Le cronache di Aveiron: Dimenticati

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dopo il buio e l'oblio ***
Capitolo 2: *** Anni dopo ***
Capitolo 3: *** Compagni di sventura ***
Capitolo 4: *** Scoperta ***
Capitolo 5: *** Misure drastiche ***
Capitolo 6: *** Reprimere e amare ***
Capitolo 7: *** La giungla urbana ***
Capitolo 8: *** Un nuovo rifugio ***
Capitolo 9: *** Gocce di pioggia e memoria ***
Capitolo 10: *** Al cospetto di una dama ***
Capitolo 11: *** Amara e dolce Leader ***
Capitolo 12: *** Ombre, luci e ricordi ***
Capitolo 13: *** Fiducia rinnovata ***
Capitolo 14: *** Segreti nell'aria ***
Capitolo 15: *** Promesse su carta ***



Capitolo 1
*** Dopo il buio e l'oblio ***


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Dimenticati

Capitolo I

Dopo il buio e l'oblio

Esisteva il regno di Aveiron. Il re amava una bellissima donna, tanto da considerarla sua regina, e questa l'amava a sua volta, ma il loro era un segreto, un amore proibito. Io sono nata da quel tipo di amore. Mia madre veniva disprezzata per essersi innamorata di un re, e mio padre veniva considerato un traditore per aver lasciato che la donna da lui amata prendesse il posto del suo trono e della vera sovrana. Tutti parlavano di loro, e li giudicavano. Dicevano che le azioni da loro compiute corrispondevano al peggiore dei peccati, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era il loro amore. Il sentimento che li univa era puro, e pensandoci, non potevi che desiderare di trovare qualcosa di simile anche nella tua vita. Amavo i miei genitori più della vita stessa, e darei qualsiasi cosa pur di rivederli ancora una volta, anche se solo per un mero secondo. Per pura sfortuna, questo è impossibile. Se ne sono andati, ed io sono sola a questo crudele mondo. Mi chiamo Rain, e questa è la mia storia. Sono ormai passati anni, ma ricordo tutto, e so bene che in principio vi furono alte fiamme. La nostra casa bruciava, e mia madre non faceva che gridare. “Rain! Scappa! Salvati! Papà è ferito, non posso lasciarlo da solo! Ti prego, perdonami!” Queste le uniche parole che è riuscita a rivolgermi poco prima di tornare a guardare negli occhi l’ora incosciente marito, schiacciato dai detriti e dalle macerie della nostra dimora. Aveva le lacrime agli occhi, e tentando di prestargli aiuto, gli parlava. “Ronan, amore mio, mi hai reso la donna più felice del mondo. Ne abbiamo passate tante insieme, e non abbiamo mai smesso di amarci. Andiamocene insieme…” Un discorso così sentito e commovente, pronunciato poco prima di compiere la più dura e sofferta delle scelte, ovvero quella di morire e cessare di esistere al fianco di chi si ama. Ogni notte. Ogni singola e dannata notte quell’orribile incubo si ripresenta, ed io non riesco più a sopportarlo. Anche stavolta mi sveglio di soprassalto, e aprendo gli occhi, sono felice di essere dove sono. Camminando nella fredda neve durante la notte, sono riuscita a trovare una casa. Piccola, sporca e abbandonata, ma data la situazione e i miei trascorsi, accogliente. D’un tratto, la porta si apre cigolando. “Bentornata, Alisia.” Azzardo, guardando mia sorella fare il suo ingresso nel salotto di casa, riscaldato solo dalle esili e morenti lingue di fuoco che danzano nel caminetto. “Grazie. Mi spiace, ma non sono riuscita a trovare da mangiare. Credo che dovremo resistere per un altro giorno.” Risponde, sorridendo debolmente al solo scopo di rincuorarmi. “Va bene, davvero, sono felice che tu sia sana e salva. Attimi di silenzio pervasero l’aria. “Hai avuto un altro incubo?” mi chiese poi, riprendendo a parlare e guardandomi con aria seria. “Stai sudando anche se fa freddo.” Aggiunse, tacendo nell’attesa di una risposta che non arrivò mai. Limitandomi ad annuire, tornai a guardarla, e in quel preciso istante, vidi i suoi occhi. Due lucenti gemme verdi il cui brillare era offuscato da piccole lacrime, che rigandole il volto, correvano senza sosta sulle sue guance. “Hai idea di quanto ti voglia bene?” indagò, notando il mio volto contratto in una smorfia di insicurezza. Il mutismo ebbe la meglio su di me, ed io non risposi. “Sin da quando sei nata, adesso abbracciami.” Disse poco dopo, rimanendo ferma e guardarmi con occhi capaci di scrutare anche l’interno della tua stessa anima. Avvicinandomi, l’accontentai, e nell’esatto momento in cui i nostri corpi si toccarono, lei provò a baciarmi. Istintivamente, mi ritrassi. “Sei… mia sorella.” Biascicai, tremando come una povera bestiola vittima di un predatore e certa di quella che sarà la sua fine. “Sorellastra, se permetti. A nessuno importante niente in un mondo del genere ed io ti voglio troppo bene.” Continuò lei, ormai convinta delle sue stesse intenzioni. “Ti prego, non farlo.” pregai, con la voce che pareva essere sul punto di spezzarsi. Di nuovo silenzio. Per tutta risposta, lei mi attirò delicatamente a sé, e quasi volendo rispettare il mio volere, cambiò idea, limitandosi a deporre un innocente bacio sulla mia guancia. Con il corpo ancora scosso da leggeri tremiti, la guardai, incredula di fronte alle parole che le sentii pronunciare. “Hai visto? Non è stato male, vero?” si informò, sarcastica. Provai a rispondere, ma sentii di avere la lingua impastata. Il colpo finale arrivò lesto. “A mai più rivederci, sorellina.” Disse, per poi salutarmi con la mano e andarsi dopo essersi abbandonata ad un acido risolino. Muta e immobile, la guardai allontanarsi e guadagnare la porta di casa, e da quel momento, sperai ardentemente di poterla rivedere. Fra noi era sempre corso ottimo sangue, io le volevo bene, e quando la vidi andarsene, mi resi conto di una cosa. Nonostante il dolore, la rabbia e gli screzi del passato, anche lei aveva ammesso di volermi bene, e non potevo che esserne grata. La notte scese quindi lenta, e addormentandomi su un’ormai malconcia poltrona, ebbi paura per il mio futuro e la mia incolumità. In fin dei conti, tutto era successo dopo il buio e l’oblio.

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Capitolo 2
*** Anni dopo ***


