Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

di G RAFFA uwetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Prologo, il ruggito delle fiamme ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - Una bambola di pezza ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - L'ingannevole lucentezza della pietra ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Ridona Ciò che Deve Essere ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Il cuore gelido dell'Inferno ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 - Prologo, il ruggito delle fiamme ***


 

Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

Cap. 1 – Prologo, il ruggito delle fiamme

"Se si desidera nascondere la verità basta annegarla nelle bugie" uwetta.

Nelle notti più nere, quando il buio penetrava fin nelle ossa, la foresta si schiudeva come un istrice permettendo alle belve feroci di andare a caccia. Nelle grandi città, i fuochi dei bivacchi venivano succhiati dal vento mentre era impegnato a sollevare veli di densa nebbia. Chiusi nelle loro calde dimore, sotterrati da strati di coltri roventi, gli uomini mormoravano di storie antiche come il mondo, pesanti fardelli lasciati in eredità.

In un tempo lontano, in cui i bisbigli erano le anime dei morti che calpestavano la lussureggiante Valley Korenbloen1, tra i ghiacciai perenni, il Caos generò Làm Nhùc Xàu2. Egli, come un bimbo curioso, vagò solitario seminando il terrore, soffocando i popoli nel dolore. Rubò il sapere agli Spiriti Erranti, fagocitandoli e sputando le ossa in tumuli bianchi. Il Destino, mosso a pena, dal Fuoco dei Giusti plasmò un castigatore dandogli il compito di scindere il Dolo. Carny3, questo il suo nome, adempì al suo dovere in modo ligio, forgiò parti di sé in arma per sopprimere lo scempio; puntellò e smembrò quell'essere fino a ridurlo in cenere. Forte del suo dominio, custodì fiero ogni singolo dardo mostrandosi degno di essere un Eletto. Sulla via del ritorno, cadde vittima della corruzione scialacquando se stesso e il prezioso bottino. Negli effluvi del tempo si perse ogni traccia; solo al sorgere delle Ere il fiore del Fato designava il cammino, un placido scorrere di istanti impressi a fuoco sulla giovane carne.

 

In un angolo della grande stanza, accostato ad una parete tempestata di disegni colorati, un letto improvvisato ospitava un'ostinata dolce bambina che tentava inutilmente di rimanere sveglia stropicciando gli occhi gonfi di sonno. Lentamente le palpebre pesanti si chiusero su due occhi neri solitamente vispi; anche stavolta non sarebbe riuscita ad ascoltare per intero le storie raccontate dai grandi perché cadde in un sonno agitato da incubi non suoi.

Sbuffi di fumo viola e arancio rivelavano i contenitori disseminati sugli scaffali in ombra. Libri antichi erano aperti su pagine ingiallite dal tempo raffiguranti strani algoritmi e sezioni di corpi smembrati. L'odore di muschio trasudava dalle pareti in roccia dove l'umidità aveva creato una patina scura e opaca. Al centro della stanza, sopra una tinozza in legno di tasso, era appeso un giovane esemplare di moleb, trattenuto a testa in giù da una catena d'oro; gli occhi tondi e vacui erano vigili, sempre in movimento. Una ragazza di spalle, i capelli raccolti in una complicata treccia, era intenta a sistemare con perizia sul tavolo degli strumenti affilati. Lì accanto, un piccolo calderone stava borbottando appeso sull'allegro fuoco, mentre dalla trave del camino pendevano grossi alari in ferro battuto. Con un gesto repentino, la ragazza aveva impugnato un piccolo punteruolo, tenuto per pochi secondi a contatto con la fiamma, per poi avvicinarsi al moleb. Senza esitazione, aveva immerso lo strumento appena sotto l'attaccatura della mandibola, fin dentro il forte collo, così da permettere al denso e scuro sangue di fuoriuscire lentamente. Un'accetta, dall'affilatissima lama d'argento, le era servita per scuoiare la pelliccia color avorio; aveva lavorato meticolosamente, incurante delle strazianti urla. Infine, aveva separato la pelle dalla lana e, con un pettine per cardare la lana, in legno scuro dai chiodi lunghi e arrugginiti, aveva pulito la folta pelliccia. Quando aveva ritenuto soddisfacente il lavoro aveva immerso i pezzi nella tinozza dove il sangue continuava a gocciolare; vi aveva aggiunto svariate polveri e poche gocce del proprio sangue.

Sdraiata sul letto dal materasso di paglia, la bimba stringeva gli occhi in preda al terrore, le dita tozze avvinghiate al lenzuolo frusto che copriva il pallido viso, le labbra tremanti dischiuse in cerca di aria.

Dal corpo straziato, ma ancora vivo, aveva estratto denti e unghie, con un coltellino ricurvo aveva scavato fino a togliere completamente le gonfie ghiandole genitali; aveva buttato il tutto dentro un mortaio in quarzo verde. Poi aveva aggiunto delle foglie secche di piante rarissime assieme a cinque pezzetti dei suoi organi, precedentemente estratti con una difficoltosa operazione chirurgica: cuore, polmone, fegato, milza e rene. Aveva pestato il tutto fino a ridurlo a una densa crema grigia che aveva versato in piccoli stampi triangolari; in seguito li aveva appoggiati vicino al fuoco per farli essiccare, non prima di averli cosparsi del sangue che aveva prelevato dalla tinozza. Aveva ripreso la lana e poi l'aveva lavata con cura, infine l'aveva divisa in due parti. Aveva tagliato la lunga treccia dei suoi capelli e, dopo averla unita ad una parte della lana, seguendo un'antica arte appresa dai Mastri Impagliatori, li aveva intrecciati saldamente fino a formare dei solidi bastoncini; ad essi aveva unito i piccoli triangoli essiccati formando così delle frecce. Con la restante lana aveva intessuto una robusta faretra, che successivamente aveva dipinto in colori pastello ricamando strani fiori stilizzati. Con la parte di pelle dura preparò i morsetti che avrebbero assicurato la faretra una volta in viaggio, aveva aggiunto dei fili di lana come vezzo. Era tornata presso il moleb che, nonostante tutto, ancora si agitava debolmente. – Mi serve un arco. – Aveva pensato meditabonda osservando il corpo straziato, con una lunga sciabola dalla giallastra lama d'ottone aveva cominciato ad estrarre le lunghe ossa degli arti inferiori...

La bambina si destò all'improvviso tremante e sudata, gli occhi spalancati e colmi d'orrore, il corpo un fascio di nervi doloranti.

— Nonna Kievien, — richiamò l'attenzione con voce pigolante, — nonna! — Urlò più forte. Sullo sfondo, nel tremulo chiarore del moccolo di sego, le parole del narratore sfumavano appena; l'anziana donna in un attimo le fu accanto.

— Cosa c'è, piccina mia? — Le chiese apprensiva per poi sgranare gli occhi sorpresa, una mano sulla bocca a trattenere il singulto che l'aveva colta impreparata.

— Ho fatto un brutto sogno, nonna. — rispose con voce tremante rifugiandosi sotto le coperte. — E poi mi fa male ovunque, — riprese con la voce soffocata dal telo, agitandosi piano sotto le coltri. L'anziana, inorridita, seguì con gli occhi i bagliori che le coltri non riuscivano a celare; sembrava di assistere alla danza delle lucciole nelle calde notti estive.

— Oh mio dio — le sfuggì dalle pallide labbra serrate.

All'esterno della piccola abitazione, immersa nei campi ricoperti di muschio rosa, giungevano voci concitate e grida soffocate. Ringhi di animali selvatici si amalgamavano a tonfi e scoppi attutiti dalla pesante porta sprangata; in breve, anch'essa cominciò a tremare come l'aria, diventata pesante per l'odore acre del fuoco. Kievien buttò dell'acqua fresca sul corpo della piccola per poi bloccarle il viso e immergere gli occhi in quelli spaventati di lei. Concitata iniziò a parlare cercando di non accavallare le parole.

— Sei stata scelta come guida, tesoro mio, sei lo scrigno che svelerà al mondo la giusta via. — I riverberi violacei della pelle frammentavano l'oscura profondità delle iridi nere. — Trova il Quiver of Souls4 perduto e con esso ridona Ciò che Deve Essere.

La bambina cercò di divincolarsi dalla presa ferrea, tossì e sbatté le ciglia sugli occhi scuri ormai arrossati per il fumo; lunghe lame infuocate strisciavano sotto l'uscio mentre il legno scricchiolava sinistro e si gonfiava emettendo inquietanti sibili.

— Lasciami andare, — strillava tra un rantolo e l'altro; disseminati qua e là giacevano dei corpi svenuti, il fuoco lambiva la loro carne con una languida carezza.

La porta cedette con un forte schianto, schegge di legno incandescente volarono in ogni direzione e alcune di esse perforarono la schiena di Kievien, costringendola a lasciare la presa e vacillare in avanti; gli occhi si spalancarono e un fiotto di sangue le sfuggi dalle labbra diafane. L'onda d'urto dello scoppio spedì il debole corpo della bambina, non più trattenuto, contro lo spigolo di un mobile, un attimo prima che quest'ultimo si accartocciasse inghiottito dal ruggito delle fiamme. La donna si accasciò a terra in un tonfo morbido, gli occhi vitrei fissi sulla nipote; un'ombra gigantesca oscurò l'entrata avvolta dal fumo che ribolliva verso l'esterno in cerca di aria. Kievien scosse la testa cercando di riprendersi, allungò un braccio in avanti arpionando con le unghie il pavimento, ricacciò indietro le lacrime e gemette di dolore sputando sangue denso e scuro; l'ombra la superò. Con voce flebile, le iridi illuminate d'arancio, ansimò:

— Ricorda, bambina mia, ricorda che desidera riunirsi più di ogni altra cosa e nulla lo fermerà. — Poi, lentamente, la vita rotolò lontano da quel corpo esausto senza sapere che le sue ultime parole erano andate perdute.

