Johnlock e gli Dei dell'Olimpo

di Fantasy090
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Non sapevo di essere un mezzosangue - Parte 1 ***
Capitolo 3: *** Non sapevo di essere un mezzosangue - Parte 2 ***
Capitolo 4: *** Discuto con un serpente (più o meno) ***
Capitolo 5: *** Di coraggio e graditi risvegli ***
Capitolo 6: *** Coccodrilli, panciotti vintage e amare verità ***
Capitolo 7: *** Spiriti maliziosi e video-aiuto per mezzosangue ***
Capitolo 8: *** Catturiamo una bandiera ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


cap 1 sj Prologo

{Hai sentito?
Ovvio, non sono sordo. Conviene ricominciare a muoverci. Da questa parte.
Ma la mappa dice-
Lascia stare la mappa. Ti fidi di me?
Eh?... io...certo!
Allora seguimi, conosco una scorciatoia.}

                                                     --------------------------------------------------    O   -------------------------------------------------


Prova? Prova?

[Jown, piantala con quell'affare e aiutami. Il fuoco non vuole accendersi!]

Dovresti provare a chiederglielo gentilmente, magari ti ascolta!

[...]

Ok, arrivo.

*CLICK*


A quanto pare qualcuno ha avuto la faccia tosta di mettere il broncio, dopo che la suddetta scorciatoia si è rivelata essere un buco nell'acqua. Letteralmente. Siamo partiti in missione da meno di tre giorni e già rischiamo di doverla interrompere per rischio di ipotermia.

Ma che volete farci, sono i pericoli del mestiere. E' vi assicuro che nel nostro caso l'ipotermia è nulla.

Mi chiamo John, John Watson. Vivo a Londra, la capitale del tea, dei centrini di pizzo e dei pazzi psicopatici.

[Sociopatico ad alta funzionalità, per Zeus! Lo sai che detesto ripetermi.]

Non stavo parlando di te infatti.

[Oh…]

Già. Potresti smetterla di usare certe esclamazioni? Vorrei evitare di farci colpire da un fulmine.

 

Come dicevo, vivo a Londra. Da qualche anno mi sono trasferito qui dagli Stati Uniti per motivi familiari.

Ho quasi diciotto anni. Uhm, cos’altro…?

Ah, già. Sono un mezzosangue.

E nonostante i malauguranti calcoli statistici di QUALCUNO, che affermano che la nostra vita media è compresa tra i dodici e i sedici anni di vita-

[Quindici e nove mesi. Dov’è la tua memoria neuro-uditiva quando serve?]

Oh per Zeu- Ok! Quindici e nove mesi, me la sono cavata piuttosto bene, fino ad oggi.

 


Qualche tempo fa studiavo alla Cambrige High School, la quale, per inciso, non ha nulla a che vedere con la contea, data la sua ubicazione appena fuori Londra.

[Ubicazione? Davvero John, non ti facevo in possesso di un tale lessico.]

Zitto tu.

I miei guai, per usare un eufemism-

[Oh, un altro termine oltremodo approp-]

Sherlock! Dicevo, i miei guai sono iniziati qualche mese addietro, durante quella che consideravo essere una tranquilla e noiosa gita fuoriporta.

A quanto pare mi sbagliavo di grosso.

 

[Hai finito con queste inutili proposizioni a effetto? Sono assolutamente insensate. Aggettivo che, se vuoi saperlo, attribuisco all’idea stessa di fare un audio-diario. A che scopo, John? E’ come mettersi a ballare la danza della pioggia nel Sahara. Superfluo e noioso. Molto meglio osser-]

 

*CLICK*

Registrazione salvata.

Data: 12-6-15

Durata: 5:07

Zio Rick, vedi cosa mi fai fare? E' tutta colpa t- SALVE! Felice che siate arrivati alla fine intrepidi lettori. Ora, una serie di semplici chiarimenti: i vari capitolo saranno incentrati sul POW (punto di vista) sia di John che di Sherlock (ma più di John, perchè, come il moro ha sottolineato, fare audio-diari è NOIOSO). Ho apportato delle modifiche, come aumentare l'età di... chiamiamola attivazione dell'odore "Ehi-mostri-sono-qui-venitemi-a-prendere", e diminutito di un bel po' l'età dei nostri eroi (la definirei una Teen!lock a questo punto). Ho cerato di riprendere almeno in parte lo "stile" di Percy nei libri. Essendo la mia prima ff in questo fandom ESIGO vostri pareri. Ok, no, non li esigo, però mi farebbero taaaanto piacere ;) Per ora è solo il prologo, la vera storia arriverà prima di quanto pensiate. O forse no... Che dire? Spero cha questa prima sbirciata vi chiappi ;) Alla prossima <3 Kiss ;-*

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Capitolo 2
*** Non sapevo di essere un mezzosangue - Parte 1 ***


 

 

Una volta una persona mi disse che l’uomo medio usa solo il 5% delle sue capacità cerebrali.

Probabilmente un mezzosangue medio ne usa il 2%, altrimenti non mi spiego come una normalissima gita al British Museum si possa essere trasformata in un disastro epocale nel giro di mezza giornata.   

[Ho già detto che mi dispiace, John!].

Si. Certo…

 

 {JOHN}

Londra è la città senza tempo. O così dicono i libri. Un cuore vivo da cui si snoda un eterno reticolo di strade. Una creatura caotica e pulsante che vive alla giornata.

Londra è la città del mistero. O così mi piace pensare. I suoi neri vicoli, che la fioca luce dei lampioni non raggiunge mai davvero, trattengono nei loro anfratti segreti ancora più oscuri.

Ma, fino a pochi mesi fa, Londra era semplicemente la città nuova. Ed io uno dei suoi tanti albergati.

L’America era diventata troppo stretta per mia madre. Immagino accada a chiunque sia costretto a crescere due figli senza uno straccio di marito. O di fidanzato. O di qualunque cosa mio padre fosse. Trasferirci era sembrata la scelta più sensata.

Col senno di poi, nutro numerosi dubbi al riguardo.

Comunque.

Il lancio delle freccette era stato doveroso. Io e Harriet (la quale, per inciso, detiene il titolo di figlia “maggiore” solo per la data di nascita e il suo metro e settanta) abbiamo passato una buona mezzora a litigare su quale parte dell’Europa il mare del Nord (su cui la freccetta rossa era andata a incunearsi) rappresentasse.

Alla fine nostra madre ha tratto un lungo ed esasperato sospiro (lo fa spesso, il lavoro la stressa troppo, ma non lo ammetterebbe mai) e ha deciso per noi che l’Inghilterra sarebbe andata più che bene. Nessuna nuova lingua da imparare se non altro.

Dunque eccomi qui.  Nuova casa, nuovo Paese, nuova vita. E nuova scuola.

E qui arriva il tasto dolente.

Non che sia un ragazzo problematico o altro.

Davvero.

La scuola non mi ha mai creato problemi. Ho sempre avuto voti medio-alti, un comportamento educato e la capacità di farmi amiche le persone giuste. Niente crisi da studio, niente botta e risposta coi prof, niente bulli.

Il che andava più che bene se non fosse tutto assurdamente monotono.

La monotonia monopolizzava le mie giornate molto più di quanto volessi ammettere. Un estenuante circolo vizioso senza una fine apparente.

Fu probabilmente per questo, alla mera notizia che a metà semestre fosse prevista un’uscita al più importante museo londinese, che il mio entusiasmo si accese come mai prima.

Ok, non è esattamente il massimo, lo riconosco. Ma davvero, era meglio che ascoltare la professoressa di chimica che rispiegava per l’ennesima volta le ossidoriduzioni.

Date le premesse, mi aspettavo una rilassante giornata. Che avrei passato senza dubbio con Sarah, la brunetta dell’altra classe, la quale, per altro, non faceva che lasciarmi bigliettini ben poco fraintendibili.

Ehi, sono un bravo ragazzo. Ma questo non vuol dire che alla veneranda età di diciassette anni non ami trascorre il mio tempo con le ragazze.

 

 

Il giorno prestabilito venimmo fatti salire tutti e 40 (40! Si, lo so, è da pazzi) sull’unico bus di linea che ci avrebbe lasciati direttamente in Montague Street.

Seduto sui sedili leggermente usurati, trascorsi il viaggio ascoltando la musica dal mio i-pod (essenziale in ogni mio spostamento) e lanciando di tanto in tanto delle occhiate verso Sarah.

Fin qui, escludendo qualche lamentela di vecchiette irritate da tutta quella gioventù stipata nel mezzo, nulla di strano.

 

Il British Museum, al secolo “Museo di Storia di Londra”, venne fondato nel 1753 da Sir Hans Sloane. (Informazione datami solo successivamente da UNA CERTA PERSONA e non propriamente richiesta).

L’entrata di per se’ è già spettacolare, visto che da’ sulla piazza coperta più grande d’Europa. (Altra informazione non richiesta, ma inevitabile).

 

La prassi prese dunque il sopravvento. Venimmo divisi in due gruppi. Il primo, che sfortunatamente includeva anche Sarah, si avviò verso l’ala dedicata all’antico Egitto.

A questo punto l’unica ancora di salvezza rimaneva il mio fidato i-pod.

Il quale scelse esattamente quel momento per emettere un infelice suono e morire tra le mie mani.

Una scena straziante.

Arreso mi avvicinai al gruppo per preservare almeno la parvenza di interesse. La nostra guida, tale Lestrade, somigliava più ad un ispettore di Scotland Yard che ad una guida museale. Indossava un lungo impermeabile grigio, aperto su dei pantaloni neri e una camicia bianca dal collo consumato. Avrà avuto all’incirca trent’anni, ma ne dimostrava molti di più. Aveva l’aria di un che ne ha viste tante.

Quasi come se avesse sentito i miei inutili ragionamenti, l’uomo si girò verso di me. E mi sorrise.

E' una di quelle persone che sorridono spesso, pensai. Le rughe, molto marcate ai lati degli occhi, si moltiplicavano quando lo faceva.

Il mio personale e alquanto inutile sesto senso lo classificò all’istante come una brava persona.

Fece un cenno con la testa e tutto il gruppo lo seguì verso l’ala est.

La lastra in marmo che troneggiava sull’entrata del salone annuncia che stiamo per visitare l’“Antica Grecia (i reperti, la storia e gli dei)”.

La scritta mi sfarfallò un po’ davanti agli occhi, come se fissassi troppo a lungo uno schermo.

Infastidito distolsi lo sguardo per concentrarmi su Lestrade, che intanto aveva iniziato la visita davanti ad una piccola teca illuminata poco più avanti.

Tredici piccole statutette, grandi non più di una spanna, facevano bella mostra al suo interno.

“Questi” sottolinea Lestrade con un gesto della mano “sono i dodici dei dell’Olimpo. Per i Greci ognuno di loro rappresentava una forza della natura o un aspetto della vita quotidiana.”. Il tono con cui parlava di quei tizi è inspiegabilmente cauto. Quasi come se si aspettasse di essere colpito da un fulmine da un momento all’altro. “Ora, immagino che, anche senza guardare i cartelli, sappiate dirmi almeno qualche nome.”

Volarono qualche “Zeus” e “Poseidone”, seguiti da alcuni “Afrodite” qui e la’. Poi cadde il silenzio.

A questo punto, neanche a dirlo, la guida si voltò verso di me. Mi scrutò qualche istante con quegli occhi grigio azzurri e poi, di nuovo, mi sorrise senza un vero motivo.

“E tu, John? Qualche idea?”.

chiese. Il tono era più che altro pacato e sinceramente incuriosito, per cui non me la presi più di tanto. Era solo una giornata sfortunata.

Mi arrovellai alla ricerca di un dannato nome. Mia madre è sempre stata appassionata di storia antica. Quando eravamo piccoli ci raccontava spesso qualche storia prima di andare a dormire. Nonostante questo non mi veniva in mente niente di niente.

Incerto lanciai un occhio alla mia destra. Sopra una lunga lastra di marmo dalle scene raccapriccianti lessi la mia salvezza prima che le lettere iniziassero nuovamente a sfarfallare impazzite. Forse avrei dovuto farmi vedere da un ottico.

“Ade, ilsignoredegliinferi” buttai fuori tutto d’un fiato. Se avessi trattenuto il respiro fino a quel momento sarei parso meno esausto.

Nella sala cadde nuovamente il silenzio. Lestrade, un po’ pallido (ma probabilmente erano le luci a led della vetrina) mi guardò.

D’accordo, non sarà stato esattamente il più simpatico, ma era sempre un dio, no?

“Molto bene” esalò. Con tutta probabilità non era la risposta che si era aspettato da me.

Come se dovesse aspettarsene una precisa...

