le carnose labbra. Era un uomo affascinante: alto, capigliatura nera come la pece e occhi verdi. Non lo aveva ma visto indossare abiti che non fossero camicie o gilet, adorava il suo stile semplice e raffinato. 
La giovane si chiuse la porta alle spalle riuscendo finalmente a respirare regolarmente: in cucina l'aria pareva essere diventata tutto ad un tratto fin troppo pesante. Si avvicinò alle lunghe tende che impedivano ai raggi del sole di filtrare all'interno delle quattro mura e notò che Mark era stato tanto gentile da riordinare il letto. Sorrise istintivamente e tornò a concentrarsi sulla finestra, scansando le bianche tende e buttando gli occhi sulle migliaia di locandine che da più di un mese tappezzavano l'intera cittadina. 
Lesse il suo nome con un filo di voce tremante e alla fine si costrinse ad allontanarsi di lì, si sedette sul bordo del materasso e pensò: un incontro di beneficenza, a Rock Hill, quella stessa sera.
Ci aveva riflettuto un mese intero; per trenta giorni il solo pensiero di sapere che pressappoco Justin sarebbe venuto a Rock Hill, così tremendamente vicino, l'aveva torturata giorno e notte. Poche volte aveva chiuso occhio nelle ultime settimane e troppe volte si ritrovava a sbirciare fuori dalla finestra, a memorizzare orari e luogo dell'incontro; quando sarebbe iniziato, dove si sarebbe tenuto e i nomi di ambedue gli sfidanti, entrambi molto celebri.
Come previsto, la vendita dei biglietti terminò lo stesso giorno in cui venne annunciato l'incontro: nessuno a quei tempi avrebbe scartato l'opportunità di assistere ad un incontro dal vivo di Justin Bieber, soprattutto in una piccola cittadina come Rock Hill. 
Mancavano poche ore, talmente poco tempo che percepiva la tensione: le fu difficile prendere una ferma decisione in quel momento, chiusa in quella stanza ma dopo trenta giorni di dubbi e rimpianti si decise ad uscire da quella casa.
Saltò dal letto con mille se ma che le ronzavano nella mente, sapendo che molto probabilmente si sarebbe pentita ma poco le importò. Qualcosa dentro di sé la spinse ad abbandonare la sua abitazione quella mattina del 30 settembre con la scusa di uscire a fare la spesa; magari la voglia sfrenata di poter finalmente chiarire ogni cosa, o semplicemente la necessitò di rivedere il ragazzo che dieci anni prima era stato in grado di distruggere ogni sua percezione dell'amore perfetto ed eterno.
Trenta giorni prima non sarebbe mai stata in grado di credere all'idea di poterlo rivedere sul ring a combattere, a fare ciò che aveva sempre desiderato ma in quel momento, Justin era a pochi miglia da lì. Divisi per dieci anni, eppure quel giorno così vicini.
Non seppe come interpretare il bisogno di rivederlo: non era amore, semplicemente la considerò voglia di poter rivivere qualcosa che ormai apparteneva al suo passato tanto tormentato. Sentiva quel bisogno primario di poter essere tanto vicina ad un qualcuno che le aveva insegnato tanto nella vita, nonostante il dolore.
Non era amore, se lo ripetette soprattutto quando entrò di fretta nella sua auto e sfrecciò via dal viale, diretta verso la grande struttura che avrebbe ospitato l'incontro. Strinse il manubrio tra le mani e accelerò. Più era vicina e più sentiva il cuore batterle talmente violentemente che sarebbe addirittura potuto saltare fuori, per non parlare del respiro affannoso dovuto all'enorme carico di ansia che aleggiava nel suo stomaco, nella sua mente...ma soprattutto nel suo petto. 
Abbassò il finestrino e si tranquillizzò sentendo l'aria fresca scompigliarle i corti capelli che aveva tagliato dopo anni. Inizialmente ne rimase molto delusa, era talmente abituata a convivere con la lunga chioma eppure dopo qualche giorno riuscì ad innamorarsi della sua nuova acconciatura. Tanto comunque le sarebbero rincresciuti molto presto, disperarsi sarebbe stato inutile.
Quando una pila di macchine attirò la sua attenzione, si rese conto di essere arrivata a capolinea. Spense il motore girando la chiave che trattenne in una mano, stringendola tra le cinque dita. Scrutò per bene i camion fermi davanti ai cancelli principali e gli addetti ai lavori intenti a trasportare tutto l'occorrente: dai fari ai cavi per il microfono. 
Fissò il suo viso nello specchietto retrovisore e cercò di trattenere le lacrime, sentendo gli occhi bruciare: stava veramente facendo la cosa giusta?
Erano trascorsi dieci lunghi anni, praticamente una vita. In quei dieci anni tante cose erano cambiate, l'avrebbe riconosciuta? Nonostante i corti capelli, Wendy sentiva di non essere più la stessa da moltissimo tempo. Come avrebbe potuto riconoscerla, se persino lei non era in grado di riconoscere sé stessa? Si sarebbe ricordato di lei dopo tutto quel tempo trascorso distanti l'uno dall'altra? 
Era riuscito a raggiungere i suoi obiettivi,  a realizzare il suo più grande sogno: l'intera America, ma che dico, l'intero globo sapeva chi era Justin Bieber. Il famoso e imbattibile pugile che a quanto pareva, negli ultimi tempi non se la passava molto bene. Non erano più dei ragazzini; lei ventotto e lui trentuno anni. Erano cresciuti oramai per dare peso ad amori del passato, alle solite cotte che ogni ragazzo ha a quell'età.
Cominciò a ricredersi, a chiedersi perché si trovasse lì se in fin dei conti era stata proprio lei dieci anni prima a voler abbandonare la mastodontica New York. Era un'incoerente: scappare per poi tornare. Non era giusto, né per quanto riguardava lei per quanto riguarda Justin che molto probabilmente, si era rifatto una vita e una famiglia, che sicuramente si era dimenticato di lei come quest'ultima avrebbe dovuto fare con lui, invece di dare ragione a quella strana sensazione nello stomaco che l'aveva spinta a mentire a Mark, l'uomo che amava veramente e a dirigersi di tutta fretta davanti a quella struttura. 
Cosa avrebbe fatto una volta entrata? Sempre se l'avrebbero fatta passare. Era stata davvero tanto sciocca? Non riusciva a crederci. Avrebbe dovuto dimenticarsi dell'incontro, di Justin che dopo quella sera sarebbe tornato a New York dai suoi cari e avrebbe continuato a vivere il suo sogno senza Wendy, come era stato per dieci anni e come sarebbe stato per sempre.
Era stata una stupida, una dannatissima stupida e, maledicendosi mentalmente infilò nuovamente la chiave e accese il motore, asciugando una lacrima con il palmo della mano. Fece retromarcia velocemente, fino a quando un grosso tonfo e una botta che la fece sobbalzare, quasi gridare, bloccarono la macchina che si spense.
La giovane asciugò definitivamente tutti e due gli occhi e la vista da offuscata tornò lucida, notò dallo specchietto retrovisore una chioma scura uscire dalla macchina che aveva accidentalmente urtato e notò l'uomo alzare le braccia al cielo per poi passare le mani tra i capelli, scompigliandoli.
Wendy esitò qualche secondo prima di aprire lo sportello con lo sguardo di alcuni passanti puntati contro e si precipitò verso il ragazzo di spalle che era intento ad imprecare e, in effetti, la botta era stata talmente forte che era evidente l'ammaccatura sul davanti della costosa macchina del moro.
La giovane si avvicinò cautamente e sbuffò, schiaffeggiandosi mentalmente e roteando gli occhi al cielo.
"Mi dispiace, giuro che ti ripago tutto..." disse mordendo il labbro inferiore.
L'uomo si irrigidì di colpo e Wendy lo notò, tanto che corrugò la fronte. Il moro con addosso una semplice camicia bianca e dei pantaloni neri, dai lunghi capelli del medesimo colore e con una sigaretta sull'orecchio si voltò lentamente, a bocca socchiusa.
Wendy che abbassò lo sguardo per un secondo, giusto il tempo di costatare il danno procurato, alzò il capo per scusarsi nuovamente ma quando due occhioni azzurri le si piantarono davanti, si ritrovò a non sentire più il cuore batterle nel petto. Tutto si fermò, il mondo smise di roteare, gli occhi dei passanti non parvero più tanto intimidatori, non almeno quanto le chiare iridi dell'uomo davanti a lei che sorrise a trentadue denti.
"Wendy Casey?" sussurrò quest'ultimo, avvicinandosi lentamente. "Sei proprio..tu?" domandò scioccato.
La ragazza balbettò un qualcosa di incomprensibile, presa alla sprovvista; era cambiato talmente tanto eppure quegli occhi, quei capelli colmi di gel e quel modo di tenere la sigaretta sull'orecchio li avrebbe riconosciuti da un miglio, anche a distanza di dieci anni. Si chiedette, a quel punto, quanto fosse cambiata lei agli occhi di coloro che aveva conosciuto tanto tempo fa. 
Poi smise di pensare, di torturarsi con insignificanti paranoie e sorrise altrettanto, sentendo la stessa strana sensazione dentro il suo stomaco e petto accrescere incessantemente e tutto tornò a dieci anni prima, quando l'ultimo giorno di scuola si ritrovò ad ammirare proprio quei due occhi azzurri e un affascinante ragazzo che sarebbe entrato a far parte della sua vita.
Raccolse tutto il coraggio che le era rimasto e alla fine recuperò la voce che pareva essere sparita e sussurrò:
"Sebastian" 

 

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Capitolo 15
*** Di nuovo lui ***





Di Nuovo Lui

 

"E quindi...adesso vivi qui?" domandò Sebastian, appoggiandosi proprio come aveva fatto Wendy sul cofano anteriore di quest'ultima.
La ragazza annuì debolmente, torturandosi le dita l'una con l'altra. Si sentì tremendamente a disagio: erano trascorsi dieci anni, in quel lungo lasso di tempo mai, neanche una volta aveva avuto l'opportunità di rivedere o parlare di nuovo con Sebastian. Come se fossero tornati a dieci anni prima, erano intenti a chiacchierare del più e del meno senza degnarsi di porre domande un po' troppo sconvenienti per non rovinare l'atmosfera piacevole che si era venuta a creare tra i due amici, dopo qualche minuto di tensione.
Più Wendy udiva la sua voce, più non riusciva a crederci: era così cambiato. Aveva tagliato i capelli, molto probabilmente l'altezza era aumentata di qualche centimetro per non parlare del pizzetto che mai avrebbe immaginato sul volto di quel ragazzo che dieci anni prima pareva tanto giovane. Trentanni e tanto affascino, come d'altronde era sempre stato.
Quando si girò sorridente verso la ragazza, quest'ultima sussultò voltandosi verso la parte opposta, timidamente. Ma di cosa avrebbe dovuto preoccuparsi? Era pur sempre Sebastian, un po' più robusto e più alto, un tantino cresciuto ma pur sempre il buffo Sebastian che nel 1950 era entrato a far parte della sua vita. Il ragazzo scherzoso, spensierato, colui che in un modo o nell'altro aveva sempre la battuta pronta ed era in grado di strapparti un sorriso anche nei momenti più bui. 
"Wendy..." la richiamò lui, dolcemente e notando l'imbarazzo nel gesto svelto dell'amica nel distogliere lo sguardo. 
Quest'ultima respirò pesantemente, sentendo gli occhi inumidirsi ma non riuscì a voltarsi e fissare il suo sguardo nelle chiare iridi di Sebastian. Più gli attimi trascorrevano, più le lacrime minacciavano di scendere una ad una. Si era ripromessa di non piangere, di non cedere e di non darla vinta a quelle stupide goccioline salate ma non avrebbe resistito per molto: un conto sono le parole, un altro è ritrovarsi faccia a faccia con un pezzettino del proprio passato che si è insinuato nel proprio presente, facendoti rivivere con la mente tanti di quei ricordi e trasportandoti nel passato, durante quei meravigliosi anni colmi di amore e di calorose amicizie. Ne era passata di acqua sotto i ponti eppure Sebastian non portava rancore, non era inquieto, non era stato così scontroso con Wendy nonostante fosse stata lei ad essersene andata, scomparendo dalla circolazione di punto in bianco, abbandonando le persone più care.
"Tutto bene?" domandò distaccandosi dal cofano e piantandosi dinanzi alla figura di Wendy che tirò su con il naso. 
La giovane annuì, non riuscendo ancora a guardare dritto negli occhi Sebastian il quale, notando gli occhi rossi dell'amica, si avvicinò talmente tanto da stringerla forte a sé. Wendy in un primo momento non reagì e non ricambiò l'abbraccio, presa alla sprovvista ma alla fine si ritrovò a stringere la vita del giovane e premere il suo volto ormai zuppo sulla maglia di quest'ultimo. Non singhiozzò, non gemette, non sospirò: fu un pianto tanto liberatorio quanto silenzioso.
"Dovresti vederlo, Wendy" annunciò con voce flebile Sebastian. "È la cosa giusta da fare" sussurrò, accarezzandole i morbidi capelli. 
La ragazza si ritrasse leggermente nell'udire quelle parole: è vero, si era recata in quel posto solo ed esclusivamente per vederlo ma in quel momento, dopo aver pianto, sentì di non essere abbastanza forte e del tutto pronta per affrontarlo. Che fosse stato tra soli conoscenti e vecchi amici di data, rincontrare Justin pareva un'idea troppo affrettata.
"N-non lo so" disse Wendy, asciugando una guancia. "I-io non credo che sia la cosa giusta" continuò a balbettare, sentendo la tensione tornare più intimidatoria che mai. 
"Wendy ascoltami" disse fermo il ragazzo, afferrandola per le spalle e sciogliendo uno degli abbracci più belli che Wendy avesse potuto mai ricordare. "Sei arrivata fin qui per un motivo. Sono passati dieci anni, perché farne trascorrere altri? Meritate di confrontarvi, di chiarire..." ma prima ancora che potesse concludere la frase, la tremate voce di Wendy sovrastò la sua roca.
"Appunto perché sono trascorsi dieci anni. Rivederlo complicherà solo le cose..." cominciò, abbassando il capo. "Ho trascorso dieci anni della mia vita a cercare di dimenticarlo. Magari non sarà la cosa giusta ma è quella che fa meno male e credimi, sono stanca di soffrire" disse tutto d'un fiato, lasciando di stucco il giovane che alleviò la presa sulle spalle di Wendy. 
"D'accodo..." disse cupo. "Ma non sei arrivata fin qui per andartene senza concludere niente, tornartene a casa e startene altri dieci anni a pensare a come sarebbe potuta andare se solo ti fossi decisa di parlargli e a rivederlo. Perché è quello che vuoi Wendy: non puoi mentire agli altri se neanche riesci a mentire a te stessa" altrettanto frettolosamente, Sebastian cercò in tutti modi di far ragionare l'amica, inizialmente con scarsi risultati ma poi si rese conto che qualcosa aveva smosso dentro la ragazza, cosa neanche quest'ultima lo sapeva di preciso. 
Wendy sentì una morsa allo stomaco ad immaginarsi seduta sul solito letto, tra dieci anni, intenta a pensare a Justin nonostante il tempo trascorso velocemente, anche troppo e nonostante le loro vite si fossero divise da tanto di quel tempo. 
Morse il labbro inferiore e Sebastian notò quel gesto; gli si illuminò il volto capendo di aver centrato il bersaglio e afferrò la mano dell'amica, stringendola tra le sue dita.
"Vieni con me" la incitò a seguirla, spingendola via dall'auto. "Andrà tutto bene" disse premurosamente e, a quelle parole, Wendy si lasciò definitivamente andare facendo esultare Sebastian.
Corsero dall'altro capo della strada, oltrepassarono l'enorme cancello e i camion, gli addetti ai lavori e qualche altro uomo intento a chiacchierare fuori la struttura. Wendy correva, seguendo a ruota Sebastian ma la verità è che sentiva il cuore batterle forte nel petto, sentiva l'ansia divorarle lo stomaco e una piccola vocina continuava ad urlare di andarsene di lì mentre un'altra, molto più possente, la incitava a continuare. Era combattuta tra due parti di sé stessa: la ragione e il volere, il desiderio, le emozioni. 
Una volta messo piede definitivamente all'interno della struttura, la ragione venne completamente spazzata via dalla voglia matta di rivederlo. Wendy credette alle parole di Sebastian; che in fondo tutto sarebbe potuta andare davvero bene, che non avrebbe dovuto preoccuparsi e che dopo dieci anni era ormai prossima a rivederlo, a parlargli di nuovo. Lo immaginò con un tantino di barba come il ragazzo che ancora le stringeva la mano, con la voce più roca, più alto, più tutto.
Ripensò a tutto quello che era successo in quegli ultimi anni: a quando, nel 1951 prese al volo l'occasione di trasferirsi a Rock Hill insieme al padre, Harry. Cittadina natale dei suoi genitori, proprio lì era sepolta la madre e da due anni oramai...anche suo padre. Perché sì, Harry Casey era deceduto soltanto due anni prima. 
Ricordava alla perfezione le parole colme di dolore di suo padre quando di rientro a casa, dopo l'agghiacciante scoperta sul presunto matrimonio di Justin, le raccontarono di quanto migliore fosse per tutti tornarsene a Rock Hill, soprattutto per Harry. Wendy non potette che dare ragione all'uomo: nonostante avesse sempre sentito sua New York, lei era nata in South Carolina e questo niente e nessuno l'avrebbe cambiato.
Il medico di famiglia aveva consigliato ad Harry di recarsi in una clinica capace di offrire cure molto meno care rispetto alle costose di New York e, fortunatamente, la clinica era a pochi miglia da Rock Hill. Come non poter accettare? 
Due settimane. Soltanto due settimane e si allontanarono definitivamente dalla casa che l'aveva vista crescere, ma non nascere. Sarebbero tornati a Rock Hill, Harry entusiasta di poter finalmente rimettere piede nella vecchia abitazione dei nonni di Wendy, quest'ultima invece con un nodo in gola e una morsa nello stomaco che l'avrebbero tormentata per dieci anni.
Suo padre aveva bisogno di cure, tremendamente e Wendy invece aveva bisogno di dimenticare Justin. Quella casa e quella mastodontica metropoli le facevano tornare alla mente troppi ricordi legati a quell'amore. Non sarebbe riuscita a sopportarlo; non ci riuscì per due intere settimane, chiusa costantemente dentro la sua stanza, a piangere sul suo letto figuriamoci anni interi. Non lo avrebbe mai permesso.
Accettò di tornare in quella piccola cittadina che era stata il nido d'amore dei suoi genitori, riuscì finalmente, dopo tanto soffrire a regalare un fiore a sua madre dopo anni di lontananza. Quando si trasferirono a New York, Wendy era davvero troppo piccola per ricordarsi di quella lapide così fredda, con il nome della madre per esteso inciso sopra: Amanda Marie Hunt. 
Le condizioni economiche disastrose, dopo la morte di quest'ultima, costrinsero i due a cambiare aria, vita e abitudini. Non tanto per Wendy quanto per Harry che aveva sempre detestato New York e aveva sperato di morire nel suo caldo letto, in quella casa che aveva visto andare via anche l'amore della sua vita. 
Wendy non potette che esaudire quest'ultimo suo desiderio, accompagnandolo nel lungo percorso di guarigione che gli avrebbe donato la forza necessaria per andare avanti per ben otto anni, nonostante la malattia lo stesse lentamente consumando e strappando dalle braccia della figlia. Le cure furono efficaci, meno costose sicuramente ma soprattutto efficaci. 
Harry Casey trascorse gli ultimi anni della sua dolorosa vita al fianco della figlia, con la speranza, ogni notte, di rivedere presto la donna che aveva amato e con tutto sé stesso. L'uomo sapeva che un giorno, quando sarebbe andato e avrebbe lasciato da sola la sua bambina, quest'ultima sarebbe riuscita ad affrontare la lunga vita, il cammino, la fede che l'avrebbero accompagnata per sempre. Perché Wendy, anche se gli costava ammetterlo era cresciuta. Maturata, diventata una donna...la moglie e madre perfetta che lo avrebbe reso fiero, ovunque fosse stato.
Da due anni, Harry era riuscito finalmente nell'intento di vedere il suo più grande sogno realizzarsi: riposava di fianco ad Amanda, per sempre, come si erano promessi, nella buona e nella cattiva sorte. Avrebbero vissuti uno di fianco all'altra e da qualche parte, avrebbero continuato insieme a guidare la loro unica figlia. 
Wendy non avrebbe mai dimenticato la notte in cui Harry si lasciò andare, l'ultima stretta di mano sul letto d'ospedale, l'ultimo sussurro; il miglior "ti amo" ricevuto, il più sincero, l'amore di un padre per la figlia che ha dato tutto. Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui i suoi occhi si chiusero lentamente, quando la voce straziata dal dolore della figlia lo pregarono di andare e di smetterla di soffrire. L'uomo ascoltò le suppliche della ragazza che rimase al suo fianco tutto il tempo, finché non fu costretta a dirgli addio per sempre, su questa terra...ma un arrivederci per quanto riguarda il futuro che spetta a tutti noi. Perché qualcosa deve esserci dopo la morte, che sia un Paradiso o qualsiasi altro luogo. Harry le aveva insegnato l'importanza nella fede, la speranza di una vita dopo la morte e questo la facevano vivere serenamente nella consapevolezza che un giorno, magari lontano, avrebbe abbraccio di nuovo tutte le persone a lei care, soprattutto i due amati che le avevano donato il dono più grande.
Ad Harry non era mai andato a genio Mark, non almeno come Justin. Non gli piacevano i modi di fare dell'uomo, quella sua serietà e autorevolezza che costrinsero il signor Casey a rimpiangere i giorni in cui Wendy era perdutamente innamorata del biondo dagli occhi caramellati e forse, era anche questo strambo desiderio del padre che convinse ancor di più la ragazza che si aggrappò ulteriormente alla mano di Sebastian che mostrò a due bestioni vestiti in nero un pass speciale. Poi, una volta ricevuto il consenso ripresero a correre.
Aveva il fiatone; attraversarono lunghi corridoi, urtarono decine di persone ma non si fermarono neanche una volta. Non c'era tempo: dopo dieci anni non può esserci tempo. Quando tutto ad un tratto la ragazza cercò di frenare la svelta corsa, si rese conto che per fortuna si erano già fermati dinanzi ad una grigia porta chiusa.
Quando la giovane alzò lo sguardo, tenuto basso per riprende fiato, ebbe un sussultò e senza rendersene conto affondò tutte e cinque le dita nel braccio dell'amico che non si lamentò, stranamente. 
Justin Bieber.
Questo nome era inciso sul pezzo di carta attaccato sulla porta con del nastro adesivo. Un nome che aveva sussurrato per tanto tempo, un nome che le era rimasto impresso  nella mente tutti quegli anni e quel ragazzo era proprio oltre quella porta. 
Non riuscì a crederci in un primo momento: tutti quegli anni divisi, senza mai cercarsi, chilometri e chilometri di distanza e adesso, in quel momento, vi era una misera porta a separare i due. Si voltò verso Sebastian che la incitò con il capo ad avvicinarsi, a spingere in basso la maniglia e ad entrare ma Wendy non riuscì a muoversi.
Justin era veramente lì, o stava sognando? Quando lentamente e con gambe molli afferrò la maniglia, socchiuse gli occhi; l'aveva amato, con tutta sé stessa. Aveva amato veramente Justin ma si costrinse a prendere un gran respiro perché in quel momento l'amore non doveva intralciare le vite che entrambi si erano costruite dopo dieci anni: semplici amici, semplici vecchi conoscenti e nulla di più.
Quando spalancò gli occhi la porta era ormai aperta e Sebastian era sparito, chissà dove, ma cercò di non farsi prendere dal panico. Una fioca luce attirò la sua attenzione e lentamente aprì la porta che cigolò di poco, deglutì rumorosamente e socchiuse le labbra quando una chioma più bionda ostacolò il suo sguardo. Sussultò portando una mano davanti la bocca: era proprio lui.
I capelli più lunghi del solito, più biondi, un po' di barba e quegli occhi caramellati che l'avevano fatta innamorare con un solo sguardo non erano mutati di una virgola. Era Justin. Un pochettino più possente, forse anche più alto ma era il suo Justin.
Aprì ancor di più la porta e questo bastò per far sobbalzare il ragazzo che non si degnò di voltarsi ma anzi, si lamentò.
"Quante volte vi ho detto di bussare?" domandò alzando la voce. 
E quest'ultima, quella voce così roca era cambiata eccome: più calda, più da uomo. Dopo aver udito quelle parole si rese conto di quanto tempo era passato effettivamente e quel Justin, non era più il ventenne che aveva conosciuto in una piccola e sconosciuta palestra di New York, lui era il trentunenne cresciuti, famoso in tutto il mondo, pugile dalla celebre fama. 
Non ricevendo risposta, Justin alzò di colpo il capo che era rimasto curvo sul banco per tutto il tempo. Lo specchio ritrasse il suo volto ancor di più, delineando il naso perfetto, le labbra carnose, le lunghe ciglia e il lungo ciuffo di capelli biondi che gli cadevano sul viso coprendone gran parte.
Il giovane fece per urlare ulteriormente ma si bloccò, spalancando gli occhi e poco dopo il tonfo di un qualcosa di cristallo che si è appena schiantato al suolo fece sussultare Wendy. Un bicchiere di vetro ormai in frantumi e una pozza di whisky erano ai piedi del ragazzo seduto che dallo specchio, ammirava incredulo e scioccato la figura di Wendy dentro la stanza.
Il silenzio crebbe incessantemente tra le quattro mura, i sospiri pesanti di entrambi riempirono la spazio circostante e la bottiglia dello scuro liquido che Justin teneva dalle mani venne abbandonata e finalmente si voltò. A scatti, tremando, con una strana luce che gli brillava negli occhi si girò ancora seduto sulla comoda sedia.
Wendy cercò di dire qualcosa ma si fermò notando solo in quel momento l'espressione stanca del ragazzo, triste e cupa: due occhiaie ben visibili, pelle alquanto pallida e le nocche delle mani come al solito rossastre e nel peggiore dei casi piede di tagli profondi.
"Wendy?" domandò di punto in bianco lui e questo richiamò l'attenzione della giovane che finalmente riuscì ad udire il suo nome pronunciato di nuovo da Justin.
"Ciao, Justin" disse frettolosamente, forzando un sorriso, prima che il silenzio tornasse ad averla da padrone fra i due.


 

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Capitolo 16
*** Restare ***





Restare

 

Justin non si mosse di un centimetro per interi minuti, d'altro canto Wendy non riuscì a proferire parola perché troppo emozionata e scioccata; ogni qual volta cercava di dire qualcosa si zittiva, tirando indentro le parole e costringendosi ad attendere il ragazzo.
Quando Bieber si decise una volta per tutte a saltare in piedi, lasciando cadere la sedia a terra bruscamente, Wendy sobbalzò e sussultò di paura. Il tonfo fu talmente assordante che la porta, alle spalle della giovane, venne spalancata di colpo e Sebastian si precipitò all'interno della stanza, di fianco alla figura dell'amica.
Era alquanto difficile decifrare l'espressione in volto del biondo che come se nulla fosse, scoppiò a ridere spiazzando i due ragazzi che si lanciarono occhiate di intesa. Wendy non riuscì a capire: quella risata così strana la fece rabbrividire, facendola indietreggiare d'istinto.
"Sebastian" Justin apostrofò l'amico, dando le spalle sia a Wendy che a quest'ultimo e afferrò un altro bicchiere di vetro su un piccolo carrello di fianco alla sedia che oramai giaceva a terra.
Versò all'interno dell'oggetto di cristallo il liquido marroncino e poi posò nuovamente la bottiglia semivuota sul banco, stringendo tra le mani il bicchiere. Si voltò nuovamente traballante e con un ghigno stampato in volto che rabbuiò la giovane. Il pomo di Adamo di Sebastian si alzò e si abbassò talmente lentamente che la ragazza capì che qualcosa non andava. 
"Hai visto che ci è venuta a trovarci?" domandò divertito, rigirando in una mano il bicchiere.
Sebastian si voltò verso Wendy di scatto e poi, senza darle il tempo di rendersene conto, si allontanò in direzione dell'amico e cercò di strappargli via dalle mani il bicchiere ma Justin, molto più svelto, riuscì schivare la presa del moro e bevve tutto d'un sorso. Asciugò le labbra con il dorso della mano destra e poi scoppiò di nuovo a ridere, strizzando gli occhi e chinandosi.
"Sei un idiota" lo rimproverò Sebastian, afferrando finalmente il bicchiere.
Wendy respirava pesantemente: non poteva credere ai suoi occhi...era ubriaco fracido. Non lo aveva mai visto così malandato, così incosciente. Si morse il labbro inferiore cercando di trattenersi perché avrebbe così tanto voluto scappare via da quella stanza. Le parole di Justin, così sature di rabbia e di rancore dei confronti della giovane costrinsero quest'ultima a ritrarsi ulteriormente, pronta a fuggire in un qualsiasi momento.
"Sai dove l'ho vista l'ultima volta?" domandò Justin all'amico, cercando di controllarsi ma gli fu tutto inutile perché continuò a ridere di cuore.
Wendy sentì l'aria diventare sempre più pesante, la testa pulsare e le gambe abbandonarla secondo dopo secondo. Si rese conto solo quando gli occhi caramellati di lui, questa volta seri, andarono a scontrarsi con quelli lucidi di lei, di quanto fosse stata sciocca ad accettare l'invito di Sebastian ma soprattutto ad essere uscita di casa, ad aver mentito a Mark, ad aver sperato.
"Sì...dieci anni fa..." continuò vago, avvicinandosi lentamente a Wendy.
La giovane sentì il cuore accelerare sempre di più, soprattutto quando Justin si fermò tanto vicino al suo volto: quegli non erano gli stessi occhi che l'avevano fatta innamorare quella sera del 1950, non erano gli occhi in grado di trasmettere serenità, così caldi e dolci. Quegli occhi non li conosceva e avrebbe tanto voluto non conoscerli, avrebbe così tanto preferito non doversi scontrare direttamente con quello sguardo che la fece rabbrividire dal terrore. Quelle non erano le labbra rosee che aveva baciato di continuo, così morbide, così buone da assaporare. Quante volte aveva morso quel labbro inferiore adesso così crespo, colmo di tagli, quante volte aveva baciato quelle guance adesso pallide, quante volte si era persa nella sua voce soave ma in quel momento talmente roca e pungente. Tante, infinite volte aveva accarezzato i morbidi capelli dorati ma soprattutto quante volte aveva amato trovarsi a pochi centimetri dal volto del ragazzo che amava, mentre in quel momento avrebbe soltanto voluto allontanarlo per sempre.
"L'ultima volta che l'ho vista..." le sputò in faccia a denti stretti. "È stato proprio dieci anni fa. Come ci si sente ad abbandonare le persone?" domandò crudele.
Wendy non resistette. Non riuscì più a contenersi e si voltò intenta ad abbandonare tutto e tutti, a tornarsene nella casa dove aveva vissuto quegli ultimi dieci anni pensando e ripensando a come sarebbe andata se solo fosse rimasta a New York e in quel momento ne ebbe la conferma: Justin la odiava, con tutto sé stesso. Nutriva rancore nei suoi confronti e in un certo senso Wendy non potette biasimarlo. Era stata una sciocca  ne stava pagando le conseguenze, non avrebbe dovuto neanche minimamente pensare di poterlo rivedere, magari chiarire seduti ad un tavolo come se non fosse successo nulla. Ma invece qualcosa era accaduto e una semplice chiacchierata da vecchi conoscenti non avrebbe risolto nulla, non dopo tutto quel tempo.
Nel momento esatto in cui cercò di scappare si sentì afferrare per un polso e tirare indietro. Strizzò gli occhi per attutire il colpo, immaginando una mano di Justin già impressa sulla sua guancia ma persino Sebastian si tirò indietro nel momento esatto in cui cercò di tirare via l'amico, notando Justin immobile. Strinse tra una mano l'esile polso della ragazza e fissò dritta negli occhi quest'ultima, rimanendo in silenzio: scrutò a fondo il viso cambiato, ormai da donna di Wendy e morse il labbro inferiore, la giovane immaginò che stesse cercando di strozzare un urlo o parole di troppe che avrebbero solo peggiorato la situazione.
"Perché?" chiese, sussurrando debolmente. "Non sopporto tutto ciò Wendy. Per dieci ho cercato di dimenticarti, di non pensarti..." le labbra iniziarono a tremargli e la giovane non potette fare a meno che lasciare il via libera ad una misera lacrima che le rigò il viso, ma che successivamente venne asciugata premurosamente dalle nocche rossastre di Bieber. "Perché non riesco ad odiarti?"
Wendy socchiuse le labbra incredula: quelle parole le trafiggettero letteralmente il petto, sentì il cuore essere colpito dalla voce flebile, colma dopo dieci anni di sofferenze e dispiaceri. Era lei la causa di tutto quel dolore ma se solo Justin avesse saputo: tutte le volte che la giovane si era ritrovata a pensare, a torturarsi il cervello di pensieri, a bagnare il volto di lacrime minacciose di rivelarsi ogni notte, ogni ora del giorno passata in solitudine. Se solo Justin avesse saputo quanto fosse stata dura dieci anni prima venire a conoscenza del suo matrimonio, incontrare Amanda, la sua futura moglie, sapere che presso a poco tutto sarebbe stato spazzato via, forse l'avrebbe capita.
Ma non riuscì a dire nulla, si limitò ad abbracciare Justin com'era giusto che fosse e Sebastian lentamente e senza dare nell'occhio lasciò a stanza con un sorriso stampato in volto. Justin socchiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quella dolce stretta al contrario di Wendy che li tenne aperti per tutto il tempo, sentendo le guance pizzicare per via dei ciuffi ribelli del giovane. Quel profumo lo avrebbe riconosciuto da un miglio, per quanto riguarda quello non era cambiato di una virgola. Si strinse al collo del giovane alzandosi sulle punte, cosa che dieci anni prima non sarebbe mai potuta accadere; Bieber invece accarezzò lentamente la schiena di Wendy sospirando a pieni polmoni. 
In quell'abbraccio erano racchiusi anni di solitudine, di distanza, di voglia di ritrovarsi ma paura di cercarsi. I sogni infranti, un amore spazzato via da vite troppo differenti, di desideri. Un abbraccio del genere non lo dai tutti i giorni: no, un abbraccio del genere lo dai solo a quel qualcuno che dopo dieci anni di tormenti sei riuscito ad incontrare di nuovo ed è lì che capisci che in fin dei conti, passano i minuti, le ore, i mesi, gli anni, una vita...ma se è destino allora ci si ritrova, sempre.
Wendy e Justin riuscirono a ritrovarsi per volere di quello stesso destino che si era beffato di loro: più alti, più adulti, lui con la barba e lei una donna a tutti gli effetti. Lui un pugile di fama mondiale, lei una semplice donna della quale nessuno sentiva il bisogno di sapere nulla. 
Si staccarono solo dopo dieci minuti l'una stretta nelle braccia dell'altro e quando la distanza tornò tra i corpi dei due giovani, Wendy sentì un vuoto dentro di sé, proprio sul petto. Justin aprì finalmente gli occhi e sorrise leggermente, accarezzando la liscia guancia destra di Wendy e facendola rabbrividire. Quando quest'ultima cercò di aprire bocca, Bieber la zittì.
"Non dire nulla" disse secco, scuotendo il capo. "Non ancora ti prego, non adesso che ti ho ritrovata" sussurrò avvicinandosi con il volto sempre di più a quello di Wendy.
Quando socchiuse gli occhi per ricevere il bacio che tanto aveva desiderato per troppo tempo, l'immagine di due occhi di un intenso verde, capigliatura nera e solito gilet addosso la costrinsero a scansarsi bruscamente, bloccando la corsa di Justin contro il tempo per catturare di nuovo le labbra che aveva baciato l'ultima volta dieci lunghi anni prima. Il giovane corrugò la fronte non capendo: è vero, Wendy lo aveva desiderato per tanti anni quel bacio ma in quel momento, nella sua vita c'era un altro uomo. Mark lo amava e lui amava lei, era riuscito a riportare uno spiraglio di luce nella cupa e buia vita di Wendy senza chiedere niente in cambio e non avrebbe mai potuto fargli un torto del genere.
Wendy aveva amato Justin, aveva desiderato ricontrarlo ma non in quel modo, non per lo stesso motivo. Non lo avrebbe mai baciato perché non sentiva più dentro di sé la stessa incontrollabile voglia di tanto tempo fa. Non era più possibile paragonare il rapporto dei due rispetto al passato: Wendy gli voleva bene, ci teneva, aveva voluto con tutta sé stessa rivederlo ma nel giro di qualche mese avrebbe finalmente incoronato uno dei suoi più grandi sogni: sposarsi. E lo avrebbe fatto con l'uomo che amava, con Mark Steele. Non avrebbe mai permesso al proprio passato di distruggere il suo presente, non di nuovo. Era riuscita dopo tanto tempo a ritrovare la felicità, nonostante la morte prematura del padre, era stata in grado di amare di nuovo e nessun bacio con Justin avrebbe spazzato via tutto ciò.
"No, Justin" disse sincera, premendo sul petto del biondo con ambedue le mani. "Non possiamo" giustificò il suo gesto, deglutendo a causa della gola secca.
Justin esitò qualcosa secondo e poi si staccò definitivamente dalla figura di Wendy, tirando le punte dei capelli con una mano e molto probabilmente maledicendosi mentalmente. La giovane non avrebbe mai voluto darlo stare male ulteriormente ma era giusto così, tutto sarebbe andato meglio. 
"Hai ragione" disse dopo secondi di silenzio, sorridendo. "Scusami, non volevo essere così invadente" continuò voltandosi e poi tornando a guardare il volto di Wendy. "Non succederà mai più" concluse fermandosi finalmente. Tutto quel muoversi, roteare su sé stesso e voltarsi stava facendo venire la nausea alla giovane.
"Sono contena di averti rivisto. Davvero" cercò di alleviare la tensione Wendy, sorridendo leggermente.
Justin notò lo sforzo della ragazza nel cercare di rimediare e ne fu contento, tanto che si lasciò alle spalle l'accaduto e tornò ad essere meno teso. Annuì abbassando lo sguardo e cercò di dire qualcosa ma purtroppo nascondere l'imbarazzo sarebbe stato impossibile per entrambi; dopo vari tentativi riuscì a proferire parola. 
"Anche io" disse semplicemente. Wendy ne rimase piuttosto delusa ma cercò di non dare a vedere la sua espressione.
"Forse è meglio che io vada..." 
"No!" la voce squillante di Justin sovrastò quella più cauta della giovane, facendola sobbalzare. "Cioè...resta a vedere l'incontro. Mi farebbe davvero piacere" le parole suonarono come suppliche e Wendy non potette fare a meno di sorridere.
Dieci anni prima aveva preferito scappare, andarsene e non affrontare il problema in prima persona ma non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore. 
"D'accordo. Resto" concluse, notando finalmente il sorriso a trentadue denti di Justin che le era mancato da morire.


