Recovery di HadleyTheImpossibleGirl (/viewuser.php?uid=80884)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelta OC ***
Capitolo 3: *** Novembre ***
Capitolo 4: *** Dicembre ***
Capitolo 5: *** Gennaio ***
Capitolo 6: *** Febbraio ***
Capitolo 7: *** Marzo ***
Capitolo 8: *** Aprile ***
Capitolo 9: *** Maggio ***
Capitolo 10: *** Giugno ***
Capitolo 11: *** Luglio ***
Capitolo 12: *** Agosto ***
Capitolo 13: *** Settembre ***
Capitolo 14: *** Ottobre ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Recovery
The world is a filthy
place
It’s a
filthy goddamn
horror show.
There’s so
much pain, you know?
Tutti
i giornali quella mattina
riportavano la notizia della caduta del signore oscuro per mano di un
bambino:
Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto
all’Anatema che Uccide.
Allo
stesso tempo le notizie riportavano l’arresto del criminale
Sirius
Black avvenuto dopo il massacro che aveva provocato. Era accusato di
aver
consegnato la famiglia Potter in mano al Signore Oscuro e poi di aver
ucciso
Peter Minus, uno dei suoi migliori amici, insieme a dodici babbani.
Del
giovane mago era stato
ritrovato solo la falange di un dito.
Molti
maghi e streghe,
soprattutto nei paesi magici, avevano festeggiato la fine della Prima
Guerra
Magica per strada, stappando bottiglie di alcolici e gioendo del lieto
fine.
C’è
sempre un prezzo da pagare
per il lieto fine.
Voldemort
e i suoi seguaci si
erano portati via molte vite. Intere famiglie erano state spezzate,
amanti e
amici avevano perso le persone a cui tenevano di più.
La
morte è certamente una cosa
terribile, ma il peggio è per chi resta, per chi deve
rialzarsi dopo la botta,
dopo la caduta.
Si
dice che il tempo cura ogni
ferita…mah, il tempo da solo serve a ben poco. Non si
può sperare di
dimenticare cosa è accaduto. Si può solo sperare
di riuscire, un giorno, a
superare la cosa.
Adesso
bisognava rimboccarsi le
maniche, aiutarsi l’un l’altro a ricostruirsi e
ricostruire il mondo magico.
Salve a tutti!
Per chi non mi conosce mi presento: sono Hadley e
da quando l’anno scorso
ho scoperto le fanfiction interattive sono diventata una specie di
drogata.
Questa è la mia seconda interattiva, nonché la
seconda che pubblico e sono
fiera di averne alle spalle una completata oggi.
Questa fanfiction parla del primo
anno post-prima guerra magica, quindi sarà ambientata dal
Novembre 1981 al 31
Ottobre 1982, e sarà strutturata in 12 capitoli (uno per
ogni mese dell’anno).
La storia girerà intorno a come i vostri OC si riprenderanno
dalla guerra.
Ora, alcune regole:
- ·
Potete
creare massimo 2 OC ciascuno, di sesso diverso. Se create 2 OC essi
possono essere
amici/nemici/parenti/affini ma non fidanzati.
- ·
Gli OC
dovranno avere più di 20 anni
- ·
Mi
piacerebbe lavorare su OC che hanno perso qualcuno o subito un trauma.
Per
quanto riguarda i personaggi morti essi possono benissimo essere
parenti/amici/fidanzati.
- ·
I vostri
OC possono essere amici/fidanzati con personaggi canon ma attenetevi al
canon
(es la famiglia Black è composta dai personaggi che ci sono
rappresentati nell’albero
genealogico, quindi non tiratene fuori altri dal cilindro; Molly
Prewett non
può avere altre sorelle/fratelli, solo Gideon e Fabian).
Spero di essere stata
chiara
- ·
Le
iscrizioni sono aperte fino al 18/7. Le schede devono essere inviate
entro le
ore 12 del 19/7
- ·
Per le
schede (da mandare rigorosamente tramite messaggio privato) attenetevi
al
format che vi propongo (i punti con * sono facoltativi). Le schede che
non
seguiranno lo schema o arriveranno dopo la scadenza non saranno
considerate.
Nome
e cognome:
Soprannome*:
Età:
Ex-casa*:
Lavoro:
Famiglia
e stato
di sangue:
Descrizione
fisica:
Prestavolto
(non
link, solo il nome):
Carattere:
Bacchetta*:
Storia
del
personaggio:
Traumi
(il
vostro personaggio ha perso qualche persona cara? È stato
torturato? Ha ucciso
qualcuno?)*:
Relazione
e
orientamento sessuale (compreso come vorreste che fosse la relazione):
Cosa
ama/odia:
Amicizie/Inamicizie:
Altro
(amortentia, molliccio, patronus e tutto il resto che vi viene in
mente)*:
Detto questo vi saluto
Spero che partecipiate in molti
H.
Ed ecco a voi alcuni personaggi come me
li sono sempre immaginati io:
James
Potter
Lily
Evans
Sirius
Black
Remus
Lupin
Peter
Minus
Marlene
McKinnon
E poi ce ne sarebbero molti molti altri
(Mary McDonald, Emmeline Vance, Caradoc Dearborn, i Prewett, Benji
Fenwick,
Edgar Bones ecc ecc)
|
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Capitolo 2 *** Scelta OC ***
Salve
gente!
Ho letto
all’incirca
una venticinquina di schede (di cui alcune chilometriche). Ero partita
con l’idea
di scegliere pochi OC, tipo 5 o 6 ma alla fine sono arrivata a 8.
I personaggi
erano tanti (soprattutto le ragazze), molti si somigliavano, altri
erano
praticamente agli antipodi e ce n’erano davvero tanti che mi
piacevano ma non
sarei riuscita a gestirli.
Alla fine per la
scelta degli OC mi sono basata anche sulla possibilità di
collegarli tra loro e
sono stata quindi costretta ad escludere personaggi che mi piacevano ma
non
sapevo come inserire.
Non so chi è l’autore
di chi perché ho copiato tutte le schede su un file e non ho
controllato, ad
ogni modo mi dispiace per chi non ha nessuno OC scelto, mentre magari
qualcuno
ne ha 2 scelti.
Spero di riuscire
ad aggiornare in tempi ragionevoli
H.
Ora
vi lascio
agli OC, in ordine alfabetico:
Barton
Lucas, 22
anni
Burke
Edward, 25
anni
Crouch
Victoria,
25 anni
Higgins-Clark
Maysilee, 23 anni
Johnson
Johanna,
24 anni
Stoker
Freya, 24
anni
Stuart
Angela, 22
anni
Traynor
William,
22 anni
|
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Capitolo 3 *** Novembre ***
Johanna piegò la sua
copia
del giornale e la abbandonò sul bancone. Erano passati due
giorni ma faticava
ancora a credere quello che c’era scritto sul giornale.
Sirius Black aveva
condannato a morte i Potter e ucciso Peter Minus. Ogni volta che erano
venuti
al Crazy Head le erano sempre sembrati molto legati, quasi fratelli.
Come aveva
potuto fargli questo?
Un angolino recondito del
suo cervello le sussurrò che probabilmente era uguale a
tutti gli altri Black
anche se… ad Hogwarts non le aveva mai dato
quell’impressione. Era scalmanato,
un donnaiolo ma non… cattivo.
Anzi, come tutti gli altri
membri dell’ordine che frequentavano il suo locale, le era
parso onesto e
coraggioso.
Mah… tornò con la mente su
qualcosa di più concreto. Si mise addosso il giubbetto di
pelle ormai liso, ma
che sapeva essere appartenuto a suo padre e si diresse a piedi verso il
San
Mungo.
Da quando la guerra era
finita le strade della Londra magica avevano un aspetto diverso. La
gente non
camminava più guardandosi intorno con aria spaventata e
tesa. Tutto sembrava
più leggero, meno grigio.
Eppure gli Auror
continuavano i rastrellamenti di presunti Mangiamorte e molte persone
piangevano
i cari perduti.
Attraverso la finestra
dell’edificio di mattoni rossi che agli occhi dei babbani
sembrava solo un
magazzino abbandonato e si ritrovò nell’atrio
dell’ospedale magico.
Prese l’ascensore per il
quarto piano e si diresse a passo svelto verso l’ala Janus
Thickey. Si affacciò
alla guardiola e si fece aprire la porta da un inserviente.
Percorse il corridoio dove
si trovavano le stanze riservate ai lungodegenti. In corrispondenza
della terza
stanza vide uscire Freya Stoker, sua quasi coetanea. Lei e la bionda
non erano
state amiche ad Hogwarts, forse perché erano di due case
diverse ma il fatto
che lei andasse al San Mungo praticamente ogni giorno da due mesi le
aveva
avvicinate.
“Come va?” chiese Johanna
facendo un cenno con il capo verso la stanza dove erano ospitati i suoi
ex
compagni di classe Frank e Alice Paciock.
“Oggi non benissimo…sai
com’è…ci
sono giornate buone e altre meno buone”
I due erano stati
ricoverati in seguito alle torture subite, che ne avevano causato la
perdita
della memoria.
La curatrice fece un
sorriso mesto e poi domandò alla ragazza. “Vai a
trovare tuo zio?”
“Già… beh, ci vediamo dopo”
La giovane si sistemò i
capelli, tirando un po’ di più la coda alta e si
diresse verso un'altra stanza,
sfoggiando il sorriso più dolce che aveva.
***
Edward Burke stava uscendo
dalla Gringott avvolto nel mantello scuro. Si era praticato addosso un
incantesimo addosso per sottrarsi alla pioggia di quel giorno di inizio
Novembre.
Si diresse verso il
Ghirigoro, dove lavorava la sua migliore amica, nella speranza che lo
accompagnasse al Paiolo Magico per la pausa pranzo.
Entrò nella libreria. Era
da tempo che non la vedeva così piena. Gli ultimi tempi
erano stati duri e la
gente evitava di andare in giro, a meno che non fosse strettamente
necessario.
Cercò Victoria con lo
sguardo e finalmente riuscì ad individuarla tra i romanzi
storici. La ragazza
si voltò, con le braccia cariche di libri, e rivolse gli
occhi acquamarina al
ragazzo.
“Hey Ed!”
“Vic… ti do una mano?”
chiese lui togliendo qualche libro dal carico della giovane.
I due si diressero insieme
verso la cassa dove depositarono i volumi.
“Claire, questi sono da
mettere in magazzino” disse Victoria alla donna sulla
cinquantina che stava al
bancone poi insieme a Edward si diresse al piano superiore.
“Cos’è tutta questa
confusione oggi?”
“C’è la presentazione di un
nuovo libro”
La ragazza indicò un angolo
dove campeggiava un cartonato con scritto “When life seems
too dark”. Edward ci
mise qualche secondo a riconoscere l’autore che stava
svogliatamente firmando
le copie di qualche lettore. Era un ragazzo magro, con dei capelli
corvini
estremamente disordinati che il giovane Burke identificò
come un suo cugino di
lontanissimo grado. D’altronde tutti i purosangue erano
imparentati, anche se
alla lontana.
Gli era sempre parso un
tipo molto piuttosto scontroso, una specie di lupo solitario, e la sua
faccia
infastidita mentre firmava autografi non faceva altro che confermare la
sua
teoria. Quel poveretto doveva essere stato costretto a fare
ciò da un qualche
agente o editore.
Piuttosto in disparte, ma
comunque presente, c’era William Traynor. William era forse
l’unico amico che
Lucas Barton era riuscito a farsi ad Hogwarts.
Erano entrambi due ragazzi
piuttosto chiusi ma si erano in qualche modo trovati, hanno iniziato
prima a
rispettarsi e poi a diventare amici, oltre che compagni di stanza.
L’unica nota
negativa era che il giovane Barton non andava molto
d’accordo, anzi per niente,
con l’amica d’infanzia di William.
Lui e Angela finivano per
cozzare sempre contro e battibeccare. Lui in particolar modo la
giudicava
frivola e immatura a causa del persistente buonumore e sorriso di lei.
La ragazza tamburellava con
il piede, impaziente e annoiata allo stesso tempo. Aspettava che il suo
migliore amico la riaccompagnasse a casa. Era un’abitudine
presa durante la
guerra, lui la riaccompagnava sempre a casa e anche se ora la guerra
era
finita, William continuava a farlo dicendo “Non si sa
mai”.
Angela si era recata nel
reparto riservato ai romanzi gialli, alla ricerca dell’ultimo
della sua autrice
preferita ma non lo trovò così si mise a dare
un’occhiata agli altri titoli.
Ne estrasse uno che
apparentemente riguardava un gruppo di licantropi, ne
sfogliò qualche pagina e
poi andò a leggere l’ultima frase, come faceva
sempre. Lo mise via poco
convinta e continuò la sua ricerca, si fermò con
gli occhi su un libro
posizionato nello scaffale più alto.
Si alzò sulle punte, nel
tentativo di raggiungerlo. Spalancò la bocca quando vide il
libro uscire dallo
scaffale e dirigersi verso le mani di qualcun altro.
Angela cercò subito con gli
occhi azzurri di chi si trattasse e vide che alla sua destra
c’era proprio Luke
Barton con un sorrisetto sfrontato sul viso.
“Appellarlo no? Era troppo
difficile?” chiese in tono sarcastico e canzonatorio
L’espressione sul viso
della ragazza passò da stupita a indignata. “Scusa
tanto se io non uso la magia
per ogni minima cosa!” fece Angela con il tono più
acido che riuscì a trovare.
I due iniziarono, come al
solito, a discutere e come al solito solo William riuscì a
separarli, con la
scusa che se loro si fossero dati una mossa sarebbero potuti andare a
pranzo
prima di tornare alle rispettive abitazioni.
***
Era passato qualche giorno
ormai da quando suo zio le aveva proposto, ora che la guerra era
finita, di
prendere le redini del Crazy Head e le aveva proposto di usare i suoi
risparmi
per ristrutturarlo. Johanna aveva sonoramente protestato adducendo il
fatto che
Derek sarebbe potuto sempre tornare a casa, anche se in sedia a
rotelle. L’uomo
che l’aveva cresciuta come un padre non voleva rappresentare
per lei un peso e
continuava ad insistere per rimanere in ospedale e lasciare tutto in
mano a
lei.
La ragazza ne aveva parlato
anche col suo migliore amico che le aveva messo ancora di
più la pulce
nell’orecchio con un “perché
no?” e gliel’aveva proposta come
un’avventura, una
sfida che lei non sarebbe mai riuscita a rifiutare.
Avrebbero ristrutturato il
Crazy Head e lo avrebbero reso un simbolo di rinascita.
Erano all’incirca le sei di
sera, l’orario in cui il locale, o meglio quello che ne era
rimasto, si
riempiva di più. Molti maghi e streghe, e diversi babbani
che avevano
familiarità con il mondo magico passavano di lì
finito il proprio turno di
lavoro.
Entrò una ragazza bionda
con i lunghi capelli legati in una treccia, ma si vedeva che erano
stati
forzati lì perché alcuni ciuffi si stavano
ribellando.
Maysilee era accompagnata
dalla sua collega, ex compagna di classe nonché migliore
amica Freya.
“Ciao Jo Badass!” la salutò
allegra la prima
“Ciao Jo” salutò anche la
seconda.
Johanna sorrise ripensando
a quel soprannome che le avevano dato i gemelli Prewett e con cui
l’avevano
presentata a May. Maysilee era diventata amica dei gemelli quando
Fabian e
Gideon ormai facevano il quinto anno ma si erano affezionati subito.
Molta
gente durante gli anni le avevano scambiate per le fidanzate
dell’uno o
dell’altro gemello ma in realtà erano
più come una famiglia. Una famiglia che
si era spezzata.
Johanna non aveva mai
mostrato a nessuno, eccetto Sebastian, quanto aveva sofferto. Non aveva
neanche
avuto il tempo di piangere la loro morte perché poche
settimane più tardi la
sua vita era radicalmente cambiata.
“Stanche ragazze?” chiese
servendo loro le due burrobirre appena ordinate.
“Ma che stanche… dobbiamo
ancora cominciare… turno di notte oggi”
sbuffò fuori May
Jo lanciò loro un sorriso
carico di comprensione e si recò a servire due maghi appena
entrati, poi tornò
dalle ragazze. “Sapete… credo che
ristrutturerò il locale… ora che sembra
essere tutto più tranquillo”
“Mi sembra un’ottima idea”
sorrise Freya
Le ragazze scambiarono
ancora qualche battuta poi, notando che si stava facendo tardi, si
diressero
verso il San Mungo, dove entrambe lavoravano come Guaritrici.
Andarono dirette agli
spogliatoi per cambiarsi e poi verso gli ascensori. May scese al primo
piano,
reparto ferite da Creature Magiche.
Percorse il corridoio fino
ad arrivare alla saletta riservata al personale. Salutò
qualche collega che si
apprestava a tornare a casa e poi si diresse verso il registro dove
apporre la
firma di inizio turno.
Una ragazza dai capelli
scuri stava già firmando.
“Oh ciao Angie, anche tu di
turno stasera?”
Angela Saunders alzò il
viso e sorrise alla collega. “Sì e siamo solo noi
di turno”
“Perfetto” sorrise la
bionda. Era un sorriso piuttosto ironico poiché, di solito,
quando il personale
scarseggiava puntualmente si presentavano i casi più
disparati e urgenti
***
Victoria stava sistemando
dei libri di Divinazione nell’angolo dedicato quando venne
interrotta dalla
proprietaria de “Il Ghirigoro”, la signora Flourish.
La signora Flourish era una
signora di mezz’età, con i capelli tinti di indaco
avvolti in una crocchia e un
sorriso gentile. Temperence Flourish amava il suo lavoro, si
rammaricava solo
di non avere nessun erede a cui lasciare le redini del negozio.
“Vai ad aiutare Claire in
cassa per favore?” chiese alla mora “Vedo che
c’è fila e non vorrei che i
clienti si spazientiscano”
“Ma certo!” rispose
Victoria. La ragazza lasciò i libri così come
stavano e si diresse subito alla
cassa.
Le due commesse sbrigarono
in poco tempo la coda che si era formata e poco più di
un’ora più tardi
riuscirono a chiudere il negozio.
Diagon Alley era ormai
semi-deserta. Essendo ormai Novembre inoltrato, anche se non era notte
lo
sembrava. Il sole era tramontato presto, e la nebbia contribuiva a dare
alla
stradina un non so che di spettrale.
“Per fortuna che sei
tornata…” stava dicendo Victoria alla donna
“Ora che gli affari si stanno
riprendendo non saprei come avrei fatto da sola”
La signora al suo fianco
sorrise. “Mi è dispiaciuto tanto dovermene andare
e May mi è mancata così tanto
che appena ho potuto sono tornata”
Claire, essendo una
nata-babbana, appena iniziata la guerra era andata con suo marito in
Cornovaglia, a casa dei suoi genitori. La figlia maggiore, Maysilee,
decise di
non seguirli, neanche finita la scuola, mentre per la minore era stato
più
sicuro raggiungerli solo durante le vacanze. Ora che la guerra era
finita,
però, la donna aveva deciso di riunire la sua famiglia e di
tornare al suo
vecchio lavoro
***
Era un tranquillo giorno di
metà Novembre. Stranamente c’era il sole. Edward
si stava vestendo. Decise che
un elegante completo babbano era l’ideale da indossare quel
giorno. Era
l’abbigliamento ideale da indossare al processo contro un
gruppo di esaltati
che credeva che tutti coloro che non avessero puro sangue magico
fossero
feccia.
Un bussare alla porta gli
fece alzare lo sguardo da quella cosa babbana chiamata travatta
a cui cercava di fare il nodo.
Sua sorella Elaine entrò e
si richiuse la porta alle spalle, lasciando frusciare il vestito verde
bottiglia che indossava.
“Sei pronto?” gli chiese
“Devo solo annodare
questa…cosa” rispose lui non sapendo bene come
definire quella specie di
raffinato cappio al collo.
La giovane donna sorrise
divertita. “Io intendevo mentalmente”
specificò. Nel frattempo si era avvicinata
e gli stava allacciando la cravatta.
“Sei sicura di non voler
venire?”
Elaine scosse la testa in
un cenno di diniego. “Non voglio vederlo” poi
abbassò lo sguardo e continuò con
la voce tremolante “Non voglio essere additata come la moglie
di un Mangiamorte”
Edward la afferrò per le
spalle. “Hey…” la spinse ad alzare lo
sguardo “Ti prometto che non succederà
più niente di simile... ti fidi di me?”
“Certo” sospirò lei
lasciandosi abbracciare
***
Johanna camminava verso il
Ministero della Magia, leggermente accecata dal bagliore di quel sole
così
inusuale per l’autunno inglese. La
pioggia cade solo sugli eroi pensò. Era una frase
che suo zio le diceva
sempre da bambina. Anche il giorno del funerale di Gideon e Fabian
pioveva.
Oggi era completamente diverso. Nell’aula dieci, di
lì a poco, si sarebbe
svolto il processo contro i Mangiamorte che avevano distrutto il Crazy
Head e
avevano torturato lei e suo zio, fin quando il poveretto era stato
buttato giù
dalla finestra. In seguito alla caduta era rimasto paralizzato, ma per
fortuna
era ancora vivo.
Lei invece era stata
torturata e se non fosse stato per l’intervento di Sebastian,
probabilmente
sarebbe morta.
Prese un bel respiro ed
entrò nell’edificio, consapevole che non sarebbe
stata una giornata facile.
Edward era seduto nell’aula
10 ormai da qualche minuto, era nelle panche riservate ai testimoni.
C’erano
lui e un altro paio di persone. Anche la parte dell’aula
riservata al
Wizengamot si stava riempiendo.
L’ultima ad entrare fu una
ragazza con i capelli scuri e uno sguardo ceruleo serio e determinato.
In un
certo senso assomigliava a sua sorella, prima che diventasse una moglie
sottomessa.
La ragazza sedette accanto
a lui senza proferire parola. Il processo iniziò.
Johanna tenne lo sguardo ben
fisso su Albus Silente mentre ripercorreva attimo dopo attimo quel
terribile
giorno. Si era preparata a mente quel discorso centinaia di volte, non
voleva
dimenticare nessun dettaglio. Non ci sarebbe riuscita in ogni caso.
Sostenne lo sguardo del suo
ex-professore senza che nessun segnale di cedimento trapelasse dalla
sua voce,
e fatto il suo dovere di testimone si alzò.
Stette a sentire il
racconto di altre due persone che erano state torturate dal gruppo di
Carson
Burke, Magnus Saintclaire e Thorfinn Rowle.
Era rimasto solo il ragazzo
accanto a lei. Aveva qualcosa di familiare, ma visto che la loro
età era
simile, si disse che probabilmente lo aveva visto a scuola. Anche da
seduto si
vedeva che era molto alto e quando si alzò ne ebbe la
conferma, ma a farla
sbiancare fu il nome del ragazzo: Edward Burke. Burke, come il suo
aguzzino
morto. Non poteva essere una coincidenza.
Sentendosi osservato,
Edward si voltò verso la ragazza e scoprì che
quegli occhi azzurri erano
carichi di disprezzo.
“Tu…” lo additò Johanna
“Tu
sei il fratello di un Mangiamorte…come puoi essere qui a
difenderlo?”
Le parole della ragazza lo
colpirono come un dardo avvelenato. Ancora una volta pensò
che non si sarebbe
mai liberato di quelle accuse, di quel nome. Suo fratello continuava a
perseguitarlo anche da dentro una tomba.
Non riuscì a replicare.
Johanna scattò in piedi
come una molla, lanciò uno sguardo schifato al ragazzo che
fino a poco prima
era seduto accanto a lei, e abbandonò l’aula,
ancora incredula.
Hello people!
Ci ho messo un po’ a
scrivere il capitolo, ma sto ancora cercando di inquadrare i
personaggi. In più
ho avuto tre compleanni questa settimana (con conseguenti occhiaie da
panda).
Ad ogni modo, spero che il
capitolo sia stato di vostro gradimento.
E intanto un grazie alle 3
persone che hanno inserito la storia tra le preferite (sulla fiducia,
visto che
doveva ancora iniziare) e alle 5 persone che l’hanno messa
tra le seguite.
E un grazie a chi ha creato
questi OC che spero di riuscire a rendere decentemente ;)
Baci
H.
|
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Capitolo 4 *** Dicembre ***
La stanza era fredda e
scarsamente illuminata. A primo impatto non avrebbe dato quasi a
nessuno una
buona impressione, ma a William non metteva più
così tanta inquietudine, ci si
era abituato. Succedeva spesso che un Legilimens come lui venisse
chiamato per
condurre parte di un interrogatorio. Gli Auror lo convocavano per
cercare di
scavare nella mente dell’indiziato il più
possibile.
Molti Mangiamorte, o almeno
molti di quelli più importanti, riuscivano a chiudere la
propria mente e
nascondere le proprie intenzioni. Nonostante questo, aveva visto cose
orribili
che di notte lo perseguitavano.
Non amava questa parte del
suo lavoro, ma almeno, adesso che la guerra era finita, gli
interrogatori erano
notevolmente diminuiti anche se alcuni sospettati venivano ancora
interrogati
con quel metodo.
Tirò un sospiro di sollievo
quando il suo lavoro fu finito, uscì dalla saletta e
percorse il corridoio
principale del Quartier Generale degli Auror, non si fermò a
salutare nessuno,
non aveva molti amici sul posto di lavoro come non ne aveva avuti ad
Hogwarts.
Una ragazza dai capelli
rosso scuro, sua ex-compagna di classe stava provenendo
dall’altro capo del
corridoio, quando inquadrò William sorrise. Era un sorriso
malizioso e
furbetto.
“Allora, finito
l’interrogatorio a Rowle?” chiese lei
“Sì, finalmente” rispose il
ragazzo “Ci abbiamo messo ore ma ha parlato”
“Qualche nome utile?”
William scosse leggermente
la testa “Niente che non sapessimo già”
“Beh…visto che è tardi, io
andrei a prendere un drink e poi andrei a casa…”
la ragazza si imbarazzò
leggermente prima di domandare “vieni anche tu?”
“No” rispose istintivamente
dato che non usciva con una ragazza da mesi. Appena si accorse che la
ragazza
ci era rimasta un po’ male corresse il tiro e aggiunse
“Magari un’altra volta”
La ragazza era ancora
delusa come prima, lo salutò e se ne andò. William fece spallucce e
riprese la sua strada
per tornare nella casa che condivideva con un ragazzo e un paio di
ragazze.
***
La ristrutturazione del
Crazy Head era ormai quasi completa. La settimana precedente aveva
raccontato
al suo migliore amico Sebastian del suo incontro col fratello del suo
aguzzino.
Il ragazzo si era schierato in difesa di Edward Burke adducendo che,
sebbene
non lo conoscesse bene, mentre lavoravano entrambi come
spezzaincantesimi alla
Gringott, gli era parso un bravo ragazzo. Johanna era combattuta.
Sapeva che
Sebastian difficilmente sbagliava a giudicare le persone e anche lei di
solito
non giudicava le persone dal loro cognome, ma la parte più
irrazionale del suo
cervello continuava a suggerirle che la mela non cade mai lontano
dall’albero.
Aveva continuato a pensare
a quell’incontro. Forse non era stata una delle sue figure
più edificanti ma
era già un trionfo il fatto che si fosse trattenuta dal
lanciargli addosso una
maledizione.
Johanna aveva appena finito
di spolverare il bancone di legno scuro e si guardò intorno.
Il locale era
stato ampliato, comprendendo sia il vecchio locale, che era stato
distrutto,
sia le stanze nascoste che erano servite da rifugio per i nati babbani
in fuga.
Gli sgabelli erano stati messi attaccati al bancone, anche le sedie e i
tavoli
erano stati messi al loro posto. Peccato che molte delle persone che li
riempivano una volta ora non fossero più in vita.
Sentiva che mancava qualcosa.
Voleva che quelle persone, che i frequentatori del Crazy Head non
venissero
dimenticati. Doveva solo trovare un modo…
Passarono un paio di giorni,
lei e Sebastian a parlarne, ma non era venuto loro in mente niente che
non
sembrasse troppo una specie di altarino.
Ne parlò anche con suo zio,
che approvò con entusiasmo l’idea. Fu proprio
quella sera, quando era
all’ospedale che Freya gli diede l’idea.
Stavano guardando fuori
dalla finestra della camera di suo zio. Johanna aveva notato che
c’era la luna
piena.
“Sì, e il cielo è sereno,
pieno di stelle. Credo che stanotte nevicherà”
disse Freya.
La mente dell’altra ragazza
però si era fermata alle stelle. Non ci aveva mai pensato ma
trasformare in un
cielo stellato quella parete che era rimasta alta dopo
l’attacco dei
mangiamorte, era una bella idea. Non voleva che sembrasse qualcosa di
troppo
tetro, inquietante o pacchiano. Voleva un cielo simile a quello che
sovrastava
la Sala Grande ad Hogwarts.
Johanna passò il resto
della settimana a cercare un modo di incantare la parete ma spesso
otteneva un
leggere cielo azzurrino o un cielo completamente scuro.
La sera prima della
riapertura andò a farle visita Maysilee. La ragazza
entrò scuotendo i capelli
biondi arruffati e coperti di neve.
“Ho sentito che avevi bisogno
di una mano” trillò togliendosi il cappotto rosso
scuro e abbandonandolo su una
sedia nelle vicinanze.
Ci misero un paio di ore ma
alla fine May riuscì ad ottenere più o meno
quello che Johanna si immaginava.
Certo, a differenza di quello di Hogwarts non cambiava a seconda del
tempo che
faceva fuori ma era comunque molto simile al cielo esterno, ricco di
sfumature
e illuminato da punti luce che rappresentavano le stelle.