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Capitolo II

Anni dopo

Quando le persone affamate di potere danno inizio ad una guerra, a loro non importa della gente comune. Distruggono tutto, lasciandola a soffrire il freddo e la fame. Questo mondo non è più come soleva essere. Crimini su crimini, uomini che ne uccidono altri per mangiare o trovare un riparo,  niente leggi né regole per fermare questa pazzia. Ora come ora, pochissimi sono i sopravvissuti. Coloro che ce la fanno vivono nel terrore, nella paura e nella povertà. C’è un gruppo di persone che trae vantaggio da questa situazione. Si fanno chiamare Ladri, perchè questo è quello che sono. Rubano qualunque cosa, uccidono per divertimento e mai nessuno prova ad affrontarli. Forse non sono né sarò mai in grado di proteggere il mondo intero, ma non sono tanto stupida da vivere nelle mie fantasie. Camminavo fra la neve, e mentre questi pensieri spaziavano nella mia mente, mi sentii improvvisamente debole, tanto da cadere e non riuscire a rialzarmi, non sentendo altro che il battito del mio giovane cuore unito allo scorrere del mio sangue, che viaggiando all’interno del mio corpo, lo riscaldava. Nel tentativo di risparmiare le energie, assunsi la posizione fetale, per poi scegliere di chiudere gli occhi. In quel momento, una voce maschile raggiunse le mie orecchie. “Ho trovato qualcosa.” Diceva, riferendosi al mio povero corpo quasi consunto e bruciato dal gelo. “È… morta?” chiese una seconda voce,  appartenente ad un individuo diverso. “Respira ancora, ma debolmente.” Disse il primo ragazzo, posando il suo sguardo colmo di apprensione su di me. “Dobbiamo portarla con noi, o morirà congelata.” Aggiunse poi, chinandosi e sfiorandomi la mano alla ricerca del mio battito cardiaco. C’era, era debole ma presente. Ad ogni modo, il freddo deve avermi completamente stordita da quel momento in poi, perché non ricordo assolutamente nulla oltre all’essermi addormentata in un posto molto più caldo dell’asfalto cittadino, bagnato dalla pioggia e dalla neve che si scioglieva per fare posto a quella che intanto continuava a cadere. “Dove sono?” ebbi appena la forza di chiedere, quando mi svegliai dal mio lungo sonno. “Sei al sicuro ora. Nessuno ti farà più del male, perciò non preoccuparti.” Disse una voce che a causa della stanchezza faticai a riconoscere. Alzando lo sguardo, lo vidi. Era un ragazzo, lo stesso che ricordavo di aver visto poco prima di svenire e perdere definitivamente i sensi. “Mi chiamo Stefan, e tu?” azzardò poi, regalandomi un sorriso. “Rain.” Tardai a rispondere, scoprendomi completamente rapita dal suo sguardo. Due occhi marroni come le foglie in autunno, e per certi versi di un colore simile a quello dei miei, che erano sospesi fra il miele e  l’ambra. “Piacere di conoscerti.” Aggiunsi poco dopo, nel tentativo di rimediare a quello che vedevo come uno stupido errore. “Io e mio padre ti abbiamo soccorsa, stavi per morire. In più hai dormito per due giorni, non pensavo di rivederti sveglia. Continuò lui, in tono calmo. Grazie di avermi salvata Stefan, tu e tuo padre siete troppo gentili. “Gli dirò che sei sveglia, non lasciare questa stanza per nessuna ragione.” Mi disse, avvisandomi con aria seria. Obbedendo a quella sorta di ordine, rimasi ferma e inerme, e con lo sguardo fisso in avanti, lo osservai mentre si allontanava. La sua figura sparì dal mio campo visivo solo pochi secondi dopo, e in quel momento, sentii la porta di legno chiudersi con uno scatto. Rimasta sola, mi fermai a pensare, tentando con tutte le mie forze di conservare la mia sanità mentale. “Sono prigioniera?” mi chiesi, parlando con me stessa e guardandomi intorno. Seppur lentamente, il mio sguardo si posò sulle coperte che mi avvolgevano. Bianche, immacolate e pesanti. Forse era vero, e forse Stefan stava cercando di tenermi in vita, ma a che scopo? Non potevo saperlo. Ad ogni modo, il tempo scorreva lento, e sdraiandomi, provai a dormire. Sfortuna volle che i miei tentativi di farlo si rivelassero vani, e che drizzandomi a sedere, mi specchiassi notando qualcosa. Incuriosita, mi chiesi cosa fossero quei piccoli segni sul mio viso, e dopo un’attenta analisi, capii che erano lacrime. Acqua desiderosa di rompere gli argini presenti nei miei occhi e uscire, sgorgando come un fiume in piena. “Mamma… Papà… portatemi con voi.” Pregai, a mani giunte come un fedele di fronte al suo Dio. Ero impegnata a pregare e chiedere consigli al cielo, quando improvvisamente, un suono interruppe il flusso dei miei pensieri, così come quello delle mie azioni. “Ti disturbo?” chiese un uomo alto e dagli occhi castani, entrando nella stanza al solo scopo di sedersi su una poltrona lì presente. Colta alla sprovvista dal suo arrivo, scossi il capo fornendo una risposta negativa, alla quale seguì un tombale silenzio. Nel tentativo di mostrarmi educata, mi alzai in piedi, e stringendogli la mano, lasciai che si presentasse. “Mi chiamo Patrick e sono il dottore di questa Casa. Lieto di vederti in piedi, Rain. Disse, mostrando una calma che definirei mostruosa. Ascoltando in silenzio, mi limitai ad annuire e sorridere a mia volta, per poi lasciare che riprendesse la parola. “Il nostro Leader non lascia spazio a nuovi membri. Non appena ti rimetterai dovrò costringerti ad andartene.” Aggiunse, con un tono che alle mie orecchie giunse serio e duro al tempo stesso. Le sue parole mi colpirono, ma facendo del mio meglio per evitare di scompormi, pronunciai solo poche parole. “Capisco, dottor Patrick. Dissi soltanto, chinando il capo in segno di resa e tristezza. “La tua presenza qui è un segreto. Se gli altri lo sapessero finirei nelle mani del Leader. Qualunque cosa accada, non lasciare questa stanza.” Continuò, per poi finire quella frase con durezza e serietà ancora maggiori. Per qualche strana ragione, le sue parole suonarono per la seconda volta come un avvertimento, e rimanendo ferma, annuii nuovamente. “Non voglio essere un peso per chi mi ha salvato, non lascerò la stanza fino al mio momento.” dichiarai, in tono solenne. “Vado a prenderti da mangiare, tu preoccupati solo di riposare.” Concluse il dottore, alzandosi da quella poltrona e lasciandomi completamente da sola con i miei pensieri come unica compagnia. Chiudendo gli occhi, provai a dormire, e scoprendomi nomade in una profonda dimensione onirica che riportava alla mia mente il ricordo di quanto avevo ormai perso, pregavo di riuscire a rimettermi il più presto possibile. Passai quindi una notte molto agitata, scandita dal bubolare dei gufi che nidificavano sui tetti delle case, e dalle tetre frasi pronunciate dalla gente con cui condividevo il mio nuovo rifugio.  

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Capitolo 3
*** Compagni di sventura ***


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Capitolo III

Compagni di sventura

“Le nostre provviste iniziano a scarseggiare. Fra pochi giorni non avremo più nulla.” Una frase pronunciata con fare autoritario da una donna. Sembrava adirata, e in quel preciso istante, non potevo che immaginare la maschera di collera che le copriva certamente il volto. Per ordine di Stefan e del dottor Patrick, sarei dovuta rimanere nella mia stanza, e avvicinandomi allo specchio, ammirai la mia immagine riflessa. Non vidi nulla di strano. Gli stessi occhi, gli stessi lunghi capelli, la stessa altezza, e in altre parole, io. Rain. I minuti passarono lenti, e la curiosità iniziava a farsi sentire, così, muovendo qualche passo in direzione della porta, non resistetti alla tentazione di origliare. “Immagino vogliate mandarci a caccia di cibo.” Disse un ragazzo, rivolgendosi a quella donna. “È esattamente quello che voglio. Shiro, Ilmion, andate.” Rispose quest’ultima, con la voce ancora corrotta dalla rabbia. “Ma come dovremmo…” biascicò un secondo ragazzo, preoccupato e spaventato al tempo stesso. “Non mi interessa in che modo lo farete, fatelo e basta. Uccidete se necessario.” Continuò lei, sempre più arrabbiata e incapace di ragionare. “Non possiamo andarci da soli, mandi anche due ragazze, così saremo pari.” Proruppe il secondo dei due ragazzi, volendo unicamente difendere l’amico. Per nulla intimorita da quelle parole, la loro padrona scattò in piedi. “Non metterò in pericolo le mie ragazze per dar da mangiare a voi maiali!” gridò, inviperita. A quelle parole, sobbalzai, e nello spazio di un momento, la porta cigolò sinistramente, per poi aprirsi senza che io potessi fare nulla per impedirlo. Mordendomi un labbro, maledissi me e la mia innata goffaggine, che sembrava presentarsi sempre nei momenti meno opportuni. Spaventata, mi sporsi così da riuscire a vedere quanto stesse accadendo, e fu allora che li notai. I due ragazzi, uno biondo, l’altro moro, non avevano la minima intenzione di arrendersi al volere della loro padrona. “Con il dovuto rispetto, Lady Fatima, lavoreremmo insieme.” Disse il biondo, sfidandola con lo sguardo e la voce. Una mossa a dir poco audace, ma che non gli servì a nulla data la risposta dell’ormai irosa donna. “Ora basta! Dovete guadagnarvi ciò che avete! Se volete un tetto sotto la testa e un letto in cui dormire farete come dico, intesi?” urlo, più in collera di prima. “Come desiderate, Lady Fatima.” Rispose il moro, quasi inchinandosi di fronte alla sua Signora. “Bene! Ora sparite entrambi dalla mia vista!” concluse, intimando loro di andarsene e fare ciò che aveva chiesto. Mantenendo il silenzio, i ragazzi obbedirono, e uscendo da quella stanza, raggiunsero l’uscita. Indietreggiando con velocità inaudita, sperai con tutto il cuore che non mi vedessero. Alcuni secondi svanirono quindi dalla mia vita, e allo scadere degli stessi, rividi Lady Fatima, cogliendola nell’atto di baciare la ragazza che l’affiancava. Aveva i capelli rossi e due iridi dal colore confuso, a metà fra il brillante azzurro e il cupo viola. Conoscendomi, sapevo di non avere alcun pregiudizio a riguardo, ma per qualche strana ragione, quella vista mi scosse. Nel tentativo di ritrovare la calma ormai persa, mi sedetti sul letto, per poi sdraiarmi e fingere di dormire. Anche stavolta, non ebbi modo di farlo, poiché i ricordi legati a quella furiosa lite, unite ai gemiti di Lady Fatima e della sua compagna, mi tennero sveglia per quasi tutta la notte. Inutile è dire che non provai nuovamente paura per me stessa, e durante le lunghe ore passate a rigirarmi nel letto al solo scopo di addormentarmi, scoprii qualcosa che era ormai diventato troppo ovvio per non essere compreso. Faticavo a crederci, ma a quanto sembrava, io, Shiro ed Ilmion eravamo inconsapevolmente compagni di sventura. Quest’ultima non sembrava poi smettere di seguirmi in nessuna occasione, poiché nel momento in cui finalmente riuscii a prendere sonno, mi sentii stranamente osservata. Un respiro caldo e affannoso mi inumidiva il collo, e tremando, mi voltai.

