A caccia di prompt di slice (/viewuser.php?uid=41375)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le dimensioni contano ***
Capitolo 2: *** Come se non ci fosse un domani ***
Capitolo 1 *** Le dimensioni contano ***
#1
Bucky e Steve. Bucky non riesce ancora ad abituarsi che quella
montagna umana sia in realtà quel mingherlino di Steve.
Doom
è un cazzone, ma i suoi stupidi robot sono ogni volta più
resistenti, più insidiosi, più... splendenti? Barnes
ha appena finito di prendere a pugni uno di quei barattoli di latta
quando la scelta della cromatura acquista finalmente un po' di
senso. Attraverso il suo giubbotto antiproiettili c'è una
macchia bianca dai contorni netti, si muove, trema, e lui alza la
testa in tempo per trovarsi il nemico nuovamente davanti. Questa
volta, lo scudo di Steve lo aiuta a liberarsene in fretta. Bucky si
volta per ringraziare, fare un cenno, ma proprio quando i loro
sguardi si incrociano il malefico riflesso è sulla faccia di
Steve. Succede tutto in un attimo: Steve, l'idiota, si lancia alla
cieca, il robot, lo stronzo, aumenta la velocità e Bucky può
vedere la fine della sequenza come se fosse un film. Agisce
d'istinto, si lancia in una capriola, allarga le braccia ed è
pronto per raccogliere i pezzi un'ennesima volta. Steve Checcazzo
Rogers pesa un quintale, gli frana addosso come un sacco di patate,
con la grazia e gli spigoli taglienti di un carroarmato. Il fianco
impatta col suo inguine, un gomito gli incrina una costola e James si
becca pure una spallata sul mento che è esattamente quello che
ci vuole per sdraiarlo lungo in terra come una cazzo di matricola
alle prese col rinculo della sua Beretta. Era già successo che
si dimenticasse della differenza di mole perché, in effetti,
ha passato molto più tempo con lui come Steve fatina dei
denti, piuttosto che Steve gigante buono, ma Bucky si rende conto lì,
su un tetto di New York, dove con la coda dell'occhio può
scorgere il suo sangue sul cemento e dei calzini svolazzare sui fili
per i panni, che se non si decide a ricalibrare, Capitan America lo
ucciderà. O lo castrerà, che è uguale,
insomma. “Bucky, ehy Buck, tutto bene?” Lui
digrigna i denti insanguinati, ingoia un insulto colorito e
annuisce. Hanno dovuto tagliare fuori Stark perché
continuava a commentare la tecnologia di Doom e monopolizzava la
linea, ma Barnes è sicuro di sentire la sua risata, da qualche
parte.
Non
mi appartiene pressoché niente e non c'è lucro.
Mannaggia.
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Capitolo 2 *** Come se non ci fosse un domani ***
#2
Stony, Au post!Apocalyptic. Quando il mondo è finito e sei uno
dei pochi sopravvissuti, ti frega poco di odiare l'unico altro tizio
che hai incontrato dopo mesi di solitudine. Avete bisogno l'uno
dell'altro e lo sapete entrambi. E quando è buio è
sempre più facile ammetterlo.
Tony
gli finisce addosso. Avrebbe dovuto essere un evento imbarazzante,
qualcosa da “mi scusi, non volevo” e magari sarebbe
riuscito a dire solo quello, senza le altre mille parole che la sua
bocca ci mette di solito. Certamente non avrebbe dovuto esserci
sollievo, euforia, felicità, non dovrebbe sentire la testa
leggera come un palloncino mentre scappa. Dovrebbe pensare. Un tempo
andava bene, la Diesel lo suggeriva - Sii Stupido, diceva il
cartellone di fronte al suo appartamento - oggi si muore, se si
smette di pensare. Ma l'altro lo ha stretto a sé, appena si
sono scontrati, poi lo ha preso per un polso e hanno iniziato a
correre insieme. Tony ha il cervello in subbuglio da allora, ha
accettato di cedere il comando a quello sconosciuto dal momento in
cui è finito spiaccicato sul muro di muscoli che pare essere
il suo petto, quindi non inizierà a protestare ora che viene
spinto in uno spazio angusto. Ansimano entrambi, Tony se ne
accorge perché fissa la gola e la mascella dello sconosciuto,
mentre lui controlla che quelle creature schifose non li abbiano
seguiti fino a lì. Poi la mascella si abbassa e ci sono delle
labbra, vicino ai suoi occhi, la luce blu del reattore si riflette su
delle piastrine militari. Con una scossa di sorpresa si rende
conto che è quella che l'altro sta fissando. Lui si porta una
mano al petto, improvvisamente insicuro, vulnerabile. Poi picchietta
un'unghia sul metallo. “Un'operazione di fortuna,”
dice, osservando il blu degli occhi sopra le labbra piene. “Dopo...”
È per caso il suo compleanno? “Sai...” Non crede
sia il suo compleanno, ma non sa in che mese siano quindi potrebbe
sbagliarsi. L'altro annuisce. “Steve,” dice. Quella
voce, bassa, roca, affannata, manda tutta una serie di messaggi
sbagliati al suo corpo; Lui si lecca le labbra e socchiude gli occhi
un momento. “Tony,” risponde. E sembra bastare.
Steve annuisce di nuovo, poi preme sulla sua spalla affinché
si volti, lo accosta a sé, schiena contro petto, e scivola a
sedere nella polvere. Ansimano ancora, l'adrenalina continua a
bruciargli le vene, è notte, non sanno dove sono o dove
andare, ma per il momento non essere più soli sembra vincere
tutta l'attenzione di entrambi. Steve sospira e appoggia la fronte
alla sua spalla. “Scusa,” mormora. Ma Tony preme il
fondo schiena sull'erezione dietro di lui, si accoccola meglio e
lascia cadere la testa indietro, sulla spalla dell'altro. “Di
solito mi invitano almeno a cena, prima.” Il suono del
sorriso di Steve lo scioglie e le sue parole lo distraggono
momentaneamente dalle braccia muscolose che lo circondano. “Non
ho impegni per domani sera.”
Perché,
diciamocelo, niente grida romanticismo come un'apocalisse. Eh.
Mi
appartengono solo gli eventuali errori e, per dindirindina, non c'è
lucro.
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