One Choice Can Control You

di Ari Youngstairs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventitré ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo Venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventisei ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Note: In questa fan fiction non vi sono nè i personaggi di Divergent, nè spoiler sulla trilogia originale. 
I personaggi non ci appartengono, ma sono di Cassadic-Cassandra Clare, e il contesto in cui li abbiamo inseriti è frutto dell'invenzione di Veronica Roth. 
Come abbiamo già accennato nella trama, la storia può esser letta anche da chi non è a conoscenza delle caratteristiche di Divergent, dato che spiegheremo tutto noi durante la narrazione.
Speriamo che tutti i futuri casini/scleri che causeremo loro vi piacciano.
Buona lettura,

Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf
 





Alcuni pensieri di un Candido
 
Mi chiamo Alexander Gideon Lightwood, e la storia che voglio raccontare inizia con una domanda: come vi sentireste, in un luogo che non vi si addice affatto?
È una domanda retorica, perché io conosco bene la risposta. Vi sentireste come un pesciolino rosso in un acquario di piranha. Ecco come.
La città in cui vivo è divisa in cinque fazioni, ognuna rappresentante una virtù: altruismo per gli Abneganti, gentilezza per i Pacifici, coraggio per gli Intrepidi, sapienza per gli Eruditi e onestà per i Candidi.
Io sono nato con un segreto, anche se per diventarne veramente consapevole ci ho messo anni.
Da allora ho iniziato a chiudermi attorno alla consapevolezza di essere diverso, spingendola al fondo di me stesso. Eppure, torna sempre più spesso a galla.
Adesso ho sedici anni, e anche se fa male, ho imparato a convivere con i miei scheletri e apparire quantomeno normale.
Ovviamente,  sono nato nell'unica fazione in cui la legge vieta di avere segreti. Brutta cosa, essere un Candido.
Oggi, però, ho la possibilità di fuggire dai miei problemi. E non me la lascerò scappare troppo facilmente.
Mi chiamo Alexander Gideon Lightwood, e questa è la mia storia.

 
 
 
• Capitolo Uno •
 
 
 
La tensione è fitta come una rete, densa come la nebbia autunnale che, oggi, ha deciso di coprirci tutti con il suo manto grigio e opprimente.
Seduta alla mia destra, mia sorella Isabelle mi stringe forte la mano e riesco a percepire, dal tocco delle sue dita, la sua frenetica pulsazione cardiaca.
Alla mia sinistra, il mio fratellastro sbatte nervosamente un piede a terra, torturandosi un ciuffo di capelli biondi. I suoi sbuffi nervosi lacerano il silenzio che aleggia fra noi tre. Se dicessi ad uno sconosciuto che siamo una famiglia, non ci crederebbe: Izzy è mia sorella gemella, ma a parte per la stessa chioma corvina che ci ritroviamo, tra noi non c'è nessuna somiglianza. Forse perché lei sembra la versione terrena della dea Afrodite e io no.
La stessa storia vale con Jace, più simile a un angelo che a un normale sedicenne adottato dopo la morte di entrambi i genitori.
 «Isabelle Lightwood.» Chiama una voce dal fondo del corridoio.
Mia sorella sussulta, lascia la mia mano e da una veloce sistemata ai suoi abiti: camicia bianca e pantaloni neri. Come tutti i Candidi che, in questo momento, ci tengono compagnia in questa stanza: alcuni chiacchierano gesticolando, altri fischiettano in preda al nervosismo.
«Buona fortuna Iz.» Jace le sorride e lei si avvia, verso il test che determinerà il suo futuro.
Ecco un altro motivo per cui vorrei che questa città bruciasse palazzo per palazzo: dobbiamo affidare il nostro destino a uno stupido Test Attitudinale.
 «So che non si dovrebbe chiedere...» bisbiglia Jace al mio orecchio. «Ma tu che pensi di essere?»
Mi irrigidisco di colpo: no, non si dovrebbe chiedere, né prima né dopo il Test.
Però, la domanda di Jace mi lascia un po' perplesso. Sinceramente, negli ultimi giorni sono stato così ansioso di sapere dove sarebbero andati i miei fratelli, che non ho minimamente pensato a dove sarei andato io.
«Beh...» faccio una selezione mentale di tutte le possibili fazioni, e analizzo le mie caratteristiche una ad una. «Sinceramente non lo so. Erudito forse. O magari Abnegante. Una delle due, penso.»
Jace ammutolisce, assumendo un'aria delusa. Credo si aspettasse una risposta diversa.
In quel momento Isabelle esce dalla stanza in cui si tiene il Test, e sembra avere un'aria decisamente più sollevata di prima.
«Jace Lightwood.»
Chiama di nuovo la voce, mentre Isabelle alza i pollici in segno d'incoraggiamento.
«Com'è andata?» Le chiedo.
Lei sorride raggiante, ed io lo interpreto come un “più che bene”.
In questo momento, come noi, ogni sedicenne della città è in attesa di affrontare il Test e capire a quale fazione apparterrà, poiché domani ci sarà la Cerimonia della Scelta. E da lì, non si può tornare indietro.
Dalla stanza affianco alla nostra si sentono delle urla, mescolate a schiamazzi e risate: è la stanza riservata agli Intrepidi, anche loro in attesa di fare il Test.
Ecco qua una fazione che non capisco proprio, nonostante ci abbia provato: fanno acrobazie tutto il giorno, si buttano dai treni, si rovinano le facce con grossi piercing oppure si sporcano la pelle con orrendi tatuaggi, pensando solo al divertimento.
Eppure servono, perché sono le nostre uniche milizie. A che ci serva un esercito, però, non ne ho idea.
Spesso però penso che sarebbe bello avere una vita come la loro, dove la coscienza viene soffocata dalla voglia di vivere al meglio ogni attimo e non esistono problemi insormontabili.

Quando Jace ritorna, sento il nervosismo attanagliarmi i polmoni: respirare mi sembra quasi un'impresa.
«Alexander Lightwood.»
A quel punto mi alzo, e Jace mi da una pacca sulla spalla.
«Libera la belva, fratello.»
Nervosamente, rido.
Adesso va un po' meglio.
 
 
§
 
 
La stanza è più piccola e più fredda di quanto mi aspettassi: c'è soltanto un lettino - più simile alla barella di un ospedale- collegato ad un grosso computer con un intrico di cavi colorati, ognuno terminante con una ventosa.
Mi sento male.
Una ragazza Intrepida, con le braccia coperte da spirali d'inchiostro e che sembra avere pochi anni in più di me, sta armeggiando con il groviglio di fili.
«Oh, salve.» Mi saluta, sorridendo. I suoi occhi color metallo scintillano, nonostante nella stanza non ci sia molta luce. «Mi chiamo Tessa. Avanti, sdraiati, ci vorrà poco.»
Mi avvicino a passo un po' titubante, e mi adagio sul lettino.
«Tutte quelle cose...» Indico l'intrico di cavi e ventose. «Me le attaccherai addosso?»
Altra cosa che bisogna sapere dei Candidi: non stanno mai zitti.
«No, tranquillo. Soltanto una sulla fronte.»
Mi offre un bicchierino di plastica, contenente un liquido blu elettrico.
Lo appoggio sulle labbra e bevo, accorgendomi che è così frizzante da pizzicarmi la gola.
«Adesso rilassati, il siero farà effetto tra qualche secondo.» Mi appiccica la ventosa al centro della fronte, dove non posso vederla.
All'improvviso la vista mi si appanna, e il mio campo visivo diventa solo un miscuglio di colori: il grigio delle pareti, il nero degli abiti di Tessa, i suoi capelli castani...non riesco a distinguere più nulla.
Chiudo gli occhi, poi, il vuoto.
 
 
§
 
 
Mi risveglio di soprassalto, cadendo dal lettino e sbattendo il fianco sul pavimento duro e gelido.
«Tessa?» Chiamo, ma di lei non c'è traccia.
Guardandomi intorno, mi rendo conto che sono ancora nella stanza del Test, ma sia l'Intrepida che il computer sono spariti.
Non dev'esser passato più di un istante, ne sono sicuro.
Esco dalla stanza, ma invece di ritrovarmi nella sala d'attesa dove sedevo prima, c'è un prato verdissimo accarezzato da una brezza leggera che sa di terra umida.
Ma certo, deve far parte del Test.
M'incammino, e più vado avanti più l'erba si fa fitta e alta. Ormai mi arriva quasi alla vita.
L'inquietante silenzio che mi otturava le orecchie viene smorzato da un rumore insolito, un ronzio indistinto. Si fa sempre più forte, finché una nube nera si leva da terra, coprendo persino la luce del sole.
Guardandolo meglio, mi rendo conto che è uno sciame di vespe, a cui sono estremamente allergico.
Quando ero piccolo, uno di quegli insetti maledetti mi ha punto il braccio, e i miei genitori mi hanno dovuto portare in un ospedale, visto che la reazione mi fece gonfiare la gola procurandomi difficoltà respiratorie. Mi vengono i brividi a pensarci.
D'un tratto nelle mie mani appaiono due oggetti: un fiammifero acceso e un forte veleno spray.
«Scegli.» Mi intima una voce.
Ci sono due sole cose che posso fare: bruciare tutto, o uccidere le vespe con il veleno, spruzzandone nell'aria una quantità immane.
In entrambi i casi, danneggerei comunque me stesso.
«Troppo tardi
Un'onda anomala di vespe si abbatte su di me, ma con una velocità che non sapevo di possedere posiziono il fiammifero davanti allo spray, e premo.
Una fiamma si innalza in cielo, bruciando tutti gli insetti che tentano invano di pungermi.
In un istante tutto ciò che mi circonda si dissolve, e mi ritrovo in un salone pieno di specchi.
Ovunque mi giri, c'è un mio riflesso che mi guarda. E, uno in particolare, ha un ghigno malvagio dipinto in volto.
«Ciao, Alexander.» Ha i miei stessi occhi azzurri, la mia stessa pelle pallida, i miei stessi capelli neri, ma la sua voce...mette i brividi. «Dimmi il tuo segreto, Alexander.»
Scuoto la testa.
«Dimmelo.» Mi ordina. I suoi occhi cominciano a farsi grandi e velati di rosso. I denti si appuntiscono . «DIMMELO!»
Scuoto nuovamente la testa, più deciso, e tiro un pugno allo specchio, che si frantuma in una cascata di schegge scintillanti.
Il me-malvagio sparisce con un grido.
Lo scenario cambia nuovamente: adesso sono in una piccola piazza, illuminata da qualche pallido lampione, ed il cielo notturno è zuppo di pioggia. Esattamente come me in questo momento, con i capelli gocciolanti appiccicati alla fronte.
Ho un ombrello tra le mani, nero e pieno di buchi, ma me lo farò andar bene, perciò lo apro e tento di ripararmi dalla pioggia insistente.
«Scusa, fratellone?» Una manina mi tira per un lembo della camicia bianca. «La pioggia è forte...posso avere l'ombrello?»
È un ragazzino di nove anni, grandi occhiali rotondi a incorniciare i suoi occhi azzurri: è Max, mio fratello minore.
Senza esitare gli porgo l'ombrello, e solo in questo momento mi accorgo che la pioggia si è trasformata in grandine: i pezzi di ghiaccio si abbattono su di me come proiettili e trattengo a stento una smorfia di dolore.
«Possiamo starci in due.» Propone Max, guardando l'oggetto malconcio che lo ripara dai proiettili ghiacciati.
«No, non possiamo, è troppo piccolo.» Gli scompiglio i capelli mori che, ormai da generazioni, passano di Lightwood in Lightwood.
«Fratellone, come si crea la grandine?» Mi chiede.
Non capisco il perché della domanda, però so bene la risposta: a scuola, in scienze soprattutto, sono uno dei più bravi.
«Beh, vedi, quando le nuvole raggiungono una certa altezza...»
«Basta, basta non ci capisco più niente!» Urla Max all'improvviso, ma la sua voce è quella di qualcun'altro. Una ragazza. 
Avverto come se qualcuno avesse staccato la spina del mio corpo, e tutto diventa nero.
 
 
§
 
 
Sono di nuovo nella sala del Test: Tessa, pallida e sudata, mi ha strappato via la ventosa dalla fronte, fissandomi sconcertata.
«Allora?» Chiedo preoccupato. «Qual'è il risultato del Test?»
Lei balbetta un po', passando lo sguardo da me al computer, e viceversa.
«Oddio» Sussurra, portandosi una mano alla bocca.
«Che succede?» L'ansia mi sta assalendo, mi manca l'aria.
«C'è un problema...» Dice lei, riprendendo la calma e guardandomi più seria che mai. Nei suoi occhi grigi traspaiono tristezza e preoccupazione. «...con i risultati del tuo Test.»
Il mondo sembra crollarmi addosso pezzo dopo pezzo. Come sarebbe a dire “c'è un problema ”?
«Stai scherzando, vero?» Mi sforzo di sorridere.
Lei sbuffa, borbottando qualcosa che somiglia a “maledetta sfacciataggine dei Candidi”.
«Pensi che scherzerei su una cosa del genere?» Mi chiede, massaggiandosi le tempie.
Ogni cellula del mio corpo grida un sonoro NO.
«Alexander, ciò che sto per dirti è estremamente pericoloso. Mi segui?» Annuisco. «Il tuo Test Attitudinale è inconcludente
Stringo le mani ai bordi del lettino, fino a far sbiancare le nocche. Per diversi attimi cerco di assimilare la notizia, respirando profondamente, ripetendomi che è solo l’ennesimo test della simulazione, finche Tessa non mi scuote, guardandomi apprensiva e preoccupata. E allora capisco che non è un allucinazione, ma sono semplicemente perseguitato dalla sfortuna.
Perché a me? Non avevo abbastanza cose nascondere? Non mi piace mentire, o quanto meno sono cresciuto con gente che crede nella verità, per cui non mi è facile farlo.
«Questo significa che sei un...» riprende Tessa guardandosi intorno, bisbigliando poi a bassissima voce «Divergente. Secondo il computer, hai un'inclinazione per gli Abneganti, per gli Eruditi, per gli Intrepidi, che hai dimostrato con il coraggio con cui hai affrontato le vespe. Inoltre, la tua sincerità porta anche a pensare che tu sia portato per essere un Candido.» Si prende la testa fra le mani «anche se, evidentemente, il segreto che ti sei rifiutato di rivelare era troppo importante. Sbaglio?»
Sospiro. No, non sta sbagliando.
«È qualcosa di così grave?» Nei suoi occhi non leggo curiosità, né insistenza. Sembra alquanto preoccupata, e il suo tono di voce si è addolcito.
«Non l'ho mai detto a nessuno.» Ammetto. «Temo che, se lo facessi, le persone a cui voglio bene mi tratterebbero in modo diverso.» Arrossisco violentemente. Dio quanto odio essere un Candido a volte.
Tessa mi sorride dolcemente.
«Assomigli molto a mio marito.» Sussurra lei, guardandomi attentamente. «Anche lui era un Divergente.»
«Era?» Un nodo mi sta bloccando la bocca dello stomaco, impedendomi di deglutire. Ho la gola davvero secca.
«L'hanno scoperto. E l'hanno ucciso.» Le sue belle labbra si piegano all'ingiù. «Stai attento, Alexander. Scegli bene la tua fazione, e non farti scoprire. Inventa una scusa, dì che ti sei sentito male e che devi tornare urgentemente a casa. E non dire a nessuno, neppure alle persone più vicine a te, ciò che sei. Ora la tua vita dipende da questo.»
 
 
 

Note 2:
Ci farebbe davvero tanto piacere sapere che ne pensate, e quindi, sappiate che anche una piccolissima recensione ci renderebbe le persone più contente del mondo. Grazie di cuore per essere arrivati fin qui <3

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Note: Oh per l'Angelo, ragazze, le recensioni che ci avete lasciato nello scorso capitolo ci hanno rese felicissime! È stata una bella sorpresa riceverne così tante, non ce lo aspettavamo. Per questo vi abbiamo fatto una sorpresa e abbiamo aggiornato un giorno prima!
Detto questo, speriamo che gradiate anche il secondo: un parere ci aiuterebbe e ci incoraggerebbe ad andare avanti, se foste così gentili da spendere cinque minuti del vostro tempo per lasciarne uno♥️
Grazie ancora e buona lettura,

Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf
 





• Capitolo Due •
 
Quando esco dalla sala del Test, la mia testa è sul punto di scoppiare.
 Io sono sul punto scoppiare.
Jace e Isabelle sono già fuori dell'edificio, dove nostra madre è venuta a prenderci con la macchina.
Nel tragitto che ci separa da casa è calato un silenzio omicida, giusto perché i miei pensieri non erano abbastanza assordanti. Conosciamo tutti qual'è la legge più importante dell'intera città: la fazione prima del sangue.
Tutti sappiamo che, se la cambiamo, siamo destinati a non rivedere più la nostra famiglia. A parte questo, possiamo diventare persone nuove, lasciarci il passato alle spalle e cercare di diventare persone nuove e migliori, secondo i nostri desideri. Ma dobbiamo abbandonare il vecchio noi
Ma adesso, c'è un altro problema: se sono un Divergente, che fazione scelgo? 
Tessa ha detto che sono sia un po' Candido, che Intrepido, che Erudito e Abnegante. Sapevo già da principio che i Pacifici non facevano per me.
Io e Isabelle siamo gemelli, perciò forse c'è una buona probabilità che anche lei sia Divergente. Però non posso dirlo nemmeno a lei, né a Jace, che sono le persone a cui tengo di più.
Arriviamo finalmente a casa, e quando entro, memorizzo ogni singolo particolare: potrebbe esser l'ultimo giorno che trascorro qui.
Dalla cucina proviene un odorino invitante, ma ho lo stomaco talmente chiuso che l’aroma dolce dei biscotti che sono appoggiati sul bel tavolo della cucina mi da letteralmente allo stomaco.
Ci sediamo e i miei fratelli iniziano a fare merenda, ma nessuno osa proferire parola. Disposte intorno al tavolo ci sono sei sedie, ma una è vuota da quasi otto anni: mio padre, Robert, ha tradito la mamma, ed avere un'amante va contro ogni principio dei Candidi. Così è diventato uno degli Esclusi, persone senza fazione che passano il resto dei loro giorni a cercare cibo, abiti e coperte tra i rifiuti. 
«Ragazzi...» Mia madre spezza il silenzio, e si porta le mani in grembo. «Sappiate che a me non interessa che fazione sceglierete. Seguite ciò che vi dice il Test, e sarete felici. È questo che mi importa, okay?»
Io, Isabelle e Jace annuiamo in silenzio, mente Max ci guarda un po’ triste. Quasi mi viene da urlare, visto che in ogni caso il test non è servito a nulla e sono nella merda più di prima. 
Mi prendo la testa tra le mani, frustrato.
«Alexander?» Mia madre mi appoggia una mano sulla spalla, preoccupata. «Stai bene?»
Mi alzo, diretto in camera mia.
«Sì, mamma, sono solo un po' stanco. Il liquido che mi hanno fatto bere per il test mi ha fatto male.»  I miei parenti mi guardano poco convinti, ma ciò non mi impedisce di chiudermi in camera, buttarmi sul letto e nascondere la testa nascosta sotto il cuscino, cercando di addormentarmi.


§


«Alec, Alec!» Qualcuno mi butta giù dal letto malamente, facendomi sbattere il braccio sullo spigolo del comodino. «Sveglia! Tra mezz'ora c'è la Cerimonia!»
Alla parola “Cerimonia” scatto in piedi come una molla. Mi pettino come meglio posso con le mani, e liscio i vestiti con cui ieri sera mi sono addormentato, poiché non c'è tempo per cambiarli.
«Come sto?» Chiedo a Jace, allargando le braccia. 
Lui fa una smorfia poco convinta, poi mi tira via per un braccio.
«Chi se frega! Forza, o faremo tardi!» 
Dice bene, lui. Persino dopo aver giocato a pallone nel fango ha un aspetto magnifico, ed io, in questo momento, sembro un veterano di guerra.
L'autobus che ci porterà in Centro è già davanti casa nostra, e mia sorella ci sta urlando qualcosa dall'altra parte del finestrino.
Riusciamo a salire giusto un istante prima che il pullman parta, e tiriamo un sospiro di sollievo.
Troviamo due posti vicini e ci sediamo: il veicolo è pieno zeppo di adolescenti in camicia bianca e pantaloni neri: sembra quasi un'illusione ottica.
Qualcuno ha tirato fuori delle sigarette e comincia a fumare, lasciando che spettri di fumo vaghino nell'aria. 
Tossisco un po', infastidito dal forte puzzo emesso da un ragazzo davanti a me, sentendo già il respiro farsi più difficoltoso.
«Scusami...» Gli batto l'indice sulla spalla, per farlo girare. Ha sottili capelli color carta e occhi d'inchiostro. «Il fumo mi da un po' fastidio, non è che potresti...»
«Fumo quanto mi pare.» Ribatte con stizza, dandomi di nuovo le spalle. Jace sembra sul punto di tirargli un pugno nello stomaco, ma gli scocco un'occhiata che lascia intendere.
Il bus si ferma con un cigolio non rassicurante, e scendiamo di corsa. 
L'aria fresca mi invade i polmoni, e mi sento come se fossi appena riemerso dalle profondità dell'oceano.
La Torre del Centro è altissima, e davanti a lei è stagliato un esercito di sedicenni provenienti da ogni fazione: intravedo un gruppetto di Abneganti, tutti in grigio, che stanno muti o bisbigliano piano. Sono molto tranquilli, loro.
Dei Pacifici stanno ridendo come matti, e portano abiti dai colori caldi: rosso, arancione e giallo.
Do un'occhiata all'orologio, e mi accorgo che mancano solo dieci minuti all'inizio della Cerimonia. Mentre cammino verso le porte sento qualcuno che mi viene addosso, e rischio di cadere. 
«Oddio, scusa!» Una ragazzina Pacifica, alta tre spanne meno di me si scusa mortificata, neanche mi avesse accoltellato per sbaglio. Ha i capelli rosso fiamma e il viso coperto di lentiggini. 
«Non preoccuparti! Non è successo nulla, davvero.»
«Comunque mi chiamo Clarissa.» Continua lei. «Ma puoi chiamarmi Clary. Forse andremo nella stessa fazione, chissà.» Sta chiacchierando senza sosta, alla perfetta maniera dei Pacifici. Poi lancia un'occhiata dietro di me e si zittisce: sta scrutando Jace come se avesse visto un angelo sul marciapiede, intento a fischiettare appoggiato ad un palo. «Chi è lui?» 
«Oh...lui è mio fratello adottivo Jace.» 
Il diretto interessato si accorge di esser osservato, e saluta Clary con un occhiolino.
Lei diventa più rossa dei suoi capelli, e se ne va bofonchiando qualche saluto.
Beh, diciamo che è solo caduta sotto l’effetto che Jace fa a qualsiasi forma femminile vivente.
In lontananza si ode un fischio acuto, e solo qualche momento dopo riesco a realizzare che è il treno degli Intrepidi: non appena la scheggia d'acciaio passa davanti alla Torre, gli sportelli si aprono e circa una cinquantina di ragazzi in nero si buttano al volo, rotolando sulla ghiaia, ridendo e scherzando tra loro. 
Quella che sembra una campanella dell'intervallo scolastico comincia a suonare, e tutti ci riversiamo nell'enorme torre di vetro.
La Cerimonia inizierà a momenti.


§


Dopo aver attraversato una ripida e lunga rampa di scale -ed aver rischiato di cadere a causa di qualche Intrepido circa tre o quattro volte- ci riuniamo tutti nella Sala della Cerimonia.
Ha una struttura ad anfiteatro, ed al centro c'è una specie di altare con cinque coppe sopra, ognuna contenente il simbolo di una fazione: pietre grigie per gli Abneganti, acqua per gli Eruditi, terra per i Pacifici, carboni ardenti per gli Intrepidi, vetro per i Candidi.
Non appena mi avranno chiamato, mi porgeranno un coltello ed io dovrò far gocciolare il mio sangue nella Coppa della futura fazione. 
Io sono seduto tra Jace e Isabelle, mentre mia madre dopo averci raggiunti è dietro di noi con Max, confuso per tutto il trambusto generale.
Ci abbraccia calorosamente, e ci sussurra: «Ovunque andiate, io vi vorrò sempre bene. Intesi?»
Il cuore mi si spezza.
Sul podio fa la su comparsa una donna Erudita, capelli di platino e abiti blu. Se non sbaglio, è il capo-fazione degli Eruditi: Camille Belcourt, mi sembra.
Dopo un fragoroso applauso lei si schiarisce la voce al microfono, e comincia a parlare:
«Anni fa, i nostri antenati capirono la motivazione delle numerose guerre che hanno deturpato l'intero mondo: non eravamo divisi per via della religione, del colore della pelle o per la provenienza, ma per il carattere. Ognuno di noi ha delle attitudini diverse, e grazie alle fazioni, preserveremo la pace tra tutti noi.» Gli Eruditi scoppiano in un applauso, e in pochi minuti si uniscono tutti gli altri. Tutti tranne gli Intrepidi, però, che guardano la donna come se volessero darle fuoco: non è certo una novità che tra Eruditi e Intrepidi non scorra buon sangue.
«Oggi, i vostri figli affronteranno il passo più importante della vita: capire e decidere chi sono. Ecco il motivo per cui siamo qui. Che la Cerimonia abbia inizio!»
Dopo un altro fragoroso applauso cala il silenzio, e cominciano a chiamare le prime persone: l'ordine è per cognome, dalla Z alla A. Io sono tra Jace e un ragazzo Pacifico di nome Simon Lewis.
Deglutendo, sposto lo sguardo da una coppa all'altra, mentre una sola domanda mi rimbomba nella testa: quale scelgo?
Passo i successivi dieci minuti a mordermi le labbra, e finora ci sono stati due Candidi, tre Pacifici, un paio d'Intrepidi, quattro Abneganti e tre Eruditi. E siamo solo all'inizio. 
Cerco di calmare il respiro finché nella Sala non rimbomba il nome di mia sorella, e mentre lei si alza per andare sul podio, io mi sporgo così tanto che per poco non cado dalla sedia.
Si taglia il palmo della mano, e lascia che un po' di sangue goccioli tra i carboni ardenti. Gli Intrepidi esplodono in grida e applausi, accogliendola.
Adesso tocca a Jace, che imita perfettamente ogni singolo gesto di nostra sorella: coltello, mano, sangue, fuoco, Intrepido
I microfoni fanno riecheggiare il mio nome nella sala. Lo stomaco mi si attorciglia.
Mi alzo, per poco non inciampo nei miei stessi piedi, e mi ritrovo davanti alle coppe.
Devo sbrigarmi: scarto gli Eruditi, poiché probabilmente sarebbero i primi a scoprire della mia divergenza. 
E pensare che mi sarebbe piaciuto andare da loro, avrei potuto imparare tante di quelle cose...però no, devo andare oltre. A volte servono dei sacrifici.
Se scelgo i Candidi resterò con mia madre e Max, ma mi costringerebbero a spifferare tutto: quando scegli i Candidi, dir la verità è un obbligo. Inoltre il fatto che ti costringano a farlo con un siero della verità non è un dettaglio trascurabile.
Perciò...pietre grigie o carboni ardenti. Una vita di pericolo o di altruismo?
Appoggio la lama del coltello sulla mano, che si tinge di rosso: devo scegliere.
Le pietre grigie mi attirano a loro come piccole calamite, mentre il mio polso trema. 
Un piccolo movimento, Alec. Un piccolissimo gesto e sarai un Abnegante, aiuterai gli altri e sarai di aiuto anche a te stesso.
Lancio un'occhiata a Isabelle e Jace, che mi guardano con occhi grandi e speranzosi. 
Vorrebbero che andassi con loro, negli Intrepidi, dove l'iniziazione è sempre stata tenuta segreta. 
Non avrei mai pensato di diventare uno di loro, ma Isabelle e Jace sono tutto ciò che ho. 
Ora che ci penso, non riesco a immaginarmi senza di loro: finché staranno al mio fianco ed io potrò proteggerli, sono sicuro che nulla andrà storto. Sono anche un po' Intrepido, no?
Deglutisco, e un istante prima che una goccia scarlatta cada tra le pietre, sposto velocemente la mano a sinistra: chiudo gli occhi, e tutto ciò che sento è lo sfrigolio del mio sangue, le urla, e gli applausi.
Sono un Intrepido.





Note 2: Qui ci vorrebbe proprio una musica drammatica di sottofondo, non trovate?
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, e ringraziamo ancora sia chi ha recensito il primo capitolo, sia chi recensirà il secondo. ♥️
Adesso, risponderemo ad alcune domande che molto probabilmente vi siete poste:

~ Come avrete notato per il Test Attitudinale, non tutto sarà uguale al libro. Quindi non siete voi a ricordare male, ma noi che abbiamo voluto aggiungere un tocco di originalità. Sennò, sarebbe un “copia e incolla” di Divergent, no?
~ Vi sarete anche chieste il perché la storia è nel mio account e non in un account comune: per semplice comodità. Fare un profilo per una sola storia ci sembrava inutile, e dato che l'idea iniziale era mia, abbiamo optato per pubblicarala qui. Comunque, nelle nostre firme c'è un collegamento per andare nelle nostre pagine, nel caso aveste voglia di curiosare un po'. Anche perché io ho appena messo un bellissimo contatore ♥️
~ Nelle note abbiamo messo anche l'OOC, che però sarà ridotto il più possibile: potreste riscontrarlo in alcuni strani comportamenti dei personaggi, che però, sono dovuti alle Fazioni in cui sono nati. L'OOC è principalmente dovuto al contesto in cui inseriamo i personaggi, che cercheremo di mantenere il più possibile.
~ Cercheremo di aggiornare ogni settimana, ma potremmo farvi delle sorprese ;) Ovviamente, se si presenteranno problemi, vi avviseremo.

Detto questo, speriamo che abbiate ben capito il tipo di storia in cui, dal prossimo capitolo in poi, cominceremo davvero ad avventurarci.
Ancora un grazie, siete davvero gentilissime.

Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Note: 8 nelle preferite, 2 nelle ricordare e 24 nelle seguite, e siamo solo arrivate a tre capitoli!
Questo per noi è un traguardo che neanche credevamo di raggiungere, perciò grazie, grazie davvero di cuore a tutte coloro che hanno lasciato una recensione, o che hanno semplicemente letto: ci avete migliorato l'esistenza.
In questo capitolo vedremo la conclusione della Cerimonia, ed entrerà in ballo un personaggio che voi tutte aspettavate impazientemente. *Si sentono urla e schiamazzi delle fangirl*
Che dire: ancora un grazie, speriamo che vi piaccia anche il terzo capitolo.

Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf







• Capitolo Tre •



Gli Intrepidi mi accolgono con pacche sulle spalle, abbracci e grida.
Jace mi stringe forte, dicendomi «Sapevo che eri uno dei nostri.»
È con queste persone da neppure cinque minuti, e già si sente perfettamente parte di loro.
Stordito, mi siedo tra lui e Izzy, guardando il resto della Cerimonia: il ragazzo Pacifico di nome Simon sceglie gli Eruditi.
Dopo di lui c'è il ragazzo che mi aveva risposto male nell'autobus, che scopro chiamarsi Jonathan Morgenstern, e anche lui sceglie di far colare il proprio sangue tra i carboni ardenti.
Poi e la volta di Clarissa, la pel di carota che mi aveva salutato all'entrata, ora pallida come un cencio, che sceglie di far sfrigolare il suo sangue insieme al mio e quello dei miei fratelli.
Da come ha tenuto gli occhi chiusi e la mano sospesa a metà fra la coppa degli Intrepidi e quella degli Abneganti, sembra quasi che sia finita con noi per caso.
Si siede il più lontano possibile da Jonathan, e sussulta terrorizzata quando lui si sposta per mettersi vicino a lei. Sono nella fila sotto la mia e non posso fare a meno di sentire quel che si dicono.
«Ciao, sorellina.» Le sussurra all'orecchio. «Contenta di rivedermi?»
Sorellina? Quindi sono fratelli...eppure Clary porta il cognome dei Fairchild, e non sembra contenta di rivederlo. È strano, per una che è nata Pacifica.
«Vattene, non ho più nulla a che fare con te, lo sai.»
Lui fa spallucce, sorridendo soddisfatto, rimanendo dov’è.
Gli fisso le spalle, con la fronte corrucciata. Non mi sta simpatico, decisamente no.
Quando anche l'ultimo ragazzo decide la sua fazione, la Cerimonia si conclude e tutti gli Intrepidi si catapultano giù per le scale a loro riservate.
Lancio uno sguardo veloce a mia madre, che mi saluta con un gesto della mano e un sorriso triste, tenendo mio fratello che ha le guance umide di lacrime. Mi piange il cuore, ma in fondo non è un addio definitivo: insieme ai nostri oggetti personali potranno inviarci delle lettere; inoltre, verranno a trovarci durante le visite.
Scendiamo le scale di corsa, e sento le grida entusiaste rimbombarmi nelle orecchie. Anche Jace e Isabelle si sono uniti a coro, e viene voglia di urlare anche a me. Dopo tanto mi sento libero, il peso che alloggiava nel mio stomaco sembra in qualche modo diminuito un po’, mentre le mie gambe si muovono veloci e la paura di cadere è soffocata dall’euforia.
Raggiungiamo delle rotaie un po' malmesse, e ci mettiamo in attesa, finché non si sente il fischio acuto di un treno in arrivo.
Questo ci sfreccia davanti a tutta velocità, mentre gli Intrepidi interni prendono la rincorsa per poi saltare negli sportelli aperti del veicolo.
Ben presto tutti i Trasfazione li imitano, Isabelle e Jace compresi. Un moto di paura mi attraversa le vene: e se non ce la facessero?
Fortunatamente, riescono ad entrare sul treno senza troppi problemi.
Rimaniamo solo io e la ragazza Pacifica, Clary.
«Dobbiamo andare.» Mi dice lei. «Altrimenti non arriveremo neppure all'Iniziazione.»
Annuisco, e facciamo tre passi indietro. «Pronta?»
«Pronta.»
Prendiamo la rincorsa e, con uno slancio delle gambe, saltiamo: io riesco ad afferrare la maniglia del treno e stabilizzarmi, ma lei, intralciata dalla gonna, si sbilancia e scivola.
Non appena la sento gridare, mi volto e l'afferro giusto un attimo prima che cada tra le ruote, ed entriamo nel vagone.
È uno degli ultimi e ci siamo solo noi, così ci concediamo di accasciarci sul pavimento con il fiatone e i polmoni in fiamme: per essere Intrepido da pochi minuti direi che ho provato già abbastanza emozioni per oggi.
«Grazie.» Mormora lei, ancora scioccata.
Io le rispondo con un sorriso stanco, prima di appoggiarmi alla parete del vagone, che sobbalza e cigola ad ogni metro.
«Quel Jonathan...è tuo fratello?»
Lei annuisce, scostandosi una ciocca rossa dagli occhi: verdi come smeraldi, contornati da lunghe ciglia scure.
«In realtà non ci vivo da quando ho sei anni. Un giorno mia madre decise di lasciare mio padre, Valentine, ma mio fratello preferì lui a noi.» Sospira. «Mio padre era uno psicopatico, e Jonathan è solo la versione più intelligente, più furba e più cattiva di lui.»
Non so cosa di preciso, ma questa ragazza ha un non so che di affabile, ed io ho un'incredibile voglia di parlare con qualcuno.
«Mio padre ha tradito mia madre otto anni fa. È un Escluso, ora.» Dico io, stringendo le gambe al petto. Lei abbassa lo sguardo, con aria pensierosa.
«Quella ragazza, Isabelle, è tua sorella vero?»
Annuisco.
«Tu almeno hai lei, hai Jace. Io sono qui da sola, e se non ci fossi stato tu...sarei spiaccicata sulle rotaie di un treno, ora.» Si avvolge un ricciolo intorno al dito, con aria triste. «Io avevo Simon, era il mio migliore amico. Ma è un Erudito ora, perciò...»
«Ehi.» Le sorrido, mettendole una mano sulla spalla. «Anche io non ho amici se non contiamo i miei fratelli…potremmo completarci in questo senso.»
Il volto le si illumina, e annuisce entusiasta.
«Potrei chiederti un favore?» Mi chiede, un po' imbarazzata. «Mi farai conoscere tuo fratello Jace?»
All'improvviso gli sportelli del treno si spalancano, e sporgo un po' la testa per vedere dove ci troviamo: il binario è sospeso accanto al tetto di un palazzo altissimo, e se non saltiamo con abbastanza slancio, potremmo cadere giù di sotto. Il rumore del treno è così assordante da coprire quasi tutto il resto.
«Se sopravviviamo...» Le dico prendendole la mano. «...te lo farò conoscere.»
Prendiamo la rincorsa, e saltiamo.


§


L'aria mi sferza il viso, costringendomi a chiudere gli occhi.
Non cadremo, mi ripeto. Non cadremo.
Tiro un sospiro di sollievo quando sbatto le ginocchia sul cemento duro, che mi fa capire che ce l'abbiamo fatta.
Dopo essermi alzato sento le gambe sono doloranti e nell'atterraggio mi sono sbucciato sia le mani che le ginocchia, adesso rosse di sangue.
Altre persone, come noi, si stanno rialzando e mi chiedo se ce l'abbiano fatta tutti o meno. Purtroppo no, poiché vedo una ragazza inginocchiata sul bordo del tetto, in lacrime: sull'asfalto della strada, un corpo immerso in una chiazza di sangue. Il mio cuore perde un battito.
Jace e Isabelle mi corrono incontro e mi stritolano in un abbraccio, facendomi quasi cadere all'indietro.
«Pensavamo avessi perso il treno.» Mormora Isabelle contro il mio petto, e io comincio ad accarezzarle i capelli con tenerezza, per rassicurarla.
«Chi è lei?» Chiede, indicando Clary.
Quest'ultima fa un passo avanti, tendendo la mano.
«Mi chiamo Clarissa, ma per gli amici sono Clary.» Izzy e la rossa si stringono la mano.
«Io sono Jace.» Mio fratello si presenta con la sua consueta disinvoltura, offrendo la propria mano ambrata a Clary. Lei la stringe, ma i due restano a fissarsi negli occhi: ho sentito tante volte parlare dei cosiddetti "colpi di fulmine" e ne ho appena visto uno di persona. Trattengo una risata notando Izzy che, dietro di loro, fa finta di vomitare.
«Futuri Intrepidi!» Ci chiama una voce, e tutti ci voltiamo verso un ragazzo alto, con i capelli color sabbia e gli occhi verde petrolio. «Sono Woolsey Scott, attuale capo-fazione degli Intrepidi. Avvicinatevi.»
Ci disponiamo intorno a lui: ha una maglia nera a maniche corte che lascia scoperto il lupo tatuato sul braccio, in contrasto con la pelle chiara. Ma non ha freddo?
«Adesso ditemi, chi è abbastanza coraggioso da buttarsi?» Indica con un gesto della testa oltre il bordo del tetto, dove si apre una grossa fossa buia.
Cala il silenzio: chi sarebbe tanto folle da buttarsi dall'altezza di quindici metri in un buco nero?
«Il Lightwood vuole, non è vero?» Jonathan mi spintona in avanti, sempre più vicino al bordo del tetto.
«No, lui non vuole.» Risponde Jace al mio posto, guardandolo male.
Woolsey non si accorge di nulla, poiché è troppo impegnato a gridare qualcosa al suo walkie-talkie.
Io deglutisco nervoso.
«Andiamo Lightwood, non avrai mica paura...» Continua a stuzzicarmi Jonathan, spintonandomi. Ormai sono quasi sul punto di cadere, e comincio a sudare freddo. Un terrore nero mi impedisce di pensare lucidamente e di reagire come dovrei.
«Lascialo stare!» Gli ordina Clary, gli occhi verdi fiammeggianti.
«Come vuoi, sorellina.» Lui mi da un ultimo e fortissimo spintone, facendomi cadere oltre il parapetto.
Sento che urlano il mio nome, prima che il vento e il terrore mi otturino le orecchie.
Non riesco neanche ad urlare, mentre volteggio nel vuoto.


§


Quando ero bambino, avevo sempre molti incubi: una volta sognai di cadere da un burrone altissimo.
Ma ciò che sto vivendo ora, un turbine d'aria misto al vuoto, è decisamente peggio.
Vorrei che il suolo arrivasse subito, così mi schianterò a terra senza troppi problemi, e smetterò di cadere: ma al posto del suolo, c'è qualcos'altro.
Una rete gigantesca mi avviluppa con le sue corde, cullandomi, e dopo qualche minuto riacquisto il controllo del cuore e del respiro. Ho male ovunque.
Alzo lo sguardo verso l'alto: siamo su una piattaforma a tre metri da terra, all’interno di un’ampia grotta che si apre verso l’alto. Rido, rido per scaricare tutta la tensione che mi stava divorando: mi sono buttato da un tetto di quindici metri, e sono ancora vivo!
Comincio ad agitarmi come un pesce fuor d'acqua, finché due braccia salde non mi aiutano a scendere.
Rimetto i piedi a terra, voltandomi per ringraziare chi mi ha aiutato a uscire dalla rete, e quando lo faccio vorrei tanto non avere questo aspetto: davanti a me c'è il ragazzo più bello e affascinante che abbia mai visto. Forse nemmeno sarei capace di immaginarmelo uno così.
Ha tratti orientali, pelle ambrata, capelli neri tenuti alti dal gel e degli occhi surreali: dorati e con la pupilla verticale, come un gatto.
È poco più alto di me ed ha le orecchie costellate di orecchini luccicanti.
«Nome?» Mi chiede. Ha la voce profonda e melliflua.
«A-Alexander.» Balbetto io come un perfetto idiota. Ci tenevo tanto a sembrare meno timido! Almeno un pochino...
«È un po' lungo come nome. Puoi sceglierne un altro, se vuoi.» Accenna un sorriso. «Ma pensaci bene, poi non potrai più cambiarlo.»
Posso ricominciare da capo. Posso essere una persona nuova, con un nome nuovo.
Così ci penso un po' su, finché alla fine non trovo l'abbreviazione giusta: sono stati Jace e Izzy a inventarla.
«Alec.» Annuncio deciso. «Alec Lightwood.»
Il ragazzo si volta e grida: «Primo a saltare, Alec Lightwood!»
Dall'oscurità riesco a distinguere una folla d'Intrepidi, che mi acclama agitando i pugni.
La mano del ragazzo si appoggia tra le mie scapole, e: «Benvenuto negli Intrepidi.» Dichiara.


§


Poco dopo, arriva anche il secondo Intrepido. Quando la rete lo prende, intravedo abiti da Candido e una chioma bionda.
Senza neppure farsi aiutare, balza dalla rete e mi corre incontro, stringendomi forte. Si stacca per guardarmi negli occhi, poi tira un sospiro di sollievo.
«Dio, Alec...pensavamo fossi morto sul serio.» Il volto di Jace si deforma in una smorfia di rabbia. «Lo ammazzo. Giuro che ammazzerò quel bastardo che ti ha buttato di sotto.»
Il ragazzo orientale mi guarda interrogativo.
«Ti hanno spinto?» Chiede.
Io annuisco con la testa, facendo spallucce.
«Alec, perché non hai reagito?» Gli occhi dorati di Jace brillano nel buio. «Avresti potuto dargli pan per focaccia!»
In questo momento mi sento uno stupido, e se dicessi perché non ho reagito, probabilmente scoppierebbero a ridere tutti. Ma non voglio mentire, così dico la pura e semplice verità.
«Non l'ho fatto perché...avevo paura che poi se la sarebbe presa con qualcun'altro, così ho preferito che buttasse me, invece che uno di voi.» Chiudo gli occhi, aspettandomi delle risate o delle prese in giro. Invece, contro ogni mia aspettativa, arrivano fragorosi applausi.
«Questo sì che è coraggio.» Constata una ragazza Intrepida della folla. Non so se è per la mancanza di luce, ma...è proprio Tessa! La ragazza del Test Attitudinale.
Si sente un urlo in lontananza, ed ecco che un altro corpo rimbalza sulla rete.
Il ragazzo orientale aiuta mia sorella a scendere, chiedendo il suo nome.
«Izzy Lightwood.» Risponde lei con un mezzo sorriso.
Pian piano saltano tutti, compresi Clary, Woolsey, Jonathan e la restante ventina d'Intrepidi.
Veniamo accompagnati lungo un corridoio umido, finché questo non si divide in due biforcazioni.
«Allora, gli Iniziati Interni, con me. Non avete bisogno del giro turistico.» Dice Woolsey «I Trasfazione andranno con Magnus.» Poi lo vedo avviarsi nel corridoio di sinistra, seguito da alcune decine di persone.
«Okay Trasfazione, inizia il tour del Centro di Controllo degli Intrepidi.» Annuncia Magnus.
Io, dentro di me, faccio un patto con il mio cuore: prima l'Iniziazione, poi il resto. Non posso lasciarmi distrarre, e non lo farò.
Spero di mantenere la parola.





Note 2: Questo sarebbe dovuto essere il capitolo in cui gli ormoni di tutti vanno in palla 😂
Okay, il pezzo «Benvenuto tra gli Intrepidi» non potevamo toglierlo, era troppo bello.
Allora, che ne pensate? I vostri pareri ci sono di un aiuto immenso: non chiediamo recensioni lunghissime (anche se quelle fanno piacere, si sa), bastano cinque minuti del vostro tempo, giusto per farci sapere ♥️
Nonostante per noi oggi sia iniziata la FATIDICA TERZA MEDIA, cercheremo di aggiornare senza farvi attendere troppo.
Ancora un grazie.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Note: Abbiamo...quaranta recensioni? Non avete idea di quanto ci avete rese felici, non ce lo aspettavamo proprio!
Vi siamo immensamente grate, non vi ringrazieremo mai abbastanza, grazie grazie grazie ♥️
Speriamo che anche il quarto capitolo vi piaccia!
Buona lettura,
Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf








• Capitolo Quattro •


 
Il soffitto del corridoio va declinando, e dato che qui sono tra le persone più alte, mi ritrovo costretto ad abbassare la testa.
Il gruppo si ferma di colpo e per poco non vado a sbattere contro Jonathan, pochi passi davanti a me: fortunatamente neppure lo sfioro.
«Allora.» Inizia Magnus «Per chi fosse sordo o non l'avesse capito, il mio nome è Magnus. Sarò il responsabile del vostro addestramento, e vostro punto di riferimento sino alla fine dell’Iniziazione.»
«Qui non si dicono anche i cognomi?» Chiede Jace, spinto dalla natura dei Candidi. Anche se il Test dice che è un Intrepido, siamo comunque cresciuti in un altro modo.
Magnus lo guarda di traverso. Non credo che abbia gradito la domanda.
«Bane. Significa “distruzione”, e spero che possa farti scattare qualcosa in quella testolina bionda.» Si avvicina, guardando Jace negli occhi. Prima mi sembrava un tipo tranquillo, sorridente, ma adesso...c'è qualcosa in lui che m'impaurisce. «Regola numero uno: voi Candidi dovete imparare a tenere la bocca chiusa. Siete in quattro e non ho voglia di sentirvi cianciare sugli affari altrui, chiaro?»
Io abbasso lo sguardo, imitato da Izzy e Jace. Persino Jonathan sembra rimasto di sasso.
«Stronzo.» Sussurra Jace al mio orecchio quando Magnus riprende il cammino. Purtroppo, non ha tutti i torti.
Raggiungiamo una porta a doppio battente, che Magnus spalanca con un calcio: dentro regna il caos.
È pieno d'Intrepidi che urlano, gridano, corrono e giocano, facendo un fracasso assordante. 
«Questo è il Pozzo.» Ci spiega Magnus.
È una caverna sotterranea incredibilmente spaziosa.
Sopra la mia testa si innalzano alte pareti rocciose, nelle quali sono stati scavati decine di corridoi e stanze. Non ci sono protezioni per impedire alla gente di cadere giù, e tutto da l'idea di un enorme formicaio.
Il soffitto del Pozzo è formato da pannelli di vetro, sopra i quali c’è un palazzo attraverso cui i raggi del sole penetrano fino a qui. Probabilmente, se lo si guarda dall’esterno, lo si confonde con gli altri edifici della città.
Osservando la gran quantità di gente, noto che non ci sono persone anziane: è perché non si vive a lungo, o perché si viene cacciati quando non si può più neppure saltare dai treni?
Magnus ci guida vicino ad uno strapiombo altissimo, e dalle sue profondità riesco a distinguere lo scrosciare dell'acqua. Una ringhiera di ferro non molto alta fa da protezione.
«Questo è lo Strapiombo.» Hanno molta fantasia questi Intrepidi, nel dare i nomi. «E ricordate: siete qui per essere coraggiosi, non imbecilli. Tante persone hanno messo la parola fine alla loro vita buttandosi da qui. E riaccadrà ancora, ricordatevelo.»
Detto questo ci allontaniamo dalla ringhiera, ed io sento un grosso nodo alla bocca dello stomaco: ci ha appena detto che possiamo esser prossimi al suicidio? 


§


Raggiungiamo un varco aperto nel muro, e, grazie alle luci appese al soffitto, capisco subito dove ci troviamo: una grande sala mensa, dove gli Intrepidi ci accolgono con un fragoroso applauso.
Nella sala risuonano i tintinnii delle posate, misti alle chiacchiere della gente e ad aromi deliziosi.
Lo stomaco mi brontola così forte che diverse risatine si levano dal gruppo di iniziati, ed io alzo gli occhi al cielo, maledicendo tutti i santi di mia conoscenza: che figura...ma non è colpa mia se ho fame!
«Andiamo, belva.» Mi incita Jace dandomi forti pacche sulle spalle. «Andiamo a sbranarci un bel panino.»
Non me lo faccio ripetere due volte, così io e i miei fratelli ci mettiamo alla ricerca di un tavolo libero. Appena ne troviamo uno leggermente isolato, ci catapultiamo lì e aspettiamo che ci portino da mangiare.
«Scusate...» Clary si avvicina a noi, un sorriso gentile sulle labbra. «Posso mettermi qui con voi? Ci sono quattro posti...»
Jace si sposta un po' per farle posto, e lei lo ringrazia. Che carini, tutti e due.
Mio fratello ha avuto tantissime ragazze, tutte storielle di poco conto, ma c'è qualcosa di particolare nel modo in cui guarda Clary.
Pochi minuti dopo ci servono dei grossi hamburger di manzo, ed io ne addento uno con gusto: è molto saporito e succulento.
Vedo Clary che ne prende uno con poca convinzione.
«Qualcosa non va?» Le chiede Izzy.
«I Pacifici sono praticamente vegetariani, mangiano roba salutare.» Rispondo io al suo posto.
«Ecco perché te ne sei andata!» Esclama mia sorella dando un poderoso morso al suo hamburger. 
Lei fa spallucce e da un piccolo morso al panino, e vedo che, mentre lo mastica, gli occhi le si illuminano.
«Dio, ma è...» Osserva l'hamburger sbalordita. «È buonissimo!»
Noi ridiamo, e mi rendo conto che tutti e quattro ci siamo sbranati i panini a velocità supersonica.
«E non hai ancora assaggiato le patatine fritte!» Le dice Jace, dandole una leggere gomitata: non c'è modo migliore di iniziare una storia d'amore se non con delle patatine fritte.
Io lancio un'occhiata dietro la spalla di Jace, dove, ad un tavolo, sono seduti Tessa, Woolsey e Magnus. Nessuno ha avuto il coraggio di mettersi insieme a loro.
Jonathan si avvicina ai tre disinvolto, con un vassoio di cibo tra le mani.
Loro lo guardano incuriositi.
«Posso mettermi qui?» Chiede lui, aspettandosi ovviamente un sì.
Magnus da un morso al suo panino, bofonchiando un “detesto i Candidi”. 
«Qui non accettiamo i vigliacchi che buttano giù dai tetti ragazzi innocenti.» Tessa ha alzato la voce, e ci vuole poco prima che tutti si voltino per assistere alla scena.
«Cosa? Come lo sapete?» Domanda Jonathan sbalordito, poi sposta lo sguardo verso di me. «Sei stato tu, vero? Hai spifferato tutto?» 
Si avvicina furioso, e mi fa alzare tirandomi per il colletto della camicia.
Mi scaraventa con forza inaudita contro un tavolo, che si rovescia. Il colpo mi toglie il respiro, ed un insieme di piatti e forchette mi cade addosso. Non so se a sorprendermi di più è stata la forza con cui mi ha lanciato o il fatto che non mi aspettassi assolutamente un gesto così violento.
«Ehi, lascialo stare!» Grida Isabelle tentando di bloccarlo, ma lui la scaccia via con un calcio alle caviglie, che la fa cadere.
Io mi alzo, nonostante qualche osso dolorante.
«Non osare toccare mia sorella!» Gli grido. Provo a tirargli un pugno, ma lui mi blocca il braccio e me lo contorce, portandomelo dietro alla schiena. Mi sfugge un gemito di dolore. Mi rigiro nella sua stretta, sferrandogli poi una ginocchiata nello stomaco. Indietreggia un poco, ma non molla la presa.
Mi  sferra un colpo nell'occhio sinistro, poi un altro al naso, e quasi cado a terra.
Magnus e Woolsey intervengono, bloccando Jonathan per le braccia.
«Ma che sei impazzito?!» Gli grida il biondo. «Tessa, porta il ragazzo in infermeria. A lui ci pensiamo noi.»
Sputo a terra saliva e sangue, sentendo dentro una rabbia inaudita. Tessa cerca di trascinarmi via. Ho male al viso tanto che, se non ci fossero l’adrenalina e la furia a mitigare il dolore, probabilmente non riuscirei nemmeno ad aprire la bocca. Un rivolo di sangue caldo mi cola dal naso, ma neanche me ne accorgo, impegnato come sono a scambiare occhiate gelide e torve con Jonathan.
«Alec!» Jace mi appoggia una mano sulla spalla. «Stai bene? Vuoi che ti accompagni...»
Tessa scuote la testa al posto mio sussurrandomi all’orecchio «Andiamo» e spintonandomi fuori dalla sala.


§


«Povera stella.» Mormora Tessa, prendendo una borsa piena di ghiaccio. «Ti ha massacrato in meno di un minuto.»
Io non rispondo, e mi siedo sul lettino dell'infermeria. Il naso ha smesso di sanguinare, ma ogni tanto manda delle scariche di dolore.
«Come ti trovi, qui?» Chiede lei per cambiare argomento, tenendomi il ghiaccio sull'occhio, divenuto nero e gonfio.
«Io...io penso che mi troverò bene, ma...Jonathan...» Sento la voglia di strangolarlo sgorgarmi nelle vene. Lei mi dice di far silenzio appoggiando l'indice sulle proprie labbra. 
«Riposati, okay? L'occhio ritornerà come nuovo tra un paio giorni. Ed evita quel pallone gonfiato.» Non avrei mai trovato parole migliori per descriverlo. «Sono orgogliosa di come hai cercato di proteggere tua sorella. Sei stato coraggioso.» 
Io mi rattristo un po'.
«Ho cercato di proteggerla, ma non ci sono riuscito. Avrebbe potuto farle del male...»
Tessa mi sorride.
«Ma ti sei fatto calpestare pur di far in modo che ciò non accadesse, ed è questo ciò che ti fa onore.» Tasta il mio occhio con il ghiaccio.
«Perché Magnus detesta i Candidi?» La domanda mi sfugge, e non riesco a bloccarla.
Tessa sospira, poi sorride malinconica.
«Li detesta perché, tre anni fa, quando eravamo degli Iniziati come voi, dei Candidi gli hanno messo del Siero della Verità nel cibo, e lui ha detto cose che...cose che non avrebbe voluto dire a nessuno, ecco. Da allora cerca di evitarli.»
Tra noi cala il silenzio, ed io mi ritrovo più in imbarazzo che mai: non mi sarei mai aspettato che ci fossero persone così stupide da fare uno scherzo del genere. Utilizzare l’essenza della propria fazione per uno scherzo idiota... 
Qualcuno bussa alla porta, e Tessa urla un «Avanti!»
Magnus fa il suo ingresso, con un sorriso timido sulle labbra. «Posso parlare con l'infortunato?» Chiede. «Da solo
Tessa si dilegua, salutandomi con un gesto della mano e un sorriso.
Magnus prende la sedia abbandonata nell'angolo della stanza, l'avvicina al lettino e si mette seduto a gambe incrociate.
Restiamo a fissarci per un po' negli occhi. Le sue iridi sono una fusione di oro e giada.
«Mi dispiace per prima.» Dice Magnus. «Non immaginavo che picchiasse così forte. Sembra che si sia già allenato per anni.» 
Cerco di reprimere la sensazione di essere trattato come un bambino ferito che non sa difendersi, e faccio spallucce. 
«Non fa nulla. L'importante è che non si sia fatto male nessuno.»
«Ma tu ti sei fatto male.» Constata Magnus. «Sicuro di non essere un Abnegante?» Scherza, sorridendo. Ha dei denti bianchissimi, quasi più luccicanti degli orecchini che percorrono tutto l'orecchio sinistro. 
Io m'irrigidisco: Tessa mi aveva detto che in me c'era un po' di Abnegante, ma ora che ho scelto gli Intrepidi, forse devo sopprimere la natura altruista.
«No. No non lo sono.» Rispondo io, forse un po' troppo bruscamente. 
Lui afferra il sacchetto con il ghiaccio e tende la mano verso il mio viso, poco sotto l'occhio pestato: l'appoggia con estrema delicatezza, e mi tampona lo zigomo con aria assente. Il suo sguardo è indecifrabile, il mio volto rosso e teso. Per alcuni secondi, mentre sento le dita calde di lui sulla guancia, mi dimentico di respirare.
«Non avevo mai conosciuto un Candido che si sacrifica così per qualcun'altro. E neppure un Candido timido
Passa qualche minuto di silenzio, poi Magnus si alza e si dirige verso la porta.
«Gli allenamenti iniziano domani. Ti concedo due giorni di riposo, Lightwood.» 
Abbozza un sorriso e se ne va.


§


Ho passato l'intera serata in infermeria, e adesso è quasi notte fonda. Il buio è denso come crema, e dato che mi sarà impossibile aprire l'occhio per un po' Tessa mi aiuta a non andare a sbattere da qualche parte.
«No, aspetta: Magnus ti ha concesso due giorni di riposo?» Mi chiede lei, accompagnandomi ai dormitori degli Iniziati Trasfazione. 
«Sì.» Rispondo io. «Perché?»
Lei scuote la testa.
«Lui non concede mai un giorno di riposo. Figurarsi due. Una volta un ragazzo si era rotto una gamba, e lui l'ha obbligato ad esercitarsi con il gesso e una stampella.» 
A quelle parole ammutolisco.
Arriviamo davanti ai dormitori, che sono stretti e squallidi. Non abbiamo effetti personali, poiché tutto ciò che faceva parte della nostra vecchia vita, deve abbandonarci. Alle nostre famiglie è permesso di inviarci solo un pacco con gli effetti personali essenziali. Qui si ricomincia.
Ogni stanza ha quattro o tre posti letto, ed un bagno minuscolo in c'è spazio a malapena per la tazza ed un lavandino a parete. A me capita una da tre, che condividerò con Jace e Izzy. Qui non si dividono i maschi dalle femmine, e la trovo una cosa alquanto sbagliata: più che altro perché esistono persone come Jonathan, che per me potrebbero approfittarne volentieri.
Quando entro, i miei fratelli mi chiedono come sto. Rispondo che va tutto bene, e che tra due giorni sarò come nuovo.
«È un deficiente. Appena mi capita l'occasione gli stacco la testa dal collo e...» 
Jace comincia a pianificare la sua -alquanto violenta- vendetta ad alta voce.
Non trattengo un sorriso. 


§


Il mattino dopo, quando ci svegliamo, troviamo degli abiti puliti stesi sui letti: magliette e pantaloni in pelle rigorosamente neri e resistenti, ed un completo comodo per dormire.
Ci vestiamo e tutti i Trasfazione si dirigono in una grande palestra, situata al livello più basso della grotta: è costellata di bersagli da colpire, terreni per combattere, pesi da sollevare e sacchi pieni di farina da prendere a pugni.
La cosa mi mette un po' in agitazione: ho un fisico abbastanza atletico ma non sono esattamente il tipo per certe cose. Preferisco appartarmi da qualche parte con un buon libro da leggere.
Magnus è in piedi su una grossa cassa, ed emette un fischio acuto per ricevere l'attenzione di tutti.
«Oggi comincerà l'Iniziazione.» Annuncia. «Ed ho due notizie, una buona e una cattiva: la buona, è che se siete forti la passerete senza troppi problemi. La cattiva, è che siete in parecchi e che solo alcuni di voi verranno ammessi: coloro che segneranno più punti con il susseguirsi dei diversi allenamenti.»
Si leva un mormorio di preoccupazione e nervosismo, ed è come se qualcuno mi avesse appena tirato un pugno sull'occhio nero.
«Inizieremo cominciando a utilizzare le pistole a basso calibro. E ricordate: se avete timore di uccidere, l'uscita è di sopra.»
Avevo temporaneamente dimenticato che gli Intrepidi fanno anche un po' da "polizia" nella città, oltre che sorvegliare le sue mura. Nessuno sa cosa ci sia oltre, ma molti credono che non sia una buona idea saperlo. 
Il tono di Magnus è sarcastico e divertito, e sembra un'altra persona in confronto al ragazzo che ieri era con me in Infermeria.
Mi rendo conto che queste sono tutte cose che non vorrei fare: picchiare, sparare, uccidere.
Forse ho fatto la scelta sbagliata, ma tornare indietro è un lusso che non posso permettermi.





Note2: Allora, che ne pensate? Speriamo di rivedere le vostre stupende recensioni anche qui, ci renderebbe incredibilmente felici.
Grazie ancora a tutti coloro che hanno recensito, letto, o messo questa storia nelle preferite/ricordate/seguite. ♥️

Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Note: Ed eccoci qui con il 5° capitolo! Grazie per le vostre recensioni meravigliose, non sapete quanto ci rendano felici ♥️
A proposito di ciò, abbiamo notato che nel capitolo precedente sono calate di molto...se avete dei problemi di tempo, o c'è qualcosa che non vi va nella storia, vi prego di dircelo, magari per avere dei tempi di aggiornamento più lenti e dare tempo a tutti.
Grazie ancora, godetevi il quinto capitolo ♥️
Buona lettura,
Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf








• Capitolo Cinque •


Magnus consegna nelle mani di ognuno una pistola, finché non arriva il mio turno.
«Avevo detto che potevi prenderti due giorni.» La sua voce è fredda e piatta, come se mi avesse ripetuto la stessa cosa così tante volte da averla imparata a memoria.
Dietro di lui, Jonathan ridacchia.
«Io...io vorrei provare.» Dico, cercando di sembrare risoluto.
Lui mi guarda come se avesse appena sentito una barzelletta, che però non lo diverte affatto.
«Per favore, lasciami tentare. Posso...»
Mi mette in mano la pistola con rabbia.
«Sei molto testardo.» Dice. «Vedi quei tre bersagli? Dato che ti piace molto trasgredire i miei ordini e dimostrare le tue doti, pretendo che li centri tutti e tre. Altrimenti partirai con dieci punti di svantaggio rispetto agli altri.»
Per Dio, non erano queste le mie intenzioni. Volevo solo fargli capire che non ho intenzione di rimanere indietro rispetto agli altri, tutto qui. Maledetti Intrepidi che capiscono tutto quello che non devono capire.
Nella palestra cala il silenzio, e vedo Clary, Izzy e Jace che mi guardano sconcertati: abbiamo appena iniziato e già sono nei guai.
I bersagli sono cerchi luminosi attaccati alle pareti, suddivisi in tanti anelli: quello centrale è il più rosso, il più piccolo ed il più brillante.
Impugno la pistola con un po' di difficoltà, dato che è la prima volta che ne utilizzo una.
La punto verso il bersaglio, ed il mio indice tentenna nel premere il grilletto nero e gelido.
Mi ritorna in mente quando, da bambini, io e i miei fratelli ci divertivamo con i molti giocattoli che nostro padre ci procurava ogni volta che andava al mercato: io andavo matto per l'arco e le frecce. Ogni volta che ne scoccavo una, riuscivo sempre a centrare il bersaglio.
Sparare è davvero così diverso dal tiro coll'arco?
Con l'occhio sano metto bene a fuoco il bersaglio, rosso come il sangue, e il proiettile parte con uno scoppio.
La detonazione mi fa chiudere automaticamente gli occhi, finché alle mie orecchie giungono mormorii sorpresi, così provo a sbirciare: nel bel mezzo del bersaglio c'è un foro nero e fumante.
«Che cosa sta succedendo qui?» Woolsey entra nella palestra, sbalordito dalla scena che si è ritrovato di fronte. «Perché l'infortunato ha una pistola in mano?»
Magnus, sorpreso, ha l'aria di un bambino che è stato beccato con le mani in un sacchetto di caramelle.
«Woolsey, il Candido non vuole riposare
L'intrepido mi guarda stupito, poi soddisfatto.
«Non mi sono mai piaciuti gli scansafatiche. Bravo Lightwood!» Esclama, battendo le mani: sono finito in una gabbia di pazzi.
Woolsey sposta lo sguardo verso il bersaglio da me colpito, e si passa una mano tra i capelli color platino. Ha la bocca a aperta in una "O" di sorpresa.
«È stato il Candido a sparare?»
Magnus annuisce, e da come ha serrato la mascella, sembra parecchio arrabbiato.
«Sai che hai fatto?» Mi domanda il capo-fazione. Io scuoto la testa con poca convinzione, ma abbastanza confuso. «Hai centrato il bersaglio in pieno, al primo colpo, e con un occhio pesto! Sei persino più bravo di Magnus, che finora a sparare è sempre stato il migliore.»
Quest'ultimo lo fulmina con lo sguardo, furioso più che mai.
«Non sei divertente, Woolsey.»
Lui invece sorride, divertito.
«Invidioso di un tuo allievo, Magnus?» Quest'ultimo digrigna i denti, mentre sulle mie braccia si comincia a formare una notevole pelle d'oca.
Il ragazzo dagli occhi felini mi afferra per un polso con forza inaudita, facendomi cadere la pistola. Il mio cuore comincia a battere forte, ma per la prima volta non per l'imbarazzo.
«Cominciate a sparare!» Sbraita agli altri prima di trascinarmi fuori dalla palestra.