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Capitolo 4
*** Scoperta ***


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Capitolo IV

Scoperta

“Chi… Chi sei tu?” chiesi, con la voce e il corpo tremanti, guardando negli occhi azzurri, spenti e freddi quello che era il mio aguzzino. “Io non sono nessuno, piccola, solo Maddox, il tuo peggiore incubo.” Rispose, sorridendo maliziosamente e dandomi modo di notare una piccola cicatrice appena sotto il suo labbro inferiore. “Sei davvero bella, sai?” azzardò, ammirando con fare estasiato il mio corpo nudo e la mia pelle lattea, fasciata alla perfezione dalle coperte del letto su cui dormivo. Alle sue parole, non risposi, ma rompendo il silenzio, mi lasciai sfuggire un gemito di paura. “Cosa vuoi da me?” indagai, spaventata a morte dalla sua vicinanza a me. Il tempo scorreva, e la distanza che ci separava stava lentamente diminuendo, fino a diventare minima. In quel momento, quel mostro avvicinò con prepotenza le sue labbra alle mie, e sfiorandole, sorrise di nuovo. “Hai anche un buon sapore.” Commentò, guardandomi con occhi di ghiaccio, spenti e privi di luce. Al nostro Leader piacerai sicuramente.” Aggiunse poi, facendo scivolare le sue dita sulla mia spalla, per poi raggiungere il mio braccio e le punte delle mie dita. Afferrandomi la mano, la baciò delicatamente, e a quella scena, provai un enorme disgusto. Ritraendomi, tentai di reagire, e soltanto alcuni secondi dopo, capii di aver commesso un terribile errore. Difatti, il mio gesto non fece che adirarlo, e per tutta risposta, mi strappò le coperte di dosso. Mi ritrovai quindi nuda e priva di difese. Avevo smesso di tremare, e rimanendo in silenzio, pregai che si allontanasse. Per pura sfortuna, il mio desiderio venne tristemente ignorato, e un’improvvisa sensazione di ribrezzo mi invase il corpo. Quell’orribile individuo continuava a tentare di baciarmi e rendermi debole di fronte ai suoi stessi occhi. Data la situazione, sembrava esserci riuscito perfettamente. Tutto stava accadendo con una lentezza esasperante, e mentre il mio corpo veniva scosso da violenti tremori, Maddox intraprese una scelta ben diversa, arrivando a carezzarmi prima le mani, poi il viso e infine i seni. Guardandomi, mi costrinse ad alzarmi, e non provando altro che paura e terrore obbedii. “Ti prego, non farlo. biascicai, con la voce corrotta dall’insicurezza. “Sei bellissima, e non me ne andrò di qui finchè non ti avrò avuta. Intesi, piccola mia?” rispose, con serietà e prepotenza inaudita. Inorridita, continuavo a guardarlo, e indietreggiando, mi accorsi di essere finita letteralmente con le spalle al muro. Ero completamente nuda, e a giudicare dalla sua espressione, Maddox non aspettava altro. Sforzandomi di mantenere la calma, provai a non gridare, ma arrendendomi all’evidenza, urlai con quanto fiato avessi in gola, sperando che qualcuno, sentendomi, arrivasse in mio soccorso. Le mie urla risuonarono nell’intera casa, e riuscendo a sentirne l’eco nel corridoio, attesi. Fu quindi questione di alcuni istanti, e la porta della mia stanza si aprì. In quel momento, qualcuno gridò il mio nome, e voltandomi, capii che si trattava di Stefan. Istintivamente, lo chiamai a mia volta, per poi vedere sia lui che il dottor Patrick tentare di allontanare Maddox da me. lo stesso Patrick ci riuscì in poco tempo, e assestandogli un poderoso pugno in viso, lo cacciò via nel peggiore dei modi. Non appena se ne fu andato, Stefan si avvicinò a me. “Stai bene?” mi chiese, guardandomi con l’apprensione che era solito riservarmi sin dal giorno in cui mi aveva conosciuta e salvata da morte certa nella fredda neve. “Sto molto meglio, potrei perfino andarmene oggi stesso.” Dissi, sorridendo e coprendomi il corpo con le lenzuola a causa della vergogna che sapevo di provare. “Tieni, metti questa.” Rispose, lanciando una sobria maglietta nella mia direzione. Alzando un braccio, l’afferrai saldamente, e voltandomi la indossai. Tornando a guardarlo, provai una nuova sensazione di vergogna, e sedendomi sul letto, vidi Stefan imitarmi. “Vuoi per caso parlarne?” indagò, con un filo di preoccupazione nella voce. “È stato orribile. Aveva occhi di ghiaccio, uno sguardo tremendo e una cicatrice spaventosa.” Dissi, iniziando inconsciamente a tremare e sentendo le mie corde vocali vibrare così intensamente da apparire sul punto di spezzarsi da un momento all’altro. “Quel verme. Come ha potuto?” sibilò Stefan, facendosi improvvisamente serio. “Non ne ho la minima idea, e voglio soltanto andarmene da qui.” Ammisi, abbassando lo sguardo e limitandomi a fissare il pavimento. “Non devi farlo, sei solo spaventata.” Proruppe lui, costringendomi con solo due dita a incrociare i nostri sguardi. “Ti proteggerò io da loro, d’accordo?” chiese, per poi tacere nell’attesa di una mia risposta. Inizialmente, non risposi. Ad essere sincera, quella domanda mi appariva retorica, ma in quello stesso istante, mi scoprivo ferma davanti ad un metaforico e immaginario bivio. Da un lato c’era la fuga che corrispondeva alla libertà, e dall’altro c’era la presenza di Stefan. Mi aveva salvata da quell’orribile situazione, e avendo promesso di proteggermi, non voleva che me ne andassi. Seppur lentamente, il tempo continuava a scorrere, e d’improvviso, la voce del dottor Patrick interruppe il flusso dei miei pensieri. “È proprio questo il problema. Non ha scelta, e deve farlo.” Disse, per poi spostare il suo sguardo su di noi. “Cosa? E perché mai?” chiese Stefan, confuso e stranito. “Maddox l’ha scoperta, ed è solo questione di tempo prima che il Leader la scopra.” Continuò, con aria estremamente seria e concentrata. “Ma dottor Patrick, lei non ha un posto dove andare, e se i Ladri la catturassero?” rispose Stefan, nel tentativo d difendermi e riportare quell’uomo alla ragione. Scivolando nel mutismo più completo, il dottor Patrick si abbandonò ad un cupo sospiro. “E va bene, vedrò cosa posso fare.” Ci disse, guardandoci entrambi negli occhi e sparendo dalla nostra vista. Camminando lentamente, guadagnò la porta della stanza, e varcandola, ci lasciò da soli. Chiudendosi con estrema lentezza, la porta emise un cigolio, e voltandomi nella direzione di quell’orribile suono, ebbi unicamente voglia di piangere. Lasciarmi andare ad un pianto dirotto, così da annegare nel dolore ognuno dei problemi che mi stava affliggendo. Così, senza neanche accorgermene, iniziai a farlo, vedendo delle piccole, amare e fredde lacrime solcarmi il volto. Notandomi, Stefan mi si avvicinò. “Cosa c’è?” chiese, sedendosi al mio fianco e cingendomi un braccio attorno alle spalle. “Non hai sentito cos’ha detto? Non ho speranze! Maddox mi ha scoperta, e io dovrò andarmene.” Piagnucolai, per poi tirare su col naso e mostrare l’infantile comportamento di una bambina. “Rain, guardami.” Pregò, afferrandomi il mento con due dita e spingendomi delicatamente a farlo. I nostri sguardi si incrociarono, e non appena il suo volto entrò nel mio campo visivo, riuscii a calmarmi. “Ascolta, non è vero. Niente di tutto questo è vero. Certo, Maddox ti ha vista e i Ladri sono là fuori, ma io ti proteggerò, fine della questione.” Disse, apparendo incredibilmente serio e dolce al tempo stesso. Ad ogni modo, la nostra conversazione ebbe fine in quel momento, e uscendo dalla mia stanza, Stefan se ne andò, lasciandomi quindi completamente da sola. Alzandomi in piedi, ammirai la mia immagine riflessa nello specchio, e pur non notando alcun particolare, mi sentii nuova e diversa. Un individuo forte, e letteralmente rinato. Quella di Stefan era una solenne promessa, e volendo unicamente fidarmi sia di lui che del mio istinto, avevo riposto in lui e nel dottor Patrick ognuna delle mie flebili speranze.  

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Capitolo 5
*** Misure drastiche ***


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Capitolo V

Misure drastiche

Per l’ennesima volta, in un nuovo ciclo solare, la buia notte lasciava il suo posto al giorno. Il sole spuntava, e un suono ormai conosciuto mi distraeva. Ero ancora nella mia stanza, e qualcuno bussava. “Avanti.” Dichiarai, voltandomi in direzione della porta ancora chiusa. Alcuni attimi dopo, questa si aprì, rivelando la presenza di Stefan e del dottor Patrick. Entrarono quasi contemporaneamente, e alla loro vista, sorrisi. “Abbiamo la soluzione.” Disse Stefan, sorridendo a sua volta. “Davvero? E quale sarebbe?” chiesi, curiosa. In quel momento, un nuovo sorriso si dipinse sul mio volto, e mantenendo il silenzio, attesi una qualsiasi risposta. Per pura sfortuna, il mio sorriso parve destinato a spegnersi solo poco tempo dopo, poiché le parole che sentii ebbero come unico potere quello di minare il mio morale, spedendolo a centinaia di metri sotto terra. “Mi duole dirlo, ma dovrai tagliarti i capelli.” Confessò il dottor Patrick, guardandomi con aria seria e al contempo addolorata. Lasciando che il silenzio si impadronisse di me, non parlai, limitandomi quindi a pensare. Non volevo. Sapevo bene che i miei lunghi capelli erano l’unico ricordo che avevo di mia madre, e per nessuna ragione al mondo avrei lasciato che un paio di metalliche forbici deturpassero la somiglianza che condividevo con lei. “Non se ne parla.” Sbottai, scattando in piedi come una molla. “Rain, ti prego, ragiona. Se non lo fai, Lady Fatima potrebbe scoprirti!” rispose Stefan, afferrandomi un polso e tentando di riportarmi alla calma. “Ho detto che non se ne parla, ora fuori da questa stanza.” Replicai, sperando che recependo il messaggio mi lasciassero da sola. “Ma Rain…” biascicarono entrambi, non riuscendo comunque a convincermi. Quella frase morì nelle loro rispettive gole, e guardandoli con occhi colmo d’ira e odio, sentii una giusta rabbia crescermi dentro come una robusta quercia nata da una piccola e insignificante ghianda. “Fuori di qui! Gridai, alterandomi di colpo e non badando al tono che utilizzai nel farlo. Spaventati dalla mia reazione, entrambi decisero di andarsene, e una volta rimasta da sola, mi sedetti di fronte allo specchio. Sollevando lo sguardo, non vidi che la mia immagine riflessa, e iniziando a piangere e singhiozzare debolmente, posai lo sguardo sul paio di forbici lasciate sulla piccola scrivania in legno presente nella mia camera. Le mie lacrime ne bagnarono le lame senza alcun ritegno, e specchiandomi per una seconda volta, meditai. Ancora una volta, ero ferma e inerme, in una posizione di vero e proprio stallo. Avrei potuto farlo e sperare di salvarmi dall’ira di Lady Fatima unita a quella del Leader, o mostrarmi testarda e mantenere la mia attuale immagine. Piangendo in silenzio, sentii il mio stesso cuore battere con forza, e stringendo i pugni, mi decisi. “Fallo.” Mi dissi, parlando con me stessa e tenendo saldamente in mano quelle ormai famose e al contempo maledette forbici. Con l’arrivo della sera, dissi addio alla mia fluente chioma simbolo della mia bellezza, e addormentandomi solo poco tempo dopo, mi sentii morire internamente. Non riuscivo a crederci. Avevo perso i miei genitori, ero stata salvata da degli sconosciuti dei quali finalmente riuscivo a fidarmi, e ora questo. Agli occhi di molti, cambiare pettinatura poteva sembrare un gesto normale e privo di rilevanza, ma non per me. Poteva apparire patetico, ma i miei capelli erano letteralmente una parte di me, e dopo averli tagliati, mi sentivo diversa, e per qualche strana ragione, non più padrona del mio stesso corpo. Cadendo preda del sonno, immaginai il mio avvenire, e continuando a riflettere, capii di essere stata costretta ad adottare misure a dir poco drastiche.

