Pandora

di Pepaleon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultimo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** Il vaso ***
Capitolo 3: *** La stanza blindata ***



Capitolo 1
*** L'ultimo giorno di scuola ***


Quella mattina fu una voce lontana ad insinuarsi nel suo sogno, ma come ogni mattina non voleva svegliarsi, non ancora almeno. I suoi erano sogni così dettagliati, così reali che avrebbe potuto pensare di essere sveglia se non si fosse trattato di luoghi e persone, che era certa non aver mai visto né conosciuto. Si trovava all’interno di una grande stanza, il pavimento in parquet di canne di bambù che, a giudicare dalle innumerevoli tacche sparse in tutta la stanza e dalle condizioni del legno, doveva essere molto vecchio. Appese lungo tutte le pareti vi erano molte armi di vario tipo tutte di origine orientale, altre invece erano sparse lungo tutto il pavimento. Quella stanza aveva solo tre pareti, e al posto della quarta, dei pilastri a sostegno della struttura che permettevano di entrare e uscire liberamente. Non era sola nella stanza, con lei c’era un ragazzo, più alto di un paio di centimetri, i capelli di un castano molto scuro che richiamavano il colore dei suoi grandi occhi. Il suo corpo sembrava stanco, respirava affannosamente, ma sul suo viso non c’era ombra di stanchezza, al contrario, sembrava essere la persona più felice del mondo. I suoi occhi la guardavano in un modo che avrebbe sciolto con facilità anche un iceberg intero. La osservava rimanendo immobile davanti a lei, aspettando che si decidesse a fare qualcosa. E qualcosa infatti accadde. Due calci uno dietro l’altro preceduti da un salto con mezzo giro in aria, che sarebbero stati causa, come minimo, di una forte contusione interna, se lui non li avesse parati entrambi con estrema facilità. Così ricominciarono a lottare, entrambi sferravano ripetuti colpi, coscienti che sarebbero stati schivati o parati senza fatica dall’altro e, non appena lei si ritrovò per l’ennesima volta spalle al muro, provò a liberarsi, ma stavolta lui la riportò al suo posto. 

<< Devo essere davvero un pessimo maestro se questo è tutto quello che sai fare >> dal tono della sua voce si capiva che, al contrario delle sue parole, non era per niente dispiaciuto del fatto di riuscire a dimostrare ancora una volta chi fosse il più bravo fra i due.

 << Non devi mai sferrare un attacco alla cieca. Fissa un obbiettivo e poi raggiungilo! O almeno provaci >> disse compiaciuto. Avvicinò il suo viso a quello della ragazza, tanto che lei riuscì a sentire il suo respiro sulla pelle, il suo sguardo si spostava dai suoi occhi alle sue labbra. Lei gli sorrise piegando leggermente la testasi avvicinò al suo orecchio.

<< Chi dice che non ti trovi esattamente dove volevo che fossi? >>

<< Beh >> rispose << sarebbe un caso atipico, in cui non ci sono sconfitti ma solo vincitori >> incalzò lui, lasciando che la sua mano scorresse dal suo braccio alla nuca le sorrise, mentre i loro volti si avvicinarono. D’un tratto fu come essere risucchiati da un vortice;  

<< Ehi Hope, forza svegliati, andiamo, non ho mica studiato un intero giorno per saltare l’ultimo esame di questa stra maledettissima scuola! Quella befana non aspetta altro, Muoviti! >>.

Era Danielle, o Elle come era solita chiamarla Hope, la sua migliore amica dall’età di otto anni. Il giorno che si conobbero era un giorno che Hope non si stancava mai di descrivere nei minimi particolari, ogni volta che qualcuno aveva l’ardire di chiedere come si fossero incontrate le due ragazze.

<< Ero fuori in giardino >> iniziava il suo racconto << era l’ora della merenda e io me ne stavo per i fatti miei, seduta su una panchina vuota ad ascoltare della musica che proveniva dal negozio di dischi al di la della strada. Quando una bambina molto capricciosa e superba di nome Esmeralda, decise che ero seduta proprio sulla SUA panchina e, con toni molto poco gentili e cordiali, mi chiese di andare a depositare la mia pallida “carcassa” da un’altra parte. Io la guardai per qualche secondo sperando, invano, che dietro me ci fosse qualche altro bambino al quale potevano essere rivolti quegli insulti. Non c’era nessuno. Feci per alzarmi quando in quel preciso istante Elle saltò sulla panchina, quasi urlando. -Ciao!- mi disse- Scusa il ritardo, ma la l’insegnate mi ha messo in punizione. Ho tagliato i capelli a una bambina fastidiosa che non la smetteva di fare la prepotente.- Disse quelle cose guardando Esmeralda,che spaventandosi andò via senza dire una parola e con il viso rosso almeno quanto i suoi capelli >>. Il racconto terminava con delle grosse risate da parte di entrambe le ragazze nel ricordare quella piccola bambina smorfiosa.

Da quel momento a separarle furono soltanto le ore di lezione, Elle era una classe più avanti, almeno fino a quando in quinta elementare non decise che avrebbe voluto provare il brivido della bocciatura.

Hope si strofinò gli occhi, odiava doversi svegliare per andare a scuola;

<< Sì sono sveglia, mi sto alzando! Non permetterei mai che il tuo unico giorno di studio di matematica vada perso a causa mia, tranquilla >> disse con un aria infastidita che lasciò subito spazio ad un sorrisetto. Prese il cuscino da sotto la testa e glielo lanciò, con quella che era una pallida imitazione di tutta la sua forza. Elle lo afferrò al volo, 

<< Ehi Bambi, ritira le corna! >>. Bambi, era il soprannome che aveva dato ad Hope per via del suo carattere spesso troppo tenero e ancor di più per via dei suoi “bellissimi occhi marroni”, che per l’amica avevano sempre avuto un non so che di speciale. 

<< Sfoga la tua rabbia repressa con chi se lo merita, non con una povera ragazza che ha fatto solo il suo dovere di migliore amica non facendoti saltare l’ultimo giorno di esame >>. Le ritirò il cuscino dritto in pieno viso, Hope non era ancora abbastanza sveglia e attiva per poterlo parare a sua volta.

<< Ma come fai a dormire così tanto? E così profondamente poi! Sembri entrare in una specie di trans. Ho dovuto chiamarti mille volte prima che cominciassi a dare segni di vita. Come fai quando non ci sono io? >> disse già davanti l’armadio pronta a scegliere vestiti che puntualmente l’amica si rifiutava di indossare.

Hope a malincuore sapeva che era giunto il momento di alzarsi;

 << Sai, un po' di tempo fa mi hanno regalato. Uno strano aggeggio elettronico che funziona a batterie. Ha una strana funzione, tu lo regoli ad un orario e quello si mette a suonare non appena arriva quell’orario. Mi pare si chiamasse sveglia o qualcosa del genere >> le disse sorridendo con una finta aria da smorfiosa.

<< Davvero molto spiritosa Bambi >> rispose Elle continuando a frugare fra i vestiti;

<< No davvero, non penso sia normale dormire così profondamente, che cosa hai sognato stavolta? >>. Hope non rispose per un’ovvia ragione che Elle non tardò a capire, si girò guardandola e le sorrise; 

<< Hai per caso fatto un altro dei tuoi sogni a luci rosse? >>.

<< Smettila >> le disse infastidita << non era nulla del genere, e se anche fosse non verrei di sicuro a dirlo a te >> andò verso la poltrona accanto l’armadio e prese i vestiti che aveva già preparato la sera prima.

<< Si certo, a chi dovresti raccontarlo? A tuo fratello? Sai che ridere! E poi non fare tanto la santarellina, conosco quello sguardo, guardami negli occhi e dimmi che stanotte non hai sognato un focoso ragazzo  di chissà dove >>.

Hope non provò nemmeno a mentirle, non avrebbe avuto senso, in parte perché non ne aveva mai sentito il bisogno, ed in parte perché aveva la certezza che, anche se le avesse mentito, ad Elle sarebbe bastato uno sguardo per accorgersene. Così si limitò a raccogliere i vestiti e dirigersi verso il bagno;

<< Aaaaah >> esclamò l’amica compiaciuta che cominciò a starle dietro << sapevo che avevo ragione, i tuoi occhi parlano Bambi. E com’era? Quanto gli daresti da 1 a 10? Lo conosco o è un’altro dei tuoi personaggi fatiscenti che non avremo mai la fortuna di incontrare? >>. Hope continuò a camminare verso il bagno, sperando invano che l’amica si stancasse presto di farle domande. In realtà sapeva che non sarebbe accaduto, quindi non appena si chiuse la porta del bagno alle spalle, decise di raccontarle per filo e per segno il sogno che aveva interrotto proprio sul più bello.

<< Scusa >> disse Elle non appena il racconto finì << io come facevo a sapere che avevi un appuntamento immaginario con un ragazzo super sexy che non esiste? Ti avrei fatto dormire ancora un po’, almeno il tempo di salutarlo come si deve >> disse ridendo picchiettandole un braccio con il gomito.

Tornate in stanza riempirono gli zaini con enormi libri, Elle spostò la conversazione su un argomento che stava molto a cuore ad entrambe,

<< Hai già scelto cosa metterai per il concerto? >> le chiese.

Hope si fermò e, con un riflesso incondizionato, si girò verso il calendario che aveva appeso dietro la porta della camera, sul quale erano segnati i giorni che le separavano dal concerto che avevano aspettato per così tanto tempo. Non era il momento di discutere di questo, sarebbero dovute rimanere concentrate per l’ultimo test che le separava dal diploma, per lei non sarebbe stato un problema, ma per Elle era diverso. Camminava costantemente sul filo del rasoio, diceva che la vita andava vissuta; 

<< Sapere le cose ti fa vivere meglio, ma non puoi vivere solo per imparare cose >>. Non le importava dei brutti voti o delle note, che continuava a prendere per i motivi più assurdi del mondo, perché a lei bastava poter continuare ad andare avanti fianco a fianco con la sua migliore amica. Ma proprio per questo motivo quell’esame era così importante: Elle doveva superarlo o addio diploma. Così Hope si limitò a rispondere semplicemente; 

<< No, non ancora >> e si rimise a preparare lo zaino.

<< Aspetti questo momento da secoli, come fai a non essere al settimo cielo sapendo che fra un paio di mesi li avrai a un paio di metri da te? >>. La guardava come se fosse pazza, chiudendo lo zaino Hope cercò di imitare un tono di voce tranquillo tenendo rigorosamente gli occhi bassi.

<< E’ solo un concerto, non è la fine del mondo >> nemmeno lei credeva a quelle parole, che possibilità c’erano che ci credesse Elle? Nessuna, difatti non appena Hope si diresse verso la porta per uscire dalla stanza, l’amica la superò e le si fermò davanti bloccandola.