Un attimo, come faceva a sapere il mio no-

“Per quanto riguardo gli altri, che spero non si offenderanno della vostra mancata considerazione,…” riprese, e mentre lo diceva lanciò un’occhiata verso l’alto come per assicurarsene “… abbiamo Era, la regina degli dei e protettrice del matrimonio; Apollo, dio della musica e della poesia, ma anche della medicina. Quella in basso è Atena, dea della ragione e delle arti. Alla sua sinistra Ermes, messaggero degli dei, Ares, dio della guerra, ed Efesto, dio dell’ingegneria e del metallo. A destra Demetra, dea delle messi, e Bacco, dio del vino e dell’ebrezza. L’ultima statua in basso è dedicata ad Hestia, dea del focolare domestico, la quale ha ceduto il suo trono a Bacco per…”

 

Ok, avevo smesso di ascoltare già da un pezzo.

Osservai con interesse la teca successiva che conteneva un’intera armatura greca, con tanto di elmo e spada.

Accanto a me un tizio allampanato guardava inespressivamente il contenuto della teca senza dare segni di vita. Probabilmente immerso nella lettura dei cartoncini esplicativi.

Annoiato nuovamente, buttai un occhio al gruppo, che nel frattempo si era spostato ed ora osservava rapito la scultura di un gigantesco serpente avvolto sulle sue stesse spire.

I particolari erano incredibili. Le squame in rilievo su tutto il corpo perfette e la lingua, biforcuta, avvolgeva con eleganza l’aria.

Cercai con lo sguardo Lestrade per chiedere spiegazioni e lo trovai che stava parlando con il tizio che era affianco alla teca con l'armatura. Anzi, più che parlando ci stava litigando, e non sembrava nemmeno avere la meglio.

Incerto tornai a guardare la statua.

 E fisso il serpente negli occhi.

Poi, semplicemente, accadde.

 

Dall’occhio destro iniziò ad aprirsi una crepa.

Poi un’altra.

Poi un’altra ancora.

Di riflesso feci un passo indietro, proprio mentre la statua esplodeva in mille schegge davanti allo sguardo sorpreso dei visitatori.

Il caos.

 

*CLICK*

Registrazione salvata

Data: 13\06\15

Durata: 01.34.27

 

 

Ok, uhm, *cof cof* cosa ne dite? In po’ lunghetto in effetti, per questo l’ho diviso in due. In realtà non saprei cosa dirvi se non che mi auguro che il primo capitolo vi piaccia. ;) Se si, fatemelo sapere, anche con due semplici righe, mi fareste molto felice. Avvisatemi se trovate errori di grammatica, perché ho riscritto il capitolo dal presente al passato, quindi magari qualcosina mi è sfuggito ^-^ Per il resto vi ringrazio della lettura e al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 3
*** Non sapevo di essere un mezzosangue - Parte 2 ***



Una volta una persona mi disse: "Se si elimina l'impossibile, quello che resta, per quanto improbabile, non può che essere vero". Sfortunatamente, quando è l'impossibile a parartisi davanti (con tanto di zanne e lingua biforcuta) è un po' difficile applicare questo ragionamento.

[Questo perchè i vostri piccoli cervelli vanno in black-out davanti al minimo input discordante da quella che VOI considerate realtà.]

Era un maledetto serpente di nove metri, Sherlock! Nove metri crudeli e molto, MOLTO affamati!

[Ho visto di peggio.]

Io no, grazie tante...

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

{JOHN}

Il caos.

Era quello che mi aspettavo. Voglio dire, era appena esplosa una cazzo di statua di marmo delle dimensioni di un'auotomobile!

Invece, dopo un attimo di smarrimento, mentre ancora la polvere del marmo galleggiava nell'aria, i visitatori tornarono annoiati ai loro depliant, senza curarsene affatto.

Dove diavolo erano le urla?

Perchè la gente non fuggiva?

Impietrito osservai la polvere diradarsi e posarsi a terra.

Al centro esatto del piedistallo di pietra, troneggiava nuovamente un serpente.

Peccato che questa versione fosse più viva e vegeta di quanto lo fosse mai stata la precedente.

Il serpente, termine forse un po' riduttivo per il bestione di nove metri che era, si srotolò in lenti e sinuosi movimenti e prese a scrutare la sala con sguardo famelico.
Le pupille, tipicamente allungate, si stringevano spasmodicamente mentre fiutava (fiutava? I serpenti possono sentire gli odori?) l'aria intorno a se e sbatteva nervoso la coda a terra.

Osservai con crescente terrore le persone che passavano di fianco al mostro, evitando per un soffio di essere spiaccicate al suolo.

Ora vi chiedo: voi cosa avreste fatto?

Perchè per quanto mi riguarda, l'opzione migliore in quel momento mi sembrò quella di  mettere quanta più distanza possibile tra me e quell'essere.

Mossa sbagliata.

Appena il serpente scorse con la coda dell'occhio il mio scatto verso l'uscita, spalancò la bocca e mostrò le zanne.
Un orrenda puzza di marcio e putrefazione si diffuse per la sala, ma non mi volsi a controllare se effettivamente avesse bisogno anche di una visita dal dentista.

Zigzagai tra le varie altre statue e teche e puntai alla porta principale dell'ala est.

Una guardia giurata al suo fianco sorseggiava un bicchiere di caffè e scrutava svogliatamente i visitatori.

Avrei voluto urlargli qualcosa del tipo "Ehi, c'è un serpente gigante alle mie spalle, faccia qualcosa!" ma non suonava molto eroico. Meglio conservare il fiato.

Scavalcai letteralmente un ragazzo che si stava allacciando le scarpe e tirai dritto. La guardia mi rivolse un'occhiata di rimprovero e tornò a fare quello che stava facendo, incurante del caos che nel frattempo si stava scatenando al passaggio del serpente.

Teche che esplodevano, reperti che rotolavano in giro, statue che cadevano e si disintegravano al suolo come vasi di terracotta.

E in tutto questo i visitatori, ignari, osservavano il crescente disastro con sguardo interrogativo. A questo punto era chiaro che nessuno di loro vedesse il serpente.

Chi era pazzo quindi, io o loro?

Mi infilai a tutta velocità nel corridoio a destra e per poco non mi scontrai con la professoressa Smith e il resto della classe di ritorno dall'ala ovest.

Lanciai al volo una scusa, che suonò più o meno come un "Devoandarealbagno" o qualcosa del genere, e proseguì nella mia corsa ignorando i richiami irritati dalla mia mancanza di educazione.

Il serpente intanto mi era alle costole e non sembrava nemmeno stufo di quel continuo slalom per i corridoi. Anzi, pareva divertirsi parecchio. All'ennesima curva la mia fortuna si esaurì in un colpo solo.

Vicolo cieco.

In pratica, la fine. Il serpente rallentò l'andatura appena si rese conto che non potevo più sfuggirgli. Soffiò soddisfatto e si preparò ad attaccare.

L'adrenalina scorreva a fiumi e il sangue pompava a velocità assurda. Per quanto sia poco virile ammetterlo, mi sentivo svenire. Senza più forse mi lasciai scivolare lungo la parete e chiusi gli occhi aspettando la mia fine.

Con le palpebre serrate avvertì una mano afferrarmi per il braccio. Il mostro con molta probabilità si tuffò verso di me, ma la mano prontamente mi strattonò di lato. La sua enorme testa cozzò con un rumore sordo contro il muro, crepandolo. Pezzi di intonaco mi caddero in testa come una nevicata.

- Avanti, apri gli occhi idiota! - mi urlò una voce nell'orecchio.

Apparteneva senza dubbio ad un ragazzo, nonostante fosse arrochita dal peso del mio corpo che gravava su di lui.

Più per l'insulto che per altro spalancai gli occhi. A pochi centimetri dal mio viso due pozzi assurdamente azzurri mi fissavano attenti. Gli zigomi pallidi erano incredibilmente pronunciati e la bocca rosea e morbida spiccava su tutto quel bianco spigoloso.

Nuovamente in possesso delle mie facoltà mentali, arrossì per la vicinanza e mi scostai.

Senza dubbio, mentre mi strattonava per salvarmi la vita, il mio peso doveva averlo destabilizzato ed era caduto, trascinandomi addosso a lui. Non mi stupì, quindi, di quanto apparisse scocciato. Con un gesto fluido si tirò in piedi e si spolverò con eleganza il cappotto e i ricci capelli neri, oltremodo irritato dal mio sguardo. D'altronde era ben difficile non guardarlo. Lo riconobbi subito come il tizio dell'armatura (di nuovo lui), quello che stava litigando con Lestrade. Era davvero alto, ma non doveva avere più di sedici anni.
Nonostante la flessuosità e la grazia degli arti non era molto muscoloso. Troppo magro, mia madre sarebbe inorridita e lo avrebbe costretto a rimpinzarsi per settimane di qualunque cosa le capitasse a tiro.

- Se hai finito di radiografarmi... - sibilò annoiato. Sembrava aver intuito i miei pensieri e non dovevano essergli piaciuti particolarmente. O magari non gli interessavano proprio.

Con la scusa di dovermi alzare abbassai il viso e presi a scuotermi di dosso tutta la polvere dei calcinacci. Il ragazzo sbuffò contrariato. Come se lui non avesse fatto lo stesso pochi istanti prima...

- Grazie... per avermi...- "salvato" suonava molto da donzella in pericolo.

Tossicchiai. -... per avermi aiutato -.

Il moretto sbuffò di nuovo.

Ma non sapeva fare altro?

Alla mia domanda inespressa rispose con un ghigno divertito.

Il muro alle mie spalle tremò un poco.

- Muoviamoci - ordinò solo. E senza aspettare una risposta iniziò a scavalcare i pezzi di muro.

Avrei voluto chiedergli spiegazioni. Perchè nessuno vedeva il serpente? Perchè io si? Come mai lui non sembrava fare una piega all'idea di quel coso svenuto a pochi passi da noi?

Il muro tremò di nuova, cosa che mi convinse a lasciare il questionario a tempi migliori e muovermi. Il serpente avrebbe potuto riprendersi da un momento all'altro, e sarebbe stato meglio stare alla larga dal suo campo visivo per il prossimo... sempre.

Neanche a dirlo il bestione scelse quel momento per sollevare il suo brutto muso. Il verso agghiacciante che emise sottolineò la mia precedente linea di pensiero. Presi a correre seguendo la coda del cappotto nero che svolazzava pochi metri avanti.

Ulteriori slalom più tardi finimmo per ritrovaci nuovamente nella sala delle statue da cui il serpente era fisicamente saltato fuori. La stanza era un disastro, ma per lo meno non c'era più traccia dei turisti poco perspicaci.

Il serpente, nonostante il colpo alla testa, guadagnava velocemente terreno. All'improvviso il ragazzino si fermò di botto e si voltò. Dall'impermeabile estrasse una spada lunga più del suo braccio. Emetteva un'aura talmente scura che brividi di freddo presero a salirmi lungo la schiena nonostante la corsa.

Con sicurezza puntò la lama nera verso il mostro, che rallentò un poco il suo strisciare. Ne approfittai per allontanarmi.

- Ehi...- mi richiamò lo spilungone. Si abbassò lentamente verso terra mantenendo lo sguardo fisso sull'avversario. Con un gesto fluido raccolse e mi lanciò un affare di metallo che riconobbi essere una spada. Nulla a che vedere con la sua comunque. Era di bronzo, arrugginita dal tempo e lunga la metà dell'altra. La lama non sembrava nemmeno particolarmente tagliente.

Lanciai al ragazzino un'occhiata incredula. - Davvero utile - gridai - così dopo averci ingoiato si pulirà i denti con questa- rincarai sventolando l'arma nella sua direzione.

La verità era che mi sentivo impotente. Cosa potevo fare contro un essere di quelle dimensioni?

Il ragazzino sbuffò (ancora?!) e con uno scatto felino si avventò contro lo stomaco del mostro, affondandovi la lama fino all'elsa. Il mostro sibilò più forte, scuotendo il suo enorme corpo per cercare di sbarazzarsi del suo assalitore.

Mister-ho-la-spada-figa ora non faceva più tanto il gradasso. Sembrava una fogli secca in attesa di essere strappata dal vento. Con un colpo più forte degli altri venne sbalzato via, sbattendo contro il muro.
 
Il suono di qualcosa che si rompeva risuonò per tutta la sala.

Fu a quel punto che mi arrabbiai sul serio.
Ero stufo di dover scappare. Ero stufo di dovermi nascondere. E, soprattutto, ero stufo di restare con le mani in mano mentre un saccente ragazzino si faceva ammazzare per salvarci il collo.

In un attimo, preso dall'impeto e dall'adrenalina ancora in circolo, corsi verso il serpente e affondai la mia spada nella ferita lasciata sull'addome.

