Guarda chi sono di Kajsa (/viewuser.php?uid=70620)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentimento ***
Capitolo 2: *** Qualcosa di nuovo ***
Capitolo 1 *** Presentimento ***
Guarda chi sono 1
Eccomi di nuovo qua con un'altro racconto Originale sempre sul tema
della Magia! Spero siano di vostro gradimento!
Ovviamente, ogni
riferimento a cose o persone è puramente casuale
poichè questo racconto è frutto della mia
immaginazione.
Vi auguro una buona lettura :-)
Kajsa
Guarda
chi sono
Capitolo Primo:
Presentimento
Non
cancellerò mai l’immagine di quel bosco dalla mia
memoria.
Gli alberi scuri e minacciosi si trovavano tutti intorno a me. Sentivo
uno scroscio in lontananza. Pioveva. Avanzavo silenziosamente, facendo
attenzione a non inciampare. Alcune gocce mi colarono sul viso.
All’improvviso un lampo illuminò l’aria
tutta intorno a me, fino quasi ad accecarmi.
Sentii lo sbattere d’ali degli uccelli spaventati che
volavano via.
Quando riaprii gli occhi, davanti a me trovai uno degli animali
più belli ed eleganti che esistono al mondo. Una lince, dal
manto candido come la neve, si avvicinava, annusandomi. Non provavo
paura, bensì curiosità. Mi avvicinai a lei,
cauta, e le porsi una mano perché l’annusasse.
Al contatto col suo naso umido ebbi un sussulto, la lince si
allontanò istintivamente. Aveva fiutato il mio improvviso
timore.
-Cosa ci fai tu qui?- le chiesi. Era strano che un animale che vive al
nord si trovassi di fronte a me. Provai nuovamente ad avvicinarmi a
lei. Questa volta riuscii ad accarezzarle il muso e lei emise un mugolo
di piacere.
Iniziò poi a scrutarmi con i suoi profondi occhi neri e,
improvvisamente, iniziò a correre per il bosco.
Istintivamente la inseguii. Corsi non so per quanto tempo dietro a
quell’animale così perfetto. I suoi muscoli si
muovevano ritmicamente. Era molto veloce e dopo un po’
iniziai a perdere terreno rallentata da un forte dolore alla milza.
Quando oramai stavo per fermarmi, rinunciando al mio folle
inseguimento, la magnifica e candida creatura si fermò,
iniziando ad annusare l’aria.
La pioggia iniziò a cadere con maggiore insistenza e i
capelli mi frustavano sul viso agitati dal vento.
Il sottobosco era diventato un pericoloso manto viscido.
Un altro lampo. La lince si voltò verso di me e
ruggì, mostrandomi la mortale dentatura.
-Cosa succede?- chiesi intimorita.
Non ebbi quasi il tempo di finire la frase che un insieme di immagini
si affollarono nella mia mente lasciandomi spiazzata.
Un orso comparve dal profondo della vegetazione al mio fianco seguito
da un serpente, un enorme serpente dorato.
La lince si avvicinò prima diffidente verso il possente
animale di fronte a lei, mostrando i denti. Quando capì che
l’orso non le avrebbe fatto del male, lasciò che
questo le leccasse il muso, probabilmente in segno di amicizia.
L’enorme biscia, invece, iniziò a girare intorno
agli altri due animali, molto più grandi di lei e, tutto
d’un tratto, attaccò alle spalle la lince,
mordendole la schiena che iniziò a sanguinare.
L’orso si scaglio così contro il serpente dorato
ed iniziò a lottare contro quest’ultimo.
Io guardavo impietrita la lotta cruenta, senza sapere che fare. La
lince mi fissava con sguardo sofferente, ma non sapevo che fare. Oramai
il veleno doveva essersi diffuso per tutto il corpo e non avevo dietro
nulla con cui poterla salvare.
L’orso invece continuava a lottare, ma si trovava in netto
svantaggio. Il serpente lo aveva avvolto in una stretta mortale e i
ruggiti di dolore facevano tremare l’aria.
Sapevo che dovevo fare qualcosa. Posai nuovamente lo sguardo
sull’agonizzante lince. Sembrava volesse dirmi qualcosa.
Voleva che intervenissi. Mi lanciai così contro il serpente
ma quest’ultimo mi respinse gettandomi lontano, contro un
albero, colpendomi con la coda come se fosse una possente frusta.
Rimasi stordita qualche istante e, quando riaprii gli occhi, il crudele
animale dorato, stava cercando di inghiottire l’imponente
orso, steso esanime sull’erba bagnata, a partire dal muso.
Un grido di dolore e di disgusto mi si formò in gola, ma non
riuscii ad emettere nessun suono. Gli occhi mi si riempirono di
lacrime. Mi sentivo inutile. Desideravo che tutto quello che stavo
vedendo sparisse dalla mia vista immediatamente. Non potevo sopportare
un secondo di più la crudeltà a cui stavo
assistendo.
-Nooo!- gridai infine. Ma a quel punto non mi trovavo più
nel bosco. L’orso e il serpente erano spariti,
così come la candida lince.
Era stato solo un sogno. Realizzai che ero in camera mia dopo qualche
istante. L’orologio digitale sul comodino indicava
che erano le sei e mezza, troppo presto per i miei standard.
Mi girai dall’altro lato, mettendo la testa sotto il cuscino,
ma quelle immagini continuavano a tornare vivide nella mia mente.
Invano tentai di ignorarle.
Trascorsi un altro quarto d’ora nel buio della mia camera,
poi decisi di alzarmi. Ci saranno stati una decina di gradi fuori dalle
coperte, ma non ci feci caso. Ero abituata a stare al freddo. Con la
mamma avevamo abitato in montagna quando ero piccola, insieme alla
nonna. Da quando lei se n’è andata,
però, siamo venute a vivere qua in campagna, ad Ovada.
Mi alzai ancora mezza intontita e presi dalla sedia della scrivania un
paio di jeans che avevo messo il giorno prima e mi diressi verso
l’armadio da cui sfilai la prima maglietta che mi
capitò tra le mani.
La sera prima mi ero fatta la doccia per cui mi diedi una risciacquata
e mi cambiai abbastanza velocemente, come ero solita fare.
Presi poi lo zaino e scesi in cucina, strisciando i piedi. Non credevo
di essere così in anticipo. Di solito ci mettevo un sacco di
tempo prima di realizzare che dovevo alzarmi per andare a scuola, ma
quella mattina era un caso eccezionale.
Presi una confezione di biscotti dalla credenza e una tazza e le posai
sul grande tavolo della sala da pranzo, troppo grande per due sole
persone, a mio parere. Quando tornai indietro per prendere il latte dal
frigo, accesi la radio che si trovava sopra quest’ultimo e
alzai il volume al massimo.
Come immaginai, pochi minuti dopo scese mia madre ancora in pigiama
mugolando qualcosa.
-Tanto prima o poi ti saresti dovuta alzare...- risposi alla sua
incomprensibile lamentela.
Lei mi guardò accigliata, con le mani tra i capelli biondi
tinti tutti arruffati.
-Ma non ti vergogni ad essere già in piedi a
quest’ora? Sono solo le sette e dieci...-
Devo ammettere che se fosse stata una qualsiasi altra normale madre,
avrebbe fatto i salti di gioia nel vedermi in giro per casa
così presto, ma mia mamma non era affotti normale.
Feci colazione in silenzio e, quando ebbi finito, rimisi tutto a posto
e misi l’acqua a bollire per preparare il tè a
Freia.
-Oh... Grazie piccoletta.- disse, tornando dopo alcuni minuti che aveva
passato in bagno a vestirsi.
-Sei agitata per qualcosa?- mi chiese poi di punto in bianco
mentre preparavo l’infuso.
-No, perché?-
-E’ strano vederti in piedi già a
quest’ora... pensavo che qualcosa ti avesse tenuta
sveglia tutta la notte. Hai il viso stanco...-
-In effetti sono stata svegliata...- ammisi.
Mamma si sedette di fronte a me. Aspettava che continuassi.
Riassunsi in breve l’incubo che avevo fatto. Le immagini
della lotta tra il serpente e il gigantesco orso erano ancora vividi di
fronte a me.
-E poi c’era una lince col pelo bianco.-
-Una lince?-
-Si, è strano?-
Freia inclinò il capo pensierosa, «E’
strano vedere una lince da queste parti…»
Sinceramente non mi sarei aspettata una risposta così
stupida uscire dalla sua bocca, ma preferii non controbattere.
-Era solo un sogno, mà.-
-Si, ma che ti ha svegliata in piena notte...-. A volte diventava
apprensiva per poco e così cercai di tranquillizzarla.
Senza che me ne accorgessi si fece ora di uscire. Presi le chiavi della
moto e mi diressi verso il garage.
-Ricordati di andare a prendere tua cugina stamattina! Sua mamma non la
può accompagnare a scuola!-
-Ok, passerò da lei!- risposi mentre mi stavo mettendo le
scarpe nell’ingresso. In realtà non abitavamo
proprio in paese, ma in una frazione che distava una decina di
chilometri.
Quando ci siamo trasferite, la mamma cercava un posto isolato che
potesse ricordarle la casa in cui viveva da bambina e aveva
trovato su un giornale l’annuncio di vendita del posto dove
abitavamo adesso. Era una piccola villetta che cadeva a pezzi e fu
probabilmente per questo che la pagammo poco e niente. Inoltre era
abbastanza isolata dalle altre case della zona e, alle sue spalle, si
trovava un bosco che era interamente di nostra proprietà.