<< Forse ho capito male >> disse << sbaglio, o hai appena detto di non essere emozionata di andare al concerto di un gruppo che ascolti da sempre? Un gruppo che TU mi hai obbligata ad ascoltare, così tante volte che alla fine parlavo recitando i versi delle loro canzoni >>. Le mani erano sulle spalle di Hope e la scuotevano come per assicurarsi che fosse davvero sveglia.

<< No, non ho detto questo. E’ solo che al momento non riesco a concentrarmi sul concerto, sai, per via del test di matematica >> non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che si ritrovò a guardare in faccia l’amica che, senza sorpresa da parte di Hope, capì come stavano davvero le cose.

<< Tuo padre non ti ha ancora dato il permesso, vero? >> domandò;

<< No >> confessò con un filo di voce. Elle aveva ragione, quel concerto era l’unico progetto a lungo termine che avessero mai fatto insieme, l’unica cosa che valesse la pena progettare un anno prima, aspettando pazientemente che quella data si avvicinasse. E adesso che era dietro l’angolo, Hope non era ancora riuscita a superare quel grande scoglio che sapeva benissimo sarebbe apparso, l’approvazione di suo padre. I genitori di Hope avevano un amore smisurato per i propri figli, il problema era che, a volte, vedevano pericoli incombere anche nelle cose più comuni, come andare ad un concerto a 70 chilometri lontano da casa, ad esempio. 

<< Due ragazze da sole >> le ripeteva il padre ogni volta che si toccava l’argomento << un’intero giorno e un’intera notte, lontane da casa per andare ad un concerto dove ci saranno migliaia di persone che non conosco con chissà quali intenzioni! >> non sembrava nemmeno prendesse fiato, tante volte aveva ripetuto la stessa frase << Assolutamente no >> concludeva .

Elle guardò per un attimo chi occhi tristi dell’amica, si gonfiò il petto per sembrare più autoritaria possibile e poi, sorridendole, disse;

<< Ascoltami, dovessi anche fare a botte con tuo padre e lasciarlo privo di sensi per un paio di giorni, io ti prometto che ti porterò a quel concerto. O giuro sulla nostra amicizia che non ti parlerò mai più, non ti penserò e non ti scriverò, sparirò dalla tua vita per sempre!> mentre faceva quella promessa la sua voce era ferma, il suo sguardo serio. Poi Elle riprese a sorridere mettendo un braccio intorno al collo di Hope e continuò;

<< E poi, dobbiamo intrufolarci nel backstage per conoscerli di persona, no? Sono praticamente certa che non appena vedranno quei bellissimi occhioni da Bambi, non potranno fare a meno di innamorarsi >> . Hope sorrise, ormai sapeva che non era possibile rimanere tristi a lungo se vicino a lei c’era la sua amica;

<< O si innamoreranno della ragazza pazza, super sexy, dagli occhi di ghiaccio che si è intrufolata nei loro camerini… o al massimo, ci denunceranno >> cominciò a ridere .

<< I miei possono essere affascinati, ma i tuoi incantano, caldi, sprizzano solarità e amore da tutti i pori >>.

<< Gli occhi hanno i pori? >> domandò Hope che non poté fare a meno di ridere, dato che, a parer suo, non aveva ancora incontrato una ragazza più bella di Elle. Era alta con un fisico che avrebbe fatto invidia a qualsiasi modella, considerando il fatto che mangiava con la foga di cinque uomini qualsiasi cosa le passasse per la testa. Le aveva visto praticare quasi tutti i tipi di sport conosciuti, e qualcuno anche inventato da lei, da quando erano amiche. In tutti riusciva alla grande senza fatica, trascinando con sé anche la sua migliore amica che non era altrettanto dotata. I suoi capelli biondo cenere erano lunghi fino alle spalle, lisci, con dei riflessi di un biondo più chiaro che le illuminavano il viso. Danielle sapeva di essere bella, ma non ne faceva mai un vanto, sosteneva che la sua fosse una bellezza stereotipata e che quella dell’amica al contrario era una bellezza unica, anche se Hope non aveva mai capito il significato di quell’unica.

Le ragazze scesero in cucina dove il padre, la madre ed il fratello maggiore di Hope stavano già facendo colazione;

<< Buongiorno >> esclamò la sig. Mathews, con un sorriso che avrebbe fatto invidia a qualsiasi pubblicità di dentifrici.

<< Non vi sedete a fare colazione? >> chiese alle due ragazze che si stavano già avviando verso la porta per andare via.

<< No >> rispose la figlia << Abbiamo fatto tardi e se vogliamo arrivare in tempo dobbiamo uscire adesso >> . Sua madre sorrise di nuovo; 

<< Immaginavo avreste fatto tardi per la colazione, vi ho preparato dei muffin che potete mangiare lungo la strada >> porse loro due sacchetti con due muffin caldi a testa.

<< Grazie >> esclamò Elle, felice di non dover affrontare l’ultimo giorno di esami a stomaco vuoto,

<< Ma figurati tesoro, tornate a casa dopo scuola? >>

<< No >> rispose la ragazza dirigendosi verso l’uscita << andiamo a fare shopping! Ci serve qualcosa di speciale per un’occasione speciale >>. Strizzò l’occhio all’amica addentando il muffin al cioccolato ancora fumante, Hope prese il suo sacchetto e insieme uscirono per andare a scuola.

<< Tua madre è sempre un passo avanti >> disse Elle mentre camminava e contemporaneamente continuava a mangiare il suo secondo muffin.

<< E’ vero, non ho la minima idea di come faccia a prevedere ogni tipo di intoppo possibile, dice sempre che -Prevenire è meglio che curare- ma delle volte è proprio scioccante >>.

Le ragazze arrivarono a scuola due minuti prima del suono della campanella, presero posto una dietro l’altra mentre la professoressa Smith stava già distribuendo i testi del compito. Si posizionò dietro la cattedra, guardò per qualche secondo l’orologio, e poi disse;

<< Avete un ora di tempo a partire da adesso, non si tollereranno ritardi >>.

Proprio come aveva annunciato, era il compito più difficile che si fosse mai visto. Non solo si trattava di esercizi di una difficoltà più alta del solito, ma necessitavano di un’infinità di passaggi, che avrebbero portato via tempo prezioso a tutti quelli che, come Elle, non erano grandi esperi della materia. Il suono della campana decretò la fine dell’ultimo test dell’anno, e per quelli del quinto, dell’intero liceo. Finito il test Hope, correndo, si diresse in bagno, con una mano che le tappava la bocca, seguita a ruota dalla sua amica. I test facevano sempre un brutto effetto su Hope, che subito dopo aver finito non riusciva a trattenere i conati di vomito.

<< Strega! >> urlò Danielle entrando in bagno << lo ha fatto di proposito, erano cose improponibili, su cui non ci eravamo mai esercitate…>> iniziò ad inveire seduta su uno dei lavandini del bagno, mentre aspettava che la sua amica finisse di vomitare. Una volta uscita, Hope si sciacquò la bocca;

<< Com’è andata? >> chiese all’amica mentre di asciugava il viso.

<< Non preoccuparti per me Bambi >> rispose Elle sorridendole << Ma mi dispiace vederti in queste condizioni ogni volta che accumuli un po' di stress. Sei più in gamba e più forte di quello che credi Bambi. La tua insicurezza non ti permette di essere quella che sei davvero. Quella che raramente fai vedere al resto del mondo, una persona davvero molto speciale che purtroppo non ha ancora preso coscienza di se stessa. Ma quando questo accadrà, perché puoi giurarci che accadrà, non potrai fare a meno di vedere quanto tu sia forte, e quel giorno io sarò la persona più felice del mondo>. Gli occhi di Hope erano lucidi, mai nessuno aveva dimostrato di credere in lei quanto Elle. Sin dal giorno in cui la loro amicizia era iniziata, non faceva altro che ripeterle quanto lei non avesse abbastanza fiducia in se stessa. In tutti quegli anni Hope pensò che fossero solo le parole di una buona amica che le voleva bene, e che non avrebbe dovuto dargli troppo peso. Ma quel giorno negli occhi dell’amica vide qualcosa di diverso, adesso le sembrava chiaro come il sole che quelle cose Elle le aveva sempre pensate seriamente. Hope non aveva mai avuto una sorella, ma le riusciva impossibile credere che, anche se ne avesse avuta una, avrebbe potuto volerle bene più di quanto ne volesse alla sua migliore amica. Non riuscì a dire altro che

<< Grazie >> e subito dopo l’abbracciò. Elle si mise a ridere;

<< Figurati, non ho potuto fare a meno di notare che hai mangiato solo uno dei muffin che tua madre ci ha dato stamattina, se vuoi davvero ringraziarmi potresti cedermi l’altro >>.

Hope scoppiò a ridere << mi sembra giusto, è tutto tuo >>.

Le ragazze si trovavano davanti l’uscita del bagno, pronte a tornare in classe, quando d’un tratto un boato che echeggiò lungo il corridoio le bloccò. Era un rumore che conoscevano bene, dato che il fratello di Hope passava gran parte del proprio tempo libero al poligono di tiro e che le ragazze, un po' per noia e un po' per curiosità, erano andate spesso con lui. Quello che avevano appena sentito era uno sparo. Ma lì, in quel momento, quel rombo assordante fece gelare il sangue ad entrambe che rimasero, per quella che sembrò loro un’eternità, immobili in piedi dietro la porta. Si guardarono rimanendo sempre in silenzio, le stesse domande balenavano nelle loro menti. Quello che avevano sentito era senza dubbio uno sparo, ma chi avrebbe potuto portare un'arma a scuola, e ancora peggio, chi avrebbe potuto davvero usarla? Una lista di nomi cominciò a crearsi nelle loro menti, un nome meno probabile dell’altro. Fu Danielle a rompere il silenzio; 

<< Non possiamo rimanere qui >> disse sussurrando. 

<< Si che possiamo >> rispose l’amica che sembrava stesse per avere un attacco di panico 

<< Dove vorresti andare, non sappiamo nemmeno cosa è successo >>.

<< Se restiamo qui, e chiunque abbia sparato dovesse arrivare, dove potremmo nasconderci? >>

<< Perché dovrebbe entrare proprio in bagno? >>

<< Perché qualcuno dovrebbe venire a sparare in un istituto scolastico? Se non l’avessi notato non sta accadendo qualcosa che rientra esattamente nella routine >>. Hope non rispose, sapeva che l’amica aveva ragione, ma dove avrebbe trovato la forza di uscire dal bagno? Elle capì cosa stesse pensando e cercò, per quanto fosse possibile, di tranquillizzarla.