 

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Capitolo 17
*** Verità ***





Verità
 

South Carolina,

01 ottobre 1961

Era una routine quotidiana oramai: alzarsi presto, preparare la colazione per Mark, intento a recarsi a lavoro, e dedicarsi alle pulizie di casa tutto il giorno. A Wendy non dispiaceva, era fiera di sé stessa ogni qual volta la mattina il futuro marito la ringraziava di cuore per quello che faceva, per tutti i sacrifici compiuti. Le tornavano in mente tutte le uova bruciate del padre che fu costretta a gettare via, tutte le mattinate trascorse ai fornelli con Harry intento a leggere il giornale seduto al solito posto; era come se nulla fosse cambiato, nonostante tutto. Sapeva che Mark un po' rispecchiava Harry, soprattutto per quanto riguardava l'essere negati con i fornelli e questo la faceva sorridere ogni qual volta, la mattina, si ritrovava ad ascoltare la radio con addosso il grembiule e immaginava di udire la voce del padre richiamarla dolcemente, augurandole un buongiorno e lasciandole un casto bacio sulla guancia.
Qualcosa purtroppo negli ultimi giorni era cambiato però: che sia stato il senso di colpa immenso che invase Wendy nel ricordare che solo ventiquattro ore prima aveva mentito a Mark per quanto riguardava Justin, o proprio la presenza di quest'ultimo così vicina, come non lo era stato per troppo tempo. Era stato difficile quella notte dormire: pensò tanto, forse anche troppo. Ricordò l'abbraccio, il quasi bacio, l'incontro di boxe che per più grande fortuna del biondo si concluse nei migliori dei modi. Non era pronta a vederlo andare via, perché quella stessa sera Justin sarebbe tornato a New York e con lui ogni singola possibilità di rimediare agli errori commessi in passato. Le loro vite si sarebbero divise ancora una volta e forse per sempre.
Immersa nei suoi pensieri, Wendy rizzò le orecchie nell'udire il campanello suonare. Scrutò oltre le tende della finestra della cucina e notò una lunga macchina nera dai finestrini oscurati; corrugò la fronte notando anche un alto uomo, muscoloso, intento a guardarsi intorno. Asciugò le mani umide sul grembiule e si precipitò davanti la porta che aprì lentamente. Quando dei ciuffi biondi catturarono la sua attenzione, lasciò spalancare la porta bruscamente e sgranò gli occhi. Si erano salutati la sera prima, detti addio nel migliore dei modi, perché si trovava lì? Avrebbe soltanto peggiorato la situazione.
"Ehi" disse Justin alzando una mano a mezz'aria. Le nocche erano fasciate ma in compenso non vi erano segni del pugno ricevuto sullo zigomo destro la sera precedente. 
"Che ci fai qui?" domandò Wendy, chiudendosi la porta alle spalle dando un'ultima occhiata alle scale, sperando che Mark non avesse udito il suono del campanello.
"Buongiorno anche a te" rispose offensivo.
Wendy morse il labbro inferiore maledicendosi mentalmente; non avrebbe dovuto reagire così freddamente ma l'ansia e la gravità della situazione non le avevano dato il tempo di elaborare frasi sensate un tantino più amichevoli, com'era giusto che fosse.
"Scusami" sussurrò la giovane. "C-come hai fatto a trovarmi?" chiese, cambiando discorso e sperando che non se la fosse presa più di tanto.
"Ho chiesto di te in giro...o meglio, ho ordinato a Sebastian e a qualche mio conoscente di chiedere di te in giro" ammise portando una mano nei capelli e assumendo un'espressione di chi si sta appena scusando per un reato commesso.
Wendy roteò gli occhi al cielo: lo aveva pregato la sera precedente di non cercarla e lei si era ripromessa di non andarlo a trovare in albergo. Si erano rivisti, entrambi molto felici di essersi finalmente riabbracciati ma quella storia doveva essere chiusa all'istante per il bene di tutti, o quasi.
"Justin, davvero io ti ringrazio per la visita...m-ma non dovresti essere qui..." balbettò lei, ma si bloccò non appena percepì la porta alle sue spalle aprirsi. 
Si immobilizzò pregando che tutto andasse per il verso giusto ma a giudicare dall'espressione scioccata di Justin, capì di averla combinata grossa: non aveva accennato neanche per un attimo di Mark al biondo, né del matrimonio e tanto meno della convivenza. Se solo gliene avesse parlato, molto probabilmente non si sarebbe mai presentato a casa sua quella mattina ma il pasticcio era fatto, e come al solito lei ne era l'artefice.
"Amore..." la richiamò Mark, dolcemente. 
Justin tornò a fissare Wendy dopo quell'affermazione da parte del moro e lei non riuscì minimamente a sorreggere lo sguardo esterrefatto del giovane. Si voltò verso Mark sforzando un sorriso ma quando notò che il suo futuro marito era intento a sorridere e a porgere la mano verso Justin, si costrinse a voltarsi verso quest'ultimo che non le tolse gli occhi di dosso neanche per un secondo, neanche quando si costrinse a stringere la mano di Mark.
"Ma tu sei...Justin Bieber?" domandò entusiasta. "Oh mio Dio non posso crederci, sei proprio tu!" esultò stringendo ulteriormente la presa sulla mano.
Justin sorrise leggermente e Wendy si sentì tagliata fuori dal siparietto, così si ritrasse lasciando spazio ai due. 
"Sì, sono io" ammise. "Sono venuto a trovare Wendy, una mia vecchia amica" disse a denti stretti, scrutando con la coda dell'occhio la figura inerme di Wendy che teneva le braccia conserte al petto.
"Amore, perché non me ne hai mai parlato?" chiese Mark direttamente alla giovane.
"N-non mi sembrava il caso, sono trascorsi tanti anni" cercò di dire ma venne interrotta.
"Dieci per l'esattezza. Dieci lunghi anni" aggiunse Justin, scrutando la figura di Wendy ancora e ancora. Se gli sguardi potessero uccidere...
"Io sono Mark Steele, compagno e futuro marito di Wendy, piacere di conoscerti" disse educatamente il moro. 
Wendy si sentì così tremendamente in colpa: non aveva detto niente a Justin perché non si sentì in dovere di farlo, ma soprattutto immaginò che restare allo curo di tutto sarebbe stata la scelta più giusta. D'altro canto però sentì un peso sul petto anche per quanto riguardava Mark che ingenuamente e senza volerlo, era stato tanto gentile e cordiale con l'uomo che per dieci anni aveva tormentato le notti insonne di Wendy. 
"Ero venuto ad invitarvi a cena fuori questa sera, mi farebbe davvero piacere trascorrere del tempo con Wendy..." si voltò nuovamente verso la giovane che sentì le gote andare a fuoco. "E il suo futuro marito" poi si rivolse a Mark, sorridente. 
"Questa si che è una sorpresa!" esultò Mark; risultava così dolce, tanto che Wendy si lascio sfuggire un lieve sorriso che scomparve non appena Justin notò la felicità sul volto della giovane. "Ma c'è un problema: purtroppo oggi mi toccano gli straordinari a lavoro..." rabbuiò di colpo, costringendo Wendy ad intromettersi nella conversazione per rimediare in un qualche modo.
"Possiamo rimandare!" consigliò, sentendo sempre di più lo sguardo di Justin bruciarle addosso. 
"Amore non è un problema...puoi andare se vuoi" la incoraggiò ad accettare il moro.
Quando Wendy si decise finalmente a voltarsi verso Justin e ad incontrare i suoi occhi, il mondo le crollò sotto i piedi: delusione, rabbia, disillusione, quelle iridi parlavano da sole. Non avrebbe mai voluto ferire nessun in alcun modo: aveva agito in buona fede, credendo che non farne parola avrebbe soltanto risparmiato meno dolore a tutti eppure in quel momento si sentì così stupida, a disagio nel sostenere quello sguardo che chiedeva spiegazioni. 
"Davvero?" domandò dolcemente e quando notò Mark annuire, Justin proferì parola.
"Alle venti. In albergo" scandì per bene le indicazioni, senza far trasparire alcuna emozione. Ma Wendy lo conosceva, sapeva che dietro quel viso cupo si celavano domande, dubbi, necessità di capire, paura di perdonare per poi soffrire ulteriormente.
"D'accordo..." rispose Wendy, annuendo e successivamente abbassando il capo. Ne aveva avuto abbastanza, non avrebbe sopportato oltre. 
I due uomini si salutarono come di dovere con una stretta di mano ma né Justin né tanto meno Wendy, riuscirono a rivolgersi alcun tipo di saluto, che fosse un cenno di capo o uno sguardo. Il biondo si allontanò barcollando, probabilmente ancora incredulo, tornò dentro la sua auto di lusso e il bestione in nero si precipitò sul sedile del guidatore, partendo a tutto gas. 
Quando Mark rincasò, la giovane si costrinse a non tornare dentro per almeno cinque minuti. Sentiva la necessità di doversene stare da sola, lontana da tutto e tutti fuori da quella casa che giorno dopo giorno pareva diventare sempre più stretta e ingombrante. Continuò a costringersi di pensare che magari tutto sarebbe passato, ma lentamente ogni certezza e mattone saldato bene a fondo stavano crollando lasciando spazio alla donna debole, la parte che più odiava del suo essere. Non ci stava più bene tra quelle quattro mura, non da quando la città era stata letteralmente tappezzata del volto di Justin. Ogni vicolo, ringhiera, negozio, quei volantini la stavano tormentando da troppo tempo e quell'invito a cena insensato avevano alimentato la fobia con la quale Wendy conviveva da troppo tempo: cedere di nuovo, ricadere e non avere più le forze necessarie per rialzarsi. 
Ispirò a pieni polmoni lasciandosi cullare dal lieve venticello che le scompigliò di poco le ciocche more di capelli. Non percepì nulla, né un sussurro né tanto meno un lamento: Harry non c'era.
"Che devo fare?" si ritrovò a chiedere rivolta al cielo azzurro, privo di nuvole. Prima ancora che una lacrima potesse rigarle il viso tornò di fretta e furia in casa, salutando Mark che, intento a stringere la cravatta al petto, si sarebbe recato a lavoro e sarebbe rincasato soltanto a notte fonda.
Si lasciarono un dolce e lungo bacio casto sulle labbra e alla fine Wendy rimase di nuovo da sola a fare i conti con i ricordi di un padre andato via troppo presto e di un uomo che anche dopo dieci anni, era in grado di tormentarla. Accettò l'invito con un unico pensiero in testa: presso a poco Justin sarebbe partito, avrebbe lasciato definitivamente Rock Hill e sarebbe tornato a New York. A quel punto, Wendy avrebbe finalmente potuto prendere in mano di nuovo le redini della sua vita, sarebbe diventata preso la Signora Steele e avrebbe incoronato il sogno di una vita. Avrebbe visto i suoi bambini girovagare per quei corridoi vuoti, regalando finalmente vitalità a quella casa fin troppo cupa. Avrebbe concesso al biondo una sola sera, una sola cena, un solo ultimo incontro. 
Corse su per le scale dimenticandosi della colazione che saltò, scostò le lunghe tende che per troppo tempo erano rimaste , lasciando a pochissimi spiragli di luce il via libera per illuminare una stanza meravigliosa che meritava di essere ammirata. Socchiuse gli occhi e dopo alcuni attimi di relax totale si decise a spalancare le ante del grande armadio: non era solita a concedersi il lusso di comperare un vestito più costoso rispetto ai solidi che indossava, nonostante lo stipendio di Mark fosse molto più che accettabile. Semplicemente non ne sentiva la necessità: dimenticò persino l'ultima volta che era andata a cena fuori, in un buon ristornare, con addosso un meraviglioso abito....magari blu, magari con dei gioielli da mozzare il fiato che le accerchiavano il viso, delle scarpe a spillo vertiginose ed undici anni in meno. L'immagine di lei e Justin al loro primo appuntamento -o meglio al secondo- le attraversarono la mente una dopo l'altra. Socchiuse le labbra ricordando il quasi bacio, le risate nonostante gli sguardi indiscreti nella sala, la meravigliosa serata trascorsa in sua compagnia. Non potette che sorridere d'istinto, rendendosi conto solo dopo qualche secondo di dover tornare con i piedi per terra e smetterla di rinnegare un passato che le avrebbe soltanto impedito di vivere al meglio il futuro. 
Afferrò il primo capo che le capitò tra le mani e cioè un abito da cerimonia per niente costoso, ma aveva il suo perché: le ricordava tanto il corto vestito che indossò la sera del ricevimento a casa di Justin, quello colmo di fiori sul fondo e che le donava molto più di quanto avrebbe potuto immaginare. Ed ecco che ancora una volta immagini e ricordi le invasero la mente: percepì la sensazione di due morbide labbra posarsi sulle sue, undici anni prima giurò che quel bacio non lo avrebbe mai dimenticato e così fu. Non scordò neanche per un secondo le sensazioni, i brividi, le emozioni dritte nello stomaco che quella sera del 1950 le regalarono un misero bacio.
Posò l'abito rosso sul materasso e lo scrutò per bene: scollato al punto giusto, corto fino alle cosce e ricami davvero carini, lo avrebbe indossato senza ombra di dubbio. Trascorse l'intero pomeriggio a prepararsi, a sistemare i capelli nel migliore dei modi ma, essendo corti, decise di lasciarli sciolti. Non si truccò, assolutamente non si permise di infangare il suo viso con nessun tipo di cosmetico. Sotto la doccia, fono in mano, vestito nell'altra, tacchi né tanto alti né tanto bassi, pranzo super veloce e poi di nuovo a darsi da fare per rendersi il più accettabile possibile. Le ore passarono e con loro la serenità e la tranquillità che erano riuscite in un qualche modo a tenere saldi i nervi di Wendy. Quando scrutò la sua figura allo specchio quasi non si riconobbe: era davvero passato troppo tempo dall'ultima volta in cui si era piaciuta e apprezzata tanto. Si chiese perché in quegli ultimi mesi, aveva deciso di tenere nascosto un abito tanto meraviglioso e soprattutto perché non si fosse concessa una serata alternativa alla solita monotonia che la stava seriamente divorando giorno dopo giorno. Di quel passo, di Wendy Casey sarebbe rimasto poco e niente; di quella spensierata ragazzina di città, sarebbe svanita ogni singola traccia. Ventisette, quaranta, sessant'anni...in un modo o nell'altro la Wendy diciassettenne sarebbe sempre vissuta dentro di lei, in una parte remota del suo essere anche se a dire il vero, più ammirava le forme prosperose del suo fisico da donna, più le era difficile ricordare a quella ragazzina.
Se precipitò al pieno di sotto incoraggiandosi ad ogni passo: sarebbe stata ancora in tempo a rinunciare, a decretare l'invito a cena ma qualcosa la costrinse a scacciare via quel pensiero. Magari la voglia matta di uscire a divertirsi dopo tanto, o una strana sensazione dritta nel petto che la entusiasmava a tal punto che uscì di casa alle sette, mezz'ora prima. Respirò a pieni polmoni l'aria circostante, catturandone il più possibile e poi la buttò fuori, sbarazzandosene: si sentì tremendamente meglio. Ammirò il tramonto all'orizzonte, sotto il vecchio portico di casa Casey: i riflessi arancioni e rossi riflettevano sulle finestre delle abitazioni circostanti, colorando la cittadina e dando vitalità a quelle abitazioni tutte dannatamente uguali. 
Afferrò saldamente il volante una volta entrata dentro il vecchio furgoncino che l'aveva accompagnata per anni e di guardò allo specchietto retrovisore, annuendo a sé stessa: era pronta. Fisicamente, mentalmente, emotivamente, era pronta a concedersi un ultimo ricordo in compagnia di Justin che avrebbe portato con sé per tutta la vita. Accelerò e in venti minuti si ritrovò di fronte all'albero dove alloggiava il biondo, il quale le aveva riferito l'indirizzo la sera precedente, se mai avesse cambiato idea e avesse deciso di andarlo a trovare prima della partenza e del ritorno a New York. 
Scese dal furgoncino sentendosi in imbarazzo e percependo le gote diventare rosse: quel vecchio catorcio pareva avere ancor meno valore di fianco a tutte quelle auto di lusso, soprattutto di fianco a quella di Justin che risaltò subito agli occhi della giovane. Notando la quattro ruote, l'ansia salì di poco dentro di sé ma si costrinse a stare calma: sarebbe stata una semplice cena tra conoscenti, nulla di più.
Irruppe nella hall dell'hotel e subito, come era solita fare, alzò lo sguardo per ammirare il lussuoso lampadario al centro della stanza: come undici anni fa, parve tornare indietro nel tempo. Sorrise barcollando sui tacchi e tenendo il capo alto per tutto il tempo, pregando di non inciampare o di non dare troppo nell'occhio.
"Mi dica" una calda voce maschile richiamò la sua attenzione.
Wendy si costrinse ad abbassare lo sguardo di scatto, rendendosi conto di non poter andare oltre. Esitò qualche secondo, cercando di rielaborare e poi capì.
"Oh, mi scusi. Sono qui a nome di Justin Bieber" indicò all'affascinante uomo in divisa che se ne stava dietro un leggio di legno.
La giovane notò una smorfia di dissenso sul volto del moro ma non ci diede peso: anche undici fa accadde la stessa cosa, eppure tutto si concluse nel migliore dei modi. Sapeva alla perfezione di non appartenere a quel mondo ma le stava bene così, niente che non andava, tutto regolare. Lasciò passare, attendendo impaziente di poter finalmente entrare.
"Nome?" domandò svelto, seguendo un lungo elenco con una penna nera.
"Wendy Casey" si affrettò a rispondere la giovane.
Quando l'uomo chiuse di scatto il libro, Wendy sussultò dallo spavento. Il moro non lasciò trasparire alcuna emozione, scese dal leggio e si avvicinò alla figura della giovane.
"Da questa parte" le indicò con il braccio.
Wendy lo ringraziò e oltrepassò la sua figura che comunque la seguì a ruota fin dentro un'ampia stanza, colma di tavoli apparecchiati a dovere e anche in questo caso un enorme lampadario a centro sala. Quella a quanto pareva, era soltanto una delle tre grandi sale dell'aria ristorante dell'albergo, perciò Wendy non potette che immaginare  quanto grandi e lussuose potessero essere le due rimanenti.
Il moro si bloccò di fianco ad un tavolo che dava su una grande finestra, ove una minuta cameriera era intenta ad aggiungere un'altra sedia alle due già presenti, il più lontano possibile dall'entrata principale della sala e dal centro, lontano da occhi indiscreti. Perché tre? Corrugò la fronte non capendo.
"Prego" sussurrò, facendola accomodare. "Il Signor Bieber arriverà alle venti in punto" annunciò.
Wendy si guardò intorno e, in effetti, la stanza era praticamente vuota; forse aveva un tantino esagerato con l'anticipo ma ormai era fatta. La giovane annuì cercando ancora di capire il motivo della terza sedia di fronte al lei ma soprattutto di fianco all'altra. Il tondo tavolo era addobbato di candele rosse che si abbinavano alla perfezione con il suo abito e di rose del medesimo color e bianche: in fin dei conti aveva centrato in pieno il bersaglio con la scelta del vestito.
Sorrise istintivamente e si concesse qualche minuto in silenzio, da sola, ad ammirare le grigie nuvole all'orizzonte che minacciavano di abbattersi sull'intera cittadina di Rock Hill. Peccato -pensò, in fin dei conti si preannunciava una serena serata. Scrollò le spalle e versò dell'acqua in uno dei tanti bicchieri, ripensando a quando, durante il secondo appuntamento con Justin, neanche sapeva del perché di tante posate e bicchieri. Sorseggiò leggermente, tanto per bagnare la gola secca e attese per interi minuti.
Poco a poco la sala iniziò a riempirsi, donne leganti e uomini altrettanto raffinati ma per più grande fortuna di Wendy, anche semplici coetanei, magari turisti venuti in visita che alloggiavano in albergo. Poco a poco la grande vetrata venne colpita a raffica da centinaia di gocce, mentre le lancette dell'orologio continuavano la loro corsa. Le venti, le venti e mezzo, le nove...
La giovane strinse tra le mani il tovagliolo stropicciato sentendo gli occhi di tutti puntanti contro la sua figura. Tutte le certezze scomparvero, la pioggia incessantemente accompagnò i pensieri cubi di Wendy che sorseggiò anche l'ultima goccia della seconda bottiglia di acqua. Perché era rimasta? Perché ci aveva sperato tanto? Forse si stava soltanto riempendo il cervello di paranoie, stava di fatto che quando lo stesso moro cameriere di prima, le chiese se era ancora disposta ad aspettare, ella non si tirò indietro e attese, ancora e ancora, sentendosi tremendamente in  imbarazzo. Le ventuno e mezzo...forse era solo in ritardo...le ventidue....
E poi eccolo lì. La sala semivuota, le candele per metà consumate, i petali di rosa rinsecchiti, due bottiglie di acqua vuote e tanta rabbia che ribolliva negli animi della giovane che sussultò nell'udire la sua acuta voce riecheggiare nelle quattro mura. Si voltò di scatto verso l'entrata principale e non potette credere ai proprio occhi: non stava sognando, era davvero un'affascinante ragazza quella avvinghiata al braccio del biondo che continuava a ridersela. Wendy scrutò le slanciate gambe di lei, i lunghi capelli biondi, il fisico da mozzare il fiato e le stesse, tremende ed insopportabili sensazioni di dieci anni fa la invasero di nuovo, quando si ritrovò faccia a faccia con colei che avrebbe sposato Justin. Solo che quella non era Amanda o come si chiamava, era una totale sconosciuta, mai vista prima di allora, intenta a ridere nel medesimo modo di Justin.
Quando si avvicinarono con gli occhi di tutti puntati contro, Wendy non potette fare a meno che udire i bisbigli di disprezzo da parte dei signori intenti a degustare gli ultimi piatti della loro cena per quell'uomo di trentun'anni che dieci anni prima non si sarebbe mai permesso di presentarsi conciato in quel modo ad un appuntamento. Si avvicinarono sempre di più e gli occhi di Wendy diventarono lucidi, sentendoli bruciare dal dolore che erano costretti a sopportare. 
"Wendy..." sussurrò di punto in bianco Justin, rabbuiando. 
La giovane tenne il capo abbassato per interi secondi, sentendo una lacrima colpirle il palmo della mano chiusa in un pugno. Non doveva piangere, eppure eccola lì, disposta a mostrare a tutti le sue debolezze. Ci era cascata, aveva ancora confidato nella stessa persona che l'aveva fatta stare male per anni interi.
"Oh mio Dio, Wendy!" esclamò il biondo, apostrofandola. Abbandonò la stretta della ragazza che corrugò la fronte non riuscendo a capire, presa alla sprovvista dall'intera, imbarazzante, situazione.
In quel momento si spiegò la terza sedia aggiunta all'ultimo momento, le incessanti domande del cameriere che le chiedevano se fosse sicura di restare, il ritardo...tutto aveva un senso. Justin strofinò il volto un paio di volte e poi tirò i capelli, imprecando.
"Già...io" bisbigliò Wendy, alzandosi di scatto e mostrando finalmente a Bieber il suo volto ricoperto di lacrime e gli occhi gonfi. "Sempre io!" urlò, scaraventa addosso al giovane il tovagliolo di stoffa. La bionda intanto era praticamente scioccata, intenta a chiedere spiegazioni a Justin che afferrò per un pelo il tovagliolo, buttandolo sul tavolo e non curandosi della bellissima ragazza che gli era di fianco.
Ma era troppo tardi oramai, perché Wendy a braccia conserte e singhiozzando era già intenta a scappare via da quel postaccio. Non salutò nessuno, sentendo lo sguardo del cameriere bruciare sulla sua pelle e notò il dispiacere nei suoi occhi: l'unica stupida che non aveva capito era stata proprio lei, la diretta interessata. Ci aveva sperato troppo, e come sempre, il destino si era beffato di lei. Quanto stava odiando la sua vita, sé stessa, i suoi desideri, i progetti per una serata indimenticabile, come ai vecchi tempi...dimenticando che proprio quei vecchi tempi erano la causa del suo presente invivibile, saturo di dolore.
Non curante della fitta pioggia, continuò a camminare a testa bassa cercando di trattenere quanto più lacrime possibili ma fu alquanto arduo. Traballò sui tacchi finché non fu costretta a fermarsi, sentendosi afferrare per un polso. No, questa volta non avrebbe ceduto.
Prima Amanda, poi Mark e adesso la bionda. Non erano più dei ragazzini, dovevano smetterla di farsi dispetti a vicenda come se nulla fosse, come se una semplice cena avesse potuto rimediare tutto.
"Lasciami idiota!" urlò a pieni polmoni, strattonando il polso. 
Fu inutile. La stretta di Justin divenne sempre più salda sull'esile polso della giovane che percepì odore i alcool e, quando si notò di scatto, non potette fare a meno che perdersi in quelle iridi ormai scomparse per via delle pupille dilatate al massimo. Aveva bevuto, aveva fumato o peggio...si era drogato. Non c'erano dubbi, era praticamente incosciente in quel momento.
"
Me ne sono completamente dimenticato" disse leggermente, cercando di risultare il più sincero possibile. "Wendy, mi dispiace..."
"No è a me che dispiace aver accettato questo stupido invito a cena!" urlò per contrastare il rumore delle gocce che sbattevano a terra. "Di essere venuta a cercarti e di aver anche solo creduto per un istante che tutto sarebbe potuto andare nel migliore dei modi. Se solo non fossi venuto oggi a casa..." sputò in faccia al biondo, la quale per metà era ricoperta dal ciuffo di capelli appiccicato alla pelle.
"Se solo non te ne fossi andata dieci anni fa" aggiunse il giovane.
Silenzio. A parte la pioggia, tra i due il silenzio la ebbe da padrone: quelle parole spiazzarono Wendy che dovette elaborare una frase di senso compiuto per ribattere, ma balbettò qualche parola a caso prima di poter finalmente proferire parola e raccogliere quel poco coraggio che le era rimasto.
"Non puoi rinfacciarmelo Justin, non adesso!"
"Ah no? E quando allora? Quando saranno trascorsi altri dieci anni, e saremo abbastanza maturi per affrontare una discussione su quanto ci è accaduto?" domandò furioso. Più alzava la voce e più la stretta sul polso aumentava, facendo gemere Wendy dal dolore.
"Ci abbiamo provato Justin, ma io non ce la faccio a mettere da parte il rancore nei tuoi confronti e tu non riesci a fare lo stesso con me. È inutile tentare di nuovo" cercò di dire con calma, nonostante volesse sfogarsi più possibile, ma capì che era meglio non farlo inquietare perché in quelle condizioni, sotto l'effetto di qualche alcoolico, avrebbe potuto dare di matto. "Ti stavi per sposare Justin, come avrei dovuto reagire? Mi hai dimenticata così facilmente. Sei partito senza avvisarmi, sei tornato e non ti sei più fatto vivo. Cosa avrei dovuto fare? Farti da testimone al matrimonio e congratularmi con te? Tu non lo sai come mi sono sentita quando mi sono ritrovata a stringere la mano della donna che si definiva la tua futura moglie"
Le salate lacrime si miscelarono con le gocciole di pioggia, ma a tradire la ragazza furono gli occhi rossastri e questo fece riflettere a fondo Justin che allentò la presa sul polso, senza però lasciarla andare via.
"Tu pensi davvero che io avrei sposato una donna che neanche amavo? Lo pensi davvero Wendy?" chiese, scioccato. La giovane non proferì parola né mosse il capo, il che fece sorridere di gusto Justin. "Allora non mi hai mai conosciuto. Avevo solo bisogno di tempo, sarei andato contro mio padre per te, ho annullato le nozze appena mi è stato possibile...ma quando sono corso a riprenderti, tu non c'eri. Dimmi, Wendy, sai come mi sono sentito io quando nel suonare il campanello di casa tua, non ho visto nessuno venirmi ad aprire? Ho chiesto di te in giro, e tutti pronti con la solita, stramaledetta risposta: è partita. Se ne è andata. Da me. Per sempre"
Wendy socchiuse le labbra ancora più scioccata di Justin: respiro pesante, battito irregolare e giurò di aver visto l'albergo girarle intorno. La testa pulsava, le gambe flebili, le labbra e le mani tremanti. 
"T-tempo?" riuscì a dire, balbettando. "Ho trascorso tre settimane Justin, a piangermi addosso e di te neanche l'ombra. Tu avevi bisogno di tempo?" chiese nuovamente, attendendo una risposta che non arrivò mai direttamente.
"Tre settimane e mezzo. Bastava attendere qualche giorno in più Wendy, perché sono trascorse precisamente tre settimane e mezzo. Ma tu non c'eri, non sei riuscita ad aspettare, a lottare per la persona che tanto dicevi di amare..." concluse così il suo monologo.
Come una coltellata nell'anima, Wendy si sentì morire lentamente dentro. Non riuscì a credere alle proprie orecchie e quella sera ebbe la conferma che sì, era stata tutta colpa sua. Scosse il capo con l'intenzione di scacciare via dalla mente quelle ultime parole pronunciate dal biondo che l'aveva scalfita dritta nel petto. Era stata sempre colpa sua, ma non era mai stata in grado di ammetterlo.
"È tardi adesso. Torna a New York, vivi la tua vita come è giusto che sia...io vivrò la mia" aggiunse sconvolta, sperando che finalmente Justin si decidesse a lasciarla andare.
Quando però si voltò di scatto verso il vecchio furgoncino di famiglia, si sentì nuovamente strattonare e nel voltarsi, si ritrovò con il viso ad un palmo di mano da quello di Justin.
"Non è tardi Wendy, non dopo dieci anni" sussurrò quest'ultimo.
Un attimo dopo, senza che la giovane se ne rendesse conto, le labbra di lui erano poggiate su quelle di lei.