L'ombra raccolse la bambina svenuta e uscì nel sole viola del tramonto, oscurato dalle nubi dense che si alzavano dal villaggio in fiamme. Sulla fronte della piccola, appena sopra l'arcata sopraccigliare sinistra, da una piccola ferita usciva una scia di sangue che scivolava lungo lo zigomo fino a inabissarsi nelle pieghe del pigiama leggero; un dito dalla pelle scura e l'unghia aguzza tracciò un sentiero sul viso sporco di fuliggine.

— Perfetto! — Disse una voce dal timbro non umano, — torniamo a casa.

Il sole stava calando all'orizzonte, l'eco sospesa della voce del narratore, rimasta imbrigliata tra i ruderi della casa, perdeva vigore tra le poche fiamme che ancora non si erano estinte.

Tremate popoli infedeli perché allo schiudersi della foglia arsa dal fuoco, sotto l'occhio viola di chi vigila, nell'aria intossicata da urla immonde, giungerà il tempo di rispolverare le leggende, di dar agio agli antichi cantori, di dar fiato agli araldi imbonitori: l'Agave Eeuwige5 tornerà a fiorire.


 

Note autrice: questa storia partecipa al contest ”Poker d'immagini” indetto da Najara87 sul forum. Le immagini che ho scelto sono le seguenti:

Personaggio: http://www.pikky.net/ggk

Paesaggio: http://www.pikky.net/hgk

Oggetto: http://www.pikky.net/jgk

Scena: http://www.pikky.net/kgk

 

Alcuni nomi inventati li ho tradotti in olandese.

Buona lettura e sono graditi i commenti.

 

1 Valle del fiordaliso in olandese

2Il nome è tradotto dal vietnamita e letteralmente vuol dire insudiciare e cattivo. Mi scuso per l'eventuale uso improprio di un linguaggio a me sconosciuto.

3 Giostraio in olandese

4 Faretra delle Anime in olandese

5 Agave eterna in olandese

 

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Capitolo 2
*** Cap. 2 - Una bambola di pezza ***


 

Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

Cap. 2 Una bambola di pezza

"Chi è affamato di gloria divora l'uomo che è in lui" Stanislaw J. Lec.

La grande regione a sud di Xabiana, la capitale, era un luogo arido e desolato. Lunghi canaloni, un tempo sede di un ricco fiume dalle acque cristalline, ora solo un pallido rigagnolo, scavavano la terra come un cancro addentrandosi nelle profondità del terreno. Forti venti caldi abbattevano continuamente le fragili pareti e disperdevano la sabbia sui rigogliosi campi più a nord. Era impossibile camminare tra quelle crepe sanguinanti, il suolo era incandescente come se un fiume di lava scorresse impetuoso appena al di sotto della sottile crosta. Alti ponti erano stati costruiti per tener collegate le abitazioni scavate nella roccia, volte e archi creavano una cattedrale che si perdeva nel paesaggio sorvegliato da due tonde lune avvolte nella foschia. Blocchi di pietra, dalla tonalità del blu intenso, mettevano in risalto le ampie aperture, come squarci sanguigni, oltre le quali languivano torce dalla resina profumata ricavata dalla Geur Van Viooltjes1, pianta che cresceva solo sull'isola dei moleb, umanoidi provvisti di soli tre arti. Nessuno aveva più memoria di come appariva un tempo quella terra, ora, la Brug der Zuchten2, apparteneva alla Pythia3 Michell, donna dal volto senza età, che l'aveva vinta ai dadi quando ancora era un luogo fertile. Temeraria e dalle fattezze bellissime, non godeva di una buona fama. Sapeva essere giusta ma, al contempo, non ammetteva l'insubordinazione; la Steengroeve4 di Mimito, dove si diceva amasse ritirarsi a giocare, era il luogo in cui molti smarrivano la strada per non fare più ritorno. La sua dimora, anch'essa ricavata nella friabile montagna, era costituita da una grande sala e per accedervi si oltrepassava un altissimo portale interamente intagliato nella roccia lavica. Specchi e mobilio di antica fattura si alternavano contro le pareti rivestite interamente da indistruttibili piastrelle color cobalto; comodi divani, tappezzati di seta importata, erano collocati davanti a bassi tavolini sempre riforniti delle migliori prelibatezze dolciarie di Xabiana. Dietro una pesante tenda color castagna, si nascondeva l'area riservata ai domestici mentre l'unica porta, che celava la stanza privata di Michell, era sorvegliata da due grossi moleb, resi più feroci a causa della castrazione inflittagli alla nascita, sebbene l'operazione fosse stata dichiarata illegale dallo Statuto Vigente di Xabiana. Dai finestroni aperti sui canaloni entrava senza ritrosia l'aria resa pesante dalla canicola. Lavorando per inerzia, dei pigri ventilatori incanalavano l'afa lungo aperture scavate nelle pareti, lasciando dietro di sé il profumo speziato dei pochi arbusti che riuscivano a sopravvivere a quell'inferno.

Il portone si spalancò e Michell fece il suo ingresso. Con movenze feline attraversò il lungo salone facendo ondeggiare la veste color miele che le fasciava il corpo esile, una lunga cappa bronzea, il cui cappuccio copriva la testa, era appoggiata sulle gracili spalle, calzari alti fino al ginocchio completavano l'abbigliamento. Senza prestare attenzione ai villani, assiepati intorno ai molteplici tavolini, inforcò la porta e si inoltrò nelle proprie stanze. Nessuno spiraglio permetteva all'occhio indiscreto di scrutare attraverso la spessa porta, anch'essa in pietra lavica; i due moleb, rigidi nella loro postura, erano degli ottimi guardiani, un loro sottile ringhio bastava per far accapponare la pelle dalla paura. Si reggevano sulle zampe posteriori mentre l'altro arto, di dimensioni ridotte, rimaneva piegato lungo il corpo peloso. Le sfumature bronzee della pelliccia variavano in base a come la luce la colpiva; il muso, corredato di una bocca sporgente dalle labbra prominenti, ricordava quello dei lupi e gli occhi, solitamente bigi, erano completamente ciechi. Si spostavano orientandosi con l'eco delle loro ringhia, che fungeva da sonar. L'olfatto assumeva un ruolo importante nella loro vita perché permetteva loro, non solo di riconoscere le tracce delle prede durante la caccia, ma anche di farsi una mappa mentale del corpo delle vittime.

― Trovato quello che stavi cercando? ― Chiese apprensiva una Voce che sembrava scaturire da una pietra blu incastonata sopra il camino; era un perfetto ovale, un pozzo freddo dove nemmeno le fiamme del camino riuscivano a riflettersi.

― Non ancora, ― rispose infastidita Michell, ― il giostraio era solo una falsa pista, il Quiver of Souls non è mai arrivato a Quanticore. ― Mentre parlava si spogliò degli indumenti, rimanendo nuda al centro della stanza vuota; vi erano solo il camino perennemente acceso, sulla parete a est, e un grande braciere, incavato al centro del pavimento, dove un filo di fumo saliva in spirali dall'aroma inebriante del bergamotto.

― Non hai molto tempo, lo sai vero? ― Insistette la Voce, ― l'Acacia Fate sta per fiorire.

― Lo so, lo so, smettila di ricordarmelo! ― Rispose esasperata calciando lontano gli indumenti smessi per poi entrare senza indugio nel braciere. ― Ho ancora sette giorni di tempo e se fallisco torno da dove sono venuta, e stavolta sarà per sempre! ― Concluse con un ringhio.

Una piccola scintilla si staccò dal camino e incendiò il braciere. Filiformi fiamme nere presero a vorticare intorno al corpo della donna come unghie di rapaci famelici che stringevano la preda. Un fumo denso avvolse la stanza ricreando la giusta densità per permettere alla creatura di emergere; il calore si fece più intenso sciogliendo lo strato di carne che racchiudeva il corpo del demone. Scie di luce giostravano in cerchio come piccole comete intorno ad un sole che stava per sorgere. Le prime ad apparire furono le ali nere e possenti, aperte e pronte a servire come una spada sguainata da un prode cavaliere. I lunghi capelli scuri come la notte si gonfiavano come spire di serpenti pronti ad azzannare, le braccia lunghe, dalla pelle scura, terminavano con dita dalle unghie ricurve e taglienti. Un corpo ben modellato emerse dalla foschia, leggermente illuminato dai riverberi del fuoco, vestito in modo succinto; il seno sodo era a malapena contenuto da due coppe in oro legate con fili di seta intrecciata, lo slip era composto da piume d'aquila intrecciate ad anelli d'argento. Le lunghe gambe brune presentavano delle piccole sporgenze affilate come rasoi. Il viso era imperturbabile, lo sguardo fisso e rivolto altrove, lontano, verso un luogo che solo lei poteva scorgere; gli occhi erano vividi, caldi e brucianti come il fuoco da cui era stata generata. Uscì scalza dal braciere mentre il calore imprimeva ombre infuocate sul duro pavimento.

― Ora mi sento meglio, ― disse, striracchiando le membra come se fossero intorpidite. Anche la voce era cambiata, non era più il trillare gioioso degli usignoli ma sembrava piuttosto che il suono fosse sempre in movimento tra lamine d'acciaio che vibravano in disaccordo. ― Hai nuove idee su dove possa essere, Blauw5? ― Chiese impaziente rivolgendosi alla pietra blu.