Sopra ci avrebbero appeso
le foto di chi non c’era più, ma si erano imposte
di appendere solo foto
allegre, per ricordare il meglio di loro.
“Adesso mi devi spiegare
come hai fatto” disse Johanna mentre preparava due tazze di
cioccolata.
Maysilee afferrò un
biscotto dal piattino che la ragazza, fece spallucce e rispose
“Astronomia è stata
l’unica materia in cui avevo il massimo dei voti, so
praticamente tutto sulle
stelle”
“Capisco…”
Dopo qualche attimo di
silenzio May bevette l’ultimo sorso di cioccolata e disse
“Che ne dici se
l’appendiamo noi la prima foto?”
“Perché no? Ho proprio
quella giusta!”
Johanna si recò sul retro,
dove si era ritagliata una specie di ufficio e ne riemerse un paio di
minuti
dopo sventolando trionfante una foto che porse subito
all’altra ragazza.
L’immagine ritraeva i
gemelli Prewett che ringhiavano, contendendosi l’ultima fetta
di torta alla
melassa. Sul retro si intravedeva Molly che giocava con dei bambini ai
piedi di
un albero di natale.
May fece comparire una
cornice sottile di abete un po’ grezzo e fece appendere la
foto al muro. Le due
stettero un po’ ad osservare soddisfatte il loro lavoro, solo
dopo si
salutarono per andare a dormire.
***
Luke Barton se ne stava
seduto alla scrivania che aveva strategicamente posizionato davanti la
finestra
in modo da poter guardare fuori. Ma era proprio quel guardare fuori che
lo
stava distraendo dallo scrivere. Si era imbambolato ad osservare come
la neve
si posava placidamente sui rami spogli del platano dall’altra
parte della
strada.
Non riusciva a scrivere
perché si era distratto o si era distratto perché
non riusciva a scrivere?
Stava cercando di scrivere
questo maledetto libro dedicato a sua sorella ma una volta che il
pensiero
correva a Clara, Luke si perdeva nei meandri della sua stessa mente. I
pensieri
si concatenavano ma alla fine portavano tutti allo stesso punto di
arrivo, alla
litigata che aveva avuto con la sua sorellina, poco prima che uscisse
quel
giorno. Si erano urlati contro come mai avevano fatto e poi lei era
morta.
Possibile che le ultime parole che si erano detti fossero parole
cariche di
rabbia?
Spostò gli occhi nocciola
sui tasti della macchina da scrivere babbana che usava.
Sospirò provando a
mettere in fila qualche pensiero, ma quello che venne fuori gli parve
una
porcheria, così strappò via il foglio, lo
appallottolò e lo gettò nel cestino come
quei giocatori di basket che vedeva da piccolo.
Sbuffò, era più che certo
che anche quel giorno non avrebbe combinato niente. Tanto valeva andare
a farsi
una passeggiata, magari andarsi a prendere un caffè bollente
in una di quelle
caffetterie babbane dove la gente si sedeva davanti alla vetrina per
guardare
chi passeggiava.
Appena un quarto d’ora più
tardi si pentì amaramente di essere uscito. Aveva totalmente
dimenticato che
mancavano giusto un paio di settimane, ma solo lui sembrava averlo
dimenticato
perché le strade più commerciali di Londra
brulicavano di babbani alla ricerca
dei regali.
Decise di ripiegare su
Diagon Alley, entrò al Paiolo Magico, e si
avvicinò al bancone da Tom per
chiedere una burrobirra con un pizzico di cannella. Appena preso il
boccale si
voltò e vide su un tavolo poco distante, ma leggermente in
ombra a causa di una
colonna, il suo migliore amico.
Il ragazzo si sedette
davanti a William e gli chiese dei suoi programmi per le feste.
“In famiglia, come al
solito” rispose l’altro “Tu
invece?”
“Io piuttosto che passarlo
in famiglia mi faccio internare. Anzi, credo proprio che
andrò al San Mungo a
fare volontariato”
“Tu che fai volontariato?
Questa sì che è bella! Cosa ne hai fatto di Luke
Barton?”
***
Victoria aveva il viso
sprofondato in una sciarpa di lana e camminava verso casa del suo
migliore
amico. Si era smaterializzata ad un isolato di distanza ma non avrebbe
mai
pensato che fosse stato così freddo. Se lo avesse saputo
sarebbe comparsa
direttamente davanti casa di Edward.
Imprecò contro l’ennesima
folata di vento che le gelava il naso e le faceva diventare le gote
rosso
fuoco. Tirò un sospiro di sollievo quando qualcuno
aprì subito dopo aver
suonato il campanello di casa Burke.
Ad aprire non fu però
Edward, ma sua sorella, che la accolse in casa come faceva sempre,
considerandola come una di famiglia.
Le due si accomodarono nel
salottino a sorseggiare una tazza di tè. Victoria
ringraziò mentalmente gli
elfi domestici che avevano avuto la grandiosa idea di accendere il
camino.
Una decina di minuti più
tardi comparve Edward sulla porta.
“In ritardo come al
solito…peggio di una donna” commentò la
mora.
“Dov’è che andate?”
commentò Elaine.
Edward sembrò leggermente
impacciato ma fu l’altra ragazza a salvarlo e prendere la
parola “Devo trovare
un regalo per mio nipote, ormai ha 13 anni… io non ho idea
di cosa si regala a
un ragazzo di quell’età.”
“Quindi io l’aiuto”
aggiunse il giovane.
Elaine annuì ma si vedeva
lontano un miglio che non era convinta al cento per cento della
risposta.
I due si sbrigarono a
salutare ed uscire, appena furono sufficientemente lontani Victoria gli
si parò
davanti a braccia conserte.
“Già mi costringi ad usare
il mio unico giorno libero per venire con te a cercare un regalo
dell’ultimo
minuto per tua sorella e in più ti permetti anche di fare
tardi?”
“Mi dispiace, lo sai che mi
dispiace”
La ragazza sembrò pensarci
un attimo e poi se ne uscì fuori con un “Due
scatole di Api Frizzole e sei
perdonato”
“Affare fatto” scherzò lui.
Prese la ragazza sottobraccio e si smaterializzarono per ricomparire in
mezzo
ai negozi.
***
Era la mattina di natale e
purtroppo la pioggia stava cancellando ogni traccia della neve che era
caduta
fino a qualche tempo prima. I mucchi di candida neve si stavano
trasformando in
cumuli di schifosa poltiglia marroncina.
Ad ogni modo, Angela non
riusciva a essere felice come una volta per l’arrivo del
natale. Aveva sempre
adorato le feste, poter tornare dalla sua famiglia per passare del
tempo
insieme ma da tempo ormai era tutto diverso.
Quattro anni prima aveva
perso suo fratello maggiore. Era sparito così, da un giorno
all’altro lasciando
un vuoto incolmabile. Era stato doloroso, Angela non credeva che
avrebbe mai
provato così tanto dolore, ma la presenza di sua sorella
l’aveva aiutata ad andare
avanti. Abigail l’aveva aiutata a sentirsi meno sola.
Quando due anni prima anche
sua sorella era morta, il natale aveva perso il suo significato. Che
festa era
se l’unica compagnia era una madre che neanche la calcolava?
Per questo aveva accettato
di essere di turno il giorno di Natale. Nessuno voleva coprire quel
turno ma
lei aveva accettato di buon grado. Sarebbe stato un modo per tenere la
mente
occupata e pensare meno alla solitudine.
Prese da sopra il comodino
la foto che portava sempre con sé, quella che ritraeva lei e
i suoi fratelli
insieme, seduti sul tappeto, un natale di circa quindici anni prima.
Si infilò sopra il mantello
verde smeraldo e si inoltrò tra le vie che
l’avrebbero condotta al San Mungo.
Buongiorno gente!
Chiedo venia per il ritardo
(5 giorni per scrivere un capitolo si può considerare
ritardo?) ma ci tenevo a
pubblicare oggi visto che è il mio compleanno! Gioite miei
piccoli schiavi…
Scherzi a parte, so che il
capitolo non è un granchè ma sto incontrando
qualche difficoltà a scrivere
questa storia, e non so perché…
Ora vi lascio che vado a
godermi una giornata al mare con le mie amiche ;)
Baci
H.
|
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Capitolo 5 *** Gennaio ***
Un nuovo anno era iniziato
soltanto la notte prima e aveva avvolto Londra
con un vento gelido, che rendeva difficile persino camminare per le
strade
piene di gente in vacanza. Per Angela, vacanze o meno sembrava non
essere
cambiato poi molto, aveva comunque lavorato anche quando per gli altri
era
festa. Una sola cosa era cambiata durante quelle festività.
Stava
camminando lungo il corridoio principale del reparto quando passando
davanti una camera non aveva creduto ai suoi occhi: Luke Barton stava
facendo volontariato
in una stanza dove c’erano dei bambini che erano stati
attaccati da lupi
mannari.
La ragazza aspettò che uscì e appena lo vide
varcare la soglia disse: “Non
sapevo che anche Lucas Barton avesse un cuore”
“Così tanto che se mi chiami di nuovo Lucas mi
prenderò anche il tuo di
cuore” rispose acidamente lui.
Come al solito avevano
battibeccato ma anche nei giorni seguenti si era soffermata ogni tanto
a
guardarlo e aveva visto una persona diversa, più sorridente
e amichevole.
Quel giorno aveva finito il
suo turno e stava facendo un ultimo giro dei pazienti e vide il ragazzo
leggere
ad una bambina, interpretando le frasi con diverse intonazione, come se
fosse
un attore. Angela ci mise solo poche frasi a riconoscere il racconto di
Baba
Raba e il Ceppo Ghignante. Ricordava come fosse solo soltanto il giorno
prima
quando anche suo fratello le leggeva le fiabe di Beda il Bardo. E anche
se le
sapeva a memoria, se le faceva leggere sempre quando stava male ed era
costretta a letto.
Istintivamente sorrise e altrettanto
istintivamente le venne da correggere Luke quando sbagliò a
leggere il discorso
del re, perché nella sua mente c’era suo fratello
che lo impersonava mettendosi
in piedi sulla sedia.
Luke si girò e la guardò un
po’ male. Gli diede fastidio essere stato scoperto
lì, essere visto come una
persona diversa rispetto al ragazzo menefreghista e freddo che aveva
sempre
dato l’impressione di essere.
Ebbe la tentazione, come al
solito di controbattere ma lo fermò uno sguardo gettato al
letto, dove la bambina
si era assopita.
Il ragazzo si alzò, lasciò
il libro appoggiato sulla sedia e si avvicinò
all’uscio. Luke e Angela uscirono
sul corridoio e si incamminarono verso gli ascensori.
Quando l’ascensore arrivò
al piano salirono nel cubicolo vuoto e Angela premette istintivamente
il
pulsante del quinto piano, dove si trovava la sala da the in cui
passava spesso
a prendersi qualcosa di caldo prima di tornare a casa a piedi.
“Non dirlo a nessuno” la
pregò lui
“Cosa” domandò di rimando
“Che sei umano?”
Notando che Luke non
rispondeva, aggiunse “Non devi per forza fare sempre lo
scorbutico sai?”
Il tono di Angela risultò
più cattivo di quello che in realtà voleva e Luke
lo captò subito.
“E dovrei essere quello
sempre felice, come te?” chiese con un disprezzo che
ferì la ragazza, la quale
ringraziò mentalmente di essere quasi arrivata al suo piano.
“Sai, se in questi anni ti
fossi anche solo sforzato un minimo di conoscermi, sapresti che non
è così!” ribatté,
mentre cercava con una mano di velocizzare l’apertura di
quella maledetta
griglia di metallo che faceva da porta all’ascensore.
Non si voltò per vedere
quale reazione aveva suscitato nel ragazzo ma si diresse a passo svelto
verso
la caffetteria. Altro che caffè o cioccolata calda, una
camomilla ci sarebbe
stata molto meglio, peccato che il mondo magico non fosse a conoscenza
di
quella bevanda babbana.
***
Edward da giorni non
riceveva da giorni alcuna risposta ai gufi che mandava alla sua
migliora amica.
Sapeva che le feste erano state difficili per lei. Viveva in una casa
che
avrebbe dovuto condividere con l’uomo della sua vita, uomo
che era morto
nemmeno un anno prima.
Da quel momento Victoria
aveva cominciato a chiudersi in sé stessa, specialmente nei
momenti no. Voleva
essere lasciata sola, e lo capiva perché anche lui era
così, ma adesso era
troppo. Sapeva che si era presa una settimana di permesso dal lavoro ma
non si
era fatta più viva. Sapeva che l’unica persona che
potesse sapere cosa avesse
Victoria era suo fratello, così andò da lui. Zeek
non si sbilanciò, non gli
disse cosa potesse avere la ragazza perché non gli sembrava
giusto, ma gli
diede le chiavi di casa sua.
E così quel pomeriggio
Edward si era recato a casa di Victoria. Non era certo la prima volta
che
andava a farle visita, ma stavolta si sentiva quasi un ladro.
Bussò sulla porta
di ciliegio.
“Vic sono io…” si annunciò.
Nessuna risposta arrivò dall’interno della casa.
“Sto entrando” aggiunse prima
di inserire la chiave nella serratura ed aprire.
L’abitazione era immersa
nell’oscurità, fatta eccezione per un debole
bagliore proveniente da quello che
sapeva essere il salotto.
Appoggiò le chiavi sulla
consolle all’ingresso e si diresse verso il salotto. Appena
varcata la soglia
vide che la luce, proveniente dalle fiamme nel camino, illuminava
proprio la
figura di Victoria.
La ragazza era seduta sul
divanetto sotto la finestra, con le gambe piegate sotto al proprio
corpo e lì
accanto a lei se ne stava anche il suo gatto bianco. Botolo, appena
vide il
ragazzo, liberò il divanetto dalla sua considerevole mole e
si avvicinò al
ragazzo, gli si strusciò contro le gambe con un miagolio
sommesso.
Edward si sedette accanto
alla giovane senza dire una parola. Osservò come il suo
sguardo colo
acquamarina era indirizzato verso il vuoto, verso qualcosa di non
meglio definito.
“Vic” la chiamò di nuovo,
accarezzandole dolcemente la schiena.
La ragazza non rispose con
le parole ma Edward sentì le sue spalle rilassarsi. Lui le
rimase accanto per
un tempo che gli sembrò infinito.
Victoria parlò all’improvviso.
“Questa settimana sarebbe dovuto nascere il mio
bambino” buttò fuori come se
fosse un peso enorme.
Edward andò a prenderle una
mano e solo in quel momento si accorse che la ragazza stringeva tra le dita esili
una
minuscola scarpina di stoffa.
“L’altra l’ho seppellita
con Harry… mi dispiace di non averti detto niente”
“Non ti devi assolutamente
preoccupare di questo” e la abbracciò.
I due rimasero abbracciati
a lungo. “Vorrei piangere o urlare ma non ci
riesco… non sento niente” disse
Victoria stringendo il suo migliore amico ancora più forte.
“Lo sai che ti voglio bene”
le sussurrò Edward
Victoria abbozzò un sorriso
“Lo so”
***
Era stata una giornata
decisamente difficile quella. Quella stessa mattina era arrivato un
caso
disperato. Un uomo che allevava clandestinamente draghi era stato
attaccato da
uno di questi. Tutti i suoi capelli erano stati bruciati, ma
ciò che aveva
messo più a repentaglio la sua vita era una lacerazione
dell’arteria femorale
che aveva rischiato di farlo morire dissanguato.
Maysilee e un suo collega
ci avevano messo ore per salvargli la vita e alla fine
quell’uomo se l’era
cavata solo con una gamba amputata.
Tutta la squadra di
Guaritori e assistenti aveva gioito, soprattutto perché
ormai non ci speravano
più. May era contenta sì, ma non entusiasta come
loro. Non riusciva a essere
entusiasta come loro.
Era stanca, arrancò da un
letto all’altro in attesa della fine del turno. Finalmente
alle nove di sera
Freya la andò a chiamare.
Le due si diressero verso
gli spogliatoi. “Allora, so che è stata una
giornataccia…”
“Già…abbiamo recuperato un
uomo per un pelo” disse May, con lo stesso tono che avrebbe
usato se avesse
letto la lista della spesa.
“E non sei felice?”
“Sì, certo che lo sono”
rispose poco convinta.
L’amica suggerì di andare a
bere qualcosa prima di tornarsene a casa e le due si avviarono in
direzione del
Crazy Head.
C’era parecchia gente
quella sera. La riapertura aveva riscosso molto successo tra maghi e
non, tanto
che Johanna aveva dovuto assumere un barista, un mezzovampiro di nome
Cenus,
che le desse una mano la sera e la notte, specialmente durante il
finesettimana.
Le due ragazze si sedettero
al bancone, come loro solito e aspettarono pazientemente che Johanna si
liberasse per andare a prendere le loro ordinazioni.
“Buonasera ragazze, che vi
porto?”
“Due burrobirre con un
pizzico di cannella” trillò Freya
“No per me niente cannella”
disse May
“Mamma mia come sei triste”
la rimbrottò l’amica.
Neanche un paio di minuti
dopo Johanna posò davanti alle due bionde un paio di boccoli
colmi, poi guardò prima
una e poi l’altra amica.
“Allora, che è successo?
Dobbiamo prepararci per un altro funerale?”
“JO!” la richiamò Freya.
L’umorismo
cinico della ragazza non le era mai andato giù
più di tanto.
“Scusa!” ridacchiò lei, ma
tornò subito seria “Allora?”
“La signorina qui presente”
disse Freya mentre con un movimento della testa indicava Maysilee
“oggi ha
salvato un uomo e non ne è per niente felice”
May alzò gli occhi al cielo.
“Te l’ho detto, ne sono felice! È solo
che… avrei voluto riuscire a salvare
qualcun altro” aggiunse con tono triste.
Lo sguardo della ragazza
saettò verso la foto dei gemelli Prewett. Sul muro della
memoria erano state
appese, nelle settimane precedenti parecchie altre foto. Alcune
ritraevano
membri dell’Ordine della Fenice, altre raffiguravano semplici
maghi o streghe
uccisi, che i familiari e gli amici volevano ricordare.
Maysilee si rammaricava di
non aver potuto aiutare i suoi migliori amici. Quando gli auror e i
guaritori
erano arrivati sulla scena dello scontro i due ragazzi erano
già morti e quando
May li aveva visti arrivare al San Mungo coperti da dei lenzuoli
bianchi, lei
che era lì pronta per aiutarli, si sentì inutile.
Aveva fatto dell’aiutare gli
altri la sua professione, il motivo per cui si alzava la mattina. Ma
che senso
aveva se poi non potevi aiutare le persone care?
Davanti al muro c’era una
ragazza con dei lunghi capelli castani, che May riconobbe come
l’ex Caposcuola
Emmeline Vance, intenta ad appendere una fotografia.
Qualche tavolo più giù
William Traynor aveva riconosciuto la foto che una ragazza stava
appendendo sul
muro: si trattava di Caradoc Dearborn. L’intero dipartimento
di Auror aveva
passato le ultime due settimane ad indagare sulla misteriosa scomparsa
del
collega e William si era occupato di interrogare alcuni Mangiamorte
arrestati.
Certo la guerra poteva essere finita ma ancora si portava dietro gli
strascichi. C’erano alcuni Mangiamorte che ancora non si
arrendevano alla
caduta del loro Signore e quindi mietevano vittime senza
pietà, alimentati
dalla sete di vendetta.
Nessuna persona scomparsa
era stata mai ritrovata viva quindi veniva ormai quasi automatico
considerare
chi spariva senza motivo come defunto.
William venne distratto dal
suono del campanello che indicava la porta del locale che si apriva.
Fece un
cenno con la mano quando riconobbe il suo migliore amico.
Luke si sedette davanti a
lui ed ordinò al barista una cocktail babbano. I due
iniziarono a chiacchierare
del più e del meno. Non si vedevano da Natale
perché William era stato oberato
di lavoro.
Alla fine Luke gli raccontò
anche di aver litigato con Angela, non descrisse bene le circostanze ma
Will
capì comunque.
“Hai esagerato. Tu credi di
conoscere l’allegra ed estroversa Angela ma lei è
molto di più”.
Salve gente!
Ieri mi è tornata
l’ispirazione
e così ho buttato giù questo capitoletto. Spero
che sia di vostro gradimento e
che perdoniate eventuali errori (Sto uscendo e non ho tempo di
rileggere).
Il prossimo capitolo non so
quando arriverà precisamente perché la prossima
settimana me ne vado in
vacanza ed ho una nuova ff interattiva con le iscrizioni ancora aperte a cui vi invito a dare uno sguardo, se volete.
Baci
H.
|
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Capitolo 6 *** Febbraio ***
Febbraio
Era qualche giorno ormai
che Luke pensava a quello che William le aveva raccontato riguardo
Angela. I
due erano amici da una vita e lui aveva vissuto con lei la scomparsa
del
fratello maggiore e la morte della sorella maggiore.
“Non capisci quanto è bello
che nonostante questo sorrida così spesso?” gli
aveva detto William. E Luke si
era ritrovato a pensare che era vero.
Lui aveva perso qualcuno.
William aveva perso qualcuno. La maggior parte della gente che
conosceva aveva
perso qualcuno in quella stupida guerra, ma pochissime persone erano
state in
grado di mantenere quella frizzantezza e quell’amore per la
vita che pervadeva
ogni gesto di Angela Stuart.
Si era in parte pentito di
quello che le aveva detto ma solitamente lui non era uno che si scusava
e Angela
sembrava una che non perdonava tanto facilmente. C’era una
cosa però che gli
aveva insegnato la morte della sorella: in un periodo in cui la
possibilità di
non rivedere più una persona è così
concreta, non bisognerebbe mai chiudere una
conversazione con un litigio.
Così si era recato
nell’unico posto in cui ero certo che lei non
l’avrebbe potuto evitare. Entrò
al San Mungo e, ancora incerto su cosa avrebbe fatto o detto, prese
l’ascensore
per recarsi al reparto dove la ragazza lavorava.
Fece avanti e indietro per
il corridoio ma senza riuscire a individuarla, non ci mise molto
però a sentire
su di sé uno sguardo sospettoso.
“Posso aiutarti?” gli
chiese una Guaritrice dai capelli biondi tirati su in uno chignon
parecchio
disordinato.
Lui avrebbe voluto rispondere
di no ma era consapevole che se continuava a girare lungo il corridoio
lo
avrebbero creduto pazzo e rinchiuso in un altro reparto.
“Cerco Angela”
La ragazza sfoggiò un
sorriso furbetto e poi lo invitò ad attendere la Stuart
nella saletta dei Curatori
mentre lei l’andava a chiamare.
Maysilee entrò nella stanza
numero 118, dove Angela era intenta a medicare dei graffi che una
signora si
era fatta sull’avambraccio nel tentativo di addomesticare un
Jarvey.
“Angy c’è un ragazzo per te”
le disse.
“È William?” domandò la
mora mentre applicava un cerotto alla donna e si alzava dallo sgabello
su cui
era stata seduta fino a quel momento.
“Non esattamente” ridacchiò
l’altra.
Angela si voltò rivolgendo
gli occhi chiari alla collega. “Che vuol dire non
esattamente? O è lui o non è
lui”
“Perché non vai a dare
un’occhiata?” ammiccò May.
Le due uscirono dalla
stanza della paziente ma May rimase indietro per vedere Angela che
entrava
nella piccola stanza dove solitamente il personale del piano si
appoggiava nei
momenti liberi, per riposare o fare un tè.
Angela entrò nella saletta
e rimase non poco stupefatta quando riconobbe Luke su una sedia,
accanto al
tavolo ricoperto di fogli di pergamena e cartelle cliniche.
“Che ci fai qui?” chiese in
tono leggermente brusco.
“Devo parlarti” disse lui
Angela si mise in una
specie di posizione di attacco, con lo sguardo severo e la bocca
piegata in una
smorfia dura.
“Non dovresti stare qui,
sono ammessi solo pazienti e visitatori”
“Angela aspetta…”
La ragazza si era già
posizionata sull’uscio della porta da cui si vedeva
l’ascensore. Era un chiaro
invito ad andarsene e lui non poteva non rispettarlo.
Luke si alzò e la superò
dicendo “So che mi odi adesso…”
Angela abbassò gli occhi e
disse in un sussurro pressoché inudibile “Non ti odio, sarebbe molto
più facile se ti
odiassi”.
***
William si era chiuso in
ufficio dopo aver incrociato una Caroline Bingley piuttosto mogia. La
ragazza
era una sua collega ed era anche piuttosto simpatica
oltreché una bellezza
mozzafiato. I due andavano d’accordo e lavoravano bene
insieme, ma era evidente
che la ragazza si fosse illusa che sotto c’era qualcosa di
più e quando il caso
a cui stavano lavorando era stato chiuso e William non le aveva chiesto
di
uscire la giovane ci era rimasta male.
Controllò la data del
calendario, era il 10 Febbraio. Mancava poco a San Valentino e tutti si
aspettavano che invitasse qualcuna a cena fuori per una serata
romantica.
Questo era quello che ci si aspettava da lui ma William era tutto
tranne che
pronto a imbarcarsi in una storia amorosa. Non ne voleva proprio una,
non in
quel momento.
Continuando a guardare il
foglio appeso sul muro grigiastro gli venne in mente che di
lì a poco sarebbe
stato il compleanno della sua ex-compagna di classe Elaine Burke. Non
erano
stati molto amici ai tempi di Hogwarts perché lui aveva un
carattere abbastanza
chiuso e lei era una di quei purosangue che stringevano amicizia quasi
solo
esclusivamente con maghi e streghe dello stesso lignaggio.
L’aveva rivista però
qualche mese prima, quando aveva dovuto interrogarla in quanto moglie
di un
Mangiamorte appena arrestato: Magnus Saintclare. Non aveva mai
interrogato
nessuno che conoscesse, anche solo minimamente, ma non ebbe bisogno
della
Legilemanzia per capire che lei fosse solo una ragazza spaventata.
Solo dopo aveva saputo che
Elaine era incinta e in seguito si era ritirata e non si era
più vista, non
aveva neanche mai preso parte al processo. Continuava a vivere in una
gabbia.
Certo era una gabbia dorata quella che la circondava da quando era
piccola,
come quella che circondava ogni purosangue di alto lignaggio, ma era
pur sempre
una gabbia. Decise che sarebbe andato a trovarla per il suo compleanno.
***
Quel giorno il sole era
tornato a fare capolino tra le nuvole e a riscaldare chi passeggiava
lungo
Diagon Alley. Victoria aveva terminato il suo turno al Ghirigoro ma
uscendo e
vedendo che il sole stava tramontando pensò che sarebbe
stato proprio uno
spreco tornare direttamente a casa. Andò alla Gringott,
depositò parte del suo
stipendio nella camera blindata di famiglia e chiese di parlare con
Edward. I
folletti la guardarono in modo un po’ perplesso, solitamente
i dipendenti come
gli Spezzaincantesimi non interagivano con i clienti ma i folletti
avevano una
sorta di timore riverenziale verso i maghi e le streghe che sapevano
appartenere ad antiche famiglie di purosangue come le sacre ventotto
quindi
acconsentirono a farle incontrare il ragazzo.
I due amici si accordarono
per vedersi più tardi quando lui avrebbe finito il suo di
turno di lavoro.
“Allora ci vediamo alle
sette al Paiolo Magico”
“No, basta col Paiolo. La
zuppa di Tom assomiglia sempre di più ad una brodaglia
grassa” protestò
Victoria.
“Allora dove proponi di
andare?”
“Al Crazy Head, ha riaperto
da poco. Ci va sempre la figlia di una mia collega, dai ci mangiamo un
po’ di
fish&chips!”
“Non ci sono mai stato ma
va bene.”
Victoria uscì di nuovo
lungo la via piena di negozi, fece un giro, si fermò a
guardare le vetrine di
Madama McClan. La donna nella sua solita veste color malva le fece
cenno di
entrare dall’altra parte del vetro. Victoria le fece cenno di
no, come per dire
che doveva andare. Sapeva che se entrava la strega avrebbe tentato di
convincerla a comprare l’ennesimo mantello di lana o un paio
di guanti e
Victoria ne sarebbe uscita con più roba rispetto a quella di
cui aveva
effettivamente bisogno.
Entrò nel Crazy Head con
qualche minuto di anticipo rispetto all’appuntamento fissato
con Edward, salutò
un cliente abituale della libreria che stava seduto a bere un bicchiere
di rum
di ribes rosso e a fissare con lo sguardo un muro pieno di fotografie e
si
sedette ad un tavolino.
Ordinò una burrobirra alla
barista, una ragazza dai lunghi capelli castani e l’aspetto
un po’ da
maschiaccio.
Johanna servì un boccale di
burrobirra al tavolo in fondo e poi tornò verso il bancone
dove era seduta
Freya che continuò il discorso interrotto in precedenza.
“Come ti dicevo... ha preso
una leggera polmonite ma è in via di miglioramento. Io
credo, comunque, che
magari starebbe meglio in una casa per anziani come la St. Odgens, a
Upper
Flagley. Ho sentito dire che è molto carina e sarebbe un
ambiente meno triste
rispetto all’ospedale”.
Johanna sbuffò. “Te l’ho
detto, è una sua scelta stare lì…
fosse per me potrebbe anche tornare a casa”
replicò, ma la ragazza non la stava affatto ascoltando in
quanto il suo sguardo
si era fermato su un gruppo di ragazzi appena entrato. Freya riconobbe
subito
il suo ex-fidanzato abbracciato a quella che era la sua nuova fiamma.
Certo lui
e Freya si erano lasciati da un paio d’anni ma la ragazza
provava ancora un
forte risentimento nei suoi confronti, per non esserle stato accanto
nel
momento del bisogno.