 

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Capitolo 18
*** Destinati ad amarsi ***





Destinati Ad Amarsi
 

South Carolina,

2 ottobre 1961

L'erba era fresca, profumata e solleticava di tanto in tanto le guance di Wendy. La giovane continuava a rigirare tra le dita affusolate piccoli ciuffi di erba mentre si lasciava trasportare dal solito lieve venticello di autunno e fissava con attenzione i grandi nuvoloni bianchi che ricoprivano il cielo azzurro. Justin le sedeva a mo' di indiano di fianco e continuava a strappare anche'egli ciuffi d'erba, molto più bruscamente, con molta più rabbia. Li spezzettava e li buttava altrove, in silenzio, attendendo una risposta di Wendy. La giovane ci aveva provato a proferire parola ma ogni qual volta pareva aver elaborato una frase di senso compiuto, tirava indentro le parole e se ne stava zitta.
"Wendy..." la richiamò lui dolcemente, voltandosi a scrutare la magra figura della mora distesa sul prato. 
Quest'ultima si voltò lentamente, scattando in piedi e sbuffando, capendo di non avere via di scampo; mordicchiò il labbro interiore alla guancia e prese un gran respiro.
"È stato un errore" ammise sottovoce. Stava mentendo. "Solo un errore" continuò portando le ginocchia al volto, stringendosi sempre di più ad esse.
Non era stato un errore, assolutamente: poteva essere considerato il miglior bacio dato negli ultimi dieci anni. Quelle farfalle nello stomaco, quei brividi, quella voglia matta non la sentiva da troppo tempo ma ammetterlo avrebbe complicato ogni cosa, da Mark alla semplice carriera di Justin. Per il bene di tutti nulla sarebbe dovuto mutare: Bieber sarebbe tornato a New York prima o poi, Wendy si sarebbe sposata, il biondo avrebbe continuato a girare il mondo incoronando il suo sogno. Aprirsi, esprimere i propri sentimenti avrebbe fatto soffrire troppe persone, avrebbe intralciato il cammino per troppi. Le costava ammetterlo, ma quel bacio lo aveva adorato, sentito, assaporato come non era mai stata in grado di fare con Mark. 
"Un errore?" domandò sbigottito quest'ultimo, voltandosi questa volta con tutto il busto, con occhi sgranati: non era quello che si aspettava di sentire e in un certo senso non era quello che Wendy avrebbe voluto rivelare.
"Sì" rispose insicura Wendy, non riuscendo ad incrociare lo sguardo del biondo. 
Bieber strofinò il volto con ambedue le mani un paio di volte e si avvicinò ulteriormente alla figura inerme di Wendy che, nervosa, si scansò di poco. Cosa aveva intenzione di fare? 
"Ehi...guardami" la richiamò leggermente, poggiando due dita sotto il mento di lei. Wendy oppose resistenza non voltandosi, continuando a spingere con il volto verso il lato opposto. "Wendy guardami!" esclamò stremato, afferrandola per le guance. 
Dopo qualche attimo, la giovane si decise a guardare dritto nelle iridi caramellate di Justin e notando il volto di lui sempre più minaccioso e vicino, abbassò il capo leggermente, tanto che le labbra di Bieber che avrebbero dovuto scontrarsi con quelle di lei, andarono a poggiarsi dolcemente sul naso di Wendy, facendole socchiudere gli occhi. Il giovane tentò nuovamente ma questa volta, Wendy si voltò di scatto e invece che le labbra, Justin baciò la guancia paonazza di lei.
"Ti vuoi fermare?" domandò scontroso, afferrandola saldamente per il viso. 
"Tu smettila" lo rimproverò, serrando le labbra. Non potevano, non di nuovo.
Non se lo sarebbe mai perdonata: stava tradendo l'uomo che le era rimasto affianco, stava tradendo l'uomo che aveva giurato di amare per il resto della sua vita nonostante tutto. Mark non meritava tutto ciò, non meritava essere preso in giro. Già, non meritava essere presto in giro...
Justin guardò dritto negli occhi di Wendy, li scrutò a fondo perdendosi in quelle iridi che tanto aveva amato, che tanto lo avevano fatto innamorare anni prima e lo stesso fece lei con lui. Il giovane scosse il capo, negando l'affermazione precedente di Wendy e si avvicinò a tal punto che opporre resistenza sarebbe stato inutile a priori: baciò prima il labbro inferiore, poi quello superiore ad occhi aperti mentre Wendy al contrario, vergognandosene, si lasciò andare socchiudendo le palpebre e a quel punto Bieber capì di averla in pugno: poggiò prorompente le sue labbra su quelle di lei e iniziò con movimenti lenti che a lungo andare si trasformarono in scatti molto più voluti e desiderati. La giovane sentì picchiettare sulle labbra e acconsentì, quasi pregando Justin di baciarla ancora e ancora. Le loro lingue si scontrarono e si lasciarono andare: Wendy sentì i brividi invaderle la spina dorsale ogni qual volta le loro lingue si scontravano, soprattutto quando Justin posò le mani sulle spalle di lei e la spinse indietro, facendola stendere sull'erba. Continuarono a baciarsi senza sosta fino a quando non furono costretti a staccarsi per riprendere fiato; respiravano a fatica, ancora increduli.
Justin le si era posizionato sopra, tra le gambe ed era intento a sorreggersi sui gomiti per non schiacciare la esile figura di Wendy. Le scansò una ciocca di capelli da davanti il volto e sorrise leggermente sulle sue labbra, riprendendo a baciarla. Si accarezzarono, si toccarono, si desiderarono per molto minuti ma ancora una volta, per mancanza di aria, si dovettero distaccare. Wendy istintivamente morse il labbro di Justin che gemette, facendo sorridere la ragazza.
"Vuoi dirmi che questo è stato un errore?" bisbigliò Bieber. 
Wendy morse il suo di labbro, sentendo il respiro di Justin picchiarle sul collo e senza che potesse rendersene conto, il ragazzo era già concentrato sulla calda pelle di lei. Baciò di nuovo le labbra a stampo, poi la guancia, la mandibola e scese sempre più giù sino al collo dove si bloccò: si concentrò su un punto ben preciso e iniziò a baciare, a mordere, a leccare facendo gemere di gusto Wendy. Quest'ultima strizzò gli occhi e strinse tra le mani i ciuffi di erba, strappandoli via una volta che il piacere la invase tutta.
"Questo è un errore?" insistette a domandare Justin, fermandosi qualche secondo.
Wendy inarcò la schiena non appena sentì la mano dalle dita irregolari di Justin accarezzarle una gamba al di sotto della gonna e inarcò la schiena d'istinto, maledicendosi mentalmente per essere così vulnerabile sotto il suo tocco. Avrebbe dovuto reagire eppure non era in grado di muovere un muscolo per respingerlo, forse perché in un certo senso lo desiderava così tanto. Quelle carezze erano così sature di passione e voglia di aversi che niente e nessuno in quel momento avrebbe potuto intromettersi tra i due, neanche la stupida coscienza di Wendy.
Justin passò dalla caviglia al polpaccio, lo accarezzò delicatamente per poi oltrepassare il ginocchio e strinse la mano sulla coscia, continuando a baciarle il collo. Sorrise su di esso quando Wendy gemette per l'ennesima volta, sentendo la pelle d'oca proprio nel punto esatto in cui la mano di Justin era intenta ad accarezzarle la coscia nuda. 
"J-Justin..." lo richiamò, ancora ad occhi chiusi. Senza darle ascolto, il biondo morse ancora il solito punto e poi tornò a baciarle la mandibola, facendo roteare il capo a Wendy.
"Non mentire a te stessa Wendy" disse Justin prima di staccarsi dalla figura della giovane, tornando al proprio posto, seduto.
Wendy rimase distesa sul prato incredula: ancora scossa, cercò di reprimere la pelle d'oca e i brividi, sperando che il respiro le tornasse finalmente regolare. Il silenzio calò nuovamente tra i due, torturando i timpani della giovane che odiava tutta quella tranquillità, era peggio del frastuono insopportabile. Scattò in piedi con il busto sistemando la gonna sulle gambe e i corti capelli, sfilando via dalle ciocche qualche filo d'erba. Justin tirò fuori dalla sua giacca un pacchetto di sigarette e ne portò una tra le labbra rosse e gonfie, la accese e sputò via il fumo, socchiudendo gli occhi.
Wendy rimase a fissarlo per qualche secondo, perdendosi in quei lineamenti a dir poco perfetti: Justin era sempre stato un ragazzo affascinante ma in quel momento, sotto la luce del sole, con la barba che accerchiava il suo viso e i capelli scompigliati era a dir poco da mozzare il fiato. Dimostrava molto meno di trentun'anni, se non fosse stato per la barba sarebbe potuto tornare ad essere il ventenne di un tempo. Poi quelle labbra gonfie, le gote rosse per il caldo e il respiro affaticato: uno spettacolo da ammirare di continuo e Wendy non si sarebbe mai stancata di ammirare la sua bellezza. Successivamente, di punto in bianco, la ragazza sorrise d'istinto richiamando l'attenzione di Justin che si voltò con la sigaretta tra le labbra, corrugando la fronte.
"Perché ridi?" domandò, strizzando un occhio a causa del sole. Wendy esitò qualche secondo prima di rispondere, ancora intenta a sorridere senza sosta.
"Stavo pensando" ammise dopo, tornando a torturare il prato con le mani. Strappava i ciuffi di erba uno ad uno, cercando di trattenersi.
"A cosa?"
"A quanta pazienza e coraggio ci vuole per starti accanto" disse frettolosamente, voltandosi nuovamente verso la figura di Justin, il quale si lasciò sfuggire un sorriso nonostante la sigaretta.
"Tutto il coraggio del mondo" ammise Justin, vantandosi.
Wendy scosse il capo scoppiando definitivamente a ridere e Justin cercò di trattenersi a lungo, ma non ci riuscì. Risero di gusto all'unisco e una volta finita la sigaretta, Bieber gettò il mozzicone lontano dalle loro figure e scattò in piedi, prendendo alla sprovvista Wendy; strofinò i pantaloni neri per pulirli e porse la mano verso la ragazza che in un primo momento esitò, poi comunque la afferrò e si lasciò alzare velocemente, tanto veloce che finì per urtare il petto di Justin.
Il sole si nascose oltre una nuvola, finalmente dando la possibilità ai due di potersi guardare per bene dritti negli occhi. Il parco era praticamente vuoto, e per fortuna aggiungerei. Li avrebbero come minimo denunciati per tali effusioni scambiate in pubblico, ma nessuno era nei paraggi e questo tranquillizzò molto Wendy che scosse il capo ripetute volte per tornare con i piedi per terra e costringersi a smetterla di fissare quegli occhi.
"Voglio portarti in un posto" ammise dopo, sicura. 
Justin chinò la testa di lato cercando di capire, ma senza risultati. Annuì debolmente incerto, passando una mano tra i capelli e sistemando il ciuffo biondo all'indietro.
"Devo preoccuparmi?" domandò facendo intendere di essere ironico.
Wendy si lasciò sfuggire un sorriso forzato e Justin lo notò, rabbuiando di punto in bianco. Desiderava accompagnarlo in quel posto con tutta se stessa. Si incamminarono perciò fuori dal palco e a piedi, senza prendere l'auto, attraversarono la via e dopo circa dieci minuti di silenzio e tensione Wendy si bloccò dinanzi ad un cancello, molto alto e possente. Justin alzò il capo portando una mano sulla fronte per pararsi dai raggi del sole e capire meglio, poi lentamente tolse la mano e si voltò in direzione della ragazza che era già intenta ad inoltrarsi oltre le mura. Justin la seguì a ruota piuttosto turbato, molto sentito e tremendamente triste non appena alzò il capo.
File e file di lapidi si estendevano su tutto il prato, la dove era impossibile continuare a vedere. Notò un'anziana signora chinata, intenta ad accarezzare una scritta in ferro battuto non poco distante da lui, più in la invece un'intera famiglia a teste chine dinanzi ad un'altra lapide, identica a tutte le altre; ognuno di quei nomi corrispondeva ad una storia, ad una vita.
"Wendy!" la richiamò ma fu tutto inutile, non rallentò per nessuna ragione al mondo.
Justin sentì un nodo alla gola, non paragonabile a quello di Wendy che cercò di tenere lo sguardo dritto dinanzi a sé per tutto il tempo senza lasciarsi sfuggire neanche una lacrima. Camminò a passo svelto tra le lapidi e Bieber di tanto in tanto era costretto a fermarsi, troppo esausto per andare avanti, sia fisicamente  ma soprattutto psicologicamente. 
Quando finalmente Wendy restò la sua corsa, Justin la affiancò, senza rendersi conto delle due lapidi allineate, l'una vicino all'altra e perfettamente identiche. Notò lo sguardo cupo di Wendy, abbassò la testa e sgranò gli occhi incredulo, rimanendo in silenzio: la giovane percepì il suo respiro affannato, notò le sue labbra socchiuse a causa dello stupore, cercò di captare una qualche emozione che non fosse pura incredulità ma fu tutto inutile.
Justin si avvicinò lentamente alla seconda lapide, chinandosi a tal punto da toccare le ginocchia a terra; Wendy posò una mano sulla sua spalla, accarezzandola delicatamente, come molte volte avevano fatto a lei. Bieber accarezzò il nome inciso sulla lapide con mani tremanti e tutto intorno a loro scomparve, lasciando spazio al dolore, alla rabbia, al male che aleggiava nei loro cuori in quel preciso istante.
"Harry..." sussurrò Justin con voce strozzata.
Wendy cercò in tutti i modi di trattenere le lacrime ma fu  inutile: il nodo in gola era troppo grande, gli occhi pizzicavano a tal punto da dover essere costretta a strizzarli di tanto in tanto. Erano giorni, settimane che non piangeva nel ricordare il padre eppure in quel momento non potette far altro che lasciarsi andare, affiancando la figura di Justin a terra, sentendo le lacrime rigarle il viso e cadere sul prato verde.
"Ti ha nominato spesso negli ultimi giorni di vita" disse singhiozzando la giovane.
Justin si voltò e Wendy notò i suoi occhi rossi, intenti a trattenere le lacrime.
"Davvero?" domandò, sussurrando e cercando di non dare a vedere il suo dolore, la sua voce rotta dalla sofferenza ma fu inutile perché quegli occhi parlavano da soli.
Wendy annuì e in quel momento, intenta a scrutare quelle iridi caramellate, solo nell'istante in cui Justin tornò a scrutare la lapide e ad accarezzare il nome di Harry Casey, Wendy capì erano stati degli stupidi, soprattutto lei per quanto riguarda l'essersi presa gioco di Mark ma quegli occhi gonfi, le labbra tremanti e la voce strozzata in gola di lui fecero capire alla ragazza che Justin teneva ad Harry più di quanto potesse immaginare. Aveva adorato quell'uomo, stimato, sentito parte della sua famiglia: davanti a quella lapide, Wendy capì il perché del continuo nominare Justin da parte di Harry, capì perché lo avesse rimpianto tanto. Mai come quella volta ringraziò Dio per averle dato la forza e soprattutto il destino per averle dato la possibilità di regalarle emozioni uniche. Capì che non avrebbe voluto vederlo andare via, non di nuovo: che non se lo sarebbe mai perdonata, non sarebbe mai riuscita a vederlo salire su un aereo diretto a New York. Si ringraziò perché per una volta aveva dato retta al cuore, piuttosto che alla testa e cosa più importante, capì che nonostante dieci anni, nonostante Justin fosse cambiato così tanto, nonostante il tempo fosse passato troppo in fretta e i due avessero vite completamente differenti dal passato, due vite parallele senza alcun punto di incontro, Wendy continuava a desiderare quelle labbra più di qualsiasi altra cosa. Continuava a perdersi in quelle iridi caramellate che l'avevano catturata sin dal primo istante e quegli occhi, gli unici in grado di comprenderla: in quel momento non potette fare a me che afferrare la mano di Justin perché capì che lo avrebbe amato sempre, costantemente e maledettamente. 
A capirlo per primo fu proprio Harry; quell'uomo sapeva, aveva percepito sin dall'inizio il forte legame che teneva uniti i due ragazzi e Wendy stupidamente non aveva dato retta a suo padre quando la pregò di tornare a New York per riprendersi l'amore della sua vita. La cosa buffa? Il suo amore eterno le sedeva proprio di fianco, di fronte alla lapide dell'uomo che finalmente avrebbe potuto vedere la sua bambina felice e spensierata, che per ultimo avrebbe assistito ad un altro desiderio che pareva essersi finalmente incoronato. Non era stata lei a tornare a New York ma in compenso il destino le aveva regalato una seconda possibilità: Wendy capì che sarebbero potuti trascorrere altri decenni, anni ed anni ma il suo cuore sarebbe sempre appartenuto a quel buffo ragazzo che una sera del 1950 decise di scommettere con una timida ragazzina di New York senza sapere che, da quel momento in poi, sarebbero stati destinati a stare insieme, per sempre.


 

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Capitolo 19
*** Un'altra volta - Parte prima ***





Un'altra volta - Parte prima
 

South Carolina,

3 ottobre 1961

Era mattina presto quando Wendy scese dal vecchio furgoncino di famiglia, di fronte l'entrata principale dell'hotel dove alloggiava Justin da qualche giorno. Si sgranchì per bene le gambe e roteò il collo un paio di volte, troppo stanca e affaticata. Non chiudeva occhio oramai da giorni e addirittura, la notte precedente si era presa la briga di starsene da sola sul divano, distante il più possibile da Mark. Non se la sentiva di dormire di fianco a lui; non in quel momento, non dopo l'uragano improvviso di emozioni che aveva portato con sé Bieber.

Era uscita di casa velocemente, senza destare i sospetti di quell'uomo che avrebbe dovuto sposare, nonostante si stesse chiedendo da giorni se in fondo era quello che più desiderava. Scacciò via quel pensiero fuori luogo e trattenne il fiato, avvicinandosi sempre di più all'interno della hall. Il lussuoso lampadario come di consueto catturò la sua attenzione e quando abbassò lo sguardo, notò il cameriere che qualche sera prima era stato tanto gentile e cortese da accompagnarla al tavolo. Ricordava ancora lo sguardo dispiaciuto di lui quando Wendy scappò a gambe levate con il volto coperto di lacrime. 
"Posso aiutarla?" domandò quest'ultimo, come se non sapesse.
Wendy esitò qualche secondo, chinando il capo di lato, lasciandosi trasportare dagli occhi chiari dell'uomo; scosse di poco il capo successivamente costringendosi a chiedere di Justin, ma non ricevette risposta seduta stante. L'uomo di canto suo si guardò per bene intorno e tossì leggermente per schiarire la voce.
"Non posso lasciarla passare" ammise, tornando ad occuparsi delle proprie scartoffie.
La giovane sgranò gli occhi, incredula. La conosceva, -si fa per dire- sapeva chi era e perché si trovasse lì. Era stato lui stesso a leggere il suo nome su quello stupido quaderno due sere precedenti, cosa cambiava?
"Come?" domandò incredula.
L'uomo scattò sull'attenti, avvicinandosi cautamente alla figura di Wendy che si sporse per capire ed ascoltare cos'aveva da dire.
"Senti, non posso davvero questa volta. Mi dispiace" sussurró l'uomo cercando di mantenere la calma.
Dalla sua voce roca si enunciava agitazione e dai suoi occhi traspariva la più sincera preoccupazione.
"È urgente, mi creda" bisbigliò Wendy.
L'uomo la scrutò accuratamente da capo a piedi e dopo qualche secondo di meditazione, sbuffò e scosse di nuovo il volto per negare l'accesso alla giovane.
"Mi dispiace ma gli ordini sono ordini.
Il Signor Bieber ha espressamente ordinato di non voler essere disturbato" continuò sicuro.
Wendy sbuffò di malavoglia e incrociò le braccia al petto, come una bambina il che fece sorridere lievemente l'uomo.
"Sono sicura che se gli dice che sono io, sarà lieto di vedermi" aggiunse cercando in tutti i modi di convincere il moro.
Quest'ultimo riflettette, pesando per bene le parole della giovane, valutando l'ipotesi di lasciarla definitivamente andare, ma perché mettere a rischio il proprio posto di lavoro per una ragazza cocciuta?
Il moro sbuffò, strofinando il volto.
"E va bene, tenterò. Sappi però che se non potrai dovrai andartene" 
Wendy annuì non preoccupata; Justin aveva avuto le sue ragioni per richiedere di non essere assolutamente disturbato, ma la giovane era sicura che l'avrebbe lasciata passare. 
Quando l'uomo scomparve dietro un angolo, Wendy rimase da sola e aspettò tutto il tempo da tale, poi vide il moro tornare, composto e serio.
"Mi dispiace..." non riuscì a concludere la frase perché un'altra voce maschile fin troppo conosciuta richiamò l'attenzione di entrambi.
"Wendy" l'apostrofò Sebastian, a denti stretti. La giovane distolse lo sguardo dal moro che le era di fronte per concentrarsi sulla figura dell'amico; notò i pugni stretti verticalmente al pavimento, la mascella contratta e lo sguardo ridotto a due fessure.
"Lei è con me" aggiunse rivolgendosi all'uomo che un po' titubante lasciò andare Wendy, la quale oltrepassò la hall seguita a ruota da Sebastian.
"Per motivi di sicurezza a Justin è stato vietato di incontrare estranei...q-questo però non è il tuo caso" si corresse smanettando. Non parve molto convinto delle sue parole, anche perché il cameriere si era gentilmente preso la briga di andare a domandare direttamente a Justin, ma quest'ultimo aveva rifiutato. Che fosse successo qualcosa di grave? Fatto stava che Wendy si sentì profondamente offesa.
"Sei venuta a trovarlo?" domandò di punto in bianco l'amico, richiamandola all'attenzione.
"Vorrei parlargli" disse Wendy. "Urgentemente" aggiunse marcando per bene ogni singola sillaba.
Sebastian passò una mano tra i capelli e si fermò dinanzi al bancone ove una donna elegante porse al giovane una chiave che afferrò sorridente, ringraziandola.
"Non è il momento più adatto, fidati" disse in fine.
La giovane si bloccò prima ancora di poter mettere piede sul primo gradino, cercò di capire il perché di tale affermazione ma le fu alquanto impossibile.
"Che intendi dire?" domandò preoccupata. E se fosse davvero successo qualcosa?
"È solo un tantino occupato" si affrettò a rispondere Sebastian, il quale a confronto dell'amica era già arrivato a destinazione su per la rampa, mentre Wendy fin troppo pensierosa faticò a raggiungerlo.
"Occupato?"
"Esatto, solo occupato. Nulla di grave" esclamò inserendo nella serratura della sua stanza, la 123, la chiave occorrente.
"Sebastian dimmi la verità...è successo qualcosa?" domandò incrociando le braccia al petto.
"Cosa te lo fa pensare? Sta benissimo. Sono io che rischio di essere rinchiuso in un manicomio a causa sua" ammise irrompendo nella stanza. 
Wendy corrugò la fronte sempre più titubante e, prima ancora che la porta potesse chiudersi, la bloccò con un piede ed una mano, scrutando la figura di Sebastian intenta ad afferrare la cornetta del telefono. Il giovane imprecò quando dall'altro capo del telefono nessuno rispose e si buttò a peso morto su una nera poltrona, di fianco ad un tavolino in legno colmo di alcolici.
"Entra, non stare lì impalata" bisbigliò massaggiando una tempia, successivamente afferrò il pacchetto di sigarette da dentro i pantaloni e ne portò una sulle labbra.
"Mi ero ripromesso di smettere" disse accendendo sulla punta il piccolo oggetto intrappolato tra le sue rosee labbra e quando tirò dentro, socchiuse gli occhi evidentemente stanco.
Wendy fece come le era stato detto e si appoggiò con la schiena alla porta ormai chiusa, attendendo che l'amico preferisse parola.
"Tra due settimane ha un incontro davvero importante" iniziò stringendo una mano in un pugno.
"Saremmo già dovuti essere tornati a casa da tempo, non può rinunciare i patti sono stati chiari: o da tutto sé stesso oppure addio sponsor e addio carriera" continuò. 
Wendy non potrete che sentirsi in colpa: che fosse lei il motivo di questo non voler tornare a New York da parte di Justin?
La mora abbassò lo sguardo e quando sentì gli occhi di Sebastian puntati sulla sua figura, si sentì maggiormente un peso.
"Non è colpa tua se è quello che stai pensando" si affrettò a dire.
La giovane annuì, andandosi a sedere sul bordo del letto dinanzi a Sebastian il quale, dopo interminabili secondi di imbarazzante secondo, si avvicinò con la poltrona.
"Ritrovarti è stata la cosa migliore che gli potesse capitare" cominciò sorridendo. Wendy sentì gli occhi pizzicare e bruciare ma si costrinse a tirare su con il naso, senza piangere, era stufa di farlo. 
"Sono contento che ti abbia rivista, che vi siate parlati e chiariti dopo dieci anni" a quanto pareva anche per Sebastian fu difficile trattenersi dal piangere, visto e considerato che tirò su con il naso fin troppe volte. "E lo stesso vale per me, vederti di nuovo è stata una sorpresa" continuó spingendosi e afferrando le mani della giovane che sussultò dall'imbarazzo. Quando lui puntò i suoi occhi chiari in quelli di lei, la giovane rabbrividì, percependo dolore, paura, terrore. Qualcosa non andava, lo capì in quell'istante ma non potette far a meno che attendere Sebastian, sperando che preferisse parola il prima possibile perché quello sguardo le stava bruciando addosso.
"Ha bisogno di te Wendy, più di quanto tu possa immaginare. Non lasciarlo di nuovo, torna con noi a New York, torna da lui" si bloccò.
Wendy socchiuse labbra e si rese conto che quella altro non era che una vera e propria supplica. Le parole strozzate di Sebastian, quegli occhi lucidi e quel tremolio preoccuparono fin troppo Wendy. Perché tanto terrore? 
"Sebastian..." lo apostrofò incerta. "Non posso, mi dispiace. È qui la mia vita oramai; qui ho Mark, i miei genitori, la mia casa, il mio futuro. Non posso rimpiangere il passato, anche se..." si bloccò non appena si rese conto di cosa effettivamente stava per dire. Si era ripromessa di non dichiarare nessuno dei sentimenti che provava nei confronti di Justin, sempre e solo per il bene di tutti.
"Anche se cosa Wendy? Anche se non hai mai smesso di pensare a lui? Anche se ti batte ancora oggi il cuore a mille ogni volta che lo vedi? Anche se vorresti baciarlo, abbracciarlo e sentirti protetta fra le sue braccia costantemente? Anche se lo ami?"
Wendy scattò in piedi sentendo una lacrima rigarle il viso, percependo le gambe deboli e il respiro pesante: era vero, era tutto fin troppo e dannatamente vero. Lo amava, non aveva mai smesso di farlo ma erano cambiate troppe cose, era trascorso troppo tempo e non erano più dei ragazzini, non avevano più la possibilità di sognare, di costruire progetti per il futuro. Erano cresciuti e soprattutto, erano costretti a vivere le loro vite per quello che erano. Non era più concesso loro trasgredire le regole e di non dare retta ai pareri altrui: avevano delle responsabilità ed erano tenute e rispettarle, senza mettere di mezzo un amore di dieci anni prima, quello che Wendy aveva sempre definito, scioccamente, una cotta adolescenziale. Lo avrebbe amato sempre, per il resto della sua vita avrebbe ricordato i suoi occhi, i brividi che le percorrevano la spina dorsale quando si univano in uno dei loro indescrivibili baci, ma tutto questo in silenzio, con la distanza di mezzo.
"Non posso Sebastian, non più" passò il palmo di una mano su ambedue le guance e si diresse verso l'uscita. "Convincilo a tornare a New York, è la cosa migliore per tutti. Se ne farà una ragione" detto ciò aprì la porta.
"E tu riuscirai a fartene una ragione?" domandò Sebastian, ancora seduto sulla poltrona. 
Wendy si voltò lentamente, sorridente.
"Ti voglio bene Sebastian, è stato un piacere rivederti" concluse, uscendo definitivamente dalla stanza.
Si appoggiò con la schiena alla porta di legno e si lasciò definitivamente andare, premendo una mano sulle labbra per soffocare i gemiti e i singhiozzi. Pianse a diritto e scese le scale facendo attenzione a non cadere per via dello sguardo offuscato, asciugò le guance ma fu tutto inutile, tempo un attimo e altre lacrime erano pronte a rigarle il volto. Quando oltrepassò la hall non potette far a meno che voltarsi verso la figura dell'ormai celebre uomo in divisa che l'avrebbe sicuramente definita una pazza, visto che ogni volta che metteva piede in quel posto, ne usciva con gli occhi gonfi e il volto zuppo.
Uscì di corsa senza destare ulteriori sospetti e si intrufolò nel suo furgoncino, battendo le mani bruscamente sul manubrio. Si stava odiando come non mai: morse il labbro cercando di trattenersi dal gridare a pieni polmoni, poi guardò la sua figura attraverso lo specchietto retrovisore: era un disastro. Mise in moto e tornò in tutta fretta a casa con migliaia di pensieri che le torturavamo la mante, con mille paranoie e decine di lacrime. Fu costretta a rallentare di tanto in tanto a causa delle vista per niente lucida ma quando fermò dinanzi la sua abitazione avviò tutto d'un tratto: una piccola auto blu era parcheggiata proprio dinanzi al garage, incrociò le braccia al petto sperando che non fossero proprio coloro che non avrebbe voluto vedere per nessuna ragione al mondo in quel momento. Uscì dal furgoncino e chiuse bruscamente lo sportello, roteando gli occhi al cielo non appena la voce squillante di una donna le perforò i timpani. Non poteva crederci, Mark era stato davvero tanto menefreghista da non farne parola con lei? Sospirò amaramente entrando in casa, sentendo l'ansia salire alle stelle e la rabbia ribollire nei confronti di Mark.
Quando irruppe nella sala da pranzo, tre paia di occhi le si puntarono contro, facendola maledire mentalmente.
"Buongiorno" disse cercando di forzare un sorriso.
Il padre di Mark si alzò dalla poltrona, diretta in direzione della giovane che lo salutò con due baci casti sulle guance.
"Eccola qui la nostra sposina" aggiunse accarezzandole le spalle, scrutando per bene il volto di Wendy da dietro gli spessi occhiali da vista. 
La giovane sorrise come risposta, sentendo lo sguardo di Sarah, la madre di Mark e soprattutto suo peggior incubo bruciarle addosso. Se gli sguardi potessero uccidere, Wendy sarebbe già morta e invece no, sarebbe stata costretta anche quel giorno a subire stupidi discorsi su quanto sia importante la scelta dei confetti. Una donna tanto amichevole che neanche si permise in quel momento di salutare a dovere Wendy, ma tanto quest'ultima non ci fece più di tanto caso, era abituata a sopportare la sua arroganza.
La donna aveva odiato la giovane dal primo momento e la cosa era pertanto reciproca; Wendy non sopportava quel suo credersi superiore, quella sua tendenza a doversi trovare al centro dell'attenzione, sempre e comunque. Il padre di Mark invece, il signor Jason, lui sì che lo adorava; come può un uomo tanto dolce e premuroso, convivere con un'arpia del genere? Se lo chiedeva spesso Wendy. In tal caso è proprio vero che gli opposti si attraggono.
Mark si alzò dal divano non appena notò lo sguardo furioso della giovane che dovette trattenersi dall'imprecare dinanzi a tutti una volta udita la stridula voce di Sarah.
"Dove eri finita?" domandò la donna, sventolando a mezz'aria un ventaglio nero. Wendy non rispose alla provocazione e indicò la porta, facendo intendere a Mark di doverla seguire. Jason corrugò la fronte non capendo e grattò la nuova calva.
"C'è qualcosa che non va?" domandò andandosi a sedere di fianco alla moglie dove pochi secondi prima era accomodato Mark.
"Nulla di cui preoccuparsi" sorrise falsamente la giovane, cercando di non incontrare le chiare iridi di Sarah. Era più forte di lei, proprio non riusciva ad andarle a genio. Aveva ragione Harry quando diceva alla sua adorata figlia di lasciar stare quella vecchia arpia, che le avrebbe solo complicato la vita.
Mark era l'opposto della madre per fortuna, per tanto non avrebbe mai dato retta al padre, neanche quando sul punto di morte le chiese se sposare quell'uomo con addosso uno dei tanti gilet, era davvero quello che più desiderava.
Mark seguì Wendy a ruota, rassicurando i genitori e chiudendosi la porta della cucina dietro.
"Quando avevi intenzione di dirmelo?" chiese Wendy incrociando le braccia al petto, furiosa.
"Non ne ho avuto occasione, questa mattina avrei voluto parlartene ma sei uscita senza neanche avvisarmi" si giustificò l'uomo, poggiando le mani sul tavolo e respirando pesantemente.
"Avresti dovuto dirmelo prima di questa mattina! Sai che tua madre non mi sopporta, mi sarei almeno preparata psicologicamente ad affrontare le sue stupide critiche sul mio modo di sedere o di cucinare!" esclamò la giovane al limite.
Mark puntò il suo sguardo penetrante in quello della donna che avrebbe dovuto sposare e cercò di mantenere la calma stringendo le mani in due pugni sul tavolo.
"E quando avrei dovuto dirtelo? Questi ultimi giorni non ci sei stata per niente a casa. Ieri sera hai addirittura dormito sul divano! Ho fatto qualcosa di sbagliato? Dimmelo perché io davvero non riesco a capire" sbraitò saturo.
Wendy cercò di replicare ma si zittì, sentendo l'ormai conosciuto senso di colpa perforarle il petto: Mark non aveva fatto niente di sbagliato, anzi a commettere errori di continuo era stata sempre e solo lei. Non era colpa di Mark se ogni volta, in quegli ultimi anni trascorsi in sua compagnia, Wendy immaginava due iridi caramellate al posto del nero pesto, immaginava ciuffi dorati al posto di capelli scuri, immaginava Justin al posto di Mark.
Ciò che aveva cercato di evitare stava accedendo e purtroppo nessuno avrebbe potuto mettere fine a tutto ciò; si era ripromessa di non far soffrire Mark per nessuna ragione al mondo ma quelle parole pronunciate da lui con tanta rabbia, fecero capire a Wendy che purtroppo non ci era riuscita. Mark era quello che stava patendo più di tutti in quel momento, colui che purtroppo si era ritrovato vittima di un amore non corrisposto perché Wendy è vero, lo adorava, lo stimava e gli voleva bene...ma non lo amava.
Si sentì in colpa, si odiò, cercò di rimediare in tutti i modi ma fu inutile; aveva illuso senza scrupoli un uomo che le era stato accanto nei momenti più bui e questo non se lo sarebbe mai perdonata, ma al cuor non si comanda.
Udiva la voce del padre che le diceva di tentare, di vivere, di rischiare ma soprattutto di amare.
Socchiuse gli occhi non riuscendo a sorreggere lo sguardo di Mark e ripetette a mente le parole del padre, raccolse tutto il coraggio e sgranò gli occhi sicura. 
"Mi dispiace Mark" disse, abbassando lo sguardo sulle sue vecchie scarpe.
Le dispiaceva davvero, ma rivedere Justin, poterlo rincontrare aveva scatenato in lei tante di quelle emozioni, fin troppe, impossibili da evitare.
Era tornata a credere nell'amore, aveva ricominciato a sperare. 
"Non preoccuparti piccola" sussurró l'uomo, avvicinandosi lentamente verso Wendy ma quest'ultima si scansò prima ancora di poter ricevere l'abbraccio.
Abbassò lo sguardo e pensò alle parole pronunciate da Sebastian quella stessa mattina: una settimana prima non avrebbe neanche immaginato di poter tornare a New York, eppure un quel momento sentiva la necessità di ricominciare tra quelle vie, tra migliaia di cartelloni pubblicitari e luci ogni dove, tra una valanga di emozioni. Rock Hill era una bellissima cittadina ma, nonostante lo avesse negato a sé stessa per troppo tempo, niente di quel posto sarebbe riuscito a sostituire la tanto amata New York, la città che non dorme mai.
Stava correndo troppo? Forse. Stava di fatto che in quel momento avrebbe seguito il cuore, piuttosto che dare retta alla ragione.
Desiderava tornare a New York e lo avrebbe fatto, con o senza Justin; c'entrava poco e niente Bieber. Con o senza il biondo sarebbe tornata in quella città e nessuno glielo avrebbe vietato.
Mark chiese spiegazioni con lo sguardo ma Wendy avrebbe preferito sottomettersi, piuttosto che guardarlo dritto negli occhi.
"Mi dispiace Mark, ma io non ce la faccio" disse con voce tremante. "Non riesco più a vivere nella menzogna" a quelle parole, l'uomo indietreggiò d'istinto, lasciando un vuoto incolmabile fra i due.
"Ti sono grata e te ne sarò per sempre. Mark ci tengo a te, più di quanto tu possa immaginare" tirò su con il naso, costringendosi a continuare.
"È per il matrimonio? Se ti sembra tutto troppo affrettato possiamo rimandare e..."
"No!" lo interruppe di punto in bianco. "Non ho mai voluto farti soffrire, ho sempre cercato di farmene una ragione. Ero convinta che vivere qui, lontano da tutti sarebbe stata la cosa migliore ma così non è stato. Ci tengo a te..." afferrò la mano dell'uomo, il quale esitò. "Ma questo non è quello che io desidero e per troppo tempo ho pensato a cosa avrebbero voluto sentirsi dire gli altri, piuttosto che pensare a quello che desidero io realmente. E non è questo quello che voglio" si bloccò, stringendo la mano di Mark.
"Cosa stai insinuando?" chiese il moro con voce strozzata.
Wendy sentì una morsa nello stomaco, accompagnata da scariche di brividi nell'ammirare gli occhi lucidi di Mark. 
"Meriti qualcuno che ti ami con tutto il cuore, qualcuno che apprezzi i tuoi sacrifici e il tuo buonismo. Quel qualcuno non sono io" ammise, cercando di non piangere ancora una volta. Mark scioccato ritrasse la mano lentamente.
"Stai dicendo che..." cercò di dire ma si bloccò, evidentemente scosso.
"È meglio intraprendere ognuno il proprio cammino, esaudire i propri desideri, amare qualcuno che merita il nostro amore" concluse la giovane.
L'uomo rimase immobile dinanzi alla figura della donna che avrebbe dovuto sposare, cercando di proferire parola ma gli fu tutto inutile. Ella si avvicinò cautamente, senza risultare invadente e si alzò sulle punte, come faceva ogni volta quando baciava Mark, molto ma molto più alto di lei.
"Abbi cura di te. Sei un uomo speciale, troverai la tua persona speciale" sussurrò la mora nell'orecchio di lui. Senza aggiungere altro sussurro o gesto, scattò fuori dalla cucina e non avendo il coraggio di salutare il signor Jason e la voglia di dire addio a Sarah, scappò via da quella casa che per troppi anni era stata una prigione, un incubo senza fine che finalmente si sarebbe concluso, in un modo o nell'altro. Una volta chiusa violentemente la porta principale, si lasciò andare e pianse, cacciando via tutto quello che si era tenuta dentro fino a pochi secondi prima.
Mark non lo avrebbe mai dimenticato, una persona tanto buona nessuno se la farebbe scappare ma Wendy aveva già conosciuto da tempo il suo unico, grande amore. Mark le era stata accanto, ma lei non era mai stata in grado di immaginarsi all'altare di fianco a lui. 
Purtroppo la vita ci regala sempre due grandi amore: l'uomo o la donna che sposeremo, e colui che ameremo per sempre nonostante tutto, quella persona che resterà impressa nella nostra memoria ogni giorno che avremo da vivere. Wendy aveva avuto la fortuna di incontrare Mark lungo il suo lungo e tormentato cammino, le aveva insegnato molto ma la vita le stava regalando la possibilità di poter rivivere il suo grande amore, di coronare il suo sogno con colui che aveva amato più di tutti.
Cominciò a piovere a dirotto, il che non agevolò per niente la giovane che, una volta parcheggiato dinanzi l'hotel, scese in fretta e furia senza preoccuparsi della pioggia. 
In un batter d'occhio si ritrovò fracida da capo a piedi, con le braccia conserte a causa del freddo e gli occhi ridotti a due fessure; i capelli le si erano appiattiti in testa e incollati sul volto mentre le gambe tremanti dall'eccitazione si bloccarono davanti l'entrata principale. Fissò a lungo la sua figura sulla porta in vetro, ripercorrendo con la mente quegli ultimi anni, ricordandosi da ragazzina e vedendosi da donna; quante ne aveva passare ma soprattutto quante ne avrebbe passate ancora.
L'avrebbero presa per pazza se non fosse entrata, sentiva lo sguardo dei passanti bruciarle addosso e i bisbigli di coloro che stavano commentando la stramba scena.
Quando la porta si aprì di colpo e due occhi caramellati, accompagnati da un sorriso a trentadue denti le si piantarono davanti, tutto intorno a Wendy perse di significato e smise di muoversi; dalle auto ai passanti. Vi erano solo lei, lui e le centinaia di goccioline che cadevano a terra. Anche la sua personale guardia del corpo parve essersi smaterializzata, lasciandoli da soli. Justin si fermò sul ciglio della pporta corrugando la fronte a squadrando da cima a fondo il corpo infreddolito della donna.
"Wendy? Entra dentro, prenderai un accidenti!" esclamò, affermando dalle mani dell'uomo che gli era di fianco un ombrello. Si avvicinò a Wendy, la quale si ritrasse, facendo sobbalzare incredulo Justin.
"Wendy che ti prende?" chiese preoccupato, cercando di riparare ancora una volta la giovane dalla pioggia ma fu tutto inutile perché ella si scansò ulteriormente. "Smettila di scherzare!" sbraritò ma fu subito interrotto dalla voce flebile di Wendy.
"Ho passato dieci anni della mia vita a sperare di poter finalmente vivere felice, nella casa dei miei sogni, con l'uomo dei miei sogni e circondata da bambini. I miei bambini" cominciò, facendo sussultare Justin che non se lo sarebbe mai aspettato.
"Parliamone dentro..." cercò di farle cambiare idea ma senza successo.
"Ho trascorso dieci anni della mia vita a cercare di dimenticarti, a ripetermi che il passato deve rimanere tale. Non ci sono mai riuscita, anche quando ho creduto scioccamente di poterti stare lontana" si lasciò sfuggire un sorriso.
Justin socchiuse le labbra, respirando faticosamente e tenendo lo sguardo fisso negli occhi di Wendy; no, non se lo sarebbe davvero mai aspettato.
"Sei l'uomo della mia vita Justin, l'unico che amerò, il ragazzo di venti anni che mi ha cambiata in meglio. Non voglio perderti di nuovo, non adesso che ti ho ritrovato"
Justin fece cadere l'ombrello a terra, lasciando alla pioggia il via libera per bagnarlo da capo a piedi.
"Sei l'uomo che voglio al mio fianco per il resto dei miei giorni, il padre dei miei figli, l'uomo che voglio amare senza sosta" quasi urlò Wendy, richiamando l'attenzione di troppe persone ma poco le importò: finalmente dopo anni era riuscita ad esprimere i suoi più profondi sentimenti, senza dare peso a tutto il resto. Prima ancora di concludere, si avvicinò con uno scatto felino davanti a Justin afferrandogli il volto con entrambe le mani. 
"Amami ancora un'altra volta, come io ho fatto, sto facendo e farò per sempre" sussurrò sulle labbra di lui. Un attimo dopo erano già intenti a baciarsi: Justin esitò qualche secondo preso alla sprovvista, quando però accerchiò i fianchi di Wendy con le mani e premette il suo petto il più possibile con quello di lei, il bacio si intensificò a tal punto da far rabbrividire la giovane ogni qual volta sentiva le loro lingue cercarsi. Wendy accarezzò le guance di Justin facendolo gemere, rendendosi conto di essere tanto dipendente dai baci di lui.
Si baciarono per interi minuti, sotto lo sguardo curioso di tutti, sotto la pioggia, finalmente insieme. 