― Sto aspettando di ricevere notizie dalla capitale, Michell. ― Rivelò la pietra, ― vedrai che il giostraio arriverà, ammetto il mio errore ma se tu mi permettessi...

― No! ― La interruppe perentorio il demone, ― tu rimarrai incastrata lì. Ho faticato per averti e soprattutto per possederti. Ho perso privilegi e poteri e tu mi servirai finché non otterrò ciò a cui sono destinata. ― Concluse voltando le spalle. Per un attimo, la pietra sembrò diventare diafana, come se improvvisamente non fosse più in quel luogo; il fondo buio del camino sembrò ingiottire le vivaci fiamme. Durò un battito di ciglia il tempo che il demone, rivolto alla porta, esclamasse:

― Kum! ― Uno dei moleb di guardia spalancò la porta, dietro il corpo massiccio spuntò, non visto, un volto fanciullesco che sgranò gli occhi sorpreso e impaurito. ― Ho fame, ― disse il demone sventolando una mano verso il colosso, ― sai cosa devi fare! ― Gli intimò. Il moleb si ritirò silenzioso inchinando appena il grosso capo. Chiusa la porta, Michell si girò verso il camino notando subito lo strano silenzio della pietra.

― Novità? ― Chiese golosa, già pregustando il suo pasto.

― Il giostraio è a Steengroeve, ― disse, ― se esce indenne dal labirinto avrai ciò che ti spetta. ― Un sorriso avido e cattivo deformò il volto del demone, altrimenti sempre privo di espressione.

― Perfetto. ― Decretò euforica per poi accogliere il moleb accompagnato da un villano. ― Benvenuto, ― disse melliflua, mentre quest'ultimo sgranava gli occhi dall'orrore. Kum indietreggiò e, digrignando i denti, rientrò nel salone mantenendo il capo chino; l'uscio si chiuse dolcemente sovrapponendosi al brusio scontento dei visitatori e quello rude dei ringhi dei moleb. In un attimo, Michell gli fu accanto.

L'uomo rimase fermo e congelato, gli occhi spaventati erano in frenetico movimento in cerca di una via di fuga. Il demone prese a girargli attorno, annusando e approvando la corporatura di quel corpo tremante, tastando la solidità delle carni.

― Uhm, ― disse, allungando l'ultima lettera come se stesse assaporando un piatto prelibato. ― Ottima scelta. ― La lingua viscida guizzò sulla pelle sudata, leccando via le goccioline; subito si formò una scia rossastra che, lungo tutta la mandibola, scendeva fino alla scapola sinistra. ― Davvero ottimo. ― Si compiacque avvicinando il polso dell'uomo al naso, secondo il demone era il punto più afrodisiaco, ― il fiuto di Kum non si smentisce mai.

Michell premette il seno contro la solida schiena dell'uomo e intrecciò le braccia al torace leggermente villoso, i polpastrelli stuzzicarono i capezzoli facendoli gonfiare. Poi, la mano scese sinuosa tra le cosce e si compiacque si trovare il membro appena eccitato. Denudò i denti, affilati come rasoi, e morse un punto sul collo, dove la lanugine dei capelli nasceva, imponendo, attraverso la saliva, la sua volontà all'uomo; si scostò, sciogliendo quella specie di abbraccio, succhiando le piccole gocce di sangue che scendevano lente sulla schiena. Tenendo la mano posata sulla spalla, lo aggirò piazzandosi davanti, impresse una lieve spinta per fare in modo che il corpo si accasciasse sul pavimento duro. Michell lo guardò soddisfatta – una bambola di pezza – pensò, sedendosi a cavalcioni sull'inguine dell'uomo. Iniziò a strusciare il sedere sodo in piccoli movimenti circolari mentre le mani accarezzavano il torace, l'uomo prese a mugolare eccitato. Lentamente, piegando la schiena ad arco, raggiunse il viso sotto di lei, che aspettava estatico con gli occhi socchiusi. Per alcuni istanti vezzeggiò la pelle del collo, succhiando piano un punto dietro le orecchie, senza mai interrompere le carezze e la sollecitazione all'inguine. L'uomo alzò i fianchi, premendo forte verso l'alto, in cerca di sollievo per quel piacere inaspettato che gli divorava le carni, le ciglia scure tremavano appena mentre la bocca si spalancava in cerca d'aria, le iridi erano appannate dalla lussuria, fisse negli occhi gialli del demone che bruciavano di una passione a lui sconosciuta. Benché Michell fosse intrigata aveva un'impellente bisogno da soddisfare, una necessità primordiale che si agitava per venire a galla. Repentina si impossessò della bocca dell'uomo che prese a uggiolare come una bestia ferita, le lunghe gambe e le cosce tornite aderirono al corpo dell'uomo in modo che le escrescenze entrassero nelle carni come un coltello affilato nel burro. Si strinse a lui con più vigore e, facendo perno con le braccia, le lunghe unghie seppellite in profondità nel petto scosso dai fremiti, si impossesò della lingua e tirò forte fino a quando non riuscì a estrarla dalla gola dell'uomo; la considerava un trofeo. Dopo di che fece scempio di quel corpo tanto da ridurlo a un mucchio di ossa bianche. La fame del demone non si assopì, voleva ancora giocare, cacciare, godere di quelle dolci carni arrendevoli e la consapevolezza che i tempi erano giunti a maturazione la rese ancora più feroce.

Quella notte banchettò e si accoppiò molte altre volte.


 

 

 

Note autrice: questa storia partecipa al contest ”Poker d'immagini” indetto da Najara87 sul forum. Le immagini che ho scelto sono le seguenti:

Personaggio: http://www.pikky.net/ggk

Paesaggio: http://www.pikky.net/hgk

Oggetto: http://www.pikky.net/jgk

Scena: http://www.pikky.net/kgk


 

Alcuni nomi inventati li ho tradotti in olandese.

Buona lettura e sono graditi i commenti.


 


 

1 Profumo di viola in olandese

2 Ponte dei sospiri in olandese

3 pitonessa in olandese – termine riferito alle antiche sacerdotesse del culto di Apollo; in questa storia mi serviva una parola che rappresentasse un capo e nascondesse delle origini mistiche, ho ritenuto questo il più adatto

4 Cava in olandese

5 Blu in olandese

 

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Capitolo 3
*** Cap. 3 - L'ingannevole lucentezza della pietra ***


 

Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

Cap. 3 – L'ingannevole lucentezza della pietra

"Miete verità chi semina bugie." uwetta

Fuori, su uno degli alti ponti, il corpo fragile di una ragazzina si sporgeva verso il vuoto. Gli occhi vitrei fissavano il fondo senza riuscire a intravvedere il piccolo torrente che scorreva pigro. I lunghi capelli color delle fragole ciondolavano verso il basso, come se tutto il peso del mondo fosse aggrappato a quei delicati fili setosi. Le labbra erano strette in una smorfia di disgusto mentre il cuore batteva impazzito, la mente era un turbinio di pensieri inafferrabili. Era calata la notte e le due lune erano alte nel cielo, appaiate come due fratelli siamesi. L'odore acre del calore della terra l'avvolgeva facendola rabbrividire e sentire smarrita. Con una torsione del busto diede le spalle al baratro sottostante e immerse lo sguardo nel braciere che veniva acceso per rischiarare il buio della notte. In lontananza, gli animali selvatici emettevano i loro richiami. – Chi era quell'essere che aveva intravvisto nella stanza di Michell? – Questo era l'interrogativo che più rimbalzava tra i mille dubbi che turbavano Kathell.

― Giostraio. ― Disse improvvisamente una Voce scaturita dal nulla.

― Ma cosa? ― La ragazza, colta di sorpresa, sobbalzò spaventata. Fece scorrere gli occhi neri sui corpi ubriachi stesi lì accanto, ma nessuno dava segno di averla notata.

― Giostraio, ― ripeté impaziente la Voce di prima. Solo allora si accorse che le fiamme del braciere si erano fatte più intense.

Presa dal panico, senza riuscire a dare una spiegazione razionale all'accaduto, scappò in direzione delle scale poco distanti. Corse con il cuore in gola fino a quando il fiato non le si spezzò nel petto: imboccò corridoi, attraversò ponti, scavalcò gradini due a due per fuggire a quella Voce che la seguiva rimbombando nella sua testa. Tenne il volto sempre rivolto in avanti, a tratti con gli occhi chiusi, per non vedere le fiamme delle torce gonfiarsi al suo passaggio.

― Lasciami, lasciami in pace, ― sibilava all'aria che le frustava il viso, nella sua testa l'eco ansante della paura.