Non molto utile, ma servì a distrarlo dal suo obbiettivo (il ragazzino) e a puntare su di me tutta la sua attenzione.

Espirai tutto d'un colpo il fiato che avevo trattenuto fino a quel momento.

Avrei dovuto sentirmi le gambe molli e le mani tremanti, ma la verità è che l'unica cosa che sentivo in quel momento era l'euforia. Della battaglia, del primo colpo sferrato. Non importava davvero.

Flettei le ginocchia e alzai la spada preparandomi ad un altro attacco. No, non sarei fuggito, non questa volta.

Non più.

*CLICK*

Registrazione salvata

Data: 15\06\15

Durata: 00.49.23

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OOOOOOOOOOOk, e anche questa secondo parte è andata ;) Mi dilungo troppo, lo so, ma mi sto divertendo un sacco, vi prego di capirmi ;) . Questo capitolo, come avrete visto, è tutto un fuggi fuggi generale, e il motivo è l'introduzione di un ragazzino tutto zigomi e ricci scuri. Che poi, insomma, ragazzino mica tanto. Come si può facilmente notare all'inizio John non è particolarmente coraggioso (non che un serpente gigante aiuti, diciamolo). Mi piace come la mia mente sconclusionata lo ha partorito, però. E' ancora un ragazzo e non capisce una pizza di quello che succede, ma non esita certo a farsi avanti quando QUALCUNO (riferimentipuramentecasuali) è in pericolo. Ce la farà a salvarsi (e magari a sconfiggere il serpente?) Non lo so, forse si XD Vi aspetto al prossimo capitolo, fatemi sapere, un bacione <3 Kiss ;-*

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Capitolo 4
*** Discuto con un serpente (più o meno) ***


{Ahhh, casa dolce casa.

 

John, piantala di fare il sentimentale. Siamo stati via una settimana. Sei giorni e 21 ore per essere precisi.

 

Io sarei sentimentale? Ma se è da quando siamo scesi dal taxi che non la smetti di saltellare.

 

IO non saltello!

 

Oh, si invece. E sorridi. Devo forse preoccuparmi?

 

Risparmiami il tuo istinto da crocerossina. A quanto pare Lestrade ha bisogno del resoconto dettagliato della missione.

 

Dovrei avere gli appunti, da qualche parte…

 

Sul serio John? Hai preso appunti durante una missione?

 

Si, dato che tu non ne prendi mai. A proposito, hai visto il mio registratore? Volevo proseguire con il racconto.

 

...

 

Sherlock?

 

Uhm... no, non ho visto nulla. Scusa, devo parlare con Mike, ci vediamo stasera...

 

Sherl- Aspetta!}

 

 

 

{SHERLOCK}

 

L’ala del museo è silenziosa, eccezion fatta per l’irritante ronzio delle luci al neon.

 

Neon, gas nobile, numero atomico 10, configurazione He2s22p6.

 

Qualcosa di umido mi scivola sul viso. E’ viscoso e in bocca ha lo stesso sapore del metallo salato.

 

Sangue.

 

Sto sanguinando.

 

La mia mente esegue automaticamente una sorta di analisi differenziata delle condizioni fisiche.

 

Dolore soffuso alla testa. Vista annebbiata. Probabile trauma cranico, gravità medio-bassa.

 

Prendo lentamente un respiro. Dolore acuto e persistente. Due costole incrinate.

 

Espiro piano. Forse tre.

 

Il resto del corpo sembra rispondere correttamente.

 

La vista si sta lentamente stabilizzando. Riesco a distinguere i contorni dei cocci di terracotta e le schegge di vetro sul pavimento.

 

Marmo di Carrara. Carbonato di calcio. Estrazione presso cava omonima, Italia.

 

Mi guardo intorno mentre provo a cambiare posizione. Troppo complesso e inutilmente doloroso, meglio aspettare.

 

Un sibilo attraversa l’aria. Il silenzio non è più completo. All’orecchio ora arriva ovattato il clangore di una spada che cozza contro una superficie dura.

 

Al centro del mio campo visivo quando sollevo la testa, l’idiota cerca di colpire la pelle coriacea del serpente con la spada di bronzo che gli ho dato. Tutto inutile, se la mia ha appena scalfito la sua corazza, quella potrà fagli solo il solletico. Cosa diavolo crede di fare?

 

Vorrei gridarglielo. Vorrei urlargli di piantarla di fare l’imbecille e di fuggire.

 

Almeno lui può.

 

Stupido corpo, ancora non riesco a muovermi.

 

Dovrei dirgli di lasciar stare, di scappare.

 

Vorrei chiedergli perché…

 

Perché è rimasto?

 

Perché non se ne è andato?

 

Tutti se ne vanno, alla fine.

Nessuno resta.

Mai.

Restare significa inevitabilmente essere feriti.

Nessuno vuole ferirsi. Perché dovrebbe?

Se resta si farà male.

 

Resta.

Male.

Si farà male.

Resta con me.

Vattene.



BASTA!

 

Il dolore sta prendendo il sopravvento sulla mia mente, e questo è male. Prendo troppo aria troppo in fretta. Le fitte al petto aumentano, tanto che rischio nuovamente di perdere conoscenza.

 

CONTROLLATI!

 

Boccheggio un po’, cercando di pensare ad altro.

 

La consapevolezza che il biondino non è ancora effettivamente morto aiuta a distrarmi.

 

Mi focalizzo sui suoi movimenti mentre cercare di allontanare il mostro da sè. Affonda, carica, manca il bersaglio. Tutto sbagliato.

 

E’ davvero un incapace con la spada. Dovrò insegnarli come combattere.

 

Io? Perché io?

 

CONCENTRATI!

 

Se lui resta alla fine soccomberà. Se possiede anche solo un grammo di intelligenza lo capirà da solo e getterà la spugna.

 

Eppure il mio istinto mi dice che non accadrà.

 

Perché?

 

Analizzo quei pochi dati che ho accumulato su di lui.

 

Altezza: poco sotto la media.

Massa corporea: nella norma.

QI: idiota.

 

No, non è vero. In realtà è leggermente sopra la media. Ma non troppo.

 

Caratteristiche: persona tranquilla, riservata, cordiale, studiosa e… Oh.

 

E’ una persona leale.

 

Lealtà [le·al·tà]

Dal latino legalitas. Onestà dichiarata e ammirevole, costantemente associata a franchezza o a sincerità.

 

L’ha fatto perché io l’ho fatto per lui. Solo perché la sua moralità glielo impone.

 

Quel poco di ingegno soccombe davanti alla mera etica. Alla pietosa incapacità umana di fare delle scelte e subirne le conseguenze.

 

Il decidere in base a cosa gli altri credono sia giusto fare, e non ciò che tu ritieni giusto.

 

Solo gli idioti lo fanno.

 

Appunto.

 

Tesi: quel tipo non è poi così intelligente.

 

Ho davvero speso secondi preziosi per una conclusione del genere?

 

Nei pochi istanti in cui il ragionamento prende forma nella mia mente, il serpente sbatte il ragazzo a terra. La spada, come da previsione, gli fugge in mano e scivola lontana.

 

Ecco. Ora è la fine.

 

Osservo inerme le enormi fauci afferrare la testa del ragazzo e staccarla dal resto dal corpo.

 

Il busto si accascia al suolo mentre il sangue denso scorre dalla carotide recisa.

 

La bava del mostro si mischia a quel liquido creando scie che si diramano lungo il marmo come tanti piccoli tentacoli.

 

No.

 

Il serpente si avventa famelico sul corpo inerte strappandone gli arti a pezzi. Il sangue continua a uscire e a mischiarsi col veleno.

 

Resta solo la testa. I bei capelli chiari irrimediabilmente macchiati di rosso e gli occhi grigi di morte. Che mi fissano, accusatori.

 

Non doveva andare così.

 

Mi fissa. Mi sta implorando. Di aiutarlo. Di fare qualcosa.                      

Non posso. Non posso fare più nulla. E’ troppo tardi.

 

E’ troppo tardi Sherlock. Hai visto cosa è successo? Hai visto cosa hai fatto?

 

Non volevo.

 

 

Il serpente non c’è più. Nemmeno la testa del ragazzo, ma gli occhi li vedo ancora. Piangono lacrime nere. Sono neri. Tutto è nero.

 

Non respiro, mi sento soffocare. Solo ora mi rendo conto che è un’ombra che sta provando a farlo. Sta provando a uccidermi.

 

Non voglio.

 

Saresti dovuto rimanere a casa piccolo Sherlock. Al sicuro. Tra le ombre a cui appartieni. A quest’ora John Watson sarebbe ancora vivo. E anche tu.

 

Non ce la faccio più. Ho bisogno di aria. Come? Come si ferma un’ombra?

 

Non puoi, Sherlock.

 

Ti prego… ti prego. Non voglio…

 

Cosa? Che cosa non vuoi?

 

…morire.

 

Oh, ma questo è quello che fanno le persone, piccolo Sherlock. Tu dovresti saperlo meglio di me.

 

Ti prego…

 

Saluta John da parte mia.

 

No.

 

John…

 

John!

 

JOHN!

 

SHERLOCK!

 

 

[Sherlock?]

 

 

[Sherlock, lo so che ci sei. Ti ho portato la cena.]

 

Non ho fame!

 

[Entro. Si può sapere cosa stai facen- Quello è il registratore che affermavi di non aver visto?]

 

In realtà ho detto che non avevo visto “nulla” non che non avevo visto il tuo registratore.

 

[Posso riaverlo indietro? Non eri tu quello che riteneva stupida l’idea dell’audio-diario?]

 

Vero, ma ho dovuto trovare conferma attraverso l’esperimento appena  effettuato.

 

[E…?]

 

Lo ritengo ora più che mai un’azione  stupida da portare avanti.

 

[… d’accordo, va bene. La prossima volta però dimmelo se lo prendi tu. Temevo se lo fosse mangiato la chimera.]

 

Improbabile dato il suo appetito per la sola carne umana.

 

[Certo. Sarà meglio che vada. Il coprifuoco è passato da un pezzo.]

 

Jawn.

 

[Uhm?]

 

Buona notte…

 

[Buona notte Sherlock.]

 

 

{JOHN}

 

Avevo un piano.

 

Sul serio.

 

Peccato che 30.000 e passa anni in più portano tanta saggezza, oltre che delle zanne da record.

 

 

Quindi, bhe, posso dire che il mio cosiddetto piano (riassumibile con “(s)toccata e fuga”, un classico) funzionò per la bellezza di sedici secondi netti.

 

Poi il mio squamoso amico decise che l’ora della merenda era già passata da un pezzo.

 

Ricevetti quindi un colpo di coda nello stomaco (dal manuale de “I segreti del perfetto rettile chef volume 1°: colpire lo spuntino prescelto con un paio di colpi decisi rende la carne più tenera), e rischiai di farmi strappare un braccio mentre cercavo di recuperare la mia spada volata ben lontana dalla mia portata.

 

Divertente? Per niente.

Mortale? Anche troppo.

 

Ma una volta i musei non erano noiosi?

 

E dunque eccoci qua. Io di nuovo a fuggire e il serpente di nuovo pronto ad uccidermi. Questa routine cominciava quasi ad annoiarmi.

 

Per mia sfortuna sta volta nessun ragazzino dagli occhi chiari sarebbe venuto a salvarmi. Me la sarei dovuta cavare da solo.

 

Per sicurezza pregai qualunque divinità, esistente e non, che, nel caso dovesse proprio giungere la mia ora, fosse una cosa breve e indolore.

Contavo molto sulla prima richiesta, la seconda mi pareva un po’ irrealistica da come i denti del mostro brillavano aguzzi.

 

Per lo meno il disastroso piano precedente mi aveva aiutato ad abituarmi ai suoi movimenti.

 

Destra. Sinistra. Su. Attacco.

 

Io, quindi, mi sarei dovuto solo comportare di conseguenza.

 

Sinistra. Destra. Scappa.

 

Era come giocare ad un videogame in prima persona. Unica pecca: solo una vita a disposizione.

 

Un gioco da ragazzi insomma.

 

Gettai un’occhiata veloce nel punto in cui avevo visto cadere il ragazzino, giusto per evitare di attirarvici il serpente. Era ancora lì, accasciato contro la parete, il capo reclinato in avanti e i riccioli sporchi di… oh porca- è sangue quello?!?

 

Merda.

Avrei voluto avvicinarmi. Vedere se sta bene. Avrei dovuto cercare aiuto.

Cosa potevo fare? Cosa?

 

 Avreshti dovuto imparare a maneggiare una shpada, piccolo imbeshille.