 

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Capitolo 20
*** Un'altra volta - Parte seconda ***





Un'altra volta - Parte seconda
 

Wendy e Justin irruppero nella camera all'albergo di quest'ultimo l'uno avvinghiato all'altra, senza distaccarsi di alcun centimetro. Lui la baciava con foga, dando sfogo alla irrefrenabile voglia di poter assaporare di nuovo quelle rosee labbra che tanto gli erano mancate e d'altro canto, la giovane seguiva i movimenti disconnessi di Justin, volendone sempre di più. Bieber chiuse velocemente la porta con un piede e fece scontrare la schiena di Wendy contro di essa, facendo sussultare la mora che si lasciò sfuggire un gemito, soffocato successivamente dall'impresso bacio del giovane. Si staccarono solo per riprendere fiato e continuarono per ancora interi minuti, lei stringendo le ciocche di capelli di lui mentre quest'ultimo accarezzandole i fianchi e le guance di tanto in tanto.
Senza che Wendy se ne rendesse conto, le sue gambe erano già avvinghiate al bacino di Justin che premette deciso contro l'intimità della giovane gemendo; si costrinse a staccarsi e le baciò il collo delicatamente, la mora intanto socchiuse gli occhi invasa dal piacere. Mordeva, leccava, baciava lo stesso lembo di pelle facendo letteralmente andare fuori di testa Wendy che si aggrappò saldamente alle spalle di Justin per sorreggersi, mordendosi il labbro inferiore per reprimere i lamenti di piacere.
Quando Justin alzò finalmente il capo per incastrare il suo sguardo in quello di lei, sorrisero entrambi; la giovane gli accarezzò una guancia mentre lui poggiò la fronte su quella di Wendy, cercando di riprendere fiato: stavano andando veloce, desiderosi di aversi. 
"L'ho desiderato per troppo tempo" sussurrò Justin, baciando a stampo l'angolo della bocca di Wendy per poi passare alla mandibola e la giovane fu costretta a tirare indietro il capo, facendolo aderire perfettamente alla porta.
Bieber, sorreggendola e tenendola stretta al suo petto, indietreggiò facendo attenzione a non inciampare e una volta finalmente raggiunta la meta prefissa, si lasciò cadere indietro sul comodo materasso facendo ridere di cuore Wendy che rimase a cavalcioni sulla figura del giovane, anch'egli sorridente. La mora si abbassò per baciare a stampo le carnose labbra di Justin e poco dopo passò alla mandibola come lui aveva fatto pochi secondi prima, facendolo sussultare. Sorrise, facendo scontrare i denti con la calda pelle di Justin che non potette far a meno che gemere dal piacere. Wendy gli accarezzò il petto, la maglietta aderita perfettamente su di esso a causa della pioggia mentre decine di goccioline ricadevano dai capelli di Wendy sul corpo tremante di Justin.
"Rilassati" bisbigliò la mora, passando a baciare il petto di Justin, il quale alzò istintivamente la testa per godersi al meglio la scena. La giovane continuava a baciare il petto, passando per gli addominali definiti e soffermandosi sull'ombelico, risalendo sopra e poi ancora una volta scendendo con dolci e caldi baci. 
Se la rideva sotto i baffi vedendolo così inerme sotto il suo tocco, così incapace di muovere muscolo a causa del piacere; teneva le palpebre chiuse, stringendo le mani in due pugni talmente possenti da poter intravedere le nocche bianche. Wendy si distaccò, alzandosi con il busto e quando Justin aprì gli occhi -probabilmente per reclamare- si ritrovò davanti un seno prosperoso coperto da un reggiseno nero. Sgranò gli occhi notando la giovane intenta a sfilare via la maglietta e a gettarla in un qualche angolo della stanza dove non avrebbe dato fastidio a nessuno.
Wendy gli afferrò entrambe le mani e Justin non potette far a meno che seguire i suoi movimenti, ancora incantato; mani che finirono dritte sul seno della mora, facendola squittire. Bieber massaggiò il petto di Wendy da sopra il reggiseno, volendolo sfilare via con tutto sé stesso. La giovane tirò indietro il capo godendosi il momento di lussuria, mordendo come suo solito il labbro e quando per Justin fu abbastanza, egli si alzò di scatto spaventando la mora che sgranò gli occhi, cacciando un urlo debole. Il biondo accarezzò con mani fredde la schiena di Wendy facendola rabbrividire e la pelle d'oca presto si manifestò su tutto il suo esile corpo. Le baciò il collo afferrando i gancetto del reggiseno, deciso a gettare via anche quell'ingombrante indumento nero e in un batter d'occhio il seno di Wendy venne liberato, ma non del tutto: Bieber abbassò delicatamente entrambe le spalline, fissandola negli occhi e lei facendo altrettanto. Le tolse il reggiseno e finalmente potette fiondarsi sui seni di lei, accarezzandogli tanto lentamente da far impazzire Wendy che non potette trattenere un gemito molto più potente.
Baciò lo spacco tra i due seni e si fiondò su uno di loro, baciandolo, mordendo la pelle superiore e poi passò all'altro senza mai preoccuparsi di stuzzicare i capezzoli turgidi. Voleva farla andare fuori di testa, voleva farle provare piacere e poi strapparglielo dalle labbra fiero di sé. Wendy ne ebbe abbastanza e senza dare conto a Justin, afferrò decisa dei lembi bagnati della maglietta bianca e la strappò via dal corpo del giovane, buttandola ai piedi del letto. Accarezzò prima gli addominali e poi i pettorali e con un dito disegnò circonferenze immaginarie su di essi. Justin le afferrò i fianchi, chiedendo di più e fu accontentato dalla voglia matta di Wendy di potergli procurare piacere, solo lei e nessun'altra. Baciò i muscolosi pettorali di Bieber mentre quest'ultimo continuava ad accarezzarle i seni, quasi ne fosse dipendente. 
Erano come ubriachi l'uno dell'altra, incapaci di fermarsi; Wendy riuscì poco a poco a prendere dimestichezza con quel corpo che aveva tanto desiderato fare suo e i gemiti di lui, a volte strozzati ed altre invece vere e proprie suppliche, erano musica per le sue orecchie. Il sangue scorreva nelle vene di lei, sentendolo arrivare al cervello quando le labbra di Justin sfioravano i suoi capezzoli ma niente, alla fine si distaccava compiaciuto senza avergli concesso alcun tipo di piacere a trecentosessanta gradi. Perché tanta tortura? 
Un piacevole formicolio si fece spazio nel basso ventre di lei, desiderando molto di più di stupidi baci e carezze; si mosse d'istinto sul bacino di Justin e quando quest'ultimo si fermò di colpo, sussultando, ella capì di averlo in pugno: mosse ulteriormente il bacino in cerchio e Bieber le bloccò entrambi i fianchi con le mani, pregandola di smetterla ma non ascoltò le sue suppliche. Erano ormai intenti a procurarsi piacere con movimenti circolari per quanto riguardava lei e leggere spinte per lui, gemendo all'unisco e costringendosi a baciare per reprimere piccoli urli di piacere che Wendy proprio non riusciva a trattenere. Justin con uno scatto felino ribaltò la situazione, trovandosi ora lui sopra il corpo desideroso di Wendy. 
Si bloccò con le spinte riprendendo fiato, posando la sua fronte sudata su quella di lei e deglutendo rumorosamente: Wendy ispirò a pieni polmoni quel dolce profumo che avrebbe riconosciuto tra un milione, una fragranza che neanche con il passare del tempo sarebbe mutata. Quel meraviglioso intruglio di menta, pioggia, tabacco, un qualcosa di assolutamente indescrivibile. Justin la baciò a stampo accarezzandole la guancia, soprattutto di fianco l'ombelico, un punto davvero molto delicato. Wendy inarcò la schiena di scattò, facendo scontrare ancora un'altra volta le loro intimità ma soprattutto, facendo arrivare Justin ad un punto di non ritorno. 
Stanco del semplice stuzzicarsi, afferrò i pantaloni di Wendy che sfilò via velocemente, bruscamente, tanto era la voglia di aversi e con l'aiuto della mora che alzò di poco il bacino. L'indumento si bloccò giù, sulle caviglie della giovane e a quel punto sfilò via le scarpe, i calzini e finalmente i pantaloni, lasciandola con un solo lembo di stoffa addosso. Wendy sganciò con mani tremanti la cintura che teneva fin troppo stretti i neri pantaloni di Justin e poi prese tra due dita la zip del capo, tirandola giù, facendo socchiudere le palpebre di Justin. 
Sfilò di poco i pantaloni per quel che le era possibile stando sotto il peso del giovane e poi risalì con le carezze, passando per la schiena scoperta e aggrappandosi alle spalle, graffiandole quando Justin tornò a baciarle dolcemente il collo.
"Dio, quanto ti voglio" disse Justin in preda al piacere.
La cosa era più che reciproca: Wendy lo voleva, lo desiderava, ne aveva bisogno. Dei baci, delle carezze, dei gemiti, delle parole sussurrate, del piacere assoluto. Percepiva il formicolio crescere immenso in lei, nella sua femminilità, la morsa nello stomaco, le famose farfalle che solo stando in sua presenza era capace di sentire. Era un continuo vibrare sotto l'abile tocco di Justin, a causa della fredda pelle di lui al contatto con la sua calda, a causa di quelle dita tanto esperte e i baci dolci, mai volgari, saturi di amore. Baci voluti, baci necessitati, baci che mai nessuno avrebbe potuto darle. Emozioni che solo il biondo sarebbe riuscito ad estrapolarle, brividi che solo Justin sarebbe stato in grado di farle provare. Ripensò alle parole dette interi minuti prima sotto la pioggia e non potette far a meno che sorridere, afferrando delle ciocche di lui e stringendole, troppo presa dal momento: lo amava, da morire.
Bieber smise di baciarle il collo e si alzò di poco, sfilando via anche i suoi pantaloni insieme alle scarpe, restando soltanto in intimo. Tornò a concentrarsi sul copro di Wendy che per qualche secondo aveva percepito la mancanza calorosa di quello di Justin: accarezzò ogni parte di quella figura perfetta, marchiò ogni singolo lembo di pelle, facendolo suo con carezze o baci. Dal seno alle gambe, dal collo al ventre mentre Wendy continuava a tremare. Lei apparteneva a lui.
"Rilassati piccola" disse, bloccandosi per qualche attimo. 
Le accarezzò una guancia dolcemente, incastrando le sue iridi caramellate in quelle di lei e Justin potette percepire la paura, il terrore di non essere abbastanza, la voglia di andare avanti e proseguire ma anche il blocco emotivo e fisico che la costringeva a tremare e a mordersi il labbro. Nervosa com'era, Wendy sentiva, oltre al formicolio, anche le migliaia di paranoie che le assalivano il cervello: e se non fosse stata all'altezza? Se non fosse stata in grado di reggere la situazione? Dio, quanto lo voleva, ma  la paura era tanta quanto il desiderio. Due pesi e due misure e questo le stavano mandando il cervello in tilt. D'istinto si voltò verso destra, fissando il comodino e la bottiglietta di acqua naturale poggiata su di esso; si concentrò su una stramba bustina di plastica e corrugò la fronte, cercando di capire di cosa si trattasse ma ogni suo pensiero venne interrotto dalla roca voce di lui.
"Guardami, Wendy" le ordinò, spostandole il viso con due dita, costringendola a guardarlo. Rimasero in silenzio qualche secondo e la giovane non potette far a meno che maledirsi mentalmente: aveva rovinato tutto, ancora una volta.
Non erano mai stati tanto vicini dal legarsi l'uno all'altra in quel modo, neanche dieci anni prima: tanto ingenua a piccola com'era, ma i tempi erano passati e in quel momento, in quella camera d'albergo c'erano la Wendy ventottenne e il Justin trentunenne: perché tanta paura? Eppure non era la prima volta -purtroppo aggiungerei. Il terrore di soffrire fisicamente c'entrava poco a niente, e quindi quali erano le cause di tanta esitazione? Lo capì solo dopo qualche attimo, quando per l'ennesima volta Justin richiamò la sua attenzione.
"Ti amo" le disse, sinceramente.
Era questo allora, proprio queste due paroline dal significato immenso: voleva sentirsele dire da lui, voleva che fuoriuscissero dalle sue morbide labbra, voleva certezze: di non dover soffrire di nuovo, di non dover essere ancora una volta abbandonata, certezze di un amore che nonostante tutto sarebbe durato nel tempo. Quelle certezze che le erano mancate per troppo tempo con Mark, anche nei rapporti più intimi. 
"Anche io" disse lei, sorridendo.
Justin ricambiò con un sorriso a trentadue denti e le baciò l'angolo della bocca, finalmente sicuro al cento per cento di poter proseguire. Nonostante Wendy si fosse mostrata del tutto incompetente, egli non si era permesso neanche per un attimo di deriderla o ancor peggio, rinunciare. Le era rimasta affianco, cercando di capire il perché di tanta paura e ci era riuscito.
Le accarezzò con una mano una gamba, sorreggendosi su un gomito con l'altro braccio per non schiacciare con il suo peso superiore la figura di Wendy: accarezzò il ginocchio e poi passò alla coscia, aprendo la gamba lentamente e solleticando la pelle della coscia interna, facendo rabbrividire ancora una volta la giovane. Senza limitarsi accarezzò la sua femminilità da sopra il tessuto dell'intimo e Wendy inarcò la schiena sentendo il piacere espandersi a macchia d'olio: quando sgranò gli occhi per incontrare lo sguardo rassicurante di lui, si rese conto che lo stesso piacere era impresso nelle pupille dilatate di Bieber. Non c'era via di scampo per nessuno dei due.
Accarezzò lo stesso punto più volte e Wendy non potette far a meno che lasciarsi andare, iniziando a dimenarsi, stringendo tra le mani l'orlo delle bianche lenzuola e respirando a fatica; si lasciò talmente andare da percepire le pareti della sua femminilità inumidirsi, poco a poco bagnando anche l'intimo nero e facendo ridere di gusto Justin che prese tra due dita l'estremità dell'ultimo indumento presente sul corpo di Wendy, sfilandolo via, fracido com'era. 
Wendy d'istinto chiuse le gambe, arrossendo vergognosamente: Justin non l'aveva mai vista così, era la prima volta per entrambi e quanto imbarazzo c'era tra i due. La tensione si percepiva tra le quattro mura eppure Justin non si fece scrupoli ad afferrare le cosce di Wendy per riportarle nella posizione precedente, mostrando del tutto la femminilità della mora che portò entrambe le mani sul volto per non dover assistere alla scena. 
"Sei bellissima" sussurrò divertito, cerando di calmarla. 
Le afferrò delicatamente i magri polsi e si posizionò per bene seduto sulla sua femminilità così da non poter vedere niente, magari si sarebbe lasciata andare una volta per tutte: portò le mani di Wendy sui suoi addominali.
"Toccami" quasi le ordinò. 
La mora esitò in un primo momento, sentendo risuonare la voce roca e sensuale di Justin nella sua testa e cominciò poco dopo ad accarezzare i suoi addominali, sfiorando di tanto in tanto l'elastico dei boxer e facendo tirare indietro la testa al giovane, il che incrementò la voglia di Wendy che si mosse sotto il peso di lui, provando molto più piacere adesso che era praticamente nuda. Non riuscendo a resistere, la giovane afferrò i boxer e gli abbassò, rivelando per metà l'erezione di Bieber che, preso alla sprovvista, sgranò gli occhi e poi scoppiò a ridere, facendo arrossire nuovamente Wendy.
Sfilò via anche i boxer e finalmente, dopo tanto stuzzicarsi e procurarsi il minimo del piacere, erano entrambi nudi e pronti. Justin accarezzò nuovamente l'interno coscia della ragazza che socchiuse gli occhi, pronta a riceverlo. Sentì l'erezione di Justin pulsarle sul ventre e questo la eccitò ancora di più, come mai le era successo prima.
"Justin, ti prego" si ritrovò a dire.
Bieber morse il labbro inferiore cercando di trattenersi, volendo a tutti i costi godersi il momento nel migliore dei modi. Le vezzeggiava le cosce, sentendo la pelle d'oca sempre più evidente; si posizionò per bene tra di esse e strinse le mani di Wendy, incastrando perfettamente le dita l'uno con l'altra, quasi fossero state create per stare sempre insieme. Tutte e quattro le mani erano ai lati del capo di Wendy e si stringevano talmente forte che Wendy quasi non percepì più la loro presenza.
Stuzzicò la sua femminilità per quel poco e Wendy chiuse le palpebre, sentendo il respiro di lui picchiare sulle sue labbra. Si immerse lentamente, catturando tra i denti il labbro inferiore di lei una volta che arrivò al limite, corrugando la fronte a causa del piacere. Wendy strizzò gli occhi e si lasciò andare completamente, aggrappandosi alle spalle di lui, graffiando la sua schiena subito dopo la prima e debole spinta.
"Guardarmi" disse lui con voce tremante.
Wendy aprì gli occhi lentamente, quasi avesse paura di star dormendo e sognando ogni cosa, ogni brivido e parola detta. Quando però le sue palpebre di spalancarono del tutto si rese conto che i sogni c'entravano poco e niente: Justin era lì, intento a respirare faticosamente, intento ad amarla come mai era accaduto prima d'ora, intenti entrambi a scrivere un altro, nuovo ed importante capitolo delle loro vite. Si guardarono per interi secondi e Wendy non potette fare a meno che perdersi in quelle pozze caramellate così lucide: gli occhi gli brillavano, ma non solo di lussuria, di passione, di voglia; anche di amore, di paura di poterla ferire in un qualche modo. La vergogna e l'imbarazzo scemarono dopo ogni piccola spinta, il giusto per adattarsi.
Wendy per tanto, dopo qualche minuto, si lasciò andare tra le sue braccia che la accolsero a dovere: Justin le strinse entrambi i lati del volto con le mani e la baciò spingendo ulteriormente, reprimendo il gemito di entrambi e da quel momento in poi le spinte divennero sempre più sicure e possenti. I gemiti di entrambi invasero lo spazio circostante, risuonando come droga per entrambi. Bieber accarezzava i suoi seni, stringeva finalmente i capezzoli, le cosce, il ventre, il volto, tutto ciò che era possibile palpare e spingeva sempre più a fondo mentre Wendy fu costretta ad apostrofare il ragazzo ancora e ancora.
"Non smettere mai di guardarmi" le disse, affondando in lei tanto velocemente da farle sgranare gli occhi. "Non smettere mai di sussurrare il mio nome" continuò con voce spezzata dal piacere. 
Posò la sua fronte sudata su quella di lei e respirarono a fatica l'uno nella bocca dell'altro, sfiorando le labbra di poco: la mora continuava a sussurrare il nome di lui, graffiandogli la schiena dopo ogni spinta di bacino e aprendo il più possible le gambe. Ella accarezzò la schiena nuda del biondo e passò persino sui glutei, incrementando le spinte e facendo sussultare Justin. Era affamata di lui in tutto e per tutto. Inarcò la schiena per ricevere più piacere, il che funzionò: la erezione di Bieber affondò sempre più velocemente nella femminilità di Wendy colpendo il punto più sensibile e facendola tremare, costringendola a sorreggersi con tutte le sue forse alle spalle di lui. Urlò il nome del giovane talmente forte che chiunque dovesse trovarsi nei paraggi li avrebbe potuti udire, ma non le importava.
Più esclamava a pieni polmoni di volerne ancora, più Justin aumentava il ritmo e il famoso formicolio divenne sempre più pressante, facendola gemere di continuo, senza mai riuscirsi a fermare. Accarezzò una guancia di Justin catturando le sue labbra in un bacio che egli non riuscì a ricambiare a fondo, troppo preso dai movimenti di bacino; gli scompigliò i capelli bagnati e gli baciò il collo, soprattutto la vena evidente e pulsante che aveva su un lato. Questa volta invece fu Justin a socchiudere gli occhi, a strizzargli il più possibile, non riuscendo a trattenersi dopo tanto piacere procurato anche dai lenti e sensuali baci di Wendy.
Il biondo tirò indietro il capo, sorreggendosi con i gomiti sul materasso e sussurrò il nome della mora più volte, dovendo rallentare le spinte perché non ce la stava davvero facendo più. Wendy affondò il suo viso nell'incavo del collo di lui, ispirando a pieni polmoni e le spinte ripresero ad essere tanto decise che bastarono altri pochi movimenti di bacino per far sgranare gli occhi ad entrambi che esplosero in un violento orgasmo all'unisco, facendoli urlare l'uno il nome dell'altra e dimenarsi in preda agli spasmi che il piacere procurava, infondendo le radici su ogni parte del corpo.
Justin si lasciò andare di peso sulla figura di Wendy: rimasero in silenzio, cercando di riprendere fiato e ci vollero interi minuti per far si che ciò accadesse. Bieber ascoltò a fondo il ritmo del cuore che rischiava di esplodere dal petto di Wendy, la quale continuò ad accarezzare qualche ciocca di capelli del biondo, scrutando un punto fisso sul soffitto bianco. Nessuno dei due riuscì a proferire parola o a muovere muscolo: mentre Wendy accarezzava dolcemente il capo di lui, egli si divertiva a solleticarle il nudo bacino, facendola sorridere. 
Quando finalmente il biondo si alzò e fece scontrare le sue labbra con quelle si lei, uscì lentamente dalla sua femminilità, facendola sussultare nella sua bocca. Le loro lingue si trovarono ancora per molto, nonostante fossero ormai divisi: Wendy percepì una strana sensazione di vuoto, sarebbe voluta scoppiare a piangere. Aveva amato quel momento dal primo secondo e cosa molto più importante, non se ne sarebbe mai pentita.
Si staccarono per riprendere fiato, fissandosi negli occhi, lui riflesso negli occhi di lei e viceversa. Pelle grondante di sudore, capelli scompigliati, guance rosse: Justin era tanto buffo quanto attraente e questo la fece sorridere tanto di cuore che Bieber non potette far a meno che ricambiare con uno dei suoi soliti e contagiosi sorrisi a trentadue denti.
Il destino, quel giorno, regalò loro un'altra possibilità: per amarsi, per aversi, per desiderarsi. Per tutte quelle volte che si erano pensati e che non si erano potuti trovare, per tutte le volte che avrebbero voluto baciarsi ma che erano stati troppo distanti. Un'altra volta per innamorarsi, un'altra volta per perdersi l'uno nello sguardo dell'altra, un'altra volte per prendersi e non lasciarsi mai più andare.
 