La camicia a fiori le aderiva al petto acerbo come una seconda pelle, i calzoncini di stoffa leggera pendevano sghembi sui fianchi magri, le scarpette impolverate stridevano sul terreno sabbioso ad ogni affondo. Corse per tutta la notte alla cieca, finché, stanca e avvilita, si fermò a prendere fiato contro il muro dell'ultima roccaforte della Brug der Zuchten. Oltre il grande portone, la vista si perdeva sui campi in fiore dalle corolle schiuse ad accogliere i primi raggi, l'alba si tingeva di sfumature rosa e arancio che arrancavano lente lungo la volta celeste, pigre nubi veleggiavano nel chiarore nascente. Profumi intensi, bagnati di rugiada, squarciavano il grigiore ristagnante della polvere impregnata di afa. La ragazza, con le mani tremanti per lo sforzo appoggiate alle ginocchia appena piegate, rimase immobile ad osservare affascinata quel quadro; aveva vissuto all'interno delle Hittegolf1, così era soprannominata la regione dalla gente della Capitale, fin dalla sua nascita, lasciando quel luogo solo per compiere piccole commissioni imposte da Michell. Un desiderio recondito si fece strada in lei, una bramosia che non riusciva a riconoscere, né a cui sapeva dare un nome. Immagini sepolte nel tempo presero a scorrere veloci aumentando in lei l'instabilità, già precaria per la mancanza d'aria causata dalla corsa, avvertendo prepotente su di sé la sensazione di cadere nel vuoto. Cercando di calmare il cuore impazzito, prese respiri lunghi e profondi focalizzando il pensiero sulla volontà di attraversare la porta e perdersi nella luce del mattino. Chiuse un attimo gli occhi e dal nulla, nello sconcerto più totale, dinnanzi le si materializzò un'altra lei china e avvolta tra le fiamme di un color viola intenso, tra le braccia reggeva una faretra. Cercò di urlare per attirare l'attenzione, ma la ragazza non si mosse, rimase in quella scomoda posizione fino a quando le fiamme si estinsero; sulla schiena nuda simboli runici galleggiavano inseguendosi senza sosta. Infine, la ragazza si alzò, raddrizzando la schiena senza alcun sforzo, senza dolore, come se nulla fosse accaduto. Osservò il viso della giovane rimanendo stupita dalla fierezza che mostrava: gli occhi d'ossidiana duri e determinati, le labbra serrate in una smorfia arrogante. La vide alzare il braccio in segno di vittoria, reggendo la faretra come un trofeo, Lei: l'unica degna di reclamarlo.

Kathell non afferrò l'importanza di quella visione.

Altre immagini si accavallarono in un crescendo sempre più confuso, un lungo tragitto fatto di scelte dolorose e tragici cambiamenti: la faretra si inoltrò in luoghi sempre più inaccessibili.

― Giostraio! ― La Voce la strappò dall'inconscio. ― Giostraio, non ho molto tempo, nessuno di noi in realtà ne ha più. ― Disse spiccia. Con occhi annebbiati immerse lo sguardo nella tenue fiamma della torcia appesa lì accanto. ― Fidati di me, devi fidarti di me! ― Iniziò con tono duro la Voce. ― Hai un compito e io sono qui per aiutarti. Mi chiamo Blauw, ― si presentò velocemente, ― come prima cosa devi sapere che... ― Stanca chiuse gli occhi e, mentre la Voce si stemperava nell'oblio, si lasciò cullare nell'assurda consapevolezza di poter assumere un ruolo importante per la storia del mondo.

Ritornò all'abitazione di Michell e, guardinga, oltrepassò la tenda. Si confuse tra le donne intente a preparare i deliziosi manicaretti che più tardi sarebbero stati serviti ai villani che, come ogni giorno, assiepavano la sala. Nessuno fece caso a lei mentre rubava delle piccole focacce all'aglio e rosmarino, era di casa. Come le aveva spiegato Blauw, attese con calma che i due grossi moleb scortassero Michell oltre l'immensa cucina, dopo un corto passaggio, dietro due porte in alabastro, verso la piscina termale. Il demone – ancora rabbrividiva al pensiero di ciò che era in realtà Michell, – si intratteneva in quella stanza per rigenerare la pelle e rivestire il corpo rendendolo, di nuovo, umano. Nel salone non trovò nessuno, infatti quello era l'unico momento della giornata in cui la stanza di Michell rimaneva incustodita. Kathell, rassicurata da questo, aprì la porta e lesta si intrufolò all'interno. L'odore del sangue la investì facendole rivoltare lo stomaco, orripilata chiuse gli occhi per non vedere le carcasse spolpate lasciate a terra, il pavimento umido, per un secondo, la fece pattinare rendendola instabile.

― Fai presto, ― le disse Blauw, ― ungiti il corpo con il sangue, così confonderai i moleb e otterrai un buon vantaggio sul demone. Sbrigati! ― Le urlò contro, vedendola tentennare.

Combattendo contro la nausea e l'orrore, Kathell immerse le dita tremanti nel liquido viscido e se lo spalmò sulle guance livide; un forte conato la fece piegare in due. Si lasciò scivolare in terra e, muovendosi appena, rotolò in quella vischiosa melassa imbrattandosi.

― Mi spiace, devo sembrarti senza cuore ma non hai scelta, sai bene che il demone non conosce la pietà. ― Aggiunse con tono duro mentre le fiamme baluginavano sulla pietra a ritmo delle parole. In risposta, la ragazza svuotò il contenuto dello stomaco fino a quando in gola non rimase che il sapore acido della bile, di certo più apprezzabile di quello ferroso che vi ristagnava prima. Barcollando raggiunse il camino e stancamente vi si appoggiò tenendo le braccia ben distese, piegò il capo al loro interno chiudendo gli occhi per combattere il capogiro; pessima idea. Boccheggiando e tremando vistosamente riaprì gli occhi e li immerse nelle fiamme rendendosi conto, sorpresa, di ricevere in cambio del conforto.

― Come faccio a staccarti da lì? ― Chiese con un filo di voce.

― Sei il giostraio, concentrati e lo scoprirai. ― Si limitò a rispondere criptica Blauw. – Più facile a dirsi che a farsi, – pensò indispettita Kathell, passando sovrappensiero le dita sporche sulla pietra che, al contatto, risultò strana: inconsistente eppure densa come l'acqua. Il sangue rappreso scivolò lungo la superficie, quasi evaporando in un filo di fumo arancio. Mise le mani in tasca ed estrasse un sasso blu trovato incastrato nello stivale di uno sconosciuto che dormiva su uno dei ponti. Pensierosa lo fece girare tra le dita, costruendo intrecci immaginari e perdendosi nei giochi di luce delle fiamme che ora si riflettevano sulla superficie lucida.

Sentiva scorrere dentro di sé l'urgenza dettata dalle parole di Blauw, ma la sua mente era deragliata, sospesa in visioni che non le appartenevano, rimanendo a galla tra due mondi. La pelle si increspò in modo fastidioso, come se piccoli insetti la punzecchiassero, e prese a sfregarsi le braccia vigorosamente; presto il pallore dell'epidermide scomparve, al suo posto fece capolino un tenue rossore. Fissò le lunghe dita arrossate, una strana corrente le attraversava rendendole calde e pulsanti.

Immerse le mani nel fuoco che l'accolse come il figlio tanto amato e finalmente ritrovato. Venne accarezzato, vezzeggiato e trattenuto, quasi che le fiamme fossero timorose di vederlo fuggire di nuovo lontano.

Sbatté le ciglia più volte, stringendo le dita e avvertendo in modo netto la contrazione dei nervi, le giunture rilasciarono un lieve schiocco.

Investito dalle fiamme, il ghiaccio brillava seducente e, mentre affondava le dita roventi, ebbro si ritraeva per fargli raggiungere il suo Inferno.

Scossa da un brivido che serpeggiò gelido lungo la schiena, Kathell distolse gli occhi dalle fiamme che quiete sembravano scrutarla fin dentro l'anima. Riportò l'attenzione sulla pietra e, con le unghie corte e mangiucchiate, ne delineò il contorno. Concentrata, la punta della lingua trattenuta tra i denti, scavò un piccolo solco nella roccia, improvvisamente friabile, fino a quando non riuscì a staccarla. Seppur euforica, era ben conscia dell'assurdità della situazione: come era possibile che fosse riuscita ad incidere il muro?

― Non fermarti ora, ― la incitò Blauw, distogliendola dai foschi pensieri, ― sostituiscimi con il sasso che hai in tasca e scappa. ― Disse perentoria. Kathell, senza pensarci, fece come le era stato ordinato, poi, inforcata la porta, uscì di corsa immergendosi nell'afa delle Hittegolf.

Tutt'intorno avvertiva un senso di oppressione che la confondeva, l'ammaliava. Lo sentiva attorcigliarsi alle gambe, risalire lungo la schiena, serrarsi stretto al petto, spettinarle i capelli liberi nella pesante brezza. – Era tutto sbagliato, – le urlava una voce nascosta tra i filari di mille pensieri. Con il petto scosso dall'ansia, le gambe molli dal terrore, scavalcò il parapetto e scivolò lungo le pietre lisce del ponte per atterrare leggera su uno dei colossi che lo adornavano. Aderì al caldo corpo statuario, benché l'ombra l'avesse avvolto da tempo, e appoggiò la guancia sul capo lucido. Rimase lì finché il cuore smise di galoppare, i piedi ben piantati sulle zampe ripiegate. Sopra di sé sentiva la vita scorrere invariata, ignara che un piccolo sassolino era sdrucciolato via frammentando la quotidianità. Chiuse gli occhi e dalle ciglia sgusciarono due lacrime gonfie di amarezza, con stizza si passò il braccio sul volto per venir investita da un forte odore ferroso; solo in quel momento si ricordò che aveva ancora il corpo sporco di sangue. Silenziosa come una faina, raggiunse il letto del fiume. Dietro una duna, lontano da occhi indiscreti, si denudò per poi immergersi nelle basse acque. Si strofinò la pelle fino a farla diventare quasi trasparente, sciacquò i vestiti e li stese sulle rocce infuocate; quando si sentì asciutta e pronta ad affrontare di nuovo il mondo, risalì lentamente lungo il letto del fiume cercando di tenersi in ombra, buttando ogni tanto un occhio ai ponti che la sovrastavano. Fu l'urlo rabbioso di Michell, riecheggiante tra le alte volte, a scuoterla. Svelta risalì la china e, temeraria, attraversò l'ultimo grande portale per poi tuffarsi nei campi fioriti cullati da una brezza fredda. Alle spalle, sempre più distante, la torrida Hittegolf veniva avvolta dalla nebbia.