 

Bene, persino la mia coscienza ora si metteva a rimproverarmi. Una coscienza con la esse moscia? Abbastanza penoso perfino per me.

 

Sheicento anni ashpettando di tornare nel mondo mortale e nemmeno la shoddisfazione di una battaglia.

 

Ma che diavolo…?

Mi guardai in giro, spaesato. Non c’era nessun altro, a parte me stesso, il  ragazzino (svenuto) e...

Era… il serpente? Non sarebbe stato più strano del resto, però… cioè, davvero? Un serpente parlante?

Ma dove diavolo ero finito? In un libro di Harry Potter?

 

Finiamola qui, figlio di Pitio, ho un altro premio che mi attende e ho già ashpettato fin troppo…

 

Probabilmente avrebbe dovuto aspettare ancora, perché proprio in quell’istante un tuono squassò l’edificio, tanto che nella pareti si aprirono delle piccole crepe.

 

Il serpente, spaventato, si ritrasse sibilando.

 

Nella confusione del momento lo vidi strisciare ad una velocità assurda verso l’altra parte dalla sala. Prova finale del fatto che con me si stava solo divertendo un po’.

 

Non sapevo se sentirmi sollevato o offeso.

 

Propensi per il sollevato, ma durò poco.

 

Quel bastardo non stava scappando.

 

 

Puntava contro il ragazzino.

 

 

Scattai anche io in avanti, ma con la certezza che sarei arrivato comunque tardi.


Al diavolo!

 

TipregoTipregoTiprego… pregai correndo.

 

Qualunque cosa… concessi. Qualunque…

 

*CLICK*

Registrazione salvata.

Data: 17\6\15

Durata: 02.29.07

 

 

E… Stop! Se siete arrivati alla fine persino questa volta siete ciò che di meglio si possa desiderare <3 Capitolo lunghetto, capitolo in ritardo, capitolo da travaglio con cesareo d’urgenza e tutto il resto. Ho scritto qualcosa come quattro possibili versioni diverse, ma alla fine questa è quella che si adatta di più alla storia in sé e dalla serie da cui è tratta. Non vedete l’ora di scoprire cosa accadrà? Nemmeno io, perché ancora non lo so ;D

 

Nota 1) Cioccolato avanzato da S. Valentino per tutti coloro che hanno un fondato sospetto su chi sia la voce che sente Sherlock. Non volevo fare una scena così macabra e inquietante, ma alla fine è uscita così, chiedo scusa, ho cercato di descrivere il meno possibile smembramenti vari. Ho aggiunto ‘violenza’ tra gli avvertimenti per sicurezza.

 

Nota 2) Ho cambiato i titoli dei capitoli precedenti perché ho cambiato la mia idea originale di questo capitolo (vedi sopra “con quattro possibili versioni diverse etc.”) e il finale del secondo. Lo ammetto, ero stufa del fuggi fuggi XD Sono gli inconvenienti di scrivere di volta in volta con tante idee e molto confuse ;) Potrebbe ricapitare, ma cercherò di non sradicare tutto in un colpo solo, promesso ^-^

 

Nota 3) Non mi ricordo cosa volevo dire XD Se vi va, comunque, recensite, e soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate del pov di Sherlock. E’ quello che mi ha dato più rogne e non sono sicura di averlo reso bene, per quanto sia uno Sherlock adolescente… Ditemi ditemi ditemi ;)

 

Nota 4) Ah, già, il serpente (poi ve lo spiego chi diavolo è, promesso) ha la esse moscia (si legge sc) come un personaggio (il grifone) del meraviglioso film d'animazione "La spada magica: alla ricerca di Camelot". Non ho resistito a riproporvi un accento così XD



Nota 5) Non vale cercare "Pitio". Mi rovinate la sorpresa (che io per prima ho già rovinato ad alcuni di voi rispondendo alle recensioni (ma facciamo finta di nulla) ;)

 

Grazie infinite a chi ha recensito, inserito tra i preferiti\seguiti\da ricordare e anche chi semplicemente legge. Vi tendo d'occhio tutti, non dubitantene. Detto questo, al prossimo (si spera più puntuale) capitolo. <3 Kiss ;-*

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Di coraggio e graditi risvegli ***


{JOHN}

 

TipregoTipregoTiprego…

Qualunque cosa.

Qualunque.

 

 

 

Potrebbe sembrare banale e scontato (voglio dire, un mezzosangue ha qualche possibilità in più di farsi sentire ai piani alti), comunque qualcuno ascoltò davvero la mia supplica. E ancora oggi, pur non avendo realmente compreso chi l'abbia esaudita (Sherlock lo sa, ma si rifiuta di dirmelo), gli sono eternamente grato.

 

 

 

In quel momento un uccello completamente nero attraversò quasi invisibile uno dei finestroni della sala museale e si gettò in picchiata sul muso del rettile.

 

Grazie al cielo il serpente arrestò il proprio strisciare cercando di eliminare il nuovo fastidioso ostacolo, ed io, subito dietro di lui, rischiai di inciampare nella coda. Benedicendo i miei riflessi scartai il bestione per correre prima di lui alla meta.

 

Il corvo, perchè dal piumaggio nero brillante poteva trattarsi solo di quello, cercava in tutti i modi di distrarre il mostro, beccandolo ripetutamente negli occhi e sul naso ed evitando agilmente di diventare il suo aperitivo.

 

Giurai che mai più avrei giocato con la fionda sui piccioni del nostro palazzo. Dovevo un favore al regno animale.

 

Con il cuore in gola e il fiatone raggiunsi vittorioso il ragazzino.

 

Sarebbe mai finita questa giornata?

 

Esitando, gli scostai il ciuffo di capelli, neri quanto le piume del corvo, dagli occhi. La fronte era talmente calda che arrestai sorpreso la mano.

 

Bruciava di febbre.

 

Con delicatezza gli feci appoggiare il viso sul mio petto per poter esaminare meglio il taglio. Il sangue non si era seccato, e la ferita rimaneva ancora aperta.

 

Provai a scuoterlo piano, ma non sembrava in grado di sentirmi.

 

Maledizione!

 

Il corvo, per quanto veloce, ora sembrava in difficoltà. Piccole piume color pece cadevano un po’ ovunque sul marmo bianco.

 

Il sibilare del mostro era attutito dal rombo del mio cuore nelle orecchie.

 

Mi strappai una striscia di tessuto dalla camicia (avrei dovuto rendere conto al preside di questo… un colloquio certamente esilarante), e avvolsi in fretta la testa del ragazzino il più delicatamente possibile.

 

Non che sarebbe servito a molto, visto che presto saremmo stati entrambi digeriti in un viscido stomaco. Ho sentito dire che i serpenti ingoiano le loro prede vive, per poi lasciarle morire lentamente nei succhi gastrici.

 

Mi veniva la nausea solo a pensarci.

 

Spostai il corpo del moretto (si, all’epoca, nonostante le premesse, mi ispirava solo aggettivi teneri), dietro una delle colonne. Respirava in maniera quasi impercettibile, e questo era quasi più spaventoso del pensiero dei succhi gastrici.

 

Mi resi conto che se quel ragazzino fosse morto, per quanto insolente e irritante, non me lo sarei mai perdonato.

 

Sciocco come uno come me, tutto sorrisi e niente sostanza nelle relazioni umane, potesse formulare pensieri del genere verso quel tipo fatto di sbuffi e occhiatacce che nemmeno conoscevo.

 

Un estraneo. Eppure…

 

Era un pensiero nuovo per me, quello di… desiderare che una persona stesse bene. Che fosse al sicuro. Forse perché è qualcosa che ho sempre dato per scontato, nella mia vita. O che non avevo mai avuto modo di sperimentare.

 

Mia madre era sempre riuscita a mantenere quella placida bolla di protezione in cui niente andava mai davvero per il verso sbagliato. Che tutto poteva e doveva aggiustarsi.

 

Ora, con il volto del ragazzino sempre più pallido, vedevo chiaramente quella bolla incrinarsi.

 

E questo non mi preoccupava. Volevo che scoppiasse. Volevo tenere quella sensazione di disperata forza ancora per un po’con me.

 

Anche se dolorosa.

 

Anche se strana e spaventosa.

 

Volevo averla con me. Per combattere. Per vincere.

 

Forse anche per sentire ancora una volta quella specie di sbuffo insolente e inevitabilmente divertente.

 

Mi alzai da terra. Ancora una volta. Ancora, per tutte quelle che sarebbero state necessarie.

 

Ai miei piedi brillava di luce oscura la spada nera.

 

Senza esitazione la presi tra le mani.

 

Era fredda, ma bruciava come se stringessi una fiamma viva.

 

Non mi importava.

 

Con le ultime energie rimaste l’alzai in aria, preparandomi a colpire.

 

Sarebbe stata la fine o l’inizio di tutto.

 

Esattamente come sarebbe dovuto essere fin dal principio.

*CLICK*

Registrazione salvata.Data 20\6\15

Durata: 01.47.03

 

 

 

[Sherlock, mi spieghi perché ti serve il mio registratore? Avrà più di vent’anni. Aspetta, non dirmi che devi scioglierlo con l’acido o cose simili perché-]

 

Niente acido. Mi serve per registrare i miei esperimenti.

 

[Tu- davvero? Sherlock Holmes che usa un oggetto in modo non improprio e\o illegale e\o altamente pericoloso? Per gli Dei, questa sì che è bella!]

 

Piantala Lestrade… o devo far sapere all’intero Campo l’utilizzo improprio che tu e mio fratello fate del letto? O della doccia? O del tavolo in sala da p-

 

[VA BENE! D’accordo! Tieni pure il registratore! Davvero non capisco come John riesca a sopportarti…]

 

Perché lui non è un completo idiota, al contrario di tutti voi!

 

 

 

{SHERLOCK}

 

Ti prego… ti prego. Non voglio…

 

Cosa? Che cosa non vuoi?

 

…morire.

 

Oh, ma questo è quello che fanno le persone, piccolo Sherlock. Tu dovresti saperlo meglio di me.

 

Ti prego…

 

Saluta John da parte mia...

 

 

Ho chiuso gli occhi senza accorgermene. O forse non gli ho mai riaperti

 

Sono in un letto.

 

Sono al Campo.

 

Sento dei passi avvicinarsi. Il tempo è di due battute al secondo. Sta rallentando la sua corsa. Dal suono prodotto deduco che si tratta di una scarpa di cuoio. La suola è rovinata dal lungo camminare. Taglia 40.

 

Lestrade.

 

L’avrei riconosciuto anche senza analizzare il suo incedere, ma la mia mente si è fatta incredibilmente lenta al momento.

 

Lo sento piegarsi al mio fianco.

 

Uno sbuffo mi sfugge prima che possa contenerlo e Gavin tira un sospiro di sollievo. Fargli credere la mia dipartita sarebbe stato enormemente divertente, peccato.

 

A quanto pare il biondino ha pensato bene: non posso fare a meno di sbuffare. Non l’ha detto esplicitamente, certo, ma io so che l’ha pensato. Io so tutto, soprattutto quello che nessun vuole si sappia.

 

- Sherlock! Sherlock, per l’amor degli Dei, smettila di fare l’imbecille e apri gli occhi- si lamenta Lestrade. Mi ha afferrato la spalla e ora la scuote piano. Fa comunque male. Stringo i pugni in un gemito silenzioso. Lui sembra capire perchè lascia la spalla. Mi scosta i capelli dal viso, osservandomi preoccupato.

 

- Dei, Sherlock. Da quanto tempo è che non ti riducevi così? –. Lo posso sentire sorridere mentre parla. Probabilmente la ferita non è poi così grave.

 

-E’ tutta colpa di quell’imbecille. Se avesse imparato a maneggiare una spada a tempo debito ora non sarei qui. – ringhio irritato. Si, è decisamente colpa sua -A quest’ora sarei potuto essere sulla via di ritorno col colpevole tra le mani.-

 

-Ma di chi…-

 

-E poi andiamo, chi è così pazzo da gironzolare in pieno giorno con un aura del genere senza un’arma!-

 

-Sherlock, ma cosa stai dicendo?- chiede Lestrade. Dallo sguardo che mi lancia teme che io stia delirando. Assurdo, sono pienamente cosciente di me.

 

-Quel idiota, quello che era nel tuo gruppo a fingere interesse per le tue spiegazioni- sottolineo velenoso. Odio quando la gente non capisce.

 

Lestrade resta zitto. Sta cercando un aggancio, un modo per riunire i pezzi.

 

Lo trova.

 

-John!- esclama trionfante.

 

Così è John il nome del tizio. Nome comune per un comune imbecille.

 

-… un dragone per il museo e io che non me ne sono reso conto. Se solo lo avessi capito vi avrei portato via subito. Come ho fatto a non accorgermene? – si
lamenta.