Freia non avrebbe potuto desiderare di meglio, e nemmeno io. Adoravamo
rifugiarci nel bosco per fare due passi o per meditare, era un
po’ il nostro nascondiglio segreto.
Quando uscii di casa, un vento gelido mi scompigliò i
capelli biondo rossicci e mi dovetti chiudere la giacca che non avevo
ancora abbottonato.
La mia Aprilia RS nera era posteggiata nel garage di fronte a quel
catorcio di macchina che aveva mia mamma. Le ripetevo sempre che non
avrei mai voluto guidarla per paura che mi abbandonasse per strada. E
poi adoravo la mia moto da corsa. Era un 125, ma andava veloce come una
vera moto da corsa, tipo quelle che si vedono al Gran Premio, e questo
mi bastava. La trattavo come una bambina. La pulivo praticamente due
volte al mese e non le avevo mai trovato sopra un graffio.
Mi infilai il casco ed accesi il motore. In pochi minuti mi trovavo
davanti a casa di Clara. Non feci nemmeno tempo a scendere dalla moto
che la mia cuginetta uscì subito non appena vide la mia moto
entrare nel cortile.
Era di un anno più piccola e molto, e sottolineo molto,
diversa da me. Vederci insieme poteva sembrare un po’ strano.
Io sempre imbronciata, trucco pesante e vestiti molto alla
buona, mentre lei era sorridente, ben truccata e vestita sempre alla
moda. Per l’appunto, oggi indossava un paio di jeans rosa
della D&G e un piumino di una non so quale altra marca, ma
sarei stata pronta a scommettere che sarebbe costato più di
tutto quello che indossavo io in quello stesso momento.
-Ehilà Stella! Spero di non aver fatto tardi!- si
scusò raggiungendomi di corsa.
Mi alzai e presi da sotto il sellino un casco di riserva e glielo porsi.
-No tranquilla. Sono io che oggi sono in anticipo.-
Nel sentire quella frase inconsueta emise un risolino mentre
s’infilava il casco che le avevo passato.
-Oggi hai da fare?- mi chiese mentre accendevo il motore. Ci pensai un
qualche istante prima di risponderle che non avevo nessun programma,
eccetto quello di finire i compiti.
-Allora ti va di andare a vedere che è venuto ad abitare
vicino a noi? La mamma dice che sarebbe buona educazione...-
Avevo notato che da qualche mese degli operai stavano lavorando in una
villetta vicino a quella di Clara, ma non avevo ancora visto nessuno
girare da quelle parti che non fosse un operaio.
-Ma da quando ci vivono?- chiesi incuriosita.
-Boh! Qualche giorno...- gridò lei cercando di sovrastare
con la sua vocina acuta il rombo del motore.
-Non saprei... magari ci andiamo domani ok? Così chiedo a
mamma...-
-Non c’è problema. Ah! Lo sai che mi pare di aver
capito che sono una coppia molto giovane con un figlio della nostra
età?-
Sorrisi.
-No, non lo sapevo. Comunque ora ho capito perché vuoi
andare a trovarli!- le risposi cercando di stuzzicarla un po’.
Qualche minuto dopo eravamo nel cortile della scuola. Ero arrivata
così presto da riuscire a trovare un posteggio davanti al
cancello dell’istituto.
-Allora io vado dai miei compagni! Ci vediamo all’uscita!- mi
disse mia cugina mentre si dirigeva già verso un gruppo di
ragazzi che ridacchiavano vicino all’ingresso.
A volte la invidiavo per la popolarità che riscuoteva. Era
molto bella ed aggraziata e sapeva farsi voler bene da tutti, a mio
contrario.
Non ho mai capito perché a volte la gente mi guardi come se
avessi la lebbra. Freia mi dice che spesso, quando sono pensierosa,
assumo uno sguardo cattivo. Probabilmente anche in quel momento era
così.
Mi misi lo zaino in spalla e mi diressi verso una panchina nel
giardinetto della scuola.
Mancavano pochi minuti prima che suonasse la campanella, ma ne
approfittai per pensare un po’ da sola. Da quel punto potevo
vedere ancora Clara che chiacchierava animatamente con i suoi compagni
e potevo notare anche molto bene lo sguardo ammiccante di un ragazzo
che le si trovava di fronte, provando una vena di fastidio.
Ero sempre stata molto protettiva nei confronti di mia cugina,
nonostante fosse più piccola di pochi mesi. Da quando aveva,
però, deciso di non voler essere come me e Freia, e sua
mamma, mi ero messa in testa di proteggerla io, convinta che da sola
non ce l’avrebbe fatta.
“Che stupida…”, pensai, “Non
è che se non vuole sfruttare le sue capacità,
debba essere per forza vittima di una non so quale
catastrofe.”
La gente mi considererebbe una pazza, una strega. Lei aveva paura di
essere esclusa dal resto del mondo a causa di quelle parole.
A dire il vero, però, lei non ha mai provato cosa vuol dire
essere consapevoli della magia che ci circonda. È stata sua
madre, la sorella di Freia, un pomeriggio, a rivelarle il segreto.
Clara subito l’aveva preso per uno scherzo poi, quando
capì che sua madre era seria, fu colta da un momento di
panico e scappò perfino da casa, venendomi a cercare.
Ricordo ancora tutto come se fosse appena accaduto.
Era quasi ora di cena e Clara si presentò davanti a casa mia
sfinita a causa della corsa, con le lacrime agli occhi.
Non appena la feci entrare, lei scoppiò in un pianto dirotto
dicendo che sua madre era impazzita, che le aveva spiegato delle cose
senza senso e non voleva più vederla.
Mi sentii ferita nel sentirle pronunciare quelle parole.
Io avevo scoperto da sola quello di cui lei dubitava circa un anno
prima, leggendo un paio di libri che avevo trovati nascosti in casa, e
glielo avevo tenuto nascosto su richiesta di Freia e sua sorella Rosy.
-Clara,- le avevo detto quando si era un po’ calmata, -Non
credi che magari è una cosa naturale quella che ti ha detto
la zia?-.
Lei guardò male pure me. Cercai di spiegarle che stava
commettendo un grosso errore in molte maniere. Le feci perfino vedere i
miei strumenti che tenevo custoditi in camera, ma lei continuava a non
volermi credere.
-Se esistesse ancora l’inquisizione, metà della
mia famiglia sarebbe già stata bruciata sul rogo...-
sospirò rassegnata ad un certo punto.
Quella sera dormì da me e quasi non ci parlammo. La cosa
durò per alcune settimane finché, un
giorno non si convinse che era giusto che ognuno credesse in
ciò che desiderava e, così, tornò ad
essere la mia cuginetta e la mia migliore amica.
E ora stava là, a chiacchierare con i suoi amici normali,
come li definiva in mia presenza, un po’ per prendermi in
giro, un po’ per sottolineare con un minimo di amarezza la
mia scelta.
Sospirai.
Quel mattino il cielo era coperto di nuvole nere che non promettevano
nulla di buono.
Mentre lasciavo che i pensieri vagassero liberi nella mia mente, un
vento gelido si alzò improvvisamente. Un brivido corse lungo
la mia spina dorsale e si propagò per tutto il mio corpo
facendomi tremare. D’un tratto ciò che mi
circondava sparì nel nulla e, di fronte a me, vidi
nuovamente la lince dal pelo bianco che mi fissava, magnifica nel suo
portamento.
L’immagine sparì dopo pochi secondi, portandosi
dietro tutta la mia vitalità. Restai immobile sulla
panchina, colta dal panico per alcuni minuti, finché non
vidi la mia compagna di banco venire verso di me con aria preoccupata.
-Ehi Stella!! Stella stai bene?!- gridava Cecilia avvicinandosi e
scuotendo una mano a mezz’aria per attirare la mia attenzione.
Quando mi fu davanti le sorrisi e le dissi di non preoccuparsi.
-Vuoi che ti porti in infermeria? Stai sudando freddo e sei pallida...
sicura di stare bene?- mi chiese con la preoccupazione che le si
leggeva negli occhi.
Lei era una delle poche persone della mia classe che non mi considerava
una strana o un’associale. -No tranquilla Lily. Ho avuto solo
uno dei miei soliti capogiri.- cercai di abbozzare un sorriso per non
farla preoccupare di più.
Cecilia si offrì comunque di accompagnarmi in classe
tenendomi a braccetto perché continuava a non fidarsi della
mia cera.
Mi capitava, a volte, di vedere delle immagini così
nitidamente mentre pensavo intensamente a qualcosa, ma non mi era mai
capitato così improvvisamente come quella mattina. Trascorsi
tutta la prima ora a pensare a cosa potesse avermi provocato una tale
reazione. Infondo non era altro che una lince, non aveva senso che il
ricordo di quell’animale così stupendo mi
provocasse quell’assurda sensazione di panico.
Cecilia mi chiese più volte come stavo durante
l’ora di filosofia e, piano piano, si convinse che il
malessere stava passando poiché avevo recuperato un
po’ del mio colorito dopo che mi aveva costretta, durante la
lezione, a mangiare quasi un intero pacchetto di caramelle zuccherose
che portava sempre a dietro per paura di avere un calo di pressione.