Quando il gruppo passò e
lui la salutò, Freya ricambiò con il saluto e il
sorriso più falso che aveva.
Si girò per continuare a seguire il gruppo con lo sguardo ma
sbadatamente
rovesciò il calice di vino elfico che non aveva finito di
bere. Maledetta lei e
la sua goffaggine!
Freya tornò con gli occhi a
Johanna e in un misto di indignazione e stupore disse “Sa che
io vengo sempre
qui! Come si permette?”
Questa volta però era la
barista a non ascoltare ed avere lo sguardo fisso verso
l’entrata “Come si
permette?” ripeté Johanna.
“Eh?” fece Freya confusa. L’amica
però era già uscita dallo spazio dietro al
bancone e si era recata a grandi
falcate verso il ragazzo fermo sull’uscio.
Edward Burke era appena
entrato al Crazy Head e stava percorrendo la sala con i grandi occhi
azzurri
alla ricerca della sua amica ma venne praticamente travolto da una
ragazza,
dalla stessa ragazza che l’aveva verbalmente aggradito al
processo.
“Che ci fai tu qui?” chiese
provocatoria quasi spingendolo.
“Io…”
“Io non servo Mangiamorte.
Fuori!” gli intimò.
Edward indietreggiò
istintivamente, finendo sul vicolo dove si affacciava il pub. “Io non sono
affatto un mangiamorte!”
protestò.
Johanna però non riuscì a
mettere da parte la sua irrazionalità. Quel ragazzo
assomigliava troppo al suo
aguzzino, qualcosa nel suo cervello era scattato spingendola a sibilare
con
tono cattivo “Oh povero caro, il tuo fratellone non ti ha
permesso di entrare
tra i grandi? Buhuuu” e finse il tono lamentoso di un bambino.
L’espressione di Edward si
indurì e le sue mani si chiusero strette, frementi di rabbia.
“Fuori di qui!” gli urlò
contro Johanna.
Ecco un regalino-ino-ino di
arrivederci! (Come al solito non ho riletto quindi chiedo venia per
eventuali
errori)
A presto
H.
|
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Capitolo 7 *** Marzo ***
Un timido sole illuminava
Londra quel giorno. Freya lo aveva visto sorgere attraverso le finestre
delle
stanze dei pazienti di cui si prendeva cura. Fortunatamente il suo
turno finiva
alle 10 del mattino, così avrebbe potuto godere del bel
tempo e fare una
passeggiata.
Terminò il giro delle
visite nella stanza della signora Perkins, una strega sulla ottantina
impazzita
a causa dei fumi del suo laboratorio di pozioni.
“Buongiorno Walda” la
salutò andando accanto a letto per sistemarle i cuscini
dietro la testa “Come
andiamo oggi?”
“Oh non c’è male, cara, ma continuano
a non mi hai ancora procurato un goccetto di Odgen
Stravecchio” si lamentò la
vecchietta.
Freya ridacchiò “Lo sai che
non posso”
“Oh andiamo, ci correggerei
solo un po’ di quello schifo che qui chiamano succo di
zucca”
La ragazza alzò gli occhi al
cielo e con un sorriso le diede la stessa risposta di sempre
“Vedrò cosa posso
fare.”
Passò anche a salutare
Johanna, la quale era andata a trovare suo zio, prima di andare nello
spogliatoio a cambiarsi. Appese il camice nel suo armadietto e ne
tirò fuori il
suo cappotto, si sciolse i capelli e prese la borsa.
Appena uscita venne
investita da una leggera brezza, il segno di una primavera che stava
per
arrivare. Era entrata a visitare un negozio di oggettistica che le era
nuovo,
giusto a qualche via dal San Mungo.
Prese tra le mani un
portagioie in legno e ceramica, gli diede un’occhiata, era
davvero bello ma non
si poteva aprire, infatti non c’era nessuna chiave infilata
in quella piccola
serratura. Stava per chiedere al proprietario il perché ma
il suo sguardo venne
attirato da un espositore dove brillavano delle collane.
C’era scritto che il
ciondolo di ognuna era caratterizzato da un odore particolare.
Una ragazza mora al suo
fianco ne annusò uno. “Uh, menta piperita!
Buono!” disse tra sé e sé prima di
raggiungere
un ragazzo alto vicino alla cassa.
Freya imitò il gesto
dell’altra giovane ed avviso il naso ad uno dei ciondoli. Le
sue narici vennero
subito investite da un odore, sembrava qualcosa di familiare eppure non
riusciva a riconoscerlo. Lo annusò di nuovo e questa volta
il suo cervello si
annebbiò.
Era certamente un odore che
aveva già sentito. Lo aveva sentito quella notte, in quel
vicolo, quando un
mangiamorte le aveva reso la nottata e la vita un inferno.
Sentì il suo respiro
mozzarsi, come se qualcosa le chiudesse la gola. Si sbrigò
ad uscire dal
negozio, vedendo a malapena la strada in quanto i suoi occhi erano
offuscati
dalle lacrime.
All’aria aperta la
situazione non migliorò, continuava a fare fatica a
respirare, mentre il suo
corpo era percorso da un sudore freddo, gelido. Freya Stoker
appoggiò la
schiena al muro sul lato dell’edificio e scivolò
seduta a terra. L’attacco di
panico non accennava a passare, e più la paura si
impossessava di lei e più le
si chiudeva la gola.
Sapeva che non sarebbe
morta. Non si muore a causa di un attacco di panico, ma aveva
esattamente la
stessa sensazione, come se stesse per morire.
Vide un ombra sopra di lei.
Aveva talmente paura che sarebbe voluta scappare ma non riusciva a
muovere un
solo muscolo.
La figura davanti a lei si
inginocchiò.
“Va tutto bene. Va tutto
bene.” Una voce maschile stava cercando di tranquillizzarla
ma lei non riusciva
assolutamente a calmarsi. L’ultima volta che aveva avuto un
attacco così forte aveva
mandato il suo ragazzo all’ospedale.
“Tranquilla, va tutto bene”
continuava a ripeterle il ragazzo di fronte a lei. Era lo stesso
ragazzo che
poco prima si trovava dentro al negozio.
Johanna era
uscita dall’ospedale
solo un paio di minuti prima quando camminando in direzione del Crazy
Head
quando passando davanti ad una vietta vide Edward Burke bocconi davanti
alla
sua amica Freya che tremava come una foglia.
Si avvicinò a passo svelto.
“Che succede qui?” chiese in tono minaccioso.
Edward alzò gli occhi fino
ad incrociare quelli azzurri di lei. “Procurale un sacchetto
di carta. La
aiuterà a respirare.”
Il tono del ragazzo era
tranquillo ma fermo. Johanna spostò lo sguardo
sull’altra ragazza che respirava
pesantemente e non potè far altro che eseguire
l’ordine che le era stato dato.
Tirò fuori un fazzoletto
che aveva in tasca e lo trasfigurò in un sacchetto di carta
marrone che passò
subito al ragazzo.
Edward mise il sacchetto
davanti la bocca di Freya. “Respira qui dentro,
piano”
La ragazza sapeva
esattamente cosa doveva fare, aveva studiato Medimagia, dopotutto, ma
in quei
momenti il suo cervello si rifiutava di ragionare. Era come se la sua
testa
pesasse un quintale.
Johanna istintivamente si
sedette accanto all’amica e iniziò ad accarezzarle
la schiena.
Passarono parecchi minuti
prima che il respiro di Freya tornasse regolare e la ragazza si
abbandonasse
contro la spalla dell’amica, con gli occhi vacui e il viso
ancora rigato dalle
lacrime.
“Andiamo tesoro, torniamo
al locale”
Edward, che aveva osservato
la scena in silenzio, tornò a parlare. “Non puoi
smaterializzarti con lei in
queste condizioni, rischia di spaccarsi… dobbiamo essere in
due.”
Johanna si limitò ad
annuire. I due presero Freya sottobraccio e dopo aver contato fino a
tre sparirono
con un pop per ricomparire sul
retro
del Crazy Head.
Entrarono nel locale
deserto nel giorno di chiusura e fecero accomodare Freya su una sedia.
“Ti preparo un tè” le disse
Johanna prima di allontanarsi dietro al bancone.
Freya riuscì ad annuire e
poi a guardare il ragazzo ancora in piedi.
“Grazie” riuscì a dire
prima di abbassare lo sguardo imbarazzata.
Johanna tornò al tavolo e
mise una tazza di bevanda fumante sul tavolo.
“Già…grazie”
“Non c’è problema…”
il
ragazzo si mise una mano tra i capelli, dietro la testa. “Io
andrei allora…”
Edward si diresse verso la
porta ma venne richiamato da Johanna. “Posso offrirti
qualcosa?”
Il ragazzo si voltò con un
sorriso e rispose “Sbaglio o non servivi i
Mangiamorte?” poi uscì.
Johanna rimase senza
parole, colpita e affondata.
***
Luke aveva chiuso anche
l’ultima
valigia. Il giorno seguente sarebbe partito per un tour per le librerie
magiche
e non della Gran Bretagna. L’idea non gli andava affatto
giù ma il suo editore
lo aveva praticamente costretto a promuovere il libro in qualche modo.
Gli dispiaceva partire perché
alla fine aveva chiarito con Angela e aveva continuato ad andare a fare
volontariato un giorno a settimana.
I due aveva legato anche se
non particolarmente. Il loro era un rapporto strano. Si erano in
qualche modo
scoperti, mettendo da parte il loro orgoglio e mostrandosi per quello
che erano
veramente, tranne quando erano con William. In quei momenti
continuavano a
battibeccare come avevano sempre fatto.
Il mercoledì mattina quando
si recò alla stazione di London Victoria anche William ed
Angela lo
accompagnarono. Sarebbe partito alla volta di un paesino babbano e da
lì
avrebbe continuato a viaggiare per circa un anno.
“Beh… ci vediamo tra
qualche tempo” disse Luke. Lui non era mai stato un amante
dei saluti e di
tutto quel genere di smancerie.
“Ciao amico” lo salutò
William prima di abbracciarlo di slancio.
Luke sorrise appena, rosso
per la vergogna e poi salutò Angela. I due si strinsero la
mano.
“Buon viaggio” gli augurò.
Il ragazzo si avviò verso l’entrata
dello scompartimento.
“Aspetta!” gli gridò
Angela. Lucas Barton si girò di scatto e vide la ragazza
piombargli addosso e
posare le labbra sulle sue con forza.
Dopo qualche attimo di
totale spiazzamento si ritrovò a rispondere al bacio con
trasporto. Quando i
due si staccarono, si ritrovarono a ridere.
“Di questo ne parliamo
quando torno” disse Luke
Angela sorrise e annuì.
Tornò verso un William che guardava in loro direzione
estremamente perplesso.
Appena l’amica lo raggiunse lui piegò la testa da
un lato e la guardò con fare
interrogativo.
“Devo essermi perso
qualcosa”
***
La fine di marzo si era rivelata
più piovosa del previsto e anche molto fredda. La gente
girava ancora con i
cappotti pesanti e le sciarpe di lana o perlomeno quello facevano i
pochi che
se ne andavano in giro in quanto, con quel tempo da lupi, molti
preferivano
rimanere a casa.
Victoria era seduta nel
salotto di casa Burke ormai da un paio d’ore. Avevano parlato
del più e del
meno mentre la pioggia scorreva lungo i vetri. Elaine gli aveva parlato
di una
visita inaspettata da parte di un suo ex compagno di classe mentre lei
gli
aveva raccontato di come andava in libreria e gli aveva portato un
libro che
stava andando molto di moda.
Victoria non poteva fare a
meno di osservare Elaine seduta sul divano ad accarezzarsi la pancia
ormai
prominente visto che era al sesto mese di gravidanza. La donna era
serena e
risplendeva di una luce diversa. Forse la scelta di tenere il bambino
le aveva
veramente giovato e Victoria si ritrovò a pensare a quando
un paio di mesi
prima ne avevano parlato.
Edward
l’aveva pregata di andare a parlare con la sorella per
decidere il
da farsi ma non sapeva come affrontare l’argomento con Elaine.
Ormai la giovane era arrivata un pezzo avanti con la gravidanza. Le era
rimasto veramente poco tempo per decidere se tenere il bambino o meno.
Aspettò che la ragazza tornasse in salotto con un altro
vassoio di
pasticcini e si decise a parlare. Adesso o mai più.
Victoria prese un sorso di tè e poi abbassò la
tazza, stringendola ancora
tra le mani.
“Allora… hai deciso cosa fare con il
bambino?”
Elaine Burke trattenne una risatina. “Sapevo che saresti
arrivata a questo
punto…” la giovane si accarezzò la
pancia che ormai si intravedeva sotto il
vestito.
“E’ il figlio di un mangiamorte”
sospirò triste.
“Ma è anche tuo figlio”
“Come potrei guardarlo negli occhi e vedere ogni giorno la
persona che mi
ha fatto tanto del male quando invece si sarebbe dovuto prendere cura
di me?”
“Nessuno potrà mai cancellare quello che lui ti ha
fatto ma pensa a questo
bambino come forse l’unica cosa buona che tuo marito possa
averti lasciato. Un
bambino è un dono meraviglioso…io farei qualsiasi
cosa per poter aver indietro
il mio bambino”
Victoria non poteva fare a
meno di essere felice per lei, perché Elaine si meritava un
po’ di felicità, ma
non era una felicità completa perché la
gravidanza dell’amica continuava a
ricordarle quello che lei non aveva potuto avere. Sentiva quel vuoto
dentro se
stessa e non sapeva se sarebbe mai riuscita a colmarlo.
***
Uscendo dall’ospedale,
alla
fine del turno, Maysilee si era diretta al reparto Janus Thickey. Era
stato un
mese infernale dal punto di vista lavorativo e aveva impedito a lei e
Freya di
trascorrere un po’ di tempo insieme. Fortunatamente
l’amica poteva fare una
pausa e quindi le due si diressero verso la caffetteria
dell’ospedale per
prendere qualcosa da bere.
Freya le aveva raccontato
dell’ultimo attacco di panico ma aveva cercato di minimizzare
la cosa. May
invece si era preoccupata. L’amica soffriva di attacchi di
panico da quando un
mangiamorte l’aveva violentata ma aveva rimosso tutto dalla
sua memoria; solo
quando le tornava qualcosa in mente rischiava un attacco.
L’ultimo l’aveva lasciata
più sconvolta degli altri e Freya si era impegnata sul
lavoro per cercare di
non pensarci.
“Hai un aspetto orribile”
le disse May
“Sono solo stanca, tutto
qui”
“Sicura?” chiese May “Sono
preoccupata…credo che dovresti parlare con qualcuno, uno
specialista, intendo”
La faccia di Freya si
tramutò in un’espressione di offesa.
“Non sono pazza! Te l’ho
detto, ho solo bisogno di riposare”
“Non ho detto questo!”
ribattè May
Freya si alzò e guardò l’altra
ragazza con uno sguardo incendiario. “Prima Samuel, convinto
che fossi pazza e
adesso tu…” scosse la testa leggermente e se ne
andò, senza rispondere all’amica
che la chiamava.
Hallo
gente!
Qui
dove sono ora ha piovuto ieri sera e quindi mi sono messa a scrivere un
po’. So che avrei dovuto pubblicare un altro capitolo di
Another Hogwarts
Generation (il prequel di ATP) ma non avevo il tempo di rivedermi le
schede
quindi quello lo scriverò la prossima settimana.
Veniamo
al capitolo. Luke è il primo personaggio eliminato
perché la sua
autrice è sparita. Mi dispiace ma questa è una
legge non scritta delle
interattive e mi sembra una questione di rispetto verso chi
è sempre presente.
Come
al solito non ho riletto perché sono di coccio e non rileggo
mai
quindi segnalatemi eventuali errori (o orrori)
A
presto
Hadley
in versione crucca
|
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Capitolo 8 *** Aprile ***
William e Angela
camminavano tranquillamente lungo una stradina laterale rispetto a
Diagon Alley.
Lui aveva insistito per fare un po’ di strada insieme e
godersi un po’ di quel
tepore primaverile.
Mentre entravano nel Paiolo
Magico per passare poi alla parte magica di Londra il ragazzo le chiese
se lei
avesse avuto notizie di Luke, visto che l’amico non aveva
risposto al suo
ultimo gufo.
“Devo ancora capire come ha
fatto a nascere qualcosa tra voi due, litigavate sempre! E a
me” aggiunse
indicando il suo torace con il pollice “toccava sempre fare
da paciere”
Angela si strinse nelle
spalle. Non riusciva a spiegarselo neanche a lei e rispose la prima che
gli
venne in mente. “Che ci vuoi fare? Gli opposti si
attraggono”
“Quello è magnetismo non
amore” puntualizzò lui “E voi due siete
tutt’altro che opposti, fidati. Però
sono contento se vi siete innamorati, sarà stato per questo
che Luke sembrava
così sereno negli ultimi tempi”
Angela ridacchiò. “Dovresti
provarlo anche tu sai?”
“Non voglio una ragazza
adesso, te l’ho detto”
“Oh andiamo, hai mezzo
ufficio che ti corre dietro, possibile che non ci sia neanche una
ragazza che
ti piaccia?”
Al segno di diniego da
parte dell’amico Angy continuò. “E di
quella tua amica che sei andato a
trovare?”
“Elaine Burke non è mia
amica”
“Sì certo e io sono una
Veela”
“Ah davvero? Non lo sapevo”
scherzò Will guadagnandosi una sonora gomitata tra le
costole.
Angela notò una panchina
libera lungo la strada e si accomodò. William
seguì l’esempio e si appoggiò con
tutta la schiena, mettendosi le mani dietro la testa.
“C’è qualcosa che devi
dirmi? Lei ti piace, non è vero?”
“No!” replicò subito lui,
quasi mettendosi sulla difensiva. “Mi è solo
rimasta impressa…”
William Traynor cercava,
con gli occhi azzurri, di sfuggire allo sguardo indagatore della sua
migliore
amica. Sapeva che ad Angela bastava uno sguardo per capire o fargli
sputare
fuori tutto quello che gli passava per la testa.
“Era la prima volta che
interrogavo qualcuno che conoscevo, anche solo vagamente. E
c’era qualcosa in
quegli occhi, non erano come quelli del resto dei mangiamorte che avevo
già
interrogato. Erano più…limpidi, sembrava di
riuscire a vederci attraverso tutte
le emozioni contrastanti che la stavano confondendo.”
Angela lo guardò con
un’alzata di sopracciglio “E…?”
“E niente! È sposata e
aspetta un bambino e fa praticamente l’eremita in casa sua.
Mi suscita
compassione.”
“Solo compassione?”
“Oh smettila! Andiamo o
farò tardi a lavoro” la incitò lui
alzandosi. Angy lo seguì senza replicare ma
sapeva che forse dietro quello che William aveva detto c’era
molto di più.
Quando Angela entrò nella
stanza che faceva da spogliatoio per le Guaritrici venne praticamente
travolta
da una ragazza bionda che camminava a passo svelto.
Maysilee continuava a
inseguire Freya senza staccarla più di qualche passo. Si
fermò solo un paio di
secondi per salutare la mora che aveva appena aperto la porta poi
ripartì più
veloce.
“Non riuscirai a seminarmi”
la minacciò “Continuerò a starti alle
costole, dovessimo arrivare a piedi nelle
Highlands!”
Quando Freya accelerò May,
in uno scatto di rabbia, batté il pugno contro uno degli
armadietti di metallo
alla sua destra, facendo sobbalzare un altro Curatore di passaggio.
La vide girare in fondo al
corridoio e la seguì trovandosi in un vicolo cieco. Non
c’era traccia della sua
amica, per un attimo si chiese se si fosse smaterializzata poi si
ricordò che
al San Mungo era impossibile farlo, così si
guardò intorno e notò la porta del
bagno. Doveva essere per forza lì.
May entrò cercando di far meno
rumore possibile. Lanciò qualche sguardo verso gli spazi
vuoti tra le porte e
il pavimento alla ricerca dei piedi di Freya. Intravide una figura
seduta a
terra, quasi accovacciata su se stessa. Provò ad aprire la
porta ma essa era
stata chiusa dall’esterno.
“Apri” disse May. Lo disse
una, cinque, dieci volte con tono sempre più perentorio.
La voce proveniente
dall’interno del bagno suonò come una supplica
strozzata dalle lacrime
“Vattene! Ti prego”
“No. Non me ne andrò senza
che tu mi apra”
“Non puoi semplicemente
lasciarmi sola?”
La bocca di May si piegò in
un mezzo sorriso. La ragazza si abbassò fino a distendersi
sul pavimento di
mattonelle bianche. Appoggiò anche la testa a terra,
pregando che essendo in un ospedale il pavimento fosse pulito, e si
voltò verso l’interno
del bagno, così riusciva a vedere meglio Freya, che teneva
il viso abbassato,
con gli occhi puntati al pavimento.
“Sono la tua migliore
amica, non me ne andrò per quanto tu me lo
chiederai”
May vide le lacrime
scorrere sul viso dell’amica e le chiese
“Perché non mi parli di quello che ti
sta succedendo. Capisco che non vuoi parlarne con un
estraneo… ma con me,
perché no?”
“Dall’altro giorno continuo
ad avere flash di quella sera… non ce la faccio, non ce la
faccio a rivivere
tutto ancora. Vorrei essere morta quella notte…sarebbe stato
infinitamente più
semplice”.
“Non dire così”. May
allungò una mano fino a toccare il piede
dell’amica. “Devi combattere, so che
vuoi farlo…ma non puoi farlo da sola. Ci sono io a farlo con
te, ok?”
Freya annuì debolmente,
alzando gli occhi scuri sull’amica che le sorrise dolcemente.
“E adesso apri e vieni di
qui ad aiutarmi ad alzarmi perché credo di aver preso il
colpo della Megera”
A Freya scappò un risolino,
si alzò e allungò una mano verso
l’altra ragazza per aiutarla a fare
altrettanto. Una volta in piedi le due si abbracciarono e rimasero
così per
qualche minuto.
Era la domenica di Pasqua e
il tempo sembrava reggere, nonostante le nuvole in cielo minacciassero
pioggia
con il loro grigiore.
Victoria aveva pranzato a
casa di suo fratello in occasione della festa e aveva portato a suo
nipote una
specie di uovo di cioccolato che aveva adocchiato in una pasticceria
babbana.
Lucian sembrava aver
apprezzato molto, confermando la teoria della commessa, secondo cui
“Non si è
mai troppo grandi per queste cose”.
Lucian era in cucina a dare
una mano a Krystal così suo fratello ne
approfittò per sedersi sul divano rosso
accanto a lei.
“Allora, come stai?”
“Bene, te l’ho detto”
rispose Victoria come se fosse ovvio.
Zeek la guardò piuttosto
scettico. Non gliela faceva, si atteggiava come se tutto andasse bene e
certo,
lavorava e conduceva una vita apparentemente normale ma in
realtà era una vita
piatta, vissuta senza viverla veramente.
“Come fai a sapere che ti
sto mentendo?”
“Sono tuo fratello, è mio
compito preoccuparmi per te” le sorrise lui.
Victoria le raccontò che a
lavoro andava tutto bene, e si stava abituando a vivere da sola ma suo
marito
le mancava incredibilmente.
“So che è passato solo un
anno e poco più ma hai mai pensato di frequentare qualcun
altro?”
“Non credo di essere ancora
pronta… non sarò mai pronta fino in
fondo” ammise Victoria.
Zeek tese una mano e la
appoggiò sopra a quelle di lei. “Vedrai che
accadrà…quando meno te lo aspetterai
sarai felice di nuovo con qualcuno.”
Gli incoraggiamenti del
fratello funzionarono e la ragazza tornò a casa leggermente
rincuorata e gli sorrise.
“Perché nel frattempo non
fai qualcosa per te?” le propose lui.
Lo sguardo di Victoria
diventò leggermente perplesso. “Che
intendi?”
“Beh, il tuo sogno era
diventare una Guaritrice, no? Perché non ci provi?”
“Non essere sciocco, Zeek.
Si parla di anni di studi e io ho già 25 anni!”
“Appunto, hai 25 anni, non
80. Puoi ancora fare quello che vuoi…facci un pensierino,
fallo per il tuo
fratellone” Zeek sfoggiò il tipico sguardo da cane
bastonato che fece scoppiare
a ridere Victoria.
“Va bene, va bene, ci
penserò”
Quel giorno Edward venne
invitato dal suo collega Sebastian a pranzare con lui al Crazy Head,
per quanto
si potesse considerare pranzare quella che era una pausa di
mezz’ora dal
lavoro.
Per una volta Edward
accettò di buon grado, era proprio curioso di vedere la
reazione della
proprietaria del locale ad una sua ricomparsa.
Mentre camminavano per la
strada lui e Sebastian discussero di cosa avrebbero mangiato e bevuto,
per
ottimizzare i tempi.
Entrarono nel locale quasi
vuoto all’ora di pranzo e si sederono ad un tavolino. Johanna
non ci mise molto
ad individuarli ed avvicinarsi per prendere la loro ordinazione. Fece
finta di
niente di fronte a lui, come se fosse un cliente normale.
Mentre aspettavano i loro
hamburger Edward si alzò e si diresse verso il bancone dove
la ragazza stava
preparando delle Burrobirre da servire per un chiassoso gruppo di
ragazzini che
sedevano in fondo.
“Allora, stavolta sono
degno di essere servito?”
Johanna si morse la lingua.
Sarebbe stato giusto chiedergli scusa, ammettere che magari si era
sbagliata a
giudicarlo solo per via del suo cognome. Non era di certo colpa sua se
suo
fratello era stato un coglione!
“Forse” si limitò a
rispondere.
“Riuscirò mai a farti
cambiare totalmente idea su di me?” chiese lui con un
briciolo di speranza.
“Forse” rispose di nuovo
lei mentre si affaccendava prendendo i loro piatti dal cucinino per
portarli al
tavolo.
“No…niente forse. Ti farò
rimangiare le tue parole, Johanna Johnson e a quel punto ti dovrai
scusare con
me”
Il tono che Edward aveva
usato era un misto di divertimento e di sfida. Johanna non fece in
tempo a
replicare perché il ragazzo si sporse verso di lei e gli
rubò i piatti dalle
mani.
“Ma…” cercò di protestare
Johanna ma venne zittita da un velocissimo bacio su una guancia e da un
“Grazie
per gli hamburger, facciamo che li offre la casa stavolta?”
Edward se ne tornò verso il
tavolo con le mani occupate da due piatti di hamburger e patatine e con
un
sorriso trionfante stampato in volto.
Alle sue spalle lasciò una
ragazza mora praticamente pietrificata. Johanna sembrava incapace di
muoversi,
sentiva solo il suo cuore battere all’impazzata, quasi fosse
fuori controllo e
una sensazione di formicolio e calore che si irradiava dal punto in cui
le
labbra di Edward Burke l’avevano sfiorata in modo sfuggevole.
Era come se la
sua pelle, in quel punto, bruciasse. Era una sensazione che non aveva
mai
provato prima.
Buongiorno
gente!
A dire
la verità volevo aggiornare ieri sera ma i server di EFP
facevano un
po’ le bizze o perlomeno il mio computer si rifiutava di
farmi accedere e
siccome sono sveglia dalle 3 e mezza (causa terremoto, chi è
del centro Italia
tipo Umbria e Marche può capirmi) ho deciso di pubblicare
stamattina.
Ormai
siamo a metà storia e non mi pare vero, è giunto
il tempo quindi di
un giro di boa per alcuni personaggi.
So che
il capitolo non è lungo ma la sessione di settembre si
avvicina e
non volevo lasciarvi troppo a secco visto che prevedo per i prossimi
tempi
aggiornamenti irregolari.
Vi
saluto e vi ringrazio come sempre per le recensioni!
H.
|
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Capitolo 9 *** Maggio ***
Era riuscita finalmente ad
abbandonare la felpa in favore di una maglietta a maniche lunghe,
accompagnata
ai soliti jeans.
Si avvicinò al divano, dove
il suo Botolo se ne stava arrotolato su se stesso, dormendo come faceva
per la
maggior parte del giorno. Accarezzò il lungo pelo bianco e
l’animale alzò
pigramente il muso guardando la padrona con aria assonnata e
infastidita
insieme.
Gli disse che sarebbe
uscita ma che sarebbe tornata presto. Prese la borsa e si
avviò verso la porta.
Si ritrovò a sorridere in
modo quasi involontario quando sentì il sole scaldarle la
pelle. Il bel tempo
le aveva messo addosso la voglia di godersi il suo giorno libero,
così aveva
chiesto a Edward di vedersi per pranzo. E lui le aveva proposto il
Crazy Head.
Strano.
L’ultima volta che era
andata lì con lui le cose non erano andate
esattamente…bene.
Victoria camminò fino al
locale dove si sarebbero incontrati e una volta entrata si
accomodò ad uno dei
tavoli. Ordinò una burrobirra in attesa
dell’arrivo del suo migliore amico.
Lo vide entrare non molto
tempo dopo ma Edward non andò direttamente da lei
bensì si fermò a parlare con
Johanna, la proprietaria del locale e la ragazza che solo qualche tempo
prima
lo aveva pesantemente insultato.
Quando Edward la raggiunse
al tavolo, Victoria fu estremamente tentata di fargli il terzo grado.
“Mi spieghi cosa succede?”
gli chiese in tono più gentile possibile.
Edward fece spallucce.
Sapeva che non sarebbe riuscita a scucirgli una parola. Quando ci si
metteva
riusciva a essere più chiuso di lei. L’unica
consolazione era sapere che si
sarebbe aperto, prima o poi.
“A te, che succede?” Edward
cercò di cambiare subito discorso mentre si sedeva sulla
sedia di fronte a lei.