 

Sospiro esasperato. George non è il tipo da attacchi di panico, ma quando si tratta del suo lavoro di guardiano diventa incomprensibilmente ansioso.

 

-…diciassette anni e nemmeno compariva nei registri! Come abbia fatto a sopravvivere fino ad ora è un mistero…-

 

Ansioso in modo inutile. Se i mezzosangue non resistono prima dell’arrivo del custode, allora semplicemente non era destino che sopravvivessero.

 

Ovvio.

 

-Comunque non preoccuparti. E’ in buone mani.- mi assicura, come se ce ne fosse bisogno.

 

-Se sei fortunato entro questa sera sarà presentato ufficialmente al Campo- aggiunge allegro.

 

-Non sono preoccupato, e comunque sarei fortunato anche in caso contrario. Non me ne importa molto di che fine fa o non fa il biondino. – sottolineo sprezzante.

 

-Oh, andiamo Sherlock, quando mai nella tua intera esistenza hai rischiato la vita per qualcun altro?-

 

Domanda stupida. 

 

Mai.

 

-Se lo hai fatto per John vorrà pur dire qualc…-

 

-Risparmiami le tue folli conclusioni. – lo interrompo.

 

L’ho salvato solo perché mi andava di farlo. Tutto qui.

 

Lestrade non dice nulla, ma sorride. Perché la gente deve sorridere?

 

-Cerca di dormire ora. – si raccomanda.

 

Mi mette in mano un bicchiere pieno di liquido dorato. Profuma di liquerizia e bergamotto (ambrosia, realizzo un attimo più tardi).

 

Fa un cenno di saluto e si avvia verso l’uscita.

 

 

Prima che possa mordermi la lingua mi scappa un richiamo.

 

-Si, Sherlock? –

 

Le immagini del sogno tornano a tormentarmi, ma le ricaccio indietro. Lestrade mi ha assicurato che il biondino stà bene.

 

-Il serpente? – chiedo.

 

Gavin sorride e mi strizza l’occhio. – Morto stecchito – assicura.

 

Ovvio che è morto, o John non sarebbe vivo. Non era questo che volevo sapere.

 

La lama dello Stige non l’ha distrutto subito, quindi il mostro non proveniva dal Tartaro.

 

Qualcuno ha mandato un suo amichetto per tentare di uccidere me (e forse il biondino).

 

Chi?

 

Devo saperlo.

 

Lestrade alza le spalle. Ha capito perfettamente a cosa mi riferisco, ma preferisce tacere.

 

-Di una cosa sono certo. John gli ha tranciato la testa con un fendente da maestro. Niente male per un “imbecille”, non trovi?-

 

Non rispondo e Lestrade se ne va con un sorriso vittorioso.

 

Sbuffo annoiato.

 

Solo la fortuna del principiante.

 

 

 

[Era Lestrade quello che è appena uscito?]

 

Certo che era lui John, non fare domande retoriche, lo sai che non le sopporto.

 

[Bhe, è un po’ difficile trovare qualcosa che sopporti.]

 

Sarcasmo?

 

[Semplice constatazione. Come mai era arrabbiato?]

 

Uhm... Non ne ho idea.

 

[Non avevo dubbi.]

 

Sarcasmo o semplice constatazione?

 

[Entrambi. A proposito, cos’è questa storia di io che “non sono un completo idiota”?]

 

Semplice constatazione

*CLICK*

Registrazione salvata.Data 20\6\15

Durata: 01.50.09

 

Dopo…quanto? Mesi? Non lo so, ma sono tornata a tormentarvi. Prima che mi scriviate (giustamente) “Ma io non c’ho capito un' acca” vi avviso che “Ogni cosa vi sarà chiara nel prossimo capitolo” ;) Le cose d’ora in poi andranno a marcia spedita finalmente.

Fatemi sapere idee, dubbi e proposte (sempre ben accette) ^_^. Grazie di cuore a chi recensisce, inserisce tra preferiti\seguiti\da ricordare e anche chi legge. Come ho detto “Vi tengo d’OCCHIO…” <3 A presto (davvero, non sparirò di nuovo. Era il mio pc che era morto sciogliendosi in una pozzanghera di plastica nera) >< Kiss ;-*

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Coccodrilli, panciotti vintage e amare verità ***


cap 6 Coccodrilli, panciotti e spiriti maliziosi

{JOHN}

 

Aprii gli occhi con la segreta certezza di essere morto.

 

Un pensiero alquanto rassicurante.

 

Mi trovavo in un letto, avvolto fino al mento da un mare di coperte di lana che pizzicavano la pelle. Un fastidioso raggio di sole si divertiva a pizzicarmi le palpebre, impedendomi di ricadere nel sonno.

 

Provai a sollevarmi, ma la spalla sinistra accolse il tentativo bruciando dolorosamente in risposta.

 

Giusto.

 

Il serpente era riuscito a mordermi prima che gli tagliassi la testa. Il veleno doveva essere entrato immediatamente in circolo, perché avevo lasciato cadere la spada stordito e mi ero accasciato a terra. Un finale meno entusiasmante di quanto mi aspettassi.

 

Misi a fuoco la stanza per cercare di scoprire deve mi trovassi. In un ospedale forse?

 

No, troppo colorat- PER LA MISERIA, E’ UN COCCODRILLO QUELLO?

 

-A dire la verità è un alligatore. Ovviamente non mi aspetto che conosca la differenza, signor Watson…- puntigliò una voce.

 

Per poco non balzai giù dal morbido materasso di piume (seriamente, chi dorme su materassi di piume al giorno d’oggi?). In risposta al gesto, la spalla, ovviamente, bruciò più forte.

 

-Non si affanni, ci serve vivo per ora…- continuò la voce.

 

Il tizio che aveva ripreso a parlare sembrava uscito da un romanzo ottocentesco (o comunque i suoi abiti). Nonostante fosse probabilmente sulla trentina indossava una stretta camicia inamidata, coperta da un vistoso panciotto da cui pendeva la catena vecchio orologio da taschino. Orologio che, nel frattempo, l’uomo osservava con sguardo annoiato. Nella destra impugnava un ombrello nero dal manico a intarsio.

 

 Il ritratto del perfetto gentleman inglese di qualche secolo fa, per farla breve.  

 

-Rassicurante, immagino quindi di non dovermi preoccupare… per ora…- ribattei ironico. La faccia da boss del crimine in fondo ce l’aveva.

 

L’uomo stirò le labbra nella parvenza di un sorriso.

 

-Lei non mi sembra spaventato…-

 

-Lei non mi sembra spaventoso-

 

Il che per certi aspetti era vero. Non si più prendere sul serio qualcuno che indossa un panciotto.

 

Il coccodril- l’alligatore schioccò le mascelle nella mia direzione. Ecco, lui sì che potevo prenderlo seriamente.

 

-Non si preoccupi- mi assicurò -Anthea è assolutamente innocua…-.

 

Innocua un corno!

 

La situazione era del tutto surreale.

 

-Dove mi trovo? Chi è lei?-

 

L’uomo, per tutta risposta, sbuffò.

 

In effetti, guardandolo meglio, mi ricordava qualcuno…             

 

Nha, impossibile…

 

-Voi menti ristrette… ponete sempre le solite, inutili domande! Dove sono, chi siete, cosa volete da me…-

 

Ecco, quella sarebbe stata la mia prossima domanda. Ma non gli avrei dato la soddisfazione di farglielo sapere.

 

-Domande alle quali, per altro, non mi è dato risponderle. Non ora almeno. Coraggio, mi stupisca signor Watson. Se è riuscito ad attirare l’interesse di Sherlock Holmes avrà di certo qualcosa di stimolante da offrirmi.-

 

Sherlock Holmes? Ma di che parla?

 

Dovevo avere la faccia da completo ebete, perché l’uomo col panciotto alzò gli occhi al cielo e passò oltre.

 

- Allora, se non le dispiace, vorrei porle io alcune domande a cui lei dovrà rispondere…- proseguì disinteressato. Un richiesta mascherata da ordine.

 

-E se io non volessi risponderle?-

 

-Interessante controproposta, ma in tal caso scoprirà presto che ottengo sempre ciò che voglio, con qualunque mezzo…-

 

-Mi sta minacciando?-

 

-Niente affatto, le sto solo facendo vagliare le sue possibilità, le quali temo si riducano ad una sola, in questo caso.-

 

L’ipotesi del criminale era sempre più promettente. Probabilmente ero stato drogato. Avrebbe spiegato quei sogni assurdi su serpenti giganti e ragazzini iperirritanti…

 

-Mi risparmi il suo inutile elaborare.- ordinò  - per ora le basti sapere che quanto accaduto è assolutamente reale. Ora…-

 

Ma che fa, legge nel pensiero?

 

Un attimo.

 

- Lei mi sta dicendo che quel serpente e tutto il resto esistono davvero?- chiesi incredulo. Chi era quello fuori di testa adesso? Io almeno ammettevo il mio probabile degrado mentale.

 

-Mi sembra che la sua spalla porti con sè una prova più che tangibile, non crede?- ribattè impaziente. Probabilmente non erano in molti quelli che si davano la pena di interromperlo.

 

La situazione era sempre più fuori di testa. Mi arresi con un sospiro.

 

-Cosa vuole sapere?-

 

-Perché non inizia spiegandomi come ha avuto questo?- chiese sventolandomi sotto il naso il mio ipod.

 

-Come lo ha avuto?!- esclamai indignato.

 

-Questo è ciò che io ho chiesto a lei, signor Watson…-

 

Poteva prendere tutto, ma non il mio ipod. E’ praticamente l’unica cosa che mi è rimasta di mio padre. L’unica cosa che lo rende reale e non solo un racconto di mia madre. L’unico legame che mi resta con una figura d’ombra nei miei sfuocati ricordi. Mia madre me lo regalò a sei anni, quando tornai da scuola in lacrime chiedendo a gran voce perché io non avessi un papà. Lei sorrise mesta, mi abbracciò stretta e mi baciò la fronte. Credo fosse l’ultima volta che la vidi piangere.

 

Quando mi mise tra le mani l’ipod con gentilezza disse solo “Tuo padre voleva che lo avessi tu”. Non me ne sono più separato.

 

Mai.

 

-Non vedo come possano essere affari suoi- sbraitai, strappandomi le coperte di dosso -Me lo renda!-

 

La stanza iniziò a girare, costringendomi a rimettermi seduto.

 

L’uomo mi osservò in silenzio valutando la mia espressione per poi continuare imperterrito.

 

-Il problema è che questo non è un semplice riproduttore musicale. E’ intriso di magia fino all’ultimo circuito, perciò mi chiedo come sia possibile che un mezzosangue non regolarmente registrato possieda un oggetto del genere…-

 

-Di che diavolo sta parlano? Lei è… pazzo!-

 

- “Il limite estremo della saggezza è ciò che la gente chiama pazzia.” signor Watson. Le consiglio di leggere qualche opera di Jean Cocteau quando avrà tempo e modo di farlo. Per ora eviti di abusare del mio tempo. Chi le ha dato l’apparecchio?-

 

-Le ho già risposto che non sono affari suoi.- ribattei testardo.

 

-Questa ostinazione non lo porterà a nulla. Ora, l’avverto…-

 

-Via, Mycroft, non essere acido. Il ragazzo è ancora scosso.- asserì entrando un altro uomo. Era alto quanto il primo, ma più longilineo e dal volto allegro e cordiale. I capelli biondo cenere apparivano quasi bianchi alla luce del sole che filtrava dalla vetrata.

 

 Lo riconobbi subito.

 

-Signor Lestrade?- chiamai incerto.

 

-John, è un piacere rivederti tutto intero.- sorrise sincero avvicinandosi al centro della stanza. Poi si volse verso il tale “Mycroft” mantenendo il tono basso e tranquillo.

 

-Ho parlato con Sherlock, si è appena svegliato.-

 

-Quel ragazzino sa essere una vera spina nel fianco quando ci si mette. Mi dispiace per quanto successo Gregory, avrei dovuto avvisarti prima dell’attacco. Sono stato colto impreparato.- sospirò. La presenza di Lestrade sembrava averlo calmato almeno un po’.

 

-Non preoccuparti. Sherlock se l’è cavata con un taglio alla testa e qualche costola incrinata. Ha visto momenti peggiori- lo rassicurò. -Quanto a te- mi indicò -ci hai fatto prendere un bello spavento. Sono pochi quelli che sono sopravvissuti al veleno di Pitone.- osservò con una nota di orgoglio nella voce.

 

-La fortuna del principiante immagino…- sbuffò Mycroft.