 

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Capitolo 21
*** L'altra faccia del successo ***





L'altra Faccia Del Successo

 

Il sole stava tramontando all'orizzonte, oltre le case della piccola cittadina di Rock Hill: Wendy si era appisolata per ore, proprio come Justin che ancora dormiva beatamente sul comodo letto. La giovane si chinò per indossare anche l'ultima scarpa e quando alzò il capo, non potette far a meno che intravedere la stessa bustina di plastica che giaceva indisturbata sul comodino, di fianco una bottiglietta d'acqua semivuota. 
La fissava attimo dopo attimo in silenzio, scrutandone per quel che era possibile il contenuto. Nella stanza era percepibile solamente il respiro pesante del biondo, né un singolo altro suono. La giovane si voltò lentamente, perdendosi tra i perfetti lineamenti di Justin, rilassati e per niente tesi come lo erano sempre: le labbra socchiuse di poco, il petto che si innalzava e poi abbassava regolarmente, la figura coperta da un paio di boxer insomma, uno spettacolo da mozzare il fiato. Era bellissimo.

Accarezzò dolcemente il capo di Bieber, facendo scorrere tra le affusolate dita i morbidi capelli, godendosi al massimo quel momento; quante volte aveva desiderato potersi svegliare di fianco a lui, restando interi minuti a fissare la sua figura inerme, a ripetersi che lo amava con tutta sé stessa e che mai lo avrebbe lasciato. Finalmente era accaduto, dopo tanto era riuscita a realizzare uno dei suoi più grandi sogni.
Si distaccò dopo interi minuti, intenta a non svegliarlo per nessuna ragione al mondo, lasciandolo riposare dopo la mattinata di pura passione. Si alzò dal letto, afferrando istintivamente la bustina e portandola all'interno delle tasche dei pantaloni, buttò un'ultima occhiata rivolta verso Justin e uscì di casa, nonostante gli abiti fossero ancora umidi. Chiuse la porta alle sue spalle senza far rumore e si incamminò dritta verso le scale che scese velocemente, tenendo le braccia conserte al petto a causa del freddo; oltrepassò la hall abbassando il capo, cercando di non dare assolutamente nell'occhio e a quanto pare ci riuscì, nonostante il solito uomo moro si fosse accorto di lei. Avrebbe dovuto chiedergli come si chiamava, magari lo avrebbe ringraziato per tutte le volte che l'aveva supportata e sopportata. 
Una volta raggiunta la porta d'ingresso, si bloccò di colpo notando non solo una, ma ben quattro guardie del corpo intente a scrutare la assurda situazione circostante: cosa ci facevano tutti quei giornalisti e paparazzi lì fuori? Si tirò indietro spaventata, cercando di mantenere il controllo nonostante la tensione stesse crescendo a dismisura. Riconobbe la fedele guardia del corpo di Justin e questo la intimorì ulteriormente, capendo che tutte quelle persone erano lì fuori solo ed esclusivamente per accaparrarsi la prima pagina di una qualche rivista sportiva con foto di Justin e magari in compagnia di Wendy in prima copertina.
Quando si voltò per tornare frettolosamente in camera da Justin, la figura di Sebastian le si piantò davanti facendola sussultare di terrore. Portò una mano sul letto percependo il battito irregolare, accelerare di secondo in secondo.
"Non volevo spaventarti" ammise sincero. Wendy scosse il capo, facendo intendere al ragazzo di non preoccuparsi.
Sebastian la fissava quasi furioso, piuttosto severo e la mora non potette fare a meno che mordere il labbro inferiore, sperando di non essere la causa di tanta rabbia. In fondo, cosa mai avrebbe potuto combinare? Però più il silenzio l'aveva da padrone fra i due, più era percepibile la tensione e questo non gioiva affatto alla giovane che avrebbe desiderato con tutta sé stessa prendere una boccata d'aria fresca.
"Siete stati degli incoscienti" ammise portando una mano fra i capelli pieni di gel. "Non tanto tu, quanto proprio Justin. Cosa diavolo aveva per la testa?" domandò quasi più a sé stesso che a Wendy, la quale corrugò la fronte capendoci poco e niente.
In che senso erano stati degli incoscienti? Era stato proprio lui quella stessa mattina a pregarla di pensare alla proposta di tornare a New York con loro, come mai tutto ad un tratto tanto ripensamento?
"Come scusa?" chiese la giovane, cercando di seguire con lo sguardo ogni movimento di Sebastian, il quale era davvero agitato.
"Questa mattina vi hanno beccati proprio di fronte all'hotel mentre eravate intenti a baciarvi" disse il moro, quasi sorridendo. "E credimi, ne sono più che contento..." lasciò in sospeso la frase facendo arrossire Wendy che abbassò il capo sulle sue scarpe. "Ma il punto è che Justin non era mai stato visto prima d'ora in compagnia di una qualsiasi ragazza. Capisci cosa intento?" 
Wendy continuò a mordere il labbro sperando che l'amico continuasse e dopo uno sbuffo sonoro, egli proseguì con la spiegazione.
"È uno scoop! Santo Dio Wendy, immaginati le prime pagine dei giornali: Justin Bieber bacia misteriosa ragazza; sai quanto venderebbero ora come ora? Justin è sulla bocca di tutti, è desiderato da tutte, è acclamato da molti uomini ma nonostante ciò, non si è mai permesso di dare a vedere alcun interesse per nessuno. È una rarità e quelle persone lì fuori -riprese fiato per indicare i paparazzi e giornalisti oltre l'entrata principale- sono qui per catturare la rarità...cioè tu"
Wendy rimase di stucco, a bocca aperta e occhi sgranati: lei la rarità? Lei era considerata la misteriosa ragazza, che era stata in grado di catturare il cuore del pugile Justin Bieber? Al solo pensiero arrossì ulteriormente, cercando di trattenersi dal sorridere.
"È da questa mattina che sono qui fuori, e non hanno alcuna intenzione di andare via. Ho preferito non venirvi ad avvertire prima...ecco insomma non volevo disturbarvi"  abbassò la voce, beccandosi una pacca sulla spalla da Wendy che lo fece sorridere di cuore. "Cos'hai intenzione di fare? Ovunque tu voglia andare, sappi che sarai costretta ad essere scortata da almeno due guardie"
"Cosa?" quasi urlò Wendy.
Come ci era finita in quel casino? Aveva solo baciato Justin, aveva fatto ciò che si era sentita di fare, perché tanto clamore? Non riuscì a realizzare a fondo, finché non si rese conto della serietà dipinta sul volto di Sebastian. Era davvero uno scoop, quasi considerato il miglior scoop del momento? Non potette crederci: non avrebbe mai potuto immaginarlo e se solo ne fosse stata al corrente, molto probabilmente ci avrebbe pensato su due volte prima di baciarlo con foga sotto la pioggia. Come ne sarebbe uscita fuori non lo sapeva, ma in un modo o nell'altro sarebbe sgattaiolata via da quell'albergo. Aveva l'estremo bisogno di starsene da sola qualche ora, non accerchiata da decine di paparazzi e giornalisti.
"Non immaginavo potesse essere tanto acclamato" bisbigliò Wendy, voltandosi un'ultima volta verso i paparazzi che per sua più grande fortuna, neanche si erano resi conto della sua presenza di fianco alla porta.
"Dove hai vissuto tutto questo tempo?" domandò scioccato.
Già, dove aveva vissuto? Rinchiusa in quell'abitazione che definiva casa, isolata da tutti, intenta a costringersi di pensare che quella era la vita migliore da vivere. Spegnendo la radio ogni qual volta parlavano di Justin, strappando i giornali che lo ritraevano sul ring, sperando di non doverlo mai più sentir nominare. Era riuscito davvero a costruirsi un'immagine tanto celebre? A quanto pareva sì, visto e considerato che decine di paparazzi erano pronti a ritrarlo in compagnia di lei, che decine di giornalisti erano rimasti lì fuori tutto il tempo per una misera risposta.
"Ho bisogno di prendere una boccata d'aria" disse Wendy, sentendo il respiro pesante. 
Sebastian le afferrò velocemente la mano e la fissò negli occhi, cercando di tranquillizzarla. Nessuno però ci sarebbe riuscito: non era quello che voleva, non era stata sua intenzione attirare l'attenzione. Era a conoscenza della fama di Justin a livello mondiale, maggiormente statunitense, ma addirittura prendersi la briga di accamparsi sotto il suo albergo? Assurdo.
"Vieni con me" le disse prima di correre verso le scale, salendole una dopo l'altra e poi attraversando il lungo corridoio del primo piano. 
Salirono velocemente e senza fiato ben sei rampe di scale e quando finalmente arrivarono a destinazione, Wendy lasciò andare la mano di Sebastian e si piegò sulle ginocchia per respirare regolarmente, sentendo il cuore batterle lesto. Quando alzò il capo, d'istinto corrugò la fronte tirandosi indietro: non si trovavano in uno dei tanti corridoi accoglienti dell'hotel, ma pareva più che altro uno sgabuzzino con un'unica porta in fondo alla stanza.
"Dove mi hai portata?" domandò spaventata.
"Avevi detto di voler prendere una boccata d'aria, giusto?"  chiese lui, sorridente. Wendy annuì incerta: a quel punto non ne era poi così tanto sicura. "Questo è il posto migliore, fidati" le fece l'occhiolino e le afferrò di nuovo la mano, trascinandola a ruota verso la vecchia porta.
Spinse bruscamente la maniglia verso il basso un paio di volte e finalmente dopo qualche altro tentativo, la porta si aprì di poco, facendo sussultare Wendy; una ventata di aria fresca la invase tutta e rabbrividì, sentendo la pelle d'oca espandersi su tutto il corpo: erano sul tetto dell'hotel, lo capì solo quando la porta si aprì del tutto e un cielo dalle sfumature tenue dell'arancione le si piantò davanti. Oltrepassarono la porta e Wendy socchiuse gli occhi, godendosi al massimo il venticello che le accarezzava la pelle, fregandosene della pelle d'oca: a causa dei vestiti ancora umidi si sarebbe come minimo beccata l'influenza ma poco le interessava, la vista di Rock Hill era da mozzare il fiato li su per potersene andare.
"È bellissimo" disse sinceramene Wendy, avvicinandosi al muretto di cemento, al limite del terrazzo. Guardò giù ma dovette tirare subito in alto il capo: era altissimo.
"Ci sono venuto ieri la prima volta, dopo la solita discussione don Justin. È un buon posto per starsene da soli" ammise lui affiancando Wendy che si voltò a fissarlo.
La giovane scrutò i lineamenti di Sebastian: era un giovane molto affascinante, lo era era sempre stato. In grado di trasmetterti simpatia dal primo momento, dal solo sguardo. Un amico sincero, colui che in un certo senso era stato la causa di tutto ciò che era accaduto tra Wendy e Justin in quell'albergo qualche ora prima. Come poterlo ringraziare? Ci aveva sperato più di lei, ci aveva creduto fino in fondo.
Quando si voltò verso il panorama che le si presentava davanti, guardò un'altra volta giù, scrutando i giornalisti per quel che era possibile da quell'altezza.
"È sempre così?" domandò stringendosi il più possibile al muretto.
"A New York sì. Qui la situazione sembrava sotto controllo" cominciò guardando a terra, oltre il muro.
Wendy deglutì rumorosamente, ricordando di punto in bianco la bustina di plastica nei pantaloni. Con mani tremanti la afferrò, sperando con tutta sé stessa di non complicare la situazione; pian piano la estrasse, sotto lo sguardo attento di Sebastian che sgranò gli occhi quando se la ritrovò davanti al volto.
"Dove l'hai presa?" domandò turbato, afferrando l'oggetto, sfilandolo bruscamente tra le mani di Wendy.
"Era sul comodino di camera sua" ammise Wendy, cercando di mantenere la calma.
Sebastian strinse tra le mani la bustina, abbassando lo sguardo su di essa e prendendo un grande respiro. La giovane strinse le mani a mo' di pugno sul muro, cercando di non incastrare le sue iridi in quelle azzurre di lui.
"Pensavate che fossi tanto stupida da non rendermene conto?" chiese Wendy furiosa.
Era delusa. Mai come quella volta si sentì tagliata fuori, non tanto da Justin quanto dal suo amico più fedele Sebastian. Perché non le aveva rivelato un dettaglio così rilevante?
"Non lo penso" si giustificò il moro, portando nelle tasche dei suoi pantaloni la bustina. "Ma non stava a me dirtelo"
Justin non lo avrebbe mai fatto. Orgoglioso com'era, non si sarebbe mai permesso di farne parola con la giovane; a dire il vero, il Justin che conosceva Wendy non si sarebbe mai permesso di arrivare a tanto. Non il ragazzo dolce che aveva conosciuto dieci anni prima, ma in fin dei conti, era stata tanto stupida da credere che il tempo non avesse cambiato nessuno dei due. 
Socchiuse gli occhi, chiedendosi il perché, volendo scoppiare a piangere. Perché arrivare a tanto? Perché doversi fare del male in tal modo? Dieci anni erano riusciti a cambiare davvero così tanto il ragazzo di cui era innamorata? Eppure sentiva che in un qualche posto dentro quell'uomo molto più alto e muscoloso, celava ancora l'animo buono e amorevole che le aveva fatto perdere la testa. 
"Da quanto tempo?" domandò la mora, spalancando le palpebre. 
Era ormai sera: il sole stava scomparendo del tutto oltre i tetti delle case, le stelle divennero sempre più luminose minuto dopo minuto e il vento aveva smesso di soffiare, lasciando spazio ad un silenzio tombale, percepibile soltanto da quella terrazza. Persino i motori delle auto e il vociferare dei giornalisti e dei passanti erano tanto lontani da lasciare i due giovani indisturbati.
"Da troppo tempo" ammise Sebastian, voltandosi ad ammirare il volto teso dell'amica.
Da troppo tempo. Cosa stava a significare? Per quanto riguardava Wendy, troppo tempo poteva anche essere dieci giorni prima. Forse dieci anni? Probabile. Dieci anni a torturarsi, dieci anni a farsi del male con le proprie mani, a credere di poter scappare dal mondo reale.
"Perché?" chiese la mora, volendone sapere di più. Sebastian si lasciò sfuggire un pesante sospiro, probabilmente elaborando una risposta.
"Perché la vita a volte è troppo difficile da affrontare da soli" 
Silenzio. Wendy si ammutolì, sentendo le parole pronunciate dall'amico rimbombarle nel cervello: lo sapeva, lo aveva constato sulla sua pelle, ma mai si era permessa di cadere così in basso. Non era a conoscenza però del passato di Justin o meglio, dei dieci anni passati. Non sapeva cosa gli fosse capitato in quegli ultimi anni, cosa lo avesse spinto a compiere tale atto, perché si sentisse tanto solo. 
"E quindi è giusto ricorrere a tanto?" esclamò Wendy, indicando la tasca dei pantaloni di Sebastian. "È giusto drogarsi, rovinarsi la vita con le proprie mani?"  
"No, non è giusto. Ma la vita è sua, il dolore è suo e ognuno di noi sa affrontare i propri problemi in maniera differente. Credi che non ci abbia provato? Credi davvero che io non lo abbia pregato neanche una volta di smetterla? Lo faccio tutti i giorni, tutte le notti quando lo vedo e penso al mio amico, al ragazzo che mi è sempre stato affianco, che mi ha sempre ripreso quando ero a fare delle stronzate" disse tutto d'un fiato, lasciando a bocca asciutta la mora. 
Lui aveva gli occhi lucidi, rossi, pronti a sprigionare decine di lacrime che erano rimaste rinchiuse per troppo tempo. Wendy si avvicinò lentamente, afferrandogli una mano e si buttò fra le sue braccia. Lo strinse a sé con tutte le sue forze, abbracciando quell'uomo a cui voleva un mondo di bene, che era restato accanto a Justin nonostante tutto, che non lo aveva mai lasciato, anche quando a scappare di fronte alle difficoltà era stata in primis Wendy. Non sarebbe mai riuscita ad immaginare il dolore che provava Sebastian nel vedere Justin distruggere la propria vita con le proprie mani ogni singolo giorno e non stava a lei giudicarlo.
Troppo tempo. Justin era stato vulnerabile per troppo tempo, per troppi anni, troppo soppresso dall'immagine che era stato in grado di costruirsi. Non se lo sarebbe ma aspettato è vero, non avrebbe mai neanche minimamente immaginato di vederlo un giorno ridotto in tali condizioni, eppure stava accadendo, era la sporca e triste verità. Wendy si sentì in colpa, la causa di tutto ciò: ancora una volta si ritrovò a maledirsi mentalmente, a dirsi che se solo fosse rimasta al suo fianco, nulla sarebbe cambiato e tutto sarebbe filato liscio.
Tenne stretto Sebastian a sé, mentre il giovane le accarezzava il capo: percepì il bisogno di doversi prendere cura di Justin, di aiutarlo a capire i propri errori, di aiutarlo una volta per tutte a smettere. Di fargli capire che c'era e che mai più sarebbe andata via, di fargli intendere che la vita è un dono troppo importante per essere distrutto in tale modo.
Di salvarlo.
Perché Wendy lo avrebbe salvato, in un qualche modo; lo avrebbe salvato da sé stesso, da quell'immagine di un Justin fin troppo differente rispetto al ragazzo che amava. Da quell'uomo che poco a poco stava seppellendo l'anima di una persona buona, altruista e semplice che meritava di vivere.


 

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Capitolo 22
*** Casa Bieber ***




Casa Bieber
 

La vera battaglia iniziò solo una volta tornati a New York. Tutto ciò che Wendy aveva creduto potesse tornare alla normalità scomparve, lasciando al suo seguito decine di articoli di giornali ritraenti lo stanco volto di Justin e l'espressione preoccupata della giovane. La sua vita mutò giorno dopo giorno, attimo dopo attimo: era oramai celebre per via della sua storia d'amore con il famosissimo pugile Justin Bieber, era colei che le ragazze invidiavano e gli uomini desideravano. Era divenuta la donna che accompagnava Bieber in ogni occasione, che fosse un incontro di boxe o una cena in uno dei ristoranti più costosi dell'intera New York City. 
Però perché nessuno si rendeva conto del dolore che celava dietro lo sguardo spento di Bieber? Perché a tutti interessavano solamente le eroiche imprese di un giovane pugile sui ring più celebri del mondo? Tutti coloro che erano rimasti accanto a Justin in quegli anni, sapevano e percepivano costantemente che qualcosa non andava; a partire da Wendy che se ne stava perennemente dietro la possente figura dell'uomo, seguendolo come farebbe una qualsiasi moglie, aiutandolo nel momento del bisogno e consigliandolo. 
Era difficile, straziante dover assistere ogni giorno alla disfatta di un uomo che nella vita aveva dato tanto per realizzare il suo più grande sogno, divenuto il suo peggior incubo. Un padre che lo aveva abbandonato subito dopo l'annullamento del matrimonio con Amanda, una Pattie Malette sparita dalla circolazione e tanta voglia di voler dimenticare il proprio passato. Justin era riuscito con le sue sole forze a farsi strada in quel mondo all'apparenza tanto perfetto e fortunato, fatto però di feste, alcool e droga. Un mondo che Wendy aveva conosciuto nei primi mesi del nuovo anno, nel 1962; un mondo tanto sconosciuto che scoprì poco a poco. 
Bieber a quei tempi non era un drogato o un alcolizzato, affatto: Bieber era una delle tante celebrità disposte a tutto pur di poter vivere una sola serata di svago, lontano da tutti e da ogni riflettore. Era un ragazzo al quale erano state strappate via certezze e sogni, desideri per un avvenire migliore. Bieber aveva tremendamente bisogno di aiuto ma nessuno in quegli anni era stato disposto, eccetto Sebastian, a donargliene. Nessuno si era preso la briga di porgergli una spalla, una mano, di dargli un consiglio. 
Wendy non aveva mai smesso di odiarsi, neanche una volta: sapeva che se solo gli fosse rimasta accanto, moto probabilmente tante cose sarebbero andate diversamente, a partire dal sorriso di Justin che non vedeva oramai da settimane. Il luccichio sincero dei suoi occhi caramellati era scomparso, la voglia e la grinta di salire sul ring lo avevano abbandonato poco a poco; un fisico sempre più asciutto, un trentaduenne che dimostrava il doppio degli anni. 
Wendy era stanca, affaticata, ma non lo abbandonò neanche per un secondo; si era ripromessa di aiutarlo, di restargli accanto perché se solo lo avesse lasciato, molto probabilmente lo avrebbe perso per sempre e non sarebbe mai stata in grado di perdonarselo. Così, passo dopo passo, lo accompagnò in ogni singola fase della sua carriera tanto tormentata, finché un giorno di fine febbraio non accade l'inevitabile.
Justin era sempre stato molto preciso e attento a non farsi vedere in giro quando non era il momento di farlo, con una qualsiasi sigaretta tra le mani o ubriaco fracido. Qualcosa si spezzò una notte, qualcosa che avrebbe messo fine ad una vita basata su menzogne e sofferenze: l'intera America, il 26 febbraio 1962, si svegliò con una prima pagina tra le mani di una delle riviste sportive più celebri a quei tempi, che segnò la storia e la carriera di Justin Bieber. Un ragazzo completamente mal ridotto, intento a lasciare uno dei tanti locali: un ragazzo che di giovane aveva poco e niente, evidentemente sotto l'effetto di stupefacenti. 
Tutti lo criticarono, tutti gli puntarono il dito contro e Bieber non potette fare a meno che prendere la decisione più difficile di tutta la sua vita: nonostante fosse stato in grado di non apparire pubblicamente in alcun locale, alcun negozio o ristorante che fosse, nonostante avesse rifiutato l'invito in quasi tutti i programmi tv e avesse scartato a priori le possibilità di rilasciare interviste, decise dopo un'accurata riflessione, di ritirarsi dal mondo dello sport a tempo indeterminato.
Cadde una stella, la fine di una delle carriere più importanti che la boxe avesse mai visto: un nome, una leggenda, un ragazzo che aveva dato molto senza mai chiedere niente in cambio. Un ragazzo sempre sorridente, definito privo maschere e tanto generoso che aveva poco a poco distrutto l'immagine perfetta che l'intero mondo aveva prefissato per lui. Il manager acconsentì a scogliere il contratto, il vecchio allenatore si ritirò con lui, augurandogli il meglio e Justin si rinchiuse per settimane dentro la sua enorme villa a New York City, sempre circondata da paparazzi e giornalisti che dopo lo scioccante annuncio si erano come duplicati. Non si degnò neanche per un misero secondo ad uscire di casa, finché finalmente dopo tanto soffrire, arrivò la notizia migliore che i due amati potessero ricevere: Wendy era incinta.
A causa della marea di preoccupazioni, dei giorni trascorsi ad aiutare Justin non riuscì a rendersene conto, nonostante i segni vi fossero tutti, pensò che magari ogni coniato di vomito e ritardo erano dovuti all'ansia a cui era stata sottoposta perennemente in quegli ultimi mesi. 
C
ominciò così il lungo cammino di guarigione di Bieber che avrebbe sempre potuto contare sulla sua amata Wendy, futura madre del suo bambino. Se c'era una cosa che niente e nessuno, neanche la fama avrebbe potuto strappare via all'uomo, quella cosa era sicuramente la fede: Justin credeva in Dio, riponeva in Lui tutta la sua vita, ogni singola decisione. Era convinto che fosse giusto che il corso degli eventi seguissero il loro destino e che se era stato costretto a soffrire tanto, un motivo ci era. Ringraziava l'Altissimo per tutte le fortune e gli episodi difficili e saturi di dolore che avevano formato il suo essere, modellandolo nel migliore dei modi.
Wendy era fiera di Justin nel vederlo giorno dopo giorno tornare a sorridere sul serio, tornare ad essere il ragazzo di cui si era perdutamente innamorata undici anni prima. Nulla sarebbe potuto andare meglio: aveva al suo fianco l'uomo che amava, portava in grembo il loro bambino, stava per esaudire il suo più grande desiderio e cioè quello di poter finalmente diventare madre. Justin poco a poso si riappropriava di ciò che gli spettava di diritto: la sua vita. Si erano trovati undici anni prima, persi per volere del destino e ritrovati; avevano combattuto e stavano in quel momento combattendo contro la più pericolosa delle dipendenze, ma Dio era con loro, Harry e Amanda erano di fianco a Wendy e niente e nessuno sarebbe più riuscito a spaventarli e a separarli.
Tutto filava liscio, la vita stava restituendo loro ciò che li aveva portato via senza ritegno. Si amavano e se lo ripetevano tutti i giorni, anche se lo sapevano; non smettevano di ripeterselo tutte le mattine appena svegli, le notti prima di andare a dormire, quando se ne stavano in silenzio seduti sul divano e si coccolavano a vicenda. Wendy continuava ad odiarsi per tutto il dolore che aveva procurato a Justin, ma è anche vero che non smetteva di ringraziarsi perché riuscì a seguire il suo cuore a mettere da parte l'orgoglio, nonostante a soffrire fosse stato Mark. Le dispiaceva, ci pensava di continuo ma cosa avrebbe dovuto fare? Non sarebbe mai riuscita ad immaginarsi all'altare affianco a Mark, non avrebbe mai potuto immaginare il padre dei suoi figli con occhi diversi da quelli di Justin. 
Nonostante avesse pregato Mark di restare a casa sua, a Rock Hill, quest'ultimo abbandonò senza pensarci su due volte l'abitazione un attimo dopo la partenza di Wendy: si erano augurati il meglio e poi ognuno per la sua strada. La giovane sapeva che avrebbe trovato finalmente la donna che lo avrebbe fatto innamorare e che sarebbe stata degna di stare al suo fianco, lo sperava con tutto sé stessa perché Mark lo meritava come nessuno.
"Se è un maschietto vorrei chiamarlo Jaxon" disse Justin un giorno di inizio aprile.
Wendy si voltò a fissare la figura dell'uomo: aveva rasato i capelli, togliendo via quei ciuffi biondi che Wendy aveva tanto odiato. Il fisico, pur essendo piuttosto asciutto, pareva tornare sempre più in carne e l'evidente miglioramento era rilevante soprattutto in volto, prima pelle e ossa. Justin si voltò un attimo sorridendo per poi tornare a guardare dritto dinanzi a sé la strada.
Erano diretti, dopo tanto discutere, a casa Bieber. L'enorme villa nella quale era cresciuto e soprattutto la casa in cui Justin non metteva piede da anni.
"E se è una femminuccia?" domandò Wendy voltandosi alla sua sinistra, lasciandosi cullare dal vento che le scompigliava i capelli che erano oramai cresciuti fin sopra le spalle.
"Jazmyn!" rispose velocemente l'uomo.
Wendy portò le braccia conserte al petto e arricciò il labbro inferiore, facendo scoppiare a ridere Justin che strizzò gli occhi divertito.
"Tutti con la stessa iniziale, grazie mille per la considerazione" si lamentò la mora fingendosi offesa: Jaxon e Jazmyn erano nomi bellissimi, li adorava.
Justin posò una mano sulla pancia di Wendy facendo sussultare la donna che poco dopo rise lievemente, quando Bieber iniziò ad accarezzare lo stesso punto più volte. Wendy posò una mano su quella dell'uomo e seguì li stessi movimento; si guardarono negli occhi e sorrisero di cuore. Lì c'era il loro bambino, il frutto del loro amore, il sogno di una vita. L'attesa era straziante ma ne valeva la pena, eccome se ne valeva: Justin non vedeva l'ora di stringere il suo piccolo bambino tra le sue possenti braccia per non lasciarlo più andare, d'altro canto anche Wendy sentiva la necessità di stringere a sé suo figlio.
"Sarà bellissimo" commentò la mora.
"Certo che lo sarà, ti ricordo che è un Bieber" 
Justin le fece l'occhiolino e tolse la mano, tanto che Wendy percepì un senso di vuoto nel preciso istante in cui le loro mani si distanziarono. Si incupì e tornò a fissare il paesaggio oltre il finestrino restano in silenzio, attendendo l'arrivo a casa Bieber. Dopo circa dieci minuti Justin frenò di colpo, facendo sobbalzare Wendy che portò una mano sul petto spaventata. 
"Scusami" disse lui a bassa voce, abbassando lo sguardo sulle sue ginocchia traballanti. 
La giovane scosse il capo e afferrò la mano di Justin, percependo la tensione alle stelle e sperando che almeno con quel gesto Bieber si decidesse una volta per tutte a calmarsi. Fece incastrare alla perfezione tutte le dita, quasi fossero state create per stare insieme a si fissarono per interminabili secondi, senza proferire parola. Non vi era bisogno di commentare, bastarono quegli sguardi.
Justin annuì incerto e scese dalla macchina; lo stesso fece Wendy, ritrovandosi dinanzi l'enorme villa dei Bieber e sorridendo non appena le tornarono in mente tanti di quei ricordi che se Justin non l'avesse spronata a proseguire, molto probabilmente sarebbe stata in grado di scoppiare a piangere lì, seduta stante. Il primo bacio dato, proprio oltre quella siepe dalle foglie ormai secca, senza più una parità assoluta sulle punte.
"Prima finiamo e meglio è per tutti" disse Justin portando le mani in tasca. Wendy si bloccò, roteando gli occhi al cielo e sbuffando di malavoglia.
"Non voglio che tu lo faccia perché ti senti in dovere di farlo. Voglio che tu lo faccia perché senti il bisogno di rivederli" 
Bieber si bloccò qualche passo più avanti di Wendy, guardando dritto a sé la casa che lo aveva visto nascere, crescere e diventare il ragazzo che era undici anni prima. Chissà quanti pensieri attraversarono la sua mente in quegli interminabili secondi: probabilmente gli stessi punti interrogativi che stavano tormentando Wendy da non poco tempo. Risiedevano ancora in quella casa? A giudicare dalle finestre chiuse, il giardino malandato e le pareti colme di muschio, pareva tutto tranne che una villa abitata. Probabilmente Pattie aveva lasciato New York, forse anche Jeremy. Presumibilmente si erano separati, avevano intrapreso ognuno strade diverse e chissà se avessero deciso di rifarsi ognuno una propria vita, con nuovi coniugi e una nuova famiglia. Erano stati davvero in grado di dimenticarsi del loro unisco figlio? Del loro ragazzino divenuto uomo troppo in fretta? Jeremy Bieber era stato davvero in grado di cacciarlo via di casa solo perché Justin era stato in grado, dopo tanto tempo passato in silenzio, di ribellarsi?
Più ci pensava e più non poteva crederci: istintivamente portò una mano sulla sua pancia, accarezzandola. Avrebbe amato suo figlio con tutto il suo cuore e non lo avrebbe mai abbandonato, anche quando sarebbe invecchiata e sarebbe stata costretta a farsi da parte. Non avrebbe mai commesso l'orribile errore di Pattie di Jeremy.
"Clara?" chiese Justin.
Wendy alzò lo sguardo di colpo, notando in lontananza una minuta figura dai capelli grigi e con addosso la solita divisa che ogni domestica era portata ad indossare anni prima. Era Clara, l'anziana domestica dei Bieber, l'avrebbe riconosciuta tra un milione.
Justin senza pensarsi su due volte corse verso la donna che abbracciò istintivamente, nonostante l'anziana fosse a dir poco scioccata.
"Signorino Bieber" quasi urlò Clara stringendo a sé la figura di Justin, dovendo per forza stare sulle punte perché troppo bassa.
Wendy si avvicinò lentamente cercando di trattenere le lacrime, soprattutto quando Clara accarezzò il viso ormai cresciuto di Justin: accarezzò incredula la barba, rendendosi conto di quanto il suo piccolo Justin fosse maturato. L'uomo, d'altro canto, continuò ad accarezzare le spalle della donna per poi stringerla di nuovo a sé e staccarsi dopo qualche secondo. Clara tirò su con il naso e Wendy sorrise emozionata.
"Dio Clara, quanto mi sei mancata" disse Justin, successivamente si voltò verso Wendy visto che l'anziana era intenta a scrutare da cima a fondo la figura della mora che se ne stava in disparte per non rovinare il momento. "Lei è Wendy, ma tu già la conosci" 
Justin indicò la sua amata afferrandole la mano e tirandola sé; Wendy salutò l'anziana con due baci casti sulle guance e per poco Clara non svenne sul colpo nel notare la pancia della giovane. Portò una mano sulle labbra e sospirò emozionata.
"Il mio piccolo Justin diventerà padre" commentò scoppiando definitivamente in lacrime. 
Bieber le afferrò una mano e la baciò: molte volte aveva raccontato a Wendy di quanto Clara fosse importante per lui, di come lo avesse cresciuto come un nipote e di come gli fosse sempre stata accanto. Le voleva un mondo di bene, gliene avrebbe sempre voluto e Clara ne voleva a Justin, proprio come una nonna ama suo nipote visto e considerato che Clara non aveva mai avuto una famiglia.
"Piccolo? Clara, ho trentadue anni" disse fingendosi scocciato, facendoci ridere entrambe. 
L'anziana asciugò le lacrime con il dorso della mano rugoso: era invecchiata molto rispetto a quando l'aveva vista l'ultima volta Wendy, ma non poteva essere altrimenti. Dopo qualche secondo in silenzio Justin tornò a fissare casa sua, strizzando un occhio a causa del sole cocente.
"Sono tornato" commentò a bassa voce. 
Wendy notò subito il dispiacere sul volto di Clara, soprattutto quando quest'ultima abbassò lo sguardo sulle sue vecchie scarpe e sospirò.
"Non troverete nessuno" disse di colpo.
Wendy percepì i muscoli di Justin irrigidirsi di fianco alla sua figura e istintivamente strinse la mano dell'uomo nella sua, come per fargli capire che era lì di fianco a lui. Poi, si voltò a scrutare il volto di Bieber ancora intento ad esaminare la possente struttura  e non potette fare a meno che incupirsi, notando il dispiacere nei suoi occhi e le labbra tremanti.
"Sono andati via un bel po' di anni fa. Io ancora vivo qui, finché la morte non deciderà di venirmi a prendere" disse Clara a malincuore. 
Justin annuì puntando il suo sguardo in quello dell'anziana e poi accadde qualcosa che Wendy non si sarebbe mai aspettata: l'uomo sorrise. Non un sorriso forzato, ma un sorriso di cuore, voluto e desiderato. 
"Sempre molto ottimista, come al solito" disse prima stringere ancora a sé Wendy, baciandole una tempia e in quel momento la giovane capì che tutto andava per il meglio.
Justin era felice. Wendy era felice. Insieme erano tremendamente felici e nonostante Pattie fosse andata via, nonostante Jeremy avesse deciso di abbandonare ogni cosa, Justin aveva ritrovato la persona più importante della sua vita che gli avrebbe donato il regalo più grande e importante che la vita possa regalarti: un figlio. Il resto, non contava.