E così Victoria gli
raccontò tutto, gli raccontò di Pasqua e
dell’idea che le aveva messo in testa
suo fratello: andare a studiare Medimagia. Lasciare il suo lavoro, il
suo porto
sicuro, per imbarcarsi in una nuova avventura.
“Secondo me Zeek ha
ragione” disse Edward convinto “Insomma, ti
è sempre piaciuto studiare Medimagia
ma non l’hai mai fatto e ti sei rintanata in un lavoro che
odi”
“Io amo il mio lavoro!”
obiettò subito lei.
“D’accordo lo ami, ma non è
il tuo lavoro dei sogni. Ti sei accontenta.”
“Non mi sono accontentata!”
rispose di nuovo Victoria mettendosi sulla difensiva “Volevo
creare una
famiglia con David, volevo un lavoro che mi permettesse di passare
tempo con la
mia famiglia…ma le cose sono un tantinello
cambiate”
Le ultime parole le
aggiunse con una nota di amarezza nella voce. Rivangare il passato le
causava
sempre un nodo in gola.
Abbassò istintivamente lo
sguardo verso il tavolo, focalizzandosi sulle venature del legno scuro.
Non
amava farsi vedere con gli occhi lucidi ma era una cosa che non
riusciva ancora
a controllare del tutto.
“Hai perso le persone che
amavi di più”
“Non sai quello che vuol
dire”
“Forse non so quello che
vuol dire ma sono sicuro che David non avrebbe voluto che tu ti
fossilizzassi
nel tuo dolore. Devi ricominciare a uscire, e non solo per andare a
lavoro. Fallo
per lui. E per me.”
Edward sfoggiò uno dei suoi
sorrisetti che spinsero Victoria a sorridere a sua volta.
“Lo sai che il discorso
sull’uscire dovresti farlo anche a tua sorella?”
“Lo so” sbuffò lui mentre
tagliava le salsicce che gli erano appena state servite. “Ma
non posso costringerla…forse
a te darebbe retta…sareste il bue che dice cornuto
all’asino” ridacchiò.
“Ha paura…dopo quello che
le ha fatto Magnus…però penso che un
po’ d’aria e di distrazione le farebbe
bene, specialmente nelle sue condizioni.”
“Vedi? Parli già come una
Curatrice!”
“Oh smettila,
piuttosto…quando ci sarà la prossima udienza per
tuo cognato?”
“Metà Luglio…sai come sono
i tempi del Wizengamot”
Victoria annuì debolmente
davanti alla faccia leggermente preoccupata dell’amico.
Sebastian se ne stava
appoggiato al bancone, aveva guardato la sua migliore amica di
sottecchi
durante tutto il tempo con cui aveva parlato col suo collega e amico
Edward
Burke. Nelle ultime settimane gli era capitato di vederlo relativamente
spesso
nel locale mentre prima non lo frequentava quasi mai.
Li aveva sentiti parlare
del più e del meno, qualche volta era stato coinvolto anche
lui nella
conversazione e aveva visto Johanna sciogliersi poco a poco,
addirittura ridere!
Dopo che Burke si era
recato al suo tavolo lui aveva continuato a osservare l’amica
chiedendosi se
finalmente avesse cambiato idea e seguito il consiglio di provare a non
fare di
tutta l’erba un fascio e cercare di vedere Edward Burke come
qualcosa di
diverso dal fratello e cognato di due dei Mangiamorte che erano stati
nella
cerchia che aveva torturato lei e suo zio e che lui aveva quasi ucciso
in un
impeto di furia cieca e incontrollata.
Venne riscosso dai suoi
pensieri dalla familiare voce di Maysilee.
“Ciao Jo Badass. Sebastian”
salutò poi rivolta a lui che in risposta alzò il
proprio boccale di burrobirra.
Accanto a Maysilee c’era una ragazza che aveva visto solo
un’altra volta al
locale.
Gli saltò agli occhi per il
suo quasi rovesciare un piatto di noccioline lì accanto nel
salire sull’alto
sgabello.
Freya salutò Johanna con un
sorriso.
“Tornate dal lavoro?”
chiese la mora.
“Già, abbiamo solo un paio
di ore di pausa e poi torniamo all’ospedale”
rispose May.
“Quindi, che cosa vi offro
mie belle signorine?” chiese Sebastian dal suo posto.
Maysilee lo conosceva un
po’, ci era abituata, invece Freya alzò un
sopracciglio come a voler dire e adesso che
vuole questo?
Nel frattempo Johanna era
uscita da dietro il bancone con un vassoio pieno di bicchieri tra le
mani.
“Smettila di fare il farfallone
con le mie amiche, tanto non funziona” aveva detto Johanna
passando accanto al
gruppetto mentre si dirigeva ai tavoli.
“Oh non ti preoccupare Jo,
siamo in grado di domarlo!” rise May.
Le due ragazze restarono lì
fino a che non si fece ora di tornare al San Mungo. Ridevano mentre
parlavano
di non so quale caso e a Sebastian rimase tremendamente impresso il
limpido
suono che usciva dalle labbra di Freya Stoker.
Era una piovosa mattina di
metà maggio e il cimitero del quartiere magico era vuoto,
eccetto per una
figura femminile avvolta in un impermeabile scuro.
Angela Stuart se ne stava
in piedi davanti la tomba di sua sorella. Osservava la foto di Camille,
i
capelli castani e quegli occhi azzurri così simili ai suoi.
Entrambe avevano
ereditato gli occhi dalla madre ma era forse l’unico tratto
che avevano in
comune con la donna che le aveva partorite. Lei e Camille erano sempre
state
quelle con un carattere più forte, per questo spesso
litigavano ma in fondo si
volevano un gran bene e si erano sostenute a vicenda quando Jonathan
era
scomparso.
Le mancavano entrambi
terribilmente, soprattutto in giorni come quello. Camille avrebbe
festeggiato i
suoi 27 anni quel giorno. Fino a due anni prima avevano festeggiato con
una
torta alle carote, la preferita di sua sorella ma poi lei era morta
combattendo
da Auror fiera e determinata qual era e Angela era rimasta sola.
Rimase lì un tempo
indefinito, avvertendo appena la pioggia le scorreva addosso.
Quando tornò verso casa
materializzò, dal suono che facevano le sue scarpe, di
essere bagnata come un
pulcino.
Si tolse le scarpe e le
abbandonò nell’ingresso, appese il giubbetto
sull’attaccapanni e si diresse
verso la cucina. Aveva bisogno di una tazza di tè caldo. Da
bravo inglese doc
suo padre le aveva insegnato che non c’era niente che una
tazza della bevanda
ambrata non potesse sistemare. Ok, qualche rarissima volta per bevanda
ambrata
lui intendeva il cognac.
Venne accolta nella stanza
da un insistente picchiettare sulla finestra, avvicinandosi si accorse
che si
trattava della sua civetta Cherry.
Appena aprì la finestra l’animale
volò all’interno della stanza con fare stizzito
per poi posarsi in cima allo
schienale di una delle sedie che si trovavano attorno al tavolo.
Angela la guardò, vide le
penne arruffate dal cattivo tempo e provò ad allungare un
biscotto alla
civetta. In risposta Cherry la guardò quasi offesa ma
lasciò comunque andare la
lettera che teneva nel becco.
La ragazza fece un
incantesimo per asciugare la busta e si sedette a tavola per leggera
con calma.
Era una lettera di Lucas. Nonostante non si vedessero più si
scrivevano circa
una volta a settimana, raccontandosi solo la loro
quotidianità. Dalle lettere
non trasparivano i rispettivi sentimenti, non erano tipi da esternarli
troppo
ma Angela in realtà sentiva la sua mancanza. Le mancava i
battibecchi, persino
quelle piccole scaramucce che riempivano la sua quotidianità.
Certo
che la vita era strana, pensava May quella notte dopo che Freya le aveva
raccontato che quella
sera stessa Sebastian Lennox l’aveva invitata ad uscire, dopo
due settimane che
le girava intorno come un’ape.
Freya era stata un po’
titubante ma si era trovata lì nel bel mezzo del Crazy Head
e non poteva
rifiutare; il successivo lunedì sera, suo unico giorno
libero, sarebbe andata
quindi a vedere uno spettacolo a teatro nel West End.
Non conosceva benissimo
Sebastian ma se era il miglior amico di Johanna evidentemente era una
persona
di cui ci si poteva fidare. Chissà forse avrebbe fatto bene
a Freya, provare a
frequentare qualcuno di nuovo e di diverso.
Venne riscossa da un altro
Guaritore che la chiamava dal fondo del corridoio per
un’emergenza. Rimasero
fino all’alba a cercare di salvare la vita ad un uomo che
allevava Lobalug al
fine di ricavarne il famoso veleno. I suoi stessi animali
l’avevano attaccato e
il poverino aveva rischiato di morire dissanguato.
Quando uscì dalla sala tirò
un sospiro di sollievo. Vide una donna alzarsi da uno dei sedili che
erano
disposti lungo il corridoio.
“Come sta mio marito?”
chiese preoccupata mentre due i suoi due bambini erano rimasti seduti
con le
loro faccine affrante.
“È un combattente…è un
po’
debole ma sta bene” cercò di tranquillizzarla May.
La donna sorrise sollevata
e la ringraziò, poi tornò dai figli.
“Avete sentito? Papà sta bene…possiamo
entrare, vero signorina?” chiese poi rivolta a May, la quale
annuì.
La donna prese i due
bambini per mano e si avviò verso la stanza. Quando il
terzetto passò accanto a
May, la bambina alzò su di lei gli occhi scuri. Non disse
nulla ma per lei
quello sguardo voleva dire tutto. Erano occhi carichi di spavento ma
anche di
gratitudine.
Maysilee Higgins-Clark si
ritrovò a pensare al valore che aveva il suo lavoro. Non era
stata salvata solo
una vita ma anche quella di chi gli stava intorno.
Era un venerdì
pomeriggio
piuttosto ventoso nonostante fosse tornato a splendere il sole su
Londra.
William aveva lavorato tutta la settimana e non vedeva l’ora
di poter tornare a
casa a riposare ma era stato avvertito da un Auror di passaggio che
c’era
ancora un altro interrogatorio da fare e lui avrebbe dovuto presenziare
per
leggere la mente dell’uomo che era rinchiuso ad Azkaban e
sarebbe stato
trasferito nell’aula Dieci per l’occasione.
Non aveva chiesto di chi si
trattasse, non lo faceva mai, per evitare di farsi pregiudizi. Fu
proprio per
questo motivo che si trovò particolarmente spiazzato quando
entrando nell’aula
Dieci si trovò davanti uno degli uomini che avevano
torturato i suoi genitori
babbani.
Per un momento non seppe
cosa fare. Non riusciva a muoversi. Leggere nella mente di quel
bastardo era
una cosa che si sarebbe evitato più che volentieri ma sapeva
che era il suo
lavoro e non poteva tirarsi indietro, non avrebbe mai ammesso che non
era in
grado di reggere un’esperienza del genere.
I due Auror che stavano
conducendo l’interrogatorio si voltarono verso di lui che
invece se ne stava
ancora fermo sulla porta a fissare quel viso che non avrebbe mai
dimenticato.
Sia la donna che l’uomo
dietro la scrivania lo stavano scrutando ma mentre la prima sembrava
più
curiosa il secondo sembrava pensare che
diavolo ha questo tipo?
Poi la mora si alzò e gli
andò incontro. Solo quando si fu avvicinata abbastanza Will
riconobbe la stessa
donna che era intervenuta quella sera a casa sua.
“Puoi andare se vuoi” gli
disse in tono comprensivo.
William annuì e la
ringraziò mentalmente. Sicuramente anche lei lo aveva
riconosciuto e aveva
capito. Solo dopo essere uscito dalla stanza e essersi appoggiato al
muro
William si rese conto che per tutto il tempo aveva digrignato i denti,
come una
bestia inferocita.
Era ormai tardi quel
lunedì
sera, l’ultimo giorno di maggio, quando Edward
entrò al Crazy Head ormai vuoto.
“Che ci fai qui?” chiese
Johanna che stava iniziando a pulire per poter chiudere.
Edward sorrise come un
bambino, con le mani nascoste dietro la schiena.
“L’altro giorno abbiamo
parlato di dolci, ricordi? Beh mia sorella stasera aveva voglia di
Cioccoli
Giganti e così ha avuto la brillante idea di spedirmi da
Mielandia!” poi all’improvviso
lui si fece più timido e tirò fuori la scatola
che teneva nascosta dietro la
schiena.
“Ho pensato di portarti una
scatola di piume di zucchero” aggiunse con un sorrisetto
imbarazzato. In parte
Edward si stava pentendo di ciò che aveva appena fatto.
Aveva osato troppo?
Aveva fatto il passo più lungo della gamba?
Era stato in dubbio per
tutto il tempo, finché non si era deciso a comprare quei
dolci che gli
ricordavano tanto la ragazza del locale.
Johanna sembrò sorpresa,
piacevolmente sorpresa.
“Grazie” balbettò. Un
momento…da quando Johanna Johnson balbettava? Cosa le stava
succedendo, le si
era forse fritto il cervello?
Il ragazzo si sedette su
uno degli sgabelli dopo aver appoggiato la scatola sul bancone. I due
condivisero le piume, si mangiarono l’intera scatola
commentando i vari gusti.
Così Johanna aveva scoperto che lui detestava la liquirizia
e Edward aveva
scoperto che lei, nonostante fosse una dai gusti apparentemente forti
come lei,
amava le cose dolci e un po’ acidule, come le piume al
lampone.
Edward la stava prendendo
leggermente in giro perché aveva il viso sporco di zucchero
quando un gufetto
marrone entrò da una delle finestre ancora aperte.
L’animale aveva una piccola
pergamena legata alla zampa. Johanna la prese. Era chiusa con una
ceralacca
rossa sul quale erano impressi l’osso e la bacchetta
incrociati che
rappresentavano l’ospedale magico.
La ragazza aprì il
messaggio con mani tremanti, cosa che fece subito preoccupare Edward.
“Si tratta di mio zio”
disse semplicemente Johanna.
Buonasera gente!
So che avevo pubblicato un
avviso ma ieri ho superato l’esame e avevo troppa voglia di
riprendere in mano
il computer…sentivo proprio il bisogno di scrivere, mi
è mancato troppo in
questi giorni!
Vi prego non uccidetemi per
il finale e magari preparate i fazzoletti per il prossimo capitolo
ù.ù
Sempre vostra
H.
|
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Capitolo 10 *** Giugno ***
Sorpresa!
Dato che non ho niente da fare fino a mercoledì e dato che
ho una leggera
influenza mi sono messa a scrivere oggi, vi dico solo una
cosa…per favore, non
uccidetemi.
H.
Quando uscirono
dall’ospedale
Edward poggiò una mano sulla spalla di Johanna e scorse
piano fino ad
accarezzarle il braccio.
“Sei sicura che non vuoi
che avverta Sebastian, in qualche modo?”
La ragazza scosse
leggermente la testa. “No, è al suo primo
appuntamento con Freya, non voglio
rovinargli la serata.”
Edward annuì. “Ti
accompagno a casa allora.”
Durante tutto il tragitto
che percorsero a piedi nessuno dei due fiatò. Johanna
camminava accanto al
ragazzo alto e biondo che invece la guardava.
Edward si ritrovò a pensare
a quanto fosse forte Johanna. Quando, arrivati al San Mungo, le avevano
detto
che suo zio era morto per un infarto lei non era crollata e fiera come
solo le
donne sanno essere, era entrata nell’obitorio per dare un
ultimo saluto alla
persona che l’aveva cresciuta.
Lui aveva aspettato fuori,
come era giusto che fosse. Johanna era uscita una mezz’ora
dopo, non piangeva
ma si vedeva che i suoi occhi erano lucidi e leggermente arrossati.
“Era l’unica famiglia che
avevo” disse semplicemente. Johanna non seppe neanche dire se
la sua frase era
rivolta al ragazzo di fronte a lei o a sé stessa, con lo
scopo di rendere le
cose più reali.
Istintivamente Edward cercò
di abbracciarla ma Johanna fece un passo indietro. Non aveva mai amato
gli abbracci
e le pubbliche manifestazioni di affetto, non erano decisamente da lei.
L’unico
finora che l’aveva mai abbracciata era Sebastian ma con lui
era diverso, l’aveva
sempre considerato una specie di fratello.
Edward incassò il colpo
senza dire una parola. Non poteva negare di sentirsi leggermente ferito
per
essere stato respinto in quel modo ma si rendeva conto di che tipo di
persona
fosse Johanna. Non era certo la più affabile e dolce delle
ragazze ma ero
sicuro che sotto quella scorza da dura ci fosse molto di più.
Johanna aprì la porta dell’appartamento
con una certa titubanza. Per la prima volta, lì, in quel
piccolo ingresso,
sentì davvero quanto potevano essere vuote quattro mura.
Quella era stata casa di
suo zio e poi era diventata sua ma adesso si sentiva quasi
un’estranea mentre
con un gesto abituale si tolse le scarpe e si sedette sul divano.
Appoggiò i
gomiti sulle sue ginocchia e si passò le mani tra i capelli.
“Perché non ti stendi un po’?”
le chiese Edward “Hai bisogno di riposare.”
In effetti Johanna si
sentiva incredibilmente spossata, come se la sua felicità le
fosse stata
portata via da un Dissennatore.
Lentamente si diresse verso
la camera e si infilò ancora vestita sotto la coperta, con
la schiena
appoggiata alla testa del letto. “Ti porto qualcosa di
caldo?”
Johanna fece cenno di no
con la testa. “Non ho bisogno di una tazza di tè o
di cioccolata calda” disse con
voce mesta.
“Ok” rispose Edward ma si
recò ugualmente verso l’angolo cucina.
Tornò indietro con una tazza tra le mani
suscitando una certa perplessità negli occhi azzurri della
giovane.
“Ti avevo detto che non
avevo bisogno di…” ma non ebbe il tempo di
completare la frase perché il biondo
la interruppe.
“Non è tè”
Appena il ragazzo si sedette
sul ciglio del materasso e le passò la tazza Johanna stessa
riconobbe dall’odore
che si trattava di Odgen Stravecchio. Non sapeva dove
l’avesse trovata ma in
quel momento gli era molto grata.
“Adesso cerca di dormire” disse
con voce dolce e rassicurante. “Io vado a casa ma per
qualsiasi cosa mandami un
patronus o un gufo.”
Johanna posò una mano sopra
a quella che lui aveva appoggiato sul materasso. “Ti prego
resta”.
Quelle tre parole, quella
supplica valsero per Edward più di mille scuse. Era evidente
quanto Johanna
avesse cambiato idea su di lui. Lei che era stata a contatto con
parecchi
uomini a causa del suo lavoro aveva visto quanto potevano essere
brutali e
quello che potevano fare per approfittarsi di una giovane donna. Non
avrebbe
mai fatto una richiesta del genere se non si fosse fidata.
Edward si stese sul letto e
la abbracciò da dietro. Johanna non oppose resistenza, si
irrigidì appena ma
poco dopo si lasciò andare. Tenne Johanna stretta a lui per
tutta la notte,
senza chiudere mai occhio. La abbracciò ancora
più forte quando si accorse che
stava piangendo, anche se nel più assoluto silenzio. Si
rilassò solo quando
ormai fuori albeggiava e la ragazza aveva iniziato a respirare piano e
tranquillamente, segno che la stanchezza aveva prevaricato e lei si era
addormentata.
La mattina May aspettò
Freya seduta al tavolo della casa che avevano iniziato a condividere
solo
qualche settimana prima. L’unico modo per riuscire a pagare
un appartamento
decente in una zona residenziale come quella era condividerlo con uno o
più
coinquilini, per questo le due amiche avevano deciso di dividersi
l’affitto di
quel modesto ma accogliente trilocale non troppo lontano dal loro luogo
di
lavoro.
Quando era rientrata dal
lavoro, a mezzanotte passata, aveva visto dalla porta della camera
aperta che
la sua amica non era ancora tornata ma May non sapeva dire a che ora
fosse
rientrata Freya in quanto era crollata in un sonno profondo appena si
era
buttata a peso morto sul letto. Quella mattina aveva atteso la sua
migliore
amica al varco, non sarebbe di certo sfuggita al suo interrogatorio.
Freya entrò nella piccola
cucina ancora in pigiama, con i capelli spettinati e il viso
leggermente
impiastricciato dal trucco della sera prima, che non aveva tolto.
“Buongiorno splendore” la
salutò allegramente May che era sveglia e pimpante
già da un paio d’ore.
Freya grugnì in risposta
mentre si avvicinava al lavandino per prendere una tazza dallo
scolapiatti,
tazza che riempì di caffè prima di sedersi vicino
a May.
“Cosa vuoi sapere?” chiese
direttamente all’amica, sapeva che era inutile cominciare un
discorso più sul
vago quando comunque sarebbero andate a parare lì.
Maysilee sfoggiò un sorriso
da angioletto innocente. “Come è andato
l’appuntamento?”
La bionda si strinse nelle
spalle. “Siamo andati a vedere Cats, è stata una
serata piacevole…”
“…ma?”
“Perché credi ci sia un ma?”
May le sorrise. “Tesoro ti
conosco da 12 anni, so quando c’è un ma.
Continua.”
“Non ho intenzione di
rivederlo” sputò fuori Freya.
“Posso chiederti il perché?”
l’amica si bloccò prima di continuare
“Non sarà ancora per la questione
di…”
“Non è per la questione di…”
la interruppe l’altra.
“Oh andiamo non riesci
neanche a pronunciare il suo nome e vorresti farmi credere di averla
superata?”
“Io riesco a pronunciare il
nome di…Simon” pronunciò quel nome ma
ogni lettera le costò molta fatica e May
se ne accorse.
“Vedi? Non l’hai superata”
“Senti, Sebastian è carino,
simpatico e si è comportato da vero gentiluomo anche se il
fatto che per mezzo
spettacolo la sua attenzione sia stata rivolta a me mi ha inquietata un
po’”
Il discorso di Freya venne
interrotta da una risatina della sua coinquilina.
“Ho solo paura che accada
di nuovo qualcosa di simile a quello che è
successo.”
“Oh, andiamo, Simon era un
coglione!”
“Sì ma dopo che io l’ho
mandato all’ospedale! E se dovesse succedere di
nuovo?” Non ci voleva nemmeno
pensare. Non se lo sarebbe mai perdonato.
“Non puoi basare il tuo
futuro sui se, tesoro”
“Ho bisogno di più tempo”
disse Freya
“Mi sembra evidente.
Prenditi il tuo tempo, non ti dico mica di andarci a letto insieme
subito!
Prenditi il tuo tempo ma dagli una chance…cosa hai da
perdere?”
Erano passati alcuni giorni
dal funerale di Derek Johnson e Edward non riusciva ancora a
dimenticare come
Johanna era stata lì, statuaria, una specie di roccia che
lui aveva rimirato da
dietro, da lontano ma comunque vicino abbastanza da farle sentire la
sua
presenza, che lei aveva silenziosamente ringraziato con un sorriso
sincero.
Era ancora alla Gringott
quando comparve davanti a lui un gatto piuttosto grassottello e dal
pelo lungo
che parlò con la familiare voce di Victoria.
“Elaine all’ospedale. Ora.”
Non ci mise più di qualche
minuto Edward a prendersi un permesso dal lavoro e smaterializzarsi
davanti
alle porte del San Mungo.
Corse a perdifiato verso il
reparto maternità per raggiungere la sorella.
Seguì le indicazioni che gli
aveva fornito la strega all’accoglienza e in poco tempo si
ritrovò a bussare ad
una porta.
Aprì piano e vide Elaine
Burke stesa su un letto, madida di sudore e agitata come non mai.
“Finalmente è arrivato
anche il papà” disse la Curatrice nella stanza.
La donna sul lettino
rispose
“Veramente…è…solo…mio…fratello…”
ogni parola era intervallata da un
respiro sofferente e affannato.
“Solo tuo fratello? Ti
ringrazio dell’alta opinione che hai di me, Ely”
“STA ZITTO!” sbraitò sua
sorella in preda ai dolori.
Victoria ridacchiò, e prima
di lasciare la stanza mise una mano sulla spalla del suo migliore amico
e disse
“Sei pronto per diventare zio?”
Victoria passeggiò avanti e
indietro lungo il corridoio di linoleum bianco per circa
un’oretta prima di
sentire il vagito di un neonato provenire dalla stanza di Elaine Burke.
Sorrise in modo
involontario. Quanto era straordinaria una nascita, la prima volta che
un
pianto voleva dire che andava tutto bene.
Passò ancora un po’ prima
che dalla porta si affacciasse Edward. “Vieni?”
La ragazza non se lo fece
ripetere due volte ed entrò piano nella stanza. Rimase
affascinata nel vedere
quanto la situazione fosse cambiata in quel poco tempo.
L’espressione sul viso
della sua amica era stanca ma felice e tra le braccia stringeva un
fagottino
avvolto in una coperta rosa confetto.
“Vuoi tenerla?” le chiese
Elaine.
Victoria non se lo fece
ripetere due volte e in un gesto del tutto naturale prese in braccio la
bambina. Guardò rapita quei capelli e quegli occhi scuri che
contraccambiavano
il suo sguardo.
“Allora Vicky, ti piace la
tua figlioccia Kayla?”
Al sentire quella domanda
gli occhi di Victoria Crouch si riempirono di commozione e si
ritrovò ad
annuire mentre rideva e piangeva insieme.
Quando Angela andò a
casa
di William quella sera per il loro tradizionale film del sabato sera, o
meglio
dei sabati sera in cui lei non lavorava, lui si accorse subito che la
sua amica
non sembrava minimamente interessata a vedere la nuova trovata del
babbano
Steven Spielberg: E.T.
In realtà Angy moriva dalla
voglia di raccontargli una cosa ma si sforzava di trattenersi mentre
Will era
andato a preparare una ciotola di popcorn.
Il ragazzo tornò verso il
divano e si accomodò accanto a lei.
“Allora…cos’è che vuoi dirmi?
Sputa il
rospo perché non potrò sopportare di guardare il
film con te qui accanto che ti
muovi come se avessi i carboni ardenti sotto il sedere”
Angela lo guardò un po’
confusa prima di parlare. “Ok…sai chi ho visto
oggi entrare in ospedale?”
“Chi? Silente? Flamel?”
“Elaine Burke diretta a
grande velocità verso il reparto
maternità”
“E me lo dici perché…”
“Perché pensavo che ti
interessasse!” Angela completò la frase con una
punta di stizza nella voce.
William cercò di rimanere
impassibile “No, non mi interessa”
“No, non mi interessa” gli
rifece il verso l’amica.
Angela gli puntò contro il
suo famoso indice accusatore e
assottigliò lo sguardo per cercare di sembrare minacciosa.
“Non mi imbrogli,
caro il mio William Traynor. Puoi imbrogliare te stesso ma non puoi
imbrogliare
Angela Stuart”
Anche nei giorni successivi
Victoria si recò al San Mungo per fare visita ad Elaine e
Kayla. Passava lì
sempre dopo il lavoro e rimaneva totalmente ammaliata dalla sua
figlioccia. L’avrebbe
decisamente viziata da morire, come aveva fatto con Lucian quando era
piccolo.
Un giorno, su consiglio di
Zeek, ne approfittò per passare all’Accademia di
Medimagia che si trovava
proprio nei sotterranei dell’ospedale. Si fece dare qualche
info sul corso per
diventare Guaritrice che avrebbe dovuto iniziare a settembre.
Uscì di lì con la testa
piena di pensieri. Doveva assolutamente farsi i conti in tasca prima di
imbarcarsi in quella avventura e doveva anche prendere dal Ghirigoro
qualche
libro di Medimagia per cominciare a studiare.
Stava ringraziando
mentalmente il fatto di non aver ancora detto alla proprietaria che
aveva intenzione
di licenziarsi, altrimenti col cavolo che le avrebbe fatto lo sconto
dipendenti, quando dietro l’angolo delle scale
andò ad impattare contro
qualcosa o meglio contro qualcuno.
“Mi scusi” balbettò
imbarazzata prima di alzare lo sguardo sulla persona che aveva davanti.
Si
trattava di un uomo piuttosto alto, con dei luminosi occhi verdi e dei
riccioli
biondi che Victoria si ritrovò, stupidamente, a paragonare a
quelli degli angeli
che si vedono nei quadri. Il suo viso però, era un viso da
uomo, leggermente allungato
e coperto da un velo quasi invisibile di barba chiara.
“Non fa niente” sorrise l’uomo
di fronte a lei ma Victoria si sentì ugualmente imbarazzata
e abbassò lo
sguardo notando il bicchiere di plastica che c’era a terra.
Alzò di nuovo lo
sguardo e vide che la camicia azzurra di lui era bagnata e penso subito
al
peggio.
“Oddio…mi dispiace tanto…si
è scottato?”
L’uomo ridacchiò in
risposta. “Era solo acqua, non ti preoccupare”
In un gesto automatico e
spontaneo si era ritrovata a passare una mano sulla macchia come aveva
fatto
spesso con il suo David e appena se ne accorse arrossì in
modo violento.
“Sono desolata…c’è qualcosa
che posso fare per rimediare?”
“Beh…il minimo che tu possa
fare a questo punto è presentarti” sorrise.
“Victoria” disse lei
tendendogli la mano destra che venne accolta in una più
grande e ruvida.
“Bene Victoria…io sono
ancora assetato…quindi, se non le dispiace, mi
accompagnerebbe alla
caffetteria?”
La ragazza sorrise
istintivamente, si voltarono e iniziarono a risalire le scale quando
lui disse.
