Le regole del treno

di GCatlike92
(/viewuser.php?uid=952478)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVII bis ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 21: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XX ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione:

Questo prologo spiega la suddivisione del mondo in cui è ambientata la storia di questo libro.

Esso è totalmente facoltativo. Tutto quello che è scritto qui è spiegato, in maniera sparsa ma più approfondita, nelle pagine successive.

Se siete persone a cui piace sapere tutto subito, a cui piace aver chiara la situazione fin dall'inizio, leggetelo pure. Altrimenti potete tranquillamente saltare questo capitolo e andare direttamente al prossimo.

Buona lettura!

*****

Tante sono le storie raccontate dai libri, tante sono le fiabe, tante le avventure, le paure, gli amori. Sono tanti i mondi, tutti così diversi tra loro, tutti unici e speciali. Il mondo in cui è ambientata questo particolare racconto è il più speciale di tutti. E lo è perché in esso si svolge il suddetto racconto, lo è solo e soltanto per questo. Il nome di questo universo non è importante. Quello che importa è invece il modo in cui esso è stato suddiviso sin dalla notte dei tempi.

Benché una parte del mondo fosse ancora poco esplorata, e nonostante vi fossero zone completamente indipendenti da tutto, vi erano al suo interno tre regioni principali, che separavano non solo i territori, ma anche le popolazioni e le creature che vivevano in essi.

La regione più grande era il Vortice, una immensa landa buia e grigia che ospitava al suo interno i mostri più spaventosi che la mente possa concepire. Le creature del Vortice vivevano in solitudine, circondate da tenebre e rabbia. Lupi, streghe, angeli neri, belve feroci, vermi e demoni si combattevano quotidianamente per cercare di sopravvivere e le poche città presenti pullulavano di ladri, truffatori e stregoni pronti a distruggere la vita di chiunque non fosse stato più scaltro di loro. La magia nera era di casa all'interno del Vortice, dove veniva praticata insistentemente, senza curarsi delle restrittive regole del resto del mondo. In fondo, chi mai avrebbe avuto il coraggio di contestare tale arte? Gli occhi rossi, i denti aguzzi, gli artigli, gli incantesimi e le torture mettevano paura a chiunque. Il Vortice era certamente la parte più spaventosa ed odiata del mondo, e l'unica parte che odiava lo stesso mondo talmente tanto da volersi tenere a debita distanza da esso. E il resto del mondo, a sua volta, si teneva lontano da delle creature talmente oscure e corrotte da aver quasi perso ogni segno di quella che viene comunemente chiamata vita.

La seconda regione era la Casa Imperiale, dominata dalla sua capitale, la Città Imperiale, il più grande centro urbano del mondo. I suoi abitanti, neanche a dirlo, erano proprio gli Imperiali, esseri dalla forma e dall'animo umani, egoisti e pieni di sé, ma incredibilmente bravi negli affari e nel commercio, nonché maghi della tecnologia. Gli Imperiali erano riusciti a costruire una società industrializzata, fondata sul duro lavoro e resa più semplice dai progressi in campo medico e tecnologico. Di contro, gli Imperiali non possedevano il dono della magia. Per poterla usare dovevano affidarsi agli esseri delle altre regioni, che talvolta venivano trattati quasi come divinità, pagati profumatamente e letteralmente ricoperti di oro e gloria, talvolta venivano venduti come schiavi per poter essere sfruttati dal padrone di turno. Gli Imperiali erano gli esseri più vulnerabili del mondo, sempre in balia delle loro emozioni, comandati dall'amore, dalla rabbia, dalla gioia, dalla paura, dalla tristezza, dall'altruismo. La loro vita era un'unica, variegata emozione, e rappresentava il solo motivo che li spingeva ad andare avanti.

E infine, nella zona più nascosta del mondo, si trovava l'ultima regione della nostra storia. Circondata da fiumi e foreste, ricoperta da una fitta vegetazione e cosparsa di laghi e cerchi di fate, c'era la Dime, un luogo magico e bellissimo, ricolmo di pace e tranquillità, privo di ogni parvenza di malvagità. La Dime era popolata da fate, elfi, maghi, ninfe... tutte creature della luce che avevano il compito di rendere il mondo un posto sereno e meraviglioso. Capitava spesso che tali esseri collaborassero spontaneamente con gli Imperiali, spinti dal loro innato altruismo, mettendo a loro disposizione una immensa quantità di magia per permettere al popolo della Casa Imperiale di prosperare. 
Canti e luce erano il segno distintivo della Dime, che era la meta più ambita da molti, ma anche la più irraggiungibile. Numerosi sistemi di difesa, infatti, proteggevano i suoi abitanti, che in questo mondo non potevano essere raggiunti né dai mostri del Vortice né dagli Imperiali più avidi e folli.

Infine, proprio nel cuore della Dime, si trovava quello che era il sistema difensivo più potente della regione, il palazzo delle Guardiane. Queste erano delle bellissime sacerdotesse alate, sempre vestite di bianco, adornate di gioielli preziosissimi e dotate di due occhi più azzurri dello stesso cielo, le quali si occupavano di guidare, accudire e proteggere la Dime. Tra le Guardiane vi erano le cosiddette Anziane, che abitavano il palazzo da più tempo di quello che la memoria può ricordare e che, essendo le uniche a cui era concesso di usare la magia, custodivano i segreti contenuti all'interno del palazzo. Vi erano poi quelle che erano chiamate Figlie. Queste erano Guardiane giovani che non avevano ancora padroneggiato l'uso della magia e che venivano istruite dalle Anziane per poterle, un giorno, sostituirle alla guida della Dime.

Le Guardiane erano creature lontane dal mondo, pure e prive di qualsiasi sentimento malvagio. Il palazzo in cui vivevano le teneva lontane dagli orrori del resto del mondo e impediva loro di conoscere le realtà della Casa e del Vortice. Le Figlie erano venute a conoscenza di queste regioni solo tramite i racconti delle poche creature alle quali era concesso, in via del tutto eccezionale, di accedere al palazzo, e le notizie che sentivano erano spesso falsate o romanzate. Ma in fondo era giusto così. Le Guardiane erano felici di quello che avevano. Erano le creature più potenti della Dime, se non dell'intero mondo, comandavano e guidavano molte creature, erano rispettate e la loro magia non aveva rivali. Vivevano all'interno di una meravigliosa utopia distante dal grigiume del Vortice e ignara del materialismo della Casa Imperiale.

Fra coloro a cui era concesso di entrare nel palazzo c'erano i magicanti, degli apprendisti maghi che godevano di grande fiducia fra le Guardiane. Uno dei maggiormente benvoluti fra questi era un ragazzo di nome Hawk. Era stato ospite nel palazzo fin da bambino ed era praticamente cresciuto insieme alle Guardiane, che l'avevano accolto ed amato come un fratello.

Per questo motivo, quando si era sparsa la voce che Hawk, dopo un lungo periodo di assenza, durante il quale aveva appreso l'arte della magia, stava per tornare al palazzo, le Guardiane erano immediatamente entrate in fermento.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo I ***


- Ella! Ella! È tornato Hawk!

Una delle Guardiane correva trafelata per i giardini del palazzo, alternando di tanto in tanto il frenetico movimento delle gambe a qualche rapido battito d'ali che le permetteva di muoversi più velocemente fra le belle fontane ed i cespugli decorativi sapientemente potati.
Tanta premura era giustificata dal fatto che Hawk stava ormai per giungere al palazzo e ciò non poteva accadere prima che Ella fosse avvisata.

- Ella! Ma che fai! Devi venire di fronte al palazzo! C'è Hawk!

La bella Guardiana seduta sul bordo di un'ampia fontana si girò di scatto. I morbidi capelli castani le svolazzarono intorno al viso, accarezzandole le spalle con le loro onde. I suoi occhi azzurri si spalancarono e rimasero a fissare quelli della compagna, che nel frattempo stava tentando di raccontare dell'arrivo del famigerato Hawk, trattenendo con molte difficoltà l'eccitazione.

- È all'ingresso del palazzo! Le altre sono già lì! Dai muoviti Ella! Ma non sei curiosa di vederlo?!

Ella si alzò finalmente in piedi, mostrando la sua figura longilinea e formosa. Un sorriso incredulo le solcava il viso. Finalmente avrebbe potuto riabbracciare Hawk! Senza attendere un minuto di più spiegò le sue lunghe ali e volò via al fianco della sorella.

Le due Guardiane si recarono al portone d'ingresso del palazzo, davanti al quale si estendeva una enorme piazza circondata da gruppi di arbusti e roseti carichi di rose bianche giganti. Molte altre Figlie erano presenti, attendendo l'arrivo del magicante tutt'altro che in silenzio.

Il ragazzo aveva trascorso l'infanzia fra i giardini del palazzo e negli anni si era guadagnato l'affetto delle Anziane e l'amicizia delle Figlie. Ella, in special modo, era stata una delle Guardiane che più aveva voluto bene ad Hawk. Da piccoli avevano passato ore a giocare insieme, a raccontarsi storie, a ridere, a darsi coraggio nei momenti difficili e persino a piangere insieme. Hawk la aveva sempre sostenuta e protetta. Era lui che la consolava quando si faceva male o quando le Anziane la rimproveravano. Era sempre lui che la stringeva a sé quando lei non voleva dormire per paura del buio.

Avevano passato una intera parte della vita insieme, una parte che Ella considerava speciale ed unica. Quando Hawk aveva annunciato la sua partenza, lei si era mostrata felice, nonostante dentro il suo cuore una grande delusione stesse avanzando inarrestabile. Certo, anche a quel tempo sapeva bene quale sarebbe dovuto essere il futuro del ragazzo. Era figlio di magicanti, i suoi genitori avevano preso accordi da lungo tempo con il rettore della scuola di magia, era inevitabile che abbandonasse le Guardiane per andare ad appendere quest'antica arte.

Ma Ella era comunque rimasta delusa.

Era preparata, sapeva che lo avrebbe dovuto salutare...

Ma era rimasta molto delusa.

Ricordava fin troppo bene il giorno in cui Hawk era andato via. Si erano salutati con un abbraccio quasi infinito. Lui le aveva giurato che sarebbe tornato presto e che, naturalmente, le avrebbe raccontato tutte le sue avventure, che avrebbe descritto la scuola dei magicanti e che le avrebbe persino dato informazioni sugli Imperiali.

In realtà Hawk non era affatto tornato presto. Cinque anni erano passati da quel giorno. Cinque lunghi anni durante i quali nessuna delle Figlie aveva più avuto notizie di lui. Ma adesso le cose stavano per cambiare.

Il brusio delle giovani Guardiane si acquietò improvvisamente. Da lontano potevano scorgere una figura alta e snella che attraversava spavalda i giardini antecedenti allo spiazzale di ingresso. Il ragazzo si stava avvicinando con passo sicuro, sorpassando senza timore ogni fontana, ogni cespuglio e ogni arbusto che decoravano i giardini. Sembrava quasi come se persino i suoi piedi conoscessero ogni più piccolo ciottolo della strada di ingresso, segno che quei cinque anni non erano stati in grado di scalfire neppure un brandello della sua memoria. Le Guardiane nel frattempo ammiravano in silenzio il giovane, pregustando il momento in cui avrebbero finalmente potuto riabbracciarlo. Quei pochi secondi di attesa sembravano interminabili per Ella, che, dopo aver aspettato per così a lungo, aveva ormai terminato la sua pazienza.

Finalmente Hawk raggiunse lo spiazzale, avvicinandosi alle Guardiane con un sorriso ammaliante. Ella era sorpresa per quanto fosse cambiato. Il visino sottile e delicato da adolescente aveva lasciato spazio ad un volto adulto, dominato da una mascella importante ricoperta da una curatissima barba. I capelli, un tempo di uno splendente biondo miele, erano diventati un po' più scuri e più lunghi. Il corpo, che in passato era minuto, ora si presentava letteralmente trasformato, dominato da muscoli appena visibili attraverso i pantaloni aderenti e la casacca marrone. Se quando era ragazzo Hawk non era mai riuscito a superare Ella in altezza, ora la sovrastava letteralmente. L'unica cosa che non era cambiata erano gli occhi, che erano rimasti sottili e allungati, quasi semichiusi, attraverso i quali si poteva però intravede l'iride color oro, talmente brillante da sembrare composta di luce.

Hawk, dal canto suo, benché avesse cominciato ad abbracciare le Guardiane con un sorriso stampato in volto, non aveva potuto fare a meno di notare Ella, la quale ricambiava dolcemente i suoi sguardi, aspettando con impazienza che le sue sorelle le permettessero di avvicinarsi al giovane. Finalmente le altre Figlie si calmarono e Hawk poté avvicinarsi ad Ella per ammirare la sua nuova bellezza.

In fondo, anche lei era cambiata tanto. Le sue ali bianche erano diventate possenti e talmente forti da sostenere ore e ore di volo. Era sempre stata alta, ma adesso le sue gambe si erano allungate a dismisura, donando alla sua figura una sensualità che quasi cozzava con la natura pura e virginale delle Guardiane. Il suo corpo era diventato più florido e le curve da poco acquisite erano valorizzate da un setoso abito bianco dal taglio asimmetrico che le arrivava fino al ginocchio e le lasciava scoperta una spalla. Bracciali dorati ed una collana con un grande cristallo appeso impreziosivano ancor di più il suo aspetto e una cavigliera fatta di oro e argento sottolineava le caviglie sottili e i piedi nudi. La bella bocca si era fatta più carnosa e i capelli erano diventati più lunghi e lucenti. I morbidi boccoli castani le incorniciavano il viso pallido e delicato. Anche nel caso di Ella, l'unica cosa a non essere cambiata erano gli occhi. Grandi, dalle lunghe ciglia, sempre spalancati e di un azzurro che avrebbe reso insignificante persino il cielo stesso.

Lei gli si avvicinò sorridendo.

- Ciao - disse soltanto lui, con quell'aria spavalda e sicura di sé che aveva da quando aveva messo piede nei giardini.

Lei rispose gettandogli le braccia al collo.

*****

Le Guardiane si stringevano attorno ad Hawk, tutte sedute ai suoi piedi, pendendo letteralmente dalle sue labbra, desiderose di ascoltare le sue incredibili storie.

- E quali magie hai imparato fin'ora? Puoi controllare il fuoco?

- Ma lascia stare le magie, dicci se hai visto qualche creatura del Vortice.

- No Hawk, raccontaci di più sulla Città Imperiale!

Gli Imperiali e il loro mondo erano senza dubbio la cosa che più incuriosiva le Guardiane. Le storie che avevano sentito sul loro conto erano tante, ma molte di queste non erano veritiere e poter sentire la versione di qualcuno che era entrato in diretto contatto con loro era un evento più unico che raro.

- La Città Imperiale è a dir poco scintillante - esordì Hawk - È piena di palazzi altissimi, fatti interamente d'oro. E al loro interno vivono mercanti così ricchi da poter comprare praticamente qualunque cosa. E poi... anche le strade sono lastricate d'oro, e tutti coloro che hanno l'onore di calpestarle sono vestiti con abiti di stoffe pregiate e ricoperti da mille gioielli. E poi ci sono artisti, cantanti, ballerini, giocolieri... e tanti soldati... e animali dalle forme e dai colori più assurdi... e...

- Ma davvero i palazzi sono così alti? - lo interruppe una delle Guardiane - Alcuni magicanti raccontavano che fossero così alti da toccare il cielo.

- Sono così alti che perfino le vostre ali non sono in grado di raggiungerne la cima.

Le Guardiane risero.

- Ma che dici Hawk! Questo è impossibile. Le nostre ali possono arrivare quasi fino al sole.

- I palazzi degli Imperiali sfidano il sole stesso. Prima ancora di arrivare a metà strada, le vostre ali cederebbero per il troppo sforzo.

Ella prese la parola.

- Hai mai incontrato qualche principe? Qualche re o regina?

Prima ancora che il ragazzo potesse rispondere una delle Anziane giunse a chiamare le Figlie, avvisandole che era giunto il momento di andare nella biblioteca per il quotidiano studio. Le giovani si avviarono riluttanti verso il palazzo, scontente di non poter più ascoltare i racconti del ragazzo. L'Anziana lanciò però uno sguardo d'intesa ad Ella, che capì di essere esonerata, per quel giorno, dai suoi impegni. Probabilmente le Anziane avevamo capito quanto fosse importante per lei poter passare un po' di tempo con Hawk e avevano deciso di lasciarli tranquilli.

I due amici, liberi finalmente dall'ingombrante presenza delle Figlie, si erano spostati per andare a passeggiare all'interno del Roseto, chiacchierando a lungo delle più piccole sciocchezze.

- Questi anni devono essere stati incredibili per te. - disse Ella - Hai imparato l'arte della magia, hai frequentato gli Imperiali, hai conosciuto i più grandi magicanti della regione...

- Sì, sono stati anni... ricchi di avvenimenti. - rispose lui, senza distogliere lo sguardo dalle rose che li circondavano.

- Ti è mancato il palazzo?

- Molto.

Hawk si fermò di colpo, fissò Ella negli occhi.

- Mi sei mancata tu.

- Ora stai diventando un po' troppo sentimentale, non credi?

Lo disse ridendo, ma in realtà era felice di sentirgli pronunciare quelle parole.

- Ti ricordi quando giocavamo da bambini? Quando ci arrampicavamo sugli alberi? - Ella ricominciò a parlare camminando.

- E tu legavi insieme le ali per non usarle involontariamente - rispose divertito Hawk.

A Ella era mancata tanto la sua risata. Le erano mancati quei giochi stupidi e infantili. E crescendo, le era mancato anche qualcos'altro, qualcosa che non era in grado di spiegare, ma la cui assenza l'aveva lasciata senza fiato. Restò per qualche istante in silenzio, ricordando i momenti trascorsi con il suo amico, ricordando gli abbracci e il batticuore che puntualmente li accompagnava. Dopo alcuni secondi, durante i quali la sua memoria non voleva smettere di mostrarle immagini del passato, riprese a parlare.

- Ma allora è proprio vero che i palazzi della Città Imperiale sono così alti? E sono fatti davvero d'oro?

- Sei fin troppo curiosa. Ma capisco bene perché gli Imperiali suscitino in voi tanto interesse. La Città è qualcosa di straordinario, persino i miei occhi stentavano a credere a quello che avevano davanti la prima volta che ho varcato i cancelli d'ingresso.

- Sarebbe bello poterla visitare. Sarebbe l'avventura più grande di tutte.

- Perché non vieni con me allora?

Lei rise.

- Non sto scherzando, Ella. Potresti davvero venire con me. In volo ci impiegheremmo un paio d'ore per raggiungere la Città, così potresti visitarla e vedere gli Imperiali da vicino.

- Le Anziane non me lo permetterebbero mai.

- Le Anziane non lo verranno mai a sapere.

- Ma è vietato lasciare il palazzo senza il loro permesso...

- E allora vorrà dire che lasceremo il palazzo di nascosto, no? Andiamo Ella, di cosa hai paura? Partiremo di notte e per la mattina successiva saremo già tornati. Nessuno si accorgerà di nulla. Che ne dici, ci stai? 
Hawk si era nuovamente fermato. Guardava Ella con dipinto sul volto un mezzo sorriso malizioso. Lei era visibilmente titubante. Chiaramente aveva paura del rimprovero delle Anziane ma al tempo stesso moriva dalla curiosità di vedere la Città.

- Allora? Sei con me? - incalzò lui - Facciamo così, ci vediamo stanotte, a mezzanotte, al gazebo del giardino est e poi... c'è ancora il gazebo nel giardino est vero? Ricordo quando ci nascondevamo lì da bambini... dicevo, ci vediamo al gazebo e poi partiremo insieme per la Città. Fidati di me, dopo qualche ora saremo nuovamente a palazzo e tu potrai seguire le tue lezioni con le Anziane.

Ella lo fissò per qualche tempo, conscia che se le sue sorelle la avessero scoperta si sarebbero molto arrabbiate. Ma il sorriso di Hawk era troppo ammaliante per rifiutare la sua proposta.

- Va bene - rispose infine - ci vediamo al gazebo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo II ***


La notte era sopraggiunta velocemente, ma quelle poche ore erano sembrate un'eternità ad Ella, che non vedeva l'ora di poter raggiungere Hawk al giardino est. Neanche per un attimo era riuscita a smettere di pensare a lui. Temeva che qualcuno la avrebbe potuta scoprire mentre sgattaiolava fuori del palazzo.

Al tempo stesso, però, riusciva a malapena a contenere l'emozione. Non solo avrebbe potuto visitare la Città Imperiale, ma lo avrebbe fatto insieme ad Hawk, da sola con lui. Sarebbe stato proprio come quando erano bambini, e giocavano a fare gli avventurieri, brandendo un ramo secco come fosse una spada ed usando le radici degli alberi più vecchi come fortini e trincee.

Poco prima dello scoccare della mezzanotte Ella scivolò silenziosamente fuori dal letto e si avvicinò verso l'uscita del palazzo. Arrivò ai giardini alcuni minuti dopo, camminando per tutto il tempo in punta di piedi per non farsi scoprire. Aveva tenuto quanto più possibile le ali contratte, per evitare che un loro involontario spasmo dovuto all'emozione finisse per urtare qualcosa e provocare un rumore tale da svegliare l'intero palazzo.

Si sentì al sicuro solo quando la sua pelle toccò l'erba del giardino est. Le gocce di rugiada che imperlavano le foglie la rinfrescavano e al tempo stesso la tranquillizzavano. Ormai era lontana dalle stanze delle Anziane, non la avrebbero più scoperta. A pochissima distanza il gazebo dell'incontro segreto la attendeva. Una forte impazienza, insolita per la natura delle Guardiane, si impossessò di lei.

Giunta a destinazione una lieve delusione la pervase. Non c'era nessuno ad attenderla. La mezzanotte era passata da poco, ma il giardino era deserto.

Forse è stato visto da una delle Guardiane

I minuti sembravano interminabili e Ella cominciava a credere di non avere altra scelta che tornare al dormitorio.

- Alla fine sei venuta. Credevo ti saresti tirata indietro.

Sobbalzò lievemente. La voce altezzosa di Hawk proveniva dalle sue spalle. Si giro di scatto e lo vide sorriderle delicatamente. Non poté fare altro che ricambiare il suo sguardo, restando in silenzio.

- Sei più coraggiosa di quanto credessi.

Il mezzo sorriso di Hawk aveva da sempre avuto un'immensa influenza su Ella. Ricordava bene quando, da bambini, lui era in grado di convincerla a compiere le peggiori marachelle solo mostrandole quella smorfia del viso. Non era per niente cambiato.

- Veramente sei tu quello in ritardo.

Ella finse un tono di voce indispettito. Moriva dalla voglia di partire. E moriva dalla voglia di poter restare sola con il suo più grande amico.

- Allora - Hawk spezzò il brevissimo silenzio - Sei pronta? Andiamo?

- Io sono prontissima, ma... tu come farai? Io ho le ali, tu come riuscirai a starmi dietro?

Lui non rispose. Alzò soltanto la mano destra, tenendo il palmo rivolto verso l'alto. Piegò leggermente le dita e una nebbia bianca e leggerissima ne scaturì fuori.

Mentre Ella fissava la strana magia, la figura di Hawk vibrò, quasi come se il suo corpo non fosse altro che un'illusione ottica che stava per scomparire. E improvvisamente si spostò.

Ella fu costretta a sbattere le palpebre più volte prima di capire cosa fosse successo. Un secondo prima Hawk si trovava davanti a lei e subito dopo si era spostato di qualche metro verso destra. Non riusciva a capacitarsi di quello che aveva appena visto. Sembrava come se il magicante si fosse mosso ad una velocità talmente alta che gli occhi non erano stati in grado di cogliere il movimento stesso.

- Ho imparato tanto alla scuola di magia. - Hawk sembrava averle letto nel pensiero - Tutto sommato riuscirò a starti dietro, non credi?

Il solito ghigno gli attraversava il viso.
- Ci impiegheremo al massimo un paio d'ore per arrivare alla Città, anche di meno se ci sbrighiamo. Poi la visiteremo e torneremo qui dopo altre due ore di viaggio. Le Anziane non sapranno mai nulla è tu avrai finalmente conosciuto gli Imperiali.

Ella non stava più nella pelle. Prima ancora che Hawk potesse aggiungere altro spalancò le enormi ali bianche e in men che non si dica si ritrovò a mezz'aria, sbattendole ritmicamente.

- Andiamo allora! Stammi davanti e mostrami la strada, ti seguirò. E non preoccuparti, arriveremo a destinazione in molto meno di due ore. Sai bene quanto possono essere rapide le mie ali. Piuttosto, tu sei sicuro di poter stare al passo?

Con un ultimo sorriso dipinto sul volto Hawk sollevò nuovamente la mano, concentrandosi sulla sua magia per poter staccare anch'egli i piedi dal suolo.

Ella si rese conto che il ragazzo, a differenza sua, non era in grado di rimanere in volo immobile. Doveva costantemente usare la magia per scattare da un punto all'altro dell'aria, esattamente come aveva fatto durante l'iniziale dimostrazione delle sue capacità.

- Partiamo - fu la sua ultima parola.

*****

Il volo era durato ben più di due ore. Ella sentiva ormai le ali appesantite e riusciva a stento a procedere. Aveva diminuito di parecchio la velocità rispetto a quando erano partiti e questo rallentamento probabilmente non avrebbe permesso di tornare al palazzo in tempo, ma non voleva rinunciare a vedere gli Imperiali per nessun motivo al mondo.

Accetterò il rimprovero.

Il mare al di sopra del quale volavano stata iniziando a luccicare, increspandosi lievemente a causa di una leggera brezza. Il cielo aveva cominciato a inondarsi di una tenue luce, segno che il sole stava ormai per affacciarsi all'orizzonte.

Il sole? Ma come era possibile? Hawk aveva assicurato che sarebbero arrivati alla Città prima dell'alba e invece... invece il viaggio non era ancora terminato.

Ella era incredula. Non riusciva a capire se il ritardo fosse stato causato da un errore di calcolo. Forse avevano sbagliato strada. Forse Hawk si era perso. Forse aveva solo voluto portarla a fare un giro, convincendola a dire di sì inventando la storia della Città Imperiale. Eppure lui continuava imperterrito a procedere davanti a lei.

I pensieri di Ella si susseguivano rapidi nella sua mente, disturbati solo dal forte bagliore del sole sorgente. Un sole brillante, accecante, dorato. Un sole che... non era il sole.

Quello che inizialmente sembrava il giallo astro celeste stava assumendo contorni sempre più frastagliati man mano che Ella si avvicinava ad esso. Dopo alcuni minuti apparve chiaro che quella figura luminosa che si vedeva all'orizzonte non era altro che una città. Il bagliore che proveniva da essa sembrava voler competere con la stessa alba. E quell'alone dorato che la avvolgeva era dato da alcune torri altissime, rivestite del più prezioso dei metalli.

È lei.

La Città Imperiale si ergeva davanti a lei in tutto il suo splendore. Affiancata ad ovest da una ampia e poco frastagliata costiera, confinava ad est con una larga pianura e con estesi campi sui quali, così aveva sentito Ella, gli Imperiali coltivavano il loro cibo. Sapeva che questi non erano in grado di usare la magia e dunque, per provvedere al loro sostentamento, dovevamo faticare quotidianamente. A dire il vero non le era ben chiaro in che modo dovessero "faticare", ma non aveva mai indagato più di tanto su questo aspetto della loro vita.

Più la Guardiana si avvicinava a quell'immensa costruzione più poteva chiaramente ammirare gli edifici che la andavano a comporre. Archi, case e palazzi svettavano imponenti, rilucendo come preziosi gioielli. Sembrava come se ogni mattone, ogni pietra, ogni vetro forse fatto d'oro. Gigantesche cupole colorate donavano alla Città un aspetto armonioso ed elegante. Altissime torri dominavano il tutto, rendendo quasi insignificanti le basse mura che cingevano l'intero centro urbano. Ella si rese conto fin da subito che il suo amico magicante non scherzava quando diceva che le sue ali non sarebbero state in grado di raggiungere la cima di quelle elevatissime torri.

E, istante dopo istante, nuovi, piccoli dettagli si materializzavano. Le finestre delle sontuose abitazioni erano decorate con cristalli multicolori, i muri erano ornati con ghirigori composti da fili d'oro, si intravedevano, fra i sontuosi palazzi, fontane, statue, parchi e piazze, tutti tanto eleganti quanto elegante era quella città e, forse, la stessa civiltà degli Imperiali.

Unico ingresso visibile dal lato del mare era un enorme cancello affacciato sul grande porto che collegava la città al resto del mondo. Al momento non c'era neppure una nave ancorata, ma probabilmente più tardi, quella mattina stessa, sarebbero giunte numerose imbarcazioni mercantili.

Le ali di Ella ebbero un fremito alla vista di tanto splendore. D'improvviso aveva dimenticato tutta la stanchezza del viaggio ed aveva iniziato a volare più velocemente, incurante del fatto che i suoi muscoli stessero gridando pietà, anelando un po' di riposo.

Hawk era improvvisamente sparito dalla sua vista. Forse aveva usato la magia per accelerare e raggiungere prima di lei la Città. Questo era esattamente quello che avrebbe dovuto fare lei: accelerare.

Con un ultimo sforzo agitò con forza le ali, che, così facendo, la catapultarono più vicino che mai al porto della Città. Hawk sembrava ormai essersi volatilizzato, ma poco importava. Le mura della città, sebbene alte e solide, non potevano certo competere con le ali di Ella. Le avrebbe superate in un battibaleno e sarebbe finalmente entrata in quel paradiso luccicante.

Giunta ormai a pochi metri di distanza dalla sua meta, senti l'aria accanto a lei sibilare. Pochi istanti dopo un nuovo sibilo le scosse i capelli, mettendola in agitazione. Si bloccò a mezz'aria, intuendo il pericolo. In un attimo il cielo si riempì di frecce, scagliate dalle decine di soldati nascosti dentro le torri difensive. C'erano pochi dubbi a riguardo, il loro bersaglio era proprio Ella.

Spaventata, la Guardiana cerco con lo sguardo il suo amico, che però sembrava introvabile.

- Hawk! - gridò mentre cercava di evitare il nugolo di frecce.

Per qualche motivo i soldati sembravano essersi accaniti su di lei, cercando di abbatterla il prima possibile.

Sbatté le ali virando rapidamente, provando ad allontanarsi o a trovare il magicante. Altre frecce le passarono talmente vicino da farle raggelare il sangue nelle vene.

Gli arcieri la bersagliavano con inaudita ferocia.

- Hawk!

Un ultimo disperato grido uscì dalla sua gola. Grido dopo il quale urlò di dolore.

Una freccia le aveva colpito la parte destra dell'addome, conficcandosi in profondità e facendole mancare il fiato.

Le ali per un momento persero forza, riprendendo solo dopo pochi istanti il ritmico movimento che la manteneva in volo.

Con le mani tremanti afferrò l'asta della freccia e la strappò via con un rantolo di dolore. Sentì la carne lacerarsi per colpa della punta metallica.

La ferita che l'arma aveva lasciato sul suo corpo sparì in pochi attimi, prima ancora che potesse sanguinare.

Nel frattempo i soldati continuavano ad usare Ella come sfortunato bersaglio.

Venne colpita una seconda volta mentre tentava di allontanarsi. Stavolta era stato il suo braccio sinistro a farne le spese. Un nuovo grido spezzato le attraversò la gola quando rimosse la freccia. Anche questa ferita si rimarginò rapidamente.

Durante il disperato tentativo di fuga Ella si accorse di uno strano movimento alla sua sinistra. C'era qualcosa nell'aria.

Come un'illusione ottica che appare e scompare...

- Hawk! - gridò, mentre le sue ali schioccavano prepotenti per portarla il più lontano possibile da quelle maledette mura.

Mentre volava rapidamente verso quello che sembrava a tutti gli effetti il magicante, si rese conto che i soldati avevano smesso di usare i loro archi ed avevano messo mano ad altri tipi di armi. Nuove frecce, stranamente molto più grosse delle precedenti, erano in procinto di raggiungerla.

L'aria le frustava il viso, il corpo si rannicchiava su sé stesso per acquisire velocità e le ali non si erano mai dimenate con così tanta foga.

Finalmente si stava lasciando alle spalle la Città.

Ma un'ultima freccia le trafisse l'ala sinistra, bloccandole i muscoli a causa dell'intenso dolore e facendola precipitare.

Dopo un volo di diverse centinaia di metri, durante il quale aveva cercato invano di riprendere il controllo della situazione, Ella atterrò rovinosamente sul freddo e duro asfalto, rotolando un paio di volte prima di fermarsi, accasciandosi ormai priva di forze.

Riuscì a stento a risollevarsi quel tanto che bastava per guardare l'ala ferita. La freccia, ancora conficcata fra le piume, era grande almeno il doppio di quelle che l'avevano colpita precedentemente ed era molto più pesante. Non c'era alcuna possibilità che fosse stata lanciata dall'arco di uno dei soldati.

Ella, ansimante, afferrò con fermezza l'asta legnosa e la tirò via, scagliandola lontano. Un urlo sordo attraversò l'aria, mentre quest'ultima ferita si rimarginava ad una velocità impressionante senza lasciare alcuna traccia di sé, come le altre in precedenza.

Finalmente la Guardiana riuscì ad alzarsi sulle sue gambe, barcollando lievemente. Si trovava in uno spazio a lei sconosciuto. Non era una città, sembrava una piazza stretta e lunga. C'era un grande edifico alla sua sinistra e poi, vicino a lei, si trovavano strane costruzioni cilindriche molto lunghe, con numerose finestre e alcune porte poste a regolare distanza le une dalle altre.

Ma ciò che la sorprese di più fu la presenza di quelli che sembravano in tutto e per tutto Imperiali. Erano identici a lei nell'aspetto fisico, salvo per l'assenza delle ali. Ma i loro abiti erano ben diversi dalle descrizioni che ne avevano dato Hawk e gli altri magicanti. Erano vestiti di stoffe nere, grige e marroni. Stoffe che sembravano povere e insignificanti. Alcune erano addirittura logore e sgualcite in più punti. Quel luogo era certamente un punto di ritrovo per gli Imperiali, ma non c'era sfarzo, non c'erano palazzi dorati né altissime torri. Sembrava tutto spento e triste.

Persino i pochi Imperiali che la circondavano sembravano privi di vita. Camminavano a testa bassa incuranti di ciò che avevano intorno. Non si erano nemmeno accorti di lei. Erano stati capaci di non accorgersi di una figura alata alta e formosa, vestita di bianco, con i piedi nudi e ricoperta di gioielli che aveva urlato solo un istante prima. Quegli Imperiali assomigliavano a contenitori vuoti.

- È una ferrovia.

La voce di Hawk proveniva dalle sue spalle. Ella si girò di scatto. Il magicante era in piedi a fissarla con il suo ghigno sbruffone.

- Ma dov'eri finito? - sbraitò - I soldati mi hanno bersagliata di frecce!

- Lo so - rispose lui senza scomporsi - Agli abitanti della Dime e del Vortice non è permesso avvicinarsi alla Città. Saresti potuta entrare solo se ti avessi accompagnato io.

- E allora perché non l'hai fatto? - ringhiò Ella furiosa - Sei sparito!

- Guarda il lato positivo, ora puoi finalmente vedere gli Imperiali.

- Questi non sono Imperiali. Dove sono il lusso e le torri dorate?

- Certo che lo sono. Non tutti gli Imperiali vivono nella Città, circondati dall'oro. Questa è una ferrovia e quelli - disse indicando una delle costruzioni cilindriche - sono treni. Gli Imperiali li utilizzano per spostarsi e raggiungere luoghi lontani. Loro non hanno ali, né possono usare la magia, perciò costruiscono mezzi di trasporto che li aiutino a viaggiare velocemente.

Ella iniziò a guardarsi intorno incuriosita. Era ancora rabbiosa per ciò che aveva fatto Hawk, ma non poteva fare a meno di ammirare estasiata quella cosiddetta ferrovia e quelle strane cose, i treni.

Fece un rapido giro di ricognizione spiccando un breve volo, aiutata dalle sue ali che, nel frattempo, erano tornate in forze. I treni sembravano tutti uguali, tutti lunghi e sottili, con tante finestre e circondati da lunghissime barre di metallo sopra le quali si appoggiavano.

C'era però uno di questi diverso dagli altri. Era largo il triplo, se non di più, alto almeno il doppio ed era chiaramente ben più lungo, tanto che era difficile scorgerne le estremità. La Guardiana atterrò al fianco della imponente struttura, fissandola insistentemente. A pochi passi di distanza una porta aperta ne lasciava scarsamente intravedere l'interno.

- Perchè questo treno è più grande?

- Perchè trasporta più persone. Ti va di entrarci? Vuoi vedere com'è fatto dentro? - Hawk indicò la porta spalancata - Rimarrà fermo alla stazione ferroviaria ancora per un po', abbiamo tutto il tempo di visitarlo.

Ella si avvicinò titubante all'ingresso. L'interno era scarsamente illuminato ma poteva vedere chiaramente che sulle pareti di un colore bluastro era appeso un gigantesco cartello. L'ingenua Guardiana poggiò un piede sul treno quasi senza volerlo. Inconsciamente stava cercando di avvicinarsi al cartello per poter leggere quello che cera scritto sopra. L'unica cosa che riusciva a scorgere, a distanza, era la scritta "REGOLE", il resto del testo aveva caratteri troppo piccoli.

Provò ad avvicinarsi, salendo definitivamente sul treno. Le porte si chiusero dietro di lei con uno scatto, schiacciando le sue ali. Una voce metallica iniziò a parlare.

È vietato salire sul treno con le ali.

Ella urlò, immobilizzata da quelle porte che stavano applicando alla base delle ali una forte e dolorosissima pressione. Si divincolò invano, cercando di liberarsi da quella morsa che le stava letteralmente togliendo il fiato.

È vietato salire sul treno con le ali è vietato salire sul treno con le ali è vietato salire sul treno con le ali è vietato salire...

La voce si bloccò di colpo. Ella cadde con un tonfo sul pavimento. Sulle spalle aveva soltanto due larghe lacerazioni che si rimarginarono quasi immediatamente.

Si alzò di scatto.

Le sue ali erano rimaste fuori dal treno, tranciate di netto dalla repentina chiusura della porta d'ingresso. La parte più importante del corpo della Guardiana stava lentamente scivolando verso le ruote di quel bizzarro mezzo di trasporto. A breve sarebbero state travolte e schiacciate.

Sulla banchina della ferrovia Hawk era rimasto immobile ed impassibile. Osservava Ella a braccia conserte, con un sorriso maligno dipinto sul volto. Era rimasta chiusa all'interno.

Lei urlò.

Pianse.

Gratto disperata la porta d'ingresso con le unghie.

La prese a calci.

La colpì con i pugni chiusi. Talmente forte da farsi male alle nocche.

E pianse ancora.

Sentì il treno muoversi e capì di essere ormai in trappola.

- HAWK! - fu l'ultimo grido di aiuto che riuscì a lanciare.

Il treno stava acquisendo sempre più velocità e l'ultima cosa che vide Ella al di fuori delle porte fu quel sorriso perverso del suo più vecchio e più fidato amico.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Il treno procedeva ormai troppo velocemente per poter distinguere in maniera chiara i contorni del paesaggio circostante.

Ella non poté fare a meno di concentrare la sua attenzione sul corridoio interno in cui si trovava. Era scarsamente illuminato e proseguiva sia a destra che a sinistra apparentemente all'infinito.

La giovane Guardiana rimase immobile per qualche istante, gli occhi velati dalle lacrime. Decise di esplorare il corridoio solo perché spinta dalla disperazione. Si sentiva in trappola, temeva che quel mostro di metallo la avrebbe portata talmente lontano dal palazzo che non sarebbe più riuscita a ritornare a casa. Si sentiva nuda senza le sue grandi ali a proteggerla. Si sentiva spaventata da quel corridoio buio. E si sentiva tradita. Ferita nel profondo.

Decise di procedere verso destra, camminando praticamente aggrappata alla parete di velluto blu che delimitava il corridoio.

Dopo qualche passo scorse, di fronte a sé, la figura di quella che sembrava una Imperiale. Era vestita con una gonna lunga fino oltre il ginocchio e una blusa a maniche lunghe completamente grigie. L'unico tocco di colore era un semicerchio di tessuto posto subito sotto il collo, a coprire la scollatura, che era invece di un porpora scuro.

La donna procedeva a passo sicuro verso Ella, che per un istante fu tentata di andarle incontro e chiederle aiuto. La Guardiana si rese conto che sarebbe stato meglio fuggire dalla parte opposta solo quando l'Imperiale aprì bocca.

È vietato indossare abiti non approvati è vietato indossare gioielli è vietato camminare scalzi

La sua voce suonava metallica ed innaturale. Ripeteva quelle frasi in continuazione, senza neppure fare una pausa per prendere fiato, in maniera fredda ed automatica.

Era chiaro che andare a destra non era stata la scelta giusta. Ella indietreggiò lentamente mentre la figura continuava a procedere verso di lei inarrestabile.

- Dove mi trovo? Cos'è questo posto?

L'unica risposta che ottenne fu la cantilena che elencava tutti i divieti da lei infranti.

Solo a quel punto la Guardiana si girò rapidamente su sé stessa e cominciò a correre in direzione opposta all'inquietante donna. Incontrò parecchi bivi durante la sua fuga. Sembrava che il treno fosse una specie di labirinto di corridoi completamente deserto.

All'ennesima curva scorse finalmente qualcuno. Sembrava un altro Imperiale. Avvicinandosi rapidamente vide altri individui ammucchiati insieme, in fila ad attendere qualcosa. La voce metallica alle sue spalle la spaventò tanto da convincerla ad unirsi a quel gruppo di persone. Si trattava di circa due dozzine di individui di ambo i sessi, tutti vestiti in modo diverso fra loro.