Anche la seconda ora passò, senza che accadesse nulla di
speciale mentre, come al solito, il prof spiegò
ininterrottamente costringendo la mia mano a superare la
velocità della luce per prendere appunti su tutto
ciò che usciva dalla sua bocca.
Il cambio d’ora, però, la prof di arte Cattani
entrò in classe accompagnata da un ragazzo che non avevamo
mai visto.
Era molto alto e aveva i capelli scuri e un “fisico niente
male”, come lo aveva definito prontamente Cecilia. La cosa
che però mi colpì più di tutto furono
i suoi occhi di un blu così intenso da sembrare quasi finti,
come se indossasse le lenti a contato e, sinceramente, per un istante
presi la cosa seriamente in considerazione.
Dopo aver ottenuto la nostra attenzione richiamandoci più
volte, la Cattani presentò il nuovo ragazzo.
-Si chiama Fruner Jamie e si è trasferito
dall’Austria.-
“Fico”, pensai, “più o meno da
dove vengo io...”.
Dopo aver aiutato un bidello che portava un banco in più, il
nuovo studente si sedette da solo di fronte a Cecilia, la quale
sospirò di sollievo per il fato di non essere più
al primo banco.
Quando tutti ebbero finito di chiacchierare, la prof riprese la
spiegazione da dove l’aveva interrotta ma io non ascoltai una
parola di quello che diceva. Il panico di poco prima s’
impossessò nuovamente della mia mente. Iniziai a sudare
freddo come poco prima nel cortile e la testa si mise a girare.
-Stella! Stella stai di nuovo male?- bisbigliò la mia
compagna di banco preoccupata perché ero di nuovo
impallidita.
Feci cenno di no con la testa e la appoggiai sul banco. Avevo il
respiro affannato e nella mia mente tornarono a farsi vive le immagini
dell’incubo di quella notte. Era come se stessi sognando ad
occhi aperti.
Cecilia iniziò a massaggiarmi le spalle e a dirmi frasi
rassicuranti, ma non potevo e non sapevo come spiegarle quello che mi
stava succedendo per poterla tranquillizzare.
-Sta male?- sentì bisbigliare da una voce un po’
roca che non avevo mai sentita. Alzai lo sguardo e vidi i profondi
occhi blu del mio nuovo compagno fissarmi incuriositi.
Cecilia gli disse che stavo così da stamattina e che
probabilmente avevo un po’ di influenza. Lui annuì
e puntando i suoi occhi nuovamente su di me. Ricambiai lo sguardo ma
preferii non dire nulla e, così, tornai ad appoggiare la
testa sul banco nella speranza che quell’assurda sensazione
di panico svanisse.
Una ventina di minuti dopo suonò finalmente la campanella
che segnava l’inizio della ricreazione e ne approfittai per
andare in bagno a sciacquarmi la faccia.
-Ah ci voleva proprio...- sospirai tornando in classe e andandomi a
sedere.
Tutti gli altri stavano accerchiando il nuovo compagno, di cui non
ricordavo manco più il nome e sentivo le ragazze
starnazzare domande idiote solo per farsi notare.
Io mi misi nuovamente con la testa sul banco e chiusi gli occhi
sospirando.
-Ehi stai meglio?-
La sua voce mi colse alla sprovvista. Era roca ma allo stesso tempo
incredibilmente armonica.
Alzai lo sguardo, -Si grazie... ehm...-
-Jamie!-, mi aiutò lui porgendomi la mano.
-Stella Damonte.- feci eco io, fissandolo per un istante negli occhi
prima stringergliela provocando una reazione inaspettata.
Quando la mia pelle entrò in contatto con quella calda di
Jamie sentii la sua energia fremere al contatto con la mia e venni
percorsa da una forte scossa. L’immagine della lince
riaffiorò dalla mia mente per una frazione di secondo per
poi sparire immediatamente portandosi dietro ogni traccia del panico
che mi aveva attanagliava da quella mattina. L’energia che si
era sprigionata al contatto con la sua pelle era quasi tangibile per
una persona sensibile a queste cose come me.
-Mi hai dato la scossa, Damonte.- disse lui ridacchiando sicuramente
della mia espressione a metà tra lo stupore e lo spavento.
-Chiamami pure Stella se vuoi.- biascicai abbozzando un sorriso e
ritraendo la mano dalla sua stretta. Non mi era capitato molto spesso
di avvertire una forza così potente nel toccare qualcun
altro per la prima volta.
Continuando a sorridere dei miei modi impacciati, Jamie mi diede anche
lui il permesso di chiamarlo per nome e, coperto dal suono della
campanella, mi augurò di guarire presto. Mancavano ancora
due ore di matematica prima di uscire, ma trovai il modo per farle
passare velocemente.
Cecilia aveva detto che non mi sentivo molto bene alla prof, la quale,
spinta da un non so quale spirito bonario, mi aveva dato il permesso di
stare con la testa sul banco a riposare.
La mia mente, intanto, era tormentata da ciò che era
successo pochi minuti prima.
“Possibile che lui se ne sia accorto?”, continuavo
a domandarmi.
Non poteva essere possibile. Probabilmente il fatto che lui avesse
preso la scossa era solo un segno che l’energia che si era
liberata era così forte che anche una persona normale
potesse sentirla.
“Non posso nemmeno andare li a chiedergli se ha sentito una
qualche strana forma di energia... chiamerebbe il manicomio in meno di
un secondo!”, continuai a pensare. Sicuramente mi considerava
già la classica sfigata della classe, vestita alla buona e
colpita un giorno si e uno no da un insulso malanno.
Nonostante ciò, continuai a ragionare a lungo su quel
problema e non diedi il minimo ascolto alla prof che stava interrogando
due miei compagni.
“A quanto pare nemmeno lui è molto interessato
alla lezione...” dedussi, vedendo che si stava facendo i
benemeriti affari suoi leggendo un libro nascosto sotto il banco.
-Ste, va meglio?-, bisbigliò Cecilia al mio orecchio.
Spostai lo sguardo su di lei che mi guardava apprensiva e non potei far
altro che sorridere.
«Si stai tranquilla, domani starò
meglio.» la rassicurai io, al che Cecilia mi sorrise e
tornò a seguire la lezione promettendomi di passarmi i suoi
appunti alla fine della lezione.
Adoravo stare vicino a quella ragazza così spontanea e
sincera. Era l’unica compagnia che era venuta a casa mia e la
consideravo la mia migliore amica, eccetto ovviamente e mia cugina. Mi
dispiaceva non poterle però raccontare tutti i miei segreti,
ma lei lasciava mai trasparire la sua curiosità quando
capiva che c’era qualcosa di cui non potevo parlare.
Inoltre, a volte, mi piaceva guardare il colore verde della sua aura,
che rispecchiava perfettamente il suo modo di essere.
“L’aura!”. Ero curiosa di scoprire
qualcosa di più sul nuovo compagno e non c’era
niente di meglio che controllare la sua aura.
Mi sarebbero bastati pochi minuti per poter raggiungere la
concentrazione necessaria da poter vedere l’energia che
rilasciava il suo corpo e, così, mi misi subito
all’opera.
Respirai a fondo per una decina di volte, al massimo Cecilia poteva
pensare che mi era venuto un attacco d’asma.
Quando riaprii gli occhi, posai il mio sguardo sulla figura di Jamie. I
contorni intorno al suo corpo iniziarono a farsi sempre più
luminosi ogni istante che passava.
“Eccola!” esultai quando finalmente intravidi una
sottile strisciolina blu comparire intorno a lui.
Tornai a concentrarmi più profondamente e il blu
iniziò a farsi più intenso, quasi elettrico.
Infine notai che, attaccato al corpo, compariva un minima sfumatura
violetta e, dopo un istante in cui l’aura raggiunse la sua
massima estensione, i colori sparirono improvvisamente.
Trattenni a stento un gridolino che non sfuggì alle orecchie
di Cecilia e del nuovo compagno.
-Hai fatto un incubo?-, chiese lui voltandosi verso di me con un ghigno
stampato in viso. Gli lanciai un’occhiataccia e non gli
risposi.
“Cavolo!”, pensai, “Ma chi diavolo
è sto qua?!”
Non mi erano mai capitate tante cose strane in presenza di qualcuno e
arrivai a pensare di essere veramente malata, ma nella testa.
Non era possibile che non riuscissi più a leggere
l’aura di una persona. Era una delle prime cose che avevo
imparato e oramai avevo una certa dimestichezza.
Girai il viso verso Cecilia e mi concentrai nuovamente. Tirai un
sospiro di sollievo quando iniziai a scorgere il solito luminoso verde
smeraldo comparire intorno al suo corpo.
Mantenendo la concentrazione, voltai lo sguardo verso Jamie. Ci misi il
doppio del tempo per iniziare a scorgere una parvenza di luminescenza
intorno al suo corpo. Era come se non volesse farmi guardare. Mi sentii
frustrata a tal punto che trascorsi il resto dell’ora a
concentrarmi per poter vedere qualcosa di più, ma
ciò non accadde e alla fine persi la concentrazione
distratta dal suono della campanella.
-Sei in moto?- chiese preoccupata Cecilia quando mi alzai rassegnata
dalla sedia.
-Si ma tanto vado da mamma dalla fioraia, magari ha qualcosa per il mal
di testa in borsa.-
Nel sentire quelle parole la mia amica sorrise e mi augurò
di guarire in fretta porgendomi il suo quaderno come aveva promesso. La
ringraziai e uscii in tutta fretta dalla classe.