 

-Andiamo Myc, ha tagliato di netto la testa senza aver mai preso in mano una spada prima d’ora! Con una lama dello Stige per giunta Non è una spada che si fa toccare da tutti. E’ un talento naturale!-

 

-Se lo dici tu…- si arrese l’altro poco convinto.

 

-Scusate- interruppi incerto –qualcuno potrebbe spiegarmi cosa diavolo sta succedendo?-

 

-Oh, ma certo. Hai ragione. Prima però dovrei parlare con tua madre per farle sapere che stai bene e che sei al sicuro ora…-

 

-Mia… mia madre? Le direte del pitone… gigante e tutto il resto? Non vorrei farla angosciare inutilm-

 

-Non ti preoccupare. Capirà.- assicurò Lestrade sicuro, prima di sparire letteralmente con il cellulare in mano.

 

Nella stanza eravamo rimasti solo io e “Mycroft”. E Anthea che aveva preso a sonnecchiare sullo scendiletto.

 

-Vado a sistemare dei documenti. Tu resterai qui e senza muoverti, sono stato abbastanza chiaro ragazzino?- ordinò l’uomo col panciotto. Non doveva essere particolarmente a suo agio coi ragazzi.

 

-Si…signore- risposi cauto.

 

L’uomo stirò un ultima volta le labbra, divertito dal mio tentativo di mostrarmi docile.

 

E, sbattendo tre volte la punta dell’ombrello sul pavimento di ceramica, scomparve anche lui.

 

 

*CLICK*

Registrazione salvata.

Data: 23\6\15

Durata: 00.30.07

 

 

 

Il lungo corpo squamoso si mosse sinuoso e silente tra le macerie.

 

La testa, abbandonata poco lontano, al richiamo del corpo nuovamente in moto, prese a dimenarsi sinistramente richiamandolo a se.

 

Con un viscido rumore le due metà si fusero nuovamente. Poi, strisciando, il serpente abbandonò la sala e si diresse verso l’unica statua della sala ad essere rimasta intatta. Docile avvolse le sue spire attorno ad essa e scomparve in un alito di vento, dissolvendosi in impalpabile polvere grigia.

 

 

Amare verità

Mi addormentai senza nemmeno rendermene conto.

 

Sognai un deserto e un vecchio dagli occhi bianchi e la schiena curva che chiamava il mio nome...

 

Passai il resto pomeriggio a rigirarmi tra le coperte, ben lontano dal bordo del letto.

 

Anthea rimase ad osservarmi per tutto il tempo con quegli occhi galli da rettile che mi ricordavano maledettamente l’essere con cui avevo intrapreso la mia folle battaglia (Mycroft o Pitone, a seconda dei punti di vista).

 

Quando finalmente giunse l’imbrunire, e la mia pazienza arrivò al limite, Lestrade riapparve accompagnato da uno scoppiettio di scintille azzurre e un’altra tazza di quella bevanda fantastica che sapeva di fragola e biscotti al miele. La signora Hudson, santa donna, me ne aveva fatta avere una qualche ora prima. Amore al primo sorso.

 

Lestrade sembrava stanco.

 

Mi sorrise comunque, offrendomi la tazza e sedendosi sul bordo del letto.

 

-Allora, campione, come ti senti?-

 

Come se una mandria di bufali mi avesse usato come tappeto.

 

-Bene- mentii.

 

Lestrade ghignò, ma non mi contraddisse.

 

-Immagino tu abbia qualche domanda da farmi…- iniziò cauto.

 

Qualche era un esagerato eufemismo.

 

-… ma direi che è meglio andarci piano. Dopotutto non hai ancora avuto una RPT…- aggiunse pensoso.

 

- Una cosa?-

 

-Ecco… la tua… reazione post trauma. Voglio dire, non hai urlato, non hai pianto, non ti sei messo a correre come un pazzo, non hai… -

 

-Signore, con tutto il rispetto, ma …-

 

-Chiamami pure Greg, detesto le formalità-

 

-Greg… sto’ bene- dichiarai convinto.

 

Quando guardi la morte in faccia è difficile scandalizzarsi per altro. E poi ero probabilmente, completamente, pazzo, perciò che importava se passavo il mio tempo con un alligatore domestico o se la guida del museo appariva come la fata madrina nei libri di fiabe?

 

-Ne sei certo? Voglio dire, meglio così. In effetti mi sei sembrato abbastanza tranquillo.- osservò sollevato.

 

Anthea schioccò le mascelle, quasi a disapprovare.

 

Lestrade le accarezzò piano la testa e quella emise dei grotteschi rumori che ricordavano (mooolto lontanamente) le fusa dei gatti. Poi, lentamente, scivolò fuori dalla stanza e ci lasciò soli.

 

Brutto segno.

 

-Ha parlato con mia madre, non è così?- chiesi, spezzando il silenzio che si era venuto a creare da qualche minuto.

 

-Si. Mi ha fatto promettere di richiamarla appena avresti avuto le forze per alzarti dal letto e… poterle parlare- sorrise mesto.

 

-Io… lei sapeva già che qualcosa del genere sarebbe successo, vero?-

 

-In un certo senso si. Sapeva cos’eri e cosa avresti fatto una volta raggiunta la… maturità- ridacchiò da solo per il termine -Anche se credo che tutti questi anni senza un segno evidente l’avessero fatta sperare del contrario- ammise.

 

Fantastico, questo sì che è di aiuto.

 

-Quindi cosa sono? Un pazzo, una specie di strano mostro, o…-

 

Lestrade si bloccò, guardandomi negli occhi. Probabilmente non se lo aspettava.

 

-Oh… per gli dei, certo che NO! Cielo, John, non sei affatto un mostro, anzi…- rise piano del mio smarrimento – Per tutti i soffi di Eolo, era questo ciò che ti preoccupava?-

 

Lo osservai un po’ incerto.

 

-Voglio dire, Mycroft ti ha spiegato che…-

 

-A dire il vero- lo interruppi -non lo vedo da quando abbiamo… parlato- osservai.

 

Lui tornò serio in un istante.

 

-Mi dispiace, credevo che fossi già a conoscenza di… Ascolta, non sei assolutamente pazzo… o sbagliato… non devi nemmeno pensarla una cosa del genere.- asserì, prendendomi le spalle per sottolineare la cosa -Tu sei un mezzosangue, un semidio! Hai in te il potere dell’Olimpo. In te scorre il sangue di un dio! Per il fuoco di Efesto, non sei pazzo, sei solo… speciale.- concluse infervorato.

 

Ed eccola qui! La tipica frase che si usa per definire gli schizzati.

 

Non che avessi ben compreso il discorso sul sangue e tutto il resto.

 

Greg doveva aver capito dalla mia smorfia poco accomodante che non ero affatto convinto, perché sorrise comprensivo.

 

-Vediamo di renderla più semplice- propose.

 

Annuii.

 

 -Scommetto che uno dei tuoi genitori è assente. E che tu non lo hai mai conosciuto.-

 

Strabuzzai gli occhi. Come faceva a saperlo?

 

-Che fai fatica a stare fermo, hai problemi di deficit di attenzione…- continuò sorridendo -… che a volte le lettere si muovono sul foglio.-

 

-E’ così- assicurai incredulo.

 

-Ed infine, scommetto che sei molto bravo in storia e in greco-

 

-Bhe, più o meno in tutte le materie  in realtà, ma si, storia e greco sono le mie preferite…- era quasi inquietante quanto la descrizione corrispondesse a me.

 

-In tutte le materie, eh?- sottolineò ammirato.

 

-Si, bhe, tranne matematica immagino.- ammisi imbarazzato.

 

-Questa è una buona cosa. Aiuterà sicuramente il riconoscimento da parte di tuo padre-

 

Avvertì una stretta gelida al centro dello stomaco.

 

-Di… mio padre? Cosa intende?-

 

-Bhe…- Lestrade si grattò la barba a disagio -… qualunque cosa tua madre ti abbia raccontato su tuo padre è probabilmente falsa. Tu sei un mezzosangue, metà del tuo patrimonio genetico è divino, per cui difficilmente tuo padre potrebbe essere scomparso o… morto- ridacchiò teso.

 

-Sta dicendo che per tutti questi anni lui…-

 

Cosa? Che non è morto? Che mi ha abbandonato? Mi ha ignorato? Mi ha dimenticato?

 

-Ti sto dicendo, John, che tuo padre è un dio. Ed è da qualche parte sull’Olimpo a vegliare su di te.- dichiarò duro.

 

Probabilmente non era la prima volta che affrontava questo genere di argomento con qualcuno. Dal tono immaginai che non tutte le chiacchierate si fossero risolte per il meglio

 

-E mia madre, lei…-

 

-Conosceva la sua identità, da quanto ho potuto capire dalla nostra telefonata- assentì cauto.

 

Mi adombrai ancora di più. Se sapeva avrebbe potuto dirmelo. Avrebbe dovuto dirmelo. Era un mio diritto sapere…

 

-E’ raro che gli dei si diano la pena di farsi riconoscere, a dire il vero. Doveva amare davvero molto tua madre- concluse Lestrade, tentando di arginare la mia discesa mentale nel baratro dei ricordi.

 

L’amava. Una magra consolazione.

 

E’ stata mia madre quella che ha dovuto crescere due figli da sola, con un lavoro schifoso.

 

E’ stata mia madre che ha lavorato per anni per permettere ad Harriett di frequentare un buon college senza la borsa di studio.

 

E’ stata lei che si è presa cura di noi, ci ha educato, ci ha viziato e coccolato.

 

Dov’era mio padre quando il suo capo ha provato a violentarla?

 

Dov’era quando mia sorella ha avuto un incidente in moto ed era quasi morta?

 

Dov’era quando non avevamo più soldi e i creditori ci stavano addosso?

 

Nella sua divina casa dorata? Benissimo, avrebbe dovuto rimanerci per sempre. Me ne fregavo della sua cazzo di protezione dall’alto.

 

Lestrade doveva aver intuito i miei pensieri, perché mi strinse piano il braccio in segno di affetto e si alzò. Probabilmente era questo il discorso che più temeva di affrontare con me. Il resto poteva aspettare.

 

-Immagino tu abbia bisogno di un po’ di tempo.- ovviò -Quando te la senti di riprendere il discorso, chiamami.-

 

Prese con se la tazza ormai vuota e silenziosamente uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Lo sentii sospirare pesantemente prima di incamminarsi.

 

Quella sera non mangiai nulla di ciò che la signora Hudson mi portò per cena.

 

Mi addormentai osservando la foto di mia madre sul cellulare, chiedendomi se chiamarla fosse la cosa giusta da fare.

 

Grazie mille per aver letto e soprattutto chi perde tempo a recensire ;) Alla prossima, kiss ;-*

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Capitolo 7
*** Spiriti maliziosi e video-aiuto per mezzosangue ***


{SHERLOCK}

 

Stamford mi ha finalmente concesso la possibilità di alzarmi dal letto. Come se mi servisse il suo permesso.

 

Mike Stamford è il tipico giovane niente cervello (e nemmeno muscoli, se è per questo), che, per essere oltre i venticinque, ha i modi timidi e impacciati di un bambino (e, a dirla tutta, questo mi irrita non poco). Mentre indosso l’impermeabile lo sento balbettare qualcosa sul dormire almeno sei ore per notte, ma mi basta ignorarlo e proseguire dritto.

 

Ok, non sono completamente corretto, lo ammetto. E’ uno dei pochi figli abbastanza competenti di Apollo tra quelli rimasti. Che non sono molti.  Non che il dio del sole non adempia ai suoi doveri di rispettabile playboy (tutto suo padre immagino), ma da qualche anno a questa parte figli suoi al Campo non ne sono più arrivati.

 

Il che è un problema, poiché la prima novità che Lestrade introdusse appena preso il posto di Guardiano, qualcosa come una cinquantina di anni fa, quindi, fu quella di imporre la presenza di almeno un figlio di Apollo all’interno delle squadre a cui veniva assegnata un missione.

 

In questa maniera si evitava che le ferite riportate in battaglia risultassero fatali prima del ritorno al Campo. Una mossa incredibilmente intelligente (per gli standard di Lestrade), che però non teneva conto del fatto che in caso di ferite riportate dai figli di Apollo, il rischio, per il soggetto, di morire era esattamente lo stesso di tutti gli altri mezzosangue.

 

La maggior parte di coloro che partirono durante le missione con lo scopo di salvare la vita dei loro compagni, non tornavano. Non vivi almeno.

 

Razza di incapaci.

 

Gli ultimi rimasti si occupano dei feriti al campo. C’è sempre qualcuno che si taglia con una spada (idioti), si brucia con la lava della parete d’arrampicata (idioti) o che si rompe qualcosa durante una lotta (idioti).

 

Di missioni non ce ne sono più molte e vengono inviati solo i ragazzi più esperti.