§


Le dita di Magnus sono avvinghiate al mio polso, tanto da farmi male.
Quando ci allontaniamo abbastanza da non udire più gli scoppi delle pistole, lui mi fa cozzare la schiena contro la parete: le sue mani mi bloccano le braccia sopra la testa, ed i suoi occhi bruciano di rabbia.
«Tu, sei venuto qui per umiliarmi? Rispondi!» Mi urla nelle orecchie.
Dov'è finito il ragazzo che ieri mi accarezzava la guancia in infermeria? Quella che ho davanti è un'altra persona, ne sono convinto.
«Io...io volevo soltanto dimostrare che sono uguale agli altri! Non ho bisogno di riposo, è solo uno stupido occhio nero!»
Lui scuote la testa, sconsolato.
«Sono il tuo allenatore. Se ti dico no, è no. Chiaro?»
Sì, è chiaro, ma io non ho la minima intenzione di farmi trattare come un povero piccolo idiota, così provo a liberarmi dalla sua presa, senza troppi risultati.
Anzi, la sua stretta si fa più forte e decisa ad ogni mio tentativo: che speranze può avere un semplicissimo Candido contro uno degli Intrepidi più forti della città?
«Tu non fai riposare mai nessuno. Perché invece con me insisti tanto?» La domanda sembra coglierlo di sorpresa, e si guarda intorno per controllare che non ci senta nessuno.
«Te l'ha detto Tessa, vero?» Il suo tono di voce è bassissimo ora.
«Sì. E anche perché odi quelli come me.» Abbasso lo sguardo, temendo la sua reazione: rabbia, furia, o qualsiasi altra cosa che includa una delle due. Invece, lo sento allentare la presa sui miei polsi, ora ornati con anelli rossi. Il sangue non scorreva più fino alle dita, tanto la stretta di Magnus era ferrea.
«Io...io non ti odio. Come puoi pensarlo? Per me tutti gli Iniziati sono importanti...»
Il suo tono di voce è flebile, quasi impercettibile. Sento accendersi dentro di me una scintilla di rabbia.
«Come posso pensarlo? Sembra sempre che qualsiasi cosa dica ti faccia infuriare oppure compassione. Provo a dirti che voglio sparare comunque, e tu mi minacci. Che voglio essere come gli altri e mi tratti come se fossi un incapace. Poi, quando mi pestano, vieni in infermeria e…e...» Mi ritrovo incapace di continuare, dato che le mie stesse parole mi hanno ferito e confuso. Incrocio le braccia al petto, gli occhi serrati e la testa bassa.
Non ho mai urlato tanto in vita mia, ho addirittura il fiatone.
Magnus, davanti a me, ha le sopracciglia inarcate e continua ad aprire e chiudere la bocca alla ricerca di parole.
«Non pensare che ti odi.» dice alla fine. La sua mano cerca la mia, e quando la trova la stringe con forza. «È una storia molto, troppo lunga, Alec. Ma...non riguarda te.»
Quando si rende conto che le sue dita si sono intrecciate alle mie, le lascia immediatamente, come se fosse un'azione proibita e dannata.
«Ritorniamo in palestra.» Conclude, avviandosi a passo spedito.
Io rimango qui per alcuni istanti, tastandomi i polsi, poi gli corro dietro per raggiungerlo: ha un'andatura davvero veloce.
Una volta rientrati nella palestra, tutti si voltano a fissarci per qualche secondo, prima di ritornare ad allenarsi con le pistole. Woolsey se n'è andato, lasciando da soli dei ragazzi inesperti con delle pistole cariche. Davvero un bell'affare.
Noto che Jace e Izzy se la cavano parecchio bene, mentre Clary ha qualche difficoltà. I suoi proiettili mancano spesso il bersaglio, senza neppure avvicinarvisi.
Subito mi viene spontaneo guardare verso Jonathan, tanto per vedere i suoi colpi, ma me ne pento immediatamente: spara come se fosse la cosa più naturale del mondo, disinvolto e sicuro di sé. Non manca una sola volta il centro dell'obbiettivo.
Il mio cuore perde un battito.


§


Le parole di Magnus mi rimbombano nella testa, come un tormentone.
Sto cominciando a pensare seriamente che soffra del disturbo bipolare: prima fa l’egocentrico acido e crudele, poi diviene vulnerabile e accondiscendente. Non so quale mi spaventi o mi confonda di più.
Giungo alla conclusione che, finché sarò sotto Iniziazione, lo terrò il più lontano possibile: meglio evitare stupidi rischi. Se mi dice di fare qualcosa, la farò e basta. È solo il mio allenatore. Bisbetico, aggiungerei. Bellissimo anche.
«Lightwood, vai ad aiutare la piccola Fairchild.» Mi ordina Magnus, indicandomela.
Clary sembra contenta di vedermi: questa ragazza è probabilmente l'unica persona simpatica qui dentro. Escludendo Jace e Izzy, ovvio.
«Magnus ha detto che devo aiutarti.» Lei annuisce, un po' delusa dal fatto che la si debba aiutare, e mi mostra dove sta il suo problema: ha delle braccia così minute che, quando spara, per poco la pistola non le vola all'indietro.
«Per prima cosa...» In teoria dovrebbe esserci Magnus qui, ad aiutarla. Ma non ho più voglia di discutere con lui, preferisco di gran lunga aiutare Clary. Neppure mi accorgo che il suo sguardo felino è puntato su di me, gelido come vento di tramontana. «Sei rigida nella postura e metti poca forza nelle braccia. Prova il contrario.»
Lei fa come le dico, assumendo una posizione più comoda e irrigidendo gli arti.
Quando spara, il proiettile colpisce il cerchio giallo, il terzo a partire dal centro. Lei ride soddisfatta, sorridendomi con gratitudine.
Finora non ero mai stato d'aiuto a nessuno, ma quello strano calore che percepisco dentro è l'unica cosa bella delle ultime ore. È la sensazione di averne combinata una giusta, e di non averla combinata per me stesso: ma per un'amica.
Una campanella preannuncia che è l'ora di pranzo, così corriamo verso la mensa: il menù di oggi dice che ci sarà la speciale “torta degli Intrepidi”.
Io, Izzy, Jace e Clary ci mettiamo seduti esattamente nello stesso tavolo di ieri, e subito i tre mi travolgono di domande. Ovviamente, riguardano tutte ciò che è successo stamattina in palestra.
«Non è successo nulla.» Rispondo io, rimuginando il purè di patate che ci hanno appena servito, insieme a delle polpette e una ciotola d'insalata.
«Alec, sappiamo tutti che non sai mentire.» Controbatte Jace con la bocca piena. Riconosco che ha ragione, nonostante preferirei di no.
Io rimango zitto, riempiendomi la bocca di carne.
«Comunque.» Dice Izzy per smorzare la tensione. «Woolsey ha detto che stasera c'è una festa, di quelle grosse.»
Le mie sopracciglia schizzano in alto, e per poco non mi strozzo con la polpetta di carne che stavo masticando: odio le feste, con tutto me stesso.
Tanto va a finire sempre che Izzy e Jace trovano qualcuno -logico, dato che ai balli hanno sempre tutti a far loro la corte- ed io, come un povero fesso, rimango da solo. Inoltre non so neppure ballare.
«Io non ci vengo.» Dichiaro risoluto.
«E dai, neppure io sono una tipa da festa, ma ci si diverte.» Clary infilza una foglia d'insalata e l'addenta.
Io scuoto la testa con convinzione, facendo sbuffare mia sorella.
«Sei il solito asociale.» Borbotta, ed io metto un finto broncio, indispettito. I tre scoppiano a ridere.
Una cameriera serve ad ogni presente un piatto di plastica, con sopra un'invitante fetta di torta al cioccolato.
Tutti i presenti s'ingozzano, urlando dei complimenti al cuoco.
Vedo Magnus alzarsi dal proprio tavolo, agitare il pugno in alto e gridare: «Potere agli Intrepidi!»
Scoppia un fragoroso sbattere di pugni sui tavoli, e a ritmo tutti ripetono la frase pronunciata da Magnus.
I miei compagni di tavolo si uniscono al coro, e ben presto mi unisco anche io.
Dopo aver battuto cinque o sei volte i pugni, questi cominciano a davvero a far male, ma mi sto divertendo troppo per smettere.





Note2: Questo era più che altro un capitolo di passaggio, scusateci se l'avete trovato un po'...insapore.
Non sapete quanto vi siamo grate, quindi grazie davvero di cuore ♥️
Questa storia è tra le seguite di ben 33 persone, preferita da 13 e ricordata da 3. Ringraziamo anche i lettori silenziosi, ma non abbiate timore di farvi sentire ♥️
Speriamo di sentirvi presto con le vostre recensioni!

Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Note: Né io né Irene riusciamo a dirvi quanto vi ringraziamo.
Le vostre recensioni ci rendono davvero, davvero felici, e dil fatto che voi troviate cinque minuti per lasciare un parere (positivo o negativo che sia) significa davvero tanto ♥️
Se foste così gentili da scrivere una piccola recensione anche per questo capitolo, avrete la nostra più profonda gratitudine.
Buona lettura,
Ari Youngstairs & MyLove Is On MyBookshelf








• Capitolo Sei •


Abbiamo trascorso l'intero pomeriggio ad allenarci, ma stavolta niente pistole: Magnus ci ha fatti correre in lungo e in largo per tutta la palestra, e non appena qualcuno provava a rallentare, cominciava a gridare cose come: «Avanti, ti pesa il posteriore per caso? Più veloce!».
Ci hanno detto che per la festa di stasera non dobbiamo vestirci eleganti, ma, ovviamente, mia sorella è in crisi perché non sa quali tacchi mettersi.
«Questi o questi?» Mi chiede, mostrandomi due paia di scarpe dall'altezza vertiginosa. Ma dove le ha trovate?
«Sicura che riuscirai a camminare con quei trampoli?» La canzona Jace, ravvivandosi i capelli biondi.
Lei risponde con una linguaccia, poi torna a guardarmi.
«Andiamo Alec, non vorrai rimanere qui tutta la sera!» Io annuisco con la testa, e lei si batte una mano sulla fronte, esasperata. «Sei una causa persa, Alec. Comunque, tu con chi vai Jace?»
«Con Clary. Gliel'ho chiesto oggi e ha risposto di sì.» Sorride soddisfatto. «E tu Iz?»
«Beh...me lo aveva chiesto Jonathan, ma ho pensato che fosse ingiusto nei confronti di Alec andare al ballo con lui.»
M'irrigidisco di colpo: quel tipo non mi piace per niente, ma non voglio che la mia vita influenzi quella di mia sorella.
«Iz...quel tipo...ti piace?» Chiedo titubante.
Lei fa una smorfia di disgusto.
«Neanche per idea! Non mi piace in quel senso, è soltanto abbastanza figo fisicamente. Ma no, non potrebbe mai piacermi uno che ha pestato mio fratello.» Mi abbraccia, scompigliandomi i capelli. Apprezzo il suo gesto, ma...la sensazione di essere un bambino che non si sa difendere mi attanaglia lo stomaco.
«Iz, se proprio vuoi andarci al ballo va bene. Ma se solo prova a sfiorarti me lo devi dire.» Le ordino serio. «A me o a Jace, poi ci penseremo noi. Giusto fratello?»
Lui annuisce, con le braccia incrociate al petto.
«Alec, per favore, vieni alla festa con noi.» Mi implora Isabelle, con gli occhi scuri fuori dalle orbite: sta tentando di piegarmi con lo stile “occhioni e labbruccio da bimbo innocente”. Ma no, non mi arrenderò così facilmente.
Scuoto la testa per quella che sembra la milionesima volta, e mi butto sul letto a braccia conserte.
Izzy e Jace si scambiano un'occhiata decisa, e mi chiedo cosa passi per le loro teste calde.
Tutto accade in un attimo: mia sorella mi afferra le caviglie, mentre Jace mi solleva prendendomi da sotto le braccia.
«Verrai alla festa, che tu lo voglia o no!» Gridano, mentre Isabelle appoggia le mie ginocchia sulle sue spalle, per poi rafforzare la presa sulle caviglie.
Io scalcio e mi dimeno, ma nulla da fare: questi due vogliono portarmi alla festa con la forza. Comincio a strillare come un matto, e mentre attraversiamo il corridoio parecchi Intrepidi si voltano a guardare la scena: due Iniziati che portano sulle spalle un ragazzo urlante. Sarebbe divertente, se il suddetto ragazzo urlante non fossi io.
Giungiamo al Pozzo, che brilla di luci colorate e risuona di musica chiassosa.
È pieno zeppo di gente, tutta in nero, che balla a ritmo insostenibile con drink colorati tra le mani.
Jace e Izzy mollano la presa, facendomi rumorosamente cadere a terra.
«Dannati.» Bofonchio io, mentre loro si danno il cinque soddisfatti. «Adesso che mi avete portato qui, che dovrei fare?»
«Divertirti, ecco che dovresti fare.» Mi consiglia Jace, mentre si dilegua insieme ad Izzy tra la folla.
Io mi sento come un giocatore di scacchi ad un ritrovo di punk, e resto impalato qui davanti all'entrata come uno stoccafisso.
A volte mi chiedo se io non sia una di quelle persone così sfigate da non sapersi divertire, che alle feste rimangono sedute in un angolo mentre gli altri se la spassano.
La risposta arriva da sola, come una martellata in testa: sì. Lo sono eccome.
Sospiro sconsolato, e mi appoggio con la schiena alla parete, per poi lasciarmi scivolare fino al pavimento. Incrocio le gambe e appoggio la guancia sul pugno chiuso, puntando il gomito all' interno della coscia.
Tutta la vita passata a proteggere i miei fratelli, a pensare che scelte avrebbero compiuto, a se un giorno ci saremmo separati, e ora ci si è aggiunta la storia del Divergente.
Ma chi sono io veramente? Chi voglio diventare, che lavoro voglio svolgere? Un giorno riuscirò ad ammettere a me stesso che sono omosessuale, o continuerò a vivere nelle mie stesse banali menzogne? Riuscirò mai ad innamorarmi, e qualcuno riuscirà mai ad amare uno come me? Rigido, ammusato, pieno di difetti, che arrossisce ad ogni piccola cosa, e neanche particolarmente bello.
Che idiota che sei, Alec. Chi vuoi che s'innamori di te?
Neppure me ne accorgo, che comincio a piangere in silenzio: grossi lacrimoni mi rigano la faccia. Probabilmente sto liberando tutta la tensione accumulata negli ultimi giorni, forse anni. Uno sbuffo tremulo mi esce dalle labbra e con le maniche della maglietta mi asciugo le guance. A quel punto capisco che è meglio che vada via da questo posto.
Mi alzo, un po' barcollante, e appoggio la mano sulla fredda maniglia del portone che conduce ai dormitori.
Un istante prima che lo spalanchi, qualcuno mi chiama da dietro:
«Alec, la festa è appena iniziata, perché te ne vai?»

§



Magnus, dietro di me, mi fissa incuriosito, con un bicchiere di vino tra le mani.
«Terra chiama Alec, ci sei?» Lui mi fa voltare, per potermi guardare in viso. «Ma tu stai piangendo.» Constata, notando gli occhi arrossati e il viso umido. «Che succede? Qualcuno ti ha dato buca?»
«No.» Rispondo, la voce incrinata dal pianto. «Possiamo...andare da un'altra parte?» Chiedo, e non posso fare a meno di sentirmi patetico.
Lui annuisce e apre il portone, così ci ritroviamo da soli nel bel mezzo del corridoio. La musica arriva alle mie orecchie lontana e ovattata.
«Non mi ha dato buca nessuno.» Inizio io, tirando su con il naso. Piano piano riprendo il controllo del respiro: non voglio farmi vedere così debole davanti a qualcuno che non sia Jace, Izzy o magari Clary, ma oramai è successo. «E comunque nessuno mi aveva invitato.»
Magnus accenna un sorriso, facendo un passo verso di me.
«Andiamo, non è un valido motivo per...»
«Non sono triste per quello.» Lo interrompo io. «Cioè, sono un po' triste anche per quello, ma ci sono piuttosto abituato, diciamo...si tratta di tutt'altro. Ma non credo che ti interessi.»
Mi volto e faccio per andarmene, ma lui mi si piazza davanti con velocità fulminea.
«Prima devi assaggiare questo.» Mi mostra il bicchiere con il vino. «Direttamente dalle vigne dei Pacifici.»
Io scuoto la testa, ringraziandolo.
«Non mi piace il vino...» Provo di nuovo a passargli affianco, ma lui non vuole proprio farmi andare via di qui.
«L'hai mai assaggiato?» Domanda, con un sorrisetto sghembo.
«Non hai intenzione di perder questa guerra, vero?» Lui dice di no con la testa, e alla fine cedo.


§


Quando rientriamo al Pozzo, l'intera folla si è divisa in coppie: nelle casse ora suona un lento, di quelli fatti appositamente per trasformare una festa scatenata in un melenso palcoscenico per innamorati. Sinceramente, era meglio prima.
Da lontano riesco a vedere Jace e Clary, abbracciati, ed Izzy che sta discutendo animatamente con Jonathan. Spero che non si sia cacciata in qualche guaio.
Magnus mi accompagna fino al bancone del cibo, dove prende una bottiglia di vino e un altro bicchiere, che mi porge. Versa la bevanda, riempendo il recipiente di plastica fino all'orlo.
È di un colore rosso scuro, denso, simile al sangue.
Lo avvicino alle labbra con poca convinzione, e ne mando giù un sorso: è un sapore forte, amaro, ma sento l'alcol attraversare le mie vene come una scarica elettrica.
Scolo l'intero bicchiere: un po' di energia è quel che mi serve.
«Ne vuoi un altro?» Mi domanda Magnus, soddisfatto. Io annuisco e lui me lo riempie nuovamente .
Dopo qualche minuto, tra una bevuta e l'altra, la bottiglia di vino è già vuota.
«Non ne avrai bevuto troppo? Ti sei scolato tutta la bottiglia!» Mi appoggia una mano sulla spalla, preoccupato.
La testa mi gira un po', ma a parte quello penso di star abbastanza bene.
«Voglio andare a dormire.» Ammetto, con uno sbadiglio.
Non faccio neppure un passo che una fitta di dolore mi lacera lo stomaco, piegandomi in due. La vista mi si annebbia.
«Alec!» Magnus mi aiuta a rialzarmi, passandomi un braccio sulle spalle. I conati di vomito cominciano a farsi insistenti, ma li blocco premendomi la mano sulla bocca. «Avanti, i dormitori sono troppo distanti, ti porto da me.»
Ci allontaniamo dal Pozzo a grandi passi, ed io ho tutta l'aria di uno zombie: pallido e barcollante.
La porta di Magnus è stata tutta decorata dai graffiti, e altri strani disegni colorati che non riesco a distinguere.
Dentro è confortante, con un grande letto color crema e un piccolo divanetto bianco, un grande tavolo troneggia al centro; dall'altra parte della stanza intravedo quella che dovrebbe essere la cucina. Le pareti sono azzurrine, un colore tenue e rilassante che decisamente non assocerei a Magnus.
Le fitte allo stomaco si fanno tanto forti da diventare insopportabili.
«Magnus, io dovrei...» Lui afferra al volo, e non senza un po' di fatica mi porta in bagno, per poi chiudere la porta. Dentro aleggia un profumo dolce ed esotico, che non avevo mai sentito.
Raggiungo a tentoni il lavandino, sopra al quale è incastrato uno specchio leggermente appannato: l'occhio nero è quasi guarito completamente, ma tutto il mio viso è dipinto di un pallore così denso da sembrare verde, i capelli appiccicati alla fronte per il sudore.
Un'altra fitta, uno spasmo alle labbra, e tutto ciò che ho mangiato nelle ultime ore mi abbandona nel peggiore dei modi.
Quando finisco, sento solo un forte bruciore alla gola e alla testa.
Do una pulita al lavandino, e a passi pesanti ritorno nella camera di Magnus.
Quest'ultimo mi guarda preoccupato, ma lo vedo rilassarsi non appena accenno un sorriso.
«Ho pulito.» Mormoro, un po' stordito.
«Non fa nulla. Non avrei dovuto lasciarti bere così, non sei neppure maggiorenne. Mi dispiace.»
Io faccio spallucce, un gesto che ho ripetuto più e più volte, negli ultimi giorni.
«Era...un momento di debolezza. Non avrei bevuto in quel modo se fossi stato in circostanze normali.»
Mi stringo nelle spalle, dando qualche leggero colpo di tosse.
«Ti va un po' di thé? Sei uno straccio.»
In effetti, ora ho lo stomaco vuoto, una bevanda calda mi farebbe proprio comodo. Così accetto l'offerta, Magnus si alza e comincia a preparare la tisana.
Mi siedo sul letto, facendo penzolare le gambe: sono alto, ma il letto di Magnus lo è ancora di più. È enorme, e mi chiedo se non lo condivida con qualcuno...Dio, ma che pensieri mi passano per la testa?
Il mio allenatore ritorna dal piccolo stanzino che fa da cucina, con una tazza fumante tra le mani. Bevo a piccoli sorsi, finché non sento tutta la tensione dei muscoli allentarsi.
«Grazie.» Mi accorgo che Magnus mi sta fissando, e sento il sangue affluire alle guance. «Che...che c'è?»
I suoi occhi hanno il potere di affascinarmi e inquietarmi, allo stesso tempo. Non credo sia possibile che una persona abbia occhi da gatto...forse ha delle lenti a contatto, o qualcosa del genere.
«Sei uno strano tipo, Alec.» Senti chi parla. Lo penso, ma non lo dico.
«Anche...anche i tuoi occhi lo sono.» Lui inclina la testa di lato, con un sorrisetto.
«Strani?» Annuisco, sempre più in imbarazzo. «Io sono nato Erudito. La mia ex fazione sta cercando di far evolvere l'umanità. Così hanno cominciato a mescolare il nostro DNA con quello degli animali, per renderci più veloci, più forti, più sensibili...e altra roba varia.»
Un brivido mi attraversa la schiena: non possiamo essere perfetti. Se abbiamo avuto queste doti, dovremmo sfruttarle, invece di mescolarci agli animali.
«Io sono stato il primo “esperimento” riuscito alla perfezione.» La sua voce si inacidisce. Non credo che gli piaccia parlarne. «Somministravano a tutti questa roba, senza che lo sapessero. Purtroppo, era come se il DNA animale non attecchisse al nostro. Finché non sono arrivato io: un neonato con gli occhi da gatto.»
Mi raddrizzo, immaginandomi quale reazione avrebbero potuto avere i suoi genitori, e l'intera Fazione degli Eruditi.
«Ho passato quasi tutta la mia intera infanzia nei laboratori, mentre i medici tentavano di creare altri bambini come me. Mi chiedo se ci siano riusciti.»
In questo momento avrei tantissime domande da fargli, ma l'unica che riesco a formulare è: «Ti hanno rovinato la vita, vero?»
Lui annuisce.
«Però...l'importante è che tu sia una brava persona...cioè, a me lo sembri, ma...» Emetto un verso di stizza, maledicendo la mia scarsa capacità comunicativa.«Perdonami, credevo fossero delle lenti. Non volevo farti ripensare a cose spiacevoli.» >br /> Incrocio le braccia al petto e metto il broncio, come ogni volta che sono arrabbiato.
Lui scoppia a ridere, buttando la testa all'indietro. La sua è una risata leggermente roca, ma allo stesso tempo ha qualcosa di vellutato, dolce.
«Grazie.» Dice, quando smette. «Ma ormai mi sono lasciato tutto alle spalle, è come se quel vecchio me fosse morto e sepolto, ora.»
Io non sono mai stato d'accordo con questa cosa: non possiamo dimenticarci di chi eravamo, degli errori che abbiamo commesso, delle vittorie che abbiamo conquistato e delle persone che abbiamo conosciuto.
Apro la bocca per dirlo ad alta voce, ma il modo in cui Magnus mi sta fissando mi mette a tacere: è lo stesso sguardo che aveva nell'infermeria, quello assente e indecifrabile.
Le sue nocche mi sfiorano il viso, delicatamente, come ali di farfalle. Trattengo il fiato, con il cuore che comincia a battere all'impazzata.
«Resta qui stasera.» Sussurra. «Sei ancora debole, ed è tardi.»
Un moto di paura mi attraversa le vene: non avevo mai dormito con nessuno finora. Quando eravamo piccoli ho dormito qualche volta con Jace, altre con Izzy, ma mai con un ragazzo, un ragazzo di cui so poco nulla, e che è più grande di me.
«Io dormirò sul divano, tranquillo.» Aggiunge, come se mi avesse letto nel pensiero.
A quel punto annuisco, incapace di dirgli di no.
Entrambi ci togliamo le scarpe, mentre Magnus prende uno dei numerosi lenzuoli e si sdraia sul divano, avvolgendoselo intorno.
Io mi accuccio nel letto, in cerca di calore.
Oggi ho sparato con una pistola, ho urlato fino a farmi scoppiare la testa, percorso tre chilometri di corsa, sono stato trasportato a forza ad una festa, mi sono ubriacato fino a vomitare tutto, e ora sono nel letto del mio allenatore.
La stanchezza comincia a farsi sentire, e le palpebre lentamente si abbassano.
«Buonanotte.» Mi augura Magnus, prima che il sonno mi avvolga e mi trascini con sé.






Note2: MALEC IS THE WAY ♥️
Okay, questo capitolo è stato complicato, più di quello che sembri. Speriamo che lo abbiate apprezzato ♥️
Ringraziamo tutte le persone che hanno recensito, tutte quelle che hanno messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite, e anche i lettori silenziosi, ma non abbiate timore di farvi sentire! ;)
Io, in particolare, mi sento in dovere di ringraziare Stefania, Alice (Life before his eyes), Greta (GretaCrazyWriter) e Lucrezia (_F I R E_), tre pazzoidi che ho avuto l'onore di conoscere ♥️
Ora che ci penso: in quale giorno preferireste che aggiornassimo? Per democrazia, vincerà il giorno con più preferenze U.U
Grazie ancora di cuore, speriamo di risentirvi nelle vostre recensioni ♥️

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


IMPORTANTE: Cambio di programma. Irene -per diversi motivi che non ho voglia di spiegare- non darà più il suo contributo in questa storia, per questo adesso sono soltanto io. Arianna.
Purtroppo, il giorno più votato è stato il martedì, ma per me sarà impossibile aggiornare quel giorno, poiché sto a scuola fino alle quattro.
Che ne pensate di sabato? Direi che è il giorno migliore, abbiamo tutti più tempo libero.
So che siete impegnati e che stavolta avrete ben due giorni in meno per recensire, ma adesso ho bisogno dei vostri pareri più che mai, e se sarete così gentili da riuscire a recensire anche questo capitolo, avrete la mia gratitudine più sincera.
Le recensioni dello scorso capitolo erano veramente belle, non ho parole ♥️ Spero davvero che vi facciate sentire anche stavolta, ancora un grazie.
Buona lettura,

Ari Youngstairs





• Capitolo Sette •


«Alec...» Una mano mi scuote dolcemente per la spalla. «Alec...»
Io nascondo la testa sotto al cuscino, mugugnando. Si dorme così bene...
«Ancora un minuto...» Sussurro, affondando nel materasso morbido e soffice.
Delle dita affusolate si infiltrano sotto le lenzuola, risalendo per tutta la schiena, per poi raggiungere le mie orecchie accaldate. 
Lì cominciano a grattarmi piano, come se fossi un gatto, facendomi rannicchiare ancora di più su me stesso. Qualche risatina sfugge alle mie labbra.
«Per favore...ancora un po'...» Mi giro su un fianco, incastrando la mano sotto la mia guancia. È morbida e calda, profuma di latte e cioccolato.
In quel momento il mio cervello si accende, e mi rendo conto di dove sono: nella stanza di Magnus.
Scatto seduto, scaraventando via il cuscino che mi copriva.
Appoggiato affianco a me, con gli occhi luccicanti e un sorriso sghembo, c'è il mio allenatore.
«Ben svegliato.» Mi dice. Ha la bocca sporca di briciole di biscotti. «È da un po' che sono sveglio, e sono andato a fare colazione. Non ti ho fatto alzare perché sembravi stanco. Inoltre, parlavi nel sonno ed eri piuttosto buffo.»
Il pensiero di lui che mi guarda mentre dormo mi fa arrossire, così torno a coprirmi la faccia con il lenzuolo.
Vorrei sparire.
Magnus afferra un vassoio dal comodino, appoggiandomelo sulle ginocchia: un bicchiere di latte caldo, un piattino di biscotti e una brioche.
«Avevo paura che non ti svegliassi in tempo e così..la colazione te l'ho presa io.» 
Inzuppo uno dei biscotti nel latte, e l'addento: sento il sapore dolce della cioccolata inondarmi la bocca.
«Grazie.» Dico. «Nessuno mi aveva mai portato la colazione a letto.» 
Lui mi sorride, mentre io finisco di mangiare. Con la fame che ho avuto ultimamente, se non fosse per gli allenamenti, probabilmente ingrasserei. 
«Io vado in palestra, altrimenti si chiederanno dove si sia cacciato il loro allenatore.» 
Magnus si alza, ed è come se, all'improvviso, ne sentissi già la mancanza: il calore del suo corpo era confortante, e mentre lo avevo accanto mi sentivo...bene, come un bambino con il proprio giocattolo preferito.
Proprio mentre cerco di spiegarmi questa strana sensazione, Magnus si toglie giacca e maglietta, mettendosi a rovistare tra i vestiti appesi nel suo armadio.
Deglutisco, a disagio. Provo a distogliere lo sguardo dal suo petto, ma sarebbe troppo bello riuscirci. 
Senza che lui se ne accorga, studio i tatuaggi che gli decorano il corpo: ha un drago nero avvolto sul braccio sinistro, una fiamma -simboleggiante gli Intrepidi, suppongo- che con le sue lingue di fuoco scuro gli stria tutto il fianco destro, dalla vita fino alla clavicola. Sul collo, un ramo di rose anch'esse nere.
Vorrei chiedergli che significano, ma per evitare che capisca che lo sto fissando, preferisco tacere.
Gli allenamenti continui hanno reso il suo fisico perfetto: alto e slanciato, muscoloso ma non troppo. 
All'improvviso sento come una stretta al cuore, e distolgo lo sguardo da Magnus, arrossendo. 
Sarebbe bello se qualcuno provasse per me ciò che io sento per Magnus, anche se non so ancora di cosa si tratti. 
Non chiedo una storia d'amore chissà quanto smielata e passionale, mi basta...non so, qualcuno che magari mi trovi un po' speciale.
Sarebbe difficile con i fratelli che mi sono capitati: sia Jace che Isabelle hanno un fascino innegabile, sono entrambi talentuosi, simpatici, premurosi...okay, qualche volta sono anche un po' egocentrici. Ma voglio un bene dell'anima ad entrambi.
Insomma, ogni tanto mi concedo di sognare che qualcuno noti me. Non so il perché, dato che di speciale non ho nulla, ma sarebbe bello.
Avevo sperato, per un istante, che quel qualcuno fosse Magnus...finora è stato l'unico ragazzo che mi abbia colpito davvero, che mi abbia degnato di uno sguardo, di una parola.
Ma adesso che lo guardo, mi rendo conto che anche se fosse minimamente interessato agli uomini, non potrebbe mai desiderare uno come me.
Brucio tutti i film mentali che avevano cominciato ad affollarmi la testa. 
Che stupido che sono.
«Alec?» Magnus mi si è seduto davanti, a gambe incrociate, dopo che ha trovato una canotta e un giubbetto per coprirsi. Ovviamente neri. «Va tutto bene? Sembri triste.»
Io faccio spallucce e fingo un sorriso, rispondendo: «No, sto benissimo.» Per poi alzarmi, mettermi le scarpe e avviarmi verso l'uscio.
«Grazie, davvero.» Afferro la maniglia e la spingo, ritrovandomi fuori dalla stanza.
Jace e Izzy si staranno chiedendo dove mi sono cacciato, così faccio subito rotta verso la palestra.
Oltre che ad esser stupido, sono anche bugiardo.


§


Cammino mogio verso la palestra, mentre con la mano accarezzo la ruvida parete di roccia.
Ultimamente la mia autostima non è al massimo, anche se forse non lo è mai stata.
Forse ho davvero sbagliato fazione...alla sola idea mi gela il sangue: deve esser la fazione giusta. Non posso diventare come mio padre. 
Non voglio essere un Escluso, la cui vita è paragonabile a quella di un animale randagio.
Senza neppure accorgermene arrivo in palestra, e quando entro trovo una scena a dir poco terrificante: su uno dei numerosi ring, due ragazzi se le stanno dando di santa ragione, con una folla di persone urlanti che li incoraggiano. Ma non è questo il punto.
Il punto è che coloro che si stanno picchiando sono Jace e Jonathan, il primo con il naso sanguinante, l'altro con le labbra deturpate dai pugni.
Corro verso di loro, e tra una gomitata e uno spintone raggiungo il terreno di lotta: Woolsey -che si è messo cautamente in disparte- prende nota di ogni mossa, ogni movimento e riflesso dei due.
Jonathan tira Jace per i capelli, facendolo cadere a terra con uno sgambetto.
Lì comincia a dargli forti calci nello stomaco, piegandolo in due.
«Woolsey, fermali!» Cerco di gridare oltre il baccano, senza troppi risultati.
Dall'altra parte del ring due ragazze stanno trattenendo Clary, che tenta di metter fine alla lotta. Ha le lacrime agli occhi.
«Alec!» Una mano mi afferra e mi fa voltare. Due occhi neri e angosciati mi guardano imploranti.
«Izzy, che sta succedendo qui?» Le domando.
«Non lo so! Stavamo entrando in palestra e li abbiamo trovati così!» Indica con un cenno del mento i due che si stanno picchiando.
Non sono stupido, sono un perfetto idiota! Io e i miei stupidissimi problemi! 
Tutto quel che conta sono Jace e Izzy, nessun altro. 
È sempre stata la priorità della mia vita proteggerli, e non lascerò di certo che il primo bel ragazzo che passa cambi ciò che sono, o ciò che sono tenuto a fare.
Come un gesto automatico e spontaneo, salgo sul ring e afferro la caviglia di Jonathan, che cade a faccia avanti sul pavimento duro.
Con un piede lo inchiodo a terra, poi gli prendo un braccio e glielo contorco dietro alla schiena, come lui aveva fatto a me.
Lo sento cacciare un urlo e imprecare, mentre Jace si rialza. Ha parecchi lividi sulle braccia e sul collo.
«Ti diverti a picchiare me e i miei fratelli, non è vero?» Urlo a Jonathan, premendo con più forza il piede tra le sue scapole.
«Alec...» Jace mi guarda con gli occhi dorati brillanti. «Grazie.»
Io gli sorrido, per poi rivolgermi a Jonathan: «Lurido sgorbio. Hai osato toccare mio fratello. »
«È stato lui, non io! Ha voluto che lottassimo per te...perché voleva vendicarti!» Sbotta Jonathan, ma io gli tiro un calcio ad un fianco che lo fa zittire. Ci crederebbe mai nessuno che è quasi divertente?
«Ascoltami bene: prova soltanto a infastidire di nuovo me, Izzy, Jace o Clary, che io verrò a cercarti per farti smettere personalmente. Chiaro?»
Lui annuisce stringendo i denti, mentre la folla intorno a noi si sta letteralmente esaltando, tra grida e applausi. 
A quel punto allento la presa su Jonathan, ma me ne pento quasi immediatamente: lui si alza con velocità sovrumana e mi scaraventa a terra con un forte spintone.
Jace corre verso di me e mi aiuta ad alzarmi.
«Alec, ti ricordi da bambini come facevamo finta di volare?» Mi sussurra. Io dico di sì, anche se non vedo cosa centri con questa situazione. «Ho un'idea. Prendimi esattamente come facevi allora, non appena ti do il segnale.»
Jonathan si avvicina a noi, e dall'espressione del suo viso non sembra avere buone intenzioni.
Quando a separarci ci sono poche decine di centimetri, Jace urla «Ora!» 
Io mi metto alle sue spalle e lego le braccia alle sue, per poi sollevarlo sulla schiena.
Un calcio fortissimo arriva al viso di Jonathan, che cade a terra con un tonfo.
Tutti gli Intrepidi si riversano sul ring, e sento una miriade di mani sollevarmi da terra.
Tutto ciò che vedo è una folla che acclama me e mio fratello come eroi. 
Ma noi non siamo eroi, siamo solo due ragazzini che si sono difesi. È questo il concetto di “eroismo” che hanno qui? Lottare equivale ad essere una persona da acclamare e amare? Allora non voglio essere un eroe. 
Mi volto e vedo Jonathan svenuto a terra, un rivolo di sangue che gli cola dall'angolo della bocca. Sono tentato di lasciarlo lì, ma so che non è giusto. 
Nella foga del momento neppure si accorgono che riesco a sgusciare fuori dalla calca, raggiungere il ring e passarmi un braccio di Jonathan attorno alle spalle.
So che non è giusto.


§


Andiamo in infermeria, dove Tessa sta fissando un palmare con aria assorta. Appena ci vede, scatta in piedi.
«Dio!» Esclama. «Che cosa è successo?»
«Una rissa.» Rispondo io, deponendo Jonathan sul lettino.
Prima ero talmente arrabbiato nel vedere Jace pestato, che non mi ero reso conto di come fosse ridotto lui: Jace lo ha graffiato in pieno volto, ha lividi ovunque e continua a perder sangue dalla bocca. 
All'improvviso mi sento dannatamente in colpa. Lui stava pestando Jace, mio fratello, ed io l'ho difeso. Quindi ho fatto la cosa giusta.
E allora perché mi sento così male? 
«È stato lui, non io! Ha voluto che lottassimo per te...perché voleva vendicarti!»
Non diceva sul serio, vero? Ma c'è qualcosa in questa storia che non mi quadra.
«Tessa, si riprenderà?» Le chiedo, preoccupato.
«Sì, è solo un po' ammaccato.» Risponde lei, intenta a inumidire del cotone con il disinfettante e passarlo sul volto di Jonathan. 
Il silenzio che segue lo passo mordendomi le labbra, finché il sapore del ferro misto allo zucchero mi assale la lingua.
Non mi ero mai sentito con la coscienza così sporca. Mai
Eppure continuo a ripetermi che l'ho fatto per Jace. 
Non è vero. Mi dice una voce nella testa. L'hai fatto per te stesso.
Non riuscendo a sopportare questa sensazione, mi alzo e mi dirigo verso l'unica persona che forse potrà aiutarmi.


§


La camera di Magnus è vuota, ma al posto suo ci sono alcune bottiglie di alcolici, tutte finite.
Girovago tra i numerosi corridoi per quelle che sembrano ore, finché non lo sento parlare con qualcuno alla fine di un cunicolo, in modo segreto e riservato. Mi nascondo dietro ad un angolo e tendo le orecchie, troppo curioso per lasciar perdere.
«Ti ho detto di no. Dammi un solo fottuto motivo per aiutare te e la tua fazione.»
Odo la risata di una donna, che ha una voce alquanto familiare.
«Andiamo, in nome dei vecchi tempi, Mag...» Mag?  Non mi piace il tono seduttivo di lei. Ma dove ho già sentito questa voce?
Mi sporgo leggermente, per poter vedere: Magnus ha dato le spalle a Camille Belcourt, che ha appoggiato il mento sulla sua spalla, cominciando ad accarezzargli i capelli con le unghie lunghe e smaltate. 
Magnus ha un'espressione accigliata, lei trasognante e sensuale.
«Non ti ricordi i bei anni passati? Ogni pomeriggio venivi a casa mia per studiare...e poi, la notte...» 
Ditemi che è un incubo: quindi il mio allenatore e Camille stavano insieme. 
Sento un crack nel petto, dove credo stia il cuore. 
Lui le da uno spintone, scostandosela di dosso.
«È acqua passata. Non metterò a rischio la vita dei miei allievi per te, Camille.»
Rischio? Quale rischio? 
«Non le metti a rischio per me, ma per l'intera città. Pensa che beneficio potremmo trarne...»
Lui sembra decisamente stufo della conversazione, e la sua espressione annoiata si tramuta in rabbia.
«Ho detto di no, Camille. E poi, che ti fa credere che io sappia chi è Divergente e chi no?» 
Il battito cardiaco accelera, e comincio a sudar freddo: cosa vogliono dai Divergenti? 
La donna Erudita ride, una risata sarcastica.
«Andiamo, come se non sapessi che la tua amica Tessa lavora con i sistemi dei Test Attitudinali. Puoi chiederle i risultati, e lei te li direbbe senza pensarci.» 
Magnus scuote la testa.
«Lei si fida di me. Ed io tengo molto più a lei che a te: Tessa è una buona amica, e tu sei solo...una manipolatrice. Ti piace giocare con le persone come se fossero le tue marionette personali.»
Anche Camille ora sembra arrabbiata, e molto.
«Andiamo, Magnus. Da quando sei un cuore tenero? A te dei tuoi allievi non importa nulla, lo so. Trovi qualcuno che ti piace e lo seduci, te lo porti a letto e lo fai illudere del tuo amore. Fai così da quando mi hai lasciata.» 
Non so quali delle sue parole facciano più male. Che io sia uno dei prossimi candidati? Il dubbio si trasforma in paura.
«Pensi che non sia venuta a sapere di te e Woolsey? Siete andati a letto insieme per settimane, poi vi siete stancati e avete cominciato a odiarvi. Tu non sai più amare, Magnus. Io sono l'unica che hai amato oltre l'aspetto fisico, che hai amato davvero.»
Gli occhi felini del mio allenatore s'infiammano, le pupille ridotte a sottilissime fessure.
«Ma tu mi hai spezzato il cuore! Quello è il gioco che facevi tu con me. Ero il tuo passatempo, e ora stento a trovare fiducia in chiunque, per colpa tua!»
«È colpa mia? O è colpa del fatto che tu ti fai trattare da “giochino” dalla prima persona che capita?»
Magnus abbassa lo sguardo, e lei sorride vittoriosa. Sa di aver toccato un tasto dolente.
Ho un gran voglia di picchiare Camille, e un desiderio altrettanto forte di poter difendere Magnus.
«Io non ti darò i risultati dei Test.» Ribadisce Mgnus, riprendendo il controllo di sé.
Lei digrigna i denti.
«Ti odio!» Ruggisce. «Te e la tua stupida fazione! Se non mi consegnerai i Divergenti, me li prenderò con la forza!»
E se ne va, picchiando i tacchi blu sul pavimento. 
Mi stringo nelle spalle, abbandonandomi al muro. Le mani mi tremano come se le avessi immerse nella neve. 
Non ho mai avuto tanta paura.





Note2: Vi ho già detto quanto mi senta fortunata ad avere dei recensori come voi. Spero soltanto di risentirvi, baci ♥️

Ari Youngstairs

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Note: Ci tenevo a dirvi che vi adoro da morire.
Insomma, nonostante il tempo per recensire fosse poco, siete riuscite a trovare cinque minuti per farmi sapere cosa ne pensavate ♥️
Quindi, grazie davvero infinitamente, non ho parole per spiegare quanto le vostre recensioni mi migliorino l'intera settimana ♥️
Spero solo di risentirvi ancora, sperando che gradiate anche questo capitolo.
Buona lettura,

Ari Youngstairs





• Capitolo Otto •


Rimango fermo qui, anche se so bene che mi converrebbe andare via. Eppure non ci riesco, tanto le parole di Camille mi hanno messo la pelle d'oca. 
Ha detto che si sarebbe presa i Divergenti con la forza.
Ma come? E soprattutto, per cosa?
Magnus ha detto che gli Eruditi stanno cercando di farci evolvere, mutando il nostro DNA. Che c'entri questo loro progetto dietro tutto ciò?
Ma noi siamo Intrepidi, no? Siamo forti, addestrati e coraggiosi. 
Eppure, gli Eruditi hanno il controllo dell'intera rete elettrica e informatica della città...scuoto la testa con forza, decidendomi sul da fare: rimango muto, facendo la parte del finto tonto, o dico a qualcuno ciò che ho sentito?
Potrebbe esser una faccenda più grave di quel che sembri. 
All'improvviso nella mia testa si accende la lampadina di un'idea: Tessa. Lei è l'unica a sapere chi sono i Divergenti, e con lei non corro rischi.
Mi alzo, e corro verso l'infermeria. Sembra incredibile, ma già con soli due giorni e mezzo di allenamenti mi sento più agile e veloce.
Apro la porta, che al contrario di tutte le altre è dipinta di un bianco latteo, in contrasto con la croce rossa che vi è stata disegnata sopra: dentro Jonathan non si è ancora svegliato, ma ha un'espressione meno sofferente.
L'Intrepida è accanto a lui, lo sguardo concentrato sul display di quello che sembra un grosso cellulare.
«Tessa...» 
Lei solleva lo sguardo dal suo palmare, e si mette in ascolto.
«Devo parlarti di una cosa seria.» Sussurro, temendo che qualcuno possa sentirci. Lei mi incoraggia con un gesto veloce della testa.
«Prima...prima ho visto Magnus che parlava con la capo-fazione degli Eruditi.»
A queste parole la vedo sussultare lievemente, poi mi incita a continuare.
«Lei ha detto che voleva i risultati dei test per i Divergenti...Magnus nemmeno ci ha riflettuto sopra e ha detto di no, così lei ha giurato che se li prenderà con la forza.»
Tessa si passa una mano tra i capelli castano scuro, mordendosi le labbra. Il suo viso è una maschera di pura preoccupazione.
«Temevo che sarebbe successo. Ma non mi aspettavo che accadesse così presto. Vieni, guarda.»
Io mi avvicino, e lei mi mostra il suo palmare. Noi abbiamo un solo modo per far circolare le informazioni, ovvero un giornale digitale disponibile a tutti.
Tessa mi indica l'articolo in prima pagina:


Divergenti: chiave per l'evoluzione umana

Grazie ai modernissimi studi genetici sulle varie fazioni, oggi scopriamo che i così detti Divergenti hanno un DNA differente dal nostro, facilmente mutabile ma incredibilmente forte.
«Sappiamo tutti che i Divergenti sono una minaccia per la nostra società.» Ha detto la capo-fazione Erudita Camille Belcourt. «Ma adesso abbiamo la possibilità di sfruttare il loro DNA: mutandolo. Possiamo renderci più forti, più veloci, e più intelligent: la razza umana sarà su tutt'altro livello.»
Abbiamo chiesto alla capo-fazione quali conseguenze potrebbe avere questa operazione.
«La conseguenza è una sola: l'eliminazione dei Divergenti.
Sono anni che tentiamo di scovarli, ma ora abbiamo un'altra valida ragione: la nostra città si espanderà, e porteremo la vita fuori dalle mura.
Abbiamo scoperto, inoltre, che la genetica dei Divergenti può essere di sostanziale aiuto nelle ricerche mediche e farmaceutiche.»
A quando pare, l'operazione “DNA mutati” non ha che lati positivi per la nostra società.
Forse finalmente il mondo ritornerà quello di un tempo lontano, e tutto grazie alla mutazione che potrà rendere il nostro organismo migliore di quanto lo sia mai stato.  
«A nessuna delle fazioni è permesso di sottrarsi all'operazione.» Ha aggiunto Camille «Ma, nel caso in cui ciò si verifichi, stipuleremo degli accordi. È un progetto troppo importante per non essere effettuato.»




Quando finisco di leggere l'articolo, sento la gola arsa: l'eliminazione dei Divergenti. Non promette nulla di buono.
«Lei non ha intenzione di stipulare accordi.» Commenta Tessa. 
«Cosa pensi che farà?» La mia voce giunge tesa e preoccupata persino alle mie orecchie.
«Non lo so. Ma di sicuro nulla di buono.» Spegne il suo palmare e lo riappoggia sul tavolino, mentre si tortura una ciocca di capelli. «Il problema è che non possiamo prevedere le sue mosse, e inoltre pendono tutti dalle sue labbra, è sempre stata una persona dannatamente persuasiva. Dobbiamo stare attenti, e per ora è tutto ciò che possiamo fare.» 


§


Tessa mi ha detto che devo fare finta di nulla, al momento, e di comportarmi in modo normale.
Eppure, mentre cammino per i corridoi quasi deserti, mi sento come se ci fosse un mostro nascosto nel buio che mi sta fissando, pronto ad assalirmi.
Comportati normalmente, Alexander. Che stavi facendo prima di metterti ad origliare?
Nella mia mente, come a rallentatore, riappaiono le scene della lotta tra Jonathan e mio fratello. Proprio mentre mi volto per ritornare sui miei passi, mi scontro con qualcuno di alto e robusto. Ovviamente, essendo con la testa fra le nuvole, cado all'indietro sbattendo con forza l'osso sacro, ed il dolore mi irrigidisce per alcuni secondi tutti i muscoli.
«Ahia!» Mi lamento. «Scusami, ero sovrappensiero...»
Alzo lo sguardo e incontro gli occhi felini di Magnus, che mi tende la mano, per poi tirarmi su. 
«Ti stavo cercando.» Diaciamo in coro, e ad entrambi sfugge un sorriso.
«Ho saputo della lotta di oggi.» Continua lui, ed io divento improvvisamente rosso.
«Era di questo che volevo parlarti.» Sposto il peso da un piede all'altro. «Potrei vedere le registrazioni? Vorrei capire se...»
«Se è stato tuo fratello o Jonathan ad iniziare, altrimenti ti sentirai la coscienza sporca?»  Completa lui per me, sorridendo quando si accorge di averci beccato.
Cavoli, sono proprio una persona prevedibile.
«Vieni.» 
Lui si avvia a passo svelto verso uno degli innumerevoli corridoi, ed io quasi stento a stargli dietro. 
Raggiungiamo una rampa di scale spaventosamente alta, e comincio a contare mentalmente i gradini, per ignorare la stanchezza e il bruciore dei polmoni: uno, due, tre, quattro...dieci, undici, dodici, tredici...ventuno, ventidue, ventitrè...trentasei, trentasette, trentotto...
Arriviamo al sessantatreesimo scalino, che sembra essere l'ultimo, ed io mi abbandono al muro, con le gambe doloranti e il fiatone. Stupidi polmoni difettosi.
«Time-out.» Sbiascico, alzando una mano. «Imploro pietà.»
Magnus, dal canto suo, non sembra affatto stanco. Anzi, vedendomi esausto, si mette a ridere.
«Ehi.» Dico io, mettendo il broncio. Ma questo non fa che provocare ancora più risate, finché io non gli lancio un'occhiataccia omicida.
«Okay, okay. Adesso smetto.» 
Davanti a noi c'è una grande porta di vetro, che si apre da sola al nostro passaggio: il Centro di Controllo non è grande come mi aspettavo.
È molto buio, e l'unica fonte di luce è fornita dai display dei numerosi computer, alcuni appoggiati a lunghi tavoli da ufficio, altri -decisamente più grandi- attaccati alle pareti come enormi finestre.
Su un muro sono disposti tanti piccoli schermi, e ognuno mostra cosa accade in ogni angolo della fazione.
«Allora...prendi queste mentre cerco il video.» Magnus mi porge un paio di grosse cuffie, che al contatto con le mie orecchie sono morbide e calde.
Lo vedo smanettare con una tastiera argentata e premere i pulsanti con una velocità assurda, tenendo gli occhi fissi sugli schermi davanti a lui.
Chissà quanto tempo passa qui dentro.
Lo vedo aprire un file video nominato “registrazioni palestra”, per poi mandarlo indietro di una ventina di minuti.

La palestra sarebbe vuota, se non fosse per Jonathan, che si sta allenando prendendo a pugni uno dei sacchi pieni di farina. Sembra quasi un lottatore professionista.
Jace arriva dai dormitori, con aria decisa e il petto gonfio.
«Ehi.» Jonathan si gira e lo squadra con disinteresse, poi ritorna a tirare pugni il sacco. «Parlo con te.»
Ma lui non sembra volerlo ascoltare, così continua ad ignorarlo.
«Sono il fratello di Alec.» 
Jonathan sbuffa, per poi inarcare un sopracciglio latteo.
«Chi è Alec?» Sembra davvero non sapere chi sia. 
Jace comincia a spazientirsi, lo vedo da come stringe le nocche delle mani.
«È mio fratello, quello a cui hai fatto un occhio nero. Quello che hai buttato giù dal tetto.» 
Lui sorride tra sé.
«Fratelli? Non vi assomigliate per niente.» 
Jace muove qualche passo avanti, guardandolo in cagnesco.
«Fratellastri, ma per noi non fa differenza. Tu e Clary non vi assomigliate per niente, eppure siete fratelli biologici.»
«Non mettere in ballo mia sorella.» Ribadisce lui, gli occhi neri e cattivi.
«Io sono venuto qui per Alec. Voglio fartela pagare per averlo trattato in quel modo, senza che lui ti facesse nulla.»
Jonathan lo guarda come se fosse un bambino piccolo che vuole fare l'adulto.
«Ascoltami bene, biondino: non ho voglia di fare a cazzotti con te, okay? Se vuoi che chieda scusa a quel marmocchio, lo farò, ma lasciami in pace.» Marmocchio?
Sono alto almeno quanto lui!
«Tu non hai abbastanza fegato per affrontarmi. Te la prendi con Alec, che è la persona più gentile che esista, perché tanto sai che lui non riesce a fare del male alle persone neanche volendo. Sei un vigliacco.»
Jonathan si avvicina a lui con aria minacciosa, e Jace indietreggia fino ad arrivare sul terreno di lotta. Complimenti Jace, sei un genio.
«Ascoltami biondino: se io mi mettessi a lottare con un pivello come te...»
Mio fratello sembra non gradire il soprannome, così con una mossa veloce della gamba lo sbilancia, facendolo cadere all'indietro.
«Fatti avanti.» Gli dice, e con un gesto della mano lo invita ad alzarsi.
«L'hai voluto tu.»



§


Mi tolgo le cuffie, appoggiandole sul tavolo.
Magnus mi guarda con apprensione, quasi come se già sapesse quale sarà la mia reazione.
Dio, allora Jonathan diceva la verità. Lui non centrava nulla, è Jace che lo ha provocato.
Frustrazione e umiliazione mi assalgono e, senza esitare nemmeno un attimo, sussurro «Sono un coglione», prima di fiondami fuori dalla porta.
Io e Jace abbiamo tante cose di cui parlare.
Senza un minimo di riguado, scendo la scala di fretta, scivolando anche un paio di volte ma non curandomene per nulla. 
Con una velocità che nemmeno sapevo di possedere, percorro i corridoi fino al dormitorio, dove sono sicuro Jace si trovi. 
Non so perché sono cosi arrabbiato, Jace me ne ha fatte tante e questa non è la peggiore, ma in qualche modo, forse per la tensione della scoperta fatta sui Divergenti, o per quello che Magnus e Camille si sono detti, la voglia di urlargli contro è così forte che non sono sicuro che riuscirò a intavolare una conversazione sensata.
Arrivo davanti a camera nostra, e, prima di fiondarmici dentro, prendo un respiro profondo.
Entro con calma studiata, chiudendomi la porta alle spalle senza fare il minimo rumore. Jace si sta tamponando il naso sanguinante con una borsa piena di ghiaccio. 
«Perché non sei in infermeria?» Domando, gelido.
«Con quello non ci sto.» Dice con stizza, facendo una smorfia.
«Ma davvero?» Mi sdraio sul mio letto, chiudendo gli occhi e fingendomi indifferente. 
«Alec?» Chiede, spaesato. Evidentemente si aspettava una reazione totalmente diversa. Che strano, anche io mi aspetto sempre cose sbagliate. Come, per esempio, la verità di chi mi fido.
«Sì, Jace?» 
«Qualcosa non va?» Digrigno i denti, stringendo i pugni, mentre cerco di reprimere la voglia di urlargli contro.
«Non devi dirmi nulla?» Ora c’è una certa tensione nella mia voce, ma nemmeno cerco di mascherarla. Sto provando a convincermi che in fondo non ha semplicemente avuto il tempo per dirmi quello che doveva. 
Lui scuote la testa, porgendo il labbro tumefatto in avanti e corrugando le sopracciglia, confuso dalla mia domanda. 
Io mi metto a sedere sul materasso, sibilando: «Quindi non reputi assolutamente importante farmi sapere che hai fatto il cretino con Jonathan, per vendicare uno stupido occhio nero, convincendomi anche che difenderti fosse una cosa giusta, vero? » 
Lui spalanca gli occhi, aprendo la bocca per dire qualcosa, poi la richiude e sbuffa, guardandomi dispiaciuto.
«L’ho fatto per te.» Si difende.
«Ma perché continuate a trattarmi come se fossi un incapace? Magari volevo sbrigarmela da solo! Non sono un bambino, non ho bisogno che mi difendiate tutti.» Esplodo, gesticolando furiosamente con le mani.
Sinceramente non so perché me la stia prendendo tanto, non mi sono mai sforzato di sembrare qualcuno da rispettare, o da temere. 
Sono sempre stato semplicemente me stesso, ma forse, se non mi adeguo allo stile di vita della fazione che ho scelto, diventerò carne da macello.
«Avresti lasciato correre, ti conosco: tu perdoni sempre tutti, e quelli come lui non si meritano tale misericord-»
«Questo non centra con quello che hai fatto. Lo hai istigato, lo hai costretto a picchiarti e ora non è nemmeno cosciente!»
«Volevo che ti stesse lontano!» Ora anche lui sembra arrabbiato, ed entrambi ci stiamo urlando uno sopra l’altro.
«Eravamo due contro uno! Non mi stavi vendicando, lo stavi umiliando, Jace.»
«Stavamo.» Mi corregge, sibilando.
Sento il senso di colpa come acido nello stomaco, ma cerco di reprimerlo.
«Ti stavo aiutando a fare una cretinata colossale!» Prendo un respiro profondo e mi tiro i capelli all’indietro. 
«Perché non me lo hai detto?» Chiedo. «Perché vengo sempre a sapere le cose troppo tardi?»
«Perché sei troppo buono, Alec! Dovresti imparare a difenderti da quelli come lui! Sei debole, e tocca a me difenderti!»
Mi avvicino a passi lenti, con l'espressione più dura che riesco ad ottenere. In realtà, è solo una maschera per non far straripare la rabbia e il dolore che sto provando.
Allora stanno così le cose: io per lui sono solo uno stupido peso. Non sono il suo migliore amico, non sono quello che da dieci anni a questa parte gli ha fatto da fratello maggiore, da spalla, da famiglia.
Io e Jace non avevamo mai litigato così, ed è come se una parte di me stesse morendo lentamente.
«Dopo quello che hai fatto, sei esattamente come quelli. Hai picchiato Jonathan, e hai mentito a me. Potevi anche dirlo che per te sono d'intralcio, Jace.» Sussurro, prima di uscire dalla stanza e sbattere la porta alle mie spalle. 
Per la prima volta, tutto ciò che ho voglia di fare è spaccare la prima cosa mi capiti a tiro, e invece di soffocare questo impulso, mi giro verso il muro e gli tiro un pugno, con tutta la forza che riesco a metterci.
Una scossa di dolore mi percorre tutto il braccio, ma nemmeno me ne accorgo: la delusione e la tristezza per come è finita la discussione offuscano tutte le mie percezioni.
Non era assolutamente così che doveva finire. 





Note2: Wow, è più lungo di quel che mi aspettassi.
Spero che vi sia piaciuto, e che mi facciate sapere ♥️
Mi avete reso immensamente felice con le vostre recensioni, e aggiungendo anche il fatto che la scuola prosegue molto bene, e che ho appena scoperto come si attivano i "bottoni social network" (oddio, ma adesso possono mettere "mi piace" alla pagina autrice? Quasi che me ne pento...), le cose non potrebbero davvero andare meglio, grazie davvero.
A sabato prossimo!

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Note: Okay, stavolta sono SCHIFOSAMENTE in ritardo, lo so.
Ma oggi non ce l'ho fatta ad aggiornare prima, invoco il vostro perdono.
Vi ho già detto che vi adoro? Grazie per farmi sapere cosa ne pensate, sono così contenta che la storia vi piaccia, non avete idea ♥️
Che dire, vi auguro buona lettura, sperando di risentirvi ancora nelle vostre fantastiche recensioni ♥️

Ari Youngstairs





• Capitolo Nove •


Mi allontano il più possibile dalla nostra camera, con le mani ficcate in tasca e la gola secca, per quanto ho urlato.
Da quando sono qui le cose non fanno che peggiorare, e non avrei mai pensato che io e Jace avremmo litigato in quel modo: la delusione mi sta spezzando il cuore.
Voglio togliermi Jace dalla testa, così mi dirigo verso la mensa.
Quando entro, il turno degli Iniziati Trasfazione è già iniziato da un po', e mi metto alla ricerca di un tavolo libero.
Ne trovo uno più piccolo degli altri, con soli due posti a sedere. Quando mi metto seduto, però, mi accorgo di non aver né fame né voglia di stare in mezzo alla gente.
Proprio quando mi sto per alzare, vedo Woolsey che mi si mette seduto davanti, un vassoio con della frutta tra le mani.
«Cercavo te, Lightwood.» Mi dice, offrendomi una mela. Non posso far a meno di pensare che oggi sia proprio una giornata no.
Io addento il frutto, facendogli segno di continuare.
«Stasera ci sarà una gara a squadre, e si utilizzeranno delle pistole speciali.» Un angolo delle sue labbra guizza in alto. «Ti voglio con me. Nella mia squadra.»
Io lo guardo con aria interrogativa, dando un altro morso alla mela.
«Sono anni che Magnus vince con la sua. Ma so che con la tua mira sarà difficile perdere.» Il suo sopracciglio destro si inarca verso l'alto, come a chiedere “che ne pensi?”.
Beh, in fondo che ci perdo? 
«Va bene.» Dico, e Woolsey batte le mani soddisfatto. «Ma come si chiama la squadra?»
Al capo-fazione sfugge un sorrisetto, e prima che se ne vada mi sussurra all'orecchio:
«Gli Shadowhunters, i Cacciatori di Ombre.»


§


Prima di tornare in Palestra per gli allenamenti, faccio un salto in infermeria per vedere le condizioni di Jonathan.
Quando apro la porta, trovo i suoi occhi neri puntati su di me: le iridi si fondono con le pupille, rendendo il suo sguardo spaventoso e inquietante.
Ha parecchi lividi rossi e viola sul viso, ma apparte quelli, sembra star bene.
«Ehi.» Deglutisco, sforzandomi di sorridere un po'. «Come stai?»
«Beh, il piede di tuo fratello mi ha quasi spaccato il mento.» Risponde, sarcastico. 
Io comincio a dondolarmi sui talloni, nervoso. Mi mordicchio le labbra alla ricerca delle parole giuste.
«Non lo sapevo.» Dico piano, vergognandomi di me stesso. «Non avevo idea che fosse stato Jace ad iniziare. Pensavo che lo stessi picchiando, e...e l'ho difeso. Ma davvero, non lo avrei mai aiutato se avessi saputo.»
Lui getta la testa all'indietro, cominciando a ridere come se avesse sentito la barzelletta più divertente del mondo.
Quasi come un gesto automatico, faccio un passo indietro. 
«Come no.» Sbotta Jonathan, tornando improvvisamente serio. «Intendi dire che, se lo avessi saputo, avresti lasciato che lo prendessi a calci?»
Io balbetto un po', tentando di spiegarmi. 
«Non lo avrei aiutato, cioè...vi avrei fatti smettere evitando di mandarti in infermeria.»
Lui si avvicina a me lentamente, come se volesse studiare il cambiamento della mia espressione, che cambia da imbarazzata a intimorita. Sento il muro dietro la mia schiena. C'è qualcosa di profondamente inquietante in lui, che va ben oltre la sua arroganza.
Non farti spaventare. Mi dico mentalmente. Fatti vedere sicuro e tranquillo.
«Fatico a crederti, marmocchio. Almeno Jace ha avuto il buon cuore di portarmi in infermeria.»
Io strabuzzo gli occhi, guardandolo interrogativo.
«Jace? Ti ci ho portato io, in infermeria. Lui era andato a festeggiare.»
Persino io, che conosco Jace da anni, non riesco a non pensare che si sia comportato in modo spregevole.
Jonathan sembra esser stato colpito da un pugno nello stomaco, e per alcuni secondi, è come se quel muro di cattiveria che si è costruito intorno crollasse, pezzo dopo pezzo.
Adesso lo vedo davvero. E sembra esser stato ferito nell'orgoglio.
«Che c'è?» Chiedo, anche un po' offeso. «È così vergognoso farsi aiutare da me?»
Lui scuote lentamente la testa, per poi lanciare un forte pugno al muro. 
Io mi sposto pensando che sia indirizzato a me, ma poi mi accorgo che le sue nocche hanno sbattuto a pochi centimetri da dove si trovava il mio viso.
Perché questa notizia sembra sconcertarlo così tanto? Forse perché mi odia, e mi deve un favore.
«Sono in debito con te, marmocchio.» Sibila. «Ma non ti aspettare che lo saldi stasera.»
Sul suo volto si forma un ghigno malefico, che mi fa gelare il sangue.
«Sei nella squadra di Magnus?» Gli domando, con tutta la voce che riesco a trovare.
Lui annuisce, e prima di uscire dell'infermeria, si volta verso di me e dichiara: «Vi faremo a pezzi.»


§


Oggi pomeriggio è stato un inferno: in palestra io e Jace ci siamo evitati, e lui non ha fatto neppure una battuta scema. Un'esclamazione, un commento, nulla. È stato muto come un pesce.
Jonathan, invece, mi lanciava delle strane occhiate, come per dire “vivi finché puoi, perché stasera ti ammazzo”.
Isabelle e Clary si sono accorte dell'abisso che si sta creando tra me e Jace, e hanno tentato di farci riappacificare. Ovviamente, i loro sforzi sono stati vani.
Adesso la divisione delle squadre verrà resa pubblica, e stiamo aspettando che Magnus e Woolsey arrivino .
A questa gara ci saranno sia gli Iniziati Interni che i Trasfazione, quindi saremo circa una cinquantina di persone.
Io mi sento parecchio nervoso, ma la mano calda di Izzy sulla mia spalla basta a tranquillizzarmi.
«Spero di essere nella tua stessa squadra.» Mi sussurra, e dentro di me lo spero anche io.
Woolsey, Tessa e Magnus fanno il loro ingresso, ma gli occhi di tutti -chi sconcertato, chi stupito, chi incuriosito- sono puntati su quest'ultimo: il primo giorno in cui l'ho visto era particolare. Adesso è molto particolare.
Ha i capelli acconciati con fiumi di gel pieno di brillantini luccicanti, e alcune delle sue ciocche scure sono diventate dorate. 
I suoi occhi surreali sono contornati da una linea scura che fa risaltare ancora di più le sue iridi, allungandone la forma e dandogli un aspetto affascinante ma allo stesso tempo pericoloso. 
«Alec?» Mi chiama mia sorella, scuotendomi per una spalla. «Hai la bocca aperta. E sei rosso. No, aspetta, sei viola. Che hai?»
Io mi tasto il viso, e con orrore lo sento bollente come una pentola sul fuoco.
Balbetto cercando di risponderle, ma dalla sua faccia stordita capisco che non sono riuscito a dire nulla di sensato. Che diamine mi prende?
«Futuri Intrepidi!» Esclama Woolsey, attirando l'attenzione di tutti. O meglio, quella di tutti tranne la mia. «Ognuno di voi conosce la propria squadra, e adesso le renderemo pubbliche. Le squadre sono due: i Cacciatori, ovvero la mia squadra, e gli Stregoni, la squadra di Magnus.»
A quel punto quest'ultimo fa un passo avanti, le braccia incrociate al petto e un sorriso di chi sa già di vincere.
«Futuri Intrepidi, sappiate che le mie squadre non hanno mai perso una volta! Riesco a riconoscere i veri talenti quando li vedo. Ed è per questo che nella mia squadra ho scelto David, Jasmine, Edmund, Avril, Madoka, Jonathan, Jace, Izzy, Fabian, May, Alec...»
Woolsey lo guarda con scherno, e lui risponde con un'occhiata interrogativa.
«Alec è con me.» Dice, soddisfatto. 
«Come sarebbe a dire che è con te?» Chiede Magnus, per poi spostare lo sguardo su di me in cerca di conferma. Io annuisco imbarazzato.
«Visto? Io gliel'ho chiesto per primo. E chi ultimo arriva, mal alloggia.» Si vanta Woolsey, ed io divento leggermente più rosso. È strano pensare che si stia vantando di me
Magnus fa un gesto di stizza, per poi richiamare tutta la propria squadra a sé: non sto con Izzy, ma almeno ho Clary, che al momento sta sfoggiando un'aria triste.
«Tutto a posto?» Le domando, mentre ci avviamo verso l'uscita del Quartier Generale.
«Sono una frana. Sarò sicuramente in fondo alla classifica, e ci vorrà un miracolo per risalire.»
«Oppure ci basterebbe vincere la gara.» La correggo io «Credo valga molti punti.»
«Tu sei bravo.» Mi dice, mentre saltella per tenere il passo con me. «Con te forse possiamo vincere. Ma là ci sono Magnus, Izzy, Jace e Jonathan...pensi che...»
«Clary.» La interrompo, mentre lei mi fissa con i suoi grandi occhi verdi. «Possiamo farcela, basta della buona volontà e un po' di fortuna. Farò di tutto pur di farci vincere, contaci.»
Lei sorride, continuando a trotterellarmi accanto. 
Le ho tirato su il morale, ma allora perché il mio sprofonda sempre di più?