Mentre ero per le scale mi sentii picchiettare su una spalla, una delle
tante cose che detestavo.
Mi voltai con aria rabbiosa e mi ritrovai accanto Jamie e notai che gli
arrivavo a malapena al petto tanto era alto.
-Ti sei già innamorata di me?- ridacchiò lui.
-Cosa stai farneticando?!-. Iniziavo a non sentirmi affatto a mio agio
in sua presenza, e pensare che lo conoscevo da poche ore.
-Beh, il dubbio sorge, dato che è da un’ora che
non mi stacchi gli occhi di dosso!-
Improvvisamente mi sentì avvampare. Mi aveva beccata!
-Beh... io... cioè tu...-, non avevo assolutamente idea di
che scusa raccontare, mi sentivo una perfetta idiota presa in giro da
uno sconosciuto.
-Dai tranquilla! È difficile resistere al mio fascino
dopotutto-
Dopo un’affermazione del genere lo guardai malissimo e
accelerai il passo decisa a raggiungere al più presto la mia
moto.
-No dai aspetta Stella!- continuava a ripetermi inseguendomi, ma io
proseguii dritta per la mia strada senza degnarlo di uno sguardo.
“Ma che sbruffone! Chi si crede di essere!?”, mi
sentivo umiliata. Non mi era mai capitato di essere sorpresa a fissare
qualcuno in maniera così palese, ma ciò che mi
irritava maggiormente era il fatto che ‘sto qua aveva
frainteso alla grande le mie intenzioni.
Arrivata alla moto mi misi il casco e accesi il motore pronta a
sfrecciare via, ma Jamie mi comparve davanti impedendomi di partire.
Aveva un’espressione supplichevole e mi continuava a chiedere
scusa per avermi presa in giro.
Sollevai la visiera del casco perché mi potesse vedere in
faccia.
-Senti, non era mia intenzione fissarti per tutta l’ora, ma
avevo male alla testa. Non voglio mettermi in cattiva luce anche con te
fin da subito, ma forse te lo diranno già gli altri che
è meglio evitarmi, per cui il mio è
già una specie di avviso. Ora se non ti dispiace devo andare
via.-
Non mi resi conto che verso la fine la mia voce si era fatta
più acuta probabilmente a causa dell’irritazione
che mi provocava quel ragazzo che ora mi guardava sorridendo, mettendo
in mostra la sua dentatura perfetta.
-Ok Damonte! Comunque ricordati che adoro le sfide, per cui mi
sforzerò di non evitarti come fanno gli altri!-
Sembrava molto sicuro di se, forse troppo.
-Come preferisci. E ficcati bene in testa che non sono innamorata di
te!- arrossii di vergogna e rabbia nel pronunciare quelle parole, delle
quali lui sembrò compiacersi perché
tornò a ridere.
«Mi stai già simpatica, lo sai? E hai proprio una
bella moto.»
La mia pazienza aveva raggiunto il limite e, ritirando giù
la visiera, diedi una girata all’acceleratore e partii
cercando di non investire Jamie che vidi salutarmi da lontano con la
mano attraverso lo specchietto retrovisore.
Freia era impegnata con un cliente quando entrai in negozio,
così mi sedetti dietro al bancone ed aspettai che finisse di
servire.
Non riuscivo a togliermi dalla testa la vergogna che avevo provato poco
prima. Ero una persona molto orgogliosa e testarda e sentirmi presa in
giro in quella maniera era un’umiliazione.
-Ti hanno picchiata piccoletta? Hai una faccia...-
Sbuffai. -No mamma... non è successo niente del genere. Oggi
è stata una giornata impegnativa.-
Freia mi guardò intensamente negli occhi e, non so come,
intuì cosa mi tormentava.
-È sempre a causa del sogno di questa mattina?-
Annuii e confessai che c’era dell’altro.
Riassunsi brevemente l’incontro con il nuovo compagno,
omettendo ovviamente la parte che mi umiliava, spiegando cosa era
successo quando avevo cercato di vedere la sua aura.
-Strano-, commentò lei immersa nei suoi ragionamenti.
-Inoltre ha avuto uno strano effetto il suo contatto con te. Se vuoi ne
riparliamo stasera che questo non è il luogo adatto.-
Mi alzai e mi diressi verso la porta mentre un cliente stava entrando.
-Allora ci vediamo quando chiudi.-
Mamma annuì sorridente così, saltata in sella
alla mia fedele Aprilia, sfrecciai verso casa dove mi feci una tisana
che andai a bere nel bosco in attesa della mamma.
Mentre mi dirigevo verso uno spiazzo a un centinaio di metri da casa
che avevamo adibito a santuario, sentii le prime fredde gocce di
pioggia punzecchiarmi il viso.
In men che non si dica iniziò a diluviare e fui costretta a
correre al riparo del gazebo che avevamo posto della piccola radura.
Non pativo il freddo, ma la tisana mi ci voleva proprio. Non dovetti
aspettare a lungo prima che la mamma si facesse viva correndo a
perdifiato per bagnarsi il meno possibile.
-Ho in mente una bella meditazione per noi oggi, e il tempo sembra
favorirci!- annunciò tutta entusiasta lanciandomi un
sacchetto della spesa che teneva sotto il giaccone.
Ne tirai fuori una tunica fucsia decorata con ghirigori dorati e
osservai mia mamma mentre si spogliava per infilarsene una simile.
Senza aspettare un suo ordine la imitai, ripiegando per bene poi i suoi
e i miei vestiti infilandoli nel sacchetto affinché non si
bagnassero.
-Dai Stella, andiamo.-
Freia si lanciò correndo verso l’interno del bosco
e io fui costretta a seguirla.
Mia madre si fermò in riva al torrente che scorreva vicino a
casa e accese un piccolo incenso che mise sotto ad una strana pietra
fatta a grotta in modo che non si spegnesse.
Io mi sedetti di fronte e lei e mi feci pervadere dallo speziato
profumo di cannella che si stava diffondendo nell’aria.
Oramai ero già tutta bagnata e i capelli mi si erano
incollati al viso e, nello scostarli ebbi un deja-vù
collegato al sogno della sera precedente.
-Ora cerca di rilassarti e non pensare più a niente. Questa
cosa mi è venuta in mente mentre tornavo a casa!-
annunciò fiera di se mia madre che spesso e volentieri
sembrava una ragazzina, tanto si compiaceva di ciò che
faceva.
Seguii il suo consiglio e cancellai dalla mia mente ogni pensiero,
anche il più insignificante.
Riuscivo a sentire ogni singola goccia che scivolava lungo il mio corpo
e il fruscio di ogni singola foglia mossa dal vento.
-Il mio intento è quello di far allontanare ogni pensiero
negativo dalla tua mente, per cui iniziamo col concentrarci sulla
pioggia.- bisbiglio Freia che già aveva raggiunto un livello
di concentrazione altissimo.
Non fu comunque difficile concentrarsi sulla pioggia tanto cadeva forte.
I minuti passavano, ma noi non avevamo alcuna fretta. È
piacevole la sensazione di non aver nessuno che ti corre dietro.
Infine la mamma mi spiegò in cosa consisteva
l’esercizio. Avrei dovuto visualizzare ogni goccia che
scivolava lungo il mio corpo come uno dei tanti pensieri negativi che
mi affollavano la mente per farli scorrere via come l’acqua.
All’inizio fu difficile fare ordine in testa. Troppe cose mi
tormentavano e si accalcavano senza un’ ordine logico nella
mia mente.
Poi, però, iniziai col ragionare sulla cosa che aveva dato
il via a tutto: il bosco.
Mi immaginai l’immagine del bosco come se fosse racchiusa in
una goccia di cristallo che scorreva lungo il mio petto per poi finire
tra l’erba sotto di me. L’immagine successiva fu
quella del lampo e, dopo ancora, quella della lince. Mi dispiaceva
allontanare dalla mia mente l’immagine di
quell’animale stupendo, ma era stato causa di una tensione
per me inspiegabile. Anche lei, però, scivolò,
questa volta lungo la mia schiena, portandosi dietro un brivido.
Mi sentivo già molto meglio e non fu difficile far scorrere
via anche gli altri ricordi negativi: la sensazione di panico che mi
aveva colto nel cortile, l’incontro con il nuovo compagno e
l’umiliazione provata nel corso della giornata.
Alla fine mi sentivo leggera, quasi libera. Non mi preoccupava
più il fatto di essere stata presa in giro e il ricordo
dell’incubo non mi pesava più.
Freia si trovava ancora accanto a me, lo sguardo attento e incuriosito.
-Finito?- chiese quando si accorse che avevo aperto gli occhi ed io
annuii. Mi complimentai poi con lei per l’idea che aveva
avuto e ci dirigemmo in silenzio verso il giardinetto.
Prendemmo i vestiti e, appena entrate in casa ci infilammo in bagno
sotto la doccia per scaldarci un po’.
-Vuoi raccontarmi le tue impressioni?- mi chiese la mamma quando ci
fummo cambiate e lei scaldava qualcosa nel microonde.
Pensai un istante e poi le spiegai le mie sensazioni mentre facevo
scorrere tutte quelle immagini lungo il mio corpo.
Lei ascoltava silenziosa, ma non era in grado di nascondere la sua
emozione dato che sfoderava un sorriso a trentadue denti e gli occhi le
brillavano.