<< Coraggio Bambi, ci sono io qua con te >> e le fece un sorrisetto sforzato << non permetterò che ti accada nulla. Dimmi, ti ho mai delusa? >> la risposta a quella domanda era ovvia, Hope fece cenno di no con la testa, poi un respiro profondo pronta a seguire l’amica. Non appena furono nuovamente in procinto di uscire Elle bloccò l’amica per un braccio; 

<< Tanto per sapere, ricordi tutto del corso di autodifesa che abbiamo fatto l’anno scorso vero? >> stavolta la risposta dell’amica non fu immediata. Ripassò velocemente nella sua mente tutte le lezioni che avevano fatto, e su due piedi le sembrava di non ricordare nulla, cosa che Elle lesse chiaramente nei suoi occhi. Per un attimo Hope ripensò al sogno che l’amica aveva interrotto quella mattina, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere brava, almeno la metà, di quanto lo fosse nei suoi sogni. Avrebbe potuto proteggere se stessa e la sua amica, ma anche in quella circostanza era Elle che si stava preoccupando di proteggerla. Uscirono silenziosamente dal bagno, lungo il corridoio non c’era nessuno, era importante riuscire ad uscire di li e chiamare aiuto. Si avviarono verso l’uscita di emergenza più vicina, che si trovava nel corridoio parallelo al loro. Passarono difronte diverse aule, e guardando all’interno di ognuna, capirono che quello sparo non era opera di uno studente impazzito come ogni tanto si sentiva alla tv. Videro due uomini a volto scoperto, entrambi giovani, ma di certo non studenti. Uno dei due era alla cattedra con il registro fra le mani, mentre chiamava ad alta voce i nomi di tutte le ragazze, l’altro passava fra i bachi scrutando uno per uno gli studenti, versando nelle loro bocche qualcosa da una fiala che teneva in mano. In quell’istante il viso di Danielle cambiò, come se avesse appena ricevuto una brutta notizia, oltrepassarono l’aula poi si girò a guardare l’amica.

<< Dobbiamo fare in fretta! >> le disse con aria preoccupata,

<< Cosa? Perché? >> chiese Hope come se avessero avuto bisogno di una ragione valida per uscire più in fretta di quanto non stessero già facendo.

<< Se quei tizi sono in ogni classe quanto pensi passerà prima che si accorgano della nostra assenza? Verrano a cercarci! >>.

In quell’istante il panico sembrò impossessarsi degli occhi di Hope, non le si leggeva altro, pregava che da un momento all’altro dei poliziotti facessero irruzione nell’edificio e mettessero fine a quell’orribile incubo. Ma quando le ragazze girarono l’angolo del corridoio, accadde esattamente l’opposto. Davanti ai loro volti c’erano l’uomo e la pistola che avevano sparato pochi minuti prima. Lungo il pavimento, a pochi metri da lui, il corpo di una ragazzina del primo anno, Anna Peter, perdeva ancora molto sangue, mentre un’altro  ragazzo che sembrava avere appena qualche anno in più sembrava infuriato. 

<< Sei un idiota! E se fosse stata lei? non possiamo rischiare che muoia a causa nostra, lo sai! saremmo noi i prossimi >> sbraitava all’amico. Non era infuriato perché aveva appena ucciso una ragazzina a sangue freddo, ma per il fatto che sarebbe potuta essere quella sbagliata da uccidere. Le ragazze restarono pietrificate nell’osservare quella scena, fu Elle a riprendersi per prima e tirar via l’amica che invece era rimasta immobile nel bel mezzo del corridoio. Fecero per tornare indietro, ma superata la prima aula uno degli uomini che avevano assediato la scuola uscì da una della classe, e vedendole, senza nemmeno pensarci, afferrò Elle per un braccio. 

<< Dove pensate di andare? >> domandò sorridendo, il suo viso ricordava molto quello di un animale rabbioso, Elle iniziò istintivamente a prenderlo a calci mentre con il palmo della mano gli colpì il naso così forte, che lo fece cadere per terra, subito dopo afferrò l’amica per un braccio.

<< Corri! >> le urlò, e se la trascinò via. Con il cuore che batteva ad una velocità che non pensavano fosse possibile, Hope e Danielle continuarono a correre più veloci che poterono, non preoccupandosi più di non farsi sentire. Vi erano rumori ovunque, le stavano cercando, non avevano tempo ne per fermarsi, ne di pensare ad una possibile via di fuga, potevano solo correre. E fu quello che fecero, fino a quando girando l’angolo, si imbatterono in tre di loro. Uno era alto con la barba, l’altro basso, giovane, con gli occhi verdi, ma tutti avevano qualcosa nei loro gesti, nella loro voce, che li rendeva molto simili tra di loro. Quello basso afferrò Hope che, nonostante la paura le bloccasse gran parte dei muscoli, continuava a dimenarsi inutilmente cercando di liberarsi.

 << Ti prego >> urlava << lasciaci andare! >>, come se le suppliche potessero avere effetto su uomini che non non si erano fatti il minimo scrupolo ad uccidere ragazzine dell’età di Anna. Elle nel frattempo, continuava a dare calci a destra e a manca, quello alto con la barba cercava di tenerla ferma mentre l’altro, più basso ma più massiccio, voleva avvicinarsi al suo viso.

 << Non osare verme! >> e sferrò un’altro calcio che stavolta lo prese in piano stomaco, gli altri sue scoppiarono a ridere.

<< Messo al tappeto da una ragazzina, bel lavoro Ronnie! >> disse quello più giovane, che stava tenendo Hope; Elle si voltò verso di lui per gridargli contro.

<< Lasciala andare stupido idiota! >> e così dicendo diede una testata a l’uomo che la tratteneva, cominciò a sanguinare dal naso, ma stavolta nessuno rise, anzi, sembrava averli fatti inferocire. 

<< Ron MUOVITI! >> urlò a quello ancora piegato in due per il calcio ricevuto << altrimenti con quella cosa giuro che ti ci cavo gli occhi >>. L’uomo chiamato Ronnie non se lo fece ripetere una seconda volta, si alzò mentre, quello che sembrava essere il capo, strinse Danielle così forte che dal dolore non poté più muoversi. Aveva smesso di lottare, lui le lasciò un braccio per mettere la sua mano fra i capelli di lei, le portò la testa indietro, con il viso che adesso fissava il soffitto, fu allora che Hope lo vide, il volto della sua migliore amica rigato dalle lacrime, piangeva. Nessuno tranne lei l’aveva mai vista piangere per qualcosa, era sempre stata una tortura assistere a quella scena, così ricominciò a dimenarsi più di prima, voleva salvare la sua amica. Intanto Ron le si era avvicinato tirando fuori dalla tasca un’ampollina che sembrava contenere un liquido, l’aprì e ne versò il contenuto nella sua bocca. Aspettò un minuto scarso prima di portarle la testa nuovamente in posizione eretta. La guardò negli occhi, ma lei non lo guardò, vide la sua amica dimenarsi per cercare di liberarsi;

<< Mi dispiace >> le disse non appena riuscì ad incrociare il suo sguardo. 

Hope ripensò alla promessa che le aveva fatto in bagno, che l’avrebbe protetta e che non le sarebbe successo nulla. Ma non poteva essere davvero quello il motivo delle sue scuse, come avrebbe potuto fare qualcosa contro tutto questo? Ron le prese la testa e la bloccò dritto davanti la sua.

<< Lei non ci serve, sono solo degli stupidi occhi azzurri >>  quelle parole, alle orecchie di Hope, suonarono come una condanna a morte, e come mai prima cominciò a scalciare a destra e a manca urlando più che poteva. 

<< No! No! Non farlo! Fermo! Basta ti prego! >> piangeva e scalciava, ma per quegli uomini lei era invisibile, non la degnarono di uno sguardo, un attimo dopo assistette alla scena che nemmeno nei suoi incubi peggiori avrebbe mai immaginato di poter vedere. Il capo, voltò Danielle per trovarsela difronte, iniziò a sorridere; 

<< Vediamo quanto sarai brava a dimenarti adesso bellezza >> un attimo dopo le sue mani erano attorno al collo di lei, lo girarono così velocemente che sembrò non essersi mosso affatto. Ma anche se per un millesimo di secondo, a quella distanza, e fra le sue stesse urla. Il suono del collo spezzato di Danielle risuonò nelle orecchie di Hope, come se ad essersi spezzato fosse stato il proprio. In quel preciso istante qualsiasi speranza di farcela, di lottare o anche solo di vita, abbandonò la mente di Hope che, lentamente, si senti svuotata di qualsiasi raggio di sole potesse mai esserci nel mondo. Mai più sarebbe tornata a sorridere, poteva letteralmente sentire la tristezza, la malinconia, il dolore e la disperazione prendere possesso di ogni singola parte del suo corpo. Sentiva il gelo attraversare ogni centimetro della propria pelle. Più queste sensazioni si fecero spazio nel suo cuore, più lei sentì il bisogno quasi vitale di urlare, come fosse l’unico modo per fare esplodere tutta la disperazione che le stava schiacciando il cuore. Fu così che urlò, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Un urlo così forte che i vetri delle finestre cominciarono a creparsi, un urlo che avrebbe sfinito chiunque, ma che per lei era facile come respirare. Guardando il corpo dell’amica sul pavimento, le urla non poterono che aumentare, i vetri iniziarono a rompersi, e gli uomini, gli stessi uomini che un attimo prima sembravano essere invincibili, erano per terra. Con le mani stringevano le loro teste, e le loro orecchie iniziarono a sanguinare. Con le urla, anche gran parte della disperazione che Hope sentiva nel petto andò via. Si inginocchiò accanto ad Elle, le prese la testa e la poggiò fra le sue gambe, sentiva gli uomini urlare di dolore mentre uno di loro iniziò a parlare.

 << E’ lei! i suoi occhi, l’abbiamo trovata >> ma Hope non gli prestava ascolto, pensava solo alla sua amica, e al fatto che non avrebbe rivisto quei bellissimi occhi azzurri ridere mai più. Elle le aveva sempre detto che sarebbe andata via col sorriso, e avrebbe concluso una bella vita con una bella morte. E conoscendola, Hope non ne dubitò mai, ma adesso non sarebbe più potuto accadere nulla. Non sarebbe diventata una persona tanto famosa da essere conosciuta in tutto il mondo, non avrebbe sposato l’uomo dei suoi sogni, niente di niente sarebbe più accaduto ad Elle per colpa di quei tre esseri orribili. Adagiò il corpo dell’amica sul pavimento, girandosi verso i tre uomini che erano ancora doloranti sul pavimento, vide la pistola che era caduta al più basso dei tre e la raccolse. Non aveva mai impugnato una pistola, era più pesante di quanto si potesse pensare guardandola, fredda proprio come l’anima delle persone che l’avevano usata, e come il suo cuore dopo quello che avevano fatto alla sua amica. La caricò e la puntò verso i tre distesi sul pavimento, non sapendo chi meritasse di morire per primo, aggiustò la mira verso l’uomo che aveva tolto la vita alla sua migliore amica. Avrebbe iniziato da lui, ma mentre il suo dito iniziò appena a premere sul grilletto, una mano la fermò. Una mano che a contatto con la sua pelle, sembrò essere fatta di fuoco, per un secondo, sperò vanamente che a bloccarla fosse stata la sua amica, ma quando si voltò vide un ragazzo.