§


Arriviamo alla Stazione, ed un treno verrà a prenderci a momenti.
L'aria della sera è diventata fredda e inospitale, segno dell'inverno imminente.
Vedo Tessa, Magnus e Woolsey portarsi dietro delle grosse scatole di legno, e solo Dio sa cosa c'è dentro.
«Alec.» Tessa, con due enormi casse tra le braccia, mi compare davanti con la voce incrinata dallo sforzo. «Non è che...»
Io afferro al volo, e l'aiuto prendendo una delle casse. Il peso improvviso mi trascina al suolo, ma mi faccio forza e riesco a rimettermi in piedi. 
«Che diavolo c'è qui dentro?» Chiedo, con le braccia che sembrano volersi staccare da un momento all'altro. 
Lei scuote la testa, accennando un sorriso. «Segreto professionale.»
Quando il treno arriva, per la prima volta da quando sono qui, si ferma e ci lascia salire con calma, finché tutti non sono a bordo insieme alle casse. Io appoggio la mia vicino ai miei piedi, asciugandomi la fronte madida di sudore con la mano. 
Alla partenza, però, il treno scatta a tutta velocità sulle rotaie sbalzandomi all'indietro: mi preparo all'impatto che avrà la mia schiena col pavimento, ma sento due mani salde afferrarmi per i gomiti, evitandomi la caduta. 
«Qualcuno ha bisogno di alcuni esercizi sull'equilibrio.» Ridacchia Magnus, aiutandomi a rimettermi in piedi. Io arrossisco per la figuraccia, maledicendomi.
Dopo una ventina di minuti, passati a mordicchiarmi le labbra, il treno si ferma di nuovo.
Gli sportelli si aprono, rivelando un vecchio Luna-Park buio e abbandonato: le giostre sono scheletri scuri e tristi sotto il manto della notte.
Scaraventiamo tutte le casse giù dal treno e quando le apriamo troviamo dentro alcune manciate di pistole giocattolo, in altre quelle che sembrano palline colorate, verde e viola.
«Ognuno prenda una pistola. I Cacciatori mettano cinque palline verdi, gli Stregoni cinque viola.»
Tutti seguiamo le istruzioni dateci da Tessa, finché le pistole di tutti non diventano cariche.
Tastandole, le palline hanno la consistenza di un semplice palloncino pieno d'acqua, come quelli che si usano per i gavettoni. A scuola, alcuni Intrepidi si divertivano a lanciarli agli sventurati che passavano sotto le finestre sbagliate al momento sbagliato. Indovinate chi era uno degli sventurati?
«Osservate.» Magnus impugna la pistola e spara in direzione di un muretto: una macchia di vernice viola esplode sulla sua superficie. 
«Quindi sarà una guerra con la vernice?» Chiedo, troppo curioso per stare zitto. Riconosco, nella mia stessa voce, il tono pimpante di un bambino che vede la neve per la prima volta. 
«Sì, una specie, mio piccolo perspicace Candido.» Risponde Magnus, con un sorriso a trentadue denti e un occhiolino che sanno molto di una presa in giro. 
Ad alcuni sfuggono delle risate, mentre io abbasso lo sguardo mortificato dall'imbarazzo. Probabilmente adesso penseranno che sono un idiota, e per giunta anche un idiota molto infantile.
«Ho nascosto il mio nastro qui, da qualche parte nel parco.» Continua Tessa, facendo un ampio gesto con il braccio. «Il vostro compito è riportarlo qui da me, e solo io so dov'è. Avete cinque munizioni a testa, e se venite colpiti siete squalificati. In questo caso, dovete ritornare subito qui.»
Magnus si mette a frugare in una delle casse, per poi estrarne delle fasce fosforescenti verdi e viola.
Ci dice di legarle in un posto visibile, tipo in fronte o sulle braccia, così da essere riconoscibili. Mi sfilo la giacca, per paura che possa bloccarmi e il freddo mi assale, dandomi una scossa che mi fa fremere di impazienza.
«In bocca al lupo. Pronti...via!»
La voce di Tessa risuona per tutto il parco, e le mie gambe scattano, spinte da un'improvvisa scarica d'adrenalina.
Non mi sono mai sentito così vivo.





Note2: Allora...non avete idea di quanto questo capitolo sia stato difficile da scrivere. Sinceramente parlando, è stata davvero una faticaccia e spero che non sia venuto uno schifo.
Un grazie di cuore davvero a tutti, sia a chi ha recensito sia a chi segue silenziosamente la storia ♥️
Ringrazio tanto Alice, che mi ha fatto da BETA, e che tra esattamente 15 giorni compie gli anni ♥️
Grazie davvero di tutto, a presto spero ♥️

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Note: Bene bene, rieccoci qua.
La mia gratitudine non può esser espressa a parole, perché davvero, non riesco a credere che questa storia vi piaccia così tanto, grazie per tutti i complimenti/consigli che mi lasciate ad ogni capitolo, sono veramente importanti ♥️
Spero che vi piaccia, non vedo l'ora di sapere che ne pensate ♥️

Ari Youngstairs





• Capitolo Dieci •


Intorno a me, distinguo solo una calca di persone e schizzi di vernice che volano ovunque.
Mi allontano il più possibile, finché le urla degli altri si fanno indistinguibili.
Questa doveva esser la piazza principale del parco: al centro dell'ovale di pietra svetta una vecchia bandiera sgualcita, sullo stesso asse vi sono frecce che indicano le varie attrazioni. Ormai le scritte sono sbiadite, ma qualcosa riesco ancora a leggere.
«Ehi.» Esclama una voce dietro di me, ed io sobbalzo per la sorpresa.
Mi volto con la pistola pronta a sparare, ma mi accorgo che è soltanto Clary, con i capelli rossi ridotti ad una nube di boccoli. Ha cercato di domarli con un elastico, ma alcune ciocche devono esserle sfuggite ricadendole morbide sulle spalle.
«Mi hai fatto prendere un colpo.» Borbotto. «Non ti avevo neppure sentita!»
«È il vantaggio di esser piccoli.» Ribatte lei con voce altezzosa. Io roteo gli occhi al cielo, anche se sto sorridendo.
Camminiamo in silenzio per un po', guardandoci intorno con circospezione: se ci vedesse qualcuno dell'altra squadra, sicuramente verremmo eliminati in un colpo solo. 
Il metallo della pistola è quasi tiepido, al contatto con le mie mani gelide. Per quale motivo ho pensato che lasciare la giacca alla fermata del treno fosse una buona idea?
«Posso farti una domanda?» Annuisco con la testa. «Perché tu e Jace avete litigato?»
Questa domanda mi ferma sul posto, ed è come se qualcuno mi avesse tirato un secchio d'acqua fredda in testa. 
Io e Jace non ci siamo più parlati da oggi pomeriggio, e posso definirlo un record. 
Per me è sempre stato più di un fratello adottivo: la mia spalla, il mio migliore amico, una persona su cui contare. A volte si rende insopportabile a tutti e comincia ad esser crudele con le persone a cui vuole bene, ma io lo so, lo so che fa così perché gli piace sentirsi male. Lo fa da quando gli hanno ucciso i genitori davanti agli occhi, in piena infanzia.
Tante volte ha ferito me o Isabelle, ma l'ho sempre perdonato. In fondo è come le altre volte, solo che adesso siamo al Quartier Generale degli Intrepidi, e non allo Spietato Generale dei Candidi.
Ma non c'erano mai andate di mezzo altre persone fin ora, e lui non mi aveva mai parlato così...così... sinceramente.
«Lui ha picchiato tuo fratello per vendicarmi, senza dirmi nulla. Mi ha mentito. Poi mi ha dato del debole.» 
Dirlo ad alta voce fa decisamente più male che pensarlo, e sento lo stomaco attorcigliarsi in una morsa dolorosa.
Le dita sottili di Clary si appoggiano sulla mia spalla, per poi stringere leggermente, come un gesto di conforto.
«Jace non lo pensa. Pensa che tu sia la persona più gentile e buona del mondo. Ti vuole davvero bene.» 
Io la guardo interrogativo, in una muta domanda: te lo ha detto lui?
Le sue labbra si increspano in un sorriso, poi riprende a parlare.
«Gli dispiace, Alec. Gli dispiace tantissimo, è solo che non ha avuto il tempo per farsi perdonare. Dagli un'altra possibilità.»
Io mi stringo nelle spalle, più per il freddo che per l'indecisione. 
«Va bene, gli darò una seconda possibilità. Ma adesso devo farti io una domanda.»
Lei si mette sull'attenti, mentre io soffoco le risate.
«Tu e Jace state insieme? Sembrate così intimi...»
Dopo averla vista avvampare, mi metto a ridere di gusto. È così buffa! 
«Okay, lo interpreto come un sì. Adesso però dividiamoci, dobbiamo vincerla questa gara.»


§


Non so perché, ma dopo aver riso un po' mi sento più leggero.
Clary ha preso la via di destra, quella che porta verso le montagne russe ormai inutilizzabili, dato che una buona parte di esse è crollata.
Io sto andando verso quella che sembrava una vecchia giostra, di quelle per i più piccoli: cavalli di metallo arrugginito mi fissano con i loro occhi neri e inquietanti. Forse un tempo sorridevano, mentre adesso i loro musi sembrano distorti in ghigni malvagi.
Sento improvvisamente delle voci seguite da passi che si avvicinano, così cerco di mimetizzarmi come meglio posso dietro le creature di ferro.
«Per Dio, Jasmine, puoi fare un po' meno rumore?» 
«Iz, sei tu quella che sta urlando!»
Quella che sta camminando accanto a mia sorella è un'Iniziata Interna: abbastanza alta, pelle scura, capelli perennemente tenuti a bada da una lunga treccia.
«Quindi tu sai dove è nascosto il nastro?» Domanda Izzy, guardandosi intorno con circospezione. Ha le mani serrate sulla pistola.
«Conosco Tessa da molto più tempo di te, e se la conosco bene, l'avrà nascosto in un posto insolito. In cui nessuno avrebbe voglia di andare a cercare.»
Interessante. Ma siamo in un parco di divertimenti abbandonato, e non credo che sarà semplice trovarlo con tutte queste attrazioni malmesse.   
«Aspetta, vedo qualcuno lì, dietro ai cavalli.»
Cazzo.
Mentre sento il rumore dei tacchi alti che picchiano sul cemento, comincio a pensare alle possibili opzioni:
Potrei scappare, ma mi sparerebbero.
Potrei rimanere qui zitto zitto, ma mi beccherebbero.
L'unica cosa che posso tentare di fare è sparare due bei colpi precisi.
Mi alzo di scatto con la pistola stretta tra le mani e chiudendo gli occhi premo due volte il grilletto.
Sento le due ragazze gridare per la sorpresa e quando decido di alzare le palpebre mi serro la bocca con una mano, per non ridere: le ho colpite in pieno volto e adesso entrambe sembrano essersi lavate la faccia con la vernice verde.
«Alec!» Esclama Izzy, passandosi una mano sugli occhi. «Me la pagherai questa!» Cerca di essere minacciosa, ma vedo i muscoli delle sue labbra tesi per non sorridere.
«Lo conosci?» 
«È quel disgraziato di mio fratello...» sibila Isabelle, con il sorriso stampato in volto.
Io le faccio la linguaccia e scappo via correndo, come un bambino dispettoso.
Dopo qualche minuto non sento più alcun rumore se non quello dei miei stivali sulla pietra, così mi fermo: mi sono allontanato abbastanza dalla piccola piazza ed ora sono in una specie di radura, dove inquietanti alberi sintetici oscurano le stelle.
Jasmine ha detto -se pur involontariamente- di cercare in posti dove non vorresti mai cercare. Ragionando...dove non andrei mai. 
Ripenso un attimo alle indicazioni che ho scorto poco prima di incontrare Clary, e vengo colpito dall'illuminazione: la terza freccia, partendo dal basso, indicava la casa degli orrori che, per un fortunato caso, è sulla strada che ho preso. 
Dopo aver mentalmente ringraziato la mia memoria fotografica, comincio a correre.
Mi sento così euforico, terribilmente libero, anche se i rami mi graffiano la faccia e i polmoni bruciano come se stessi respirando fumo. 
Continuo a pregare silenziosamente perché non incominci una delle mie stupidissime crisi respiratorie, ma so che in ogni caso, non mi fermerei per nulla. 
Mi chiedo se ci sia qualcosa di più bello di correre senza un freno: tutte le preoccupazioni che in questi pochi giorni si sono accumulate -Jonathan, il litigio con Jace, Magnus e soprattutto la mia divergenza- si sono volatilizzate per qualche momento, disperse negli sbuffi di aria condensata che provoco con il fiatone che esce impetuoso dalle mie labbra.


§


Dopo aver colpito altri due Stregoni - uno sulla spalla e l'altro sulla nuca- arrivo in prossimità di alcuni gradini di legno, probabilmente già sconnessi quando furono costruiti, ma che ora cadono veramente a pezzi. 
Dopo il porticato, anch'esso di legno ammuffito e torturato dalle termiti, si innalza la famosa casa che stavo cercando. Il materiale di cui è fatta, di un colore che va dal marrone al verde petrolio, si avvicina molto alla plastica.
Non so se sia in questo stato fatiscente -pavimento sfondato, tetto pieno di buchi e ragnatele spesse come coperte- perché è molto vecchia oppure perché deve far paura, ma di certo da l'idea di essere infestata...probabilmente più dai topi che non dai fantasmi.
Un ronzio gracchiante proveniente dai vecchi altoparlanti, nascosti chissà dove, crea insieme alla strana oscurità del bosco un'atmosfera lugubre, simile a quella dei cimiteri.
È il posto in cui meno vorrei essere: il genere di posto che cercavo.
Salgo titubante le scale e decido di entrare dalla finestra frantumata, visto che la porta è bloccata da qualcosa di cui non voglio conoscere la natura.
Subito il buio mi avvolge, illuminato solo dalla fascia verde che ho legata al polso. Una scossa di incondizionata paura mi sale fino alle punte dei capelli.
Andiamo Alec, mi sembri una ragazzina. Sei un Intrepido, muovi quel culo e trova il nastro. Per qualche assurda ragione, la mia coscienza in questo momento ha la voce di Jace. 
Cerco di distrarmi, pensando a quanto poco sia adatto avere Jace come coscienza, visto che lui è tutto meno che è cosciente, e cautamente comincio ad inoltrarmi nella casa.


§


All'improvviso sento un rumore, e mi blocco sul posto. 
Anche se dopo aver visto il robot di uno zombie con la copertura quasi tutta strappata via, simile ad un cadavere di rottami che girava su sè stesso lentamente, dovrei considerarmi pronto a tutto.
Poi all'improvviso un bagliore viola sfreccia poco più avanti, nel corridoio, illuminando per un breve tratto la stanza.
Innalzo la pistola, con solo un colpo all'interno, tenendolo davanti al viso con tutte e due le braccia. 
Ricomincio a camminare, molto più velocemente di quanto stessi facendo prima e con molta più cautela, seguendo il bagliore della fascia viola.
Dopo la prima svolta, finisco rovinosamente addosso a qualcuno, nascosto dietro l'angolo del corridoio secondario che ho imboccato.
Rotoliamo un paio di volte, poi il mondo smette di girare e sento chiaramente il fucile di questa persona scivolare via lontano, il suo corpo disteso sopra al mio e la mia arma incastrata sotto al braccio.
Neanche il tempo di accorgermi cosa sta succedendo, che mi rendo conto di chi è il corpo steso sopra al mio: Magnus. 
«Alec?» Soffia sulle mie guance accaldate, con il viso pericolosamente troppo vicino e gli occhi luminosi, quasi quanto il pallino di vernice che risplende nel caricatore trasparente della mia pistola.
Non sembra intenzionato ad alzarsi, e inizio a pensare che rimanere in questa alquanto equivoca posizione non sia poi così male...Dio, qualcuno mi dica che non l'ho pensato veramente.
«Hai degli occhi stupendi.» Afferma, alzando una mano e posandomela sul viso.
Mi sembra di sentir riecheggiare nelle mie orecchie degli spari, ma poi capisco che sono i battiti del mio cuore. 
Bum bum bum. Sempre più forte.
«Io...» Mormoro, a corto di aria e di parole. La mia mano cerca a tentoni la pistola, ma più che per difendermi, per toccare qualcosa che non sia Magnus.
«Se io mi alzo, tu mi spari. Giusto Fragolina?» Chiede, con la voce incredibilmente bassa e...sexy
Sembro una friggitrice accesa in questo momento, e non riesco più a respirare normalmente. Sto sognando, questo non è reale. Può succedere di fare sogni del genere, quando si è in piena fase ormonale, giusto? Giusto? Cristo. Oppure deve essere stata la polvere di questo posto: ne ho inalata troppa e ora ho le allucinazioni.
«Come...perché...mi chiami così?» 
Per quanto è vicino, riesco a sentire una risata sommessa gorgogliargli in gola.
Lentamente, come se volesse torturare quel poco contegno che mi è rimasto, lascia che le sue labbra scendano fino all'incavo del mio collo. 
Sorride contro la mia pelle, ed è incredibile quante emozioni contrastanti stia provando in questo momento: paura, eccitazione, ansia, imbarazzo, euforia.
«Perché mi piace chiamarti così. E perché sei rosso...» Ammette, con tono seducente. «...davvero tanto rosso.»
In tutta la mia vita, non ho mai visto una persona come Magnus: talmente attraente da farti voltare per poterlo guardare meglio, per accertarti di non essertelo sognato.
E adesso, la suddetta persona mi sta inchiodando al pavimento con tutto il suo peso.
Se mi vedesse mia madre, penso per un istante, prima che un tocco caldo e delicato sul fianco mi riporti alla realtà: la mano di Magnus, con le sue dita affusolate e lisce, ha sfiorato un lembo di pelle nuda che la maglia non copriva completamente. Un brivido mi attraversa tutta la colonna vertebrale. 
«Stai gelando.» Sussurra con aria preoccupata, mentre con la mano libera mi scosta una ciocca di capelli dal viso.
«Oh...da-davvero?» 
Lui annuisce con la testa, allacciando il suo sguardo al mio. 
Non so se mi faccia più paura il fatto di essere in una casa degli orrori, o la pericolosissima vicinanza di Magnus. Non credo di esser mai stato così vicino a qualcuno, tanto da respirare la stessa aria.
All'improvviso un urlo squarcia l'aria stantia che ci avvolge, ed il momento più bello e imbarazzante della mia vita va in frantumi.
«Cos'è stato?» Domanda Magnus alzandosi, mentre io lentamente cerco di riprendere il controllo di me stesso.
«Era la voce di Clary...oh Cristo, Clary!»
Afferro la pistola e scatto verso la fonte dell'urlo, dovendo attraversare l'intero corridoio pieno di dipinti orripilanti.
Giungo in quella che, un tempo, doveva esser la "cucina" della casa, con i muri macchiati di sangue finto e un cadavere di plastica attaccato al muro, trafitto da un coltello.
Inginocchiata a terra, vedo una Clary tremante con le dita conficcate tra i capelli.
«Clary!» La raggiungo e l'aiuto a mettersi in piedi. «Che è successo?»
Deglutisce, respira profondamente due o tre volte per poi incominciare a spiegarmi: «Alle montagne russe non ho trovato nulla, così sono venuta a cercarti. Solo che ho preso una strada diversa e sono entrata dal retro, ritrovandomi qui. Ho acceso la torcia e ho visto quello.» Indica con un'occhiata il corpo trafitto, con un volto insanguinato distorto in un urlo terrificante. «Però sto bene, è stato solo un brutto spavento.»
Appoggiandole una mano sulla spalla, la sento tremare come una foglia. Forse ho capito perché a Jace piace, perché non è come la maggior parte delle ragazze con cui è uscito. 
Lei è piccola e fragile fuori, ma dentro è testarda e coraggiosa quanto lui. 
L'aiuto ad alzarsi, e vedo le sue gambe sottili vacillare. 
«In effetti è orrendo.» Concordo io, prima di prenderla per un polso e trascinarla via, assicurandomi che non svenga da un momento all'altro.
«Sai, quel cadavere...assomigliava a Simon.» Sussurra, stringendo possessivamente la pistola a sè.
Cercando tra i miei ricordi, capisco di chi sta parlando: quel ragazzo castano e occhialuto che era con lei alla Cerimonia, che ha scelto di diventare un Erudito.
«Tranquilla, lui sta bene. Andiamo adesso.» 
Attraversiamo nuovamente il corridoio, e non appena lei intravede la fascia viola di Magnus a qualche metro di distanza, impugna la pistola e spara prima che possa io bloccarla.
Lui, colpito in pieno petto, comincia a borbottare parole che forse sarebbe meglio non ripetere.
Mi porto le mani alla bocca, mortificato. Ma perché sono dispiaciuto? Non è il leader della squadra avversaria?
«Magnus? Che ci fai qui?» Domanda lei, confusa. Poi sposta lo sguardo su di me, in cerca di risposte. 
«Oh...ehm...ci siamo scontrati prima, poi ti abbiamo sentita urlare.» 
Tra noi cala il silenzio, e in questo momento non so chi tra i tre sia più stordito dagli avvenimenti della serata: Magnus, che non perdeva da anni e che si è lasciato eliminare con una simile facilità, Clary, ancora sotto shock, oppure io.
«Devo tornare da Tessa.» Constata Magnus dopo un po', lanciandomi una veloce occhiata che mi obbliga a distogliere lo sguardo. «Buona fortuna, Shadowhunters







Note2: Anche questa volta un grazie ad Alice, tra 9 giorni diventerà più vecchia ed io non ho un cazzo di regalo presentabile pronto.
Cosa farò non lo so, pregate per me. T.T
Sappiate che, per impegni e roba varia, non riuscirò ad aggiornare sabato prossimo, quindi dovrete aspettare due settimane (non avete idea di quanto la cosa mi bruci, ma proprio non posso evitarlo.)
Grazie di tutto, fatemi sapere ❤️

Ari Youngstairs

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Note:SONO ANCORA VIVA. NON CI CREDO.
Ho avuto una settimana infernale, imploro pietà.
Allora. Quanto posso amarvi? Grazie per tutto il vostro sostegno, ve ne sono immensamente grata. Ma non so esprimerlo a parole.
Sappiate che mi aspetta una settimana densa di verifiche, perciò vi prego di capirmi, ma non riesco ad aggiornare sabato prossimo. Dovrete aspettare altre due settimane, sorry.
I vostri pareri mi spronano ad andare avanti, perciò grazie se impiegate cinque minuti per recensire, questa storia va avanti solo grazie a voi ♥️ Spero che gradiate anche questo capitolo, ci risentiamo nelle vostre recensioni ♥️
Ari Youngstairs





• Capitolo Undici •


Io e Clary vaghiamo ancora un po' per la casa, alla ricerca del nastro di Tessa.
Abbiamo fatto un po' di conti, e questa ne è la risultante: Isabelle, Jasmine, Magnus e in più gli altri due, di cui non ho visto il volto, sono stati eliminati, e Clary dice di averne colpiti un paio.
«Non mi notavano, nascosta com'ero nella foresta. In compenso ho una mira schifosa, quindi ho eliminato due avversari, ma ho finito tutti i colpi.» Ci sono ancora diversi Stregoni in gioco, a meno che non siano stati eliminati da altri, e noi siamo completamente disarmati.  
«Quante saranno le probabilità che siano qui dentro?» Chiedo alla ricerca di qualche tipo di rassicurazione, mentre percorriamo un enorme salone straripante di cadaveri e di soffocante odore di polvere.
«Non lo so, quello bravo in matematica era Simon. » Dice nostalgica, e mi rendo conto di quanto potessero essere legati prima che la Cerimonia li dividesse.
«Gli vuoi proprio bene, vero? » La domanda è piuttosto scontata, ma sono curioso. Non so quasi nulla di lei, e quando dicevo che mi piacerebbe stringere amicizie al di fuori di quelle che ho con i mie fratelli, non scherzavo. 
Mi rendo conto che nel mio caso sia una pessima idea, ma cambiare fazione per me ha significato ricominciare.
E se devo ricominciare, meglio farlo come si deve.
Clary si sistema meglio la fascia legata in vita -penso sia l'unica abbastanza minuta da potersela legare attorno ai fianchi che al polso - e guarda in alto, sbuffando, cercando palesemente di non piangere.
Penso che come riposta sia abbastanza chiara. 
Rimaniamo in silenzio per interi minuti - uno di quei silenzi stressanti e troppo pesanti, quelli che tutti odiano - mentre finiamo di percorrere la lunga stanza. Più di una volta rischio di cadere, inciampando in qualche finto resto umano, e tutte le volte rivedo gli occhi brillanti di Magnus o sento il peso del suo corpo sul mio petto. Oppure il suo viso sempre più vicino, il suo fiato sulle guance...
Datti un contegno! Mi ammonisco, strusciandomi la faccia con le mani, cercando di scacciare tutti quei pensieri inadatti e di concentrarmi su altro, ma tutto quello che ottengo è di arrossire solo di più.


§

Sto cominciando a pensare che Clary non mi rivolgerà mai più la parola - Dio, sei il solito idiota, Alexander, tu e tutte le tue domande del cavolo - quando, sussurrando, dice:
«Non sono arrabbiata. Non con te. Cioè, nemmeno so con chi essere arrabbiata. Forse con il sistema, non lo so.» Dice a raffica, ritrovando man mano la voce per continuare.
«È una cosa pericolosa da dire.» L'ammonisco, anche se non posso fare a meno di concordare con lei. 
«Perché, tu non pensi che sia solo una montagna di stronzate? » Sorvolo sul fatto che non pensavo i Pacifici dicessero parolacce, e ci rifletto.
Sì, insomma, sono convinto che sia tutto un'idiozia, essere catalogati secondo uno stupido Test per fazioni senza la possibilità di essere qualcosa di più, ma mi è sempre stato insegnato il contrario. 
E ora mi viene fatta una domanda di cui ho sempre conosciuto la risposta, ma alla quale non so davvero rispondere.
«Non so quanto sia sicuro parlare di questo...» sussurro, e non so perché, mi contraddico all'istante dicendo: «Ma sì, la società fa schifo. Ora per favore, andiamo avanti e troviamo quel nastro.» Lei in qualche modo sembra soddisfatta e insoddisfatta allo stesso tempo, e dopo aver annuito, sussurra qualcosa di molto simile a non considerare la conversazione chiusa.
Giungiamo alla fine del corridoio, dove davanti a noi si presenta una grande sala degli specchi: molti di questi sono opachi, altri completamente frantumati.
Non ho il coraggio di guardare il mio riflesso, dato che l'ultima volta che l'ho fatto ho visto un mostro a me somigliante guardarmi con ira.
Sulla parete davanti a noi quello che sembrerebbe un licantropo ci fissa minaccioso con le fauci spalancate.
«Alec, guarda.» Dice Clary, indicandomelo. «Ha qualcosa che brilla, in gola.»
Aguzzo la vista, e mi rendo conto che Clary ha ragione: un tenue bagliore violaceo si intravede tra i suoi denti di plastica aguzzi. 
Ci avviciniamo con cautela, come se temessimo davvero che quella bestia possa saltarci addosso. Forse è proprio così.
Sbircio tra le fauci del lupo e con orrore noto, legato all'ugola dell'animale, il nastro luminoso che cercavamo.
«Clary, il nastro!» Grido, in preda alla gioia. 
«Quindi, quando Tessa ci ha detto "in bocca al lupo"...intendeva proprio in bocca al lupo.» Sembra perplessa, ma dai suoi occhi verdi capisco che è più contenta che mai.
Reprimendo il disgusto, provo ad infilare la mano tra i denti del licantropo, ma avendo delle braccia abbastanza robuste, neppure riesco a far passare il polso.
Clary se ne accorge, e senza dire nulla, mi scansa un po' per tentare di afferrare il nastro.
«Che schifo...» Mugola, mordicchiandosi il labbro inferiore. «È pieno di ragni qui dentro...»
«Dai, un piccolo sforzo.»
Dopo qualche secondo, ritrae il braccio, e tra le dita sottili tiene il nastro color porpora di Tessa.


§

«Bravissima.» Le dico, mentre ci avviamo verso l'uscita. Non vedo l'ora di andarmene da questo luogo orrendo. 
Quando finalmente mettiamo piede fuori dalla casa, entrambi tiriamo un sospiro di sollievo.
«Adesso come facciamo? Se ci beccano siamo fregati.» Mi fa notare Clary, con tono deluso e arrabbiato allo stesso tempo.
Se solo non avessi incontrato Magnus ora avrei ancora un colpo e soprattutto un fucile utile...
Il solo pensare al suo nome mi fa avvampare, ma ancora più spaventoso, è il desiderio che provo di sentire nuovamente quel tocco sulla pelle, la sua voce bassa e roca, ed i suoi occhi brillanti che si avvicinavano sempre di più...
«Alec? Mi stai ascoltando?» Dio, chissà da quanto tempo mi sta parlando! «Hai capito quello che dobbiamo fare?»
Io faccio un sorriso imbarazzato, e lei si batte una mano sulla fronte in segno d'esasperazione.
«C'è un unico modo per non farci vedere, ovvero nasconderci in questa discarica che chiamano bosco.»
Annuisco, mentre ci inoltriamo tra gli alberi di plastica con passo cauto e misurato.
Nonostante ci provi con tutte le mie forze, non riesco a non pensare che a Magnus. È come se qualcuno me lo avesse messo in testa e chiuso dentro a chiave, senza possibilità di farlo uscire.
Anche le sue parole mi riecheggiano nella mente come un disco rotto. Solo che, al contrario di quest'ultimo, è tutt'altro che fastidioso. 
I suoi erano dei...complimenti? Nessuno me ne aveva mai fatti. (Oltre che mia madre, ma per le madri i figli sono belli per contratto).
Forse c'è qualche speranza che lui ed io...no, scordatelo Alexander. Arriva il primo che ti fa dei complimenti e vai fuori come un balcone!
Riemergo dai miei pensieri e mi accorgo con orrore che Clary non è più accanto a me. A tenermi compagnia ci sono solo le scheletriche ombre degli alberi al chiaro di luna.
«Clary?» Chiamo, con voce moderata. «Clary?»
Nessuno risponde. Come punizione per averla persa di vista, sbatto la fronte contro un pino sintetico, ripetutamente.
E adesso come faccio a trovare uno scricciolo come lei in un posto del genere? E per di più in piena notte?
A volte mi chiedo se quello di cacciarsi nei guai sia un talento lodevole. O una disciplina sportiva. Probabilmente sarei bravo.
L'unica cosa che mi resta da fare, è cercare di raggiungere Tessa senza esser visto da nessuno. 


§

Una ventata d'aria gelida scuote le fronde degli alberi, ed io mi stringo nelle spalle, dove a scaldarmi c'è soltanto una leggera maglietta a maniche lunghe. 
Neppure mi ero accorto che da quando sono uscito dalla casa sto battendo i denti come se fossi in un refrigeratore. 
Butto fuori un po' d'aria, creando una nuvola di condensa che pian piano sbiadisce fino a sparire. Sento le ossa tremare sotto la pelle, così per creare un po' di calore sfrego con forza le mani, e continuo a camminare.
Mi ritorna in mente quando, in inverno, io Jace e Izzy ci accoccolavamo sul divano, con Max sulle mie ginocchia, attendendo che nostra madre ci preparasse la cioccolata calda.
All'improvviso sento una strana sensazione al cuore, come se venisse soffocato da una pesante coperta. 
Mi manca la mamma, mi manca Max. Mi manca scorrazzare per il giardino di casa tutto il giorno, frugare tra le siepi per guardare le lucciole creare scie luminose, persino andare a scuola.
Mi manca intrecciare le margherite alle trecce di Isabelle, che finiva sempre per scioglierle. 
Ci vuole qualche minuto prima di rendermene conto: ho nostalgia di casa. Ne ho tantissima.
Forse è normale ripensare alla vecchia vita. Ma come potrebbe non esserlo?
Racchiude tutto ciò in cui abbiamo affondato le radici, e senza delle fondamenta un palazzo non potrà mai essere stabile. 
Sbuffo, creando una piccola nube bianca. Spero davvero che non cominci a nevicare, o potrei diventare un pupazzo di neve ambulante.
«Alec!» Sento gridare una voce. «Alec, dove ti sei cacciato?!»
Riconosco la voce forte e decisa di Jace, ed il mio cuore perde un battito. Questa proprio non ci voleva, non ci siamo ancora rappacificati e lui fa parte degli Stregoni.  
Dannazione.
Mi guardo intorno nervosamente, alla ricerca di un nascondiglio tra gli alberi sintetici, finché non trovo un masso incredibilmente grande, perfetto per ripararsi.
Mi metto seduto dietro di esso, affondando le dita nella terra umida. Quando appoggio la schiena contro il macigno, mi rendo conto che è anch'esso di plastica come tutto ciò che mi circonda. 
Cerco di riscaldarmi un po' stringendo le gambe al petto, mentre sento dei passi che si avvicinano.
«Alec?» Chiama nuovamente Jace, con un tono di voce estremamente più triste. «La gara è finita, avete vinto. Puoi venire fuori.» 
Colto di sorpresa, mi alzo lentamente fino a incontrare gli occhi castano-dorati di mio fratello. 
Restiamo qualche secondo in silenzio, sostenendoci lo sguardo a vicenda. 
«Clary ha portato il nastro, ma poi si è accorta che tu non c'eri più, e abbiamo cominciato a preoccuparci.» Sospira lui dopo un po', spostando lo sguardo da un albero all'altro. 
«Ero soprappensiero.» Mi giustifico, alitando sulle mani intorpidite dal freddo. «Andiamo.»
Camminiamo fianco a fianco in silenzio, i nostri passi sono spari nella notte. 
Il cielo è coperto dai rami contorti degli alberi, che creano ragnatele di plastica e oscurità.
Dopo uno sbuffo, Jace mormora un: «Possiamo parlare?»
Annuisco, senza alzare lo sguardo da terra.
«Non sono bravo con le scuse, lo sai. Però mi dispiace per quello che è successo con Jonathan, davvero. È solo che ero talmente infuriato per quello che ti aveva fatto, che sono passato dalla parte del torto.» Fa una breve pausa, mentre punto i miei occhi sul suo volto, coperto da qualche ciocca bionda. «E...aspetta, dovevo dirti anche qualcos'altro, era importante!» Si spalma entrambe le mani sul viso, esasperato. «Merda. Te l'ho detto che non ero bravo a scusarmi.»
Fa per allontanarsi scocciato, ma io l'afferro saldamente per un polso, bloccandolo.
«Eh no, tu adesso concludi.» Gli ordino con un sorrisetto. Jace è sempre stato disinvolto, sarcastico e a volte crudele, ma non l'avevo mai visto imbarazzato, incapace di guardare qualcuno negli occhi.
«Volevo dirti che mi dispiace per quello che ti ho detto. Io non lo penso davvero, o meglio...io penso che tu sia buono, ma non debole. Dio, a volte ti ammiro per il modo in cui riesci sempre a perdonare tutti, a gestire le cose da persona matura. Mi odio per aver approfittato in quel modo della tua bontà. Insomma, tutto questo poema per dirti che sono un coglione e che io ti...» Improvvisamente, ammutolisce.
«Che tu mi...?» Lo incito io, curioso.
«Cheiotivogliobene» Rantola tutto d'un fiato, ma io riesco comunque a capirlo.
Jace detesta esprimere i suoi sentimenti, a meno che questi non siano rabbia, entusiasmo o furia. È la prima volta che lo sento dire una cosa del genere e non so se essere felice perché finalmente ci è riuscito, o perché, tra tutti, lo abbia detto proprio a me.
Gli scompiglio i capelli, sentendolo sbuffare contrariato. 
«Davvero mi vuoi bene?» Gli chiedo, con la voce di miele.
«Sì. Ma scordati che lo ripeta.» Annuncia, poi aumenta la velocità costringendomi a corrergli dietro. 
In fondo, un ti voglio bene detto da Jace significa tanto.
Finalmente raggiungiamo la stazione, dove un gruppo di Intrepidi sporchi di vernice viola e verde ci attende. 
Noto Jonathan, i capelli chiarissimi macchiati di color prato estivo, che si mordicchia nervosamente le unghie delle mani. Chissà quanto gli rode la sconfitta.
«Vincitori di questa gara, i Cacciatori!» Urla Tessa mostrando il nastro, e la mia squadra esulta con grida e applausi. 
In lontananza si sente il fischio di un treno in arrivo, e tutti prendiamo la rincorsa in attesa di saltare.
Intanto io mi guardo nervosamente intorno alla ricerca della mia giacca, purtroppo invano. Se potessi, scommetterei che le mie ciglia sono coperte di brina, un po' come ogni singola cellula che ho in corpo.
Ed ecco, che l'enorme ammasso malconcio di ferro e acciaio ci sfreccia davanti, con la velocità di un fulmine.
Mi ci vogliono alcuni minuti, ma alla fine anche io mi lancio contro il treno afferrando uno dei sostegni, gettandomi all'interno del vagone. A furia di farlo, comincio quasi a prenderci l'abitudine.
Mi lascio scivolare seduto a terra, con gli arti tutti infreddoliti. Accidenti, mi ammalerò di sicuro, e ho perso la giacca. 
Però c'è qualcos'altro a turbarmi adesso, anche più del freddo. Uno strano e sinistro presentimento. Come se...come se una vocina dentro di me mi stesse ripetendo pericolo. Ma forse è solo un falso sesto senso. Dopotutto dovrei solo godermi la vittoria.
Neppure mi accorgo della figura che si è inginocchiata davanti a me, con gli occhi sorridenti e preoccupati allo stesso tempo.
«Alec, stai gelando.» Mi informa Magnus, prima di afferrare un giubbetto a terra e posarmelo sulle spalle. «Era alla Stazione.»
Indosso l'indumento e finalmente avverto un po' di calore, ringraziando Magnus con un lieve sorriso. All'inizio ero convinto che tenerselo alla larga e rispettarlo fossero le cose più giuste da fare. Eppure, nell'ultimo periodo non faccio altro che ritrovarmelo ovunque.
La sua presenza è diventata una compagna rassicurante, e sembra così diverso dal Magnus scorbutico che avevo conosciuto all'inizio...Anche adesso, mentre lo guardo allontanarsi, non posso far a meno di pensare che dopotutto sia un ragazzo dolce, disponibile e bello. Forse anche troppo bello.
Chissà cosa devo sembrare io al suo fianco. Un possente leone accanto ad un agnello.
Gli sportelli si riaprono, ma quando saltiamo giù avverto che quella sinistra sensazione si fa sempre più insistente e fastidiosa. Tento di scacciarla, ma lei rimane conficcata nel mio cuore come una spina.
Al contrario di come l'ho sempre vista, luminosa e piena di vita, adesso la Torre del Centro di Controllo degli Intrepidi è buia e silenziosa. 
«Che sta succedendo qui?» Domanda Tessa, osservando alcune finestre dei piani più bassi che sono state frantumate.
Magnus apre il portone con una spallata e ad accoglierci, sul muro portante dell'intera struttura, una scritta in vernice blu: siete stati avvisati.






Note2: Bene, spero vi sia piaciuto ♥️
Ogni capitolo diventa più difficile dell'altro, quindi, sappiate che ho più bisogno che mai dei vostri pareri.
Ringrazio Alice che mi fa gentilmente da BETA, ma anche tutti coloro che recensiscono, quelli che hanno inserito questa storia nelle preferite (21), nelle ricordate (5), nelle seguite (47), e anche coloro che leggono silenziosamente, ma non abbiate timore di farvi sentire ♥️
Grazie a tutti!


Ps. Ieri ho pubblicato una piccola flash-fic intitolata Pieces, una cavolata assurda secondo me, e dato che è la prima volta che scrivo qualcosa di così corto, se mi faceste sapere cosa ne pensate mi rendereste felice ♥️ (Non siete obbligati, ovviamente, fate già tanto per me.)

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


Note: SONO COMMOSSA. SONO RIUSCITA AD AGGIORNARE.
Comunque, sapete che sono monotona, però ci tengo a ringraziare tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia, grazie di tutto ♥️
Questo capitolo è stato il più difficoltoso fino ad ora, perciò, vi invito ad esprimere i vostri pareri su questo scritto che mi ha portato via giorni e giorni di lavoro e revisione. ♥️
(Per non contare il fatto che ho un blocco di quelli pazzeschi, e che scrivo due righe in un pomeriggio se mi va bene.)
Spero di risentirvi tutti/e nelle vostre recensioni!

Ari Youngstairs





• Capitolo Dodici •


Restiamo paralizzati sul posto, e nessuno è capace di dire qualcosa.
Blu, il colore degli Eruditi.
Come per un crudele gioco della sorte attaccato sulle porre d'entrata troviamo un piccolo biglietto.
Passano alcuni secondi nei quali il gruppo di Iniziati vede i volti di Tessa, Magnus e Woolsey sbiancare.
«Magnus, dimmi che è uno scherzo.» Mormora nervosamente il capo-fazione.
L'allenatore balbetta parole incomprensibili, e solo allora mi accorgo di come l'intera Torre sia stata ridotta a soqquadro: le grosse botti di vernice sono state rovesciate a terra in un tripudio di colori, le vetrate del soffitto ridotte in frantumi e qualsiasi oggetto presente è stato rovesciato a terra o martoriato.
Vedo Magnus aprire il biglietto con le mani tremanti, ed io, alzandomi un po' sulle punte, riesco a comprendere quella grafia sottile e veloce, piena di riccioli:



Magnus Bane,
pensavi davvero che mi arrendessi così? Che strano, eppure dovresti conoscermi.
Questo era un avvertimento: rifiuta un'altra volta una mia proposta, e le conseguenze saranno decisamente peggiori.
Tutto ciò che chiedo sono i Divergenti, e allora tu e la tua Fazione verrete lasciati in pace.
L'evoluzione della razza umana è qualcosa che va al di sopra di tutto, ed una manciata di inutili e pericolose vite sono il prezzo da pagare.


Camille Belcourt, capo-fazione Erudita


Il cuore mi si blocca in petto, seguito da quello di tutti gli altri.
«Perché noi non ne sapevamo nulla?» Sbotta Jonathan dopo un po', con gli occhi scuri che brillano di rabbia.
«Lo...lo stanno facendo in tutte le Fazioni. Hanno aderito tutti...tranne noi.» Balbetta Magnus, mentre nella mia mente riecheggiano le parole inutili e pericolose vite. «Ascoltate, vi spiegheremo tutto. Adesso...l'intera Fazione sta dormendo, perciò ci penseremo domani mattina. Andate a riposare, per favore.»
Nei suoi occhi da gatto traspaiono paura, nervosismo e tanta, tanta stanchezza.
Annuiamo in silenzio, diretti ai dormitori più spaventati che mai. La mia vita è appesa ad un filo.


§

Non mi ero reso conto di quanto fossi stanco, ho gli occhi che bruciano e i muscoli che implorano pietà.
Izzy, adesso accanto a me, intreccia le sue dita alle mie appoggiando la fronte sulla mia spalla.
«È normale per un'Intrepida avere paura?» Mi domanda, con la voce incrinata dalla stanchezza.
«Tutti hanno paura, anche gli Intrepidi. Se non avessimo paura, non saremmo persone.»
La sua presa si fa più forte, poi affonda il viso nell'incavo del mio collo.
«Ho paura che tu o Jace siate Divergenti. Ti prego, dimmi che non lo sei. Dimmi che sei un Intrepido, per favore...»
Se ci si potesse strappare via il cuore, pur di morir sul colpo, in questo momento lo farei.
Stringo forte Izzy che col passare degli anni è diventata una ragazza bella e forte, indipendente e magnifica. Eppure, in lei non è mai cambiato l'infinito affetto che prova per coloro che le stanno vicino.
Non l'avevo mai vista piangere. Eppure adesso eccola qui, con le guance umide, stretta al mio petto.
«Giusto, non puoi dirlo.» Sussurra dopo un po', mentre le sue palpebre di abbassano lentamente. «Alec...»
Senza farle concludere la frase, la sollevo in braccio e la porto nel nostro dormitorio, dove tre letti semplici ma accoglienti ci aspettano.
Jace è già nel suo, due cerchi neri intorno agli occhi ed i capelli chiari sparpagliati sul cuscino.
Non senza un po' di fatica, riesco a sfilare ad Izzy quegli orrendi tacchi vertiginosi epoi l'adagio delicatamente sulle lenzuola, portandogliele fino alle spalle.
Prima di gettarmi letteralmente sul mio letto, le lascio un bacio leggerissimo sulla tempia, per poi sorridere vedendo un angolo della sua bocca alzarsi lievemente.
È così bella quando sorride.
Mi rimbocco le coperte, portandomele fino al naso. È incredibile quante cose siano successe in così poche ore, dal litigio con Jace all'avvertimento di Camille.
Ma com'è riuscita ad entrare nel cuore della Fazione?
Cercando di reprimere il senso d'inquietudine che sta cominciando ad attanagliarmi lo stomaco, chiudo gli occhi e mi addormento quasi immediatamente.
Pistole, fantasmi ed occhi da gatto popolano i miei sogni.


§

Il mattino dopo ci svegliamo tutti più tardi del solito, e questa mattina aleggia una strana atmosfera, carica di tensione.
Dopo esserci rimessi la scarpe ai piedi (nessuno tra me, Izzy e Jace ieri era abbastanza sveglio per cambiarsi i vestiti) ci avviamo verso il Pozzo.
Tutto è precisamente come me lo aspettavo: alcuni Intrepidi sono intenti nel riportare l'ordine (chi cambia le vetrate, chi ne raccoglie i frammenti a terra, chi sistema l'impianto delle luci), mentre altri, all'apparenza infuriati, sono riuniti a cerchio intorno Woolsey.
«Praetor Scott, come ha potuto permettere una cosa del genere?» Trilla una donna dai vivaci capelli biondi, striati di celeste. «Un atto di vandalismo nel cuore della Fazione! Mia figlia è un'Iniziata, non può alloggiare qui in simili condizioni!»
Mentre altre accuse si riversano sul Capo-Fazione, lui tenta di giustificarsi:
«Ascoltate, sia io che Magnus Bane e Theresa Gray eravamo in una missione con gli Iniziati. La Torre era stata perfettamente blindata, non c'era nessuno dentro. Solo agli Intrepidi è permesso l'accesso, perciò...» Nei suoi occhi verde-petrolio passa un'ombra. «...significa che qualcuno li ha fatti entrare. Qualcuno ha complottato con Camille Belcourt ed i suoi seguaci.»
Tutti ammutoliscono, mormorando nervosamente tra loro.
L'unica cosa che so è che devo scoprire di più su questa storia, sui Divergenti e sugli Eruditi.
«Alec.» Mi richiama Jace, prendendomi per il polso. «Dobbiamo andare in palestra.»
Annuendo, lo seguo fino alla sala degli Allenamenti, dove tutti sono più tesi e silenziosi del solito. Per gli Intrepidi, la sola idea di stare zitti è inconcepibile.
Restiamo in piedi per qualche minuto, aspettando che il nostro allenatore arrivi.
Noto che Clary si sta torturando le mani, le dita sporche d'inchiostro nero e di scarabocchi fatti con i pennarelli.
Jonathan, in disparte in un angolo della palestra, ha delle borse scure sotto agli occhi che gli arrivano fino agli zigomi, e non fa altro che sbadigliare e socchiudere le palpebre.
Sembra che nessuno sia riuscito a dormire più di un'ora, ed io non ho fatto altro che esser tormentato dagli incubi: morte, guerra, spari e sangue.
Mi sento così stanco...
All'improvviso ecco arrivare Magnus, con il trucco di ieri sera completamente sbavato su tutto il viso, come se qualcuno si fosse divertito a scombussolargli la faccia.
«Prima di iniziare gli allenamenti, ho delle cose importanti da dirvi.» Annuncia, richiamando quel poco barlume di lucidità che ci resta. «La prima, è che quello avvenuto ieri sera era un atto di vandalismo in pieno titolo. Camille Belcourt ha avviato questo progetto contro i Divergenti, per utilizzarli come cavie da laboratorio, e gli Intrepidi non hanno aderito.»
Passano alcuni minuti di silenzio, finché Clary non esclama con aria confusa: «E perché gli altri sì e noi no?»
Magnus pare esitare, gli occhi scintillanti e preoccupati di chi è stato colto alla sprovvista.
«Perché i Divergenti, quest'anno, equivalgono circa al quaranta percento di tutti gli Iniziati Intrepidi.» Colpito, finalmente noto qualcosa di Erudito in lui: la precisione, l'intelligenza, e la schiettezza di chi sa sempre cosa dire.
Automaticamente, cominciamo tutti a lanciarci delle occhiate inquisitorie, come a chiedere: «Sei Divergente?»
«Questo però non deve interferire con la vostra Iniziazione.» Continua, per poi esclamare: «A terra, cento flessioni!»
Quasi spaventati dalla sua improvvisa alzata di voce, ci mettiamo tutti a terra senza fiatare, ed io cerco in tutti i modi di non addormentarmi sul pavimento.
Sollevo più volte tutto il peso del mio busto con le braccia, e le sento bruciare ogni secondo di più.
Proprio quando sto per fermarmi, però, noto gli occhi felini di Magnus che mi scrutano con attenzione dall'alto dei suoi centonovanta centimetri di statura.
Imbarazzato, impiego tutte le mie forze per eseguire più flessioni possibili, e se i muscoli delle mie braccia potessero parlare, mi starebbero mandando a quel paese per lo sforzo eccessivo.
«Tutto okay Lightwood?» Domanda Magnus, la voce fredda come ghiaccio.
«Sì...» Sbiascico, mentre avverto una scarica di dolore in tutto il corpo.
E pensare che mi ero dimostrato così abile con la pistola, e adesso mi accorgo che nella forza e nella resistenza sono un disastro totale.
«Ehi, ascolta, non ce la fai.» Ripete lui con la voce un po' più dolce, chinandosi accanto a me.
«No, ce la faccio.» Chiedendo uno sforzo inumano alle braccia, riesco a sollevarmi e completare un'altra flessione. «Visto?»
Lui annuisce poco convinto, ma non si sposta, rimanendo lì a fissarmi. Forse vuole vedere come me la cavo, così mi ci metto d'impegno e riesco a fare altre cinque, sei, sette flessioni.
Ma lui resta lì, immobile come una statua. Un brivido mi percorre tutto il corpo, quando percepisco quel suo sguardo vuoto e distante percorrermi da capo a piedi, lento e inquisitore.
Deglutisco a disagio, sentendo le guance in fiamme. Perché mi guarda in quel modo? Sono solo uno che riesce a malapena ad eseguire delle flessioni.
Dopo alcuni secondi sento le sue dita sottili sulla spalla, e m'irrigidisco di colpo.
«Io e te dobbiamo parlare.» Sussurra, assicurandosi che nessuno lo senta.
Preso da un'improvvisa inquietudine, annuisco e lo seguo fin fuori la palestra, a passi pesanti.


§

Non appena il portone si chiude alle mie spalle, lo vedo incrociare con stizza le braccia al petto, mentre i suoi occhi si illuminano di una luce sinistra.
«Dimmi un po'.» Comincia lui, la voce velata di sarcasmo. «Tu sapevi tutto, vero?»
Il mio cuore perde un battito, e sento la gola improvvisamente secca.
«C-come?»
«Oh, non fare il finto tonto. So che ti riesce bene, ma adesso non funziona.» Lentamente, come un predatore che ha adocchiato la sua preda, si avvicina. Automaticamente indietreggio, fino a trovarmi con le spalle al muro. «Io e Tessa abbiamo parlato, stamattina.»
Qualcuno mi uccida. Adesso. Non riesco a credere di esser stato così sciocco ed ingenuo: ma davvero pensavo che Tessa non gliel'avrebbe raccontato? Sono amici da una vita, ed io sono solo...uno stupido Iniziato.
«Vedi, io, in un modo o nell'altro, vengo a sapere tutto. Chi non segue le regole, chi mi manca di rispetto, chi origlia...» Ad ogni parola si avvicina di un passo, tanto che riesco a distinguere delle pagliuzze verdi nelle iridi dorate.
«I-io...mi dispiace.» Ti dispiace? Ti dispiace? Che scusa penosa. «Non era mia intenzione.»
La mascella di Magnus si contrae, ed io comincio a tremare di paura.
«Era una conversazione che non ti riguardava. Potresti venir punito, tu e i tuoi fratelli...»
«No!» Grido, all'improvviso. «Loro non hanno fatto niente, ti prego, lasciali stare. Sono stato io, ad origliare. Non ti biasimerò se vorrai punirmi, ma Jace e Izzy tienili fuori da questa faccenda, per favore.»
L'espressione di Magnus diventa vuota e distante, come se mi vedesse ma allo stesso fossi diventato invisibile.
Non mi ero accorto di quanto fossimo vicini, le punte dei nasi che quasi si sfiorano.
«Adesso devi dirmi una cosa. Una cosa che Tessa inizialmente non voleva farmi sapere.» Lentamente, deglutisco. «Sei un Divergente, Alec? Non mentirmi, perché la risposta già la so.»
Incapace di sostenere il suo sguardo, punto gli occhi a terra, e titubante, annuisco con la testa. Maledetto, ma perché, perché non riesco a mentire? Ti sei ammazzato da solo.
«Mi consegnerai a Camille, vero? Sono già morto, ormai.» Sussurro, con gli occhi umidi.
Doveva essere un segreto, invece adesso sono fottuto. Ma come ho fatto a cacciarmi in questa situazione? Mi sento così stupido e patetico.
Magnus mi prende il mento con due dita, sollevandomi il viso e costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Alexander.» Mormora, pericolosamente vicino. «Il tuo segreto è al sicuro con me. Tu sei al sicuro con me.»
Ammutolisco, colpito dalla decisione e dalla sincerità che ho percepito in quelle parole. Il suo fiato, dall'aroma di caffè e cannella, s'infrange sul mio viso facendomi tremare come una foglia in preda alla brezza autunnale.
«Ma...perché?» Domando, a fiato corto. La vicinanza di Magnus m'impedisce di pensare lucidamente, e sento il cuore esplodere nella cassa toracica.
«Camille potrebbe portarmi via tutto, Alec. Ma non i miei allievi.» Improvvisamente, abbassa il tono della voce, in un debolissimo sussurro. «Non te.»
Molto probabilmente, se non ci fosse il muro a sorreggermi, sverrei d'infarto.
Non credo di aver mai vissuto nulla del genere in vita mia; e al contrario dell'altra sera alla casa degli orrori, tutto ciò non sta succedendo a causa di un incidente.
Eppure, è tutto così dannatamente bello.
Percepisco i suoi polpastrelli sfiorare con delicatezza i contorni del mio viso, e scostarmi una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio.
«Capito, Alec?» Concentrato sul suo pollice intento ad accarezzarmi lo zigomo incandescente, faccio sì con la testa.
Gli angoli della sua bocca guizzano all'insù, ed io sento una stretta al cuore. Com'è possibile che ogni volta che Magnus sorride, dentro di me si scatena una tempesta d'emozioni?
Le sue labbra, intanto, si avvicinano sempre di più alle mie, ed il mio corpo entra in guerra: una parte, l'unione della mia timidezza e della mia razionalità, urla di mandarlo via, di non lasciarmi toccare.
L'altra, al contrario, freme di poter avere un contatto con la sua bocca, di poterlo baciare come se non ci fosse un domani, liberandomi almeno per una volta di tutte le rigide regole che, sin da piccolo, mi hanno e mi sono imposto.
Finalmente posso decidere io cosa farne della mia vita. Posso scegliere chi amare, senza regole, senza limiti, senza divieti. Un sogno che da sempre segretamente coltivo.
E, nel momento in cui le mie iridi azzurre si riflettono nelle sue color oro e giada, lo capisco: mi sono innamorato ancor prima di rendermene conto.






Note2: Ta daaa!
Che ne pensate? Vi è piaciuto? Fatemi sapere, ne sarei contenta ♥️
Sempre un grazie speciale ad Alice, che mi supporta e mi sostiene sempre ♥️
Grazie per tutto il vostro sostegno, siete fantastiche.

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


Note:Sono...in stra-ritardo.
Oggi è stata davvero una giornata movimentata, e non ho potuto aggiornare prima.
È davvero un brutto periodo, tra la scuola che mi uccide e la cosiddetta "sindrome della pagine bianca" che non mi da tregua, credo che non riuscirò a scrivere per un po'.
Purtroppo, non penso che riuscirò ad aggiornare prima delle vacanze di Natale, ma non avete idea di quanto mi dispiaccia.
Ringrazio nuovamente tutte le persone meravigliose che mi sostengono e che mi mandano avanti, grazie di cuore, senza di voi questa storia non sarebbe nulla.

Ari Youngstairs





• Capitolo Tredici •


Sinceramente parlando, non ho mai preso così tanto in considerazione l'idea di morire. 
Non credo di poter resistere così ancora a lungo, con le labbra di Magnus che per pochi millimetri non toccano le mie.
La mia lucidità è partita per la tangente e il mio battito cardiaco sembra un susseguirsi di veloci esplosioni.
Non so cosa devo fare esattamente. Lo bacio? Lo respingo? Lo mando a quel paese perché mi sta letteralmente mandando fuori di testa? 
Dannazione, ma solo io ho questi dannati problemi? Perché di tutte le persone esistenti dovevo proprio innamorarmi di Magnus? È troppo per me. O meglio, è troppo bello e non so esattamente cosa fare davanti alle sue labbra, così dannatamente vicine. 
Cristo Santo, Alexander, stai pensando troppo velocemente, stai sparando delle cavolate assurde.
Cercando di mantenere la calma, lentamente, butto fuori tutta l'aria che mi si era accumulata nei polmoni e chiudo gli occhi.
È come se ogni singolo rumore proveniente dalla palestra arrivasse da lontano, ovattato e indistinto. 
Dopotutto, è una bella sensazione sentire il profumo di Magnus invadermi i sensi, mentre le sue labbra morbide sfiorano le mie senza toccarle veramente, leggere come farfalle.
Nonostante l'imbarazzo in cui sto pian piano annegando, con lui così vicino, sento l'ormai familiare convinzione di essere sbagliato lasciare spazio ad una pace interiore che non avevo mai provato.
Improvvisamente mi sento più leggero, come se qualcuno avesse sostituito le mie ossa con dei palloncini. 
Forse è ciò che si prova quando ci si sente semplicemente bene, senza alcuna preoccupazione, senza pesi.
Se solo potessi permettermi un simile lusso, mi dico mentalmente, ripensando a quanto la mia vita sia stata stravolta nel giro di pochi giorni. 
Era tutto estremamente tranquillo e monotono, prima. Però mi ero affezionato a quella routine, così semplice e felice: andare a scuola, prendere dei bei voti, controllare che Jace non ne combinasse una delle sue, accertarsi che Izzy non uscisse con gente poco raccomandabile, aiutare Max a fare i compiti e dare una mano alla mamma. 
«Conosco quello sguardo. È nostalgia.» Afferra subito Magnus, allontanandosi di poco dal mio viso. La sua mano si scosta dalla mia guancia, talmente rossa da sembrare viola. «A cosa pensi?»
I miei occhi intercettano i suoi, intenti a scrutarmi attentamente da capo a piedi. Avvampo e un po' a monosillabi, rispondo: «A casa. Pensavo a mia madre e a mio fratello.»
«Ti mancano molto?»
Annuisco, mordicchiandomi le labbra. Come fa a capirmi così in fretta, con un solo sguardo?
«A te...non manca la tua famiglia?» 
Improvvisamente, quasi spaventandomi, scoppia a ridere. In modo secco e isterico, con le lacrime agli occhi.
Che cosa ho detto di così buffo? 
«Oh sì, mi mancano davvero tanto. Mia madre si è suicidata due giorni dopo la mia nascita, e mio padre, dopo aver cercato di uccidermi, mi ha venduto a degli scienziati all'età di tre anni.» Risponde, smettendo tutt'un tratto di ridere.
Che stupido, dovevo aspettarmelo. È nato con degli occhi surreali, è ovvio che i suoi genitori abbiano dato di matto. Inoltre, ricordo di quando mi aveva parlato della macabra storia dietro ai suoi occhi.
«Non...non ricordo neppure i loro nomi.» Sussurra, con la voce spezzata e lo sguardo basso.
Accidenti, mai una volta che ne combini una giusta. Sembra così triste adesso...devo fare qualcosa.
«Scusa, non lo sapevo, mi dispiace. Non volevo rattristarti.» Alexander Lightwood, mi fai pena.
Sbuffo, spalmandomi entrambe le mani sul volto, intenzionato a non spostarle mai più. Ma perché? Cavolo. Potevo stare zitto. E invece no. 
Vedendo che la sua espressione ferita non vuole lasciarlo, mi sento più in colpa che mai.  
«Scusa, davvero. Sono un...Candido imbecille. Come ci chiami tu.» Farfuglio, sentendo il sangue che pian piano affluisce alle guance.
Non ho mai fatto tante figuracce come con Magnus, tutte insieme. Eppure non riesco a capire se mi odia, se gli faccio pena, o se gli piaccio...o se sono l'ennesimo dei suoi giochini.
Proprio quando faccio per andarmene -affogato nella vergogna e nell'imbarazzo più totale- lui mi blocca per una spalla.
«Non sei imbecille.» Mi dice, abbozzando un sorriso che manda in tilt il mio sistema cardiaco. «Sei il Candido più gentile che abbia mai conosciuto. Di solito sono così stronzi, si credono le uniche persone oneste e per bene. Tu...sei davvero onesto, ma sei talmente timido che neppure lo dai a vedere, non ne fai un vanto.»
Da quando sono una così brava persona? Mi credo parecchio riservato, gentile magari, ma non pensavo che qualcuno potesse vederla in questo modo. 
«Sei solo un pochino ingenuo.» Ah, ecco. «Ma non c'è nulla di male. Io la trovo una cosa adorabilmente innocente.»
Credo sia ormai cristallino che si diverta proprio a farmi diventare rosso come un pomodoro maturo.
Comincio a dondolarmi sui talloni, non sapendo bene come rispondere al suo commento.
Più che altro, non riesco a capire se il suo era un complimento o una presa in giro.
«Dobbiamo tornare in palestra.» Dice lui, guardando il suo orologio digitale da polso.
Prima di spalancare i portoni della palestra, Magnus mi sorride: senza malizia, senza sarcasmo, uno dei sorrisi più sinceri che abbia mai visto.
«Finché respiro, nessuno ti torcerà un capello. Ma giurami di stare attento.»
Porto una mano sul cuore, oramai impazzito, e gli sorrido in segno d'assenso. 
Forse con lui sono davvero al sicuro?