“Io sono Francis, comunque”
|
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Capitolo 11 *** Luglio ***
Erano passate tre settimane
dalla nascita di Kayla Burke. Fortunatamente, dato che suo padre era ad
Azkaban, erano riusciti ad evitare di mettere alla piccola il cognome
Saintclare e di farla riconoscere da Magnus come sua figlia. Non che il
cognome
Burke fosse un cognome facile da portare, Elaine sapeva bene a cosa
sarebbe
andata incontro quando sarebbe cresciuta ma, almeno per ora, era al
sicuro.
Stava seduta sul letto,
guardando sua figlia che stringeva un suo dito nella manina quando
sentì un
bussare alla porta.
“Entra” disse a suo
fratello.
Edward entrò nella stanza e
sorrise istintivamente guardando l’immagine che aveva davanti.
“Allora…è domenica, il sole
splende e io ho una sorpresa per te.”
“Una sorpresa? Di cosa si
tratta?” chiese Elaine incuriosita.
“Se te lo dico che sorpresa
è? Seguimi di sotto”
La giovane obbedì, lasciò
la bambina nella sua culla e seguì Edward lungo le scale.
Sul pianerottolo
all’entrata della grande casa trovò una carrozzina
blu, con delle grandi ruote.
“Hai passato l’ultimo periodo
rinchiusa dentro quattro mura, ma non sei tu a dover restare in una
prigione.
Non lo meriti, e non lo merita nemmeno Kayla, quindi oggi
usciamo.”
“Ma Kayla è ancora piccola
e…”
“Non voglio sentire nessun
ma… Kayla è una bambina forte e in salute,
può cominciare tranquillamente ad
uscire. E per quanto riguarda te…” e prese le mani
della sorella tra le sue
“…non permettere che quello che pensa la gente ti
tocchi. Tu non hai mai fatto
niente di male, è ora che la smetti di prenderti colpe che
non hai.”
Fu così che, non senza
qualche reticenza, la convinse ad andare a fare una passeggiata.
Inaspettatamente Elaine non si ritrovò addosso tante
occhiate maligne quante se
ne aspettava e trovò in qualche modo piacevole sentire di
nuovo il calore del
sole sul viso e il chiacchiericcio della gente per le strade.
Si fermò davanti alla
vetrina di un negozio di vestiti e Edward ridacchiò
“Ti lascio alle tue cose da
donna ma c’è una persona che voglio presentarti.
Torno subito.”
Edward si diresse verso un
locale situato qualche decina di metri più in
giù, mentre lei rimirava un
vestito di un delicato azzurro abbinato a quello del manichino accanto:
un
completo di mago blu scuro, con cuciture azzurre in risalto.
Non passò più di un minuto
quando vide uscire dal negozio un ragazzo, un ragazzo familiare.
Quando William uscì dal
negozio stentò a credere ai suoi occhi. Quante
probabilità c’erano che uscisse
nell’esatto momento in cui Elaine Saintclare si trovava
lì?
Non poteva sfuggire a
quegli occhi chiari. “Hey” la salutò.
“William” contraccambiò
lei, con un tono di voce particolarmente duro.
Il ragazzo si affacciò per
sbirciare dentro la carrozzina. “È
adorabile…complimenti” disse leggermente a
disagio.
Elaine odiava le situazioni
di stallo come quella, era inutile stare lì a fare
convenevoli quando invece
c’era una questione di cui discutere.
“Sei sparito” affermò la
ragazza.
“Lo so”
“Per mesi” specificò Ely
“Sei venuto a casa mia, abbiamo chiacchierato, era tutto
tranquillo e poi mi
hai baciato! Mi hai baciata e te ne sei andato! Ti pare normale? Hai
mai anche
solo lontanamente pensato di farti vivo in questi mesi?”
Le parole uscirono fuori
dalla bocca di lei come un fiume in piena e William si sentì
una specie di
verme. Non aveva avuto intenzione di ferirla ma lui aveva agito
impulsivamente
e la situazione era tutt’altro che semplice.
“Non è così semplice…tu hai
una figlia e un marito!”
William accentuò
particolarmente l’ultima parola. Per quanto non potesse
negare a se stesso che
provava qualcosa per quella ragazza non era pronto neanche ad
affrontare quello
che avrebbe implicato un’eventuale liason con una donna
sposata, e con un
mangiamorte per giunta.
Elaine si ritrovò incapace
di negare la verità. Aveva ancora un marito, quella cosa
l’avrebbe perseguitata
fino alla fine dei suoi giorni, o dei giorni di Magnus.
Non riuscì neanche a dire
niente quando William la superò per andarsene.
Nel frattempo Edward era
entrato al Crazy Head. Il locale era praticamente deserto quella
domenica
mattina, eccetto per quello che sapeva essere un cliente abituale, che
passava
il suo tempo rintanato in un angolo a bere per dimenticare
chissà quale dramma.
Johanna lo individuò
subito, spostando gli occhi chiari verso la porta.
“Chi non muore si rivede”
ironizzò mentre con la bacchetta spostava dei bicchieri su
un ripiano.
“Hai ragione, me lo merito
ma sai che non amo l’umorismo macabro.”
Il ragazzo si era
avvicinato mentre lei era passata oltre il bancone per andare ad
appoggiare
saliere e pepiere sui tavoli.
Quando tornò verso Edward,
con il vassoio tra le braccia, disse “Prima sei venuto qui un
giorno sì e
l’altro pure, poi è successo quello che
è successo e ultimamente vieni qui
raramente e io non vorrei averti spaventato e…”
Il flusso di parole, detto
da Johanna ad una velocità impressionante per qualsiasi
essere umano, venne
interrotto dalle labbra di Edward che si posarono sulle sue, mentre
teneva una
mano dietro la testa di lei, immersa in quella massa di capelli scuri.
Johanna rimase interdetta.
In una frazione di secondo tutto intorno a lei esplose, come
un’ondata di
calore che la avvolse. Lasciò andare il vassoio ma non lo
sentì tintinnare
contro il pavimento, troppo presa com’era ad iniziare a
rispondere a
quell’inaspettato, ma forse neanche tanto, bacio.
Quando si staccarono, si ritrovarono
entrambi a ridere come due adolescenti e in un attimo fu lei a baciarlo
di
nuovo, sorridendo contro quelle labbra ruvide. Pelle contro pelle.
Sorriso
contro sorriso.
“Comunque ero venuto perché
voglio presentarti due persone molto importanti…”
“Sei riuscito a far uscire
tua sorella alla fine?” chiese dandogli un amichevole pugno
sulla spalla. Fine
del romanticismo. “E bravo Burke! Falle entrare!”
Il ragazzo sorrise ed uscì
di nuovo in strada, ma quando individuò Elaine si accorse
subito che sembrava
leggermente sconvolta.
“Portami a casa” lo pregò
lei.
“Ma come…cosa…”
“Per favore…”.
Non le capitava
praticamente mai di andare da suo fratello, al Quartier Generale degli
Auror;
non che non le facesse piacere vederlo ma preferiva incontrare Zeek
nella
tranquillità dell’ambiente domestico. Quel giorno
però suo padre le aveva
chiesto di portare al fratello una cartella che quello sbadato aveva
lasciato a
casa del genitore quando erano stati tutti lì a cena, la
sera precedente.
Non si era potuta rifiutare,
non l’avrebbe fatto in ogni caso e così aveva
perso metà della sua mattinata
libera per passare prima da casa del padre e poi dal Ministero della
Magia.
Salutò Zeek e i suoi
colleghi dai volti ormai familiari e quando si chiuse la porta
dell’ufficio della
squadra 327 alle spalle gettò un occhio
sull’orologio che aveva al polso.
Perfetto, era mezzogiorno ormai, alle tre doveva andare a lavorare e
non aveva
ancora combinato niente. E cominciava anche ad avere fame!
Si avviò verso l’ascensore
con l’intenzione di tornare. Camminava tranquillamente lungo
il corridoio
quando la sua attenzione venne catturata da una porta che si apriva ad
una
decina di metri da lei.
Insieme ad altre due
persone stava uscendo da quella stanza un uomo dai riccioli biondi e
l’espressione
leggermente corrucciata.
Francis.
Victoria non si accorse di
aver pronunciato il nome ad alta voce finché il diretto
interessato non si
voltò verso di lei e le sorrise.
E all’improvviso la ragazza
si sentì in imbarazzo. Lo vide dire qualcosa ai colleghi e
poi avvicinarsi a
lei, e più si avvicinava e più lei avvampava.
“Victoria” la salutò con un
caldo sorriso “Niente acqua oggi”
ridacchiò mostrandole le mani libere.
La mora si ritrovò a
ridacchiare a sua volta e si sentì di nuovo stupida per
l’incidente di un paio
di settimane prima.
“Non sono sempre così
maldestra…”
“Ma io non posso saperlo”
obiettò lui.
“Hai ragione, non puoi
saperlo”
Ci fu un attimo di
silenzio, anche Francis sembrava imbarazzato. Per un attimo Victoria fu
tentata
di salutare e andarsene, cosa cavolo ci faceva in piedi lì,
con il cuore che le
batteva in maniera incontrollata?
“Ehm…allora…qual buon vento
ti porta qui?”
“Oh…io sono venuta solo a
portare una cosa a mio fratello. Lui, ehm, lavora qui”
balbettò Victoria.
Se qualcuno avesse visto la
scena dall’esterno avrebbe notato come i due sembrassero
più adolescenti
imbarazzati che adulti. I luminosi occhi verdi di lui la mettevano un
po’ a
disagio, non perché fossero intimidatori ma era come vederci
l’anima dentro.
Improvvisamente lo stomaco
di Victoria brontolò. Che figura! Sperava che lui non
l’avesse sentito ma il
sorrisetto che si allargava sulla bocca dell’uomo le fece
capire che si
sbagliava.
“A quanto pare non sono
l’unico ad avere fame” constatò Francis
“Io stavo comunque andando a pranzo
sai, nel caso volessi unirti…”
Per un attimo il cervello
della ragazza andò in tilt. Se fosse stata impulsiva avrebbe
risposto
immediatamente di sì ma c’era una parte del suo
cervello, insieme ad una parte
del suo cuore che le diceva: un pranzo? Con una persona che non
conosci? Con un
uomo?
“Io…forse dovrei andare a
casa” si ritrovò a rispondere abbassando
leggermente gli occhi chiari, gesto
che le impedì di notare il lampo di delusione che attraverso
lo sguardo della
persona in piedi di fronte a lei.
“Peccato…ti perdi i
migliori hot-dog di Londra…” la
stuzzicò.
“I migliori?” chiese Vic
alzando un sopracciglio.
“Ti sfido a trovarne di
migliori”
La ragazza tentennò prima
di piegare le labbra in un sorriso e replicare “E
sia…”
Francis la condusse fino
all’esterno del Ministero della Magia, e poi le chiese di
prenderlo
sottobraccio per smaterializzarsi. Victoria acconsentì,
anche se un po’
incerta. Era convinta che sarebbero andati in qualche parte
lì vicino invece
ricomparirono in un vicolo di Londra.
“Vieni” Francis la invitò a
seguirlo e la ragazza obbedì. Gli bastò svoltare
un paio di volte e Victoria
rimase impressionata nel ritrovarsi a lato di Buckingham Palace.
Camminarono
fino ad entrare in St. James’s Park.
“Posso sapere dove stiamo
andando?” chiese Victoria curiosa.
“Mi aspetteresti lì?” e
Francis indicò una panchina di fronte al laghetto.
Davanti all’occhiata che la
ragazza gli rivolse, l’uomo ridacchiò
“Non ti preoccupare, torno subito”.
E così Victoria si andò a
mettere seduta e iniziò a guardarsi intorno in quel
soleggiato lunedì. Vedeva
babbani camminare, leggere e chiacchierare su quei verdi prati, tra le
piante
che facevano ombra e gli scoiattoli che gironzolavano alla ricerca di
cibo.
“Eri mai stata qui?” le
chiese la calda voce maschile alle sue spalle. Francis le
passò un hot dog
prima di sedersi lì accanto.
“No… non sono mai stata una
grande frequentatrice della Londra babbana…sai, la mia
è una famiglia di
purosangue…”
In risposta allo sguardo
curioso di lui continuò “Siamo Crouch…i
miei non sono mai stati molto chiusi,
ma neanche così liberali…”
L’uomo sorrise. “I miei
genitori sono babbani. Io ci sono praticamente cresciuto qui e adoro
questo
posto. Adoro i parchi di Londra, secondo me sono un piccolo pezzetto di
paradiso in mezzo al caos della città.”
“I tuoi sono babbani?”
domandò Victoria, dopo aver mandato giù un
boccone. Sicuramente i due avevano
avuto una vita diversa ma Francis Collins non sembrava cresciuto
affatto male.
“Già, mia madre lavorava in
una profumeria, prima di andare in pensione mentre mio padre
è un poliziotto,
l’equivalente babbano di un Auror, più o
meno”
“Quindi è lui che ti
ha…ispirato?” Victoria cercò bene
l’ultima parola, non voleva sembrare
un’impicciona ma quel tipo la incuriosiva.
“Credo che il senso di
giustizia circola nel nostro DNA. Anche i miei nipoti avevano scelto
questa
strada.”
“Oh, hai dei nipoti?”
Nipoti? Beh di certo non poteva essere nonno, anche se si vedeva che
era
parecchio più grande di lei, quindi dovevano trattarsi per
forza di figli di un
qualche fratello o sorella.
Come se avesse letto nella
sua mente, Francis specificò “Ho due sorelle, o
meglio avevo due sorelle
maggiori: Susan e Mary” poi la sua voce si
abbassò, così come il suo sguardo,
mentre si torturava le mani “Mary è stata uccisa
lo scorso Agosto, insieme a
tutta la sua famiglia e alla famiglia del marito. Otto persone
massacrate come
bestie.” L’ultima frase la disse con una nota di
disgusto.
Victoria aprì un piccolo
cassetto della sua memoria. Ovviamente si ricordava del giorno in cui,
quasi un
anno prima, era stata distrutta la famiglia McKinnon. Era una delle
famiglie
magiche più antiche e potenti, anche se non purosangue.
“E Susan?” chiese lei,
cercando di portare la conversazione su qualcosa di più
leggero.
“Lei lavora al San Mungo,
per questo ero lì l’altra volta. Insegna
all’Accademia di Medimagia.”
“Davvero? Io inizierò a
frequentarla a Settembre!” trillò Victoria senza
pensarci. Solo dopo
materializzò che poteva essere sembrata una ragazzina
eccitata.
“Vuoi diventare
Guaritrice?” domandò lui ancora divertito dal
comportamento della mora lì
accanto.
Lei annuì, ancora un po’
imbarazzata di aver scelto di rimettersi a studiare a quel punto della
sua vita
ma la reazione di Francis la stupì.
“La trovo una cosa molto
bella, dopotutto i nostri corpi sono fatti per guarire…anche
se molti sono
pronti a sacrificarsi, ma io sono dell’opinione che si
dovrebbe sempre avere
qualcosa per cui vale la pena morire.”
Victoria rimase senza
parole. Quello che Francis aveva detto e la sincera ammirazione che
aveva
dimostrato l’avevano lasciata interdetta.
“Ops… credo che la mia
pausa pranzo sia finita” constatò l’uomo
qualche attimo dopo aver osservato il
suo orologio.
Appena lo vide alzarsi e
scrollarsi via le briciole dai pantaloni anche Victoria fece
altrettanto ma lui
la fermò appoggiando dolcemente una mano sul braccio di lei.
“No, tu resta pure se vuoi.
È una così bella giornata che sarebbe un peccato
non passarla all’aperto.”
Francis le sorrise in quel
modo sincero e rassicurante che aveva visto tante volta. E per un
attimo in
quel sorriso rivide David. Dovette sbattere le palpebre più
volte per rendersi
conto della realtà. Che cosa le stava succedendo? Quello
davanti a lei non era
David! David era morto! L’uomo che amava era morto e lei
pensava di poterlo
sostituire con il primo che le capitava a tiro?
“Se è un problema per
tornare a casa da sola ti riaccompagno”.
I pensieri di lei vennero
interrotti dalla calda voce di Francis, preoccupato per
l’improvviso silenzio
della giovane.
La risposta gli arrivò con
un cenno distratto del capo.
“Torna pure al ministero. Io
resto ancora un po’, prima di andare al lavoro”.
“Ok…” fece lui non
propriamente convinto.
Francis fece evanescere le
cartacce del pranzo poi si infilò le mani nelle tasche dei
pantaloni color
tortora e salutò la ragazza.
“Allora io vado… buona
giornata Victoria.”
“Ciao Francis e grazie per
il pranzo. Avevi ragione, era veramente buono.”
Victoria sorrise e lui le
sorrise di rimando, prima di voltarsi. Fece qualche passo lungo il
sentiero e
poi si girò di scatto verso la giovane.
“Victoria” la chiamò e lei
alzò lo sguardo, invitandolo silenziosamente a continuare.
“Sabato sera. Alle otto.
Qui. Ti va?” domandò leggermente in imbarazzo.
La ragazza iniziò a
mordersi il labbro e torturarsi le mani.
“Ecco…io…veramente, non
saprei”.
Francis sfoggiò di nuovo il
suo rassicurante sorriso. “Non è un appuntamento.
Considerala, diciamo, una
scoperta” e le fece l’occhiolino.
L’espressione di Victoria
trasudava curiosità. Non riuscì a dare
all’uomo una risposta negativa.
Angela aveva avuto orari
completamente sballati all’ospedale ultimamente. Ormai
cominciava a pensare che
davvero il caldo estivo avesse dato alla testa a molta gente. Era un
continuo
correre di qua e di là. E in più, essendo quasi
metà luglio, qualcuno era
cominciato ad andare in ferie. Amava il suo lavoro ma non ce la faceva
proprio
più. Quella mattina era addirittura arrivata a pregare May
di scagliarle contro
una maledizione, qualcosa che le impedisse di andare a lavoro per
qualche
giorno.
Quando quella sera, dopo
che aveva fatto un turno di 13 massacranti ore, William si
presentò a casa sua
avrebbe voluto quasi strozzarlo ma cambiò idea quando le
disse “Devo parlarti”.
“Coraggio, entra” lo
invitò.
I due andarono in camera di
Angela e si sdraiarono sul tappeto che stava davanti al letto, in
memoria dei
tempi della scuola. Ad Hogwarts si sdraiavano sempre sul prato, quando
era
tempo di discorsi seri.
“Sputa il rospo”
E così le raccontò di
quando era stato da Elaine e del bacio dato senza pensarci e
dell’incontro che
aveva fatto la settimana prima.
“E vorresti insinuare
ancora che non provi niente per lei…neghi anche
l’evidenza, complimenti
Traynor!”
“Angy…”
La ragazza si tirò su e si
mise a sedere a gambe incrociate, continuando a guardare
l’amico negli occhi.
“Ascolta Will, tutto quel
rifiutare le ragazze che fai, anche a lavoro lo so che è
perché ti senti solo
più di quanto tu voglia ammettere. So che amavi Norah ma se
n’è andata, è
scappata in America con quel giocatore di Quidditch. So che fa schifo
ma questa
è la realtà.”
“Sono oltre la cosa”
affermò Will mettendosi le mani dietro la testa e chiudendo
gli occhi.
Angela gli rivolse un
sorriso intenerito. “Ma non hai superato lei vero?”
Al sospiro dell’amico capì
di aver fatto centro. “Hai detto che hai smesso di scriverle
lettere pregandola
di tornare ma non sei andato avanti, hai messo la tua vita in pausa
nella
speranza che lei torni ma probabilmente non lo farà, non
tornerà mai.”
“Lo so” sospirò di nuovo
Will “ma non rende di certo le cose più
facili.”
Restarono un po’ in
silenzio poi William prese un bel respiro e si alzò.
“Ti lascio riposare.”
“Guarda che puoi restare se
vuoi”
“No, meglio che torno a
casa” poi Will tirò fuori il suo solito smagliante
sorriso, quello che
incantava metà del suo ufficio e aggiunse “Quanto
le devo per la seduta di
psicanalisi, dottoressa Angela Freud?”
L’amica stette al gioco e
mise su una faccia concentrata e pensierosa. “Vediamo, siamo
ben oltre il mio
orario di ufficio quindi…”
Non riuscì a finire la
frase perché il ragazzo iniziò a farle il
solletico chiedendole se le bastava
come paga. Risero un po’ ed infine William si decise a
tornarsene a casa.
Salutandola le diede un
leggero bacio sulla fronte “Grazie sorellina” disse.
“Non chiamarmi sorellina,
si dà il caso che ho qualche mese in più di
te” protestò Angy.
“D’accordo…” fece mentre
usciva “…vecchietta” aggiunse ridendo.
Era una settimana davvero
calda. Tutta Londra in pratica boccheggiava a causa dell’afa.
Freya aveva
spalancato tutte le finestre dell’appartamento nella vana
speranza che
circolasse un po’ di aria. Quel pomeriggio sarebbe uscita di
nuovo con
Sebastian, il quale aveva preso un permesso dal lavoro per poter
trascorrere
insieme l’unico giorno libero di lei. Aveva deciso di
concedere un’altra
occasione a quel ragazzo e a se stessa.
Il ragazzo non le aveva
detto dove sarebbero andati, le aveva semplicemente suggerito di
mettersi un
costume da bagno.
Alle tre in punto Sebastian
bussò a casa sua.
“Pronta ad andare?” le
chiese appena aprì.
“Ad andare dove?” chiese
Freya curiosa.
Il ragazzo le offrì il
proprio braccio e lei infilò un braccio sotto a quello di
lui, mentre con l’altra
mano teneva la sua borsa.
Un momento dopo si
ritrovarono in una spiaggetta ai piedi di una bianca scogliera, con un
delicato
vento che faceva rumore soffiando tra le canne. Il vento era
l’unica cosa che,
insieme alle onde, faceva rumore in quella calda giornata estiva.
“Ti piace?”
“E’ molto…tranquillo.”
Sebastian annuì, con un
colpo di bacchetta trasfigurò due sassi in una grande telo
da mettere sulla
sabbia. Si sedette e iniziò a spogliarsi in tutta
tranquillità, come se non ci
fosse nessuno a guardarlo. E invece c’era qualcuno a
guardarlo, due occhi scuri
lo guardavano attentamente.
“Coraggio, spogliati” le
disse
“Lo dici ad ogni ragazza?”
iniziò a ridacchiare Freya.
La ragazza si tolse
velocemente i pantaloncini e la canottiera che indossava. Sperava di
non essere
diventata rossa in seguito alle occhiate voraci che Sebastian le stava
riservando.
Quando alzò di nuovo lo
sguardo lui la stava guardando, ma si era spostato sulla battigia, con
i piedi
immersi nell’acqua. Freya lo raggiunse, ma appena i suoi
piedi toccarono l’acqua
rabbrividì.
“È gelida!”
“Che ti aspettavi? Non
siamo mica ai Caraibi!”
Sebastian si tuffò
tranquillamente, ma era talmente vicino alla ragazza da schizzarla.
Freya cercò
di scansarsi e solo lentamente lui riuscì a portarla dove
l’acqua era più alta,
per farle fare il bagno.
Dopo una mezz’ora erano
distesi sul telo, erano entrambi girati su un fianco e si guardavano.
Mentre
chiacchieravano Sebastian le accarezzò una mano e piano
piano si avvicinò per
baciarla.
Freya si scansò in modo
impercettibile, cosa che bastò al ragazzo per desistere.
“Scusa, forse non dovevo…”
“No, scusami tu…” disse
mesta la ragazza. “Io…non so se sono ancora
pronta”
Il ragazzo le accarezzò il
viso con una mano. “Aspetterò ok? Ti
aspetterò fino a che ce ne sarà
bisogno.”
Ormai Luglio si stava
avvicinando alla fine. Era stato un periodo particolarmente intenso dal
punto
di vista lavorativo ma fortunatamente costellato da vite salvate
più che da
morti. E finalmente cominciava di nuovo a provare un certo senso di
soddisfazione
nel salvare quelle vite.
Quella era stata la prima
giornata trascorsa in modo tranquillo. Era una cosa alquanto sospetta.
C’era da
preoccuparsi di più quando tutto era tranquillo, rispetto a
quando era
incasinato. I guai sono sempre dietro l’angolo.
Il suo guaio personale l’attese
quella sera sul pianerottolo di casa sua. Una figura femminile se ne
stava
seduta per terra, con le ginocchia rannicchiate al petto.
Alzò la testa
spaventata quando sentì il rumore di passi lungo le scale.
“Naomi!” la chiamò May
appena la vide.
Si avvicinò di corsa e le
si inginocchiò davanti. “Naomi, che è
successo?”
Sua sorella la abbracciò e
iniziò a singhiozzare rumorosamente. May accarezzava i
capelli della sua
sorellina, erano biondi e scompigliati come i suoi.
Quando la ragazza si calmò
May la fece sciolse l’abbraccio e le aprì la porta
di casa. Naomi Higgins-Clark
si sedette sul divano. Pochi attimi dopo May uscì dalla
cucina con un barattolo
di gelato e due cucchiaini, offrì un cucchiaino alla sorella
e si accomodò
accanto a lei.
“Allora vuoi dirmi che è
successo?”
Naomi prese un bel respiro
e sputò fuori la verità. “Sono
incinta” e ricominciò a piangere.
“Tesoro….l’hai detto ad
Andrew? Perché è di Andrew, vero?”
chiese May riferendosi al ragazzo che la
sorella frequentava da quasi sei mesi.
Naomi iniziò a scuotere la
testa “Andrew non vuole saperne niente”.
Che
stronzo,
pensò Maysilee.
“May che devo fare? Ho 18
anni, mi sono appena diplomata, volevo fare un sacco di
cose…” pianse prima di
infilarsi un cucchiaino di gelato in bocca.
Anche l’altra aveva un
cucchiaino in bocca, ma ormai aveva mandato giù il gelato e
teneva il
cucchiaino fermo solo con la bocca, con l’impugnatura che le
toccava il naso.
“Devi dirlo a mamma e papà…”
rifletté.
“Come faccio a dirglielo? Oddio,
sarò la loro delusione. Sono una delusione!” si
disperò.
May la guardò torva
togliendosi il cucchiaino dalla bocca e puntandolo addosso alla
sorella. “Tu
non sei una delusione, chiaro?”
Naomi si sforzò di
sorridere, anche se poco convinta. “E se mi cacciano di
casa?”
“Stai qui” rispose l’altra
come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Passarono il resto della
serata così e fu esattamente così che le
trovò Freya quando rientrò a notte
fonda. Appena notò il barattolo di gelato capì
che c’era qualcosa che non
andava.
“Chi dobbiamo odiare
stavolta?” chiese avvicinandosi al divano.
“Uno stronzo” replicarono
in coro le due sorelle.
“Ah, Naomi si fermerà con
noi per qualche giorno” aggiunse May.
Freya fregò il cucchiaino
dalla mano dell’amica e arraffò un po’
di gelato. “Benvenuta a casa allora”
sorrise alla più giovane prima di accomodarsi anche lei sul
divano.
Edward era steso sul suo
letto ad occhi sbarrati, nonostante fosse piena notte. Erano parecchie
le volte
che si svegliava nel cuore della notte ultimamente e si arrovellava
pensando a
quello che era successo all’udienza. I Magiavvocati di Magnus
Saintclare, suo
cognato, avevano intenzione di dichiarare che il loro assistito aveva
agito
sotto maledizione Imperius. Se il Wizengamot avesse preso quelle parole
per
vere avrebbero potuto anche decidere di liberarlo e a quel punto
sarebbe
tornato a devastare la sua famiglia. Doveva assolutamente fare qualcosa.
Buonasera!
Non ho molti commenti da
fare tranne che, purtroppo per voi, ho toccato nuove vette di lunghezza
per
quanto riguarda i capitoli!
Spero che vi sia piaciuto
Alla prossima
H.
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Capitolo 12 *** Agosto ***
Ci aveva pensato
seriamente, Edward. Sapeva che Kayla era al sicuro da Magnus. Lei era
una
Burke, essendo in prigione Magnus non aveva potuto riconoscerla e
quindi per il
momento non poteva vantare nessun diritto su di lei ma Magnus e i suoi
compari
avevano già distrutto la vita di Elaine e torturato Johanna.
Non poteva
permettere che succedesse di nuovo. Doveva impedire che Magnus
Saintclare
uscisse da Azkaban.
Passò una settimana
infernale, dormì appena qualche ora a notte e solo quando la
stanchezza aveva
il sopravvento su di lui. L’unica cosa positiva era il fatto
di essere riuscito
a far incontrare Johanna ed Elaine. Aveva presentato Johanna come la
sua
ragazza e si potevano contare sulle dita di una mano le volte che aveva
presentato qualcuna a sua sorella e non poté che essere
felice che le due, le
quali avevano caratteri molto diversi, andassero d’accordo.
La cosa non fece
altro che aumentare il suo desiderio di proteggere le sue donne.
Si ritrovò a pensare che
c’era un solo modo per assicurarsi la sicurezza: uccidere
Magnus. Aveva poco
tempo, doveva agire prima dell’udienza che si sarebbe svolta
alla fine del
mese.
Passava quasi tutto il
tempo a pensare come fare tanto che una sera, dopo il lavoro, mentre
era al
Crazy Head, Johanna gli chiese leggermente spazientita “Si
può sapere cos’hai?
Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto, prova a
negarlo!” lo
sfidò.
Edward sbuffò e mandò giù
qualche altro sorso di vino elfico prima di rispondere “Sono
solo distratto,
sarà la stanchezza…”
“Capisco la stanchezza
visto che ormai sono le due di notte ma sei sempre distratto
ultimamente.”
“Sono già le due? Davvero?”
Johanna appoggiò con forza
una mano sul bancone e poi fissò il ragazzo negli occhi.
“Non provare a evitare
il discorso!”
Edward fece leva sulle
braccia per alzarsi un po’ e poi sporgersi a baciare la mora.