<< Non farlo >> le disse quasi supplicandola << vuoi davvero passare il resto della vita a pensare di non avere nulla in più di questi mostri? >>. Con il capo indicò i tre per terra, mentre fece scivolare lentamente la sua mano lungo il braccio di Hope fino a raggiungere, prima la sua mano, e poi la pistola. Senza interrompere il contatto visivo nemmeno per un istante, i grandi occhi verdi di quel ragazzo stavano implorando Hope di lasciargli la pistola, poté quasi sentirli urlare. I due furono interrotti da una terza persona, una ragazza, che si chinò verso gli assassini e, uno dopo latro, si addormentarono grazie a qualcosa che lei aveva soffiato sul volto di ognuno di loro.

<< Sogni d’oro bastardi >> disse, e poi si avvicinò a Hope ed al ragazzo.

<< Dobbiamo portarla via Logan, potrebbero arrivarne altri, le sue urla non saranno passate inosservate >> disse rivolgendosi al ragazzo, poi guardò lei.

<< Non aver paura, puoi fidarti di noi >> le prese la mano, era calda, proprio come quella del ragazzo, Hope la strinse forte d’istinto poi guardò di nuovo il ragazzo.

<< Fidati, ti prego >> le ripeté Logan, Hope avrebbe voluto dire di no, che non conosceva ne lui ne la sua amica, eppure sapeva, con una sicurezza mai avuta prima, che non stavano mentendo. Sarebbe dovuta andare alla polizia a raccontare tutto quello che era successo, sarebbe dovuta tornare a casa, perché i suoi genitori sarebbero morti di dolore se non l’avessero vista rientrare. Ma non fece nulla di tutto questo, strinse soltanto più forte la mano della ragazza per farsi guidare, non riuscì ad emettere un suono, ma la ragazza la capì comunque, perché cominciò a camminare portandosi dietro Hope seguite da Logan. I tre camminarono a passo spedito, ed in men che non si dica, trovarono la più vicina uscita di emergenza e furono fuori dalla scuola. Si avviarono verso il parcheggio, quando una Range Rover nera si piazzò davanti ai tre, Hope non riuscì a vedere il volto del guidatore per via dei vetri oscurati, ma riuscì a sentire distintamente la sua voce.

<< Coraggio! se non ci muoviamo finiremo per dare spettacolo >> dopodiché Logan aprì lo sportello posteriore della macchina.

<< Sali! >> incoraggiò Hope seguendola subito dopo, anche la ragazza sconosciuta fu in macchina in men che non si dica, salì sul sedile anteriore e partirono.

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Capitolo 2
*** Il vaso ***


Seduti in quella macchina nessuno parlò per un tempo che sembrò infinito. Hope si sentì soffocata da tutte le emozioni che opprimevano l’abitacolo. Non aveva idea di come fosse possibile, ma oltre al proprio dolore, riusciva distintamente a sentire ciò che proveniva da ognuno di loro. Tristezza, rabbia, frustrazione, ansia e paura che non erano le proprie, sembrarono invadere ogni cellula del suo corpo. Stringendo le mani sui suoi jeans abbassò lo sguardo, concentrandosi per far in modo che quelle emozioni non la schiacciassero. Notò quanto la sua pelle fosse diversa, bianca come alabastro e fredda come se la vita avesse abbandonato anche il suo corpo. Capì allora come il tocco di quei ragazzi sulla sua pelle l'avesse tanto colpita. Sollevò lo sguardo per osservarli, le stesse persone alle quali non aveva opposto la minima resistenza. Molte domande iniziarono a formarsi nella sua mente; non aveva idea di chi fossero, del perché la stessero aiutando, da cosa dovesse scappare o dove la stessero portando. Chi avrebbe raccontato tutto alla polizia? Chi avrebbe detto ai suoi genitori che era ancora viva, e chi a quelli di Danielle che lei invece non lo era più?. Iniziò a scrutarli uno alla volta; alla guida un ragazzo che come gli altri due, sembrò essere poco più grande di lei. Dallo specchietto retrovisore riuscì a vedere i suoi tristi occhi azzurri, i lineamenti ed i colori del sue viso ricordavano quello di un angelo. Il labbro superiore leggermente più sottile di quello inferiore, i capelli lisci e scompigliati di un biondo cenere come quelli della ragazza seduta accanto a lui. Quelli di lei però, lunghi fino alle spalle, erano leggermente ondulati, pelle rosea e grandi occhi che ricordavano un anime giapponese. In quell’istante realizzò di non conoscere nemmeno i loro nomi, fatta eccezione per quello di Logan che le stava seduto accanto. Lui aveva dei grandi occhi verdi, profondi, intensi, i suoi capelli castani e mossi terminavano con dei piccoli boccoli quasi all’altezza del suo collo. Hope fu costretta a spostare lo sguardo altrove, poiché contemporaneamente lui si voltò a guardarla. Distogliendo così lo sguardo dal suo viso lo spostò sui suoi vestiti; indossava una camicia bianca, i primi bottoni erano sfibbiati così all’altezza del cuore Hope intravide un tatuaggio. Cercò di aguzzare lo sguardo per capire di cosa si trattasse, ma venne distratta proprio dalla voce del ragazzo.

<< Mi chiamo Logan >> le disse. Hope evitò intenzionalmente il suo sguardo, non sapeva se si fosse accorto che lo stava fissando.

<< Loro sono Nathan e Chloe >> continuò << immagino ti starai facendo molte domande, so quanto ti senti triste e arrabbiata per tutto quello che ti è appena successo ma... >>.

<< Lo sai, come?>> lo interruppe << Mi conosci esattamente quanto io conosco te, non sai niente di me o di come mi senta in questo momento >>.

Hope faticò a riconoscere la propria voce, benché il suono fosse lo stesso, non un filo di emozione trapelava da essa, nemmeno la più dolorosa.

<< Non ho bisogno di conoscerti, mi basta guardare i tuoi occhi >>.

Al suono di quelle parole Hope ripensò a quante volte frasi simili le fossero state ripetute dalla sua migliore amica, ma subito dopo, le tornarono in mente quelle pronunciate dagli assassini; “guarda i suoi occhi- dicevano -l’abbiamo trovata!”. Automaticamente il suo sguardo si spostò sul vetro del finestrino, non riuscì ad immaginare cosa si potesse cercare negli occhi di qualcuno da valere la morte di persone innocenti. Non appena si specchiò, vide il proprio volto, pallido e freddo proprio come le sue braccia, eppure sempre il suo solito viso. Ma non appena riflessi sul vetro scuro di quell’auto, vide quelli che stentò a riconoscere come i propri occhi ebbe un sussulto. Non stava guardando i suoi occhi, non erano di quel solito marrone scuro che vedeva tutte le mattine allo specchio. Erano di un blu che non seppe definire, così freddi da sembrare gli occhi di una vecchia bambola di porcellana, dovette strofinarli un paio di volte per assicurarsi che non fosse frutto della sua immaginazione.

<< Tranquilla >> disse Logan attirando la sua attenzione << non rimarranno così per sempre >> cercò di rassicurarla;

<< Cosa mi è successo? >> domandò lei in un sussurro tornando a guardare il proprio volto riflesso. Sentiva mille emozioni attraversarle il corpo, eppure il suo sguardo era vuoto; spento, senza vita. I suoi pensieri vennero interrotti dal suono di un cellulare, fu la ragazza sul sedile anteriore a prendere la chiamata;

<< Si >> rispose << l’hanno trovata Alastair, abbiamo dovuto portarla via. Non sappiamo quanti di loro fossero nei paraggi, temo che non si possa più tornare indietro >> riagganciò senza aggiungere altro. Quella breve conversazione aveva creato ancora più confusione nella testa di Hope; chi era Alastair? Perché qualcuno la stava cercando? Perché i suoi occhi erano cambiati tanto? Quel viaggio in auto sembrò non finire mai e più il tempo passava, più quelle domande premevano per avere una risposta. Ma ancora una volta tutto quello che Hope avrebbe voluto fare era urlare. Sapeva però di non poter rischiare che lo stesso episodio avvenuto a scuola si ripetesse, quelle persone volevano aiutarla, non voleva fare loro del male. Decise quindi che sarebbe rimasta in silenzio fino a quando quel desiderio non si fosse placato. Non aveva idea di dove si trovasse, guardando fuori dal finestrino non riconobbe nemmeno uno dei paesaggi che le stavano intorno. Dopo un tempo che sembrò eterno Hope sembrò sul punto di rompere quel silenzio, quando la macchina si fermò davanti un grande cancello. Il ragazzo di nome Nathan tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans un piccolo telecomando ed il cancello si aprì. Lo varcarono e dopo ancora pochi minuti di strada, si ritrovarono davanti le porte di un garage, che si aprirono non appena la macchina gli fu davanti. I tre ragazzi scesero dalla macchina, ma nessuno fece un passo aspettando Hope, che esitò per qualche istante e poi li seguì. Non uscirono dalla stessa porta da cui erano entrati, al suo interno il garage aveva un accesso che li condusse dritti in casa. Finite le scale percorsero un lungo corridoio, largo abbastanza da permettere ai quatto di camminare l’uno accanto all’altro. Un lungo tappeto con delle strane decorazioni geometriche copriva il parquet di un legno scuoro.

<< Dove stiamo andando? >> domandò Hope senza guardare nessuno in particolare, 

<< Da Alastair, questa è casa sua, e la nostra >> rispose la ragazza di nome Chloe alla sua sinistra.

<< Chi è Alastair? Cosa vuole da me? >> 

<< Tenerti al sicuro >> stavolta fu Nathan a prendere la parola << è lui che ci ha mandato a salvarti. Lui e Gavriil >>.

<< Perché ho bisogno di essere salvata? >> per tutto il tempo la sua voce rimase atona, priva di qualsiasi colore,

<< Perché sei speciale >> spiegò Logan << ma credo sia opportuno che siano loro a parlarti di questo >>.