§

Appena tornati in palestra, Izzy mi si affianca, con l'aria di chi deve dire qualcosa di estremamente importante.
«Alec, ma che cavolo succede?» Domanda a voce bassissima e tesa, controllando nervosamente che nessuno ci senta.
«Di che parli?» Controbatto io, la voce leggermente tesa.
«Tu e Magnus. Ti porta sempre via, da qualche parte. Vi ho visti alla festa, tu hai bevuto e poi siete spariti.»
Non sapendo cosa rispondere, comincio a balbettare in cerca di parole. Dannazione.
«Lo sai cosa si dice su di lui, vero?» Lentamente, faccio no con la testa. «Si dice che nonostante sia un allenatore eccezionale, ecco...gli piace sedurre i suoi allievi. Ragazzi e ragazze. Se li porta a letto in cambio di qualche credito extra, oppure per puro divertimento.»
Ed ecco la secchiata d'acqua fredda che ci mancava. Mi ritornano in mente le parole di Camille: «Andiamo, Magnus. Da quando sei un cuore tenero? A te dei tuoi allievi non importa nulla, lo so. Trovi qualcuno che ti piace e lo seduci, te lo porti a letto e lo fai illudere del tuo amore. Fai così da quando mi hai lasciata.»
«Alec, sono preoccupata. Dicono tutti che tu sarai il prossimo svago di Magnus.» Con le braccia mi circonda il collo, abbracciandomi. «Ma tu non sei uno svago, sei mio fratello. Non voglio che ti faccia male, Alec.»
Forse ha ragione lei. Se fosse solo un trucco? Se fossi solo l'ennesimo della sua lunga lista? Eppure mi sembrava così sincero. Così dannatamente convincente con quei suoi sorrisi.
Ma la cosa peggiore è che con tutti questi casini sto facendo preoccupare Isabelle, che non c'entra nulla con tutto ciò.
«Iz, tranquilla. Non devi preoccuparti per me, davvero, so cavarmela. Pensa solo ad allenarti e superare l'Iniziazione.» La rassicuro, elargendole il sorriso più convincente e caloroso che riesca ad ottenere.
Lei sembra tranquillizzarsi, e un angolo della sua bocca guizza in alto.
«Poverino, mi dispiace un po' per Magnus. Forse capirà che non sei interessato a lui, presto o tardi. Insomma, sei etero Cristo Santo.»
Quanto vorrei che fosse davvero così. In realtà, Magnus ha palesemente capito che sono dannatamente gay e che sono fottutamente innamorato di lui.
Faccio un sorriso tirato, prima che il nostro allenatore ci chieda di metterci tutti in fila indiana, senza un ordine preciso. 
Lui estrae dalla tasca del giubbotto un cronometro, e ci spiega che, uno alla volta, ci farà correre per tutto il perimetro della palestra calcolando la nostra velocità. 
Io sono l'ultimo, ma non saprei dire se sia un vantaggio o meno.
La prima è Clary, che dopo essersi legata i capelli in una treccia -non mi spiego ancora come facciano le ragazze a pettinarsi così velocemente- sfreccia come un fulmine accanto a Magnus, sbalordendo praticamente tutti. 
«Beh, questo sì che è un risultato!» Esclama l'allenatore quando Clary finisce il giro. «Sono...cinquanta secondi! Cinquanta...soltanto cinquanta!» Ripete, mentre guarda sbalordito la rossa, intenta a saltellare per la gioia.
«Lo sapevo che ce l'avresti fatta!» Esulta Jace abbracciandola e riempiendole il viso di baci.
«Cristo, trovatevi una stanza!» Sbotta Jonathan, e mio fratello la mette giù come se all'improvviso bruciasse e forse lo sta facendo davvero, dato che è diventata rossa come i suoi capelli. 
Il giro continua, e Jonathan, Jace, Izzy e Clary hanno totalizzato i tempi più brevi.
Senza neppure che me ne accorga, immerso nei miei pensieri, arriva il mio turno e un brivido di nervosismo mi scuote leggermente.
Non appena Magnus da il via le mie gambe scattano, e sono quasi spaventato dagli effetti che i continui allenamenti hanno avuto sul mio corpo: sono meno goffo, più agile, anche se in fatto di forza e resistenza rimango comunque negato.
«Un minuto e cinque secondi. Non male Alec.» Sentenzia Magnus non appena completo il giro, e mi rendo conto che è la prima volta che mi chiama per nome davanti a qualcun altro.
Questo piccolo particolare mi strappa un sorriso, e scommetto tutti i miei risparmi che sembro un ebete.
«A breve si concluderà la prima parte dell'iniziazione. Verranno esposti i risultati qui in palestra.» Annuncia Magnus, passandosi una mano tra i capelli. «Avete il pomeriggio libero ragazzi.»
Un coro di urli e strilla riempie la palestra, e tutti corrono via come un branco di animali selvaggi. 
Tutti tranne Izzy, Jace e Clary, che con aria quasi guardinga si avvicinano a me.
«Alec, devi darci una mano.» Mi sussurra Jace, lanciando un'occhiata complice a Clary.
«Voglio vedere Simon, e tutti vogliamo sapere cosa sta succedendo tra Intrepidi ed Eruditi.» Continua lei, gli occhi verdi pieni di coraggio e decisione. «Quindi oggi andiamo tutti al Centro di Controllo degli Eruditi.»
Li guardo come se fossero impazziti, ma conoscendoli, nessuno dei tre cambierà idea. Sospirando sconsolato decido di aiutarli. 
«Ditemi cosa devo fare.»
Vedo un sorrisetto apparire sul volto di Jace, e quando sorride così, non promette mai nulla di buono. Ma dopotutto, dovrei esserci abituato. 
«Magnus non ci lascerà mai andare. Quindi...tutto ciò che devi fare è distrarlo per un po'.» 
Non so perché, ma avvampo da capo a piedi non appena mio fratello pronuncia il nome del nostro allenatore.
«Perché io?» Domando, cercando di reprimere la bizzarra gioia che sto provando nel sapere che tra tutti e quattro toccherà a me stare con Magnus. 
«Perché tu sei l'unico che riesce a parlarci umanamente. Di solito è un tipo strano, si arrabbia non appena apri bocca. Eppure con te non ci fa.» Spiega Izzy, come se fosse la cosa più naturale e palese del mondo.
Se possibile, divento ancora più rosso e maledico ancora di più la mia carnagione chiara. 
«Va bene, mi inventerò qualcosa.» In fondo, devo assolutamente scoprire di più su tutta questa faccenda. «Però vengo con voi, non vi lascio andare da soli.»
Mia sorella mi abbraccia scompigliandomi i capelli, e mi rendo conto che sono passato dal bravo ragazzo timido e prudente ad un'altra persona, sempre stradannatamente timida, ma in gran cerca di guai.






Note2: Okay...e anche questo capitolo è andato.
Che ne pensate? È un capitolo brutto, corto e di passaggio, fuck. E vabbè, spero che non vi abbia fatto troppo schifo.
Un grazie ad Alice (♥️), e un bacio tutti coloro che hanno messo questa storia nelle preferite/ricordate/seguite, che hanno lasciato un parere o che hanno semplicemente letto, mi ci impegno tanto e sapere che c'è qualcuno che apprezza i miei sforzi mi manda avanti.
Ci risentiamo ad anno nuovo, spero non appena saranno finite le vacanze ♥️
Dato che non ci risentiremo prima di Gennaio, vi lascio uno snippet perché vi amo:

«Come sta andando l'Iniziazione?» Mi chiede Tessa dopo un po', ed io capisco a cosa si sta riferendo.
Ma prima che possa rispondere, lo fa Magnus al posto mio: «Bene, non è male, anche se ha ancora da lavorare su alcune cose.» Il suo è un tono complice, di chi sa.
La ragazza mi lancia un'occhiata sbigottita, ed io mi mordo a sangue le labbra.
«Ehi, tranquillo.» La voce di Magnus mi arriva all'orecchio come un sussurro. «Sei al sicuro, te l'ho detto. Ti fidi di me?»

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


Note: Buon anno gente, spero abbiate passato delle belle vacanze! ♥️
Io sì, l'assenza della scuola e i pochi compiti mi hanno concesso tanto tempo libero, in cui ho avuto tempo di leggere parecchio e scrivere questo capitolo (addirittura più lungo del precedente!)
Volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, in particolare tre ragazze che hanno recensito per la prima volta (The high warlock, Handy e SweetEyes) che spero di risentire presto ♥️
Che dire, spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere. Grazie ancora ♥️

Ari Youngstairs





• Capitolo Quattordici •


A volte mi sorprendo di quanto sia geniale e contorta la mente dei miei fratelli.
Mi hanno spiegato che, dopo ieri sera, hanno bloccato tutti i treni per la fazione degli Eruditi e viceversa. 
Eppure da come mi hanno raccontato oggi pomeriggio alle due un treno clandestino partirà per il loro Centro di Controllo.
È l'una e mezzo, quindi ora di pranzo, e ci stiamo dirigendo verso mensa.
Adesso devo trovare una scusa per distrarre Magnus e...Dio, mi sento come un agente segreto! 
Questa cosa si sta rivelando più divertente del previsto.
Entrati nella mensa un odore di pasta pomodori e formaggio ci avvolge, facendomi venire l'acquolina in bocca.
Ci guardiamo intorno alla ricerca di un tavolo, ma l'unico disponibile ha soltanto tre posti liberi. 
Prima che possa dire ai miei tre compagni che andrò a cercarmi un altro posto, una voce mi chiama dall'altra parte della stanza, e riesco ad udirla chiaramente nonostante il fracasso tipico dell'ora di pranzo.
«Alec, c'è un posto libero qui!» Magnus, dal tavolo che hanno soprannominato “dei capi”, sta sbracciando per attirare la mi attenzione. La mia attenzione?
Lancio un'occhiata indecisa a Jace, che in risposta mima con le labbra un concitato «muoviti!»
Anche se ho rischiato di andare addosso ad un paio di persone, riesco a raggiungere Tessa, Woolsey e Magnus al loro tavolo, ma prima di mettermi seduto, esito. 
Fa quasi paura mettersi vicino a loro e percepisco, come filo spinato sulla pelle, le numerose occhiate che sto ricevendo. 
«Beh, siediti, vogliamo mangiare la pizza, mica te.» Mi invita gentilmente Tessa, è solo dopo qualche istante riesco a prendere posto accanto a Magnus.
Mi sento rigido come un bastone e rovente come fuoco.
«Grazie per...il posto.» Mormoro, giocando nervosamente con una forchetta di plastica.
«Figurati. In fondo nessuno ha il coraggio di mettersi qui.» Consata Magnus, prima di gridare: «Quando arriva la pizza? C'è chi ha fame!»
Sento una cameriera gridare qualcosa in cucina, finché non le vengono consegnati parecchi vassoi, con sopra delle pizze fumanti che emanano un profumo a dir poco divino.
Quando ci consegnano la nostra, Magnus ci si avventa sopra come un lupo affamato.
«Che bontà.» Sbiascica con la bocca piena, ed io mi lascio sfuggire un sorrisetto.
Prendo una fetta di pizza, piena di sugo di pomodoro e mozzarella, e addentandola mi rendo conto di quanto avessi fame. 
«Come sta andando l'Iniziazione?» Mi chiede Tessa dopo un po', ed io capisco a cosa si sta riferendo. 
Ma prima che possa rispondere, lo fa Magnus al posto mio: «Bene, non è male, anche se ha ancora da lavorare su alcune cose.» Il suo è un tono complice, di chi sa.
La ragazza mi lancia un'occhiata sbigottita, ed io mi mordo a sangue le labbra. 
«Ehi, tranquillo.» La voce di Magnus mi arriva all'orecchio come un sussurro. «Sei al sicuro, te l'ho detto. Ti fidi di me?» 
La sua vicinanza mi mette a disagio, ma dopo aver deglutito un paio di volte, annuisco con la testa.
«Che avete tanto da bisbigliare?» Domanda Woolsey, masticando la sua pizza.
«Ma fatti gli affari tuoi.» Magnus lo guarda in cagnesco, mentre Tessa ascolta divertita la conversazione.
Con le guance più rosse che mai, faccio per alzare la mano per prendere un altro pezzo di pizza, ma il mio allenatore mi batte sul tempo e prende l'ultima fetta.
Mi sono accorto solo ora che Magnus ne ha mangiata oltre metà, ed io soltanto una misera parte.
Ritraggo la mano, giocherellando con le dita. Dio che fame, lo stomaco mi brontola in maniera insopportabile.
Dopo qualche secondo, però, vedo sventolare davanti al mio naso il fatidico ultimo pezzo di pizza, ancora caldo.
«Tieni, dai. Hai una faccia da cucciolo bastonato.» M'informa Magnus, offendomelo. «Sento il tuo stomaco brontolare da qui.» 
Sorpreso, prendo la pizza e prima di addentarla lo ringrazio, sorridendogli.
Ho quasi timore di sorridere in sua presenza, poiché sicuramente potrei cominciare a balbettare e ad arrossire come un idiota. Forse lo sono davvero.
«Magnus, hai offerto un pezzo di pizza?» Chiede Tessa, con il tono di chi ha visto un alieno o un gatto volante. «Questo sì che è strano. Di solito se qualcuno prova a fregarti del cibo lo ammazzi.»
«Tessa, segnatelo sul calendario.» Suggerisce Woolsey, e Magnus gli lancia una forchetta indispettito. 
Visti da vicino non sono così spaventosi, dopotutto. Non come credono tutti: Tessa con me è sempre stata gentile e premurosa, Woolsey è solo strano in maniera indefinibile, e Magnus...Magnus ti ha mandato in palla gli ormoni, cretino.  
Una campanella segna la fine del pranzo e vedo Isabelle da lontano lanciarmi un'occhiata complice, poco prima di uscire.
«Ehm, Magnus.» Lo chiamo, prima che si alzi dal tavolo. «Dovrei parlarti.»
Annuisce, e dopo essersi guardato intorno, mi afferra per un polso e mi trascina via, portandomi in uno di quei corridoi che non usa quasi nessuno.
«Anche io dovrei parlarti.» Annuncia dopo un po'. «Sappi che mantenere segreta la propria divergenza non basta. Devi saperla controllare, se non vuoi che qualcuno se ne renda conto da solo.»
«Cosa intendi per controllare?» Domando, e i miei denti, in modo quasi automatico, mordono a sangue le labbra già massacrate. Prendi tempo, prendi tempo, prendi tempo.
«Nella prima parte dell'Iniziazione, la più corta, ti è andata bene. Ma la seconda è più lunga e più difficoltosa. Ci saranno dei...test, per vedere se come Intrepido vali non solo fisicamente, ma anche in fatto di astuzia, abilità e intelligenza. Gli Intrepidi, in quei test, si comportano tutti allo stesso modo, i Divergenti invece variano di persona in persona.»
Sposta lo sguardo dalla parete, incollandolo su di me. 
«Quanto è forte la tua Divergenza? Dobbiamo capire quanto è grosso il tuo problema.» 
«Quattro fazioni. Sono destinato a quattro fazioni.» Rispondo, cercando di non dare troppo peso alla parola problema.
Le braccia di Magnus, prima tenute incrociate sul petto, gli cadono molli lungo i fianchi, e vedo i suoi occhi luminosi rabbuiarsi per un istante. 
 «Oddio.» Sussurra, visibilmente scosso. «Will era destinato a tre. Gli hanno sparato a vista.»
Sento un nodo alla bocca dello stomaco, e una nauseabonda voglia di vomitare: l'ultima volta che mi sono sentito così era alla festa, quando mi ero scolato la bellezza di due litri di vino. Peccato che ora sia completamente sobrio. 
«Chi è Will?» Domando, giusto per far arrivare una boccata d'ossigeno al cervello.
«Era il marito di Tessa.» Il suo sguardo si riempe di malinconia. «So cosa stai pensando. Tessa ha diciannove anni e si è già sposata: beh, qui da noi funziona così.» Ammette, facendo spallucce.
Hanno sparato ad un Divergente destinato a tre fazioni, ed io a quattro...comincia a girarmi vorticosamente la testa.
«Alec, sei pallido come un cencio.» Constata lui, prima di appoggiarmi il palmo della mano sulla spalla. «Stai bene?»
«È...è solo un po' d'ansia.» Sbiascico, ma dallo sguardo di Magnus capisco che non ci crede: la verità è che la paura mi sta assalendo. Dopo ieri sera, neppure questo è un luogo sicuro.
«Scusa.» I suoi occhi sono bassi, puntati verso il pavimento. «A volte non penso quando parlo. Comunque, quando hanno scoperto Will non eravamo preparati, nessuno sapeva nulla.» 
Porto le braccia allo stomaco, ormai in subbuglio. Ma che mi succede? Non è ora il momento di farsi prendere dal panico.
«Ehi, calmo, ascoltami: andrà tutto bene. Ho paura quanto te, ma angosciarsi non serve a niente. Dobbiamo affrontare una cosa alla volta.» Dice sinceramente, abbozzando un sorriso.
Devo ammettere che ha quasi un effetto tranquillizzante su di me. Come quando si recupera l'equilibrio dopo esser caduti, o come quando si riprende fiato riemergendo da una lunga apnea.
«In effetti ci sarebbe una cosa che potrebbe fare al caso tuo.» Continua dopo qualche minuto. «Ti va di provare?»
Annuisco, ma poi mi ricordo che Jace, Izzy e Clary contano su di me per andare al Centro di Controllo degli Eruditi.
«Potrei soltanto andare a dire una cosa a mio fratello?» 
Ricevendo un consenso, sfreccio via ancor prima che possa aprir bocca. 


§

So esattamente dove trovare chi cerco.
Corro come un forsennato per gli innumerevoli corridoi, freddi e umidi, fino a raggiungere il grande portone che dà sulla stazione.
I volti di Clary, Jace e Isabelle si illuminano non appena mi vedono.
«Eccoti finalmente!» Mia sorella mi afferra saldamente per un braccio, trascinandomi verso l'uscita, ma io mi fermo sul posto prima che possa riuscire nel suo intento. 
«Cosa c'è, Alec?» Domanda Clary, gli occhi preoccupati e pieni d'impazienza.  
«Non posso venire con voi.» Sospiro. «Posso distrarre Magnus e lasciarvi star via per un po'. Ma devo rimanere qui.»
I nostri sguardi si intrecciano, creando una rete di occhiate che dicono tutto e niente.
«Quindi...dobbiamo lasciarti da solo?» Isabelle mi prende le mani portandosele al viso, in un gesto rassegnato.
Annuisco, nonostante tenessi particolarmente ad andare al Centro di Controllo degli Eruditi. Spero solo che non combinino qualche casino.
«State attenti, mi raccomando.» Sussurro, più che altro per convincere me stesso che per ricordarlo a loro. Per quanto riguarda i miei fratelli saranno anche scapestrati, ma certamente non sciocchi.
«Lo saremo fratellone.» La voce di Isabelle è dolce e convinta, e non riesco a dubitare di lei quando mi parla così. 
Mentre il portone si chiude alle loro spalle, sento il cuore un pochino più leggero.


§

Mi adagio sul lettino, i muscoli tesi come corde. Mi pare di esser ritornato al giorno del Test Attitudinale. Sembra passato così tanto tempo...
Magnus mi scosta una ciocca corvina dalla fronte, per poi appiccicarvici una ventosa di gomma, collegata ad un computer -piuttosto grande e vecchio- pieno di polvere. 
«Vedi, nella seconda parte dell'Iniziazione-» comincia a spiegare il mio allenatore «-dovrai affrontare le tue peggiori paure, ma dovrai farlo come un Intrepido.»
Tendo le orecchie, mentre sento uno strano nodo formarsi alla bocca dello stomaco. 
«Una volta, prima di affrontare il Test vero e proprio, si allenavano con questa macchina. Poi non è stata più utilizzata poiché ritenuta obsoleta... e in effetti lo era, ma noi potremmo usarla a nostro vantaggio.»  
Mi porge un piccolo bicchiere di plastica, di quelli che si usano per il caffè, contenente un liquido verde fosforescente che emana una puzza terribile.
Rivolgo a Magnus uno sguardo supplichevole.
«Eh no, non fare quella faccia. Bevi, forza.» Mi incita severo, anche se sono convinto di avergli visto balenare un sorriso sulle labbra. 
Mando giù quello che potrebbe esser tranquillamente definito veleno che mi infiamma la gola come se avessi ingoiato acido, e attendo che faccia effetto. 
«Comunque, ci tenevo a dirti che non ho la più pallida idea di cosa potresti vedere.» Ammette, in imbarazzo. 
«Come scusa?» L'ansia mi sta prendendo a morsi. 
Cado all'indietro sullo schienale del lettino, e sento le forze abbandonarmi, come se mi stessi per addormentare. 
La vista mi si annebbia, e l'ultima cosa che vedo prima di chiudere gli occhi è il volto preoccupato di Magnus. 


§

Sto cadendo nel vuoto. 
Sento un fischio acuto nelle orecchie, mentre l'oscurità mi avvolge come una pesante coperta. 
Odo delle voci intorno a me, lontane e spaventose come potrebbero essere quelle degli spettri, ma non riesco a distinguere chiaramente cosa dicano.
Con un tonfo sbatto la schiena a terra, ma non provo alcun tipo di dolore. 
Rialzandomi, noto di aver addosso non più la divisa nera da Intrepido, bensì una camicia bianca e dei pantaloni scuri: abiti da Candido.
Sono nel cuore della città, davanti l'entrata della Torre. Solitamente questo posto brulica di gente, ma ora non c'è anima viva e regna un silenzio inquietante.
«C'è nessuno?» Domando, senza ottenere risposta.
Questo posto ha un che di surreale, persino il cielo non sembra vero: è di un grigio scuro ma non vi sono né sole né nuvole, come se fosse un foglio di carta scurito dal fumo.
Voglio andarmene da qui, subito. 
Chiudo gli occhi, concentrandomi. Forse così riuscirò a svegliarmi.
Puoi farcela.
Purtroppo non accade nulla, ed io rimango bloccato in questo posto tetro.
Mi incammino verso la strada che porta a casa mia, dato che restando fermo sicuramente non combinerò nulla. 
Percorrerla a piedi e non con l'autobus fa uno strano effetto, soprattutto se prima c'era un traffico da capogiro. Che sia della nostalgia? 
Devo ammettere che finora è stata una fedele compagna dato che non mi ha mai abbandonato; anzi, ogni giorno si fa più insistente e fastidiosa.
Un po' come una canzone che non ti piace, ma che sei costretto a riascoltare ancora e ancora, fino a non poterne più.
«Mi scusi?»
Per poco non mi prende un infarto. 
Dopo esser sobbalzato, mi volto lentamente in direzione della voce: una donna col volto pieno di rughe, capelli bianchi e crespi raccolti in cima alla testa, che mi fissa con i suoi occhi inquisitori color acciaio. 
Dagli abiti blu e gli occhiali che porta, sembrerebbe un'Erudita.
«Documenti.» Mi ordina, con fare altezzoso.
Deglutisco, mentre cerco invano qualsiasi cosa possa assomigliare ad un documento all'interno delle mie tasche. 
«Documenti.» Ripete, avvicinandosi. 
Il suo sguardo è come filo spinato, gelido e spietato. 
Non sapendo che fare rimango zitto, e in una delle sue mani nodose appare una pistola. 
«Male, male, molto male, divergente.» 
Innalza l'arma verso il cielo, ma quando preme il grilletto non vi è nessuno scoppio, nessun proiettile, ma una scintilla che sale sempre più in alto per poi esplodere in un mare di luce, come un fuoco d'artificio. 
Automaticamente provo a correre via, ma intorno a me vedo soltanto una schiera di forze dell'ordine, venute da chissà dove, tutte con pistole e fucili spianati. 
Un moto di paura mi cresce impetuoso nel petto, affannandomi il respiro. 
I miei occhi vagano alla ricerca di volti noti, di qualche appiglio a cui reggersi, ma l'unica familiarità è il ghigno diabolico di Camille, il ghigno di un vincitore. 
«Pensavi che non ti avremmo scoperto?» Domanda, per poi schioccare le dita pallide e sottili. «Sparate.» 


§

Ho il cuore che sembra voler saltare in aria. 
Tento di respirare, ma è come se il mio corpo non rispondesse ai comandi. I polmoni bruciano.
«Alec!» Magnus mi toglie con urgenza le ventose di plastica, che mi hanno lasciato dei segni rossi e circolari sulla pelle. 
È come se qualcuno mi avesse tenuto per ore in una centrifuga, tanto la testa mi gira mandando scariche di dolore.
Sento le mani di Magnus dietro la schiena che cercano di farmi alzare dal lettino, ma non appena ci provo sento una forte nausea montarmi nello stomaco. 
«Inf...ermeria.» Balbetto, prima di perdere i sensi. 






Note2: Imploro pietà. So che non è proprio il massimo, ma meglio di così non veniva.
E ho una brutta notizia. Cioè, perlomeno, credo sia brutta: con i professori che mi sfondano (ho l'esame di terza, credo mi capiate, sono peggio delle sanguisughe), e questo brutto blocco, non riesco ad aggiornare tra due settimane.
Tengo moltissimo a questa storia, voglio dare il meglio. E purtroppo ho bisogno di tempo. Ho paura che, se facessi di fretta, rovinerei questa Fan Fiction che ha riscosso "successi" e apprezzamenti che mai, MAI mi sarei aspettata.
Approfitto per ringraziarvi ancora, grazie davvero. In particolare un grazie ad Alice che non solo trova tempo per recensire tutti i capitoli, ma mi fa da BETA e mi sostiene ♥️
Che dire? Spero di leggere presto le vostre recensioni per sapere che ne pensate, avete letteralmente dato vita a questa storia.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quindici ***


Note: Oddio. Faccio schifo. Ma tanto.
Vi ho fatto aspettare un mese. Cioè, faccio schifo più di quel che pensassi (ed il che è grave).
Però purtroppo, tra la scuola che non mi da tregua (SIETE IN TERZA MEDIA E AVETE L'ESAME!), casini vari e questo fottutissimo blocco, ho impiegato un mese a scrivere...beh, lo schifo che trovate qui sotto.
Ringrazio con tutto il cuore le persone che mi seguono e che mi sostengono, facendomi sapere il loro parere su questa storia che all'inizio è nata come un malsanissimo sclero. Quindi, se ora è diventata una malsanissima Fan Fiction, è solo merito vostro 😉
Spero vi piaccia almeno un pochino pochino, e che mi facciate sapere che ne pensate ♥️
Grazie ancora. ♥️

Ari Youngstairs





• Capitolo Quindici •


Mi sento come se qualcuno mi stesse prendendo a calci da dentro, un misto di nausea e dolore.
Nell'aria avverto un odore forte di medicine, alcol e plastica.
«Credo si stia svegliando.» Sussura una voce accanto a me, gentile e rassicurante.
Apro gli occhi lentamente per abituarmi alla luce della stanza e mettere a fuoco ciò che ho davanti: il volto di Tessa, sorridente e sollevato, e quello di Magnus, teso e pensieroso.
«Come stai?» Mi domanda quest'ultimo. 
Provo a mettermi seduto e mi rendo conto che non ho alcun dolore alle ossa mentre mi muovo, mentre la testa mi manda qualche fitta.  
«Bene, più o meno. Ma non ho ben chiaro cosa sia successo.» 
«Questo te lo dirà Magnus.» Risponde Tessa, ammiccando al diretto interessato, che la guarda in modo truce.
«Vuoi smetterla? Ho già abbastanza sensi di colpa.» Ribatte, poi sposta il suo sguardo su di me. Le sue pupille verticali sono sottilissime, come fessure. «Ecco...diciamo che il computer non si utilizza più non solo perché inutile...ma ha un brutto guasto.»
Il ricordo di ciò che ho visto, anzi, vissuto grazie a quell'aggeggio infernale mi fa rivoltare lo stomaco. Dio, se non sembrava vero di avere tutte quelle armi puntate addosso.
«Ti ha praticamente risucchiato tutte le energie, e ti sei sentito male. Oh, e...» Cerca lo sguardo di Tessa, che gli fa cenno di continuare. Sembra, per la prima volta da quando lo conosco, insicuro di ciò che dice. «...mi dispiace. Non sapevo a cosa ti stavo sottoponendo. Spero mi perdonerai.» 
Vorrei tanto dirgli che razza di incubo abbia vissuto a causa sua, ma le scintille di speranza che brillano nei suoi occhi da gatto mi bloccano. 
«Sì, credo che ti perdonerò. Non penso avessi cattive intenzioni.» La mia sembra più una domanda indiretta che una risposta, e Magnus sembra rimanerne alquanto deluso. «Ma non ho mai pensato che ne avessi, cioè, non è colpa tua. Volevi solo aiutarmi.» Non so perché, ma ad ogni parola pronunciata il tono della mia voce cala, riducendosi pian piano ad un mormorio. 
Cala un silenzio a dir poco imbarazzante, e per alcuni minuti mi chiedo se non abbia detto qualcosa di terribilmente sbagliato. 
Dopo un po' Magnus ci avvisa di aver da fare, e salutandoci con un sorriso leggermente tirato se ne va dell'infermeria a passi decisi come gli è di consuetudine. Dietro di lui la porta sbatte con forza.
«Ho detto qualcosa che non va?» Chiedo, a disagio. 
A Tessa sfugge un sorrisetto, anche se non ne vedo il motivo. 
«Magnus è sempre molto sicuro di sé stesso, a parte quando c'è di mezzo qualcosa o qualcuno a cui tiene. Allora tutta la sua sicurezza svanisce e diventa...impacciato, ecco.»
Immaginare un Magnus impacciato mi risulta più difficile che immaginare una Tessa bionda e antipatica.
«E può capitare che combini qualche disastro.» Continua, e nei suoi occhi grigi vedo passare spettri di ricordi, memorie di giorni passati ricchi di malinconia. 
«Il fatto è che credo abbia preso a cuore il tuo forte caso di Divergenza, perché gli ricordi lui, quello che veniva deriso e allontanato da tutti per i suoi occhi. Penso voglia far in modo che tu non passi ciò che ha passato lui stesso.» 
Le ultime parole di Tessa mi spiazzano, mentre il battito cardiaco accelera. 
«Ma...io non ho fatto nulla per meritarmelo.» Sussurro, grattandomi la nuca con imbarazzo. 
Credo di essere parecchio rosso in faccia -ma perché ad Izzy e a Jace non succede mai?- dato il sorriso divertito che è nato sulle labbra di Tessa.
«A quanto pare, Magnus in te vede qualcosa. Ma non chiedermi cosa, quel ragazzo è a dir poco indecifrabile. Se vorrà te lo dirà lui.» 
Conclude, aiutandomi ad alzarmi dal lettino e mettermi in piedi.    
«Vedi di stare un po' riguardato, almeno oggi che avete il pomeriggio libero.» 
Annuisco in silenzio, sorridendole in un muto segno di ringraziamento.
Esco dall'infermeria barcollante come un ubriaco, diretto agli alloggi per farmi una lunga -lunghissima- dormita.   
Ma non appena raggiungo la mia stanza, sento come una secchiata d'acqua gelida cadermi addosso: Jonathan è appoggiato alla porta del mio dormitorio, sfoggiando un'aria alquanto minacciosa. 
«Ah, eccoti.» Esclama non appena mi vede. «Cercavo tuo fratello.»
Deglitisco tre o quattro volte, nervoso. 
Dannazione.
«Non so dove sia.» Rispondo, con il tono più credibile che riesco ad ottenere. 
Lui si avvicina a me, e prima ancora che possa reagire mi afferra saldamente per il colletto della giacca scura.
«Ascoltami bene: ho cercato Clary in lungo e in largo per quasi due ore, ma non l'ho trovata. E giuro che se c'entra quel biondino di tuo fratello, che ha passato l'ultima settimana a sbavarle dietro come un cane, giuro che gli rompo tutte le ossa. E se non trovo lui, le rompo a te. Chiaro?» 
Annuisco velocemente con la testa, troppo stanco per rispondergli per le rime. Inoltre, non mi va di affrontare l'ennesima rissa. 
Mi lascia andare la maglia e se ne va via sbattendo i piedi, e non riesco a trattenermi dal chiedermi a cosa è dovuto questo suo comportamento. 
Che Clary avesse ragione? Magari suo padre era davvero un matto, ma forse non è il momento più adatto per rifletterci sopra. 
Mi strascino fino al mio letto, e senza neppure togliermi le scarpe mi ci butto a peso morto. 
Prima di addormentarmi, il mio pensiero vola ai miei fratelli e a Clary. 
Dio, fa che non succeda nulla.


§

~ Isabelle ~


Il viaggio in treno è stato qualcosa di orribile per la mia schiena. 
Io, Jace e Clary ce ne siamo stati seduti per terra per più di mezz'ora, sobbalzando circa ogni cinque secondi a causa delle ruote del treno, che al contrario degli altri era vecchio e malmesso. Ma che aspettarsi da un treno clandestino?
Il Centro di Controllo degli Eruditi si staglia dinnanzi a noi: è una torre di vetro talmente alta che sembra perforare lo strato di nuvole grigie che ci sovrasta. 
Intorno a noi c'è un continuo viavai di Eruditi, tutti vestiti in blu e con computer o libri sotto braccio, che si soffermano a guardarci sconcertati quasi fossimo degli alieni.
Le porte si aprono automaticamente al nostro passaggio, permettendoci di osservare una marea di Eruditi laboriosi come formiche.
Clary chiede alla signora del Banco Informazioni la postazione del suo amico Simon Lewis, e lei, non prima di gettarci una bizzarra occhiata, risponde che tutti gli Iniziati si trovano all'ultimo piano.
Chiamo l'ascensore premendo a casaccio alcuni degli innumerevoli pulsanti alla parete: qui è tutto talmente tecnologico da farmi girare la testa, e probabilmente sarebbe più semplice se ci fosse Alec qui con noi. 
Tra noi quattro, lui è sicuramente quello più pratico. 
«Secondo voi come avrà fatto Alec a distrarre Magnus?» Domando, una volta dentro nell'ascensore.
«Io una mezza idea ce l'avrei.» Ridacchia Jace, beccandosi una gomitata nelle costole da Clary.
«Ma non fare lo scemo Jace.» Lo rimprovera, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Figurati se Alec possa essere interessato ad un ragazzo...non mi pare il tipo.» 
«Neppure a me.» Ribadisco piatta, ma lievemente incerta. «Anche se Magnus, beh, ha un fascino che non lascia proprio indifferenti.»
Jace alza gli occhi al cielo, esasperato.
«Non anche tu Iz, ti prego. Delle ragazze che ho incontrato ieri non facevano altro che parlare di lui come se fosse il tipo più figo del mondo! Oddio i capelli di Magnus, oddio i suoi occhi, oddio oddio...» Si spalma entrambe le mani sul viso, in un gesto comicamente esagerato. «E poi io detesto quel tizio. Mi urta il sistema nervoso.» 
Clary si lascia sfuggire una risata, prendendo la mano di Jace tra le sue. 
«Comunque, ragazze, fidatevi di me: essendo un maschio, capisco sin troppo bene quando ad un altro maschio piace qualcuno. E Magnus si mangia Alec con gli occhi.» 
Prima ancora che io possa commentare, le porte dell'ascensore si aprono all'ultimo piano dell'edificio.
Dentro la confusione regna sovrana: ragazzi e ragazze, tutti della nostra età, che corrono da tutte le parti carichi di libri, quasi tutti con gli occhiali. 
«Come lo troviamo?» Domanda Jace a Clary, che si guarda nervosamente intorno alla ricerca del suo migliore amico.
«Eccolo!» Esclama dopo un po', cominciando a correre tra la marea di Iniziati. 
Io e Jace le corriamo dietro, poiché piccola com'è, se la perdessimo di vista sarebbe la fine. 
Percepisco delle occhiatacce colpirmi come tanti piccoli spilli, ma al momento cerco di fregarmene, evitando di mettere in pratica ciò che ho imparato grazie agli allenamenti di Magnus. 
Ritroviamo Clary dopo poco, intenta a stritolare tra le braccia uno dei numerosi ragazzi Eruditi: ha capelli e occhi castani, un paio d'occhiali dalla montatura sottile che gli decorano il viso dai lineamenti delicati dandogli un'aria pacata e intelligente. 
Devo riconoscere che è parecchio carino. Aspetta, che? 
«Clary!» Esclama lui, sorpreso all'inverosimile. «Cosa ci fai qui?»
«Sono venuta a trovarti, no?» Risponde lei, con un sorrisone che contagia anche l'altro. «Loro sono Izzy e Jace, miei compagni d'Iniziazione.» 
Simon ci osserva incuriosito, soffermandosi qualche secondo in più su di me. Lui sembra averci fatto caso, così distoglie subito lo sguardo, imbarazzato. 
«Simon, devi aiutarci.» Sussurra Clary dopo un po', attenta a non farsi sentire. «Cosa sta sta succedendo tra Eruditi e Intrepidi?» 
Il ragazzo sbianca all'improvviso, rimanendo in silenzio.
«Ehi, allora?» Lo incita Jace, scocciato: credo sia geloso del fatto che non sia l'unico maschio al mondo che possa abbracciare Clary. 
«Perché?» Domanda, fingendo confusione in modo alquanto scadente. 
«Come sarebbe a dire perché?» Intervengo io, forse con un tono di voce leggermente troppo alto. «Ci avete saccheggiato il Quartier Generale! Vogliamo sapere cosa volete da noi.»
Vedo Simon deglutire a disagio, passandosi una mano tra i capelli. La tensione tra noi quattro è a dir poco spaventosa, e tutto ciò che vorrei fare è scappare via da qui.
«Clary, le cose si stanno facendo pericolose. Dovete andarvene e subito.» 
Clary scuote la testa con decisione, e i suoi occhi verdi si fanno lucidi. 
«Simon, perché non vuoi dirci nulla? Sono la tua migliore amica, ci conosciamo da anni!» 
Il ragazzo si morde a sangue le labbra, distogliendo lo sguardo da lei, come se non riuscisse più a reggerlo. 
«Per favore, vai via. O mi costringerete a chiamare la sicurezza.» Sussurra, e Clary lascia che una lacrima le scorra lungo la guancia. 
Dev'essere orribile sentirsi traditi così. Credo che per lei Simon valga come per me vale Alec; e se mi ritrovassi in una situazione del genere, non so come potrei riuscire ad andare avanti. 
«Ho capito.» Mormora lei, con la voce spezzata, prima di voltargli le spalle e correre via.
«Clary!» Esclama Jace, che si precipita dietro di lei non prima di aver ucciso Simon con lo sguardo. Gli Eruditi sono tanti e in pochi secondi li ho già persi di vista. 
Sposto lo sguardo verso l'amico di Clary: le sue mani tremano mentre stringono una pila di grossi libri. 
Eppure non ha la faccia da persona cattiva. Sembra quasi fragile visto in questo stato, come un bambino che viene separato dalla madre. 
«Devo andare.» Annuncio, senza sapere bene cosa dire. In questo momento, vorrei soltanto non esser mai venuta qui. 
«Ciao, Isabelle.» Lo sento dire, e mi blocco sul posto rivolgendogli un'occhiata confusa. 
«Come fai a sapere il mio vero nome?» Domando. 
«Lo hanno detto alla Cerimonia. Mi ricordo bene di te.» 
Rimango in silenzio, fissandolo per alcune manciate di secondi: se prima non sapevo cosa dire, ora sono decisamente spiazzata. E solitamente, a me le parole non mancano: mentre Alec è una persona timida che preferisce subire, io ho una lingua tagliente che non riesco spesso a frenare. 
C'era tanta di quella gente alla Cerimonia...come riesce a ricordarsi addirittura il mio nome?
«Ora però vai.» Mi consiglia, facendo un cenno verso l'ascensore. «È pericoloso per te stare qui.» 
Annuisco, allontanandomi da lui a passi incerti. Non capisco il perché di questa strana sensazione, un misto di imbarazzo e confusione. 
Forse ho solo bisogno di aria fresca.
Raggiungo l'ascensore, dove Jace e Clary, ancora in lacrime, mi stanno aspettando. 
Le porte di metallo si chiudono dietro di noi, mentre la piattaforma comincia a scendere.
«Non ci credo.» Singhiozza Clary, asciugandosi la faccia con le maniche della giacca. «Quello non era Simon. Lui non mi avrebbe mai mentito, mai. Siamo stati compagni di scuola per anni. Abbiamo fatto praticamente tutto insieme...»
Jace le passa un braccio intorno alle spalle, in un muto segno di conforto. 
Non sono mai stata brava a consolare le persone, così mi limito a starle affianco, in silenzio, rimuginando ancora sul fatto che Simon si ricordasse perfettamente di me.
«È stato solo tempo perso.» Commento, con un sospiro. «Spero soltanto che Alec non si sia cacciato in qualche casino.» 
«Il che, con Magnus nei paraggi, è parecchio probabile.» Aggiunge Jace, ma né io né Clary diciamo nulla per controbattere. 






Note2: ...non ci sono parole. No, davvero, non ce ne sono. Un mese per...'sto coso.
Spero soltanto di non avervi perso durante quest'attesa, risponderò al più presto alle vostre meravigliose recensioni, sperando di rivederne ancora (positive e critiche che siano, ovviamente).
Farò di tutto per poter postare prima il prossimo capitolo, ma non posso promettervi nulla.
A presto con le vostre recensioni, spero, mi farebbe tanto piacere sapere che ne pensate ♥️

Ps. Eh, lo so, sarete tutte frustrate perché i Malec non stanno ancora insieme. (E lo sono anch'io).
Ma vi dico solo questo: manca poco 😉.

Pps. Dovevo assolutamente dirvelo U.U

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedici ***







• Capitolo Sedici •


Delle dita affusolate mi accarezzano i capelli, con delicatezza. 
«Ehi Alec, sveglia.» 
Apro lentamente gli occhi, mugugnando: Jace, Clary e Isabelle mi guardano incuriositi, e la mia testa è appoggiata sulle cosce di ques'ultima. 
Li fisso stranito per qualche minuto, prima che la mia mente riprenda a lavorare, rielaborando tutti gli avvenimenti delle ultime ore: i futuri risultati della prima parte dell'Iniziazione, il macchinario, le pistole puntate contro di me, i miei amici che se ne vanno di nascosto alla Stazione. 
Sobbalzo, mentre la testa mi si affolla di mille cosa da chiedere.
«Oddio, state bene? Vi siete cacciati in qualche guaio? Avete...» Comincio a parlare senza sosta, formulando una domanda dietro l'altra. 
«Dio, Alec, calmati.» Mi tranquillizza Jace, con un mezzo sorriso, poggiandomi le mani sulle spalle. «Guardaci, siamo tutti interi, e respiriamo ancora.»
Tiro un sospiro di sollievo, ma la mia curiosità cresce di minuto in minuto. 
«Avete scoperto qualcosa?» La mia domanda aleggia nella stanza, senza ricevere risposta. Jace, Clary e Izzy si scambiano una strana occhiata, mentre attendo che parlino.
«Abbiamo incontrato Simon.» Sussurra la rossa dopo un po', come se ci avesse riflettuto attentamente. «Ma ormai non è più il Simon che conoscevo io. Si è rifiutato di aiutarci.»
Sento come un'ondata di compassione nei confronti di Clary. Mi ricordo di come me ne aveva parlato nella casa degli orrori, di quanto forte fosse il loro legame. 
«Oh...mi dispiace molto, Clary.» La conforto, ma lei fa spallucce come se non le importasse. 
«Siamo nella merda.» Commenta Jace dopo un po', passandosi una mano tra i capelli biondi. Quando è nervoso ci fa sempre. «Almeno Magnus non si è accorto di nulla, vero? Oppure aspettavi che venisse a darti il ben svegliato?»
«Cosa? No!» Esclamo io, forse troppo bruscamente. «Ero...ero solo stanco. Ma mi sono appisolato soltanto una decina di minuti.»
Loro si guardano poco convinti, ed io mi maledico per quella che credo sia la trilionesima volta in queste ultime ore. A mentire non sono proprio capace, ma di quel che è successo oggi non dovranno mai venirlo a sapere.
«Comunque, Clary, ti cercava tuo fratello.» La informo, per sviare il discorso.
«Oh, fantastico! Questa giornata non poteva andare meglio!» Esulta, sarcastica. «Izzy, vieni con me? Sicuramente romperà perché ero con Jace. Meglio che vada a parlarci subito prima che si arrabbi ulteriormente.»
Lei annuisce, e dopo averci salutati se ne vanno con un'andatura mesta.
«Quel Jonathan è davvero una rottura.» Ribadisce mio fratello, sottolineando l'ovvio. «Comunque, ora tu vieni con me, ti porto a fare qualcosa di figo.»
Mi prende saldamente per un polso, costringendomi a seguirlo lungo i corridoi frequentati dagli Iniziati.
«Jace, cosa cacchio hai intenzione di fare?»
Lui mi rivolge un ghigno divertito, stritolandomi ancora di più la mano e aumentando la velocità.
«Vedrai!» Esclama entusiasta, e dentro di me recito tutte le preghiere che conosco, sperando di arrivare vivo a domani.


§

Ci fermiamo davanti ad un grosso portone in legno scuro, e affianco ad esso è affisso un piccolo cartello: “studio tatuaggi”. Involontariamente, mi ritornano in testa le lingue di fuoco sul fianco di Magnus, il drago nero attorcigliato intorno al suo braccio e le rose spinose che ha sul collo. 
Avrei tanto voluto chiedergli cosa significassero, quella mattina. 
Ma lui era mezzo nudo, e se in quel momento qualcuno era in grado di ragionare in modo lucido sicuramente quel qualcuno non ero io. 
Jace mi trascina dentro la stanza, più angusta di quel che mi immaginassi: le pareti sono scure, vi è un piccolo lettino dove stendersi, un tavolo rotondo pieno di fogli con stampati degli strani simboli e luci al neon blu che illuminano l'ambiente, conferendogli un'aria tetra.
«Qui non c'è nessuno.» Gli faccio notare, e lui fa una faccia stranita.
«Eppure era aperto, qualcuno deve esserci per forza.»
La porta si riapre dietro di noi all'improvviso, facendoci sobbalzare.
Tessa entra nella stanza con il suo palmare in una mano e una valigetta verde nell'altra, i capelli castani scompigliati come se fosse passata in una galleria controvento.
«Scusate.» Ansima, col fiatone. «Ho avuto un po' da fare.»
L'Intrepida mi lancia un'occhiata tesa, come se avesse l'impellente urgenza di dirmi qualcosa. Un presentimento sinistro mi si annida in petto. 
«Primo tatuaggio, eh?» Domanda, mostrandoci i fogli sopra al tavolo. «Scegliete pure.»
«Ci tatuerai tu?» Chiede Jace, analizzando disegno per disegno.
«Ci?» Esclamo, stupito. «Chi ti dice che voglia tatuarmi anch'io?» 
Lui mi guarda come se avessi appena bestemmiato in sette lingue, o peggio, come se avessi detto che i capelli biondi non gli donano.
«Sei un Intrepido. Certo che vuoi tatuarti.» Sottolinea, e a quel punto non posso fare altro che arrendermi, per due ragioni: la prima, è che se voglio essere un Intrepido devo comportarmi come tale. La seconda, è che quando Jace vuole far qualcosa, niente e nessuno riesce a fargli cambiare idea. È così e basta.
Mi passa alcuni dei fogli che tiene in mano, e comincio a esaminare tatuaggio per tatuaggio: frasi, lettere, fiamme, stelle, disegni tribali, creature fantastiche, simboli astratti, ma nulla che mi colpisca tanto da convincermi a imprimermelo sulla pelle per sempre.
Questo, almeno finché Jace non trova un figlio particolare, pieno di strani segni neri dalle linee sinuose.
«Questi cosa sono?» Chiede, mostrando i bizzarri tatuaggi.
Gli occhi di tessa si illuminano di stupore.
«Sono Rune, fanno parte di un'antica leggenda, quella degli Shadowhunters. Guerrieri protettori del mondo che usavano tatuarsi questi simboli per essere più potenti, ed ognuno conferiva loro un potere speciale.»
Subito mi torna in mente la battaglia al luna-park, e alla squadra a cui appartenevo: gli Shadowhunters, i Cacciatori di Demoni che proteggevano il mondo dalle forze malvagie.
Affascinati, io e mio fratello le chiediamo il significato di ogni singola runa: velocità, precisione, equilibrio, agilità, vista, forza.
Una in particolare mi colpisce: quella della fratellanza.
Tessa ci spiega che è la più particolare, poiché unisce due persone in un legame unico e indissolubile, più forte del legame di sangue che c'è tra due veri fratelli. 
«È una figata assurda.» Commenta Jace. «Perché non ci tatuiamo questa? Per far vedere a tutti che chiunque oserà mettersi tra di noi riceverà tanti di quei calci in culo da non potersi sedere più per decenni.»
Ridacchio, sia per l'espressione mezza divertita mezza scioccata di Tessa, sia per il fatto che l'idea mi piace, così come mi piace il mio primo futuro tatuaggio. È bello il modo in cui le linee sinuose e scure si intrecciano tra loro, come a voler dare un effetto di certezza e promessa.
«Okay, vada per la runa della fratellanza.» Dico, mentre Jace già si è messo seduto sulla brandina, e Tessa gli domanda dove voglia tatuarsi la runa.
«Sul braccio sinistro.» Risponde lui, alzandosi la manica della giacca. «Farà male?»
«Un pochino.» L'Intrepida apre la valigetta che teneva in mano, estraendo quella che sembra una pistola, ma più piccola e con un ago al posto del foro da cui viene sparato il proiettile. «Ma stai fermo, o rischio di tranciarti il braccio.» 
«Come?!» Esclama lui, e Tessa scuote la testa ridendo, facendo scintillare i suoi occhi grigi.
«Sto scherzando, è completamente sicuro.» Lo rassicura, concentrata sul disegno della runa che dovrà ricopiare. «Ma sul serio, vedi di non muoverti, se non vuoi uno sgorbio tatuato a vita sulla pelle.» 

§

Sinceramente pensavo che farsi un tatuaggio facesse più male, ma il dolore è stato sopportabile, come se mi fossi semplicemente graffiato la spalla in modo superficiale. 
La runa spicca nera come pece sulla mia pelle chiara, leggermente arrossata attorno il tatuaggio.
«È veramente figo.» Esulta Jace, ammirandosi la spalla.
«Grazie Tessa.» L'Intrepida risponde al mio ringraziamento con un sorriso, velato di una tensione che non riesco a non notare.
«Anche se il mio lavoro è un altro, i tatuaggi sono sempre stati una mia grande passione.»
«Io comunque ho una fame tremenda, quindi andrei a cena. Alec, vieni?» Mi chiede Jace, ma dal modo urgente in cui Tessa mi sta guardando, capisco che c'è qualcosa che non va.
«Ti raggiungo subito, tu intanto vai, Izzy e Clary saranno già lì.» Lo convinco, lui ci saluta e esce dallo studio senza fare domande. 
Tessa subito mi mette tra le mani il suo palmare, con una velocità che mi spiazza.
«Leggi.» Mi ordina, indicando lo schermo.
È una pagina del giornale cittadino -sempre se così possa esser definito-:

Progetto evoluzione umana: quattrocento Divergenti arrestati nella fazione dei Candidi.
Camille Belcourt, capo-fazione Erudita, è sempre più decisa a portare avanti il suo progetto per le ricerche sul DNA umano.
Nel pomeriggio del sette Dicembre, è stato attuato un rastrellamento dell'intera fazione dei Candidi in concordo col governo degli stessi, e oltre quattrocento Divergenti sono stati arrestati.
«Sono pericolosi.» Ha dichiarato l'Erudita. «Portano il caos nella nostra società, non sono prevedibili, e questo li rende potenziali malviventi nonchè terribili minacce. Sono in continuo aumento, per ragioni a noi ignote, ed è per questo che dobbiamo fare in modo che vengano eliminati, ed usati per realizzare un futuro migliore, in cui tutti potremmo vivere in pace e senza minacce.» 
Arrestati sono stati anche tutti coloro che si sono opposti all'arresto, rivoltandosi contro le forze dell'ordine. 
La donna ha annunciato che sono in corso trattative con la fazione degli Abneganti, i quali sono interessati a mantenere la tranquillità nella propria Fazione.



Il cuore mi si blocca in petto, ed è come se una ventata di gelo mi investisse in pieno. Quattrocento persone della mia vecchia Fazione -in quanti saremo? Duemila? Tremila forse?- sono state catturate perché Divergenti. 
Quanto manca prima che prendano anche me?
«Pensavo avessi il diritto di saperlo.» Sussurra Tessa. «Spero solo che i tuoi genitori o i tuoi parenti non siano come te.»
«Lo spero anch'io.» Mormoro, cercando di calmare il respiro diventato improvvisamente più difficoltoso. «Di cari ho soltanto mia madre e il mio fratellino. Spero davvero che stiano bene...se fosse successo loro qualcosa...»
Tessa mi poggia entrambe le mani sulle spalle, cercando di tranquillizzarmi.
«Stanno bene, vedrai, e non vedono l'ora di rivederti.» Mi calma, con voce rassicurante. «Domani sarà il Giorno delle Visite, e potrai riabbracciarli entrambi. Quindi ora andiamo a riempirci lo stomaco, che tu sei pallidissimo.»
Ci avviamo verso la mensa, ma il pensiero del possibile arresto di mia madre -perché Max è troppo piccolo per essere arrestato, vero?- mi fa rivoltare lo stomaco, e non credo che mangerò molto.
Eppure devo continuare a far finta di niente, ad essere forte, nonostante il mio futuro non sia mai stato così incerto e simile ad un campo minato, in cui ogni passo potrebbe costarmi la vita. 






Note: Ho tolto le note all'inizio per risparmiare tempo, ye.
Perdonatemi, vi prego. Sono più in ritardo dell'altra volta, e me ne vergogno tanto.
Ma tra scuola, mancanza d'ispirazione, impegni per la Cresima (eh sì, a Maggio oltre che a compiere gli anni devo far pure la Cresima, che delirio) non sono proprio riuscita ad aggiornare prima.
Spero solo che non sia una schifezza...
Grazie di cuore a tutti per il sostegno, un bacione alla mia ormai sorellona adottiva (Ali ♥️), risponderò al più presto alle vostre meravigliose recensioni, grazie infinite davvero.
Che dire, spero che nonostante il ritardo mi facciate sapere che ne pensate con una piccola recensione ♥️ (io con quelle sono rimasta indietro, ma ho intenzione di recuperarle al più presto).
Che dire, un bacione a tutti, see you soon ♥️

Ps. Io sto leggendo l'ultimo libro di The Maze Runner e sono nel dolore più puro. Se ho ritardato è anche colpa di James Dashner. Quel sadico. *Scoppia in lacrime*

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciassette ***







• Capitolo Diciassette •


Soltanto a guardare le patate arrosto che mi hanno appena servito mi viene la nausea. La fame sembra essersi completamente dileguata, lasciandomi con lo stomaco serrato.
«Alec, non mangi?» Mi chiede Jace, indicando la mia cena intatta e ormai fredda.
«Non ho fame...» Sbiascico, allontanando il vassoio sotto lo sguardo stranito dei miei fratelli e Clary. «Credo che me ne andrò a fare un giro.»
Mi alzo dal tavolo, con un senso di colpa che mi corrode dentro: Jace e Isabelle non sanno nulla di quel che è successo a casa nostra. Di quel che potrebbe esser successo alla mamma e Max. 
Ma a che servirebbe farli preoccupare all'inverosimile? Domani ci saranno le visite, e verranno a trovarci sani e salvi. Sì, sarà così. 
Gli Intrepidi fanno tanto di quel casino mentre mangiano che probabilmente nessuno si accorgerà del fatto che me ne sono andato dalla mensa, così mi chiudo distrattamente la porta alle spalle.
I corridoi la sera sono bui e leggermente inquietanti, soprattutto a causa delle luci fredde e bianche delle lampade che si susseguono regolarmente lungo il soffitto. 
Avendo dormito qualche oretta questo pomeriggio, credo me ne andrò a curiosare in giro tra tutti questi cunicoli scavati nella roccia. Il primo giorno, il Quartier Generale mi aveva dato l'impressione di un enorme formicaio.
È incredibile quante cose siano cambiate nelle ultime settimane: sembra di vivere in una qualche complicata trama di un thriller, non di essere nella vita reale, dove il mio futuro si fa sempre più incerto.
Mi ritorna in mente la visione di questo pomeriggio, e lo stomaco mi si attorciglia all'improvviso dalla paura. Cos'era esattamente? Una delle mie paure? Un avviso? Una premonizione? 
Qualsiasi cosa fosse, potrebbe essere più vicina di quel che pensi.
Camille, dall'attacco al Quartier Generale, non si è più fatta vedere qui. Che stia tramando qualcosa di grosso? 
Smettila, ti scoppierà la testa così.
Senza neppure accorgermene, arrivo al centro dell'intera struttura, questa grande caverna sotterranea da cui si innalza la torre del Centro di Controllo. Non c'è praticamente nessuno, e riesco a sentire lo scrosciare dell'acqua proveniente dallo Strapiombo.
Appoggio la schiena contro la parete ruvida, lasciandomi scivolare a terra con uno sbuffo. Ormai ho l'imbarazzo della scelta tra le cose su cui preoccuparmi: la mia divergenza, la classifica della prima parte dell'Iniziazione, il rastrellamento dei Divergenti nella mia vecchia Fazione, l'odio incondizionato di Jonathan nei miei confronti o il mio incasinamento con Magnus. 
«Alec?» Il mio nome riecheggia tra le pareti, e gli occhi dorati del mio allenatore scintillano nella penombra. Parli del diavolo, spuntano le corna. «Come mai sei qui?»
Faccio spallucce, rivolgendo lo sguardo alla grande cupola di vetro che fa da finestra sul cielo notturno.
«Tessa ti ha detto di quel che è successo nella tua vecchia Fazione, vero?» Mi chiede, ed io annuisco con un cenno del capo. Lo sento avvicinarsi e sedersi vicino a me, seguendo il mio sguardo fino ad una stella lontana. «In città è tutto uno schifo.» Mormora. «Gli arresti sono quadruplicati, gente che non ha fatto nulla di male è finita dietro le sbarre. Gli Eruditi sembrano esser partiti di testa e le persone protestano invano. L'altro giorno alcuni di loro hanno dato fuoco al Parlamento degli Abneganti.»
Il cuore mi si blocca per un istante, e finalmente lo guardo: non l'ho mai visto con un'espressione così persa e preoccupata.
«Sono...morte delle persone?» Gli domando, titubante.
«Sì.» Sospira. «Sono morte delle persone. Tutti civili.»
Il nodo che avevo alla bocca dello stomaco si aggrava: sento mancarmi l'aria, come se avessi respirato del fumo e i miei polmoni stessero per scoppiare.
«Voi Iniziati siete al sicuro qui, siete come in una bolla protettiva. Non dovete preoccuparvi di nulla se non dei Test.»
«Le bolle prima o poi scoppiano.» Sussurro, più a me stesso che a Magnus. Quest'ultimo sorride mesto, ma i suoi occhi sono estremamente seri.
«Ricordi quando ti ho detto che ti avrei protetto? Beh, non l'ho detto tanto per dare aria alla bocca, Alec.» M'informa. «E come te, tutti gli altri. Ho il compito di allenarvi, ma anche di proteggervi. Anche a costo della mia vita.»
Detto questo fa leva sulla sue braccia, e passandosi le mani sul giubbetto nero si rialza.
«Dove vai?» Gli domando, forse perché sotto sotto voglio che rimanga. La sua presenza mi da sicurezza, come un'ancora che m'impedisce di andare alla deriva.  
«A fare un giro di ricognizione con il corpo della polizia. Se gli Eruditi hanno intenzione di attaccarci, non ci faremo di certo cogliere impreparati un'altra volta.» 
Fa per andarsene imboccando il corridoio che porta all'uscita, ma gli chiedo di fermarsi prima che scompaia dalla mia vista.
«Cosa c'è?» Chiede, e la sua voce non sembra scocciata, né irritata. Solo curiosa.
«Stai attento.» Non so dove abbia trovato il coraggio di mormorare queste parole, la voce tremante come una fiammella al vento. Più che per avergli fatto capire che mi sono preoccupato per lui, il motivo per cui non riesco a credere di aver pronunciato quella frase è un altro: quelle due semplicissime parole erano fradice dei sentimenti che provo per lui. Non sono neppure sicuro che sia amore, ma qualcosa deve pur essere. Qualcosa di travolgente, che mette a tacere tutto il resto. Se non è amore, è un sentimento che ci va davvero molto vicino. 
Magnus rimane fermo a guardarmi per alcuni secondi, come se fosse indeciso su cosa dire. Poi, sfoggiando uno dei sorrisi più belli che abbia mai visto, risponde un deciso «Lo sarò.»


§

I respiri regolari di Jace e Isabelle sono gli unici rumori nella piccola stanza. Fuori il silenzio regna sovrano, interrotto ogni tanto dai passi di qualche Intrepido che cammina per i corridoi.
Nonostante siano ormai più di venti minuti che me ne sto rannicchiato sotto le coperte, non riesco a prendere sonno: non so se sia l'ansia per i risultati della prima fase dell'Iniziazione, oppure la paura di quel che potrebbe esser successo a mia madre e Max. 
Provo a pensare a distrarmi e a pensare ad altro, ma è come un chiodo fisso nella mia mente. 
L'unica cosa che sembra minimamente distrarmi è pensare alla sera in cui si è tenuta la festa di benvenuto agli Iniziati, durante la quale, in un momento di sconforto, mi sono dato all'alcol. 
Beh, sotto sotto sono contento di averlo fatto, poiché Magnus mi aveva dato il permesso di dormire nella sua stessa stanza per quanto ero ubriaco.  
È stato come essere sotto la sua ala protettiva: in quei momenti mi sono sentito come se avessi trovato finalmente una collocazione nel mondo, un luogo in cui non devo indossare maschere o mentire, dove posso essere semplicemente me stesso. E quel posto è proprio accanto a Magnus, che per la prima volta, quella sera, ho potuto intravedere oltre le mura che si è retto attorno: ho ascoltato la sua risata, mi ha raccontato alcuni frammenti importanti del suo passato, ho sentito la sua forza mentre mi reggeva, ho visto il suo volto velato dal dolore. 
Come sprazzi di luce di un sole nascosto dietro le nuvole che tenta in tutti i modi di non farsi vedere, sono riuscito a scorgere quel che Magnus è realmente dietro la maschera per la cui creazione ha impiegato probabilmente anni. 
Credo di non esser mai stato tanto interessato ad una persona, non così tanto da volerne sapere di più: è come un enigma complicato, ma che ho tutta l'intenzione di risolvere.
Capendo che ormai non riuscirò più a chiudere occhio, scosto le coperte e mi cambio il più silenziosamente possibile, per non svegliare Jace e Izzy.
Così, attento a dove metto i piedi, esco dalla camera e mi richiudo delicatamente la porta a le spalle. Potrei sembrare un ladro, data la palese espressione colpevole che ho in volto. 
I corridoi, durante il giorno così rumorosi e pieni di vita, ora sono completamente deserti ed incombe un silenzio inquietante.
Magari riesco a raggiungere il tetto senza che nessuno se ne accorga, così forse con i polmoni pieni d'aria fresca riuscirò a smaltire almeno un poco dell'ansia che ho accumulato nelle ultime ore.
L'unico rumore udibile è lo scrosciare dell'acqua nello Strapiombo, paragonabile al russare di un gigante.
Le scale che conducono al tetto del Quartier Genarale sono alte e ripide, illuminate da qualche rara lampada al neon. 
Non dovrei essere qui, forse dovrei tornarmene indietro e dormire, penso, ma nell'esatto momento in cui vedo la luce pallida della luna filtrare dai vetri del soffitto, la mia necessità di uscire da qui si fa ancora più impellente. 
Perdo il conto dopo la quinta (o era la sesta?) rampa di scale, finché non raggiungo una porta in mogano, piccola ma resistente. 
La apro il più silenziosamente possibile, una ventata d'aria gelida mi investe scompigliandomi i capelli: ispiro a pieni polmoni l'aria fredda notturna, e sento come se questi si stessero rigenerando.
Il tetto è spoglio e sporco, ma il panorama è mozzafiato: l'intera città si staglia dinnanzi a me, con le sue luci scintillanti e la Torre del Centro che si innalza luminosa, sovrastando tutti gli altri edifici.  
È curioso come tutto sembri tranquillo, quando in realtà non lo è affatto: è come se sulla città fosse calato un velo invisibile di tensione e paura.   
Improvvisamente, sento qualcosa di freddo e metallico appoggiarsi sulla mia nuca, facendomi irrigidire come una statua.
«Girati.» Mi ordina una voce familiare. 
Io mi volto lentamente, scontrandomi con gli occhi verde petrolio di Woolsey, la canna della sua pistola contro la mia fronte. 
«Che ci fai qui, Lightwood? Gli Iniziati hanno un coprifuoco da rispettare.»
«L-lo so.» Balbettò, pensando che magari sarebbe più facile discutere senza una pistola puntata davanti agli occhi. Cerco di raccattare una scusa convincente. «Soffro d'insonnia.»
«Oh, povero ragazzino, non riesce a dormire.» Mi sfotte, con tono di scherno. «Non ti sparo perché ci hai permesso di vincere la gara, qualche giorno fa. Sai, mi chiedo come abbia fatto un pivello come te ad eliminare Magnus, dato che neppure io c'ero riuscito.» 
Mi passa un flash nella mente: Magnus che mi cade addosso, il suo respiro sul mio collo, le sue labbra vicinissime alle mie. Okay, basta.
«Questione di fortuna.» Gli dico, il più disinvolto possibile. Dalla sua faccia perplessa e sospettosa, capisco che non mi crede. Dio, quanto vorrei essere convincente come Jace!
«Adesso, Lightwood, se non fili nella tua camera all'istante, sappi che potresti avere seri problemi col passare l'Iniziazione. Fila!»
Il tempo di un secondo che sto già correndo giù per le scale, veloce come un missile. 
Rallento solo quando, dopo aver preso un profondo respiro, mi accorgo che per la fretta di darmela a gambe ho imboccato il corridoio sbagliato. 
Faccio per tornarmene indietro, finché una voce non riecheggia tra le pareti, giungendo alle mie orecchie. 
È una voce femminile, dal tono seducente e malevolo. È la voce di Camille. 






Note: *Se ne esce lentamente preparandosi a ricevere qualche incudine in testa.*
Io non ho veramente parole per dire equando mi dispiaccia per questo ritardo. Posso soltanto provare a "giustificarmi" dicendo che tra esami, e avvenimenti vari che mi hanno parecchio scombussolata, ho avuto pochissimo tempo e pochissima ispirazione.
Volevo ringraziarvi tutti, per la passione con cui seguite questa mia storia e per le vostre bellissime recensioni, che non solo mi aiutano a migliorare, ma rallegrano le mie giornate e mi fanno sentire come se questa Fan Fiction avesse trovato un senso, e questo senso siete voi, che la seguite e che la rendono speciale.
Detto questo, spero tanto che durante questo periodo non vi abbia persi, soprattutto perché il prossimo capitolo è già pronto, e...beh, fidatevi, ci lavoro da mesi, ed è un capitolo che aspettavate da moooolto tempo.
Che dire? Spero di risentirvi presto, un bacione, vado a ringraziarvi per le scorse recensioni, perdonatemi ancora per l'osceno ritardo.♥️ Ps. Spero che questo insulso capitolo di passaggio non sia davvero lo schifo che mi sembra, brr.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto ***


Note: No, non sono morta. Il liceo classico che ho da poco iniziato non mi ha uccisa, non ancora.
Non ho abbandonato questa storia, e sì, lo so che avevo detto che questo capitolo era già pronto ma...era troppo importante, perciò l'ho riscritto decine di volte.
Lo ammetto, inizialmente pensavo che a causa del poco tempo e soprattutto della scarsa ispirazione avrei lasciato perdere questa storia.
Ma poi siete arrivati voi, con i vostri meravigliosi commenti, i vostri bellissimi complimenti, e...non me la sono sentita di smettere.
Perciò mi sono decisa, ed eccomi qui, dopo troppo, troppo tempo. Non so quando aggiornerò di nuovo, ma ecco, spero di farmi perdonare con questo capitolo, ci ho messo il cuore.
Spero di risentirvi presto, grazie per tutto, siete fantastici, risponderò alle vostre recensioni il prima possibile! ♥️
Ari Youngstairs



• Capitolo Diciotto •


Non credo di essermi mai sentito così male, in vita mia. 
E non intendo quel tipo di malessere che ti costringe a stare a letto, armato di medicine e fazzoletti. 
Mi riferisco a quel tipo di dolore sordo che apre come un buco nel petto, che risucchia tutto ciò che c'è di positivo nella propria anima. 
Quando speri ardentemente in qualcosa, qualcosa che senti che stia per succedere, ma alla fine ricevi come un forte schiaffo in volto che ti butta a terra. 
Sono sempre stato bravo a tendere una mano a chi cadeva intorno a me, ma ora che quello ferito e amareggiato sono io, mi sento come un naufrago nella vastità dell'oceano. 
Sotto di me il torrente scorre impetuoso, ma non mi sento né impaurito né allarmato.
Ormai sono quasi quindici minuti che sto seduto qui, su una delle sporgenze che danno sullo Strapiombo, con le gambe a penzoloni nel vuoto.
Devo cercare di calmarmi, devo riflettere, e devo assolutamente tentare di dimenticare le parole taglienti che mi hanno duramente ferito.
E pensare che Jace me lo ripeteva sempre, che se un giorno qualcuno mi avesse spezzato il cuore, avrei provato più dolore del dovuto perché sono troppo ingenuo.
Mi rendo conto solo ora di quanto avesse ragione: è arrivato il primo a tendermi una trappola e ci sono cascato come un bambino.
Mi prendo il viso tra le mani, nel disperato tentativo di dimenticare.