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Capitolo 6
*** Reprimere e amare ***


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Capitolo VI

Reprimere e amare

L’avevo fatto. Mi ero tagliata i capelli, e facendolo avevo detto addio alla somiglianza che condividevo con mia madre, la donna che mi aveva donato la vita. I giorni passavano, e il silenzio rischiava di rendermi completamente sorda. Troppo spaventata dai miei stessi trascorsi, non osavo lasciare la stanza che Stefan e suo padre avevano lasciato che occupassi, ma nonostante tutto,  ero inspiegabilmente preoccupata. Ricordavo ancora il discorso pronunciato da Lady Fatima, così come le sensazione di terrore che mi aveva procurato. Mostrandosi adirata come mai prima, aveva intimato a due suoi servi, Ilmion e Shiro, di lasciare la Casa e trovare del cibo e altri viveri. Malgrado un’iniziale resistenza, entrambi avevano scelto di obbedire, e sin da quel momento, li avevo letteralmente persi di vista. “Dov’erano? Che orribile fine potevano aver fatto?” Queste le domande che mi ponevo, guardando nervosamente fuori da una piccola finestra e attendendo con fare speranzoso il loro ritorno. Non li conoscevo, ma pur avendo unicamente memorizzato i loro volti, e non avendo idea del perché, non facevo che preoccuparmi. Ad essere sincera, ero fermamente convinta che Lady Fatima si fidasse di loro e avesse a cuore il loro benessere fisico e mentale, ma dopo averla vista dar loro le spalle per poi dedicarsi completamente a quella che era la sua fidanzata, mi ritrovai costretta a ricredermi. A quanto sembrava, odiava gli uomini, e dati i suoi sentimenti per l’intero genere maschile, non voleva che liberarsene. Ad ogni modo, un altro mese sta lentamente scivolando via dalla mia vita, e in questo preciso istante, mi sento soffocare. So bene di dover uscire di qui, ma tentando di ritrovare la calma e distendere i nervi, ne ho parlato con Stefan. “Tu non puoi andartene da qui, quante volte dovrò ripetertelo?” mi ha detto, montando subito su tutte le furie. “Per quale ragione?” ho chiesto, confusa e stranita dalle sue parole. “Te l’ho già detto! I Ladri sono là fuori, e ti prenderanno!” ha poi risposto, dandomi modo di sentire la sua voce spezzarsi come l’ala di un povero uccellino ferito e provato dal freddo. Un singolo attimo abbandonò quindi la mia giovane esistenza, e nello spazio di un momento, lo vidi avvicinarsi. Da quel momento in poi, tutto accadde in fretta. Guardandomi fisso negli occhi, Stefan mi afferrò entrambi i polsi, e stringendomi a sé, mi regalò la sensazione migliore della mia vita. Il suo fu un bacio dolce, casto e al contempo pieno di passione, che risvegliò in me i sentimenti per lui provati sin dal primo giorno. Le nostre labbra rimasero incollate per lunghi minuti, e staccandomi da lui solo per respirare, continuai a guardarlo. Mantenendo la concentrazione, Stefan non osava distogliere lo sguardo dai miei occhi color dell’ambra, e sorridendo, scelse di parlarmi. “Non hai la minima idea di quanto ti ami, Rain Sinette.” Mi disse, regalandomi un sorriso. I suoi occhi, ancora sognanti, sembravano brillare di luce propria, e mentre il silenzio avvolgeva la stanza, decisi di fare la mia mossa. Scoprendomi completamente rapita dal suo sguardo, lo baciai a mia volta, e posando le mie labbra sulle sue, gli confessai il mio reciproco amore. Il nostro scambio di tenere effusioni ebbe quindi fine, e stringendomi delicatamente, il mio amato sorrise. Ci fu quindi una nuova pausa di silenzio, ed io, concentrata solo sul battito del mio cuore, lo lasciai andare. Uscendo quindi dalla mia stanza, Stefan mi salutò dolcemente, e sdraiandomi sul mio letto, ripensai intensamente a quanto era appena accaduto. Avevo appena sperimentato il mio primo bacio, e cosa più importante, lo avevo ricevuto da Stefan, mio unico grande amore. L’immagine del suo stupendo volto conciliò il mio sonno, e chiudendo lentamente gli occhi, imparai il significato di due termini. Reprimere e amare. Due verbi che erano appena stati scritti in grassetto nel dizionario del mio arduo vivere, e che non avrei dimenticato per nessuna ragione esistente a questo vasto mondo.

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Capitolo 7
*** La giungla urbana ***


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Capitolo VII

La giungla urbana

Seppur con estrema lentezza, un altro giorno era passata. Riuscendo incredibilmente a svegliarmi poco prima dell’alba, ho avuto il piacere e l’onore di assistere allo spettacolo del sorgere dell’aurora e della comparsa del sole nel cielo, e alzandomi dal letto, ho subito raggiunto lo studio del dottor Patrick. Oltre a Stefan, lui è l’unica persona di cui io riesca a fidarmi, e prendendo posto sulla sedia presente nel suo studio, ho deciso di parlargli del mio piano. Come non facevo altro che ripetere da giorni, sentivo l’impellente bisogno di uscire e andarmene dalla Casa in cui ora ero letteralmente costretta a vivere. “Non dica nulla a Stefan. Lui non deve scoprirmi.” Gli dissi, guardandolo fisso negli occhi e sapendo di poter riporre la mia cieca fiducia in lui. “Sarà fatto. Ti prego solo di fare attenzione.” Mi rispose, giungendo le mani in segno di preghiera. “Lo farò, non si preoccupi.” Continuai, pronunciando quelle parole al solo scopo di rassicurarlo. Subito dopo, provai a voltarmi, e mentre ero nell’atto di farlo, sentii la mano del dottor Patrick toccarmi la spalla. “Aspetta. Prima che tu vada, devi avere una cosa.” Disse, continuando a guardarmi ed estraendo dal cassetto della sua scrivania un piccolo oggetto che per qualche ragione scintillava. Alcuni secondi passarono, e allo scadere degli stessi, scoprii che era una bussola. “Aveiron è enorme, e almeno così non ti perderai.” Continuò, mostrando un debole ma convincente sorriso. Poco prima di lasciarmi andare, mi consegnò anche un piccolo ciondolo. Era a forma di luna, e stando alle parole del dottor Patrick, era un regalo da parte di Stefan. A sentire quel nome, sorrisi, e prendendolo delicatamente fra le dita lo indossai. “La ringrazio.” Conclusi, regalandogli un secondo sorriso e scivolando poi nel più completo silenzio. La nostra conversazione ebbe quindi fine, e lasciandomi andare, il dottor Patrick mi augurò buona fortuna. Mi ritrovai fuori dopo alcuni minuti, e dando un rapido sguardo al contenuto dello zainetto che portavo, ricordai di averci messo uno specchio. Afferrandolo, guardai per un singolo attimo la mia immagine riflessa. Dando poi inizio ad un triste soliloquio, tentai di convincermi di non essere cambiata, ma tutto fu inutile. La bella ragazza che ero sembrava aver cessato di esistere, ed io non mi sentivo più me stessa. Ora come ora, sono il ritratto di mio padre Ronan. Questo semplice pensiero continua a galleggiare nella mia mente, e camminando fra la neve, mi ritengo fortunata. Il mio nome appartiene infatti ad entrambi i generi, e volendo trovare un lato positivo alla mia intera situazione, so bene di non correre il rischio di attrarre attenzioni indesiderate. Intanto, il tempo passa, e mentre il gelido vento continua a spirare riuscendo perfino a congelarmi il sangue nelle vene, mi sento sempre più debole. Non riesco a camminare, e le mie gambe stanno per cedere. La vista sta per abbandonarmi, e raggiungendo il portone di una piccola casa, cado con un tonfo. I miei ultimi attimi di coscienza sono scanditi dal quasi impercettibile battito del mio cuore, e il latrato di alcune povere bestie mi accompagnò fino al momento in cui le mie povere e stanche palpebre non si chiusero definitivamente. Non saprei dare un’effettiva durata alla mia perdita di coscienza, ma quando mi svegliai, mi scoprii sdraiata in un letto che non era il mio. Delle calde coperte mi avvolgevano e fasciavano il corpo, e avevo fortunatamente recuperato le energie. Drizzandomi a sedere, mi guardai confusamente intorno, per poi scoprire di non ricordare assolutamente nulla. Era incredibile. Non sapevo più chi fossi, dove mi trovassi e cosa facessi là fuori. Sapevo solo di essere disgraziatamente svenuta, e di essere quindi caduta in una delle numerose trappole che la giungla urbana era in grado di tendere.