Si fermarono sulla soglia di una grande porta di legno, Chloe bussò e dall’altra parte si sentì qualcuno che li invitò ad entrare, c’erano due uomini all’interno. Uno era anziano, indossava uno di quei vecchi abiti inglesi con pantalone e gilet grigio topo, un paio di mocassini di pelle neri, una camicia bianca e un orologio da taschino d’argento che teneva in mano. I capelli e la barba erano bianchi come la neve, il suo viso sembrava stanco, mentre i suoi occhi, di un un intenso blu notte, erano tristi. Guardandolo, Hope pensò che probabilmente non doveva dormire da tempo. Riuscì a percepire tutta l’amarezza e lo sconforto provenire dal suo sguardo; che unita alle tutte le altre sensazioni, sembravano per scoppiarle dentro, così distolse lo sguardo per portarlo altrove. L’altro uomo era molto più giovane, i capelli e gli occhi erano dello stesso castano scuoro color cioccolato, indossava un paio di pantaloni caki ed una camicia avorio. Anche lui aveva l’aria di qualcuno che aveva bisogno di riposo, ma a differenza del volto dell’anziano signore, in lui Hope non percepì infinita tristezza. Nei suoi occhi poté leggere perfettamente una nota di serenità nel vedere i ragazzi varcare la soglia della stanza. Percepì sollievo, come se qualcuno gli avesse appena tolto un grosso peso dal petto. Un grande camino spento era alle spalle dei due uomini.

<< Siamo arrivati Alastair >> disse Nathan, poi si rivolse verso l’uomo dai capelli bianchi e chinò leggermente il capo << I miei saluti Gavriil, ci dispiace per il ritardo >>.

<< Finalmente >> rispose l’uomo più giovane con un leggero sorriso rivolto a Nathan, anche il tono della sua voce sembrò sereno. A differenza di quello dell’anziano di nome Gavriil, che si avvicinò alla ragazza e, quando fu a pochi metri da le, la guardò con la stessa tenerezza con cui si guarda un cucciolo sperduto. Lei gli restituì lo sguardo solo per pochi secondi, cercando di non essere investita di nuovo da quella sofferenza. 

<< Come ti senti mia cara? >> domandò a Hope portando una mano sul suo braccio. Lei non rispose, non sarebbe riuscita ad esprimere la miriade di emozioni che piano piano ricominciavano a schiacciarle lo stomaco, ma l’uomo proseguì.

<< Mi dispiace immensamente per la tua amica, una ragazza così forte con un cuore così buono, sono perle rare che non nascono tutti i giorni. Posso solo immaginare il dolore che affligge il tuo cuore in questo momento >>. Hope riprese a guardarlo, inchiodandolo con lo sguardo, come faceva a sapere di Elle? Chloe non aveva accennato nulla di lei durante la telefonata in macchina.

<< E’ una cosa davvero orribile >> disse Alastair avvicinandosi a sua volta alla ragazza, non si limitò a darle una pacca sulla spalla, ma le andò incontro e l’abbracciò. Tutti i presenti sembrarono stupiti da quello che stava accadendo sotto i loro occhi.  Alastair la lasciò, e non appena il suo sguardo incrociò quello di Hope il suo volto divenne improvvisamente serio, lei sapeva perché. Anche lui come, gli altri, notò i suoi occhi, e li fissò come se fossero stati l’ultima cosa che avrebbe voluto vedere in vita sua.

Hope decise di rompere il silenzio di quel momento, e cominciare a porre finalmente le domande che continuavano ad aumentare nella sua testa

<< Perché sono qui? >> si rivolse ad Alastair << dove mi trovo? >> aspettò la risposta che però arrivò dall’uomo in abito grigio topo.

<< Sei al sicuro, questa al momento è la cosa più importante. Adesso abbiamo delle questioni molto urgenti da sistemare, ma hai la mia parola che le tue domande troveranno risposta al più presto. Lascia che i ragazzi ti accompagnino a riposare per quanto possibile >>. Anche se non avesse idea di chi fossero, Hope sentì, ancora una volta, che non le stavano mentendo. Seguì quindi gli altri fuori dalla stanza. Percorrendo il corridoio passarono molte porte, avevano tutte l’aria di essere molto antiche, ma tutte tenute in perfette condizioni. Entrarono in fine in una grande cucina. Nathan offrì a Hope da bere, disse che le avrebbe fatto bene, ma lei si limitò a scuotere la testa e rifiutò. Si sentirono dei passi provenire dal corridoio, Hope pensò che Alastair e Gavriil stessero andando ad occuparsi delle faccende importanti di cui avevano parlato prima. Si chiese quanto avrebbe dovuto aspettare prima che potessero darle le risposte che cercava. Ad ogni secondo che passava, il dolore per la perdita della sua migliore amica tornava a stringerle il petto. Tentò di tenere la mente impegnata facendo una lista delle domande, in modo tale da non tralasciare nulla. Non poteva abbandonarsi al dolore, non in quel momento, doveva sapere. Si avvicinò ad una delle finestre, non aveva fatto caso che il sole fosse già calato. Quanta strada avevano percorso? Pensò ai suoi genitori, a quanto dovessero essere preoccupati per lei, a suo fratello, che con ogni probabilità avrebbe organizzato una squadra di ricerca improvvisata per ritrovare la sorella. Mentre i pensieri legati alle persone più care le vorticavano nella testa, per un attimo Hope fissò il suo riflesso sul vetro della finestra. I suoi occhi erano ancora di quel fastidioso blu spento, senza anima, non lasciavano trasparire la tristezza, la disperazione o la rabbia per tutto quello che era successo. Quegli occhi erano, in qualche modo, il motivo per cui aveva perso una delle persone che più amava al mondo. Non poté fare a meno in quell’istante, di porre una domanda per la quale non avrebbe aspettato ad avere una risposta.

<< Che cosa sono? >> chiese guardando nel vuoto fuori dalla finestra, mentre il sole era ormai completamente tramontato. Non fu necessario aspettare la risposta di nessuno dei ragazzi, dalla finestra Hope vide rientrare in casa Gavriil ed Alastair. Non aspettò che qualcuno le indicasse la strada o che le dessero il permesso di andare da loro. Uscì dalla cucina, percorse il corridoio e si trovò nuovamente difronte la stanza che aveva visitato nemmeno un’ora prima. I due uomini non tardarono molto ad arrivare. Quando la videro in piedi dietro la porta, capirono che era pronta a ricevere delle spiegazioni e che non avrebbe aspettato altro tempo nemmeno se glielo avessero chiesto.

Alastair aprì la porta e le fece segno di entrare. Non appena i tre si ritrovarono nella stanza Hope iniziò con quello che le stava più a cuore.

<< I miei genitori…sapranno già cosa è successo a scuola, non sanno che io sono viva, che sono al sicuro. Devo parlare con loro, dirgli di non preoccuparsi e… >>

<< Temo >> >> la interruppe Alastair << che questo non sia possibile. Dire loro che sei viva equivarrebbe a mettere un bersaglio sulle loro schiene. Non potrai più tornare nella tua vecchia casa >>.

<< Cosa?… cosa significa?… non posso… tornare a casa? >> domandò Hope che cominciava a sentirsi come se l’aria della stanza venisse prosciugata. Sentì il respiro venirle meno, tutto questo venne accentuato dal fatto che nessuna delle emozioni che stava provando sembrò trapelare, né dalla sua voce né dal suo sguardo. Ma nonostante, apparentemente, sembrasse essere priva di qualsiasi sentimento, il più anziano dei due percepì in qualche modo l’angoscia farsi strada in lei.

<< Sei uno scellerato Alastair! >> esplose Gavriil che si avvicinò alla ragazza prendendole le mani;

<< Guardami >> le disse, ma Hope sentì quella voce lontana. Sicura che il suo cuore non battesse più o che andasse così veloce che sarebbe esploso da un momento all’altro. Sentì i polmoni cedere. Continuando a fissare il vuoto cercò di concentrarsi sulle parole di quell’uomo;

 << Hope guardami! >> ripeté più forte. Stavolta lo sentì e diresse il suo sguardo sul suo viso, negli occhi di lei Gavriil riuscì a scorgere il panico, in quelli dell’uomo lei vide solo compassione.

<< Respira. Lentamente >> poi le portò una mano sul proprio petto << lo senti? concentrati sul battito del mio cuore, ascoltalo, fa' in modo che il tuo lo imiti >> .

Hope chiuse gli occhi, sotto il palmo della sua mano avvertì chiaramente il cuore del vecchio signore battere ad un ritmo che, dopo pochi secondi, trovò stranamente rilassante. Calmo, regolare e forte; pensò che probabilmente sarebbe riuscita a sentirlo anche se non avesse avuto la mano sul suo petto. Dopo pochi minuti l’aria ricominciò a farsi strada nei polmoni, il cuore rallentò, così riaprì gli occhi e lo guardò di nuovo. Oltre alla compassione, Hope vide fierezza nel suo sguardo. Non appena tornò a respirare normalmente Gavriil tornò a guardare Alastair.

<< Cosa pensavi di fare, eh? >> domandò all’amico, che era rimasto immobile almeno a dieci passi di distanza da loro;

<< Hai una minima idea di quanto sia grande il suo dolore in questo momento? Eppure non sei cieco, hai visto i suoi occhi! >>.

Quelle parole suonarono come il peggiore degli insulti per Alastair che, con lo sguardo carico di una rabbia controllata, avanzò di qualche passo verso il vecchio .

<< Come osi? >> disse ad alta voce << di cosa dovrei avere idea? Del dolore che si prova quando perdi qualcuno che ami più della tua stessa vita? Nonostante tu abbia cercato invano di proteggerla, come una figlia ad esempio? >> la sua collera sembrò aumentare ad ogni parola. 

<< Non è la stessa cosa Alastair, e tu lo sai bene! >> provò a dire il vecchio,

<< E’ esattamente la stessa cosa >> lo interruppe, Hope sentì la rabbia delle sue parole invaderla. << Nessuno ha sacrificato, o perso, più di me in questa storia, ricordalo >> disse al vecchio. Si voltò verso Hope, come se si fosse appena ricordato della sua presenza in quella stanza. Lei era rimasta in silenzio ad ascoltare discutere i due uomini. Alastair le si avvicinò;

<< Mi dispiace, non mi sognerei mai di causarti altro dolore, ma l’ho fatto e mi rincresce >>. La guardò con occhi pentiti per quello che era appena successo, poi si voltò verso l’amico; 

<< Te ne prego amico mio, informala di tutto ciò di cui ha bisogno >> disse dirigendosi verso la porta.