Stavano in fila in attesa di entrare in un'angusta stanzetta che presentava, oltre alla porta di ingresso, anche una di uscita, opposta alla prima. La stanza aveva all'interno quattro scrivanie, due poste a ridosso del muro destro e altre due esattamente di fronte, vicine al muro sinistro. Dietro questi quattro semplici banconi si trovavano altrettanti Imperiali. Il loro abbigliamento era identico a quello della donna con la voce metallica, salvo il fatto che gli uomini portavano dei pantaloni grigi, ma quella sorta di bavaglino che copriva il petto non era porpora, bensì rosso. Vicino a due degli angoli della stanza si trovavano altrettanti separé di tela bianca.

Gli altri Imperiali, quelli a cui si era unita Ella, erano suddivisi in due file, una che comprendeva solo individui di sesso maschile, l'altra che invece accoglieva le donne. Man mano che le file scorrevano gli Imperiali parlavano con i banconisti più vicini alla porta di ingresso della stanza, i quali consegnavano ad ognuno gli stessi identici abiti grigi che indossavano loro, comprensivi di scarpe. Dopo di che andavano direttamente dietro il separé e ne uscivano indossando i vestiti appena ricevuti. Solo a questo punto andavano a parlare con i restanti due banconisti e poi uscivano dalla stanza.

La paura di essere aggredita dal mostro con il bavaglio porpora costrinse Ella ad entrare nella stanza seguendo la massa. Una volta giunto il suo turno andò dritta dalla banconista destinata alla fila femminile, la quale, prima di consegnare la divisa, le intimò di lasciare tutti i gioielli che aveva addosso all'interno di una cesta posta di fianco alla scrivania. La Guardiana accettò con riluttanza l'ordine. L'Imperiale gettò poi gli abiti fra le sue braccia e le indicò frettolosamente il separé.

Ella venne praticamente spinta via da altre Imperiali, che nel frattempo si erano unite alla fila. Lei non vide altra scelta che dirigersi al separé dedicato alle donne. Si nascose dietro quella parete di stoffa a testa bassa, pensierosa e spaventata. Quello che vi trovò dietro la lasciò basita, distraendola per un attimo dalle sue preoccupazioni. Quello che sembrava un banalissimo pezzo di telo pieghevole in realtà nascondeva una enorme stanza, all'interno della quale decine di Imperiali si stavano spogliando.

Un magicante deve aver incantato il separé.

Ella tolse di controvoglia il seducente abito bianco che indossava e si infilò il più lentamente possibile gli abiti che le erano stati consegnati. Anche questi erano identici alla divisa che indossavano tutti gli altri. Unica differenza, come al solito, era il colore del bavaglio, stavolta di un grigio spento esattamente come il resto della stoffa.

Si spostò fuori dalla stanza-separé e raggiunse uno dei due banconi vicini all'uscita. L'Imperiale che le stava davanti la fissò per pochi istanti e poi lesse qualcosa su un foglietto.

- Nome? - chiese. 

- Ella

- Prigioniero numero 753822555101, cuccetta M-711.

Dopo aver pronunciato l'interminabile serie di numeri allungò una mano per porgere un pezzo di carta ad Ella, ma si bloccò istantaneamente. Chiamò un altro Imperiale, bavaglio rosso anch'esso, e, dopo avergli sussurrato qualcosa all'orecchio, indicò la Guardiana.

Questi le si avvicinò, appoggiò entrambe le mani sul suo bavaglio e quest'ultimo, dopo alcuni istanti in cui Ella sentì il collo andarle letteralmente in fiamme, cambiò colore, diventando dorato. Dovevano esserci numerosi magicanti su quel treno.

Il banconista diete finalmente il quadrato di carta ad Ella, la quale fu poi gentilmente spinta fuori dalla stanza. Si trattava di una mappa. Una mappa magica, all'apparenza. Sul foglietto era disegnata una luminosa scia verde che modificava la sua forma ogni volta che la Guardiana si muoveva.

Decise che sarebbe stato molto più saggio seguire il percorso verde piuttosto che ignorarlo.

*****

La scia verde era sparita dalla mappa. Ella si trovava di fronte ad una stanzetta che sul muro esterno aveva scritto soltanto "M-711". Entrò all'interno in un impeto di coraggio. Non c'erano altre porte ad eccezione di quella di ingresso e l'unica finestra presente era oscurata da una tapparella di stoffa. Sembrava che non ci fosse neanche alcuna fonte alternativa di luce, tanto che quello spazio era quasi completamente al buio nonostante fuori l'alba fosse sorta già da un bel po'.

Un piccolo lavandino era incassato in uno degli angoli. Dalla parte opposta svettava quello che sembrava un armadio di legno. Una sedia sgangherata completava l'arredamento. C'erano infine due letti sottilissimi, sospesi per aria e tenuti in posizione da due guide di metallo che li ancoravano al muro. Su uno di questi era rannicchiata, immobile, una figura talmente avvolta fra le lenzuola che per Ella era impossibile scorgerne qualche dettaglio.

La Guardiana si sedette sulla sediolina, fissando il vuoto per un tempo che le sembrò interminabile.

- Sei una nuova?

Ella trasalì. La paura la fece scattare in piedi. La voce proveniva dal letto che, ad una prima occhiata, le era sembrato vuoto. Una ragazza era seduta su di esso, talmente nascosta dall'ombra che sembrava quasi invisibile. La giovane si spostò verso il bordo del letto, permettendo ad Ella di vederla. Aveva lunghissimi capelli biondi e perfettamente lisci e due occhi verdi come le foreste della Dime, incorniciati da due sopracciglia sottili ed eleganti. Gli zigomi erano alti e pieni, naturalmente tinti di un tenue rosa pastello. Le labbra erano le più carnose che Ella avesse mai visto e le due fossette che le segnavano le guance facevano apparire come se fosse sempre sorridente. In realtà non stava sorridendo affatto. Fissava Ella con aria interrogativa, attendendo una risposta. Era molto bella, aveva un tipo di bellezza canonico.

- Sei un'Imperiale? - chiese la Guardiana ignorando la domanda che le era stata rivolta.

- Sì - rispose la ragazza bionda indicandosi la divisa - mi chiamo Jasmeen.

- Io sono Ella.

- Perché hai il collare dorato? Sei una regina? Sei una importante?

- No, io... io sono una Guardiana.

Jasmeen rise di gusto.

- Sì certo!

- È la verità!

- Davvero? - la ragazza continuava a ridere - E allora dove sono le tue ali Guardiana?

- È vietato salire sul treno con le ali. - rispose, ripetendo quasi in automatico quelle parole fredde e meccaniche che aveva sentito quando le porte le avevano strappato la parte di lei che valeva più della sua stessa anima.

- Ma che dici? Mi prendi in giro? Gli angeli neri le ali le hanno. Forse... - fece una piccola pausa - forse per te valgono regole diverse. Non mi sorprenderebbe, qui si fanno sempre eccezioni e favoritismi.

- Che posto è questo?

- È il treno. - Jasmeen riprese a parlare non appena notò l'espressione dubbiosa che permaneva sul viso di Ella - È stato costruito per trasportare schiavi, schiavi come me e te. Ad ogni fermata ne sale sempre qualcuno nuovo.

- Tu sei una schiava? - Ella era a dir poco incredula - Ma sei un'Imperiale, non puoi essere una schiava. Voi vivete nel lusso, circondati da palazzi d'oro e da torri così alte che persino le mie ali non sono in grado di raggiungerne la cima. E...

Jasmeen la interruppe con un sorriso.

- Tu stai parlando della Città. Non tutti gli Imperiali vivono così. Io sono nata in una famiglia povera. Capitava spesso che non avessimo da mangiare. Quando uno dei miei fratelli è morto siamo caduti in una miseria ancora più nera. Allora sono stata venduta al treno, così i miei genitori ed i miei fratelli hanno ottenuto il denaro sufficiente a sopravvivere un altro po'.

Ella non riusciva a capire. Quello che Jasmeen le stava raccontando era l'esatto opposto delle storie che aveva sentito sul conto degli Imperiali.

- Ti hanno venduta? Ma... perché? Che cosa significa?

- Perché la fame ti spinge a fare questo ed altro. Molti dei passeggeri del treno provengono da famiglie povere. Altri erano schiavi ancora prima di salire qui e sono stati venduti al treno dai loro precedenti padroni. Altri ancora erano dei criminali che sono stati costretti a questa vita per pagare dei loro crimini. Questo treno è una sorta di prigione. Al suo interno dobbiamo sottostare ad una lunghissima lista di regole. E se le infrangiamo veniamo torturati o uccisi. Ogni passeggero è costretto ad indossare una divisa grigia e il colore del collare identifica la sua categoria. Io, che ho il collare grigio, sono un'Imperiale. I passeggeri con il collare grigio sono i più numerosi, ma ci sono anche prigionieri provenienti dalla Dime e dal Vortice. 

- E quelli con il collare porpora? - Ella era sempre più incredula.

- Loro appartengono al personale del treno. Sono le guardie. Si occupano di far rispettare le regole e di segnalare se qualcuno le infrange. Sinceramente, non credo che le guardie siano... vive... Sembrano dei mostri automatizzati. Noi passeggeri crediamo che qualche potente magicante abbia fatto un incantesimo su di loro per trasformarle in bambole senz'anima. Al personale del treno appartengono anche i controllori, che hanno il collare rosso, e i macchinisti, con il collare giallo. I primi si occupano di coordinare i prigionieri, i secondi mantengono funzionante il treno. 

- E come si fa ad uscire da qui?

Jasmeen rise di nuovo. Sembrava una ragazza molto dolce e paziente. In fondo stava rispondendo con gentilezza a tutti i dubbi di Ella.

- Non si può uscire. Le regole lo vietano. Una volta che sali sul treno sei prigioniero per sempre. Le uniche volte che possiamo scendere sono quando ci costringono ad eseguire qualche lavoro sulla terra ferma. E anche in quel caso sarebbe impossibile scappare. Controllori e guardie non perdono mai di vista i passeggeri. Se qualcuno prova a fuggire viene immediatamente ucciso. I passeggeri sono insignificanti. Se anche qualcuno muore, ce n'è sempre un altro pronto a salire e rimpiazzarlo. Qui sopra valiamo meno della polvere. Ti consiglio di leggere le regole, così imparerai in fretta cosa puoi e cosa non puoi assolutamente fare.

Jasmeen spostò un grosso pannello ancorato alla parete, scoprendo in questo modo un enorme cartello identico a quello che Ella aveva visto quando era salita sul treno. La parola "REGOLE" svettava in cima al testo, scritta a caratteri cubitali. Sotto di essa, a caratteri estremamente più piccoli, c'era un muro di testo che elencava ogni possibile regola. La Guardiana fu costretta ad avvicinarsi talmente tanto che il suo naso quasi toccava il cartello per poter leggere.

Alcune regole sembravano sensate ed inevitabili. Era vietato aggredire il personale del treno ed i passeggeri, così come era vietato danneggiare qualunque oggetto. Altre però sembravano assurde. Era vietato, ad esempio, fare la doccia completamente nudi. Era vietato dormire con gli occhi aperti, era vietato cantare dopo le quattro del pomeriggio ed era vietato starnutire per sette volte consecutive. 

Le regole erano, senza voler esagerare, almeno un migliaio. Sarebbe stato impossibile leggerle tutte.

- Dunque il colore dorato è riservato alle Guardiane. - disse Jasmeen interrompendo il silenzio - Non avevo mai visto un passeggero con il collare dorato. Credo che sul treno non sia mai salita una Guardiana. Perchè sei qui? Hai infranto la legge?

Ella non parlò, i suoi occhi fissarono il vuoto per alcuni interminabili secondi. Ripensava a quel sorriso dolce e ammaliante. Ripensava a come era riuscito a trasformarsi in un ghigno. Ripensava al dolore delle frecce che la trafiggevano e al dolore del tradimento che le aveva spezzato il cuore.

- Sono stata ingannata. - mormorò infine - Una persona di cui mi fidavo ciecamente mi ha convinto a salire e prima ancora che potessi rendermene conto le porte di erano chiuse e il treno era partito.

- Avete finito di chiacchierare? Ne avete ancora per molto? - la voce proveniva dal groviglio di lenzuola adagiato sul secondo letto. - Voglio dormire!

Ella guardò Jasmeen con aria interrogativa.

- È Sara. - la informò - Scusala, è molto stanca. La scorsa notte siamo rimaste sveglie per pulire le stanze e ora siamo esauste. Piacerebbe anche a me dormire qualche ora, ma non ci riesco. E poi al momento sono troppo affamata. Ti va di andare insieme al vagone ristorante a fare colazione?

Ella annuì.

- Sai - proseguì Jasmeen mentre uscivano dalla stanzetta - questa era l'unica cuccetta del vagone che ospitava solo due passeggeri. Io e Sara ci siamo sentite quasi come delle regine fin'ora. Adesso che sei arrivata tu staremo un po' più strette. Credo che Sara sia nervosa anche per questo. Probabilmente per i prossimi giorni ti odierà.

Jasmeen concluse quest'ultima frase con un risolino che Ella non capì. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Ella e Jasmeen si avviarono rapidamente verso il vagone ristorante. Questo era un enorme spazio adibito a mensa, con tavoli e panchine sulle quali si potevano sedere fino ad una dozzina di passeggeri contemporaneamente. Da un lato della stanza si trovava un lungo bancone all'interno del quale erano stipati gli alimenti disponibili per il pasto. Una grossa credenza ospitava vassoi, piatti e posate. Non c'erano camerieri, ogni passeggero prendeva da solo i cibi che più preferiva e li piazzava su un vassoio, per poi mettersi a sedere ad uno dei tavoli. Apparentemente nessuno controllava le quantità di cibo prese da ognuno, ma Ella sospettò chi avesse stilato il lungo regolamento avesse pensato anche a questo.

- Sara non ci raggiunge?

- Probabilmente fra poco la vedremo entrare nella stanza. Starà morendo di fame anche lei e visto che il vagone ristorante chiude dopo un certo orario e che è vietato portare cibo nelle cuccette non ha altra scelta che alzarsi dal letto e trascinarsi fin qui.

Jasmeen le aveva risposto con un nuovo sorriso, che le metteva in risalto le simpatiche fossette.

Sorride spesso per essere una schiava.

Le due ragazze presero un vassoio a testa e si avviarono verso il bancone. Numerosi alimenti erano ordinatamente riposti al suo interno, raggruppati per categorie e protetti da un vetro trasparente. Alcuni cibi erano familiari a Ella, ma altri sembravano provenire da un mondo alieno. C'erano frutti rotondi dal colore rosa pastello, poi ce n'erano altri di un rosso acceso, altri ancora, più grandi dei precedenti, di un viola scuro. C'erano strani mucchi dalla consistenza pastosa e dai colori poco invitanti. C'erano, Ella inorridì, pezzi di quella che sembrava carne cruda, alcuni dei quali non apparivano neppure ben conservati. C'erano foglie verdissime provenienti da alberi che non aveva mai visto, decorate con bacche rosse e gialle. E poi spiccavano, malamente mimetizzate fra le brocche d'acqua, alcune bevande colorate versate all'interno di semplicissimi bicchieri di vetro. Una delle poche cose che la Guardiana riuscì a riconoscere fu il pane bianco, anche se sospettava che questo pane non avesse nulla a che vedere con quello che veniva servito nel palazzo delle sue sorelle.

- C'è qualcosa di tuo gradimento?

Ella si strinse nelle spalle.

- Il pane bianco lo mangiamo anche noi Guardiane ma il resto...

Jasmeen spezzò l'indecisione della Figlia mettendole sul vassoio un piatto di indefinita purea bianca e alcuni frutti rossi dalla forma leggermente ovale.

- Puoi assaggiare anche il pane se vuoi. Ma non è pane bianco, quello che si mangia nella Dime, è pane e basta. Quello prodotto dagli Imperiali. Probabilmente non è all'altezza di quello che conosci tu, ma è buono comunque.

Ella accettò il consiglio.

- Cosa mangiate voi Guardiane? A parte il pane bianco, intendo - ridacchiò.

- Gli alberi che si trovano nei giardini adiacenti al palazzo producono dei frutti buonissimi. E anche una linfa dolce e appiccicosa. Le Anziane la lavorano con la loro magia e tutte noi ci nutriamo poi di essa. La chiamiamo Alif.

Un ragazzo interruppe improvvisamente il racconto, intromettendosi nella discussione. Qualcosa sembrava aver catturato la sua attenzione.

- Guardiane? Conosci le Guardiane?

Il ragazzo sembrava agitato ed impaziente di ottenere una risposta. Aveva capelli ed occhi neri, un viso sottile e scarno ed una carnagione piuttosto scura. Il fisico era asciutto, magrissimo ma stranamente muscoloso. Probabilmente era costretto a lavorare duro all'interno del treno e gli anni di schiavitù avevano distrutto ogni più piccolo deposito di grasso, favorendo lo sviluppo della muscolatura.

Guardava Jasmeen con occhiate severe che sembravano quasi voler costringere la ragazza bionda ad allontanarsi.

- Smettila Brix, lasciala in pace.

- Conosci le Guardiane? - incalzò lui rivolto ad Ella, ignorando le parole di Jasmeen.

Alcuni altri Imperiali si erano avvicinati, attratti dal trambusto che il ragazzo moro stava creando.

- Sì, conosco le Guardiane, sono una di loro.

Un brusio si diffuse nell'aria. La sua risposta sembrava aver spiazzato la piccola folla che si era accumulata attorno a lei.

- Allora usa la tua magia e portaci fuori di qui, Guardiana! - Nelle parole di Brix si leggevano rabbia e disprezzo.

- Ma figurati se è una Guardiana! - A parlare era stata una brunetta alla destra del ragazzo - Se lo fosse davvero non sarebbe prigioniera qui. Le Guardiane non sono così stupide da farsi imprigionare contro il loro volere!

- Forza Guardiana - la voce del giovane Imperiale si faceva sempre più minacciosa - usa la tua magia. Facci vedere che non sei una bugiarda.

- Smettila Brix!

- Non posso usare la magia. - Ella interruppe il piccolo litigo che stava per ingigantirsi - Non la conosco. Le Anziane sono le uniche a saperla usare, e non mi hanno ancora insegnato a padroneggiarla.

- Quindi sei inutile. - l'arrogante ragazzo smise improvvisamente di interessarsi a lei - Avrei dovuto capirlo da solo. Perché mai una Guardiana dovrebbe rimanere bloccata qui dentro di sua spontanea volontà. Chiunque ne avesse la possibilità fuggirebbe il più lontano possibile dal treno.

Il ragazzo e la brunetta al suo fianco si allontanarono immediatamente dal resto del gruppo per andare a prendere i vassoi e servirsi da mangiare.

- Brix ha ragione, sei inutile. - un'altra ragazza si era avvicinata ad Ella e Jasmeen - Anzi, secondo me stai mentendo. Non sei affatto una Guardiana. Cerchi di salvarti la vita raccontando frottole sul tuo conto?

Aveva una voce dura, talmente severa da mettere in soggezione non solo Ella, ma anche la piccola folla di Imperiali che la Guardiana aveva calamitato attorno a sé. Sfoggiava una chioma di fitti ricci neri e un lucente paio di occhi marroni. Era più bassa di Jasmeen e anche più in carne. E non era neanche lontanamente dolce quanto lei. Le sopracciglia squadrate, il naso leggermente aquilino e le narici strette le davano un'aria perennemente corrucciata. Aveva un'espressione stanca. Ma non era quel tipo di stanchezza dovuta al troppo lavoro. Sembrava stanca della sua stessa vita. Doveva essere una passeggera del treno da molto tempo.

- Ti sei svegliata finalmente. - disse Jasmeen alla nuova arrivata. Poi si rivolse ad Ella - Lei è Sara. Te l'avevo detto che ti avrebbe odiata.

*****

La colazione si era rivelata particolarmente piacevole. Ella si era riscoperta molto affamata ed aveva letteralmente divorato i cibi che aveva preso dal bancone, gustandoli fino all'ultimo morso. Con sua grande sorpresa aveva scoperto che i frutti ovali erano in realtà salati e si era resa conto che il pane degli Imperiali era saporito quasi quanto quello della Dime. Durante il pasto aveva anche capito che Jasmeen le stava alquanto simpatica, mentre Sara era probabilmente la cosa peggiore che le era capitata da quando era salita sul treno, poche ore prima. La ragazza riccia non aveva fatto altro che punzecchiarla e lanciarle occhiate rabbiose da quando si erano sedute al tavolo. Sembrava invece molto affezionata a Brix e alla sua amica bruna, Pauline, che si erano accomodati sulla panchina di fianco alla loro.

Poco dopo il gruppo si era spostato in quello che Jasmeen aveva chiamato "vagone di ritrovo" che non era altro che una grande sala arredata con sedie e divanetti sui quali ci si poteva riposare mentre si chiacchierava con i compagni di viaggio. Certo, questo mobilio sembrava decisamente rovinato ed alcune sedie erano rotte, ma a parte questo la stanza era molto carina. Ella non riusciva a fare a meno di pensare che quel tipo di prigionia non era poi così crudele. Gli altri passeggeri sembravano odiare quel luogo, ma la Guardiana non riusciva a trovare nessun difetto degno di nota.

L'unica cosa che la spaventava erano le guardie, che di tanto in tanto le passavano di fianco. Camminavano tenendo lo sguardo fisso davanti a loro, non parlavano, non si curavano di niente e di nessuno. Marciavano in maniera quasi automatica e non facevano nient'altro. Jasmeen aveva ragione a dire che probabilmente non erano nemmeno vivi.

Erano entrati nella stanza anche alcuni controllori, con il loro collare rosso in bella vista. Questi sembravano normali. Chiacchieravano fra di loro, osservavano i passeggeri, ogni tanto leggevano qualche foglietto oppure davano una rapida occhiata al cartellone delle regole, presente in ogni singola stanza che Ella aveva visto fin'ora. Certamente facevano molta meno paura delle guardie.

- Controllori e guardie sono tutti Imperiali? - chiese ad un certo punto la Guardiana a Jasmeen, approfittando di un momento in cui Brix si era messo a discutere da solo con Sara.

- I controllori possono essere Imperiali, ma anche magicanti e creature del Vortice. Le guardie invece... Le guardie non lo so. Non credo che siano creature che appartengono al mondo, sembrano stati costruiti apposta per svolgere solo e soltanto questo compito.

Ella si guardò intorno.

- E voi passeggeri Imperiali state soltanto insieme ad altri Imperiali? - si era resa conto che nella stanza erano presenti solo passeggeri con il collare grigio. L'unica eccezione era rappresentata da un ragazzo ed una ragazza con il collare azzurro, che però chiacchieravano in disparte.

- Tutti cercano di affiancarsi a chi è simile a loro. Di solito gli Imperiali stanno fra di loro, lontani dagli abitanti della Dime e da quelli del Vortice. E la cosa solitamente è reciproca.

- Il treno è stato costruito dagli imperiali?

- Non lo so. Nessuno lo sa. Però ci sono molte fermate nella Casa Imperiale. Il treno ci lavora moltissimo. È per questo che la maggior parte dei passeggeri sono Imperiali. Ogni tanto salgono anche abitanti della Dime e del Vortice, ma è più raro. Magicanti a parte, gli abitanti del mondo magico si tengono bene alla larga da noi Imperiali.

- Perché le creature magiche non scappano? Perché non usano la loro magia per andarsene?

- Non possono farlo. Il personale del treno controlla ogni cosa e blocca ogni tentativo di fuga. E... - Jasmeen si fermò per un istante - credo che ci sia una magia ben più potente che protegge il treno. Né i magicanti né le streghe né nessun altro hanno la capacità di utilizzare la loro magia in alcun modo. Credo che persino le fate di luce siano costrette a smettere di brillare e a nascondere le loro ali.

Che cos'è una fata di luce?

- Ma ci sarà pure qualcuno che è riuscito ad andare via da qui. Non è possibile rimanere prigionieri per sempre...

- Ella... questa è una prigione eterna. Mi dispiace, so che è brutto sentirselo dire, ma ti consiglio di rassegnarti.

Ella fece una breve pausa. Quelle parole la spaventavano. Non riusciva a fare a meno di pensare alle sue sorelle. Oramai si dovevano essere accorte della sua sparizione. Forse avevamo provato a cercarla. Chissà se avrebbero mai capito dove si trovava.

- Tu e Sara siete qui da tanto? - Ella pronunciò quelle parole per provare a distrarsi. Forse non la risposta neppure le interessava realmente.

- Io sono salita sul treno circa quattro anni fa. Sara è qui da molto più tempo. Lei era una schiava anche prima. Un giorno il suo padrone si è stancato di lei ed ha preferito venderla in cambio di una piccola somma di denaro. Probabilmente con quello che ha guadagnato avrà comprato qualche altra ragazza da sfruttare.

Ella rimase sconvolta da quelle parole. La sua mente smise però di pensare alla terribile sorte di Sara e degli altri passeggeri quando si rese conto che la ragazza con il collare azzurro aveva interrotto la sua chiacchierata con l'amico ed aveva cominciato a fissarla insistentemente. La Guardiana ricambiò il suo sguardo, osservandola con i suoi occhi colori cielo. Smisero di studiarsi a vicenda solo quando Jasmeen, Sara, Brix e Pauline si alzarono per andare a riposare nelle cuccette. Ella li seguì pensierosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Nei giorni successivi Ella aveva letteralmente bombardato Jasmeen di domande sugli Imperiali. La ragazza bionda aveva trascorso ore a spiegare alla curiosa Guardiana quante più cose possibili del suo mondo, dissipando ogni più piccolo dubbio.

- In che modo vi spostate?

- Usiamo treni, navi, carri, aerei...

- Come passate le giornate?

- Beh... Lavoriamo, parliamo, giochiamo, andiamo...

- Che rapporti avete con le creature del Vortice?

- Alcuni collaborano con noi, altri ci odiano, altri ancora ci ign...

- Come fate a sopravvivere senza ali? Non vi sembra strano non poter volare?

- No, ci siamo abituati.

- Hai mai visitato la Città? - le aveva chiesto ad un certo punto.

- No mai. Mi sarebbe piaciuto, ma non sono mai riuscita ad accumulare abbastanza denaro.

- Con il tuo lavoro non guadagnavi abbastanza? Facevi la mercante?

Jasmeen era rimasta perplessa a sentire questa frase.

- Perché proprio la mercante?

- Perché è il lavoro che fate voi Imperiali, no?

- Guarda che non tutti gli Imperiali sono mercanti. Alcuni sono commercianti, vendono i beni che i mercanti consegnano loro. Altri sono artigiani, altri agricoltori o allevatori. Altri ancora costruiscono edifici o mezzi di trasporto. Qualcuno si occupa della salute e del benessere altrui.

- Allora tu che lavoro facevi?

- Io e la mia famiglia coltivavamo il nostro terreno e poi vendevamo i prodotti che ne ricavavamo nella nostra bottega.

- Ma mi avevi detto che eri povera. Come è possibile? Avevate un terreno tutto vostro e vendevate ciò che produceva. Dovevate essere ricchi invece.

- La nostra vita, la vita degli Imperiali intendo, non è così semplice. Basta un vento troppo forte e i rami degli alberi si spezzano. Un temporale troppo violento può far marcire le piante, un sole troppo caldo può farle seccare. Noi non abbiamo la magia che ci protegge. L'anno in cui sono salita sul treno le condizioni atmosferiche ci hanno punito. Poi, quando mio fratello si è ammalato, siamo caduti in una miseria ancora più nera. Le medicine che servivano a curarlo costavano moltissimo, ma i miei genitori avevano voluto acquistarle comunque. Sfortunatamente non sono servite a nulla.

Lo sguardo di Jasmeen a quel punto si era fatto più triste. Le fossette del suo viso erano quasi sparite, nascoste da una appena percettibile espressione infelice.

- È stato per questo che i tuoi genitori ti hanno venduta? Volevano più soldi?

- Le cose non sono andate proprio così. È difficile da spiegare. Ella... - aveva poi aggiunto - hai mai assistito alla morte di una persona a te cara?

La Guardiana non aveva capito questa frase. Ricordava che Jasmeen le aveva già detto che suo fratello era morto. Ma non capiva cosa la parola "morte" significasse. Quando Jasmeen aveva chiesto spiegazioni riguardo alla sua ignoranza, lei aveva semplicemente risposto che le guardiane non muoiono. Non aveva aggiunto nient'altro. Non lo aveva fatto perché non sapeva proprio cos'altro dire. E a quel punto aveva preferito smettere di fare domande.

Durante questi giorni Ella aveva anche avuto la possibilità di guardare meglio il treno. Era a dir poco enorme, un autentico labirinto di corridoi e stanze. Oltre alle cuccette e ai vagoni ristorante c'erano molti altri spazi. I primi che aveva visitato erano i bagni. Non assomigliavano per niente a quelli del palazzo delle Guardiane. Erano grandi e bui e non avevano vasche di nessun tipo, solo docce. Venivano usati da molti passeggeri contemporaneamente e al loro interno vigevano regole molto rigide. Aveva visto anche stanze usate come ripostiglio, sale dedicate alla manutenzione, che venivano usate quasi esclusivamente dai macchinisti, strane cabine in cui venivano ammucchiati i bagagli che venivano imbarcati ad ogni fermata, camere da letto con veri e propri materassi, cucine e stanze che contenevano tutto il necessario per le medicazioni. C'erano infine alcune stanze completamente vuote e altre perennemente chiuse, forse perché destinate solo al personale. In ogni spazio chiuso ed in ogni corridoio il cartello delle regole la faceva da padrone. Oltretutto Ella aveva notato che a volte i controllori si avvicinavano al cartello e, tenendo una strana scatola in mano, erano in grado di farvi apparire sopra una nuova lista al posto di quella originale, che conteneva tutte le eccezioni. Tutte queste stanze erano illuminate di notte da luci artificiali, forse mantenute accese grazie alla magia, e di giorno dalle ampie finestre di cui le pareti del treno erano costellate.

Ella era rimasta quasi ipnotizzata proprio da queste finestre, che le permettevano di avere una visione del mondo esterno. Trovava estremamente rilassante fissare i paesaggi che scorrevano veloci sotto i suoi occhi. Effettivamente guardare il paesaggio era stato quasi necessario per Ella. Benché l'amicizia con Jasmeen fosse stata in grado di farla ridere più di una volta, non riusciva a smettere di pensare alle sue sorelle. Il pensiero di casa le riempiva l'anima di angoscia. E le faceva capire che anche i sorrisi dedicati all'amica bionda non erano sorrisi che venivano da dentro. In cuor suo sapeva che nessun suo sorriso sarebbe più stato felice. Qualcosa, dentro di lei, era andato distrutto. La luce che c'era dentro i suoi occhi si stava affievolendo sempre di più.

*****

Erano passati ormai diversi giorni da quando Ella era salita sul treno. Cinque, forse sei. O forse quattro, o dieci. La Guardiana non era stata in grado di capirlo con certezza. Non c'era nessun modo di verificare lo scorrere del tempo e l'alternarsi delle stagioni.

Una volta aveva chiesto a Jasmeen come facessero gli Imperiali a distinguere un giorno dall'altro e lei le aveva spiegato che erano soliti utilizzare delle liste scritte su cui erano elencati i giorni, raggruppati per stagioni. Ad Ella era sembrato strano che non sfruttassero i segni della natura per capire qual era la stagione in corso.

Come ogni giorno lei e Jasmeen andarono nel vagone ristorante, accompagnate anche da Sara, che nel frattempo aveva cominciato ad abituarsi all'idea di dover dividere la cuccetta con la Guardiana. Ella durante questo periodo aveva capito che il vagone ristorante rimaneva aperto per circa un'ora tre volte al giorno. A quanto pare gli Imperiali mangiavano quotidianamente tre pasti, senza nutrirsi in nessun altro modo fra un pasto e l'altro. Le era risultato molto difficile abituarsi a questi ritmi, ma le regole erano severissime a riguardo, dunque non avrebbe potuto fare altrimenti. L'unico lato positivo di questa situazione era il fatto che ora, fra i cibi disponibili, c'era anche la Alif. Ella non aveva capito come fosse stato possibile che il personale del treno fosse riuscito a ricreare la deliziosa linfa, ma aveva deciso di non porsi troppe domande.

Le tre compagne di stanza si avviarono, vassoi alla mano, verso il bancone che metteva in bella mostra i cibi disponibili. Durante il pranzo Jasmeen e Sara preferivano andare nel vagone ristorante M-540. Era più lontano dalla loro cuccetta, ma anche più grande e frequentato da più Imperiali. Anche Brix e il suo gruppetto di amici si recavano li a mangiare. Anche se avevano continuato, durante tutti i giorni precedenti, a stuzzicarla ed umiliarla, Ella preferiva stare insieme a loro piuttosto che trascorrere questi momenti con creature sconosciute.

Mentre stavano accuratamente selezionando i cibi da consumare un insolito silenzio era calato nella stanza. Solitamente tutti i passeggeri approfittavano del momento dei pasti per chiacchierare, dato anche il fatto che una delle regole proibiva di fermarsi a parlare nei corridoi o nelle cuccette se in gruppi di cinque o più persone. Eppure stranamente tutti i presenti avevano taciuto all'improvviso. Sembravano tutti pietrificati, pareva che avessero persino smesso di respirare, onde evitare l'emissione di un qualunque minimo suono.

- Che succede? - chiese Ella rivolta alle amiche.

Jasmeen non rispose ma, con un cenno della testa, le indicò il motivo di tanto silenzio.

Un ragazzo alto e magro era entrato nella stanza. Aveva i capelli neri e corti e gli occhi molto scuri, un mezzo sorriso spavaldo dipinto su un viso dai lineamenti affilati e un'aria sicura di sé, forse indice di un temperamento dominante. A differenza di tutti gli alti passeggeri del treno, non indossava alcuna divisa e nessun collare indicava a quale categoria appartenesse. Gli abiti che portava erano dei semplici pantaloni neri di cotone spesso, delle scarpe di tela, nere anch'esse, e una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti.

Stava attraversando la sala con ampie falcate e, al suo passaggio, tutti coloro che si trovavano sul suo tragitto si scansavano in fretta, abbassando lo sguardo. Tutti i presenti, Ella inclusa, avevano smesso di mangiare o di servirsi e avevano cominciato a fissarlo. Sorprendentemente era riuscito a catalizzare l'attenzione su di sé.

- Chi è?

Ella non aveva la benché minima intenzione di starsene zitta e in disparte, ma l'occhiata furente lanciatale da Sara la convinse a tacere.

Il ragazzo continuò a camminare incurante di tutto fino a che non uscì dal vagone, dalla parte opposta rispetto a quella da cui era entrato. Solo a quel punto i passeggeri ripresero le loro attività. Sembrava che l'intero vagone avesse preso un sospiro di sollievo.

- Ma che sta succedendo? Perché stavano tutti in silenzio? - la voce di Ella suonava impaziente.

Fu Jasmeen a risponderle, con la solita calma che la contraddistingueva.

- Era Daemon. È un Infiltrato. Gli Infiltrati fanno parte del personale del treno, possono andare ovunque vogliano, possono persino scendere in qualunque momento. Non sono costretti ad indossare nessuna divisa e girano per il treno terrorizzando tutti. Sono esonerati dal rispettare la maggior parte delle regole. Non devono obbedire a nessuno tranne che ai proprietari del treno, prendono ordini solo da loro. Praticamente qui dentro dettano legge. Non hanno un ruolo specifico. Alcuni di loro si occupano di trattare con gli Imperiali sulla terra ferma, altri procacciano nuovi schiavi. Ma tutti hanno la possibilità di torturare o uccidere i passeggeri che infrangono le regole.

- Che cosa significa torturare?

- Meglio che tu non lo sappia, Ella. Tieniti alla larga dagli Infiltrati, sono pericolosi. E rispettali sempre. Chiunque li fa arrabbiare si pente di essere nato.

L'espressione di Jasmeen si era fatta seria e corrucciata. A quanto pare gli Infiltrati la spaventavano non poco.

Ella si distrasse per un attimo quando scorse una Imperiale in miniatura che la guardava da lontano.

*****

Le tre erano arrivate da poco nel vagone di ritrovo. Sara e Jasmeen chiacchieravano pacatamente con Brix, come facevano quasi ogni sera. Ella, che solitamente li ascoltava senza partecipare, stavolta era intenta ad ammirare i gesti di un gruppetto di quelli che aveva identificato come piccoli Imperiali.

Erano in tutto e per tutto uguali agli Imperiali conosciuti dalla Guardiana, avevano anche la stessa divisa. Eppure si muovevano in modo diverso. Ridevano in modo diverso. Era diverso persino il loro respiro.

- Ella! Renditi utile e vai a chiamare Pauli!

Era stato Brix a parlare, ordinando alla Guardiana di andare ad invitare la brunetta, seduta dall'altra parte della stanza, a partecipare alla discussione.

La Guardiana obbedì senza controbattere. Mentre si avviava nella direzione di Pauline, però, venne distratta da una di quelle buffe piccole Imperiali, che la stava guardando estasiata. Sembrava una specie di versione mignon di Jasmeen, con dei lunghissimi capelli quasi bianchi e degli enormi occhioni verdi. L'unica cosa che la differenziava dalla compagna di stanza era la statura. La piccola Imperiale era alta nemmeno la metà di Jasmeen.

Ella si accovacciò, in modo da ritrovarsi faccia a faccia con la piccoletta.

- Ciao! - disse l'Imperiale con un sorriso.

- Ciao. - le rispose lei con voce pacata - Io sono Ella.

- Io sono Brigitta! Sei una fata?

- No, e tu? Tu sei una fata?

Brigitta scosse la testa sorridendo. Altri Imperiali, piccoli come lei, si erano avvicinati nel frattempo. Sembrava che quelle creaturine fossero a tutti gli effetti i bambini degli Imperiali. Si comportavano come si comportava Ella da bambina. Però, a differenza di quanto succedeva fra le Guardiane, questi bambini erano molto diversi dagli adulti, non nell'aspetto fisico, bensì nell'animo. Sembravano più innocenti. E anche più felici.

- Sapete cosa sono? - Ella si rivolse alla piccola folla di bimbi stretti attorno a lei - Sono una Guardiana. Sapete cosa significa?

Alcuni bambini, Brigitta inclusa, mormorarono un timido "no".

- Io vivo nella Dime, all'interno di un enorme palazzo. Abito lì insieme alle mie sorelle. Noi abbiamo il compito di custodire e proteggere la Dime. Beh... A dire il vero questo non è compito mio, ma delle Anziane. Sono loro che si occupano della custodia del nostro mondo. Io non sono un'Anziana, sono una Figlia. Significa che passo le mie giornate a studiare, ad appendere tutto quello che le Anziane vogliono insegnarmi. Sapete... il nostro palazzo è bellissimo. È grande, pieno di stanze... e... e di libri. È pieno di conoscenza. Ed è circondato da giardini e fontane. E nessun Imperiale può farci del male in alcun modo. La nostra magia ci protegge. Anzi, protegge tutte le creature della Dime.

Le parole di Ella avevano attirato l'attenzione non solo dei bambini, ma anche di alcuni adulti, che avevano cominciato ad ascoltarla con interesse.

- Noi sorelle viviamo in pace, siamo lontane da tutto e solo pochissimi prescelti possono avvicinarsi a noi. I magicanti, ad esempio, hanno il permesso di entrare nel palazzo. Ma gli Imperiali e le creature del Vortice non sono i benvenuti. Indossiamo tutte dei sontuosi abiti bianchi. Le Figlie possiedono abiti corti, quelli delle Anziane invece sono lunghi fino ai piedi. E sapete un'altra cosa? Possediamo delle bellissime ali fatte di piume bianche. Sono forti e maestose e possono portarci dovunque vogliamo. E abbiamo tutte gli occhi azzurri. Talmente azzurri che sembra che il cielo si sia specchiato dentro di noi...

- Perché tu non hai le ali? - un bambino ancor più piccolo di Brigitta aveva coraggiosamente preso parola.

- Le ho perse. E mi mancano. Mi manca molto poter volare. E... mi mancano anche le mie sorelle.

- Allora perché non usi la tua magia? - stavolta a parlare era stata Pauline - Usa la magia per andartene e facci uscire tutti da qui.

Ella abbassò mestamente lo sguardo.

- Non posso farlo. Non potrei neanche se volessi. La magia è una prerogativa delle Anziane. Loro sono le Guardiane che abitano nel palazzo da più tempo e sono le uniche che possono leggere i testi magici. A loro è affidato il compito di istruire le Figlie come me. Ma la strada della magia è lunga, ed io sono solo all'inizio. Non posso aiutarvi, mi dispiace.

Un nutrito gruppo di Imperiali si era raccolto attorno a lei. Sembrava che avessero finalmente smesso di considerarla una bugiarda.

- Ma tu sei una Guardiana! - disse Brix - Sei la creatura più potente del nostro modo. Come puoi non essere in grado di fuggire?

- Guardami! - il tono di voce di Ella si era fatto più duro - Non ho la magia! Non ho più le mie ali! Non ho le mie sorelle al mio fianco! Cosa dovrei fare? Come potrei mai scappare da questa prigione?

- Ma allora perché sei salita sul treno?

Quest'ultima domanda la fece intristire. I suoi occhi azzurri si velarono di lacrime.

- Sono stata ingannata. Una persona di cui mi fidavo mi ha tradita. Mi aveva promesso che mi avrebbe portato a visitare la Città Imperiale. Ma invece mi ha portato alla stazione ferroviaria e, con il più stupido degli inganni, mi ha convinta a salire su questa macchina infernale. E io le ho creduto. Le ho sempre creduto. Le ho creduto perché ho condiviso una parte della mia vita con lei. Le ho creduto perché avrei creduto anche che il mare è asciutto, o che il sole è freddo, se solo questo meschino essere me lo avesse assicurato. Sarei andata persino contro le mie sorelle se... se lui...