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Capitolo 8
*** Un nuovo rifugio ***


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Capitolo VIII

Un nuovo rifugio

È passato un altro giorno, e nonostante i miei innumerevoli sforzi, non riesco a ricordare. Una coltre di umida nebbia pare permeare la mia mente, e ognuno dei miei preziosi ricordi sembra scomparso. Per pura fortuna, o forse per opera di un fato benevolo, ho scoperto di non essere sola. La casa in cui ora vivo non è disabitata, e un individuo dal cuore puro mi hanno aiutata a riprendermi. Dice di chiamarsi Basil, ed è davvero gentile. Dopo avermi soccorsa e accolta con calore, ha voluto ascoltare la mia storia. Guardandolo negli occhi, l’ho visto sorridere, e decidendo di fidarmi, gli ho parlato. “So di essere uscita per strada, di essere inciampata e svenuta nella neve. Nient’altro.” Ho ammesso, provando un’inspiegabile sensazione di tristezza mista a scoramento e vergogna. “Non ricordi il tuo nome?” mi ha poi chiesto, sorridendo debolmente e attendendo una mia risposta. Scuotendo il capo, ho risposto di no, e sentendo il viso bruciare, e gli occhi inumidirsi di lacrime, ho iniziato a piangere. “Cosa c’è?” mi ha chiesto Basil, avvicinandosi con fare apprensivo. “Io non dovrei essere qui! Non ti conosco, non so chi sia né dove mi trovi!” gridai fra le lacrime, sentendole sfuggire lentamente dai miei occhi e iniziare a scivolarmi sulle guance. “Sta tranquilla. Posso esserti amico.” Rispose lui, sedendosi al mio fianco e tendendomi una mano. “Allora, accetti?” Mi chiese, regalandomi un sorriso. “Accetto.” Soffiai, afferrando le sue magre dita con una profonda vena di sicurezza nei movimenti. Subito dopo, il mio amico provò ad avvicinarsi, e notando il pallore del mio viso, mi toccò la fronte, che si dimostrò calda al tatto. “Accidenti, scotti!” commentò, preoccupato. “Nulla di grave, vero?” indagai, spaventata e confusa. “No, devi semplicemente mangiare qualcosa e andare a letto.” Rispose, ridendo poi della mia codardia. Unendomi alla sua ilarità, lo vidi uscire dalla stanza. Istintivamente, provai a seguirlo, raggiungendo quindi l’ampia cucina. Sedendomi a tavola, mi limitai a guardarlo trafficare con alcuni utensili. I minuti passarono, e solo poco tempo dopo, scoprii la verità. A quanto sembrava, Basil era in grado di cucinare. Sedendosi di fronte a me, iniziò a consumare il suo seppur frugale pasto, che consisteva in un piatto di zuppa. “Credo ne sia rimasta, ne vuoi?” si informò, mostrandosi preoccupato per me e per la mia ora cagionevole salute. Mantenendo il silenzio, annuii, felice come una bimba nel giorno del suo compleanno. “Eccoti servita, allora.” Rispose, immergendo un grosso mestolo nella pentola e versandone poi il contenuto in un secondo piatto. “Buon appetito.” Aggiunse, avendo la fortuna e il piacere di vedermi sorridere. Limitandomi a ringraziarlo, iniziai a mangiare, e dopo aver finito, tornai nella mia stanza. Pur osservando ogni mio movimento, Basil non proferì parola, e dandomi le spalle, raggiunse la sua camera. Sdraiandomi sul letto, provai a lasciarmi vincere dal sonno, ma fallendo in quel così misero intento, rimasi sveglia a fissare il soffitto. Bianco e spoglio, era più vuoto della mia stessa mente. Le ore notturne passarono, e un rumore mi distrasse. La porta principale si era aperta con uno scatto, e una voce, rude e maschile, si era unita a quella di Basil. Incuriosita, mi alzai dal letto, e accostandomi dietro la porta rimasi in silenzio. Il buio della notte si dimostrò mio fedele compagno, e protetta dalle tenebre, mi misi in ascolto. I rumori che sentivo, mischiati a quelle voci, apparivano troppo sospetti, ed io volevo vederci chiaro. Aiutata dalla calma notturna, riuscii a sentire chiaramente alcune delle frasi che si rivolsero l’un l’altro.” Cosa ci fai qui? Chiese Basil, confuso e stranito dalla presenza del giovane in casa sua. “Devi andartene!” gli intimò poi, quasi urlando senza neppure accorgersene. “Mi fai davvero paura.” Rispose l’altro, sarcastico. Subito dopo, Basil aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Al suo silenzio seguì un’azione inaspettata da parte del giovane. Silenzioso e concentrato, questo gli si avvicinò, e posandogli una mano sulla spalla, lo fulminò con lo sguardo. “Sai benissimo che lo provi anche tu, ora baciami, e non provare a negarlo.” Ordinò, continuando a guardarlo fissamente. “Non è vero. Lasciami stare! Io ti odio! Si difese il mio amico, volendo unicamente proteggere se stesso e la sua incolumità. A quelle parole, il ragazzo non rispose, ma non seminando altro che terrore nel cuore del povero Basil, lo vide tremare come un docile coniglio. In quel preciso istante, lo chiamò per nome. “Maddox…” soffiò, temendo la reazione del ragazzo, che in piedi di fronte a lui, mostrò un sorriso a dir poco sinistro. Il silenzio che seguì quell’istante mi rese sorda, e appena un attimo dopo, l’aria si riempì di gemiti di amore e dolore. Dal mio canto, non credevo a quanto avessi appena visto, e nascondendo il volto con le mani, sperai che ogni cosa fosse il frutto della mia immaginazione, intenta a galoppare poiché alimentata dalla mia stessa paura. Che stava succedendo? Dov’ero capitata? Non avevo modo di saperlo, e nonostante la mia amnesia, ero certa di una cosa. Dovevo fuggire.

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Capitolo 9
*** Gocce di pioggia e memoria ***