<< Dovresti essere qui al mio fianco Alastair, avevamo deciso che saresti stato tu a dirle tutto >>

<< Già, vorrai scusarmi, ma non mi sento molto bene, è stata una brutta giornata per tutti, più di quanto potessi prevedere, scusatemi >>. Uscì così dalla stanza senza aggiungere altro. Gavriil sospirò scuotendo il capo e Hope osservò i suoi occhi divenire tristi. Lui alzò lo sguardo e vide la ragazza fissarlo in piedi nel bel mezzo della stanza.

<< Che idiota sono, ti prego accomodati >> fece segno su una poltrona difronte al camino spento, lei si sedette aspettando che lui facesse altrettanto, ma Gavriil rimase in piedi rigirando l’orologio da taschino fra una mano e l’altra.

<< Non giudicarlo troppo severamente >> disse mentre continuava a passeggiare su e giù per la stanza << il tuo dolore in questo momento è immenso, ma il suo è antico e, nonostante tutto, ancora fresco. Sono sicuro che un giorno potrai capirlo >>. Si diresse verso la poltrona e prese posto accanto a lei;

<< Ma adesso, penso proprio di doverti delle spiegazioni. Anzitutto vorrei cominciare col dirti che questa non è la prima volta che ho il grande onore di fare la tua conoscenza >> fece una breve pausa prima di proseguire. 

<< Mi sbaglierò, ma non sembri molto sorpresa. Posso chiederti perché? >>.

Non si sbagliava. Ciò che Gavriil le rivelò non la prese alla sprovvista. Sin dal primo momento, gli occhi dell’anziano avevano suscitato in lei una strana sensazione di déjà-vu, conosceva quegli occhi, benché non riuscisse a ricordare né dove né quando li avesse già visti.

<< I suoi occhi >> rispose la ragazza << hanno qualcosa di familiare, anche se non so perché >>

<< Bene >> esclamò il vecchio << questo può solo significare che nessuna delle tue vite è andata perduta per sempre >>.

<< Nessuna delle mie vite? >> ripeté Hope confusa da quell’affermazione;

<< Esatto mia cara, nessuna >> le rispose sorridendole come se lei gli avesse appena dato una magnifica notizia, della quale però la ragazza non riuscì a cogliere l’importanza.

<< Vedi, quello che ti ho appena detto, che questa non è la prima volta che ci vediamo, è in parte vero e in parte no. Mi spiego meglio >> disse dopo avere percepito la confusione degli occhi di Hope, che cominciava a sospettare della sanità mentale dell’anziano signore.

<< Ci siamo già conosciuti, oserei dire che eravamo grandi amici, ma tutto questo accadde molto molto tempo fa, durante la tua prima vita >>;

<< La mia prima vita? >> non poté far altro che ripetere a pappagallo ciò che Gavriil le raccontava << Sta parlando di qualcosa come la reincarnazione? >>.

L’anziano uomo le sorrise, Hope capì così di avere dato la risposta giusta, anche se era una risposta che non avrebbe potuto avere nulla di vero.

<< La gente non si reincarna signore >> gli parlò come se dovesse spiegare ad un bambino che il fuoco brucia.

<< Hai ragione mia cara, nessuno può reincarnarsi >> Hope tirò mentalmente un sospiro di sollievo nel sentirglielo ammettere, ma non fece in tempo a rilassare le spalle che l’anziano aggiunse << nessuno eccetto te ovviamente >> concluse. Lui non smise un attimo di guardarla come se stesse spiegando la cosa più ovvia del mondo, mentre lei ricominciò a guardarlo come se fosse pazzo. Gavriil capì cosa stesse pensando, e riprese la parola;

<< Rifletti, hai appena detto tu stessa di avermi già incontrato, che il mio viso ti è familiare, ma allo stesso tempo sai benissimo di non avermi mai conosciuto prima di oggi. Come lo spieghi? >>.

<< Non ne ho idea >> fu tutto quello che riuscì a dire Hope. In qualche modo le risposte che voleva ottenere si trasformarono in caos completo nella sua testa .

<< Lascia che ti racconti la tua storia dal principio. Anche se dovesse sembrarti impossibile puoi credere a tutto quello che ti dirò proprio come credi al fatto che io sia qui davanti a te >>.

Hope non era mai stata scettica, in parte per le doti di preveggenza che era solita attribuire alla madre. Ma non era certa che questo sarebbe bastato per credere a tutto quello che le avrebbe raccontato quell’uomo, nonostante ciò, decise di ascoltarlo. Gavriil accolse quel silenzio come un invito a proseguire, così dopo aver tirato un sospiro di sollievo, iniziò il suo racconto. 

<< Molto tempo fa, quando ancora l’esistenza delle creature sovrannaturali non era un segreto per gli umani… >>

<< Creature sovrannaturali signore? >> lo interruppe Hope senza riuscire a trattenersi; Gavriil le sorrise e continuò il suo racconto.

<< Vi fu un tempo segnato da numerose battaglie, combattute da ogni specie esistente; vampiri, licantropi e alti demoni lottavano fra loro per pura sete di potere, fino a diventare ciò che oggi definiremmo “nemici naturali”. Ma come spesso accade, sottovalutarono il nemico che si rivelò essere il più temibile di tutti: l’uomo. Benché  non fossero dotati della stessa forza o velocità, grazie all’intelletto riuscirono a neutralizzare, quasi fino all’estinzione, ogni sorta di demone esistente, avvalendosi dell’aiuto magico che venne loro dato dalle streghe. Le streghe erano le guardiane della natura, nascevano con il compito di portare equilibrio laddove fosse necessario. Quando la terra piangeva, loro dovere era quello di eliminare la causa della sua sofferenza. Ma non avendo, da sole, la forza necessaria per contrastare i demoni, si allearono con gli umani concedendo loro l’aiuto magico che determinò la loro vittoria. Ma non passò molto tempo prima che gli umani dessero inizio alla seconda parte del loro piano. Non appena i villaggi e i regni furono liberati dalla presenza delle creature sovrannaturali, iniziarono a perseguitare le uniche che sarebbero potute diventare una minaccia, le streghe. Diffondendo la voce che fossero emissari del diavolo, in grado di togliere all’uomo il libero arbitrio, insinuandosi nelle loro menti attraverso artifici magici. Più pericolose, in vero, dei loro fratelli demoni che esse stesse avevano aiutato a sterminare per sete di potere. Molte streghe vennero messe al rogo, ma furono molte di più le vittime innocenti uccise soltanto per presunto utilizzo di magia: donne, ragazze e persino bambine… giustiziate senza pietà >>.

<< Tutta la storia delle streghe bruciate a Salem non era solo una leggenda quindi >> disse Hope esprimendo il proprio pensiero ad alta voce.

<< Mia cara, se anche solo un quarto delle morti a Salem fossero realmente state delle streghe, puoi star certa che la storia avrebbe preso un’altra piega >> spiegò Gavriil prima di riprendere il racconto.

<< Ciò nonostante, i numerosi omicidi costrinsero molte streghe ad abbandonare per sempre i loro poteri. A rinnegare la loro natura. Il terrore ormai era una presenza costante nelle loro vite, poiché a volere la loro fine non erano soltanto gli umani. Per molti secoli venne data loro la caccia anche dai demoni, che ormai avevano imparato a nascondersi e, alcuni, persino a vivere fra la gente comune. Ma non tutte le streghe rinunciarono ai propri poteri. Una giovane strega di nome Cassandra, decise di nascondersi, giurando che l’avrebbe fatto pagare  ad ogni singola creatura responsabile della morte della sua congrega. Per molti anni Cassandra rimase nascosta ed isolata, accrescendo sempre di più i suoi poteri. Ma le persone, si sa, non sono fatte per rimanere sole così a lungo. Con il tempo la solitudine cominciò a logorarle la mente, la vendetta ormai era la sua unica compagna. Giorno dopo giorno, incantesimo dopo incantesimo, il suo potere divenne sempre più forte, abbastanza potente da riuscire ad eliminare con facilità qualche demone. Ma sapeva che non sarebbe mai bastato a sconfiggere tutti quelli che le avrebbero dato la caccia una volta uscita allo scoperto. Prese così la decisione che nessuna strega dell’epoca avrebbe mai preso: decise di cambiare il corso della natura. Avrebbe creato un mostro tanto potente da sconfiggere i demoni >>.

<< E’ una cosa davvero possibile? Sembra una cosa folle persino per una strega >> commentò Hope a voce alta e sguardo inespresssivo.

<< Lo è. Ma questo non persuase Cassandra dal provarci. Voleva un essere che avrebbe incanalato il sangue e la magia di ogni creatura sovrannaturale, nato da esseri umani ma privo di ogni umanità. Avrebbe utilizzato anche il suo stesso sangue, cosicché in lei avrebbe riconosciuto la sua padrona. Ma un incantesimo del genere, oscuro e tanto potente da rompere - anche se per poco - le leggi della natura, non poteva essere il frutto dei suoi soli poteri. Sarebbe stata la natura a darle tutto l’aiuto di cui avrebbe avuto bisogno. Tornò così al villaggio, fra la gente, dove avrebbe solo dovuto aspettare il momento propizio che, ahimè, non tardò ad arrivare. Poco tempo dopo il suo ritorno infatti, trovò quello che le avrebbe permesso si portare a termine il suo piano. Una giovane strega, che aveva abbandonato ormai da tempo la magia, ed il suo sposo, un coraggioso guerriero del villaggio, avrebbero presto messo al mondo un figlio. Quel bambino sarebbe nato durante una notte di luna piena, proprio quando tutti gli elementi della terra sprigionano in pieno i loro poteri. Questo avrebbe permesso alla strega di trarre il massimo potere, abbastanza a lungo da riuscire a portare a termine l’incantesimo. Cassandra trovò il modo di avvicinarsi agli sposi, si finse un’allevatrice proveniente da un lontano villaggio, distrutto da barbari in cerca d’oro. Chiese loro ospitalità ed in cambio offrì tutta la sua esperienza al servizio dei suoi benefattori. I due sposi accettarono e così, per i mesi che seguirono, la strega si finse un’amica. Tornava spesso nella grotta dove aveva vissuto in quegli anni, per definire i dettagli del suo piano. Un giorno il marito della giovane strega dovette allontanarsi con gli altri guerrieri del villaggio in cerca della bestia che da un po' di tempo si aggirava intorno ai boschi, uccidendo bestiame e uomini. Partirono alla prime luci dell’alba, si inoltrarono nel bosco, cercarono invano tracce della bestia, ma nulla, né un’impronta, né una carcassa di animale, né tracce di sangue. Decisero quindi, al calar del sole, di tornare a casa, sperando che, di qualsiasi animale si trattasse, fosse solo di passaggio. Ma non fu così… non appena l’ultimo raggio di sole sparì, uno ad uno  gli uomini del villaggio vennero presi, così velocemente che nemmeno si capì da dove quella bestia stesse attaccando. Rimase solo il marito della giovane strega, che, disarcionato dal proprio cavallo, si ritrovò davanti ad uno spettacolo che lo sconvolse. Da dietro un grosso albero non vide venir fuori un animale, ma un uomo >>.