 

Esperti… parola grossa. Gente sopravvalutata capace solo di mulinare a caso una spada o sprecare fiato ad urlare la propria euforia in battaglia. Probabilmente persino quel tizio… quel John, saprebbe cavarsela meglio. E, a proposito di questo, tra pochi minuti dovrebbe iniziare la cena. Non che abbia appetito, ma sono curioso di vedere come l’ha presa il biondino la faccenda dell’essere un semidio. Sicuramente ci sarà da divertirsi.

 

-Qualche cruccio Sherly?-

 

Irene Adler fluttua eterea volteggiando a destra e a sinistra osservando il mio viso, maliziosa come solo lei può essere.

 

-Nulla- rispondo impassibile.

 

Il fantasma ridacchia elegante e mi si avvicina per accarezzarmi una guancia. Storco la bocca infastidito. Non mi piace essere toccato. Specialmente dagli spiriti. Il loro tocco è come una folata bollente e una secchiata gelida insieme.

 

Lei ride ancora, divertita dalla mia reazione (sa benissimo cosa penso riguardo allo spazio personale), e si scosta un po’ giusto per guardarmi meglio negli occhi. I suoi sono grigi e polverosi, come un vecchio soprammobile di cristallo dimenticato per anni su una mensola. Non ha mai voluto dirmi di che colore fossero una volta e con lei non è facile applicare le mie deduzioni.

 

Doveva essere una donna terribilmente interessante in vita.

 

-Mi è giunta voce che qualcuno ha provato a farti fuori. Ero solo venuta a controllare.- spiega semplicemente. -In caso contrario avrei potuto cercarti giù nei Campi Elisi. Almeno avrei potuto offrirti una cena di benvenuto come si deve, no?-

 

Sorrido brevemente al black humor della sua  battuta.

 

-Non credo proprio che in futuro finirò nei Campi El…-

 

-Sherlock!- mi interrompe una voce.

 

Irene scompare ridacchiando in uno sbuffo rosso e io alzo gli occhi al cielo prima di voltarmi.

 

-Molly- saluto freddo la nuova arrivata. Sedici anni. Figlia di Atena. Personalità e autostima quasi inesistenti.

 

Lei si piega un poco avanti, cercando di riprende fiato dopo la corsa.

 

-Hai...hai saputo la novità? Avremo… è arrivato un… un nuovo ragazzo- boccheggia.

 

Mi limito ad annuire e ad avviarmi verso la collina da cui si levano già le rumorose grida di mezzosangue affamati ed eccitati dall’arrivo di nuovo arrivato

 

Molly saltella, cercando di tenere il mio passo, mentre mi avvio spedito senza aspettarla.

 

Mi accomodo al mio tavolo. Sono l’unico commensale ad occuparlo, per fortuna. Essere il figlio di Ade ha i suoi vantaggi per certi aspetti. La gente, in generale, tende ad evitarti quando sa che tuo padre potrebbe trascinare la tua anima nel Campo degli Asfodeli con meno di uno schiocco di dita (cosa per altro non vera, ma non serve che quegli imbecilli lo sappiano).

 

Sono uno degli ultimi tavoli, ma riesco comunque a scorgere la tavolata centrale dove Lestrade si è appena alzato. Al suo fianco una testa bionda si piega in avanti.

 

E’ vergogna?

 

No, si sta preparando al confronto con gli altri.

 

Questo particolare mi fa aguzzare giusto un po’ la vista  mentre il ragazzo si alza, sicuro.

 

Ha una postura quasi militare, rigida e composta.

 

Mentre Lestrade lo presenta brevemente seguo il suo sguardo vagare tra i tavoli finchè, per caso, non trova il mio.

 

Il suo stupore è palese persino da questa distanza, e io ghigno di nascosto pensando a quanto sia facile da leggere il suo volto.

 

Non abbassa gli occhi nemmeno un istante, finchè Lestrade finisce la sua presentazione e ognuno si avvia verso il braciere a bruciare la propria offerta.

 

Il ragazzo si siede sorridente nel sovraffollato tavolo dei figli di Ermes, che lo accolgono stringendosi ulteriormente e sorridendogli di rimando.

 

L’ennesimo “non determinato” che infoltisce le fila del dio dei ladri.

 

Ripenso distrattamente a quanto mi ha detto Lestrade quella mattina.

 

-Oh, andiamo Sherlock, quando mai nella tua intera esistenza hai rischiato la vita per qualcun altro? Se lo hai fatto per John vorrà pur dire qualcosa…-

 

Tutte sciocchezze.

 

-Di una cosa sono certo. John gli ha tranciato la testa con un fendente da maestro. Niente male per un “imbecille”, non trovi?-

 

Sarà stata la disperazione del momento o quel ragazzino ha davvero qualche talento nascosto?

 

Lo osservo mangiare per tutta la sera, cercando di capire effettivamente cosa diavolo mi abbia spinto a salvare la pelle a un tipo del genere.

 

Il biondino è diventato un nuovo puzzle da decifrare.

 

Ma forse, questa volta, sono io a dover fornire i pezzi.

 

*CLICK*

Registrazione salvata.

Data: 26\6\15

Durata: 01.07.58

 

 

[Jooown, mi annoio!]

 

Dov’è la novità?

 

[Lestrade ha sequestrato il mio allevamento di scolopendre! Aveva detto che erano vietati solo i mostri!]

 

Sherlock, erano disgustose. E poi non puoi tenere dei maledetti millepiedi in un recito! Ieri mattina ne ho trovata una nei bagni della mia casa. Come diavolo c’è arrivata fin lì?

 

[Ti avrà seguito. Magari si annoiava in mezzo ai suoi simili.]

 

Ne dubito, ma comunque…

 

[La capisco, sai. Le persone sono una gran perdita di tempo. Meglio il lavoro individuale. O al massimo con te. Forse anche la scolopendra era alla ricerca del suo John Watson con cui condividere tutto il suo genio incompreso…]

 

Ok, ok, ho capito. Adesso piantala, mi farai venire i sensi di colpa. Vado a riprendere il tuo allevamento. Ma promettimi che non le lascerai più in giro, d’accordo?

 

[Grazie John!]

 

 

 

 

{JOHN}

I giorni seguenti li passai nella più completa catatonia. Andavo avanti ad ambrosia e Lestrade iniziò a preoccuparsi sul serio. Persino quell’insopportabile di Mycroft finì per passare una o due volte per controllare se fossi effettivamente ancora vivo.

                     

Grazie al cielo la situazione non durò molto. Ho sempre malsopportato gli autocommiseratori, per cui decisi che mi ero crogiolato nella rabbia fin troppo.

 

Quel mattino feci chiamare Lestrade dalla signora Hudson, pregandolo di riprendere il discorso da dove avevamo interrotto.

 

Lui non menzionò più mio padre.

 

Le successive due ore le passai ad osservare un video-aiuto per i nuovi arrivati (probabilmente girato qualche secolo fa a giudicare dalla pessima grafica). Greg restò con me per tutto il tempo, spiegandomi alcune cose e riempiendo le mie evidenti lacune in materia divina.

 

Arrivati al capitolo “Dei e animali sacri” ebbi la demenza di chiedere perché diavolo il signor Holmes (Lestrade si assicurò che continuassi a chiamarlo così per il resto dei miei giorni, se non avessi voluto avere guai) se ne andasse in giro con un coccodrillo domestico.

 

Dall’ occhiata che mi lanciò Mister Holmes, seduto su una grossa poltrona di pelle a sorseggiare whisky dall’altro lato della stanza, credetti che mi avrebbe fatto saltare la testa da un momento all’altro.

 

Non fu così. Probabilmente perché le pareti color crema si sarebbero macchiate irrimediabilmente, altrimenti.

 

Chiamai mia madre. In realtà fu una chiamata piuttosto breve. La rassicurai sul fatto che stessi bene e decidemmo entrambi che avremmo rimandato alcuni discorsi a tempi migliori. Con un bacio nell’ interfono e un preoccupato “fa attenzione”, chiuse la chiamata e io ebbi l’orrenda sensazione che non ci saremmo rivisti per un bel po’.

 

Quella sera finalmente presi parte alla cena con tutti gli altri ragazzi del campo. Non erano molti, in realtà. La stagione scolastica non si era ancora conclusa, e i più fortunati (o sfortunati) erano rimasti nel mondo reale per concludere gli studi.

 

Egoisticamente provai pena per loro. Nonostante la lontananza da casa, la scuola non mi mancava per niente.

 

In quanto non determinato (segretamente sperai di restarlo per il resto dei miei giorni), venni accolto nella casa di Ermes. Tutti bravi ragazzi, un po’ troppo non-amanti delle regole, ma simpatici.

 

Stavo bene e nei giorni a venire iniziavo a sentire quelle persone come una seconda famiglia.

 

Ero felice.

 

Ero a casa.

 

 

 

 

-RAZZA DI IDIOTA!- urlò una voce. L’eco si perse nella camera, facendo tremare la terra.

 

Il serpente terrorizzato si contorse su se stesso nel tentativo di fuggire lontano. Venne raggiunto da una nuvola di fumo viola che lo dissolse nell’etere.

 

-Quel ragazzino! Quel maledetto! Avrò la sua testa, avrò la mia vendetta!- continuò la voce. Rumore di cocci si diffuse nella stanza in penombra.

 

-Come ha potuto, come si è permesso di mettersi in mezzo!- urlò ancora la voce, frustrata.

 

-Ero così vicina, così vicina…- si ripetè, quasi persa in una litania.

 

Di nuovo qualcosa si infranse a terra. Le pareti tremavano cercando di ritrarsi dalla figura che vagava contorcendosi su loro stesse.

 

Poi il silenzio.

 

-Mi avete chiamato?- sussurrò un’altra voce, dolcemente pericolosa.

 

-Mi serve il tuoi aiuto.-

  

-La mia regina ha bisogno di me?- chiese la voce con finta sorpresa.

 

-Una regina non ha bisogno di nessuno. E ora vai. Portalo da me.- ordinò con un gesto della mano -Vivo o morto,  non mi interessa -

 

-Cosa ne devo fare dell’altro ragazzo?-

 

-Me ne occuperò da sola. Il tuo obbiettivo è solo uno.-

 

La figura dell’uomo vestito di nero fece un breve inchino e scomparve. Il gelo del suo sorriso, invece, rimase sospeso.

 

-Il gioco è iniziato, piccolo Sherlock-

 

 

 

Sono 1) In ritardo

 

2) Spaventosamente in ritardo

 

3) E' arrivata Irene! Ve la aspettavate così? E poi... la voce che Sherlock sentiva è tornata. Qualcuno di voi ha già indovinato di chi si tratta…eheheh! Con chi stava parlando? Non posso dirvelo, ma voglio tante congetture XD Perdonate qualche difficoltà coi codici HTLM (alcune parole sono più piccole o appicciate). Grazie infinite come sempre a chi perde un po’ di tempo a leggere questa storia sgangherata ; ) Alla prossima, kiss ;-*

 

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Capitolo 8
*** Catturiamo una bandiera ***


catturiamo una bandiera

{JOHN}

 

Quel giorno mi svegliai con il sospetto che la giornata avrebbe avuto risvolti inaspettati. Il che, solitamente, voleva dire spiacevoli.

Provai ad ignorare il presentimento tirandomi il lenzuolo fino al mento e coprendomi gli occhi con il braccio.

Già da qualche ora era iniziato il quotidiano viavai della casa dodici, cosa non sempre gradevole, specialmente se la sera prima eri impegnato a fare le ore piccole.

Nulla che riguardi alcolici o gioco d'azzardo (come notoriamente accadeva tra le fila dei figli più o meno maggiorenni di Ermes), anzi. E' da una settimana circa che, bene ho male, ho iniziato a prendere parte agli allenamenti. Sebastian, un figlio riconosciuto dal dio dei ladri, si è offerto fin da subito di addestrarmi.

E' alto almeno due spanne più di me, ma, nonostante una cicatrice sulla guancia sinistra, è una persona incredibilmente affidabile.

E' uno spadaccino assurdamente bravo e molti al campo lo temono. Un po' forse anche perchè parla davvero poco, tipo a monosillabi. Le frasi più lunghe che gli ho sentito pronunciare sono quando mi dà indicazioni su come tenere in mano l'arma.

Effettivamente è di poche parole, ma un ottimo osservatore e soprattutto una persona paziente. Ha continuato ad allenarmi anche quando è risultato chiaro che la spada non è esattamente l'arma per me. Probabilmente è come diceva il signor Holmes: l'ultima volta è stata solo la fortuna del principiante.