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Capitolo IX

Gocce di pioggia e memoria

Rimanendo sveglia per l’intera notte, mi ero data da fare, impegnandomi per ricordare tutto quello che avevo dimenticato per colpa della mia stupida amnesia. Una condizione di cui soffrivo da giorni, e che desideravo unicamente veder scomparire. In ginocchio di fronte a quello che era il mio letto, svuotai lo zainetto che avevo con me, e fissando ognuno degli oggetti che conteneva, speravo di far tornare a galla i miei ricordi. Per pura sfortuna, il mio piano parve fallire, e addormentandomi, dovetti desistere. Mi svegliai solo la mattina dopo. Il sole era già alto nel cielo, e malgrado la lunghezza e il freddo dell’inverno, la bianca neve iniziava a sciogliersi. Ero impegnata ad ammirare il panorama visibile dalla finestra della mia stanza, e improvvisamente, la porta si aprì. “Ben svegliata.” Mi disse Basil, entrando e facendo il suo ingresso sulla scena. “Dormito bene?” mi chiese poi, curioso. “Come mai prima d’ora.” Risposi, mentendo e vergognandomi come un’ignobile ladra. Alcuni secondi passarono, e notando lo stato in cui la camera si trovava, Basil non potè fare a meno di chiedermelo. “Cos’è questo disordine?” “ Scusa, è colpa mia, stavo cercando una cosa.” Risposi, mentendo spudoratamente per la seconda volta. Guardandomi, Basil rimase in silenzio, ma improvvisamente, un particolare parve attirare la sua attenzione. Avvicinandosi a me, prese delicatamente il mio ciondolo fra le dita, iniziando quindi ad esaminarlo. “Carino.” Commentò, lasciando sfuggire un nuovo sorriso. In quel preciso istante, posai lo sguardo su quel sobrio ninnolo, e un’improvvisa fitta di dolore alla testa mi sconvolse. Evitando di scompormi, riuscii a controllarla, e sorridendo a mia volta, lo ringraziai del complimento. Il silenzio calò nella stanza per alcuni preziosi secondi, allo scadere dei quali, una ragazza a me simile fece la sua comparsa sulla scena. “Chi è lei?” chiese, rivolgendosi a Basil e parendo sconvolta dalla mia presenza. “Samira, lei è nostra ospite. L’ho soccorsa giorni fa salvandola da uno svenimento, ma ha perso la memoria. Non ricorda nulla.” rispose lui, guardandola con aria seria e conservando la segreta speranza di essere riuscito a soddisfare la sua curiosità. “Piacere.” Disse poi quest’ultima, tendendomi la mano perché gliela stringessi. Seppur con una vena di riluttanza nei movimenti, decisi di farlo, e nello spazio di un momento, la sua attenzione si concentrò su qualcos’altro. Anche lei aveva notato il mio ciondolo, e guardandolo, sorrise. “È bellissimo.” Questo il suo semplice commento, che riportandomi alla realtà, mi spinse a pronunciare una frase sulla quale non ebbi alcun controllo. “Grazie, è un regalo del mio Stefan.” Dissi, pronunciando quel nome con una calma e una compostezza quasi disumane. Non ero ancora guarita dalla mia amnesia, e non sapevo perché, ma ero certa che dietro quel nome si celasse una persona a dir poco stupenda. Tacendo, mi concessi del tempo per pensare, ma a causa della mia nera e cattiva sorte, la mia concentrazione si spezzò come una robusta ma ormai consunta corda. “Hai per caso detto Stefan?” si informò Samira, guardandomi con aria confusa e al contempo interrogativa. “Sì, perché?” chiesi, ponendole a mia volta una domanda. “Credo di conoscerlo.” Replicò lei, facendosi improvvisamente seria. “Corri a chiamarlo, e subito.” Le ordinò Basil, indicando con un dito la porta di casa ora chiusa. A quelle parole, la ragazza non rispose, e obbedendo, sparì dalla nostra vista. Spostando il suo sguardo dalla porta al mio viso, Basil mi guardò, e riportandomi nella stanza che mi lasciava pazientemente occupare, si sedette al mio fianco. “Parlami di Stefan.” Pregò, sperando in tal modo di riuscire ad agevolare il ritorno alla mia mente dei ricordi che credevo di aver smarrito per sempre. Inizialmente spiazzata da quella richiesta, non seppi cosa dire, ma respirando a fondo, mi decisi a parlare. “Non so molto di lui, ma questo ciondolo è un suo regalo.”  Dissi, per poi scivolare nel silenzio e studiare l’espressione ora dipinta sul suo volto. “Cos’altro? Lo credi un amico?” indagò poi, sempre più preso dalle mie parole. Guardandolo, notai che pendeva letteralmente dalle mie labbra, e parlando con me stessa, mi convinsi di poterlo definire un vero amico. Subito dopo, tornai a concentrarmi su quella domanda, e concedendomi del tempo per pensare, sentii uno sorta di strano colpo al cuore. Da quel momento in poi, mi scoprii incapace di tenere a freno la lingua. “Non ne sono sicura, ma guardando questo ciondolo… So che mentirei se lo dicessi. Fra tutte le persone che ho incontrato, lui è stato l’unico a pronunciare parole bellissime, a stringermi e perfino baciarmi. Non è un mio amico, è molto di più ed io lo amo.” Un discorso completo, che fluendo chiaro dalle mie labbra, trovò la libertà grazie alla mia voce, e raggiunse le orecchie di tutti i presenti. Voltandomi, notai che Samira ci aveva raggiunti, e in quel preciso istante, una voce conosciuta solleticò il mio udito. “Era proprio quello che volevo sentire, amore mio.” Queste le poche parole pronunciate dal mio nuovo interlocutore, che spostando lo sguardo, scoprii essere colui che amavo. “Stefan! Gridai, chiamandolo per nome e alzandomi in piedi al solo scopo di lanciarmi fra le sue braccia. Accogliendomi con calore, mi abbracciò tenendomi stretta a sé, e non curandosi della situazione, lasciò che un nuovo bacio unisse le nostre labbra. “Credevo di averti perso.” Mi disse, con la voce tremante e rotta dall’emozione. “Tu non mi perderai mai.” Risposi, continuando a guardarlo con gli occhi di chi ama davvero. Un sorriso si dipinse quindi sul mio volto, e prendendogli la mano, pronunciai l’unica frase che nonostante la mia amnesia, non avevo dimenticato. “Andiamocene insieme.” Soffiai con dolcezza, rimembrando quindi l’amore provato dai miei genitori e la fiducia che nutrivano l’uno nell’altra. Limitandosi ad annuire, Stefan mi guardò, e voltandosi, guadagnò al mio fianco la porta di quella casa. Subito dopo, ci ritrovammo all’esterno, e stringendo la sua mano con forza ancora maggiore, mi sentii al sicuro. Camminando, non proferii parola. Concedendomi tuttavia del tempo per pensare, imparai una preziosa lezione. La vita ci intrappola in un mosaico di emozioni prima che riusciamo a uscirne, e dopo quanto era accaduto, avrei letteralmente voluto vivere per sempre. Intanto, il mio luminoso sorriso non accennava a spegnersi. Finalmente, ero felice. Ero riuscita a riavere i miei ricordi, e solo grazie al mio tanto amato Stefan, ero stata bagnata da gocce di pioggia e memoria.

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Capitolo 10
*** Al cospetto di una dama ***


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Capitolo X

Al cospetto di una dama

A quanto sembra, le stelle, principesse nel cielo notturno, hanno da poco operato la loro magia, permettendo a me e al mio amato Stefan di tornare insieme. Ora come ora, la pioggia ha smesso di scrosciare bagnando i nostri corpi, e camminando mano nella mano, stiamo tentando di tornare a casa. “Ci siamo persi.” Azzarda Stefan, lasciando andare la mia mano e fissando un immaginario punto all’orizzonte. “Non è un problema.” Lo rassicuro, togliendomi lo zaino dalle spalle e frugando al suo interno alla ricerca della mia fidata bussola. “Come fai ad averla?” Chiede, confuso e stranito dalla presenza di quell’oggetto nelle mie calde mani. “L’ho ricevuta dal dottor Patrick.” Rispondo, facendo uso della sincerità che mi caratterizza sin dalla più tenera infanzia. “Fammi vedere.” Chiede poi, aspettando che gliela porga. Senza proferire parola, realizzo il suo desiderio, e appena un attimo più tardi, una sua frase mi riporta alla realtà. “Indica il nord, ora andiamo.” Mi esorta, serio e al contempo preoccupato per il mio stato di salute e la mia condizione fisica. Tremavo di freddo, e la pioggia mi aveva bagnato i vestiti, ragion per cui, portarmi al sicuro era l’unico pensiero che Stefan avesse in mente. Mantenendo il silenzio, mostravo il mio stoicismo, ma improvvisamente, mi sentii svenire. “Non… Non posso. Non ce la faccio.” Biascicai, provata dal freddo e dal dolore che mi attraversava il corpo infierendo sulle mie già deboli gambe. “Sciocchezze. Stammi vicino.” Rispose lui, stringendomi la mano e invitandomi ad annullare la distanza che esisteva fra di noi. Sentendo le nostre mani intrecciarsi, sorrisi al suo tocco, e dopo circa un’ora di viaggio, ci accorgemmo di aver raggiunto la nostra destinazione. Il nostro primo rifugio, la prima casa che mi aveva offerto riparo e salvezza. “Ci siamo.” Dichiarò Stefan, lasciando andare la mia mano al solo scopo di bussare alla porta. La stessa, venne aperta dopo alcuni minuti, e il dottor Patrick ci accolse freddamente. Era felice di vederci, ma qualcosa in lui non andava. “Entrate, veloci.” Ci pregò, guardandoci fissamente e attendendo che obbedissimo. Muti come pesci, non osammo parlare, e una volta entrata, venni sconvolta dal dolore ad una gamba. Lamentandomi sommessamente, dominai l’impulso che ebbi di gridare, e venendo aiutata dal dottore, mi sdraiai sul letto nella mia vecchia e amata stanza. Guardandomi intorno, mi accorsi che era identica a come la ricordavo. Nessun particolare era fuori posto, e ad essere sincera, ero felice di essere al sicuro. “Perché tanta fretta?” chiese Stefan, che intanto si ostinava a non voler lasciare il mio fianco. “Problemi in vista. La Leader è qui.” Rispose il dottor Patrick, serio e rigido come una statua in pregiato marmo. “Cosa? E che faremo con lei?” continuò, spostando il suo sguardo sul mio volto evidentemente provato dalla sofferenza. “Lei dovrà restare qui, o verrà scoperta.” Disse il dottor Patrick, sempre facendo uso della sua innata serietà. “Hai capito, Rain?” mi chiese Stefan, pronunciando poi un nome che grazie alla scomparsa della mia amnesia identificai come mio. Scoprendomi troppo stanca e debole per parlare, non feci che annuire, avendo quindi la fortuna e il piacere di vedere un debole sorriso spuntare sul volto del mio amato. “Ora vieni, non vogliamo adirarla.” Continuò il dottore al suo indirizzo, rimanendo fermo e inerme davanti alla porta della stanza ermeticamente chiusa. “Può anche scordarselo. Io non la lascio.” Rispose Stefan, mostrandosi testardo quanto un mulo al solo scopo di proteggermi. Ma Stefan… Sai che…” balbettò il dottor Patrick, sconvolto dalla sua resistenza. “Non mi interessa. Se la Leader mi vuole, dovrà venire a prendermi.” Replicò, zittendo l’incredulo interlocutore in quell’istante. A quelle parole, quest’ultimo non rispose, e poco prima che lasciasse la stanza, potei giurare di essere riuscita a vedere le sue labbra schiudersi in un timido sorriso di fiducia e orgoglio. In quel momento, avevo gli occhi semichiusi, e nel mio stato di dormiveglia indotto dal dolore, capii una cosa. Nonostante la temporanea freddezza che aveva mostrato, il dottor Patrick sembrava voler bene a Stefan. Mantenendo il silenzio, ebbi modo di parlare con me stessa, giurando di amarlo e restargli accanto fino alla fine dei miei lunghi giorni. Ad essere sincera, ammiravo la sua caparbietà e lo sprezzo da lui mostrato nei confronti del pericolo. Si stava sacrificando per me, ignorando la possibilità di finire al cospetto di una tetra dama.