Non riuscì a completare la frase. Brigitta le si avvicinò lentamente, tendendole la mano. Ella la strinse con la sua e le due si scambiarono un tenero sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


I bambini sembravano essere la cosa migliore del treno. Erano allegri e spensierati, trascorrevano il loro tempo a giocare e ridere insieme e a volte facevano talmente tanto chiasso da essere ripresi dagli adulti, i quali temevano punizioni da parte di guardie e Infiltrati. Ai piccoli Imperiali però questo non importava. Sembravano essere interessati solo al gioco e a nient'altro.

- Perché ci sono dei bambini sul treno? sono schiavi anche loro? - chiese Ella la mattina seguente, mentre si trovava ancora fra le lenzuola del lettino posto sopra quello di Sara.

- Sì, alcuni di loro sono schiavi venduti al treno dai loro precedenti padroni, come tutti noi. Altri invece sono nati proprio qui, sul treno. I loro genitori erano passeggeri e loro non hanno avuto altra scelta che vivere qui. Probabilmente non conosceranno mai la libertà. - a risponderle fu Jasmeen, che si era svegliata da poco e ora stava seduta sul letto.

- Che cosa significa che sono nati qui? Cosa significa nato?

- Significa venire al mondo, cominciare a respirare, a muoversi, a vivere. Le Guardiane non nascono?

- Non credo che abbiamo lo stesso concetto di nascita. Di tanto in tanto alcune Anziane lasciano il palazzo per sette giorni e al ritorno portano con loro una piccola Guardiana, che diventa a tutti gli effetti una nostra sorella. Però... Le piccole Guardiane assomigliano in tutto e per tutto alle adulte, non nel corpo, ovvio, ma nello spirito. I vostri bambini invece hanno un animo diverso. E poi... noi ci occupiamo di loro come se fossero il bene più prezioso esistente.

- Questo lo facciamo anche noi Imperiali. Il nostro istinto e la nostra razionalità ci dicono di proteggere i bambini con tutte le nostre forze.

- No, non è vero. Se lo fosse non permettereste che i bambini diventino prigionieri o che lo restino per tutta la loro vita.

Jasmeen a quel punto sospirò mestamente.

- La schiavitù non è qualcosa a cui possiamo porre rimedio. Le cose vanno così e basta. È meglio accettarlo anziché combattere per uno scopo che non si potrà mai raggiungere.

Un controllore interruppe la piccola chiacchierata con il suo ingresso nella stanza. Aveva in mano un blocchetto di fogli.

- Cuccetta M-711 - disse leggendo uno dei pezzi di carta - scendete alla prossima fermata. Trasporto di merci e viveri.

L'Imperiale si allontanò senza dare ulteriori spiegazioni.

Ella scese dal letto e guardò con aria interrogativa l'amica bionda.

- Dobbiamo lavorare. - disse lei, intuendo i pensieri della Guardiana - Tutti i passeggeri del treno devono rendersi utili in qualche modo. Ora è arrivato anche il tuo turno. Adesso praticamente conosci tutto della vita sul treno.

- Che significa trasporto di merci?

- Lo vedrai.

Ella avvertì il treno rallentare. Probabilmente mancava poco alla fermata.

Quando il treno arrestò la sua corsa le tre ragazze si avviarono verso una delle porte scorrevoli. Accalcati davanti alle uscite c'erano decine di Imperiali, pronti a scendere e a cominciare a lavorare. sembrava che fossero impazienti di cominciare. Eppure c'era qualcosa nel loro sguardo che lasciava intendere che avrebbero fatto volentieri a meno di uscire e prendere una boccata d'aria fresca.

Ella e le sue compagne di stanza riuscirono a scendere solo dopo alcuni minuti, durante i quali avevano pazientemente atteso che la folla accumulatasi dietro alla porta riuscisse finalmente a disperdersi.

Quando la Guardiana poggiò il piede sulla terra ferma le sembrò che i suoi polmoni fossero nuovamente in grado di respirare. Non si era resa conto di quanto l'aria all'interno del treno fosse soffocante fino a quel momento. La brezza fresca che le attraversava i capelli la faceva sentire leggera, la visione di un un cielo terso e limpido la riportava a nuova vita e un sole brillante le feriva gli occhi e le faceva ardere l'anima.

La città in cui si trovava era di tipo portuale. La ferrovia era vicinissima al mare e, a poche centinaia di metri di distanza si potevano ammirare delle maestose navi con le vele spiegate. L'odore salmastro era quasi insopportabile, ma al tempo stesso insolitamente piacevole. Eppure, benché quel luogo sembrasse così magico, colorato e pieno di vita, non aveva nulla a che fare con la celestiale visione che era stata la Città Imperiale. In quel porto non c'era oro, né sontuosi palazzi. Tutto sembrava molto povero e insignificante.

Nonostante ciò, gli Imperiali che affollavano il porto, i venditori ambulanti che urlavano per attirare l'attenzione, i gruppi di casupole raggruppati nel centro della città e le piccole colline alberate che facevano da sfondo a quella cittadina rendevano l'atmosfera pittoresca e rilassante, ma anche entusiasmante, in un certo senso.

Ad Ella non sembrava vero di poter ammirare così da vicino degli Imperiali. Certo, sul treno ne era letteralmente circondata, ma questi Imperiali erano molto più simili a quelli della sua immaginazione. Erano veri e propri mercanti, grassi e ricchi, vestiti con stoffe pregiate ed adornati di gioielli e cappelli dalle forme bizzarre. Alcuni di loro parlavano animatamente con i controllori, indicando con buffi gesti delle mani un'innumerevole quantità di grosse casse impilate lì a fianco. Sembravano impazienti e nervosi. Qualcuno aveva addirittura cominciato ad urlare. I passeggeri nel frattempo stavano in disparte, attendendo ordini da qualche membro del personale del treno.

Finalmente, dopo alcuni minuti di interminabili e accesi dialoghi, uno dei controllori si allontanò dai mercanti, dirigendosi verso gli schiavi.

- Queste casse vanno portate sulla Steel and Jade, è la nave ancorata laggiù. - il controllore indicò la grossa imbarcazione con un rapido gesto del braccio - Alcune contengono merci delicate e costose, quindi vedete di stare attenti. Se danneggiate qualcosa verrete puniti talmente duramente da desiderare la morte.

I passeggeri non attesero oltre. Cominciarono tutti, Ella inclusa, a muoversi verso le casse. Altri controllori coordinavano i lavori, dando indicazioni dettagliate ad ognuno dei passeggeri. Ed a coordinare i controllori c'era una ragazza bionda, con i capelli legati, bassina e piuttosto magra. I pantaloni in tela beige, gli stivali alti fino al ginocchio e la blusa marrone fecero capire ad Ella che si doveva trattare di una Infiltrata. In mezzo alla consistente folla di collari grigi ce n'erano alcuni neri, viola e azzurri.

- Muoviti Ella! - Sara si era accorta che la Guardiana era rimasta come bloccata ad ammirare il mondo circostante.

Il lavoro cominciò. Consisteva semplicemente nel formare delle catene viventi per trasportare il più velocemente possibile le casse dalla banchina alla nave. Ella si rese ben presto conto di cosa volesse dire lavorare. E cominciava anche a capire qual era il modo in cui gli Imperiali dovevano faticare per procurarsi da mangiare.

Le casse erano pesantissime. Doveva prenderle una alla volta e trasportarle per un tragitto che le sembrava infinito. Il sole, che fino ad un'istante prima le era sembrato la migliore fonte di vita, ora la stava tormentando, facendole anelare un sorso d'acqua. Alla terza cassa trasportata cominciò ad avvertire chiaramente la stanchezza. Le gambe si rifiutavano di procedere oltre, la schiena si piegava sotto il peso della sofferenza, i capelli le si appiccicavano al viso, persino le sue dita cercavano di sfuggire a quell'orrore. Un chiodo mal piantato nel legno di una delle casse le graffio una mano, facendola mugolare. Con la coda dell'occhio vide Jasmeen restare a bocca aperta alla vista della ferita che si rimarginava quasi istantaneamente.

Alla quinta cassa il suo corpo cedette. Uno dei controllori le si avvicinò come una furia.

- Alzati!

La afferrò per i capelli tirandola su di peso. Ella non riuscì a trattenere un sommesso urlo di dolore. Il controllore la lanciò via letteralmente. Lei cadde sulle ginocchia, procurandosi delle ferite che di lì a poco sarebbero scomparse. Restò immobile, inginocchiata sul pavimento, con i palmi delle mani saldamente appoggiati a terra e la testa ciondolante in avanti. Qualcosa di dolorosamente duro la colpi sulla schiena. Un altro urlo le attraversò la gola.

- Ti ho detto di muoverti! Non abbiamo tutto il giorno!

Ella aveva cominciato a piangere di riflesso ma, quando il crudele Imperiale le diede un calcio che quasi le fece mancare il fiato, si vide costretta a rialzarsi.

Le mani le tremavano, sentiva il cuore battere all'impazzata. Ma ora sapeva di non avere scelta. Riprese a trasportare le casse, cercando di trovare la forza necessaria a non cadere di nuovo.

Il pianto di uno dei bambini la fece però bloccare. Il pargolo si era fermato ed appariva visibilmente disidratato. Ella provò a muovere qualche passo verso di lui ma si arrestò immediatamente quando vide un altro controllore prendere a bastonate il malcapitato bambino, che a quel punto riprese in mano la merce che aveva precedentemente lasciato cadere e ricominciò a lavorare per sfuggire alla furia del suo aguzzino. Ella sentì il cuore spezzarsi.

La giovane Infiltrata bionda, accortasi della negligenza della Guardiana, le si avvicinò rapidamente e la colpi in viso con una violenza inaudita, insolita per una ragazza con una corporatura così minuta.

Ella cadde nuovamente a terra. Qualche goccia di sangue fuoriuscita dal labbro spaccato precipitò sull'asfalto della banchina.

- Fermati un'altra volta e farò in modo che tu non ti possa muovere mai più. - le parole dell'Infiltrata suonavano cariche di odio e ferocia.

Ella trovò la forza per rialzarsi. Pensò che probabilmente era la disperazione che la faceva andare avanti. E continuò a lavorare. Continuò finché il caldo del mattino non lasciò il posto al fresco del pomeriggio. E finché il fresco del pomeriggio non lascio il posto alla penombra del tramonto.

*****

Ella era a pezzi. Dopo ore di estenuante lavoro era finalmente rientrata sul treno. Si sentiva distrutta nel corpo e nell'anima. Benché la ferita al labbro fosse già guarita, sentiva ancora un fortissimo dolore alla guancia. E sentiva un grande dolore al cuore, un dolore che nemmeno la sua natura di Guardiana avrebbe potuto risanare. Rivedeva quel bambino spaventato ogni volta che chiudeva gli occhi. Nelle sue orecchie risuonava ancora quel pianto innocente.

- Ella dobbiamo andare. Se aspettiamo ancora un po' il vagone ristorante chiuderà.

- Non ho fame...

- Ma non dire sciocchezze! Non puoi restare digiuna. Hai lavorato tutto il giorno, devi mangiare e bere.

La Guardiana ignorò le parole di Jasmeen.

Sara le afferrò con fermezza un braccio.

- Muoviti Ella. Non puoi restare qui senza mangiare nulla. E rischi la vita se non bevi qualcosa. Ora vieni con noi e basta!

Ella decise infine di seguire le coinquilinine per cenare insieme a loro. Sapeva che se insistitevano era solo per il suo bene e, in un certo senso, non voleva deluderle.

Il vagone M-540 era affollato come al solito. Molti passeggeri avevano già preso posto, qualcuno aveva addirittura già finito il pasto. Ella e le sue due amiche dovevano essere alquanto in ritardo. Le tre afferrarono in fretta i vassoi e si diressero verso il bancone. Mentre Sara e Jasmeen discutevano su quale frutta prendere, lo sguardo di Ella stava vagando in cerca della sua amata Alif.

Distratta dalle diverse pietanze e con la mente annebbiata dal lavoro mattutino, non si accorse che il suo lento camminare la aveva condotta più vicina non solo alla preziosa linfa, ma anche a due spaventosi occhi rossi e a delle enormi fauci.

Quando finalmente si risvegliò da quella sorta di trance in cui era entrata si rese conto che davanti a lei si ergeva una imponente montagna di peli grigi. Un respiro affannoso e pesante la convinse a sollevare lo sguardo ed incrociare quegli occhi assassini.

Un enorme lupo si stagliava davanti a lei. Non un semplice animale selvatico, bensì un lupo antropomorfe, dalle dimensioni ben superiori a quelle di qualunque altro animale Ella avesse mai visto. Aveva gli occhi relativamente piccoli, socchiusi e con due iridi rosse come il sangue. Le orecchie erano sporgenti ed estremamente mobili ed in quel preciso momento avevano il padiglione puntato su di lei. Un muso allungato e coperto di spessi peli e sottili baffi donava alla sua espressione un che di feroce e corrucciato. Una spaventosa fila di denti sporgeva dalle labbra arricciate in segno di minaccia. Quattro affilati canini, lunghi quanto la mano di Ella, contribuivano a rendere la creatura ancor più terrificante. Il corpo sembrava stato creato apposta per mettere in soggezione. La statura del lupo fece capire alla Guardiana perché i soffitti del treno erano così alti. I peli grigi che lo ricoprivano interamente apparivano duri e ispidi e sembrava che ci fossero delle incrostazioni di fango. O di sangue. Si reggeva in piedi appoggiandosi sulle relativamente piccole zampe posteriori e sulla a dir poco gigantesca zampa anteriore sinistra. Quella destra teneva invece un vassoio stracolmo di carne. Fra quegli artigli aguzzi e quelle enormi dita, fra cui spiccava un pollice opponibile, appariva stranamente piccolo. Anche il lupo indossava una divisa, che però gli copriva soltanto il torso, lasciando libere sia le zampe posteriori che la lunga e forte coda. Il suo collare era nero.

Ella era pietrificata.

Sta calma Ella... Non può farmi nulla. Non può aggredirmi. È contro le regole. Non può sbranarmi.

- Ma guarda un po'. Mi sembrava di aver sentito il fetore della Dime. - la voce del lupo suonava come un profondo ringhio carico di odio. Pareva che tutto di lui fosse stato creato per spaventare - Le streghe mi avevano detto di aver avvistato una Guardiana, ma io non avevo voluto crederci. Quale Guardiana sarebbe così stupida da avvicinarsi al treno? Ma a quanto pare mi sbagliavo.

Con uno scatto il lupo avvicinò il suo muso al viso di Ella. Ora si trovava a pochi centimetri di distanza da lei. Dalle sue fauci usciva un nauseabondo odore di carne marcia.

Resta calma.... Non abbassare lo sguardo... Non può attaccarmi. Non può uccidermi nel peggiore dei modi. Non può smembrare il mio corpo per poi mangiarmi e bere il mio sangue.

Vedi di starmi lontana, Guardiana. Le creature della Dime come te mi disgustano. E stanne certa, non appena ne avrò la possibilità, affonderò le mie fauci sul tuo innocente visino. - si avvicinò ancora di più. Ora la punta umida del suo naso toccava quello di Ella - Sai quanto sarebbe piacevole veder scorrere il tuo sangue e sentirne il delizioso odore?

Le minacce del lupo furono interrotte da un improvviso e inquietante urlo. Mentre Ella era distratta dalla presenza della mostruosa creatura, un Imperiale aveva fatto cadere una delle caraffe d'acqua, mandandola in frantumi. Le grida non erano però dovute alla rottura del recipiente.

Sul luogo era giunta una guardia, attirata dall'incidente. La sua voce metallica risuonava per tutto il vagone, ribadendo la regola secondo cui era vietato danneggiare il treno e gli oggetti in esso contenuti. Incurante del fatto che l'Imperiale non avesse infranto volontariamente la regola, lo aveva afferrato per un braccio, trascinandolo via.

Le urla disumane erano state lanciate proprio dal malcapitato, che scalciava con foga nel disperato tentativo di liberarsi da quella morsa.

Il ragazzo si dimenò per tutto il tempo, gridando a squarciagola, finché sia lui che la guardia oltrepassarono la porta e sparirono alla vista. Molti dei presenti erano rimasti sconvolti. Ella lanciò una rapida occhiata in direzione di Brix, Sara e Jasmeen, che ormai avevano preso posto ad uno dei tavoli. Avevano dipinta in viso un'espressione di terrore e preoccupazione.

Finalmente il lupo si allontanò da lei, lasciando i suoi pensieri liberi di fluire.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Brix camminava nervosamente su e giù per il vagone di ritrovo. Seduti ai divanetti, Jasmeen, Pauli e altri due Imperiali lo guardavano pietrificati. Sara invece era in piedi e cercava costantemente di calmarlo. Ad Ella quella intera situazione sembrava surreale. La sera prima il compagno di stanza di Brix, Tyler, era stato trascinato via da una guardia per aver involontariamente infranto una regola e da allora non si era più visto. Il giovane imperiale dai capelli corvini aveva affermato che il suo povero amico non aveva dormito nella cuccetta quella notte.

- Lo hanno torturato! Lo devono aver distrutto! Forse... forse lo hanno portato a medicarsi! Forse era troppo malmesso ed hanno avuto pietà di lui!

- Brix calmati! Non risolverai niente facendo così.

- Dobbiamo andare a cercarlo! Adesso! Subito!

- Ma che stai dicendo? È una follia!

A parlare ora era Jasmeen, che fissava l'amico sconcertata. Lui le rivolse un'occhiata furente.

- Stai dicendo che dovremmo lasciarlo morire? Che dovremmo lasciarlo perdere? Come se fosse un insetto schiacciato? Come se fosse uno di quei luridi Infiltrati?

- Sto solo dicendo che è inutile andarlo a cercare! Se è ancora vivo lo riporteranno nella cuccetta! - la voce di Jasmeen suonava esasperata.

- Jasmeen ha ragione. Non ha senso quello che stai dicendo Brix. Se non è tornato è perché è morto. C'era Eden ieri nel vagone. Se è stata lei ad occuparsene puoi anche rassegnarti, è morto.

- Chi è Eden? - chiese Ella.

- L'Infiltrata che ieri si è occupata dei lavori al porto. È una furia, spietata come pochi. Lo avrà torturato fino ad ucciderlo.

La ragazza bassina che mi ha colpito.

- Basta così! - Brix impose il silenzio - Non voglio sentire altro! Andremo a cercarlo e basta. C'è una stanza delle torture vicino alla mia cuccetta, ci andremo io e Pauli. Sara, tu e Danny andrete nella carrozza N. Jasmeen, tu e la Guardiana lo cercherete nella stanza M-601. Non voglio sentire obiezioni!

Jasmeen sospirò, Sara stava rivolgendo uno sguardo compassionevole al ragazzo. Nessuno, effettivamente, ebbe il coraggio di obiettare. Erano tutti in pena, eppure sembravano tutti rassegnati. Non doveva essere il primo dei loro amici a perdere la vita.

Prima di alzarsi dalla poltroncina Ella sentì addosso lo sguardo della ragazza con il collare azzurro, lo stesso sguardo che l'aveva scrutata giorni prima. La Guardiana la fissò a sua volta con i suoi occhi blu. Jasmeen interruppe il gioco di sguardi afferrandola per un braccio e trascinandola via.

*****

- La stanza delle torture M-601 è abbastanza distante. Possiamo prendere... il corridoio M-699... per fare prima.

Jasmeen era trafelata. Correva come un'ossessa fra i corridoi del treno. Ella riusciva a stento a starle dietro.

- Giriamo di qua, credo sia la strada più breve.

Sembrava volersi sbrigare. Forse, pensava Ella, sperava di riuscire a trovare Tyler ancora vivo. Oppure, più probabilmente, sperava di ricevere il prima possibile la conferma della sua morte, così da poter finalmente cominciare il processo di accettazione.

Svoltata l'ennesima curva, l'Imperiale bionda si arrestò all'improvviso, ritrovandosi inaspettatamente davanti a due Infiltrati.

Ella riconobbe Daemon, il ragazzo che alcuni giorni prima aveva attraversato spavaldo il vagone ristorante. L'altro le era sconosciuto. Sembrava più vecchio di Daemon. Gli occhi marroni erano contornati da piccole rughe e fra i capelli castani brillava qualche filo bianco. La sua corporatura era però più massiccia di quella del suo amico. Era un po' più alto e decisamente più muscoloso. Anche lui era privo di divisa. Indossava invece una maglietta a maniche corte e dei semplici pantaloni. Era vestito interamente di nero. Daemon aveva addosso la solita camicia bianca e dei pantaloni blu di stoffa parecchio spessa. Ora che li vedeva da vicino, Ella fu quasi certa che entrambi fossero Imperiali.

I due erano in piedi, appoggiati alle pareti opposte del corridoio, uno di fronte all'altro ed entrambi a braccia conserte. Prima di accorgersi della presenza di Jasmeen ed Ella stavano chiacchierando pacatamente. Quando però videro le due ragazze stare a poco più di un metro di distanza da loro, restarono in silenzio a fissarle. Jasmeen aveva ancora il fiatone.

- Quanta fretta. - a parlare era stato Daemon, che ora aveva dipinto in viso un sorriso strano - Andate da qualche parte?

- No signore. - rispose Jasmeen, che subito dopo si rivolse ad Ella sussurrando - Facciamo il giro lungo.

- Ma no, perché? - Daemon a quanto pare la aveva sentita - Non vogliamo mica farvi perdere tempo.

L'Infiltrato fermò il suo sguardo sulla Guardiana. I suoi occhi scuri incrociarono quelli blu cobalto di lei.

- Però... ripensandoci... sarebbe un gesto molto maleducato passare in mezzo a due persone che stanno parlando, non credi? Biondina, vai pure. Fai il giro largo come avevi detto. Magari permetterò solo alla tua amica di passare di qua.

Jasmeen non si mosse. Aveva lo sguardo basso. Daemon la guardò quasi incredulo. Il sorriso sul suo volto si era cancellato.

- Sei sorda? Hai capito cosa ho detto? Sparisci! Vattene di qua! - la voce del ragazzo si era fatta molto più minacciosa.

Jasmeen diede una rapida occhiata ad Ella, poi obbedì.

- Sì signore. - mormorò soltanto prima di allontanarsi. Sembrava spaventata.

Ella rimase da sola con i due Infiltrati. Sentiva il cuore battere all'impazzata, ma era abbastanza intelligente da capire che la cosa migliore da fare in quel momento era assecondarli e non fiatare se non interpellata.

I due restarono in silenzio per alcuni secondi. Secondi che ad Ella erano sembrati ore. Poi il più anziano parlò.

- Sei una Guardiana? - chiese con fare serio, indicando con un cenno del capo il collare dorato.

Ella abbassò il mento, come a voler controllare l'effettivo colore del collare. Poi risposte con un sommesso "Sì". Daemon rise.

- L'unica Guardiana talmente stupida da salire sul treno toccata a noi!

La frase del ragazzo moro aveva fatto sorridere anche il suo amico. Per qualche motivo ad Ella sembrava che l'Infiltrato più anziano fosse meno crudele di Daemon.

- Una Guardiana senza ali, senza magia... praticamente inutile! E pensare che i proprietari del treno hanno dato un sacco di oro al tizio che ti ha portata qui. Avrebbero dovuto pagarlo molto di meno!

Mentre Daemon continuava a parlare con il sorrisetto stampato addosso, Ella non poté fare a meno di sollevare le sopracciglia per lo stupore. Forse quel ragazzo parlava di Hawk? Lo conosceva? Sapeva perché l'aveva portata lì? Sapeva del suo inganno?

- Beh? Che fai ancora qui? Vattene via! Vai a raggiungere la tua amica bionda!

Ella era riluttante. Avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto chiedere tante cose, ma sapeva che non era possibile. Avrebbe solo rischiato di far arrabbiare i due Infiltrati.

- Sì signore - rispose, imitando le parole di Jasmeen.

Si girò su se stessa e si diresse dalla parte opposta. Sentì i due alle sue spalle riprendere la conversazione precedentemente interrotta, ridendo di gusto.

Trovò Jasmeen ad aspettarla davanti alla porta della loro cuccetta. La ragazza bionda le buttò le braccia al collo non appena la vide, stringendola talmente forte da farle mancare il fiato. La Guardiana la sentì tremare in maniera preoccupante.

*****

La sera era sopraggiunta velocemente. E come ogni sera, Ella si trovava nel vagone di ritrovo in compagnia dei suoi amici Imperiali. Brix, seduto a poca distanza da lei, fissava il vuoto con lo sguardo spento. Nessuno era riuscito a trovare Tyler, e questo poteva significare solo una cosa.

Ella si sentiva estremamente provata. Il lavoro, le bastonate e il pensiero delle torture inflitte all'amico di Brix e della sua morte la avevano profondamente turbata. Anche gli altri Imperiali sembravano stranamente più silenziosi del solito.

La Guardiana raccolse un po' di coraggio e provò a iniziare una conversazione. Era l'unica cosa che sentiva di fare in quel momento. Forse non era la scelta migliore, ma che importava?

- Brix, tu che lavoro facevi prima di salire sul treno?

Lui la guardò sorpreso. Non sapeva se risponderle o continuare a chiudersi nel silenzio.

- Costruivo cose. - disse infine - Costruivo i pezzi che compongono i carri che noi Imperiali usiamo per spostarci - aggiunse dopo aver visto l'espressione interrogativa di Ella.

- E da quanto tempo sei sul treno?

- Quattro anni.

- E tu Pauli? Tu che lavoro facevi?

- Gestivo un negozio di alimentari. - rispose la brunetta - sono qui da poco più di un anno. - lo specificò senza che nessuno glielo avesse chiesto.

- E tu Sara?

L'Imperiale dalla chioma riccia la guardò con la sua solita aria corrucciata. Con il passare dei giorni Ella aveva capito che l'atteggiamento apparentemente aggressivo di Sara faceva parte del suo modo di essere e che spesso appariva arrabbiata o infastidita anche se in realtà non lo era.

- Io sono diventata una schiava prima ancora che potessi imparare un mestiere. Mia madre faceva la sarta. Mi ha insegnato a cucire, ma non è mai stato un vero lavoro. Anche se qualche volta ho cucito qualche abito per quelle cagne che il mio precedente padrone si portava a letto. Mi aveva costretto lui a farlo. Sperava di fare colpo offrendo abiti realizzati da una schiava. Che pezzente!

Mentre ascoltava i suoi compagni di viaggio, Ella si accorse con la coda dell'occhio della solita ragazza con il collare azzurro che, come sempre, la osservava da lontano.

- Parlatemi degli altri passeggeri. Spiegatemi i colori dei collari.

- I collari grigi sono degli Imperiali, già lo sai - a rispondere era stato Brix - poi ci sono i collari neri, che sono destinati alla maggior parte degli abitanti del Vortice. Le varie categorie hanno tutte questo colore. Fanno eccezione le streghe, che hanno il collare viola, ed i posseduti, con il collare blu scuro. Penso che ci sia qualche altra eccezione, ma questi sono i colori che conosco io. Poi alcuni abitanti della Dime, come le fate e le ninfe, hanno il collare verde chiaro, mentre altri, come gli spiriti o gli gnomi, lo hanno verde scuro. Ah, e i sacerdoti bianchi hanno il collare bianco come il loro nome. E poi... ci sono i magicanti che hanno il collare azzurro.

Ella sorrise imbarazzata.

- Non ho capito quasi nulla...

- Cosa non hai capito? Mi sembra abbastanza chiara come spiegazione.

- Non capisco cosa sono le creature che avete nominato. Non ne conosco nessuna, a parte i magicanti.

- Ma tu e le tue sorelle siete custodi della Dime - a parlare stavolta era stata Sara - come è possibile non conoscere le creature che tu stessa proteggi?

- Le Anziane ci tengono a distanza dal mondo esterno. Noi non conosciamo quasi nulla, e non entriamo in contatto con gli estranei. Persino i magicanti non possono avvicinarsi al palazzo, se le Anziane non danno il loro esplicito consenso. È per proteggerci, credo...

- Proteggervi da cosa?

- Da quello che ho visto qui. Dal male, dall'odio, dal dolore e dalla morte. Forse le Anziane non avevano torto a volerci tenere lontane dal mondo. Forse c'era un motivo se ci era proibito volare fino alla Città Imperiale.

Fece un attimo di pausa. I suoi occhi si spensero. Sentiva persino la sua stessa anima spegnersi.

- E quell'enorme lupo che c'era nel vagone ristorante ieri? È una creatura del Vortice anche lui?

- Si, è un lupo grigio. È molto aggressivo, e odia la Dime e la Casa Imperiale. È meglio non avere nulla a che fare con lui.

Ella continuò a chiacchierare con i suoi amici ancora per un po'. Con loro si sentiva bene, ma non bene come avrebbe voluto. Sentiva di non riuscire a prendere fiato, di non riuscire a parlare. Eppure stava respirando, stava parlando. Si sentiva confusa e vuota. Ma c'era una cosa che finalmente aveva capito. Ora sapeva chi era la ragazza che nei precedenti giorni la aveva fissata in maniera snervante: una magicante.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


La giornata sembrava cominciata bene. Ella si era decisa ad andare a parlare con la ragazza dal collare azzurro, per chiederle finalmente cosa volesse da lei e perché avesse passato tanto tempo ad osservarla in silenzio. Il suo proposito però non venne attuato, poiché la ragazza non era presente nel vagone ristorante per la colazione. Forse preferiva il ben più grande vagone M-540.

Le parlerò più tardi.

L'atmosfera nel vagone appariva serena e tranquilla. Alcuni Imperiali chiacchieravano pacatamente, altri sceglievano accuratamente uno dei tanti cibi a disposizione. Jasmeen e Sara sembravano le più tristi in quella stanza. Ella si era accorta che nessuna delle due era riuscita a dormire quella notte. E, in effetti, anche lei si sentiva stanca, nonostante fosse riuscita a riposare qualche ora. Brix non si era nemmeno visto. Sara aveva ipotizzato che non sarebbe venuto a fare colazione. Probabilmente aveva indovinato.

Quando le tre amiche si avvicinarono al bancone, notarono immediatamente l'ingresso nella sala di alcuni controllori in compagnia di un Infiltrato. Si trattava dell'amico di Daemon, quello che il giorno prima chiacchierava con lui in corridoio e che insieme a lui aveva deriso Ella. I presenti non sembravano particolarmente scossi. L'Infiltrato era occupato a discutere con un controllore e non si curava minimamente di chi altri gli stesse intorno. Dai loro gesti e da qualche parola carpita per caso, Ella intuì che stessero parlando di alcune riparazioni da effettuare sul treno. La Guardiana si sentiva sollevata dal fatto che l'Infiltrato fosse troppo impegnato a parlare per prestare attenzione a lei ed agli altri Imperiali.

Un rumore sordo interruppe la deliziosa quiete che si era venuta a creare e fece trasalire Ella. Una bambina, in cui la Guardiana riconobbe una delle amichette di Brigitta, aveva fatto cadere il vassoio che teneva in mano, rovesciando il cibo che conteneva e rompendo un bicchiere.

Ella sentì il suo cuore come fermarsi, per poi avvertirlo battere ad una velocità inaudita. Una sensazione di calore le raggiunse la testa e poté chiaramente avvertire i sudori freddi del suo corpo. Davanti agli occhi riviveva la scena di Tyler che veniva trascinato via dalla guardia. Scena che si fece ancora più vivida e reale quando si accorse che i controllori si stavano avventando sulla bambina. Tutto il resto sembrava non esistere. Tutti i passeggeri intorno a lei sembravano improvvisamente scomparsi.

Le mani le tremavano, le gambe quasi non reggevano il suo peso. Ma quando vide uno dei controllori afferrare violentemente la piccola per un braccio e chiamare a squarciagola l'Infiltrato riuscì a gettarsi sulla bimba con uno scatto degno del più feroce dei lupi grigi.

La avvolse fra le sue braccia, la strinse a sè e cercò di consolare il pianto che la violenza del controllore aveva causato.

- No! - fu tutto ciò che uscì dalle sue labbra. Un "No" quasi urlato, un "No" disperato e spaventato a morte.

Passeggeri e controllori guardavano Ella esterrefatti.

- Togliti! - a parlare era stato il controllore che aveva afferrato la bambina per un braccio - Signore, vanno punite entrambe! - disse poi rivolto all'Infiltrato.

Nel frattempo dagli occhi di Ella sgorgavano lacrime di paura. Tra un singhiozzo e l'altro continuava a supplicare, accovacciata di fronte quei mostri con la piccola stretta fra le braccia.

- No! Per favore no! È solo una bambina! Non lo ha fatto apposta!

L'Infiltrato dai capelli castani la guardava dall'alto, con un'aria di disprezzo stampata negli occhi.

- Signore, hanno infranto le regole...

Finalmente l'Infiltrato parlò, restando perfettamente impassibile davanti al controllore che lo spronava ad agire ed ad una Guardiana in lacrime inginocchiata ai suoi piedi.

- No, non importa.

- Ma signore...

- Non è una cosa importante, abbiamo altro a cui pensare.

L'Infiltrato uscì poi rapidamente dal vagone. I controllori lo seguirono ubbidienti.

Ella rimase seduta sul pavimento per un tempo infinito. Stringeva a sé la bambina, accarezzandole i morbidi capelli neri nel tentativo calmarla.

Jasmeen le si avvicinò titubante. Sembrava sconvolta.

- Stai bene? - le chiese.

Ella annuì. Aveva gli occhi velati di lacrime, ma stava bene davvero. Si sentiva bene, felice per essere riuscita ad evitare altro orrore. Avvertì il tenero abbraccio di Jasmeen e non poté fare a meno di piangere.

*****

La Guardiana vagava da sola lungo i corridoi del treno. Dopo la colazione aveva passato alcune ore nella letto della sua cuccetta, con le coperte tirate fin sopra la testa. Poi aveva deciso di fare una passeggiata, se così può essere definito il vagare senza meta per i corridoi di un treno. Aveva voglia di silenzio, voglia di restare sola con i suoi pensieri. Le luci artificiali si erano già accese. Si illuminavano ogni volta che fuori faceva buio, automaticamente. Dai finestrini poteva ammirare, immerso nella penombra, un paesaggio ricco di alberi e cespugli, apparentemente privo di forme di vita. La luce del tramonto stava ormai per spegnersi. La sguardo di Ella cercava invano di distinguere i contorni del paesaggio esterno, mentre la sua mente rifletteva sulla sua prigionia e cercava speranze di libertà. Doveva andarsene. Doveva riuscire a fuggire. Quel luogo la stava distruggendo, non poteva permettersi di rimanere rinchiusa lì ancora a lungo.

Una strana ombra la distolse dai suoi pensieri. sembrava come se l'aria vibrasse, come se qualcuno stesse correndo talmente velocemente che l'occhio non era in grado di coglierne il movimento.

Come un'illusione ottica che appare e...

Ella Strabuzzò gli occhi. Il suo cuore ebbe un sussulto. Non poteva essere vero. Poteva essere...

Provò ad avvicinarsi, svoltò un angolo... Una chioma color miele scuro le passò davanti, prima di dissolversi nuovamente come aveva fatto in precedenza.

- Hawk!

Era da tanto che non pronunciava quel nome. Lo urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

- Hawk!

Cercò di inseguirlo per i corridoi, ma quella figura sembrava più sfuggente che mai. Per alcuni minuti riusci a stargli alle calcagna, ma ad un certo punto perse di vista quella strana illusione ottica. Presa dalla disperazione, iniziò a vagare per i corridoi, scegliendo casualmente la direzione da seguire. Corse talmente forte da farsi mancare il fiato. Ma continuò comunque ad urlare il nome di quello che un tempo era stato un suo grande amico.

Svoltata l'ennesima curva Ella si arrestò di colpo. Con sua grande sorpresa, si ritrovò a pochi centimetri da Daemon, che la stava fissando con una finta aria indifferente. Probabilmente anche lui era rimasto sorpreso da quell'incontro. I suoi occhi scuri si erano persi in quelli blu con pagliuzze marroni di lei.

- Vai di fretta Guardiana? - aveva un modo di fare altezzoso e presuntuoso. Appariva molto sicuro di sé, ben consapevole che sul treno era lui a comandare. Il mezzo sorriso che aveva sembrava essergli stato cucito addosso.

- Non sai che è vietato correre nei corridoi? Ed è vietato anche urlare. Cos'è, stai cercando di essere punita?

Ella spinse lo sguardo oltre la figura dell'Infiltrato, sperando di rivedere Hawk.

- Spostati! - disse lei indispettita.

- Sei un po' troppo insolente per i miei gusti. Portami rispetto, Guardiana.

- Spostati! - ripeté lei, scandendo bene le sillabe e fissando il ragazzo dritto negli occhi.

- Che cosa c'è? Cerchi qualcuno? Ti sei persa? Magari stai cercando la biondina che era con te l'altra volta? Era proprio carina, magari potrei trascinarla in una delle sale di tortura con qualche scusa...

Ella non riuscì a trattenersi. Sollevò di colpo la mano e diede un ceffone al ragazzo.

Non riusciva a credere di averlo fatto. 
Ormai era troppo tardi per pentirsene.

Daemon continuava ad sorridere, evidentemente lo schiaffo non era stato abbastanza forte. La guardò con aria quasi felice. Ella sapeva che avrebbe dovuto cominciare a preoccuparsi.

Una voce metallica si udì in lontananza. Una voce che Ella aveva già sentito prima.

È vietato aggredire il personale del treno è vietato aggredire il personale del treno è vietato aggredire...

Dal corridoio alle spalle di Daemon si stava avvicinando, inarrestabile, una guardia. La sua innaturale voce si faceva sempre più vicina e minacciosa.

Ella temeva di venire trascinata via, come era accaduto a Tyler. Quello che vide la terrorizzò ancor più che il pensiero delle torture.

Il viso della guardia stava cominciando a deformarsi. La bocca, che prima si muoveva per scandire le parole, si era ora spalancata a dismisura e continuava ad aprirsi, abbassando la mandibola in maniera mostruosa. Gli occhi si ingrandirono fino ad occupare l'intera porzione superiore della faccia della guardia. Le pupille erano talmente dilatate da aver nascosto la parte bianca dell'occhio. Le guance, incavate oltre ogni logica, sembravano quasi volersi sciogliere. I denti si erano trasformati in aguzzi spuntoni grigi, quasi come se fossero fatti di pietre scheggiate. Quando la guardia arrivò dietro Daemon, aveva ormai la mandibola scesa fin quasi all'altezza dell'ombelico. La bocca era diventata un enorme buco nero. Gli occhi stavano ormai colando fuori dalle orbite e i capelli si erano trasformati in una melma nera. Nonostante le mostruose fattezze, la creatura continuava a ripetere meccanicamente la sua frase. Sembrava che le parole uscissero fuori da un altoparlante posto in gola.

Ella a quel punto era pietrificata dal terrore. Avrebbe voluto scappare, ma non era più in grado di controllare le gambe. Aveva sbarrato gli occhi e le labbra erano socchiuse, come a voler urlare. Ma non riusciva a farlo. Non riusciva a fare niente.

Quando la guardia fu di fianco a Daemon, ad un passo dall'afferrare Ella con una mano artigliata, il ragazzo, che non aveva smesso un attimo di sorridere, sollevò il braccio in maniera appena percettibile.

La guardia si bloccò e riassunse immediatamente il suo solito aspetto. Dopo di che girò i tacchi e se ne andò come se nulla fosse successo. Ella rimase a bocca aperta.

- Oggi sei fortunata Guardiana. Sono di buon umore. Stai attenta a quello che fai.

- Come... Come hai fatto?

- Le guardie obbediscono in maniera diretta a noi Infiltrati. Posso far fare loro quello che voglio. Allora... chi stai cercando, Guardiana?

- Che importanza ha? Non ho trovato chi cercavo. A te che importa?

Daemon sorrise ancora una volta. Quel sorriso non aveva nulla a che vedere con quello di Jasmeen. Sembrava malvagio. Sembrava come se il ragazzo stesse costantemente pensando ad un modo per torturarla.

- Portami rispetto Guardiana! La prossima volta non sarò così clemente. Non so se lo hai capito, ma qui comandiamo noi. Fammi arrabbiare, e la pagherai cara. Ora vattene.

- Tu sai chi cerco, vero?

- Forse. Ma la verità è che non mi importa. E in fondo perché mai dovrebbe importarmi? - le afferrò violentemente un polso, stringendolo così forte da arrivare quasi a spezzarlo - Perché dovrebbe importarmi qualcosa di una Guardiana talmente stupida da farsi imbrogliare dagli Imperiali?

La spinse con veemenza contro il muro.

- Guardati le spalle, Guardiana. Sono una persona estremamente vendicativa. Non mi dimenticherò della tua insolenza. Stanne certa, troverò il modo di farti pentire delle tue azioni.

Ella sostenne spavalda lo sguardo di lui.

- Come? Vuoi uccidermi? Fallo allora. Sono già morta. Sono morta quando il treno mi ha strappato le ali. Ora sta cercando di strapparmi l'anima. Non ha senso una vita così, preferisco la morte.

Il viso di Daemon si sciolse in un nuovo ghigno.

- Sai cosa penso? Che la morte sia una liberazione. Perché mai dovrei essere tanto magnanimo da concedertela? Spera che qualcuno degli Infiltrati ti uccida presto, perché se avrò la possibilità di rimetterti le mani addosso, la morte sarà la cosa che più desidererai.

Finalmente si allontanò da lei, lasciandole il polso, che nel frattempo aveva assunto un colore violaceo.

- Ora vattene. - lo disse quasi sussurrandolo ma comunque con un tono autoritario.

Ella preferì obbedire. Corse via, in direzione del vagone di ritrovo. I pensieri le riempivano la testa e lei non riusciva a farli tacere.

*****

Gli Imperiali affollavano il vagone di ritrovo. Benché fosse ormai sera e nonostante il coprifuoco sarebbe scattato in meno di un'ora, nessuno sembrava voler allontanarsi dal simpatico salottino.

Ella si sentiva stravolta. Il livido che le era comparso sul polso era già sparito, ma il dolore persisteva e si univa ad un martellante mal di testa.