L’espressione di
Johanna, che prima era un po’ contrariata, diventò
più rilassata e divertita.
“Smettila di corrompermi
con i baci” sentenziò.
“Ma funzionano.”
“No…voglio ancora sapere
che ti succede.”
Il ragazzo si guardò
intorno per vedere chi c’era ancora nel locale. Come al
solito era rimasto il
cliente abituale che si sedeva all’angolo.
“Ne possiamo parlare da
soli?”
“Sturgis devo chiudere!”
urlò Johanna all’uomo che dopo un po’ si
alzò e mestamente si avvicinò al
bancone per pagare.
“Lascia fare, offre la
casa” gli disse la ragazza.
“Grazie Jo. Buonanotte”
augurò lui e fece un cenno di saluto abbassando il cappello.
Quando anche l’ultimo
cliente se ne fu andato Johanna chiuse a chiave la porta del locale e
si
sedette sullo sgabello accanto a Edward-
“Allora…spara.”
“Ho intenzione di uccidere
Magnus” disse convinto, tutto in una volta e velocemente. La
ragazza stentò un
attimo a credere a quello che aveva sentito.
“C-cosa?”
“Ho intenzione di uccidere
Magnus” ripeté.
Johanna boccheggiò un
attimo. “Tu vuoi uccidere un uomo!” lo
accusò.
Edward non si aspettava
quella reazione. Sapeva che la sua fidanzata aveva sofferto per quello
che le
era capitato e che anche lei odiava Magnus e la sua combriccola, quindi
aveva
quasi dato per scontato il suo appoggio, per quanto folle e malsana
l’idea
fosse.
“Definirlo uomo è fargli un
complimento.”
“Ok, è un mostro ma non
voglio che tu diventi come lui!” Il tono di voce di Jo
tradiva una certa
delusione e altrettanto faceva il suo sguardo e fu questo a colpire
Edward.
Era una serata terribilmente
afosa, soprattutto considerato che si trovavano nella campagna inglese,
quella
che solitamente era contraddistinta dalla nebbia.
Lucian stava trascorrendo
un paio di settimane a casa di amici, Ezekiel era in missione quindi
Victoria
si era autoinvitata per farle compagnia e passare con Krystal una
serata tra
donne.
L’aveva fatto più che altro
perché aveva bisogno di raccontare a qualcuno di Francis e
il suo migliore
amico aveva i suoi problemi a cui pensare, problemi di cui non voleva
parlare.
Raccontò a Krys dello
scontro e del successivo incontro al parco. E poi del primo
appuntamento
ufficiale.
Si
erano incontrati di nuovo a Saint James’s Park e Francis
aveva insistito
per farle vivere quella che lui aveva giudicato come
un’emozione unica. Era
stato stranissimo per Victoria prendere la metropolitana. I due erano
scesi a
Westminster. La ragazza si guardò intorno
all’interno della stazione, si
sentiva un pesce fuor d’acqua ma Francis le rivolse quello
che ormai poteva
essere classificato come il suo solito sorriso rassicurante.
“Vieni” la invitò tendendole la mano
mentre saliva il primo scalino di una
delle uscite. Victoria prese quella mano agitata come una ragazzina e
si lasciò
condurre sulla rampa di scale.
Mano a mano che saliva i gradini, la grande torre che ospita il Big Ben
entrava nel suo campo visivo e più saliva più
guardava in alto, non riuscendo
quasi a vederne la punta.
Arrivata alla fine delle scale, all’uscita, dovette sollevare
completamente
la testa per ammirare la torre dell’orologio in tutta la sua
maestosità. Tutte
quelle luci che spiccavano nella notte e quell’architettura.
E lei che si
sentiva così piccola e insignificante ai piedi della torre.
Non aveva parole
per definire quello che provava in quel momento.
“Ti piace?” le aveva chiesto Francis.
“Immensamente.”
La serata era proseguita in modo altrettanto semplice ma magico.
Avevano
passeggiato lungo il Tamigi, confondendosi tra i babbani. Lui le aveva
offerto
un gelato preso in un carretto di un ambulante e poi si erano seduti a
mangiarlo su una panchina, in riva al fiume, godendo della piacevole
frescura
che l’acqua riusciva a trasmettere. Avevano anche guardato
gli artisti di
strada che si esibivano cercando di racimolare qualche spicciolo.
Col senno di poi Victoria
aveva materializzato che la maggior parte delle ragazze avrebbe
giudicato
quella serata come piatta, fin troppo normale. Ma lei no. Era stata
bene, era
stata se stessa. Si era goduta quello sprazzo di normalità
in mezzo al casino
che era stata la sua vita nell’ultimo periodo.
Aveva raccontato anche di
qualche giorno prima, quando si erano usciti di nuovo e
all’improvviso lui era
dovuto scappare via per lavoro. L’aveva accompagnata a casa
ed era andata in
missione e lei si era scoperta in ansia, terribilmente in ansia per
lui. Era
consapevole che le missioni, ora che Voldemort non c’era
più, erano molto meno
pericolose eppure finché lui non era passato a casa sua per
rassicurarla sul
fatto che stesse bene lei era stata seduta sul divanetto davanti la
finestra a
guardare fuori, in attesa.
“Quindi ti piace?” le
chiese Krystal.
“Io…non lo so…forse. Mi fa
stare bene…ultimamente sono uscita di più, ho
riso di più, ho vissuto più di
quanto abbia fatto nell’ultimo anno.”
“Oh Vic, sono tanto tanto
contenta per te. Quando me lo farai conoscere?”
domandò di nuovo Krystal
ammiccando a Victoria che era diventata rossa come un peperone.
“Conoscere chi?” le
interruppe la voce di Zeek alle loro spalle.
Le due donne si girarono di
scatto verso l’uomo che stava in piedi sulla porta che dava
sul portico sul
retro della casa.
“Zeek…”
“Ma tu non dovevi essere in
missione?”
“Ho finito prima e così
sono tornato a casa ma apparentemente sono di troppo.”
“Quanto hai sentito?”
chiese Victoria un po’ preoccupata. Sì, il suo
fratellone voleva che lei si
rifacesse una vita ma era anche parecchio geloso. Ci aveva messo mesi a
farsi
piacere David, figurarsi se avrebbe accettato subito Francis.
“Abbastanza da aver capito
di chi si tratta” brontolò lui. Zeek
avanzò e si posizionò davanti alla sorella
a braccia conserte. “Hai idea di quanti anni abbia
Collins?”
“Quasi trentaquattro”
rispose subito Vic.
“Appunto! Ha quasi dieci
anni più di te!”
“Non vedo dove sia il
problema” intervenne Krystal cercando di placare suo marito
“Dai suoi racconti
sembra un tipo molto interessante.”
L’uomo prese un bel respiro
per cercare di restare calmo. “Ha quasi trentaquattro anni e
non si è mai
sposato per quanto ne so, anzi l’ho visto cambiare spesso
ragazza. Non mi
piace!”
“Non è a te che deve
piacere!” sbottò Vic alzandosi in piedi.
“Lo so” fece Zeek più calmo
“Voglio solo proteggerti!”
“Zeek…non ho più quindici
anni!” protestò la sorella nonostante il
comportamento di lui l’avesse
intenerita. Nel frattempo si era alzata in piedi e lo aveva raggiunto.
“Te lo ripeto: io l’ho
visto passare da una ragazza all’altra. Chiediglielo e vedi
se prova a
negarlo.”
Lo sguardo della ragazza si
indurì e allora il fratello le disse “Lo faccio
per te.”
“Lo so” ammise Victoria “Ma
cerca di capirmi…”
Quando Victoria tornò a
casa e Zeek e Krys rimasero da soli a rimettere a posto le cose lui
fece “Devo
parlare con Collins.”
“Non ci provare. Hai già
spaventato me, non spaventerai anche lui.”
Naomi e May erano uscite
presto quella mattina. Erano dirette a casa dei loro genitori. Naomi
aveva
pregato la sorella di accompagnarla. Aveva bisogno di sostegno.
I genitori delle due
ragazze erano tornati a vivere alle porte della Londra babbana pochi
mesi
prima. Avevano passato diversi anni in Cornovaglia per mettersi al
sicuro dalla
Guerra Magica.
“Hey ragazze, a cosa
dobbiamo questa visita?” le salutò Claire quando
andò ad aprire la porta.
Naomi non riuscì a
rispondere così May si fece avanti. “Oh niente di
che, avevo una mezza giornata
libera così ho pensato di venire anche io.”
“Coraggio, entrate. Vostro
padre è in giardino, l’ho costretto a estirpare le
erbacce, ormai sembrava di
essere in una giungla!” raccontò allegra la donna.
Le tre si accomodarono in
salotto e poco dopo vennero raggiunte dal capofamiglia che si tolse i
guanti da
lavoro e sprofondò nella sua poltrona preferita sorseggiando
un po’ di tè
freddo.
“Allora, cosa dovete
dirci?” chiese Nathan. Sapeva benissimo che si presentavano
tutte e due le
figlie insieme c’era qualcosa che non andava, visto che negli
ultimi tempi si
ritrovava la famiglia unita solo quando c’era qualche festa.
“Io niente…Naomi deve
parlarvi” rispose May guadagnandosi un’occhiataccia
da parte della sorella.
Maysilee sapeva che i loro
genitori per quanto magari si sarebbero arrabbiati all’inizio
alla fine
avrebbero cercato di essere comprensivi con la minore delle loro figlie
e
sapeva che quella era una cosa che riguardava solo Naomi. La ragazza
quindi si
alzò e diede un veloce bacio sulla tempia alla sua
sorellina. “Sta tranquilla”
le sussurrò.
Mentre usciva dal salotto
l’ultima cosa che sentì era Naomi che scoppiava a
piangere e diceva di aver
commesso un errore e di aver bisogno di loro.
Quando sentì che le
successive parole erano ovattate da quello che probabilmente era
l’abbraccio
della madre, May si tranquillizzò.
Quel giorno andò a lavoro
col cuore più leggero ma non sapeva quanto sarebbero stati
difficili i giorni
successivi.
La routine del reparto
Ferite da Creature Magiche venne sconvolta dall’arrivo di un
nuovo capo-Guaritori.
Era un alto e panciuto uomo sulla sessantina che era stato trasferito
da un
altro Ospedale Magico e che credeva di essere una spanna sopra tutti
gli altri.
Angela lo odiava. Odiava
sinceramente quell’uomo presuntuoso che comandava tutti a
bacchetta,
specialmente le donne. Continuava ad assegnare loro turni estenuanti,
soprattutto turni di notte e a relegarle a lavori semplici, addirittura
puerili. Non credeva che né lei, né May o nessuna
altra loro collega fosse in
grado di fare qualcosa di concreto, cosa che invece avevano sempre
fatto.
Era una sera come tante,
avevano avuto un paio di casi piuttosto tranquilli e poi si erano
sistemate
tutte nella loro saletta, reperibili per qualsiasi cosa. Angy e la sua
collega
Sophia si erano accomodate su due sedie su un angolino a dividersi una
tavoletta di cioccolato mentre la mora le raccontava del suo ultimo e
disastroso appuntamento con un tizio che ancora era praticamente
dipendente
dalla madre.
May era rientrata poco
prima dalla sala da tè e si era accomodata vicino alla
finestra ad osservare il
temporale estivo che si era scatenato solo una mezz’ora prima
mentre
sorseggiava il caffè che, Angy ci avrebbe scommesso, era
pieno di zucchero,
praticamente zucchero al sapore di caffè. Vide un patronus
comparirle davanti
ma non riuscì a sentire cosa le diceva poi però
Angela vide la collega alzarsi
velocemente e recuperare la sua borsa.
“Angy io devo andare a
casa…potete pensarci voi qui?” chiese alle
colleghe.
Angela, notando la preoccupazione
negli occhi della bionda, annuì velocemente.
Erano ormai le due di notte
quando arrivò un caso di un ragazzino, un bambino in
pratica, morso da un
animale. Il padre non voleva rivelare di cosa si trattasse, cosa che la
portò a
pensare che dovesse trattarsi di una qualche creatura magica illegale.
In quel
caso normalmente la prassi da seguire era denunciare il fatto ma la
vita di
quel dodicenne era più importante.
Era davvero malridotto. La
creatura, di qualsiasi creatura si trattasse, gli aveva praticamente
strappato
via un braccio e apportato varie ferite. Fu uno spettacolo terribile,
soprattutto considerato la giovane età della vittima. Alla
fine si rivelò
proprio una vittima.
Non era mai facile perdere
un paziente e Angy cercava sempre di non prenderla troppo a male.
Sapeva che
faceva parte del suo lavoro ma quando c’era di mezzo un
bambino le prendeva
sempre un po’ di sconforto.
Sconforto che non fece che
aumentare quando Sophia le fece gentilmente notare che il nuovo capo
avrebbe
approfittato della situazione per screditarle ancora di più.
Quella stessa sera Freya e
Sebastian erano usciti di nuovo insieme. Ormai era diventata
un’abitudine, ma
non erano andati mai oltre qualche bacio non troppo approfondito. Non
fino a
quella sera. Non fino a quando scoppiò il temporale mentre
loro si trovavano a
chiacchierare in un parco.
All’improvviso aveva
iniziato a piovere a dirotto e i lampi illuminavano il cielo quasi come
se
fosse giorno. I due iniziarono a correre per allontanarsi dal parco.
Freya suggerì
di ripararsi a casa sua e di May, visto che era lì vicino,
appena fuori dal
parco. Neanche ci pensarono a smaterializzarsi e invece iniziarono a
correre
sotto la pioggia torrenziale che aveva reso inutile anche
l’incantesimo
impermeabile che avevano provato a fare.
Quando entrarono
nell’appartamento, finalmente al riparo, si guardarono
sollevati poi Sebastian
scoppiò a ridere.
“Che c’è, perché
ridi?”
chiese Freya quasi offesa.
“Aspetta, hai un rametto
tra i capelli” ridacchiò lui prima di allungare
una mano verso i capelli biondi
di lei ed estrarne un rametto di legno con ancora un paio di foglie
attaccate.
“Ecco qui” sorrise
trionfante Sebastian. Notò come gli occhi di Freya
studiavano la camicia bianca
che aveva aderito perfettamente ai suoi muscoli.
La ragazza si stava
mordendo il labbro inferiore e Sebastian non resistette alla voglia di
baciargliele quelle labbra. Fu un bacio lento e appassionato, le loro
lingue si
cercarono e incontrarono più volte. Sebastian
realizzò di aver dolcemente
spinto Freya contro il muro del salotto solo quando sentì il
leggero impatto
della schiena di lei contro la parete.
Freya lì per lì non si
accorse che le mani di Sebastian erano passate sotto la sua maglietta e
percorrevano la sua schiena e i suoi fianchi. Fu un attimo e qualcosa
le scattò
nel cervello. Venne travolta dal ricordo di mani più
vogliose e violente su di
sé. Ricordava come un uomo le teneva fermi i polsi mentre
l’altro violava il
suo corpo. Improvvisamente le mancava il fiato. Provò a
pregare Sebastian di
smettere ma non una parola riusciva a uscire dalla sua gola. E
più si faceva
vivido il ricordo più lei voleva ribellarsi. Con una forza
inaudita per lei
scagliò via Sebastian, che andò a sbattere
violentemente contro una mensola che
cadde a terra.
Il frastuono degli oggetti
che si rompevano riempì il silenzio della stanza.
La ragazza impallidì quando
vide il sangue che scorreva lungo il braccio di Sebastian sporcandone
la
camicia a partire da un taglio in cui si er.
Sebastian si sentì un
attimo confuso e spaesato. I suoi occhi chiari si spostarono su Freya
che stava
addossata al muro a tremare di terrore.
Il ragazzo cercò di
avvicinarsi ma lei gli urlò: “No! Non ti
avvicinare! Non voglio ferirti di
nuovo!”
“Ok…sto qui” disse calmo
“Vuoi che chiamo qualcuno? Jo? May?”
“May va bene” rispose lei
con voce tremante.
Sebastian mandò un patronus
a Maysilee e poi si diresse verso il bagno per cercare di sistemarsi.
Quando May arrivò
all’appartamento fece fatica a credere ai suoi occhi. Freya
non fece avvicinare
molto neanche lei.
“Mi ricordo tutto May!
Adesso mi ricordo tutto…ho ferito Seb. L’ho fatto
di nuovo…oddio, io al Janus
Thickey dovrei starci come paziente altro che Guaritrice!”
“Calmati…” le sussurrò
dolcemente “Sebastian dov’è?”
“In bagno, credo. Ti prego
aiutalo!”
May annuì e si diresse
verso il bagno dove il ragazzo stava seduto sul bordo della vasca da
bagno
senza sapere bene cosa fare. Mentre gli medicava la ferita May
cercò di
spiegare il comportamento di Freya e alla fine raccontò a
Sebastian tutto
quello che era successo all’amica. Finito di bendare la
ferita al ragazzo lo
tranquillizzò. “Tranquillo, alla fine si
è rivelato un taglio meno brutto del
previsto. Nel giro di poco si rimarginerà, non ti
preoccupare.”
“Non è per me che sono
preoccupato” sospirò lui.
Un attimo dopo uscì dal
bagno e tornò verso il salotto ma Freya lo pregò
di nuovo di non avvicinarsi.
Il ragazzo si accovacciò per mettersi al suo livello. Freya
era seduta a terra,
con le lacrime che le rigavano silenziosamente il viso e gli occhi.
“Mi dispiace, mi dispiace
tanto.”
“Guarda” la invitò lui
allargando leggermente le braccia “Sto bene. Va tutto bene.
Non è successo
niente di grave.”
Continuò a ripeterle che
andava tutto bene ogni volta che lei si scusava e lo stesso faceva May.
“Freya lo so che sei
spaventata…” iniziò l’amica.
“Sono pericolosa. Aveva
ragione” disse Freya riferendosi al suo ex.
“Non è affatto vero…”
replicò Sebastian “Noi siamo qui per
te…ok?”
“Non ce ne andiamo.”
Ci mise tempo ma alla fine
Sebastian riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastava per
allungare le braccia
verso di lei. E Freya ci si rifugiò, abbandonandosi a
quell’abbraccio.
Era un torrido giovedì
mattina quando Victoria entrò a passo di marcia al Quartier
Generale degli
Auror. Sapeva che quel giorno Francis avrebbe lavorato praticamente da
solo e
lei aveva passato diversi giorni a torturarsi pensando a ciò
che le aveva detto
Zeek riguardo Francis Collins. Si era fatta almeno mille film mentali
su quello
che era successo o su come potevano andare le cose.
Non voleva assolutamente
soffrire di nuovo. Il suo cuore si era indurito, come un terreno che
non veniva
coltivato da tempo, ma innamorarsi di un uomo che l’avrebbe
fatta soffrire
significava gettare sale su quel terreno.
Bussò alla porta
dell’ufficio di Francis e appena sentì la voce di
lui rispondere entrò
chiudendosi la porta alle spalle.
“Buongiorno” lo salutò lei.
“Hey, proprio a te pensavo”
ridacchiò Francis. “Mi dispiace che questa
settimana ci siamo visti poco ma qui
è stato un vero delirio…ti ho pensato
perché è un po’ che tuo fratello mi
guarda male ogni volta che mi incrocia lungo i corridoi. È
geloso per caso?”
“E’ molto protettivo, tutto
qui” replicò Victoria in tono più duro
“Mi ha detto che ti ha visto cambiare
ragazza piuttosto spesso…” buttò
lì cercando di sembrare distaccata e quasi
disinteressata, ma in realtà era tutto tranne che
disinteressata.
“Vicky” la chiamò con quel
soprannome che fino a poco tempo prima utilizzava solo suo nipote.
L’uomo si
alzò e passò oltre la scrivania per raggiungerla.
Quando Francis prese quelle
mani piccole tra le sue Victoria abbassò timidamente lo
sguardo. Era partita
convinta e quasi arrabbiata ma ora si sentiva insicura e debole.
“Guardami” la pregò lui.
La ragazza tirò su piano lo
sguardo e vide che Francis le sorrideva dolcemente. “Ecco,
così va meglio.”
“C’è una cosa di cui non ti
ho parlato.”
Al sentire quella frase
Victoria sentì le sue gambe molli e la terra cedere sotto ai
suoi piedi ma la
presa delle mani di Francis sulle sue era talmente ferma da farle da
ancora di
salvezza.
“Ai tempi di Hogwarts avevo
una ragazza, Melanie. Eravamo dei ragazzini ma eravamo così
innamorati. È stata
il mio primo amore. È per lei se sono diventato Auror, avevo
visto come
cominciavano ad andare le cose e volevo essere capace di proteggerla,
ma non ce
l’ho fatta. È morta prima che potessimo realizzare
i nostri desideri di un
futuro insieme.”
“Francis mi dispiace tanto”
lo interruppe lei.
“So che puoi capirmi”
disse, ricordando quando lei le aveva raccontato di David e di Harry,
il
bambino di cui aveva potuto seppellire solo un’ecografia e
una scarpina, mentre
con una mano andava ad accarezzarle il viso. A quel tocco gentile
Victoria
chiuse un momento gli occhi e posò anche lei una mano sopra
a quella che lui
teneva sulla sua guancia.
“Ad ogni modo, dopo che ho
perso Melanie io mi sono sentito molto solo e i primi tempi ho provato
a
colmare quel vuoto con varie ragazze, lo ammetto, ma nessuna era
all’altezza di
Melanie.”
Il cuore di Victoria si
strinse quando vide quegli occhi verde chiaro lucidi. “Ci ho
messo un po’ per
capire che era come se il mio cuore si fosse fermato. Si era rotto e
fermato ma
poi, molto tempo dopo, mi sono scontrato con una maldestra e bellissima
ragazza” e dicendo quelle parole Francis sorrise.
L’uomo prese l’altra mano
di Victoria e le fece appoggiare il palmo sul suo petto,
all’altezza del cuore.
“Lo senti? Batte di nuovo.”
Victoria rimase zitta, sentendo
il ritmo cadenzato del cuore di Francis contro la sua pelle.
“Abbiamo tutti e due un
passato importante alle spalle ed è una cosa che ci
porteremo dietro per
sempre… ma appunto è lì, alle nostre
spalle. Io voglio davvero provare a
voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo della mia vita e voglio
provare a
farlo con te ma solo se tu te la senti. Te la senti?”
Senza alcun dubbio Victoria
annuì prima con la testa e poi sussurrò un debole
“Si” che fece sorridere
Francis.
“Ok, adesso ho un’altra
domanda: se provo a baciarti mi fermerai?”
“No”
E a quel punto Francis
piegò leggermente la testa avvicinandosi alla bocca della
ragazza e prendendo
le labbra tra le sue e spostando la mano che teneva sulla guancia di
lei verso
quella massa di morbidi capelli scuri.
Il cuore dell’uomo aveva
accelerato contro la sua mano ma il cervello di Victoria non se ne era
minimamente accorta, annebbiata com’era dal profumo della sua
acqua di colonia.
Erano passati giorni in cui
Johanna e Edward non si erano parlati. Lei continuava a fingere che non
ci
fosse alcun problema di fondo ma non riuscì a fregare
Sebastian a lungo e alla
fine si decise a chiedere consiglio al suo migliore amico. Gli
rivelò l’idea di
Edward di uccidere Magnus e la litigata che ne era seguita.
“Io odio quell’uomo!”
sbraitò Jo riferendosi a Saintclare “Lo odio ma
non voglio che Edward diventi
autore di un omicidio!”
Sebastian rimase un minuto
in silenzio nel tentativo di pesare bene quello che stava per dire, si
preparò
mentalmente una frase ma se la scordò guardando la sua
migliore amica che
faceva avanti e indietro lungo la stanza per poi buttarsi sulla
poltrona con
uno sbuffo.
“Quello che vuole fare Ed
non è un omicidio, è giustizia” disse
duro “Se quell’uomo torna in libertà
finirà per rovinare di nuovo la tua vita, quella di Edward,
di sua sorella e di
sua nipote e di molte altre persone.”
“So che salverebbe molte
vite”
“Vedi? Ti sei data una
risposta da sola…una vita contro
molte…è matematica. Fossi in lui anche io lo
vorrei uccidere. Tu non faresti di tutto per proteggere le persone che
ami?”
“Si” affermò Johanna.
“Allora vai a sostenerlo”
le consigliò.
Mezz’ora più tardi Johanna
si materializzò davanti casa di Edward e andò a
bussare. Appena vide il ragazzo
aprire la porta gli si tuffò praticamente addosso, premendo
le labbra contro
quelle di lui. Dopo un attimo di spiazzamento Edward prese il viso
della
ragazza tra le mani e rispose al bacio; quando si staccarono, con il
fiato
corto Johanna disse convinta: “Sono dalla tua parte,
qualsiasi cosa tu decida
di fare.”
Il ragazzo le sorrise,
sinceramente grato di avere il suo appoggio.
“Entra” e le fece strada
fino al salotto dove Elaine stava cercando di calmare una Kayla che
urlava e
piangeva disperatamente.
Quando finalmente la
neonata si addormentò Edward annunciò che sarebbe
andato ad Azkaban.
“Vengo con te” affermò Jo
alzandosi in piedi.
“No, non esiste. Apprezzo
il tuo supporto ma ho progettato la cosa per me da solo.”
“Ed è pericoloso!” protestò
Elaine
“Per questo voglio andare
da solo. Meno gente è coinvolta in questa storia meglio
è!”
“Ma io voglio essere con
te!”
“Possiamo parlarne in
privato?” domandò Edward trascinando una Johanna
alquanto contrariata nell’ingresso.
“Ascoltami Jo, sarà una
cosa pericolosa…potrebbero scoprirmi e arrestarmi,
potrebbero succedermi mille
altre cose…non posso permettere che tu venga con me
perché se ti succedesse
qualcosa non potrei mai perdonarmelo.”
Il tono del ragazzo aveva
un che di disperazione che fece sciogliere anche il cuore di pietra di
Johanna
Johnson.
“Ma io voglio aiutarti…”
“C’è una cosa che puoi fare
per aiutarmi: ho bisogno di un alibi. Qualsiasi cosa
succederà ci potrebbero
essere degli interrogatori…tu ed Elaine dovete sostenere la
stessa versione. Ho
bisogno di qualcuno che mi copra…”
Johanna prese un bel
respiro. “Bene…rimarrò qui. Tu
però vedi di tornare, intesi?”
“Intesi” concordò lui.
Edward salutò sua sorella e
la sua nipotina poi tornò all’ingresso per
abbracciare Johanna. La tenne
stretta a se per un po’.
Stava per andare ad
uccidere una persona, sperando di farla franca. Le cose sarebbero
potute anche
andare male e in quel caso rischiava di non vedere mai più
la giovane. Aveva
bisogno di dirglielo, aveva bisogno di dirle quelle due parole. Era
presto,
sapeva che era presto ma quella ragazza gli era entrata nel cuore il
giusto che
l’aveva vista entrare nell’aula delle udienze forte
come una supereroina.
“Ti amo” le disse dopo aver
sciolto l’abbraccio e si smaterializzò subito. Non
le diede il tempo di
replicare, aveva paura di sentire la risposta. Era abbastanza
coraggioso da
andare ad uccidere un Mangiamorte ma non abbastanza da dire
“ti amo” ad una
ragazza e vederne la reazione.
La notizia
della morte di
Magnus Saintclare si diffuse a macchia d’olio
all’interno del ministero. Una
squadra Auror venne incaricata di sentire le persone più
vicine all’uomo, cioè
sua moglie e suo cognato.
Quando William venne
convocato per fare un interrogatorio e si ritrovò di nuovo
davanti Elaine Burke
ebbe quasi un colpo al cuore neanche lontanamente paragonabile a quello
che
ebbe però quando lesse, nella mente della giovane, la
verità sulla morte di
Magnus Saintclare.
Vide il terrore nei suoi
occhi e non riuscì a dire ai suoi superiori che Edward Burke
aveva ucciso
Magnus Saintclare, si limitò a sostenere la versione che la
ragazza aveva
raccontato a voce e la stessa cosa fece per Edward.
Trovò la ragazza ad
attenderlo nel suo ufficio. Era di spalle e guardava fuori dalla
finestra
magica che ogni giorno proiettava un panorama diverso, quel giorno
sembrava di
essere immersi in una foresta.
“Elaine…che ci fai qui?”
“Perché lo hai fatto? Perché
mi hai protetta?”
“Perché so che ti ho ferita
e mi dispiace ma tengo a te. Non voglio che la tua famiglia soffra
ancora.”
L’ultimo caso, la sua
ultima perdita non aveva fatto altro che svilire ancora la sua
posizione di
fronte al nuovo capo. Lei e Sophia erano state costrette addirittura a
svolgere
qualche lavoro di bassa manovalanza, lavori da inserviente. Quel giorno
ad
esempio Angela dovette trasportare un paziente dal suo reparto a quello
per lesioni
da incantesimi in quanto non era stato il suo animale a procurare al
paziente
una ferita che non ricordava come si era fatto ma si trattava di un
incantesimo
mal lanciato.
Mentre usciva da una stanza
vede una figura, un uomo camminare verso l’ascensore. Per un
nanosecondo pensò
di aver avuto un’allucinazione o di stare sognando ma poi
realizzò che era
tutto vero.
L’avrebbe riconosciuto tra
mille, nonostante lui fosse di spalle e fossero passati anni.
Con il cuore che le batteva
a mille Angy cercò di passare tra le persone e la barelle
per raggiungerlo. Si
scontrò con qualcuno ma non ci fece neanche caso. Era lui.
Era sicura che si
trattasse di lui. Doveva raggiungerlo, doveva vederlo.
Purtroppo l’ascensore si
chiuse alle spalle dell’uomo, ancora di spalle, e lei lo vide
praticamente
sparire sotto ai suoi occhi, quando era arrivata a solo una decina di
metri da
lui.