 

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Capitolo 23
*** Migliore amica ***




Migliore Amica
 

Se c'era una cosa che a Wendy mancava da impazzire, quel qualcosa era senza ombra di dubbio la possibilità di recarsi tutti i giorni dai suoi genitori: donare loro uno dei fiori più belli e restare ore a raccontare le sue avventure e disavventure. Una volta trasferitasi nuovamente a New York City le fu difficile in un primo momento abituarsi all'idea di non poter più commemorare i suoi genitori nel migliore dei modi, ogni giorni. Sapeva però che il vecchio Harry era in buone mani, di fianco all'amore della sua vita e che non sarebbe stata di certo quella la distanza che avrebbe fatto star male Wendy, visto che ve ne era una tanto più grande quanto infrangibile. 
Harry le mancava costantemente, ma bastava alzare lo sguardo verso il cielo azzurro ogni volta che ne sentiva la necessità e Wendy sapeva che il padre era pronto a guidarla in un qualsiasi momento: la sua voce risuonava fra il vento che le scompigliava i capelli e le sussurrava frasi che solo ella era in grado di percepire. I suoi occhi azzurri proprio come il manto del medesimo colore dipinto sul suo capo erano sempre attenti a seguire passo dopo passo la sua amata figlia. Harry era ovunque, nei ricordi, nelle vecchie fotografie, nelle prime pagine del medesimo giornale che era solito a leggere tutte le mattine appena sveglio, dinanzi ai fornelli incapace di preparare anche solo delle uova strapazzate. E proprio perché si trovava ovunque Wendy andasse, quella profonda e sentita mancanza svaniva poco a poco, vivendo nella consapevolezza che un giorno lo avrebbe abbracciato nuovamente. Sarebbe stato un nonno speciale, uno di quelli che non riescono neanche volendolo ad inquietarsi con i propri nipoti, sempre disponibile la dove neanche un genitore è capace di comprendere.
Wendy se lo ripetette anche quel 12 aprile 1962, quando accarezzò per l'ennesima volta il pancione sempre più rilevante: tutti avevano presupposto fosse un maschietto vista la pancia tanto sproporzionata a soli cinque mesi di gravidanza. Anche Justin non faceva altro che ripeterle che avrebbe dato alla luce un meraviglioso maschietto, dai capelli dorati e occhi caramellati -modesto come sempre. 
Quella mattina Wendy era beatamente seduta su una delle quattro panchine in legno, nel retro della vecchia villa dei Bieber; percepiva l'odore della carne rosolare sulla brace ardente e il chiacchiericcio incessante di Sebastian e Justin che erano intenti a ridersela di chissà quale misfatto, tenendo strette tra le loro mani due semivuote bottiglie di birra. Il moro dagli occhi chiari era intento a rigirare la carne sulla brace mentre più in lontananza, Larry -padre di Sebastian-, Sophia -moglie di Larry, una donna di classe e molto amichevole- e Clara, stavano preparando la tavola con tutto il necessario, dalle posate ai bicchieri, sotto la grande quercia che affondava le sue radici nel retro dell'enorme giardino. 
Per sua più grande sfortuna, la giovane aveva qualche ora prima dovuto far fronte ad un forte mal di testa che l'aveva costretta a restarsene a letto per un paio di ore, nella stanza per gli ospiti della villa occupata da Clara. Pregò il resto del gruppo di non annullare per nessuna ragione al mondo il pranzo che avevano organizzato con tanto amore quella domenica mattina, soprattutto Larry che si era preso la briga di rifornirli con birre e bevande in quantità, tutto a spese della sua tavola calda. Le diedero retta, a patto che per tutto il giorno non muovesse spillo e se ne stesse beatamente tranquilla ad ascoltare della musica su quella scomoda panchina, sotto i lunghi e spessi rami della quercia che si estendevano per metri.
Ci era riuscita, forse per venti minuti; ne aveva abbastanza di risultare un peso, mentre tutti si stavano dando da fare; così, senza tener conto delle raccomandazioni che le erano state recapitate si alzò e si precipitò ad aiutare i tre, sistemando per bene le bevande sul tavolo.
"Ti avevo detto che ci avremmo pensato noi" si intromise Larry sfilandole di mano una bottiglia di acqua naturale, come al solito molto protettivo nei confronti della giovane.
Wendy sbuffò di malavoglia e roteò gli occhi al cielo, portando le braccia conserte al petto: un semplice mal di testa non avrebbe poi potuto nuocere chissà quanto alla sua salute.
"Posso farcela, sono solo delle bottiglie" 
"Non voglio che il mio figlioccio si affatichi, e che le madre faccia altrettanto quindi siediti, abbiamo tutto sotto controllo" concluse facendole l'occhiolino.
La mora sorrise divertita e si allontanò dalla lunga tavolata arrendendosi, avvicinandosi successivamente furtiva verso Justin che continuava a ridere di cuore insieme a Sebastian; chissà di cosa stessero trattando. Sta di fatto che Wendy non venne mai a saperlo perché non appena Bieber si rese conto dell'arrivo della sua amata, si ammutolì di colpo.
"Che cosa state complottando?" domandò la giovane.
Justin e il suo amico si lanciarono sguardi furtivi: Sebastian tornò a smuovere la carne sulla brace e Justin a sorseggiare la sua fresca birra.
"Niente" rispose Sebastian. 
"Esatto, niente" gli fece da eco Bieber.
Wendy esitò qualche secondo e poi scrollò le spalle, arrendendosi anche un quell'occasione. Se ne tornò insoddisfatta a sedere sulla scomoda panchina finché John, fratello maggiore di Sebastian, non arrivò in suo soccorso con una scodella colma di spaghetti al sugo. Wendy potette finalmente tornare a sedersi a tavola e questa volta la seguirono a ruota un po' tutti, tranne i due uomini di casa -si fa per dire.
La giovane sapeva che Sebastian avesse un fratello che risedeva in Canada per motivi di lavoro, ma non aveva mai avuto l'opportunità di conoscerlo di persona, sino a quel momento. Lo stesso valeva per la sua adorata moglie, Julia: erano tornati entrambi a New York City sorprendendo i loro genitori, quasi non venne un colpo a Larry quando sia John che Julia entrarono dentro la tavola calda tre giorni prima, come se nulla fosse.
John si era preso la briga insieme a sua moglie di preparare i primi piatti, tanto bravo com'era: c'era da leccarsi i baffi nell'ammirare tutto quel ben di Dio, per non parlare della seconda portata che teneva stretta tra le mani Julia. 
Li ammirava, uno ad uno: Wendy ammirava la meravigliosa famiglia di Larry come poche persone a questo mondo. Ammirava il coraggio di Sebastian, la sua forza d'animo, la sua sincerità. La dolcezza e la premurosità di Sophia, l'eleganza che poche donne posseggono di Julia e l'allegria che un solo sorriso di John era in grado di trasmettere. Poi c'era Larry;  lui era da considerarsi un secondo padre, a poco sarebbero servite le parole per ringraziarlo a dovere. Erano una famiglia stupenda, unica nel suo genere e Wendy non potette fare a meno che sentirsi fortunata per averli incontrati.
"Ehi voi due, che ne dite di darvi una mossa?" esclamò John contro Justin e Sebastian che si voltarono all'unisco, alzando in aria le birre in segno di risposta.
Scoppiarono a ridere tutti e Wendy si accomodò di fianco a Clara: era intenta a riempire i piatti, uno ad uno con tanta di quella pazienza nonostante le forze la stessero abbandonando giorno dopo giorno. La giovane le afferrò dalle mani il piatto e il mestolo, pregandola di accomodarsi e ringraziandola per tutto ciò che aveva fatto. Ci avrebbe pensato lei da quel momento in poi e così fu: riempì ogni singolo piatto rimasto, tagliò le fette di pane e quando anche Justin e Sebastian si accomodarono -Bieber di fianco a Wendy- cominciarono a mangiare. 
Il pranzo proseguì nei migliori dei modi tra brindisi, ringraziamenti e barzellette. Fu molto probabilmente la giornata migliore del nuovo anno: l'emozione di essersi ritrovati, la serenità di poter trascorrere una piacevole domenica nel migliore dei modo. Wendy non avrebbe potuto chiedere di meglio, per non parlare di Justin.
Quando i bicchieri furono oramai vuoti, i piatti altrettanto e il cibo scarseggiò in definitiva, Larry si alzò dalla sua sedia e raggiunse Wendy, affiancandola e chinandosi per sussurrarle qualcosa nell'orecchio.
"C'è una sorpresa per te che arriverà tra poco" le disse dolcemente, senza che nessuno potesse sentire alcun frammento della loro conversazione.
Wendy corrugò la fronte: una sorpresa? Non stette più nella pelle. Iniziò a domandarsi di cosa si trattasse, a spremere le meningi ma fu tutto inutile, una risposta non la trovò finché non vide Sebastian alzarsi e guardare dritto il suo orologio da polso.
"Credo proprio che stia per arrivare" commentò il moro sgranchiendo per bene le braccia.
Chi stava per arrivare? O forse, cosa stava per arrivare? Wendy si guardò intorno, notò lo sguardo contento di tutti e nessuno si rese conto che la sua di espressione era tutto il contrario: stranita, scettica, curiosa e ansiosa. Che la sorpresa avesse a che fare con colui o quel qualcosa che sarebbe dovuto arrivare a momento? Poi, come se nulla fosse, Sebastian se ne andò e promise di tornare dopo circa venti minuti.
"Chi sta per arrivare?" domandò la giovane nell'orecchio di Bieber che quasi non si strozzò con la birra.
"Lo vedrai" sentenziò il biondo dopo aver asciugato il volto e aver tossito un paio di volte.
Perché nessuno le diceva niente? Si sentì un peso, un terzo incomodo bello e buono: nessuno stava prendendo in considerazione l'idea di rivelarle anche un misero particolare della tanto attesa e speciale sorpresa che a quanto pareva avrebbe toccato solo Wendy. Quando Bieber si allontanò per raggiungere Larry, di fianco alla brace ancora ardente, la mora se ne rimase in silenzio a bracia conserte, intenta ad accarezzare il suo pancione.
Quando sentì una pressione sul capo, si voltò di colpo notando Sophia intenta ad accarezzarle i soffici capelli; questo la fece sorridere. La donna le si sedette di fianco, prendendo il posto di Justin, sempre sorridente com'era.
"Stai meglio?" chiese premurosa.
Wendy annuì, fissando la sua pancia: mancava ogni giorno di meno, eppure il traguardo dei nove mesi pareva tanto distante ed irraggiungibile.
"Hai paura?" continuò con i punti interrogativi, zittendo Wendy che in un primo momento cercò di rispondere, ma poi decise di ritrarre ogni parola.
Sapeva a cosa si stesse riferendo: aveva paura di intraprendere un viaggio tanto faticoso? Era pronta per divenire una donna a tutti gli effetti, una madre di famiglia? Aveva paura di non riuscire a crescere il suo bambino nei migliori dei modi? Sì, aveva tremendamente il terrore di sbagliare e di non essere all'altezza. Ma con al fianco Justin sentiva che tutto sarebbe andato per il meglio: con persone tanto genuine al seguito, nulla sarebbe potuto andare storto e se le cose si fossero complicate, insieme avrebbero trovato una soluzione. Aveva paura, ma era pronta. 
Prima ancora che potesse rispondere, Clara iniziò a raccontare di quanto le sarebbe piaciuto avere un bambino tutto suo ma di come Justin avesse colmato quel vuoto che si era portata dentro per troppo tempo, facendo quasi commuovere le due donne più giovani. Dopo circa venti minuti di chiacchiere, ricordi, pensieri personali e confessioni, John corse entusiasta con Julia in bracco a mo' di sposa e si buttarono sul prato come due ragazzino che si sono appena conosciuti ma che amano da impazzire.
"Stanno arrivando" disse la ragazza prima di fiondarsi sulle labbra del suo amato, facendo sorridere Wendy e Clara e invece costringendo la signora Sophia a roteare gli occhi al cielo.
Wendy si incupì non appena rielaborò le parole appena pronunciate da Julia: stavano arrivando. Chi ancora non lo aveva capito, ma non avrebbe dovuto aspettare ancora molto tempo. Sophia saltò dalla sedia non appena una figura minuta, più bassa di un metro, comparve in giardino. Un piccolo bambino, dai capelli neri come la pece e occhi azzurri proprio come quelli di...Sebastian. L'uomo era poco più distante dal dolcissimo bambino che corse a tutta velocità per abbracciare Sophia.
"Il mio nipotino!" esclamò la donna che per poco non scoppiò a piangere.
Nipotino. Ma certo; con quella grinta, quei capelli e quegli occhi non sarebbe potuto essere altrimenti. Wendy portò una mano sulle labbra d'istinto, incredula dinanzi a quella scena: era il figlio di Sebastian, quella graziosa creatura era il bambino del suo amico. Le scoppiò il cuore in petto nell'ammirare quella scena, notando l'espressione sorridente ma comunque in lacrime di Sophia, segno che era passato davvero molto tempo dall'ultima volta che aveva avuto l'opportunità di abbracciarlo.
Alzò lo sguardo poco a poco, lentamente, senza perdersi neanche un attimo di uno degli abbracci più belli a cui avesse mai assistito...e poi la vide. La donna che stringeva la mano di Sebastian, il suo solito modo strambo nel vestire, lo zainetto di pelle in spalla. Vide dopo undici anni la donna, o meglio dire la ragazza che le era rimasta accanto, sempre. Vide la ragazza che in un modo o nell'altro le aveva sempre asciugato le lacrime quando a nessuno importava di farlo.
Wendy si avvicinò lentamente, esitando perché pensierosa: e se l'avesse rifiutata? In fin dei conti, era stata proprio lei ad essersene andata anni prima, era stata solo e solamente lei ad essere scappata. Si avvicino con gambe tremanti, ma preoccuparsi fu tutto inutile.
La gentile e premurosa ragazza che aveva conosciuto undici anni prima non era scomparsa, affatto. Pauline non era mutata di una virgola, tant'è che riusci a mettere da parte il rancore e si fiondò senza ripensamenti dritta verso la figura di Wendy, esitando con occhi lucidi appena si rese conto del pancione della giovane, ma ciò non la frenò dall'abbracciarla con tutte le sue forze.
Sotto gli sguardi commuoventi di tutti, scrutate da un Justin che andò ad accerchiare le spalle del suo amico Sebastian e quest'ultimo che a stento riuscì a trattenere le lacrime. Wendy e Pauline si abbracciarono come mai fecero prima di allora, tenendosi strette per non lasciarsi mai più andare. Erano così tremendamente cresciute, entrambe mamme, entrambe con due meravigliosi compagni al proprio fianco.
Se glielo avessero raccontato cinque minuti prima, molto probabilmente Wendy non ci avrebbe mai creduto eppure era tutto reale: il bambino, Sebastian e Pauline insieme, il loro stringersi mano per la mano. 
Con le lacrime gli occhi, Wendy si strinse sempre di più alla figura un po' più alta della sua amica, pensando a quanto tempo era passato e quanto ne sarebbe trascorso a raccontarsi tutto ciò che avevano vissuto in quegli anni divise. Roba che non basterebbe un intero libro, fidatevi.


 

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Capitolo 24
*** Conti con il passato - parte prima ***




Conti Con Il Passato - Parte Prima
 
Giugno era ormai alle porte: l'aria diveniva giornata dopo giornata sempre più afosa, le temperature erano in continuo aumento e con esse la voglia matta di poter tuffarsi in mare. Wendy trascorreva le sue giornate nella più completa tranquillità di fianco a Justin e al resto dei suoi conoscenti. Erano soliti a fare visita a Larry quasi tutti i giorni, tranne quei pomeriggi che costringevano Wendy a starsene a letto, fosse stato anche solo per un semplice mal di testa. Justin le proibiva di affaticarsi, di svolgere i doveri di casa qual'ora sarebbe riuscito a cavarsela da solo. Nonostante la cucina non fosse il punto forte dell'uomo, nonostante Wendy fu costretta più volte a gettare via capi completamente segnati dal ferro da stiro -il nemico numero un di Bieber-, e decine di camicie bianche della giovane che stranamente divennero rosa, azzurre o addirittura verdi, Justin si trasformò nel marito e uomo di casa migliore del mondo dopo tanto duro lavoro.
La gravidanza di Wendy proseguì nel migliore dei nomi, a parte qualche intoppo, il settimo mese era oramai alle porte e il pancione sempre più grosso l'avrebbe fatta faticare ancora un bel po', e non poco. Justin la seguiva ovunque: su per le scale, in cucina, in giardino e persino in bagno, ma ogni volta si beccava uno schiaffo in pieno volto. Wendy adorava essere trattata come un regina; amava quel Justin tanto premuroso e sempre attento a dove mettesse i piedi, ma alle volte era fin troppo ossessivo. Sarebbe riuscita a cavarsela da sola almeno in casa, così dopo una lunga chiacchierata sul fatto, Justin decise di trattenersi dall'afferrarle una mano ogni qual volta metteva piede su un gradino o di pregarla per lasciare la porta del bagno semiaperta. 
Trascorsero quindi i giorni, sempre più velocemente, sempre più serenamente. Maggio passò fulmineo agli occhi dei due amati tra baci, abbracci, dichiarazioni, risate in compagnia e pomeriggi trascorsi tra negozi. Ogni qual volta Wendy passava dinanzi ad una delle tante vetrine che mostravano una carrozzina nuova di zecca o qualche piccolo indumento dai graziosi ricami, rimaneva incantata a fissare con occhi lucidi e sguardo sognante, immaginandosi tra i marciapiedi della città intenta a trainare la carrozzina, sorridendo buffamente al suo bambino, affiancata come sempre dal suo Justin.
"Che ne dici di dare un'occhiata?" le chiese una volta Justin, decidendosi finalmente dopo tanto.
Così, dopo ben due ore di accurata scelta, riuscirono ad acquistare il minimo indispensabile per il bambino, al resto ci avrebbero pensato successivamente o sicuramente dopo il parto e quindi, di conseguenza, dopo aver scoperto il sesso del neonato. Justin le ripeteva di continuo che sarebbe stato un maschietto, Wendy invece era sicura fosse una femminuccia: però poco importava, più ci discutevano sopra e più scoppiavano a ridere, dimenticando addirittura perché avessero iniziato a battibeccare. Femminuccia o maschietto che fosse, i due non vedevano l'oro di stringere finalmente il loro adorato figlio; cullarlo e accudirlo. Che soddisfazione sarebbe stata per entrambi, che onore gli stava concedendo il Signore, che immensa benedizione. 
Durante gli ultimi giorno del mese, Wendy fu costretta a restarsene a letto una settimana intera, accrescendo la preoccupazione di Justin che ne rimase ogni minuto di fianco ad ella, coccolandola come di dovere, sussurrandole parole dolci e accarezzandole la pancia mentre dormiva. Preparandole la colazione, pettinandole i capelli quando le forze venivano a mancare per via della febbre e porgendole ogni volta che ve ne era bisogno le pastiglie che fecero effetto solamente dopo una settimana e mezzo. Poco a poco tornò tutto alla normalità: Wendy riacquistò le forze, a tal punto che Bieber si decise finalmente una sera di inizio giugno ad invitarla a cena fuori, acquistando per la sua amata un costosissimo vestito rosso che le donava nonostante il pancione e le curve molto più rilevanti.
Sarebbero potuti recarsi in un ristorante o magari perché no, una semplice tavola calda conoscendosi e ricordando il loro primo vero appuntamento. Ma tutto fu, fuorché i luoghi citati precedentemente: Bieber aveva organizzato tutto da solo e con l'aiuto di Sebastian che si era dato da fare con gli addobbi, ma per il resto, ogni minimo particolare era frutto dell'immaginazione di Justin.
Quando Wendy mise piedi nel vecchio palazzetto un tantino scioccata, non potette credere ai suoi occhi: il luogo dove si erano incontrati per la prima volta, dove tutto ebbe inizio, dove undici anni prima mise piede in compagnia di Pauline. Al centro del ring vi era un tavolino colmo di rose rosse, bicchieri saturi di spumante e portate di cibo per niente misere, anzi. Wendy sentì il cuore accelerare, le labbra tremare e gli occhi gonfiarsi di lacrime; d'istinto portò una mano sul petto, cercando di trattenersi ma le fu tutto inutile. Era la cosa migliore che qualcuno le avesse mai fatto, un'idea geniale e tanto romantica. Bieber la abbracciò a mo' di sposa e la fece salire sul ring, facendo attenzione al lungo vestito rosso che Wendy adorava da impazzire: si sedettero uno di fronte all'altro e consumarono le pietanze uno dopo l'altra, portate loro da due camerieri molto giovani. Riero, si divertirono, si guardarono negli occhi come nessuno sarebbe stato in grado di fare e Wendy non potette fare a meno che ringraziare l'uomo. Per la meravigliosa serata, per averle regalato come suo solito emozioni uniche, perché l'amava, come nessuno l'avrebbe mai amata.
E fu in quell'occasione che il destino decise di continuare a seguire la retta via: dopo troppo chiacchierare, troppi bicchieri di spumante e piatti vuoti, Justin si alzò dalla sua sedia e sistemò per bene la sua giacca nera e il farfallino al collo, piuttosto agitato. Wendy corrugò la fronte posando sul tavolo il suo bicchiere e attenendo sorridente, chiedendosi perché si fosse alzato e perché si stesse dirigendo proprio verso la sua figura. 
La donna si zittì, incupendosi non appena dovette alzare il capo per incastrare il suo sguardo in quello lucido dell'uomo: aveva forse sbagliato qualcosa? Aveva detto qualcosa di troppo senza rendersene conto? In fin dei conti, non era mai stata molto brava a reggere l'alcol, anche se si trattava di misero spumante. 
"Justin, mi stai preoccupando. C'è qualcosa che non va?" chiese sentendo l'agitazione crescere incontrastata dentro di sé.
L'uomo scosse il capo e tossì per rendere molto più udibile la voce rauca che pareva gli si fosse bloccata in gola; afferrò la mano di Wendy e accarezzò il dorso di quest'ultima, tanto dolcemente che la mora rabbrividì sentendo la pelle d'oca espandersi su tutto il suo corpo.
"Non c'è niente che non vada, e questo un po' mi spaventa" iniziò con voce tremante, del tutto incapace di reggere le emozioni. "La mia vita non è mai stata tutta rose e fiori, non come lo è adesso perlomeno" a quelle parole Wendy distolse lo sguardo, come se fosse troppo difficile reggere gli occhi di lui impressi in quegli di lei. Justin le afferrò quindi anche l'altra mano, costringendola a voltarsi. "Potrò sembrare ripetitivo, ma io ti amo Wendy, come non ho mai amato nessuno"
"Non importa, tu dimmelo sempre, anche se può sembrarti ripetitivo, non smettere mai di dirmelo" si intromise la donna istintivamente.
Justin sorrise di cuore e baciò il dorso della mano destra della sua amata, ripetendo qualche altro paio di volte quelle due parole dal valore immenso.
"E proprio perché ti amo, non ho altro desiderio che trascorrere la mia vita al tuo fianco. Di continuare a prendermi cura di te, del nostro bambino; di svegliarmi ogni mattina al tuo fianco, di non dormire la notte a causa dei pianti del mio piccolo...o piccola" si corresse, facendo sorridere Wendy che oramai aveva il volto rigato dalle lacrime. "Preparare la colazione tutti insieme, passeggiare tra le vie della città mano nella mano, starsene abbracciati sul divano per intere ore. Farti sentire bene quando sarai giù di morale, asciugarti le lacrime ogni qual volta sarai troppo fragile e stanca per farlo da sola. Voglio viverti attimo dopo attimo e non smettere mai di ringraziarti per avermi salvato, quando nessuno sarebbe stato in grado di farlo. Ti ringrazio per aver avuto tutto il coraggio del mondo ed essermi rimasta accanto"
Poi si zittì. La donna rimane a bocca asciutta, incapace di battere ciglio o di proferire parola: deglutì soltanto perché ne sentì la necessità, altrimenti molto probabilmente non sarebbe neanche riuscita a mandare giù la saliva. Cercò di dire qualcosa, ma gli occhi parlarono per lei: gonfi, lucidi al massimo e pieni di gratitudine nei confronti di Justin. Per non parlare delle sue mani che parevano impazzire: tremavano, come le labbra e le gambe. Bieber mollò la presa su una mano della mora e portò la sua dentro il taschino della giacca, estraendo un cofanetto dello stesso colore del vestito di Wendy, facendo sussultare quest'ultima. Un po' ci aveva sperato non lo si può negare: aveva sperato che quel meraviglioso discorso avesse un fine...cioè, la fine più bella di tutte. 
"Non sono molto bravo con queste cose" bisbigliò Justin cercando di aprire la scatoletta che non ne voleva sapere spalancarsi, facendo scoppiare a ridere Wendy. 
Quando finalmente ci riuscì, dopo vari tentativi, un anello a dir poco meraviglioso comparve dinanzi al volto della donna in tutta la sua bellezza: chissà quanto gli era costato. Wendy spostò lo sguardo negli occhi di Justin dopo essere rimasta incantata ad ammirare le pietre preziose incastonare nel gioiello.
"Wendy Casey...vuoi sposarmi?"
Era successo. Justin glielo aveva appena chiesto con tanta di quella sincerità che Wendy sentì il cuore batterle all'impazzata nel petto perché era proprio quello che aveva sempre desiderato: guardandolo negli occhi capì quanto effettivamente amava quell'uomo dagli occhi color caramello, dalla buffa barba, dai capelli rasati che sarebbero cresciuti prima del previsto. Quanto non sarebbe riuscita a resistere un giorno senza di lui, quanto oramai dipendesse dai suoi baci e dai suoi abbracci, dalle sue carezze e dalle sue commuoventi parole.
La donna si alzò in piedi traballando sui tacchi, reggendosi forte alle spalle di Justin che divenne serio di colpo, preoccupato. Wendy tirò su con il naso e dopo aver esitato -un po' perché presa alla sprovvista e un po' perché desiderava con tutta se stessa mettere un tantino in difficoltà Justin, e ci riuscì.
Morse il labbro inferiore e dopo si fiondò sulle labbra di lui, baciandole castamente e si distaccò lentamente, ancora con occhi socchiusi.
"Lo voglio" rispose sinceramente.
Justin sorrise e si dimenticò persino dell'anello: lasciò il cofanetto sul tavolo e si fiondò sulle labbra di Wendy, baciandone ogni centimetro, assaporandole intensamente. Il bacio poco a poco divenne molto più sentito, ma per niente volgare. Nonostante fosse uno dei baci più intensi che avessero mai dato, non sfociarono neanche per un secondo nel ridicolo, anzi.
Si baciarono per interi minuti nella consapevolezza che presto si sarebbero dichiarati amore eterno, lei con il vestito da sposa addosso che tanto aveva sognato e lui più sorridente mai. Uno di fianco all'altro, nel bene e nella cattiva sorte, in salute e in malattia. Ne era valsa la pena, ogni cosa: tornare a New York, aver messo da parte l'orgoglio, averlo aiutato nel momento del bisogno, averlo salvato prima che peggiorasse ogni cosa. Wendy ci era riuscita e quella sera ne ebbe la conferma. Non potette fare a meno che ingraziarsi, perché per una volta nella vita era riuscita a pensare a ciò che lei desiderava, piuttosto di pensare a ciò che gli altri avrebbero detto. Seguendo il suo cuore sarebbe riuscita finalmente a vivere una vita degna di essere definita tale.
La serata si concluse nei migliori dei modi, o forse c'è da dire che si concluse in parte molto bene. Perché una volta aver abbandonato la struttura, essere partiti a tutta velocità diretti a casa ed essere arrivati in tarda serata, qualcosa accadde. Qualcosa che né Wendy né Justin avrebbero mai potuto immaginare accadesse, non dopo aver scherzato e sorriso tanto. 
Quando scesero dall'auto all'unisco, Wendy si pietrificò e sussultò, sentendo come una coltellata nel petto. Justin si immobilizzò di fianco alla donna, non riuscendo a proferire parola, deglutendo rumorosamente. Wendy giurò di aver intravisto uno strano bagliore nei suoi occhi, colmo di rabbia e collera; un bagliore che la preoccupò e non poco.
Jeremy Bieber sedeva beatamente sotto il portico della loro casa, intento a fissarli come farebbe un serial killer prima di uccidere la propria preda.