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Capitolo 11
*** Amara e dolce Leader ***


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Capitolo XI

Amara e dolce Leader

La porta della mia stanza è ancora chiusa. Sono sveglia, e Stefan si sta prendendo cura di me. Stando ad una sua accurata analisi, devo essermi ferita ad una gamba dopo una caduta, e la stessa non è fortunatamente grave, anche se il dolore e il bruciore continuano a farsi sentire. Preoccupato, traffica da ormai circa un’ora con garze, bende e impacchi di ghiaccio, tutto per riportare il mio stato di salute alla normalità. Il freddo non depone certo a suo favore, ma nonostante la gelida aria che spira appena fuori dalla finestra aperta, non vuole arrendersi. Il suo unico desiderio è quello di rivedermi in piedi, e oggi, voglio provarci, unicamente per vederlo felice. Secondo le parole del dottor Patrick, tornato solo per controllarmi, sono ancora troppo debole per riuscire a camminare, ma data la mia testardaggine e la voglia che ho di riprendermi, reputo le sue parole un cumulo di sciocchezze. Sedendomi sul letto, ho provato infatti ad alzarmi e muovere qualche passo, riuscendoci solo per pochissimo tempo. “Rain! Che ti salta in mente? Torna subito a letto!” mi ha detto Stefan, sgridandomi come si fa con un bimbo o un cucciolo colto di sorpresa durante un’innocente marachella. “Scusami, cercavo di…” tentai di giustificarmi, pur non avendo modo di terminare quella frase, che mi morì in gola non trovando mai un vero completamento. “Non devi cercare di fare niente, capito?” rispose lui, facendosi improvvisamente serio e apparendo visibilmente iroso. “Stefan…” biascicai, pronunciando il suo nome con dolcezza incredibile. Un silenzio di tomba seguì quell’istante, e stretta in un suo abbraccio, lo vidi baciarmi. Chiudendo gli occhi, assaporai ogni singolo secondo, e facendo del mio meglio per evitare di rovinarlo, non parlai. Data la situazione che si era appena creata, sapevo bene che le mie azioni parlavano per me, e intuendo perfettamente il volere di Stefan, piegai la testa, mostrando la nuda pelle del mio collo. Le sue labbra lo sfiorarono, e avvertendo mille brividi percorrermi il corpo, pregai che quegli attimi non avessero fine. Amavo Stefan, e ogni momento passato con lui poteva letteralmente definirsi paradisiaco. Ad ogni modo, volevo anche evitare di perdere ogni controllo, preservando la mia integrità per una futura occasione. “Ricorda, io ti amo, Rain Sinette.” Mi disse poi, guardandomi fisso negli occhi e riuscendo a ritrovare la calma e la compostezza ormai perse. Mantenendo il silenzio, non risposi, e spostando il mio sguardo dal suo viso alla porta della stanza, la sentii e vidi aprirsi con uno scatto. Era il dottor Patrick. Incredibilmente, appariva scosso e preoccupato, e guardandoci, pregò che lo seguissimo. “Ragazzi, venite. La Leader ha chiesto di voi.” Ci disse, esortandoci a seguire i suoi passi fino alla stanza da lei occupata. “Vienimi dietro, e resta nascosta.” Mi consigliò Stefan, preoccupandosi per me fino all’inverosimile. Silenziosa come un innocuo ma fastidioso topolino all’interno di una qualsiasi abitazione, mi limitai ad annuire, e camminando con passo felpato, seguii i suoi spostamenti fino alla nostra destinazione. Proiettando il mio sguardo in avanti, lo vidi. Il salone principale della casa, dove La Leader, Lady Fatima, era solita trascorrere il suo tempo. “Stefan! Che piacere vederti! Dove sono Shiro ed Ilmion? Hai per caso loro notizie, mio caro?” gli chiese quella serpe dai capelli corvini, guardandolo con fare amorevole e serio al tempo stesso. “Temo che siano morti, Signora.” Rispose lui, quasi inchinandosi al suo cospetto. “Morti? Rispose questa, con fare alquanto annoiato. “Certo, c’era da aspettarselo da dei patetici sciocchi del loro calibro.” Nascosta dietro al mio Stefan, ascoltavo ogni parola senza avere il coraggio di fiatare, ma una mia stupida distrazione rivelò la mia presenza. Perdendo l’equilibrio, finii per cadere in terra, entrando quindi nel campo visivo di quell’orribile megera. Era a dir poco bellissima, ma per pura sfortuna, la sua bellezza non si estendeva anche al carattere. Cattiva fino al midollo, era una delle poche persone che avevano fallito nella conquista della mia simpatia. “Cosa? Chi è questa ragazza?” chiese lei, alterandosi di colpo e fissando il suo glaciale sguardo su di me. “Si chiama Rain, Signora.” Disse Stefan, riuscendo con quelle poche parole a soddisfare la curiosità della donna. Continuando a guardarmi, iniziò ad utilizzare molteplici aggettivi per fare di me una descrizione accurata, ma disgraziatamente negativa. Debole, stupida, priva di forze e spina dorsale. Non credo meriti di vivere. A morte.” Queste le uniche frasi che pronunciò guardandomi negli occhi, e decretando quindi il mio ormai funesto destino. Stando infatti al giudizio di Lady Fatima, non era abbastanza forte, intelligente o bella per continuare a vivere la mia vita, non meritando quindi che la nera morte. Le sue parole, unite al terrore che era riuscita ad incutermi, mi avevano paralizzata. Iniziando inconsapevolmente a tremare, guardai alternativamente Stefan e il dottore in cerca di conforto, e nel momento esatto in cui credetti che tutto fosse perduto, sentii la voce del mio amato invadere la sala. “Mi dispiace, ma non posso permetterlo.” Esordì Stefan, facendosi avanti e parlando al solo scopo di difendere me, la mia esistenza e il nostro amore, sentimento che ci legava sin dal giorno in cui ci eravamo incontrati. Incuriosita e forse divertita dal suo misero tentativo di salvarmi, la rigida Leader lo lasciò andare avanti. “Sentiamo, perché dovrei risparmiare questa povera sciocca?” chiese, incalzandolo e attendendo una risposta. “Signora, mancarle di rispetto è l’ultimo dei miei desideri, ma devo dirvelo. Forse non lo sapete, ma Rain è diversa. Esistono milioni, forse miliardi di belle ragazze a questo mondo, ma nel giorno in cui l’ho vista, il mio cuore ha fatto una scelta. Io e lei ci amiamo sin da quel fortunatissimo giorno, e non sopporterei vederla morire. Mi appello alla Vostra clemenza, lasciatela vivere e avere al mio fianco la vita che merita.” Continuò per poi concludere quel toccante discorso con la voce corrotta e spezzata dal dolore che sapeva di provare. In silenzio, ero rimasta al suo fianco, e dopo aver ascoltato ogni parola da lui pronunciata, scoprii che le lacrime avevano iniziato a inumidirmi gli occhi, disturbando la mia vista. Ci fu quindi una pausa di silenzio, e la tensione era tale da poter essere tagliata con un coltello. Chiudendo gli occhi, provai timore per la mia incolumità, e le parole di Lady Fatima, dure come sassi, mi colpirono con violenza, avendo come unico potere quello di stordirmi e spegnere ogni barlume di speranza precedentemente esistente nel mio giovane cuore. “Ottima argomentazione, mi congratulo. Peccato che non sia abbastanza da convincermi.” Disse quell’orribile arpia, riuscendo con quelle semplici ma crude parole a risvegliare in me una sopita rabbia che ora faticavo a controllare. “Ferma.” Continuavo a ripetermi, imponendomi di non muovermi né commettere sciocchezze. Neanche lontanamente scalfito da quelle parole, Stefan non demorse, e mantenendo la calma, continuò. “Lasciate che vi ponga una domanda, Signora. Non avete mai amato? Il vostro cuore non è mai stato rapito da uno sguardo?” un quesito a cui non era difficile trovare una risposta, ma che esitando, Lady Fatima si rifiutò di risolvere. Di fronte al suo silenzio, nessuno battè ciglio, ma io ero furiosa. Sapevo bene di non averle mai fatto del male, quindi perché avrebbe dovuto esprimere il desiderio di uccidermi? Non lo sapevo, né avevo modo di scoprirlo. Concedendomi del tempo per riflettere, compresi che Lady Fatima era una donna perfida, priva di un’anima e di un cuore. Sentendomi consumata dalla mia stessa rabbia, tornai a guardarla con occhi iniettati di sangue e ira. Bastò un attimo, e fu allora che la vidi. Incredibilmente, la dura e amara Lady Fatima stava piangendo. Fredde lacrime le rigavano il viso, e con un gesto della mano, se le asciugò senza proferire parola. improvvisamente, il suo corpo parve congelarsi, e i suoi occhi si chiusero. Ai miei occhi, apparve come persa in una sorta di trance, ma uno sguardo più critico e attento del mio sarebbe presto riuscito a scoprire la verità, appurando che la potente Leader sembrava stare scrutando l’interno della sua stessa anima, lasciando quindi bagnare da un fiume di ricordi. “Sì. Migliaia di volte sì. Tu e la tua amata siete liberi di andare. Possa il vostro amore portarvi un giorno alla vera felicità.” Una frase che pronunciò con i verdi occhi ancora velati dalle lacrime che versava, e alla quale sia Stefan che io stentammo a credere. Ci sembrava di sognare, ma ogni cosa corrispondeva alla realtà. Insieme, Stefan, il dottor Patrick ed io, avevamo scoperto un nuovo lato della personalità di Lady Fatima, una dolce e amara Leader.