-Ah! Hai visto che la mammina a volte ha delle idee grandiose?-
Mi misi a ridere portando alla bocca l’ultimo boccone di
lasagne.
Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento e che
aspetterete con ansia i prossimi! :-)
Inutile dire che aspetto delle recensioni perchè mi aiutano
a capire quanto ancora devo crescere prima di imparare a
scrivere decentemente! :-) Ve ne sarei grata!
Nel frattempo potreste leggere qualche altro mio lavoro:
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=70620
Grazie!
Kajsa
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Capitolo 2 *** Qualcosa di nuovo ***
Guarda chi sono 2
Guarda
chi sono
Capitolo Secondo:
qualcosa di nuovo
Quella mattina mi
svegliai con un terribile mal di testa e il naso gocciolante.
Freia, tutta felice e
canticchiante, fece irruzione in camera mia aprendo le finestre per far
cambiare l’aria e io iniziai a starnutire a ripetizione.
«Ti sei presa
il raffreddore Stellina?»
Quanto la odiavo quando
mi chiamava con quel ridicolo diminutivo, ma in quel momento era troppo
intenta a combattere contro il dolore lancinante che avevo alle tempie
per poterla rimproverare e così mi rigirai nel letto
mettendo la testa sotto le coperte.
La mano gelida di Freia
si posò sulla mia fronte e, spostando le coperte per farsi
strada, sulle guance.
«Forse non
è ancora il periodo per stare mezze nude nel bosco sotto
l’acqua, eh piccola mia?»
Mamma uscì
dalla mia camera per tornare pochi minuti dopo con in mano il
termometro e un panno umido che mi mise sulla fronte.
Non avevo la febbre
alta, giusto un po’ a causa del raffreddore, nonostante
ciò decedemmo che per quella mattina sarei rimasta a casa.
Mamma mi
preparò una tisana a base di calendula e petali di rosa,
utile contro le infiammazioni secondo i suoi studi e, in effetti, dopo
averne bevuto mezza tazza il lieve bruciore che avevo il gola era quasi
passato del tutto anche se il senso di rintontimento c’era
ancora.
La mamma mi diede poi
da tenere al collo un ciondolo con un bellissimo lapislazzuli. Noi
eravamo così, usavamo le medicine solo nel caso in cui tutti
i rimedi naturali e, come direbbe mia cugina, alternativi non avevano
funzionato.
«Oggi allora
vai a trovare i nuovi vicini con Clara?» buttò li
Freia mentre guardavamo una soap stravaccate sul divano
un’oretta più tardi.
«Forse, se mi
sento meglio...». In realtà non ne avevo alcuna
voglia.
«Allora ti
conviene mandarle un sms così vi mettete
d’accordo. Se andate vi porto io mentre vado a lavorare verso
le tre.»
Svogliatamente andai a
prendere il cellulare che avevo abbandonato da un paio di giorni sulla
credenza.
Quando lo accesi non mi
stupii di trovare degli sms vecchi di giorni che mi avvisavano che
avevo ricevuto delle chiamate da Freia mentre il cellulare era spento.
In fondo alla lista
trovai, poi, un sms di Cecilia che mi chiedeva se stavo meglio e se
oggi sarei andata a scuola. Appena tornai sul divano le spiegai che
avevo preso il raffreddore ma che il giorno seguente sarei tornata
sicuramente.
successivamente aprii
un messaggio vuoto e scrissi a mia cugina.
“Ciao
Clarè, oggi non sono venuta a scuola però dopo,
se vuoi, andiamo a trovare i nuovi vicini. Ci porta mamma alle 3pm.
Fammi sapere. Stella”
Nemmeno dieci minuti
dopo il cellulare squillò due volte, un caso eccezionale per
lui.
Clara diceva che per
lei andava bene e che ci avrebbe aspettate alle tre, mentre Cecilia mi
augurava di guarire presto, aggiungendo che Jamie mi mandava i suoi
saluti. Mi sentii avvampare.
Come osava parlare con
la mia migliore amica, quel presuntuoso!?
«È
successo qualcosa?» chiese mia mamma, probabilmente notando
il mio colorito.
Feci cenno di no e
risposi alla mia amica ringraziandola.
Quando tornai a seguire
il telefilm, il cellulare trillò di nuovo.
«Sbaglio o
è il record del mese?» ironizzò mia
madre. A lei sembrava non pesare il fatto che a scuola non ero inserita
in nessun gruppo particolare e ciò mi aiutava a non perdere
del tutto la poca stima che avevo di me stessa.
Quando finii di leggere
il messaggio, per poco non rischiai di stritolare il mio Nokia tra le
dita.
“Ciao sono
Jamie, visto che anche io sono preoccupato per la tua
salute?”, rilessi nella mia mente mentre cercavo una
plausibile risposta non particolarmente offensiva a quell’
sms.
Alla fine optai per il
ringraziarlo, senza aggiungere una parola di più.
Come immaginavo, il
telefono suonò ancora una volta, provocando le risate di mia
madre che sicuramente aveva intuito che qualcosa non andava.
Questa volta Jamie mi
assicurava che era un piacere poter messaggiare con me e immaginai che
pure lui si stesse piegando dalle risate, proprio come Freia, felice di
prendermi in giro anche se non poteva vedermi.
Avrei tanto voluto non
rispondere, ma le mie dita si mossero da sole sulla tastiera del
vecchio e, oramai superato, cellulare.
“Spero che ti
stia divertendo alle mie spalle perché sappi che non
sprecherò un secondo di più per risp ad un altro
tuo mess. Sono stata chiara?”
Ovviamente,
però, la discussione non si concluse a quel punto.
Jamie continuava a
mandare messaggini con cui cercava di assicurarmi che non voleva
assolutamente prendermi in giro ma, al contrario, era davvero felice di
sapere che stavo meglio.
Chiesi perfino a
Cecilia di costringerlo a smetterla di importunarmi, la quale mi
garantì che avrebbe fatto del suo meglio.
Destino volle che il
mio cellulare si scaricasse sul più bello della mia
conversazione con il nuovo compagno e, così, fui costretta a
liquidarlo con un semplice: “Scusa ma ho la batteria a terra,
ci vediamo domani”.
«Vedo che hai
fatto delle nuove amicizie! Sono tutti così preoccupati da
scriverti tanto?»
Senza pensarci,
fulminai mia madre con uno sguardo assassino e lanciai il cellulare
sulla poltrona nell’angolo del salotto.
«Si infatti,
sembra strano pure a me…», sbottai, «Ora
comunque è meglio che me ne vada un po’ a letto
che tra qualche ora arriva Clara.»
Così mi
diressi su per le scale scricchiolanti verso la mia stanza.
L’intenso
odore di violetta caratteristico della cameretta mi avvolse non appena
varcai la soglia.
Non feci caso al
disordine che infestava il pavimento e mi lanciai sul letto.
Allungandomi verso la
finestra, ne tirai le tende indaco in modo da creare una certa penombra
e, dopo aver acceso una candela, mi accoccolai come un gattino sotto le
coperte.
In pochi minuti caddi
tra le braccia di Morfeo che mi condusse di nuovo nello stesso bosco
della notte precedente.
Questa volta ero da
sola, vestita con la mia tunica nera e i piedi scalzi.
Rimasi immobile, come
la natura intorno a me.
Non volava un filo di
vento e quasi mi mancava l’aria.
Mi chiesi dove fosse
finita la piccola lince dal pelo candido e iniziai a guardarmi intorno.
Niente.
Tutto taceva immobile.
Allora decisi di muovermi e così m’ incamminai ed
attraversai in lungo ed in largo il bosco in pochi secondi, come capita
spesso quando si sogna.
Ad un tratto il
silenzio venne rotto. Un fruscio alle mie spalle mi fece sussultare e
mi voltai, allarmata.
«Chi
c’è?»
Non ottenni nessuna
risposta. Attesi finché il fruscio non si
presentò di nuovo.
Questa volta vidi in
lontananza una luce dorata e i miei piedi mi trascinarono verso di lei.
Sentii il mio stomaco
contorcersi, come se qualcuno mi avesse appena tirato un pugno, non
appena capii che di fronte a me si trovava lo stesso serpente che la
notte precedente si era divorato il maestoso orso tutto d’un
fiato.
Non osai muovere un
muscolo per paura che quella creatura mi attaccasse ma, nonostante
ciò, questa si avvicinò a me.
Trattenni il respiro
mentre strusciava il suo manto squamoso sulle mie gambe nude.
La sua pelle era gelida
e liscia a contatto con la mia. Lentamente il serpente
iniziò a salire lungo il mio polpaccio fino ad avvolgermi
completamente.
Oramai il suo muso
triangolare era alla stessa altezza del mio volto e io chiusi gli occhi
in attesa che finisse il suo lavoro, in attesa che aprisse le fauci e
mi mangiasse.
«Ti
aspetto...» sentii bisbigliare in un orecchio e, quando
riaprii gli occhi, vidi che l’enorme serpente era sparito
lasciandomi i muscoli tutti indolenziti.
Alle tre in punto, io e
Freia ci trovavamo a casa di sua sorella sorseggiando un the ed
aspettando che Clara si finisse di preparare.
«Bello il
ciondolo, Stella.» disse mia zia osservando il lapislazzuli
che portavo al collo.