 


 

Note autrice: questa storia partecipa al contest ”Poker d'immagini” indetto da Najara87 sul forum. Le immagini che ho scelto sono le seguenti:

Personaggio: http://www.pikky.net/ggk

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Alcuni nomi inventati li ho tradotti in olandese.

Buona lettura e sono graditi i commenti.


 


 


 

1 canicola in olandese

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Capitolo 4
*** Cap. 4 - Ridona Ciò che Deve Essere ***



 

Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

Cap. 4 – Ridona Ciò che Deve Essere

"L'Esistenza segue una strada tortuosa che riconduce al luogo al quale apparteniamo." ( non pervenuto )

Il cuore batteva furioso nel petto, rimbombando come un fischio pungente nell'orecchio per ripercuotersi, doloroso, su ogni ferita. Le ruvide foglie della Zoete Dood1 frustavano impietose la pelle esposta del viso, i lunghi fusti rigidi, ormai giunti quasi a maturazione, si spostavano indolenti al passaggio di Kathell; immersa in quel vasto campo nessuno avrebbe colto la sua corsa tra gli steli alti il doppio di lei. L'odore pungente emesso dalle piante avrebbe coperto il suo, così da rallentare e disorientare i grossi moleb che le davano la caccia. Li sentiva raspare rabbiosi e sbuffare come i mantici delle vecchie fucine della cittadina arroccata a ovest di Xabiana. Veloce, attraversò il campo in linea retta e, fermandosi sul ciglio, strappò alcune foglie per sfregarle sulla rigida divisa, fatta di grosse scaglie scure sovrapposte, che costituiva il suo indumento; le bastava raggiungere le alte piante che intravvedeva poco distante, saltare sui grandi massi racchiusi nelle possenti radici delle Mangrove Woestijn2 e far perdere le proprie tracce. Respirò a fondo cercando di regolarizzare il fiato ignorando il dolore dei muscoli per la troppa corsa. Chiuse gli occhi, le immagini dei giorni appena trascorsi presero il sopravvento.

Prima di lasciare la casa di Michell, Blauw l'aveva messa in guardia.

― Una volta fuori dal suo dominio diventerai una facile preda per i moleb, confonditi con gli xabianesi e assicurati di trovare un buon travestimento.

Grata per quei suggerimenti, aveva deciso di irretire una giovane guardia imperiale per rubare la sua divisa. Certo, una volta indossata aveva notato subito che le andava abbondante sui fianchi e il petto ci sguazzava dentro, comunque, faticando non poco, aveva tagliato la rigida stoffa che eccedeva e, tutto sommato, aveva ritenuto di aver fatto un ottimo lavoro; in fondo era solo un ripiego. Chiusa in uno dei tanti herberg3 disseminati lungo le vie malfamate di Xabiana, aveva osservato critica il proprio volto.

― Fai in modo che il tuo corpo perda alcuni tratti riconoscibili, ― aveva continuato Blauw con quel suo accento freddo che la metteva in soggezione, ― dovrai diventare un puntino anonimo in un oceano di sabbia.

A malincuore, dopo aver tinto i capelli di nero, aveva preso la triste decisione di tagliare i capelli; erano troppo lunghi e potevano impedire i movimenti. Aveva agguantato le forbici arrugginite poggiate a lato del lavandino sbeccato e, con un colpo secco, serrando gli occhi per non guardare, aveva chiuso le lame su una ciocca dei lunghi capelli lisci; una lacrima solitaria aveva solcato le gote per fermarsi poi ad ondeggiare stanca sotto il mento. Sospirando con mano tremate, aveva proseguito; il cuore sembrava voler sfondare il petto, le ridondava nelle orecchie spossato per il dolore. Polverose lame di luce si erano schiantate sulla lastra opaca dello specchio immergendo nell'ovatta il suo riflesso grigio; le labbra pallide, serrate in una piega rigida, avevano accentuato il senso di abbandono e vuoto che il nuovo taglio le stava donando. Si era sentiva nuda ed esposta come se chiunque, una volta soffermatosi a guardarla, avesse potuto leggere dentro di lei fino a sfiorarle l'anima. Dopo un paio d'ore di sonno e un pasto fugace si era buttata a capofitto tra la folla che assiepava il coloratissimo mercato e si era confusa tra la gente assorbendo gli innumerevoli aromi che stagnavano nell'aria densa del mezzodì.

Con rabbia scacciò i ricordi e, stringendo la lingua tra i denti fino a farla sanguinare, riprese a correre. La striscia di sabbia rovente, che precedeva le piante, si sollevò impalpabile avvolgendola come un velo da sposa invadendo la gola spalancata in debito d'ossigeno. Gli spessi stivali, in pelle rinforzata, la proteggevano dal calore incandescente del suolo. Davanti a lei, protetta dalle mangrovie, la Steengroeve si estendeva con tutti i suoi pericoli: rocce bianche, dalle forme allungate, erano addossate le une alle altre in un dedalo intricato; parevano pezzi di legno che un pigro gigante aveva abbandonato a se stesse. Cupe caverne, dalle bocche spalancate, rilasciavano gelide e fetide esalazioni mortifere; profondi baratri si inabissavano fin dentro il cuore della terra dove flebili lamenti raggiungevano la superficie; un vento forte spirava tra gli spezzoni di roccia facendo assumere al paesaggio l'aspetto del tipico incresparsi della pelle appena sfiorato da una ruvida carezza. Tenaci ciuffi d'erba crescevano disseminati ovunque, ognuno mostrava orgoglioso un delicato fiore dalle sfumature mai uguali tra loro.

― Per di qua! ― Sentì urlare, ― venite è passata da questa parte! ― Kathell, per un momento, davanti a quel paesaggio così unico, aveva dimenticato che le guardie la stavano inseguendo. ― Eccola! ― Gridò qualcuno in un punto imprecisato tra gli intricati rami delle mangrovie. ― Fermiamola prima che entri in quel labirinto! ― Fece eco un'altra voce. Sopra di sé, sentì il sibilo di uno sciame di frecce accompagnato dai latrati dei moleb. Riprese a correre senza voltarsi indietro, il dolore pungente che non l'abbandonava, certa che presto li avrebbero rilasciati dal momento che erano gli unici a potersi addentrare in quel luogo senza perdere l'orientamento.

Senza fiato, saltò una sporgenza dopo l'altra, svoltò a innumerevoli incroci, percorse infiniti dedali per risalire il labirinto e giungere al suo cuore. Sentiva ogni singola cellula del corpo pulsare dolorosamente, i polmoni sembravano prugne così secche che solo un refolo riusciva a scivolare in gola, era talmente stanca che ormai si trascinava sulle gambe che urlavano ad ogni affondo nella morbida rena. Nonostante tutto, era determinata ad andare avanti, anche se non capiva da dove scaturisse tutta quella feroce determinazione, sapeva solo che alla fine avrebbe trovato ciò che cercava, quello che la sua mente bramava di conoscere: Blauw le aveva promesso che finalmente avrebbe ottenuto tutte le risposte relative alla sua nascita. – Già Blauw. – Ancora non le era chiaro il suo ruolo, era certa che le nascondeva un indizio importante, quell'unico particolare che avrebbe reso possibile una nuova rilettura degli eventi.

Troppo stanca, non riuscì ad arginare in tempo la marea dei ricordi.

― Osserva la tua schiena, Kathell, ― aveva suggerito Blauw con emozione mal celata, mentre veniva lanciata tra le lenzuola sfatte. ― Memorizza ogni particolare e fanne tesoro. ― Aveva concluso. La ragazza era rimasta impietrita davanti al vecchio specchio che occupava l'intera parete della squallida camera dell'anonimo herberg in cui si era rifugiata. La tiepida luce del mattino era traspirata nebulosa tra gli scuri accostati e l'aveva colpita impietosa. Sulla schiena aveva intravvisto dei segni vergati con colori differenti: un arcobaleno che partiva dalla scapola sinistra e, dopo innumerevoli rivoluzioni, terminava un po' a destra della dolce fossetta tra i due glutei sodi.

― Ma cosa? ― Aveva domandato perplessa, la fiamma della candela, posta su un basso sgabello a lato del letto, aveva guizzato al suono della secca risata della pietra.

― Questo è il percorso per non smarrirsi dentro la Steengroeve, ― l'aveva illuminata Blauw, ― vedi l'ultimo punto, quello grigio? È lì che sei diretta ed è lì che ogni cosa riacquisterà un senso. ― Scuotendo mollemente il capo, Kathell era rimasta in silenzio per svariati minuti, il capo girato e gli occhi spalancati fissi sullo specchio.

Benché non avesse più di quindici anni, la sua vita era stata arricchita da numerose avventure che le avevano forgiato il carattere. L'aveva cresciuta Michell e ben presto aveva compreso che piangersi addosso non portava a nulla di buono. All'età di otto anni, dopo essere ruzzolata giù da una sporgenza, si era rotta due costole e il corpo vantava numerose ecchimosi di un viola intenso. Aveva pianto e si era lamentata per ore ma le sue urla le avevano soltanto procurato un castigo, che era perdurato fino alla guarigione; Michell l'aveva rinchiusa in una stanza dal soffitto molto basso con il compito di lavare i tegami che venivano usati per le focacce. – Non aveva fatto ungere il fondo così la pasta era rimasta attaccata, l'aveva obbligata a raschiarla via con un rastrello di legno per non rovinare i tegami. – Con il trascorrere del tempo, il corpo e l'anima si erano inaspriti e non vi era rimasto più spazio per le emozioni; la bambina spensierata che giocava all'ombra degli alti ponti si era disciolta nel calore delle Hittegolf, al suo posto era emersa una creatura fredda e dura come la pietra. Aveva imparato a cavarsela da sola, traendo beneficio dalle situazioni più improbabili, astuta e tenace, aveva tenuto testa a Michell diventando, infine, la sua ombra.