Buonasera gente!
C’era chi voleva il
capitolo velocemente ed eccolo qui. Spero che vi sia piaciuto,
è carico di
feels e immaginando la parte di Freya ammetto di aver pianto,
così come mi sono
commossa con la storia di Francis… che ci volete fare, sono
una sadica dal
cuore di panna…
Mi dispiace solo di aver
inserito poco William in questo capitolo, ma non volevo allungarlo
ulteriormente. Signorina, consideralo in ostaggio fino alla
realizzazione dei
Malek… (si, è una minaccia)
Chi sarà la persona che
Angela ha cercato di inseguire? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Per la cronaca: mancano due
capitoli (Settembre e Ottobre) + l’epilogo.
A presto
H.
|
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Capitolo 13 *** Settembre ***
Quando lasciò il San
Mungo
quel giorno, Angela si precipitò a casa di William.
Iniziò a bussare
insistentemente alla porta, tanto che quando il migliore amico
aprì la porta
per poco non si ritrovò il pugno della ragazza sul naso.
“Angy, che succede?” chiese
William allarmato.
“Devo assolutamente
parlarti” disse la ragazza entrando velocemente in casa e
chiudendosi la porta
alle spalle.
“E’ successo qualcosa di
grave?” aveva capito subito dallo sguardo della sua migliore
amica che si
trattava di un’emergenza.
“Ho visto Jonathan oggi
all’ospedale” sputò fuori.
“Aspetta…cosa? Tuo fratello
Jonathan? Sei sicura?”
Angela tremava come una
foglia. Era agitata, non riusciva neanche a pensare lucidamente ma era
sicura
che si fosse trattato di suo fratello. Anche se l’aveva visto
solo di spalle
aveva riconosciuto la sua testa, i suoi capelli, il suo modo di
camminare. Era
decisamente suo fratello.
William la vide annuire
velocemente, quasi senza fiato. “Ma come è
possibile? Si è persa ogni traccia
di lui anni fa!”
“Io…non lo so!” rispose
Angela quasi urlando.
Il ragazzo l’abbracciò di
slancio, stringendola più possibile. “Non so se
quello che sta succedendo è
vero, ma se si tratta veramente di Jonathan faremo il possibile per
trovarlo”
le giurò.
Quando la ragazza si fu
calmata i due si sedettero al tavolo della cucina, con una tazza di
caffè
davanti per decidere come agire.
“Io posso chiedere ad un
amico di procurarmi il fascicolo sulla scomparsa di Jonathan ma sai
benissimo
che non c’erano tracce” disse Will, leggermente
sconsolato ma poi vide il viso
della sua migliore amica, altrettanto abbattuta e decise di non
perdersi
d’animo. Non voleva darle false speranze ma in fondo, anche
se Jonathan era
sparito nel nulla, il suo cadavere non era mai stato ritrovato. Lui
sapeva che
cosa voleva dire perdere un fratello a causa della guerra, ma lui
almeno era
certo che suo fratello non c’era più. Aveva potuto
dirgli addio, piangere la
sua morte. Angela invece era rimasta anni costantemente in attesa, in
bilico
tra la speranza di ritrovare suo fratello e la tristezza di averlo
perso. E
ora, se c’era anche solo una minuscola e magari irrazionale
possibilità di
trovare Jonathan lui l’avrebbe aiutata, perché era
minuscola e irrazionale ma
era una chance.
“Hai detto che era al reparto
degli incidenti da incantesimo, giusto?”
“Sì, dove c’è la
diramazione del corridoio, è sbucato fuori da lì
ed è andato diretto verso
l’ascensore” rispose Angela come
un’alunna attenta a lezione.
“Cosa c’è in quel
corridoio?”
“Stanze di guaritori e di
pazienti, come lungo tutti i corridoi…”
“Bene…facciamo
così…”
E nei giorni successivi
Angela mise in atto il piano di William. Aveva continuato ad aggirarsi
in quel
reparto, grata comunque di potersi allontanare dal suo nuovo
caporeparto. Ogni
tanto prendeva il registro di pazienti e visitatori, con la scusa di
doverci
appuntare qualcosa. Aveva isolato i numeri delle stanze che le
interessavano:
le stanze dispare, dalla 1305 alla 1547. Erano un sacco di stanze, un
lavoro
immane.
Il fatto di non aver più
rivisto Jonathan in quei giorni l’aveva portata a pensare che
lui fosse stato
uno dei pazienti medicati e mandati a casa in giornata o che fosse
stato il
visitatore di un paziente che era stato dimesso, perché se
in quell’ospedale
c’era qualcuno a cui suo fratello teneva lui non
l’avrebbe abbandonato, sarebbe
tornato.
Che
cosa stupida,
si
ritrovò a pensare Angela, ha
abbandonato
i nostri genitori, Camille, me…perché non
dovrebbe abbandonare qualcun altro?
Passò giorni a scorrere il
registro alla ricerca di un indizio, di un nome. Ovviamente non si
aspettava di
trovare Jonathan Stuart scritto lì, in bella vista,
perché se quello era
veramente suo fratello e se era sparito per tutti quegli anni aveva
dovuto
avere una buona ragione e la stessa buona ragione lo aveva portato
sicuramente
a cambiare la sua identità.
Solamente un giorno,
scorrendo la lista dei pazienti che non erano stati trattenuti in
ospedale notò
qualcosa di familiare.
Philip Douvres.
Douvres. Dover. Le bianche
scogliere di Dover. Ricordava ancora una vacanza che avevano fatto da
bambini
con i loro genitori e suo fratello era rimasto incantato da quelle
scogliere e
dal fatto di poter vedere, al di là del canale della Manica,
la Francia.
Poteva trattarsi di lui.
Doveva trattarsi di lui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per trovare
quell’uomo.
Victoria lanciò
un’imprecazione mentre cercava di tirare su la zip del
vestito. Maledetta! Da
sotto non riusciva a tirare su la cerniera e da sopra non ci arrivava!
Si era
agitata più di quanto non lo fosse stata già e
ora ci si metteva anche quello
stupido campanello che suonava in continuazione…ma chi
cavolo era che si
presentava a casa sua di sabato sera alle sette?
Scese le scale cruciando
mentalmente chiunque fosse dietro la porta o perlomeno lo fece
finché non aprì
e si trovò davanti un affascinante ragazzo dagli occhi
verdi, vestito di tutto
punto.
“Francis…che ci fai qui?”
chiese con ancora un briciolo di irritazione nella voce “Sono
le sette…avevamo
detto alle sette e mezza” puntualizzò.
Perché era venuto in anticipo? Lei non
era pronta! E perché teneva in mano due papillon?
L’uomo cominciò a parlare
velocemente “Avevo pensato a una cravatta ma poi ho pensato
anche che il tuo
caro fratellino potrebbe utilizzarla per impiccarmici o strangolarmi,
quindi ho
pensato a un papillon” e si mise uno dei fiocchi davanti al
collo.
Victoria lo guardò,
impacciato nei suoi pantaloni eleganti e nelle sua camicia bianca, con
quel
papillon nero.
“Così sì che sei un
perfetto bartender. Ti ci vedo proprio a fare cocktail” lo
prese in giro
dandogli un buffetto sulla guancia.
Francis mise su un finto
broncio. “Non sei affatto divertente, sai?”
Victoria si alzò
leggermente sulle punte per dargli un bacio a cui lui rispose a
malapena
fingendo di essere ancora arrabbiato.
“Dai vieni con me” e gli
fece cenno di seguirla lungo le scale.
Victoria condusse Francis
al piano di sopra, gli disse di aspettarla in camera mentre lei
andò in quella
che doveva essere la camera del bambino e invece era diventata la
camera degli
ospiti. Aprì il grande armadio in noce e ne estrasse una
giacca color tortora.
Ricordava ancora quando David aveva comprato quella giacca,
l’aveva messa una
sola volta, ad un matrimonio di un suo amico poi non l’aveva
messa più perché
gli prudeva. L’aveva messa una sola volta eppure
l’aveva impregnata con l’odore
della sua acqua di colonia. Aveva stretto spesso a sé quella
giacca nel primo
periodo dopo la morte di David, convinta di sentirne ancora
l’odore. La strinse
a sé un’ultima volta…nessun odore.
Forse era stata solo una sua convinzione o,
forse, lo aveva lasciato andare. Prese un respiro e tornò da
Francis.
“Metti questa” gli propose
prima di aiutarlo ad indossare la giacca “No, niente
papillon. Non andiamo a
una serata di gala, andiamo solo a casa di mio fratello”
ridacchiò poi.
“Solo?” chiese lui
titubante.
“Solo.”
“E prometti che riporterai
ai miei il mio cadavere?”
“Non essere sciocco, dovrò
aiutare Zeek a nasconderlo! E ora aiutami a tirare su questa
cerniera!”
Victoria si voltò, spostò i
suoi capelli da un lato, davanti al collo per permettere a Francis di
aiutarla.
Quello che sentì fu però la cerniera che
scendeva. Fece per protestare ma la
voce le venne mozzata dalla sensazione delle labbra di Francis che
percorrevano
la sua schiena con una scia di minuscoli baci che le davano i brividi
come
piccole scosse. Lo sentì risalire fino al collo e
sentì quelle mani
intrecciarsi con le sue.
“Dobbiamo andare a casa di
Zeek tra mezz’ora…” provò a
protestare.
“Appunto…tra mezz’ora”
Victoria si girò verso di
lui, gli accarezzò il viso e quella barba leggera.
“Sei così bello…” e sorrise
mentre l’uomo chinava la testa per appoggiare la fronte
contro la sua.
“No, tu sei così bella”
Francis la baciò
teneramente e la avvolse tra le sue braccia. In un attimo si
ritrovarono stesi
sul letto con lui che le accarezzava i capelli, ormai spoglio della
giacca e
con la camicia slacciata.
“Dimmi se vuoi che mi
fermi” sospirò Francis, ogni parola era
intervallato da un bacio sempre più
giù, dal collo fino alla spalla.
“Non ti fermare” si ritrovò
a rispondere Victoria in modo del tutto inconsapevole e naturale.
Sarebbe voluta rimanere lì
tra quelle braccia tornite per sempre ma purtroppo avevano una cena a
cui
prendere parte.
Non si riusciva a dire chi
fosse più teso, se lei o Francis, quando arrivarono a casa
di Ezekiel Crouch. Si
accomodarono a tavola, e Krystal iniziò a servire la cena.
“Allora… anche tu fai
l’auror…di che squadra fai parte?”
chiese Krystal.
“La 151, prima facevo parte
della 243 ma ci siamo uniti durante la guerra…eravamo
rimasti in pochi…”
rispose Francis tranquillamente.
“Quindi sei in squadra con
Joy …” buttò lì Zeek
guadagnandosi un calcio sotto al tavolo da parte della
moglie, la quale sapeva benissimo a chi si riferisse lui:
l’avvenente bionda
che faceva la gatta morta con tutti.
Dopo un altro paio di
domande/insinuazioni che Zeek fece e che avevano il solo scopo di
mettere alla
prova Francis, Victoria approfittò della pausa prima del
dolce per trascinare
il fratello in cucina.
Anche Krystal era in cucina
per tagliare una succulenta torta al cioccolato.
“Ti stai rendendo odioso”
fece Krystal accompagnando il gesto con entrambe le mani, con i pollici
e gli
undici uniti tra loro.
“Non mi sembra di aver
chiesto niente di eccezionale” protestò Zeek.
La moglie sbuffò, prese i
piatti tra le mani. “Io ritorno da quel
poveretto…”
I due fratelli Crouch erano
rimasti soli. “Perché devi fare
così?” chiese lei con un certo tono di
disperazione nella voce.
“Vicky…”
“No, niente Vicky! Non hai
fatto altro che mettere Francis a disagio, io l’ho portato
qui per farvi
conoscere, per andare d’accordo!”
“Sai che quell’uomo non mi
convince…”
“Ma se solo tu ti sforzassi
un po’ di conoscerlo anziché attaccarlo!”
Victoria si passò una mano
nei capelli nel tentativo di calmarsi. “Francis è
una brava persona, è gentile,
mi rispetta e mi rende felice…felice come non ero
più da tempo. E so che fai
tutte queste scene solo per proteggermi ma ti assicuro che non ho
bisogno di
essere protetta, non più…”
Il tono accorato con cui
Victoria parlò fece finalmente aprire gli occhi al fratello.
“Tu lo ami” disse.
“Non lo so…forse è
presto…”
iniziò a balbettare la giovane ma venne interrotta.
“Non era una domanda… tu lo
ami… guarda come lo difendi e, per tutte le cavallette, se
solo potessi vedere
la luce che hai negli occhi quando ne parli…tu lo
ami”
“Io lo amo” e solo in quel
momento Vicky realizzò che era vero. Francis era entrato
nella sua vita in
punta di piedi, con una leggerezza tale che lei non si era neanche
accorta di
essere arrivata a quel punto.
Zeek si strofinò gli occhi
e parlò come se gli costasse una gran fatica dire quelle
parole. “Cercherò di
farmelo piacere. Non ti garantisco niente ma proverò ad
andare d’accordo con
lui.”
Mano a mano che parlava la
bocca della ragazza si apriva in un sorriso sempre più
ampio. “Grazie” disse
sinceramente mentre lo abbracciava.
“Solo perché sei tu,
piccola Vicky” aggiunse lui facendole l’occhiolino.
“Sarò sempre la tua piccola
Vicky”
Edward ringraziò
mentalmente del fatto che fosse Domenica. Aveva proprio bisogno di una
giornata
di riposo. Ultimamente non dormiva bene, il pensiero di aver ucciso un
uomo,
per quanto orribile, lo perseguitava. Nei momenti in cui la casa
piombava nel
silenzio sentiva le urla di Magnus Saintclare ma ciò non gli
faceva cambiare
idea su quello che aveva fatto. Un giorno avrebbe imparato a conviverci.
Aveva passato la domenica
in panciolle, godendosi un po’ la sua nipotina poi era uscito
con la sua
migliore amica. Si erano incontrati da Florian Fortebraccio per
prendere un
gelato ma Victoria non si era presentata da sola. Gli aveva presentato
il suo
fidanzato Francis. Era stata una vera sorpresa ma non poteva che essere
felice
per lei!
Dopocena si era seduto
sulla sua poltrona preferita, quella di tessuto verde, sotto la lampada
e con
la finestra alle spalle. Aveva ripreso il libro che aveva iniziato a
leggere la
settimana prima e si era rilassato completamente. Non sapeva dire
quanto tempo
fosse passato quando sua sorella entrò nella stanza.
Dedusse che Elaine Burke
era sprofondata sul divano dal suono che sentì, unito allo
sbuffo della giovane
donna.
“Finalmente è crollata…sono
distrutta” sospirò.
“La possiamo soprannominare
l’instancabile Kayla” buttò
lì mentre continuava a leggere.
“Ed” lo chiamò la sorella.
A quel punto il ragazzo alzò gli occhi chiari curioso.
“Sai…sto pensando di
trasferirmi…”
“Cosa?” domandò Edward
spalancando gli occhi “Perché?”
Elaine alzò un
sopracciglio. “Perché questa è casa tua
e noi l’abbiamo invasa!”
“Sai che mi piace avere te
e Kayla qui!”
“E a me piace stare qui ma
ho approfittato fin troppo di te… sono scappata e mi sono
rifugiata qui e ti
ringrazio per avermi accolta e aver accolto Kayla ma credo che sia ora
che noi
ce ne andiamo, che tu riprendi possesso di casa tua e
io…della mia vita”
“Ely…”
“Senti, so che qualche
volta ti fermi da Johanna e penso che sarebbe carino se tu la invitassi
a
rimanere qui qualche volta ma so che non lo farai, non
finché ci saremo io e la
bambina e poi è ora che io me la cavi anche da sola, ora che
non ho più niente
da temere.”
Edward sospirò rivolgendo
uno sguardo eloquente alla sua sorellina. “Hai già
trovato un posto, vero?”
Elaine lo guardò con occhi
colpevoli, come una bambina che era stata beccata con le mani nel
barattolo dei
biscotti.
“È un minuscolo cottage
appena fuori Londra. Lo so che non è vicinissimo ma ho
pensato che magari per
la bambina la vita in campagna è meglio.”
“Quando vuoi trasferirti?”
chiese lui un po’ rassegnato. Edward sapeva
che la sorella aveva bisogno di andare avanti, ora che
Magnus non c’era
più poteva essere se stessa e aveva diritto di esserlo e di
godersi la vita, ma
le sarebbe mancata terribilmente.
“Fra un paio di
settimane…ma sappi che quando mi sarò sistemata
voglio organizzare una cena con
te e Johanna e anche con Victoria e quel ragazzo di cui mi hai
parlato.”
“Va bene. Ti darò una mano
col trasloco” sorrise lui. La ragazza si alzò e si
avvicinò alla poltrona.
“Grazie fratellone” disse
prima di dargli un leggero bacio sulla guancia.
Johanna stava servendo un
tavolo dove due streghe piuttosto in avanti con
l’età che si divertivano con un
po’ di acquaviola e discorsi piccanti, quando vide con la
coda dell’occhio
Sebastian entrare nel locale.
Quando tornò al bancone lo
salutò con un caloroso sorriso.
“Hey…che ti porto?”
“Solo una burrobirra,
grazie”
“Come mai? Devi tornare a
lavoro?” gli chiese. Di solito quando Sebastian andava a
trovarla al locale si
fermava sempre almeno un paio d’ore e loro ne approfittavano
per chiacchierare,
specialmente quando c’era calma piatta come in quel momento.
E Sebastian
mangiava sempre qualcosa, quindi quell’ordine le era sembrato
particolarmente
strano.
“Ti devo chiedere un favore
Jo”
La ragazza mise da una
parte lo strofinaccio che aveva in mano, appoggiò il braccio
al legno del
bancone e posò il mento sulla mano come a sostenerle la
testa.
“Sono tutta orecchi” disse.
“Beh…sai che sabato è il
compleanno di Freya…”
“Certo che so che il
compleanno di Freya…vorrei ricordarti che è amica
mia e che se non fosse stato
per me non l’avresti conosciuta” lo interruppe lei.
“Ecco, ricordati che è
anche amica tua…”
“Dove vuoi arrivare,
Seboom?” domandò Johanna usando quel soprannome
che il suo migliore amico
odiava a morte.
“Vorrei organizzarle una
festa a sorpresa” iniziò a dire lui ma di nuovo
venne interrotto dalla mora.
“La trovo un’idea
magnifica!” aveva trillato Jo.
“Mi fai finire?” chiese
spazientito Sebastian “Vorrei organizzarle una festa a
sorpresa qui” specificò
“Qui? Non mi sembra il
posto migliore dove organizzare una festa di compleanno…non
è né elegante ed è
piuttosto buio…”
“Ma è un posto dove Freya
si sente a casa. Ti prego, ti pagherò l’affitto di
tutto il locale se chiuderai
sabato sera.”
Johanna guardò bene negli
occhi Sebastian. Il suo migliore amico l’aveva messa sempre
al primo posto ma
era evidente quanto le cose fossero cambiate, bastava pensare a quello
che lui
aveva appena fatto. Si era offerto di affittare l’intero
locale per il sabato
sera, sapendo bene che il week-end era il periodo in cui il Crazy Head
fruttava
di più. Il suo primo posto, in cui si era adagiata per buona
parte della sua
vita, era diventato un primo posto a pari merito con Freya. Non che la
cosa le
dispiacesse, era più che normale. Non erano più
adolescenti, erano cresciuti e
si stavano costruendo le proprie vite. Anche Edward era diventato la
sua
priorità. Certo, non avrebbe mai potuto sostituire il suo
migliore amico, erano
due cose completamente diverse ma Johanna poteva affermare con
certezza, anche
se non lo faceva facilmente con altri, che Edward Burke si era
conquistato un
posto d’onore nel suo cuore.
“Va bene…ma non accetterò
soldi da parte tua” affermò Jo.
“No dai, il locale è tuo e
io non posso…”
“Appunto, il locale è mio
quindi faccio come mi pare. E poi Freya è anche amica mia,
no? Quindi è deciso,
sabato sera si fa festa. Io posso pensare a cibo e bevande.
Chiederò a May per
la torta, lei conosce una pasticceria babbana buonissima, e sicuramente
lei è
quella che conosce meglio i gusti di Freya”
“Ok, io penso ad
organizzare il resto, tipo invitare la gente…potrei invitare
anche il tuo
ragazzo…”
“Si, perché no?”
Erano appena le otto del
mattino quando May aprì lentamente la porta della camera
della sua migliore
amica, si sporse leggermente con la testa, quel tanto che bastava per
vedere
Freya completamente immersa sotto le coperte, che non dava il minimo
segno di
vita.
La ragazza si avvicinò di
soppiatto e salì piano sul grande letto matrimoniale.
“Freya…” chiamò piano ma
l’altra
ragazza si limitò a girarsi dall’altra parte,
segno che l’aveva sentita ma non
aveva la minima intenzione di darle corda.
“Freya…” chiamò di nuovo
May ma tutto quello che ebbe in risposta fu un mugugno non ben definito.
“Lo so che sei sveglia”
Freya si girò di nuovo
verso l’amica e aprì gli occhi scuri fissando
l’amica con rabbia.
May ignorò l’occhiataccia e
non perse il sorriso. “Tanti auguri festeggiata!”
ma poi notò che l’altra la
guardava ancora torva aggiunse “Non sei felice che sia il tuo
compleanno?”
“Sarei più felice se una
certa persona mi avesse lasciata dormire, visto che ho un turno di 12
ore alla
spalle” sbuffò Freya.
L’amica incrociò le braccia
al petto. “È escluso, non passerai il tuo
compleanno a letto signorina. Ho
grandi piani per oggi.”
E in effetti era vero. May
non sarebbe mai riuscita a fingere che quel giorno non avrebbero fatto
niente
quindi aveva comunque organizzato la giornata fino a sera.
“Dai…fammi felice” la pregò
May sbattendo in fretta le ciglia.
“Ho capito, mi alzo!”
“Bravissima” fece l’altra
battendo le mani “Io e la torta al cioccolato di Naomi ti
aspettiamo di là.”
Torta al cioccolato…mmm…a
Freya sembrava di pregustarne già il sapore. La sorella di
May era davvero
brava in cucina e quando si era stabilita per qualche giorno
lì aveva
cominciato a viziarle con i suoi manicaretti quindi il pensiero che una
torta
al cioccolato e frutti di bosco fosse di là ad attenderla la
spinse ad alzarsi
da quel comodo, comodissimo letto.
Non trovò solo una suntuosa
colazione ad attenderla in cucina ma anche Sebastian, che era passato a
farle
gli auguri e a darle il regalo prima di andare a lavorare. Gli occhi di
Freya
brillarono di gioia quando aprì il pacchetto e vi
trovò un delizioso
braccialetto in argento con dei pendenti a forma di foglie. Le
dispiacque solo
di non poter passare più tempo con lui quel giorno.
Le due ragazze passarono la
mattinata all’aperto, in campagna. May portò la
festeggiata a fare una
passeggiata a cavallo. Ne approfittarono per godersi una delle ultime
belle
giornate, in cui non era ancora troppo caldo o troppo freddo.
Era stato bello stare lì,
all’aria aperta e vivere qualche ora come se non avessero
nessun pensiero al
mondo.
Il pomeriggio venne
dedicato al relax, infatti May aveva prenotato qualche massaggio in un
centro
benessere.
Arrivate a sera, mentre tornavano
verso casa, Freya si ritrovò a pensare che era davvero
fortunata ad avere May,
che non era solo la sua migliore amica ma quanto di più
simile ad una sorella
avesse mai avuto.
“Ti va se ci fermiamo da Jo
per cena? Non abbiamo nulla a casa, eccetto il resto della
torta.”
“Non che mi dispiaccia una
cena a base di torta ma non vorrei prendermi il diabete prima dei
quarant’anni.”
Quando arrivarono al Crazy
Head il sole stava ormai tramontando, colorando il cielo di arancio.
Quando
Freya aprì il portone per entrare nel locale si
stupì di trovarlo più buio del
solito ma fu un attimo e vide quello che i suoi amici avevano preparato
per lei
e i suoi occhi si riempirono di lacrime, lacrime di commozione.
Salve gente!
Eccomi qua con il
penultimo
capitolo (e se vi dicessi che l’epilogo l’ho
già scritto?). Questo capitolo è più
a tema amicizia/fratellanza e sono anche riuscita a contenermi, che
ultimamente
è un miracolo!
La domanda per il
prossimo
capitolo è: riuscirà Angy a trovare suo fratello?
A presto
H.
|
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Capitolo 14 *** Ottobre ***
“Mi dispiace che Susan
non
sia la tua insegnante” le stava dicendo Francis seduto sul
divano.
“Già anche a me…adoro tua
sorella ma devo ammettere che anche il nostro insegnante non
è male” ammise
Victoria allungando all’uomo una tazza di cioccolata calda,
perfetta in quella
piovosa sera di inizio ottobre.
Francis prese un sorso
della bevanda e poi appoggiò la tazza sul tavolo.
“Devo darti una notizia”
“Devo preoccuparmi?” chiese
lei con il cuore che improvvisamente le batteva più veloce.
“No, no assolutamente” le
sorrise prendendo una delle sue mani e portandosela alle labbra.
“Il mio prozio Hank è
morto”
“Oh…mi dispiace”
Francis sorrise divertito.
“No…” rispose quasi ridendo
“Non dispiacerti…era un babbano francamente
orribile. L’ho incontrato solo una volta, quando avevo 15
anni ma mi è
bastata!”
“Non dovresti parlare così
di una persona che non c’è
più” lo rimproverò lei con dolcezza.
“D’accordo ma il punto è
che lui aveva un sacco di soldi e una grande villa del settecento in
campagna e
sai, lui era uno di quelli all’antica secondo cui gli eredi
sono solo
maschi…quindi ha lasciato tutto a me.”
“Ha lasciato tutto a te?”
“Sì, la casa e i soldi. Ho
già dato i soldi a Susan, era giusto che anche lei avesse
qualcosa ma ho deciso
di tenere la villa. Ci sono stato tanti anni fa e me ne ero innamorato.
È
antica, romantica e bellissima, con un giardino immenso.”
Victoria sorrise. Dove
trovava un altro che ereditava un sacco di soldi e li dava alla sorella
come se
fossero spiccioli?
“Sembra incantevole”
“Domani ho appuntamento lì
con un notaio…mi chiedevo se ti andava di venire con
me…”
“Certo, perché no? Ti
accompagno volentieri”
“Grazie” e si sporse per
baciarla dolcemente.
Il pomeriggio successivo
infatti si materializzarono appena fuori da un boschetto. Francis la
prese per
mano e la condusse lungo una stradina sterrata.
“Perché ci siamo
materializzati così lontano?” chiese Victoria dopo
una decina di minuti di
camminata.
“Non ci sono maghi qui nei
dintorni…non credo che i babbani vedrebbero di
buon’occhio qualcuno che compare
dal nulla. Siamo quasi arrivati.”
Francis le indicò un viale
alberato che si intravedeva e che sembrava inoltrarsi nella campagna.
Arrivati
davanti all’ingresso del viale Francis aprì il
cancello in ferro battuto che lo
chiudeva.
Si incamminarono verso la
villa che si vedeva in fondo al viale, a circa un chilometro di
distanza tra
loro.
Lui camminava tranquillo,
rigirandosi il mazzo di chiavi intorno ad un dito mentre lei invece si
guardava
intorno. Erano completamente immersi nella campagna inglese, non sapeva
bene
dov’erano ma intorno a loro c’era solo quiete, le
altre case sembravano essere
distanti chilometri e chilometri.
“Pensavo di far cambiare
questi cipressi con una qualche altra pianta…faggi, tigli,
platani…qualcosa di
diverso…insomma così sembra un
cimitero!” commentò Francis.
Victoria scrutò con gli
occhi chiari gli alberi che costeggiavano il percorso.
“Sì, in effetti è un po’
inquietante.”
Mano a mano che si
avvicinavano l’edificio si stagliava sempre più
imponente davanti ai loro
occhi.
“Wow…ma quanti soldi aveva
il tuo prozio?”
“Non ne ho idea” Francis
disse le parole molto distanziate tra loro, completamente perso in
ciò che
aveva davanti a sé.
I loro pensieri vennero
interrotti dall’arrivo di un omino basso e tarchiato, che si
chiuse alle spalle
il grande portone della villa. Si avvicinò a loro con passi
piccoli e veloci.
“Lei è il signor Collins?”
chiese a Francis, il quale annuì.
“Bene. Gli ispettori sono
venuti stamattina a controllare la villa. Il tetto è stato
ristrutturato cinque
anni fa, quindi non ci sono problemi, così come le tubature
e l’impianto
elettrico. E’ tutto abbastanza recente considerato che
l’edificio ha circa
trecento anni; il signor Hank ci teneva molto, per una questione di
sicurezza…”
“Molto bene…”
“Solo il giardino deve
essere sistemato, signore. La serra deve essere sistemata e il gazebo
sul retro
ha alcune assi pericolanti…”
“La ringrazio signor
Pentus” disse Francis
“Si figuri. Le lascio le
chiavi.” L’uomo porse il mazzo di chiavi che aveva
in mano a Francis con un
gran sorriso.
“Benvenuto a casa signor
Collins”
Rimasti soli Francis tornò
a rivolgersi alla ragazza al suo fianco. Insieme percorsero i tre
gradini di
pietra che li separavano dall’entrata.
Francis aprì il portone di
legno massiccio della villa ed entrò per primo ma, mentre
lui andò diretto
verso la grande scala che conduceva ai piani superiori, lei rimase
estasiata a
fissare quel soffitto altissimo, con le grandi finestre antiche da cui
filtrava
la luce.