Le spiegai che quella
mattina non stavo molto bene e così la mamma aveva provato a
proteggermi con quello.
Rosy mi sorrise, ma
notai una vena di amarezza nel suo sguardo. Ovviamente lei non godeva
di tutta le libertà che invece io lasciavo a mia mamma.
Per la zia era stato un
duro colpo scoprire che sua figlia la considerava una pazza e, da quel
giorno, si era chiusa sempre più in se stessa, lasciandosi
andare solo quando veniva a praticare qualche rito a casa
nostra insieme ad alcuni membri della congrega di mia mamma.
Notando che la
situazione iniziava a farsi pesante, pensai a qualcosa per poter
deviare il discorso.
«Zia, mi sa
che non posso ancora portare Clara a scuola con la moto. Se non ci sono
altri problemi sarà meglio che per un mese non rischi di
farmela sequestrare, ok?»
Lei annuì.
Mancava solo un mese prima che io compissi diciotto anni,
così da poter portare un passeggero, e la mattina precedente
era stato un rischioso strappo alle regole.
«A proposito
di compleanno! Cosa vuoi che ti regali?» chiese Rosy travolta
da un’improvvisa allegria. Cambiava umore come se niente
fosse e, in questo, era molto simile a mia madre.
Spesso capitava,
comunque, che la gente le confondesse. Erano magre con i capelli biondi
e gli occhi chiari, quasi fossero gemelle. Però la zia era
di qualche annetto più vecchia di mamma.
«Rosy non
voglio niente per il compleanno, al massimo una bella torta!»
Mia madre
scoppiò a ridere. «Ma dai Stella! È il
tuo diciottesimo! Se non ti facciamo un bel regalo di cui ti puoi
vantare a scuola, che parenti saremmo?»
Io la guardai
accigliata e scuotendo la testa rassegnata.
«Beh, allora
se volete proprio farmi un regalo, fate in modo che sia una
sorpresa!»
Le due sorelle si
scambiarono uno sguardo d’intesa e scoppiarono a ridere
facendomi sentire esclusa dai loro pensieri.
Freia mi
accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla fronte
dicendomi di stare tranquilla, «Penseremo a tutto
noi!».
Non so
perché, ma quelle parole suonarono quasi come una minaccia
alle mie orecchie, ma non poteri fare a meno di unirmi alle loro risate.
«Che succede?
Voglio ridere un po’ anche io!»,
annunciò Clara con la sua vocina squillante andandosi a
sedere accanto a sua madre.
«Stiamo
organizzando la festa di tua cugina.» le spiegò
allegra sua zia.
A Clara si illuminarono
gli occhi.
«Qualunque
cosa tu abbia in mente di fare, vedi di cambiare idea!», la
minacciai io sorridendo.
«E dai
cuginetta!» mi supplicò lei congiungendo le mani
sul petto e sporgendosi verso di me col viso rattristato.
«Su Stella.
Facci felici…» si unirono poi mia zia e mia madre
a lei.
«Ma che
noiose che siete!» sbottai io esasperata e loro intuirono che
mi ero arresa e, così, scoppiarono a ridere entusiaste della
loro vittoria.
«In fondo
c’è ancora un sacco di tempo no?» le
interruppi, cercando di sviare il discorso dato che c’era fin
troppa attenzione concentrata su di me in quel momento.
Clara annuì
e, rassegnata, propose di partire prima che venisse troppo tardi.
Si era vestita molto
bene per l’occasione e la cosa non mi sorprendeva. Per lei
era molto importante fare bella impressione sulle persone. Infatti si
era messa un vestitino a fiori molto grazioso. In confronto io
sembravo, come sempre, una barbona con i jeans tarocchi e una maglietta
lillà che metteva in risalto il decolté
praticamente inesistente nonostante la mia età.
«Dai, voi
salite intanto in macchina. Io vi raggiungo immediatamente.»
ordinò mia madre e noi le ubbidimmo.
Dal sedile posteriore
sentivo mia cugina fischiettare allegra un motivetto e le chiesi il
perché di tanta allegria.
«Sono
contenta! Oggi a scuola è stata una bella giornata e ora
andiamo a fare una cosa divertente!»
Era veramente su di
giri e un pochino la invidiavo per questo suo carattere sempre allegro
e solare. A differenza sua, io non riuscivo a vedere tutto
‘sto gran divertimento nell’andare a trovare i
nuovi vicini di casa.
«Ti avviso
che io sto poco perché stamattina non stavo molto bene e non
vorrei ingerminare le case altrui, ok?»
Grugnendo, Clara
annuì evidentemente delusa da quanto avevo appena detto e,
di tutta risposta sospirai rumorosamente.
In pochi minuti mia
madre salì in auto e ci scaricò di fronte alla
villetta appena ristrutturata mettendoci in mano un vassoio stracolmo
di biscotti a testa.
Prima di ripartire,
Freia si scusò con noi per il fatto di non poterci venire a
prendere al ritorno, per cui saremo dovute tornare a casa da sole. Noi
la rassicurammo dicendole di non stare a preoccuparsi e così
lei partì dopo averci abbracciate entrambe.
Un pochino intimorita,
mi avviai così lungo il vialetto che conduceva
all’ingresso della villetta grande pressappoco quanto la mia
ma messa decisamente in condizioni migliori.
L’esterno era
di un delicato color panna e il portone era decorato con un
motivo floreale in ferro battuto molto fine e di buon gusto.
Clara suonò
il campanello ed aspettammo qualche secondo che ci venissero ad aprire.
«Sicura che
tua madre li abbia avvisati del nostro arrivo?» bisbigliai
all’orecchio di mia cugina qualche istante prima che un
ometto non molto alto con i capelli castani pettinati
all’indietro aprisse la porta.
«Voi dovete
essere le nostre vicine?» disse quel signore poco
più alto di me sfoderando un sorriso bianchissimo.
Clara ed io annuimmo e
il padrone di casa ci fece segno di entrare.
«Grazie
mille, signor Fruner.»
Alle parole di mia
cugina, il mio corpo ebbe un fremito.
“Fruner? Quel
Fruner?!” si stava chiedendo la mia mente.
Il mio dubbio,
comunque, non restò irrisolto a lungo.
Appena entrata nel
bellissimo salotto arredato con mobili pregiati in legno, una voce roca
ma allo stesso tempo incredibilmente armonica irruppe nella stanza.
«Stella! Che
piacere vederti!»
Jamie si diresse verso
di me sorridendomi con quel suo ghigno che sembrava prendermi in giro.
«Ciao
Jamie…» salutai a mia volta facendo un lieve cenno
con la mano.
“Ma quanto
sono stupida?” continuavo a chiedermi nella mia testa. Non ci
voleva un genio per intuire che il nuovo vicino e il nuovo compagno
fossero la stessa persona. Mi sentii avvampare non avendo capito prima
una cosa così ovvia.
“Probabilmente
il mio cervello non voleva avere proprio niente a che fare con quel
ragazzo”.
«Non mi avevi
detto che lo conoscevi già.» si lamentò
mia cugina al mio fianco tirandomi una gomitata tutt’altro
che amichevole.
La guardai emettendo
una risatina isterica e le spiegai che era il mio nuovo compagno di
classe e ci eravamo visti solo il giorno prima, dato che quella mattina
ero rimasta a casa perché non mi sentivo bene.
Facendo segno di
accomodarci sul divano, Jamie mi chiese se mi ero ripresa e io feci
cenno di si con la testa.
Mia cugina sembrava
molto interessata a farsi amica il nuovo vicino e lo si capiva dal
fatto che non chiudeva bocca un secondo informandosi di un sacco di
cose insulse.
Per fortuna, qualche
minuto dopo spuntò di nuovo il signor Fruner ad interrompere
la sua loquela.
«Mia moglie
è andata a fare la spesa, spero possiate aspettare il suo
ritorno.»
Clara rispose
prontamente di si, mentre io mi scusai dicendo che dovevo tornare a
casa dato che non volevo rischiare di attaccare il raffreddore a
nessuno.
«No ti prego
Stella, resta ancora un po’! Ti faccio almeno visitare la
casa.» mi supplicò Jamie con uno sguardo
volutamente rattristato.
Clara sorrise,
così come il padre del ragazzo che definì la
proposta del figlio come un’idea eccellente.
La sensazione di
sentirmi di nuovo al centro dell’attenzione si
ripresentò come poco prima a casa di mia zia e,
così, mi sentii costretta ad accettare l’idea di
aspettare la madre di Jamie.
Il ragazzo si
alzò dalla poltrona di fronte a noi prendendo un paio di
biscotti dal vassoio e ci invitò a seguirlo per il giro
turistico della casa.
Le stanze erano molto
luminose e grandi, arredate in stile antico come il salotto e disposte
pressappoco come quelle di casa mia. Al piano terra si trovava la zona
giorno con la cucina, il salotto e un bagno, mentre a quello superiore
erano sistemate le camere da letto, un bagno molto grande e una
stanzetta adibita a studio.
Quando passammo per il
corridoio del primo piano, notai che vi erano stati appesi dei quadri
molto belli, rappresentanti un paesaggio dipinto nelle diverse stagioni.
«Questi li ha
fatti mamma quando era giovane. Le piaceva dipingere ma ora ha perso un
po’ la mano.»