Ecco il fiore grigio. – Pensò esausta mentre, piegata in due, si appoggiava a una sporgenza rocciosa. Ansando rumorosamente, con il petto spaccato in due dalle fitte, fu investita della fresca brezza che sopraggiungeva dalla grotta spalancata dinnanzi a lei; tirò un sospiro di sollievo, rassicurata dal fatto che non si sarebbe inoltrata in una fornace.

― Ci siamo quasi, ― disse ad alta voce, facendosi coraggio. ― Un ultimo sforzo. ― Sospirò, guardando attorno con circospezione. Imbeccata da Blauw, lungo il sentiero aveva lasciato una pista falsa così le guardie con i loro moleb erano finiti nella Drijfzand4; eppure continuava a sentire su di sé uno sguardo di fuoco. Appoggiandosi pesantemente alle ruvide pareti trascinò un piede dopo l'altro immergendosi nel buio. La pesante canicola allentò la presa e rimase, gocciolando, imbrigliata all'entrata; un dolce suono, pareva il gorgoglio dei neonati, rimbalzava tra le ferite della roccia, unica guida per i suoi passi incerti. Il passaggio era stretto, quasi claustrofobico, sulle pareti ristagnava il buio denso di immagini spettrali che fluttuavano come riflessi negli occhi.

Pallide luci scorrevano su volti in ombra: scene di vite ataviche confuse con ricordi appena avvizziti. Uno su tutti lampeggiava di un bel rosso vivido: con i suoi colori caldi, il sole stava calando spegnendosi pigramente come la brace, irradiando il cielo di freddi raggi; le due lune immobili come statue di cera. Kathell stava seduta sul parapetto del ponte più alto di Xabiana, era intenta a giocare con la pietra, rigirandola tra le dita. Fu in quel momento che aveva avvertito i richiami delle guardie incitare i moleb; colta di sorpresa, la pietra le era sfuggita di mano per poi cadere nel vuoto sottostante. Eppure, era certa di aver udito la voce di Blauw soffiarle incitazioni mentre, col fiato in gola, scappava per non essere catturata.

Con cautela, slittò lungo la pietra strisciando le dita in cerca di ostacoli, fermando la traballante andatura solo quando la investivano gli eccessi della tosse; tutto doleva, persino pensare. Ad ondate, profumi delicati e stranamente familiari l'avvolgevano dilatando i polmoni e donando un effimero senso di pace; le sembrava di star tornando a casa, di ricongiungersi al ventre materno.

Pian piano, cullata dal buio, districò il gomitolo dei suoi pensieri e intessé il filo su un telo di memorie non sue: in quel mosaico Blauw era ovunque, annodata ad ogni ricamo, netta tra le varie cromature del tempo. Come un cancro, aveva intaccato dall'interno ogni resistenza indebolendo e corrodendo tutto ciò che era riuscita a raggiungere. In quell'istante, Kathell intuì cosa Blauw si era proposta di fare, con crescente orrore si rese conto cosa si aspettasse da lei e lì, inchiodata in mezzo al nulla, rise come una folle.


 

 

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Alcuni nomi inventati li ho tradotti in olandese.

Buona lettura e sono graditi i commenti.


 

1 Dolce morte in olandese

2 Mangrovia desertica in olandese

3 Ostello in olandese

4 Sabbie mobili in olandese

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Capitolo 5
*** Cap. 5 - Il cuore gelido dell'Inferno ***


 

Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

Cap. 5 – Il cuore gelido dell'Inferno

"Per l'anima è morte divenire acqua e per l'acqua è morte divenire terra, ma dalla terra nasce l'acqua e dall'acqua nasce l'anima" Eraclito

Con fatica, dopo un tratto in leggera pendenza, arrivò alla fine del tunnel e si immerse nella luce. Per un attimo, a causa del buio, i suoi occhi rimasero feriti dal chiarore, così, stremata nel corpo e nell'anima, si inginocchiò sulla riva del torrente che attraversava la grotta.

― Mi hai ingannata! ― La sua voce uscì a scatti, sofferente. ― Per tutto questo tempo non ho fatto altro che fare giudiziosamente tutto quello che mi hai chiesto, ― ringhiò frustata, passandosi sul viso una mano inumidita dall'acqua fresca, ― senza rendermi conto che era tutto un inganno. ― Ad ogni sobbalzo il petto bruciava, strinse nervosamente il pugno sul tessuto rigido come a cercare di trattenere tutto quel dolore. Lentamente spostò l'arto sulla ferita sotto il collo, uno squarcio lacerava la carne in profondità, e lo lasciò lì fino a quando il sangue non impregnò completamente il guanto. Si accasciò a terra esausta, il viso a un soffio dalle acque che, limpide, scorrevano placide tra piccoli sassi e ciuffi d'erba; la luce bianca pattinava sulla superficie lievemente increspata riflettendosi in sfumature rosa sulle pareti più scure della grotta. Avvertiva un senso di oppressione, una morsa incandescente che stringeva il petto, con tutte quelle scanalature della roccia sovrastante le sembrava di essere imbrigliata sul fondo della gola di un animale. Allungò il braccio e appoggiò la mano tremante sulla scapola, da lì il dolore si irradiava ad ondate dense; sgranò gli occhi stupita, non si era resa conto di avere tre frecce conficcate nella carne.

― È qui che hai sempre voluto che giungessi, ― ansimò sputando sangue, ― qui dove tutto ebbe inizio. ― Kathell si fermò a riprendere fiato poi, improvvisamente folgorata da un'idea, raddrizzò la schiena. ― La faretra non si è mai mossa da qui, ― sussurrò piano con voce trasognata, come se finalmente ogni tassello fosse andato al suo posto.

― Ahahahah. ― Inaspettata giunse alle spalle la stridente risata, sinistra e sibillina come la creatura che l'aveva generata; Kathell furtiva, stringendo i denti per non gemere troppo forte, sfilò una delle frecce dalla schiena. ― E tu, mia cara, hai fatto esattamente ciò che volevo. ― La risata continuò aspra e ruvida ad un passo dal suo viso.

― Ti senti realizzata, Carny? ― L'apostrofò Kathell con disprezzo, alzando il volto per incrociare il suo sguardo. ― Non guardarmi così, con quegli occhioni stupiti, ― la derise, stringendo la freccia tra le dita e nascondendola alla vista.

Ringhiando, Michell si avventò su di lei afferrandola per la gola, strinse il collo senza trovare alcuna resistenza e immerse le iridi ardenti in quelle ormai opache della ragazza.

― Come, cosa sai? ― balbettò, perdendo l'abituale compostezza. ― Kathell rise o, meglio, boccheggiò nella morsa micidiale di Michell; la presa sulla freccia perdeva lentamente vigore.

― Non sarò io a svelare i segreti di questo luogo, ― rantolò in cerca di ossigeno, una smorfia amara cercava di prendere forma sulle labbra spalancate.

― Di cosa stai cianciando stupida ragazzina! ― Ringhiò innervosita Michell.

― Lasciala andare, ci serve viva! ― L'interruppe Blauw.

Esterrefatta, Michell lasciò la presa e Kathell crollò al suolo con un guaito di dolore: la spalla pulsò e la gola arse dopo l'atroce stretta, i polmoni bruciavano per la mancanza d'aria e la mente tremò nello sforzo di rimanere sveglia. Seppur intontita, cercò più volte di rialzarsi ma il corpo, scosso dagli spasmi, ricadde ogni volta nella ghiaia bianca che accompagnava il gelido torrente.

― Blauw? ― chiese incerta il demone, ― Come sei arrivata fin qui? ― Sospettosa, guardò il corpo accasciato di Kathell, poi, colta da un improvviso senso di rabbia e di timore, le tirò un poderoso calcio che la fece rotolare più in là. ― Hai rubato la pietra? ― Latrò stupita, per poi sferrare un altro colpo. ― Miserabile stronza, come ci sei riuscita? ― Urlò in preda alla furia.

― Fermati. ― Kathell riuscì a stento a farsi sentire, ― fermati, non ce l'ho, controlla tu stessa, ― aggiunse un attimo prima di perdere conoscenza, sotto la coscia la freccia premeva come a volervi entrare.

― Lascia perdere, non c'è tempo per questo. ― Si intromise Blauw, ― trova la faretra! ― Le intimò.

― Certo, hai ragione. ― Sbattè più volte le ciglia per riprendere contegno. ― Conciata così non credo sia riuscita ad addentrarsi molto nella grotta, ha avuto ben poco tempo per nasconderla. ― Constatò Michell guardando intorno, meditabonda.

Il tunnel d'entrata era un punto nero che spiccava sulle pareti striate dai riflessi dell'acqua. Piccoli arbusti crescevano lungo l'argine e a ridosso del muro della caverna dal soffitto infinito. La tiepida luce proveniva dall'alto e si disperdeva come la bruma estiva sui campi bagnati dal temporale. L'acqua bassa scorreva lenta, formando piccole pozze improvvisate tra i sassi chiari; non si intravedeva la foce, però era evidente il punto in cui, complice una lieve cascata, il torrente si tuffava sotto la roccia dopo una repentina svolta a destra. In quel punto, illuminata da un fascio dorato, un strana pianta cresceva libera e immensa. Le grasse foglie della base erano arcuate verso l'alto con i pungiglioni duri, lunghi parecchi millimetri. Quelle nel mezzo erano come strette braccia attorcigliate tra loro, mentre le restanti facevano da corona con le punte agghindate in dolci collinette. Il verde scuro era una spennellata in contrasto con il pallido giallo che contornava le foglie. Michell si avvicinò affascinata, sembrava stregata dalla magnificenza della pianta, e allungò la mano per accarezzare quelle grosse foglie carnose: al tocco risultavano vellutate, senza difetti.