§


«Mag, chi è quel ragazzo carino che ti ronza sempre intorno? Un nuovo giochino?» Mi nascondo dietro al muro, il più silenziosamente possibile. Questa voce...che ci fa lei di nuovo qui?
«Di che parli?» Domanda lui, sinceramente confuso.
«Mi credi così ingenua? Ti tengo d'occhio, da quelle belle telecamerine.» Non la vedo, ma la immagino indicare i dispositivi con una delle sue pallide a affusolate manine dalle unghie perfettamente curate.
Posso immaginare Magnus strabuzzare gli occhi stupito, e sinceramente, lo sono anch'io.
«Come sarebbe a dire? Cosa c'entrano le telecamere di sicurezza?»
«Oh, pensavi che mi fossi limitata a qualche piccolo saccheggio? Mai sentito parlare delle microspie, Magnus?» Ridacchia, con aria superiore.
Segue un silenzio estremamente pesante, e sento rimbombare il battito cardiaco nella cassa toracica. 
Poi, Camille aggiunge con voce maliziosa: «E comunque, lo vedo come tu e quel Lightwood vi sfiorate, come vi cercate involontariamente l'un l'altro.»
«Smettila. È soltanto una distrazione, nulla di più.» Sibila lui in risposta, con una cattiveria che mette a tacere anche la capo-fazione. «Ci provo con lui perché lo trovo attraente, non lo nego. Ma è solo un ragazzino come gli altri che mi sono portato a letto.»
Per un minuto il tempo si ferma, e sento qualcosa, dentro di me, frantumarsi come cristallo. Non sono sicuro se sia la stupida speranza che ho nutrito in tutti questi giorni, o se sono i miei sentimenti cretini. 
Eppure lo sapevo. Me lo sentivo che era da stupidi. E allora perché mi fa male così? 
Provo ad indietreggiare, con le labbra morse a sangue e gli occhi sbarrati, ma con un movimento sbagliato sbatto il ginocchio a terra, emettendo un verso strozzato di dolore. 
Sento dei passi sempre più vicini. Cazzo.
Dopo poco, prima che possa rialzarmi e correre via, da dietro l'angolo sbuca Magnus.
Non appena mi vede, i suoi occhi si caricano di rammarico, mentre io gli lancio uno sguardo velenoso e ferito. 
«Alec...» Sussurra, avvicinandosi, ma io scatto in piedi.
«Non mi parlare. Lasciami stare.» La mia voce è più rotta e incrinata di quel che mi aspettassi.
Provo ad andarmene, ma lui mi blocca prendendomi saldamente per un braccio, avvicinandomi a sé. 
«Ti prego, aspetta, dammi almeno la possibilità di spiegarti.» Mi implora, ma in risposta io lo scaccio in malomodo.
«Non toccarmi.» Gli sibilo, con una freddezza che non avevo mai usato con nessuno. Sembra che i suoi occhi si siano come annebbiati. «Non farlo mai più.»
Gli do le spalle, e corro via prima che possa vedermi sull'orlo delle lacrime.



§


Un'improvvisa ventata gelida mi fa rabbrividire, così mi stringo nella felpa nera che porto, mentre mi asciugo il viso umido con le maniche dell'indumento, sgualcendolo tutto. 
La testa mi pulsa di dolore, e temo che da un momento all'altro possa scoppiare.
Continuo a ripetermi che, nonostante sia ferito, devo tirare avanti. 
L'Iniziazione non è ancora conclusa. E quando lo sarà, potrò finalmente costruirmi quella nuova vita che tanto sognavo, lontano da queste mura di pietra. 
Peccato che ora sia solo: soltanto Magnus e Tessa sanno della mia Divergenza, ma lei ha altri pensieri per la testa, ha la sua vita e di certo non ha tempo. 
Non riesco ancora a credere che tutto quello che Magnus ha fatto per me -il suo aiuto, i suoi consigli, la sua gentilezza, tutto quanto- fosse soltanto una menzogna. Sembra così impossibile, così surreale...
Ma nel profondo lo sapevo. Uno come Magnus non perderebbe mai del tempo con me, a meno che non ci sia un secondo fine. 
Non devo deprimermi, e in qualche modo far finta che non sia successo niente. 
«Alexander, cosa stai facendo?!» Esclama una voce, l'ultima che vorrei sentire.
Dall'altra parte della ringhiera, Magnus mi guarda come se avesse visto uno spettro. «Non...non ti trovavo più. Mi stavo davvero preoccupando.» 
«Raccontale a qualcun altro le tue balle.» Sputo io, ma senza guardarlo negli occhi. Non voglio che mi veda ridotto così.
«Ti prego, devo parlarti.» Continua lui, ed io rimango in silenzio. Tanto, qualsiasi cosa mi dirà sarà soltanto una bugia. 
Dopo qualche minuto, lo sento scavalcare la ringhiera e raggiungere la sporgenza che mi ha fatto da rifugio.
Se prima la sua presenza mi emozionava, adesso mi innervosisce e mi spaventa, come se fosse qualcosa di letale e da evitare. 
«È pericoloso stare sul bordo dello Strapiombo. Per favore, andiamo da un'altra parte.» Suggerisce, a disagio. 
Io rimango in un ostinato silenzio, fissando il vuoto sotto i miei piedi. 
Che cosa vuole ancora? Non mi ha già illuso abbastanza? Vorrei tanto urlargli di uscire dalla mia vita, però c'è qualcosa che mi blocca, una bizzarra curiosità, che vuole sapere quali scuse potrebbe inventarsi Magnus pur di smentire il modo in cui mi ha chiaramente definito: distrazione.
«Alec...io non so cosa tu abbia sentito, ma...»
«Tutto.» Sussurro piano, interrompendolo, l'espressione del suo volto sempre più ferita e amareggiata. 
«Non...ascolta, non era la verità. Non è quello che penso.» 
«E allora cosa pensi? Qual'è la verità?» Gli chiedo, cercando di sembrare il più freddo e distaccato possibile. Peccato che i miei occhi siano troppo lucidi ed eccessivamente tristi, purché qualcuno ci creda.
Bugie bugie bugie.
«La verità è che mi piaci. Mi piaci tanto, Alec.» Sussurra dopo poco, e stavolta, oltre che alla tristezza, la sua voce trapela sicurezza, così tipica della sua personalità eccentrica. 
Adesso sì che sento la testa esplodere. Sono terribilmente confuso, e perso nelle mie stesse convinzioni.
Una risatina isterica mi graffia la gola, mentre due grossi lacrimoni cominciano a rigarmi il viso. 
Mi crede davvero così idiota? Così facile e disperato?
Sento una mano sulla spalla e scatto, alzandomi in piedi. Nel tentativo di sottrarmi alla sua presa, mi sbilancio pericolosamente sul bordo, ma recupero senza neanche farci caso. Magnus è sbiancato.
«Perché?» Domando, a nessuno in particolare. 
«Alec...»
«Perché?!» Urlo ancora più forte, prendendomi la testa tra fra le mani. «Potevi portarti a letto chi ti pare, sono sicuro che in questa fazione ci siano moltissimi uomini e donne disposti a fare sesso con te. Ma immagino che ci sia più gusto nel fare ciò che fai tu: flirtare, sedurre, illudere e umiliare.»
Ho disubbidito a me stesso. Dovevo mantenere un basso profilo.
Dovevo evitare Magnus. Dovevo rimanere in disparte, come ho sempre fatto per tutta la vita.
E invece mi sono ridotto così, a camminare nervosamente avanti e indietro lungo tutto il perimetro della sporgenza.
«Alec...tutto ciò che hai sentito non l'ho mai nemmeno pensato. Ti prego, devi credermi, ho detto quelle cose perché se lei sapesse la verità...ci renderebbe la vita impossibile.»
Scuoto la testa con forza: vorrei tanto potergli credere, ma le voci sul suo conto...
«Ehi...va tutto bene.» Dice lui in tono dolce, afferrandomi il polso, cercando di fermare il mio angosciante andirivieni. Non spreco neanche il fiato per ricordargli che non c'è nulla che vada bene.
«Puoi smettere di stare così vicino al bordo?» Chiede ancora, più calmo di prima ma decisamente agitato. Prendo un respiro profondo, alzando lo sguardo nel suo. Non so perché sto reagendo così, i piani erano quelli di mandarlo via o andarmene, ma...
Ti sta mentendo! Svegliati Alec.
«Non ci ricasco. Le parole dolci risparmiatele per qualcun altro.» Gli sussurro, quasi minaccioso, guardandolo gelido. 
«Non mi credi?» Sussurra dispiaciuto, e sembra sincero. 
La sue mani, calde e forti, si appoggiano ai lati del mio viso, asciugandomi le lacrime. 
Faccio per spostarmi e sussurrare un secco "no", ma mi fermo. Non so perché, ma voglio che mi tocchi. Sento la mancanza della sua pelle ruvida che mi sfiora, come quando si ha nostalgia della propria coperta preferita.
Temo che il mio cuore possa collassare da un momento all'altro, o che magari schizzi via dalla cassa toracica, per quanto batte forte.
Siamo troppo vicini, tanto che riesco a distinguere le pagliuzze color giada nell'oro dei suoi occhi.
I nostri respiri si mescolano, ed ecco, che ancor prima che possa rendermene conto, le sue labbra si appoggiano sulle mie.
Mi irrigidisco come una statua, il sangue che pompa forte nelle vene.
Ci sei ricascato.

§


I miei occhi, rimasti completamente sbarrati, vagano da una parte all'altra delle pareti, fino ad incontrare le iridi luminose di Magnus.
«Non pensare.» Mugugna sulle mie labbra, premendo la sua bocca con più forza sulla mia, togliendomi il fiato. Ascolto il suo consiglio, e per la prima volta in vita mia, metto a tacere la parte razionale della mia testa.
Una lieve pressione bagnata mi percorre il labbro inferiore, e prima ancora che il mio buon senso mi impedisca di far qualcosa, dischiudo la bocca. Un afrodisiaco sapore di cannella e di caffè mi invade le papille gustative, e per un attimo penso che potrei tranquillamente svenire.
È come se adesso, improvvisamente, si sia realizzato il desiderio più segreto e recondito del mio cuore, ora più leggero.
La lingua di Magnus accarezza delicatamente la mia, girandole attorno, e io, ad occhi chiusi, mi abbandono completamente contro il suo petto, stringendo fra le dita il tessuto lanuginoso del suo maglione.
Annaspo quando ci separiamo per respirare, ma la distanza dura poco e, una volta che ci scontriamo di nuovo, la testa mi comincia nuovamente a girare come una trottola.
Sento la schiena aderire contro la parete umida di roccia e le sue mani affusolate e fredde tirarmi le punte dei capelli, costringendomi a reclinare la testa all'indietro.
Quando scende lentamente con la bocca lungo la mandibola, lasciando un scia di baci umidi al passaggio, mugugno qualcosa di incomprensibile facendo vibrare il petto, afferrandogli la nuca fra le mani.  
Se solo non sapessi che sarebbe impossibile, avrei paura che il mio cuore sfondi la cassa toracica a forza di battere all'impazzata.
«Magnus...» Sospiro, quando le sue labbra raggiungono il collo e cominciano lentamente a torturarlo insieme a denti e lingua.
Una delle sue mani scende lentamente dai capelli fino al fianco, e dal fianco al retro della coscia, stringendo un poco, ma abbastanza forte da farmi sussultare. 
Sto per impazzire, lo sento. 
«Dì ancora il mio nome.» Mi sussurra nel padiglione auricolare, dandomi i brividi. «Mi piace quando lo pronunci in quel modo...» Comincia a mordicchiarmi il lobo dell'orecchio, facendomi balbettare frasi indecifrabili.
«Magnus...» Persino alle mie orecchie la mia voce giunge roca e distorta, e non riesco ad impedirmi di arrossire. 
Dopo qualche minuto lui si scosta di un poco, giusto per guardarmi in volto: occhi luccicanti, capelli scompigliati, fiatone, labbra gonfie e guance rosse. 
«Sei bello da morire.» Mormora dopo un po', accarezzandomi lentamente la guancia. 
Io avvampo e distolgo lo sguardo, troppo stravolto per dirgli che non è vero, e che in realtà qui quello veramente bello è lui, con quei suoi stradannatamente magnetici occhi a mandorla dalla pupilla verticale.
«Dio, non sai da quanto tempo desideravo baciarti.» Ammette, con un debole sorriso. «Mi credi adesso?»
Di nuovo rosso come i capelli di Clary, annuisco con la testa. Forse, se la merita anche lui una seconda opportunità.
«Io...ti cedo una chance. Ma non farmene pentire.» Lo vedo sorridere come un bambino a cui è stato regalato un giocattolo tanto atteso, e prendendo le mie mani tra le sue, mormora un "non ti deluderò".
«Sai...all'inizio non pensavo che io ti...piacessi. È tutto così nuovo...» Sussurro, mentre lui appoggia la fronte sulla mia. Siamo talmente vicini da sentire il battito cardiaco l'uno dell'altro.
Lui ridacchia, baciandomi sulla punta del naso.
«Andiamo, ci sarai abituato, un bel tipo come te. Non sarà stato mica il tuo primo bacio.»
In preda all'imbarazzo più totale, distendo le labbra in un sorrisetto e faccio cenno di assenso con il viso.
Lui, in risposta, diventa bianco come un cencio.
«Aspetta, come? Non ci credo che questo è stato il tuo primo bacio.» 
Io faccio spallucce, mentre delle risatine premono sulle mie labbra. Mi sento così leggero, così felice, così...me stesso.
«Merda, avresti dovuto dirmelo! Ci sarei andato più piano o magari avrei...non so, avrei creato un'atmosfera un po' più romantica!» 
Scoppio a ridere, ma lui mi zittisce a suon di baci. Quasi quasi, non mi dispiacerebbe se mi mettesse sempre a tacere.
«Aspetta, forse possiamo ancora rimediare...stasera, vieni a mezzanotte davanti alla mia stanza. Non tardare, chiaro?»
Prima che possa rispondere, lui corre via e salta abilmente dall'altra parte della ringhiera, facendomi un occhiolino e mimando con le labbra un «A stasera».
Io, con il cuore che va a mille o più, rimango qui a guardarlo mentre imbocca uno dei tanti corridoi.
Non avrei mai immaginato di poter diventare così rosso, né di potermi sentire così vivo.
Lancio un urlo fortissimo, forse per la gioia, oppure per tutta la tensione che mi sono tenuto dentro, ma al momento non m'interessa granché.
So solo di non essermi mai sentito così felice.

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciannove ***


Note: Quando si dice "chi non muore si rivede"!
Ebbene sì, sono tornata e stavolta con un ritardo quasi accettabile!
Ho due cose importanti da dirvi/chiedervi:
2. Da qui in poi, i capitoli saranno decisamente più lunghi rispetto ai precedenti, per vostra sfortuna/fortuna! La motivazione? La storia entrerà nel vivo ed i casini saranno davvero, davvero tanti.
3. Come al solito, vi ringrazio con tutto il cuore per i bellissimi commenti che mi lasciate, non avete idea di quanto mi rendano orgogliosa e mi spronino a fare sempre meglio. Un grazie anche a tutti i lettori silenziosi (spero di poter sentire presto anche voi), a coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite (63), le ricordate (26) e le seguite (119)! Detto questo, vado a rispondere alle vostre bellissime recensioni, spero di risentirvi presto in numerosi, grazie grazie grazie ♥️
Ari Youngstairs



• Capitolo Diciannove •


Barcollo come un ubriaco fino al piano di sopra, con il cuore ancora rimbombante e il sapore di Magnus in bocca.
Ho ancora la sensazione delle sue mani che accarezzano desiderose, ma delicate, come se fossi qualcosa di prezioso. 
Nella mia mente non ci sono più Camille, le parole di Magnus, gli arresti nella mia vecchia fazione. Tutto è passato in secondo piano, almeno per qualche euforico minuto.
Quando giungo davanti alla camera di Magnus, mi ravvivo un po' i capelli, giusto per sembrare un poco più presentabile.
Anche se sono già passate alcune decine di minuti, sono abbastanza sicuro di avere le guance ancora leggermente arrossate.
L'uscio della porta si apre, rivelando un Magnus in tutto il suo splendore.
«Eccoti finalmente!» Esclama, prendendomi per un polso e tirandomi dentro la stanza: questa è esattamente come l'ultima volta in cui ci sono entrato, con lo stesso divanetto, la stessa piccola cucina e le stesse pareti azzurrine. Al centro del piccolo appartamento però è stato sistemato un tavolino rotondo per due persone, con tanto di candela accesa, posate perfettamente lucidate e un paio di piatti pieni di invitante pollo fritto.
Con la luce spenta, l'atmosfera è estremamente romantica e confortante.
«Wow.» Mi lascio sfuggire «Ma perché l'hai fatto?»
«Te l'ho detto il perchè.» Risponde lui, come se fosse ovvio. «Riproviamo il tuo primo bacio, no? E ne approfitto per stare con te.» 
Con il piede sposta leggermente una delle due seggiole, in un muto invito. 
Noto che i suoi occhi sono delineati da una sottile linea scura di eye-liner che rende il suo viso ancora più affascinante, quasi pericoloso. 
Mi siedo, un poco a disagio, abbassando gli occhi verso l'invitante pollo nel mio piatto. Quasi ho paura di mettermi ad osservare il ragazzo di fronte a me, forse per l'imbarazzo, forse perché temo di apparire un perfetto idiota.
O forse perché sotto sotto non mi fido ancora completamente di lui.
«Inoltre voglio capire una cosa.» Aggiunge lui, spezzando l'imbarazzante silenzio che sta prendendo il sopravvento.
«Che cosa?» Gli chiedo, addentando una succulenta coscia di pollo. È davvero squisita...che abbia cucinato Magnus? 
«Questo è un segreto.» Ribatte lui, facendomi l'occhiolino. 
«Ne hai molti, vero?» La domanda esce dalla mia bocca ancor prima che potessi anche solo pensare di fermarla.
Il suo viso assume svariate espressioni: confusione, perplessità, rabbia e tristezza. Poi, lentamente, arriccia le labbra in un sorriso amaro.
«Non ho una buona fama, eh?» Chiede, senza attendere una risposta. «Dimmi, hai sentito le voci che girano sul mio conto, vero?»
Annuisco, le parole di mia sorella ancora in mente: «Si dice che nonostante sia un allenatore eccezionale, ecco...gli piace sedurre i suoi allievi. Ragazzi e ragazze. Se li porta a letto in cambio di qualche credito extra, oppure per puro divertimento. Dicono tutti che tu sarai il prossimo svago di Magnus.»
L'Intrepido si mete a giocare nervosamente con la forchetta, lo sguardo altrove.
A questo punto, ciò che devo dire mi appare chiaro: se voglio far scoprire le carte a Magnus, allora dovrò scoprire le mie per primo.
«Ma tu non sei così.» Affermo, attirando la sua attenzione. Una forza che non sapevo di avere mi spinge a guardarlo dritto in volto, la voce sicura. «Non con me. Non so se quelle voci siano vere o meno, ma so che tu in fondo non sei così. Mi hai aiutato un sacco di volte, mi hai raccontato del perché hai gli occhi di un gatto, hai preparato tutto questo solo per stare con me. Non tutti lo avrebbero fatto.»
Magnus sembra sbalordito: sicuramente non si aspettava un simile discorso da me, e sinceramente non me l'aspettavo nemmeno io.
«Come fai ad esserne convinto? Potrei essere davvero la persona spregevole di cui hai sentito parlare.» Dice, estremamente serio. Mi osserva attentamente, come se si aspettasse qualche reazione.
«Allora dimmelo tu.» Continuo io, sporgendomi un poco. «Chi sei tu veramente?»
Magnus si alza dalla sedia, girando lentamente attorno al tavolo: la luce della candela proietta ombre sul suo viso spigoloso e bellissimo, mettendone in risalto i lineamenti esotici.
«Sei davvero disposto a scoprirlo?» Mi chiede, scrutandomi mentre mi alzo a mia volta e accorcio la distanza che ci separa.
«Se tu sei disposto a mostrarmelo.» 
Il suo viso si fa più vicino, le sue mani sfiorano le mie. Sento il cuore accelerare.
«A nessuno fino ad ora era importato così tanto di me...» Sussurra. «Solo a Tessa. Lei è la mia unica e vera amica.»
«Posso esserlo anche io, se vuoi.» Gli dico, facendolo leggermente ridere. Mi prende le mani e se le porta sulle spalle, avvicinandosi ancora di più a me.
«Tu, mio amico?» I suoi occhi sembrano fari nella luce soffusa della stanza. «Alec, temo sia impossibile. E vuoi sapere perchè?»
Annuisco con un cenno, senza staccargli gli occhi di dosso. Appoggia una mano alla base della mia schiena per annullare completamente la distanza che ci divide, mentre con l'altra si mette ad accarezzarmi una guancia.
Le nostre labbra si scontrano, in un bacio che non ha nulla a vedere con il precedente: se l'altro era forte, disperato e focoso, questo è lento e dolce, la bocca di Magnus che guida la mia con gentilezza e decisione.
Chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare da questo contatto: tutto dentro di me sembra accendersi, ogni fibra del mio corpo freme, i battiti dei nostri cuori così vicini creano la più bella sinfonia che abbia mai sentito.
Per tutta la vita, mi sono sempre sentito come se fossi perennemente nel posto sbagliato al momento sbagliato, cominciando a credere che magari l'unica cosa veramente sbagliata fossi io. Ma non ora: Magnus ha notato me. Magnus ha scelto me. Magnus sta baciando me.
Per un euforico momento penso che questa follia potrebbe funzionare: io e Magnus, Magnus ed io. Nulla ora mi sembra più impossibile e al contempo meraviglioso.
Le nostre labbra lentamente si separano, ma noi rimaniamo così, abbracciati in mezzo alla stanza.
«Beh...è un'eccellente motivazione.» Constato, col fiatone. Non mi ero accorto di aver trattenuto il respiro per tutta la durata del bacio. Sono stati secondi? Minuti? Ore? 
«Ho sempre preferito le dimostrazioni pratiche alle parole.» Scrolla le spalle, un sorriso dispettoso sulle labbra. «Che dici, finiamo la cena?»

§


Io e Magnus abbiamo parlato a lungo: a quanto pare Magnus, dopo che Camille gli ha rivelato delle microspie installate dopo l'aggressione alla Torre di Controllo, ha inviato una pattuglia per trovarle e rimuoverle. 
«Levarle servirà a ben poco.» Aggiunge poi, in un tono quasi rassegnato. «Ormai sono sicuro che ci sia qualcuno tra noi che collabori con loro. Una sorta di spia, qualcuno che riferisce a Camille e ai suoi seguaci quando e come colpire. È la donna più subdola e intelligente con cui abbia mai avuto a che fare.»
Rimango in silenzio per un po', sfregando nervosamente le dita. Davanti a me, la candela sta cominciando lentamente a sciogliersi in grandi gocce di cera bianca.
«Era la tua ragazza?» Domando: a volte la natura da Candido che ancora vive in me ritorna a galla in tutta la sua sfacciata antipatia. Devo imparare a contare fino a dieci prima di aprir bocca, o rischio seriamente di combinare qualche enorme cavolata. 
Eppure, Magnus non pare sorpreso dalla domanda.
«Sì. Eravamo fidanzati quando ero ancora nella mia fazione originaria, gli Eruditi.» Le sue parole sono calme, e mentre parla mi guarda come se volesse registrare ogni mia singola reazione. «Un tempo non era affatto così: lei era la ragazza più bella tra tutte quelle della nostra età, nonché la più intelligente. Era furba, ma non cattiva. Ci siamo conosciuti a quattordici anni e messi insieme a quindici, ed io ero...ero davvero un sacco innamorato di lei.» Sospira. «Poi però qualcosa è cambiato: lei ha cominciato a tradirmi con svariati ragazzi, a considerarmi uno scherzo della natura come tutti gli altri, a blaterare cose assurde sul governo e sul potere...la lasciai, poi alla Cerimonia scelsi gli Intrepidi e le nostre strade si separarono.» 
Rimango in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire: consolare un cuore spezzato con un "mi dispiace" è un po' come tentare di riparare un buco con la colla. 
Mi chiedo come faccia a piacergli, dato che io e Camille...che cos'abbiamo in comune?
«Ma ora parlami di te, Alec. Domani chi verrà a farti visita?» Domanda lui dopo un po', appoggiandosi completamente allo schienale della sedia. 
«Mia madre e mio fratello minore Max.» Rispondo, tentando di non pensare agli ultimi avvenimenti della mia fazione. Avevo quasi dimenticato che la Giornata delle Visite fosse domani, ma non vedo l'ora di rivedere di nuovo la mia famiglia tutta al completo. O quasi.
«Anche loro hanno capelli neri e occhi blu? Sai, sono la mia combinazione preferita.» Commenta con voce mellifua, facendomi l'occhiolino. Arrossisco violentemente, ma sotto sotto provo una certa soddisfazione nel ricevere complimenti da lui.
«Sì...anche mio padre aveva capelli neri ed occhi azzurri. Izzy invece ha ereditato gli occhi scuri da una zia.»
«E Jace da dove se ne esce con quella zazzera bionda? Non assomiglia affatto né a te né a tua sorella.» Constata, particolarmente curioso.  
«Infatti lui è stato adottato quando aveva circa sette anni. I suoi genitori sono stati uccisi, e suo padre era un caro amico del mio, così è diventato un Lightwood. Poi beh, mio padre tradì mia madre, e per i Candidi non c'è nulla di più grave del tradimento. Così divenne un Escluso quando io avevo otto anni e Max appena due.» 
«Oh.» Sussulta Magnus. «A quanto pare nessuno dei due ha avuto questo gran rapporto con il proprio padre.» 
«Già.» Sospiro. Ho pochi ricordi dell'uomo che mi ha messo al mondo, ma non mi è mai sembrata una cattiva persona. Rammento di un uomo robusto che si metteva a lanciare il piccolo Max in aria, mettendosi a camminare a gattoni insieme a lui. Un uomo che mi parlava dei valori dell'onestà e della giustizia con gli occhi blu che gli brillavano.
Un uomo escluso dalla società per tradimento.
«È tardi, il coprifuoco è già scattato da un po'.» Annuncia Magnus, lanciando un'occhiata all'orologio digitale accanto al suo letto: è quasi l'una di notte. «Temo tu debba andare.»
«Sì, lo temo anch'io.» Sbiascico, alzandomi dalla sedia. La verità è che preferirei di gran lunga rimanere qui con Magnus.
Nemmeno due ore fa ti ha spezzato il cuore, eppure vorresti stare con lui. Che cosa ti prende, Alexander?
Non ne ho la più pallida idea. Il mio corpo e il mio cuore sembrano reagire in modo completamente autonomo dal cervello quando si tratta del mio allenatore.
Avevo già compreso da un pezzo che Magnus mi piacesse come non mi era mai piaciuto nessuno fino ad ora, a tal punto da farmi mancare il fiato ogni volta che mi sfiora o mi si avvicina più del dovuto.
Eppure, se fosse solo un'infatuazione, il suo comportamento bizzarro, i suoi modi di fare eccentrici e la sua storia complessa -e a volte quasi misteriosa- dovrebbero spingermi ad evitarlo, non il contrario. 
Magnus invece sembra attirarmi a sè, ogni volta che lo guardo o che parliamo ancora di più: rompere questo bizzarro e fortissimo legame sembra impossibile, nonostante ci abbia provato.
Un attimo prima di aprire la porta della stanza, mi volto verso di lui: assorto nei miei pensieri non mi ero nemmeno accorto che si fosse alzato e che mi avesse seguito fino all'uscio.
«Per caso adesso hai...capito quella cosa? Quella di cui mi avevi parlato prima?» Gli domando, curioso.
Lui mi guarda attentamente, poi arriccia un angolo della bocca: «Sì, penso di sì.»
«E che cos'era?» 
Si avvicina a me, ed io trattengo il fiato finchè non sento le sue labbra posarsi sulle mie. 
Magnus mi sospinge all'indietro, incastrandomi fra la porta e il suo corpo snello e muscoloso. Le sue braccia mi circondano i fianchi e mi tengono strette a lui, come se non volesse lasciarmi andare.
Non so se sia vero, non so se sia giusto, ma so che lo voglio. Voglio che tutto questo accada, che irrompa nella mia vita come un fiume senza argini.
Il me stesso di soli pochi giorni fà mi prenderebbe a schiaffi, probabilmente dandomi del pazzo: tutto ciò mi porterebbe a sconvolgere ulteriormente quella che era la mia semplice e monotona vita.
Sii una brava persona, prenditi cura di chi ti vuole bene, non cacciarti nei guai.
Eppure tutto in Magnus sembra voler portare guai, guai che magari vale la pena affrontare.
Quest'ultimo mi sta ancora baciando mentre mi stringe a sè in una presa ferrea: le sue labbra sono morbide e guidano le mie, sottili ed inesperte.
Con una leggera pressione della lingua chiede silenziosamente l'accesso alla mia bocca, ed io, quasi automaticamente, glielo lascio: nonostante abbia mangiato, il suo sapore di caffè e cannella mi invade le papille come se fosse nettare divino.
Oh sì, ne vale assolutamente la pena.
Non senza una certa riluttanza ci separiamo, ma Magnus non scioglie la sua presa su di me: io, ovviamente, non gli chiederò certo di farlo.
«Pensavo fosse solo un'impressione...» Sussurra, inclinando leggermente la testa di lato. Nel farlo, gli orecchini sul suo orecchio sinistro brillano come tanti minuscoli diamanti. «Ma non lo è. Tu sei...diverso.»
Qualcosa, nel modo in cui lo dice, sfalsa il mio battito cardiaco.
«Intendi...per la mia Divergenza?»
Scuote la testa.
«No, non c'entra niente con le fazioni o...o con quel tipo di cose. Tu sei diverso dalle altre persone che ho conosciuto fino ad ora.» 
Soffoco un'espressione di sorpresa, colpito e perplesso allo stesso tempo.
«Ma Magnus, io non ho assolutamente nulla di speciale o diverso dagli altri, se non la mia Divergenza. Non ho nemmeno mai avuto le palle di dire a Izzy e a Jace che sono gay...provengo da un luogo in cui non si può mentire o tenere nascosto nulla, ed io mento da anni a me e alle persone che amo.» 
È la prima volta in vita mia che ammetto di essere gay ad alta voce: ciò mi rende nervoso e spaventato, con un terribile nodo alla bocca dello stomaco, ma alcontempo è come essermi alleggerito un po' il cuore da un enorme peso.
«Arriverà il momento giusto anche per quello, Alec. Nessuno ti obbligherà a farlo, e sono sicuro che Jace e Izzy ti vogliano molto bene. Non penso smetterebbero di volertene per una cosa simile.» Mi rassicura, ed io istintivamente porto la mano al braccio sinistro, dove  la runa della fratellanza è impressa a vita sulla mia pelle. È stato Jace a volere che ci tatuassimo entrambi questo simbolo, come una conferma eterna: «Perché non ci tatuiamo questa? Per far vedere a tutti che chiunque oserà mettersi tra di noi riceverà tanti di quei calci in culo da non potersi sedere più per decenni.»  
Magari Magnus ha ragione, Jace ed Izzy sono parte costante della mia vita: mi accetterebbero sempre per ciò che sono, giusto?
«Comunque, Alec, tu sei diverso. Lo sei perchè...perchè sei tu, in tutta la tua disarmante semplicità. Tu non hai facciate.»
Apro la bocca per ribattere, magari dicendo che nessun Candido ne ha, ma mi blocco: davvero chi non può mentire non può avere segreti? O fingere? 
No, ovviamente no.
«Mi piace quando rimani imbambolato, sai?» Ridacchia, poi apre la porta alle mie spalle. «Ci vediamo domani allora.» 
«A domani.» Faccio per uscire, ma prima gli rivolgo un sorriso. «Sono stato bene con te.»
«Anche io, mio giovane Intrepido.» Mi fa l'occhiolino e ritorna nella sua stanza, chiudendo piano la porta.
A domani. Qualcosa mi dice che sarà una notte tremendamente lunga.


§

Sgattaiolo lungo i numerosi corridoi, sentendomi come un ladro: il coprifuoco è già scattato da un pezzo, e se qualcuno mi beccasse ancora in giro mi caccerei in guai seri.
Le lampade al neon mandano una luce bianca e fredda, dando alle pareti di roccia un'aria spettrale.
Raggiungo i dormitori senza incontrare nessuno, e tiro un sospiro di sollievo.
La piccola stanza che condivido con Jace e Izzy ha la porta in legno scuro, che quasi si confonde con i muri e il buio della notte stessa.
Ho intenzione di gettarmi sul letto immediatamente, ma come entro nella stanza vengo colpito in pieno da uno sguardo di fuoco: al contrario di Jace, Isabelle è sveglia e se ne sta seduta sul bordo del mio letto, con gli occhi scuri che sembrano mandare tuoni e lampi.
Cazzo.
«Iz, che cosa...»
«Eh no, le domande le faccio io stasera.» Mi zittisce lei, alzandosi e parandomisi di fronte. «A cena avevi un'aria strana, non hai nemmeno mangiato. Poi sparisci fino a tardi senza nemmeno rispettare il coprifuoco.»
Fa un altro passo: quando vuole mia sorella sa davvero incutere timore.
Mi esamina attentamente, poi con due dita mi fa girare lievemente il capo a sinistra. La sua bocca si spalanca.
«Ma questo...questo è un succhiotto! Ti è rimasto persino il segno dei denti!»
Il panico più totale mi assale: dannato Magnus e dannata la sua bocca! Poteva dirmelo che mi aveva lasciato un livido!
Cristo Alec, pensa.
«Abbassa la voce! O sveglierai Jace!» Le dico, indicandole il ragazzo che sta tranquillamente ronfando nel suo letto. 
«Jace dorme come un morto e lo sai, ma ora dimmi dove ti sei guadagnato questo.» Mi ordina, toccandomi un punto sotto l'orecchio con l'indice.
Io non rispondo, mi limito a guardarla, bella e forte come è sempre stata. 
Jace è mio fratello e il mio migliore amico, ma io e mia sorella siamo sempre riusciti a capirci con un singolo sguardo: io e lei condividiamo praticamente tutto, sin da quando siamo stati concepiti.
Passano alcuni secondi, infatti, prima che la sua rabbia si plachi completamente, lasciando spazio alla sorpresa.
«Non mi dire. Centra Magnus, è così?»
Cerco di reprimere il groppo che mi si sta formando in gola, e annuisco.
«Quindi...lui ti piace? Ti piacciono i ragazzi in quel senso?» Inclina leggermente la testa, come fa ogni volta che pensa attentamente a qualcosa. 
Io mi copro la faccia con le mani: l'idea che i miei fratelli venissero a sapere della mia omosessualità mi ha sempre terrorizzato più di qualsiasi altra cosa.
Ed ora mia sorella mi ha colto in flagrante, facendomi sentire come una preda messa al muro. Ormai mentire non serve più a nulla.
«Sì, io...» Ma non termino la frase, perchè Isabelle mi abbraccia con una forza che non sapevo possedesse. Automaticamente la stringo in risposta: non porta i tacchi, perciò la sua testa s'incastra perfettamente sotto il mio mento. 
«Ti conosco abbastanza bene da sapere che ti senti uno schifo in questo momento. Ma non devi, davvero. Tu sei e rimani la persona più dolce e fantastica del mondo.»
Sento qualcosa divampare in petto, come una fiamma calda e piacevole: neanche nei miei sogni più sfrenati avrei mai immaginato che potesse prenderla così bene. 
In fondo però lei è Isabelle, e non esiste un'altra ragazza straordinaria come lei. 
Quando ci stacchiamo ritorna immediatamente seria: «Ora però devi dirmi ogni dettaglio.» 
Le racconto, mascherando e cambiando diverse cose, di come io e Magnus ci siamo lentamente avvicinati. Non accenno nulla sul fatto della mia Divergenza, né a quello degli arresti nella nostra vecchia fazione: vorrei tanto poterla mettere al corrente di ogni singola cosa, ma mi sono ritrovato involontariamente in un pericoloso disegno più grande di me in cui non ho intenzione di coinvolgerla.
Lei ascolta attentamente e in silenzio, finché non le dico del bacio di questa notte.
«Oddio Alec, ma un vero bacio? Con la lingua?» 
«Beh...sì.» Rispondo, sentendo il sangue affluirmi alle guance. «Tre volte in verità, e mi ha fatto anche questo succhiotto, per il quale domani lo strozzerò. Ora...ora sai tutto.»
Lei mi scruta attentamente: probabilmente ho un aspetto tremendo, tra il livido sul collo e i capelli di sicuro scompigliati.
«Alec, è bellissimo che finalmente tu abbia trovato qualcuno, davvero. Ma stai attento, perché io stimo Magnus come allenatore, ma come persona...» Emette un sospiro leggero. «Beh, spero per entrambi che non ti spezzi il cuore.»
Annuisco, mentre nel mio petto sento scontrarsi emozioni contrastanti: se prima vedevo un futuro tranquillo e sicuro, come una strada dritta e illuminata, ora non ci riesco più. 
Quante altre cose sono destinate a cambiare? 
Sarai mai davvero pronto ad affrontarle?
«Comunque Alec te lo concedo-» Esclama mia sorella dopo un po' «-ti sei pomiciato proprio un gran pezzo di figo!»
«Izzy!» Arrossisco di nuovo, ma sotto sotto mi sento un po' orgoglioso. 
«Okay okay, scusa. Meglio se andiamo a dormire, il discorso è rimandato a domani. Sarà una lunga giornata.» 
Si corica nel suo letto ed io faccio lo stesso, sentendo il sonno piombarmi addosso come un macigno.
La vita da Intrepidi richiede più coraggio di quel che mi aspettassi. 
Mi chiedo se quel coraggio io ce l'abbia davvero.

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Capitolo 20
*** Capitolo Venti ***


Note: Ci si rivede, bellissimi!
Come penso abbiate notato, in questo periodo sto aggiornando più velocemente del solito: il mio blocco sembra essere finito! Sto scrivendo davvero molto in queste settimane, e sto già (mi si spezza il cuore a dirlo, giuro) programmando il finale di questa storia che mi ha accompagnata nei momenti più belli e più brutti degli ultimi due anni, in cui ho perso e conosciuto persone meravigliose.
Questa storia è dedicata a loro, anche se, probabilmente, non lo sapranno mai.
Mi sono persa un po' di lettori per la strada nell'ultimo capitolo...c'è un motivo in particolare? Spero non abbiate trovato il capitolo troppo noioso (mi piacerebbe molto sentire il vostro parere, per me è essenziale) e che questo vi piaccia di più: è uno dei capitoli più importanti della storia! Detto questo vi auguro buona lettura, spero di sentirvi in numerosi! ♥️
Ari Youngstairs



• Capitolo Venti •


«Non muovere quel dannato collo.» Mi intima Isabelle, mentre passa il pennello intinto di crema bianca sotto al mio orecchio.
«Smettila con quello stupido fondotinta!» Sbuffo, con il collo dolorante per via della posizione scomoda: io Iz siamo seduti fianco a fianco sul bordo del suo letto, intenti a mascherare il succhiotto che Magnus mi ha lasciato ieri notte. Sono le sei e quaranta del mattino, e la sveglia dovrebbe suonare fra non molto.
«Non la smetto finché tu non lo dici a Jace. Altrimenti ci arriverà da solo e sarà peggio.»
Sposto lo sguardo sul ragazzo che sta ancora dormendo nel suo letto, dall'altra parte della piccola stanza: lo spazio basta giusto per un piccolissimo bagno, un armadio e tre letti, di cui due a castello. L'unica fonte di luce è costituita da una piccola abat-jour posata malamente per terra, che emette un bagliore fioco come il lume di una candela.
«Te l'ho detto Iz. È...è difficile. Tu sei una ragazza, sei mia sorella di sangue, la prendi in modo...diverso.» Sussurro.
«Lo so che è difficile, posso immaginarlo. Ma Jace, per quanto sia sin troppo etero, ti vuole bene. A lui non cambierà assolutamente nulla il fatto che preferisci i pettorali scolpiti alle tette, ci arrivi?» Mi chiede, continuando ad armeggiare sul mio collo con il fondotinta. Il cosmetico è come ghiaccio liquido sulla pelle. «Puoi tenerlo segreto a chi ti pare, ma Jace merita di saperlo.»
«Ho capito Iz, ho capito. Glielo dirò presto, te lo giuro, ho solo bisogno di un po' di tempo.»
Lei sorride e mi dà un bacio leggero sulla guancia. «Meglio così allora.»
Dal suo sguardo trapela la sua tipica sicurezza che le ho sempre, inconsciamente invidiato: la sicurezza di chi sa cosa vuole e come ottenerlo, di chi ha la forza per affrontare gli altri dirimpetto.
Anche Jace l'ha sempre avuta, la sicurezza, mista ad un tagliente sarcasmo e alla capacità di attirare l'attenzione come un potente magnete.
Io invece, a volte, incespico nei miei stessi passi.
«Scusate una cosa-» Mormora una voce impastata dal sonno, facendoci sobbalzare. «-cos'è che merito di sapere?»
Io e mia sorella guardiamo con un misto di terrore Jace, sveglio e sdraiato su un fianco, che ora ci fissa incuriosito: alla luce della lampada da notte i suoi occhi sembrano color castano chiaro, come legno di quercia.
«Alec, perché Izzy ti sta mettendo del fondotinta?» Domanda ancora, mettendosi a sedere con un sonoro sbadiglio.
«Ho...ho un livido.» Balbetto, nel panico più totale. «Sono caduto.»
«Sul collo?» Ribatte scettico, inarcando un sopracciglio. «Che state nascondendo?»
Mia sorella non osa emettere un fiato, paralizzata completamente sul posto.
Che situazione tremenda, per Dio. Nell'arco di sole quasi sette ore (di cui sei e mezza ho dormito) mi sono fatto beccare in flagrante da entrambi i miei fratelli, nemmeno avessi sei anni.
Sia Magnus che Isabelle mi hanno detto di potermi fidare, ma...Jace reagirebbe davvero così bene allo scoprire che il suo migliore amico è gay?
Lo guardo attentamente, con un groppo in gola che quasi mi impedisce di respirare: anche appena sveglio tutto in lui sembra emanare luce, dai capelli color oro ai tratti del volto angelici come quelli di un dipinto, caratteristiche che gli hanno permesso di far battere il cuore a decine e decine di ragazze.
Ho due possibilità: mentirgli o dirgli chi sono davvero. La risposta però è chiara quanto spaventosa. Prendo un respiro profondo, e mi butto.
«Sono gay.» La mia schiettezza nel dirlo è disarmante, le mie parole sembrano uno sparo all'interno della stanza.
Mia sorella spalanca la bocca dalla sorpresa, mentre Jace rimane perfettamente immobile.
Non so cosa aspettarmi, perché l'espressione sul volto di Jace è calma e impassibile: rabbia, amarezza, disgusto?
«Oh-» Esclama, passandosi una mano fra i capelli. «-beh, ora capisco perché a ginnastica non volevi mai venire con me a spiare le ragazze nello spogliatoio.»
Sento rimbombare il cuore nelle orecchie, mentre le tempie mi pulsano con forza.
«I-io...che significa?» La voce mi esce più tesa di quel che pensassi. Mia sorella mi guarda come se fossi una bomba pronta ad esplodere.
«Alec, calmati un attimo e respira.» Jace tende le mani avanti, ridendo un poco. «Secondo te a me cambia qualcosa se sei gay?»
Apro la bocca per rispondere, per poi richiuderla. Mi sento così stordito che il mondo attorno a me comincia a girare: temo di star per svenire. O vomitare. O entrambi.
Il mio cuore sembra stia per collassare, probabilmente è solo questione di secondi.
È tutto così dannatamente assurdo: per anni sono stato tormentato dall'idea che qualcuno venisse a scoprire della mia omosessualità, il segreto che da sempre occulto in modo quasi paranoico a tutti come se fosse un cadavere, ed ora i miei fratelli la stanno prendendo con una leggerezza e semplicità incredibili.
«Visto?» Mi rassicura Izzy scuotendomi per le spalle, il che non fa altro che farmi venire ulteriormente voglia di vomitare l'anima. «Noi ti vogliamo bene esattamente come prima.»
Jace continua a ridacchiare, ma senza alcuna cattiveria o scherno. «Ora, prima che ti prenda un infarto, potrei sapere dove, o meglio, con chi sei stato ieri notte?»
Sì, ora andrò decisamente a rimettere nel bagno.
«Io...ehm...sono stato con Magnus.» Balbetto, mentre il ricordo di lui che mi bacia schiacciandomi contro la porta di camera sua mi si proietta davanti come un video: ciò non aiuta certo a calmarmi.
Il sorriso sulla bocca di Jace svanisce alla velocità di un flash.
«Magnus Bane? Il nostro allenatore?» Ripete, come per accertarsi che sia vero. «Oh porca troia. Isabelle, nostro fratello si è fatto di droga pesante e non ci ha invitati
Iz si batte la mano sulla fronte.
«Ma perché devi essere un tale coglione?» Sibila esasperata. «Non lo vedi che sta per avere una crisi isterica? Ha appena ammesso di essere gay e tu gli dai del drogato!»
Jace alza le mani sulla difensiva, mentre Isabelle sta sfoderando il suo sguardo assassino più crudele.
«Io l'ho sempre sospettato che Magnus si mangiasse Alec con gli occhi.» Un momento, come? «Ma quel tipo mi sta un po' sulle palle, e da quel che si dice di tresche ne ha avute parecchie. Alec, sei sicuro di quel che stai facendo?»
Il divertimento di prima è completamente sparito dal suo volto, ed ora mi guarda come un padre apprensivo potrebbe guardare la figlia.
«Jace, questo non-»
«BASTA!» Scatto dal letto e urlo più forte del dovuto, zittendoli entrambi all'istante. Nel mio stomaco ribollono ansia, confusione e rabbia. «Per favore, basta. So che su Magnus non girano belle voci, okay? Ma lui non è come pensate, lui è...di più. È più di quanto possiate pensare.» La mia voce va pian piano affievolendosi, e mi chiedo se riescano a capire dalle mie parole che sono fottutamente, irrimediabilmente cotto di lui. «Io...ero terrorizzato da quello che avreste potuto pensare.»
Loro si scambiano un'occhiata d'intesa, poi Isabelle mette via il pennello sul ripiano accanto al letto e si alza a sua volta, in modo da potermi guardare dritto negli occhi.
«Alec, tu tra noi tre sei sempre stato il più maturo e il più protettivo: ci hai sempre coperto per le nostre cazzate e da quando papà è stato cacciato abbiamo sempre preso te come punto di riferimento. Tu ci sei stato per noi e noi ora ci saremo per te. Giusto Jace?»
«Confermo tutto.» Ribadisce lui, tornando a sorridere.
L'ossigeno torna a circolare nei miei polmoni. Non mi ero quasi accorto di quanto fossi agitato, come se ogni fibra del mio corpo fosse stata tesa in uno spasmo per ore.
Pochi secondi prima che suoni la sveglia, mi soffermo ad osservarli: i ricordi tornano uno dopo l'altro nella mia mente come vecchie fotografie, un po' sbiadite e impolverate, ma ancora perfettamente intatte.

Isabelle che si ferisce ad un ginocchio e si trattiene dal piangere.
Jace che per la prima volta entra in casa nostra con i capelli arruffati e le guance scavate, gli occhi troppo addolorati per un bambino di sette anni.
Noi tre che facciamo le smorfie a Max ancora in fasce, facendo dondolare la sua culla troppo velocemente.
Il primo giorno di scuola in cui siamo tutti e tre perfettamente tirati a lucido, ma Jace riesce comunque a cadere strappandosi i pantaloni.
Io che suggerisco a Izzy durante l'interrogazione di Storia delle Fazioni, scrivendo le risposte sul retro del quaderno.
Jace e Isabelle che mi guardano carichi di speranza alla Cerimonia della Scelta, mentre faccio colare il mio sangue sui carboni ardenti.

Sorrido inconsciamente: tra tutte le scelte che ho fatto, di certo non mi pentirò mai di aver scelto loro.


§



Il fucile è liscio e gelido tra le mie mani, ma ancora più gelido è il vento che soffia sul tetto della Torre.
Anche se mi fanno sussultare, ogni volta i colpi dell'arma centrano perfettamente il bersaglio di legno davanti a me, ridotto ormai ad un colabrodo.
Tutti gli Iniziati sono disposti in righe, perfettamente allineati come un vero esercito, mentre Woolsey e Magnus ci osservano attentamente ad uno ad uno e bisbigliano tra il rimbombare degli spari. Tessa prende appunti in disparte, i capelli castani raccolti con il nastro viola che io e Clary abbiamo trovato nel gioco a squadre.
Sopra di noi il cielo è plumbeo e promette tempesta, ma nessuno sembra preoccuparsi minimamente: in questo momento siamo tutti soldati valorosi e letali, che nemmeno il vento, la pioggia o i fulmini possono piegare.
Allineo la canna del fucile davanti al mio viso, chiudo un occhio e focalizzo il bersaglio.
Prima di premere il grilletto un brivido freddo mi attraversa tutta la colonna vertebrale, mentre una lieve pelle d'oca va a formarsi sulle mie braccia: non mi abituerò mai all'idea di poter uccidere.
Spero di non dover mai essere costretto a versare del sangue, ma essendo un Divergente in un momento critico come questo, temo la sorte non sia dalla mia parte.
Il grilletto scatta con un suono metallico, il rumore della detonazione mi esplode nelle orecchie.
Il proiettile si schianta contro il bersaglio in un frastuono di legni rotti.
Mi deconcentro qualche momento per guardarmi intorno: tutti gli Iniziati si trovano qua sopra ad allenarsi con i fucili, sia Trasfazione che Interni. In totale siamo circa una sessantina, ma solo quelli ritenuti adeguati e pronti ad affrontare le proprie paure diventeranno Intrepidi a tutti gli effetti e iniziare una nuova vita, completamente daccapo. Dopotutto, si è sempre saputo che tra tutte le Fazioni quella degli Intrepidi è sempre stata la più pericolosa e crudele con la sua Iniziazione.
Quel traguardo è tutto ciò di cui ho bisogno per sopravvivere, o almeno così sembra: diventare un adulto, avere una casa tutta mia e un lavoro da vero Intrepido. Inoltre, potrei condividere tutto questo con Izzy, Jace, Clary e...Magnus.
Questa mattina mentre facevamo colazione Jace e Clary si tenevano per mano, ridevano, chiacchieravano, facevano i dementi insieme. Mi sono chiesto se anche io e Magnus potremmo mai fare cose del genere, come una coppia di adolescenti qualsiasi. Una coppia normale.
Sposto lo sguardo verso di lui, in piedi sul muro che delimita l'area del tetto: è in tenuta da Intrepido -pantaloni neri a fasciargli le lunghe gambe e giacca di pelle scossa dal vento gelido-, ha il portamento fiero di un'aquila ed elegante come quello di un felino.
Sussulto quando trovo il suo sguardo già posato su di me, ed il cuore mi accelera un poco.
Ci sosteniamo lo sguardo a vicenda per quelle che sembrano ore, finché lui non solleva in modo quasi impercettibile l'angolo della bocca e spezza il contatto visivo, voltandosi altrove.
Forse io e Magnus di normale non abbiamo proprio niente.
I rumori assordanti degli spari mi riportano pian piano alla realtà, e riprendo a mirare verso il bersaglio con il fucile dritto davanti a me.
Faccio scattare il grilletto, un altro colpo va a segno.
Poco distante da me, Jace e Jonathan si sfidano in silenzio a chi distrugge per primo l'intero bersaglio: sia negli occhi scuri di uno che in quelli castano-dorati dell'altro brucia il fuoco della contesa.
Credo non sia difficile capire che tra tutti gli Iniziati loro sono sicuramente i più forti.
Isabelle si è legata i capelli in un'alta coda di cavallo, il rossetto bordeaux spicca sul suo volto cereo e concentrato. Con i tacchi e un fucile tra le mani, persino io avrei quasi timore di avvicinarmi a un simile misto di bellezza, forza e pericolo.
Se le persone intorno a me sono soli ardenti, io sono una piccola stella persa nell'immensità del cielo.


§



«E quindi, Jonathan mi ha detto che mentre ci allenavamo, ha sentito Magnus e Woolsey parlare della Prima Classifica.» Clary si stringe nelle spalle. «Cioè, vi rendete conto? Se non siamo ritenuti adatti ci cacceranno. Diventeremo Esclusi e non avremo mai più una casa o un lavoro, e mangeremo soltanto grazie alle donazioni degli Abneganti.»
Jace la prende per mano e le stringe forte le dita.
«Lo sappiamo, tutte e cinque le Iniziazioni lo prevedono. Ma non devi preoccuparti, passerai. Te lo dice Jace Lightwood.» Abbassa un poco la voce. «D'accordo?»
Lei annuisce poco convinta.
Tutti gli Iniziati si trovano nel cuore del Quartier Generale, scossi da un trambusto generale causato dall'attesa: per gli Iniziati Interni non è una gran cosa, dopotutto loro potranno rivedere i loro genitori quando e come vogliono, ma gli Iniziati Trasfazione non vedono l'ora di poter riabbracciare la propria famiglia.
Sempre che la mia non sia stata arrestata dal Governo.
I corridoi si diramano sopra e intorno a noi, centinaia e centinaia di Intrepidi vanno e vengono come formiche laboriose, creando un brusio costante di chiacchiere e rumori in sottofondo.
Vorrei fosse sufficiente per non sentire tutti i pensieri che mi frullano in testa creando un fracasso assordante, così assordante che nemmeno mi accorgo dei portoni che pian piano cominciano a spalancarsi.
Genitori, fratelli ed amici si riversano all'interno della Torre, in un tripudio di colori: Abneganti in grigio, Candidi in bianco e nero, alcuni Eruditi in blu, Pacifici in rosso arancione e giallo che si mescolano con il nero degli Intrepidi.
Tutti attorno a me cominciano a correre concitati: le persone si trovano, si abbracciano, raccontano fiumi di avvenimenti, si commuovono.
Mi muovo a spallate tra la folla, gli occhi che cercando disperatamente due soli volti tra le centinaia che mi si parano davanti.
Fà che stiano bene. Per me. Per Jace. Per Izzy. Non lo sopporterebbero.
Poi, improvvisamente, li vedo stagliarsi nel mio campo visivo come un miraggio, una madre con il figlio di dieci anni: abiti da Candidi, capelli scuri, occhi azzurri.
«Max, non correre!»
«Mamma muoviti! Voglio vedere gli Intrepidi!»
Un'incredibile scossa di euforia e sollievo m'investe come un'onda anomala, ed i miei muscoli scattano in avanti come non avevano mai fatto prima d'ora.
Mi sembra di non udire le loro voci da anni, e per una terribile manciata di ore ho temuto che non avrei mai più potuto farlo.
Raggiungo mia madre e la stringo forte ancor prima che se ne renda conto, affondo il viso tra i suoi lunghi capelli tenuti sciolti sulle spalle e ispiro forte: sa di lavanda e di casa.
È solo questione di pochi secondi prima che mi stringa a sua volta, per poi allontanarmi da lei solo per potermi guardare bene in volto, quasi come se avesse paura di non vedere lo stesso Alec che ha cresciuto per anni. Non ha nemmeno una ruga, il suo sorriso è gioviale e suoi occhi luminosi.
«Mamma!» Isabelle a sua volta si catapulta su di lei, seguita a ruota da Jace e Clary.
«Ciao anche a te, piccola peste.» Mi piego all'altezza di Max e gli scompiglio i capelli, facendogli cadere gli occhiali sul naso. «Ti sono mancato?»
«Senza di voi a casa è una noia.» Sbuffa. Si guarda intorno con la sua solita aria curiosa, osservando con meraviglia l'imponenza del Quartier Generale, dai numerosi corridoi all'enorme volta di vetro del soffitto. «Ora vivete qui? Siete già Intrepidi?»
«Non ancora, ma si spera di sì.»
Accanto a noi, Jace sta presentando Clary a nostra madre. Fino ad ora era sempre rimasta più o meno all'oscuro di tutte le sue numerose ragazze, ma se ora Jace gliela sta presentando ufficialmente, la faccenda con quella piccola rossa tutta pepe è più grossa di quel che pensassi.
Da dietro gli occhiali Max osserva me, Izzy e Jace come si potrebbe guardare il proprio idolo preferito. «Voi Intrepidi siete troppo fighi! Avete le pistole, e i treni super veloci riservati solo a voi, e...»
«E un look fantastico, anche.» Aggiunge una voce dietro di me, riuscendo a distinguersi da tutte le altre seppur con un tono non molto forte. Un brivido mi corre lungo tutta la schiena, e subito mi alzo di scatto.
Magnus è ancora più bello di quanto non fosse questa mattina: ora i suoi capelli sono decorati con dei brillantini sulle punte formate dal gel, mentre una lieve linea di eye-liner scuro gli contorna gli occhi rendendoli due irresistibili magneti color oro e giada, tagliati in due da quelle bizzarre quanto affascinanti pupille verticali.
Non avrei mai pensato che un ragazzo potesse truccarsi, e se mai l'ho pensato, di certo credevo che fosse una cosa abbastanza ridicola.
Ma con Magnus non è così: il trucco non sminuisce la sua mascolinità, l'accentua. Lo fa sembrare un felino affascinante e pericoloso, sempre pronto all'attacco.
«E così tu sei il famoso Max. Tuo fratello mi ha parlato molto di te.»
Gli occhi di mio fratello sembrano ingrandirsi all'inverosimile, la sua bocca si spalanca in una "o" di meraviglia.
«Tu sei un vero Intrepido? E conosci mio fratello?» Domanda, con la voce carica di entusiasmo.
«Oh, io conosco molto bene tuo fratello.» Ribatte, lasciandosi andare ad una risata non appena vede le mie guance tingersi di un evidente rosso. Max si limita a fare una smorfia confusa, per poi tornare a travolgermi di domande.
Improvvisamente, però, la situazione cambia: Jace Izzy e Clary si allontanano, diretti verso una donna Pacifica dai lunghi capelli rossi che abbraccia la piccola pel di carota con infinito affetto, posandole un bacio sulla guancia piena di lentiggini. La mamma di Clary?
Mia madre dunque si volta verso di noi, e il sorriso sul suo volto svanisce ad una velocità tale da farmi dubitare della sua presenza: non appena posa i suoi occhi su Magnus, questi si riempiono di nero terrore e il suo volto si contrae in una smorfia sorpresa e spaurita.
L'Intrepido la guarda a sua volta, sgranando gli occhi come se avesse visto un morto riemergere dalla tomba.
Io e Max rimaniamo come intrappolati in questa fitta rete di sguardi tesi e velenosi.
«Maryse Lightwood.» Pronuncia glaciale. Come fa a conoscere il nome di mia madre? «Vedo che sei invecchiata bene dai tempi del Circolo.»
Lei arretra come se l'avessero pugnalata allo stomaco. È sempre stata una persona sicura, sempre capace di mantenere tutto sotto controllo, ma ora...sembra un topo tra le fauci di un leone.
«Non davanti ai miei figli, Magnus.» Intima, ma la sua voce suona quasi supplicante.
«Loro non lo sanno?»
«Che cosa non sappiamo?» Domanda Max, la sua innocenza e tranquillità che si dissonano da tutto il resto.
La mamma lo guarda apprensiva, quasi spaventata.
«Nulla, Max. Saluta Alec, dobbiamo andare.» Si avvicina a me, completamente paralizzato dalla confusione, e mi dà un bacio sulla fronte come quando ero piccolo. I suoi occhi sembrano immensamente tristi. «Salutami Isabelle e Jace, Alec. Mi dispiace molto.»
Dopo queste parole prende Max per un polso, camminando senza voltarsi verso l'uscita.
Un pezzetto del mio cuore se ne va con loro.


§



Ancor prima che possa metabolizzare tutto, Magnus mi fa cenno di seguirlo.
Gli cammino dietro come un automa, ancora con lo sguardo diretto all'entrata della Torre, quasi sperando che mia madre e mio fratello ritornino. Ma non lo fanno.
Mi ha mentito. Ci ha mentito. Ci ha sempre mentito...
Saliamo in silenzio le scale e percorriamo i rumorosi corridoi fino a che non arriviamo alla sua stanza, collocata ad uno dei piani più alti.
Mi sento come se qualcuno mi avesse messo in un frullatore.
Magnus apre le ante del proprio armadio, i vestiti rigorosamente neri sistemati malamente al suo interno, e dopo aver frugato un po' tira fuori quello che sembra un fascicolo, sottile e con la copertina azzurra. Sopra vi è scritto a caratteri informatici “Centro di Ricerca Erudito - Sezione 071 - Il Circolo”.
«Che cos'è?» Chiedo, quando Magnus me lo mette fra le mani. È rovinato, come se l'avessero sfogliato centinaia di volte.
«Era il gruppo di scienziati a cui mio padre mi ha venduto. Quelli che mi hanno reso così.» Risponde, senza troppi giri di parole.
Lo apro con cautela, temendo ciò che potrebbe esserci al suo interno: sono tutti documenti identificativi, con tanto di foto, data di nascita, gruppo sanguigno, secondi nomi.
Il primo che appare è un certo Valentine Morgenstern, un uomo robusto dai capelli color carta e gli occhi d'inchiostro.
«Questo è...»
«Il padre di Clary e Jonathan, sì, è lui. Era la mente di tutto. E lei...» Volta la pagina sfiorandola appena, come se scottasse. «Lei è Jocelyn Fairchild, era la sua ragazza, poi divenuta sua moglie.»
È la donna Pacifica che ho intravisto prima, con gli stessi occhi verdi e i boccoli rossi che ha trasmesso alla figlia. Non so perché, ma ho come l'impressione che nemmeno Clary sappia nulla di tutta questa storia, talmente assurda da sembrare inventata.
Giro di nuovo pagina, la bile che mi sale in gola. Robert Lightwood.
A casa nostra madre ha gettato via qualsiasi cosa lo riguardasse, foto comprese, e rivedere il suo volto dopo tanti anni fa quasi male: ha gli stessi lineamenti duri e seri che ricordavo. I suoi occhi non sono azzurri come i miei, ma di un blu più profondo, come il cielo notturno illuminato dalla luna.
Altra pagina, altro volto. Maryse Trueblood.. Ma certo, doveva essere il suo cognome prima del matrimonio con papà. Mi chiedo perché abbia tenuto il suo anche dopo il divorzio.
In questa foto non avrà più di ventitré, forse ventiquattro anni circa. È raggiante e bellissima, praticamente identica ad Isabelle.
Nonostante le domande a cui non ho ancora una risposta siano molte, al momento non ho bisogno di vedere altro. Restituisco il fascicolo a Magnus, rimasto in silenzio a guardarmi, e mi siedo sul bordo del suo letto con la testa pulsante.
«Mi dispiace.» Mi dice lui. «Non avresti dovuto scoprire una cosa del genere così.»
«Mi ha detto di essere sempre stata una Candida...» Soffio. Ad ogni battito il cuore sembra far male, come se fosse in una rete di filo spinato. «Sapevi che ero loro figlio?»
«Lo sospettavo. Ne ero certo per Clary e Jonathan, perché insomma, sono praticamente identici ai loro genitori, ma tu sei così diverso da loro...forse speravo solo che non lo fossi.»
«Perchè?» La mia voce tremola come il lume di una candela al vento.
Il suo sguardo s'incatena al mio, pieno di tristezza, rabbia e frammenti di un cuore infranto troppe volte.
«Ho tenuto quel fascicolo per ricordare, Alec. Quando mi tenevano con loro e mi facevano tutti quegli orribili test ero solo un bambino, ma non sono cose che dimentichi facilmente. L'ho guardato e riguardato centinaia di volte, sperando di potermi riscattare un giorno, di far provar loro ciò che loro hanno fatto provare a me, però...» Alza la mano e con i polpastrelli mi accarezza gli zigomi delicatamente, facendomi venire un brivido. Sfiora le mie labbra con il pollice, come a tastarne la consistenza. «...dovrei odiarti, Alexander Lightwood. Dovrei odiarti e invece ti desidero dal primo momento in cui ti ho visto.»
Le sue parole mi colpiscono a tal punto da togliermi il fiato.
Mi muovo d'istinto, senza lasciargli il tempo di rendersene conto: lo afferro per i lembi della giacca nera e premo la mia bocca sulla sua, in un bacio rude e disperato.
Voglio dimenticare le bugie di mia madre.
Voglio dimenticare il mondo in cui vivo.
Voglio dimenticare di essere un Divergente.
Voglio credere che con Magnus la mia vita possa andare per il verso giusto, almeno per una volta.