Io ne rimasi
affascinata, specialmente da quello raffigurante l’estate. Il
rosso era il colore predominante e il sole, riflesso
sull’acqua del lago raffigurato al centro del quadretto,
creava dei riflessi, realizzati con varie tonalità di colori
caldi, che si univano armonicamente con i colori freddi della
superficie dell’acqua.
Probabilmente Jamie si
accorse che mi ero imbambolata nell’osservare i dettagli del
dipinto e mi si avvicinò da dietro e mi mise una mano sulla
spalla.
«Devo dedurre
che ti piace questo, vero Stella?»
Io mi voltai annuendo.
Lui mi sorrise dolcemente e io non potei fare altro che rispondere a
mia volta con un sorriso imbarazzato mentre distoglievo lo sguardo dai
suoi occhi.
Probabilmente mia
cugina aveva notato il nostro rapido scambio di sguardi e, per
distrarci, chiese a Jamie cosa vi fosse dietro ad una porta in fondo al
corridoio del secondo piano.
«La mia
stanza», rispose lui togliendomi la mano dalla spalla.
«Ti va di vederla?», continuò poi
rivolgendosi a Clara la quale, ovviamente, rispose affermativamente.
Io rimasi indietro
rispetto agli altri due e non riuscii nemmeno ad ascoltare quello che
si stavano dicendo tanto ero persa nei miei pensieri.
Continuavo a
visualizzare il quadro nella mia mente e non sapevo perché,
ma quel paesaggio mi ricordava qualcosa. La sua vista lasciò
dentro di me una sensazione di gioia e tranquillità che non
riuscivo a spiegarmi e, probabilmente, era lo stesso effetto che faceva
su Jamie.
Nessuno, che ovviamente
non fosse la mamma o un parente, mi aveva mia sorriso in quella maniera
e io ne rimasi piacevolmente sorpresa.
“Forse quello
che ha scritto stamattina è vero…”
I miei pensieri furono
interrotti, però, quando Jamie aprii la porta della sua
camera, diversa dalle altre stanze perché arredata con uno
stile moderno. Sulla scrivania, ricavata nello spazio sotto il letto al
castello, era dotata di un computer portatile di ultima generazione e,
nella libreria, era stato ricavato lo spazio per inserirci un
televisore con lo schermo piatto e il lettore DVD.
«Oh, che
bella stanza che hai!» commentò mia cugina
compiacendo Jamie che si lanciò ridendo su di una
poltroncina posta in un angolo della stanza.
«Dai Stella
accomodati pure tu!» mi incoraggiò, «E
pure tu.» continuò rivolgendosi a Clara.
Io mi sedetti sul
tappeto e mia cugina mi seguii a ruota.
«Li avete
fatti voi i biscotti? Sono veramente buoni.» si
complimentò il ragazzo che ci guardava dall’alto
in basso sorridendo.
Clara gli
spiegò che i biscotti in realtà li aveva fatti
Rosy e lui si raccomandò di ringraziarla e di farle i
complimenti.
«Se vuoi un
giorno puoi venire a pranzo da noi così mamma prepara
qualcosa di buono.»
Io sbiancai. Mia cugina
era impazzita, come poteva invitare a casa sua uno che manco conosceva?
Probabilmente Jamie
aveva notato il mio sguardo accigliato rivolto a Clara e
scoppiò a ridere.
«Tranquilla
Stella, non ti mangio la tua amichetta!»
«E’
mia cugina brutto stupido.» risposi io, nuovamente offesa dal
suo modo di fare, ma lui non sembrò fare caso
all’insulto che gli avevo lanciato poiché si mise
a ridere ancora più di gusto.
«Allora se
vuoi vieni pure tu così mi tieni
d’occhio.» mi rispose ammiccando.
Con gli occhi che
brillavano, mia cugina gli chiese se allora aveva accettato
l’invito e il ragazzo fece cenno di sì. Da quel
momento fu impossibile tappare la bocca a Clara che, come era nel suo
modo di fare, iniziò a progettare il pranzo perfetto
informandosi sui gusti del suo futuro ospite.
Fortunatamente, una
decina di minuti dopo, qualcuno bussò alla porta della
camera.
«Posso
entrare o rischio di interrompere tutte queste risate?»
chiese una voce melodiosa al di là della porta. Jamie si
alzò per andare ad aprire e una donna, la più
bella donna che io avessi mai visto, fece capolino nella stanza.
«Ragazze, vi
presento mia madre.» annunciò Jamie indicandola
con fare teatrale.
Io mi alzai a mia volta
e le porsi la mano presentandomi e lei fece lo stesso.
«Isotta Fruner, molto lieta».
Quando le nostre dita
s’incontrarono, sentii di nuovo la stessa scarica
d’energia che invase il mio corpo la mattina precedente
quando conobbi suo figlio.
Questa volta riuscii,
per fortuna, a mascherare meglio la mia reazione abbozzando un
sorrisetto intimidito che la giovane signora di fronte a me
ricambiò.
Lei e suo figlio erano
molto simili. Il fisico slanciato e snello, proporzionato. Lei aveva
lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso candido in cui
risaltavano i grandi occhi, a differenza del figlio, neri e brillanti.
Dopo aver salutato
anche mia cugina, la signora Fruner ci invitò ad andare in
salotto a bere un the.
Attraversando il
corridoio passammo nuovmente di fronte al dipinto che aveva catturato
poco prima la mia attenzione.
«A Stella
è piaciuto molto questo qua. Te lo dicevo io che dovevi
continuare a dipingere!» la rimproverò Jamie che
si trovava al mio fianco.
«Che posto
è?» chiesi pensando ad alta voce.
«E’
un posto vicino a dove sono cresciuta, in Austria.» rispose
educatamente la signora Fruner.
Io annuii e ribadii che
era un quadro bellissimo.
Jamie ordinò
poi di andare in salotto perché voleva mangiare i biscotti
di Rosy e, avanzando, mi cinse con un braccio il fianco.
«E’
molto contenta che ti piaccia.», mi bisbigliò il
ragazzo nell’orecchio mollando poi la presa per raggiungere
la madre tutto sorridente.
La mia schiena fu
percorsa dai brividi quando lui sfiorò con le sue labbra la
mia pelle e quando mi accarezzò il fianco allontanandosi da
me.
Non riuscivo a capire
cosa mi stesse succedendo.
Il the era pronto e
già servito in tazze finemente decorate con motivi floreali
appoggiate in un vassoio argentato al centro del tavolino in salotto.
Io mi accomodai sul
divano accanto a mia cugina e nelle due poltrone a lato si sedettero
Jamie e sua madre.
Il the si stava
raffreddando ma io oramai ero talmente abituata a casa a visualizzare
il calore che si allontanava al passaggio della mia mano sulla bevanda
che, senza pensarci, iniziai a far scorrere le mie dita lungo i bordo
della tazza persa nei miei pensieri.
«Ti sei
addormentata?» mi chiese scherzosamente Clara tirandomi un
colpetto col gomito.
«No, no!
È che… mi è tornato un po’
di mal di testa.» mentii.
Jamie spiegò
a sua madre che io ero una sua compagna di classe e che dal giorno
prima non stavo molto in forma.
Io mi scusai con
Isotta, così ci aveva pregate di chiamarla, la quale mi
disse di non preoccuparmi e che se avevo bisogno di qualcosa di
avvertirla senza problemi.
Io le sorrisi ed
assaggiai un sorso della bevanda oramai fredda che tenevo ancora tra le
mani.
Era un qualcosa di
squisito. «Oltre alla mela e alla rosa che cosa
c’è?» chiesi alla bellissima signora
seduta sulla poltrona di fronte a me.
«Carcadè!»
rispose lei sorridente e sorpresa del fatto che avessi riconosciuto da
un solo sorso gli ingredienti principali.
I minuti passarono
velocemente e, senza che me ne rendessi conto, si erano fatte le sei
passate.
Jamie si propose di
accompagnarci a casa e noi accettammo più che volentieri
dato che fuori si era fatto buio.
Io e Clara salutammo i
padroni di casa mentre aspettavamo che il figlio uscisse dal garage.
«E’
stato un piacere conoscerla.» dissi io sinceramente alla
signora Fruner la quale mi prese le mani e mi diede un bacio sulla
fronte come aveva fatto con mia cugina.
In quel momento,
però, una fitta lancinante attraversò le mie
tempie e l’immagine della lince ricomparve vivida nella mia
mente.
Il dolore si fece
così forte che mi cedettero le ginocchia e il
signor Fruner fu costretto a reggermi per impedirmi di cadere in terra.
«Va tutto
bene?» chiese Isotta con la preoccupazione che le si leggeva
in volto.
Feci cenno di
sì con la testa mentre cercavo di rimettermi in piedi.
«Tranquilla,
ora Jamie ti riporta a casa e aspetta che entri, ok?»
«Si»,
dissi io riprendendomi, «Tanto mamma dovrebbe quasi essere a
casa.»
Clara mi
aiutò ad arrivare all’auto rossa al volante della
quale si trovava Jamie che ci guardava con aria interrogativa.
Sua madre, che ci aveva
accompagnate fino in fondo al vialetto, gli spiegò cosa era
successo e, così, lui partì subito per portarmi a
casa per farmi riposare.
In pochi minuti Clara
scese davanti al vialetto di casa sua e Jamie ripartì a
razzo seguendo le mie indicazioni per raggiungere abitazione diroccata.
Quando arrivammo vidi
che le luci erano ancora spente e ciò significava che Freia
non era ancora tornata dal lavoro.