― Ahi! ― Esclamò sorpresa, uno dei pungiglioni era entrato nella carne del polso. Una piccola goccia di sangue scivolò lungo la pelle ambrata e, poco prima di infrangersi su una delle foglie protese verso l'alto, rimase per qualche istante sospesa nel vuoto. Michell osservò il suo lento discendere verso la base e infine sparire tra l'attaccatura delle stesse.

― Presto, fai rinvenire Kathell, ― la richiamò Blauw.

Michell si affrettò a tornare dalla ragazza stesa sui sassi. L'afferrò per i capelli e le immerse il viso nell'acqua gelida finché non riaprì gli occhi stanchi; su una guancia livida era impressa la forma di una conchiglia. Kathell sbatté le ciglia più volte mentre il torpore l'abbandonava per lasciare il posto alle fitte dolorose che investivano ad ondate il corpo. Michell la teneva saldamente per i capelli tanto che la cute cominciò a formicolare; per un attimo socchiuse gli occhi, cercando di farsi venire un'idea per come liberarsi dalla presa ferrea. Muovendosi con cautela, provando ad assumere una posizione più comoda, le dita sfiorarono la freccia in parte sepolta sotto la coscia; senza fare mosse false, la sfilò per poi stringere l'asta nel pugno. Michell, con forza, le reclinò il capo all'indietro e inchiodò gli occhi gialli nei suoi, un brillio infuocato incendiava le iridi verticali; la frangia sfuggì alla massa dei capelli corti e morbidamente si adagiò sulla fronte, ombreggiando gli occhi neri della ragazza. Muovendo a scatti la pupilla, Kathell mise a fuoco quello che le circondava fino a quando il suo sguardo non si soffermò in un punto alle spalle del demone. Sullo sfondo, una pianta mai vista prima si stava lentamente aprendo a ventaglio: le grandi foglie al centro si staccavano con silenziosi schiocchi producendo lanugginosi filamenti. Come la lingua di un pacifico formichiere, dal suo interno sgusciò un ramo, all'apparenza rinsecchito, che reggeva un oggetto scuro; la distanza non permetteva di capire di cosa si trattasse. Doveva aver stampata sul viso un'espressione davvero comica perché Michell girò di scatto il collo; Kathell, per un folle secondo, sperò che le si spezzasse.

― Kathell, ora! Fallo ora! ― Sentì il sussurro suadente di Blauw stemperare la foschia che le si era annidata in testa.

Approfittando della distrazione e della morsa ormai allentata, Kathell impugnò saldamente la freccia, raccolse le sue ultime energie, e, con un guizzo veloce, la conficcò in profondità nella pelle tenera del collo, ad un millimetro dalla vena pulsante. – Per fortuna Michell è nella sua forma umana – pensò – altrimenti nulla avrebbe perforato la pelle coriacea del demone. – La donna non ebbe neanche il tempo di urlare, scivolò al suolo allargando gli occhi come un gufo per la sorpresa, le dita prontamente intrecciate alla freccia. Cercò di parlare ma il timore di peggiorare la situazione gelò ogni suo tentativo rendendola docile e remissiva. Kathell le salì in grembo bloccandole i polsi al terreno; senza rendersene conto assunse la tipica posa del demone quando si nutriva.

― E ora, mia cara, mi darai tutte le risposte che voglio sapere. ― Soffiò perentoria nell'orecchio di Michell mentre con perfidia sfiorava la freccia con le unghie corte; avvertì nettamente il brivido di paura scuotere il demone. Sorrise cattiva. ― Per cominciare dimmi da dove vengo, e poi...

― A questa domanda posso rispondere tranquillamente io, ― si intromise Blauw, ― sei nata in un villaggio sul versante ovest del monte che domina Xabiana, da contadini poveri. I tuoi genitori sono morti poco dopo la tua nascita e ti ha allevata tua nonna...

― Kievien. ― L'interruppe trasognata Kathell, quel nome le era venuto in mente dal nulla, come se fosse stato sempre presente, solo inaccessibile.

― Esatto. ― Continuò per nulla turbata Blauw. ― All'età di sei anni ti fu svelato il tuo compito e, in quella stessa notte, Michell attaccò il villaggio per nutrire se stessa e i suoi moleb. Quando ti trovò, la convinsi a risparmiarti la vita facendo di te la sua schiava.

― Quindi tu hai ucciso la mia famiglia! ― Ringhiò Kathell, cominciando a tirare pugni sullo stomaco del demone, i colpi affondavano senza trovare alcuna resistenza. ― Ora dimmi, stronza di una cagna, dimmi perché cerchi la faretra! ― Berciò mentre lacrime colme di rabbia scivolavano lungo le gote accaldate.

Lentamente, senza fare bruschi movimenti col collo, Michell raccontò di essere stata scelta, dopo aver superato prove terribili, per distruggere un essere infernale che stava decimando l'umanità. Disse di essere stata indottrinata dal più grande alchimista dell'epoca e, forte delle sue conoscenze, aveva forgiato un'arma ed elaborato un artificio che le permettesse di prosciugare il mostro della sua linfa vitale: tronfia e fiera di se stessa era partita per la caccia. In realtà, confessò, fu abbastanza semplice trovarlo, in fondo le bastò seguire la scia degli scempi che perpetrava, e, dopo averlo condotto con l'inganno nel cuore della Valley Korenbloen, lo uccise.

― Tutti qui? ― Chiese incredula Kathell.

― Il vero problema sorse dopo. ― Bisbigliò imbarazzato il demone voltando il capo di lato. Subito lo riportò diritto, mentre la bocca si piegava in una sottile smorfia di dolore; dalla ferita sul collo scese una piccola goccia rossastra. ― Dopo averlo ucciso, ― riprese a raccontare, ― percepii nettamente l'enorme potere che tenevo tra le mani, una tale forza devastatrice che nessuno era in grado di domare; tranne me. Devi sapere che avevo studiato ogni dettaglio, ogni variante, ogni possibile imprevisto. Avevo assemblato personalmente l'arma, imbrigliando formule chimiche assieme a quelle più arcane, unendo componenti umane e animali. Avevo sputato sangue, letteralmente, e alla fine assemblai le frecce. ― Riprese fiato, ― secondo antichi studi esiste una disciplina medica che, attraverso un procedimento ben preciso, ridona l'equilibrio ad un corpo malato, io mi sono limitata a invertire il processo. ― Chiuse gli occhi, ― ho scagliato le frecce seguendo quelle indicazioni, un percorso già deciso alle origini del tempo, ma, invece di liberare l'energia, i miei dardi la risucchiavano, diventando così ribollenti incubatrici di malvagità. ― Concluse, sospirando piano.

― Quindi la faretra che stavi cercando contiene le frecce con l'essenza di Làm Nhùc Xàu. ― Ponderò pensierosa. ― Poi che successe?

― Ho un ricordo nebuloso degli eventi successivi. ― Per un momento eluse lo sguardo vigile di Kathell, forse per aver modo di riordinare la confusione in testa. Imbarazzata, cominciò ad agitarsi cercando di sottrarsi all'agile corpo della ragazza, ottenne solo l'ulteriore affondo della freccia nel collo. ― Ti prego lasciami andare. ― Piagnucolò esausta; non servì a nulla.

― Non ci penso proprio. ― Disse, afferrando malamente i polsi di Michell e schiacciandoli al suolo, ― perché invece non chiediamo a Blauw di aiutarci?

― Blauw, cosa centra Blauw adesso? ― Domandò perplessa il demone. Kathell sorrise ferina.

― Ma come, mia cara, ― la derise, ― non l'hai ancora capito? ― La guardò con civetteria sbattendo le ciglia scure, ― Blauw è l'inizio e la fine di ogni cosa. ― Enunciò enigmatica.

Michell si chiuse a riccio e soppesò le ultime parole, poi, con nuovo vigore, riprese a parlare. Raccontò dell'improvviso disagio che l'aveva colta, della confusione che da quel momento regnò nella sua testa, dell'impellente necessità di agire, di muoversi, di fare qualunque cosa! Incerta se proseguire nel racconto, si concesse un secondo per riordinare i pensieri, infine, rassegnata, aggiunse: ― Le frecce sono parti di me e nella mia testa sentivo i loro richiami, le loro suppliche infinite per porre fine alla lontananza. ― Con un veloce guizzo passò la lingua sulle labbra secche. ― Era un doloroso tormento cercare di resistere, sentivo il cuore chiuso in una morsa lacerarsi, sfaldarsi lentamente. ― Il demone proseguì rivelando che, prima di riuscire ad allontanarsi dalla Valley Korenbloen, si era sentita sopraffare da un profumo tanto intenso da stordirla e farle perdere il contatto con la realtà.

― Tutto questo è commovente, davvero, ma non spiega di certo cosa è successo! ― Incalzò Kathell con un ringhio.

― È stato il fiore di questa pianta, ― si intromise Blauw. La sua voce era ovunque, limpida e cristallina come l'acqua, dura e forte come la roccia, ricca e densa come la terra, leggera e profumata come l'aria. ― È un'agave1, ― spiegò loro, ― un magnifico e raro esemplare di agave. Si narra che la sua esistenza ruoti intorno ad un unico evento e che per esso non esiti a donare la propria vita. ― Concluse senza aggiungere altro.