Sentì a malapena il suo
fidanzato dire “Beh l’ambiente andrebbe un
po’ svecchiato ma sarebbe bello
abitare qui, non trovi?”
Quasi senza rendersene
conto si ritrovò a rispondere con voce quasi eterea e appena
udibile “Sì,
suppongo di sì”
Da quando era successa
quella cosa di Magnus William aveva iniziato un rapporto epistolare con
Elaine.
La ragazza gli aveva scritto la prima volta per ringraziarlo nuovamente
di
quello che aveva fatto per lei e la sua famiglia. Si erano continuati a
scrivere, con lei che gli raccontava del suo trasferimento nella nuova
casa ma
le lettere della giovane si erano fatte sempre più rade e
misere. Ciò l’aveva
spinto ad avere la bislacca idea di andare a trovarla. Aveva deciso,
ormai da
tempo, che forse valeva la pena provare e vedere come sarebbero andate
le cose
tra loro.
Aveva preso un mazzo di
fiori e si era presentato a quel piccolo cottage di campagna.
“Will…che sorpresa!” fece
Elaine aprendo la porta, non avrebbe mai immaginato di trovarselo
lì.
Il ragazzo sentì provenire
dall’interno il pianto della piccola di casa, in effetti
Elaine sembrava
leggermente in difficoltà e lo pregò di entrare e
scusarla mentre cercava di
dondolare la piccola culla dove la bambina si lagnava.
“Basta….dormi…per favore”
supplicò alla neonata. Elaine prese il biberon che aveva
lasciato appoggiato
sul tavolino da caffè e fece per riportarlo in cucina.
Mentre William aspettava
si avvicinò istintivamente alla bambina e la prese in
braccio, cullandola
appena.
La piccola Kayla sembrò
calmarsi all’istante suscitando lo stupore della madre,
quando varcò la soglia.
“Ma come hai fatto?” chiese
Elaine con occhi sgranati “Finora non ha funzionato
niente!”
“Suppongo che avesse
bisogno solo di essere coccolata un po’” fece lui
mentre guardava la bambina
totalmente ammaliato.
“O forse è semplicemente
esausta, come me”
“Preferisco la mia versione”
sorrise lui cercando poi di rimettere la piccola, placidamente
addormentata,
nella sua culla.
Con movimenti lenti mise
giù la neonata, messo un po’ a disagio dalla
presenza di Elaine, che lo
guardava da sopra la sua spalla. Per un attimo pensò che
loro due, in piedi lì
davanti alla culla, potevano sembrare una famiglia. Che cosa
stupida…loro non
erano certo una famiglia ma magari, un giorno…
I due si sedettero sul
divano e finalmente lui poté consegnarle il mazzo di fiori
che le aveva
portato.
“Grazie…non dovevi
disturbarti” disse lei arrossendo appena.
L’aria si riempì per un
attimo di un silenzio carico di disagio. Will fremeva, voleva arrivare
al punto
ma non sapeva proprio come. Colse l’occasione quando la
ragazza al suo fianco
gli domandò “Allora, cosa ci fai qui?” e
lui rispose “Questo” prima di
avvicinare le labbra alle sue e baciarla.
Per un attimo Elaine, per
quanto sorpresa, non sembrò troppo disturbata dalla cosa ma
poi si ritrasse all’improvviso
mormorando “Scusa…non posso.”
William rimase molto
stupito dal comportamento della giovane “Come sarebbe a dire
che non puoi?”
“Non posso…non posso
frequentarti ora”
“Mi stai prendendo in giro?”
chiese lui sperando di avere ragione ma sentiva già la
rabbia crescere in lui.
Al segno di diniego da parte di lei sbottò “Come,
prima quando dico che il
problema era che tu fossi sposata tu mi hai detto che non
c’era nessun problema
e che ti avevo spezzato il cuore! E ora che sono qui, pronto a mettermi
in
gioco per te, tu mi allontani così?”
“William…”
“William cosa?” fece
alzandosi in piedi.
“Io…ho capito una cosa da
quando Magnus è morto: sono finalmente libera, la mia vita
è di nuovo…mia. E lo
so che questo vorrebbe dire poter fare ciò che
voglio…ma c’è qualcuno che ha
bisogno di me e merita tutte le mie attenzioni, tutto il mio tempo e il
mio
spazio…cerca di capire”
William fissò lo sguardo su
Kayla, che sembrava non aver sentito niente di tutto ciò che
le accadeva
intorno.
“Lo capisco…” sussurrò lui
abbattuto “Io allora me ne vado”
“Kayla è così piccola…voglio
dedicarmi solo ed esclusivamente a
lei…scusa…”
Il ragazzo fece un mesto
sorriso mentre impugnava la maniglia della porta.
“Dammi tempo” lo pregò lei
“Magari
fra un po’…”
“Ciao Ely” si limitò a dire
lui mentre usciva da casa sua.
Mentre si trovava davanti a
quella casa di una piccola cittadina babbana vicino a Rouen, Angela
sentiva a
stento il vento freddo che le sferzava la pelle. Era in piedi davanti a
quel
portone scuro da un tempo indefinito, la paura si era impossessata di
lei e le
impediva di suonare il campanello.
Aveva speso tutto il suo
tempo libero alla ricerca di suo fratello, e ora era lì.
L’aveva trovato. Un
dubbio però si era istillato nella sua mente: e se quello
che aveva visto non
era suo fratello? Se era un qualunque uomo francese e tutti i film
mentali che
lei si era fatta erano, appunto, film mentali?
Aveva chiesto a tutti i
medici in servizio, aveva sfruttato una sua amica dai tempi della
scuola che
lavorava all’Ufficio Passaporte per poter rintracciare Philip
Douvres o meglio Jonathan
Stuart e alla fine era giunta a quell’indirizzo.
Se non era suo fratello
tanto valeva scoprirlo e togliersi dalla testa quella storia,
convincersi che
Jonathan era morto e chiudere quel capitolo una volta per tutte.
Perfetto, ora sentiva anche
le lacrime che le pizzicavano gli occhi.
Alzò gli occhi al cielo nel tentativo di
ricacciarle e si decise a
suonare il campanello.
Non passò molto prima che
la porta si aprì e Angela si trovò davanti una
donna algida, con lunghi capelli
castani legati in una treccia laterale e occhi scuri che sembravano
trafiggere
al singolo sguardo.
“Posso esserle utile?”
chiese.
“Cerco Jonathan” le uscì
detto senza pensarci ma prima che potesse correggersi, la donna davanti
a lei
le rivolse uno sguardo confuso.
“Qui non c’è nessun
Jonathan, mi dispiace”
“Mi dispiace, mi dispiace,
volevo dire Philip” si scusò frettolosamente Angy.
La donna alzò un
sopracciglio, scettica poi girò leggermente il viso verso
l’interno
dell’abitazione. “Philip, c’è
qualcuno per te!” urlò.
Angela tirò un minuscolo
sospiro di sollievo. Non era poi così lontana dalla
soluzione. Il cuore iniziò
a batterle all’impazzata quando vide una figura familiare
sbucare da una stanza
sul retro della casa, mentre si toglieva un paio di guanti da
giardinaggio.
Quel fisico, quei capelli
scuri quasi neri, quegli occhi azzurri così simili ai suoi.
Non aveva dubbi.
Aveva la sua risposta: quello era Jonathan.
Fece per chiamarlo ma le
mancò il fiato quando quella donna chiese “Philip
conosci questa ragazza?” e
lui rispose “No, non conosco questa ragazza.”
L’uomo si girò e si diresse
di nuovo verso la cucina.
“No, aspetta!” si ritrovò
ad esclamare Angy.
“Senta signorina,
evidentemente ha sbagliato persona…”
“Johnny sono Angy! Sono tua
sorella!” gridò la mora facendo un passo per
entrare dentro casa, voleva
raggiungerlo, scuoterlo per un braccio ma invece si ritrovò
la bruna che urlava
indispettita.
“Non so chi sia lei o cosa
voglia ma mio marito non ha nessuna sorella! E ora se ne
vada!”
“Lei non capisce, io devo
parlargli!”
“Se ne vada prima che
chiami la polizia!”
In un attimo Angela si
ritrovò sbattuta fuori, in lacrime. Non c’erano
altre passaporte per il Regno
Unito quel giorno, era costretta ad aspettare il giorno successivo.
Passò il pomeriggio e la
sera stesa sul letto di una camera d’albergo, ferma a fissare
il soffitto,
incapace di rendersi conto di cosa era successo. Era arrivata
così vicina a suo
fratello…e lui l’aveva guardata come se si fosse
trattato di un’estranea.
Mandò un gufo a
William, non specificando cosa era successo ma tranquillizzandolo sul
fatto che
sarebbe tornata il giorno dopo, poi ordinò il servizio in
camera.
Non si stupì quando sentì
bussare alla porta. Quando aprì e vide Johnatan davanti a
lei per poco non ebbe
un infarto.
Rimase pietrificata, con
gli occhi sgranati quando quelle due braccia la avvolsero nello stesso
identico
modo che ricordava.
“Credevo che non ti avrei
mai più rivista” disse lui con voce rotta mentre
affondava il viso in quei
capelli scuri.
Angela non riuscì a
rispondere. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dall’odore
familiare del fratello.
Quando si furono calmati,
sciolsero l’abbraccio e Jonathan si chiuse la porta della
stanza alle spalle,
asciugandosi gli occhi umidi e arrossati.
“Tu…” provò a dire Angela
ma le parole le morirono in gola. Avrebbe voluto dirgli talmente tante
cose che
il suo cervello non riusciva a processarle.
“Mi dispiace per oggi, per
gli ultimi cinque anni, per tutto” disse lui appoggiando
entrambe le mani sulle
spalle della ragazza.
“Perché?”
In fondo era quella l’unica
cosa che le interessava sapere. Perché era sparito?
Perché se ne era andato
senza lasciare alcuna traccia? Aveva passato settimane a piangere
pensando che
lo avessero rapito, torturato o ucciso. E invece…
“È una lunga storia, Angy”
“Ho tempo” rispose lei
incrociando le braccia e sedendosi sul bordo del letto.
Jonathan si sedette su una
sedia lì vicino, si passò una mano tra i capelli.
Era evidentemente in
difficoltà, come se non sapesse da dove cominciare.
“Per un periodo ho avuto
una relazione con una ragazza…” poi un sorriso
quasi sarcastico si dipinse sul
suo volto “Un giorno viene da me e mi dice che suo marito, un
Mangiamorte, ci
ha scoperto o meglio ha scoperto che sua moglie lo tradiva. Io non
avevo idea
che fosse sposata. Se quell’uomo avesse scoperto chi era
l’amante di sua moglie…ci
avrebbe massacrati…tutti quanti”
“Johnny…” lo chiamò.
“Dovevo andarmene, Angy.
Non potevo rischiare che vi succedesse qualcosa, cerca di
capire” la pregò.
“Avresti potuto dirmi
qualcosa…avremo trovato un modo…”
“No…no. Non potevo
coinvolgere altra gente, era troppo pericoloso.”
Angela si stava sforzando
di capire; la parte razionale del suo cervello le diceva che quello che
aveva
fatto suo fratello era pienamente giustificato ma il suo cuore non
voleva
accettare il fatto che lui se ne fosse andato senza neanche dire addio,
anche
se l’aveva fatto per proteggere se stesso e la sua famiglia.
“Quindi sei venuto qui…hai
cambiato nome…”
“Vivo come un babbano ora…
non volevo attirare l’attenzione. Nessuno sa che sono un
mago, nemmeno mia
moglie, Angelique”
“Non mi è sembrata tanto
angelica” ridacchiò Angy.
“Beh, nonostante il nome è
simile, lei non è certo come te, sorellina. È
buona ma è piuttosto gelosa.”
L’uomo sorrise ricordando
le scenate di gelosia che faceva sua moglie poi continuò
“Mi dici come mi hai
trovato?”
“Ti ho visto al San Mungo e…ho
ripreso a cercarti.”
“Lavori al San Mungo ora?”
I due passarono ore, tutta
la notte, a chiacchierare e a riaggionarsi come facevano una volta fino
a
quando, mentre fuori albeggiava, Jonathan si alzò dicendo
che doveva tornare a
casa.
“Non dire niente a mamma e
papà di tutto questo, specialmente alla mamma”
“Ma…non hai idea di quanto
abbia sofferto! Lei vorrebbe vederti se sapesse che sei vivo e che stai
bene!”
Jonathan sospirò prendendo le
mani della sorella tra le proprie. “So della caduta di Lord
Voldemort, so che
la maggior parte dei Mangiamorte sono ad Azkaban ma è ancora
tutto troppo
pericoloso. Già il fatto che tu sappia tutto mi preoccupa,
non voglio che anche
nostra madre sia in pericolo.”
La ragazza gli si gettò
addosso per abbracciarlo. “Non voglio perderti adesso che ti
ho ritrovato”
disse.
“Non mi perderai, te lo
prometto”
Jonathan si specchiò negli
occhi di Angela, identici ai suoi e vi vide dentro tutta la
preoccupazione che
affliggeva in quel momento la sua adorabile sorellina.
“Ti fidi ancora di me?” le
chiese.
“Sempre”
Finalmente anche Ottobre
sembrava essere arrivato al capolinea, era infatti l’ultimo
giorno del mese.
Era mattina presto e Freya osservava Sebastian accanto a lei che
dormiva e
russava piano. Non sapeva come ma sembrava tutto così
facile, così assurdamente
normale. Non aveva più avuto incubi o attacchi di panico e
si stava godendo una
relazione normale, di quelle che la gente dà per scontate ma
che per lei era un
traguardo incredibile.
Il ragazzo si girò verso di
lei ed aprì lentamente gli occhi.
“Buongiorno” lo salutò lei
con un sorriso allegro.
“Giorno” mugugnò Sebastian
in risposta poi si sporse verso di lei per catturare quelle labbra
sottili tra
le proprie.
Il ragazzo la attirò a sé e
continuò a baciarla con sempre più insistenza.
“Smettila…” ridacchiò Freya
senza però interrompere quei baci “Devi andare a
lavoro…non ti permetterò di
usarmi come scusa!”
“Bacchettona” rispose lui
senza smettere di sorridere. A malavoglia si alzò dal letto
e si diresse verso
il bagno.
“Guarda che io non ti
mantengo se ti licenziano” lo prese in giro a voce alta per
farsi sentire.
Freya si tirò su a sedere,
con la schiena appoggiata alla testiera del letto e il resto del corpo
coperto
dal lenzuolo rosa, solo dal lenzuolo.
“Stasera io, May e Naomi
andiamo a fare dolcetto o scherzetto. Vieni con noi?”
Il ragazzo si affacciò e
rimase appoggiato allo stipite della porta con Freya che rimirava
quello
splendido adone in boxer.
“Non siete un po’
grandicelle per fare dolcetto o scherzetto?”
“Non si è mai troppo grandi
per i dolcetti, Sebastian Lennox. E poi lo facciamo per Naomi, per
farla uscire
e svagare un po’”
“E allora io cosa c’entro
scusa?”
“Beh, mi sembrava brutto
non invitarti” rise lei.
Sebastian si avvicinò al
letto cercando di sembrare minaccioso, cosa che non gli riusciva
perfettamente perché
non riusciva a trasformare quel sorriso sardonico in qualcosa di
più tenebroso.
“Ah, e così si trattava di
un invito di convenienza…speravi che dicessi di no,
ammettilo” la provocò arrivandole
sempre più vicino.
“No”
“Ammettilo”
“No” rise lei mentre la
bocca di Sebastian era arrivata ormai a pochissimi centimetri dalla sua.
La ragazza si aspettava di
essere baciata ma ciò non avvenne. Sebastian le disse, con
una voce strascicata
e suadente: “Ti salvi solo perché devo passare da
casa a cambiarmi prima di
andarmi a lavoro.”
Freya passò il suo giorno
libero in giro per la città, sia nella zona babbana che in
quella magica, alla
ricerca di un qualche costume per lei e per May, che era al lavoro.
Maysilee uscì dall’ospedale
magico alle sette di sera, quando ormai fuori era quasi buio pesto. Le
giornate
erano diventate sempre più brevi, ormai se iniziava il turno
la mattina presto
fino a sera, usciva e rientrava in casa col buio.
Era stata una giornata
piuttosto pesante a lavoro. Quando c’era una qualsiasi festa
la gente sembrava
rincitrullirsi di botto e quell’ignorante del nuovo Capo
Reparto sembrava
rendeva le cose ancora più difficili.
Provò uno straordinario
sollievo quando, tornata nell’appartamento, vide che Freya
aveva preso la cena
pronta per entrambe.
“Ho trovato i costumi”
annunciò Freya.
L’amica sollevò gli occhi
azzurri con espressione interrogativa, come per invitarla a continuare.
“Aspetta qui” le intimò
l’altra
prima di correre in camera.
May aspettò continuando a
mangiare la sua cena, qualche minuto più tardi vide Freya
spuntare in salotto
con una veste da strega più annesso cappello e la sua
bacchetta.
“Tadà” fece allargando le
braccia.
All’amica sfuggì una risatina.
“Streghe che si travestono da streghe?”
“Che c’è? Andremo in un
quartiere babbano, non ci scoprirà nessuno anche se
volessimo far uscire
qualche scintilla dalla bacchetta”
Un’ora più tardi le ragazze
si trovavano davanti casa dei genitori di May. Andò loro ad
aprire Nathan, il
padre di May.
“Ciao papà…”
“Ragazze…cosa ci fate
vestite così?”
“Siamo venute a prendere
Naomi per andare a fare dolcetto o scherzetto” rispose la
figlia come se fosse
la cosa più ovvia del mondo.
“Tua sorella non verrà
fuori.”
Gli occhi di May si
spalancarono per la sorpresa. Notando ciò l’uomo
si sbrigò a dare delle
spiegazioni.
“E’ pericoloso per delle
ragazze come voi andare in giro di notte. E Naomi è incinta,
è meglio che stia
in casa, riposata e al sicuro.”
May si oppose fermamente a
quel padre che, per quanto volesse loro bene, aveva sempre fatto fatica
ad
accettare che le figlie fossero delle streghe e che fossero mature
abbastanza
da prendere le loro decisioni. Non riuscì ad ottenere una
risposta dall’uomo
però quando lei e Freya si allontanarono gettò
uno sguardo alla finestra della
camera di Naomi dove c’era la stessa ragazza che le faceva
cenno con la mano di
aspettare.
Poco dopo May la vide
sparire e ricomparire da un vicolo dove evidentemente si era
smaterializzata.
Sorrise pensando a quanto era cambiata la sua dolce e carina sorellina.
“Grazie per avermi
aspettata” disse una volta raggiunte le due bionde.
“Non potevo non farlo…è il
primo anno che porto mio nipote a fare dolcetto o scherzetto e
preparati, perché
lo farò tutti gli anni” sorrise lei, trionfante.
Edward e Johanna chiusero
la porta di casa del ragazzo dopo aver consegnato una manciata di
caramelle a
due adorabili bambini che si erano travestiti da Auror in miniatura.
La ragazza aveva deciso di
chiudere il locale quella sera, affermando che c’erano
già abbastanza matti
nelle serate normali, figurarsi ad Halloween, e si era unita al
fidanzato nel
distribuire dolcetti ai bambini del vicinato.
La caduta di Voldemort
voleva dire anche quello, che dopo anni in cui erano rimasti chiusi in
casa,
ora piccoli maghi e streghe potevano andare in giro e godersi la festa.
“Credo che ormai siano
finiti, comincia ad essere tardi…” disse Edward.
“Già…la bambina vestita da
basilisco comunque era la migliore”
“Sì, decisamente” concordò
lui “Andiamo a letto?”
Johanna annuì e dopo aver
chiuso casa i due andarono al piano di sopra e si infilarono
accoccolati sotto
le coperte.
Era bello, per Edward,
avere Jo lì con lui. La casa sembrava molto silenziosa e
vuota da quando Elaine
se ne era andata quindi il fatto che la ragazza ogni tanto rimasse a
dormire lì
diventava ancora più piacevole.
Anche per Johanna era bello
essere lì, tranquilla e avvolta in quelle braccia grandi,
specialmente in giorni
come quello, in cui non aveva il pensiero di dover aprire il Crazy Head
il
giorno dopo.
Si era quasi assopita con
la testa appoggiata al petto di lui quando lo sentì dire
“Jo, io ti amo”
“Anch’io” rispose
automaticamente ma con una punta di sospetto nella voce.
“Sono contento che ti fermi
qui stanotte….e che ti sia fermata qui
martedì…e so che è
presto…ma non mi
basta più…ti andrebbe di fermarti qui per
sempre?”
Buon pomeriggio!
Siamo infine giunti
all’ultimo
capitolo di questo viaggio che è stato, almeno per me,
meraviglioso.
L’epilogo, con
annesso salto nel futuro (perchè a me piace
così), è già scritto e
lo pubblicherò domani mattina con annessi ringraziamenti e
saluti lacrimevoli.
Baci
H.
|
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Capitolo 15 *** Epilogo ***
Il sole splendeva in quella
tiepida giornata di Maggio. C’era una leggerissima brezza che
muoveva le foglie
degli alberi presenti in quel grande giardino. C’erano una
decina di file di
sedie bianche posizionate sull’erba davanti ad un gazebo
coperto da rami e rami
di rose in fiore. All’interno della villa, davanti ad una
finestra che dava sul
giardino c’era una ragazza, avvolta nel suo abito da sposa,
che non poteva
ancora credere a quello che stava succedendo.
Johanna Johnson sorrise
vedendo la gente che iniziava ad accomodarsi, voleva dire che mancava
poco,
davvero poco al suo matrimonio. Lei che non aveva mai creduto troppo ai
lieti
fine stava per avere il suo.
Un bussare alla porta la
ridestò dai suoi pensieri.
“Posso?” chiese Sebastian
affacciandosi con la testa.
“Entra” lo invitò la
ragazza. Il ragazzo entrò nella stanza e rimirò
la propria migliore amica da
capo a piedi. Era davvero splendida nel suo abito bianco, stretto sulla
vita e
con la gonna che si allargava piano piano.
“Sei splendida” commentò
afferrandole entrambe le mani.
“Grazie…Seb, devo chiederti
una cosa” disse Jo conducendo lui verso il divano.
Una volta seduti Sebastian
replicò “Dimmi…”
Per una volta Johanna
sembrava veramente imbarazzata, come se si vergognasse a parlare.
“Io…ho bisogno
di qualcuno che mi accompagni all’altare” disse
tutto d’un fiato.
Lui le strinse le mani più
forte “Ne sarei onorato” e la abbracciò.
“Sono così agitata che
potrei anche cadere lungo il percorso” commentò
lei, dopo che si furono
staccati.
“Ci sono io a sostenerti”
sorrise lui.
La giovane si alzò e si
rimise seduta davanti la toeletta per finire di truccarsi mentre
l’amico se ne
stava in piedi davanti alla finestra.
“Oh guarda, stanno
arrivando Freya e May…e sembrano due vecchiette! Ti dispiace
se vado in loro
aiuto? Torno subito.”
“Vai pure” gli sorrise
radiosa guardandolo da sopra una spalla.
Nel grande giardino May e
Freya stavano camminando a braccetto nel tentativo piuttosto vano di
non
affondare con i tacchi nel terreno.
“Maledetto prato e maledetti
tacchi!” imprecava la nuova giovane Capo del Reparto Ferite
da Creature
Magiche.
“Dai, siamo quasi arrivate”
la incoraggiò l’amica.
Quando arrivarono in vista
del gazebo rimasero entrambe senza parole dalla bellezza del luogo.
“Però…non ce la facevo Jo
così romantica” commentò May
“Anche se penso che la sorella di Edward ci abbia
messo lo zampino.”
Freya ridacchiò “In effetti
non ce la facevo Jo una tipa da matrimonio”
“Signore, avete intenzione
di abbagliare qualcuno con cotanta bellezza?”
La voce precedette l’arrivo
di un sorridente Sebastian Lennox.
“Scemo” commentò Freya
prima di staccarsi dall’amica per andare a baciare il suo
fidanzato.
“Posso accompagnarvi ai
vostri posti?” chiese alle due donne.
May lo ringraziò
mentalmente prima che prendesse entrambe sotto braccio e le scortasse
ad una
delle prime file di sedie bianche.
“Mi fermerei volentieri qui
con voi ma la sposa ha ancora bisogno di me” e
salutò le due ragazze prima di
tornare verso la villa.
In quel momento in piedi
nel patio della villa c’era una giovane donna che controllava
con gli occhi
acquamarina l’evolversi della situazione e poi
abbassò lo sguardo per rimirare
se stessa.
“Tutto ok?” chiese Francis
avvicinandosi a lei.
“Va tutto alla grande”
rispose Victoria “Eccetto per il fatto che mi sento una
specie di meringa”
disse riferendosi all’abito di chiffon rosa pesca che
indossava.
“No, non una meringa…direi
più una meravigliosa torta alla panna”
Notando l’occhiataccia che
sua moglie gli riservò Francis si sbrigò a
correggere il tiro. “Scherzavo…sei
assolutamente meravigliosa, siete meravigliose, tutte e tre”
aggiunse
accarezzando la pancia arrotondata della donna.
“Ruffiano” fece Victoria
assottigliando gli occhi.
Un attimo dopo entrò nel
suo campo visivo Elaine e si sbrigò, per quanto le fosse
possibile, a
raggiungerla.
“E’ pronta Kayla?”
L’altra sbuffò scacciandosi
una ciocca di capelli da davanti agli occhi. “Non uccidermi
ti prego ma si è
rovesciata addosso il succo di zucca. Sono appena andata a recuperare
la
bacchetta.”
“Sbrigatevi, mancano solo
quindici minuti” si raccomandò.
“Sì capo” rispose l’altra
portandosi una mano tesa all’altezza della fronte.
Elaine salì in fretta le
scale per il piano superiore ed entrò nella stanza dove si
erano cambiate lei e
la piccola Kayla.
Trovò la bambina che
saltava sul letto.
“Scusa, non sono riuscito a
fermarla” fece William alzando le mani in segno di resa.
Elaine alzò gli occhi
al cielo a sentire le parole dell’amico. Alla fine era quello
che si era
rivelato William Traynor, un amico fidato e un sostegno per lei e la
bambina.
Ci avevano provato a far funzionare le cose per un periodo ma per una
serie di
cause avevano visto che non erano destinati a stare insieme. Ma a lei
andava
bene così, stava bene da sola, finalmente poteva godersi un
po’ di quella libertà
che aveva bramato per anni.
Will scese le scale per
tornare in giardino mentre si sistemava la cravatta. Quello era il
secondo
matrimonio a cui partecipava nel giro di un mese. Soltanto qualche
settimana si
erano sposati Angela e Luke. Se solo glielo avessero detto cinque anni
prima
non ci avrebbe mai creduto e invece ora i due erano in viaggio di
nozze. Non
erano cambiati poi molto, battibeccavano spesso…come quando
avevano discusso di
chi dovesse avere William come testimone. William aveva scelto di
essere il
testimone di Luke, con grande disappunto da parte della sua migliore
amica che,
alla fine, aveva avuto un testimone d’eccezione: suo fratello.
Elaine e Kayla uscirono
dalla camera qualche minuto più tardi per andare da Edward.
La sorella lo trovò a
misurare la stanza con grandi falcate e a torturarsi le mani in preda
all’ansia.
“Smettila…” gli disse
Elaine.
“Sicura che è ancora di là,
che non è scappata?” chiese l’uomo
“Si”
“E abbiamo ringraziato
Francis e Victoria per averci prestato casa?”
“Ovviamente”
“Gli ospiti sono arrivati?”
“Per l’ennesima volta si”
“Le fedi le hai prese?”
“Oh merda, le fedi!”
esclamò portandosi una mano sulla fronte.
Edward impallidì e guardò
la sorella con gli occhi spalancati.
“Scherzavo!”
“Non è divertente…la mia
principessa è pronta?” chiese poi lui rivolto alla
nipotina.
“Pronta” rispose la bambina
tutta allegra.
Le due si diressero verso
la stanza dove si trovava Johanna, mentre Edward aspettava la sorella
lungo il
corridoio.
“Edward ha paura che tu
scappi” disse Elaine dopo essere entrata nella stanza.
“Edward è un’idiota”
bofonchiò Johanna.
“Che pensiero carino sul
tuo quasi marito” ridacchiò l’altra, poi
si abbassò a livello di sua figlia per
le ultime raccomandazioni “Allora, hai capito cosa devi fare:
cammini davanti
la zia Jo e ad ogni passo getti a terra una piccola manciata di
petali.”
Kayla annuì.
“Ok, io vado di sotto con
Edward”
Dieci minuti più tardi
Edward Burke era in piedi sotto al gazebo e guardava sua moglie, o
meglio la
sua quasi moglie, camminare verso di lui, bella ed emozionata come non
mai e
capì che quello era in assoluto il giorno più
bello della sua vita.
Siamo arrivati proprio alla
fine di questa storia… dire che non mi dispiace sarebbe
mentire perché bene o
male mi sono affezionata a tutti i personaggi.
Non avrei mai pensato di
scrivere un’interattiva, figuratevi concludere la
seconda…e visto che la
maggior parte delle interattive non vanno in porto, lo considero un
piccolo
trionfo personale!
A questo punto non posso
non ringraziare chi ha messo le basi per questa storia, fornendomi
degli OC
splendidi e anche chi ha provato, ma non è riuscito a
partecipare.
Un grazie speciale alle 2
persone che hanno messo la storia tra le preferite e alle 8 che
l’hanno messa
tra le seguite, a chi ha recensito e anche a chi ha solo letto.
Non vi libererete
facilmente di me!
H.
|
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