Si avvicinò titubante ad uno dei divanetti. Sara e Jasmeen non c'erano, ma erano presenti Brix ed alcuni suoi amici. Una ragazza le si piazzò davanti. Sembrava agitata. Aveva lunghi capelli neri, lisci come la seta, due grandi occhi marroni un nasino delicato e all'insù. Le labbra sottili erano arricciate in una smorfia che mal celava una punta di nervosismo. Era abbastanza minuta, ma sotto la divisa si intravedevano un seno e dei fianchi particolarmente prosperosi. Il collare azzurro fu la cosa che più catturò l'attenzione di Ella.

La Guardiana la fissò in silenzio. Le avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto chiederle perché negli scorsi giorni la avesse spiata con tanta insistenza. Ma non ne aveva la forza. Fu la ragazza a parlare.

- Mia signora... io... io sono Maya... sono una magicante...

Sembrava che la presenza di Ella la spaventasse.

- Io sono Ella.

- Voi siete... ascoltatemi... io credo che voi dovreste...

- Perché mi parli così? Mi fai sentire strana, non hai bisogno di tutte queste formalità.

- Ma voi... siete una regina? Siete una principessa? Non avevo mai visto nessuno con il collare dorato. Ma... devo proprio dirvelo... Mio fratello Pitt dorme nella carrozza K. Mi ha detto che lì si trova un angelo nero cieco. Il suo nome è Enom. Alcuni dicono che sia un veggente, ma molti non credono a questa storia. Pensano semplicemente che sia un vecchio ciarlatano. Però... mio fratello dice che il veggente ha parlato di una passeggera con il collare dorato. Io non so... Mia signora... Io credo che dobbiate andare a parlargli. Forse è davvero solo un bugiardo,ma... Io non posso credere che sia solo una coincidenza.

Ella la guardò sconcertata. Non era riuscita a dire una sola parola.

- Sono una Guardiana. - disse soltanto.

Decise però che sarebbe stato utile parlare con il presunto veggente.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Ella si era alzata prestissimo quella mattina. Non aveva fatto altro che pensare ad Enom. Se davvero quella creatura aveva doti di chiaroveggenza, allora forse la avrebbe potuta aiutare ad ottenere delle risposte riguardo alla sua prigionia ed al tradimento di Hawk. E forse sapeva anche come fuggire dal treno.

La Guardiana aveva però riflettuto anche sul fatto che passare da una carrozza ad un'altra era apparentemente vietato. Confidava nel fatto che ci fosse una qualche eccezione che le avrebbe permesso di raggiungere la carrozza K senza ripercussioni.

- Dove vai? Non vieni a fare colazione? - le chiese Jasmeen quando la vide dirigersi dalla parte opposta rispetto al vagone ristorante.

- Non ho molta fame, vado a fare una passeggiata. Sta tranquilla...

Si avviò con passo deciso verso l'uscita della carrozza. Le carrozze erano collegate le une alle altre tramite delle doppie porte. Fra una porta e l'altra, al di sotto del pavimento, si trovava una cerniera metallica estremamente mobile che permetteva al treno di viaggiare anche su binari pieni di curve.

Quando Ella raggiunse e superò le prime porte di divisione, si sentì sollevata nel vedere che le guardie la ignoravano bellamente. A quanto pare l'eccezione in cui aveva sperato esisteva davvero.

Giunta alla carrozza K cominciò a cercare il famigerato Enom. Si sentiva, comunque, piuttosto a disagio. Era circondata da Imperiali sconosciuti che la fissavano con morbosa curiosità.

La ricerca fu estenuante. Il veggente sembrava invisibile, tanto era difficile da trovare.

La Guardiana stava ormai per rinunciare quando, entrata in uno dei vagoni di ritrovo, vide davanti a sé un paio di enormi ali nere. La creatura che sedeva dandole le spalle doveva essere Enom.

Quando quell'essere si voltò di scatto, Ella ebbe un sussulto. I suoi occhi, inclusa la porzione normalmente bianca, erano completamente neri. Quella creatura era totalmente calva e priva di sopracciglia e, tatuati sulla testa, aveva alcuni disegni ormai sbiaditi dal tempo. Il suo volto era dimora di numerose rughe che gli conferivano autorevolezza. Le guance erano scavate e la pelle, nella loro porzione inferiore, aveva ceduto alla gravità. Come tutti i passeggeri del treno indossava una divisa, ornata con un collare nero. Al di sotto della stoffa si intravedeva un fisico asciutto ed atletico. Benché forse seduto si intuiva facilmente che dovesse essere molto alto. La cosa più maestosa del suo essere, però, erano senza dubbio le enormi ali composte da piume nere. Assomigliavano molto, nella forma, alle ali delle Guardiane, ma sembravano, almeno in apparenza, più sottili e lunghe. L'angelo aveva un'aria stanca. Doveva essersi accorto della presenza di Ella, ma la testa non era rivolta verso di lei e il suo sguardo sembrava perso nel vuoto. La Guardiana si ricordò che quell'angelo nero era cieco.

- Enom?

L'angelo puntò la testa nella sua direzione. Ora che aveva parlato era riuscito a localizzarla.

- Sono io. E tu chi sei? - aveva una voce calda e profonda.

- Sono Ella. Sono una Guardiana. Qualcuno mi ha detto che hai previsto il mio arrivo sul treno...

- È così.

- Allora sei davvero un veggente?

- Forse. Che cosa vuoi chiedermi?

- Tu sai come uscire da qui? Come fuggire dal treno?

- Se lo sapessi non sarei un prigioniero, non credi?

Ella rimase delusa da quella risposta. Si avvicinò cautamente a lui.

- Ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego, dimmi come posso fuggire da qui.

- Mi dispiace Guardiana, non lo so.

Quell'essere le ispirava fiducia. Nonostante l'aspetto insolito, aveva un'aria saggia e quasi amorevole. Ella si avvicinò ulteriormente a lui. Quasi senza pensarci si inginocchiò ai suoi piedi.

- Enom, ho bisogno di risposte. Ti prego, aiutami. Tu sei un veggente, sai le cose. Ti prego, dammi le risposte che cerco.

L'angelo scosse la testa.

- Non ho io le risposte alle tue domande, ma so chi le possiede. Cerca aiuto da chi non pensi che possa aiutarti.

- Che significa?

- Vuoi sapere di più sul chi ti ha chiusa qui, giusto? Allora parla con chi lo conosce. Parla con loro anche se li consideri nemici. Offri loro qualcosa che desiderano, non ti negheranno l'aiuto.

Ella intuì dove il veggente voleva andare a parare.

- Non mi aiuteranno mai. Loro vivono per distruggermi. Distruggono e uccidono tutti i passeggeri.

Enom le sorrise dolcemente, mettendo in mostra i denti ingialliti.

- Offri loro qualcosa che desiderano. - ripeté - Dai loro la tua parola. Sanno che non puoi mentire, accetteranno di aiutarti.

Il veggente si voltò, chiudendosi nel silenzio. Ella capì che era arrivato il momento di tornare alla sua carrozza. Si alzò lentamente dal pavimento su cui si era gettata, salutò Enom con dolcezza e ripartì per la volta della carrozza M.

La strada per tornare indietro non fu tranquilla come nel caso dell'andata. Ad Ella si gelò il sangue nelle vene quando sentì una guardia rimproverarla con voce meccanica.

È vietato passare da una carrozza all'altra

La Guardiana iniziò a tremare quando si accorse che i connotati di quell'essere stavano cominciando a cambiare, così come era successo il giorno prima alla guardia che era corsa in aiuto di Daemon.

Le gambe di Ella iniziarono a muoversi freneticamente. Doveva raggiungere la sua cuccetta il prima possibile, li sarebbe stata al sicuro.

La voce automatica la piantonava, la avvertiva sempre più vicina. Iniziò una disperata corsa fra i corridoi nel tentativo di liberarsene. Quando si accorse della presenza di un'altra guardia che aveva cominciato a darle la caccia si sentì perduta. La sua fuga si fece ancora più rapida, ma sapeva di non avere speranze, sapeva che la avrebbero trascinata via.

Quando, svoltata una curva, si ritrovò davanti ad una guardia ormai deformata, si gettò dentro un piccolo stanzino nella speranza di ritardare il più possibile la sua cattura. Nel momento in cui varcò la soglia, la guardia si ricompose e smise di ripetere la frase che specificava il divieto infranto. Si allontanò come se Ella fosse diventata improvvisamente invisibile.

Lo stanzino in cui si trovava la Guardiana era minuscolo e completamente vuoto. Non c'erano mobili e non si vedeva neppure il cartello delle regole. Ella si accorse però che, appeso sulla parete esterna della stanza, c'era un cartello su cui spiccava la scritta "no rules room", circondata da un bordo circolare di colore rosso.

*****

Quando Jasmeen la vide tornare dovette resistere all'impulso di abbracciarla. Ella era stanca ed aveva un'espressione dura e risoluta. Non andò a salutare l'amica, ma anzi si allontanò da lei senza neppure rivolgerle uno sguardo. Sapeva cosa doveva fare, ma non era sicura di riuscire ad ottenere quello che voleva. Doveva andare dall'Infiltrato più anziano, l'amico di Daemon che il giorno prima aveva avuto pietà di lei e della bambina. Era l'unico che avrebbe mai potuto accettare di aiutarla. In fondo, non sembrava crudele come gli altri membri del personale. Girò per il vagone per almeno un paio d'ore inutilmente, dell'Infiltrato non c'era traccia. Poi, casualmente, si accorse di alcuni controllori che discutevano delle riparazioni al treno. Ad Ella brillarono gli occhi.

Li seguì di nascosto, finché non li vide entrare in una grande sala destinata al personale, in cui erano stipati alcuni strumenti di manutenzione. Riconobbe la voce della persona che stava cercando. Prese la saggia decisione di aspettare che i controllori si allontanassero prima di raggiungere il suo bersaglio. Durante l'attesa Ella si trovò a riflettere su sé stessa. Era nascosta dietro un angolo del corridoio adiacente alla stanza, in silenzio, pronta per fare qualcosa che, se i piani non fossero andati come previsto, la avrebbe messa in un mare di guai. Era disperata, ma sapeva di dover fare qualcosa. Sapeva che non poteva restare un minuto di più su quel treno. Sapeva di dover parlare con Hawk. Le spiegazioni che stava cercando gliele avrebbe potute fornire solo lui. E forse, sperava in cuor suo, le avrebbe restituito anche la libertà. Sentiva di stare cambiando. Non capiva se in meglio o in peggio.

Un animato vociare la distolse dai suoi pensieri e la riportò alla realtà. I controllori stavano dicendo qualcosa a proposito di alcune carrozze che necessitavano di un controllo da parte dei macchinisti. Non sembrava un discorso interessante per Ella, che era concentrata sulla voce dell'Infiltrato. Sembrava essere rimasto all'interno della stanza di manutenzione. Forse stava esaminando qualche oggetto in particolare. I controllori finalmente si allontanarono. Il silenzio che la circondava le fece capire che probabilmente l'Infiltrato era rimasto solo. Uscì di soppiatto dall'angolino buio in cui si era celata ed entrò rapidamente nella stanza affianco.

L'Infiltrato stava leggendo alcuni fogli ma, nel momento in cui Ella gli si presentò davanti, fu colto di sorpresa e si voltò a guardarla con un'espressione stupita.

- Che vuoi? Che ci fai qui? - la sua voce non aveva particolari inflessioni. Sembrava indifferente, anche se in realtà non lo era affatto.

- Ho bisogno del tuo aiuto.

Lui era incredulo.

- Aiuto da me? E per cosa?

- Voglio fuggire dal treno, ma prima ho bisogno di parlare con chi mi ha portato qui.

L'Infiltrato le rivolse un sorriso di scherno prima di riposare gli occhi sui fogli che teneva in mano.

- Non ti aiuterò. - le rispose con tono pacato senza nemmeno guardarla.

- Io sono Ella la Guardiana. - non sapeva nemmeno lei perché lo aveva detto.

- Io sono Troy e non mi importa nulla di chi sei tu. Non ti aiuterò.

- Dimmi cosa vuoi in cambio della tua collaborazione. Ti darò tutto ciò che mi chiederai.

- Non voglio niente. Vattene via.

- Posso darti tutto ciò che mi chiedi. Ti prego... - la voce tremante di Ella lo convinse a guardarla nuovamente in faccia.

- Vuoi sapere cosa voglio? Al centro della Dime c'è un lago in cui abitano numerose ninfe. Quello specchio d'acqua è protetto da uno spirito di nome Moonlight. Porta quello spirito da me e io ti aiuterò.

Ella era titubante.

- Va bene... Quando uscirò da qui parlerò con lo spirito e...

- No, prima mi porti lo spirito e poi ti offro il mio aiuto.

- Ma non posso farlo. Sono bloccata qui, come faccio a raggiungerlo?

- Questo non è un mio problema. Niente spirito, niente aiuto. Mi dispiace.

- Ti prego! Hai la mia parola! quando uscirò manterrò la promessa!

Lui la guardò con aria severa. Mise da parte per un attimo le carte che stava leggendo.

- Ho detto di no. Ora vai, ho da fare.

Aveva un tono di voce tranquillo, che quasi fece sperare ad Ella che ci avrebbe ripensato da un momento all'altro. Ma così non fu. La Guardiana sapeva di dover cercare collaborazione altrove.

*****

La sera era arrivata velocemente. Ella non sapeva di preciso quando iniziava il coprifuoco, ma sapeva che, non appena scende il buio, è meglio tornare nella cuccetta. Lei però era ben distante dalla sua stanza. Non aveva sonno e non le importava di infrangere il coprifuoco. Stava fissando una piccola stanzetta al cui esterno spiccava il cartello "no rules room", cercando il coraggio per entrarvi. Prese un lungo respiro, poi si avvicinò al piccolo stanzino. Quando raggiunse la porta di ingresso la attraversò di corsa, quasi come se volesse darsi coraggio e convincersi a fare quello che stava per fare.

La stanzetta era quasi completamente vuota, c'erano solo alcuni tavoli e sedie sparsi un po' a caso al suo interno. Seduto su una delle sedie c'era Daemon, con un coltello stretto nella mano destra ed un frutto rosa e perfettamente sferico nella sinistra. Lei si piazzò in piedi davanti a lui, che nel frattempo la scrutava con il suo solito, snervante sorriso.

- Sì? - disse sbattendo le palpebre un paio di volte.

- Mi serve il tuo aiuto.

Lui rise.

- Allora puoi anche andartene, perchè non ho intenzione di aiutarti in alcun modo. - tagliò una fetta del frutto rosa che stringeva tra le mani e la mise in bocca, poi riprese a parlare - Allora Guardiana, non dovresti essere nella tua cuccetta a quest'ora?

- Mi chiamo Ella, non Guardiana!

- Non mi interessa. - lo disse con un tono quasi canzonatorio. Tagliò un'altra fetta del frutto.

- Aiutami.

- E sentiamo, che tipo di aiuto vorresti da me?

- Tu sai chi mi ha portato qui?

- Sì, lo so.

- Allora portalo da me. Voglio vederlo.

- Perché? - mangiò un altro po' della succosa sferetta rosa.

- Voglio fuggire dal treno, lui sa come fare.

Daemon rise di gusto.

- Dovrei aiutarti a fuggire? Dovrei andare contro i miei stessi interessi? Mi credi stupido? Ritenta Guardiana.

- Allora aiutami per farmi ottenere la mia vendetta. - non si era nemmeno resa conto che quella parola fosse davvero uscita dalle sue labbra. Non aveva nemmeno ben chiaro quale fosse il concetto di vendetta. Ma sapeva che in quel momento era la cosa giusta da dire.

- Vendetta? La vendetta non si addice ad una Guardiana. - tagliò un'altra fetta - Se ti aiuto cosa ci guadagno?

- Che cosa vuoi? Oro? Gioielli? posso dartene quanti ne desideri.

- Dubito tu possa darmi più oro di quello che ricevo dai proprietari del treno. Se pensi di corrompermi così, rischi di fallire miseramente. No... - fece una breve pausa, poi riprese a parlare sorridendo maliziosamente - Sai cosa voglio? Voglio entrare nel palazzo delle Guardiane. Garantiscimi l'accesso al tuo palazzo e io ti accontenterò.

Ella rimase a fissarlo con gli occhi sbarrati.

- Ma... non posso farlo... Non posso permetterti di entrare nel palazzo.

- Allora io non posso aiutarti.

- No aspetta! Va bene! Va bene, ti farò entrare nel palazzo. Agli Imperiali non è permesso avvicinarsi a noi, ma se sarai insieme a me dovranno farti entrare. Ti garantirò l'accesso.

- Ho la tua parola, Guardiana?

Ella sospirò.

- Hai la mia parola.

Il ragazzo prese un ultima fetta di frutto, la mangiò gustandola lentamente.

- Nella carrozza N, quasi all'inizio, c'è una stanza senza regole come questa. Vacci domani notte, farò in modo che la persona che ti ha portato sul treno si trovi lì. - si alzò in piedi, avvicinandosi a lei. Si era fatto improvvisamente serio. - Vieni meno alla tua parola e te ne farò pentire. Ora puoi pure andartene.

Ella restò immobile, in silenzio, a guardarlo insistentemente. Poi, senza aprire bocca, si incamminò verso la sua cuccetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Jasmeen sembrava decisamente preoccupata per la sua amica. La sera prima era rientrata dopo il coprifuoco, rischiando di essere aggredita dalle guardie, ed ora stava chiusa in un enigmatico silenzio. Non aveva fatto colazione e sembrava non voler mangiare nulla anche adesso che era giunta l'ora di pranzo.

Ella, in cuor suo, sapeva bene che l'Imperiale bionda era in pensiero per lei. Ma non aveva voglia di raccontarle ciò che era successo. Il suo pensiero principale ora era Hawk. Davvero lo avrebbe rivisto? Che cosa gli avrebbe detto? Avrebbe voluto insultarlo e schiaffeggiarlo come aveva fatto con Daemon... Già, Daemon. Le aveva promesso che Hawk si sarebbe fatto vedere, ma poteva davvero fidarsi di lui? La Guardiana sperava che la possibilità di entrare nel suo palazzo allettasse talmente tanto l'Infiltrato da convincerlo a non giocarle un brutto tiro.

Le risate dei bambini la distrassero da quelle congetture. In mezzo al gruppetto di piccoli Imperiali spiccava la biondissima Brigitta, il suo amichetto, Tommy, e la bimba che Ella aveva difeso qualche giorno prima, Simone.

- Sei sicura di sentirti bene? - a parlare era stata Sara.

Ella ignorò totalmente l'amica, preferendo avvicinarsi ai bambini e giocare con loro. Sara e Jasmeen si scambiarono un'occhiata interrogativa. La Guardiana stava cambiando.

*****

Ancora un'altra sera era arrivata. Ella aveva ormai perso il conto dei giorni di prigionia. La Guardiana, che aveva trascorso qualche ora a letto a riposare, tolse le coperte e si precipito fuori dalla cuccetta. Jasmeen si accorse di lei nella penombra.

- Dove stai andando? - le sussurrò. Sembrava assonata. Forse era in procinto di addormentarsi.

- Non preoccuparti, torno fra poco.

- Ella c'è il coprifuoco, sei impazzita?

- Devo andare. - la Guardiana si avvicinò all'amica - Stai tranquilla, cercherò di non mettermi nei guai. Ma devo proprio andare, è importante.

- Ti faranno a pezzi...

- Saprò cavarmela.

Prima che potesse allontanarsi l'amica le afferrò un bracciò.

- Ella... c'è già tanto dolore qui... non potrei sopportare di perderti... stai attenta ti prego.

Lei annuì, la abbracciò e poi corse via.

Si sentiva estremamente in ansia. Aveva cercato di tranquillizzare Jasmeen, ma la verità era che era lei ad aver bisogno di conforto. Sapeva che di lì a poco le guardie le avrebbero dato la caccia. Doveva essere il più rapida possibile e doveva provare a sfruttare le stanze senza regole a suo vantaggio.

Sgattaiolò silenziosamente in direzione dell'uscita della carrozza. Il treno era immerso in un surreale silenzio. Le cuccette ospitavano passeggeri dormienti avvolti in cumuli di lenzuola. Per i corridoi non c'era anima viva. Persino guardie e controllori sembravano essere spariti. Quando fu quasi arrivata alle doppie porte interne una voce metallica la fece trasalire. Una guardia si era accorta di lei e ora le stava dando la caccia.

La giovane Guardiana cominciò a correre all'impazzata, cercando comunque di mantenere una parvenza di silenziosità. Avvertiva la presenza della guardia ma sapeva bene che l'unica speranza di salvezza era una delle no rules room. Purtroppo non sembrava esserci traccia delle stanze senza regole.

La voce metallica suonò improvvisamente più vicina. Forse c'era un'altra guardia. Ella corse con tutte le sue forze. Ansimava pesantemente e il terrore di una eventuale cattura contribuiva ad accorciarle il fiato e a spossarla.

Dopo un interminabile tragitto le si pararono davanti le doppie porte. Colpì il bottone di apertura con tutta la forza che aveva in corpo, quasi come a voler velocizzare lo scorrere delle porte. Con la coda dell'occhio scorse una guardia che le si stava avvicinando pericolosamente. Le porte si aprirono quel tanto che bastava per far scivolare Ella all'interno della carrozza N. Alle sue spalle il viso della guardia si stava letteralmente squagliando mentre le sue mani diventavano tanto lunghe e sottili da assomigliare a zampe di ragno. Quando vide la stanza senza regole di cui aveva parlato Daemon si sentì finalmente al sicuro.

Entrò di corsa nella sala e sentì immediatamente il celestiale suono del silenzio. Affacciandosi dalla porta di ingresso della no rules room scorse la guardia passeggiare tranquillamente lungo il corridoio. Il suo aspetto era tornato normale.

Ella si voltò e cominciò ad esplorare la stanza. Era più grande di quella in cui lei e Daemon avevano parlato ed era anche ammobiliata, anche se scarsamente. C'erano alcune poltroncine e un paio di divanetti, oltre a tavolini bassi e comodini. Sparse sua e là c'erano colonne decorative e alti ed imponenti pilastri che sorreggevano il tetto. C'era persino un grosso tappeto proprio al certo della stanza. Sembrava una specie di sala di lettura, una di quelle sale che si potevano trovare anche al palazzo.

La giovane girovagò per qualche minuto fra tavoli e divani. Di Hawk non c'era traccia. L'attesa fu breve, ma bastò a demoralizzarla.

- Ella!

Una voce alle sue spalle la fece sussultare.

- Hawk!

Il magicante era comparso dal nulla, proprio come era successo il giorno in cui si erano incontrati di nascosto al gazebo. I suoi capelli color miele brillavano illuminati dalla luce artificiale e i suoi occhi dorati erano piantati in quelli di Ella. Sorrideva. A lei sembrava incredibile che sorridesse. Sorrideva come quando era rimasto sulla banchina della ferrovia ad osservare la sua amica urlare e prendere a calci le porte del treno.

- È da tanto che non ci vediamo vero? - disse lui - Mi sembra che... - fece una breve pausa - Sì, mi sembra proprio che siano passati cinque anni.

Lei lo guardava incredula. Non capiva se la stesse prendendo in giro o stesse solo cercando di sdrammatizzare. Si avvicinò a lui lentamente.

- Allora, dimmi Ella, come stai? Ti trovi bene qui? Ti sei fatta degli amici? - lo diceva ridendo, con quel maledetto sorrisino stampato sul volto.

- Bene? Tu credi che mi possa trovare bene in questa prigione? Perché sono qui? Perché mi hai portata qui?

Lui la guardò ridendo di gusto.

- Ti hanno obbligato? È per questo che mi hai ingannata? Ti hanno costretto a farlo? Perché... perché non puoi averlo fatto di tua spontanea volontà.

- Sai, forse avresti dovuto dare retta alle Anziane e tenerti alla larga dagli Imperiali.

- Non è questo che ti ho chiesto.

- Ma è davvero ciò che vuoi sapere? Vuoi sapere se ti ho tradita? Ma che importanza ha? Ormai sei qui. E sai una cosa - si passò la lingua sulle labbra - dovresti ringraziarmi. Volevi vedere gli Imperiali e ora ne sei letteralmente circondata.

- Ringraziarti? Mi hai strappato le ali, mi hai portata via da casa mia e...

- Casa tua? La tua prigione forse! Certo, una bella prigione, ma pur sempre una prigione. Come hai vissuto fino ad ora, Ella? Sei stata protetta dalle Anziane e non hai mai conosciuto il mondo in cui vivevi. Non conoscevi la felicità.

Ella era sconvolta.

- Non conoscevo nemmeno la morte, né il terrore o la rabbia! Perché mi hai portata qui?! - stava urlando con tutto il fiato che aveva in corpo.

- Guardati intorno, ora hai la possibilità di conoscere la vita degli Imperiali, puoi vedere le creature del Vortice... non è fantastico tutto ciò?

- Mi prendi in giro? Questo posto mi sta distruggendo!

- No, questo posto ti sta dando la vita! Una vita che ti era stata negata per troppo tempo. Sai... quando ho lasciato il palazzo delle Guardiana e sono arrivato all'accademia... è stato come respirare. Come se non avessi mai respirato prima. Non ti senti anche tu così?

- PORTAMI. FUORI. DA. QUI.

Lui le mostrò un sorriso beffardo.

- Ella, questo non è da te... una simile aggressività non si addice ad una Guardiana.

- Tu non sai niente di me!

- Ma che dici, abbiamo passato ore a giocare insieme. Ore che sono diventati giorni, e poi mesi. Ti conosco meglio di quanto tu conosci te stessa. Se non fosse così... non avrei mai potuto portarti sul treno.

Lei lo guardava ormai furente. I suoi occhi rabbiosi fissavano quelli sottili di lui. Quel ragazzo che le stava davanti sembrava non aver capito la gravità di quello che aveva fatto.

- Dimmi come uscire da qui! Dimmi come fare a scappare!

- Non puoi uscire. Nessuno può scappare dal treno. Mi dispiace tanto.

Quel sorriso e quell'espressione strafottente facevano capire che non gli dispiaceva. Nemmeno un po'.

Stavolta fu lui ad avvicinarsi a lei, sembrava la volesse toccare. La Guardiana indietreggiò.

- Sei bellissima... Sei sempre stata bella. Troppo bella per stare chiusa dentro un palazzo. Una Guardiana dal viso angelico confinata in quattro mura lontano da tutto. Che spreco...

Continuava a camminare verso di lei. E lei continuava ad indietreggiare.

- Non sai quante volte ti avrei voluta possedere. - rise - Ma tu non sai neppure cosa significa.

Quando fu abbastanza vicino a lei allungò il braccio con uno scatto e le afferrò un polso. La trascinò verso di lui, mentre lei cercava di opporre resistenza. Si trovarono faccia a faccia, le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza. Si guardarono negli occhi.

- Allora Ella, che cosa vuoi? Davvero uscire da qui è quello che più desideri in questo momento?

Lei per tutta risposta gli sferrò un calcio che Hawk fu abilissimo ad evitare. La sua inattesa aggressività lo indusse a lasciare la presa, liberandola. La Guardiana cerco di scappare, ma il ragazzo sfruttò la sua magia per comparire proprio davanti a lei, impedendole di raggiungere la porta. La afferrò nuovamente e la lanciò contro il muro, facendole battere la testa. L'impatto era stato talmente forte da farle perdere il fiato ed offuscarle la vista. Lui le si avventò addosso, schiacciandola contro la parete per impedire ogni suo movimento e bloccandole entrambi i polsi.

Si avvicinò di nuovo al suo viso. Riusciva a stento ad immobilizzarla. La Guardiana aveva raccolto tutte le sue forze e si stava dimenando disperatamente. Quando capì che Hawk era fisicamente più forte di lei, smise di agitarsi e passò alle parole.

- Lasciami andare subito! Verme! Me la pagherai!

Lui si appoggiò a lei, premendole sulla cassa toracica. Lei sentì il respiro mancarle. Niente era riuscito a cancellare il sorriso maligno dalla faccia di Hawk. E forse non era la pressione che lui stava esercitando su Ella che le faceva mancare il fiato...

Si avvicinò ancora, più a lei vicino di quanto fosse mai stato. Pareva muoversi a rallentatore.

Le loro labbra si toccarono. Ella avvertì la lingua umida di Hawk cercare la sua. Improvvisamente non aveva più voglia di opporre resistenza. E ricambiò il bacio. Rimasero così per alcuni secondi. Lei poteva chiaramente sentire il respiro di lui farsi più rapido. Aveva delle labbra morbide e calde. Sembrava la stessero avvolgendo. Sembrava che delle fiamme la avessero stretta in una morsa rovente. Aveva caldo, caldissimo. Eppure non sudava. Quel calore le piaceva, deliziava il suo corpo.

Quando Hawk si staccò lei rimase a fissarlo ammutolita. Non sapeva cosa dire. Non riusciva più a pensare.

- Ci vediamo Ella.

Fu tutto ciò che le disse prima di alzare la mano destra, concentrarvi la sua magia e sparire.

*****

Ella entrò a passo deciso nel vagone M-540. Camminava rapidamente, incurante di ciò che aveva intorno. Non si accorse neppure di Sara e Jasmeen che, da lontano, la chiamavano invitandola ad unirsi a loro per la colazione. L'incontro della scorsa notte con Hawk non aveva fatto altro che aumentare i suoi dubbi anziché dissiparli. E ora il suo unico pensiero era quello di andare a parlare con chi le aveva dato la possibilità di rivedere il suo vecchio amico d'infanzia.

Daemon era seduto ad uno dei tavoli, da solo. A quanto pare qualunque passeggero del treno era troppo spaventato per mangiare di fianco a lui. Stava distrattamente giocherellando con alcune posate. Ella gli si avvicinò come una furia, arrestandosi a pochi passi da lui e squadrandolo dall'alto in basso. I presenti la guardavano a bocca aperta. Qualcuno addirittura prese il vassoio e si allontanò quanto più possibile da lei. Tutti temevano che da un momento all'altro l'Infiltrato si sarebbe alzato ed avrebbe inflitto una punizione esemplare a quell'insolente ragazza. Non avvenne niente del genere. Daemon si limitò a fissare Ella con aria interrogativa.

- Devo parlarti. - fu tutto ciò che la Guardiana gli disse.

- Parla allora. - le rispose lui con il suo solito fare sbruffone.

- Non qui. In privato. Da soli.

Senza dire nient'altro Daemon si alzò dalla sedia e fece cenno di seguirlo. I passeggeri guardavano la ragazza attoniti.

I due arrivarono in una stanzetta estremamente curata. Era ammobiliata di tutto punto e, al posto delle scomode cuccette, aveva un letto vero e proprio, con un materasso alto almeno il doppio di quello su cui dormiva Ella.

- Allora, che vuoi? Spero che sia importante.

- Mi hai mentito!

- Come scusa?

- Avevi detto che Hawk mi avrebbe dato delle risposte! Mi hai imbrogliato!

- Non ho mai detto niente del genere. - non sembrava spazientito, nonostante Ella stesse gridando come una matta. - Mi hai chiesto di vedere Hawk e io ti ho accontentato. Cos'è, sei arrabbiata perché non hai ottenuto la tua vendetta?

- Sapevi che sarebbe stato inutile! Sapevi che non mi avrebbe detto nulla!

- E allora? Sai quanto mi importa. - continuava ad essere disgustosamente calmo - Non è affar mio se non hai ottenuto quello che volevi.

Ella rimase in silenzio.

- Cos'è, credevi che ti avrebbe preso per mano, avrebbe sfondato una porta e ti avrebbe portato via sul suo cavallo alato?

- Volevo solo sapere perché mi ha rinchiusa qui.

Daemon rise.

- No, tu volevi una spiegazione che lo giustificasse. Volevi poter essere sicura che lui non avesse colpe. Vuoi sapere la verità? Hawk è un Infiltrato come me. È entrato a far parte del personale del treno circa due anni fa. Faceva affari con gli Imperiali nella Città, a volte attuava qualche piccola truffa. Alcuni controllori lo hanno notato e gli hanno proposto di lavorare qui. Un magicante con l'indole truffaldina fa sempre comodo. Ogni tanto gira per le carrozze della parte anteriore del treno, ma di solito sta sulla terra ferma. Si occupa di procacciare nuovi schiavi. I proprietari del treno lo pagano profumatamente per questo. Tu sei una delle sue tante vittime. Ha detto ai proprietari che avrebbe potuto imprigionare una Guardiana e loro lo hanno ricoperto d'oro. Ecco perché sei qui. A quanto pare il denaro è più forte di qualunque amicizia esistente al mondo.

Ella restò a fissare il ragazzo in silenzio. Un turbinio di pensieri le affollavano la mente, troppo numerosi per poter essere espressi.

- Che cosa ti aspettavi? Cosa speravi?

- Non lo so... - riuscì soltanto a dire.

- Non lo sai? Davvero? Beh, io sì. Speravi in una libertà che non avrai mai. Speravi di poterti sentire meno stupida. Speravi di sentirti dire che Hawk non è più furbo di te. La verità è che Hawk è stato abbastanza scaltro da sfruttare l'infatuazione di una piccola Guardiana idiota, infatuazione senza la quale non sarebbe mai riuscito nel suo intento. Ha usato te e le tue sorelle. Si è infilato nel vostro palazzo sorretto dalla stima che avevate nei suoi confronti e ti ha portato alla stazione della Città Imperiale perché sapeva che lo avresti seguito anche fra le fauci di un lupo. E ora dimmi, Guardiana... quanto fa male sapere di essere stata ingannata dal magicante di cui sei innamorata? Sai una cosa? Spero che faccia molto, molto male.

La guardava con disprezzo e rabbia.

- Perché mi stai dicendo questo? Perché siete tutti così feroci? La verità è che avete fatto il lavaggio del cervello ad Hawk! Lui non è come te, lui...

- Scherzi vero? I proprietari del treno ci scelgono apposta. Vogliono avere dei collaboratori talmente spietati da poter uccidere e torturare senza rimorsi. Speri di poter vedere qualcosa di buono in me? O in lui? Ma allora sei davvero stupida!

Daemon le si avvicinò talmente tanto che lei riuscì chiaramente ad avvertire il suo respiro sulla pelle. Era caldo nonostante avesse un cuore di ghiaccio e tranquillo nonostante le stesse parlando con una crudeltà che Ella non credeva neanche che potesse esistere. Il ragazzo spostò le labbra sull'orecchio della Guardiana.

- Benvenuta sul treno. - le mormorò.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Ella era esausta. Aveva passato la mattinata a pulire i bagni della carrozza. Poco dopo il sorgere del sole alcuni controllori erano passati dalla sua cuccetta e le avevano affibbiato l'ingrato compito. Aveva strofinato le mattonelle fino a consumarsi le unghie. Il lato positivo era che per tutta la mattina era rimasta completamente sola. E aveva potuto pensare. Pensare a lungo. Anche troppo a lungo. 

L'incontro con Hawk l'aveva sconvolta. Sentiva nascere in lei una rabbia immensa, un sentimento che non aveva mai provato fino ad allora.  E sapeva di dover fare qualcosa. Non poteva più restare con le mani in mano a subire ed ad accettare a testa bassa le assurde regole del treno. Ma era ben consapevole che non sarebbe mai potuta fuggire senza aiuto. Giurò a sé stessa che l'avrebbe cercato, questo aiuto. L'avrebbe cercato nei passeggeri più impensabili, lo avrebbe cercato persino nei nemici, come aveva detto Enom. Ella ripensò al veggente cieco. Lui era uno di quelli con cui avrebbe dovuto parlare al più presto. Ma per ora doveva rivolgere le sue attenzioni altrove.

Le prime persone a cui chiese aiuto furono due Imperiali che rimasero a dir poco sconcertati quando sentirono la sua richiesta.

- Dove dorme il lupo grigio?

- Sei proprio sicura di volerlo sapere? Aggredisce tutti quelli che varcano la soglia della sua cuccetta... - le risposero

- Vorrà dire che gli parlerò da fuori la sua stanza. - concluse lei laconica.

I due ragazzi non poterono fare altro che indicarle il numero della stanza e augurarle buona fortuna.

La Guardiana restò sorpresa dalla cuccetta del lupo grigio. Non era come quella in cui dormivano lei, Jasmeen e Sara. Non c'erano letti, né armadi o comodini e non c'era neppure il piccolo lavandino nell'angolo della stanza. L'arredamento era composto semplicemente da un grosso secchio pieno d'acqua e, posto proprio sotto il finestrino, un giaciglio composto da un cumulo di lenzuola sporche e di vecchi cuscini, su cui stava adagiato, in posizione raggomitolata, l'enorme lupo. La creatura aveva la testa appoggiata sulle zampe anteriori, le orecchie morbidamente spinte all'indietro e gli occhi chiusi. Ella riusciva chiaramente a vedere la sua schiena sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente, indice di un respiro regolare e tranquillo.

Si avvicinò alla porta di ingresso titubante. Quella creatura la metteva in soggezione. Probabilmente a spaventarla erano quei taglienti canini che facevano bella mostra di sé anche adesso che il lupo era addormentato.

L'ultimo passo che la Guardiana ebbe il coraggio di fare mise in allerta la creatura, che drizzò le orecchie e sollevò la testa di scatto e piantò i suoi occhi rossi e sottili su quelli blu e marroni di Ella. Non appena la riconobbe arricciò il muso per scoprire gli aguzzi denti in segno di minaccia.

- Che cosa vuoi? - ringhiò, senza mai smettere di mettere in mostra i lunghi canini.

- Io sono Ella la Guardiana.

- Io sono Fenrir il lupo grigio. E tu, Guardiana, mi disgusti. Allontanati dalla mia stanza o scoprirai la ferocia che è nella mia natura.

Lei mantenne la calma. Sosteneva il suo sguardo con fierezza.

- Ho bisogno dei tuo aiuto.

- Dovrei abbassarmi a collaborare con una sporca abitante della Dime? Preferisco la morte.

- Voglio fuggire dal treno.

- Sei davvero stupida come ti immaginavo Guardiana. Non si può fuggire dal treno.

- Troverò il modo. Ma non posso farcela da sola. Ma tu... una creatura possente come te potrebbe essermi utile per riuscire nel mio intento.

Ella aveva un tono di voce deciso e risoluto. Sapeva che se si fosse mostrata debole il lupo avrebbe completamente smesso di ascoltarla. E, in fondo, sentiva che non era più tempo di essere deboli. Fissò Fenrir con aria di sfida, i grandi occhi contornati da un paio di sopracciglia aggrottate che indurivano il suo delicato viso.

- Allora, tenterai la fuga al mio fianco?

- Perché dovrei farlo? Perché mai dovrei gettarmi ai tuoi piedi e farti da schiavo?

- Cos'è, la libertà non ti alletta abbastanza, lupo?

Fenrir ringhiò ferocemente. Un crudele rantolo di rabbia gli scosse il corpo. I peli sul dorso si drizzarono, facendolo apparire ancora più grosso di quanto già non fosse.

- Bada a come parli, insolente Guardiana! Parli di libertà? Non me ne faccio niente! Nessuna libertà può cancellare le umiliazioni che ho subito qui! Io voglio vendetta!

- E sia. Avrai la tua vendetta, e allora io avrò la tua sottomissione. Dimmi solo cosa fare.

- Due anni fa qualcuno mi ha ingannato. Sono stato drogato e sono caduto in un lungo sonno. Quando mi sono svegliato ero incatenato, prigioniero del treno. Hanno distrutto il mio spirito torturando il mio corpo. Mi hanno tolto ogni desiderio di fuga, hanno disintegrato persino la mia voglia di vivere. Ma non hanno cancellato la mia rabbia. Trova colui che mi ha portato qui ed uccidilo. Solo allora abbasserò la testa al tuo cospetto.

- Chi è stato a chiuderti qui?

- Il Posseduto.

- Va bene - concluse Ella con un sospiro - lo ucciderò. Mantieni la tua parola, lupo, o farai la sua stessa fine.

- Stai attenta Guardiana. Se gli togli la vita qui sul treno infrangerai le regole. E potrai dire addio alla tua tanto amata libertà.

- Troverò il modo. - disse lei con un pizzico di superbia.

*****

Raggiunse di corsa il vagone ristorante. Era affamata, non faceva un pasto completo da ormai alcuni giorni e si sentiva parecchio indebolita. Ma quando raggiunse la sala il cibo fu l'ultimo dei suoi pensieri. I suoi occhi vagavano alla ricerca di un volto familiare.

In lontananza scorse Daemon che chiacchierava amabilmente con Eden e un altro Infiltrato che si contraddistingueva da tutti i presenti per un paio di spaventosi occhi rossi. Assomigliavano moltissimo a quelli di Fenrir. Forse anche quel ragazzo proveniva dal Vortice. I tre ridevano e scherzavano in maniera molto tranquilla. Visti così sembravano quasi persone normali.

L'attenzione di Ella fu però richiamata dal gruppo di Imperiali che, a quel punto, rappresentavano per lei una seconda famiglia. Jasmeen, Sara, Brix, Pauli ed altri erano accalcati tutti allo stesso tavolo. Anche loro parlavano e sorridevano. Sembravano felici.

Lei li raggiunse con finta noncuranza.

- Ella! - Jasmeen scattò in piedi e le getto le braccia al collo.

La Guardiana ricambiò debolmente l'abbraccio. La fame la stava consumando ma non voleva perdere tempo a mangiare.

- Devo parlarvi. Dovete ascoltarmi con molta attenzione, è importante.

Non ci fu Imperiale a quel tavolo che non la guardò con aria interrogativa. Sembrava volessero farle domande solo con gli occhi. Forse temevano che le cose che la Guardiana doveva dire loro non sarebbero state piacevoli. Ella si sedette in mezzo a loro e incurvò la schiena arrivando quasi a stendersi sul tavolo, come a volersi nascondere da sguardi indiscreti.

- Voglio fuggire dal treno. - sussurrò - Aiutatemi a farlo, così potrete scappare anche voi insieme a me.

Brix rise.

- Ma che stai dicendo Guardiana!

- Ella ne abbiamo già parlato - le rispose Jasmeen - dal treno non si può scappare...