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventuno ***


Note: Come vi avevo promesso, ecco qui il nuovo capitolo! Incredibile che sia stata puntuale, vero?
Che dire, tornare ad aggiornare dopo così tanto tempo mi riempie di emozione.
Potreste notare qualche piccola differenza nello stile rispetto ai capitoli precedenti, proprio perché è passato tanto tempo: spero non mi troviate peggiorata! T.T
Sono stata felicissima di leggere le vostre recensioni e i vostri messaggi quando ho annunciato che avrei continuato la storia, grazie di cuore <3
Detto questo vi lascio al nuovo capitolo, sperando che vi piaccia e che vorrete lasciarmi un vostro parere: per me ogni recensione è un vero tesoro.
Come annunciai moooolto tempo fa, la storia è sempre più nel vivo e i capitoli sempre più lunghi; non preoccupatevi, il capitolo 22 è quasi finito e non passeranno anni prima del prossimo aggiornamento.
Inoltre, in questi giorni ho dato una bella revisionata a tutti gli altri capitoli, correggendo qualche piccolo errore qua e là.
Vi mando un grande bacio e buona lettura.
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventuno •


«Baciare Magnus è come rompersi, come andare in frantumi dopo esser caduti dal cielo.
È una sensazione così dirompente e impetuosa da lasciarmi svuotato, svuotato di qualsiasi cosa che non siano le sue labbra fameliche e le sue mani che scorrono esperte e curiose sul mio corpo, come a volerne imparare la forma.
«Vieni qui.» Con un gesto fluido mi arpiona i fianchi e mi porta su di sé, facendomi sedere sul suo bacino: così lo supero in altezza di un paio di centimetri, riuscendo a distinguere nitidamente ogni singolo dettaglio del suo volto: posso persino contare ogni singola screziatura di verde nei suoi occhi color oro. 
Gli getto le braccia intorno al collo e lo sento mugolare piano contro la mia bocca, prima di perdere l'equilibrio e cadere all'indietro sul materasso.
Mi reggo sui gomiti per non pesargli, piantandoli ai lati della sua testa. Il mondo vortica attorno a me e Magnus è il mio unico appiglio alla realtà, che mi permette di non girare con esso.
Sento le sue dita percorrermi la spina dorsale, tastandone ogni singola sporgenza. Ad ogni tocco mi sento attraversare da fuoco vivo che scioglie tutte le mie difese e inibizioni, affilando ogni mio senso: i colori sembrano più brillanti, l'aria più calda, le nostre bocche sempre più umide ogni volta che si schiudono l'una sull'altra.
Porta le sue mani a coppa attorno al mio viso, spingendomi ancora di più contro di lui con le sue dita rese ruvide dagli allenamenti. Vedo fuochi d'artificio esplodere dietro le palpebre, scintille dorate che esplodono e vorticano senza sosta.
Questo, questo è ciò che forse cercavo da tutta la vita senza nemmeno saperlo. È di questo che ho bisogno. È questo che voglio.
Interrompo il bacio e raddrizzo la schiena, soffermandomi a guardarlo: i suoi occhi brillano come oro al sole, i capelli neri scompigliatissimi in contrasto con il bianco delle coperte, i vestiti un po' sgualciti da quando tra noi i baci e le carezze hanno sostituito le parole. Distende le labbra in un sorriso e il mio cuore si blocca per un istante che sembra durare secoli.
Stando disteso, la maglietta non gli copre un lembo di pelle vicino al bordo dei pantaloni, mettendo in mostra il suo fisico ben allenato. Con le dita gli sfioro delicatamente il solco degli addominali lasciato scoperto, rimanendone quasi ipnotizzato: le nostre carnagioni così diverse creano un piacevole contrasto tra il bianco perlaceo e l’ambrato. Con le dita scendo fino a sfiorargli la cerniera dei pantaloni.
«Aspetta.» Magnus mi afferra per il polso e si mette seduto, rompendo in un istante la bolla di passione in cui ci eravamo rinchiusi. «Non fare cose che non vuoi davvero fare.»
Strabuzzo gli occhi ed all'improvviso la mia mente torna fredda, il mondo riprende di nuovo a girare normalmente. È come ricevere una secchiata d’acqua gelida in faccia.
«Ma io voglio…» Ribatto, ma la voce mi muore in gola.
«No, non vuoi. Tu vuoi smettere di pensare a tua madre.» Mi dice, ma nella sua voce non ci sono né rabbia né irritazione.
Vorrei dirgli che non è vero, che desidero davvero andare oltre con lui qui e ora, ma non è così. 
Tutto ciò che voglio è svuotare la testa, trovare un appiglio a cui reggermi per non farmi travolgere dalle emozioni. 
Fino ad ora la mia famiglia è sempre stata il pilastro portante della mia vita, ma adesso tutto sembra crollare come un castello di carte.
«Mi ha mentito.» Soffio. «Ha mentito a me, a Izzy, a Jace e a Max. Lo ha fatto per anni.»
«Lo so.» Appoggia la sua fronte sulla mia, le sue braccia mi avvolgono. «Mi dispiace, Alec.» 
«Come faccio a dirlo a Izzy?» Gli chiedo, scrutando la sua espressione per trovare anche la più magra delle rassicurazioni. «Le si spezzerà il cuore a scoprire una cosa del genere. Forse nemmeno mi crederà. Nostra madre, una scienziata Erudita che lavorava per il governo insieme a nostro padre? Se non fosse per quei documenti non ci crederei nemmeno io.» 
Restiamo in silenzio qualche istante, ognuno immerso nel caos dei propri pensieri. Nessuno dei due sembra intenzionato a spostarsi da questa posizione, lui con le braccia attorno alla mia schiena ed io seduto sul suo bacino a circondargli i fianchi con le cosce. 
Arrossisco al pensare a quello che stavamo facendo solo due minuti fa, ma sentire Magnus così vicino mi dona uno strano senso di pace.
Non ho perso tutto. Forse c'è qualcosa di buono in tutta questa faccenda, ed è qui di fronte a me. Non posso, non voglio perderlo.
«Devo chiederti due cose.» Affermo, cercando di non lasciarmi soffocare dal groppo che mi si sta formando in gola.
Lui riporta tutta la sua attenzione su di me. «Dimmi.»
«Per prima cosa...mi aiuteresti a spiegare tutta questa storia a Izzy, Jace e Clary?»
«Se è questo che vuoi sì, ti darò una mano.» Risponde, inclinando un poco la testa. Reprimo l'istinto di baciarlo di nuovo. «E la seconda cosa?»
Sono ancora in tempo per inventare una bugia e retrocedere sui miei passi. Forse è troppo presto, forse Magnus rifiuterà spezzandomi il cuore per una seconda volta. 
Ma ormai è tardi per tornare indietro. Prendo un profondo respiro e, chiudendo gli occhi come a temerne le conseguenze, mi butto.
«Io e te...siamo qualcosa



§



~ Isabelle ~


Guardare tutte queste persone riunirsi felici mi fa sorridere senza volerlo. Mi piace il rumore causato dalle chiacchiere di chi non si vede da giorni ma continua comunque ad amarsi da lontano.
Jace ha insistito molto per presentare Clary a alla mamma, ottenendo ovviamente un successone: a quale madre non piacerebbe una ragazza come lei? Così minuta e naturalmente graziosa, semplice e senza tanti grilli per la testa. Più o meno il mio esatto opposto.
Lancio uno sguardo verso Alec, intento a parlare con nostro fratello. Probabilmente Max lo starà bombardando di domande, lui ha sempre adorato gli Intrepidi, un po' come tutti i bambini in fondo: chi non amerebbe un gruppo di persone spericolate in nero che saltano dai treni e sorvegliano le mura della città? 
Alec lo ascolta sorridente, felice di rivederlo. Ma nel suo sorriso c'è anche qualcos'altro, qualcosa che non penso di aver mai visto in lui prima d'ora. È sempre stato un ragazzo serissimo, più maturo del normale, soprattutto da quando papà è stato cacciato e lui ha sentito su di sé il dovere di prendersi cura della nostra famiglia.
Spesso io e Jace ci siamo preoccupati per lui, pensando che stesse accumulando troppi pesi sulle spalle. Ma quando ieri sera mi ha rivelato di essere gay, con il viso terrorizzato e quasi colpevole, ho capito che non stava caricando pesi solo sulle sue spalle, ma anche sul proprio cuore.
Adesso invece sembra un po' più spensierato, un po' più felice e un po' più adolescente. 
Non mi è difficile intuirne il perché: stamattina, mentre difendeva Magnus dalle accuse di Jace, i suoi occhi azzurri che gli ho sempre invidiato sembravano bruciare d'ardore. La sua parte tranquilla e riflessiva pareva esser sparita del tutto, lasciando spazio ad un Alec incredibilmente più audace e sicuro.
«Iz, a che pensi?» Jace mi riscuote dai miei pensieri, lo sguardo un po' ansioso. «Clary ci sta portando da sua madre e mi presenterà, Cristo, ho bisogno di supporto emotivo da parte di mia sorella ma tu stai con la testa altrove.» 
«Scusa.» Gli dico, affrettando il passo dietro Clary, intenta a prendere a spallate chiunque si contrapponga fra lei e sua madre. C'è troppa confusione perché senta ciò che io e Jace ci stiamo dicendo. «Pensavo ad Alec.»
«Ah.» Ribatte. «Scioccante eh?» 
«Non è scioccante che sia gay, è scioccante che ce lo abbia tenuto nascosto per tutto questo tempo.» Comincio a giocare nervosamente con i capelli stretti nella coda. Clary, davanti a noi, si ferma per scusarsi con un uomo Abnegante a cui è andata accidentalmente addosso nella foga.
«Credo che fosse spaventato, lo hai visto questa mattina quando me lo ha detto. Sembrava avesse ucciso qualcuno.»
«E di Magnus? Di Magnus che mi dici?» Gli chiedo. «Pensi che tra loro due sia una cosa seria?»
Lo vedo perdersi nei suoi pensieri per un istante, poi scuote le spalle senza convinzione.
«Non ne ho idea, ma conosco abbastanza bene Alec da poter dire che non è tipo da storie occasionali. Non mi sorprenderebbe se gli chiedesse di mettersi insieme a lui.» 
«E se Magnus gli dicesse di no?» Domando, sentendo un moto di paura crescere al pensiero di mio fratello con il cuore spezzato. Non riuscirei a sopportarlo, Alec merita tutto tranne che qualcuno che lo ferisca.
Jace, prima di rispondere, arriccia un angolo della bocca in un ghigno. «In quel caso gli sfonderò il culo. A calci.»
Finalmente arriviamo dalla madre di Clary, una donna Pacifica dall'aspetto molto giovane. Non appena la vede Clary si catapulta fra le sue braccia e la stringe forte, lasciandosi cullare per un po'.
La loro somiglianza è impossibile da non notare, considerando che hanno entrambe gli stessi occhi verde smeraldo, riccioli rossi per chioma e il viso spruzzato di lentiggini. Ha un aspetto molto più dolce rispetto a nostra madre, ma forse è solo per via della diversa fazione. I Pacifici sono sempre dolci.
«Come sta andando l'Iniziazione?» Le chiede, e Clary sorride un po' incerta. 
«Va benissimo mamma.» Risponde lei, poi si scosta e fa segno a me e a Jace di avvicinarci. Non ho mai visto Jace così teso, quasi avesse paura di essere colpito da un fulmine all'improvviso. Alec è fuori di testa per Magnus, Jace è fuori di testa per Clary e l'unica normale rimasta sono io.
«Lei è Isabelle.» Mi presenta Clary, ed io accenno un sorriso impacciato. «E lui è suo fratello Jace...ed è il mio ragazzo.» 
Pronuncia quelle parole arrossendo da capo a piedi, mentre sua madre squadra Jace dall'alto in basso. Lui prende forza, gonfia il petto e raddrizza le spalle come un vero soldato. 
«Io sono Jace Lightwood.» Pronuncia, la voce ferma e sicura. «So che sembro il tipo di ragazzo che viene a casa tua e le dà fuoco, ma non lo sono. Sua figlia è la ragazza più fantastica che abbia mai conosciuto, è piccola ma forte, è intelligente e allegra, anche se a volte ha proprio un caratterac-» Gli tiro una gomitata fra le costole e lui geme di dolore. «Intendevo dire, che Clary è una ragazza veramente tosta, l'unica che sia mai riuscita a tenermi testa anche se la supero di almeno mezzo metro. Perciò vorrei mi permettesse di essere il suo fidanzato.»
Okay, cavoli. Jace ci sa fare con le parole quando vuole. Lo guardo nello shock più totale.
Clary lo osserva con gli occhi spalancati e brillanti, potrei sentire il suo cuore battere da qui.
La donna si avvicina di un passo, facendo battere gli stivali rossi sul duro pavimento di pietra e cemento. Nonostante sia molto più bassa di lui, Jace la guarda leggermente intimorito.
«Anche se ti dicessi di no non staresti lontano da mia figlia, suppongo.» Constata lei, scannerizzandolo da dietro le palpebre socchiuse.
«Temo di no.» La sua risposta è schietta e sincera. Dopotutto, lui ottiene sempre quello che vuole.
«Beh, Jace Lightwood, io sono Jocelyn Fairchild e non ti perderò d'occhio facilmente.» 
Clary tira un sospiro di sollievo, mentre Jace azzarda un sorriso sbilenco.
Mi sento un po' un'intrusa qui, tra mio fratello e quelle che saranno forse le sue rispettive moglie e suocera. 
Eppure non posso fare a meno di esser contenta di vedere Jace finalmente con la testa attaccata sul collo e non alla consueta ricerca di pericoli e svago. 
«Assomigli un sacco a tua madre, Isabelle.» Stavolta Jocelyn si rivolge a me, con la sua solita aria pacata.
«Come fa a conoscere mia madre?» Chiedo, un po' sorpresa. Che abbiano la stessa età?
«Frequentavamo il corso di scienze insieme a scuola, ormai più di vent'anni fà. Per caso è qui?» 
«Sì, le ho detto di aspettare un attimo me e Jace, sta...» Mi volto verso l'entrata, dove fino a poco fa mia madre, Max e Alec stavano parlando. Di loro però non pare esserci traccia, neppure se li cerco fra la moltitudine di persone. Il chiacchierio sembra essersi intensificato, così come i visitatori. 
«Jace, dove stanno mamma e Max?» Gli chiedo, sotto gli occhi un po' perplessi di Clary e Jocelyn.
«Non so, avevano detto che ci avrebbero aspettati. Pure Alec è sparito.» Nota, facendo guizzare lo sguardo da una parte all'altra dell'atrio.
«Perché ho come l'impressione che centri Magnus?» Credevo di averlo pensato silenziosamente fra me e me, invece l'ho detto ad alta voce.
«Magnus Bane?» Negli occhi di Jocelyn passa un'ombra. 
«È il nostro allenatore.» Specifica Clary con un'alzata di spalle. «Alto, capelli sparati, occhi da gatto. Non puoi non notarlo.»
La donna sembra inorridire, come se le avessero ammazzato qualcuno davanti agli occhi. 
La vedo passarsi velocemente le mani sui vestiti dai colori caldi, aprire la piccola borsa che porta a tracolla ed estrarne un foglietto stropicciato. Lo posa tra le mani di Clary e le dà un bacio veloce. 
«So che tuo fratello non verrà.» Le dice. Le lacrime fanno sembrare i suoi occhi smeraldi incastonati nel viso etereo. «Ma dagli questo quando lo vedi.»
Senza nemmeno accennare un saluto si avvia verso l'uscita, scomparendo fra le sagome degli altri visitatori. La seguiamo con lo sguardo finché non perdiamo di vista la sua folta chioma rossa,.
«Che cazzo è successo?» Chiede Clary. La sua voce è atona, il suo sguardo perso nella folla. 
Jace si avvicina piano a lei ed io lo imito, sbigottita da ciò che è appena accaduto. Jocelyn è apparsa come un raggio di sole, per poi andarsene simile ad uno spettro. 
Clary passa le dita sul foglietto della madre, in modo che l'immagine su di esso sia ben visibile alla luce che filtra dal soffitto: è una foto leggermente scolorita, rovinata dal tempo e dai bordi consumati. Ritrae quella che sembra una famiglia felice, quattro persone che sorridono dietro ad una torta di compleanno. 
Poi però, guardandola meglio, mi rendo conto di chi siano quelle persone: Jocelyn mentre tiene in braccio una bimba con le treccioline rosse, un altro bambino che spegne le candeline sulla torta ed un uomo robusto dai lineamenti affilati. 
«Me la ricordo questa foto.» Sussurra Clary, accarezzando distrattamente il foglio con il pollice. «Era il compleanno di Jonathan...e noi eravamo ancora una famiglia.» 
«Che cosa è successo poi?» Chiede Jace, osservandola come se fosse un cristallo pronto ad andare in frantumi.
«Mio padre era un…violento. Mia madre chiese il divorzio, perché lui era un uomo subdolo e senza scrupoli. Così mio padre, non so in che modo, è riuscito a trasferirsi dai Candidi. Jonathan andò con lui di sua spontanea volontà.» 
«E ora...tuo padre dov'è?» Le poso una mano sulla spalla, cercando di infonderle affetto e sicurezza. So benissimo cosa si prova a crescere senza un genitore, ma almeno io avevo Alec e Jace, da sempre porti sicuri in cui approdare. Lei, invece, ha perso padre e fratello in un colpo solo.
«In galera.» Sputa. «Per omicidio, se non sbaglio. Da quel giorno credo che Jonathan abbia avuto i Servizi Sociali in casa, sapete, quella roba che fanno gli Abneganti per aiutare i minori con i problemi. Mia madre è stata depressa per un paio d'anni, dopo tutti quegli avvenimenti. È stato uno schifo.»  
Jace fa un altro passo verso di lei, annullando la distanza che li separa. Con le dita le accarezza i capelli, fino ad arrivare alla nuca ed attirarla a sé in un bacio dolce, pieno di reciproco amore, rispetto e promesse. Distolgo lo sguardo, riportandolo dove prima si trovava mia madre. Vederli baciarsi è un po' come mettersi ad origliare un discorso intimo e privato, fatto di parole che nessuno a parte loro due riesce a capire. Clary è così piccola che Jace riesce ad avvolgerla completamente con le braccia muscolose, a momenti sollevandola da terra.
«Perché se n'è andata quando abbiamo nominato Magnus?» Chiedo, non appena il loro bacio si conclude. 
«Questo non lo so.» Clary è pensierosa, come se una nube scura di preoccupazioni le si fosse annidiata in testa, ma dopo che Jace l'ha baciata sembra che i suoi muscoli si siano un po' rilassati. «Ma c'è qualcosa che non mi convince. Che cavolo di legame può avere mia madre con Magnus, che è solo pochi anni più grande di noi?» 
«L'unica è andare a chiederlo a lui stesso.» Propone Jace, guardandosi intorno. «Ci conviene ritrovare Maryse e Max. Tu Iz vai a cercare Alec.»
Annuisco, spedita verso i piani superiori della Torre, riservati agli Intrepidi che lavorano qui tutto l'anno: qualcosa mi dice che se troverò Magnus troverò anche mio fratello, insieme a tutte le risposte che cerchiamo. 



§



La prima cosa che vedo, una volta riaperti gli occhi, è l'espressione sbigottita di Magnus.
«Se siamo...qualcosa?» Ripete, come a valutare il peso di quelle parole. «Perché una simile richiesta?»
Mando giù a fatica il groppo che mi si è formato un gola.
«Così.» Rispondo, mettendoci tutto il menefreghismo e l'indifferenza possibili. «Quando sto con te sto bene, perciò ho pensato che anche tu magari stessi bene con me e...» 
Le sopracciglia di Magnus schizzano in alto, non so se per la sorpresa o se per la mia patetica “dichiarazione”. 
«E?» Mi incita. Non so se sia un'allucinazione o soltanto uno strano effetto della vista, ma gli occhi di Magnus sembrano essere tornati a brillare. Ormai più a fondo di così non posso andare, no?
«E mi piaci, per questo te l'ho chiesto. Vorrei...fare sul serio, con te. E vorrei che anche tu lo facessi con me.»
Il modo in cui mi sta guardando è così stupito che mi chiedo se mi siano spuntate delle antenne in testa: che abbia detto qualcosa di terribilmente stupido? 
Magnus si sporge un po' con il viso, facendo sfiorare i nostri nasi. Dalla leggera curva della sua bocca sembra divertito.
«Alexander, mi stai chiedendo di fidanzarci?» Chiede, delineando con l'indice la forma della mia mascella. Trattengo a stento un brivido.
Io e Magnus, una coppia qualsiasi? Mi sembra quasi impossibile, ma forse ne vale il rischio. 
«Ecco…forse. Se vuoi. Voglio sapere di potermi davvero fidare di te, che siamo una squadra.» 
Quando le sue labbra si posano sulle mie, ogni singolo muscolo del mio corpo si tende fino a far male, per poi sciogliersi completamente sotto il tocco delle sue mani. 
Con un colpo di bacino ribalta le posizioni, ed io sento tutto il peso del suo corpo premermi contro il materasso. Rimango con le gambe ancorate ai suoi fianchi, le mani intente a scompigliargli i capelli. 
Rimaniamo in silenzio qualche istante, mentre trattengo il fiato per quelle che sembrano ore. C'è qualcosa di terribile e meraviglioso in questa attesa, forse per la paura, forse per il respiro caldo e irregolare di Magnus che s'infrange sul mio viso. 
«Sì.» Soffia. «Mi piacerebbe essere il tuo ragazzo. Ma ad una condizione.» 
Deglutisco quando lo vedo sorridere malizioso, preoccupato ed emozionato allo stesso tempo.
Vengo scosso da un brivido nel momento in cui con l'indice definisce il contorno delle mie labbra, per poi passare al mento e alla gola, dove si sofferma particolarmente sul pomo d'Adamo. 
«Guai a te se osi nascondere uno dei miei succhiotti un'altra volta.» Mi intima, ma con la voce divertita. 
«Perdonami Magnus, sono complice dell'occultamento.» Commenta una voce femminile dall'uscio, facendoci sobbalzare entrambi. Mia sorella non ha mai avuto un aspetto più dispettoso e soddisfatto, mentre se ne sta appoggiata con nonchalance sullo stipite della porta.
Non avevamo chiuso a chiave, e sicuramente è entrata mentre eravamo troppo distratti per notarla. Me la pagherai Isabelle Sophia Lightwood.
«Io...» Magnus si tira su e scende dal letto, spostando nervosamente lo sguardo da me e mia sorella. Lei, però, alza il palmo della mano e lo sventola come un ventaglio.
«Non preoccuparti, so già tutto.» Un sorrisetto soddisfatto le balena sulle labbra.
«Glielo hai detto?» Mi chiede Magnus, ed io arrossisco un po'.
«Non proprio...lei e Jace mi hanno beccato con il tuo succhiotto in bella vista sul collo.»
«Ci ho messo un sacco a coprirglielo con il fondotinta!» Si lamenta, poi però torna seria. «Mi dispiace avere interrotto la...sessione di baci, ma avevo bisogno di voi.»
Preso da un lieve moto di preoccupazione mi metto a sedere, ma quando lo faccio il mio campo visivo si riempie di punti scuri. Baciare Magnus così a lungo deve avermi fatto completamente defluire il sangue dal cervello. 
«Devo sapere dov'è la mamma.» Annuncia, poi sposta lo sguardo su Magnus mentre il mio cuore perde un battito. «E devo sapere se hai mai avuto rapporti di alcun tipo con Jocelyn Fairchild.»  
Lui apre la bocca per risponderle, ma io lo anticipo raccogliendo il fascicolo abbandonato sul pavimento. Soltanto due metri mi separano da mia sorella, ma temo che attraversata quella brevissima distanza tutto il suo mondo possa andare a pezzi. Il mio ormai è crollato già da un po'. 
«Mi dispiace Iz.» Le dico, dandole i documenti. «Ma temo che nostra madre ci abbia mentito per tutta la vita.» 



§



«Pensavo fosse nostro padre la merda in famiglia.» Sputa Iz, gettando il fascicolo a terra. Jace cerca di calmarla, ma lei se ne rimane in piedi e immobile, il volto come ghiaccio.
Non appena Isabelle ha visto il fascicolo, le ho chiesto di andare a chiamare Clary e Jace affinché Magnus potesse spiegare loro la storia del Circolo. Mentre la raccontava, nei suoi occhi imperversavano ombre scure simili a spettri. La sua voce era completamente atona, ma osservandolo sono riuscito a capire che era tutto fuorché tranquillo o indifferente: quando è preoccupato o nervoso tende a mordersi l'interno della guancia a sangue, gesto che ha compiuto innumerevoli volte nel corso degli ultimi venti minuti.
Dopotutto, non siamo altro che i figli di coloro che gli hanno rovinato la vita. 
«Mia madre ha davvero fatto queste cose?» Chiede Clary, a nessuno in particolare. «Mio padre Valentine era un pazzo, ma lei è sempre stata così...buona.» 
«Come hanno fatto a cambiare fazione dopo i sedici anni? La legge non lo permette.» Nota Jace, parlando per la prima volta da quando è arrivato.
«Facevano parte del governo, perciò non credo abbiano riscontrato molti problemi nell'aggirare la legge.» Magnus ha palesemente la testa altrove, persa nei propri ricordi. Mi chiedo quanto terribile possa essere trovarsi in una simile situazione: per noi è scioccante, ma non oso immaginare quanto per lui sia doloroso.
«Stai bene?» Spero di non far trapelare qualche emozione di troppo, mentre glielo chiedo. 
«È passato un sacco di tempo. Ma tutto mi aspettavo tranne che ritrovarmi i pupilli dei miei aguzzini come allievi.» Ammette con amarezza.
Nella stanza sembra essere calato il gelo. Nessuno sa effettivamente cosa dire, se sentirsi dispiaciuto, arrabbiato o preso in giro dal brutto scherzo che ci ha giocato il destino.
«Ma se tu sapevi chi fossero quegli Eruditi...come hai fatto a non capire che siamo figli loro?» Iz avvolge i suoi lunghi capelli attorno alle dita, tirandoli un po' per scaricare la tensione. È ferita ed infuriata, mi basta guardarla. Lo siamo tutti.
Magnus scuote leggermente la testa, ed inspira come se fosse rimasto a lungo in apnea. Quando le risponde, però, il suo sguardo non è rivolto a lei: è puntato verso di me, così intenso da farmi arretrare di un passo.
«In realtà l'ho capito, Izzy. L'ho capito poco tempo dopo il vostro arrivo qui, e in quel momento ho realizzato che farvi fuori sarebbe stato facile come sbarazzarsi degli insetti: avrei potuto farvi fallire l'Iniziazione, spararvi, gettarvi giù dallo Strapiombo...avrei avuto la mia vendetta contro quelli del Circolo. Nessuno avrebbe sospettato di me.» Continua a guardarmi, le labbra schiuse in un sorriso che mi fa tremare le ginocchia. «Ma mi sono innamorato di tuo fratello, perciò temo che il mio desiderio di vendetta si sia assopito.»
Clary in fondo alla stanza spalanca la bocca, seguita a ruota dai miei fratelli, ma io a malapena li noto. 
Tutto sembra perdere consistenza, i mobili, le pareti e i miei amici ridotti a chiazze indistinte di colori. Magnus rimane stagliato al centro del mio campo visivo come una sagoma nitida e luminosa, una stella lontana sullo sfondo del cielo. Ho un groppo in gola tale da non riuscire nemmeno a respirare, figurarsi pensare o dire qualcosa che possa anche solo lontanamente spiegare come mi sento.
Prima che possa aprir bocca una sirena acuta riecheggia fra i corridoi, lunga e acuta come l'ululato di un lupo. Il mio contatto visivo con Magnus si spezza e già ne sento la disperata mancanza.
«Siamo in ritardo.» Annuncia quest'ultimo, aprendo la porta e facendoci cenno di seguirlo. Ma in ritardo per cosa? Fino ad ora non avevano mai dato un simile allarme, che riesce in un istante a terrorizzarmi. Un altro attacco degli Eruditi?
Siamo tutti un po' scossi, Jace in particolare ha un'espressione nervosa e turbata. Mi lancia uno sguardo pieno d'urgenza, un segnale chiaro: deve parlarmi, e subito.
«Perchè tutta questa urgenza?» Gli Intrepidi si riversano come un fiume scuro nei corridoi,  parlando ad alta voce fra loro. Sembrano diretti tutti verso il piano più basso, dove fino a poco fa si svolgevano le visite.
«Perchè?» Magnus sembra quasi cinguettare dal divertimento. «Ma come, non siete curiosi di sapere se avete superato la prima parte dell'Iniziazione?»



§



«Quindi, fammi capire...i tuoi genitori erano nel Circolo?» Dirlo ad alta voce mi fa sentire come se dei nuvoloni si stessero affollando sopra la mia testa, pronti a scagliarvi tuoni e fulmini. Se c'è una cosa di cui Jace ha sempre evitato di parlare, quella erano i suoi genitori: forse gli faceva troppo male parlarne, anche se non voleva farlo a vedere.
«Sì. Nel fascicolo di Magnus c'erano anche loro: Stephen Herondale e Céline Montclaire. Ora capisco come facevano a conoscere i tuoi.» Serra i pugni con così tanta forza da far sbiancare le nocche. «Forse avrei preferito non ricordarmeli.»
«Jace...» Questo è uno di quei momenti in cui vorrei sapere cosa dire. Pensavo di aver avuto a che fare con ogni singola sfaccettatura della sua personalità, e che quando ce ne sarebbe stato il bisogno non avrei avuto problemi a capire la cosa giusta da fare. 
Ma forse le persone hanno troppe sfumature per essere capite appieno.
La Torre è gremita di Intrepidi che chiacchierano e si sporgono dalle balaustre, spintonandosi e sporgendosi, simili a spettatori in attesa.
Woolsey, Tessa e Magnus hanno collocato un grande schermo nero al centro dell'atrio, dove gli Iniziati hanno l'aspetto di chi sta per essere giustiziato pubblicamente. 
«Come Capo-Fazione, sarò io a dare l'annuncio ufficiale.» Tutte le voci si spengono al cospetto di quella di Woolsey, ferma e profonda. «In questo istante termina la prima fase dell'Iniziazione. Nonostante tutti vi siate impegnati al massimo, alcuni di voi oggi termineranno questo percorso.»
Improvvisamente mi manca l'aria. Cerco lo sguardo di Jace, ma è assorto nei suoi pensieri. Clary e Iz sono qualche fila più avanti, mia sorella si volta verso di me e piega le labbra in un sorriso teso. 
«Nulla di personale, ovvio.» Continua Woolsey, passandosi una mano fra i capelli chiari. «Ma le regole sono le regole. Io e il vostro allenatore abbiamo discusso molto su chi resterà e su chi invece si unirà agli Esclusi. Quando questo schermo alle nostre spalle si accenderà, compariranno i nomi di quelli che hanno superato la prima fase. Coloro che non vedranno il loro nome, saranno scortati fuori.»
Voglio morire. Voglio che mi crolli il tetto in testa. Cosa farò se il mio nome non compare su quel maledetto schermo? Ogni mio singolo sforzo, ogni mio singolo risultato ottenuto fino ad ora andrebbe in fumo insieme a tutta la mia vita.
Chiudo istintivamente gli occhi, la tensione comincia a darmi la nausea. Non può finire adesso.
Passano solo pochi secondi, ma sembrano millenni. Un chiasso assordante causato dalle grida e dagli applausi degli Intrepidi mi costringe ad aprire gli occhi.
Quasi cado a terra quando Jace si aggrappa al mio collo e mi scuote per le spalle senza la minima delicatezza.
«Alec devi guardare quel fottuto schermo!» Mi urla nell'orecchio, più esaltato che mai.
Faccio come mi ha detto, e quasi mi sento cedere le gambe dalla gioia: di sessantatre persone che siamo, che eravamo, sullo schermo compaiono soltanto quaranta nomi, disposti in una classifica sulla cui vetta spicca il nome di Jace, seguito da Jonathan. 
Scorro velocemente l'elenco dei nomi: Jace Lightwood, Jonathan Morgenstern, Avril De Ville, David Collins...scorrendo trovo il nome di Izzy, che si è piazzata tredicesima. Sapere che sia lei che Jace sono passati mi tranquillizza, almeno un po'.
Poi finalmente lo vedo, simile a un miraggio in lontananza: Alec Lightwood, eccolo lì il mio nome, che si staglia luminoso sullo schermo nero. Sono passato. Sono passato!
«Cazzo!» Urlo, troppo felice per darmi una regolata, unendomi al coro degli altri Intrepidi. Sono così euforico che nemmeno mi accorgo di come io e Jace ci stiamo letteralmente stritolando saltellando sul posto, mentre ci diamo delle pacche sulla schiena così forti che già sento formarsi i lividi. 
Izzy e Clary ci raggiungono subito, urlando con un tono leggermente più alto del normalmente consentito. Probabilmente tutti sono troppo impegnati ad esultare per sentirle.
«Sono passata anch'io!» Urla la rossa additando lo schermo. «Ventiduesima!» 
Jace sembra emettere scintille. «Stasera c'è una festa più grande di quella a cui siamo andati l'ultima volta, ci andiamo e ci prendiamo una sbronza tale da ubriacarci pure l'anima!»
«No!» Mi affretto a dire, ricordando il finale osceno dell'ultima festa. Anche se, dopotutto, mi ero guadagnato una dormita in camera di Magnus. «Io non mi sbronzo.»
«Va bene, allora Alec ci farà da mamma chioccia.» Izzy mi abbraccia e mi schiocca un bacio sulla guancia. «Comunque, che stanno facendo quei tipi?»
Degli Intrepidi stanno scortando alcuni Iniziati fuori dalla Torre, mentre questi si dimenano e provano invano ad opporre resistenza. Gli uomini però sono troppo robusti e troppo ben allenati per farsi abbattere da dei semplici Iniziati: una di loro smette di ribellarsi e comincia a piangere mentre gli altri si lasciano portare fuori, dove nessuno potrà vederli perdere tutto. Per coloro che non hanno superato questa parte, inizia una vita di fame e miseria come Esclusi.
«Deve essere orribile.» Commenta Clary, distogliendo lo sguardo da quella scena crudele. «Ma noi ce l'abbiamo fatta, no?» 
Annuiamo con la gioia un po' smorzata: siamo soltanto a metà strada: ciò significa che dovremo fare altri test, sottoporci ad altri allenamenti, superare altri ostacoli.
Significa anche però che potrò ancora lottare per la mia vita, stare ancora con i miei fratelli, con Clary, con…Magnus. Lo cerco con lo sguardo tra la folla e lo trovo a congratularsi con un gruppetto di altri Iniziati come noi. 
«Allora, si va a fasteggiare?» Domanda Iz euforica.
Proprio in quel momento Magnus alza lo sguardo verso di me: le sue labbra si distendono in un sorriso splendido, per poi mimarmi un “congratulazioni”. 
«Sì.» Rispondo, con un mezzo sorriso e il cuore su di giri. «Si va a festeggiare.»

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventidue ***


Note: Buongiorno a tutti voi! Vi avevo promesso che il nuovo capitolo sarebbe arrivato in tempo, ed eccolo qui!
Questo capitolo inoltre è particolarmente importante perchè conclude un po' quella che è la prima parte di questa storia.
Dal prossimo (praticamente già concluso e particolarmente corposo) capirete di cosa parlo.
Non mi resta quindi che augurarvi buona lettura, ringraziarvi per le scorse recensioni e chiedervi, se volete, di farmi sapere cosa ne pensate anche qui <3
(In questo capitolo c'è un momento malec che mi sono quasi commossa a scrivere T.T)
PS: In fondo al capitolo c'è un piccolo estratto dal prossimo capitolo, giusto per mettervi curiosità :*
Vi mando un grande bacio e buona lettura.
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventidue •


È passato quasi un mese dal giorno in cui ho lasciato colare il mio sangue fra i carboni ardenti: sapevo che questa scelta mi avrebbe portato su una strada buia e impervia, completamente diversa da quella che io stesso avevo programmato.
Ora tutto sembra imprevedibile, come un interminabile lancio di dadi: una vittoria può comportare un passo avanti, portandomi sempre più vicino all'unico obbiettivo che miro a raggiungere; una sconfitta invece sarebbe come un lancio in un baratro senza fondo.
«Alec, mi ascolti?» La voce affannata di Jace interrompe il filo dei miei paranoici pensieri.
Stiamo correndo sotto la pioggia da circa un'ora, o forse due. Ci siamo svegliati quando ancora il sole non era sorto, ma già il cielo grigio prometteva tempesta. 
«Uh, sì, scusami.» Gli dico, reprimendo un brivido quando dell'acqua gelata s'infiltra sotto la mia felpa e mi scorre lungo tutta la schiena.
«Ti ho chiesto come vanno le cose tra te e Magnus.» Pronuncia, sfoggiando un ghigno malizioso.
Arrossisco così tanto che mi infilo il cappuccio della felpa per coprirmi il viso, ma dalla risatina di Jace capisco che è troppo tardi: ormai mi ha visto diventare rosso come un ragazzino alla prima cotta.
All'inizio, quando ci siamo messi insieme (cosa che ancora stento a credere verosimile), non pensavo seriamente che avrebbe funzionato. Ci speravo, certo, ma sperare e credere una cosa possibile sono due cose ben diverse. 
Nell'ultimo mese, ogni settimana, io e lui troviamo un modo per vederci di nascosto: certo, durante gli allenamenti e i pasti ci sono sorrisi veloci e occhiate fugaci, come se volessimo entrambi accertarci che l'altro sia davvero lì; ma dopo esserci baciati...nessuno dei due ha voglia di interrompere le nostre scappatelle notturne: nonostante il coprifuoco per noi Iniziati, con Magnus a coprirmi, trovo sempre il modo di sgattaiolare via dai dormitori per andare da lui.
«Allora, lo avete fatto?» 
La domanda di Jace mi sciocca a tal punto che, se non stessimo correndo insieme agli altri Iniziati, mi bloccherei all'istante.
«Fatto cosa?» Sibilo, attento a non rimanere troppo indietro rispetto al gruppo. Magnus che corre in testa a tutti noi è più fradicio di un pulcino, ma sembra instancabile.
Jace sbuffa e scuote la testa, facendo ondeggiare i capelli biondi e bagnati. 
«Sesso, Alec. Sto parlando di quello. Lo avete fatto?»
Inorridisco e arrossisco allo stesso tempo. 
«Cosa? No!» Gli rispondo, quasi urlando. «Ma che domande sono?»
«Sei mio fratello, è ovvio che mi interessino certe cose.»
«Io non ti vengo a chiedere se tu e Clary avete fatto sesso!» Ribatto. 
«Ancora no, lei è perfetta e non voglio farle pressioni. Ma quando accadrà sarà così fantastico che vorrà sposarmi.» Gongola, facendomi venire la nausea: è una bravissima persona ed il mio migliore amico, ma quando comincia a vantarsi sarebbe da picchiare. «Comunque, vuoi dirmi che tu e Magnus non ci siete nemmeno andati vicini? Nemmeno una volta
Faccio per mandarlo a quel paese e urlargli un sonoro no, ma effettivamente una volta è successo che l'atmosfera si scaldasse più del solito...non faccio nulla per fermare il ricordo di quella serata, rimasto marchiato a fuoco nella mia mente.


Luci spente, porta serrata, respiri affannati.
Sono abbastanza sicuro che fino a soli cinque minuti fà stessimo parlando tranquillamente, ognuno rispettando il reciproco spazio vitale dell'altro: come siamo arrivati a baciarci avvinghiati sul letto di Magnus non saprei proprio dirlo. 
Ricordo che ad un certo punto abbiamo smesso di parlare, ci siamo avvicinati e...ci siamo semplicemente ritrovati stretti uno all'altro, le mani intente a tastare ogni singolo centimetro di pelle scoperta e le bocche affamate, come se baciarsi fosse ossigeno e noi fossimo rimasti troppo a lungo in apnea.
Tutto per me è assolutamente nuovo. Non mi sono mai sentito così in vita mia, come se mi stessi lentamente sciogliendo insieme ad ogni mia ansia e pensiero.
C'è un che di quasi ipnotico nel modo in cui Magnus si muove, simile ad un aggraziato e letale predatore pronto a colpire: io però non scapperei nemmeno se sfoderasse le zanne.
Senza davvero rendermene conto gli apro la pesante giacca di pelle e gliela sfilo dalle spalle, lasciandolo solo con una semplice maglia a maniche corte. Lo stemma degli Intrepidi vi è cucito sopra, una fiamma bianca sul tessuto nero come petrolio.
Impacciato, provo ad imitare i gesti che lui usa spesso su di me, facendomi sentire come se fossi in un angolo remoto del giardino del paradiso: gli lascio una scia di baci caldi lungo la gola, mentre con le mani indugio sotto la sua maglia leggera e tasto ogni suo singolo muscolo, ogni singola sporgenza della sua spina dorsale.
«Non so cosa ti sia preso-» Sussurra «-ma se smetti ti farò fare tanto di quell'esercizio che...» 
Lo zittisco con un lungo bacio, facendolo ridacchiare contro le mie labbra.
«Vedo che capisci al volo.» 
«Guarda che sono anche un po' Erudito.» Ribatto, facendo scontrare le punte dei nostri nasi. Mi ero sempre chiesto cosa ci trovasse di bello la gente nello stare vicina: ora però, con le mani di Magnus sulle spalle e le nostre bocche che giocano a rincorrersi, capisco perfettamente. È un po' come volare e farsi trasportare dal vento: non sai dove stai andando, né se e quando arriverà la tempesta; ma sei libero di spiegare le ali e sentirti più leggero dell'aria, senza pesi o costrizioni, e questo
ti basta, anche se sai che cadere sarà inevitabile.
«A cosa pensi?» Mi chiede Magnus, con la guancia premuta sul pugno chiuso e il gomito conficcato nel materasso. 
«A nulla.» Rispondo, accarezzandogli il collo con le nocche, proprio dove è tatuata la rosa nera piena di spine. «Cosa significano i tuoi tatuaggi?» 
Lui pare divertito e incuriosito dalla domanda, e senza rispondere si sfila con un unico gesto la t-shirt. Devo chiedergli più spesso dei suoi tatuaggi.
«Questo-» Indica il drago avvolto sul suo bicipite «-è per ricordarmi che devo sempre essere forte,» prende il mio polso e fa in modo che sfiori la pelle sopra la sua  giugulare, dove la rosa spinosa sembra aver piantato le radici «-questo per ricordarmi di quanto le cose belle a volte possano rivoltartisi contro,» porta le mie dita al suo fianco, decorato da lingue di fuoco nerd come pece «-e questo per ricordarmi che gli Intrepidi sono e saranno per sempre casa mia.»
Mi perdo un istante nei suoi occhi, dove oro e verde si amalgamano perfettamente in due iridi feline. Come si può non rimanerne affascinati? Se già il taglio sottile dei suoi lineamenti rendono il suo sguardo magnetico, le sue pupille verticali rendono la sua bellezza unica, di un altro mondo.
«Mi piacciono.» Commento, abbastanza imbarazzato dal breve silenzio che è calato.
«Grazie. Detto da te ha un valore speciale.» Prima che possa controbattere alla sua affermazione Magnus comincia a baciarmi la gola con fare adorante, simile ad un gatto che fa le fusa, ed io mi sciolgo totalmente sotto le sue attenzioni.


Quella sera però non accadde nient’altro: dopo un po’ Magnus mi riaccompagnò ai dormitori, sapendo perfettamente dove passare per non farci notare da occhi indiscreti.
«Beh deduco da questo silenzio che qualcosa ci sia stato, ma non vuoi raccontarmelo.» mi sfotte Jace con tono mellifluo. La mia unica risposta è una gomitata ben assestata tra le costole che lo fanno ridere e sussultare allo stesso tempo.
«Oh ti prego Jace, sta’ zitto.»



§



Tornati dalla corsa ci viene detto di andare a lavarci e prepararci in vista di un annuncio molto importante.
Mentre sento l’acqua calda della doccia e il sapone scorrermi lungo la pelle penso a ciò che accade al di fuori di questo posto: gli arresti in massa degli Eruditi si sono calmati solo apparentemente.
Sono riusciti a farsi consegnare i dati di molte persone dalle altre fazioni, riuscendo ad arrivare a molti divergenti che erano riusciti in un primo momento a non farsi scoprire: ho sentito dire che coloro che sono stati portati nella fazione degli Eruditi non abbiano più fatto ritorno a casa. 
La fazione degli Intrepidi ancora sembra resistere, probabilmente solo per il fatto che per quanto gli Eruditi si credano superiori hanno bisogno di noi più che di qualsiasi altra fazione: siamo noi che costituiamo l’organo di sicurezza in città, siamo noi ad avere la gran parte delle armi e l’addestramento necessario per utilizzarle; se cadiamo noi, in città scoppierebbe probabilmente il caos più totale.
Camille continua con la sua campagna di evoluzione e progresso, annunciando che sono già iniziati i primi veri e propri esperimenti sui divergenti. 
La sola idea di poter essere utilizzato come cavia da laboratorio mi fa rabbrividire, nonostante l’acqua calda.
Chiudo la manopola della doccia e mi avvolgo con uno degli accappatoi grezzi che ci hanno dato; fuori dai bagni comuni troviamo dell’intimo e dei vestiti puliti e ripiegati, accompagnati da un biglietto con il nome dell’Iniziato a cui sono destinati.
Mentre li indosso mi accorgo che non sono le solite divise in pelle da allenamento o combattimento, ma delle tute sportive molto semplici e morbide, rigorosamente nere.
Con la coda nell’occhio vedo passare davanti a me Jonathan, il fratello di Clary: nonostante il nostro sia nato come un rapporto di puro odio, ormai da qualche tempo sembra aver perso il piacere di infastidirci, quasi come si fosse dimenticato della nostra esistenza: forse non gli è andato giù che Jace si sia classificato primo negli allenamenti. Da una parte, meglio così.
Coi muscoli rilassati dalla doccia ci avviamo alla Torre di Controllo, dove come di consueto ci sono Tessa, Woolsey e Magnus ad attenderci.
Sento ridacchiare Clary e Jace accanto a me mentre Isabelle mi cammina davanti a passo spedito, facendo oscillare la lunga treccia di capelli corvini da una parte all’altra. 
«Iniziati» annuncia Woolsey con tono solenne. La sua voce rimbomba da una parete di pietra all’altra. «vi annuncio ufficialmente che la parte prettamente fisica della vostra preparazione è giunta a termine.»
Un brusio di voci curiose, ansiose e spaventate si leva dalla folla, ma Woolsey le zittisce con un gesto della mano.
«La prossima settimana effettuerete la simulazione che vi renderà Intrepidi a tutti gli effetti, ponendo fine alla vostra Iniziazione: a quel punto potrete considerarvi a tutti gli effetti parte integrante della nostra fazione e potrete rivolgervi a noi per trovare la vostra prima mansione, nonché ovviamente un posto dove andare a vivere.» La sua bocca si distorce in un ghigno «Sempre che non vi siate affezionati particolarmente ai dormitori.»
Il brusio di prima ritorna ancora più forte: se tutto va bene tra una settimana potremo trovare il nostro primo lavoro, un nostro primo posto in cui vivere da soli, iniziare a vivere come veri e propri adulti. Il solo pensarci mi fa girare la testa.
«Oggi pomeriggio ci sarà una simulazione di prova, in modo che voi possiate rendervi conto di cosa vi aspetta.» Prosegue Tessa «Se supererete la prova con successo non dovreste avere troppi problemi all’esame finale. Se invece non dovesse andare bene, vi invito a riflettere su come potete migliorarvi in vista del test: chi non lo supererà fallirà l’Iniziazione e diventerà un Escluso.»
«Vi aspettiamo questo pomeriggio alle sedici nella sala delle simulazioni.» Continua Magnus, le mani inanellate strette alla balaustra di ferro. «Fino a quell’ora avrete un po’ di tempo libero. Potete andare».



§



Jace e Clary hanno deciso di spendere il tempo libero che ci è stato concesso per andare a fare un giro fuori dal Quartier Generale degli Intrepidi. Probabilmente sono andati al grande mercato che si tiene ogni giorno al centro della città: ricordo quando nostra madre ci portava con lei per comprarci i vestiti e fare la spesa, c’erano persone da tutte le fazioni; verosimilmente l’unico luogo, insieme alla scuola, dove la gente non vive totalmente separata dal sistema che ci costringe a coesistere divisi tra fazioni.
Isabelle invece aveva voglia di allenarsi e si è diretta da sola in palestra. 
Io ho raggiunto Magnus nel suo appartamento non appena ci è stato dato l’annuncio della simulazione: dall’occhiata che mi aveva lanciato da lontano ho capito subito che doveva dirmi qualcosa di importante.
«La simulazione servirà per valutare se pensi e agisci come un vero intrepido.» Mi spiega, stringendo tra le dita una tazza piena di caffè e cannella. «Gli Intrepidi agiscono tutti allo stesso modo se sottoposti a questo test: perciò qualsiasi cosa bizzarra o anomala verrà notata e ti scopriranno.»
Con i gomiti appoggiati sul tavolo del suo soggiorno mi prendo la testa tra le mani,  incapace di immaginare uno scenario peggiore. In poche parole, sembra essermi rimasta una settimana di vita.
«Hai almeno una buona notizia da darmi?» 
Lui posa la tazza e si siede accanto a me, togliendomi le mani del viso per poi stringerle tra le sue. Il calore della sua pelle crea un piacevole contrasto con il freddo degli anelli che indossa.
«Non farai la prova di oggi da solo. Verrò con te.» Mi spiega, guardandomi con un’intensità tale da farmi abbassare lo sguardo. «Tessa controllerà il computer da cui farete la simulazione, e quando toccherà a te, io sarò in un’altra stanza con un computer connesso al vostro e ti spiegherò come comportarti per il test finale.»
Strabuzzo gli occhi.
«Ma questo non è giusto…ci sono anche altri divergenti qui. Perché aiutate solo me?»
Magnus scuote la testa.
«I Candidi…sempre così ossessionati dalla giustizia e dall’onestà. È vero, ci sono altri divergenti oltre a te. Ma noi non sappiamo chi siano. O perlomeno, non io. Tessa è l’unica ad avere accesso ai nostri dati sui test attitudinali degli Iniziati.»
«Perché allora non provare ad aiutare anche loro?»
«Perché?» Magnus si lascia andare ad una risata amara. «Forse perché qualcuno ai piani alti potrebbe accorgersene. Aiutare una persona è un conto, aiutarne dieci…beh, è un altro. E se qualcuno si dovesse mai accorgere che noi proteggiamo i divergenti, posso assicurarti che non passerebbe molto tempo prima di ritrovarci morti.» Si lascia andare ad un sospiro pesante. Improvvisamente sembra stanco e provato. «Quando noi eravamo Iniziati, provammo a proteggere Will. Cercammo in ogni modo di salvarlo dal test finale, e ci riuscimmo: Tessa è sempre stata estremamente brava coi computer e manomise il suo test con un virus. Will fu così colpito da quel gesto che le chiese di sposarlo, quel giorno. 
Passò qualche settimana: divenuti Intrepidi ci preparavamo a salire di grado nei ranghi della fazione, Will aveva davanti a sé un brillante futuro da capo.» Gli trema il respiro. «Poi un giorno arrivò una squadra armata di Eruditi: dissero che qualcuno aveva manomesso i loro cazzo di sistemi di simulazione perfetti per coprire un divergente. Spararono a Will senza che noi potessimo fare nulla, intimandoci che mai sarebbe dovuta riaccadere una cosa simile.» 
Il suo sguardo si sposta di nuovo su di me, spaventato.
«Tessa mi disse della tua divergenza quando le confessai di avere un debole per te. Non voleva che quella storia terribile si ripetesse.» 
Improvvisamente sento un nodo alla bocca dello stomaco, una sensazione di nausea terribile si comincia a diffondere in ogni parte del mio corpo, paralizzandomi sul posto. L’aria è diventata pesante come piombo.
«Vi prego, non fate nulla di cui poi vi pentirete. Non rischiate la vita per me, non lo sopporterei.» Ho la voce rotta. La sola idea che qualcuno rischi così tanto per me è inaccettabile.
«Alec…Alexander.» Mi stringe le mani così forte da farmi sobbalzare. «L’unica cosa di cui potrei pentirmi è di non aver tentato con tutte le mie forze di metterti al sicuro, a costo della vita.»
«E cosa avrei fatto io per meritarmelo? Eh? Cos’avrei fatto per meritarmi la tua vita?»  Nemmeno mi rendo conto di essermi alzato di scatto e di star urlando. Le lacrime cominciano a pungermi gli occhi, e l’immagine di Magnus si sfuoca davanti a me. «Preferisco morire, piuttosto che metterti in pericolo.»
Mi avvicina a sé e la sua fronte si appoggia sulla mia, i nostri petti si sfiorano. Sento il suo cuore battere all’impazzata insieme al mio, quasi come se avessero deciso di uscire dalle loro casse toraciche e raggiungersi.
«Se tu sei disposto a morire per me…» con il pollice mi asciuga una lacrima che non sono riuscito a trattenere «…allora permettimi di fare lo stesso per te.»
Nessuno mi aveva mai guardato con un’intensità simile: come se in me ci fosse davvero qualcosa di bello da ammirare, qualcosa a cui essere devoti, qualcosa da amare. 
Lo bacio con tutta l’intensità di cui sono capace, arpionandogli i fianchi e stringendolo a me; ho paura che se lo lasciassi andare svanirebbe come sabbia nel vento. La sua bocca ha ancora il sapore di cannellà e caffè, dolce e amaro che si mescolano perfettamente.
Anche lui mi stringe, così forte da farmi sentire dolore nei punti dove le sue dita affondano nei miei vestiti. 
Quando ci separiamo, riluttanti, abbiamo entrambi il fiato corto. Per quanto ne so, il bacio potrebbe essere durato pochi minuti oppure diverse ore.
«Un giorno le cose andranno meglio.» La voce di Magnus è ridotta ad un sussurro. «E quando lo faranno, ti aiuterò a trovare un lavoro qui, al Centro di Controllo. Potremmo stare insieme quanto vorremmo e tu potresti fermarti qui tutte le volte che vorrai.»
Lo guardo sorpreso, convinto che mi stia prendendo in giro: eppure dalla sua espressione nulla lascia trasparire anche solo l’ombra di uno scherzo.
«Lo…vorresti davvero?»
Le sue labbra si schiudono in un sorriso disarmante: c’è qualcosa di magico nel modo in cui il suo volto si illumina e nello scintillio dei suoi occhi ogni volta che sorride.
«Lo vorrei davvero. Potrei persino pensare di comprare un letto più grande.» 
Mi faccio sfuggire uno sbuffo divertito, e spero che lui non riesca a vedere quanto nel profondo le sue parole mi abbiano emozionato. 
«Sei davvero sicuro di volerlo fare?» Gli chiedo. 
Lui annuisce, accarezzandomi lo zigomo con le nocche.
«Sì, lo sono. Questa dopotutto è solo una prova in vista del vero test, ci sarà solo Tessa a guardarci. Il giorno della simulazione però sarai da solo e lì dovrai dare davvero il tutto per tutto, cercando di far tesoro di ciò che ti dirò oggi. Puoi farcela, ne sono certo.»
Mi lascio andare totalmente a lui, abbracciandolo e posandogli la testa sulla spalla. Lui ricambia, stringendomi forte a sé e affondando il viso tra i miei capelli: sento il suo respiro caldo sul collo e i suoi muscoli rilassarsi un po’.
«Non mi farai collegare ad un computer guasto un’altra volta per poi farmi svenire, giusto?»
Stavolta lo sento ridere davvero: vederlo felice mi crea lo stesso effetto di un raggio di sole dopo la tempesta.
«No, stupido.» Mi canzona stampandomi un bacio sullo zigomo. «Ma ti farò lavorare duramente lo stesso, anche se saremo in una simulazione: fino a prova contraria sono ancora il tuo allenatore.»



§



All’interno della piccola stanza delle simulazioni, vuota, bianca e completamente asettica c’è una poltrona reclinabile di metallo, simile a quella su cui mi sono seduto per il test attitudinale, e lì accanto c’è la macchina che già conosco. La stanza non ha specchi ed è quasi al buio. Su un tavolo, nell’angolo, c’è il monitor di un computer.
Le mani gentili di Tessa sistemano le ventose del macchinario su di me: quest’ultimo emette un bip elettronico costante e fastidioso.
Fuori dalla porta gli altri Iniziati attendono ansiosamente il loro turno.
«In questa simulazione-» comincia a spiegarmi Tessa «-vedrai alcune delle paure più comuni della gente. Te ne verranno mostrate tre, in modo totalmente casuale. Il giorno della prova però, le paure saranno le tue
Deglutisco, cercando di non far trapelare la mia preoccupazione. Stringo forte il lettino su cui sono disteso, quasi a cercare un appiglio.
«Magnus ha già fatto simulazioni simili decine di volte, non dovrai temere: saprà guidarti al meglio.» Mi porge un bicchierino con lo stesso liquido blu elettrico che mi fece bere il giorno del Test Attitudinale: da allora sono successe tante di quelle cose che sembrano passati anni. «Lui è in una stanza al piano di sopra, è già dentro la simulazione ad attenderti.» 
Bevo il siero tutto d’un fiato e lo sento scorrermi giù per la gola, infiammandola. Sembra di bere alcol puro.
Nel giro di pochi secondi il mio campo visivo comincia ad appannarsi, l’immagine di Tessa sembra fondersi con le pareti spoglie in un’unica macchia grigia indistinta.
«Grazie, Tessa.»
E questa è l’unica cosa che riesco a dire prima di perdere i sensi.


§



Quando riapro gli occhi, sento un vento fortissimo sferzarmi il viso e un rumore assordante nelle orecchie.
«Ce l’hai fatta ad arrivare!» Esclama una voce. «Cominciavo davvero ad annoiarmi!»
Metto a fuoco il mondo attorno a me, strabuzzando gli occhi un paio di volte: davanti a me si staglia Magnus, con un sorriso dispettoso sul volto.
Osservandomi intorno, noto che siamo in una specie di cabina di metallo con un’enorme porta sul cielo. Un momento .
Le pareti metalliche sono costellate di spie luminose e interruttori ed il vento imperversa così forte da costringermi a tenere gli occhi socchiusi, ma ciò non m’impedisce di realizzare con orrore che siamo in un piccolo, minuscolo elicottero.
Ci troviamo in alto, sopra tutto. È così tanto tempo che non vedo un cielo azzurro che quando compare, sopra di me, mi si ferma il respiro.
Mi sporgo leggermente dalle sue porte e vedo i palazzi della città ridotti a minuscoli frammenti di un mosaico, le strade così piccole che sembrano essere state disegnate a matita: siamo sospesi a centinaia di metri da terra e l’unica cosa che riesco a distinguere da quassù è l’enorme vetta della Torre Centrale, brillante sotto i raggi del sole.
Realizzando l’altezza a cui ci troviamo, faccio subito due passi indietro dallo spavento.
«C’è qualcuno che guida questo affare?!» Urlo, cercando di sovrastare senza successo il caos prodotto dal vento e dalle pale dell’elicottero che girano a velocità sonica.
«Ovviamente no!» Mi grida Magnus in risposta. Più che spaventato, sembra estremamente euforico di poter godere di un simile panorama. «È proprio questo il punto: dobbiamo fare subito qualcosa, oppure moriremo schiantandoci.»
Lo guardo come se fosse completamente impazzito.
«Dobbiamo far atterrare questo arnese da soli
Stavolta è lui a lanciarmi un’occhiata incredula.
«È questa la prima cosa che ti viene in mente di fare? Provare a farlo atterrare?»
Annuisco con un cenno, cercando di non sbilanciarmi troppo aggrappandomi con tutte le forze alla balaustra di ferro.
«Beh, non si può dire che voi Divergenti non siate creativi.» Commenta. «Ma ricorda che un Intrepido affronta sempre il pericolo di petto: cerca dei paracaduti e saltiamo. Se mai dovesse capitarti una situazione simile al test, ricordatelo.»
Prima ancora che possa fargli notare quanto sia folle ciò che ha detto, ai nostri piedi si materializzano due grandi zaini di tela, grigi come il resto dell’elicottero in cui ci troviamo. 
Magnus mi aiuta ad indossarlo e quando entrambi lo abbiamo saldamente ancorato sulle spalle, lui mi tende la mano inanellata in un gesto volutamente drammatico.
«Mi concedi questo volo?» La sua voce è bassa e sensuale, ma dal tono divertito. I suoi occhi brillano come stelle.
Faccio scorrere le mie dita tra le sue fino a che le nostre mani non si stringono completamente: ancora devo abituarmi al suo tocco sulla mia pelle, ad ogni contatto con lui sento i brividi.
«Beh, come posso rifiutare?»
Anche se l’altezza e la caduta sembrano terribilmente reali, tenere Magnus per mano mi da il coraggio necessario per saltare insieme a lui. 
Chiudo gli occhi e un secondo dopo mi sento volteggiare nel vuoto, avvolto solo dalla forza prorompente del vento. 
Il mondo gira attorno a me in un turbinio di colori.
Improvvisamente un flash di luce ci avvolge ed il vento, i paracaduti e la vista della città dall’alto scompaiono in un istante, dissolvendosi come nuvole.
Io e Magnus ci ritroviamo di nuovo con i piedi a terra, ancora stretti saldamente per mano. 
Dal cielo aperto passiamo ad una stanza piccola e angusta, immersa nella penombra.
Provo a fare un passo e mi accorgo che qualcosa rallenta i miei movimenti, appesantendoli: da una piccolissima botola del pavimento esce copioso un getto d’acqua che già mi ha avvolto fino alle caviglie.
Mi guardo nervosamente attorno alla ricerca di una finestra, un’uscita o una qualsiasi altra via di fuga, ma non sembrano esserci.
«Sembrerebbe che di questo passo annegheremo.» Constata Magnus. L’acqua ci è già arrivata alle ginocchia, gelida, «Non cercare vie di fuga alternative: un Intrepido usa ciò che ha a disposizione.»
Rifletto sulle sue parole, non sapendo cosa fare: non c’è nulla in questa stanza che possa tornarmi utile per fuggire o proteggermi dall’acqua.
Tutto ciò che abbiamo siamo noi e i nostri vestiti. I nostri vestiti.
Con l’acqua ormai arrivata fino ai fianchi mi immergo, cercando a tentoni la botola da cui continua a sgorgare l’acqua: mi sfilo la giacca di pelle e con tutta la forza che ho cerco di utilizzarla per bloccare il getto spingendola il più possibile contro la corrente. 
Ad un certo punto, con un rumore di risucchio sordo, la stanza smette finalmente di riempirsi d’acqua ed io ritorno a respirare. 
«Questo è decisamente un lavoro da Intrepido.» Magnus mi guarda con soddisfazione, le braccia muscolose incrociate sul petto e le lebbra arricciate in un sorriso. Sembra non avesse dubbi sul fatto che ce l’avrei fatta.
«Grazie.» Gli sorrido, leggermente compiaciuto dal risultato ottenuto. 
Provo ad avvinarmi di nuovo a lui, desideroso della sua vicinanza come un carcerato brama la libertà. 
Non faccio in tempo a raggiungerlo. 
Se fino a pochi minuti fa la stanza stava per diventare una trappola mortale d’acqua pronta ad affogarci, improvvisamente un calore insopportabile l’avvolge come una coperta.
I muri vengono inghiottiti da lingue di fuoco incandescenti, un fumo nero come pece si impossessa dell’aria.
Un’intensa fiamma esplode tra noi due con un rombo terribile, scagliandoci l’uno distante dall’altro. Il colpo che ricevo dalla caduta mi paralizza dal dolore.
«Alec!» Sento la voce di Magnus chiamarmi dall’altra parte delle fiamme, ma il fumo mi impedisce di vederlo. 
Il soffitto crolla proprio dove Magnus è rimasto ingabbiato dal fuoco, in un’esplosione di macerie, polvere, scintille incandescenti.
Improvvisamente dimentico di essere in una simulazione e lancio un urlo, forte e disperato alle mie stesse orecchie: la mia voce sembra riecheggiare all’infinito nello spazio.
Di colpo tutto scompare, dissolvendosi come sabbia nel vento: il fuoco, il soffitto, le pareti, il fumo, lo stesso pavimento sotto i miei piedi; tutto è diventato un unico, immenso vuoto bianco ed etereo. 
Magnus mi guarda sconvolto da distante, ancora disteso e tramortito da ciò che è successo.
«Come…hai fatto?» Mi domanda, osservando incredulo l’immenso vuoto in cui siamo rimasti sospesi.  
«Io…non ne ho idea.» Rispondo, scioccato almeno quanto lui. «Stai bene?»
Lo raggiungo in poche falcate e gli tendo la mano, aiutandolo ad alzarsi. Ogni rumore sembra amplificato all’inverosimile.
«Hai messo fine tu stesso alla simulazione.» Constata Magnus, guardandomi sconvolto. «Non ho mai visto nessuno fare una cosa simile.»
Deglutisco, a disagio. Il bianco di questo immenso vuoto mi acceca e mi confonde con la sua luce intensa.
«Ho avuto paura.» Ammetto. «Per un attimo mi sono dimenticato della simulazione, io…ho temuto che ti fosse successo qualcosa di terribile.»
L’espressione sul volto di Magnus si addolcisce, i muscoli del suo viso si distendono e lo sento emettere un sospiro. 
Il suo sorriso è l’ultima cosa che vedo prima che tutto intorno a me si spenga.



§



Quando riapro gli occhi mi ritrovo di nuovo sul lettino, confuso e stordito dalla simulazione.
Tessa fissa sbigottita lo schermo del computer, le lunghe gambe accavallate sullo sgabello di metallo. 
«Hai concluso la simulazione solo con la tua volontà.» Constata, facendo balzare lo sguardo da me al display. «Non credevo che fosse possibile.»
Mi lascio sprofondare sul lettino, sconsolato. Un lungo sospiro mi sfugge dalle labbra.
«Sembra proprio che con me tutto sia possibile, ormai.»
Sul viso di Tessa nasce uno strano sorriso, un misto di affetto e preoccupazione.«Beh, dopo essere riuscito a far innamorare Magnus, direi che sei davvero capace di qualsiasi cosa.»  Avvampo, distogliendo lo sguardo dall’imbarazzo. «Non l’ho mai visto sorridere così.»
Quando si alza si porta con un gesto aggraziato i lunghi capelli castani su una spalla, lisciandoli con le mani. I suoi occhi grigi mi studiano assenti: il giorno del nostro primo incontro mi disse che assomigliavo al suo defunto marito Will, e mi chiedo se sia questo il motivo più profondo che l’ha spinta ad aiutarmi per tutto questo tempo.
«Magnus è il mio migliore amico.» Sussurra. «Vi auguro davvero di essere felici e che tutto vada per il meglio.»
Le rivolgo un sorriso sincero e riconoscente. 
«Lo spero davvero.»
Mentre mi dirigo verso l’uscio della porta, l’unica cosa a cui riesco a pensare con angoscia è che tra pochi giorni un singolo maledetto test deciderà le sorti della mia esistenza. Non ho più certezze, se non che su di me aleggia un’incombente sentenza di vita o morte.
 



Dal prossimo capitolo:
Un moto di furia mi travolge, accecandomi. Prima che lui possa premere il grilletto mi getto contro Jonathan con tutto il mio corpo, scaraventandolo a terra con un tonfo sordo.
Sento la pistola sfuggirgli dalle mani e scivolare via.
«Sei un debole.» Sibila, mentre lo inchiodo al pavimento con tutto il mio peso. «Non sei riuscito nemmeno a proteggere la tua famiglia. Meriti di morire.»