<< La bestia che aveva assassinato tutto il bestiame e tutte quelle persone era un essere umano? >> Hope non poté fare a meno di associare il volto dell’assassino di Elle a quello del racconto di Gavriil.

<< Non era un semplice essere umano, occhi neri come la morte, dalle sue labbra colava ancora il sangue dei suoi compagni. Guardandolo il disgusto contorse le viscere del guerriero, ma sapeva che doveva rimanere concentrato. Con le spalle al cavallo e la spada davanti a sé, attese che quell’essere facesse la sua mossa, ma anziché attaccarlo iniziò a parlargli. Lasciandolo senza parole, l’essere si scusò per quello che aveva appena fatto ai suoi amici, ma disse anche che, se avesse tenuto davvero alla sua famiglia, avrebbe dovuto ascoltare quello che aveva da dirgli. Costretto dalle circostanze più che dalla propria volontà, il guerriero accettò la sua offerta, così quel mostro raccontò cosa fosse in realtà, un vampiro, e che fino a poco tempo prima non era da solo. I suoi amici erano stati tutti uccisi da una strega, una donna che da tempo ormai si fingeva una levatrice del suo villaggio, la stessa donna che lui e la sua sposa avevano accolto in casa loro. Gli rivelò anche che, seguendola durante le sue passeggiate nel bosco, era venuto a conoscenza del vero motivo per il quale la donna era tornata al villaggio. Scoprì che, in realtà, la strega aspettava la nascita del suo primogenito, che avrebbe preso e trasformato in un mostro di gran lunga peggiore di quello che adesso gli stava davanti. In un primo momento, il guerriero si rifiutò di credergli, ma il dubbio, ad ogni parola, iniziò a crescere dentro di lui. Se quello che il vampiro aveva scoperto fosse stato vero, allora la sua famiglia aveva bisogno di lui. Dando le spalle al nemico, cercò di rimontare sul suo cavallo per tornare al villaggio, ma con una rapidità mai vista prima, il vampiro lo fermò. Disse all’uomo che se fosse tornato a casa in quello stato, sarebbe andato incontro a morte certa. L’unica speranza di salvare la sua famiglia era quella di trasformarsi a sua volta in un vampiro. Ancora una volta il guerriero si ritrovò dilaniato dal dubbio, ma spinto dall’amore verso la propria famiglia, accettò. Bevve così il liquido contenuto in una borraccia offertagli dall’essere e quasi immediatamente iniziò a sentirsi male. Solo allora il vampiro lo uccise a mano nude >>.

<< Perché avrebbe fatto una cosa del genere? >> domandò la ragazza interrompendo il racconto;

<< Vedi, mia cara, soltanto se vieni ucciso da qualcosa di sovrannaturale dopo aver bevuto del sangue di vampiro, puoi a tua volta diventare uno di loro >>.

<< Quindi quello che il guerriero bevve dalla borraccia era… >>

<< Sangue di vampiro >>  confermò Gavriil. Aspettò qualche minuti prima di riprendere la storia, per assicurarsi che Hope assimilasse tutto quello che aveva detto fino ad allora.

<< Dopo essersi risvegliato >> riprese l’anziano << il guerriero tentò subito di raggiungere il villaggio, ma non appena uscì dalla grotta in cui il vampiro lo condusse, i raggi del sole iniziarono a bruciare la sua pelle. Avevano passato l’intera notte lontani dal villaggio, e, malgrado il tempo non fosse dalla loro parte, si trovarono costretti ad attendere il calar del sole. Il vecchio vampiro sapeva che Cassandra avrebbe agito quella stessa sera, durante la notte di luna piena, così approfittò del tempo rimasto per spiegare al guerriero che cosa potesse o non potesse fare nelle sue nuove condizioni. Al tramonto, entrambi corsero verso il villaggio, più veloce di qualsiasi cavallo, ma non appena arrivati, scoprirono che la strega aveva già portato via la donna. In preda al panico il guerriero iniziò a vagare senza meta attorno alla casa, nel bosco, ma non trovò nulla. Solo quando il vecchio vampiro riuscì a calmarlo, come guidato da una bussola, il guerriero capì esattamente dove dirigersi; sentì, in qualche modo, qualcosa che lo avrebbe condotto da sua moglie e, di conseguenza, da Cassandra. Dopo aver corso per qualche minuto, si ritrovarono in una radura, al centro della quale, in un lago, la luna si specchiava luminosa. Sulla riva di quel lago, il guerriero ed il vampiro videro la strega e la donna, in procinto di partorire. Cassandra aveva già iniziato il suo incantesimo e, non appena il bambino fosse nato, avrebbe ucciso la madre. In preda alla collera, il guerriero, senza pensarci, corse ad attaccare la strega, che presa alla sprovvista venne sopraffatta. Distratto, però, dalle urla della moglie, un istante dopo il guerriero si ritrovò sottomesso. In men che non si dica, Cassandra lo costrinse a terra preda di dolori lancinanti, mentre la sua sposa a pochi metri da lui stava per dare alla luce il loro bambino. Nel momento in cui la strega stava per terminare l’incantesimo, il vampiro, accorso in aiuto del guerriero, sbucato dal nulla prese il suo collo fra le mani. Dopo aver pronunciato una frase, che il vecchio vampiro non sentì, la strega si ritrovò con la gola squarciata, aveva approfittato dell’unico istante in cui la strega fu vulnerabile. Benché Cassandra fosse morta, l’incantesimo era già stato lanciato e dopo pochi minuti, il neonato che lei stessa aveva maledetto venne al mondo. Era una bellissima bambina, ma il segno del maleficio di Cassandra era vivo nei suoi occhi. Tuttavia rimase un incantesimo incompleto. Cassandra riuscì ad incanalare il potere di cui aveva bisogno in quella creatura, ma non riuscì mai a prendersi la sua umanità e con essa la sua parte di strega. Fu così che la madre, servendosi del cuore di Cassandra, terminò l’incantesimo, facendo appello proprio a queste ultime due parti di umanità, che avrebbero represso il lato demoniaco della neonata, impedendogli di liberarsi. La bambina crebbe con i suoi genitori; la chiamarono Pandora, coma la ragazza del mito greco alla quale Zeus diede in dono un vaso come regalo di nozze, che, si scoprì una volta aperto, conteneva tutti i mali del mondo. I giovani sposi dovettero lasciare il villaggio a causa delle nuove condizioni del marito e del suo nuovo amico, che incantato da quell’armonia familiare, non andò più via, diventando così uno dei protettori del “vaso” di Pandora. Quando fu abbastanza grande, raccontarono tutto a quella che ormai era diventata una bellissima giovane ragazza, ma l’amore di quella famiglia era più forte di qualsiasi sortilegio o maledizione. La madre ricominciò a praticare la magia, perché così avrebbe impedito più facilmente al sigillo di rompersi. Vissero in pace per molto tempo, fino a quando la madre si ammalò. Prima di andarsene, però, disse ai vampiri che sarebbe stato necessario trovare un’altra strega per proteggere Pandora. Avrebbe dovuto guidarla per evitare che quel potere potesse riaffiorare portando via la loro bambina; fu così che trovarono me. Praticavo la magia nel bosco, avevo da poco scoperto che cosa fossi io, ma dato che il mondo sembrava convinto che le streghe fossero solo donne, fu più facile per me mantenere segreta la mia natura. Sarei comunque andato via dal villaggio e quando mi raccontarono la loro storia decisi di unirmi a loro. Più il tempo passava, più non potevo sopportare il pensiero di lasciarli; ormai era diventata la mia famiglia, così trovai un modo per ovviare il problema. Mi ci vollero molti anni per trovare una soluzione che non infrangesse nessuna delle leggi della natura, ma alla fine ci riuscii. Rallentai il processo di invecchiamento, i secoli per me divennero, anni e questo mi diede il tempo di sviluppare i miei poteri e di perfezionare sempre di più la mia pozione >>.

<< Cosa c’entra tutto questo con me? >> domandò Hope che dovette far ricorso a tutta la sua buona volontà per non interrompere ancora il racconto del vecchio Gavriil.

<< Non l’hai ancora capito, mia cara? Quella bambina, quella che dentro di sé racchiude tutto quello che di magico esista, sei tu… tu sei Pandora >>. La guardò negli occhi e una sensazione di leggerezza apparì sul volto dell’anziano, aspettava da secoli di poter pronunciare quelle parole, di poter finalmente ritrovare parte di quella che un tempo considerò la sua famiglia.

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Capitolo 3
*** La stanza blindata ***


Subito dopo averle raccontato quella storia, Gavriil congedò la ragazza scusandosi per la brevità di quell’incontro. Hope aveva ancora molte domande fa fare, ma pensò che l’anziano avesse fretta di assicurarsi sulle condizioni del suo amico, che aveva lasciato la stanza visibilmente turbato. Lasciò a Logan, che entrò con un tempismo a dir poco perfetto, il compito di accompagnarla nella sua nuova camera. Lei lo seguì fuori dalla stanza, camminarono in silenzio per tutto il tragitto, poco prima di aprire la porta però, fu Hope a rompere il silenzio.

<< Hai ascoltato tutto >> disse senza esitare.

<< Si, mi dispiace >> rispose abbassando lo sguardo sulla mano che teneva la maniglia << ero venuto a cercare Alastair, pensavo sarebbe stato lui a raccontarti tutto >>.

<< Non ha voluto, non so il perché sembrava molto scosso. Ha lasciato il compito a Gavriil >> aveva lo sguardo fisso ed inespressivo perso nel vuoto. Hope non aveva bisogno di specchiarsi ancora per sapere che i suoi occhi non erano cambiati. Si sentiva ancora esplodere dentro ogni tipo di brutta emozione e allo stesso tempo vuota come il nulla. Cominciava a chiedersi se sarebbe mai tornata quella di un tempo e la risposta sembrava essere no. Fu Logan ad interrompere i suoi pensieri.

<< Vieni, ti faccio vedere la tua stanza >> aprì la porta ed entrando. Hope notò subito come quella stanza riuscisse a rappresentarla così bene. La libreria che occupava quasi tutta una parete conteneva molti dei suoi libri preferiti e molti CD, vi era persino un poster della sua band preferita affissa alla parete. Se avesse potuto manifestare qualsiasi tipo di emozione, di sicuro sarebbe stata di stupore.