- Sono sicura di poterci riuscire. Ma da sola non posso farcela. Ho bisogno di voi. Vi prego, voi siete qui da molto più tempo di me, sapete tutto di questo posto. Non è possibile che non sappiate come uscire.

- Ella se lo sapessimo saremmo già andati via, non credi? - stavolta era stata Sara a tentare di distruggere le sue speranze sul nascere.

- Ma nessuno ha mai tentato la fuga? Non ci credo! Non è possibile!

- Sì certo, qualcuno ci ha provato.

- E...?

- Tutti morti.

- Ma... quali sono stati i loro tentativi?

- La maggior parte ha provato a fuggire mentre si trovava sulla terra ferma per eseguire qualche lavoro. Le guardie o gli Infiltrati li hanno sempre acciuffati e fatti a pezzi. Letteralmente, intendo. Una volta ho visto un Infiltrato decapitare un magicante che aveva provato a lanciare un incantesimo. C'era sangue dappertutto. Qualche idiota invece ha pensato che fosse una buona idea lanciarsi dai finestrini del treno in corsa. Inutile dire che di molti non si sono ritrovate tutte le parti del corpo. - Sara non si smentiva mai. Usava sempre un linguaggio crudo.

- Va bene, e allora noi proveremo qualcos'altro, giusto? E se forzassimo le porte esterne?

- Hai idea di quanto siano resistenti quegli affari? È impossibile forzarle. - ora era stato Brix a parlare.

- Ma che vi prende! - per un attimo Ella aveva alzato la voce, ma poi si ricordò delle orecchie nemiche che potevano stare ad ascoltarla e riprese a sussurrare - Non potete rinunciare così, per partito preso. Le porte sono resistenti? Bene, saremo più forti di loro. Ho la forza di un lupo grigio a disposizione, lui riuscirà a sfondarle. E poi potremo...

- E poi cosa? Anche ammesso che riuscissimo a sfondare le porte esterne, e questa è già una cosa impossibile di suo, cosa faremmo dopo? Le guardie ci ammazzerebbero prima ancora di riuscire a compiere qualche passo. Proprio una bella morte, vero? Con la libertà davanti agli occhi e un pugnale piantato nella schiena!

- Va bene! D'accordo! Lasciamo perdere le porte esterne. Potremmo... potremmo... - Ella gesticolava vistosamente nell'attesa che un'idea le attraversasse la mente - Potremmo far deragliare il treno! Sarebbe l'occasione perfetta per fuggire! Creeremmo il trambusto necessario a distrarre il personale e nessuno si preoccuperebbe di noi! - si sentiva entusiasta.

- Certo, davvero una bella idea - disse Sara sarcastica - far deragliare il treno e morire in uno spaventoso disastro ferroviario. A questo punto preferisco il coltello conficcato nella schiena come ha detto Brix.

- Ella, il treno viaggia troppo veloce. Se deragliasse finirebbe col distruggersi ed ucciderci tutti. - uno degli amici di Brix aveva coraggiosamente preso parola.

- E se lo facessimo deragliare in prossimità di una stazione ferroviaria? Lì viaggia più lentamente.

- Appunto, troppo lentamente. In quel caso verrebbe danneggiato lievemente e i macchinisti lo aggiusterebbero in un paio d'ore.

- Aspetta però... - Pauli interruppe la conversazione - Forse potremmo riuscirci se... - prese fiato - Una volta delle fate di luce mi hanno fatto notare che il treno impiega molto tempo ad attraversare un tratto estremamente breve della Dime. Il binario in quel punto è ricco di curve perché il terreno è collinare ed impervio. Mi hanno raccontato che i proprietari del treno sono stati costretti a costruire il binario proprio lì perché gli abitanti della Dime non hanno accettato che la ferrovia invadesse le aree boschive pianeggianti. Quando passa di lì, il treno rallenta moltissimo perché altrimenti potrebbe danneggiarsi o uscire dai binari. E se... se sfruttassimo quel tratto a nostro vantaggio?

- Va bene - proseguì Brix - ammettiamo di poter sfruttare il punto in cui il treno rallenta per farlo deragliare senza perdere la vita... come facciamo a far scivolare questa macchina infernale giù dal binario?

- Potremmo costruire un oggetto che serva solo a questo scopo. - Ella aveva ripreso la parola - Brix tu mi hai detto che costruivi macchinari prima di diventare un prigioniero. Potresti occupartene tu.

- Tralasciando il fatto che non ho le capacità per costruire un aggeggio del genere da solo, hai la vaga idea di quante migliaia di tonnellate pesa il treno? L'oggetto necessario a farlo deragliare sarebbe talmente grande da non entrare in nessuna stanza.

- E se non puntassimo sulle dimensioni? Se fosse un oggetto piccolo ma... magico? Potremmo incantarlo per renderlo più resistente.

- Ti sfuggono due dettagli. Il primo è che nessuno di noi, tu inclusa, ha il dono della magia. Il secondo è che è assolutamente vietato lanciare incantesimi sul treno. Le guardie ti salterebbero addosso in men che non si dica se solo sentissero l'odore della magia.

Ella restò per un attimo in silenzio a pensare. 

- Brix, per adesso preoccupati solo di cercare qualcuno che possa aiutarti a costruirlo.

Sollevò la testa, cercando con lo sguardo un collare azzurro. Quando lo trovò disse soltanto - Al resto penserò io, troverò il modo.

La Guardiana si alzò finalmente dal tavolo, diretta verso Maya. La magicante sarebbe potuta essere la sola speranza di fuga. Doveva parlare con lei, spiegarle il piano e, soprattutto, doveva ingegnarsi per poterle fare usare la magia senza conseguenze. Mentre procedeva con passo spedito verso la ragazza, un lembo della gonna della sua divisa si impigliò sulla scheggia di legno sporgente di uno dei tavoli. Lo strattone subito la costrinse a fermarsi barcollando e, mentre appoggiava rapidamente le mani sul tavolo per non cadere, urtò un bicchiere pieno di un liquido arancione, facendolo cadere e mandandolo in frantumi. Ella roteò gli occhi e si mordicchiò il labbro, quasi come a volersi punire per essere stata tanto distratta. Forse i proprietari del treno avrebbero dovuto incollare i bicchieri alle superfici su cui venivano appoggiati, dato che avevano la malsana tendenza a rompersi un po' troppo spesso. Lanciò uno sguardo di rassegnazione verso la porta di ingresso al vagone. Stranamente nessuna guardia si stava precipitando nella stanza. Pochi attimi dopo capì il perché.

Daemon la stava squadrando con il suo solito ghigno. Probabilmente la sua presenza non rendeva necessario l'intervento delle guardie.

- Forse dovresti venire con me. - le disse appoggiando una mano sullo stesso tavolo a cui si stava reggendo Ella.

- Puoi scordartelo.

Lo schiaffo che la colpì in pieno volto, facendola arrivare carponi sul pavimento, le fece riconsiderare l'idea di accettare la richiesta dell'Infiltrato.

- Come hai detto scusa? Mi pare di aver sentito un "come desidera signore" o sbaglio?

Lei alzò lo sguardo, restando in silenzio e lanciando un'occhiata rabbiosa al ragazzo. Si mosse solo quando lui le afferrò un braccio e la trascinò fuori dalla stanza. Non tentò neppure di opporre troppa resistenza. Vide Jasmeen fissarla ad occhi spalancati e coprirsi la bocca con entrambe le mani. Dall'altro lato della stanza Eden e l'Infiltrato con gli occhi rossi ammiravano la scena compiaciuti.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Daemon la trascinò fino ad una stanza molto spaziosa. Arrivati sulla soglia della porta di ingresso lanciò letteralmente la Guardiana al suo interno e si chiuse dentro insieme a lei.

Ella, che era dolorosamente atterrata sul pavimento, lanciò un'occhiata furente all'Infiltrato, prima di analizzare velocemente il mobilio del luogo in cui si trovava.

La stanza era decisamente diversa da ogni altra che avesse visto sul treno fino a quel momento. Era enorme e curatissima. Erano presenti un paio di comodini in legno scuro, abbinati a due alti armadi che svettavano ai due lati opposti dello spazio. Poi sul lato destro c'erano una cassapanca, anche questa in legno, e una scrivania rivolta verso il muro, con alcune scartoffie sopra e illuminata da una simpatica lampada bianca e azzurra. Due sedie con lo schienale in velluto rosso scuro e due poltroncine del medesimo tessuto completavano il tutto. Al centro della stanza spiccava un sontuoso letto a due piazze con le lenzuola di seta nera. Era il primo vero letto che Ella poteva ammirare da quando era salita sul treno. In realtà anche le camere destinate al personale avevano letti veri e propri, ma erano più piccoli e probabilmente non erano comodi come sembrava quello. L'intera stanza era poi decorata con dipinti e tappeti ed era addirittura arricchita da una elegante carta da parati che rendeva l'arredamento completo. Nell'angolo in fondo a sinistra era sistemata una porta chiusa che forse dava accesso ad un bagno privato.

- Sei nei guai Guardiana. - la voce pacata di Daemon interruppe l'analisi che Ella stava effettuando alla stanza.

La giovane rimase accovacciata sul pavimento finché il ragazzo non la sollevò di peso, strattonandola per un braccio. Si ritrovarono faccia a faccia.

- Adesso dovrei punirti, dovrei torturarti. - sembrava calmo in maniera quasi malsana - Ma magari potresti trovare un modo per evitare il dolore. Magari potrei avere pietà di te... se fossi un po' carina con me...

Lei lo fissò dritto negli occhi. Le sue iridi blu e marroni si mescolarono con quelle nerissime di lui.

- Preferisco morire.

- Che risposta carina.

Daemon sollevò un sopracciglio subito prima di scaraventare Ella contro un muro. La ragazza mugolò quando avvertì la sua testa sbattere violentemente contro la cornice di uno dei quadri appesi. Lui le si avventò addosso, schiacciandola contro la parete e bloccandole il polso destro con la sua mano sinistra. Quei gesti furono l'interruttore che riportò alla memoria di Ella quanto era successo solo pochi giorni prima con Hawk.

- Oh scusa, ti ho fatto male? - l'aria era impregnata di sarcasmo - Allora Guardiana, davvero preferisci la morte?

- Perché mi stai facendo questo? - Ella sentiva la paura risalirle lungo la spina dorsale.

- Perché? Aspetta, fammi pensare... Hai rotto un bicchiere, il che significa danneggiare il treno, il che è vietato. E mi stai mancando di rispetto. Cosa che hai fatto già altre volte. Il che, indovina un po', è vietato. Hai avuto la fortuna di suscitare in me una pena sufficiente a farmi desistere dal torturarti. Ma la fortuna svanisce Guardiana. Scegli tu, puoi fare quello che ti chiedo o scoprire quanto posso essere sadico.

- Non ti importa di vedere gli altri soffrire? Non stai male a far del male? Non ti fai schifo? - mise un'insolita enfasi nell'ultima frase.

Daemon rise.

Quale essere può ridere di fronte ad una Guardiana spaventata? Quale creatura malata può ridere davanti a insulti e rabbia?

- No, non mi importa. Sto bene così.

- Perché sei un'Infiltrato? Perché lo fai?

- Perché no? Vorrei potessi sapere quanto è divertente vedere i passeggeri contorcersi dal dolore e urlare implorando pietà. - rise di nuovo.

- Parlami... - Quella parola uscì dalla bocca di Ella quasi senza volerlo. Era sgorgata fuori dalle sue labbra come un torrente ingrossato dalla pioggia straripa. Suonava così tranquilla e morbida, quasi seducente. Parlare in quel modo in quel momento non aveva il benché minimo senso.

- Cosa?

- Raccontami della tua vita. Parlami degli Infiltrati.

Quella richiesta riuscì, incredibilmente, a cancellare il sorriso di Daemon. Il ragazzo si fece quasi serio, mentre fissava la sua vittima incuriosito.

- Cosa vuoi sapere? - le chiese, sollevando leggermente il mento.

- Da quanto tempo sei sul treno?

- Da cinque anni.

- Hai passato cinque anni a distruggere gli altri...

- È per questo che mi pagano. È il nostro lavoro. Manteniamo l'ordine sul treno scoraggiando qualunque tentativo di ribellione.

- Ed è solo per l'oro? Che te ne fai quando arrivi a non poterti più guardare allo specchio...

- Chi ti dice che io non mi guardi allo specchio? A me piace molto specchiarmi, sai? - ancora sarcasmo - Io sto bene così. E tu Guardiana?

- E io cosa?

- Parlami tu ora. - il solito ghigno perverso era riapparso. Era incredibile quanto Daemon somigliasse a Hawk. Eppure era anche così diverso. Sembrava sempre aggressivo e vendicativo, con un temperamento dominante che avrebbe messo in soggezione persino una divinità. Ma al tempo stesso sembrava non riuscire mai a prendere sul serio qualcosa. - Tu stai bene? Stai bene nelle vesti di Guardiana pura ed eterea?

- Non parlare di cose che non conosci, verme! Quando tornerò al mio palazzo dirò alle Anziane di distruggerti!

- Sei in vena di complimenti oggi. - rise mentre stringeva ancora più forte il suo polso - Puoi mentire a me, ma non a te stessa. Sei felice di quello che sei? Non è meglio questo?

- Questo cosa? Le torture? Ma certo! Chi non è felice del dolore e della paura? Chi non ama la sofferenza e la prigionia? Questo cosa, Infiltrato? Di cosa stai parlando? Tu sei solo un pazzo!

- Questo...

Daemon si avvicinò al viso di Ella. Le stava fissando le labbra. Lei cominciò a tremare. Il pensiero di rivivere quella sensazione di bruciante calore che aveva sentito quando Hawk la aveva baciata la spaventava. E la sensazione di vuoto provata quando lui si era staccato da lei le aveva corroso l'anima, non avrebbe potuto sopportare di nuovo un tale dolore.

L'Infiltrato lasciò che la sua guancia sfiorasse quella di Ella. Poi voltò leggermente la testa, in modo da schiacciare le labbra contro la pelle della Guardiana.

Ora che la bocca del ragazzo era vicino all'orecchio di Ella, lei poteva sentire tante cose. Il respiro di Daemon aveva un suono unico. Era pesante e veloce, ma al tempo stesso profondo. Come se ogni volta che inspirava i suoi polmoni affamati d'aria si riempivano fino in fondo, per poi svuotarsi con calma.

- Non vedi come sei? Non vedi quanto sei bella? - rise di nuovo. Stavolta però non era una risata malata. Era una risata dolce, sincera. Una risata normale. - Nemmeno tu ti guardi mai allo specchio.

Tolse finalmente la mano che le teneva bloccato il polso, per poi farla scivolare fino al suo fianco, stringendolo. Ma non nello stesso modo in cui aveva stretto il polso. Era una presa salda ma non dolorosa. Ed era fastidiosa, ma solo perché non era abbastanza avvolgente.

Ella fu costretta a deglutire un paio di volte prima di spingere via Daemon. Sentiva la gola andarle a fuoco. Non era nemmeno sicura che volesse davvero allontanarlo da lei. Rimase delusa quando lui non oppose resistenza. Lo fissò per qualche istante e sperò con tutto il cuore che l'Infiltrato non potesse ascoltare il suo respiro come aveva fatto lei con quello di lui in precedenza. Perché se lo avesse fatto, avrebbe sentito tutta la sua paura e tutta la sua eccitazione. Infine puntò lo sguardo sul pavimento.

- Hai fame? - chiese lui mentre si scostava. Quella domanda la colse alla sprovvista. Non aveva senso. Non era il momento di mangiare. Non c'era nessun motivo al mondo per cui Daemon si sarebbe dovuto preoccupare della fame di un passeggero del treno. L'espressione più che mai seria di lui lasciò Ella a bocca aperta. Era rilassato, ma aveva smesso di sogghignare.

Si avvicinò ad uno degli armadi senza nemmeno aspettare una risposta, lo aprì e ne estrasse un frutto sferico e rosa, lo stesso tipo di frutto che stava mangiando il giorno in cui Ella gli aveva chiesto aiuto. A quanto pareva l'armadio doveva in realtà essere una credenza. La posizione in cui si trovava impediva però alla Guardiana di vedere quali altri cibi contenesse.

- Prendi. - Daemon le lanciò la piccola sfera color pastello. Ella non riuscì ad afferrarla in tempo, facendola sfracellare al suolo.

- Complimenti per i riflessi. - il ragazzo prese un altro di quei frutti rosa - Stai attenta a non far cadere anche questa.

Stavolta Ella fu più abile, catturando al volo la sfera. Riusciva comodamente ad avvolgerla con tutte e cinque le dita. Al tatto era morbida e vellutata.

- È una bacca di serra. - le spiegò mentre estraeva un coltello da uno dei cassetti del comodino a sinistra del letto - Di solito crescono nel sottobosco e sono molto più piccole. Ma noi Imperiali le coltiviamo nelle serre, per questo diventano così grandi.

Il ragazzo le porse il coltello prima di gettarsi su una delle sedie.

- Credevo fosse vietato mangiare nelle cuccette.

- Le stanze degli Infiltrati sono quasi come le no rules rooms, qui dentro chiunque può fare quasi qualunque cosa.

La guardò mentre restava pietrificata col le spalle strette al muro.

- Puoi anche sederti. - solo a quelle parole Ella mosse qualche titubante passo in direzione del letto. - Le bacche di serra sono composte per la maggior parte di acqua. Le usiamo per dissetarci nei momenti in cui non possiamo portare con noi borracce. Ma saziano discretamente. Meglio che restare a digiuno, no?

- Nessuno te l'ha chiesto. - rispose Ella a quell'ultima frase sedendosi sulle morbide lenzuola nere. Erano fresche e profumavano di pulito.

- Lo prendo come un ringraziamento.

- Che lavoro facevi prima di salire qui?

Daemon si strinse nelle spalle.

- Quello che faccio adesso più o meno. Picchiavo la gente. Ogni tanto rubavo qualcosa.

- Non credo che questo sia un lavoro.

- Tu cosa facevi nel tuo palazzo?

- Curavo i giardini, accarezzavo gli alberi... E studiavo con le Anziane...

- Nemmeno accarezzare gli alberi è un lavoro.

- Non capisci. - rispose lei scuotendo la testa - Gli alberi parlano. E respirano. Tutto respira. Tutto ha bisogno di contatto. È come se ogni cosa vivesse insieme a me. Tu... Voi non potete capire... Questo posto non ha niente di vivo. Dovresti vedere il nostro palazzo. È immerso nel verde. E sembra che persino le sue parti abbiano un'anima. E c'è musica nell'aria. Ma non è una musica che si può sentire. È il suono che fanno le piante, che emettono le creature della Dime. È il rumore dell'acqua e quello della luce. È la carezza del vento. Sembra che ogni cosa nel nostro mondo si crei per compiacerci e renderci felici. E poi i profumi... il palazzo profuma di natura, di vita. Profuma come profuma la pelle di coloro a cui vuoi più bene.

- Detta così la pazza sembri tu. - sorrise.

- Hai ragione! È meglio nutrirsi di odio e sofferenza, vero?

- Tu vieni proprio da un altro pianeta. - sorrise ancora, stavolta accompagnando l'espressione ad un piccolo sbuffo. - Su di me che cosa vuoi sapere?

- Perché non te ne vai?

- Perché dovrei?

- Hai la libertà. Puoi andare ovunque vuoi...

- Quindi se resto qui è perché voglio starci, no?

- Hai stretto amicizia con gli altri Infiltrati?

Daemon sollevò rapidamente le sopracciglia prima di rispondere.

- Più o meno. Qui non c'è molto spazio per le amicizie. Ma va bene così. Ho sempre avuto bisogno di stare solo ogni tanto.

- E con Hawk hai stretto amicizia?

- Non ti piace? - chiese indicando la bacca che giaceva ancora intatta tra le mani di Ella. Aveva completamente ignorato la domanda precedente. La giovane gettò un rapido sguardo al frutto che stringeva fra le dita affusolate.

- Non l'ho mai assaggiata. Alla mensa di solito prendo la Alif. È una linfa che mangiamo noi Guardiane. Forse dovrei assaporare anche i cibi degli Imperiali. Ma ho paura che poi potrei trasformarmi in una di voi.

Ella a quel punto tentò di affondare il coltello all'interno del frutto che, per tutta risposta esplose liberando il suo succo e riversandolo sulle lenzuola. Guardò Daemon con un'aria di sconfitta.

- Mi dispiace... forse mi serve un po' di pratica. - stavolta a ridere era stata lei. Rise di gusto. Non ricordava nemmeno quando era stata l'ultima volta che si era sentita così. Eppure trovava tremendamente divertenti quei teli di seta nera imbrattati. Si sentì stranamente sollevata.

- Non importa. - Daemon prese un altro di quei frutti rosa dalla credenza, poi si sedette sul letto di fianco a lei. Afferrò la mano di Ella che stava ancora tenendo saldamente il coltello, guidandola con sapienza - Devi usare la lama, non la punta, altrimenti la bacca scoppia. Così invece resta compatta, vedi?

Tagliò una fetta perfetta. Sembrava incredibile. Quelle bacche erano fatte di acqua colorata, eppure rimanevano stranamente solide se affettate nel modo giusto. Gliela porse dolcemente ed Ella riuscì finalmente ad assaggiarla. Era dolcissima e succosa. Effettivamente dissetava moltissimo. Anche Daemon ne mangiò un po'. Masticava lentamente, senza fretta. Aveva le labbra sporche di succo.

Ella si avvicinò a lui e leccò via dalla sua bocca quel dolce nettare. Non aveva nemmeno capito quello che aveva appena fatto. Non sapeva nemmeno se era davvero quella la sua intenzione. Lo aveva fatto e basta. Poi appoggiò le labbra contro le sue. E sentì di nuovo il rumore del suo respiro. Ora sapeva che anche lui poteva fare lo stesso. Certo, era un Imperiale. Forse era troppo preso dalla sua inutile natura per ascoltare il suono di queste piccole cose. Ma il modo in cui le accarezzò i capelli le fece capire che stava ascoltando più di quanto Ella credesse.

La strinse a se, trascinandola sulle morbide lenzuola. Lei si accoccolò di fianco a lui e non smise più di fargli domande.

- Hai un colore preferito? - chiedeva lei.

- Il nero credo.

- Ma non è un colore. Il nero è il buio.

- Il nero è tutti i colori mischiati insieme. Se ci pensi, è come dire che mi piacciono tutti.

- Quanti anni hai?

- Ventotto. Tu Guardiana?

- Io non ho età. Hai mai sognato di volare?

- Sì, tante volte.

- Sai suonare uno strumento?

- Non sono mai stato bravo in queste cose.

- Dove hai passato l'infanzia?

- In una città che si chiama Kaliji. Tu non hai mai visitato il mondo? Non hai mai lasciato il tuo palazzo?

- No, mai.

Passarono ore insieme, alternando domande a carezze e baci. Le labbra di Daemon non erano calde come quelle di Hawk ed Ella non si sentiva avvampare come quando aveva baciato il magicante. Daemon era tranquillo e rilassato. La avvolgeva ma non si sentiva opprimere da lui. Però sentiva il cuore batterle in gola. Avrebbe voluto sentire per sempre quell'intenso pulsare nella gola.

Dopo un tempo che le sembrò essere lungo giorni, si scostò da lui, sollevando la testa e lasciando ricadere i lunghi boccoli castani sulla spalla di Daemon.

- Io... Ora... - non sapeva più che dire. Si sentiva in imbarazzo. Si sentiva stupida. - Devo andare... C'è il coprifuoco... Credo...

- Va bene. - rispose soltanto lui. Non si alzò, non cercò di fermarla, non aggiunse nient'altro. E smise di riempirle le labbra di baci.

Ella uscì dalla stanza indispettita.

Quando tornò nella sua cuccetta Jasmeen e Sara la abbracciarono stringendola fino a farle mancare il fiato. La Guardiana sperò con tutto il suo cuore che non potessero sentire quel delizioso profumo in cui si sentiva avvolta.

- Come stai? - a Jasmeen tremava la voce. Doveva essersi preoccupata molto. - Ti ha violentata?

- Cosa? - rispose Ella interrogativa - Che vuol dire?

- Niente... non importa, lascia stare.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Jasmeen aveva continuato a fissare Ella di nascosto per tutto il tempo. La Guardiana avrebbe voluto poterle parlare, raccontarle cosa era successo nella stanza di Daemon, ma al momento aveva faccende più importanti a cui pensare. Faccende che prendevano il nome di Maya.

Non aveva più avuto la possibilità di parlarle per poterla avvisare della fuga, ma sapeva di doverla raggiungere al più presto. Era importantissimo sapere di poter contare sul suo aiuto per incantare l'oggetto che sarebbe servito a far deragliare il treno. Brix intanto si sarebbe occupato di trovare un collaboratore esperto di tecnologia che avrebbe potuto contribuire a costruire quella piccola speranza di libertà.

Ella cercò la giovane magicante per quasi un'ora prima di riuscire a trovarla comodamente seduta dentro una cuccetta. Stava parlando con un ragazzo con il collare azzurro come il suo. Il giovane aveva i capelli castani e gli occhi di un azzurro brillante e un naso con narici larghe e punta grossa che cozzava con quello piccolo e delicato della sua amica. Forse la Guardiana avrebbe potuto contare sulle forze di più magicanti unite insieme, il che significava, naturalmente, più magia.

Quando Ella entrò nella stanzetta, che era praticamente quasi identica alla sua cuccetta, Maya scattò in piedi in segno di rispetto. Lei, per tutta risposta, la abbracciò stringendola forte a sè. Il ragazzo che stava in precedenza parlando con la magicante rimase invece seduto a fissare la scena in silenzio.

- Ti ringrazio tanto. - le disse allontanandosi poi da lei ed afferrandole entrambe le mani - Grazie per avermi portata da Enom. L'incontro con lui ha scatenato tanti eventi. Eventi che sono stati... illuminanti! - Sorrideva felice.

- Mia signora, vi prego, non ringraziatemi. Ho fatto solo ciò che credevo giusto...

- Basta ora! Basta parlarmi così! Io e te siamo uguali, parlami come parleresti ad una tua amica o ad una sorella!

- Ma voi siete una Guardiana...

Ella scosse il capo sconsolata.

- Qui non sono nessuno. E quando uscirò dal treno e tornerò al mio palazzo, tu sarai comunque trattata come una mia pari, sarà la tua ricompensa. Non voglio più sentire questo tono formale, capito? Maya, ascoltami... ho bisogno del tuo aiuto. Io ed alcuni Imperiali stiamo progettando la fuga. Vogliamo far deragliare il treno quando si troverà ad attraversare il binario tortuoso della Dime. Ma per farlo abbiamo bisogno di un oggetto incantato. E per questo ho bisogno del tuo... - si interruppe un attimo per voltarsi a guardare il ragazzo seduto di fianco a loro - ...del vostro aiuto. Dovete usare la vostra magia per trasformare un oggetto qualunque nell'arma che ci permetterà di uscire da qui. Mi aiuterete? Oh, che stupida, non mi sono neanche presentata - disse infine rivolta al magicante silenzioso - io sono Ella.

- Io sono Noah - rispose lui - e so chi sei. Maya mi ha già parlato di te. E poi... le voci della presenza di una Guardiana sul treno stanno circolando rapidamente. Non capita tutti i giorni che una delle signore della Dime venga fatta prigioniera.

- Guardiana... Quello che mi chiedi non è possibile. - stavolta fu Maya a prendere parola - La magia sul treno è bloccata. Non potrei usarla nemmeno se volessi.

- Ci sono le no rules rooms, lì dentro non esiste quasi nessuna regola, lì possiamo fare quello che vogliamo. E sarà proprio lì che incanterete l'oggetto.

- Le stanze senza regole sono costantemente controllate dal personale del treno. L'incantesimo che mi chiedi tu richiederebbe ore di preparazione, verremmo certamente scoperti...

Ella rimase in silenzio titubante, poi riprese a parlare.

- Va bene.. riuscirò ad usare una no rules room in qualche modo. Non preoccuparti di questo. Ti chiedo solo di promettermi che mi aiuterai. Che tu, Noah e magari anche tuo fratello mi aiuterete. Più siete più la magia risulterà potente giusto? Ti prego, aiutami, e restituirò anche a voi la libertà che vi spetta.

Maya rimase in silenzio. Sembrava non sapesse cosa dire. O forse voleva dire così tante cose che era impossibile metterle tutte in un ordine sensato. Strinse forte le mani di Ella, quasi volesse trovare il coraggio di esprimersi.

- Guardiana... sono al tuo servizio. Dimmi cosa fare e sarà fatto. Le doti di noi magicanti da ora in avanti saranno per sempre al tuo servizio. Ti aiuteremo a fuggire o moriremo con te.

La magicante guardò poi Noah.

- Sono al tuo servizio Guardiana. - disse il ragazzo - Hai la mia parola, darò la vita per farti succedere nel tuo intento.

- Guardiana - concluse Maya - parlerò con mio fratello, ci aiuterà anche lui. Tu ora trova il modo di poter usare una stanza senza regole senza essere scoperti. Parla con Enom se necessario. Lui sa molte cose, saprà anche questo.

Ella annuì prima di abbracciare teneramente la sua nuova amica. Si strinsero forte e per un istante sembrò che non dovessero separarsi mai più.

- Ci vediamo domani al vagone di ritrovo - sentenziò infine - parleremo tutti insieme.

*****

Quella sera Ella decise di rinunciare a dormire nella sua cuccetta. Probabilmente era la decisione più stupida che avesse preso fino a quel momento. Scelse anche di non far sapere a Sara e Jasmeen dove si stava recando. Scelta stupida anche questa.

La sua meta era una stanza spaziosa e ben arredata, con un letto dalle lenzuola di seta nera posto proprio al centro. Quando la raggiunse restò delusa nel non trovare Daemon da solo.

Stava parlando con l'Infiltrato dagli occhi rossi che era presente nel vagone ristorante il giorno prima. Ricordava che lui ed Eden erano rimasti a fissare la scena di Ella che veniva trascinata via da Daemon con un sorriso sornione.

Quando la Guardiana si avvicinò la coppia di Infiltrati smise di chiacchierare per voltarsi all'unisono verso di lei. L'infiltrato a lei sconosciuto era vestito completamente di nero ed aveva sulle spalle un lungo mantello, nero anch'esso. La cosa che colpiva di più era però il suo viso. Oltre a due spaventosi occhi con l'iride rossa aveva dei denti piccoli, sottili e appuntiti. Come se nella sua bocca alloggiassero solo canini. Anche il naso sembrava strano. La sella e la punta erano poco pronunciate, facendo sembrare le narici simili a due fessure. Nel complesso non differiva molto, nell'aspetto, dagli Imperiali. Ma questi piccoli dettagli e, naturalmente, quel colore di occhi lo rendevano alquanto...

Bizzarro.

Ma guarda chi c'è qui! - disse lo strano tipo - Una Guardiana! Quale onore essere al cospetto della creatura più potente della Dime. Sai, vista così sembri più insignificante di un moscerino.

Sempre mantenendo gli occhi ben piantati su Ella, Daemon si rivolse al suo amico con fare serio.

- Lux, puoi lasciarci soli per favore?

- Scherzi? Perché mai dovrei farlo?

- Lux vattene! Dobbiamo parlare. Da soli.

Parlare... sai anche tu che non sono venuta qui per questo...

- Come ti pare. - Lux sembrava leggermente stizzito - Divertitevi.

Si allontanò camminando rapidamente lungo il corridoio, facendo svolazzare il mantello ad ogni falcata. Quando fu abbastanza distante da non poterli più sentire, Daemon si rivolse ad Ella.

- Non hai sonno Guardiana? - le parlò con il suo solito tono sarcastico. - Vuoi entrare? - le chiese poi, aggiungendo un'inflessione seria alla sua voce e indicando la sua stanza con un rapido cenno della testa.

Ella annuì senza dire niente. Trovava stupido che lui avesse usato il termine "parlare". Lei aveva finito le parole.

Quando sentì la porta della stanza chiudersi le sembrò che qualcuno avesse lanciato una scarica di fulmini al suo cuore.

- È vietato passare la notte fuori dalla cuccetta. Perché non sei nella tua stanza?

- Se passo la notte qui le guardie non mi verranno a cercare. Vuoi parlare? Facciamolo allora. Ci sono tante cose di cui possiamo discutere.

A quelle parole lui le sorrise amabilmente. Qualcosa nei suoi occhi si era acceso. Faceva paura vederlo così.

- E sentiamo, di cosa vorresti dibattere?

- Possiamo parlare del treno. Dei suoi passeggeri. Del tuo amico con gli occhi rossi... sembra simpatico... - il sarcasmo di Daemon la stava contagiando. Eppure era quasi certa di non conoscere il sarcasmo. Le Guardiane non parlavano mai con ironia.

Lui rise mentre si passava una mano sulla bocca, lasciando scivolare le dita lungo gli angoli.

- Argomenti interessanti.

Restarono immobili a lungo. In piedi, l'una di fronte all'altro, a studiarsi come si studiano una preda ed il suo predatore prima che uno dei due si decida a dare inizio alla caccia.

Fu Ella a rompere quel gioco di sguardi. Si voltò senza dire nulla per poi sedersi, dopo aver fatto alcuni passi, fra quelle morbide lenzuola nere. Erano estremamente lisce al tatto. La Guardiana non capì perché mai aveva notato questo insignificante dettaglio. Restò a guardare i cuscini paffuti. Non distolse lo sguardo da quei soffici ammassi di piume nemmeno quando avvertì il letto sprofondare lievemente sotto il peso di un'altra persona.

Daemon le sfiorò i capelli, scostandoli dalla spalla per esporre il collo. Le appoggiò la bocca sulla pelle. Ella chiuse gli occhi d'istinto. Sentiva il respiro caldo di Daemon su di lei. Non la stava neppure baciando. Sembrava la volesse accarezzare con le labbra. Con il braccio destro le cinse la vita, tirandola verso di sé. Ella fu costretta ad appoggiare la sua schiena al petto di lui.

Smise di sfiorarle il collo. Per un istante la Guardiana non sentì più il contatto con lui. Si girò rapidamente nella sua direzione e lui le poggiò una mano sul viso e la baciò con foga.

Ella sentiva le loro lingue cercarsi ed intrecciarsi rapidamente. Il battito del suo cuore ebbe un'impennata quando lui le infilò una mano sotto la blusa grigia. Ora poteva sentire chiaramente le dita del ragazzo disegnare buffi ghirigori sulla pelle della sua schiena.

Il giovane fece scivolare anche l'altra mano sotto la divisa della Guardiana, dopo di che la sollevò fino a sfilarla. Ella era ora seminuda davanti a lui, con le spalle morbidamente ricoperte da una cascata di boccoli e il seno completamente esposto a lui.

Sembrava tutto così strano. Non si era mai fatta toccare da nessuno, tantomeno da un Imperiale. Eppure non si sentiva a disagio. Stava bene.

Daemon la spinse delicatamente sul letto prima di mettersi a cavalcioni su di lei. Anche lui tolse con un rapido gesto la maglietta che gli copriva il petto. Si piegò poi sulla Guardiana, continuando a baciarla senza sosta.

Lei sentiva la testa leggera. Tutte le preoccupazioni erano svanite. Non importava più fuggire dal treno, la prigionia non contava più niente. Non c'erano più le paure, non c'era più la rabbia. Il tradimento di Hawk era diventato la cosa più insignificante del mondo. Erano spariti i nemici, erano stati distrutti i rancori. Non esisteva più prigionia, non c'erano più costrizioni o obblighi. Niente più lavori forzati, niente più ferite né sangue o lacrime. Ed erano scomparse anche le amicizie. Non c'erano più pensieri verso Jasmeen, Sara, Maya... non contavano più le risate, gli abbracci. Persino le domande erano uscite fuori dalla sua mente. Non c'era più motivo di chiedere, non c'era niente da voler sapere, nulla da scoprire, da conoscere. Non c'era più nemmeno la stanza, anche le lenzuola su cui era sdraiata sembravano aver perso colore. E sembrava finita anche la corsa del treno.

Le uniche cose che contavano erano i movimenti, i suoi e quelli di Daemon, perfettamente coordinati. Talmente in sincronia da sembrare che si fossero messi d'accordo in precedenza. Talmente uniti che persino i loro respiri procedevano all'unisono. Talmente attaccati che i loro corpi erano diventati uno solo. Talmente vicini che le loro anime si erano fuse insieme. Talmente concentrati che i loro occhi si perdevano gli uni negli altri ed insieme parevano voler guardare nella stessa direzione.

Ella assaporò ogni frammento di tempo, gustandolo come se fosse il cibo più pregiato che esistesse. Si sentì avvampare in modo talmente prepotente da far impallidire persino la magia di tutte le Anziane messe insieme. Si sentì bruciare quando lui la spogliò completamente. Le vennero i brividi quando le toccò ogni singolo centimetro quadrato del suo corpo. Quello strano incantesimo, che le faceva avere freddo e caldo allo stesso tempo, era più potente di quello di qualunque magicante.

E capì che era così che si sentivano ogni giorno gli Imperiali. Capì che vivevano costantemente quelle sensazioni di paura, impazienza, eccitazione. Comprese le emozioni, e si rese conto che la vita degli Imperiali ne era meravigliosamente costellata. Si accorse che la loro esistenza era dovuta solo alle loro passioni. E lì invidiò, perché l'essere nati Imperiali aveva garantito loro una natura ricca di quel batticuore, quell'affanno, quei sorrisi e quei sussurri che lei stava scoprendo solo ora per la prima volta.

E infine guardò Daemon, che si muoveva dolcemente sopra di lei, e si accorse che non ci sarebbe potuto essere nessun altro al suo posto. Quegli occhi neri non si sarebbero potuti rimpiazzare con nessun altro sguardo. Quelle labbra elegantemente dischiuse non avrebbero potuto emanare il respiro di nessun altro. Non ci sarebbero mai stati al mondo capelli più morbidi dei suoi, né mani più delicate. Nessun altra goccia di sudore sarebbe mai stata limpida e brillante come le sue.

Lo strinse a sé quando lo sentì ansimare più velocemente. Senti i suoi muscoli irrigidirsi e glieli baciò uno per uno. Notò i suoi occhi chiudersi quasi a rallentatore e abbassò le palpebre anche lei, consapevole del fatto che stavano continuando a guardarsi anche da ciechi.

Gli ultimi secondi di quello strano abbraccio furono per lei una liberazione. Senti la gola stingersi e avvertì il petto esploderle. Aveva voglia di ridere e piangere allo stesso tempo. E per la prima volta dopo settimane si sentì come se stesse di nuovo volando.

Daemon si staccò da lei, sdraiandosi al suo fianco. Lei si voltò in modo da dargli le spalle. Avvertì sulla sua pelle il lieve tocco di una mano, che si muoveva, pigra e svogliata, sul suo braccio. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma le parole che cercava non erano presenti in nessuna lingua esistente.

Si girò di scatto. La mano si immobilizzò sorpresa da un movimento tanto repentino. Si trovarono faccia a faccia. Lei non cercò neanche di coprirsi. Gli occhi neri di Daemon si persero dentro quelli marroni di Ella. Avevano delle pagliuzze blu sparse lungo tutta l'iride, quasi come se qualcuno ci avesse gettato dentro della polvere di zaffiro.

La Guardiana ricambiò lo sguardo, felice e spaventata, come non era mai stata in vita sua. Dentro di lei sentì un altro piccolo frammento del suo essere spegnersi completamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


La Guardiana si accomodò in mezzo al folto gruppo di Imperiali. Fra loro vedeva anche volti sconosciuti, segno che si era sparsa la voce dell'imminente fuga. Alla sua destra, immancabili, sedevano Sara e Jasmeen, trasformatesi da amiche a sorelle. Alla sua sinistra avevano preso posto Maya e Noah. I loro collari azzurri avevano chiaramente attirato l'attenzione degli Imperiali, che erano ben poco abituati a rivolgere la parola ai magicanti.

Fu proprio la Guardiana a dare inizio alla discussione. Tutti i presenti pendevano dalle sue labbra.

- Bene! Iniziamo! Prima le buone notizie!

Il silenzio eloquente degli Imperiali che la circondavano cominciò a farla preoccupare.

- Va bene... comincio io allora. Noah, Maya e il fratello di lei, Pitt - lanciò una rapida occhiata alla coppia di magicanti - hanno promesso di aiutarci ad incantare il globo.

Di comune accordo era stato deciso di chiamare l'oggetto da usare per far deragliare il treno "globo". Questo nome in codice sarebbe servito a parlare agevolmente della questione della fuga senza destare sospetti nel personale del treno.

Ella riprese a parlare.

- Ora, chi si è occupato di studiare il percorso del treno? Avete scoperto fra quanto tempo raggiungeremo il binario tortuoso?

Un silenzio imbarazzato la avvolse completamente. Alcuni Imperiali cercavano di farfugliare qualcosa nel vano tentativo di giustificarsi. L'espressione indagatrice di Ella convinse un ragazzo dai capelli rossicci a parlare.

- A dire il vero... non ne abbiamo idea...

- Cosa? - rispose lei quasi incredula.

- Guardiana... il percorso del treno è imprevedibile. Abbiamo provato a spiare controllori e macchinisti, ma non siamo riusciti a cavare un ragno dal buco. Non siamo neppure stati in grado di trovare le loro mappe. Probabilmente per adesso solo i proprietari conoscono il percorso esatto. Non abbiamo altra scelta che affidarci al caso...

- Come sarebbe a dire?! - urlò lei - Stiamo progettando una fuga - riprese a sussurrare temendo di farsi scoprire - che deve essere pensata fin nei minimi dettagli e non sappiamo il momento in cui attuarla? Non possiamo assolutamente affidarci al caso! Ogni cosa deve essere perfettamente studiata, altrimenti falliremo con certezza! Non potete dirmi di affidarmi al caso! Ma cosa avete in testa? Non voglio perdere la libertà perché non siete in grado di capire che ci serve un piano più che perfetto!