«Vorrà
dire che resto qua con te per un po’.»
annunciò il ragazzo seduto al mio fianco spegnendo il motore
della sua Volkswagen.
Io scesi e cercai
dietro ad un cespuglio le chiavi di riserva nascoste sotto una finta
pietra di plastica.
«Non avete
paura che n ladro le possa trovare?»
«In tal caso
ci eviterebbe il problema di comprare un vetro nuovo. Non credo che in
casa troverebbe qualcosa degno di essere rubato.» risposi
secca io facendolo scoppiare a ridere come ogni volta che aprivo bocca.
Provai il solito senso
d’irritazione, ma oramai mi ci stavo abituando e
così sbuffai sorridendo rassegnata.
Quando entrammo lo feci
accomodare sul divano dove quella mattina stavo massaggiando proprio
con lui.
Io mi stavo preparando
un bicchiere di acqua e zucchero su suo ordine quando mi chiese
perché il mio cellulare giaceva abbandonato sulla poltrona.
«E’
scarico.» risposi io molto semplicemente.
«Se lo metti
a caricare stasera ci sentiamo un po’.», disse lui,
«Così vedo se ti sei ripresa.»
«O magari per
sparare cavolate come stamattina!» battibeccai io sedendomi
dal lato opposto del divano rispetto a dove era seduto lui.
Probabilmente lo offesi
perché il suo volto si rabbuiò.
«Guarda che
tu mi stai davvero simpatica.» ammise Jamie guardandosi le
mani giunte in grembo.
Io lo osservai confusa
qualche istante e poi gli domandai scusa.
«Sai, non
sono abituata a essere considerata dagli altri…»
Jamie alzò
lo sguardo e lo incatenò al mio.
«La tua
compagna di banco ti vuole bene però. Con lei andate
d’accordo da quello che mi ha detto.»
«Lo so. E ne
sono davvero molto felice.», risposi perdendomi nel blu
profondo dei suoi occhi.
Lui mi sorrise
dolcemente e, per rovinare la bellissima atmosfera che si era creata,
disse una frase che mi fece perdere le staffe: «E, in fondo,
ti sei innamorata di me a prima vista!»
Lui scoppiò
a ridere mentre io lo obbligavo a rimangiarsi quello che aveva appena
detto a suon di schiaffi.
Quando alla fine anche
io stavo ridendo come una bambina nel vedere che non gli stavo facendo
assolutamente nulla, gli chiesi se voleva qualcosa da bere.
Mentre ero in cucina a
prendere una bottiglietta d’acqua, gli domandai da quanto
tempo avesse la patente.
«Da sei mesi
circa.» rispose lui e io, sorpresa, gli chiesi come faceva ad
averla da così tanto tempo dato che ci volevano almeno un
paio di mesi per prenderla ed eravamo solo a Marzo.
«Ho un anno
in più di te, Stella.»
«Non lo
sapevo! E come mai non sei in quinta?»
Non mi sentii una
curiosona nel porgli quella domanda e lui non sembro irritato nel
rispondere.
Mi raccontò
che aveva passato un anno intero in Austria, dove era nata sua madre,
seguendo la scuola con qualche difficoltà dato che il
tedesco non era la sua madrelingua, anche se lo parlava molto bene.
«Hai visto il
posto del dipinto?» le parole mi uscirono così
spontanee che non me ne resi nemmeno conto.
«Si.
L’ho visto. Ci ho vissuto di fronte.»
Infondo non rimasi del
tutto sorpresa nel sentire quella risposta.
«Ti manca
stare là?»
Il suo sguardo era
vitreo, perso nel vuoto.
Jamie mi fece cenno di
si con la testa e, istintivamente, mi avvicinai a lui e gli accarezzai
un braccio per consolarlo. «Vedrai che prima o poi ci
tornerai.»
Lui si voltò
verso di me sorridendo teneramente e ringraziandomi.
«Sei una
brava ragazza. Gli altri non hanno capito nulla di te.»
Nel sentire quelle
parole, il mio cuore accelerò il suo battito e sentii le
orecchie pizzicare.
Non mi era mai successo
nulla di simile.
Non feci in tempo a
spiccicare una parola, però, che mia madre entrò
in casa.
«Stella? Sei
tu?»
«E chi vuoi
che sia se no?» risposi io riprendendomi.
Quando lei
entrò in salotto e vide Jamie seduto sul divano lo
guardò con aria interrogativa e curiosa.
«Scusi il
disturbo, sono Jamie Fruner, il figlio dei vicini.» disse
Jamie andando verso mia madre porgendogli la mano che lei strinse
presentandosi.
«E’
un piacere conoscerti Jamie. Ma non doveva essere mia figlia a venire a
farvi visita?»
Io mi alzai arrossendo
nuovamente.
«Mi
è venuto un capogiro e lui mi ha riportata a
casa.» spiegai io impacciata.
Mia madre
alzò gli occhi al cielo e ringraziò il ragazzo,
più alto di lei, che gli si trovava di fronte.
«Ho una
figlia che è una piaga!» si lamentò
Freia facendo sorridere Jamie.
Io sbuffai, ma lei non
sembrò farci caso e chiese, invece, al nostro ospite se
voleva fermarsi a cena.
Lui rifiutò
ringraziando mia madre per l’invito, «La prossima
volta mi fermerò sicuramente!»
La cosa non mi
irritò più come era successo prima quando Clara
lo aveva invitato a casa sua ma, al contrario, ne fui quasi felice.
«Allora ci
mettiamo d’accordo a scuola.» proposi io.
Mi madre mi
guardò e mi chiese se era in classe con me.
Io ammisi di essere
stata tanto stupida da non capire che il nuovo compagno, di cui le
avevo parlato, era anche il nuovo vicino.
«Perfetto
allora,» disse lui,«Domani ci mettiamo
d’accordo. Ora devo andare davvero.»
Mia madre lo
ringraziò per avermi fatto da baby-sitter e io lo andai ad
accompagnare alla sua auto.
«Ci vediamo
domani?», chiese lui abbassando il finestrino.
«Si. Spero di
stare bene…» risposi io abbassandomi per poterlo
vedere in faccia.
Lui mi sorrise e mi
diede un bacio sulla guancia.
«Allora a
domani!» mi salutò accendendo il motore. Io rimasi
senza parole e, dal vialetto, lo salutai con la mano mentre la macchina
rossa veniva avvolta dalle tenebre della sera.
«Che caro
ragazzo che è.» buttò li mia madre
mentre lavava le stoviglie dopo cena.
«Già.
Mi ero sbagliata sul suo conto.»
Mia madre si
voltò verso di me con un piatto insaponato in mano.
«Probabile.
Però avevi ragione sul fatto che ha qualcosa di
strano.»
Le sue parole
catturarono all’istante la mia attenzione.
«Anche io
quando gli ho stretto la mano ho sentito qualcosa. Non è una
persona come le altre.»
«Allora
sarà una cosa di famiglia. Oggi mi sono sentita attraversare
da una fitta assurda alla testa quando ho toccato sua madre.»
Lo sguardo di Freia si
perse nel vuoto, come tutte le volte che si concentrava intensamente su
qualcosa.
«Farò
delle ricerche su di loro.» affermò
all’improvviso.
Io ribattei che non era
una cosa giusta da fare e lei mi spense ricordandomi che in fondo anche
io avevo voluto sapere qualcosa in più su di lui cercando di
leggergli l’aura.
«Hai
più provato a rifarlo?»
Io feci cenno di no con
la testa e lei annuì, pregandomi di ritentarci per cercare
di capire qualcosa.
Rassegnata le dissi che
ci avrei provato senza, però, garantirle dei risultati.
Mentre stavo per andare
in camera, mi venne in mente di caricare il cellulare che era ancora
abbandonato sul divano. Poco prima di andare a letto, provai poi ad
accenderlo per vedere se davvero Jamie mi aveva mandato un sms.
“Sei una
sciocca” dissi a me stessa mentre premevo il tasto che
accendeva l’apparecchio.
Quando stavo per
coricarmi, lo schermò si illuminò e il cellulare
emise un trillo.
«Mi ha
scritto davvero!» bisbigliai io stupita e, in fondo in fondo,
contenta.
Jamie mi chiedeva se mi
ero ripresa e, alla fine, diceva che mi aspettava il giorno seguente di
fronte al cancello della scuola.
Io gli risposi
immediatamente che stavo meglio e che non mi stesse ad aspettare
perché, conoscendomi, sarei arrivata senz’altro in
ritardo.
“Allora c
vediamo in classe :-) buona notte e vedi di stare meglio”,
diceva la sua risposta e, nonostante fossero poche parole mi resero
davvero molto contenta.
“Ho un nuovo
amico!” continuavo a ripetere nella mia testa quando mi fui
coricata sotto le coperte.
Quella sera mi
addormentai col sorriso sulle labbra. Sentivo che era cambiato qualcosa
, in positivo, e non riuscivo a nascondere le mie emozioni.
Spero che questo secondo capitolo sia stato di vostro
gradimento e che attenderete con ansia i prossimi! :-)
Inutile dire che aspetto delle recensioni perchè mi aiutano
a capire quanto ancora devo crescere prima di imparare a
scrivere decentemente! :-) Ve ne sarei grata!
Nel frattempo potreste leggere qualche altro mio lavoro:
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=70620
Grazie!
Kajsa
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