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Capitolo 25
*** Conti con il secondo - parte seconda ***




Conti Con Il Passato - Parte Seconda
 

E proprio come un serial killer, Jeremy Bieber si avvicinò ai due ragazzi tanto lentamente che Wendy non potette fare a meno che ritrassi ulteriormente, sentendo il cuore salirle in gola. Sentiva la mano di Justin stringere con sempre più pressione la sua, tanto che immaginò potesse addirittura romperle le dita. Percepì come una pugnalata dritta nel petto quando si rese conto di essere tanto vicina all'uomo considerato la causa principale della separazione dei due amati, undici anni prima. 
Justin deglutì rumorosamente, il suo pomo d'Adamo in evidenza si alzò e abbassò talmente lentamente da far rabbrividire Wendy che non riuscì a reggere lo sguardo di Jeremy, così fu costretta ad abbassare il capo e a concentrarsi sulle sue scarpe nuove.
"Che ci fai qui?" domandò di punto in bianco Justin, facendo sussultare la donna.
Ci fu silenzio: nessuno dei due proferì più parola. Tutti troppo sconvolti, o almeno Wendy e Justin lo erano sul serio: fino a cinque minuti prima erano intenti a ridere, a divertirsi, a vivere una delle serate più magiche della loro vita ma era bastato un battito di ciglia per mutare ogni emozione, pensiero e sensazione.
Jeremy passò dallo scrutare suo figlio al pancione evidente di Wendy e questo la fece immobilizzare, come se ogni suo muscolo si fosse pietrificato. Era ancora alquanto arduo, nonostante fosse trascorso tanto di quel tempo, sostenere lo sguardo serio e intenso di quell'uomo, proprio come accadde undici anni prima durante il loro primo incontro. 
Poi, come se nulla fosse, Wendy percepì un sorriso sul volto del signor Bieber, tanto che corrugò la fronte senza rendersene conto: era felice? A quanto pareva, sì. Strano a dirlo e ad ammetterlo ma quel sorriso, se pur minimo, rassicurò la donna che rilassò le spalle sentendosi molto più sicura.
"Sono venuto a trovarvi" ammise l'uomo come se nulla fosse. 
La voce sempre rauca, intensa e intimidatoria. Non era cambiato di una virgola: gli anni non lo aveva toccato neanche per un minimo. 
Wendy si voltò verso Justin, il quale sorrise lievemente trovando la situazione buffa, come biasimarlo? Era tutto illogico, senza senso. Non puoi abbandonare tuo figlio e tornare undici lunghi anni dopo con una tale scusa.
"Vattene" disse a denti stretti Justin, cercando in tutti i modi di mantenere la calma. 
Wendy non seppe come reagire, cosa dire o fare e quindi si limitò a pregare Justin con lo sguardo di calmarsi ma quest'ultimo non si voltò neanche un attimo. Se ne stava furioso a fissare la figura del padre con tanta di quella rabbia in corpo, come Wendy non lo aveva mai visto.
"Non farlo" disse Jeremy di punto in bianco. "Non mandarmi via"
Wendy aggrottò la fronte non riuscendo a capire le intenzioni dell'uomo, Justin fece lo stesso poco ma si limitò ad afferrare la mano della sua amata e a sorpassare la figura di suo padre. La donna resistette in tempo, prima che i due mettessero piede in casa e lo tirò a sé.
"Che fai?" chiese lei, cercando di farlo ragionare. 
Justin sospirò amaramente, voltandosi e strofinando il volto con ambedue le mani. 
"Che c'è? Adesso hai voglia di parlare con quell'uomo?" domandò sempre più furioso, tanto che la giovane si spaventò ma non diede a vedere la sua preoccupazione. 
"Non io" scosse il capo. "Ma tu sì" indicò Justin con l'indice e quest'ultimo scoppiò leggermente a ridere, cercando in tutti i modi di trascinare con sé dentro casa Wendy ma ogni tentativo fu inutile, la donna non si sarebbe spostata di un centimetro.
"Non ne ho voglia, tu piuttosto dovresti appoggiarmi" si lamentò incrociando le braccia al petto.
"Smettila di fare il bambino, è tuo padre o te ne sei dimenticato?"
"È stato lui ad essersi dimenticato di avere un figlio" le sputò in faccia quelle parole, zittendola come mai c'era riuscito prima.
Colpita e affondata. Per undici anni Jeremy Bieber non si era degnato neanche una volta di riappacificarsi con il suo unico figlio, sangue del suo sangue. Ma c'era qualcosa in cuor suo che la spronava a far cambiare idea al suo amato: forse perché lei un padre non lo avrebbe mai più avuto in quella vita al suo fianco, perché suo padre era tanto distante quanto impossibile da raggiungere e non sarebbe mai stata in grado di vedere Jeremy andarsene di lì e Justin intento a non battere ciglio vedendo l'uomo che lo ha cresciuto e accudito sparire per l'ennesima volta, questa volta però per sempre.
Non poteva: Harry le aveva sempre fatto capire che tutti a questo mondo siamo destinati ad avere una seconda possibilità, che tutti possiamo ricrederci e migliorare. Jeremy Bieber meritava quella possibilità tanto quanto l'avrebbe meritata una qualsiasi altra persona, senza far distinzione. A Wendy l'uomo non stava simpatico, affatto, ma qualcosa in quello sguardo pentito le aveva fatto cambiare idea seduta stante.
"Ti prego, Justin...concedigli questa possibilità" disse di punto in bianco lei a bassa voce, accarezzando la guancia di Bieber talmente delicatamente da farlo rabbrividire. 
Justin ci pensò, riflettete sulla proposta che gli era stata appena consigliata ma quando riaprì gli occhi lentamente e si ritrovò di fronte il volto stanco di Wendy, non potette fare a meno che abbassare lo sguardo, incapace di affrontare quella donna che in un modo o nell'altro, sarebbe sempre riuscita a tenergli testa.
"Non posso, Wendy. Non ce la faccio" dicendo ciò, afferrò ambedue le mani della donna e le strinse a sé, facendo incastrare perfettamente le dita l'uno nell'altra. 
"È tuo padre..." cercò di dire lei, con la voce rotta dal dolore. Vedere Justin in tali condizioni, vederlo tremare di paura, vedere i suoi occhi lucidi e percepire la rabbia e il rancore la facevano stare uno schifo.
"Non ne ho mai avuto uno. È colpa sua se ti ho persa, se la mia vita è stata sempre un inferno..." si bloccò mordendo il labbro inferiore. 
Wendy lasciò le sue mani ed afferrò il volto, stampandogli un bacio casto sulle labbra. In quel momento si sentì in dovere di zittirlo, di fargli capire che c'era e che non bisognava lasciarsi abbattere. Quando si distaccarono i due caldi respiri divennero un tutt'uno; le pozze caramellate di lui andarono a mescolarsi con quelle di lei, ringraziandola con lo sguardo. 
Rimasero interi secondi in silenzio, come se quella fosse l'ultima volta insieme. Wendy se ne fregò di Jeremy, del perdono, delle paure, di tutte le cose negative che avevano trasformato quella meravigliosa serata in un incubo. Era ancora fermamente convinta che Jeremy meritasse il perdono, ma liberò la mente, resettando tutto quanto e si concentrò sull'uomo che le era ad un palmo dal viso e che con lo sguardo la pregava di non insistere.
"D'accordo" disse Wendy sentendosi in colpa. "Scusami, sono stata una stupida io non--" ma quella volta, invece, fu Justin ad afferrarle il volto con le mani e a baciarle le rosee labbra, dolcemente.
"'Sta zitta una buona volta" sussurrò Justin una volta staccatosi, scoppiando a ridere sulle labbra di lei. Wendy non potette fare a meno che sorridere a sua volta, rabbrividendo non appena le loro labbra si ritrovarono ancora e ancora.
"Ti amo Wendy Casey" disse lui tutto d'un tratto, accarezzandole la nuca. "Non dimenticarlo mai"
"Lo so" rispose lei. "Anche io ti amo, Justin Bieber" lo apostrofò scherzosamente prima di baciare la punta del naso di lui, facendoglielo arricciare buffamente. 
Risultava così dolce, indifeso, così desideroso di affetto da parte di qualcuno che non lo avrebbe mai più lasciato solo in balia del destino. Wendy era presente, era disposta a tutto pur di non vederlo soffrire ancora una volta. 
"Non potrò mai ringraziarti abbastanza" iniziò lui, ma quando Wendy cercò di zittirlo lui le mise una mano davanti la bocca, facendole sgranare gli occhi. "Fammi parlare, ti prego" la pregò con lo sguardo e quando capì dalle iridi emozionate di Wendy che avrebbe potuto proseguire con il discorso, alleviò la presa sul volto della sua amata. "Ti ringrazio per essermi restata accanto, hai avuto tanto di quel coraggio..." 
"Tutto il coraggio del mondo" si intromise Wendy, vogliosa di volerlo interrompere quasi fosse un dispetto -o forse lo era.
Justin sorrise a trentadue denti e annuì, ripetendo a bassa voce le stesse ed identiche parole.
"Non ce la fai proprio a stare zitta, vero?" domandò accarezzandole una guancia. 
Wendy scosse il capo fingendosi offesa e socchiuse gli occhi quando le labbra di Justin si posarono sulla sua fronte per molti secondi.
"Ti amerò sempre" continuò sentito. "Ma questa è una battaglia che voglio affrontare da solo. Non sentirti in dovere di essermi sempre affianco, di dovermi consigliare ogni secondo. Non sentirti in dovere di dover dipendere da me perché la tua vita appartiene a te, non a me"
Wendy fece per aprire bocca ma ecco che le labbra di Justin si posarono nuovamente sulle sue, irritato com'era a causa dell'insistenza da parte della donna.
"Capito?" domandò in seguito.
Wendy esitò qualche secondo cercando di capirci qualcosa: la stava per caso pregando di farsi da parte? Lo stava facendo sul serio, lasciandola di stucco; la giovane non aveva mai pensato di poter rappresentare una così opprimente figura per quanto riguardava il suo amato, o semplicemente Justin aveva ragione: in quella battaglia, lei, non c'entrava niente.
Jeremy Bieber lo aveva conosciuto quasi per caso e nel peggiore dei modi; sarebbe stato inutile intromettersi in una faccenda di cui sapeva poco e niente visto e considerato che solo ed esclusivamente Justin conosceva tanto bene quell'uomo. 
"Devo andare" sussurrò il giovane con voce tremante.
"Che intendi?" chiese Wendy sgranando gli occhi. Andare dove? Perché? 
"Ho bisogno di stare da solo"  ammise mordendo il labbro.
La donna non si mosse di un centimetro, troppo presa ad elaborare ciò che le aveva appena detto Justin. Se ne sarebbe andato quella sera, chissà dove, chissà perché; si sentì in colpa per essere stata troppo opprimente ad averlo costretto a voler fare un qualcosa che non avrebbe mai fatto, e lo capì solo quando le loro mani si divisero per l'ultima volta. Lui le baciò la fronte, il naso e poi le labbra e si allontanò lentamente con ambedue le mani in tasca, guardando in basso.
"Ti amo" ripetette un'ultima volta forzando in sorriso e si voltò definitivamente, mentre Wendy non riuscì a muovere neanche un muscolo.
Rimase immobile a fissare la figura di Justin che si allontanava, che oltrepassava la figura del padre senza degnarlo di uno sguardo e che si incamminava verso l'auto. Aprì la portiera dal lato del guidatore e di sfuggita lanciò un ultimo sguardo a Wendy, ma soprattutto un ultimo e dolce sorriso.
Jeremy Bieber era ormai intento ad allontanarsi con le mani in tasca, strisciando i piedi dalla vergogna ma quando Justin fu abbastanza lontano, Wendy si fece coraggio e richiamò l'uomo che si voltò di scatto, corrugando la fronte non appena la donna gli fece segno di entrare.
Forse non era quello che avrebbe dovuto fare, ma sicuramente era quello che si era sentita di fare. Lasciando da parte il rancore e l'orgoglio, accolse in casa l'uomo che non fiatò né battette ciglio; lo fece sedere sul divano, mentre lei si sedeva sulla sua solita poltrona singola. Jeremy scrutò a lungo la figura della giovane che decise di risultare il più distaccata possibile.
"Non avrei neanche dovuto farti entrare, se Justin lo venisse a sapere non me lo perdonerebbe"
"Justin non è qui" disse a denti stretti. Wendy sussultò e strinse tra le mani dei lembi del vestito rosso, cercando di mantenere il contatto visivo con l'uomo. "Purtroppo" aggiunse quest'ultimo.
Purtroppo. Aveva pronunciato quella parola con tanta di quella delusione da riuscire a tranquillizzare Wendy, la quale lasciò stare il vestito e si addolcì leggermente, percependo nell'aria circostante la voglia di essere perdonati da parte del signor Bieber.
"Perché sei tornato?" domandò Wendy di punto in bianco volendone sapere di più
Jeremy sospirò e iniziò a torturarsi le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
"Perché non sono stato il miglior padre che un figlio possa desiderare" iniziò a bassa voce. "Perché ho sempre cercato di mantenere alto il nome della nostra famiglia, dimenticandomi di Justin"
Wendy annuì dandogli ragione, ma ammirò anche la buona volontà dell'uomo e il coraggio che aveva avuto nel riconoscere i suoi errori, perciò lo lasciò proseguire in santa pace perché ne era sicura: tutto quello di cui Jeremy aveva bisogno in quel momento era sfogarsi.
"Sono stato un uomo oppressivo, ossessionato dal denaro e dalle dicerie degli altri. Mi odio per questo, Wendy, mi odio talmente tanto da non riuscirci a dormire la notte, da sentirmi un peso"
"Sono trascorsi undici anni..." si intromise la giovane cercando di farlo ragionare. Per quanto quelle parole fossero sincere, Jeremy non avrebbe mai potuto pretendere che Justin lo accogliesse con un sorriso a trentadue denti, come se nulla fosse successo.
"Lo so. In questi undici anni non ho fatto altro che pensare a come poter tornare, anche solo per chiedere perdono. Non pretendo che tu e Justin torniate parlarmi, spero solo che accettiate le mie scuse"
E poi vi fu silenzio; nella stanza non un sospiro si udì, entrambi troppo presi dai loro pensieri per poter proferire parola. Wendy fissò a lungo il volto distrutto di quell'uomo che nella vita aveva dato tanto senza rendersi conto di quanto male stava procurando; forse aveva veramente agito solo ed esclusivamente per il bene di suo figlio. Il matrimonio combinato con la figlia di un potente imprenditore avrebbe potuto donare a Justin la miglior vita, al fianco di Wendy invece non sarebbe mai stato possibile.
"Io ti perdono" ammise la mora. 
Jeremy scattò sull'attenti udendo quelle parole: Wendy lo perdonava con il cuore in mano, sicura di sé stessa come poche volte lo era stata. Raccolse le scuse da parte dell'uomo e ne fece tesoro, rendendosi conto di quanto possa cambiare radicalmente una persona e di quanto il perdono sia la via giusta in alcuni casi. Perdonava l'uomo che l'aveva divisa per dieci anni dall'amore della sua vita, perdonava quegli occhi sempre cupi ed intimidatori che in quel momento parvero due pozze sature di speranza e gioia. Stava seriamente perdonando l'uomo che avrebbe dovuto odiare per sempre, come si era ripromessa.
Si rese conto solo dopo che in fin dei conti, il tempo era passato anche per Jeremy Bieber: alcune ciocche di capelli precedentemente non visibili, in quel momento e sotto la luce dell'accecante lampadario, erano più che distinguibili. Anche le rughe se non molto intense, avevano lievemente fatto capolinea sul suo volto.
"Vorrei che Justin la pensasse come te, ne ho bisogno" concluse trattenendo le lacrime. 
Era la prima volta che Wendy vedeva quell'uomo commuoversi e ne rimase quasi scioccata, incapace di poter credere che quel Jeremy era lo stesso che undici anni le aveva distrutto la vita.
"Lo farà, sono sicura che riuscirà a perdonarti" aggiunse poco sicura.
La cosa che la preoccupò non era tanto il fatto che potesse perdonarlo o meno, più che altro era il non averlo lì di fianco: dove era andato? Cosa stava facendo? Le domande le stavano torturando il cervello ma decise di prendere un grande respiro e di calmarsi.
"Lo spero" annuì tirando su con il naso. "Adesso è meglio che io vada" si alzò di scatto dal divano e si avvicinò alla figura della giovane, la quale strinse la mano senza pensarci su due volte. "Per essere al settimo mese la pancia è davvero troppo grande" disse sorridendo, commentando lo stato di Wendy e lo stesso fece lei. "Sei sicura che sia solo uno?" domandò seriamente.
Wendy corrugò la fronte non capendo e fissò la sua pancia, accarezzandola delicatamente, Jeremy notando la domanda inespressa sul volto della giovane si precipitò a spiegare.
"E se fossero due gemelli? Sei andata a fare dei controlli?" 
La donna sbiancò di colpo: i controlli? Santo Dio, aveva chiesto al medico di mantenere il segreto sul sesso del bambino non sul fatto che potessero essere due gemelli! Wendy dovette sedersi sulla poltrona perché per poco non svenne a terra.
"Tutto bene?" domandò premurosamente Jeremy, afferrandola per le braccia.
No, non stava andando affatto bene; era del tutto scioccata, incapace di pensare che dentro di sé vi fossero due vite invece che una. Due bambini, due figli, due Bieber. La cosa non era sicura ma Jeremy non aveva tutti i torti, una pancia talmente grande a sette mesi quando ne mancavano due al parto era a dir poco improbabile per un solo neonato. Perché non ci aveva pensato subito? Con tutti i problemi, i pensieri e le preoccupazioni aveva saltato gli ultimi due controlli, ma il medico le aveva riferito che la gravidanza sarebbe continuata nel migliore dei modi.
"Chiamerò un mio amico fidato e vi presenterete all'appuntamento, senza fare obbiezioni. Saltare due visite, vi sembra normale? State giocando con la vita di vostro figlio" 
Le si spezzò il cuore: era stata un'incompetente, fin troppo superficiale e per niente responsabile. Tutto ciò che era accaduto negli ultimi mesi aveva talmente tanto sconvolto le vite dei due amati che non si erano per niente resi conto di quanto importante fosse presentarsi puntuali ad ogni appuntamento, però il medico aveva rassicurato loro dicendoli che non ve ne era bisogno. 
"Sono stata una stupida" Wendy per poco non scoppiò a piangere portando le mani tra i capelli. "Un'irresponsabile, un'egoista" continuò a a criticarsi.
"Smettila di dire sciocchezze; sei una giovane mamma che ne sa poco e niente, non fartene una colpa. E poi sono sicuro che il bambino...i i bambini...stanno benissimo" sorrise lievemente. "Va a riposare, ne hai bisogno" disse in fine aiutandola ad alzarsi.
"Vorrei aspettare Justin qui, grazie comunque" 
Jeremy annuì e sorrise, andandosene qualche minuto più tardi. Wendy rimase immobile sulla poltrona ad accarezzare il suo pancione, fissando un punto nel vuoto davanti a sé e cercando di ripetersi che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Come aveva fatto a non accorgersene? Lo stress, le preoccupazioni avevano giocato a sfavore della coppia, possibile che Wendy non se ne fosse resa conto? Ed ecco spiegato il perché dei dolori quadruplicati, dell'affaticamento maggiore e il pancione pronto a scoppiare a soli sette mesi.
Vederla in quel modo era tutt'altra cosa, sapere che molto probabilmente avrebbe dato alla luce due meravigliosi gemelli le aveva scombussolato il cervello. Era felice, ma stranita: si trattava pur sempre di una giovane madre spaventata dal primo parto, figuriamoci se poi a questo si andava a sommare il fattore che sarebbe stato molto probabilmente un parto gemellare. 
Wendy era veramente felice, ma era altrettanto agitata e spaventata.
Aveva bisogno di Justin in quel momento, di sentirlo vicino e sentirsi protetta tra le sue braccia...lui però non c'era. Se ne era andato e chissà quando sarebbe tornato; decise pertanto di munirsi di una spessa coperta, di accomodarsi sul divano con ancora il vestiti rosso addosso e di aspettarlo sveglia.
Dopo circa tre ore di continue paranoie, pensieri di troppo e preoccupazioni, la donna crollò in un sonno profondo immaginando le possenti braccia di Justin attorno alla sua vita. Le sembrava essere tornata indietro nel tempo di qualche mese, quando la giovane era solita ad aspettarlo in piedi quasi tutte le notti. Quando varcava la soglia di quella casa, l'odore di alcol era percepibile da metri, eppure Wendy se ne stava ogni volta in silenzio e preoccupata andava a dormire, distante dalle braccia del suo amato.
Furono mesi difficili da affrontare, ma tutto stava andando per il verso giusto...fino a quel momento. Cosa scaturì in Justin quella improvvisa voglia di doversene stare da solo rimarrà sempre un mistero; Wendy lo conosceva, sapeva che sarebbe stato in grado di affrontare faccia a faccia suo padre senza tirarsi indietro. 
Calò nel sonno più profondo, cullata dal buio pesto e sperando di potersi risvegliare tra le braccia del suo amato Justin, poter aprire gli occhi nella consapevolezza di vederlo al suo fianco e non lasciarlo mai più andare. Nonostante lo scomodo vestito, Wendy riuscì a dormire ugualmente fino a che, il bussare incessante sulla porta di ingresso non costrinse la giovane a saltare sull'attenti.
Un sorriso a trentadue denti si fece largo sul volto e senza perdere tempo si precipitò ad aprire la porta, costringendosi ad assumere un'espressione furiosa per via del comportamento inappropriato da parte dell'uomo. Quando spalancò due occhi rossi e gonfi le si presentarono davanti, lasciandola di stucco: Pauline era intenta ad asciugare le lacrime che solcavano senza sosta il suo pallido viso. Strofinava gli occhi con tanta di quella forza da costringere Wendy a bloccarle un braccio.
"Pauline, che ti prende?" domandò sconcertata, cercando di capirci qualcosa.
La ragazza fissò a lungo l'amica Wendy e quando fece per aprire bocca, scoppiò maggiormente a piangere. Si voltò un secondo per riprende fiato e poi tornò a fissare la mora con addosso un solo vestito rosso elegante.
"Pauline, datti una calmata. Respira profondamente....vuoi un bicchiere d'acqua?" chiese cercando di trascinarla con sé in casa ma Pauline oppose resistenza, il che fece allarmare maggiormente Wendy che strofinò il volto con entrambe le mani. "Si può sapere che ti prende? Cos'è successo? Parla Pauline!" cercò di limitarsi dall'alzare la voce, ma capì che l'unico modo per farle sputare il rospo era urlarle contro.
"Wendy, mi dispiace così tanto...i-io non riesco ancora a crederci..." singhiozzò in preda al panico.
Wendy iniziò a tremare, capendo che c'era qualcosa che non andava, qualcosa di veramente grave.
"Ti prego sputa il rospo, non farmi stare in pensiero" pregò l'amica di darci un taglio e di rivelarle ogni cosa.
Quando Pauline alzò il capo ed incontrò lo sguardo saturo di preoccupazione di Wendy, si calmò leggermente: scosse il capo e si avvicinò alla figura dell'amica, abbracciandola. Wendy non ricambiò inizialmente ma successivamente si ritrovò a stringerla incerta a sé.
"Un incidente...è stato un dannato incidente" sussurrò Pauline, schiacciando la faccia nell'incavo del collo dell'amica. 
Wendy si immobilizzò e rimase a fissare un punto fisso nel vuoto, smettendo di accarezzare la schiena di Pauline. Poi capì. Stranamente, senza che Pauline proferisse parole, ella capì e tutto. 
Socchiuse lo sguardo sentendo il mondo caderle addosso: si sentì trascinare via da quella stretta possente che è la paura, rinchiusa in un mondo che c'entra poco e niente con la vita reale. Costretta a starsene a pensare, intenta a riprendersi la capacità di capire che tutto ciò che le stava accadendo intorno era la realtà. 
Quarantacinque, lunghi secondi, trascorsero prima che Wendy potette riaprire finalmente gli occhi e sentire una salata lacrima solcarle il volto. Le labbra tremanti, lo sguardo offuscato, le gambe che la stavano abbandonando. Attese a lungo prima di proferire parola, e perciò aspettò: di potersi risvegliare da quell'incubo ingiusto, aspettò una ragione che non sarebbe mai arrivata.
Trascorsero invece quindici minuti prima di poter mettere piede all'interno dell'ospedale, avvolta da quelle pareti bianche e dalla puzza insopportabile di alcol. Corse a per di fiato sentendo il cuore batterle all'impazzata nel petto, tenendo stretti tra le mani dei lembi del vestito per non inciampare. Quando varcò l'angolo del giusto reparto, le figure di Larry con le mani fra i capelli e un Sebastian intento a tirare pugni contro la parete già mal ridotta le si piantarono davanti; si voltarono all'unisco contro la ragazza e si immobilizzarono
Wendy non aveva mai visto piangere Larry, eppure l'uomo era totalmente in preda al panico. Sebastian massaggiò le nocche riprendendo fiato e abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello di Wendy che chiedeva risposte, solo delle risposte. 
"Dov'è?" domandò velocemente, avvinghiandosi contro una porta ma prima ancora che potesse aprirla, Sebastian la afferrò per la vita e la trascinò via.
Si dimenò ordinandogli di lasciarla stare ma l'uomo non le diede retta e la strinse a sé, scoppiando una volta per tutte in un pianto isterico. Furono quella lacrime strazianti che costrinsero Wendy ad accasciarsi a terra senza più forse in corpo.
Socchiuse gli occhi e il sorriso a trentadue denti di Justin le comparve in mente, i suoi occhi color caramello, i suoi perfetti lineamenti; riuscì ad udire la sua incantevole voce, a percepire il suo meraviglioso profumo. Sgranò gli occhi non appena un medico in camice bianco fuoriuscì da quella maledetta porta, abbassando lo sguardo.
Larry si alzò di scatto mentre Sebastian rimase con la schiena contro il muro, seduto a terra e tenendo tra le gambe la figura di Wendy che alzò il capo. L'uomo dai capelli grigi guardò prima Larry, poi spostò lo sguardo su Wendy e sul suo pancione e prese un gran respiro.
"Mi dispiace..." disse semplicemente, scuotendo il capo.
Tutto si fermò, tutti scomparvero, tutto perse di significato. Wendy rimase a bocca aperta senza riuscire a muovere un muscolo, sentendo il respiro farsi sempre più pesante. Accarezzò la sua pancia mentre Sebastian la strinse a sé, spingendo il volto sulla sua schiena per trattenere le lacrime mentre Larry tornò a sedersi con lo sguardo perso nel vuoto.
Non capiremo mai perché quella notte Justin dovette andarsene così velocemente, nessuno ci darà risposte del perché in quella macchina dovesse trovarsi proprio lui, quel ragazzo che nella vita aveva sofferto tanto. Se ne andò semplicemente in silenzio, senza soffrire, guardando dritta negli occhi la morte.
Se ne andò con la sua incolmabile voglia di essere migliore, con quel sorriso che nessuno avrebbe mai dimenticato, con quel suo carattere sereno e testardo. È successo, è stato il destino o il volere del Signore; non esistono risposte, motivi e perché. Non si può scegliere il modo di morire, il momento, il giorno, il perché...si accettano le conseguenze di quello che la vita ha riservato per noi e si va avanti a testa alta. 
Una vita non potrà mai frantumarsi tra le lamiere di un'auto, non potrà mai essere dimenticata o messa da parte. La vita di Justin Bieber aveva contato tanto per molti, e per Justin la vita di molti aveva contato tanto. Nessuno avrebbe dimenticato quella sua positività nell'affrontare il duro cammino che gli era stato assegnato, riuscendo a mettere da parte l'orgoglio e i pregiudizi.
Ma il suo lungo cammino continuava, in un'altra vita, in un posto migliore, tra certezze e amore. Il frutto dell'amore terreno che aveva legato i due amati era racchiuso in Wendy; quei due dolci bambini erano la testimonianza che il loro legame sarebbe continuato, nonostante li sperasse la più lunga e straziante distanza conosciuta agli occhi di un essere umano. 
Erano stati costretti ad affrontare tanti problemi e molto probabilmente quello sarebbe stato il più duro, ma la consapevolezza di una vita dopo la morte rincuorava Wendy. Comunque sarebbe andata, avevano vissuto il loro amore nel massimo delle aspettative, mettendo il massimo di loro stessi e di questo Wendy ne sarebbe sempre andata fiera. 
Justin era stato costretto a lasciare una famiglia, degli amici, delle persone che avrebbero potuto amarlo ancor di più, attimo dopo attimo. Quell'amore sarebbe germogliato maggiormente con il passare degli anni di lì a poco, vivendo nella consapevolezza che ogni giorno che passava era un giorno in meno dal ritrovarsi di nuovo.
Distrutti lo erano tutti: affaticati, incapaci di proferire parola e senza riuscire a lasciare libera una sola lacrima. Justin aveva lasciato in loro un vuoto incolmabile: non è vero che il tempo aggiusta ogni cosa, semplicemente dopo troppi anni sei costretta a fartene una ragione, anche se in un certo senso ce l'avrai sempre con il mondo intero e con quella decisione da parte del destino che ha distrutto la vita di persone, costringendole a vivere una vita terrena colma di dolore.
Wendy avrebbe amato Justin racchiudendo le sue speranze nella fede; lo avrebbe amato con la distanza di mezzo, con la consapevolezza che non si sarebbe mai più svegliata tra le sue possenti braccia, che non avrebbe mai più potuto cercare un rifugio in quell'uomo che le aveva cambiato la vita tanti anni fa, una notte di iniziò estate. 
Avrebbe ricordato il loro primo incontro giorno dopo giorno, quella sua inappropriata scommessa, il loro primo bacio, le parole, le incertezze e il doversi sperare per ritrovarsi. Avrebbe portato tutto dentro di sé e con il passare degli anni ne avrebbe fatto tesoro nel cammino che invece il Signore le aveva destinato.
Il vero amore capita una volta nella vita, e lei lo aveva incontrato, amato e vissuto e per questo non portava rancore e non lo avrebbe mai fatto, era stata tanto fortunata da riuscire ad avere al suo fianco l'amore della sua vita. E solo dal vero amore è possibile non distaccarsi mai, soprattutto quando è da quell'amore che ne scaturisce uno ancor più forte...l'amore materno per due gemelli dai capelli dorati e dagli occhi color caramello.
Jazmyn e Jaxon.

 
 

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Capitolo 26
*** Un nuovo inizio ***




Un Nuovo Inizio
 

3 mesi dopo...