Il ragazzo si strinse delle spalle, abbassando lo sguardo. Ella si sentì quasi in colpa per averlo aggredito così. Sospirò sconsolata.

- Va bene, non importa. Troveremo il modo di scoprire il percorso esatto. Cercate di stare alle calcagna del personale del treno, spiate anche gli Infiltrati se possibile. Ce la faremo, in qualche modo... Brix! - riprese poi a parlare con il suo solito tono pieno di entusiasmo - Tu sei riuscito a trovare qualcuno che possa guidare la costruzione del globo?

- Beh... a dire il vero sì... si tratta di un mastro costruttore ormai anziano. È salito sul treno alcuni anni fa, perciò ha avuto quasi tutta la sua vita per diventare un vero esperto nel suo mestiere. Conosce anche le tecniche tecnologiche più avanzate. Grazie a lui potremmo avere la possibilità di costruire un marchingegno a dir poco perfetto.

- È fantastico! È la notizia migliore che qualcuno potesse mai darmi! Siamo finalmente un passo più vicini alla meta!

- Guardiana... a dire il vero... è meglio se prima parli con lui...

Il tono di voce titubante di Brix mise Ella in allerta, facendo scomparire il largo sorriso che un minuto prima era spuntato sul suo viso quasi in automatico.

- Che vuol dire? Perchè stai parlando così?

- Ella... non so se accetterà di aiutarci. Io ho provato a parlargli, ma forse è meglio che lo faccia tu... lui è... - sospirò profondamente, quasi come se l'aria gli potesse infondere coraggio - Si tratta del padre di Tyler...

La Guardiana rimase a bocca aperta mentre Brix fissava il pavimento con un'espressione triste. Il ragazzo riprese poi a parlare.

- Non credo che gli importi qualcosa della fuga. È già tanto se resiste alla tentazione di lasciarsi morire.

- Brix... davvero è in grado di aiutarci?

- È il miglior costruttore che puoi trovare in questa carrozza. E probabilmente è uno dei migliori dell'intero treno. Potrebbe riuscire a costruire il globo ad occhi chiusi.

- Gli parlerò... - disse solo. Non sapeva che altro aggiungere. E forse era meglio non aggiungere altro.

*****

Abraham, il padre di Tyler, era un uomo di mezza età con i capelli ormai quasi completamente bianchi. Ella lo aveva immaginato anziano e con una lunga barba arruffata. Invece, nonostante fossero evidenti sul suo volto i segni del tempo, era comunque un uomo affascinante e carismatico, dal fisico piuttosto atletico e dall'aspetto giovanile. Era però alquanto evidente che i suoi occhi dorati apparissero fin troppo stanchi. C'era, dentro quelle pupille, una disperazione che non era data né dall'insorgente vecchiaia né dalla prigionia. Nascondevano un dolore ben più profondo, una sofferenza che neppure l'animo puro di una Guardiana avrebbe potuto cancellare.

Ella temeva il categorico rifiuto dell'uomo, ma sapeva che parlare con lui ed ascoltare le sue ragioni era la cosa più giusta da fare. Si avvicinò a lui e quando questi la notò le sorrise con una tenerezza che credeva non potesse nemmeno esistere.

- Guardiana! È un onore incontrarti, finalmente.

- Per me è un onore incontrare te, maestro.

- Ti prego, non farmi sentire in imbarazzo ora. - sorrise lievemente. sembrava così calmo e tranquillo. e anche così infelice. E, al tempo stesso, sembrava che non fosse solo il padre di Tyler. Sembrava che fosse un padre e basta, il padre di tutti, sempre amorevole e garbato.

- Ho bisogno del tuo aiuto Abraham.

- Lo so, Brix mi ha già spiegato. Ti aiuterò Guardiana, te lo prometto. So che vuoi tornare a casa, so quanto stai soffrendo. Non potrei mai rifiutarmi.

- Grazie... - mormorò debolmente lei - Tornerai a casa anche tu.

- Guardiana... Non mi interessa tornare a casa. Non ho nessuno ad attendermi. Vedi... la mia vita è stata completamente stravolta qualche anno fa. E qualche giorno fa è stata completamente distrutta. Della libertà non me ne faccio niente. Non la voglio. E sai... non la voglio perché non credo che sarò mai più libero. Non so se mi capisci... Ti aiuterò senza volere nulla in cambio. Ma chiedo anche a te un aiuto. La tua magia, la magia delle tue sorelle è potente. Voi potete tutto. E allora ti chiedo... dammi la possibilità di vedere mio figlio per l'ultima volta. È l'unica cosa che voglio. È l'unica cosa di cui mi importa veramente.

Ella rimase a guardarlo ad occhi sbarrati. Balbettò un paio di volte prima di riuscire a completare un'intera frase.

- Ma... non posso farlo... noi Guardiane non abbiamo questo potere... - la richiesta di Abraham le aveva lasciato un profondo vuoto dentro. Le sembrava quasi di poter toccare con mano il suo dolore.

L'uomo sospirò sconsolato.

- Mi fido di te Guardiana. So che se troverai il modo di soddisfare la mia richiesta lo farai. - le sorrise ancora - Non preoccuparti, aiuterò Brix a costruire quell'aggeggio in ogni caso.

*****

Ella vagò per corridoi e vagoni come persa. Le sue gambe si muovevano da sole, sapevano dove stavano andando. Ed i suoi occhi erano costantemente alla ricerca di qualche guardia che potesse aggredirla per aver lasciato la sua carrozza. I suoi pensieri però erano inquinati dal ricordo dello sguardo del padre di Tyler. Quell'uomo sembrava morto da parecchio tempo. Eppure parlava, si muoveva, respirava... forse nel mondo degli Imperiali c'era ben più di un unico concetto di morte.

Approdò quasi in automatico in uno dei vagoni di ritrovo della carrozza K. In un angolino sedeva, da solo, un angelo nero che fissava il vuoto con i suoi occhi ricoperti di nero. Le belle ali ogni tanto avevano qualche spasmo muscolare e tentavano di allargarsi per provare a stiracchiarsi.

La Guardiana gli si avvicinò a passo deciso, gettandosi ai suoi piedi quando fu davanti a lui.

- Enom! - esclamò - Devo dirti tante cose. Devo raccontarti così tante novità. Ed ho così tante domante, e troppi, troppi dubbi e paure. E un turbine di emozioni...

Enom le sorrise dolcemente, come solo lui era in grado di fare. Lei si sentì immediatamente rincuorata a quell'espressione così rilassata e saggia. Non poté fare a meno di ricambiare il sorriso, pur sapendo bene che il veggente non era in grado di vederla. Decise di afferrargli una mano e poggiarla sulla sua guancia. Era calda e piena di rughe.

- Parla allora, raccontami tutto, Guardiana.

- Io ed altri Imperiali stiamo progettando la fuga. Voglio che tu venga insieme a noi.

- Sono troppo vecchio per fuggire.

- No, non dire così, te ne prego... Verrai con noi, avrai di nuovo la libertà. Potrai di nuovo usare le tue ali. Non ti manca poter volare?

- E dove mai potrebbe volare un angelo nero cieco? No, Guardiana, la libertà non è una cosa a cui aspiro. Ma non temere, ti offrirò i miei consigli. So quanto sia importante per te, non ti abbandonerò.

- Enom... ti ringrazio... Ora ti chiedo... devo sapere come posso usare una delle stanze senza regole... e poi... devo anche sapere se è possibile parlare con i morti... tu ne sei in grado?

L'angelo scosse la testa.

- Non posso aiutarti, mi dispiace. Ma posso dirti qualcosa che ti aiuterà più avanti. So che stai cercando la collaborazione di molti qui sul treno. Ascoltami attentamente. Convincili a darti una mano promettendo loro di esaudire tutte le loro richieste. E mantieni sempre la parola. Fallo sempre, anche se credi che sia ingiusto o impossibile. Loro guadagneranno ciò che più desiderano e tu guadagnerai una nuova storia.

- Che cosa... cosa significa? - le parole del veggente erano più enigmatiche della sua espressione.

- È importante che tu lo faccia, o non troverai più nessuna strada da seguire. Quando avrai bisogno di spiegazioni che sai per certo di non poter avere da nessun altro, torna da me, avrò altre cose da farti sapere.

La Guardiana lo osservò perplessa. Intuì che Enom non avrebbe aggiunto nient'altro per il momento, così decise di trovare da sola il significato di quelle parole. Quello che sapeva per certo, forse in maniera innata, è che il veggente aveva più che mai ragione.

- E tu? qual è il tuo desiderio? Non vuoi volare, non ti interessa la libertà... qual è la promessa che ti devo?

- Non mi devi niente, Guardiana. Quando arriverà il momento ti offrirò la mia collaborazione senza chiederti nulla in cambio. In fondo, io nella tua storia servo a poco.

Il modo di fare di Enom era fin troppo misterioso ed Ella non capì cosa intendesse realmente dire l'angelo nero. Come già successo in precedenza, la Guardiana capì che il veggente non era più disposto a parlare con lei. Si era chiuso in un bizzarro silenzio, aveva perso quell'espressione rassicurante che a lei piaceva tanto e aveva voltato la testa in direzione opposta rispetto a dove era inginocchiata lei.

Si alzò dal pavimento riluttante, procedendo verso la carrozza M con un passo ancor più lento e svogliato di quello che aveva usato per raggiungere Enom.

*****

L'ultima meta della giornata fu la stanza di Daemon. Ella stava cominciando a trovare squisitamente rassicuranti le lenzuola nere del suo letto.

Bussò timidamente alla porta, fermamente chiusa. Passarono un'infinità di secondi senza che nessuno dall'interno desse segni di vita, tanto che stava quasi per rinunciare e tornare nella sua cuccetta.

Daemon le venne ad aprire dopo almeno un paio di minuti. Ella fu quasi certa che la avesse fatta aspettare apposta. Indossava un paio di pantaloni bianchi ed era a petto nudo. Quando si accorse che a bussare era stata la Guardiana assunse un'espressione maliziosa e si appoggiò con un braccio allo stipite della porta.

- Guardiana! Ma che inaspettata sorpresa!

- Sai anche tu che non è poi così inaspettata...

La guardò con un sorriso beffardo prima di scostarsi dalla porta per farla entrare. Lei si accomodò su una delle poltroncine di velluto rosso, lui rimase in piedi a scrutarla.

- Che c'è, non sei più riuscita a dimenticarmi dopo quello che è successo ieri?

- Posso dormire qui anche stanotte?

A lui brillarono gli occhi. Probabilmente non aspettava altro.

- Puoi fare come ti pare. - rispose con sufficienza.

- Quello che mi pare... - iniziò lei - ...è la cosa più stupida del modo. Quello che mi va di fare è restare in compagnia di un essere da cui mi hanno messo in guardia fin da quando ho messo piede sul treno. Quello che voglio è dormire con lui nonostante il buon senso mi indicherebbe di stargli il più lontano possibile. Hai idea di quanto sia ridicola questa cosa? Io e te dovremmo odiarci!

Lui alzò le spalle.

- Io non ti odio. Ti trovo attraente. E se tu vieni ogni sera qui magari la cosa è reciproca.

- Ciò non toglie che sia una cosa stupida.

Daemon le di avvicinò, si piegò su di lei e poggiò le mani sui braccioli della poltrona su cui era seduta Ella. Ora i due si trovavano faccia a faccia. Lui era serio come la Guardiana non l'aveva mai visto.

- Qui dentro comando io. Posso fare quello che voglio quando voglio senza dovere spiegazioni a nessuno. Non dirmi che quello che faccio è stupido. Non permetterti mai nemmeno solo di pensarlo. Perché sai - riprese a sorridere con cattiveria - non me ne frega niente.

- Capisco... - sussurrò lei - Sai... sei un vero idiota.

Sorprendentemente lui non si arrabbio per l'insulto ricevuto. Anzi, iniziò a sorridere di gusto, allontanandosi di scatto da Ella.

- Che carina sei, Guardiana. Amorevole e piena di complimenti come al solito. - sembrava divertito. Di certo non era la reazione che lei si aspettava.

- Pensi stia scherzando? C'è mai qualcosa che prendi seriamente?

- La vita è già abbastanza pesante di suo, meglio riderci su, no?

- No! Non su qualunque cosa.

- Perché non mi racconti qualcosa di te Guardiana? Magari la smetto di ridere. Tu mi hai fatto tante domande, ora è il mio turno.

- Che cosa vuoi sapere?

- Com'è che conosci Hawk?

Per Ella quella domanda era un vero e proprio colpo basso.

- Eravamo amici...

- Magari prova ad essere un po' più specifica. - rise.

- Alcuni magicanti hanno il permesso di entrare nel palazzo delle Guardiane. Lui era uno di questi. I suoi genitori erano molto stimati dalle Anziane. So che quando hanno saputo che la madre di Hawk lo aveva dato alla luce le hanno donato un incantesimo che la proteggesse e la rendesse in grado di prendersi cura di lui al meglio. Quando io e lui eravamo piccoli passavamo molto tempo a giocare nei giardini del palazzo. Ci volevamo bene. Era come un fratello. Anche se aveva una natura diversa dalla mia, eravamo uguali. Quando mi facevo male era sempre pronto a consolarmi. Poi un giorno mi ha detto che sarebbe andato via. Ricordo di essermi sentita piccola, minuscola. Non avrei potuto fermarlo. Non avremmo più potuto giocare insieme. Avevo paura che si sarebbe dimenticato di me. Non si è dimenticato - sospirò - ma questi cinque anni lo hanno cambiato come mai avrei creduto.

- Forse non lo hanno cambiato. Forse è sempre stato così, solo che tu non lo sapevi.

- Forse... - gli fece eco lei.

- Tu e lui siete mai stati insieme?

Ella gli piantò i grandi occhi spalancati addosso. Le sopracciglia si aggrottarono in maniera appena percettibile.

- Perché me lo chiedi? Che ti importa?

Lui alzò le spalle e rise con un piccolo sbuffo.

- Come preferisci, Guardiana, non dirmelo.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


Nei giorni seguenti Ella rimase tante volte a dormire nella stanza di Daemon. Passavano molto tempo nudi, ad abbracciarsi e baciarsi. E si facevano tante domande. La sete di conoscenza di Ella era tornata prepotente ed aveva deciso di tormentare il giovane Infiltrato con una innumerevole quantità di quesiti. Il ragazzo, da parte sua, si era mostrato ben disposto a risponderle, anche se spesso infarciva le sue frasi con l'ironia che lo contraddistingueva, impedendo alla Guardiana di capire se parlasse sul serio o stesse scherzando. In ogni caso anche lui le aveva chiesto tante cose, molte relative alla sua vita nel Palazzo, altre più frivole ed insolite, come ad esempio cosa preferisse fra la pioggia ed il sole o se le piacesse il modo in cui lui la toccava.

Nel frattempo Jasmeen aveva ormai mangiato la foglia e aveva messo in guardia più volte la sua compagna di stanza. La ragazza bionda continuava a ripeterle quanto fosse pericoloso Daemon e che era meglio stargli alla larga.

La verità era che Ella non capiva affatto quegli avvertimenti. L'Infiltrato era dolce e la faceva sentire bene. Ogni volta che si baciavano lei sentiva i brividi risalirle lungo la spina dorsale e non voleva rinunciare a quella strana felicità che, ne era sicura, gli Imperiali provavano ogni singolo giorno della loro vita.

A parte i momenti di tenerezza con Daemon, quei giorni non avevano avuto avvenimenti degni di nota. A quanto pareva, però, quella mattina sarebbe stata diversa. Il treno stava rallentando, probabilmente per l'avvicinarsi di una stazione. Per l'occasione uno dei controllori era passato nella cuccetta di Ella, imponendo a lei ed alle sue compagne di stanza un lavoro sulla terra ferma.

- Cuccetta M-711, trasporto legname. - aveva detto soltanto.

La relativamente lunga permanenza sul treno aveva fatto sì che Ella non ponesse domande riguardo al lavoro alle sue amiche. Aveva già intuito di cosa si sarebbe trattato. Quando il treno arrestò la sua corsa, davanti alle porte d'ingresso si era già creata la solita folla di passeggeri fintamente desiderosi di scendere. Passarono alcuni minuti prima che Ella potesse poggiare piede sulla terra ferma.

La città in cui si trovavano era estremamente rurale. Le poche case presenti erano fatte di semplici pietre rettangolari, malamente tagliate. Le porte in legno semi marcio, le imposte delle finestre nello stesso legno rovinato e dei tetti con tegole in terracotta costellati di nidi di uccelli contribuivano a rendere l'atmosfera ancora più povera. I pochi abitanti presenti vestivano con abiti spenti e malandati. In aggiunta, per le strade in pietra grezza passeggiavano quelli che sembravano schiavi vestiti di stracci. Qualcuno di loro aveva persino delle catene ad avvolgere le caviglie. Proprio di fianco alle malandate casette si estendeva una immensa foresta di alberi ad alto fusto. Poco distante da essa, ben separate dal resto del piccolo villaggio, c'erano delle enormi fabbriche che, probabilmente, erano deputate alla lavorazione del legname. La loro presenza sembrava quasi un controsenso. Erano, in apparenza, molto più moderne, costruite con mattoni e dotate di una struttura in metallo che permetteva loro di superare in altezza persino l'impressionante foresta.

Davanti alla vista di Ella si ergevano delle immense cataste di legna pronta per essere trasportata dai passeggeri del treno. Dai discorsi che aveva potuto sentire, i macchinari che normalmente trasportavano la legna fino alle fabbriche si erano rotti, costringendo gli operai a sfruttare la forza degli schiavi.

La Guardiana stava ormai cominciando ad abituarsi a quel tipo di lavori. Cominciò ad afferrare uno dei pezzi di tronco e si avviò con non poca fatica verso l'ingresso di una delle fabbriche, dove era stato creato un punto di accatastamento.

Quello a cui non riusciva ad abituarsi era la presenza dei bambini, costretti anch'essi a quei terribili lavori. I più grandi dovevano trasportare i tronchi esattamente come gli adulti. La maggior parte dei più piccoli, invece, servivano ai controllori per portare viveri, acqua e strumentazione varia.

A coordinare i lavori c'erano, come al solito, alcuni Infiltrati. Fra loro Ella riconobbe Lux e Eden. La ragazza bionda aveva i capelli legati come sempre ed indossava i soliti stivali completati da una casacca marrone e un paio di pantaloni neri. Ella si rese conto che L'Infiltrata vestiva sempre con abiti maschili, il che, in un treno dove qualunque passeggero di sesso femminile indossava la gonna, era alquanto insolito.

I lavori proseguirono per alcune ore consecutive. Il sole colpiva la pelle con inaudita violenza e feriva gli occhi come se fosse stato una lama aguzza e tagliente. Gli scarti di lavorazione gassosi prodotti dalle fabbriche contribuivano ad alzare notevolmente la temperatura dell'aria che, a poco a poco, stava diventando sempre più irrespirabile.

Con la coda dell'occhio Ella notò, in mezzo ai piccoli schiavi, Tommy, l'amichetto di Brigitta, che barcollava sotto il peso delle borracce. Il bambino sembrava visibilmente accaldato e pareva che non fosse più nemmeno in grado di camminare. Uno dei controllori lo spronò a muoversi, ma il bambino apparentemente non aveva nemmeno sentito gli ordini.

Ella ebbe un sussulto al cuore quando vide il piccolo inginocchiarsi a terra. Lux si avvicinò a lui con calma, sferrandogli poi un violento calciò che lasciò persino la Guardiana senza fiato. La malcapitata piccola vittima si accasciò a terra esanime. Ella sentiva una pressione enorme sulle costole, che le impediva di prendere aria. D'istinto aveva portato le mani al petto e ora stava guardando L'Infiltrato picchiare senza un briciolo di pietà il piccolo Tommy. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quell'orrore.

Mentre L'Infiltrato infieriva sul corpicino immobile del bambino Eden, lì affianco, guardava la scena divertita. E rideva. Rideva davanti ad un adulto che picchia un bambino. Rideva sguaiatamente.

Lux si fermò solo quando si rese conto che Tommy non si sarebbe alzato più. Mai più.

I due Infiltrati non sembravano preoccupati. In fondo, come le aveva detto una volta Jasmeen, per ogni passeggero che muore ce n'è un altro che è pronto a salire. Ora stavano ridendo entrambi.

Ella sentì il respiro accelerare. Non riusciva più ad inspirare appieno, perciò stava prendendo dei respiri brevissimi e rapidi.

Molto rapidi.

Sempre più veloci, sempre più corti e ravvicinati.

Aveva gli occhi sbarrati e le pupille ridotte a due capocchie di spillo.

E ansimava.

Forte.

E le girava la testa.

E la gola le si stava chiudendo.

L'ultimo respiro che prese fu quello che le permise di attivare le corde vocali.

Urlò talmente forte da graffiarsi la gola.

Talmente forte da squarciare l'aria e far scappare gli uccelli che stavano comodamente appollaiati sui tetti.

Si piegò sulle gambe e urlò ancora. I presenti la guardavano sconvolti.

Si getto a terra e continuò a gridare. Jasmeen la afferrò per un braccio e provò a sollevarla di peso.

- Ella alzati! Che stai facendo?! Ti prego smettila!

Ma lei continuava ad urlare a squarciagola. Ed ogni nuovo respiro che riusciva a guadagnare era solo un pretesto per alimentare il suo terrificante lamento.

Iniziò a piangere, tremando talmente forte da sembrare che persino la terra sotto di lei si stesse scuotendo.

Lacrime dal sapore amaro le scendevano lungo le guance, bagnandole la divisa e raggiungendo copiose il pavimento. I singhiozzi le chiudevano i polmoni, ma non le impedivano di gridare. O forse lo facevano ed in realtà le urla erano solo dentro la sua testa.

A nulla valsero i tentativi di Jasmeen di calmarla e di farla rialzare. La povera Imperiale cercava di spiegarle che se avesse continuato con quegli spaventosi versi sarebbe stata punita. Ma lei non sentiva più niente. Aveva le orecchie ovattate e le lacrime l'avevano resa cieca.

- Ella ti prego basta! Ci puniranno! Ti prego!

Continuò ad urlare anche quando un gruppo di controllori si piazzò davanti alle due e le trascinò con la forza dentro il treno.

*****

Le ragazze vennero gettate all'interno di una sala spaziosa e stranamente buia. Vicino alle pareti c'erano alcune sedie e tantissime manette e catene.

La Guardiana si rannicchiò su sé stessa, abbracciandosi da sola, piangendo rumorosamente con la testa rivolta verso il basso e i capelli gettati in avanti ad accarezzare il pavimento. Jasmeen tentò in tutti i modi di consolarla, ma i singhiozzi che scuotevano con violenza la Guardiana sembravano inarrestabili.

Alcuni uomini entrarono nella stanza, guardando increduli l'intera scena.

- Che sta succedendo? - era la voce di Troy.

- Stavano lavorando e ad un certo punto la ragazza con il collare dorato ha cominciato a fare così... Eden ci ha ordinato di portare lei e la sua amica qui per farle torturare. Se ne occupa lei, signore?

- Sì, potete andare.

Gli Imperiali che stavano parlando con Troy uscirono, lasciandolo solo con le due ragazze. Guardò Ella con la sua solita espressione impassibile.

Con gli occhi ricolmi di lacrime la Guardiana si voltò verso la sua più cara amica, poi si rivolse all'Infiltrato.

- Lasciala andare... non ha fatto niente... - la voce era rotta da mille singhiozzi.

- Posso sapere cosa è successo?

- Credo che Ella sia... molto sensibile, signore. - a rispondergli era stata Jasmeen.

- Vuoi sapere cosa è successo? - ringhiò Ella, con una inaspettata grinta - Le persone con cui condividi le tue giornate sono dei mostri! La pagheranno! Te lo giuro! Pagheranno per ogni cosa!

- Ella ti prego... - Jasmeen era sempre più incredula.

- Guardiana, basta urlare! È vietato! E qui le uniche a pagare sarete tu e la tua amica!

Ella riprese a piangere.

- Ti prego, lasciala andare... - pronunciò quelle parole con una strana determinazione.

L'Infiltrato sembrava pietrificato. Probabilmente non stava capendo quasi nulla di quello che aveva davanti.

- Lei non ha fatto niente! Falla uscire da qui! Punisci me! Non mi importa!

Troy sospirò sconsolato, ruotando gli occhi.

- Restate qui per un'altra mezz'ora, poi uscite, tornate nella vostra cuccetta e non lasciatela più. Non voglio più sentire una parola. Non voglio sentire fiatare nessuno. Basta urla, basta pianti. Se vengo a sapere che qualcuno si lamenta di voi vi trascino di nuovo qui e ve ne faccio pentire. Tutto chiaro? Ora chiudete il becco e smettetela di dare nell'occhio.

Jasmeen ed Ella lo fissarono ammutolite. Non ebbero nemmeno il coraggio di ringraziarlo per la sua clemenza.

*****

Ella pianse ancora per molte ore, rannicchiata in posizione fetale all'interno del suo letto. Si allontanò dall'abbraccio protettivo delle sue lenzuola solo quando il dolore che sentiva dentro di lei divenne così forte da farle mancare l'aria. Credette di morire.

Passeggiò distrattamente per i corridoi della carrozza, muovendosi più per inerzia che per una sua reale volontà.

Durante il suo vagare senza meta passò davanti alla cuccetta di Fenrir. Il lupo grigio era accucciato sullo sporco cumulo di lenzuola, con la testa appoggiata sulle zampe e gli occhi chiusi. Ella entrò nella stanza senza nemmeno pensarci.

Il lupo si svegliò quando lei era ormai a pochi passi di distanza da lui. Iniziò a ringhiare sommessamente, ma non ebbe il coraggio di aggredirla. Probabilmente temeva una punizione. O forse aveva avuto pietà delle sue lacrime.

La Guardiana si avvicinò fino a sedersi di fianco a Fenrir. Appoggiò la schiena su di lui e spostò una mano sulla parte della sua pelliccia che non era coperta dalla divisa, cominciando a intrecciare dei ciuffi di pelo con le dita. Poteva chiaramente avvertire il corpo del lupo tremare, scosso dal ringhio di avvertimento. Probabilmente anche lui poteva sentire il doloso tremore di Ella.

- Che vuoi Guardiana? Stai mettendo a dura prova la mia pazienza. - ringhiò piano. Ella non credeva che il lupo fosse capace di ringhiare e sussurrare al tempo stesso.

- Parlami del Vortice. Parlami di dove vivevi, di casa tua.

Il lupo voltò il muso nella direzione della ragazza, arricciando più volte il naso, probabilmente nel tentativo di annusarla.

- Vuoi sapere del Vortice? Perché? Un luogo del genere non fa per una Guardiana.

- Parlami e basta... - un piccolo singhiozzo la scosse.

- Il Vortice è una distesa buia fatta di niente. È la regione più grande del mondo, ma anche la più vuota. Ed è la più odiata. È ricoperta da alberi secchi e neri e sparsi un po' a casaccio ci sono città e piccoli villaggi, tutti scollegati fra loro. Nel vortice non ci piace collaborare. Io vivevo in uno dei centri abitati. Era una piccola città che si chiamava Siya. Pullulava di lupi come me, ma anche di streghe e angeli neri. Non credo che sarebbe stato un posto adatto a te. Tutto quello che vedevi intorno era morte e desolazione. E tutto quello che sentivi erano ululati ed urla. A Siya il sole non sorgeva mai. Era circondata, a sud, da alcune alte montagne. E nella sua porzione est erano state costruite delle mura che fermassero il bagliore del sole nascente.

- Parlami dei lupi grigi e delle altre creature che c'erano in quella città.

- Noi lupi siamo fieri e forti, ci nutriamo di carne cruda che strappiamo a morsi dalle nostre vittime. Viviamo perlopiù da soli. Non ci piace la compagnia delle creature del Vortice e neppure quella dei nostri simili. Dormiamo molto di giorno e ci muoviamo di notte, per cacciare, per uccidere... E parliamo raramente. Fra noi comunichiamo con una lingua che gli Imperiali non possono neanche lontanamente comprendere. Usiamo la nostra voce solo per farci capire dalle altre creature.

- E non avete la magia? Non avete nessun dono?

- Il nostro dono è la forza fisica. Con le nostre fauci possiamo ridurre a brandelli persino gli alberi. Con le nostre zampe possiamo rompere anche la pietra. Non siamo come te, Guardiana. Non abbiamo bisogno di incantesimi per distruggere e attaccare.

- Forse ti sarebbero serviti, visto che la tua forza non ti ha impedito di finire prigioniero qui. - Ella avvertì Fenrir ringhiare sommessamente. Quella frase non doveva essergli piaciuta. - Noi Guardiane non usiamo la magia per attaccare. I nostri incantesimi servono a proteggere la Dime. Le Anziane possiedono un incantesimo che fa crescere le piante velocemente. Quando lo scagliano su un seme è... è una cosa bellissima da vedere. Le foglie esplodono, si lanciano verso il cielo. E il fusto cresce in pochi secondi e comincia fin da subito a... respirare... e in un attimo i rami creano un ordine perfetto e si riempiono di piccole gemme pronte a deliziarci gli occhi. E poi abbiamo anche delle magie di guarigione. Possiamo curare piante ed animali, possiamo cancellare la sofferenza e la malattia. E possiamo curarci anche noi stesse. Noi non ci feriamo mai. Ogni graffio, ogni livido su di noi dura solo per pochi secondi, poi sparisce per sempre. Non so se a te piaceva casa tua, ma la mia era il mio paradiso.

- A quanto pare anche la tua magia non è stata abbastanza utile da proteggerti dal treno. - rise. O, per lo meno, emise un suono che Ella interpretò come una risata. In effetti non assomigliava molto ad una risata.

- Non ti piacerebbe poter imparare la magia?

- No. La magia è pericolosa. Le streghe la conoscono, ma io non voglio avere niente a che fare con loro. Sono ingannevoli, sembrano sempre disposte ad aiutarti, ma in realtà pensano solo ai loro interessi. E praticano la magia nera. È... è qualcosa con cui nessuno vuole mai avere a che fare. Nel resto del mondo è vietata, ma nel Vortice... lì non esistono leggi. Tramite quest'arte le streghe possono maledire la tua anima, possono persino scagliare sortilegi contro i nipoti dei tuoi nipoti. Parlano con i morti, vedono gli avvenimenti del passato e si dice che possano anche cambiare il futuro.

- Che significa che parlano con i morti?

- Possiedono degli incantesimi proibiti che permettono di evocare i defunti e farli comunicare con i vivi. Sono magie pericolose e sbagliate.

Ella spalancò gli occhi mentre sentì il suo cuore sussultare.

Parlano con i morti...

- Fenrir! Un giorno mi hai detto che erano state le streghe ad avvisarti della mia presenza! Sono qui? Sul treno? In questa carrozza? - era fin troppo eccitata.

- Sì Guardiana, la loro stanza è la numero M-100, si trova nella parte iniziale della carrozza, perché...

Ella scattò in piedi. Sapeva che stava per entrare in vigore il coprifuoco, perciò avrebbe dovuto affrettarsi per poter raggiungere la stanza delle streghe in tempo.

- Ti ringrazio Fenrir! - affondò il viso nell'ispido pelo che circondava il collo del lupo. Era talmente duro da graffiarle la pelle e aveva uno strano odore. Ma in quel momento le sembrò persino più morbido della seta. - Ora devo andare! Ricordati le mie parole, lupo, fuggiremo insieme.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


La corsa in direzione della stanza M-100 si rivelò un successo. Ella era riuscita a raggiungerla in tempo per non sforare il coprifuoco. Certo, poi sarebbe anche dovuta uscire da lì per tornare nella sua cuccetta e a quel punto il coprifuoco sarebbe entrato in vigore, ma aveva preferito preoccuparsi di questo dettaglio dopo.

La cuccetta delle streghe era molto diversa da quella degli Imperiali. La Guardiana stava cominciando a capire che ogni passeggero aveva una stanza creata secondo le sue specifiche esigenze. Quella in cui alloggiavano le streghe era circolare, molto spaziosa e ricca di mobili. C'erano sedie, poltrone, divanetti, armadi, comodini e cassapanche che facevano bella mostra di sè. Le pareti erano costellate da armadietti pensili e da mensole su cui spiccavano soprammobili dalle forme bizzarre e libri dai titoli impronunciabili. C'erano persino alcuni lavabi e dei banconi ricoperti di piatti e posate. Erano inoltre presenti cinque letti sparsi per la sala, disposti senza un ordine particolare. Si trattava di letti veri e propri, molto simili a quelli degli Infiltrati, con un materasso alto e una innumerevole quantità di lenzuola e coperte buttate sopra. Infine, proprio al centro della stanza c'era una sorta di piccolo salottino, composto da almeno una mezza dozzina di poltrone e da quattro bassi tavolini, su due dei quali erano poggiate cinque tazze. Comodamente sedute sulle poltrone c'erano cinque donne, con un collare viola e, solo nel caso di quattro di loro, un fazzoletto in testa del medesimo colore, che copriva completamente i loro capelli.

Quando Ella si avvicinò al piccolo gruppo, solo una delle streghe, quella seduta più in disparte, si voltò verso di lei. Aveva un viso solcato da innumerevoli rughe. Alcuni ciuffi di capelli, bianchi come le nuvole, le sporgevano dal simpatico copricapo. Gli occhi erano piccoli ed infossati, di un verde acqua molto chiaro, ed erano contornati da ciglia piccole e bianchicce, ormai diradate dal tempo. La strega le sorrise, mettendo in mostra una bocca piuttosto sdentata e trascinando ancor più verso il basso il già cadente naso. Le fece poi cenno di avvicinarsi e, indicando con un dito nodoso una delle poltrone, la invitò a sedersi di fronte a lei.

Ella prese posto nella più totale indifferenza delle altre quattro streghe. La vecchietta che l'aveva esortata a prendere posto sembrava l'unica a interessarsi a lei, probabilmente incuriosita dai suoi occhi marroni rossi di pianto.

- Ma che bella sorpresa! Una Guardiana in carne ed ossa, qui nella nostra stanza! - disse indicando con l'ossuto dito il collare dorato di Ella - Io sono Lamia. Capito? Lamia, con l'accento sulla "a". Hai capito? - Aveva una voce acuta dominata da un'inflessione lamentosa e graffiata dall'avanzata età.

- Sì... - Ella non capiva perché la strega le stesse parlando così - Sì ho capito. Io sono Ella.

- Ella! - ripeté la vecchina - Ma che bel nome! E dimmi, Ella, cosa ti porta qui da noi?

La Guardiana la fissò senza tentare di nascondere la sua incredulità.

- Io... Ho bisogno del vostro aiuto. Mi serve la vostra magia.

- Oh cara! Non è tempo di parlare di magia! Hai sete? Vuoi qualcosa da bere? Empusa! Empusa, vieni qui e renditi utile! - Lamia agitava le mani in modo ridicolo per richiamare l'attenzione di una delle sue sorelle.

Le streghe si votarono all'unisono nella loro direzione. Finalmente Ella poteva guardarle tutte in viso. Erano tutte ricoperte di rughe. Talmente anziane da raggiungere, insieme, il millennio di vita. Ed avevano tutte i capelli di un bianco candido, nascosti dal fazzoletto viola. I loro occhi erano tutti molto chiari, quasi trasparenti.

L'unica a fare eccezione era proprio Empusa. Era una bellissima e giovane ragazza, l'unica delle quatto ad avere il copricapo abbassato sulle spalle anziché in testa. Aveva dei capelli biondissimi, lunghi fino alle spalle e lisci come seta, e un paio di enormi occhi blu profondi come l'oceano. Le ciglia folte e nere sembravano fare a pugni con delle eleganti sopracciglia color biondo miele. Il minuscolo nasino aveva una punta sottilissima che, messa a confronto con quella delle altre streghe, sembrava tanto all'insù da poter toccare il soffitto. Il viso a cuore era dominato da una bocca rotonda dotata delle labbra più carnose che Ella avesse mai visto. Quando si alzò in piedi mise in mostra il fisico minuto ma talmente longilineo da sembrare, otticamente, più alta della Guardiana. La ragazza aveva un'espressione serissima.

- Cosa preferisci cara, - le chiese Lamia - estratto di radici o linfa di alberi?

- La linfa andrà benissimo.

- Hai sentito Empusa? Vai a prendere la linfa! - l'anziana donna continuava a gesticolare vistosamente. La giovane strega si avviò verso uno dei banconi mantenendo l'espressione impassibile.

- Ma... È vietato mangiare o bere nelle cuccette...

- Sciocchezze, Guardiana! Noi siamo streghe! I controllori hanno troppa paura di noi per obbligarci a rispettare le regole!

- Allora perché siete prigioniere del treno?

- Perché i proprietari del treno non hanno abbastanza paura di noi! - lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Empusa si avvicinò a loro, posando due tazze sul tavolo. Erano colme di un maleodorante liquido verdognolo che non aveva nulla a che vedere con la linfa che conosceva Ella. La Guardiana fece finta di berne un sorso, tentando di celare l'espressione di disgusto provocata dal nauseabondo odore.

- Allora cara, dimmi, che tipo di magia ti serve?

- So che voi streghe potete parlare con i morti, vorrei poter...

- Un incantesimo di contatto dunque! - Lamia la interruppe in malo modo - Quello che mi chiedi è difficile, ma si potrebbe fare. Da quanto tempo è morto colui che vuoi rivedere?

- Da un paio di settimane... Io vorrei...

- Speravo in qualcosa di più antico - la interruppe di nuovo - ma va bene. Medea! Nimue! Ecate! Venite qui! Sai cara, - disse rivolgendosi nuovamente ad Ella - non posso fare tutto da sola. La magia di cui hai bisogno è complessa.

Le tre streghe che Lamia aveva chiamato si alzarono a fatica dalle loro poltrone ed andarono ad accomodarsi vicino alla loro sorella. Sembrava avessero raccolto su di loro tutte le rughe del mondo.

- La Guardiana ha bisogno di un incantesimo di contatto! Ce la fate o devo fare tutto da sola? - disse con voce arcigna.

- Non ci penso proprio! Ci vorrebbe troppo tempo! - la strega che aveva parlato possedeva, se possibile, una voce ancor più acuta e lagnosa di quella di Lamia.

- Oh stai zitta Nimue! Ecate! Vieni qua! Aiutami tu! Che dici, è possibile?

La strega Ecate era forse la più vecchia del gruppo. Il suo viso era talmente rugoso da sembrare un frutto rinsecchito dopo essere rimasto troppo tempo sotto il sole di mezzogiorno.

- E non urlare, vecchia! - rispose urlando più forte - Certo che si può fare! La mia magia è forte, mica come la tua!

- Bada a come parli megera! Stai invecchiando a vista d'occhio! Ti sei completamente rincitrullita!

- Io direi di vedere prima quale sarà la nostra ricompensa. - a parlare era stata quella che Ella intuì dovesse chiamarsi Medea.

- Sempre così avida tu!

- Ma che dici! Sei tu ad essere troppo accondiscendente!

- Basta urlare! Mi state facendo venire il mal di testa!

- Brutte vecchie! Già mi tocca dividere la stanza con voi, ora sono pure costretta a lanciare incantesimi per farvi contente!

- A chi hai dato della vecchia?! Ma guardati! Hai la pelle che sta cadendo a pezzi e i tuoi denti stanno morendo di solitudine!

- Io da ragazza facevo strage di cuori! Mica come te, che facevi scappare a gambe levate persino i Posseduti!

- Ma che strage di cuori! Ma se sei brutta come la fame!

La situazione stava diventando surreale.

- Allora, potete aiutarmi? - Ella le interruppe timidamente.

Lamia si girò di scatto verso di lei, quasi come se si fosse appena ricordata che nella stanza c'era anche qualcun altro oltre alle sue sorelle.

- Ma certo che possiamo, cara! Ma naturalmente noi non facciamo mai niente per niente. Vogliamo qualcosa in cambio.

- Va bene, ditemi solo quale volete sia la vostra ricompensa.

- È semplice, vogliamo una piuma proveniente dalle ali di una Guardiana.

Ella le guardò incredula. Non pensava di dover specificare l'ovvio.

- Ma... io non ho più le mie ali... come faccio ad accontentarvi?

- Questo non è un nostro problema! - rispose secca Lamia. La sua voce si era fatta ancor più acuta. - Ti aiuteremo solo se soddisferai la nostra richiesta! In caso contrario, non potrai mai più rivedere il defunto!

- Ma come potrei...

- Saremo io, Nimue e Medea ad eseguire l'incantesimo. - per la terza volta non le permise di concludere la frase - Ecate ci guiderà. Sai, sembra una vecchia debole e inutile, ma in realtà è la più potente fra noi. Ha una grande conoscenza. Empusa invece è ancora un'apprendista, sta ancora imparando. Perciò è meglio che non prenda parte al rituale.

Ella rispose con un semplice cenno del capo. Non sapeva più cosa dire. Lamia afferrò la tazza che la strega bionda le aveva posato davanti, portandola alla bocca.

- Naturalmente dovrai anche fornirci un luogo in cui eseguire l'incantesimo. - disse fra una sorsata e l'altra.

- Ma hai detto che ai controllori non importa che andiate contro le regole... perché non utilizzate la vostra magia qui?

- Non si tratta di una regola. La magia sul treno è bloccata ovunque tranne che in alcune sale designate. Sono stati i proprietari del treno a ideare questo sistema per tenere sotto controllo i passeggeri magici. Usano una magia potente per muoverlo e per far funzionare le cose al meglio.

- Il treno è mosso dalla magia?

- Ma certo, sciocchina! Come credevi che facesse a correre sui binari?! Devo proprio spiegarti tutto! - bevve un altro luogo sorso di linfa maleodorante, poi riprese a parlare gesticolando - Ora vattene! Dobbiamo riposare! Sai, non so se te ne sei accorta, ma siamo molto anziane... - lo disse quasi bisbigliando, come se non volesse farsi sentire da un invisibile ascoltatore.