<< Non hanno mai smesso di aspettarti. Questa stanza è sempre stata pronta per te, per ognuna delle tue vite. Cambiamo l’arredamento a seconda delle fasi della tua vita, infanzia, adolescenza, maturità… Volevano assicurarsi che se un giorno fosse successo qualcosa avresti avuto almeno un posto dove potessi sentirti a tuo agio >> spiegò Logan. Il ragazzo rimase in piedi in un angolo mentre Hope fece lentamente il giro della stanza. Tutta quella roba non faceva altro che ricordarle la sua vita, una vita che aveva condiviso quasi interamente con Elle. Il suo cuore si incupì ma le lacrime sembravano essere bloccate, Logan rimase a guardarla per qualche secondo prima di avvicinarsi poggiandole una mano sulla spalla.

<< Posso aiutarti, se me lo permetti >> nei suoi occhi c’era tristezza ed Hope sapeva di esserne in qualche modo la causa.

<< Non posso mettere le cose al loro posto >> si affrettò a chiarire << ma se continui a tenere tutto dentro presto o tardi esploderai e so per esperienza che in quei casi potresti fare cose di cui ti pentiresti >>.

<< Come puoi aiutarmi? >> domandò Hope cercando, senza successo, di dare un tono diverso alla sua voce.

<< Ho come la sensazione che qualcosa mi stia schiacciando il cuore, fa male. Non riesco a respirare. Parlare mi procura dolore, allo stesso tempo però mi sento vuota, incapace di qualsiasi tipo di emozione o sensazione >> spiegò.

<< Non sai come gestire quello che ti sta accadendo, non in queste condizioni almeno >> si diresse verso la porta << fidati di me, permettimi di aiutarti >>.

Usciti dalla stanza di Hope incontrarono Nathan, sembrava stesse cercando Logan, ma lui gli fece un cenno con la testa che l’amico capì e senza nemmeno aprire bocca e si limitò seguirli. Percossero un breve tratto di corridoio prima di scendere tre rampe di scale ritrovandosi d’avanti la porta di una stanza. Entrarono ed al suo interno, inaspettatamente, Hope vide un’altra camera che sembrava essere blindata. Logan aprì la porta di quella camera, entrò dentro la stanza ed invitò la ragazza a fare altrettanto, lei lo seguì ed entrambi si fermarono al centro esatto. Sembrava essere uno scantinato, non vi erano finestre ne altre porte, nessuna luce che potesse filtrare dall’esterno. Le pareti erano tutte dello stesso color beige sporco e tutte completamente vuote, fatta eccezione per quelli che, aguzzando la vista, la ragazza riconobbe come dei graffi sparsi ovunque macchiati di sangue. Hope poteva sentire tutta la rabbia e l’angoscia che quel posto racchiudeva.

 << Perché mi hai potata in questa stanza? Che intenzione hai? >> chiese a Logan.

<< Io non farò niente, sarai tu a fare tutto >>

<< Cioè? >> 

<< Urla >> le disse, sembrava più un consiglio che un ordine << senti quel peso sul cuore e cerca di buttarlo via urlando. Hai già visto come funziona a scuola, sai che dopo starai meglio >>.

<< Non hai visto cos’è successo? >>

<< Si, il tuo urlo ha raggiunto anche noi >> ed indicò se stesso e il suo amico che si trovava sul ciglio della porta, non sembrava molto contento di trovarsi li.

<< E tu vorresti che lo rifacessi? >> non capiva, ancora una volta le sfuggiva qualcosa, perché mai avrebbe dovuto voler di nuovo trovarsi piegato in due dal dolore, quale persona sana di mente lo avrebbe fatto?

<< Si esatto! Per questo ti ho portata qua. Vedi questa stanza? la usiamo quando alcuni di noi si trovano in condizioni un po' delicate ed è necessario che nessuno possa sentirli. Se rimani qua dentro non c’è pericolo che tu possa fare del male a nessuno di noi >>.

Hope lo guardò, non poteva fare a meno di credere alle sue parole, i suoi occhi erano come un filo diretto con i suoi pensieri, voleva aiutarla lo sapeva bene, quindi fece cenno di si con la testa. 

<< Bene >> concluse Logan << vedrai che non te ne pentirai, ne sono certo >> disse dirigendosi verso la porta, raggiunto il suo amico si voltò verso Hope che lo guardava allontanarsi. 

<< Mi troverai fuori dalla porta appena avrai finito >> di nuovo le sorrise e di nuovo lei capì che non stava mentendo.

I ragazzi uscirono dalla stanza e chiusero la porta. Adesso Hope era sola, per un attimo sperò che Logan non andasse via, ma sapeva che non sarebbe stato possibile per lui resistere inerme alla sua voce. Abbandonò quel pensiero e si concentrò su tutto quello che era accaduto quel giorno. Lo sparo, la ragazza morta, quegli individui che le prendevano, pensò alla sua famiglia che probabilmente non avrebbe rivisto per molto tempo e poi… le sembrò nuovamente di sentire il collo di Danielle rompersi a pochi centimetri dal suo orecchio. Non ci volle molto prima che le lacrime tornassero a lottare per farsi strada e con loro quel macigno sul petto. Stavolta però non aspettò di esserne schiacciata. Raccolse tutto il fiato che aveva in corpo e iniziò ad urlare. Sentì quell’enorme masso sul suo cuore sgretolarsi lentamente, Logan aveva ragione, urlare era l’unica cosa che la facesse sentire meglio. Così, dopo un’intero giorno che credette di non poter respirare, andò avanti  per un tempo che le sembrò infinito. Ad un certo punto della notte, senza neppure sapere quando, si addormentò sul pavimento all’angolo della stanza con il viso ancora bagnato dalle lacrime. Non appena sveglia, riuscì immediatamente a sentire l’enorme differenza. Non aveva dimenticato tutto quello che era accaduto ed il suo cuore era ancora triste, ma lo sentiva libero. Riusciva a respirare profondamente senza che l’aria le si bloccasse in gola, nessuna stretta dolorosa al cuore che sentiva di nuovo battere in modo regolare. Si avvicinò alla porta e per aprirla dovette mettere più forza di quanto si aspettasse, quando ci riuscì, un po delusa, non vide nessuno. Si diresse verso le scale per raggiungere la sua stanza, ma dopo il primo passo, inciampò su qualcosa che le fece perdere l’equilibrio. Si voltò ed un mezzo sorriso non poté fare a meno di formarsi sul suo viso. La cosa su cui era inciampata era il piede di Logan, che dormiva per terra con le spalle poggiate al muro, proprio di fianco la porta. La testa curva verso destra e le braccia conserte. Hope gli si avvicinò. Nonostante fosse in una posizione davvero scomoda il suo viso sembrava molto sereno, le sue labbra ed i suoi occhi chiusi erano rilassati come se stesse dormendo su un letto di fiori. Continuò a guardarlo per qualche minuto prima di poggiare una mano sulla sua spalla e cominciare a chiamarlo.

<< Logan, Logan svegliati >> dovette ripeterlo tre volte prima che i suoi occhi si aprissero << mi dispiace averci messo così tanto, non avresti dovuto aspettarmi qui >>.

<< Non preoccuparti, io riuscirei a dormire anche appeso a testa in giù >> rispose sorridendo.

<< Volevo comunque ringraziarti, qualsiasi cosa sia successa la dentro ha funzionato >>

<< Lo so >> disse sicuro delle proprie parole.

<< Come? >> chiese Hope incuriosita; 

<< I tuoi occhi >> non aggiunse altro, si alzò e le prese la mano << vieni ti faccio vedere >>. La portò su per le scale e finita la prima rampa girò a sinistra, si fermò di colpo, mise Hope davanti a se voltandola di spalle. Entrambi si ritrovarono davanti ad uno specchio abbastanza grande da riflettere sia lui che la ragazza, la cornice d’orata era formata da rampicanti.

<< Vedi? >> disse Logan guardando gli occhi di lei attraverso lo specchio. Solo in quel momento Hope si rese conto di non riuscire a sostenere il suo sguardo, così cominciò a guardare il proprio volto riflesso nello specchio e capì subito di cosa stesse parlando. I suoi occhi non erano più blu, erano tornati del loro colore naturale, un caldo marrone che fu felicissima di rivedere. Potrò una mano sul suo viso per assicurarsi che quello specchio stesse riflettendo la verità. Si avvicinò di qualche passo, nuovamente le sue labbra si piegarono accennando un sorriso.

<< Qualcuno una volta disse che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ho sempre pensato fosse vero e nel nostro caso è solo più evidente >> le mise una mano sulla spalla. 

<< Il colore dei tuoi occhi naturali è molto meglio secondo me >> le disse facendole l’occhialino.

<< Grazie, anche a me piacciono più così >> mentre si fissava allo specchio iniziò a sbadigliare strofinando gli occhi con i polpastrelli.

<< Che ore sono di preciso? >> domandò a Logan, lui si voltò ma non vide orologi in giro; 

<< Non lo so >> rispose continuando a guardarsi intorno.

<< Scusa non hai un cellulare? >>

<< Ah già >> tirò fuori il cellulare dalla tasca e guadò lo scremo per un secondo. 

<< Sono le 5:27 del mattino >> poi la guardò sbadigliare di nuovo << forse dovresti andare a riposarti un po nella tua stanza, hai avuto una nottataccia dopo una giornata ancora peggiore >>.

<< Sono un po a pezzi >> ammise in tono arrendevole, fece per incamminarsi verso la sua stanza ma dopo un paio di passi si fermò senza muoversi.

<< Cos c’è? >> le chiese Logan avvicinandosi,

<< Nulla, solo che non so da che parte sia la mia stanza, penso sia di qua >> e non appena riprese a camminare Logan la fermò.

<< Vieni, di qua si fa prima >> lo seguì senza discutere, salirono due rampe di scale e girarono un paio di corridoi, Hope si ripromise che avrebbe dovuto rifare tutta la strada non appena ci sarebbe stata più luce ed il tempo. Percorsero il corridoio per un paio di metri arrivando così alla sua stanza, prima di chiudere la porta ringraziò Logan per averla portata in quella camera blindata, per averla aspettata tutta la notte e per averla riaccompagnata.

<< Figurati, a buon rendere >> rispose facendole l’occhiolino, e se ne andò.

Hope rimase da sola nella sua stanza ma non ebbe ne la voglia ne le forze per esplorarla. Si diresse subito a letto, che a differenza di quello a cui era abituata sembrava grande il doppio. Si tolse le scarpe tirandole via con i piedi e si buttò letteralmente sotto le coperte, non passò molto tempo prima che riuscisse a riprendere sonno.

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