"Hai tanta fame, vero?" sussurrò la giovane Wendy stringendo tra le braccia suo figlio Jaxon. 
Jazmyn, la più piccola di ben cinque minuti, dormiva beatamente all'interno della culla doppia posta di fianco al letto singolo della vecchia stanza di Wendy. Le pareti erano ricoperte da una rosa carta da parati, mentre erano ancora evidenti i segni dei poster che erano precedentemente attaccati sulla porta e sui muri. La donna era cresciuta lì, in quella casa; era maturata tra quelle quattro mura, aveva capito quanto dura sarebbe stata la sua vita e poi se ne era andata alla ricerca di quel qualcosa che le avrebbe cambiato l'esistenza.
Lo aveva trovato, e così dopo tanto aveva deciso di tornare a vivere in quell'abitazione dove tutto era iniziato, nella consapevolezza che molto presto si sarebbe dovuta rimboccare le maniche per ristrutturare al meglio ogni singola stanza, comprendendo anche il giardino e il portico in legno. La sua adorata sedia a dondolo se ne stava ancora la fuori mentre i suoi amati libri erano tutti perfettamente allineati sugli scaffali della libreria, in ordine di grandezza come piacevano a lei.
I suoi vecchi maglioncini invece se ne stavano inutilizzati dentro l'armadio, lo stesso le lunghe gonne che aveva indossato per anni. Solo due abiti erano perfettamente custoditi all'interno di un involucro di plastica; due abiti meravigliosi, eleganti e rispettivamente di colore rosso e blu. I migliori che avesse mai indossato. 
Con lo sguardo incantato a fissare gli occhi caramellati del suo bambino, afferrò il biberon e avvicinò il ciuccio alle labbra del piccolo che subito iniziò ad ingolfarsi. 
"
Mangi sempre il doppio di tua sorella, da qualcuno devi pur aver ripreso..." disse dolcemente lasciandosi sfuggire un sorriso. 
Prese un gran respiro e poggiò la testa alla testiera di legno del letto, attendendo che il suo bambino finisse di mangiare. Era stanca, eppure le forze erano riuscite a non abbandonarla minimamente; quando la quiete la ebbe da padrone in quei pochi minuti, il suono del campanello fece scattare sull'attenti Wendy che con in braccio il bambino e dopo aver dato un'occhiata svelta a Jazmyn, si precipitò ad aprire la porta d'ingresso.
"Indovinate un po' chi è?" disse una roca voce maschile non appena l'anta fu spalancata, facendo sorridere Wendy.
"Guarda chi è venuto, lo zio Sebastian!" esclamò la ragazza rivolgendosi al bambino che continuava indisturbato a mangiare. 
L'uomo si scompigliò i neri capelli che gli erano cresciuti molto in quegli ultimi mesi e sorrise notando il disinteresse di Jaxon, entrando in casa non appena Wendy lo fece accomodare.
"E Jazmyn?" domandò guardando all'interno del passeggino rosa vuoto.
"È a dormire, tra poco si sveglierà" ammise facendo sedere a tavola Sebastian. "Ti va un caffè?" chiese la giovane posando sul lavello il biberon finito e tenendo stretto al petto il bambino, dandogli ripetuti colpetti sulla schiena.
"Faccio io" e detto fatto, il moro si alzò ed afferrò da dentro la cristalliera la macchinetta per il caffè e preparò il caffè per entrambi, mentre Wendy posò delicatamente Jaxon all'interno del passeggino dopo gli ultimi colpetti. 
"Vado a controllare la piccola, stai attento a questa peste" disse Wendy sorridendo, facendo ridere anche Sebastian che si voltò verso Jaxon facendogli delle boccacce.
Si precipitò in camera da letto e subito si ritrovò due piccoli occhietti del medesimo colore del fratello spalancati, intenti a guardarsi intorno.
"Amore mio" si lasciò sfuggire Wendy prendendola delicatamente: era molto più piccola in quanto statura e quindi con lei risultava sempre più delicata e dolce.
Entrambe si incamminarono verso la cucina dove due tazzine colme di caffè erano poggiate sul tavolo di legno, mentre Sebastian se ne stava a fissare il bambino con due occhioni dolci però, quando si voltò, aprì le braccia per accogliere Jazmyn.
"Ecco la mia piccola!" esclamò prendendola con sé e sedendosi a tavola, mentre io feci lo stesso avvicinando a me il passeggino.
Wendy girò lentamente il cucchiaino all'interno della tazzina di porcellana e si perse a fissare il liquido marrone, sentendo il silenzio bruciarle addosso e lo stesso lo sguardo di Sebastian che dopo il primo sorso decise di proferire parola.
"Stai ancora pensando agli articoli di giornale?" domandò l'uomo cercando di essere il più cautele possibile.
"Non esattamente" 
La ragazza rispose massaggiando una tempia, mentre Sebastian continuava a scrutare il suo volto stanco e il suo fisico affaticato: erano mesi che le occhiaie non la lasciavano, mesi che non curava più il suo aspetto fisico come è giusto che faccia una ragazza della sua età. 
In più, dopo i funerali di Justin, le cose erano degenerate nel ridicolo a causa di pesanti articoli di giornale nei quali veniva esplicitamente raccontato che l'incidente era avvenuto solo per mano di Justin, dopo aver assunto sostante stupefacenti e aver bevuto troppo. Fortunatamente, l'autopsia non rilevò alcuna traccia di alcolico e droga ma fu troppo tardi, i giornali e le riviste di mezzo mondo avevano purtroppo già diffamato il nome di Justin.
A Wendy e a tutti quelli che lo avevano amato non importava: conoscevano Justin, erano a conoscenza del suo forte spirito di riabilitazione che lo avevano spinto a lasciare stare la strada più facile e Wendy non aveva creduto neanche una volta a quella che pareva essere una soffiata da parte di un addetto ai lavori nell'ospedale ai giornalisti. Aveva creduto in Justin e aveva fatto centro, visto e considerato che oramai da tre mesi dormiva beatamente il suo sonno eterno poco distante da lì.
"Sono degli idioti, persone che non meritano nulla nella vita" commentò Sebastian riferendosi ai giornalisti e ai paparazzi che ogni giorno, dopo la morte improvvisa di Justin che aveva sconvolto il mondo, seguivano Wendy un po' ovunque. Da qualche settimana avevano smesso di appartarsi davanti casa perché poche volte la giovane si decideva a lasciare l'abitazione, così ci avevano rinunciato.
Non era possibile però andare beatamente al cimitero, in santa pace; non le era possibile commemorare Justin nel migliore dei modi perché c'era sempre qualche persona pronta a fare domande, a scattare foto che poi sarebbero finite sulle pagine di gossip. Ci aveva fatto l'abitudine quando se ne stava con Justin, ma da sola risultava tutto più difficile. Li lasciava fare senza infuriarsi, tanto comunque non sarebbe servito a nulla.
"Lasciamo stare" scosse il capo Wendy forzando un sorriso. "Piuttosto, come sta Pauline?" 
"Ancora un po' sotto shock" disse sorseggiando l'ultima goccia di caffè. 
Wendy sorrise a trentadue denti pensando alla seconda ed improvvisa gravidanza che avrebbe dovuto attraversa la sua amica. Era tanto contenta, sia per Sebastian che per Pauline: meritavano tutto il bene di questo mondo, la felicità e la salute.
"Se ne farà una ragione" aggiunse Wendy afferrando le tazzine e posandole all'interno del lavandino.
"Bene, è meglio che io vada. Ero venuto a sapere se ti serviva qualcosa, devo andare a fare la spesa" si alzò di scatto dalla sedia posando all'interno del passeggino rosa Jazmyn.
"Grazie mille ma ho tutto il necessario, salutami Larry e tutti gli altri" disse la giovane accompagnandolo alla porta, salutandolo con un bacio casto sulla guancia.
"Riguardati" disse serio lui.
"Lo farò" rispose a bassa voce, incerta.
Prima ancora che potesse chiudere la porta qualcosa catturò il suo sguardo attento: Sebastian si voltò un'ultima volta a salutare Wendy ma quest'ultima alzò la mano lentamente, troppo presa a scrutare oltre la macchina del suo amico che poco dopo sfrecciò via veloce. Una figura minuta incappucciata nonostante il caldo si aggirava lì guardandosi intorno, come se non volesse farsi riconoscere. Quando lo sguardo della donna si posò su Wendy, ella si irrigidì rendendosi conto di essere stata scoperta e cercò di darsela a gambe ma Wendy fu più veloce e la rincorse.
"Aspetti!" esclamò alzano il braccio in aria per richiamare la sua attenzione. "Le ho detto di fermarsi, signora mi ascolta?" continuò ad urlare e quando fu abbastanza vicina, la minuta figura si bloccò di spalle.
Wendy inarcò un sopracciglio riprendo fiato e si avvicinò lentamente, impaurita: quando posò la sua mano sulla spalla della donna, quest'ultima si voltò rivelando il suo meraviglioso volto dai lineamenti identici a quelli del figlio.
Wendy non potette credere ai suoi occhi: due iridi azzurre e lucide la fissavano timidamente, mentre la ragazza portò una mano sulle labbra dallo stupore.
"Signora Malette..." sussurrò tra le dita affusolate, mentre scrutava da cima a fondo la minuta figura della mamma di Justin.
"Ti prego, solo Pattie" commentò quest'ultima cercando di sorridere.
Dopo un lungo periodo di silenzio, Wendy si decise a far entrare la donna in casa e farla accomodare in cucina, facendola sedere attorno al tavolo: ella si guardò intorno e poi buttò l'occhio sulle carrozzine un po' distanti ma si ritrasse non appena vide entrare Wendy e abbassò il capo, ancora molto intimidita.
"Posso offrirle qualcosa da bere?"
"No grazie, io vorrei solo..." lasciò in sospeso la frase spostando di nuovo lo sguardo sulle carrozzine.
"Vuole vederli" domandò per delle certezze. Pattie non avrebbe dovuto sentirsi un peso in quel momento, era pur sempre la nonna di quelle due meravigliose creature e per tanto, aveva il diritto di conoscerli.
"Posso?"
"Certo che può" esclamò avvicinandosi alle carrozzine con al seguito Pattie che portò una mano sulle labbra non appena li vide entrambi, beatamente sdraiati, intenti a giocherellare con dei peluche.
"Sono bellissimi"  si trattenne dallo scoppiare in lacrime. "Hanno i suoi stessi occhi" continuò tirando su con il naso, asciugando con il palmo della mano la lacrima che solcò la sua guancia destra. "Scusami, mi ero ripromessa di non piangere" e detto ciò le fu impossibile trattenersi. Scoppiò in lacrime, mentre Wendy le accarezzò una spalla fingendosi forte.
La accompagnò a sedersi e le porse un bicchiere di acqua fresca, cercando di calmarla. Quella donna era distrutta, lo si capiva da un miglio: nonostante tutto, Pattie aveva amato suo figlio con tutto il corpo e anima; lo aveva amato come solo una madre sa amare il proprio figlio, e questo Wendy lo sapeva. Purtroppo il destino aveva scelto per quella ricca e potente famiglia di New York una sorte crudele.
"Dove alloggia adesso?" domandò la giovane cambiando argomento, ma soprattutto perché era curiosa di sapere, come lo sarebbe stato d'altronde Justin.
"Mi sono trasferita in un'associazione che accoglie giovani madre che non hanno alcuna possibilità economica. Siamo all'incirca sette donne, viviamo tutte insieme"
"Questo le fa onore" ammise entusiasta Wendy, afferrando il bicchiere vuoto da sopra il tavolo per aggiungere altra acqua.
"Forse il Signore ha deciso di darmi una seconda possibilità. Spero di essere in grado di aiutare quelle creature, come avrei dovuto fare con mio figlio..." abbassò il capo. Ci fu silenzio ma poi Wendy decise di darci un taglio.
"Justin le voleva bene  e sono sicura che gliene vuole ancora adesso, ovunque sia" afferrò la mano della donna. "Sono sicura che avrebbe accettato il vostro perdono"
Poi le tornò in mente il primo incontro con Jeremy mesi prima, a quanto quell'uomo non fosse stato in grado di chiedere perdono a suo figlio e di come avesse pensato a tutto lui per quanto riguardava il funerale; fu sicura che Justin avrebbe perdonato anche lui.
"Sarebbe stato un padre stupendo, sono molto fiera di lui...e di te" Pattie strinse la mano di Wendy pronunciando tali parole, e gli occhi le tornarono lucidi in un attimo.
"Se solo gli fossi rimasta accanto, molto probabilmente ci sarebbe anche lui qui in questo momento" 
Pattie divenne seria e scosse il capo, mentre i soliti sensi di colpa che da ormai tre mesi torturavano Wendy tornarono a farle visita.
"Non dire così. Tu gli hai salvato la vita Wendy, evidentemente non te ne rendi conto"
"Ma lui non è qui: avrei dovuto aiutarlo, non lasciarlo andare da solo quella notte ed insistere" morse il labbro tirando in detntro le lacrime: aveva smesso di piangere a dirotto solo quella stessa mattina, non ce l'avrebbe fatta a sopportare un altro crollo emotivo.
Rimasero in silenzio finché Pattie afferrò ambedue le mani di Wendy, facendo sussultare quest'ultima che alzò lo sguardo.
"Non si può cambiare il destino delle persone; ciò che si può fare però è amarle, renderli questa vita migliore per quanto breve possa essere, nella speranza di poterle rincontrare. Tu hai reso la vita di mio figlio migliore, lo hai salvato da sé stesso e da tutte quelle negatività che lo stavano uccidendo lentamente. Ciò che non sono stata in grado di fare io come madre lo hai fatto tu come compagna di vita, e per questo te ne sarò per sempre grata"
Concluse il discorso con voce tremante, mentre il cuore di Wendy iniziò a batterle all'impazzata nel petto: furono parole bellissime e che avrebbe sempre portato con sé. Si commosse, ringraziando la donna che tanto aveva sperato di rincontrare.
"Ah! Che sciocca che sono!" esclamò Pattie battendo una mano sulla fronte, mentre Wendy cercò di riprendere fiato. "Sono venuta qui per un altro motivo"
La donna da dentro la sua borsa afferrò un oggetto avvolto da un involucro di carta; lo porse a Wendy che lo afferrò e rigirò tra le mani corrugando la fronte.
"L-la ringrazio ma non doveva"
Pattie scosse il capo. "Non è da parte mia, Wendy. È da parte sua"
La giovane si immobilizzò, stringendo nelle mani quello che al tatto sembrava una...videocassetta?
"Come da parte sua?"
Come faceva ad averlo lei? In fin dei conti non si erano più visti da anni, o forse Wendy era allo scuro di qualcosa.
"Qualche settimana dopo il vostro rientro a New York, Justin è venuto inaspettatamente a farmi visita" iniziò e Wendy non potette credere alle proprie orecchie. "Non venne con l'intento di perdonarmi, ma ringrazio il Signore per avermelo fatto vedere un'ultima volta. Registrò questa cassetta lo stesso giorno in cui me la diede: mi fece promettere che l'avrei custodita, e che se non fosse riuscito a sconfiggere la parte peggiore di sé e tutto fosse finito nel peggiore dei modi, sarei dovuta venirtela a consegnare di persona. Le circostanze sono diverse, ma gliel'ho promesso e quindi eccomi qui"
Wendy era scioccata, non credette alle proprie orecchie in quel momento; la testa le si era riempita di domande e incertezze. Per mesi aveva creduto che Justin non sapesse niente della madre, mentre in quel momento Pattie le aveva rivelato tutt'altra cosa e questo la destabilizzò. Justin aveva sicuramente avuto i suoi motivi per mentirle, in primis la videocassetta, ma si sentì anche presa in giro e demoralizzata.
"Ti ha amata molto e continuerà a farlo semprenonostante tutto. Io ti lascio, tornerò a trovarvi il prima possibile" si alzò dalla sedia squadrando i due bambini nelle carrozzine, mentre Wendy continuò a ringraziarla e la accompagnò alla porta.
Si chiuse la porta alle spalle e si poggiò ad essa con la schiena, stringendo al petto la videocassetta come se fosse la cosa più preziosa al mondo -cosa che in fin dei conti per Wendy lo era. Il suo Justin era stato tanto premuroso da donarle quell'ultima possibilità di poter rivivere un qualsiasi ricordo.
Si precipitò nella sala da pranzo e avvicinò la poltrona singola alla televisione, corse in cucina e portò le carrozzine al suo fianco e si accomodò con l'eccitazione che cresceva incontrastata in lei. Una matassa di emozioni negative e positive che le fecero tremare le mani quando infilò la videocassetta e premette play.
Due occhi caramellati le si piantarono davanti facendola sussultare.
"Come diavolo funziona questo aggeggioAh eccoci siamo!" esclamò Justin dall'altro capo della tv. Si allontanò dallo schermo e andò a sedersi su una sedia un po' più distante, massaggiando il capo in cerca delle parole giuste.
Wendy portò una mano sulle labbra, mentre l'altra istintivamente  andò a poggiarsi sullo schermo gelido della tv, accarezzando il volto dell'uomo. Era uno strazio vederlo così vicino dopo mesi; se solo fosse stato possibile attraversare lo schermo lo avrebbe fatto con tutta sé stessa, ma Wendy fu costretta a continuare ad accarezzare il vetro nella consapevolezza che non lo avrebbe abbracciato ancora per molto.
"Premetto che spero di trovarmi lì di fianco a te quando vedrai questo video, magari tra sessant'anni e con la casa sommersa di figli e nipoti" scoppiò a ridere, facendo sorridere anche Wendy. "Ma se invece sei lì da sola...allora evidentemente le cose non sono andate come speravamo" tornò serio abbassando lo sguardo. 
Quanto avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che era immensamente fiera di lui e che ci era riuscito a migliorare, che era stato costretto ad andare via solo per causa di un maledetto incidente dovuto ad una sciocca svista.
"È piuttosto strano in questo momento immaginare un me inesistente, quindi diciamo che sono abbastanza scosso. Mi dispiace di non essere riuscito a farcela, evidentemente era un qualcosa più grande di me; non sto qui ad elencarti i miei difetti, anche perché ormai mi conosci fin troppo bene" altro sorriso. "Semplicemente ti ringrazio, per tutto. Per essere tornata, per essere restata e aver sopportato questa mia vita infelice. Ti ringrazio per non avermi abbandonato, per aver creduto in me quando persino io avevo perso le speranze. So per certo di non essere stato il compagno migliore e che se mi odierai lo capirò, in fin dei conti mi sono odiato tanto anche io e continuerò a farlo sempre. Se stai piangendo ti prego di smetterla, sei fin troppo sensibile per i miei gusti
Wendy asciugò le lacrime sorridendo.
"Grazie per avermi migliorato la vita e avermi amato, come io ho amato te e come ti amerò incondizionatamente. Non so cosa ci sia dopo la morte e cosa mi aspetti, ma ovunque io mi troverò sono sicuro che non smetterò mai di pensare a te. Mi dispiace per averti fatto soffrire ed aver creduto che il mondo sarebbe stato un posto migliore senza di me, dimenticando che questa vita mi ha donato la cosa più importante e speciale che un uomo possa desidera: l'amore eterno di una donna, della mia donna."
Justin tirò su con il naso mentre Wendy strinse le ginocchia sotto il mento, affondando il volto in esse, cacciando via tutte le lacrime possibili.
"Voglio che tu torni ad amare, che continui a vivere la tua vita con la tua esuberanza, positività e forza d'animo. Non voglio che ti abbatta, non voglio vederti piangere ogni giorno nella consapevolezza di non poterti stringere a me per rassicurarti. Io non dimenticherò mai la prima volta che ti vidi seduta sul solito sgabello, con i gomiti poggiati sul bancone intenta a leggere uno dei tuoi tanti libri; non scorderò mai il mio cuore che accelerò di colpo quando mi persi nel tuo sguardo. Ti ho amata sin dal primo momento, non hai lasciato mai la mia mente, neanche per un attimo"
Wendy strinse il labbro inferiore tra i denti e prese un gran respiro.
"Innamorati di un uomo che sia capace di amarti, che sia disposto a convivere con il tuo strambo carattere e sia all'altezza delle sue aspettative. Devi tornare ad amare perché la tua vita non finisce qui, è appena iniziata ed hai tanto di quel tempo da trascorrere insieme alle persone che ti voglio davvero bene. Divertiti, viaggia, innamorati di posti remoti, scrivi, sogna e cosa più importante...vivi. La vita è troppo breve per essere sprecata tra rimpianti e paure"
La giovane annuì continuando a distinguere sempre meno la figura di Justin a causa delle troppe lacrime.
"Io ci sarò sempre, e se è vero che dopo la morte qualcosa deve pur esserci, allora io ti aspetterò. Fino a quel momento non smettere di essere te stessa, di lottare per i tuoi ideali e vai avanti per il tuo cammino; hai troppo da dare a questo mondo per chiuderti in casa a piangerti addosso"
Ci fu silenzio: Justin si bloccò e prese un altro grande respiro prima di alzarsi dalla sedia.
"Ah! Un'ultima cosa!" si tirò di nuovo in dietro. "Sicuramente dopo questa mi odierai il doppio ma credo che sia arrivato il momento di dirtelo. Sarò sincero con te, anche se è passato un bel po' di tempo: ricordi la nostra scommessa durante il nostro primo incontro?" domandò e Wendy smise di piangere per alcuni secondi, asciugando le guance. "Ecco, l'ho vinta barando" sorrise e portò due mani sul volto a causa dell'imbarazzo ma Wendy non capì. "In realtà non è stata proprio colpa mia, ma del tuo vestito scucito nel retro" e detto ciò scoppiò a ridere di cuore mentre la giovane spalancò la bocca incredula: non poteva crederci, quella sera girò mezza New York con il vestito scucito e l'intimo in bella vista? 
Wendy portò le mani davanti agli occhi come aveva fatto Justin precedentemente e sentì le guance andarle a fuoco, questa gliel'avrebbe fatta pagare un giorno.
"Adesso hai il diritto di odiarmi" le fece l'occhiolino e si avvicinò nuovamente allo schermo. "Ti amo" disse serio per l'ultima volta, poi scomparve.
Nella stanza vi fu silenzio, eccetto gli esili lamenti da parte dei due bambini che se ne stavano a giocare nelle carrozzine. Wendy continuò a fissare lo schermo della tv nella speranza di poterlo rivedere, nella speranza che qualcuno la svegliasse da quell'incubo e che Justin tornasse. Sospirò pesantemente spegnendo la tv e accarezzò un'ultima volta lo schermo di vetro prima di alzarsi e afferrare entrambe le carrozzine, asciugandosi le lacrime.
"Sono una mamma che piange sempre" commentò rivolta ai suoi figli. "Vi prometto che non lo farò più" sorrise e prese in braccio Jazmyn per metterla di fianco al fratellino. "E adesso ce ne andiamo a prendere una boccata d'aria"
Detto ciò si precipitò in cucina per afferrare la carrozzina doppia che le era stata regalata premurosamente da Larry ma che non utilizzava mai, visto e considerato che usciva di casa poco e niente. Da una parte coricò Jaxon e dall'altra Jazmyn e lasciò la carrozzina singola che aveva comprato con Justin.
Sorridente come non lo era mai stata in quegli ultimi mesi aprì la porta ed uscì, chiudendosela alle spalle. Mise per bene la borsa in spalla e si incamminò oltre il viale principale, superando il portico e il giardino; era una meravigliosa giornata soleggiata, perché sprecarla rinchiusa in quattro mura? Il sole si elevava alto tra un manto azzurro in assenza di nuvole. 
"È una bellissima giornata" disse rivolta ai suoi bambini.
Jaxon sorrise leggermente mentre Jazmyn rimase incantata a fissare il cielo azzurro, con due occhioni caramellati del tutto entusiasti. Quando Wendy alzò lo sguardo qualcosa o meglio dire qualcuno catturò la sua attenzione.
Un uomo giovane, alto e dalla capigliatura dorata era intento a guardarsi intorno, grattando di tanto in tanto la nuca. La giovane inarcò un sopracciglio capendo che qualcosa non andava, così affrettò il passo e si diresse verso la figura del giovane che sbuffò pesantemente, poggiando le mani sul tettuccio dell'auto.
"Le serve aiuto?" domandò cautamente Wendy, facendo voltare di scatto l'uomo che inizialmente rimase impassibile, poi sorrise di cuore.
"Sì, la ringrazio. Sto cercando il numero 42 ma ho girato tutto il quartiere e non riesco a trovarlo. Ci ho perso le speranze" alzò le braccia al cielo per poi riabbassarle.
"Il 42? Da quel ricordo è proprio qui dietro l'angolo. Sono anni che la casa è inabitata, molto probabilmente il numero civico deve essersi consumato con il passare del tempo"
"Dici?" chiese mordendo il labbro.
Wendy annuì e notò un leggere imbarazzo dipinto sul volto dell'uomo dagli occhi chiari; questo la fece sorridere lievemente. Si perse in quelle iridi, cercando di decifrare uno sguardo piuttosto intimidatorio ma allo stesso tempo intenso e coinvolgente.
"Sono un idiota. Grazie mille, te ne sono davvero riconoscente" porse la mano che Wendy strinse dopo aver esitato qualche secondo. "Comunque piacere, Nick McCurry"
"
Wendy Casey" disse a bassa voce Wendy. Si guardarono a lungo, senza staccare le loro mani e quando si resero conto che era trascorso fin troppo tempo si distaccarono imbarazzati.
"A-allora alla prossima Wendy" massaggiò la nuca timidamente e si diresse dal lato del guidatore.
"Con molto piacere" 
Partì a tutto gas e una volta svoltato l'angolo Wendy fissò l'auto fino all'ultimo secondo, anche quando ormai al seguito era rimasta solo una scia di fumo; successivamente scosse il capo e tornò a concentrarsi sui bambini. 
Che strana sensazione che aveva provato in quei pochi secondi, tanto da sentire il cuore tornare a vivere in lei, battendo all'impazzata. Sorrise d'istinto e poi alzò lo sguardo al cielo perdendosi tra quell'azzurro intenso, socchiudendo gli occhi quando sentì sulla sua pelle una leggera brezza. 
"È proprio vero che non basterebbe tutto il coraggio del mondo per starti accanto" disse a bassa voce scuotendo il capo e sorridendo, continuando a fissare il cielo.
Poco dopo tornò a camminare e a godersi quella meravigliosa giornata ma soprattutto...un nuovo inizio.


 

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Capitolo 27
*** Epilogo ***




Epilogo
 

New York,

17 settembre 2015
 

Le persone entrano a far parte delle nostre vite per un motivo: ognuna di loro ci aiuta a crescere, nel bene o nel male. Ogni singolo essere umano che incontreremo sul nostro cammino sarà in grado di insegnarci qualcosa e che lo si voglia o no è giusto accettare i sacrifici che il Signore ha deciso di affidarci.
Non so se il mio nome verrà ricordato nel corso degli anni, né tanto meno se la mia storia verrà tramandata di generazione in generazione. Potrei benissimo morire e non lasciare alcun ricordo della mia esistenza, nella consapevolezza di continuare ad essere amata da tutti coloro che nel corso del mio cammino terreno hanno contato molto per me.
Non sono una donna che vale la pena essere ricordata da fin troppe persone; sono una persona che ha amato, sofferto, vissuto tanto quanto molto probabilmente lo hanno fatto tutti a questo mondo. Ho vissuto i miei giorni attimo dopo attimo senza lasciare la possibilità ad una qualsiasi futile sciocchezza di ostacolare il mio meraviglioso viaggio che presso a poco volgerà al termine.
Ho amato un solo uomo con tutto il cuore e l'anima, dal primo momento in cui il mio sguardo ha incontrato i suoi dolci occhi caramellati. Ho amato il padre dei miei figli, il compagno di una vita che mi è stato affianco nonostante la indistruttibile distanza. Ho vissuto al massimo delle aspettative nella consapevolezza di essere ogni giorno più vicina dal poterlo rincontrare. 
Non so cosa mi aspetterà domani, ciò che conta è l'aver vissuto oggi; posso dire di essermi avventurata nella più magiche delle avventure, affiancata da persone dal cuore d'oro, capaci in un qualsiasi momento di essermi da sostegno. 
Sono di nuovo qui, curva sulla lapide che porta il suo nome e stringo tra le mani il libro che narra la storia di una timida ragazzina di città che ha imparato ad amare ma soprattutto, ha imparato a farsi amare. Se un giorno di tanti anni fa avessero detto a quella ragazzina che la sua vita sarebbe cambiata per sempre una notte di inizio estate, molto probabilmente non ci avrebbe mai creduto. Eppure il destino volle che quella volta ad accoglierla ci fosse il vero amore, l'uomo che le sarebbe rimasto impresso nel cuore per il resto dei suoi giorni.
Ancora curva sulla lapide poso su essa la solita rosa bianca, le sue preferite. Poggio la nuova e tolgo via la vecchia, simbolo di rinascita: il sole è sorto da tempo ma non importa, un nuovo giorno è ormai alle porte e una nuova avventura mi aspetta. 
Sorrido fissando la foto del sorriso a trentadue denti di quel ragazzo dai capelli dorati e occhi caramellati: stando lì mi sembra ancora di poter udire la sua risata, quella che mi faceva sempre stare tremendamente bene. Accarezzo il suo volto come se fosse reale e poi bacio le dita, poggiandole sulle sue labbra. 
I petali della ormai appassita rosa svolazzano via in balia di un lieve venticello; portano con sé ricordi, perché ogni singolo petalo è una storia nuova. 
Mi alzo tremante, cercando di sorreggermi con quelle poche forze che mi sono rimaste ma non piango, non lo faccio oramai da tanto tempo. Ho dimenticato l'ultima volta che l'ho fatto, molto probabilmente sarà stato tanti anni fa. Ho promesso a quel ragazzo che non avrei mai più sofferto nel ricordare i giorni passati in sua compagnia, ma che in realtà sarebbero rimasti impressi nella mia mente con il sorriso.
Stringo ancora di più il libro nelle mani sentendo le forze abbandonarmi secondo dopo secondo, riesco però a raggiungere l'uscita dopo aver salutato il ragazzo e avergli dato appuntamento nel nostro solito posto. Presto ci saremmo rivisti, dopo lunghi anni.
Mi appoggio con una mano al cancello d'entrata e stento riesco a percepire la presa sul mio braccio destro; sarà una donna, molto più giovane di me.
"Signora, si sente bene?" mi domanda.
Ho solo il tempo di scuotere il capo, prima che il buio pesto mi avvolga completamente.
Quando riapro lentamente gli occhi so di trovarmi in ospedale, so di essere distesa sul solito scomodo letto e so altrettanto bene che al mio fianco c'è mio figlio in giacca e cravatta. Ancora una volta è stato costretto ad abbandonare uno dei suoi tanti colloqui per affrettarsi a raggiungermi e per questo, ancora una volta, mi sento in colpa.
Jaxon alza di scatto il capo non appena percepisce il lamento proveniente dalle mie labbra e asciuga una lacrima, l'ennesima.
Ci fissiamo per interi secondi mentre il macchinario a cui è legata la mia vita continua a risuonare all'interno della stanza.
"Come ti senti?" domanda scioccamente, conoscendo già la risposta e abbassando lo sguardo per non dare a vedere il suo stato d'animo. È tutto inutile, sono pur sempre sua madre.
"Come una malata terminale di cancro" la butto sul ridere, come d'altronde ho sempre fatto nella vita.
Lui scuote il capo per niente divertito e questo mi fa tornare seria.
"Ce l'hai con me?" domando retoricamente.
So che è arrivato ad odiarmi a tal punto da non rivolgermi più la parola per settimane, so che non ha mai accettato veramente le mie scelte come vuole farmi credere che abbia fatto. 
"Ce l'ho con me stesso per non essere riuscito a farti cambiare idea" ammette e cala il silenzio.
Un anno fa circa, quando mi è stato diagnosticato il cancro terminale, sin dal primo momento ho rifiutato le cure. I medici, molto scettici, hanno rispettato la mia scelta ma sia Jaxon che Jazmyn hanno cercato in tutti i modi di farmi ragione, sapendo per certi che non ci sarebbero mai riusciti.
Se ve lo state chiedendo, non sono un'egoista che pensa solo a sé stessa: ho cresciuto i miei due bambini -non più tanto bambini- nel migliore dei modi, accudendoli con tanto di quell'amore e amandoli come solo una madre saprebbe fare. È arrivato però il momento per me di farmi da parte e di lasciarli liberi; di consegnare loro il mio patrimonio più grande: quello morale. La saggezza, l'aver vissuto a lungo e gli insegnamenti. Sono certa che entrambi, in un modo o nell'altro, saranno in grado di trarne dei vantaggi da questa mia esistenza e spero vivamente che in loro rimanga per sempre impressa la figura materna che non li ha mai abbandonati.
I
o voglio vivere, non sopravvivere e se per farlo sono costretta a soffrire giorno e notte all'interno di queste quattro mura, allora credo che sia arrivato davvero il momento per me di completare il mio cammino e guardare dritta in faccia la morte. I capelli bianchi e le rughe sono la testimonianza che nella vita ne ho passate tante; sento di aver appreso tutto ciò che c'era da sapere, perciò nulla ora come ora potrà mettersi tra me e il mio caro destino.
"Prendi la mia borsa" gli dico e lui lo fa in un batter d'occhio, posandola successivamente di fianco alla mia figura distesa inerme sul letto. "Aprila, dentro troverai un libro. Prendilo" e detto fatto: anche se un po' scettico, prende comunque il libro e lo rigira tra le mani. 
"Che c'entra il tuo vecchio libro adesso?" domanda non capendo.
"Hai detto bene, il mio libro" commento fissando la copertina ormai rovinata con il passare degli anni. "Quello è il mio libro" ripeto e lui torna a sedersene, fissando l'oggetto cartaceo tra le sue mani.
"Che intendi?"
Sorrido leggermente guardando fuori dalla finestra, mentre i raggi del sole riscaldarono il mio freddo corpo. 
"Lo scrissi quando avevi poco più di tre anni, eppure mi sembra ieri" 
Un nodo in gola mi costringe a zittirmi e quindi socchiudo gli occhi, lasciando che il calore mi invada tutta.
"Ho sempre pensato che fosse uno dei tanti" dice a bassa voce, come se si sentisse in colpa.
"Mi ero ripromessa di non farlo leggere a nessuno. Ho promesso a me stessa che avrei portato con me ogni ricordo...adesso so di essermi sbagliata. Jaxon, so che con te il mio racconto è in buone mani" dico voltandomi verso di lui. "Tra quelle vecchie pagine è racchiuso tutto l'amore che ho provato e proverò sempre per tuo padre"
Il giovane si immobilizza: sia lui che Jazmyn, nonostante non abbiano mai conosciuto il loro padre, negli anni hanno sempre evitato il discorso. Io ho accettato la loro decisione, nella consapevolezza che un giorno sarei riuscita a raccontare loro per filo e per segno del meraviglioso amore che aveva legato me e Justin. Quel giorno è arrivato.
"Ne avrò cura" dice sorridendo e questo, per me, è la vittoria più grande.
Si avvicina lentamente e mi afferra la mano, baciando il dorso di essa e poi si china per baciare una mia tempia nel preciso istante in cui dalla porta, compare la figura di una ragazza dai lunghi capelli dorati e occhi caramellati ma soprattutto con il fiatone, vista la corsa estrema che è stata costretta a compiere nonostante il lavoro.
Mi lascio cullare dal tempo che scorre, dal rumore delle lancette che continuano a girare e i giorni passano; la rosa bianca sarà ormai appassita da tempo ma ciò che mi rincuora è sapere che nonostante gli anni, molte persone hanno continuato ad amare Justin e a commemorare la loro scomparsa nel migliore dei modi. Uomini e donne che per anni hanno seguito le sue avventure sui ring di tutto il mondo e hanno ammirato la sua strabiliante forza d'animo, unica nel suo genere.
Non aspetto un miracolo; vivo i giorni che trascorrono veloci sul letto di ospedale tra le parole di Jaxon che legge ad alta voce il mio libro e a volte si commuove, altre invece smette addirittura di proseguire a causa del magone. Ripeto a mente ogni singola frase, rivivendo i momenti nella mia mente e sempre con un sorriso stampato in volto. In questi giorni tante persone sono venute a farmi visita, tutte persone che mi hanno amata per quella che sono. Sebastian, la mia migliore amica Pauline, gli ormai cresciuti figli della coppia. Persone che hanno reso la mia vita unica.
Non piove da tanto ormai, il sole è sempre puntuale con i suoi raggi che poggiano alla stessa ora del mattino sulla mia figura e percepisco il suo tocco caldo, le sue carezze capaci di farmi rabbrividire. Stringo costantemente tra le mani il nostro anello, rigirandolo tra le dita rugose e penso a quando ci ritroveremo e non ci lasceremo più andare.
Penso di continuo a quanto Justin Bieber abbia cambiato la mia vita in meglio, a quanto amore ci siamo promessi reciprocamente, a tutte le tempeste che siamo stati costretti ad affrontare mano nella mano. Penso che lui mi abbia salvata nel migliore dei modi e mi abbia insegnato molto nella vita.
Il destino è stato tanto crudele quanto clemente con me: nonostante le migliaia di sofferenze, sono stata anche tanto fortunata da avere l'opportunità di poter amare un uomo tanto amorevole come lo era stato Justin nel corso della sua breve vita.
Il dolore di non aver vissuto al suo fianco rimarrà sempre, ma in fin dei conti la morte è solo la fine di una vita e l'inizio di un'altra migliore. 
I giorni passano sempre più velocemente e le forze con essi: Jaxon è intento a leggere uno dei tanti capitoli e Jaxmyn invece stenta a trattenere le lacrime quando socchiudo gli occhi quasi per necessità. 
Percepisco il tintinnio insopportabile del macchinario posto al mio fianco, le grida dei miei due bambini e le loro mani afferrare le mie ma sono troppo stanca per svegliarmi, sono troppo stanca per andare oltre in questa vita. Ho solo bisogno di riposare.
Percepisco le continue grida di Jaxon che continua a scuotermi e le lacrime di Jazmyn che bagnano le mie guance; sento il calore dei raggi del sole e decido di lasciarmi andare. Chiudo gli occhi definitivamente e l'ultima cosa che odo è la parola 'coma'. È ciò che mi aspetta prima della morte.
Ecco. Adesso si spiega tutto. 
Chiudo gli occhi, il buio mi avvolge incontrastato.
Poi li apro, dopo interminabili minuti. Ho addosso un meraviglioso abito blu, il mio abito. Tutto sembra così surreale.
Una mano si porge verso la mia direzione e quando alzo lo sguardo lo vedo.
Lui è lì e mi sta sorridendo in tutta la sua bellezza. Non è cambiato di una virgola, è rimasto il mio Justin.
Afferro la sua mano.
Di nuovo insieme.
Per sempre.

 

-Non basterebbe tutto il coraggio del mondo per amare una persona, ed è proprio questo che rende unico l'amore: vivere nella consapevolezza di non potercela fare e di non essere abbastanza, ma continuare a rischiare e ad amare incondizionatamente-

 

Fine.



***

Scrissi questa storia molto tempo fa, pubblicandola su wattpad. Se qualcuno infatti ricorda di averla già letta da qualche parte, sappiate che sono sempre io, nessuno mi ha rubato la storia spacciandola per propria. Avevo detto che non avrei mai più pubblicato nulla su efp, però sinceramente ci ho riflettuto sopra: qui è iniziato tutto. Su questo sito ho pubbliato per la prima volta una mia fan fiction nel 2012, ormai cancellata. Qui la mia passione si è apliata a tal punto da diventare pane quotidiano. Devo tutto a questo sito, quindi ho deciso di pubbliare tutti i capitoli anche qui. Su wattpad la storia l'ho finita quasi un anno fa, per chi non mi conoscesse sono freakieber e sto lavorando ancora ad altre storie. Per chi volesse leggerle, mi trova sul profilo. Spero di avervi emozionato con questa storia. Ho deciso di pubblicare i capitoli tutti di fila (a parte un periodo di sospensione) perché non mi andava di aspettare e di farvi aspettare. Io non scrivo per ricevere quante più recensioni possibili, scrivo per far emozionare, lasciare messaggi, far innamorare il lettore delle mie opere. Vi ringrazio infinitamente per aver letto questo mio "libro", chissà forse deciderò di pubblicare anche le altre mie storie. Alla prossima, se ci sarà.

 

 

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