― Che vorresti dire? ― Chiese perplessa Kathell, gli occhi gialli di Michell riflettevano la stessa domanda. Una risata dolce e sommessa increspò le acque che scorrevano tranquille mentre una lieve brezza accarezzò i loro volti.

― È stato il profumo del mio fiore a stordirti, ― rivelò Blauw.

― Sei la pianta?! ― Balbettò sconcertata Michell.

― In effetti sono molte cose, ― rispose, ― quindi sì, posso confermare che sono anche l'agave.

― Ma certo! ― Esclamò euforica Kathell, ― ora il quadro è completo, ― disse voltandosi ad osservare la pianta con maggiore interesse. Ben nascosto, sotto le grosse foglie ricurve, un bagliore attirò la sua attenzione; gli occhi innocenti si sporcarono della più crudele delle verità. ― Suppongo che l'agave rivesta un ruolo chiave e che la sua presenza non sia un caso, ― riprese Kathell con tono pungente, ― però continuo a non capire come tu possa essere diventata quello che sei. ― Fece scemare la voce fino a un borbottio indistinto.

Michell tornò ad agitarsi e questa volta riuscì a liberarsi del peso della ragazza. Ruotò su se stessa e, seppur con fatica, la mano premuta sulla freccia conficcata nel collo, si alzò e, barcollando leggermente, cercò di raggiungere la pianta. Il fusto rinsecchito tratteneva la faretra che dondolava pigramente a mezz'aria; al tocco di Michell la lasciò andare e, con un goffo tonfo, andò a schiantarsi sul terreno sassoso. Kathell raggiunse il demone in un baleno e l'imprigionò di nuovo, a terra.

― Non ci provare, stupida creatura, ― sputò in un soffio dalla bocca, ― la tua occasione l'hai avuta; stai pur certa che non mi lascerò sfuggire la mia. ―

Dopo interminabili minuti di silenzio, in cui le due si squadrano con odio, Michell, seppur contro voglia, riprese a parlare.

― Credo di essere rovinata in terra, ― disse con voce sommessa, ― la faretra mi è sfuggita di mano e il suo prezioso contenuto si sparpagliò al suolo. Nel vano tentativo di raccoglierlo, con la vista ormai completamente annebbiata, mi sono ferita; qualcosa di appuntito mi ha graffiata sul viso e sulle braccia. Mi sono ritrovata a carponi tra i sassi, stordita e quasi cieca, ho allungando il braccio per sorreggermi quando un dolore lancinante mi ha investito lasciandomi senza fiato; mi sono accorta troppo tardi che una freccia si era conficcata nel palmo della mano. È stato atroce, ― ricordò Michell rabbrividendo, ― almeno finché non l'ho sfilata e, con un guizzo di residue energie, l'ho conficcata nella massa verde che riempiva la mia visuale. Poi sono caduta all'indietro; ho percepito nettamente il tonfo e il gelido abbraccio del fiume, l'acqua che scorreva impetuosa attorno a me, poi più nulla. ― Si fermò un istante e, con un gesto inconsapevole si grattò la cicatrice sul palmo. ― Quando sono rinvenuta la prima cosa che ho visto nello spalancare gli occhi è stata una pietra blu. Mettendo a fuoco mi sono resa conto che luccicava in modo strano, seguendo quasi un ritmo. L'ho fissata a lungo cercando di muovere il corpo che sembrava fatto di pietra. Pian piano sono arrivati anche i suoni e una voce gelida che mi investiva in sincronia con la cadenza della pietra, almeno così mi è sembrato. Mi ricordo che ho esclamato: "Blauw!" E tutto tornò a farsi di nuovo buio. ― Sospirò fiacca, affranta.

― Non ti sei resa conto di nulla? ― Esclamò stupita Kathell, mentre il demone le piantava addosso uno sguardo perplesso. ― Non ti sei posta nessuna domanda, non hai avuto nessun dubbio, ti sei alzata e hai... ― si interruppe schifata, ― vissuto.

― Cosa c'era da capire! ― Si infervorò Michell, ― Blauw, una volta che sono tornata lucida, mi ha detto che un tale giostraio mi aveva derubato della faretra, che, se necessario, avrei dovuto dare la caccia a tutta la sua progenie fino a quando non sarei ritornata in possesso di ciò che era mio di diritto!

― Stupida creatura, meriti solo il mio disprezzo! ― Con un gesto repentino le estrasse la freccia dal collo. Il sangue prese a scorrere denso lungo il collo ambrato del demone che iniziò a boccheggiare. ― Dentro di te scorre un'infinitesima goccia del potere di Làm Nhùc Xàu, sottratto in parte alla freccia. Stordita dal profumo, che per inciso è quello del fiore della pianta alle nostre spalle, hai conficcato la freccia nell'agave lasciando che il resto dell'essenza la nutrisse. ― Kathell osservò con avida curiosità il vuoto prendere possesso degli occhi del demone. ― L'agave fiorisce una volta sola e poi muore. ― Continuò a parlare incurante della vita che scivolava via da Michell. ― La freccia l'ha resa eterna: attraverso la terra, l'acqua, le spore e l'aria ha invaso tutto il territorio rendendolo arido e inospitale così da creare un bacino inespugnabile dove poter custodire la faretra e se stessa. ― Trascinò il corpo esanime del demone fino all'agave, aspettò paziente che tutto sangue defluisse e attese di vederlo completamente assorbito dal terreno poi infilò il bracciò tra le foglie carnose, procurandosi numerosi graffi, e finalmente estrasse la freccia. Attese ancora qualche secondo poi urlò a gran voce:

― Blauw!

Solo l'eco della sua voce rispose.

Soddisfatta raccolse la faretra e, zoppicando, si diresse al tunnel immergendosi nel buio, un attimo prima che l'altissimo fusto aprisse le profumate corolle alla luce; le spore, libratesi nell'aria, la sporcarono di un viola intenso. Uscita all'aperto si sdraiò sulla roccia bianca che sovrastava l'entrata, guardò per lunghi minuti il cielo incandescente socchiudendo gli occhi per non rimanere ferita dal sole accecante. Un largo sorriso faceva bella mostra di sé sul viso stanco e dai tratti ancora fanciulleschi. Sentiva l'essenza di Làm Nhùc Xàu reclamarla, pretenderla; si era nutrita per anni con i frutti del terreno contaminato dall'agave ed ora era giunto il momento del Tributo. Nella mente splendevano a chiare lettere le ultime parole pronunciate dalla nonna, quelle che, ormai incosciente, non aveva udito: – Ricorda, bambina mia, ricorda che desidera riunirsi più di ogni altra cosa e nulla lo fermerà. Lentamente, estrasse una freccia e ne accarezzò la punta, avvertì immediatamente un brivido correrle lungo la spina dorsale che le fece inarcare la schiena dal desiderio. Gemette piano e, dopo aver preso un grosso respiro, impugnò l'asta e lo conficcò in profondità nel primo punto come indicato dalla mappa che campeggiava splendente sulla sua schiena.

Fu così che ogni cosa riprese il suo corso, esattamente da dove Carny l'aveva interrotto.


 

Note autrice: questa storia partecipa al contest ”Poker d'immagini” indetto da Najara87 sul forum. Le immagini che ho scelto sono le seguenti:

Personaggio: http://www.pikky.net/ggk

Paesaggio: http://www.pikky.net/hgk

Oggetto: http://www.pikky.net/jgk

Scena: http://www.pikky.net/kgk

Ulteriori note: mi sono iscritta a questo contest con le idee ben chiare su come utilizzare l'oggetto da me scelto, ancora prima di aver sviluppato una trama, ad essere sincera. La cultura orientale è affascinante e offre spesso spunti di riflessione. In questo caso mi sono interessata all'agopuntura, vuoi per un brutto ricordo a causa di un film in cui dei tizi avevano aghi ficcati su tutto il viso, o vuoi per la curiosità di comprendere come si possa aderire all'idea di essere bucherellati ovunque. In pratica l'agopuntura consiste "nell'inserire aghi in taluni punti del corpo umano al fine di promuovere la salute ed il benessere dell'individuo: secondo la medicina tradizionale cinese, stimolando questi punti si possono correggere gli squilibri del flusso del qi attraverso canali conosciuti come meridiani”.2 Premesso questo, il mio pazzo cervello ha elaborato l'idea che, se un ago usato correttamente porta giovamento, usato in maniera alternativa può recare danno. Ecco la mia brillante idea: usare le frecce come arma impropria per "prosciugare" letteralmente della sua "essenza" un corpo seguendo il principio dell'agopuntura. Scusatemi se ho volato troppo in alto con la fantasia.

Alcuni nomi inventati li ho tradotti in olandese.

Buona lettura e sono graditi i commenti.


 

1Tratto da il linguaggio dei fiori : Nel linguaggio dei fiori e delle piante il fusto contenete i fiori dell’agave simboleggia la sicurezza, regalare una pianta di agave ad un amico significa che si considera il sentimento di amicizia sicuro e fermo, desiderio di un’amicizia eterna. Il significato di eternità e sicurezza prese vita nel corso dell’800 e fu legato al fatto che questa pianta, data la sua maestosità, non porta alla mente nessuna immagine di distruzione o morte. L’agave ha, però, un altro significato, dovuto alla particolarità di fiorire una sola volta prima di morire, rappresenta infatti un amore talmente grande che arriva a distruggersi.


 


 

2Notizie prese da questa fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Agopuntura

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