Per ovviare alla mia mancanza di conoscenza riguardo qualunque campo della cosiddetta arte della guerra, alla sera Lestrade si è offerto di insegnarmi le basi della lotta corpo a corpo. Continua a ripetere che fintanto che non avrò trovato l'arma adatta a me, è necessario irrobustire il corpo.

Ecco dunque svelato il mio passatempo notturno. Decisamente molto meno rilassante di una partita a pocker.

Quella notte in particolare avevo dormito davvero male, avevo i muscoli delle braccia terribilmente indolenziti, e, cosa ancora peggiore, il mio i-pod continuava ad essere morto nonostante mi fossi fatto prestare tre diversi caricatori.

Mi avviai assonnato verso i campi di allenamento, ma non sembrava esserci nessuno. I bersagli erano stati ripuliti dalle frecce del giorno prima e le armi rimesse nell’armeria.

Incerto mi accostai al limitare del bosco. Una ninfa stava innaffiando le radici del suo albero. Mi fece un veloce cenno di saluto e poi tornò concentrata al suo lavoro. Più avanti, vicino al lago, alcune driadi giocavano a spruzzarsi creando qua e là piccoli arcobaleni.

Decisamente una splendida giornata, eppure quel sottile senso di ansia non voleva abbandonarmi. Non sapendo bene cosa fare mi diressi verso il padiglione per fare colazione, nonostante fosse relativamente presto.

Che stessero ancora tutti dormendo?

Con uno sbadiglio varcai gli archi di pietra che circondavano il centro del campo. Con stupore mi accorsi che tutti avevano già preso posto e mangiavano in silenzio. Alcuni ritardatari dietro di me si affrettarono a raggiungere il proprio tavolo. Incerto mi sedetti sul mio angolino di panca. Michael, affianco a me, mi strizzò l'occhio con fare cospiratore.

-Mi auguro tu sia pronto Watson, ci sarà da divertirsi- annunciò esaltato.

Lo osservai interdetto.

-Pronto per cosa?- provai a chiedere, ma in quel momento Lestrade si alzò in piedi dal tavolo principale.

Mormorii d'eccitazione si levarono dalla sala.

-Ragazzi, è con grande piacere ed entusiasmo che vi annuncio che la giornata della caccia alla bandiera è ufficialmente iniziata.-

Fischi di approvazione.

-Quest'estate, come sempre, i vostri capi cabina, durante la settimana, hanno discusso le alleanze, che presto saranno rese note a tutti, ma prima...- si fermò un istante -... il signor Holmes vi ricorderà il regolamento, giusto per evitare che qualcuno- sottolineò osservando severo il tavolo della casa di Ares -possa accidentalmente ferire un compagno o farsi male. Lascio quindi a lui la parola.- concluse sorridendo.

Il signor Holmes si alzò e nel padiglione cadde un silenzio di tomba.

-Vi ricordo che durante la partita è assolutamente vietato uccidere e o ferire più o meno gravemente l'avversario. I limiti sono l'intera foresta, ma per il vostro bene vi sconsiglio di addentrarvici troppo...-

L'idea che qualcuno potesse vedersela brutta sembrava divertirlo.

-La metà campo è rappresentata dal ruscello. La squadra che riuscirà per prima a portare la bandiera avversaria nella propria metà campo avrà vinto. Buona fortuna e tutto il resto.- concluse sbrigativo.

Decisamente non era qualcuno a proprio agio coi ragazzi.

Lestrade fece un cenno e i capi cabina si alzarono dai rispettivi tavoli e si avvicinarono a quello centrale. Due bandiere bianche che parevano degli stendardi araldici sventolavano tristemente.

-Poichè è stata la casa di Atena a vincere la precedente partita, sarà il loro caposquadra ad annunciare le alleanze.-

In quel momento una delle due bandire prese a bruciare come se qualcuno ci avesse passato sopra l'accendino. Quando le fiamme si spensero la bandiera era diventata color argento, con al centro ricamato lo stemma della casa di Atena, una civetta.

Dal rispettivo tavolo si alzò un grido di esultanza. Un ragazzo alto e biondo, con degli occhiali neri, fece un passo avanti rispetto al gruppo dei capi cabina e annunciò -Quest’anno le squadre alleate con la casa di Atena saranno quelle di Ermes...-dal nostro tavolo si levò un urlo di giubilo, neanche avessimo vinto alla lotteria.

-E' una buona cosa?- chiesi incerto a Michael.

-Amico, scherzi? Avere la casa di Atena dalla propria parte è come avere già la vittoria in tasca. Nessuno li batte in quanto strategia. Tranne forse...- Non concluse la frase, ma dal tono scommisi che si trattava di qualcuno non molto simpatico.

-...Demetra...- continuò il figlio di Atena -... e Apollo-

La seconda bandiera prese a bruciare, rivelando nella stoffa rosso sangue lo stemma di un cinghiale con delle armi ai lati della testa.

A quel punto si fece avanti una ragazza che solo a guardarla le piante di fragola nell'orto del campo sarebbero potute appassire.

-Teresa Buth, capo cabina della casa di Ares. Fatti un favore, amico, stalle alla larga.- mi bisbigliò Michael. Direi che il consiglio era piuttosto inutile, l'avrei fatto comunque. Decisamente Teresa era qualcuno da cui guardarsi bene.

Con una voce che assomigliava agli orchi nel film del Signore degli Anelli prese parola - Con la casa di Ares si schierano Efesto, Afrodite, Dionisio... e Ade- concluse di malavoglia grugnendo.

Dal tavolo di Ares si levarono numerose proteste, così come da quello di Afrodite, Dionisio ed Efesto.

Mi voltai sorpreso.

-Sono davvero così terribili i figli di Ade?- chiesi stupito.

Michael mi guardò come se gli avessi non mi avesse mai visto prima. Poi si ricordò che ero arrivato solo da una settimana e sembrò ricomporsi un poco.

-Non i figli, ma IL figlio. E ti assicuro che basta e avanza per la sua casa e le prossime dieci generazioni di mezzosangue.-

Giusto, c'era la questione dei figlio dei tre "pezzi grossi", come li aveva definiti Sebastian con una punta di sarcasmo.

-Comunque se dici così significa che non hai ancora conosciuto Sherlock Holmes-

-Holmes, ma è...?-

-Già. E ti assicuro che suo fratello maggiore è una pasta al burro in confronto.-

Avendo conosciuto un poco di ciò che era capace di fare il Signor Holmes mi vennero i brividi. Decisamente una persona ancora peggio non poteva semplicemente esistere, giusto?

Davanti al mio sguardo incerto Michael mi rifilò una sonora pacca sulla spalla - Provare per credere, amico. Provare per credere...-

Con un veloce battito di mani Lestrade ci spedì a prepararci.

A quel punto la sottile ansia si trasformò in un brutto presentimento vero e proprio.

 

 

-Ma è corretto che siano tre case contro quattro?- chiesi perplesso a Sebastian mentre mi spiegava per la terza volta come allacciare le protezioni.

-La casa di Ermes è grande- rispose semplicemente.

In effetti da sola valeva come due case. Se poi la casa di Ade era composta da un unico membro…

Il suono lungo di un corno ci richiamò nel bosco.

Al via un nugolo di persone si disperse nella foresta, e io con loro.

Le protezioni, color argento per distinguerci dagli alleati della casa di Ade, erano leggere ma comunque scomode per muoversi e l’elmo era di due taglie più grande e continuava a scivolarmi sugli occhi.

Secondo la strategia impostata dai figli di Atena avremmo dovuto portare gli avversari al centro del sentiero, mentre il resto di noi sarebbe passata ai lati non vista.

Poteva funzionare, ma dubitavo che gli altri si sarebbero fatti fregare da un piano del genere. Probabilmente c’era sotto qualcos’altro.

Mentre pensavo mi accorsi che ero rimasto indietro. Accelerai il passo, superando il ruscello e addentrandomi in territorio nemico. In lontananza si sentivano già i rumori dello scontro.

Strinsi forte l’impugnatura dalla spada che Sebastian mi aveva dato.

Era più corta delle spade che ero abituato ad utilizzare, ma in qualche me la sarei cavata anche con quella. D’altronde era l‘unica spada rimasta nell’armeria, spuntata per pura fortuna da una vecchia cassa di legno. Il bronzo stava ormai lasciando il posto a macchie di ruggine.

Assomigliava molto alla spada che mi aveva salvato al museo durante lo scontro. Pregai che potesse salvarmi anche da quello che stavo per affrontare.

Alla mia sinistra sembrava esserci un sentiero alternativo che girava intorno alla collinetta su cui si stavano svolgendo le battaglie. Molto più sicuro. Iniziai perciò a seguire il sentiero.

Probabilmente fu la prima mossa sbagliata che feci.

La seconda fu quella di accorgermi un secondo troppo tardi che dietro alcuni cespugli un gruppo di figli di Ares si era radunato intorno ad un povero sventurato.

Ovviamente Teresa Buth guidava la cerchia. La mia solita fortuna sfacciata.

Ettari di bosco e chi vado a trovare se non lei?

Incerto, mi accovacciai dietro ad un tronco osservando la scena…

 

 

[Esistono diverse categorie di idioti al campo e, in generale, nel mondo.

Quelli che sono idioti e si comportano da idioti.

Quelli che si credono intelligenti e si comportano da idioti.

Quelli che sono intelligenti, ma la maggior parte delle volte si comportano comunque da idioti.

E poi ci sono i figli di Ares.

Quelli che quando Atena distribuiva l’intelligenza loro erano in fila per farsi affilare le spade. Il genere di persone che definirle “senza cervello” è un insulto alle meduse.

In particolare rientrano nell’ultima categoria Teresa Buth e i suoi amici imbecilli.]

Me ne sono reso conto… Perché le meduse?

[Perché le meduse non hanno un organo che funge loro da cervello, John.]

Ah.

 

 

-Ti ha dato completamente di volta il cervello, Buth?! Se non lo hai notato sono nella vostra stessa squadra!- esclama una voce.

Dalla distanza non riuscivo a capire a chi appartenga.

E’ strano, però. Mi sembra di averla già sentita da qualche parte…

-Nient’affatto, sto seguendo le regole. Come ci è stato ricordato oggi “è assolutamente vietato uccidere e o ferire gravemente l'avversario”, ma si da il caso che tu, come hai appena detto, sia parte della nostra stessa squadra.- sottolineò Teresa ridacchiando. -Sarà un vero peccato rovinare il tuo bel visino, Holmes, ma sai, non credo di aver proprio digerito la tua soffiata a Lestrade riguardo le armi modificate…- concluse malevola.

Mentre parlava girava intorno al ragazzo, come un predatore con la sua preda. Scegliendo il momento migliore per colpire.

Quando finalmente vidi di chi si trattava trattenni a stento un’esclamazione di sorpresa.

Così era lui il misterioso Sherlock Holmes. Senza ombra di dubbio era il ragazzino del museo, ma probabilmente avrei dovuto aspettarmelo. Il destino sembrava divertirsi molto a giocare con me nell’ultimo periodo.

Teresa nel frattempo lo aveva fatto afferrare per i capelli da uno dei suoi mastodontici compagni, che lo teneva ben sollevato. Lei gli rifilò un pugno nello stomaco.

Il ragazzino mugugnò di dolore, mentre tentava di liberarsi.

Mi mossi a disagio dietro la pianta di pino, pensando ad un modo per tirarlo fuori da quella situazione.

Presi una pigna e del tutto sconsideratamente la tirai verso il gruppo.

L’idea era di distrarli per un attimo e dare magari il tempo ad Holmes di estrarre la famosa spada. Sempre che ce l’avesse con sè.

Come sempre la mia proverbiale fortuna mandò la pigna dritta in testa a Teresa, la quale si volse di scatto proprio verso la mia direzione, neanche fosse un segugio o qualcosa del genere.

Due.

Quattro.

Sei passi.

Ormai era vicinissima all’albero dietro cui ero nascosto.

Ottimo. Mi salvo da un serpente per morire per mano di Teresa Buth.

Trattenni il fiato, mentre quella tranciava i cespugli vicini al pino con la spada…

 

*CLICK*

Registrazione salvata.

Data 30/06/15

Durata 1.50.34

 

 

E ce la fa!!! Dopo un mese, ritorno con un altro, decisamente pessimo capitolo. Cosa ne pensate? La caccia alla bandiera è un classico intramontabile, se poi aiuta i nostri due eroi a (ri)incotrarsi ben venga, vi pare. Cosa ne dite dei nuovi personaggi. Alcuni, come Michael,

 sono semplici comparse, mentre altri, come Sebastian Moran… vedremo cosa succederà, intanto speriamo che quei due se la cavino ;) Come sempre i vostri commenti e pareri sono ben accetti ^-^ Alla prossima, kiss ;-*

 

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