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventitré ***


Note: Buongiorno! Vi sono mancata?
Non mi sembra vero di essere puntuale anche questa settimana, ma meglio così!
Questo capitolo è bello corposo e importante, quindi spero davvero che vi piaccia e che ve lo godiate.
Vi volevo inoltre annunciare che sono riuscita a recuperare il mio vecchio account di Wattpad, e che questa storia verrà pubblicata capitolo dopo capitolo anche lì! Per chi volesse, mi trovate come @AriYoungstairs.
Detto questo, non mi resta che ringraziare tutti coloro che hanno recensito e inserito questa storia nelle preferite/ricordate/seguite: il vostro sostegno mi sprona a fare sempre meglio <3
Essendo questo un capitolo cruciale, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate; detto questo, vi auguro una buona lettura <3
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventitré •


Alla fine, il terribile giorno del test finale è arrivato: quest’ultimo ormai è il protagonista di ogni mio incubo.
Ho assistito alla cerimonia di iniziazione dei Candidi tutti gli anni, prima di questo: lì, invece delle simulazioni, ti sottopongono alla macchina della verità. Tutti i giorni, tutto il giorno. 
Per il test finale ogni Iniziato deve assumere il siero della verità, sedersi davanti a tutti e rispondere ad una serie di domande molto personali: la teoria è che una volta che hai spiattellato tutti i tuoi segreti non avrai mai più il desiderio di mentire su niente.
Non so quando ho cominciato ad accumulare così tanti segreti: l’essere omosessuale, l’essere Divergente, le mie paure. Se avessi scelto di restare nella mia fazione, l’iniziazione dei Candidi avrebbe toccato parti di me che persino le simulazioni non riescono a raggiungere. Mi avrebbe distrutto.
Negli Intrepidi è tutto diverso: nel Giorno dell’Iniziazione l’intero quartiere sprofonda nella follia e nel caos: c’è gente ovunque che corre da ogni parte, beve e chiacchiera a voce altissima. 
Io e tutti gli altri Iniziati ci dirigiamo al Pozzo e saliamo il canale che porta al palazzo di
vetro. Alzo la testa verso il soffitto, ma riesco a malapena a vedere la luce del giorno perché è completamente coperto dalle suole delle scarpe degli Intrepidi.
Il calore di tutti questi corpi mi soffoca e sulla fronte mi si formano gocce di sudore. Un varco nella calca mi permette di scoprire intorno a cosa sono raccolti tutti quanti: c’è una serie di schermi sulla parete alla mia sinistra, da cui chiunque potrà vederci svolgere il test: grazie a Dio nessuno qua fuori vedrà le mie paure, ma solo le mie reazioni.
Guardando i volti intorno a me, vedo che non sono l’unico ansioso o che ha fatto fatica a dormire stanotte: Jace ha dei solchi profondi sotto agli occhi, Clary si morde le unghie a sangue e Isabelle sbatte nervosamente i tacchi degli stivali a terra.
Davanti all’enorme portone che ci separa dalla sala del test, Magnus Woolsey e Tessa aspettano che ci posizioniamo. Sembrano statue imponenti e indistruttibili. 
Woolsey poi, in quanto capo-fazione, prende la parola:
«Iniziati, questa prova è l’ultima che vi separa dall’essere Intrepidi a tutti gli effetti. Qui dentro, una simulazione vi mostrerà alcune delle vostre peggiori paure: il test sarà superato quando riuscirete ad affrontarle con successo.»
Magnus poi fa un passo avanti, mentre Tessa gli passa un piccolo carrello metallico pieno di siringhe: al loro interno, un liquido arancione fosforescente.
«Questo siero che vi inietteremo ci permetterà di accedere alle vostre menti.» Spiega. «Avete un massimo di quindici minuti per concludere il test: in caso contrario, saremo costretti a considerarlo fallito. Vi auguriamo buona fortuna, siate coraggiosi.»
Sento levarsi un coro di grida d’incoraggiamento da tutti gli Intrepidi che sono venuti ad assistere, e mai come prima d’ora mi ero sentito come carne da macello.
Sento Isabelle cercare la mia mano ed io gliela stringo, accarezzandole il dorso con il pollice: se solo sapesse quanta paura ho anch’io in questo momento, probabilmente non cercherebbe me per un conforto. 
Veniamo chiamati in ordine casuale: la prima è una ragazza di nome Miriam, alta e con la pelle color ebano. 
Vedo Magnus prendere la prima siringa e iniettarle il liquido nel collo, proprio sotto l’orecchio. 
Poco dopo essere entrata, nella sala delle simulazioni le luci si accendono mostrando Miriam che si distende sul lettino, mentre un Intrepido le sistema addosso i cavi del computer. Nella stanza, una lunga fila di poltrone ospita altri Intrepidi che si accettano che tutto avvenga secondo le regole. Stavolta non avrò né Magnus né Tessa ad aiutarmi.
Tra i numerosi televisori, quello centrale mostra il battito cardiaco di Miriam che accelera per un po’ e poi rallenta. Quando raggiunge un ritmo normale, lo schermo diventa verde e gli Intrepidi esultano: significa che le sue paure sono state superate.
Sono passati solo dieci minuti, Miriam esce tremante dalla stanza e sento la voce di Wolsey chiamare Jace.
Accanto a me, lui emette un verso strozzato e fa per avviarsi, ma lo blocco prendendolo per una spalla.
«Buona fortuna fratello.» Gli dico, guardandolo dritto negli occhi. Per la prima volta noto che non ha la sua consueta spavalderia.
Lui posa la propria mano sulla mia, stringendola in un gesto deciso: «Grazie, fratello.»
Come Miriam prima di lui, Jace riceve l’iniezione da Magnus e viene preparato per la simulazione. 
Dagli schermi lo vedo agitarsi, stringere involontariamente le dita attorno al lettino con la fronte madida di sudore e mordersi le labbra fino a farsele sanguinare. 
Dopo pochi minuti però lo schermo diventa verde anche per lui, e altre grida di esultanza si levano dalla folla: stavolta anche io, Clary e Izzy tiriamo un grande sospiro di sollievo.
Uno dopo l’altro, un Iniziato per volta, escono ed entrano da quella maledetta stanza e noi li osserviamo da fuori: un ragazzo non ce l’ha fatta ed è stato portato via con la forza.
Ha fallito e fra poco lo farai anche tu.. Scaccio questo pensiero con tutta la forza che posso: devo rimanere lucido, o rischio davvero di mandare in rovina la mia vita.
Quando anche Clary e Isabelle superano la prova, il nodo che ho alla bocca dello stomaco si allenta leggermente; quantomeno le persone a cui voglio bene ora sono al sicuro, ce l’hanno fatta: li vedo abbracciarsi con gli occhi lucidi poco distante, felici e sollevati di aver superato l’impresa. 
Jace mi fa un gesto d’incoraggiamento, ma l’ansia comincia a farsi così forte che faccio fatica a fingere un sorriso in risposta.
«Alec Lightwood.» 
Quando la voce di Woolsey arriva alle mie orecchie, spero che una voragine si apra sotto i miei piedi e mi inghiotta per sottrarmi a ciò che mi attende dall’altra parte di quella porta.
Ciò purtroppo non accade, e con passo incerto attraverso la folla.
Quando arrivo davanti a Woolsey e Magnus, lui tiene già pronta tra le mani una siringa dall’ago tutt’altro che rassicurante: da lontano non sembrava assolutamente così grande.
Lui si avvicina a me e con delicatezza mi scosta una ciocca di capelli corvini per scoprire il collo: il suo tocco è così delicato che sembra abbia paura di rompermi.
Quasi non sento l’ago affondare nella pelle, tanta è l’agitazione che mi attraversa.
Prima che Magnus estragga la siringa avvicina le labbra al mio orecchio per un solo istante, bisbigliando «andrà tutto bene».
Inspiro profondamente e cerco di non svenire: ormai è troppo tardi per tirarsi indietro.



§



Mentre l’uomo che si occupa del macchinario mi faceva stendere sul lettino, ho provato a pensare a quali paure potrei vedere nella simulazione: il risultato è stato che sono talmente tante le cose che mi fanno paura nel profondo, che ho davvero l’imbarazzo della scelta.
D’un tratto tutto il mio campo visivo si sfuoca, le palpebre diventano pesanti.
In pochi istanti tutto ciò che avevo intorno si dissolve come fumo, ed io rimango solo.
Scendo dal lettino e muovo qualche passo, titubante. 
D’un tratto di duro mi colpisce alla schiena, facendomi cadere in avanti.
A sinistra e a destra due muri della stanza si avvicinano pericolosamente, il soffitto si chiude sopra di me con uno schianto.
Istintivamente mi porto le ginocchia al petto, rannicchiandomi più che posso mentre le pareti cercano di schiacciarmi. Perdo il controllo del respiro, in panico.
Gli spazi chiusi mi hanno sempre spaventato tantissimo, sin da quando da piccolo rimasi chiuso per sbaglio nello scantinato di casa: era una stanzetta angusta, buia e polverosa.
Mia madre mi ritrovò in lacrime poco dopo, ma non ho mai dimenticato la sensazione terribile di soffocamento e ansia che provai.
Sensazione che ora è tornata, più forte e reale che mai. 
Se non sapessi di essere monitorato, potrei controllare la simulazione e far sparire tutto questo. Ma non è una strada che ora posso percorrere.
«Un Intrepido usa ciò che ha a disposizione.»
Con il cuore in gola e le mani che tremano, cerco disperatamente qualcosa che possa aiutarmi prima di rimanere schiacciato.
Tastando il pavimento sento qualcosa di metallico e appuntito. Prendendolo tra le mani, mi accorgo che sono dei grandi chiodi, di quelli che si usano per chiudere le casse. 
Cerco di infilarli nella fessura che separa il suolo dalle pareti, incastrandoli con tutta la forza che ho nelle braccia: l’avanzata dei muri sembra fermarsi, bloccata dai chiodi.
La stanza intorno a me esplode con uno schianto, sparendo.
Tiro un sospiro, consapevole di essere riuscito a superare la prima delle mie paure.
Con un flash di luce mi ritrovo in camera mia, quella in cui sono cresciuto. Una fitta di nostalgia mi attanaglia mentre riconosco ogni dettaglio: l’armadio di legno, le pareti chiare, le fotografie mie e dei miei fratelli sulla scrivania, il pallone con cui io e Jace giocavamo da piccoli nell’angolo.
L’ultima volta che ho visto questo posto è stato il giorno della Cerimonia della Scelta: sono passate solo alcune settimane, ma a me sembra una vita.
Sobbalzo quando sento degli spari provenire dal piano inferiore. 
Scatto come una molla, e uscito dalla camera mi fiondo giù per le scale con una velocità che non sapevo di avere. 
Quello che vedo appena scendo dall’ultimo gradino è così terribile che trattengo a stento un conato di vomito: le piastrelle bianche del pavimento sono inondate di sangue, i corpi dei miei familiari riversi a terra in posizioni innaturali. 
Max, Jace, Isabelle e mia madre giacciono esanimi, i loro occhi sono vuoti e senza vita.
Al centro del salotto, la figura di un ragazzo: ha i capelli bianchi come la carta, gli occhi neri e senza pietà. È Jonathan.
«Arrivi tardi.» Mi dice, avvicinandosi con sguardo folle. Ad ogni passo i suoi stivali lasciano un’impronta rossa di sangue sul pavimento. Nella mano chiusa a pugno tiene stretta una pistola, che non esita a puntarmi contro. «Li ho uccisi tutti.» 
La vista mi si appanna dalle lacrime, non riesco a trattenerle. Vedere una simile scena mi fa venire voglia di strapparmi via il cuore dal petto. 
Un moto di furia mi travolge, accecandomi. Prima che lui possa premere il grilletto mi getto contro Jonathan con tutto il mio peso, scaraventandolo a terra con un tonfo sordo.
Sento la pistola sfuggirgli dalle mani e scivolare via.
«Sei un debole.» Sibila, mentre lo inchiodo al pavimento con tutto il mio peso. «Non sei riuscito nemmeno a proteggere la tua famiglia. Meriti di morire.»
Con le mani raggiunge il mio collo e lo stringe in una morsa, tentando di soffocarmi. La gola e i polmoni mi vanno in fiamme, la sua stretta è sempre più forte.
Afferro la pistola caduta poco distante dalla sua testa, puntandogliela sulla fronte. Il metallo è così freddo che sembra ghiaccio, e il mio primo istinto è quello di lanciarla via di nuovo.
Ogni cellula del mio corpo vorrebbe opporsi a ciò che sto per fare: fino ad ora ho sparato solo a dei bersagli, mai ad una persona. 
Ma so che non ho scelta: un vero Intrepido lo farebbe senza esitazione. 
Chiudo gli occhi e premo il grilletto, sentendo il rumore della detonazione che mi esplode nelle orecchie. Le braccia di Jonathan crollano a terra con un tonfo, lasciando la presa sul mio collo. 
Torno a respirare, guardando con orrore ciò che ho appena fatto: il corpo di Jonathan giace inerme sotto al mio, immerso in una pozza di sangue.
Col respiro corto mi alzo di scatto, in preda ai brividi. Sono consapevole che questa è solo una simulazione, ma tutto sembra così dannatamente reale che è difficile distinguere ciò che è vero e ciò che invece non lo è. 
Qualcosa di caldo e viscoso comincia a scorrermi tra le dita: con orrore mi accorgo che le mie mani sono piene di sangue, e che a nulla serve provare a strofinarle sui vestiti.
«Che cosa ci hai fatto?»
È mia madre ad aver parlato, ma la sua voce giunge distorta e spaventosa alle mie orecchie. Come degli zombie, i corpi della mia famiglia si rimettono in piedi. Eppure, guardandoli, mi rendo conto che non possono essere loro: sembrano sfigurati, con le braccia piegate in strane angolazioni, bocche troppo grandi che mostrano denti aguzzi, orbite vuote. 
Qualsiasi cosa siano queste creature, hanno solo le fattezze delle persone che amo.
«I tuoi segreti…i tuoi segreti ci hanno resi così…» Stavolta è Isabelle a parlare, la voce le gorgoglia in gola. I suoi capelli, di solito lisci e lucenti, ora sembrano drappi di stoffa neri malamente strappati.
Io indietreggio, non sapendo cosa fare. Ho ancora la pistola stretta in pugno, ma non voglio usarla contro di loro, non voglio sparargli.
Sapevo che tra le mie paure non potevano mancare tutte le cose che ho tenuto loro nascoste.
Avrei voluto così tanto dire tutto, ma non avevo scelta. 
Realizzo che davanti a me non ho più la mia famiglia, bensì delle forme mostruose che impersonano tutte le mie paure, i miei segreti e i miei rimpianti.
Ma chi dopotutto non ne ha? Anche il più puro dei Candidi, probabilmente, tiene comunque nascosto qualcosa. Penso a mio padre, che pur essendosi votato all’onestà ha tradito la mamma condannandosi per sempre.
Getto via la pistola, che sbatte sul pavimento con un rumore secco e metallico.
«Non mi fate paura.» Dico, ed è vero. Un moto di coraggio mi attraversa, la mia voce si stabilizza. «Siete solo le mie parti più oscure, ma ho smesso di scappare.» 
A queste parole i mostri e la casa intorno a me si dissolvono, portando con loro il sangue che tingeva di rosso il pavimento e le mie mani.
Tiro un sospiro di sollievo, sentendomi sollevato per qualche momento. La mia tranquillità però dura ben poco.
Con un altro flash, mi ritrovo in una nuova stanza: le luci sono deboli e soffuse, le pareti color rosso scuro. L’unico mobile presente è un gigantesco letto a baldacchino, che troneggia imponente al centro della stanza.
Che significa?
«Alexander.» Riconoscerei questa voce tra altre mille. 
Un paio di braccia forti e muscolose mi abbracciano da dietro, circondandomi i fianchi.
Mi rigiro nel suo abbraccio, incrociando lo sguardo con due occhi magnetici, felini: gli occhi di Magnus. 
Lui sembra quello di sempre, con i capelli neri tenuti dal gel, la pelle ambrata e il trucco perfetto, però la sua espressione ha qualcosa di diverso rispetto al solito, qualcosa di sinistro: le sue pupille verticali mi scrutano da capo a piedi, fameliche.
Provo a scostarmi dalla sua presa ma senza successo, le sue braccia sembrano volermi tenere ancorato a lui con tutte le forze.
Non faccio nemmeno in tempo a chiedergli di lasciarmi andare che lui preme la sua bocca sulla mia, con impeto e urgenza.
Le sue dita corrono alla zip della mia giacca, abbassandola con in un unico gesto per poi togliermi l’indumento con foga e gettarlo sul pavimento. Le mie braccia rimangono scoperte.
«Magnus-» Cerco di dire, sentendo le sue mani e la sua bocca ovunque. «Magnus, fermati.»
Lui interrompe il bacio e mi stringe il mento tra due dita, costringendomi a guardarlo negli occhi: sono lucidi dal desiderio.
«Fermarmi?» Ripete. Non l’ho mai sentito usare un tono così perentorio, se non durante gli allenamenti. «Se vuoi stare con me, non potrai mai chiedermi una cosa simile.»
Oh, penso, quindi è di questo che si tratta.
È la paura di non essere alla sua altezza, di non essere nulla in confronto a tutte le persone con cui è stato in passato: più che cieco terrore, questo ostacolo mi crea un’ansia incredibile.
Cerco di pensare a come superarlo, quando le mani di Magnus corrono alla fibbia della mia cintura e la sfila, gettandola a terra insieme alla giacca. Sento le sue dita lunghe e affusolate accarezzarmi la pelle nuda sotto la maglietta, la sua bocca famelica che bacia e morde ogni centimetro del mio collo. Sono scosso dai brividi.
Magnus mi fa indietreggiare fino al bordo del letto, costringendomi a sedermici con uno spintone. 
Sento che la simulazione sta prendendo il sopravvento su di me, e la visione di Magnus di certo non mi aiuta a concentrarmi. Non ho idea di cosa fare, sento il panico stringermi lo stomaco come una tenaglia e la testa girare.
«Un Intrepido affronta sempre il pericolo di petto.» 
Le parole di Magnus mi ritornano in mente all’improvviso, e sorrido: non credo che avrebbe mai potuto immaginare che i suoi stessi consigli sarebbero stati usati contro di lui. Mi risveglio dallo stato di paura e confusione in cui ero sprofondato, realizzando che davanti a me non c’è il vero Magnus come nell’ultima simulazione ma una proiezione della mia mente, un semplice ologramma con le sue fattezze. 
Mi rialzo in piedi e con un unico movimento lo blocco tra me e la colonna in legno del letto, tenendogli stretti i polsi dietro la schiena. Dalla sua espressione sbigottita, direi che l’ho colto di sorpresa. 
«Mi dispiace-» Gli dico, sentendo finalmente placarsi il mio battito cardiaco. Quasi mi viene da ridere nel vedere la sua espressione perplessa. «-ma temo che dovremo rimandare.» 
Ed è proprio in quel momento, quando finalmente riprendo il controllo della situazione e mi oppongo a lui, che tutto intorno a me svanisce un’altra volta. 
Mi tocco il viso e lo sento rovente dall’imbarazzo per ciò che ho appena vissuto: mi sento così sciocco a pensare che questa è una delle mie peggiori paure…
Con il cuore in gola, aspetto il prossimo scenario. Provo a muovere qualche passo, ma tutto intorno a me è vuoto e buio.
Poi lo sento: qualcosa di gelido si appoggia sulla mia nuca, un cerchio freddo che mi preme sulla pelle. La canna di una pistola.
Mi irrigidisco come una statua, incapace di voltarmi.
«Alexander.» È la voce di una donna, la voce di Camille. «Dov’è la tua famiglia?»
Non so cosa voglia da loro, ma di certo vuole fargli del male; quindi rimango muto senza emettere nemmeno un fiato, immobile.
Lei spinge con più forza l’arma contro la mia nuca, ma io non mi sposto di un solo passo. Chiudo gli occhi, sento il sangue pulsare forte nelle tempie.
«Se non me lo dici, morirai.» 
Sento un suono metallico, il suono di un grilletto che sta per scattare. Non avevo mai visto la morte così da vicino, e fa paura. Fa dannatamente paura.
«Non saprai nulla da me.» La voce mi trema, ma non parlerò. Stringo i pugni così forte che sento le unghie ferirmi i palmi delle mani.
«Non hai paura di morire?» 
Si, ce l’ho. Ne ho così tanta che sento gli occhi pizzicarmi, ma non così tanta da mettere in pericolo le persone che amo. Sento il cuore calmarsi tutto d’un tratto, come se anche lui avesse accettato questo destino.
«No. Preferisco la morte, piuttosto che consegnarti la mia famiglia.» 
Il rumore di uno sparo esplode nell’aria. 
Come se mi vedessi da fuori, guardo il mio corpo cadere con un tonfo.
L’ultima cosa chriesco a percepire è il calore del sangue che comincia a impregnarmi i vestiti.
Poi, il buio. 



§



Quando riprendo conoscenza, il mio risveglio è così brusco che rischio di cadere dal lettino. 
Ho il respiro corto come se avessi corso per ore,  il sudore mi cola giù dalle tempie e la gola mi brucia terribilmente. Ho la pelle d’oca.
Intorno a me sento uno scroscio di applausi.
«Congratulazioni!» La voce dell’uomo che si occupa del macchinario riesce in parte a riportarmi alla realtà. «Hai superato il test, sei ufficialmente un Intrepido.» 
Scuoto la testa cercando di riprendere contatto con me stesso e il mondo che mi circonda: sono nella stanza del test, la platea di Intrepidi applaude. 
Sento i muscoli rilassarsi tutti insieme e mi lascio andare ad un sospiro. 
Ce l’ho fatta, è finita.
Realizzarlo mi da una scarica di adrenalina e la forza per scendere dal lettino e uscire da questo posto. 
Quando esco, ad accogliermi trovo gli applausi di tutti gli Intrepidi e gli sguardi angosciati degli altri Iniziati che ancora devono sottoporsi al test.
«Benvenuto negli Intrepidi, Lightwood.» Woolsey si congratula con me e mi fa cenno di poter andare. 
Poco distanti da lui, Tessa e Magnus mi guardano sollevati. Vedo le spalle di lui rilassarsi e accennarmi un sorriso, ma subito distoglie lo sguardo da me per iniettare il siero al prossimo Iniziato.
Non passa molto tempo prima che riesca a raggiungere Clary e i miei fratelli tra la folla: hanno dei sorrisi raggianti, gli occhi luminosi di chi vede finalmente il futuro spalancare le proprie porte.
Isabelle mi getta le braccia al collo, euforica, ed io la stringo forte a me a mia volta. 
Una sensazione meravigliosa di pace e sollievo mi si accende nel petto, scaldandomi.
«Abbiamo seguito la tua simulazione, sono così felice che ce l’abbiamo fatta!» 
Subito anche Jace mi da una sonora pacca sulla schiena a mo’ di congratulazioni, Clary sorride sprizzando allegria da ogni lentiggine. La loro allegria è contagiosa.
«Dunque ora non ci resta che scegliere cosa vogliamo fare.» Constata Izzy, passandosi una mano fra i capelli lunghissimi: anche dopo aver affrontato le sue peggiori paure, il suo aspetto è rimasto impeccabile e non ha un solo dettaglio fuori posto.
Presi a fantasticare sul futuro nemmeno ci accorgiamo che anche l’ultimo Iniziato conclude il suo test finale.
Fra le grida e gli applausi della folla, Woolsey riprende l’attenzione dei presenti riprende l’attenzione dei presenti facendo un lungo fischio.
«Intrepidi, annuncio ufficialmente concluso il test finale! In quanto capo, faccio personalmente i complimenti a tutti gli Iniziati che sono giunti fino a qui con impegno e perseveranza. Tra un paio d’ore, io e i miei collaboratori vi attendiamo alla mensa per il consueto banchetto che chiude il mese delle Iniziazioni. La classifica generale sarà presentata allora, e fino a quel momento vi invito a provare i cocktail del bar al piano superiore, perché sono davvero fenomenali. A dopo, e sempre potere agli Intrepidi!»
Poi alza il pugno in aria e la folla esplode in urla e applausi, qualcuno sbatte i piedi a terra per fare ancora più rumore.
Vedo Magnus dire qualcosa a Woolsey e lui lo liquida con un gesto disinteressato prima di andarsene, evidentemente preso da ben altri impegni.
Magnus si avvicina a noi con la solita andatura fiera, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e una linea nera a contornargli gli occhi dorati. Mi sorprende come, ogni volta che li guardo, mi sembra di rivederli per la prima volta.
«Ci tenevo a farvi i complimenti.» Ci dice sorridente. «Superare le vostre peggiori paure non è certo impresa da poco. Posso rubarvi Alec per un po’?»
«Certo, vi lasciamo da soli.» Risponde Jace malizioso circondando le spalle di Clary con un braccio, portandola via in mezzo alla folla. Isabelle li segue borbottando qualcosa sul fatto che tutto questo zucchero le da la nausea.
Magnus posa il suo sguardo su di me, ed inclina un po’ la testa in un modo che trovo adorabile.
«Che ne dici se andiamo un po’ da me prima del banchetto? Così puoi riposarti un po’ e raccontarmi com’è andata.»
Annuisco, ma a questa sua richiesta un qualcosa di sconosciuto mi stringe un nodo allo stomaco. Ignoro questa strana sensazione e seguo Magnus fuori dal palazzo di vetro.



§



Entriamo nell’appartamento di Magnus e lui si sfila le scarpe e la giacca, rimanendo con una semplice maglia nera dallo scollo a V.
«Vuoi qualcosa? Un caffè, un po’ d’acqua?» Mi chiede.
«No, ti ringrazio» Tengo le mani intrecciate davanti a me, dondolandomi sui talloni in preda ad uno strano imbarazzo. 
«Va tutto bene?» mi domanda, sfiorandomi una guancia. Fa scivolare le lunghe dita tra i miei capelli, cullando il mio viso nella mano. Sorride e mi bacia, un calore s’irradia lentamente dentro di me insieme alla paura, che vibra come un campanello di allarme nel mio petto. Non riesco a togliermi dalla testa le immagini del Magnus della simulazione che mi spoglia e mi tocca ovunque.
Con le labbra ancora sulle mie mi fa scivolare la giacca giù dalle spalle, ed io sussulto quando la sento cadere a terra e spingo via Magnus. Non so perché mi sento in questo modo, come se improvvisamente il suo tocco bruciasse.
Mi copro la faccia con le mani.
«Cosa c’è che non va?» Chiede, scrutandomi.
Mi tolgo le mani dalla faccia e lo fisso. Il dolore che leggo nei suoi occhi e l’insicurezza nei suoi lineamenti contratti mi sorprendono. 
«Io…non credo di essere all’altezza.» sussurro, cercando di essere più calmo possibile. «Non so che cosa ti aspetti da me ma….» 
«Che cosa mi aspetto da te?» ripete lui, poi fa un passo indietro e mi osserva, scuotendo la testa. «Ma di cosa parli?» 
Io sostengo il suo sguardo ma non rispondo subito. Ho un groppo sulla gola che mi rende difficile parlare.
«Tu sei stato un ostacolo nel mio scenario della paura.» Confesso, il labbro inferiore che mi trema. 
«Cosa?» Sul suo volto appare un’espressione ferita che mi spezza il cuore. «Tu hai paura di me?» 
«Non di te» confesso, mordendomi il labbro per fermare il tremolio. «Di stare con te... con chiunque, in quel senso. Non ho mai avuto una storia prima e... tu sei più grande, non so quali siano le tue aspettative e...» 
«Alexander» mi blocca lui con tono serio. «Stai parlando di sesso? È questo che ti preoccupa?» 
Annuisco, in imbarazzo. Lui sembra rilassarsi e l’espressione ferita lascia spazio ad uno sguardo comprensivo.
«Alec…so di non avere una grande fama. Ma io non ho davvero alcuna intenzione di affrettare le cose, o di spingerti a fare qualcosa per cui non ti senti pronto.» Mi bacia sulla fronte e sulla punta del naso, poi appoggia delicatamente la bocca sulla mia. Sono teso: nelle mie vene scorre elettricità al posto del sangue: non è solo paura, è anche qualcos’altro. Desiderio. 
Voglio che mi baci, lo voglio sul serio, ma ho anche paura di dove i suoi baci ci porterebbero.
«Tu mi hai fatto scoprire un amore nuovo, Alec, che vale più di qualsiasi notte di sesso con chiunque.» Continua, con gli occhi lucidi. Non l’ho mai visto così fragile e vulnerabile come in questo momento. «Ho avuto storie con tante persone, è vero. Ma nessuna di loro mi ha mai fatto sentire come te. Tu sei così…puro e sincero, in tutto ciò che dici e che fai. E anche il tuo modo di amare lo è: sei il primo a non avermi guardato come se fossi una sorta di bizzarro mostro…ma come qualcuno da amare. Tu non hai mai avuto timore dei miei occhi come tutti gli altri.»
Appoggio la mia fronte alla sua, respirando il suo respiro.
«Non capisco perché ne abbiano» sussurro dolcemente. «Io ho adorato i tuoi occhi sin dal primo giorno…non ne avevo mai visti di così belli.» 
Lui sembra profondamente colpito dalle mie parole, tanto che lo vedo socchiudere le palpebre e guardarmi con una dolcezza infinita.
«Beh…potrei dire la stessa cosa di te.» Mi accarezza uno zigomo con il pollice. «Non credevo esistesse un azzurro così intenso, fino al giorno in cui non ti ho aiutato a scendere da quella rete e tu mi hai guardato con quegli occhi blu pieni di spavento e meraviglia.»
Sento le guance andare a fuoco, e lo sguardo mi cade sulla porzione di pelle ambrata che lo scollo della maglietta gli lascia scoperto. Ho voglia di toccarlo, ma ho paura della 
sua nudità, ho paura che anche lui voglia vedermi così. Lui sembra notarlo.
«Ti sto spaventando, Alec?»
«No» gracchio, per poi schiarirmi subito la gola. «Ho solo... paura di quello che voglio.»
«Che cosa vuoi?» I suoi lineamenti si fanno tesi. «Me?» 
Lentamente, annuisco.
Anche lui annuisce, poi mi prende le mani nelle sue, con gentilezza, e me le appoggia sul suo stomaco. Gli occhi bassi, mi spinge le mani su, sopra il suo addome e sopra il suo petto, e se le stringe intorno al collo. I miei palmi bruciano al contatto con la sua pelle, liscia e calda. Ho la faccia rovente, ma rabbrividisco lo stesso, sotto il suo sguardo. 
«Un giorno» sussurra «quando vorrai, quando te la sentirai, allora potremo...» Si ferma e si schiarisce la gola. «Potremo...» 
Sorrido un po’ e lo stringo tra le braccia prima che finisca la frase, seppellendo il viso nell’incavo del suo collo, e sento il battito del suo cuore contro la guancia, veloce come il mio. 
«Anche tu hai paura di me, Magnus?»
«Sono terrorizzato.» ammette lui con un sorriso.
Ci baciamo di nuovo, e questa volta mi sento a mio agio. 
So bene come si incastrano i nostri corpi, le sue braccia intorno ai miei fianchi, le mie mani sul suo petto, la pressione delle sue labbra sulle mie.
Probabilmente, se riprovassi ora il test, dovrei affrontare una paura in meno.



§



Dopo aver passato un paio d’ore a baciarci e tenerci stretti distesi sul letto di Magnus, ci siamo diretti al banchetto. Il palazzo di vetro sembra ancora un grande formicaio brulicante di Intrepidi su di giri.
La mensa è affollatissima e Magnus mi saluta per dirigersi da Woolsey e Tessa, intenti a prepararsi all’annuncio della classifica finale.
Da lontano vedo Jace sbracciare per attirare la mia attenzione e mi affretto a raggiungere il suo tavolo, dove ovviamente ci sono anche Clary e Isabelle. 
A pranzo ci servono ogni ben di Dio, fiumi di cibo attraversano la mensa e i tavoli degli Intrepidi: dagli hamburger al pollo arrostito, dalle verdure fritte alla pizza farcita, teglie stracolme di pasta e riso con ogni genere di condimento. Le bottiglie di vino e birra sembrano susseguirsi all’infinito. 
Devo ammettere che dopo aver affrontato le nostre peggiori paure, un pranzo simile è il minimo che ci meritassimo.
Da qualche parte si diffonde un rumore stridulo, così forte che devo coprirmi le orecchie con le mani. Woolsey è in fondo alla sala, in piedi su un tavolo, che picchietta le dita su un microfono. Finita la prova audio, la sala si fa silenziosa, e lui si schiarisce la gola prima di parlare.
 «Comincia un anno nuovo e abbiamo un nuovo gruppo di Iniziati che da domani faranno ufficialmente parte della nostra società.  A loro facciamo le nostre congratulazioni.»
Alla parola “congratulazioni” la sala esplode, non in un applauso, ma in un boato di pugni battuti sui tavoli. Me li sento vibrare nel petto, e sorrido.
«Noi crediamo nel coraggio. Crediamo nell’azione. Crediamo nel superamento delle paure e nella possibilità di espellere il male dal nostro mondo, così che il bene possa fiorire e prosperare. Se anche voi credete in queste cose, vi diamo il benvenuto.»
Espellere il male dal mondo. Era una delle frasi slogan di Camille negli articoli in cui giustificava gli arresti di massa delle scorse settimane. Cerco di ignorarare lo strano presentimento che sento in fondo allo stomaco.
«Senza molti altri giri di parole, vi presento la classifica finale.»
Gli oggi di tutti si puntano sullo schermo alle sue spalle, dove ogni nome viene accostato alla foto del futuro Intrepido: Jace è di nuovo in cima alla classifica, battendo Jonathan per la seconda volta.
Da distante lo vedo battere un pugno sul tavolo dalla rabbia.
Scorrendo trovo anche il nome mio, di Izzy e di Clary: siamo tutti ufficialmente Intrepidi.
Jace e Clary si baciano in modo appassionato, mentre Isabelle mi abbraccia ridendomi nell’orecchio. Vorrei davvero che questo momento durasse per sempre.
Ma, come tutte le cose belle, purtroppo la mia allegria dura meno di quanto avrei voluto.
«Prima che andiate, c’è una cosa che dovete fare.» Annuncia Woolsey, mentre gruppo di Intrepidi entra nella mesa trasportando delle grosse casse di metallo. 
Il Capo-Fazione ne apre una e ne tira fuori una grossa siringa, piena di uno strano liquido blu. Da distante vedo che solo in quella cassa ce ne saranno almeno una ventina, tutte rigorosamente sistemate nelle proprie custodie.
«Questo è un ultimo ritrovato della tecnologia, un omaggio degli Eruditi: sono dei geolocalizzatori che ci permetteranno di trovarvi se andaste dispersi o vi dovesse succedere qualcosa.»
Magnus si volta verso di lui, un’espressione di rabbia e sospetto sul volto. Anche Tessa lo guarda confusa.
«Cosa significa questo Woolsey? Non l’abbiamo mai fatto prima d’ora.»
Lui lo squadra con la siringa ancora stretta nelle mani.
«È una decisione del tuo Capo-Fazione, Magnus. Se non vuoi obbedire puoi sempre cercare rifugio dagli Esclusi stanotte.»
Lui, messo a tacere, cerca il mio sguardo tra la folla. Sono terrorizzato.
Non posso permettermi che mi iniettino qualcosa proveniente dagli Eruditi, magari da Camille in persona, ma nessuno di noi ha scelta: disobbedire al Capo è sinonimo di tradire la propria fazione. Anche Jace Clary e Izzy si guardano tra di loro, perplessi e irrequieti.
Gli Intrepidi si dispongono in file ordinate, seppur poco convinti, pronti a ricevere ognuno la propria dose di siero. 
Vedo Magnus che con l’orgoglio ferito mostra il collo a Woolsey e lui, con un ghigno, vi fa affondare l’ago.
Deglutisco, in attesa del mio turno. 
Non sono ancora fuori pericolo.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventiquattro ***


Note: Ciao a tutti voi!
Che dire, eccoci qui con un altro capitolo.
Ho notato che la scorsa settimana c'è stato un calo nelle recensioni, spero non sia perché il capitolo avesse qualcosa che non andava...T.T
Se è così, sappiate che anche le critiche sono ben accette e di certo sarò felice di migliorarmi.
Detto questo, non mi resta che ringraziare tutti coloro che hanno recensito e inserito questa storia nelle preferite/ricordate/seguite come al solito, e di ringraziare con anticipo chi vorrà spendere 10 minuti del proprio tempo per farmi sapere cosa ne pensa.
Se quello della scorsa settimana era indubbiamente un capitolo importante, questo probabilmente lo sarà ancora di più. Buona lettura <3
P.S. Sono in piena sessione estiva e quindi non so se riuscirò ad aggiornare puntualmente la prossima settimana, probabilmente potrei slittare direttamente a inizio Giugno. Ma non preoccupatevi, perché anche se a ritmi un po' più lenti non ho alcuna intenzione di smettere di scrivere! Per chi recensirà, vi avviserò non appena aggiornerò. <3
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventiquattro •


Ciò che è accaduto quest’oggi alla mensa ha fatto discutere molto tutta la fazione, ma nessuno è riuscito davvero a opporsi. Ognuno ha ricevuto la propria dose di siero, me compreso.
Finito il banchetto sono tornato da Magnus per sapere cosa pensasse di tutta la faccenda. Il suo sguardo tradiva una preoccupazione molto seria che probabilmente non voleva dare a vedere, forse per non farmi agitare più di quanto già non stessi facendo.
«Nemmeno a me convince questa storia.» Mi ha detto, con la voce tesa. «Ma magari non è davvero nulla di cui preoccuparsi. Domani ti accompagnerò a cercare una mansione, andrà tutto per il meglio.»
Ora si è fatta notte fonda e cerco inutilmente di prendere sonno, rigirandomi tra le coperte. Questo in teoria sarà uno degli ultimi giorni che passerò qui, perché già da domani ognuno di noi comincerà a cercarsi un lavoro e un posto dove andare a vivere. Mi chiedo cosa ci attenda, là fuori.
Il filo dei miei pensieri si spezza perché sento un cigolio di reti e uno strascicare di piedi. È troppo buio per capire che cosa succede, ma quando i miei occhi cominciano ad abituarsi, vedo che Isabelle si sta allacciando le scarpe. Faccio per chiederle che cosa sta facendo, ma poi noto che, di fronte a me, Jace si sta infilando la maglietta. Sono tutti svegli, ma nessuno parla. 
«Izzy» sussurro, ma lei non si volta; allora la afferro per la spalla e la scuoto. «Izzy! Ma che fai?» 
La guardo in faccia e mi si contorce lo stomaco: ha gli occhi aperti ma vacui, i muscoli del viso rilassati. Si muove senza guardare quello che fa, la bocca semiaperta; sembra sveglia, ma non lo è.
«Jace?» chiamo, attraversando la stanza. Lui si allaccia le scarpe e non mi risponde, a nulla serve scuoterlo e urlargli nelle orecchie: anche lui è immerso in uno strano stato di trance. 
Sapevo che non ci saremmo dovuti fidare del nuovo siero degli Eruditi.
Entrambi escono dalla stanza lasciando la porta aperta, e sussulto nel vedere che fuori tutti gli altri ospiti del dormitorio si stanno avviando in fila verso il Pozzo, sincronizzati in ogni movimento.
Non posso rimanere fermo qui.
Mi allaccio le scarpe in tutta fretta, mi infilo il giubbino e corro fuori dalla camerata, inserendomi velocemente nella colonna e conformando il mio passo al loro. 
Marciamo verso il Pozzo, ma appena prima di entrarvi il capofila svolta a sinistra. Nel corridoio c’è Jonathan che ci osserva con attenzione coi suoi occhi neri, imbracciando un fucile dal grosso calibro. 
Lui sapeva tutto? Cosa ci fa lì? Perché neanche lui è sotto l’effetto del siero?
Il cuore mi martella nel petto: tengo gli occhi puntati di fronte a me, cercando di imitare il loro sguardo assente, concentrandomi sul ritmo dei piedi. La tensione è insopportabile mentre gli sfilo davanti, ma lui per fortuna sembra non accorgersi di nulla.
Saliamo una rampa di scale e proseguiamo allo stesso ritmo per quattro corridoi, ed io cerco di mantenere questo ritmo di marcia costante fino a che qualcosa -anzi, qualcuno- viene a sbattermi contro la schiena: è Clary, con i capelli rossi raccolti in una crocchia sopra la testa e lo sguardo spaventato.
Nemmeno lei è sotto l’effetto del siero, lo vedo dal modo in cui i suoi occhi verdi guizzano da una parte all’altra del corridoio in cerca di aiuto. 
Io solo per un secondo le prendo il polso e l’aiuto a rimettersi in riga, sperando che nessuno ci abbia notati. Lei capisce che anch’io sono ancora cosciente e si riposiziona dietro di me, sussurrandomi un “grazie” che a malapena riesco ad udire.
 L’ultimo corridoio immette in un’enorme caverna dove si è già raccolta una moltitudine di Intrepidi.
Su alcuni tavoli allineati ci sono degli oggetti scuri radunati mucchi di fucili e pistole di ogni calibro. Woolsey ieri ha ordinato a tutti gli Intrepidi di sottoporsi all’iniezione, per cui ora l’intera fazione è in stato di morte cerebrale, ubbidiente e addestrata per uccidere come dei soldati perfetti. 
Rabbrividisco. 
Prendo una pistola, una fondina e una cintura, imitando Jace che è proprio davanti a me. Cerco di copiare i suoi movimenti, ma non riesco a prevedere che cosa farà, così finisco per brancolare più di quanto vorrei. Accidenti. Posso solo sperare che nessuno mi stia tenendo d’occhio. 
Una volta armati, rimaniamo fermi nella grotta disposti in file perfette. Sento il respiro corto di Clary dietro di me; vorrei davvero poter fare qualcosa per aiutarla, per aiutarci, ma non posso. 
Woolsey intanto cammina disinvolto tra di noi, lo sguardo soddisfatto e un ghigno dipinto sul volto. Sembra un artista che ammira la sua più grande opera.
Jonathan ci raggiunge nella grotta, ma stavolta non è solo: con lui c’è un gruppetto di ragazzi che hanno svolto con noi l’Iniziazione, e lui li esorta a camminare puntandogli il fucile contro: nei loro volti leggo solo paura e terrore, le loro braccia tenute alzate sopra la testa tremano; anche loro sono ancora coscienti.
«Oh, vedo che ci sono diversi Divergenti tra noi.» Constata Woolsey. «È un vero peccato che non possiate assistere al grande progetto che gli Eruditi hanno in serbo per questa città: la pulizia totale da quelli come voi e una nuova razza umana, più potente, che sarà finalmente capace di vivere fuori da queste mura.»
Per la prima volta riconosco Woolsey per quello che è: un Erudito travestito da Intrepido, un genio oltre che un sadico, un cacciatore di Divergenti.
Voglio scappare.
«Che ci faccio con loro Woolsey?» Chiede Jonathan.
«Credo che Camille ne abbia già parecchi nei suoi laboratori, e loro sanno troppe cose. Falli fuori.»
L’esplosione degli spari rimbomba all’interno della grotta, ed io faccio appello ad ogni fibra del mio essere per non sobbalzare o trasalire. I corpi dei Divergenti cadono a terra con dei tonfi macabri, sul pavimento di pietra comincia a scorrere lento il loro sangue scuro.
Ricaccio indietro le lacrime. 
Quindi solo i Divergenti sono immuni al siero degli Eruditi. Ciò significa che anche Clary allora…
Con la coda nell’occhio vedo Woolsey e Jonathan avvicinarsi ad una persona poco distante da me: è un ragazzo alto, capelli neri, pelle ambrata…è Magnus. Anche lui si è armato fino ai denti e se ne sta in piedi, immobile. I suoi occhi sono vitrei e spenti. 
«Davvero non ci vedono? E non ci sentono?» chiede Jonathan.
«Oh, vedono e sentono tutto. Solo che non elaborano quello che succede» gli spiega Woolsey. «Ricevono i comandi dai nostri computer attraverso i trasmettitori che gli abbiamo iniettato e li eseguono, ininterrottamente.» Mentre lo dice gli preme un dito sul collo, per mostrare a Jonathan il punto dell’iniezione. 
Ogni cellula del mio corpo vorrebbe saltargli addosso, urlargli contro di lasciarlo stare e di non toccarlo, ma un solo passo falso mi porterebbe a morte certa.
Woolsey poi prende il mento di Magnus tra due dita e gli osserva il volto, studiandolo.
«Sai quello che ha fatto tuo padre è strabiliante, Jonathan. Essere riuscito a combinare un umano con il DNA animale…straordinario.» 
Mi piange il cuore nell’udire queste parole: stanno parlando di Magnus come se non fosse altro che un esperimento da laboratorio. Clary dietro di me trasale, sentendo nominare suo padre.
«E presto con i Divergenti le sue ricerche finalmente potrebbero portare ai risultati sperati.» Continua Jonathan. «Era da anni che dalla prigione mio padre aspettava questo momento. Finalmente lui uscirà e il Circolo verrà rifondato.»
Sento un brivido corrermi giù per la schiena: vogliono prendere il potere sulla città e continuare il loro folle progetto. 
«Ora non ci resta che distruggere il Parlamento degli Abneganti. Fatto quello, tutto il potere ricadrà sugli Eruditi e le altre fazioni, senza armi e senza esercito, non potranno fare nulla.»
Entrambi si avviano fuori dalla grotta e il gruppo li segue meccanicamente. 
Io e Clary, ormai fuori dal campo visivo di Woolsey e Jonathan, ci guardiamo sconvolti.
«Mio padre…» sussurra lei, con le lacrime agli occhi. «Non riesco a credere che dopo tutti questi anni voglia ritentare quella strada…né che mio fratello lo stia aiutando.»
«Ed io non riesco a credere che la fazione degli Intrepidi sia stata corrotta e soggiogata in questo modo.» Rispondo. «Ora però sbrighiamoci, se qualcuno si accorge che siamo rimasti indietro…»
Non faccio in tempo a finire la frase che vedo una figura femminile uscire dalla penombra del corridoio: è Tessa, con i lunghi capelli castani raccolti in una treccia dietro la schiena e gli occhi color metallo che sembrano ardere di rabbia ed energia. Tiene una pistola nella cintura e un’altra tra le mani, pronta ad essere utilizzata.
«Speravo che qualche altro Divergente fosse stato abbastanza furbo da non farsi scoprire.» Ci dice, e sposta lo sguardo sul gruppo di cadaveri a terra. «Se vogliamo tentare di sopravvivere e fermare questa follia, ho bisogno che veniate con me.»



§



Tessa ci guida in alcuni cunicoli sotterranei in cui non ero mai stato prima d’ora. Sono così stretti e angusti che siamo costretti a camminare in fila uno dietro l’altro.
«Non sapevo che anche tu fossi una Divergente.» Le dico, stando attento a non sbattere la testa sul soffitto. 
«Beh, allora sono stata brava a non farmi scoprire in questi anni…» ride, ma senza alcuna allegria. «Ma vedi, la mia divergenza è molto debole, a malapena percepita dai Test Attitudinali. È comunque sufficiente però affinché il siero degli Eruditi non abbia effetto su di me.» 
«Ma che cosa vogliono da noi? Perché ci ritengono così pericolosi?» Chiede allora Clary. 
«Ogni fazione condiziona i suoi membri a pensare e agire in un certo modo. La maggior parte delle persone si adegua e per chi detiene il potere questo è un grande vantaggio. Ma le nostre menti si muovono in dieci direzioni diverse. Noi non possiamo essere confinati in un solo modo di pensare, e questo terrorizza chi è comando. Significa che non possiamo essere controllati. Significa che qualunque cosa facciano, noi creeremo sempre problemi.» 
«E questa storia degli esperimenti? Della nuova razza umana e del vivere fuori dalle mura?» Domando.
Tessa esita qualche secondo prima di rispondermi, mordendosi le labbra. 
«Su questo non sono sicura, ma girano voci tra i capi-fazione, voci sul perché esistano le mura a proteggerci: secondo alcuni, là fuori la guerra è finita da un pezzo. E l’unico motivo per cui siamo qui è perché là fuori non saremmo in grado di sopravvivere per ciò che rimane di quel conflitto, e quindi dovremmo evolverci per farlo…o qualcosa di simile.»
Storia delle fazioni è una di quelle materie che a scuola tutti abbiamo studiato a perfezione: secoli fa un terribile conflitto avrebbe sconvolto il pianeta, ed i nostri antenati si sarebbero chiusi in questa città e divisi in fazioni per sopravvivere e mantenere la pace tra la gente. A scuola ci dicevano anche che fuori dalle mura il conflitto continua, ed è per questo che è molto più sicuro rimanere al loro interno. 
«Quelli del Circolo-» continua lei «-credevano fermamente a queste storie. Dicevano che se loro avessero guidato la città, sarebbero riusciti a farci evolvere per tornare a vivere fuori. Ciò che però non dicevano, erano i terribili esperimenti che eseguivano su adulti e bambini, di cui la maggior parte erano letali.»
Io e Clary ci lanciamo uno sguardo sconvolto e colpevole: i nostri genitori hanno fatto parte di una terribile organizzazione di scienziati criminali e senza scrupoli, e forse nemmeno quando lo siamo venuti a scoprire per la prima volta ci rendevamo davvero conto di quanto gravi fossero le loro colpe.
«Un giorno, da quel che so, una spia degli Abneganti rivelò loro che qualcuno della sua fazione nascondeva un manufatto molto importante, che provava un legame tra i Divergenti e la vita fuori dalle mura: loro non arrivarono mai a quel manufatto, ma se prima i Divergenti erano solo soggetti pericolosi da eliminare per mantenere l’ordine, ora sono diventati anche un interessante oggetto di studio per le loro teorie evoluzionistiche. Il vecchio Circolo venne sciolto perché molti dei loro membri si pentirono e voltarono le spalle al loro fondatore, ma a quanto pare Valentine Morgenstern ha trovato dei nuovi adepti per continuare i suoi folli piani, tra cui Camille e suo figlio Jonathan.»
Vedo Clary asciugarsi velocemente una lacrima con il polsino della giacca, mentre io mi appello a tutte le mie forze per non cedere ai conati di vomito che mi stanno scuotendo lo stomaco.
Mi chiedo se Tessa sappia che noi siamo i figli di quelle persone così folli e crudeli da macchiarsi di simili orrori.
«E noi ora cosa possiamo fare? Magnus, Jace e Isabelle sono controllati…non possiamo abbandonarli.»
«Non li abbandoneremo.» La voce di Tessa è sicura, i suoi occhi non tradiscono il minimo tentennamento. «Ho origliato i loro piani mentre ero nascosta: Jonathan e gran parte degli Intrepidi andranno dagli Abneganti, per rovesciare il Parlamento ed entrare in possesso del misterioso manufatto tanto desiderato dal Circolo. Woolsey e alcuni altri invece andranno alla Centro di Controllo degli Eruditi, per proteggere Camille e aiutarla nel caso dovesse servire. Se riusciamo ad intrufolarci, potremmo disattivare i computer che controllano gli Intrepidi e salvare la Fazione degli Abneganti da un bagno di sangue.»
«Quel posto sarà una fortezza.» Constato. «Come faremo ad entrare e ad arrivare a Camille?»
Lei si volta e mi sorride, un sorriso dall’aria malevola e dispettosa.
«Non preoccuparti di questo…ho i miei assi nella manica.» 



§



Ora che ci penso, l’ultima volta che io e Clary abbiamo camminato armati fianco a fianco è stato alla gara a squadre dell’Iniziazione: quella volta però le pistole erano finte, e c’era un che di divertente e adrenalinico nel prendere parte ad una simile caccia al tesoro; questo però non è un gioco, ed in ballo c’è molto di più che una manciata di punti: ci sono le nostre vite e quelle di tutti gli altri che abitano questa città. 
Camminiamo fra questi cunicoli bui per quelle che sembrano ore, senza mai fermarci.
A parte qualche grosso topo che si diverte a scorrazzarci tra i piedi, noi siamo probabilmente i primi a passare di qui dopo molto tempo.
«Siamo arrivati.» Tessa blocca la sua camminata fermandosi sotto una grata di ferro, dalla quale proviene una fredda luce al neon.
Lei mi fa cenno di aiutarla e insieme spingiamo con le mani le sbarre, fino a che queste non si staccano dal soffitto con un clangore metallico.
«Questa botola porta agli archivi sotterranei del loro Centro di Controllo. Tenetevi bene strette le pistole e siate pronti a usarle.»
Deglutisco, l’immagine di me che sparo a Jonathan mi ritorna in mente e mi colpisce come un pugno: non voglio uccidere, non voglio versare sangue. Ma oggi potrei non avere scelta. 
Allungando le braccia riesco a sollevarmi sin fuori dalla botola, per poi aiutare Clary e Tessa a salire a loro volta. 
Gli archivi degli Eruditi sono di dimensioni immense, ci sono scaffali stracolmi di grossi volumi che arrivano sin sopra al soffitto, simili a delle torri. 
Dal silenzio tombale sembra non esserci nessuno, così Tessa dopo essersi guardata attentamente intorno ci fa segno di accelerare il passo, e noi la seguiamo nel dedalo di scaffali. 
Un rumore di passi improvviso blocca la nostra corsa.
Tessa si acquatta dietro un muro di libri, la pistola stretta tra le mani. Per quanto un po’ riluttanti, io e Clary la imitiamo e ci mettiamo in posizione di attacco.
Quando la figura di un ragazzo ci appare davanti, non passa più di un istante prima che Tessa riesca a buttarlo a terra bloccandolo con uno stivale sulla gola, la pistola carica puntata contro di lui.
«Ti prego non uccidermi-» Implora lui con la voce strozzata. La caduta gli ha fatto scivolare via gli occhiali dal viso, mostrando due grandi occhi castani ora pieni di panico. «-non ho fatto niente, lo giuro...»
«Tessa aspetta!» Grida Clary, facendole togliere il piede dalla sua gola. Lui tossisce, senza fiato. «Simon…»
«Clary?» Lui la guarda incredulo, riinforcandosi gli occhiali sul naso. Quindi è questo il famoso Simon di cui lei mi ha tanto parlato? «Clary, cosa ci fai qui? Per Dio, ti uccideranno!»
«Sono qui per liberare il mio ragazzo e i miei amici.» Risponde lei, lo sguardo pieno di rabbia e rancore. «E per impedire un massacro che VOI avete organizzato!»
«Clary ti prego, posso spiegarti.» Lui le posa le mani sulle spalle, ma lei si ritrae bruscamente a quel contatto. «Quel giorno che sei venuta a trovarmi, sapevo che stavano organizzando qualcosa di brutto…ma mai avrei immaginato una cosa simile. Se ti ho mandata via è stato solo per proteggerti, se qualcuno mi avesse sentito anche solo accennarti qualcosa, ci avrebbero fatto fuori entrambi. Ti prego, devi credermi. Appena ho saputo di ciò che sta accadendo, sono venuto quaggiù da solo perché non riesco a sopportare tutto questo.»
Dal suo sguardo sembra sincero; inoltre, il suo viso ha dei lineamenti così puliti e da bravo ragazzo che si direbbe difficile che lui possa contribuire all’organizzazione di un simile orrore.
Anche Clary sembra credergli, e rilassa un po’ la postura.
«Simon, tu conosci bene questo posto. Come possiamo arrivare a Camille?»
Simon sembra titubante, ma poi china la testa in segno di assenso. I capelli castani gli ricadono sulla fronte nel movimento, coprendogli in parte gli occhi.
«Beh…un modo ci sarebbe. Posso guidarvi io fino ai piani alti, ma arrivati davanti alle schiere di Intrepidi temo che dovrete cavarvela da soli.»



§



Il piano di Simon, per quanto bizzarro, è indubbiamente brillante.
Lui cammina spedito davanti a noi, mentre io, Clary e Tessa lo seguiamo a distanza di sicurezza, fingendoci tre soldati sotto l’effetto della simulazione.. 
Simon, essendo un Erudito, sa perfettamente quali scale e quali corridoi farci percorrere per incontrare meno gente possibile. Anche se, considerato il caos di gente vestita di blu che si sposta a ondate fra le varie stanze, nessun angolo di questo posto può dirsi tranquillo. 
Ci sono anche alcuni Intrepidi che vagano imbracciando le armi, pronti ad eseguire qualsiasi ordine gli venga trasmesso: gli sfiliamo davanti con gli sguardi vuoti, senza che loro si accorgano di nulla.
Di tanto in tanto ci sono dei televisori alle pareti di vetro, che stanno trasmettendo ciò che accade nella fazione degli Abneganti: gli Intrepidi marciano sulle loro case e sparano a chiunque mostri un minimo di resistenza, l’edificio del Parlamento che costituisce il cuore della fazione è in fiamme. Per le strade ci sono già diversi cadaveri di persone vestite in semplici abiti grigi, che sembrano quasi confondersi con l’asfalto.
Alcuni Eruditi si radunano davanti ai televisori perplessi, altri spaventati, altri ancora esaltati, e commentano le scene ad alta voce.
A quanto pare non tutti sono a conoscenza dei folli piani di Camille e del nuovo Circolo.
Seguiamo Simon fino ad un grande ascensore di vetro, le sue porte si chiudono all’istante davanti a noi e comincia la salita verso i piani più alti con un rumore meccanico.
«Non so cosa potreste trovare lassù.» Ci dice Simon, con un sospiro. «Ma mi auguro davvero che ce la facciate…non so usare le armi, perciò se volete vi aspetterò fuori e vi aiuterò a fuggire se servisse.»
Clary lo guarda e gli accenna un sorriso.
«Grazie, Simon.»
Dopo alcuni minuti le porte dell’ ascensore si aprono con uno scatto, mostrandoci un lungo corridoio di piastrelle bianche. Non ci sono finestre, quadri, o qualsiasi oggetto che possa far sembrare questo luogo meno asettico. Sul soffitto si intervallano una dopo l’altra delle fredde luci al neon che hanno un che di spettrale.
Appena accanto all’ascensore, una porta a pressione mostra un cartello rosso con scritto “uscita di emergenza”: Simon la spinge e si piazza al suo esterno, dove una lunga serie di scale metalliche si srotola giù dalla torre fino al pian terreno. 
«Vi aspetto qui.» Ci dice, tenendo aperta la porta. «Buona fortuna.»
Io Tessa e Clary ci incamminiamo lungo il corridoio, silenzioso in modo quasi surreale. I nostri respiri pesanti e gli stivali che battono sul pavimento sono gli unici suoni percepibili.
Proseguiamo dritti senza svoltare nemmeno una volta, fino a ritrovarci davanti ad un grande portone bianco. Due Intrepidi lo sorvegliano, entrambi armati di coltelli nelle cinture e fucili tra le braccia.
«Chi va là? Chi siete?» Ci intima uno di loro, un uomo robusto dalla pelle scura: non sono sotto effetto della Simulazione, devono essere di quella parte di Intrepidi che si è lasciata corrompere.
Noi non gli lasciamo tempo di capire cosa sta succedendo ed estraiamo le armi, cogliendoli di sorpresa: non si aspettavano certo che tre Divergenti armati riuscissero ad arrivare sin quassù con l’aiuto di un Erudito.
Tremo mentre premo il dito sul grilletto, il cuore mi batte così forte che sento il sangue rimbombarmi nelle orecchie.
Il portone alle loro spalle si tinge di rosso e i loro corpi si accasciano sulle piastrelle del pavimento. Prima di morire, uno dei due riesce a far partire un colpo.
Vedo Clary chinarsi a terra con un verso di dolore: il proiettile l’ha presa di striscio sulla gamba destra, una macchia di sangue comincia ad allargarsi sulla stoffa dei suoi pantaloni scuri.
«Clary, stai bene?» Le chiedo, guardandole la ferita. Non sembra grave, ma lo sparo le ha portato via una parte considerevole di pelle sopra al ginocchio.
«Sto bene.» Mi risponde, tentando di rimettersi in piedi e fare un passo in avanti. Il dolore la fa gemere e contorcere il viso in una smorfia.
«Dovresti tornare da Simon.» Le consiglia Tessa. «Se dovessimo combattere saresti troppo vulnerabile così.»
«Ma io…» prova a protestare, ma anche lei è consapevole che in questo stato rischia solo di mettersi più in pericolo. Scuote la testa. «D’accordo. State attenti, vi prego.»
Con un po’ di fatica la vediamo tornare indietro, zoppicante. Non ho dubbi che se fosse rimasta con noi avrebbe combattuto con tutte le sue forze, ma con quella gamba si sarebbe soltanto esposta troppo al pericolo.
Io e Tessa ci voltiamo verso il portone bianco, bloccato da quella che sembra essere una serratura ad impronta. E adesso?
Quasi come a rispondere alla mia domanda, le ante dell’ingresso si aprono, rivelando un uomo dei capelli color sabbia e gli occhi verde petrolio. È Woolsey.
 «Bene bene» ci dice, mentre il portone si richiude subito alle sue spalle. «Ho sentito degli spari, a quanto pare non ci avete messo molto a fare fuori questi buoni a nulla di Intrepidi.»
Io e Tessa teniamo le pistole alte davanti a noi, pronti a qualsiasi cosa.
«Woolsey, ferma questa follia.» Gli dice Tessa. «Come hai potuto tradire la tua fazione? Tradire noi?»
Lui la guarda criptico, preparando a sua volta la pistola.
«A volte sono necessari dei sacrifici. Il sacrificio di pochi per il bene di molti.» Risponde, con la voce piatta. Nel suo sguardo calmo c’è qualcosa di folle, di disumano. «E se questo significa uccidere i miei cosiddetti amici…beh, l’ho già fatto e lo rifarò ancora.»
Qualcosa di gelido cala nell’aria. Gli occhi di Tessa si sbarrano, la vedo boccheggiare.
«Cosa significa che l’hai già fatto?»
Lui ride, una risata che mi mette i brividi. 
«Will era una grande palla al piede. Se non l’avessi fermato, lui sarebbe diventato capo-fazione e il piano del Circolo sarebbe andato in fumo.» La sua bocca si distorce in un ghigno. «Devo ringraziarti: se non ci fossi stata tu con quel trucchetto del computer, non avremmo avuto la scusa perfetta per farlo fuori.»
Tessa lancia un grido e si scaglia su di lui con tutte le sue forze, buttandolo a terra prima che lui possa capacitarsene. Io provo a prendere la mira, ma nella loro colluttazione rischio di colpire anche lei. I loro corpi si aggrovigliano sul sangue già versato delle due guardie.
«Tu!» La sento gridare, un grido che sa di disperazione e rabbia cieca. La pistola le è scivolata via e con le mani stringe il collo di Woolsey fino a strangolarlo, il viso rigato dalle lacrime. «Tu mi hai portato via tutto…»
Un attimo. Solo un attimo in cui Woolsey riesce ad estrarre un coltello dalla cintura, conficcandolo nel fianco di Tessa. Lei sbarra gli occhi, un urlo muto le esce dalla bocca.
La vedo cadere su un fianco, il sangue che le esce copioso dalla ferita.
Ora che sono distanti, posso colpire Woolsey: con un solo colpo di pistola gli trapasso la testa da parte a parte, il suo corpo sobbalza, per poi rimanere immobile sul pavimento. Reprimo l’istinto di vomitare, nel vedere il suo volto completamente deturpato dal proiettile.
Mi affretto a soccorrere Tessa, le tolgo il coltello dal fianco e inorridisco: la ferita è profonda, sta perdendo troppo sangue. 
«Alec, vai avanti.» Mi dice, con un filo di voce. «Non c’è più nulla da fare per me…»
Sento le lacrime scorrermi sul volto senza controllo, la gola mi brucia.
«Tessa, non posso lasciarti qui…»
«Non devi preoccuparti…» mi rivolge un sorriso triste, i suoi occhi si stanno spegnendo. «Ora che Will ha avuto vendetta…posso raggiungerlo, e riposeremo in pace. Salva anche gli altri…liberaci. Sii coraggioso.»
Queste sono le sue ultime parole. Cerco di controllare i singhiozzi, senza riuscirci. Con delicatezza, le chiudo gli occhi e le metto le mani sul ventre. 
Cerco di riprendere il controllo sul mio corpo, non posso rimanere qui: ho ancora una missione da compiere, ed il sacrificio di Tessa non può rimanere vano.
Il portone, ormai ricoperto di sangue, è ancora sigillato. Sulla parete a fianco un display luminoso raffigura la sagoma di una mano.
Con un nodo allo stomaco prendo il braccio di Woolsey, rimasto piegato in una maniera innaturale, e lo sollevo facendogli premere la mano ormai gelida sullo schermo.
Con un suono elettronico il portone si apre ed io lascio immediatamente il suo cadavere, con ribrezzo.
Quando entro tengo la pistola salda davanti a me: nella sala, un’intera parete è tappezzata da schermi e televisori: mostrano gli Intrepidi che puntano le armi contro gli Abneganti, chinati in ginocchio con le mani alzate. In un frame di pochi secondi intravedo Jace e Isabelle, entrambi con le armi pronte a sparare.
Al centro della stanza, una donna bionda avvolta in un tubino blu è intenta ad armeggiare con una tastiera: le sue unghie lunghe e smaltate fanno rumore ogni volta che preme un tasto.
«Woolsey, cos’era quel baccano?» Chiede, voltandosi verso di me. È Camille, con il consueto rossetto color sangue e gli occhi verdi malefici. «E tu cosa ci fai qui?»
«Blocca la simulazione. Ferma questa follia.» Le intimo, puntandole contro la pistola. 
Lei sbuffa, indispettita.
«Sapevo che gli Intrepidi non sarebbero stati all’altezza di liberarmi da certe scocciature.» Constata, poi arriccia le labbra in un sorriso malevolo. «Fortunatamente, mi sono scelta una buona guardia del corpo.»
Prima che riesca a capire a cosa si riferisca, qualcuno compare alle sue spalle, da dietro l’angolo della parete: vestiti da Intrepido, orecchie costellate da piercing, occhi da gatto.
È Magnus.