Sarebbe stata una situazione incredibilmente divertente se non fosse stata la cosa più assurda a cui Ella avesse mai assistito. La Guardiana si sollevò in piedi e provò a salutare quelle strane vecchiette. Quando si rese conto che non la avrebbero degnata di uno sguardo nemmeno se si fosse messa a sbraitare, lasciò la stanza in silenzio.

*****

- È aperto! - Daemon sembrava sapere già chi avesse bussato.

Ella aprì timidamente la porta, trovando l'Infiltrato comodamente sdraiato sul suo letto. Probabilmente recarsi nella sua stanza era la cosa peggiore da fare in quel momento. L'immagine del piccolo Tommy riverso a terra la stava tormentando, ma una parte di lei voleva a tutti i costi gettarsi fra le braccia del ragazzo. E poi c'era anche una vocina più che mai razionale dentro la sua testa, che le imponeva di raggiungere l'Infiltrato e di estorcergli una apparentemente insignificante informazione...

La Guardiana si adagiò al fianco del bel ragazzo moro, poggiandogli una mano sul petto e baciandolo con forzata leggerezza. Lui la cinse con un braccio, stringendola a sé. Quando lei intrufolò le mani sotto la sua camicia, lui le sorrise. Si baciarono a lungo, si abbracciarono, si spogliarono e rimasero a guardarsi per interminabili istanti.

Ogni volta che lui la toccava lei si sentiva rinascere. Eppure dopo ogni notte trascorsa insieme un pezzo di vita la abbandonava, quasi come se fosse un respiro che andava via. Ma, in fondo, che importanza aveva? Si sentiva felice come mai era stata fin ora. Si chiese se le sue sorelle avessero mai provato quelle sensazioni.

Quando finirono restarono per un po' avvinghiati insieme, con le dita intrecciate ed i respiri affannosi coordinati. Fu lei a sciogliere quell'unione. Si sollevò a sedere sul letto, fissando un punto a caso della stanza. Daemon restò sdraiato, con gli occhi chiusi.

- Daemon?

Le rispose con un mugolio svogliato.

- Jasmeen mi ha detto che vuole parlare con il Posseduto. L'Infiltrato, intendo... - mentì. Ma davvero sapeva cosa significava mentire?

- Lux?

Lux...

- No, non è lui... - mentì ancora.

- Lux è l'unico Posseduto fra gli Infiltrati che sono al momento sul treno, se Jasmeen voleva parlare con uno di questi, intendeva sicuramente lui.

È stato lui! È stato Lux a fare prigioniero Fenrir! Ma certo! Non poteva essere altri che quel mostro! Ma pagherà! Pagherà per tutte le atrocità che ha commesso!

- Forse mi sono sbagliata. Avrò capito male. - disse con finta calma.

Il suo sguardo si perse nel vuoto, fin troppo pensieroso.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


Il vagone ristorante pullulava di passeggeri come al solito. Quella confusione sarebbe stata l'arma vincente di Ella. La Guardiana si avvicinò con simulata indifferenza alle cataste di vassoi e allungò una mano verso quello che era l'alloggio delle posate.

Una lama sottile le illuminò il viso. Probabilmente era uno dei coltelli più affilati che avrebbe potuto trovare all'interno del vagone. La punta sembrava capace persino di tagliare l'aria. Certamente sarebbe stata in grado di trafiggere un cuore.

Ella rabbrividì per colpa dei suoi stessi pensieri. Non era sicura che stesse facendo la cosa giusta. E non era nemmeno sicura che avrebbe avuto la forza necessaria per compiere un atto tanto brutale. Ma aveva ripensato alle parole di Enom, che le dicevano di mantenere le promesse date ai suoi potenziali aiutanti, e sapeva che avrebbe dovuto trovarne il coraggio.

Non aveva nemmeno un vero e proprio piano. L'idea era quella di irrompere nella cuccetta del Posseduto e pugnalarlo a morte.

Strinse il manico del coltello fra le sue mani con tutta la forza di cui era capace, conficcandosi le unghie nella carne. Poi, ben attenta a non farsi vedere dal personale del treno, lo infilò all'interno della cintura della gonna, coprendolo infine con la blusa.

Raggiunse Lux mentre si trovava in uno dei corridoi, in compagnia di alcuni controllori e macchinisti. I membri del personale gli stavano parlando animatamente, esponendo problematiche relative sia al funzionamento del treno che al comportamento di alcuni passeggeri. L'Infiltrato li ascoltava distrattamente. Sembrava non avesse alcun interesse nei confronti dei loro discorsi. Annuiva ripetutamente nella speranza di toglierseli di torno il prima possibile. Ella ammirava l'intera scena da un corridoio adiacente, impaziente di poter raggiungere quella creatura maledetta. Sentiva la lama gelida premerle contro la pelle.

Il ragazzo congedò seccato gli uomini che stavano tentando di parlargli, percorrendo il corridoio in direzione opposta rispetto alla Guardiana. Lei non si diede per vinta, cercando un corridoio secondario che le permettesse di raggiungere il Posseduto e aggredirlo.

Dopo una interminabile serie di labirintici corridoi le si presentò l'occasione perfetta per attuare il suo piano. Lux era infatti passato davanti ad una "no rules room". Alla ragazza sarebbe bastato spingerlo lì dentro per poterlo uccidere senza ripercussioni.

Svoltò l'ennesimo angolo per potersi ritrovare finalmente davanti al suo bersaglio. La permanenza sul treno le aveva garantito una profonda conoscenza delle stanze e dei corridoi, permettendole di sfruttare utili scorciatoie. Si piazzò di fronte a lui, bloccandogli la strada. Il giovane sembrò sorpreso di vederla.

- Che vuoi? - sbraitò.

Ella non rispose. Avrebbe voluto dire tante cose, ma non ne aveva il coraggio. Poggiò una mano sulla vita, in corrispondenza del coltello. Tremava come una foglia.

- Allora Guardiana, che vuoi? - ripeté - Cos'hai di così importante da dirmi per cui vale la pena tenermi bloccato qui?

Lei gli si avvicinò ulteriormente, fissando i suoi inquietanti occhi rossi.

- Hai ucciso un bambino... - bisbigliò.

- E allora? Non è il primo e non sarà l'ultimo. Che altro vuoi?

- ...hai chiuso qui dentro Fenrir...

- Non mi ricordo nemmeno chi sia Fenrir. Spostati ora. Devo passare.

Ella mosse gli ultimi passi. Ormai era a pochi centimetri da lui. Sollevò leggermente l'orlo della blusa, pronta ad afferrare il coltello.

- Non vuoi spostarti? Come preferisci, ti farò cambiare idea io.

Il Posseduto mosse lentamente la mano sinistra in direzione di Ella. Lei non si spostò di un millimetro.

Le dita del ragazzo cominciarono ad allungarsi a dismisura, assottigliandosi, e iniziarono a muoversi in maniera scomposta, piegandosi in tutte le direzioni. Sembrava che il numero delle articolazioni fosse aumentato all'improvviso.

Quando Ella riuscì finalmente a distogliere l'attenzione da quello strano arto ed a guardare Lux in volto, rimase inorridita da ciò che vide.

Gli inquietanti occhi rossi erano diventati enormi, arrivando ad occupare persino la fronte del ragazzo. Le pupille si erano trasformate in due sottilissime strisce nere, che tagliavano le iridi in orizzontale. Il naso, già in origine poco pronunciato, si era appiattito ancora di più, fondendosi con la pelle circostante e lasciando visibili solo le due piccole fessure che erano le narici. La bocca si era allargata, riempiendo l'intera porzione inferiore del viso e spalancandosi in un malefico sorriso. Gli aguzzi canini che la popolavano si erano fatti più sottili e lungi, trasformandosi in taglienti spilli. Sembrava fossero anche aumentati di numero. Racchiudevano al loro interno, come fossero una gabbia bianca, una lingua appuntita che apparentemente viveva di vita propria. La cosa più spaventosa era la presenza, fra i denti, di sangue rosso vivo che pareva sgorgare da una invisibile ferita. Il collo aveva cominciato ad allungarsi verso l'alto, diventando morbido e snodato. Era come se non avesse più la forza di sorreggere la testa, che così veniva sballottata da un lato all'altro. L'intero corpo del ragazzo si fece più imponente, sovrastando la Guardiana, che si ritrovò ad essere squadrata dall'alto da quegli occhi rossi sbarrati.

Ella rimase pietrificata di fronte a quel mostruoso spettacolo. La mano che fino a qualche istante prima stava rapidamente cercando il coltello nascosto sotto i vestiti si era ora paralizzata, incapace di eseguire anche il più semplice dei movimenti. Sentiva il cuore pulsare talmente forte che credette di sentirlo uscire dal petto, rompendole le costole.

Le lunghissime dita del Posseduto si avvolsero intorno al braccio della ragazza. Come spesse corde indistruttibili la intrappolarono, premendo talmente forte sulla sua pelle da farle mancare il fiato per il dolore. Ella guardò terrorizzata la testa rotonda del Posseduto che ciondolava disordinatamente. Avrebbe voluto gridare, ma persino la sua voce sembrava essere scappata in preda alla paura.

- Forse avresti fatto meglio a spostarti, vero?

La voce del Posseduto suonava profonda e minacciosa. La testa del ragazzo si spostò proprio sopra Ella. Alcune gocce di sangue scivolarono lungo gli aguzzi denti, cadendo sulla Guardiana e imbrattandole la divisa. Le pupille del mostro erano minacciosamente puntate su di lei.

Quando l'altra mano di Lux si poggiò sul muro di fianco a lei, allungando le dita alle sue spalle per bloccarle ogni via di fuga, Ella credette di essere davvero perduta.

Il Posseduto avvicinò gli spaventosi denti al viso della Guardiana. Erano talmente aguzzi che avrebbero tranquillamente potuto perforare le lamiere del treno.

- Non ti uccido solo perché sei il giocattolo preferito di Daemon. - ansimò - Ritieni fortunata. Ora vai via. Tornatene nella tua stanza. E vedi di non intralciare mai più il mio cammino. Ora sai di cosa sono capace.

Solo a quel punto, con grande flemma, il mostro allentò la presa sul braccio della Guardiana. Sembrava si muovesse al rallentatore. A poco a poco i denti ridussero le loro dimensioni e gli occhi tornarono normali. Prima che l'Infiltrato riprendesse completamente il suo solito aspetto, Ella fuggì via senza dire una parola. La sua pelle aveva riscaldato talmente tanto la lama premuta contro il fianco da farla diventare quasi rovente.

*****

Ella giunse al vagone di ritrovo quasi in lacrime. Il piano di uccidere Lux era fallito miseramente. E probabilmente non esisteva alcun modo per succedere in tale impresa. Quella creatura nascondeva una natura demoniaca che le avrebbe permesso di difendersi da qualunque attacco.

E, come se non bastasse il dolore fisico che aveva causato ad Ella, aveva anche pronunciato delle parole che avevano ferito l'anima della Guardiana.

Il giocattolo di Daemon... Che cosa significa?

Si mosse distrattamente in direzione del gruppo di Imperiali con cui avrebbe dovuto discutere riguardo alla fuga. Si sentiva estremamente demoralizzata. Sembrava che ognuno, sul treno, volesse qualcosa che lei non poteva dargli in alcun modo. Troy voleva uno spirito della Dime, Abraham voleva rivedere suo figlio, le streghe, le uniche che avrebbero potuto parlare con Tyler, non avrebbero aiutato Ella senza avere in cambio una piuma proveniente dalle sue ali. E poi c'era la richiesta di Fenrir di uccidere il Posseduto. Richiesta che, probabilmente, era la più assurda ed irrealizzabile di tutte.

Enom le aveva detto di mantenere tutte le promesse, ma, a quanto pareva, si trattava di una cosa a dir poco impossibile.

Ella sentiva le speranze di fuggire affievolirsi inesorabilmente.

La Guardiana gettò una rapida occhiata ad un angolo del vagone che era rimasto insolitamente deserto. Solo una coppia di ragazzi stava occupando quello spazio, mentre gli altri passeggeri si tenevano a debita distanza. Quando si accorse dell'identità dei due, Ella capì immediatamente perché non c'era nessun altro intorno a loro. Si trattava di Daemon e di Eden.

I due Infiltrati stavano parlando pacatamente, ignorando gli altri passeggeri presenti nel vagone. Daemon era appoggiato alla parete a braccia conserte, mentre la ragazza bionda era in piedi davanti a lui, sorridendogli e toccandogli il braccio di tanto in tanto. Sembravano divertirsi molto.

Ella fu tentata per un attimo di avvicinarsi ai due. E magari di frapporsi proprio in mezzo a loro. Stava per muovere un passo nella loro direzione quando un gesto di Eden la fece immobilizzare.

L'Infiltrata si era accostata a Daemon ed aveva smesso improvvisamente di parlare. Lo fissava negli occhi con fare malizioso e gli aveva addirittura appoggiato una mano al petto. Sorrideva leggermente. E Daemon ricambiò quel debole sorriso, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi.

Poi lo baciò. Fu un bacio appassionato, da mozzare il fiato. Si avvinghiarono più stretti che mai, trasportati da una passione che Ella scrutava con invidia. Si accarezzarono il viso e i capelli, continuando a intrecciare le lingue per una manciata di secondi. Secondi talmente sporchi da sembrare lunghi meno di un battito di ciglia e talmente dolorosi da sembrare lunghi una vita intera.

La Guardiana si sentì avvampare. Una rabbia bruciante le nacque nel petto. Un sentimento enorme, avvolgente, esplosivo e malvagio la invase. Una sensazione talmente opprimente da farle desiderare di distruggere l'esistenza di Eden. Quella perfida Infiltrata non meritava un bacio. Non meritava carezze, né abbracci. E non meritava Daemon. Eppure, per qualche motivo, lui le aveva dato il permesso di toccarlo e di mordergli e leccargli le labbra. E per qualche motivo quell'intera scena stava distruggendo l'anima di Ella.

Si sentì persa, si sentì fragile e triste. E al tempo stesso nacquero in lei ferocia e una disperata voglia di vendetta. Il terribile nodo che le stava stringendo la gola la convinse a distogliere lo sguardo. Le sembrava di non essere più in grado di respirare. Ed era certa di non essere più in grado di vivere.

I suoi occhi si fermarono sul gruppetto di Imperiali capeggiato da Sara e Brix. Seduta in disparte c'era Jasmeen intenta a stringere le mani di un ragazzo dai capelli castani e gli occhi verdi. Sembravano molto affiatati. I due si stavano scambiando dei timidi e dolcissimi baci, isolandosi completamente dal resto della sala.

Deve essere la giornata dei baci...

Ella non poté fare a meno di provare, in cuor suo, un distruttivo e perverso odio.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo XVII bis ***


I tre Infiltrati stavano comodamente seduti su delle elegantissime poltrone in velluto blu con rifiniture dorate. Davanti al loro, appoggiati sul tavolino in vetro, c'erano una bottiglia quasi completamente vuota e tre bicchieri con dentro un liquido ambrato. La stanza era immersa nel più profondo dei silenzi.

L'Infiltrato con gli occhi rossi afferrò uno dei bicchieri, portandolo lentamente alle labbra, seguito a ruota dall'uomo maturo con i capelli dorati con ciocche grigie sparse.

- Allora Daemon - disse Lux - perché lo fai?

- Fare cosa? - gli rispose senza nemmeno guardarlo. Continuava a fissare il vuoto dritto davanti a sé.

- Hai capito di che parlo... tu e la Guardiana...

Daemon emise un piccolo sbuffo divertito. Le sue labbra si piegarono a formare il loro solito ghigno.

- Perché no? È bellissima. Ha un corpo da sogno.

- Tante passeggere hanno un bel corpo. - incalzò Troy, guardandolo di sbieco.

Daemon restò per alcuni attimi in silenzio. Afferrò uno dei bicchieri, poi riprese a parlare con un leggero schiocco della lingua.

- È un gran bel trofeo, no? D'altronde, chi altri potrebbe mai vantarsi di aver posseduto una Guardiana? - sul suo volto spiccava il caratteristico sorriso perverso.

- Hawk? - Troy sembrava volerlo provocare.

Daemon fece un'altra breve pausa. La sua espressione si fece d'improvviso molto più seria.

- Non ho mai sopportato quello sporco maiale.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo XVIII ***


Ella aveva passato la notte ripensando costantemente a quel bacio. L'immagine di Eden avvinghiata a Daemon la stava distruggendo e non riusciva neppure a capire il perché.

Si alzò dal letto ben prima che il sole sorgesse, quasi infastidita dalle coperte che la avvolgevano.

- Già sveglia? - la voce di Jasmeen fu talmente inaspettata da spaventarla - Non sei riuscita a dormire, vero?

- No! Direi di no! - era stata Sara a rispondere alla domanda. Aveva un tono piuttosto nervoso. A quanto pareva, il costante rigirarsi fra le lenzuola di Ella non le aveva permesso di chiudere occhio.

La Guardiana si avvicinò a Jasmeen in punta di piedi, mentre l'Imperiale bionda si stava mettendo a sedere a gambe incrociate sul suo letto.

- Ho pensato a tante cose. - le disse con voce dolce - Ho provato tante emozioni. Emozioni che non mi hanno fatto dormire. - Le sorrideva, quasi volesse rassicurarla.

- È per... Tommy?

- Anche. - sospirò Ella.

Per alcuni minuti non disse nient'altro. Jasmeen la fissò senza dire una parola, probabilmente consapevole di quanto la Guardiana avesse bisogno di silenzio in quel momento.

- Ma tu? Hai forse qualcosa da raccontarmi? - disse infine.

- Che intendi?

- Ieri sera ti ho vista al vagone di ritrovo. Eri in compagnia...

Ella poté chiaramente vedere i rosei zigomi dell'amica tingersi di rosso.

- Marcus? - disse prima di lanciarsi in una imbarazzata spiegazione - Dorme in una cuccetta alla fine del vagone... È il compagno di stanza di un amico di Pauli... Ed è sempre molto gentile con tutti, e anche molto spiritoso... E profuma di lavanda...

- Ti piace perché profuma di lavanda? - rise divertita Ella.

- Sì... Cioè, no... - Balbettò Jasmeen - Mi piace perché è... perché è lui. Perché è come è, per tutte le caratteristiche che lo distinguono dagli altri. - le brillavano gli occhi - Ella, non so se puoi capire quello che intendo. Non credo di riuscire a spiegarlo meglio di così.

- Sì lo capisco. Sai, stando qui, sul treno, ho cominciato a capire che alcune cose non si possono spiegare a chi non le ha mai vissute. Grazie per avermi sempre raccontato di cose che non potevo ancora comprendere.

Jasmeen la guardò con stampato in viso un mezzo sorriso incuriosito. Ella le prese la mano, guardandola dritta negli occhi. La ragazza bionda era a dir poco bellissima, aveva un'espressione dolce e sembrava sempre allegra e spensierata. Forse era stato questo che aveva fatto innamorare Marcus di lei.

Le due si concessero un lunghissimo abbraccio.

Jasmeen era l'unica non Guardiana che Ella avrebbe mai potuto chiamare sorella.

*****

Ella si avviò verso i bagni, desiderosa di lavare via la rabbia che la attanagliava. I corridoi erano quasi del tutto deserti. Probabilmente gli altri passeggeri stavano ancora dormendo beatamente. Quando arrivò presso la sua destinazione, non si stupì nel trovare anche questa quasi completamente vuota.

Aprì uno dei rubinetti, lasciando che l'acqua le scorresse fra le dita, prima di lanciarla sul suo viso. Lo specchio che le si stagliava davanti rifletteva un'immagine di lei stanca e sofferente. Inoltre, c'era qualcosa di strano nel suo riflesso. Un piccolo dettaglio che la faceva apparire diversa. Un dettaglio talmente minuscolo che Ella non riusciva a cogliere.

- Guardiana!

Una voce acuta e sbarazzina catturò la sua attenzione, impedendole di scrutare ulteriormente lo specchio. Quando si voltò restò sorpresa nel trovarsi davanti una piccola persona. Sembrava una sorta di Imperiale in miniatura. Ma non si trattava di una bambina, era diversa. Aveva delle proporzioni identiche a quelle di qualunque altro adulto, ma era più piccola. Come una copia in scala di un Imperiale. Sembrava addirittura più piccola dei bambini che Ella aveva visto. Arrivava a malapena all'altezza del suo ginocchio e il suo corpicino era poco più grosso del suo braccio. I minuscoli piedini erano nudi e sorreggevano le snelle gambe solo con l'aiuto delle punte, mentre i talloni erano sollevati dal pavimento, forse nel vano tentativo di aumentare la sua altezza. Ella non poté fare a meno di pensare alla regola che vietava di girare per il treno scalzi.

La piccola creaturina aveva un dolcissimo viso a forma di cuore su cui spiccavano degli enormi occhi verdi ricolmi di innocenza e un tenerissimo nasino dalla punta arrotondata, grande meno di una narice di Ella. I capelli erano biondi e più che mai lucenti. Sembravano riflettere ogni più piccola particella di luce emessa dalle lampade attaccate al soffitto. Erano acconciati in un disordinatissimo chignon dal quale fuoriuscivano numerose ciocche, quasi come fossero spruzzi d'acqua dorata che escono da una fontana.

La divisa di quel tenero essere era chiaramente cucita su misura ed aveva un collare verde brillante.

- Guardiana! - ripeté - Si dice in giro che tu stia organizzando una fuga!

Ella la guardò spaesata.

- Chi sei? Come fai a sapere della fuga?

- Oh, ne stanno parlando in giro alcune creature della Dime. Credo che vogliano unirsi a te. E anche io naturalmente! Portami con te, non ne posso più di stare rinchiusa qui! E mi mancano le mie ali...

- Posso sapere chi sei? - chiese nuovamente la Guardiana.

- Io sono Sorien. Sono una fata di luce. E voglio fuggire insieme a te!

- Potresti dirmi cos'è una fata di luce?

- Cosa? Che dici, Guardiana? Tu sei la regina della mia amata Dime! Come puoi non sapere chi sono i tuoi sudditi?

- Ho ignorato i miei sudditi per troppo tempo. - sospirò - Parlamene tu. Raccontami delle fate di luce.

- Siamo fate composte interamente di energia! Brilliamo e luccichiamo sempre e l'aria che ci circonda diventa elettrica. E abbiamo delle bellissime ali fatte di luce. Sono impalpabili ma possono portarci ovunque vogliamo. Siamo... siamo bellissime! - aveva uno sguardo sognante e sul suo volto era comparso un sorriso che metteva in risalto una fila di bianchissimi denti, talmente piccini da sembrare un'unica striscia perlacea.

- Ma tu non brilli. E non hai nemmeno le ali.

D'improvviso Sorien si rattristò. Sembrava che le sue emozioni fossero infinite volte più grandi di lei e che il suo corpo riuscisse a stento a contenerle.

- Qui sul treno sono costretta a nascondere le mie amate ali. Mi mancano tanto. Mi manca la sensazione dell'aria fresca sulla pelle. E mi manca il cielo. E mi mancano i boschi. - perse repentinamente il velo di tristezza che le copriva gli occhi, sostituendolo con una allegra grinta - Ma tu vuoi fuggire! Ed io ti aiuterò! Ascolta quello che ti dico, Guardiana! Se mai riuscirai a farmi usare nuovamente le ali, io le metterò per sempre al tuo servizio!

- Sorien, credo che la fuga non ci sarà. Forse non ho le capacità per farla accadere...

La fatina non le rispose. Si limitò a fissarla con un'espressione sorpresa. Ella girò i tacchi, dirigendosi verso l'uscita del bagno. Un pensiero la fece bloccare proprio quando si trovava sulla soglia della porta.

Una fata di luce... Qualcuno mi aveva già parlato delle fate di luce... Era stata Angie. No, Brix. No... no... Era stata Pauli! Aveva detto che erano state le fate a raccontarle del binario tortuoso. Loro sapevano di quel tratto della ferrovia...

Sì volto di scattò in direzione della piccola creatura con il collare verde.

- Sorien! - esclamò quasi urlando - Tu conosci il tragitto del treno all'interno della Dime, vero?! Tu sai quando ci passeremo, vero?! - non riusciva a contenere l'entusiasmo.

- Sì certo che lo so, Guardiana. Le mie sorelle riempiono così tanto l'aria di elettricità che mi basta respirarla per capire quanto sono distanti da me. - lo stava dicendo come se fosse una cosa troppo ovvia per doverla specificare.

- Ti prego, dimmi quanto manca al binario tortuoso. Quello sulla collina che affianca la Dime. Quel tratto in cui il treno rallenta.

La piccola fata riflettè per alcuni istanti prima di rispondere.

- Siamo passati attraverso la Dime ormai più di un mese fa... quindi... - rivolse lo sguardo verso l'alto, appoggiando l'indice sul mento - quindi non dovrebbe mancare molto. Circa due settimane, forse poco di più. Te lo saprò dire con maggiore precisione fra qualche giorno.

La Guardiana si gettò a terra, attraversata da un sorriso esplosivo. Strinse le manine di Sorien fra le dita, lasciando che dalla sua bocca uscisse un fiume di ringraziamenti.

- Sorien! Ce la faremo! Fuggiremo! E tu sarai al mio fianco! E volerai di nuovo!

- Grazie Guardiana! - sembrava felice come non mai - Sarò al tuo servizio!

*****

L'incontro con la simpatica fatina aveva restituito ad Ella una speranza che credeva non le appartenesse ormai più. Sapere il momento esatto in cui il treno avrebbe attraversato il binario tortuoso era vitale per la buona riuscita del piano di fuga. E ora che Sorien aveva calcolato con grande precisione il tempo che mancava prima di raggiungere quella peculiare porzione della Dime, l'idea della libertà si era improvvisamente avvicinata.

Ella sapeva che avrebbe dovuto parlarne al più presto con gli Imperiali. Sfortunatamente avrebbe dovuto rimandare ogni discussione al giorno dopo, dato che, nel pomeriggio, la maggior parte di coloro che stavano organizzando la fuga erano stati costretti ad eseguire delle operazioni di manutenzione sul treno, guidati dai macchinisti. Anche Jasmeen e Sara erano state obbligate a prendere parte ai lavori. La Guardiana, invece, era stata stranamente esonerata.

Era rimasta fin quasi alla sera seduta ad uno dei tavoli del vagone di ritrovo, da sola, in attesa della cena. La sua mente era un turbinio di pensieri.

Daemon le comparve davanti inaspettato. Sorrideva come al solito. Ella non si voltò nemmeno per guardarlo. Continuò a fissare un punto a caso dritto davanti a sé, esponendo il profilo del suo volto agli occhi dell'Infiltrato.

- Che dici, Guardiana, mi raggiungi nella mia stanza?

- Non sono la tua schiava. Ti raggiungo quando e se ne ho voglia.

Lui rise di gusto, passandosi una mano sulla bocca.

- Capisco. Però vedi... io sono un Infiltrato. Il che significa che comando quasi l'intero treno. E tu sei una prigioniera. Il che che significa che sei costretta ad eseguire qualunque mio ordine. E se io ti ordino di andare nella mia stanza, tu devi scattare in piedi e raggiungerla senza obiettare. Tutto chiaro?

Ella si voltò finalmente verso il ragazzo, rivolgendogli un'occhiata carica di disprezzo.

- Oh, non fare così. - la canzonò lui - So per certo che non ti è dispiaciuto dormire lì nelle scorse notti. - si fece serio d'improvviso, aggrottando le sopracciglia scure - Alzati immediatamente e vai nella mia stanza.

Ella trovò molto più saggio acconsentire senza controbattere. Doveva concentrare ogni sua energia sulla fuga. E per riuscire nel suo intento sarebbe stato meglio fare buon viso a cattivo gioco.

*****

Sì abbandonarono per breve tempo a baci e coccole, avvolti dalle morbide lenzuola nere. Ormai sembrava diventata quasi una routine.

Dopo un po' Daemon aveva sciolto l'abbraccio in cui erano sprofondati per cercare, fra le ante della credenza, qualcosa con cui cenare.

- Le Anziane sono davvero... anziane? - le chiese mentre rovistava fra le mensole.

- Cosa?

- Voglio dire... si chiamano Anziane perché sono vecchie? Hanno le rughe o la gobba? O assomigliano a te?

- Le rughe come le streghe intendi? No, non sono così. Assomigliano a me.

- Allora sono giovani?

- No, sono vecchie. Ma non hanno rughe. Loro sono vecchie negli occhi.

- Ah, quindi sono cieche. - scherzò lui prima di lanciarle una morbida pagnotta.

Il ragazzo le porse poi un coltello con cui tagliare delle fette di pane. Ella strinse la lucente lama fra le dita. I ricordi di Lux e del tentativo di ucciderlo la invasero. Le tremavano le mani di rabbia.

Appoggio il filo della lama sulla crosta del pane. Premette con tutta la forza che aveva in corpo, quasi come se la sua mano fosse guidata da tutto l'odio e la disperazione che aveva provato. Premette talmente forte che il coltello scivolò fino a raggiungere la sua mano sinistra, incidendola a fondo e aprendo una dolorosa ferita.

- Ti sei tagliata? - le disse Daemon - Aspetta, ho delle garze da qualche parte.

La Guardiana rimase a fissare il profondo taglio che si era accidentalmente inferta. La zona intorno alla ferita stava cominciando ad arrossarsi e alcune gocce di sangue stavano lasciando il suo corpo. La ragazza era incredula. Quel taglietto non stava guarendo.

- Ella...

La ferita era ormai diventata rossa. Non si sarebbe richiusa. Il sangue si stava accumulando e a breve avrebbe cominciato a gocciolare.

- Ella!

Gli occhi della Guardiana erano puntati sulla mano. Il sangue stava percorrendo la sua pelle, fuoriuscendo copioso. Quella ferita sarebbe rimasta lì. Non sarebbe mai guarita in pochi istanti, come era sempre accaduto. Se ne sarebbe andata solo con il tempo, lasciando al suo posto una piccola cicatrice. Ella aveva perso quel dono che la rendeva speciale. Aveva perso quella incredibile capacità di risanare il suo corpo in pochi secondi. Sarebbe stata per sempre vulnerabile.

- ELLA!

Lei si voltò con un sussulto. Daemon le stava porgendo alcuni pezzi di garza bianca. Lei allungò una mano tremante e le afferrò con delicatezza.

- Metticele sopra. E stai attenta a non sporcare le lenzuola. Il sangue è difficile da togliere.

Ella restò a fissare il taglio, ammutolita. Sentiva un immenso dolore squarciarle l'anima. Una parte di sé era stata definitivamente distrutta. Il treno la stava lentamente uccidendo. E non sarebbe mai più riuscita a guarire.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo XIX ***


Ella cercò in mezzo alla miriade di persone presenti nel vagone di ritrovo un gruppetto di volti noti. Sapeva di non essere eccitata come la situazione richiedeva. Sentiva la ferita alla mano pizzicare e il sangue, che aveva continuato a fuoriuscire anche durante la notte, aveva macchiato le garze, costringendola a cambiarle più di una volta.

Il solito gruppo di Imperiali, fra cui spiccavano naturalmente Jasmeen, Sara e Brix, era seduto intorno a un tavolino, apparentemente a chiacchierare di sciocchezze. Ella sapeva bene che, nascosta da un'aria innocente e da risatine frivole, si celava invece la scaltra organizzazione del piano di fuga.

Si avvicinò al gruppo con ampie falcate, mettendosi a sedere proprio di fianco a Brix. Fu sorpresa nel vedere anche Noah e Maya. Gli Imperiali sembravano non andare molto d'accordo con i due magicanti. Forse erano soltanto spaventati dalle loro diversità.

La Guardiana finse un sorriso nel vanno tentativo di camuffare l'espressione triste degli occhi, poi cominciò a parlare.

- Ci sono ottime notizie! Una fata di luce, Sorien, mi ha detto quanto tempo manca, approssimativamente, perché il treno raggiunga il binario tortuoso. Stando a quello che mi ha riferito, dovremmo avere circa due settimane di tempo.

Gli Imperiali si scambiarono alcune rapide occhiate.

- Ce le faremo bastare. - rispose secco Brix.

- Tu che mi dici? Come procede la costruzione del globo?

- Diciamo che procede a rilento. Il fatto di non avere una stanza sicura a disposizione ci sta penalizzando parecchio. Al momento abbiamo pronta soltanto la guida di metallo esterna. Come pensavo, la forma sferica è decisamente la migliore. Sarà più facile da lanciare e raggiungerà con più facilità le ruote del treno. In ogni caso... mancano ancora molti pezzi.

- Va bene, possiamo farcela! Non preoccupatevi, troverò il modo di usare una no rules room, così potrete velocizzare il processo di costruzione.

Brix annuì.

- Dobbiamo anche capire qual è il punto migliore da cui lanciare il globo. Potrebbe essere necessario aprire uno dei finestrini sigillati. - sospirò sconsolato, in un modo che Ella non capì - Hai detto che sei riuscita a convincere un lupo grigio ad aiutarci. Potremmo essere costretti ad usare la sua forza...

Brix sembrava riluttante, quasi come non volesse avere nulla a che fare con Fenrir.

- Sì, la forza del lupo grigio è a nostra disposizione. È una bella notizia, no?

- Ella... - Jasmeen prese parola - I lupi grigi sono pericolosi. Tutte gli esseri che abitano il Vortice lo sono. Secondo noi ti stai fidando delle creature sbagliate.

- Magari è proprio per questo che riusciremo a scappare. - la Guardiana era indispettita - Magari ci serve l'aiuto di creature diverse da noi. Magari è per questo motivo che siete rimasti prigionieri di quest'incubo per anni! Forse dovreste smetterla di costruire un muro attorno a voi che vi allontani da tutte le creature che non fanno parte della vostra razza!

Era arrabbiata. Non si rese nemmeno conto di quanto quella frase suonasse ridicola detta proprio da una delle Guardiane. I presenti la guardarono sorpresi, ma nessuno ebbe il coraggio di ribattere.

Si alzò rapida dalla sedia, dirigendosi verso la porta. Non aveva più voglia di discutere. In fondo, aveva già parlato di Sorien e di quello che la fatina le aveva detto. Non c'era più motivo di restare nella stanza. Sarebbe potuta tornare nella sua cuccetta, magari per cambiare nuovamente le garze e per sciacquare la ferita, che, nel frattempo, aveva cominciato a bruciare prepotente.

Una voce femminile catturò però la sua attenzione. Eden, in piedi vicino ad alcuni divanetti, stava parlando con due controllori e un macchinista. Ultimamente sembrava che l'Infiltrata avesse preso di mira proprio il vagone di ritrovo preferito da Ella, dato che la Guardiana la vedeva spesso rilassarsi fra tavoli e poltroncine. Oppure fra le braccia di Daemon.

Aveva i capelli raccolti in una odiosa coda alta come al solito. E stava parlando con la sua voce sgraziata e fastidiosa. Tutto di lei sembrava dare sui nervi ad Ella. Ogni movenza dell'Infiltrata alimentava la rabbia che la stava consumando. Ogni più piccolo gesto le faceva desiderare di distruggerla.

La Guardiana avvertì nuovamente quella strana e bruciante sensazione che si era impossessata di lei anche quando la aveva vista avvinghiarsi a Daemon. Una sensazione che la spingeva a far del male a qualcuno. E il miglior bersaglio non sarebbe potuto essere altri che Eden.

Ricordò di come quella spietata Infiltrata la aveva colpita al volto, facendola cadere a terra. Ricordò il suo sorriso quando Lux aveva ucciso Tommy. Ricordò il suo ghigno quando Daemon la aveva trascinata nella sua stanza. Non c'era altro che cattiveria in lei.

Quel suo visetto antipatico, quella sua insopportabile risata, quel suo crudele modo di fare... tutto di lei meritava una punizione...

Ella afferrò una piccola lampada appoggiata su uno dei tavolini. Lo fece senza pensarci, come se la sua mano si stesse muovendo da sola. La strinse con forza e poi la scagliò in direzione di Eden con inaudita violenza. Il vetro che la componeva si andò a frantumare in mille pezzi colpendo il muro dietro l'Infiltrata, mancandola solo di qualche centimetro.

Lei trasalì e si voltò nella direzione da cui proveniva l'oggetto con uno sguardo fra il sorpreso e lo spaventato. Quando si accorse che era stata la Guardiana a lanciare la lampada, la sua espressione cambiò, sollevò il mento e restò a fissare la sua rivale con aria di sfida. Le due rimasero a scrutarsi per interminabili secondi.

Nel frattempo Jasmeen era scattata in piedi, pronta a correre verso l'amica. Sara l'aveva però fermata, consapevole di quanto stava per accadere.

Una guardia si presentò all'interno della sala. Solo la sua voce metallica fu in grado di far concludere il gioco di sguardi che si era venuto a creare tra Ella e Eden.

- È vietato aggredire il personale del treno è vietato danneggiare gli gli oggetti contenuti nel treno è vietato aggredire il personale del treno è vietato...

Le sopracciglia di Ella, prima aggrottate in una smorfia d'odio, si sollevarono lasciando sfuggire la paura che la guardia provocava in lei. Quella disgustosa creatura stava cominciando a modificare il suo aspetto, lasciando cadere la mandibola e facendo sì che occhi e capelli si squagliassero.

La ragazza provò a indietreggiare di qualche passo, ma il mostro allungò una mano e la afferrò saldamente, graffiandola con gli artigli appena spuntati. Dopo di che, con una forza quasi incredibile, la trascinò fuori dal vagone di peso. Vani furono i tentativi di Ella di sfuggire a quella morsa. Sembrava che più si dimenasse, più la guardia stringesse la presa.

L'ultima cosa che vide prima di essere portata via furono i grandi occhi verdi di Jasmeen, terrorizzati.

*****

Ella si rifiutò di camminare per l'intero tragitto, lasciandosi trascinare sul pavimento. Combatté la guardia con calci, pugni e persino morsi. Ma quell'essere sembrava non solo impassibile a tutto, ma anche indistruttibile. Pareva che non provasse dolore e che niente fosse in grado di ferirlo. Al contrario, quella creatura era stata in grado, con i suoi artigli, di aprire profondi tagli sul braccio di Ella, lacerando anche la manica della divisa. Tagli che erano ben lontani dal guarire e che ora stavano iniziando a sanguinare.

Arrivarono davanti ad una porta chiusa dopo diversi minuti. Di fianco all'ingresso svettava un piccolo cartello con su scritto "M-601". A causa dello sfregare contro il pavimento, la gonna della divisa della ragazza si era leggermente sgualcita.

La guardia spalancò la porta senza neanche toccarla. Ella non ebbe il tempo di chiedersi come avesse fatto, dato che venne lanciata all'interno della stanza con violenza, ricadendo pesantemente sulle dure mattonelle.

La sala in cui si trovava doveva essere una sala di tortura, come quella in cui lei e Jasmeen erano state chiuse alcuni giorni prima, anche se era decisamente più grande. Emanava la stessa atmosfera cupa e terrificante ed anche in questo caso erano presenti sedie e catene, addossate alla parete destra. A differenza della stanza conosciuta da Ella, però, conteneva anche, disposti sul lato sinistro, alcuni armadi e un lunghissimo tavolo su cui erano gettati alla rinfusa spranghe metalliche, pinze, tenaglie, fruste, siringhe e diversi tipi di coltelli. C'erano anche altri oggetti, ma la ragazza non seppe riconoscerli.

Mentre scrutava spaventata gli orrori contenuti nella stanza, la guardia le si avvicinò inesorabilmente. La mandibola sembrava essersi dislocata, visto che si muoveva in modo bizzarro all'altezza del bacino della creatura, quasi fosse uno strano pendolo. Gli occhi si erano del tutto liquefatti, lasciando al loro posto delle orbite vuote e profonde. Anche i capelli sembravano squagliarsi, colando ai lati del viso deformato e assumendo sempre più le sembianze di sangue nero e denso. Una delle sue mani si avvicinò pericolosamente ad Ella. Ora che la vedeva da vicino, si rese conto che quelli che inizialmente sembravano artigli non erano altro che appuntite ossa fuoriuscite dalla pelle delle dita.

L'irruzione di un uomo e una donna all'interno della stanza si rivelò provvidenziale. Si trattava di due controllori.

- Che succede... sparisci tu! - disse l'uomo rivolto alla guardia.

La creatura si ricompose in pochi secondi ed uscì dalla stanza. Ella non sarebbe mai riuscita ad abituarsi a quella ridicola indifferenza che le guardie mostravano quando venivano congedate, quasi come se non ricordassero nulla di quanto appena accaduto.

- E questa chi è? - disse poi la donna riferendosi ad Ella.

- Che importa. Legala, faccio mandare qui qualcuno.

La donna si avvicinò a lei, facendosi poi aiutare dall'altro controllore per sollevarla e spingerla contro il muro. Venne legata in modo tale da rimanere adiacente alla parete, con le braccia sollevate verso l'alto e i polsi uniti insieme, mantenuti dolorosamente attaccati da delle strette manette di metallo. Le legarono anche le caviglie, forse per impedirle di scalciare.

Poi la lasciarono da sola, richiudendo la pesante porta di ingresso e facendo piombare la stanza in un'inquietante oscurità. La mancanza di finestre e le luci artificiali spente rendevano il buio che avvolgeva Ella talmente denso da impedirle persino di respirare. L'unica cosa che riusciva ad avvertire era il sangue che le colava dal braccio.

Rimase così talmente a lungo che le sue mani iniziarono a detestare le manette e i suoi occhi iniziarono ad amare le tenebre.

Una voce familiare la riportò alla realtà. La porta si spalancò, lasciando entrare un fascio di luce talmente prepotente che le pupille della Guardiana divennero quasi invisibili, esponendo le iridi marroni.

- Va bene, me ne occupo io. - era la voce di Daemon.

Quando il ragazzo entrò nella stanza, sembrò sorpreso di trovarla legata lì. Evidentemente i controllori che lo avevano avvisato della presenza di un passeggero nella stanza M-601 non avevano specificato di chi si trattasse.

L'Infiltrato afferrò una delle sedie posizionate vicino ad Ella, la posizionò proprio davanti a lei e vi si sedette al contrario, a cavalcioni, appoggiando lo sterno contro lo schienale. Rimase a fissarla sorridendo, mentre lei ricambiava lo sguardo seria.

- Mi hanno detto che hai aggredito Eden.

- Non l'ho aggredita. Le ho lanciato contro un oggetto nella speranza di colpirla. È diverso.

- Ah capisco. - rise lui - Effettivamente è molto diverso.

- L'ho mancata, se può interessarti.

- Oh, ne sono molto sollevato. A questo punto il mio consiglio è quello di esercitarti a prendere meglio la mira. - rise di nuovo - Se devi essere torturata, che sia per un motivo valido. - tornò improvvisamente serio - Perché lo hai fatto? Non è un comportamento tipico di una Guardiana.

- Vuoi torturarmi?

- Ti ho fatto una domanda.

- E io l'ho ignorata.

Daemon si alzò, allontanando la sedia con un calcio. Si avvicinò lentamente ad Ella, fino ad essere così vicino da potersi appoggiare a lei. I loro volti erano quasi in procinto di sfiorarsi. Si guardarono. Ella poteva chiaramente sentire il delicato respiro del ragazzo che premeva contro il suo torace.

- Ma che ti è preso? - le chiese. Aveva una voce tranquilla. Non sembrava nemmeno volere una vera e propria risposta.

- Eden se lo meritava. Si merita anche di peggio. Le ho solo fatto prendere uno spavento. La prossima volta le lascerò addosso una cicatrice che le faccia ricordare per sempre tutto il male che ha fatto agli altri.

- Buona fortuna allora. - la derise lui - Fammi sapere se mai ci riesci. Sarà un giorno da ricordare. - aveva un chiaro tono sarcastico.

- Magari ci riproverò la prossima volta che ti bacierà.

- Cosa? - rise di gusto - Sei gelosa?

Ella rimase in silenzio per qualche secondo. Non aveva idea di cosa significasse quella parola.

- Allora, vuoi torturarmi? - disse lei infine.

Daemon avvicinò le labbra all'orecchio della Guardiana.

- Per stavolta te la cavi senza un graffio, - le sussurrò - ritieniti fortunata.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo XX ***


Le ferite sul braccio non avevano dato tregua ad Ella. Bruciavano come il più ardente dei fuochi. Jasmeen le aveva spiegato che correvano il rischio di infettarsi, se non adeguatamente pulite. Aveva poi aiutato l'amica a cambiare le bende ed a lavare con cura i tagli, operazioni, queste, che sembravano aver alleviato un po' il dolore.

Jasmeen era stata gentile come al solito nell'offrirle il suo aiuto, ma Ella aveva avuto l'impressione che l'amica avrebbe davvero fatto qualunque cosa per lei, se fosse stato possibile avrebbe persino preso su di sé le sue ferite.. Quando la Guardiana era rientrata in camera le sue compagne di stanza le avevano gettato le braccia al collo dalla gioia. Jasmeen aveva addirittura le lacrime agli occhi. Si erano preoccupate molto per lei e vederla tornare sana e salva, con solo qualche graffio, era stato un immenso sollievo.

Eppure, benché Ella fosse contenta dell'affetto che le sue amiche provavano per lei, si sentiva comunque triste.

- Sono stanca. - aveva detto a Jasmeen durante l'ennesimo cambio di garze - Forse il treno mi sta facendo ammalare.

- Il treno fa ammalare tutti.

- Ma tu e Sara non sembrate distrutte. Eppure siete qui da tanto... perché non avete mai provato a scappare?

- Forse aspettavamo te. - le aveva risposto Jasmeen sorridente.

Ella era rimasta profondamente sorpresa dalla speranza che albergava nello sguardo dell'amica.

Dopo due giorni in cui la Guardiana aveva vissuto nella più completa apatia, Sara e Jasmeen avevano deciso di costringere la compagna di stanza a fare una colazione decente.

*****

Il vagone ristorante sembrava stracolmo, anche più del solito. E si era fatto improvvisamente più colorato. Solitamente era una distesa grigia quasi uniforme, mentre quella mattina assomigliava più ad un arcobaleno. Collari multicolore la circondavano e occhi dalle sfumature più disparate la fissavano, alcuni in maniera diretta, altri un po' più discretamente.

Persino Jasmeen si accorse dell'insolita folla che si stava raccogliendo intorno alla Guardiana. Lanciò all'amica un'occhiata interrogativa, a cui Ella riuscì a rispondere solo con un'alzata di spalle.

- Guardiana! - la voce squillante di Sorien ruppe quel silenzio quasi mistico. Era incredibile come, nonostante l'irrisoria statura, la fatina riuscisse a spiccare su tutti i presenti con una personalità tanto scoppiettante quanto forte. - È un piacere trovarti qui! Come vedi, non sono la sola che ti stava aspettando.

Di fianco a lei c'erano altre tre fatine della sua stessa statura. Le assomigliavano moltissimo, sembravano delle copie l'una dell'altra. L'unico dettaglio per cui differivano era il colore dei capelli. Le tre amiche di Sorien avevano le chiome di sfumature diverse rispetto a quelle della fata che aveva aiutato Ella. Una aveva i capelli di un tenue azzurro, un'altra lilla e la terza rosa pallido. Avevano però tutte la stessa acconciatura, composta da uno chignon disordinato dal quale fuggivano numerose ciocche. Anche loro, inoltre, erano scalze e si reggevano in punta di piedi.

Attorno a loro, molte altre creature stavano immobili ad attendere un cenno di Ella. C'erano bellissime donne dagli occhi privi di pupilla e dal collare identico a quello delle fate. C'erano eteree sacerdotesse con collari di un verde più scuro. C'erano diversi magicanti di ambo i sessi e di tutte le età. C'erano persino un affascinante uomo dai lineamenti appuntiti e il collare di un bianco purissimo e una bizzarra creatura, quasi interamente ricoperta di pelo, che Ella seppe neanche lontanamente identificare.

La Guardiana li osservava confusa, restando in silenzio in attesa che Sorien le spiegasse qualcosa.

- Tutte queste creature della Dime vogliono seguirti fuori dal treno. - la fata di luce sembrò cogliere i pensieri di Ella - Vogliono fuggire insieme a te. Guardiana, ci stai donando una nuova speranza.

Ella si scoprì sinceramente imbarazzata. Aveva definitivamente perso le parole. Avrebbe voluto rassicurare tutti, avrebbe voluto dire loro che la libertà era vicina.

La verità era che l'unica ad aver bisogno di rassicurazioni era proprio lei.

Sorrise debolmente.

- Sarai la nostra comandante! La nostra nuova leader!

Jasmeen non riuscì a trattenere una piccola risata, di fronte alla tenacia della minuscola fatina.

Leader? Ma so davvero cosa significa?

- Leader... mi piace come suona. - disse infine - Creature della Dime, ascoltatemi! - la sua voce suonava solenne come non lo era mai stata, forse come non era mai stata in grado di essere - Ve lo prometto! Farò tutto quanto è in mio potere per riuscire a fuggire da qui! E voi verrete con me!

Si voltò verso le sue compagne di stanza, riempita da nuova forza.

- Da ora in poi Sara e Jasmeen, le Imperiali, saranno le mie vice! Ogni parola detta da loro sarà come una parola fuoriuscita dalle mia labbra! Mi fido ciecamente di loro e so che anche loro ripongono fiducia in me! Per questo motivo da ora in poi le chiamerò sorelle! E in tre saremo una cosa sola! E guideremo la fuga!

Gettò lo sguardo verso il gruppo di Imperiali che la osservavano da lontano, scorgendo un ragazzo dai capelli corvini

- Brix sarà il mio portavoce fra gli Imperiali! Se riusciremo a scappare sarà soprattutto per merito suo! La sua determinazione sarà il nostro faro! Il suo coraggio sarà il coraggio di tutti noi!

Fece un'alta breve pausa. Un ardente sorriso la attraversava.

- Maya e Noah saranno la mia voce magica! La loro collaborazione sarà preziosa! E il loro aiuto sancirà per sempre un patto fra Imperiali e magicanti! Da ora in avanti stabilisco che le due razze siano legate indissolubilmente! Non ci saranno più diffidenza e paura, nessuna razza vivrà come sottoposta dell'altra! Vivranno insieme come se fossero state unite fin dalla notte dei tempi!

Si rivolse infine a Sorien, fissandola nei grandi occhi verdi. La fatina sostenne lo sguardo fiera.

- E tu, Sorien, coordinerai tutte le creature della Dime che vorranno unirsi a me! Farò in modo che tu possa usare di nuovo le tue ali! E allora tu non sarai al mio servizio, bensì al mio fianco! E farò anche in modo che ogni abitante della Dime ritrovi finalmente la sua casa, al di fuori di questa maledetta prigione! Lontano dalle regole del treno!

*****

La porta della stanza di Daemon era chiusa come al solito. Ella rimase a scrutarla a lungo, chiedendosi se davvero avrebbe voluto bussare. Le emozioni che provava si erano fatte ogni giorno più intense, spaventandola sempre di più. E l'Infiltrato ne era parzialmente responsabile. Avrebbe voluto gettarsi fra le sue braccia. Avrebbe voluto riempirlo di baci. Avrebbe voluto aggredirlo e ferirlo. Avrebbe voluto urlare, scappare il più lontano possibile. E poi corrergli incontro. Era stravolta da talmente tanti pensieri che riordinarli secondo un criterio logico era impossibile.

Sollevò una mano, talmente a rilento da sembrare che pesasse più delle montagne della Dime. La appoggiò alla fredda porta metallica. Abbassò il mento e chiuse gli occhi per un istante.

Quando finalmente trovò il coraggio di bussare, Daemon la invitò ad entrare come già aveva fatto tante altre volte.

La stanza dell'Infiltrato stava cominciando a diventare fin troppo familiare per Ella. E il suo letto era diventato il luogo più sicuro dell'intero treno.

Si baciarono per un po' prima che lui le sfilasse la blusa e si accorgesse delle garze che le fasciavano l'intero braccio destro.

- Sono state le guardie?

Lei gli rispose con una semplice alzata di spalle.

- Aspetta... dovrei avere un unguento da qualche parte... dovrebbe far diminuire il dolore.

Si allontanò da lei per rovistare dentro uno dei comodini. Non sembrava particolarmente preoccupato. Pareva che non gli impostasse molto di quelle ferite.

- Le guardie sono come te? - gli chiese d'improvviso Ella - Sono Imperiali?

- No. Non sono veri e propri esseri viventi. Sono degli involucri vuoti. La magia garantisce loro lo stesso aspetto degli Imperiali. Solo che, quando qualcuno viola le regole, la magia li fa diventare più forti e aggressivi e non è più in grado di mantenere il loro aspetto normale.

- Sono stati dei magicanti a incantarli?

- Non lo so. Saranno stati i costruttori del treno.

- E non sai se sono magicanti o no? Non dovresti conoscerli? Ricevi ordini diretti da loro, dovresti sapere chi sono.

Daemon rise.

- Quelli di cui parli tu sono i proprietari, non i costruttori. Loro saranno morti ormai da un pezzo.

- Vuoi dire che il treno è stato costruito così tanto tempo fa?

L'Infiltrato si sciolse in una risata canzonatoria.

- Il treno è antichissimo. Non ho idea di quanti secoli fa sia nato, ma credo che esista da quando esiste la schiavitù. Sai... forse dovresti smetterla di pensare che il mondo degli Imperiali sia così bello e accattivante. Perché... indovina un po'! Non lo è.

Si avvicinò a lei deciso. A quanto pareva aveva rinunciato a cercare l'unguento. Le poggiò l'indice sotto il mento, costringendola a sollevarlo e a guardarlo negli occhi. Ghignava come al solito.

- Magari ora possiamo anche smettere di parlare. - le disse, prima di poggiare le sue labbra su quelle di Ella.

Si strinsero delicatamente, mentre lui faceva scivolare una mano lungo il suo braccio. Ella poteva sentire il profumo del suo respiro. Le loro limite si cercavano, intrecciandosi veloci.

Si baciarono a lungo, prima di spogliarsi completamente e gettarsi fra le scivolose lenzuola di seta. Lui le posò le labbra su ogni centimetro della sua pelle, facendola sussultare di piacere. Le loro gambe si avvinghiarono, permettendo loro di avvicinarsi talmente tanto da diventare una cosa sola. L'Infiltrato si mise sopra di lei, accarezzandole teneramente i morbidi boccoli castani e facendola fremere dal desiderio. Lei gli mordicchiò il labbro, sorridendo della sua stessa intraprendenza.

I loro occhi si persero gli uni negli altri.

Sembrava stessero combattendo una lenta guerra di passione. Una battaglia che li avrebbe lasciati senza fiato, quasi come se fossero stati in procinto di annegare, e che li avrebbe visti entrambi vincitori.

L'abbraccio di Daemon si faceva più caldo ogni giorno che passava. Forse erano proprio le sue braccia ad essere il luogo più sicuro del treno.

*****

Rimasero a letto per un po'. Forse alcuni minuti, forse ore. Il tempo improvvisamente non aveva più significato.

Infine Ella si costrinse a sollevarsi, sedendosi sul materasso. Daemon rimase sdraiato.

- Sei innamorato di Eden?

- No.

- Allora perché la baci e la stringi?

- Perché no? Eden è bella. Perché non dovrei farlo?

- Tu e lei avete diviso lo stesso letto?

- Qualche volta. - Daemon rispondeva svogliato.

Ella restò per qualche attimo in silenzio.

- E Eden è innamorata di te?

Daemon rise di gusto.

- No. - rideva come se quella domanda avesse una risposta talmente scontata che non valesse nemmeno la pena porla - Non credo che Eden sia in grado di innamorarsi di qualcuno. Lei è il tipo di persona che crede di poter ottenere tutto quello che vuole semplicemente aprendo le gambe. Pensa di dover sfruttare il suo corpo per guadagnarsi oro e potere, prima di diventare vecchia e brutta e di non essere più desiderata. E sai una cosa? Secondo me fa benissimo.

Ella divenne stranamente pensierosa. Fissava un punto della stanza senza nemmeno sforzarsi di metterlo a fuoco.

- È una persona materialista?

- Molto. Le interessano solo l'oro e i gioielli. E le piace comandare.

La Guardiana smise di porre domande. Un'idea le era balenata in testa. Un confuso piano che, se ben pensato, avrebbe potuto fornire la spinta decisiva alla fuga.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo XXI ***


- Eden?

- Sì, Eden.

- Ma... sei sicura? - il giovane Imperiale sembrava incredulo. - Non credo che voglia essere disturbata...

- Non importa, dimmi dov'è.

- Stava girando per la parte alta della carrozza. Guardiana, non credo che dovresti...

Ella lo zittì con un gesto della mano.

- Grazie. Non preoccuparti, saprò cavarmela.

Gli offrì un dolce sorriso prima di avviarsi alla ricerca dell'Infiltrata. Trovarla non sarebbe stato semplice, ma doveva riuscire a parlarle al più presto. Ne andava della sua libertà e di quella di tutti i passeggeri che la stavano appoggiando e che contavano su di lei.

Vagò per i corridoi a lungo. Il tempo, che fino alla sera prima, mentre si trovava con Daemon, sembrava infinito, ora le stava letteralmente scivolando via dalle dita, come fosse sfuggente acqua. Continuò per quasi due ore a cercarla con tenacia.

La trovò in uno dei corridoi vicino alle porte che collegavano le carrozze M e N. In verità, si trovarono a vicenda, mentre camminavano lungo lo stesso corridoio, in direzioni opposte.

Non appena si videro, iniziarono a scrutarsi a distanza. Eden aveva dipinta in volto un'espressione fiera che tradiva un immenso rancore. Il ricordo della lampada che Ella le aveva lanciato doveva essere ancora bruciante. Probabilmente l'Infiltrata aveva pensato a lungo a come vendicarsi.

Fu la Guardiana a porre fine a quella situazione di stallo, muovendosi verso di lei con passi ampi e sicuri. Si bloccò solo quando fu a mezzo metro di distanza dalla crudele ragazza. Era di almeno una spanna più bassa di lei, eppure riusciva comunque a terrorizzare l'intero treno. Il viso delicato e gli occhi marroni dal taglio allungato contribuivano a donarle un'aria dolce che faceva a pugni con la sua reale natura.

- Chi abbiamo qui? - sentenziò - La simpatica Guardiana che ha cercato di colpirmi. Sei venuta a reclamare la tua punizione? - aveva in viso un ampio e cattivo sorriso.

- E se anche fosse?

- Non ti facevo così coraggiosa, Guardiana. Insultare qualcuno che può letteralmente distruggere ogni tua più piccola speranza non è da tutti. Allora, che vuoi? - continuava a sorridere mostrando i bianchissimi denti. Per un attimo Ella pensò che fosse un segno di minaccia, come quando Fenrir arricciava il muso per mettere in mostra i canini.

- Sono qui per proporti un accordo.

- E sentiamo... che accordo sarebbe?

- Voglio che smetti di odiarmi. Che concedi a me e agli altri passeggeri una tregua, almeno per un po'.

- Odiarti? Io? E perché mai? Solo perché hai cercato di sfregiarmi con una lampada?

- Non fare tante storie... - sussurrò Ella - Non ti ho nemmeno colpita...

Eden, in risposta, le diede un violentissimo schiaffo, mettendo in mostra quella forza quasi innaturale per una persona dalla corporatura così minuta. Ella poté chiaramente avvertire il sapore del sangue in bocca. L'Infiltrata non smise di sorridere nemmeno per un secondo.

- Attenta a come parli. - continuava ad avere un'espressione innocente ed allegra.

- Allora, smetterai di tormentarci? - Ella teneva la testa bassa, umiliata dal ceffone ricevuto - Ti darò in cambio qualcosa che apprezzerai di certo.

A Eden brillarono gli occhi.

- Cosa?

- Degli abiti da Guardiana. E dei gioielli, come quelli che avevo io quando sono salita qui. Li farò realizzare per te.

- Perché mai dovrei accettare la tua proposta, quando posso andare nel magazzino e prendere le cose che ti sono state confiscate?

- Quello è l'abbigliamento di una Figlia, io crederò per te un abito come quello delle Anziane. È più lungo ed elegante. E anche i gioielli saranno più sontuosi. E poi... ti donerò anche i nostri occhi. Degli splendidi occhi azzurri. Quelli non puoi certamente trovarli in nessun magazzino.

L'Infiltrata sembrò riflettere per un secondo sulle parole di Ella. La Guardiana poteva chiaramente vedere in lei la smania di possedere oggetti così preziosi e particolari.

- Va bene, accetto. Dammi quello che mi hai promesso e io in cambio ti lascerò in pace.

- Però... ho bisogno di usare una stanza senza regole.

- Perché? - disse Eden aggrottando le sopracciglia.

- Devo poter usare la magia. Altrimenti non sarò mai in grado di realizzare dei veri e propri abiti e dei gioielli da Guardiana.

- Come vuoi. Ti darò la chiave di una delle mie stanze. Potrai usare quella. Dirò al personale del treno di non disturbarti. Oh, Guardiana... - le rivolse il più dolce dei suoi sorrisi - prova ad imbrogliarmi e ti riserverò torture talmente crudeli da far sembrare la morte il migliore dei premi.

Si voltò su se stessa, allontanandosi rapidamente e lasciando Ella da sola. Stavolta fu la Guardiana a sfoggiare un sorriso perverso.

*****

Ella corse a perdifiato fra i corridoi, desiderosa di raggiungere l'ormai familiare vagone di ritrovo. Sapeva che, oltre alle sue compagne di stanza, anche Brix sarebbe stato lì, probabilmente a discutere con Abraham del globo. E sapeva che ci sarebbero stati anche Maya e Noah. E, più di ogni altra cosa, sapeva che il momento della fuga non era mai stato così vicino.

Il gruppo di passeggeri, in mezzo al quale oramai non si vedevano più solo Imperiali, ma anche diverse creature della Dime, era intento a discutere ammassato in uno degli angoli del vagone. La Guardiana si fiondò in mezzo a loro con un rapido guizzo, mostrando, per la prima volta dopo tanti giorni di prigionia, un sorriso radioso. Si sentiva felice. Per la prima volta era veramente felice.

- Ho una notizia grandiosa! - Lo disse a voce talmente alta che alcuni dei presenti furono costretti a farle cenno di abbassare il tono - Ho trovato il modo di usare la magia!

In risposta agli sguardi confusi dei suoi compagni di viaggio, si girò verso Sara e, rivolgendosi direttamente a lei, cominciò la sua spiegazione.

- Possiamo usare la stanza di Eden. Ma dobbiamo darle qualcosa in cambio. Sara... tu mi hai detto che tua madre è una sarta. Mi hai detto che ti ha insegnato a cucire. Avevi raccontato di aver cucito vestiti richiesti dal tuo padrone. Ora devi cucire un abito per Eden...

L'amica la interruppe inorridita.

- Stai scherzando! Per quella bastarda non cucirei nemmeno un fazzoletto! Figuriamoci un abito!

- Ti prego Sara, è importante. Le ho promesso un vestito identico a quelli delle Guardiane. Ha accettato di metterci a disposizione la sua camera solo per questo motivo. Oh, e mi servono anche dei gioielli. - si rivolse a Brix - Dovrete realizzarli tu e Abraham, vi darò delle specifiche indicazioni su come farli.

- Come facciamo a trovare l'oro e le pietre preziose con cui fabbricarli? - le chiese il ragazzo.

- Non dobbiamo. Basterà usare un metallo qualsiasi. Sarà la magia a trasformarli in gioielli veri e propri. La stessa cosa vale anche per l'abito. Ci basterà utilizzare un qualunque pezzo di stoffa, poi la magia di Maya e Noah lo incanterà. E ho bisogno anche di un'altra cosa... è... non importa, ve lo dirò più avanti. Per adesso sfruttiamo al meglio questa possibilità. Ci recheremo a turno nella stanza di quel mostro e, oltre a realizzare abito e gioielli per lei ci occuperemo anche di completare la costruzione del globo. È perfetto!

Si sentiva felice come una bambina. Sapeva per certo che nei suoi occhi si era creata quella spensieratezza tipica dei fanciulli.

Anche Brix e gli altri sorridevano, annuiendo soddisfatti. L'unica che non sembrava contenta del piano era Sara, che evidentemente aveva ben poca voglia di piegarsi all'umiliazione di dover cucire un vestito per un'Infiltrata. Ella sapeva per certo che lo avrebbe fatto comunque.

- Perfetto allora! - esclamò - Domani cominceremo a recarci nella stanza di Eden. Vi spiegherò io la forma che dovranno avere le cose da realizzare.

- Ella, - Maya richiamò la sua attenzione - qual è l'altra cosa che ti serve?

- Degli occhi... è difficile da spiegare, ma non preoccupatevi. Me ne occuperò io, vi avviserò quando avrò bisogno della vostra magia. Ormai manca poco... - aggiunse infine.

*****

Daemon stava seduto ad uno dei tavoli del vagone ristorante. Come al solito intorno a lui c'era solo il vuoto. Spaventava tutti. Ella lo aveva scrutato per un po', distogliendo l'attenzione dalla sua cena, indecisa sul da farsi.

Si alzò dal tavolo quando Jasmeen e Sara avevano ormai concluso il pasto. La Guardiana non aveva quasi toccato cibo.

Si piazzò in piedi di fronte all'infiltrato, rivolgendogli un mezzo sorriso. Lui sollevò lo sguardo nella sua direzione, con fare serio, senza rivolgerle la parola. Sembrava volerle chiedere spiegazioni usando solo gli occhi.

- Ti va di ballare? - gli chiese Ella. Le sue labbra erano dolcemente incurvate verso l'alto.

Daemon si guardò intorno fingendosi spaesato.

- Non c'è nessuna musica.

- Io la musica la sento.

- Allora forse dovresti farti controllare l'udito.

- Forse dovresti fare silenzio e ascoltare. Non la senti questa musica? Non è una di quelle musiche che puoi sentire con le orecchie. Questa musica la ascolti con l'anima. Come quella che c'è nel palazzo delle Guardiane.

Lui le sorrise scuotendo la testa.

- Allora, vuoi ballare? - ripeté lei.

- Sei matta. - le rispose, prima di sollevarsi in piedi con pacata lentezza - Non credo di saper ballare granché bene.

- Non importa.

Lui le afferrò la mano destra con la sua sinistra, poggiandole la mano libera sul fianco. Ella non poteva fare a meno di sorridere raggiante.

Provarono a muovere alcuni timidi passi, fallendo ogni tentativo di coordinazione.

Volteggiarono leggeri seguendo una inesistente musica.

Si sfiorano, per poi allontanarsi, solo per potersi toccare ancora.

Si guardarono deridendo il loro scarso talento.

Si isolarono dal resto del mondo.

E lei rise.

Rise del loro goffo modo di muoversi.

Rise dei piedi accidentalmente pestati.

Rise delle occhiate sbalordite che ricevettero.

Rise perché non c'era più nessuno intorno a loro.

Rise perché non c'era più nemmeno il treno.

Rise perché non era più prigioniera.

Rise perché non era più da sola.

Rise perché si sentiva stupida.

Rise perché rideva anche lui.

Rise perché lo...

*****

Raggiunsero la camera di Daemon poco dopo. Si gettarono sul letto travolti dalla passione. I capelli di Ella riccaddero sul cuscino come una morbida cascata di luce.

Si baciarono lasciando che le loro lingue si cercassero prepotenti. Si spogliarono degli abiti, gettandoli alla rinfusa sul pavimento. Si strinsero con violenza, segnandosi la pelle a vicenda con graffi e morsi. Il dolore non era mai stato così vicino al piacere.

E fecero l'amore.

Come se fosse stata la prima volta.

Come se temessero che fosse l'ultima.

Come fosse sempre stata l'unica.

Quando finirono rimasero abbracciati, la schiena di lei spinta contro il petto di lui. Il ragazzo la teneva stretta a sé, quasi avvolgendola.

- Daemon? - la sua voce si era fatta piccola e innocente.

Le rispose mugugnando, mantenendo gli occhi chiusi.

- L'amore è così forte. È così immenso. Come potete voi Imperiali non pensarci ogni giorno? Come riuscite a concentrarvi su qualunque altra cosa, se l'amore è così dirompente da invadere l'anima e possederla per l'eternità?

- Noi Imperiali siamo pieni di emozioni. Ne abbiamo tantissime. E sono tutte forti. Non abbiamo tempo né voglia di pensare solo ad una di queste.

- Ma l'amore è più forte, è più violento. Domina tutto. Sovrasta ogni cosa.

- Per noi non è così. Abbiamo tante preoccupazioni, tanti problemi. Abbiamo tristezza, paura, rabbia, invidia, gelosia... le nostre emozioni sono più di quante credi. E noi siamo talmente idioti da lasciarci trasportare da ognuna di esse.

- Sai... penso che ne valga la pena. Le emozioni sono meravigliose. Ti fanno vivere. Ti permettono di sentire la musica anche dentro una prigione. Ti fanno ballare. Ti fanno respirare. Pensi che anche questo sia stupido?

- Sì, molto stupido.

- Ma l'amore... l'amore ti fa volare anche senza ali. Ti fa cantare senza voce. Ti fa ridere senza sorrisi. Ti rende felice anche se sei triste. E ti rende arrabbiato anche se sei felice. Ed è un pensiero fisso. È qualcosa che non puoi relegare in un angolo, facendo finta che non esista. Come è possibile che gli Imperiali riescano ad ignorarlo?

- Ci siamo abituati.

- Tu ti sei mai innamorato?

- Sì, tante volte.

- Daemon?

- Che c'è?

- Tu sei innamorato di me?

- Non lo so.

- Perché sai... io sono innamorata di te.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo XXII ***


I giorni che separavano il treno dal binario tortuoso scorrevano veloci. La stanza di Eden si era rivelata ideale per la costruzione del globo. Era spaziosa e piena di tavoli e comodini da usare come piani di lavoro. Non c'erano controllori né Infiltrati che potessero costringere Brix e Abraham a interrompere il loro lavoro e, in aggiunta, Maya e Noah avevano finalmente potuto utilizzare la loro magia.

I due magicanti avevano deciso, prima di incantare definitivamente il globo, di effettuare alcune prove, per capire che tipo di magia proteggeva il treno e, di conseguenza, quale sarebbe stato il migliore contro-incantesimo.

Il globo, stando al progetto ideato da Abraham, avrebbe dovuto avere una struttura di base sferica, relativamente piccola, e, costruiti all'interno di essa, alcuni ganci estraibili che avrebbero avuto il compito di arpionare il treno.
Un piccolo timer avrebbe permesso, una volta attivato prima del fatidico lancio del globo, la fuoriuscita dei suddetti ganci. La magia, infine, avrebbe impedito all'intera struttura di rompersi e, al tempo stesso, le avrebbe permesso di danneggiare il treno.

Contemporaneamente Sara, aiutata da Jasmeen e da altri Imperiali, si stava occupando di cucire il vestito per Eden e di supervisionare la produzione dei gioielli.

- Deve essere lungo fino ai piedi, - le aveva specificato Ella - la gonna deve ricadere morbida e voglio che abbia una sola manica, lunga e ampia. L'altra spalla deve rimanere completamente scoperta. I bracciali voglio che siano come dei fili metallici intrecciati. Voglio che ricoprano quasi interamente il braccio lasciato nudo. Devono sostituire la manica mancante. E poi voglio anche una collana con un grande cristallo appeso. O meglio... voi utilizzate una pietra qualunque, la magia la trasformerà in un cristallo.

La ragazza riccia aveva accettato con riluttanza ogni singola indicazione della Guardiana, mettendosi all'opera per creare un abito che avrebbe fatto volentieri a meno di realizzare, se solo avesse avuto scelta. Oltretutto la ragazza, così come altri passeggeri, erano scettici riguardo le reali intenzioni di Eden. In molti non riuscivano a credere che un'Infiltrata scaltra e crudele come lei avesse potuto permettere che un gruppo di Imperiali e persino dei magicanti sfruttassero una stanza in cui potevano fare praticamente quasi tutto.

- Secondo me è una trappola. - aveva sentenziato un giorno Brix - Sa che stiamo tramando qualcosa e vuole tenerci sotto controllo.

Anche Ella, in effetti, era dubbiosa riguardo la strana disponibilità di Eden, ma aveva cominciato a credere che l'Infiltrata fosse talmente accecata dalla preziosità dei beni materiali da dimenticare persino il buonsenso.

Nel frattempo anche Sorien stava dando il suo contributo, riunendo tutti gli abitanti della Dime desiderosi, come lei, di fuggire. Oltre a ciò, la fatina aveva anche calcolato con precisione il tempo che separava il treno dal binario tortuoso, quantificandolo in due settimane e quattro giorni.

Persino Fenrir si era mostrato abbastanza disponibile a collaborare, promettendo che avrebbe aiutato gli Imperiali a forzare un finestrino se mai fosse stato necessario. Probabilmente era semplicemente allettato dalla libertà, dato che tollerava malvolentieri qualunque creatura che non appartenesse al suo mondo.

Ognuno stava lavorando duramente, eseguendo qualunque compito fosse in grado di portare a termine. E i contorni della libertà si stavano facendo sempre più nitidi.

A rallentare l'attuazione del piano, però, c'erano i lavori forzati che ogni passeggero era costretto ad eseguire.

I controllori non smettevano un attimo di assegnare a tutti compiti più o meno faticosi, sia sul treno che sulla terra ferma.

Anche Ella era strata più volte obbligata a lavorare e la perdita della straordinaria capacità di guarigione che contraddistingueva le Guardiane rendeva tutto più difficoltoso. Ogni più piccolo graffio, ogni piccolo taglio si trasformava immediatamente in una dolorosa sorgente di sangue. Una volta guarite, le ferite lasciavano pallide cicatrici, quasi come se volessero imprimere sulla pelle il loro ricordo, per non venire dimenticate.

Nonostante tutto, Ella aveva continuato imperterrita ad eseguire ogni comando che le veniva imposto. Ignorando dolore e rabbia, la Guardiana aveva faticato duramente, senza arrendersi un attimo. Era come se rifiutarsi di sgobbare fosse stata una vergogna troppo grande, come se fosse stato un segno di debolezza. E lei non si sentiva più debole. Aveva voglia di andare avanti, anche di distruggersi se necessario. Aveva una nuova grinta in corpo. Grinta che, sorprendentemente, non era alimentata dalla speranza di fuga, bensì prendeva forza direttamente dal suo animo e dal suo cuore. Era come se il treno avesse distrutto Ella, per poi ricostruirne una sua versione più tenace.

*****

Ella, Jasmeen e Pauli si ritrovarono a pranzare da sole. Gli Imperiali con cui condividevano solitamente i loro pasti erano impegnati, da giorni, a pieno carico, alla costruzione del globo. Le tre ragazze erano state incaricate, per l'intera giornata, di prendere quanto più cibo possibile dal vagone ristorante e portarlo nella camera di Eden, per poter essere consumato da tutti.

Le regole vietatavano di eccedere nelle porzioni, tuttavia una tanto peculiare quanto ridicola eccezione prevedeva che, se il cibo fosse stato preso in vagoni ristorante diversi, il passeggero non avrebbe subito ripercussioni. Per questo motivo le tre amiche erano state costrette a vagare per l'intera carrozza, visitando ognuno dei vagoni ristorante in essa presenti.

Giunsero al vagone M-540 quando ormai mancava poco alla sua chiusura. Sarebbe stato l'ultimo dei ristoranti che avrebbero potuto visitare per quel pranzo. La sala era parzialmente vuota. Molti passeggeri avevano già mangiato e, quelli ancora presenti, avevano quasi terminato il loro pasto o stavano già rimettendo a posto i piatti e le posate usati.

Le tre erano intente a scrutare con attenzione i cibi rimasti sui banconi, quando un rumore proveniente dal fondo della sala catturò l'attenzione di Jasmeen. Ella, troppo intenta ad afferrare il maggior numero possibile di frutti, non notò che l'amica si era pietrificata, fissando la fonte dei rumori. La Guardiana si voltò verso l'Imperiale bionda solo un paio di minuti dopo.

La ragazza era rimasta immobile, con gli occhi spalancati e la mano destra poggiata sul petto. Aveva un'espressione a dir poco terrorizzata. Le fossette che normalmente albergavano sul suo viso erano completamente scomparse e l'aria allegra e spensierata che la contraddistingueva si era trasformata in pura angoscia.

Ad Ella bastarono pochi secondi per capire cosa stesse accadendo a Jasmeen. Proprio in fondo alla stanza un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi verdi era stato preso di mira da un Infiltrato.

La Guardiana non fece fatica a riconoscere il giovane Imperiale. Si trattava di Marcus, il ragazzo che da un po' di tempo stava corteggiando Jasmeen. L'identità dell'Infiltrato, però, lasciò Ella di sasso. Daemon stava dando sfoggio della sua crudeltà infastidendo la sua malcapitata vittima. Aveva il suo tipico ghigno stampato in volto. Sembrava stesse tentando di prendere in giro Marcus, forse sperando in una sua reazione.

Quando l'Infiltrato sputò addosso al ragazzo, Ella vide chiaramente il labbro di Jasmeen tremare. La giovane era immobile, gli occhi sbarrati, pareva che persino il suo respiro si fosse fermato.

Daemon, nel frattempo, aveva cominciato a prendere a calci Marcus, il quale aveva saggiamente deciso di non reagire in alcun modo. L'Infiltrato sembrava essersi avventato con una ferocia quasi inverosimile sul ragazzo, colpendolo con furia senza un motivo apparente. E naturalmente il solito sorriso di Daemon, immancabile, dominava la scena. Sembrava divertito della sua stessa crudeltà.

Jasmeen restò ferma anche quando la divisa del ragazzo di cui era innamorata si macchiò di quello che sembrava essere sangue. I suoi occhi, però, non riuscirono a trattenere le lacrime. Alcune minuscole gocce le bagnarono le ciglia, asciugandosi prima che potessero raggiungere le guance.

E mentre Daemon continuava a picchiare selvaggiamente Marcus, Ella poteva sentire il nitido ansimare della sua amica.

E, in fondo, anche lei stava ansimando. Lo faceva perché non sapeva in che altro modo reagire, perché non sapeva se quello che stava guardando fosse davvero Daemon, perché non sapeva che altro fare se non prendere una mano di Jasmeen e stringerla più forte che poteva.

E, vedendo la sofferenza di Marcus, era certa di riuscire a sentire sulla sua pelle tutto il dolore che stava provando lui e avvertire, nel suo animo, quello provato da Jasmeen.

Pauli si avvicinò alle due amiche, afferrando istintivamente la ragazza bionda per le spalle. Forse aveva paura che si sarebbe potuta avventare sull'Infiltrato nel tentativo di difendere il suo amato.

Ma Jasmeen sembrava non avere la minima intenzione di muoversi. Tutto quello che faceva era osservare la scena da lontano, con gli occhi velati di lacrime.

- Andiamo via! - Pauli tentò di prendere in mano la situazione, provando a trascinare la ragazza bionda in direzione dell'uscita del vagone.

Ella le diede man forte. Sapeva che qualunque tentativo di intervenire sarebbe equivalso ad un suicidio. Jasmeen sembrava essersi inchiodata al pavimento e non fu facile, per le sue due amiche, portarla fuori dalla sala.

Una volta uscita, la bella Imperiale scoppiò in un pianto disperato.

Mentre le tre ragazze si stavano dirigendo veloci verso la stanza di Eden, Ella non riuscì a fare a meno di pensare a quanto aveva appena visto.

Nei giorni precedenti si era domandata spesso cosa ne sarebbe stato di lei e Daemon dopo la fuga. Aveva pensato che avrebbe dovuto dirgli addio, poi aveva pensato di raccontargli il suo piano, poi aveva capito che sarebbe stata una follia e poi, ancora, aveva deciso che non sarebbe mai uscita dal treno senza di lui.

Ma la scena a cui aveva appena assistito...

Perché lo ha fatto? Come ha potuto? Ha picchiato un ragazzo innocente! Non aveva nessun motivo di farlo! Perché!

La verità era che Daemon era un mostro. Come tutti gli Infiltrati era privo di un cuore e sopravviveva nutrendosi della sua stessa malvagità. La verità era che Daemon non era diverso da Lux o da Eden. E la verità era che Ella non riusciva ad accettarlo.

*****

- Che è successo? - Sara rimase sconvolta nel vedere Jasmeen in lacrime e scossa da violenti singhiozzi - Perché sta piangendo? - chiese poi rivolta ad Ella, la quale non riuscì a trovare la forza di rispondere.

Fu Pauli, suo malgrado, a spiegare quanto appena accaduto.

Gli Imperiali presenti nella stanza cercarono in tutti i modi di far calmare Jasmeen ma la ragazza sembrava inconsolabile. Piangeva a dirotto, le lacrime le scendevano copiose lungo le guance e sembrava non essere nemmeno in grado di riprendere fiato tra un singhiozzo e l'altro. Aveva le mascelle serrate e si stringeva nelle sue stesse braccia quasi con violenza.

Ella rimase al fianco dell'amica per tutto il tempo. Aveva sempre creduto che Jasmeen fosse una persona piena di speranza. Una speranza talmente forte da renderla indistruttibile persino di fronte alla prigionia. Eppure adesso vedeva ogni sua più piccola insicurezza esposta. Sembrava più fragile di un bicchiere di cristallo. In quel momento la Guardiana desiderò possedere uno degli incantesimi di guarigione delle Anziane. Forse con una magia avrebbe potuto risanare il cuore della ragazza.

- Jasmeen... Mi dispiace... Io... È tutta colpa mia... Avevi ragione tu. Non mi sarei mai dovuta fidare di Daemon. È un mostro, come ogni altro Infiltrato. Jasmeen ti prego...

Ella appoggiò dolcemente una mano sulla spalla dell'amica. Lo fece in maniera leggera, quasi come se temesse che un tocco più pesante l'avrebbe spezzata. La ragazza semplicemente si avvicinò a lei, senza dire niente, senza smettere di piangere. Si strinsero.

Avrebbe voluto parlare. Avrebbe voluto consolarla in ogni modo in cui era capace. Eppure non riusciva a fare niente. Era distrutta dal'angoscia di Jasmeen.

- Guardiana!

Un ragazzo dal collare azzurro interruppe il momento di intimità fra le due amiche. Aveva gli occhi marroni e un naso piccolo e identico a quello di Maya.

- Mi dispiace doverti disturbare in un momento tanto delicato, ma ho urgente bisogno di parlarti. Io sono Pitt. È un onore fare la tua conoscenza. - chinò il capo in segno di rispetto - Non capita tutti i giorni di essere al cospetto di una Guardiana talmente coraggiosa da sfidare il treno stesso. Purtroppo ti porto notizie poco allegre. Mia sorella e Noah hanno provato a lungo ad utilizzare la loro magia per scalfire il treno, ma ogni loro tentativo è fallito. Il problema è che non riusciamo a capire che tipo di incantesimo lo protegge. Sembra si tratti di una magia potente, ma non abbiamo nessun indizio che ci permetta di intuire di che tipo sia. Temiamo che, se non riusciremo a capire con precisione la tipologia di incantesimo usata dai proprietari del treno, falliremo miseramente. Abbiamo bisogno del tuo aiuto, Guardiana.

Sembrava avesse pronunciato quelle frasi tutte durante un sol respiro. Non aveva fatto nemmeno una pausa. Era evidente che fosse fin troppo nervoso.

- Che tipo di aiuto?

- Devi scoprire come fanno i proprietari a proteggere questa prigione. Ascoltami... so che Enon avrebbe voluto parlarti già alcuni giorni fa. Sono certo che lui conosce le risposte ai nostri quesiti. Ti prego, va da lui e chiedigli di aiutarci. Di sicuro accetterà di parlare solo con te.

Ella ripensò per un istante alle ultime parole che il veggente le aveva rivolto. Aveva detto che nella sua storia era poco importante, ma che l'avrebbe aiutata quando nessun altro sarebbe stato in grado di farlo. Forse era proprio quello il momento in cui andare da lui a chiedere aiuto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3488310