§



«Non ho tempo da perdere con te.» Mi dice Camille, rivolgendomi poi un sorriso sadico. «Ma sarà divertente vedere il tuo fidanzatino ucciderti…quando l’avrà fatto lo libererò dalla simulazione, per fargli vedere la sua opera: sarà una punizione più che sufficiente per essersi messo contro di me.»
Lei poi gli fa un cenno e mi indica, tornando ad occuparsi dei suoi computer.
«Getta la pistola» mi ordina Magnus, puntando la sua arma contro di me. La sua voce è completamente atona, i suoi occhi spenti e senza la loro consueta luce ad illuminarli.
«Getta la pistola» ripete «o sparo.»
Poso la pistola a terra, ai miei piedi.
Una vocina nella mia testa mi ripete che non può sentirmi, non può vedermi, non mi riconosce. Le lacrime premono dietro i miei occhi. Non posso rimanere qui e lasciare che mi spari. 
Corro verso di lui e gli afferro il polso. Sento il guizzo dei suoi muscoli mentre preme il grilletto e sposto la testa appena in tempo: la pallottola si conficca nel muro dietro di me, sfiorandomi di striscio la spalla. Rimango senza fiato, un dolore bruciante si irradia dalla ferita a tutto il corpo; gli do un calcio nelle costole e gli torco il polso più forte che posso, disarmandolo.
Non posso battere Magnus in un corpo a corpo, questo già lo so, ma devo distruggere il computer e fermare Camille. Mi tuffo per prendere l’arma, ma prima di riuscire a raggiungerla, lui mi afferra e mi allontana con uno strattone. 
Per un istante incontro i suoi occhi dorati, prima che mi sferri un pugno alla mascella, facendomi girare la testa. Con un colpo di tallone allontano la pistola per non fargliela prendere e, ignorando il dolore al viso, gli do un calcio allo stomaco. 
Magnus mi afferra il piede e mi trascina a terra, facendomi cadere sulla spalla, il dolore mi annebbia la vista. Allungo il braccio per prendere la pistola, anche se non so che cosa me ne farò. Non posso sparargli, non posso sparargli, non posso. 
Lui è là dentro da qualche parte. 
Mi afferra per i capelli e mi tira su a forza. Io allungo il braccio e gli stringo il polso, ma lui è troppo forte e mi sbatte con la schiena contro il muro. La pistola mi cade dalle mani.
«Magnus» lo chiamo. La testa mi pulsa, mentre lui con le mani riesce a raggiungermi il collo e a stringervi la sua presa. Mi manca l’aria.
«Magnus, per favore.» Lo sto implorando, con la voce strozzata. Sono patetico, le lacrime mi bagnano le guance roventi. «Per favore. Riconoscimi.» 
Lui  stringe ancora di più la presa, stritolandomi la trachea. Le lacrime si sono fermate e l’aria è fredda sulle mie guance, mentre allungo un braccio e gli appoggio la mano sul petto per sentire il battito del suo cuore: batte ad un ritmo lento e costante, bizzarro per chi ha appena concluso una lotta. 
Non avrei certo pensato di morire così, strangolato dall’unica persona per cui abbia mai provato dei sentimenti.
Ci deve essere qualcosa, qualsiasi cosa che possa fare per risvegliarlo. Preso dallo sconforto, tutto ciò che riesco a fare è mettergli una mano dietro la nuca, avvicinarlo a me con le poche forze che mi rimangono e posare le labbra sulle sue.
Probabilmente non servirà a nulla, non sarà mai sufficiente a svegliarlo; almeno, l’avrò baciato per un’ultima volta prima di morire.
Poi però succede qualcosa, sento le sue mani allentare gradualmente la presa dalla mia gola. Boccheggio, di nuovo in grado di respirare, sentendo finalmente i polmoni riprendere aria.
Magnus strabuzza gli occhi un paio di volte, scuotendo la testa. Il suo sguardo è di nuovo acceso, i movimenti non più meccanici. Le sue mani si appoggiano sul mio petto, tastandomi, quasi come ad accertarsi che io sia realmente qui.
«Alec…» sussurra, la sua bocca ancora vicino alla mia «…sei davvero tu?»
È di nuovo lui, è il Magnus che conosco. Ha la faccia e la nuca madidi di sudore; il suo corpo trema e la mia spalla è in fiamme per il dolore, ma non m’importa.
Poi si scosta e mi guarda, le sue dita mi sfiorano la fronte, le sopracciglia, le guance, le labbra.
«Sì, sono io.» Gli rispondo, ancora incredulo. «Come hai fatto?»
«Io…non lo so. Ero in una simulazione che sembrava infinita, e poi…ho sentito la tua voce.»
Mi appoggia una mano sulla spalla ferita ed io gemo dal dolore. Lui sbianca e sbarra gli occhi, agitandosi.
«Sei ferito.» Constata. «Sono…stato io?»
Non faccio in tempo a rispondergli, che dietro di lui vedo Camille avvicinarsi con un coltello stretto in pugno. Ha lo sguardo folle, i denti digrignati.
«Spostati!» Gli urlo, spingendolo da un lato. 
Magnus rotola a terra, il coltello di Camille colpisce la parete con un clangore metallico. Nel farlo però la lama colpisce di striscio la mia ferita, aprendola ancora di più. Lancio un grido mentre la maglietta mi si inzuppa di sangue.
Magnus riesce a raggiungere la pistola che era caduta, si rialza e punta l’arma verso Camille.
«Ferma tutto, Camille.» Le intima. «Libera gli altri Intrepidi e concludi questa esecuzione di massa.»
Dietro di lui, gli schermi continuano a mostrare le immagini macabre delle morti degli Abneganti: il Parlamento è in fumo, quattro dei dieci esponenti del Parlamento sono già stati giustiziati.
Lei non si lascia intimorire dall’arma e senza esitazione mi punta il coltello alla gola. Sento il metallo freddo contro la pelle.
«Tu fai un passo ed io lo ammazzo come un cane.» I canini di Camille scintillano, i suoi occhi sono iniettati di sangue. «Hai idea di quanti anni ci siano voluti? Di cosa questo significherebbe per tutti noi? Siamo stanchi di essere dominati da un manipolo di idioti moralisti che rifiutano la ricchezza e il progresso, ma non potevamo fare niente da soli. Il tuo capofazione e molti della tua gente sono stati felicissimi di contribuire, in cambio di un posto nel nostro nuovo, e migliore, governo.»
«Migliore» ripete Magnus. «Migliore per voi magari.»
«Sì, migliore» enfatizza Camille. «Migliore, e che lavorerà per costruire un mondo in cui le persone possano vivere nella ricchezza, negli agi e nella prosperità, fuori da queste mura e guidate dalle menti superiori degli Eruditi e del Circolo.»
«In poche parole, volete espandervi e comandare su ogni cosa.» Magnus si avvicina, la pistola ancora puntata davanti a sé. «Non te lo ripeterò un’altra volta: ferma tutto.»
Lei aumenta la pressione del coltello sulla mia gola, sento un rivolo di sangue caldo colarmi giù per il collo.
«Anche se mi uccidessi, Valentine porterà avanti il progetto al posto mio.» Sorride, un ghigno malefico. «E poi, non ne avresti mai le palle. Sei solo un esperimento…»
Il rumore di uno sparo esplode nella stanza. 
Camille fa cadere il coltello, il suo tubino blu si tinge di rosso proprio sopra al cuore. La vedo barcollare sui tacchi alti e cadere a terra con un tonfo, i suoi occhi ora sono vuoti, il suo volto inespressivo.
Magnus se ne sta lì immobile, con la pistola fumante ancora tra le mani.
«Mi dispiace, Alec. Spero tu possa dimenticare ciò che ho appena fatto.» Sussurra, poi si volta verso i computer. Punta l’arma contro i dispositivi e spara, facendoli esplodere uno dietro l’altro in una nube di vetri e scintille.
Dagli schermi, vediamo gli Intrepidi riprendere il controllo dei loro corpi, storditi e confusi, come se si fossero appena risvegliati da un incubo. I pochi che invece erano coscienti, i corrotti, si danno velocemente alla fuga, probabilmente diretti qui.
Una lunga sirena d’allarme comincia a risuonare in tutto il Quartier Generale degli Eruditi, la stanza si accende di rosso.
«Presto, andiamo!» 
Magnus mi prende per mano e corriamo via, lasciandoci indietro una scia di morte e sangue.



§



Quando usciamo, Magnus non può non notare il corpo di Tessa a terra, con la schiena appoggiata al muro. 
Lo vedo asciugarsi le lacrime con le maniche della giacca, chinarsi su di lei scosso dai singhiozzi e baciarle una guancia fredda. Il suo volto è così pallido da confondersi con le pareti.
«Non posso lasciarti qui.» Le sussurra, come se potesse rispondergli. Lui la prende in braccio senza difficoltà, tenendola stretta al suo petto.
Gli faccio segno di seguirmi, mentre le sirene continuano a urlarci nelle orecchie: se rimaniamo qui rischiamo di farci trovare dagli Intrepidi corrotti, o da qualche Erudito armato pronto a difendersi.
Raggiungiamo l’uscita di emergenza, dove Clary e Simon ci stanno ancora aspettando; nel vedere Tessa, Clary si copre la bocca con la mano e si sforza per non piangere. 
Corriamo insieme giù per le scale, i nostri passi sul metallo fanno un clamore assordante. Simon aiuta Clary a reggersi sulla gamba ferita, sostenenendola con un braccio intorno alle spalle.
Una volta sceso l’ultimo gradino, ci guardiamo nel panico più totale. Comincio a sentire le conseguenze dell’aver perso molto sangue, mi gira la testa e ho la vista annebbiata.
«Dovete andare via.» Ci dice Magnus, Tessa ancora stretta a sé. «Scappate il più lontano che potete: andate dai Pacifici, là sarà più difficile rintracciarvi.»
«Possiamo andare da mia madre.» Suggerisce Clary. Si tiene ancora la coscia tra le mani, ha le dita incrostate di sangue. «C’è un treno che parte fra non molto e con poche ore a piedi saremo già lì…ma Jace e Isabelle, come faremo con loro? Sono ancora dagli Abneganti, saranno sotto shock…non possiamo abbandonarli.»
«Ci penso io a loro.» Magnus abbassa lo sguardo, distrutto, su quella che una volta era la sua più cara amica. «Porterò lei al cimitero, la fazione degli Abneganti mi sta di strada. Ci reincontreremo tutti dai Pacifici.»
«Non esiste, è troppo pericoloso.» Mi affretto a dire. «Non andrai da solo in giro per la città, tantomeno con…» stavo per dire “tantomeno con un cadavere tra le braccia”, ma ammutolisco.
Lui mi guarda dritto negli occhi e nel suo sguardo leggo decisione, coraggio, forza, ma anche stanchezza e tanto dolore. Soltanto rispetto a ieri, sembra più vecchio di almeno dieci anni.
«Alexander, ti prometto che starò attento, sono armato. Presto tornerò con i tuoi fratelli e decideremo cosa fare, quando saremo al sicuro. Ora vai, sia tu che Clary siete feriti e state perdendo ancora sangue. Via, subito!»
Simon e Clary si lanciano uno sguardo d’intesa, sono pronti a partire. 
Io prendo il volto di Magnus tra le mani e lo bacio fugace. È un sigillo, una promessa, un bacio che promette di non essere l’ultimo. Prima di separarci, lo sento emettere un sospiro.
Mentre corriamo via, non riesco a non pensare che le fazioni degli Abneganti e degli Intrepidi si sono sciolte, i loro membri si sono dispersi. Siamo come gli Esclusi, ora. Non so come sarà la vita, senza una fazione; mi sento senza vincoli, come una foglia separata dall’albero che le dava sostentamento. 
Adesso possiamo soltanto contare su noi stessi.

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Capitolo 25
*** Capitolo Venticinque ***


Note: Buon inizio estate a tutti voi!
Come vi dissi alcuni giorni fa, a causa esami ho avuto rimandare l'aggiornamento, ma ora eccolo qui!
Purtroppo i miei esami non sono ancora conclusi, ma spero di fare il prima possibile per il prossimo capitolo (che ho già iniziato a scrivere).
Questo è un capitolo molto particolare, leggermente più breve rispetto ai precedenti, ma necessario a livello di trama (che passetto dopo passetto si avvicina sempre di più alla fine...T.T): spero vi piaccia!
Detto questo ringrazio tutti coloro che hanno recensito e recensiranno, grazie di cuore e buona lettura <3

Ari Youngstairs



• Capitolo Venticinque •


Ho perso il conto delle ore. Quando gli Eruditi hanno dato inizio alla simulazione che ha costretto gli Intrepidi a distruggere la fazione degli Abneganti, era notte fonda.
Ora, mentre io Simon e Clary ci dirigiamo verso la vecchia casa di quest’ultima, il sole è alto nel cielo, coperto da grossi nuvoloni scuri. 
Lei zoppica ancora, tenendosi stretta al suo amico per procedere. Io mi tengo con la mano la spalla ferita: ormai ha smesso finalmente si sanguinare, ma brucia come se qualcuno mi ci avesse messo sopra del sale.
La fazione degli Pacifici è quella più isolata rispetto alle altre, fuori dalla parte urbana della città; non ho mai visto le mura così da vicino, sembrano dei grandi colossi di pietra.
Qui la popolazione vive di agricoltura e allevamento, tanto che sono loro a procurare il cibo per tutti gli altri.
Mentre Simon e Clary conoscono bene questo posto, e si orientano senza difficoltà tra i sentieri che si snodano tra campi coltivati, sprazzi di foresta e frutteti, io ho perso totalmente il senso dell’orientamento e mi sembra di girare in tondo.
I nostri piedi sprofondano nel terreno. Sopra la mia testa i rami si tendono gli uni verso gli altri, formando una specie di galleria: frutti scuri pendono tra le foglie, pronti a cadere, e un profumo intenso e dolce di mele troppo mature si mescola con l’odore della terra fredda e  umida.
«Ci siamo quasi.» Mi dice Clary, girandosi verso di me. «Mamma vive da sola in una fattoria molto grande e un po’ isolata rispetto alle altre. Per un po’, dovremmo poter stare tranquilli.»
Usciti dal frutteto, davanti a noi appare una grande casa in legno e vetro, dove il camino acceso disegna sbuffi di fumo nell’aria: ha un aspetto rustico e molto diverso dai palazzi in cemento della città, alti alberi sempreverdi la circondano e sul retro s’intravede una staccionata in legno che ospita alcuni animali e un grande orto.
Una donna in abiti da Pacifica è nel cortile, intenta a spargere quelli che sembrano semi ad alcune galline le scorrazzano intorno, beccando a terra. Ha i capelli rossi e ricci raccolti in un pezzo di stoffa, legato con un fiocco sulla nuca. 
Quando ci nota, inizialmente sobbalza e caccia un urlo, facendo cadere il secchio di semi che teneva in mano. Poi, però, sembra riconoscere sua figlia e il suo amico d’infanzia.
«Clarissa? Sei davvero tu?» Ci chiede, avvicinandosi con cautela. 
«Mamma!» Clary lascia la presa di Simon e va incontro a sua madre, zoppicando e incespicando.
La madre sembra finalmente riconoscerla e le corre incontro, stritolandola in un abbraccio. Poi dopo le circonda il viso con le mani, controllando scrupolosamente ogni centimetro di pelle.
«Sei ferita? Ti hanno fatto qualcosa? Ho sentito alla televisione…» comincia a chiederle, ma poi sembra ricordarsi della nostra presenza. «Simon, anche tu qui? E tu…» mi scruta attentamente, con gli stessi occhi verdi e limpidi della figlia. «…tu devi essere l’altro figlio di Maryse e Robert, non è così?»
Deglutisco, a disagio sotto il suo sguardo inquisitore: non sentivo nominare mio padre da anni, e non avendo più foto sue in casa, non ricordo poi molto di lui. Annuisco con un cenno della testa.
«Mamma, abbiamo bisogno di aiuto.» Le dice Clary. «E soprattutto, dobbiamo parlare.»



§



La madre di Clary, Jocelyn, ci ha subito accolto in casa sua: il mobilio è molto semplice e rustico, tutto in legno, ma ciò gli da un’atmosfera molto accogliente.
Ci ha fatti sedere sul divano davanti al camino per scaldarci -l’adrenalina delle ultime ore non ci ha fatti accorgere che stavamo tremando di freddo-, e ci ha preparato delle tazze con latte caldo, miele e zucchero. Il sapore è molto dolce, e ci aiuta a recuperare almeno un po’ di energie.
Quando ha visto che io e Clary eravamo feriti, ci ha accuratamente disinfettato e fasciato le ferite con una delicatezza che soltanto una mamma potrebbe avere: mentre le sue mani mi tamponavano con del cotone imbevuto di alcol, per qualche minuto ho sentito la mancanza di mia madre. Chissà come stanno lei e Max…
«Ho sentito alla televisione che gli Intrepidi si sono ribellati e che gli Abneganti sono stati rovesciati.» Dice Jocelyn, ravvivando le fiamme nel camino. «Cosa vi è successo?»
«Beh…è un po’ lunga da spiegare.» Risponde Clary, sorseggiando la sua bevanda di latte e miele. «Ma forse anche tu dovresti dirci qualcosa, giusto? Qualcosa su un certo Circolo?»
Lei guarda la figlia, un po’ intimorita.
«Che cosa sai?»
«So quanto basta.» 
Jocelyn si passa le mani affusolate sulla lunga gonna arancione, sospirando. 
«Sapevo che un giorno avremmo pagato cara la nostra arroganza.» Dice, rivolgendosi più a sé stessa che a noi. «Speravo solo che non ci andaste di mezzo.»
«Che cos’è il Circolo?» Domanda Simon, mentre il fuoco del camino si riflette nelle lenti dei suoi occhiali.
L’occhiata che gli viene lanciata da Jocelyn è compassionevole.
«Quando vi sarete lavati e messi qualcosa di comodo, vi racconterò tutto. Ormai non ha più senso nascondervi questa storia…»
«Mamma, ci sono altre persone che hanno bisogno di rifugiarsi qui.» L’avverte Clary, alzandosi dal divano e fronteggiando la madre. «Isabelle, Jace e Magnus stanno venendo qui.»
«Magnus?» Lei impallidisce, ma poi abbassa lo sguardo. «D’accordo. Ho abbastanza materassi e spazio per tutti.»
«Come faranno a trovare la strada fino a qui?» Domando, aprendo bocca per la prima volta da quando sono arrivato. 
«Ho raccontato a Jace molte volte di questo posto…e di come ci si arriva. Non dovrebbe avere troppi problemi.» Mi risponde Clary. Dietro i suoi occhi solitamente allegri sembra passare un’ombra di preoccupazione. 
«D’accordo, allora li aspetteremo. Nel mentre, potete usare il bagno se volete lavarvi. Clary, tu hai in camera i tuoi vecchi vestiti.» Jocelyn poi rivolge il suo sguardo verso di me. «Alec, forse dovresti andare per primo… hai molto sangue addosso.»
Mi guardo le mani, sporche e incrostate di sangue secco. Improvvisamente mi viene da vomitare, come se realizzassi davvero per la prima volta tutto ciò che è successo.
Annuisco alzandomi dal divano, mentre la madre di Clary mi guida verso il bagno. Mi porge un asciugamano pulito e mi chiede di lasciarle la tenuta da Intrepido sulla lavatrice, in modo che poi possa lavarmela. 
La ringrazio e mi lascia da solo nella stanza: è un bagno piccolo, ma accogliente. Le pareti sono tappezzate da piastrelle bianche ed arancioni, un piccolo lavandino di legno e ceramica  sporge dal muro, proprio accanto alla tenda bianca doccia.
Dopo essermi spogliato e aver ripiegato i vestiti sulla lavatrice come mi ha chiesto Jocelyn, ho modo di guardarmi allo specchio rotondo appeso sopra il lavabo: sembro lo spettro di me stesso; ho due occhiaie così profonde che sembrano disegnate con il pennarello, il volto più pallido di quanto non sia di solito. Sopra una costola, sul lato destro del busto, un livido nero risalta sulla pelle chiara. Questo deve avermelo fatto Magnus dopo che abbiamo combattuto.
Entro nella piccola doccia e giro la manopola di metallo, attento a non bagnarmi la ferita fasciata sulla spalla. 
Mi chiedo dove siano Magnus e i miei fratelli, se stiano bene, se riusciranno ad arrivare fino a qui sani e salvi. Avrei preferito morire nel tentativo di salvarli, piuttosto che vivere senza di loro.
Mentre l’acqua calda mi scorre sulla pelle lavando via il sangue, le immagini di oggi mi scorrono davanti agli occhi: rivedo Tessa, che sin dal giorno del Test Attitudinale mi ha aiutato a gestire la mia divergenza, pugnalata a morte davanti ai miei occhi. Rivedo me stesso sparare a Woolsey, Camille puntarmi il coltello alla gola prima di morire.
Mentre mi copro la bocca con una mano, vengo scosso da un singhiozzo.
Mi concedo finalmente di piangere.



§



vato e messo dei vestiti puliti, mi sento almeno in piccola parte alleggerito dai terribili eventi di oggi.
Le ore però passano inesorabili, ad ogni rintocco dell’orologio io e Clary ci domandiamo se Magnus, Jace e Isabelle ce l’abbiano fatta a mettersi al sicuro.
Fuori piove da un po’, non si sentono altri rumori oltre all’acqua che si abbatte sui vetri delle finestre e sul tetto. Ogni tanto, qualche tuono squarcia il cielo e fa tremare le pareti.
Simon se ne sta con le gambe incrociate ai piedi del divano, torturandosi il polsino della giacca azzurra. Di certo, per aver abbandonato gli Eruditi a costo di aiutarci, non si può dire che non sia coraggioso. Coraggioso, o terribilmente stupido.
Jocelyn guarda fuori dalla finestra, persa nei suoi pensieri e totalmente isolata da tutto il resto.
«Sai…» Mi sussurra Clary all’orecchio, sporgendosi dalla sedia su cui è seduta «Questi vestiti che hai ora…non pensavo che mia madre li conservasse ancora.»
«Di che parli?» Le domando. Rivederla con gli abiti rossi e arancioni da Pacifica mi riporta con la mentre al primo giorno in cui l’ho conosciuta.
«Sai…ogni anno andava al mercato a comprare degli abiti da uomo, e li teneva da parte nel caso in cui un giorno mio fratello fosse mai tornato.» 
Guardo Jocelyn osservare le gocce d’acqua che scorrono lungo il vetro, domandandomi quanto possa essere doloroso per una madre aspettare un figlio che non farà mai ritorno a casa.
Vorrei poter dire a Clary che so quanto sia difficile avere una famiglia a pezzi, che quando si cresce senza un genitore ci si sente come se un frammento della nostra vita sia destinato ad andare perduto e a lasciarci incompleti per sempre.
Ma non faccio in tempo a dire nulla di tutto ciò, perché qualcuno bussa all’ingresso con forza.
Senza nemmeno accorgermene scatto in piedi e corro verso l’uscio, aprendo la porta con troppa foga e facendola sbattere contro il muro con un rumore secco: Jace, Isabelle e Magnus si stagliano davanti a me. Stanchi e provati, fradici d’acqua e sporchi di fango fino ai polpacci, ma ancora vivi.
Stringo Jace e Isabelle tra le mie braccia, sentendo finalmente quella insopportabile sensazione di ansia e preoccupazione che avevo nel petto alleggerirsi. Torno di nuovo a respirare, non riesco a trattenermi dal piangere. 
Izzy scoppia in lacrime contro il mio petto, sento Jace tremare.
«Alec…è stato orribile.» Singhiozza mia sorella, stringendo la mia camicia tra le dita. «Non avevamo più controllo dei nostri corpi, abbiamo ucciso degli innocenti…»
«Lo so, Izzy…non ci pensare più, è finita.» Le sussurro all’orecchio, stringendola più forte e accarezzandole i capelli bagnati dalla pioggia. Vorrei poterle togliere ogni dolore dal cuore, se solo potessi. Vederla soffrire per me è ancora peggio che stare male in prima persona.
«Se non fosse stato per Magnus, non so cosa sarebbe successo.» Jace ha in viso un’espressione sconvolta. «Tempo di veder fuggire alcuni Intrepidi, che ne sono arrivati altri nel giro di pochi minuti. Alcuni di noi sono morti, altri li hanno arrestati e riportati indietro al nostro Quartier Generale, altri ancora come noi sono riusciti a fuggire per miracolo. La fazione è andata letteralmente in pezzi.»
Clary ci raggiunge dal soggiorno correndo e si getta tra le braccia di Jace, buttandogli le braccia al collo. Lui la stringe a sua volta e la bacia, affondandole le mani nei boccoli color rame e sospirando dal sollievo: in questo momento si stanno dicendo tutto, senza dirsi assolutamente niente. Lei è così piccola al suo confronto che deve reggersi in punta di piedi per arrivargli.
Magnus, rimasto fermo sull’uscio, fa timidamente un passo avanti.
«Come stai?» Mi chiede, posandomi delicatamente una mano sulla spalla ferita; io intreccio le mie dita alle sue, attirandolo a me. Lui con l’altra mano lascia scorrere le dita dietro al mio orecchio, si china e mi bacia. Gli stringo il braccio per trattenerlo il più a lungo possibile perché, quando mi tocca, la sensazione di vuoto che ho nel cuore e nello stomaco si attenua. 
«Ora che sei qui, meglio.» Rispondo, ed è davvero così. 
Isabelle e Simon osservano la scena leggermente imbarazzati, probabilmente a disagio davanti a tutte queste dimostrazioni d’affetto.
«Beh, potremmo baciarci anche noi.» Propone lui, sistemandosi gli occhiali sul naso. Lancia uno sguardo ammiccante ad Isabelle, risultando più buffo che non provocante. «Comincio a sentirmi un po’ escluso.»
«Scordatelo.» Ribatte lei guardandolo di traverso, ma la vedo per un breve istante nascondere un sorriso. Isabelle è sempre stata una ragazza estremamente bella e desiderata, ma non ha mai concesso a nessun ragazzo la possibilità di avvicinarsi davvero a lei, ha sempre avuto soltanto cotte e svaghi di poco conto. È la prima volta che la vedo sorridere ad un tentativo così blando da parte di un ragazzo.
«Beh, suppongo che ora siate tutti.» Jocelyn tiene le mani strette in grembo, scrutandoci uno ad uno. Quando il suo sguardo incontra quello di Magnus, nella casa cala uno strano silenzio. 
Lo sento irrigidirsi accanto a me, ed io gli stringo il braccio. Probabilmente, ora tutti i terribili ricordi della sua infanzia stanno tornando a galla uno dopo l’altro. 
«Ciao, Magnus.» Sussurra lei. «È…passato molto tempo.»
«Non abbastanza da farmi dimenticare.» Risponde lui, la voce più tagliente di un coltello. Gli occhi mandano scintille di rabbia. «Posso assicurarti che sono davvero disperato, se ora vengo a chiedere rifugio a te.»
Lei china lo sguardo, passandosi le mani sulla lunga gonna in un gesto nervoso. 
«Non pretendo il tuo perdono. Per quanto ormai sono abituata a vivere da Pacifica, ci sono cose che forse sono troppo gravi per essere perdonate.» Si avvicina cautamente, quasi come a valutare la reazione di Magnus. Lui arretra di un passo, quasi spaventato. 
Ha i capelli umidi che gli ricadono in ciocche disordinate sulla fronte, i lineamenti tesi; sembra un animale in trappola. «Ma non esiste giorno in cui io non vorrei poter tornare indietro, poter fare scelte diverse. Eravamo solo dei giovani sciocchi ed esaltati, guidati da un folle.» Si copre la bocca con la mano. «Quando ci siamo resi conto di ciò che avevamo fatto…abbiamo passato il resto della vita a nasconderci, a cercare di dimenticare. Eravamo convinti che andando avanti, prendendoci cura dei nostri figli, avremmo potuto cancellare ciò che è stato. Ma non è così.»
Jocelyn avanza ancora: è minuta come Clary, ma c’è qualcosa di estremamente fiero nel suo portamento, nel suo sguardo vi è una forza impossibile non notare.
«Non posso cambiare il passato…ma mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto, Magnus. Noi non perdoneremo mai noi stessi, ma spero che tu un giorno troverai la forza per farlo.»
Magnus non risponde, interrompendo il contatto visivo con Jocelyn e fissando lo sguardo verso il pavimento di legno. A malapena lo percepisco respirare nel totale silenzio che è calato nella casa. 
«Scusatemi, ho bisogno di un po’ d’aria.» Mormora, voltandoci le spalle. 
In poche falcate è già fuori dalla porta; mentre se ne va, la sua immagine viene avvolta completamente dalla pioggia. 



§



I miei stivali affondano completamente nel fango, la pioggia incessante mi congela sin dentro le ossa. Ormai i miei vestiti sono completamente fradici, attaccati a me come una seconda pelle.
Ricordo che da bambino la pioggia mi dava un senso di pace e tranquillità, mentre Jace ed Izzy non potevano sopportare di stare in casa piuttosto che in giardino a giocare. Mi mettevo sempre seduto sulla poltrona accanto alla finestra, quella che una volta era il posto preferito di mio padre, guardando le gocce disegnare rivoli d’acqua sul vetro.
I Candidi si occupano soprattutto delle cause legali della città, tanto che il tribunale è la struttura più grande dell’intera fazione, soprannominato “lo Spietato Generale”: da quel che so, mio padre era tra i più importanti e rispettati componenti dei giudici supremi, che per posizione sono subordinati soltanto al Capo-fazione stesso.
Ogni volta che piove, non riesco a non pensare inconsciamente a come mi sedevo nel posto che lui stesso ha lasciato vuoto.
Quando finalmente riesco a raggiungere Magnus, lo trovo con la schiena appoggiata al tronco di un albero dalle radici contorte, le braccia conserte: gli abiti neri da Intrepido grondano d’acqua, il viso incorniciato dai capelli bagnati che gli ricadono in ciocce disordinate sulla fronte e sulle tempie. 
«Magnus.» Lo chiamo, cercando di sovrastare lo scrosciare della pioggia.
Lui mi guarda, gli occhi che brillano ma senza alcuna gioia, senza rispondermi.
«Ti prego, parlami.» Lo sto implorando, prendendogli con delicatezza le mani e stringendole. Pur avendolo proprio davanti a me, lo sento distante anni luce.
«Pensavo di essere forte abbastanza da reggerlo.» Mi dice, mordendosi il labbro a sangue. «Di reggere tutto questo: aver perso la fazione, aver perso Tessa, avere di nuovo a che fare con il Circolo.» Scuote la testa, e non riesco a capire se siano le lacrime oppure la pioggia a rigargli il volto. «Ma non ci riesco. Non ce la faccio. Non potrò mai perdonarmi di aver lasciato che tutto ciò accadesse.»
Io muovo un passo per stargli ancora più vicino, posandogli le mani a coppa intorno al viso. Lo sento tremare, probabilmente non solo per il freddo.
«Magnus, nulla di tutto ciò che è accaduto è colpa tua. Nulla. Ti prego, non infliggerti ancora più dolore.»
«Ma come potrei non farlo?» Ribatte, alzando il tono della voce. È disperato. «Ho lasciato che la mia fazione venisse corrotta e usata per uccidere. La mia migliore amica è morta. Ti ho picchiato e ho il terrore di vedere quante ferite e lividi potrei averti causato. Camille mi ha usato come un burattino contro di te, ed io l’ho uccisa a sangue freddo. Ora sono qui a chiedere rifugio da una delle persone che mi hanno rovinato la vita, coloro che mi hanno reso un mostro!»
«Tu sei tutto fuorché un mostro.» Sento un moto di rabbia montarmi nel petto. Vorrei poter avere la capacità di farmi carico del suo dolore, di poter assorbire ogni sofferenza che lo affligge. «Nessuno poteva immaginare che gli Eruditi sarebbero arrivati a tanto…e la morte di Tessa non sarà stata vana, se riusciremo a sconfiggere loro ed il Circolo.» Riprendo fiato, guardandolo dritto negli occhi dorati. «So che è difficile, Magnus. Io non posso nemmeno immaginare quando tu abbia sofferto e stia soffrendo adesso. Ma ti prego, non pensare mai che sia colpa tua, perché nulla di tutto ciò lo è. Abbiamo bisogno di te, Magnus. Io ho bisogno di te.»
Magnus continua a guardarmi, ma non sembra convinto dalle mie parole. I suoi occhi sono tristi, pieni di dolore. 
«Come puoi dirlo, dopo quello che ti ho fatto?» Gli sfugge un singhiozzo. «Ti ho quasi ucciso, Alexander. Come potresti mai fidarti di me?»
«Magnus…» bisbiglio, ma qualunque cosa avessi intenzione di dire si perde tra i miei pensieri. Allora premo la bocca sulla sua, perché so che baciarlo mi aiuterà ad affrontare tutto quanto: il pensiero del pericolo imminente, della morte, dei venti di guerra che soffiano sempre più forti nelle nostre vite. Come potresti mai fidarti di me?
Forse, se si trattasse di chiunque altro, non lo farei. Ma è di Magnus che stiamo parlando, e lui ha sconvolto tutte le mie certezze, ogni mio punto fermo, ogni convinzione.
Lui risponde al bacio. La sua mano scende dalla mia guancia a sfiorarmi il fianco, segue la linea della vita e poi quella delle anche, facendomi rabbrividire. 
Realizzo di non riuscire a immaginare un futuro senza di lui, che gli appartengo totalmente.  
Lo capisco dal modo in cui vorrei strapparmi il cuore e metterglielo fra le mani, se solo questo potesse servire ad aiutarlo a superare il suo dolore.
Sento l’acqua piovana scorrermi lungo le guance, il freddo della pioggia in contrasto con il mio viso rovente.
Magnus arretra di pochi centimetri, la punta del suo naso che si sfiora con la mia, gli occhi contornati dalle lunghe ciglia umide puntati nei miei.
«Non so cosa avrei fatto, se stanotte ti fosse accaduto qualcosa.» Sussurra. «Sei tutto ciò che mi rimane. Se te ne andassi anche tu…»
«Non me ne andrò da nessuna parte.» Rabbrividisco quando mi sfiora le labbra con il pollice, quasi a volerne tastare la consistenza. «Anche se tutto il resto va in pezzi.»
Magnus mi stringe a sé, le sue braccia forti mi circondano la vita e poso la testa nell’incavo del suo collo. La sua pelle odora di sangue, fumo e pioggia.
Non so dire quanto tempo rimaniamo in questa posizione, a reggerci l’uno con l’altro, ma questo momento rimarrà impresso a fuoco nella mia memoria.
Le sue braccia sono l’unico luogo in cui ormai riesca a sentirmi al sicuro.



§



Quando torniamo alla fattoria, veniamo travolti dagli aromi provenienti dalla cucina. Jocelyn sta preparando il pranzo per tutti noi, ed io sento immediatamente lo stomaco contrarsi dalla fame.
Gli sguardi apprensivi dei miei fratelli, Clary e Simon si posano su di noi come a voler controllare che tutto sia apposto. Magnus risponde con un sorriso timido, e loro sembrano tranquillizzarsi.
Quando ci mettiamo a tavola mangiamo tutti in un garbato silenzio. 
Il riso leggermente speziato, il pane fresco e le verdure al vapore mi sembrano quanto di più buono abbia mai mangiato in tutta la vita; probabilmente perché non tocco cibo da più di dodici ore e il corpo cominciava a implorarmi di trovare qualsiasi cosa fosse commestibile.
Mentre mangio, a volte sento la spalla ferita mandarmi delle scariche di dolore lungo tutto il braccio.
Ogni tanto getto qualche occhiata a Magnus, seduto sulla sedia accanto alla mia: per lui anche solo sapere che la madre di Clary sta mangiando al suo stesso tavolo deve essere qualcosa di indescrivibile, un tipo di dolore che forse non riuscirò mai a comprendere del tutto.
Lui però, almeno apparentemente, sembra tranquillo mentre con gli occhi fissi sul piatto mangia vorace la sua porzione di riso.
Vedo Jocelyn aprire la bocca come a volerci dire qualcosa, ma un suono elettronico la interrompe prima che possa emettere un fiato: è un suono breve, simile ad un campanello, che preannuncia l’accensione del televisore che sporge dal davanzale della cucina.
In tutte le case e negli edifici principali della città sono presenti questi schermi, che insieme ai tablet  e ai computer fungono da principale canale di comunicazione tra le fazioni. Sulle mura della Torre Centrale, nel cuore della città stessa, ve ne sono di giganteschi ben visibili anche dalle zone urbane più distanti.
Ovviamente, tutto è rigorosamente controllato e filtrato dal governo, i televisori vengono accesi in automatico solo quando vi sono delle importanti notizie da dare in diretta a tutta la popolazione.
Sullo schermo compare un uomo robusto, con addosso l’elegante completo blu indossato solitamente dagli esponenti più alti della fazione degli Eruditi: ha una cicatrice che gli divide in due il sopracciglio sinistro, occhi nerissimi in contrasto con i capelli color carta. A impatto, non sembrerebbe avere più di quarant’anni. 
La somiglianza con Jonathan è così evidente che mi sembra di star guardando una versione più vecchia di lui.
«Valentine…lo hanno fatto uscire di galera.» Mormora Jocelyn, senza fiato. Lei e Clary si lanciano uno sguardo profondamente allarmato, improvvisamente i loro volti si fanno più pallidi che mai.
«Il mio nome è Valentine Morgenstern.» La sua voce dal televisore risuona profonda, quasi minacciosa. «In passato ero a capo dell’ente governativo di ricerca e sviluppo. Questa notte, come già saprete, il Parlamento degli Abneganti è stato sciolto e i suoi esponenti giustiziati. Eruditi e Intrepidi hanno formato una nuova e potente alleanza, volta a sradicare ogni forma di corruzione e di minaccia alla sicurezza della città.»
Clary, dall’altra parte del tavolo, ha assunto un pallore malsano, la sua pelle tende quasi al verde. Jace le prende una mano e la stringe tra le sue. 
Mentre osservo Valentine, noto che nel suo sguardo c’è qualcosa che mi turba nel profondo, qualcosa di malato e disumano: è lo stesso sguardo che ho visto in Camille, in Woolsey e Jonathan, gli stessi occhi spietati e infiammati dalla sete di potere.
«Alle prime luci dell’alba, sembrerebbe che un gruppo di Divergenti abbia fatto irruzione nel Quartier Generale degli Eruditi e l’ex capo-fazione Erudito Camille Belcourt è rimasta uccisa nell’agguato, insieme all’ex capo-fazione Intrepido Woolsey Scott.» Il suo tono di voce è freddo come ghiaccio, il ritmo delle sue parole meccanico. Non sembra esserci umanità in lui. «A seguito di questi ultimi eventi, a guidare la nuova fazione degli Intrepidi sarà mio figlio Jonathan Morgenstern. La fazione degli Eruditi invece passerà a me, e con essa, anche tutto il potere governativo.» La sua bocca si distorce in un ghigno, ed io sento un brivido corrermi giù per la schiena. «Per quanto riguarda i Divergenti ribelli, verranno rintracciati e arrestati al più presto. Avremo a breve anche i dati delle Iniziazioni degli Intrepidi, l’unica fazione che si era rifiutata di consegnarceli, in modo da poter presto conoscere tutti i loro profili. Vi conviene consegnarvi spontaneamente: per chi non lo fa, l’ordine è quello di sparare a vista. Con la guida degli Eruditi, un futuro prosperoso attende questa città.»
Il televisore si spegne, e nessuno di noi ha il coraggio di dire una parola.

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Capitolo 26
*** Capitolo Ventisei ***


Note: Buonasera a voi!
Mi scuso ENORMEMENTE per aver pubblicato poco nell'ultimo periodo, ma sono piena di esami e tutt'ora la sessione non è ancora conclusa T.T
In ogni caso, spero di potermi far perdonare con questo capitolo. Spero vorrete farmi sapere cosa ne pensate, ringrazio in anticipo chi vorrà lasciare una recensione: la vostra opinione è davvero davvero importante per me <3
Detto questo, vi auguro buona lettura! :*
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventisei •


Mi sveglio al ronzio di un rasoio elettrico. Magnus è davanti allo specchio, la testa piegata per vedere meglio l’angolo della mascella.
Mi stringo le ginocchia al petto, sotto le lenzuola, e lo osservo. 
Sono passati due giorni da quando Valentine ha annunciato di aver preso le redini del governo.
Io, Izzy, Simon, Magnus, Jace e Clary siamo ancora ospiti della madre di quest’ultima, seppur consapevoli che questa potrà essere solo una sistemazione momentanea. Siamo stati fortunati, perché la fattoria di Jocelyn è molto grande e con abbastanza stanze da accoglierci tutti. Io e Magnus dormiamo in quella che, da come ci ha raccontato Clary, doveva essere la camera da letto che era destinata a Jonathan. Una stanza, purtroppo, rimasta sempre vuota fino ad oggi.
«Buongiorno» mi saluta. «Come hai dormito?»
«Bene.» Mi alzo e mentre lui torna a piegare la testa e a rivolgere il mento verso il rasoio, lo stringo tra le braccia, appoggiando la fronte contro la sua schiena. Lui mette giù il rasoio e chiude le mani a coppa sopra le mie. Nessuno dei due rompe il silenzio. Io ascolto il suo respiro, mentre mi accarezza lentamente le dita.
Non so quanto passiamo in questa posizione, ma vorrei si potesse fermare in qualche modo il tempo, per poter guardare all’infinito le nostre figure abbracciate nello specchio.
Socchiudo gli occhi e inspiro il profumo della sua pelle, che come un incantesimo mi riporta indietro con la mente alla scorsa notte.


Quando con gli altri abbiamo deciso sul come dividerci le camere, sono stato abbastanza ingenuo da pensare che io e Magnus avremmo dormito in due letti separati. 
Nel vedere invece che avremmo dormito insieme in un unico, grande letto a due piazze, non ho potuto fare altro che arrossire e distogliere lo sguardo, fissandolo sul comodino di legno accostato alla parete.
«È okay per te?» Magnus si siede sul bordo del materasso e si toglie le scarpe, scrutandomi da capo a piedi alla ricerca di un qualsiasi segno di disagio.
Io scuoto convinto la testa, cercando di ostentare una sicurezza che non ho. Nel preciso istante in cui mi siedo accanto a lui, un’ondata di calore mi attraversa. 
«Ne sei sicuro?» Mi afferra il mento tra le dita, costringendomi a guardarlo negli occhi, luminosi alla luce fioca della abat-jour. «Posso prendere altre coperte e dormire a terra, se ti fa sentire meno a disagio.»
«No, no, non c’è bisogno. Devo solo farci l’abitudine.» Gli dico, stringendo la sua mano tra le mie.
Rimaniamo a guardarci per qualche minuto, fino a quando Magnus non rompe il silenzio.
«Posso…vedere la tua ferita?»
La sua domanda mi spiazza, ma so che cosa lo spinge a chiederlo: Magnus si sente responsabile di ciò che è successo al Quartier Generale degli Eruditi, e seppur non avesse alcun controllo su cui che stava facendo, qualcosa dentro di lui lo spinge a credere di essere colpevole. Non solo per la morte di Tessa e Camille, ma anche per aver ferito me. Lo so perché mi sento colpevole anch’io. 
Mi sfilo la maglietta dalla testa, rimanendo con il busto nudo davanti a lui. Il sangue mi affluisce subito alle guance, mentre le sue mani sfiorano le bendature che mi avvolgono la spalla ferita.
«Ti fa molto male?» 
«Solo quando faccio movimenti bruschi…la madre di Clary me l’ha medicata bene, sembrerebbe.»
Le sue dita scorrono verso il basso, sfiorandomi il petto e arrivando fino alla costole, dove un ematoma scuro si allarga come una macchia d’inchiostro sulla pelle bianca.
Lo vedo deglutire, mentre con lo sguardo percorre ogni centimetro del mio torace scoperto. Anche se ho ancora i pantaloni addosso, non mi sono mai sentito più nudo di così, né tantomeno così in imbarazzo: perché mi guarda senza dire nulla? Ho qualcosa che non va? 
Magnus si avvicina e posa un bacio sull’angolo della mia bocca, delicato come potrebbe essere il battito d’ali di una farfalla.
«Sei bellissimo, Alexander.»
Sento il cuore in gola.
«Magnus» bisbiglio, ma qualunque cosa avessi intenzione di dire si perde tra i miei pensieri. Allora premo la bocca sulla sua, perché so che baciarlo mi distrarrà da tutto quanto.
Lui risponde al bacio, la sua mano scende a sfiorarmi il fianco, segue la curva della vita, e poi scivola sulla mia gamba, facendomi rabbrividire. Mi schiaccio contro di lui e gli avvolgo le gambe intorno al corpo. L’ansia mi offusca la mente, ma il resto del corpo sembra sapere esattamente che cosa sta facendo, perché pulsa tutto allo stesso ritmo e vuole una cosa sola: fuggire da se stesso e diventare parte di lui.
La sua bocca si muove contro la mia e la sua mano scivola sotto l’orlo dei pantaloni. Non lo fermo, anche se so che dovrei. Un fiotto caldo d’imbarazzo mi sale alle guance e un debole sospiro mi sfugge dalla gola. Lui, però, non lo sente o non ci fa caso, perché mi preme la mano sulla schiena per attirarmi più vicino e con le dita risale lentamente lungo la spina dorsale.
Mi bacia la gola e io mi aggrappo alla sua spalla, la sua maglietta stretta nel mio pugno. Con la mano raggiunge il mio collo e mi accarezza la nuca. 
Sento le mani tremare di energia nervosa, così gli stringo con più forza la spalla perché non se ne accorga. Mi sfiora la benda che mi copre la ferita e una fitta di dolore mi attraversa tutto il corpo. Non mi ha fatto molto male, ma basta a riportarmi alla realtà: non posso stare con lui in questo modo, non se uno dei motivi per cui lo voglio è soffocare il dolore.
Mi allontano bruscamente e per un secondo rimaniamo fermi, i nostri respiri pesanti che si mescolano tra loro. Non voglio piangere – non è il momento di farlo, devo trattenermi – ma non riesco a cacciare indietro le lacrime. 
«Mi spiace.» mormoro.
«Non scusarti.» risponde lui, poi mi asciuga le guance.
«Mi dispiace essere un disastro» singhiozzo con voce rotta. «È solo che mi sento così...» Scuoto la testa.
«È tutto sbagliato» dice lui. «Dovremmo essere insieme nella fazione degli Intrepidi, la
nostra fazione, ed invece siamo qui a nasconderci. Non sarebbero dovute morire tutte quelle persone…e Valentine non dovrebbe essere al governo. È tutto dannatamente sbagliato.»
Un gemito mi scuote tutto il corpo, e lui mi stringe tra le braccia con tanta forza da mozzarmi il respiro, ma non importa. Il mio pianto, dapprima controllato, esplode in un accesso scomposto: con la bocca aperta e il viso contorto, emetto i versi di un animale agonizzante. Se continuo così andrò in pezzi e forse sarebbe meglio... forse sarebbe meglio rompersi e non sentire più niente.
Lui rimane in silenzio, finché non mi calmo.
«Ogni volta che chiudo gli occhi, ho paura di rivedere tutti quei morti. Ho paura che Valentine ci trovi e che ci uccida.» Esalo senza fiato, come se avessi corso per chilometri. 
Magnus mi accarezza i capelli scuri, lasciandomi dei baci leggeri sotto l’orecchio. Se anche lui è spaventato di certo è molto bravo a nasconderlo.
«Dormi» mi sussurra, con dolcezza. «Finché ci sono io non sognerai nulla di brutto.»
Ci stendiamo l’uno accanto all’altro, le sue braccia forti mi stringono a sé mentre scivoliamo via nel sonno. 
Mi addormento cullato dal ritmo del suo respiro, e per qualche istante mi sembra di sentir meno il peso di tutte le preoccupazioni.



«Sei pensieroso.» La voce di Magnus mi riporta alla realtà.
Io osservo i suoi lineamenti allo specchio, il volto affilato e gli zigomi alti, gli occhi senza trucco che mi guardano a loro volta nel riflesso. È così bello che quasi mi fa male.
«Vorrei potessimo isolarci da tutto il resto, poter stare insieme e basta.»
Lui mi prende la mano e se la porta alle labbra, premendo la bocca sulle mie nocche.
«Un giorno lo faremo. Ti prometto che avremo un posto solo per noi.»
Sorrido contro l’incavo del suo collo.
«Sai che non dovresti fare promesse che non puoi mantenere?»
Lui mi stampa un bacio tra i capelli.
«Io mantengo sempre le promesse, Alexander.»



§



Jocelyn ieri è andata al mercato per procurarci dei nuovi vestiti, e in città le nuove truppe degli Intrepidi guidate da Jonathan impongono una rigidissima legge marziale. Chi si oppone viene arrestato e nessuno è mai tornato per raccontare cosa gli sia successo dopo.
Per quanto la situazione non sia certo delle migliori, questi tre giorni sono stati fondamentali per permettere a tutti noi di riposarci e decidere sul da farsi: rimanere fermi qui significa aspettare che Valentine scopra che io e Clary siamo divergenti e che siamo stati noi a irrompere nel Quartier Generale degli Eruditi, lasciando che venga a prenderci.
In cambio della sua ospitalità, abbiamo cervato di aiutare Jocelyn nei lavori di tutti giorni: Clary e Simon hanno un passato da Pacifici, perciò hanno una certa dimestichezza nell’occuparsi di piante ed animali. Io, Magnus, Jace e Isabelle abbiamo avuto sicuramente qualche difficoltà in più: in particolare quest’ultima ha scoperto di odiare la vita agreste e tutto ciò che comporta, dall’alzarsi al sorgere del sole all’avere a che fare con gli animali.
«Trovo folle che qualcuno scelga di fare una vita simile.» La sento borbottare, mentre piegata sulle sue ginocchia raccoglie dal terreno umido dei grossi cespi d’insalata. Guardandosi con orrore le mani sporche di terra e le unghie nere, getta con stizza le verdure dentro ad una grossa cesta di legno. «Ogni giorno non faccio altro che sporcarmi i vestiti, le scarpe, le mani, ogni cosa. Come fossimo animali anche noi.»
«Quanto la fai tragica, Iz.» Ribatte Jace dall’altra parte del cortile, apparentemente noncurante delle galline che gli scorrazzano intorno. «Preferiresti nasconderti nelle fognature?»
«Beh, non è che questi animali puzzino meno.» 
«Eppure non ti dispiaceva stare nel recinto mentre l’Erudito ti spiegava letteralmente qualsiasi cosa su come si cura un orto, o sbaglio?» 
Lei avvampa e comincia ad inveirgli contro, accusandolo di averla spiata e che non aveva alcun diritto di ascoltare la loro conversazione.
Mi rincuora sapere che indipendente dal luogo in cui ci troviamo, o da quanto disperate siano le nostre condizioni, alcune cose non cambiano proprio mai.
Un rumore di motori in lontananza ci fa sobbalzare, mettendoci subito a tacere. Jace in lontananza mi lancia uno sguardo impaurito. Nonostante fossi consapevole che questa nostra apparente pace sarebbe stata solo temporanea, avrei voluto potesse durare un po’ di più. 
Magnus, Clary, Jocelyn e Simon escono di corsa dalla casa, anche loro richiamati dal rombare dei motori in lontananza.
«I Pacifici non si spostano mai con l’auto.» Constata Jocelyn, la voce ferma ma preoccupata. D’istinto mi precipito verso l’albero più vicino, un melo dal tronco contorto ma abbastanza alto da potermi permettere una visuale migliore. Afferro il ramo sopra di me con entrambe le mani, ma mi tiro su solo con il braccio sinistro. Mi sorprende scoprire che sono ancora capace di farlo. 
Mi rannicchio sul ramo, foglie e rami mi s'impigliano tra i capelli mentre alcune mele cadono a terra ad ogni mio spostamento. 
Comincio a salire un ramo dopo l’altro, come fossero gradini, aggrappandomi per non perdere l’equilibrio, torcendomi e piegandomi per farmi strada nel labirinto delle fronde. 
I rami si fanno più sottili, meno resistenti. Devo arrampicarmi più in alto che posso, ma il ramoscello a cui sto puntando è corto e sembra flessibile. Ci metto sopra il piede, per saggiarne la resistenza. Si piega, ma tiene. Comincio a sollevarmi e sto per appoggiare l’altro piede, quando il ramo si spezza. 
Cado con un singulto, ma all’ultimo secondo riesco ad afferrare il tronco. Dovrò accontentarmi di un’altezza inferiore. Mi sollevo sulle punte e allungo lo sguardo in direzione del rumore: All’inizio non vedo altro che una distesa di campi coltivati, una striscia di terreno spoglio, la recinzione e, oltre a quella, i prati e i primi edifici. Ci sono alcune macchie in movimento che si avvicinano alla fattoria, macchie argentate sotto la luce del sole. Sono automobili, ma con i tettucci neri, automobili dotate di pannelli solari. Può significare una cosa sola: Eruditi.
Senza perdere tempo a pensare metto giù un piede dopo l’altro, così velocemente che dai rami si staccano pezzi di corteccia. 
«Sono Eruditi.» Dico, non appena tocco terra.
«Dobbiamo andare via, subito.» Magnus mi afferra il polso con una forza tale da farmi sussultare. In casa ci sono ancora le pistole con cui siamo arrivati, posate sopra il davanzale della cucina. Un brivido mi scorre lungo la schiena nel sentire il freddo del ferro tra le dita.
«C’è un sentiero sul retro che attraversa il bosco, vi porterà alla stazione senza essere notati.» Ci spiega Jocelyn, guardando con apprensione la figlia impugnare la pistola. «Dirò che non siete mai stati qui.»
«Mamma, ma tu? Se Valentine…»
«Valentine non mi farà nulla, Clarissa. So cavarmela.» Madre e figlia si abbracciano. Guardo Jocelyn asciugarsi una lacrima con l’orlo della camicia arancione. «Adesso dovete andare, non è più sicuro qui. State attenti.»
Scappiamo via dalla porta sul retro, diretti verso l’intricato bosco di conifere che ci si staglia davanti. 
A pochi passi dall’imboccare il sentiero rivolgo di nuovo lo sguardo verso la fattoria: Jocelyn ci segue con i suoi occhi verdi, arrossati, i lineamenti tesi: si sta sforzando di non piangere. Questa potrebbe essere l’ultima volta in cui ha potuto abbracciare sua figlia.
Prima di sparire nel buio del bosco, le mimo un “grazie” con le labbra.



§



Usciti dal bosco decidiamo di seguire le rotaie fino in città, perché nessuno di noi ha un gran senso dell’orientamento. Magnus cammina in equilibrio su un binario, vacillando un po’ solo ogni tanto, io, Isabelle, Clary, Simon e Jace teniamo il passo alle sue spalle. Sussulto a ogni rumore e mi irrigidisco finché non mi rendo conto che è solo il vento, o lo stridere delle suole di Magnus. Vorrei poter continuare a correre, ma è già un miracolo se le mie gambe si muovono ancora.
Tutt’a un tratto sento un gemito sommesso provenire dai binari. 
Mi chino e appoggio le mani sulle rotaie, chiudendo gli occhi per concentrarmi sulle vibrazioni del metallo: il tremolio sotto le mie dita si trasmette a tutto il corpo. Guardo i binari in lontananza e non si vede nessuna luce, ma questo non significa niente: non tutti i treni fischiano e hanno i fari accesi.
Dopo un po’ distinguo il barlume di un piccolo vagone ferroviario che si avvicina rapidamente.
«Arriva» annuncio. È uno sforzo alzarmi in piedi quando non vorrei fare altro che sedermi, ma mi obbligo a farlo e mi pulisco le mani sui pantaloni. «Penso che dovremmo salire.»
«E se fossero gli Eruditi a guidarlo?» protesta Simon.
«Se ci fossero gli Eruditi alla guida, dai Pacifici ci sarebbero venuti in treno» dice Magnus. «Credo che valga la pena rischiare. In città possiamo nasconderci, qui possiamo solo aspettare che ci trovino.»
Ci scostiamo tutti dai binari. Clary spiega passo per passo a Simon come salire sul treno in corsa, e lui sembra quasi tendere le orecchie dalla voglia di ascoltare e capire, nel modo in cui solo un Erudito saprebbe fare. Guardo la prima carrozza che si avvicina; ascolto i tonfi sordi delle ruote sopra le giunzioni, il sibilo della ruota di metallo contro il metallo della rotaia.
Quando la prima carrozza mi passa davanti comincio a correre, ignorando il dolore alle gambe. Jace aiuta Clary a montare sulla carrozza centrale, poi salta dentro anche lui. 
Io prendo fiato velocemente e mi lancio sulla destra, atterrando sul pavimento con le gambe che sporgono fuori. Magnus, già salito a bordo senza alcuna difficoltà, mi afferra per il braccio sinistro e mi tira dentro. 
Sollevo lo sguardo e resto senza fiato: nel buio vedo brillare degli occhi. Forme scure sedute ci osservano, più numerose di noi.
Gli Esclusi.
Il vento fischia attraversando la carrozza. Ora siamo tutti in piedi con le armi spianate, tranne Simon, che probabilmente non ha mai tenuto una pistola in mano prima d’ora. Un Escluso con una benda sull’occhio tiene una pistola puntata contro Magnus. Mi domando dove l’abbia presa, considerato che le armi sono per la gran parte utilizzate dagli Intrepidi.
Accanto a lui, un’altra Esclusa ha in mano un coltello, di quelli che si usano per tagliare il pane. Qualcun altro brandisce un’asse di legno da cui sporge un chiodo.
«Non ho mai visto dei Pacifici armati, prima d’ora» osserva l’Esclusa con il coltello. 
Il ragazzo con la pistola mi sembra di averlo già visto. Indossa dei vestiti sbrindellati di diversi colori: una maglietta nera sotto una giacca da Abnegante strappata, jeans azzurri rattoppati con filo rosso, stivali marroni. Sono rappresentati i colori di tutte le fazioni nel gruppo che ho davanti: pantaloni neri da Candidi combinati con magliette nere da Intrepidi, vestiti gialli con sopra felpe azzurre. La maggior parte sono strappati o macchiati, ma alcuni sono in buono stato. Rubati da poco, immagino.
«Non sono Pacifici» dice il tizio con la pistola. «Sono Intrepidi.» A quel punto lo riconosco: è il ragazzo che ha fallito la simulazione finale, mentre io ero in fila ad aspettare il mio turno. Purtroppo, non riesco a ricordare il suo nome.
Lui si volta a guardarmi, ma non accenna minimamente ad abbassare la pistola. «Tu devi essere quell’Alec.» Il suo sguardo poi si sposta verso Magnus, che inconsciamente si è posizionato a pochi passi davanti a me quasi a volermi proteggere. «Non riesco a crederci, allora erano vere quelle voci. Eri davvero il preferito dell’allenatore…» 
«Chiunque voi siate» dice la donna «dovete scendere da questo treno, se ci tenete alla vita.»
«Gli Eruditi ci stanno cercando» s’intromette Simon, gli occhi castano che guizzano da una parte all’altra da dietro le lenti dei suoi occhiali. «Se scendiamo, ci troveranno facilmente. Per cui vi saremmo grati se ci lasciaste venire in città con voi.»
«Sì?» Il ragazzo inclina la testa. «E voi che cosa avete mai fatto per noi?»
Magnus fa un passo avanti, la pistola gli è quasi contro la gola. Poi con un braccio indica me e mia sorella, rimasta in disparte con le mani ben salde sulla sua arma. «Loro sono Isabelle Lightwood e Alexander Lightwood. Temo che se succedesse qualcosa a loro, il vostro capo non ne sarebbe per nulla felice.»
L’effetto che i nostri nomi hanno sulle persone è immediato e sconcertante: abbassano le armi e si scambiano occhiate significative, qualcuno comincia a bisbigliare.
«Magnus, di cosa stai parlando?» Isabelle si avvicina a noi, gli abiti da Pacifica che le ricadono morbidi sui fianchi. Nella salita sul treno, una lunga ciocca corvina le è sfuggita dalla coda e le ricade davanti ad un occhio.
«Mentre venivo dagli Abneganti per salvare te e Jace, ho sentito un gruppo di Esclusi che organizzavano delle sommosse, a seguito di ciò che avevano fatto gli Eruditi. Ciò che mi ha sorpreso è che parlavano di un qualcuno, un qualcuno di così autoritario e carismatico da essere riuscito a riunire tutti gli Esclusi sotto un unico comando.» Sospira. «Quel qualcuno corrisponde al nome di Robert Lightwood, vostro padre.» 



§



Io e Isabelle ci guardiamo increduli: nostro padre? A capo degli Esclusi?
«Robert è ancora vivo?» Chiede Jace. Quando quest’ultimo è stato adottato non è passato poi molto tempo prima che nostro padre venisse cacciato via dai Candidi, ma è stato grazie alla sua amicizia con il defunto padre di Jace se lui è potuto comunque crescere in una famiglia e non in un orfanotrofio degli Abneganti.
«È ancora vivo.» Risponde il ragazzo Escluso. «E credo proprio che vorrebbe vi portassimo da lui.»
Ci scambiamo tra noi degli sguardi carichi di interrogativi, Isabelle tra tutti non sembra proprio gradire l’idea: lo capisco dal modo in cui ha cominciato a sbattere nervosamente i piedi a terra. Ma dopotutto, che altre opzioni abbiamo?
Non so quanto tempo passa ma quando ci dicono di scendere, ci troviamo nella parte della città dove vivono gli Esclusi, a pochi chilometri dalla fazione degli Intrepidi. Riconosco un edificio: è quello con i mattoni rotti, contro cui è caduto un lampione che non è mai stato rimosso. Questo quartiere della città sembra essere stato dimenticato persino dagli Abneganti.
Gli Esclusi imboccano una strada, poi svoltano a sinistra in un vicolo sporco che puzza di spazzatura. Davanti a noi i topi scappano in tutte le direzioni, squittendo di terrore: vedo le code sgusciare tra montagne di rifiuti, bidoni dell’immondizia vuoti, scatole di cartone fradice. Respiro con la bocca per non vomitare.
L’Escluso si ferma davanti a una costruzione fatiscente di mattoni e apre una porta di acciaio. Sobbalzo, come se mi aspettassi di veder crollare l’intero edificio da un momento all’altro. Le finestre sono coperte da uno strato così spesso di sudiciume che quasi non entra luce. 
Lo seguiamo e ci troviamo in uno stanzone umido. Al bagliore tremolante di una lanterna vedo delle…persone; persone sedute accanto a coperte arrotolate. Persone che aprono scatolette di cibo. Persone che bevono da bottiglie d’acqua. E bambini, che passano zigzagando tra gli adulti, vestiti di tanti colori diversi: bambini Esclusi.
Siamo in uno dei loro magazzini e gli Esclusi, che tutti pensano vivano sparpagliati, isolati e privi di comunità... sono qui dentro tutti insieme. Stanno insieme, come una fazione.
Non so che cosa mi aspettassi, ma mi sorprende la loro apparente normalità. Non litigano tra di loro né cercano di evitarsi: alcuni scherzano, altri parlano pacatamente. Eppure, uno alla volta, tutti sembrano accorgersi di noi, come se intuissero che siamo fuori posto.
«Venite» ci chiama l’Escluso, invitandoci a seguirlo con un cenno delle dita. Noto solo ora che ha una lunga cicatrice che dalla nuca gli attraversa il collo, fino a sparire sotto i vestiti. «È qui dietro.»
Gli Esclusi ci rivolgono occhiate silenziose mentre ci inoltriamo nell’edificio che credevamo abbandonato.
Camminiamo lungo un corridoio buio. Mi sento quasi a casa, circondato da questa oscurità e da questo silenzio, che mi ricordano i tunnel del quartier generale degli Intrepidi.
Mi sentirei rassicurato, se solo non sapessi che tra poco potrei di nuovo rivedere mio padre dopo tanti anni: quando tradì la mamma fu molto doloroso per tutti noi, e lei si ritrovò da sola con quattro figli da crescere. Lo ricordo come un uomo alto, serio, severo…ma non come un cattivo padre: quando aveva tempo, si sedeva sul pavimento del salotto per giocare con me e Isabelle, ci chiedeva cosa facessimo a scuola, ci aiutava con i compiti. Poi, la notte, sentivamo lui e nostra madre litigare: Isabelle piangeva, ed io andavo da lei per tranquillizzarla. Questo fino al giorno in cui lui è stato cacciato.
Magnus è al mio fianco e mi sfiora la spalla con delicatezza. «Stai bene?» 
Sospiro, guardando Isabelle camminare nervosa davanti a me. Jace le sta affianco e le accarezza la schiena, nel tentativo vano di tranquillizzarla.
«Mi viene da vomitare.» Ammetto. «Non lo vedo da tanti anni, ha tradito mia madre, siamo cresciuti senza di lui…» 
«Non sarà facile. Ma oggi lui potrebbe rappresentare la nostra unica possibilità per avere una protezione dagli Eruditi.» Mi stringe le dita tra le sue. «Io sono qui accanto a te.» 
Non rispondo, ma gli sorrido con gratitudine. 
«Siamo arrivati.» Annuncia l’Escluso, fermandosi davanti ad una spessa porta d’acciaio. Quando bussa, questa si apre con un clangore metallico.
Dentro, la stanza è illuminata solo da una fioca lampadina che pende dal soffitto. Al centro della stanza troneggia una pesante scrivania di legno. Un uomo dai capelli scuri è chino su di essa, intento a leggere qualcosa sullo schermo del suo palmare. Il resto della stanza è un polveroso cumulo di fogli e vecchi documenti.
«Avevo detto di non disturbarmi.» Tuona l’uomo, senza alzare lo sguardo. Questa voce, questa voce io la conosco.
«Signor Lightwood, ho ritenuto che questa fosse una cosa davvero importante.» Dice l’Escluso.
A quel punto l’uomo alza la testa, e ci guarda: i suoi lineamenti sono nascosti in parte da una barba nera e ispida, ma anche da lontano si riescono a vedere delle profonde rughe d’espressione che lo fanno sembrare molto più anziano di quanto in realtà non sia. Due occhi azzurrissimi e austeri ci scrutano ad uno ad uno, ed io mi sento mancare la terra sotto i piedi.
È davvero lui. È davvero mio padre.



§



«E questo cosa significa, Edward? Cos’è, un centro di accoglienza per adolescenti sperduti?» 
L’Escluso rimane in silenzio, mettendosi in disparte per permettere a mio padre di guardarci bene.
Il suo sguardo sembra notare Magnus per primo, tradendo un sincero stupore.
«Magnus?» Domanda, più a sé stesso che a noi. 
Poi però sembra notare qualcun altro: dopo aver fissato Magnus nelle iridi dorate per qualche istante, i suoi occhi così simili ai miei si posano su di me. Sul suo volto sembrano passare centinaia di emozioni diverse tutte insieme, lo vedo socchiudere le labbra e alzarsi di scatto dalla scrivania.
Si avvicina a noi a passi incerti, fino a che la sua figura non si staglia a pochi passi dalla mia. Non mi ero nemmeno accorto che Isabelle è accanto a me, anche lei completamente paralizzata.
Le mani forti e ruvide dell’uomo si posano rispettivamente sul mio volto e quello di mia sorella. Sento la faccia che scotta, gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Alexander…Isabelle. Siete davvero voi?» Ci chiede con un filo di voce. 
Non so cosa mi spinga a farlo, ma comincio a piangere come un bambino. Anche Isabelle ha gli occhi lucidi e lo guarda, scossa.
«Tu ci hai abbandonati.» Sputa lei. «Hai tradito la mamma e l’hai lasciata sola, ci hai lasciati soli.»
Lui distoglie lo sguardo.
«Isabelle, ho fatto davvero tanti errori nella mia vita. Con vostra madre le cose non andavano bene, e ho commesso un terribile sbaglio che mi è costato tutto: il mio lavoro, la mia casa, i miei figli. Ho pagato con ogni cosa che avevo.» Le sfiora il viso con il dorso della mano, lei non si ritrae a quella carezza. «Ma non è passato un giorno senza che vi pensassi: quando me ne sono andato eravate solo due bambini…siete così cresciuti.»
Improvvisamente sembra notare anche Jace, rimasto in silenzio per tutto il tempo.
«Jace, sei diventato un uomo anche tu vedo. Ma ora, volete spiegarmi cosa ci fate tutti qui?» 
«Beh, Robert, fossi in te mi metterei seduto.» Ribatte Magnus, incrociando le braccia al petto. «Credo che avremo molte cose da raccontarci.»

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