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Capitolo 12
*** Ombre, luci e ricordi ***


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Capitolo XII

Ombre, luci e ricordi

Un mese stava per raggiungere il suo tanto sospirato culmine, e la felicità mi pervadeva. Con il passare del tempo, i miei capelli avevano iniziato il loro seppur lento processo di ricrescita, e di giorno in giorno, mi sento sempre più felice e diversa. Finalmente, sono lunghi abbastanza da essere spazzolati, e guardandomi allo specchio, non riesco ad evitare di sorridere. Anche se lentamente, sono certa di stare progressivamente recuperando la mia originaria bellezza. Nervosa e impaziente, attendo di riacquistare la somiglianza con mia madre Katia, donna dalla bellezza incredibile. Calmo e tranquillo, Stefan continua a parlarmi, non rinunciando a riservarmi ogni più piccola attenzione. Sorridendo, mi carezza il viso, ripetendomi, a volte fino alla nausea, di amarmi e di essersi innamorato di me dopo aver conosciuto la ragazza che sono, dolce e bella, ma fragile e forte al tempo stesso. Ad essere sincera, credo fermamente di non meritarmi il suo amore e le sue attenzioni, ma secondo il suo pensiero, le mie non sono che sciocchezze. “Quante volte dovrò dirti che ti amo?” chiede, accarezzando il viso e facendo scivolare le sue dita fra i miei capelli lisci come seta. “Finchè non sarò stanca di sentirlo.” Rispondo, schiudendo le labbra al solo scopo di rivelare un lieve sorriso. Alle mie parole, Stefan non risponde, e limitandosi a baciarmi, mantiene il silenzio. Il tempo scorre lento, e le sue mani si muovono con dolcezza, scivolando su ogni centimetro del mio piccolo corpo. Non sono infatti alta quanto una quercia, ma la cosa sembra non importargli. Mi ama profondamente, ed io so di amarlo a mia volta. Un incalcolabile numero di brividi percorre la mia schiena, agendo poi in maniera simile sul resto del mio incarnato color del latte, e ritraendomi, prego che si fermi. “Va tutto bene?” chiede, con una sottile ma percettibile vena di preoccupazione nella voce. “Ho paura.” Confesso, sentendo il mio corpo venire scosso da tremiti sempre più evidenti. “Rain, ti prego, la Leader è sistemata. Ti lascerà in pace, non sei contenta?” risponde, per poi tacere nell’attesa di una mia risposta. “Non è per quello.” Mi limito a dire, staccando quindi il mio sguardo dal suo viso e abbandonandomi ad un cupo sospiro. Quasi ignorando la sua presenza, mi siedo sul letto incrociando i piedi, e lui, colto da un’improvvisa sensazione di tristezza, non tarda a raggiungermi. “Sin da quando sono arrivata, tu e il dottor Patrick non avete fatto altro che parlarmi di ladri, assassini e gente violenta, e sono spaventata, ma ora non si tratta più solo di noi due!” queste furono le mie parole, che insieme formavano una rivelazione in grado di scioccare il mio amato Stefan, che rimanendo muto e immobile, non ebbe il coraggio di parlare. Guardandomi, assunse infatti un’aria alquanto interrogativa, e di fronte al suo mutismo, persi definitivamente la calma, urlando con quanto fiato avessi in gola nella speranza di scacciare ogni pensiero negativo. “Non si tratta più di noi due, ma di me, dei miei genitori e di… di mia sorella.” Dissi, sentendo la mia voce spezzarsi e le lacrime rompere gli argini presenti nei miei occhi. In quel momento, ero tristissima. Sapevo bene di avere una sorella, ed ero mortalmente certa che le persone che avevano scelto di offrirmi il dono della vita non fossero scomparse, continuando ad esistere e fuggendo, proprio come me e i miei amici, da un destino altrimenti funesto. Facevo del mio meglio per non mostrarlo, e Stefan non ne era minimamente a conoscenza, ma le parole che pronunciai in quel momento, furono la veritiera esplosione di quanto continuassi a nascondere. Nella mia mente e nel mio cuore, si celavano infatti oscure ombre, accecanti luci e nitidi ricordi.

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Capitolo 13
*** Fiducia rinnovata ***


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Capitolo XIII

Fiducia rinnovata

I minuti continuavano a scorrere, e le lancette del tempo non accennavano a fermarsi. Poco era quello passato dalla sorta di lite che avevo avuto con Stefan, che ancora scioccato, non proferiva parola. Preferiva infatti fissarmi e mantenere il silenzio, andando alla vana ricerca di parole da usare per dar vita a un discorso significativo e rassicurante. Ad ogni modo, nessuno dei suoi tentativi produsse risultati concreti. Avvicinandosi, mi cinse un braccio attorno alle spalle, dando poi inizio ad una nenia che non avevo voglia di sentire, ovvero le sue scuse. “Rain, amore, mi dispiace! Io non lo sapevo! Devi credermi, mi dispiace!” gridava, facendolo con una forza tale da permettere alle sue urla di produrre un’infinita eco nell’intera casa. In quel momento, sapevo di essere spaventata, delusa e ferita, e una caterva di scuse, per quanto sincere, non mi sarebbe servita a nulla. Accecata dalla rabbia che provavo per la società in cui vivevo, avevo iniziato una lite con Stefan senza alcuna ragione. In fin dei conti, lui non aveva nessuna colpa, ma nonostante tutto, non avevo alcuna voglia di ascoltarlo. Ero infatti troppo arrabbiata, e in quel momento, nulla sarebbe riuscito a calmarmi. Desideravo unicamente stare da sola, e ponendo fine a quella lite, me ne andai. Sbattendo con violenza la porta della mia stanza, che avevamo da poco scelto di dividere, scoppiai in un pianto dirotto ma silenzioso. Camminando, vagai senza meta per l’intera Casa, fino a raggiungere lo studio del dottor Patrick. Con lo scorrere dei minuti, il dolore che provavo sembrava divorarmi l’anima senza alcuna pietà. Concedendomi del tempo per pensare, mi fermai a riflettere, arrivando poi a convincermi che una sana e più calma conversazione riguardo all’accaduto mi avrebbe aiutata. Bussando alla sua porta, pregai che mi lasciasse entrare. Rispondendo al suono della mia voce, questi mi lasciò entrare, e accomodandomi sulla poltrona, lo salutai. “Rain! Che ti è successo? Perché tutte quelle lacrime?” chiese, stranito dal mio attuale stato d’animo. Mantenendo il silenzio, evitai perfino di guardarlo. Prima di allora, ero sempre apparsa ai suoi occhi come una ragazza sensibile ma allegra, ragion per cui la vista del mio viso rovinato dal pianto lo aveva letteralmente sconvolto. “È una lunga storia.” Dissi, tentando di minimizzare l’accaduto. “Dì, hai voglia di parlarne?” mi chiese lui, con fare apprensivo. “Se non è un disturbo.” Azzardai, quasi vergognandomi di me stessa. “Certo che no, è il mio lavoro! Dai, sdraiati e dimmi cos’è successo.” Rispose, indicandomi quindi un lettino simile a quelli usati durante le sedute di fisioterapia. Obbedendo a quella sorta di ordine, mi misi comoda, e respirando a fondo, mi preparai a dire tutta la nuda e cruda verità. “È tutto iniziato appena ieri, dopo che la Leader mi ha scoperta.” Esordii, prendendomi quindi del tempo per pensare a come porre la questione in modo sincero ma delicato. “Voleva mettermi a morte, ma mi ha lasciata vivere, e tutto grazie a Stefan. Il giorno dopo mi sono fermata a pensare, e mi sono tornate in mente le sue parole, dottore.” Continuai, tacendo al solo scopo di frugare nel cassetto della mia memoria e riportare quanti più dettagli possibile. “Di cosa parli?” mi chiese il dottor Patrick, incuriosito. “Ho ricordato l’intera faccenda legata ai Ladri, alla loro ferocia e al modo in cui terrorizzano la gente. Dopo l’amnesia, speravo di aver definitivamente cancellato quel ricordo, ma ora è tornato, assieme ad uno perfino peggiore.” Sbottai, con aria leggermente stizzita. Alla mia reazione, il dottore parve sbiancare, e guardandomi fissamente, non riuscì a trattenersi dal pormi una domanda. “Aspetta, peggiore? Che significa?” chiese, per poi scivolare nel silenzio e attendere una mia qualsiasi risposta. A quanto sembrava, ero arrivata a parlare di qualcosa di davvero importante, e data la reazione del dottor, compresi che era un punto a dir poco nevralgico, e che non aspettava altro che una mia apertura a riguardo. “I miei genitori, e mia sorella.” Risposi, ponendo inaudita enfasi sulla parte finale di quella frase. “Li credi morti?” indagò il dottore, sempre più incuriosito dal modo in cui la discussione continuava ad evolvere. “Al contrario, ne sono certa, loro sono vivi!” dissi, alzando bruscamente il tono della voce e sollevando anche la testa. “Nient’altro?” mi chiese il dottore, solo dopo essere riuscito a riportarmi alla calma cingendomi un forte braccio intorno alle spalle. “Stefan.” Sussurrai, pronunciando il suo nome con la voce corrotta da una vena di indecisione. Mantenendo il silenzio, il dottor Patrick mi invitò a continuare il mio discorso con un singolo cenno del capo, e facendomi forza, lo dissi. “Andava tutto bene fra noi, ma mi sono spaventata, poi arrabbiata, abbiamo litigato, non ho voluto ascoltarlo e ora… ora credo che mi odi.” Un discorso chiaro, sincero e completo, ma con un unico difetto. Delle frequenti pause fra una parola e l’altra che tradirono il mio attuale stato d’animo, ovvero quello della paura più profonda. Quest’ultima non tardò poi ad unirsi alla tristezza, poiché in quel momento, un fiume di lacrime prese a corrermi sul volto. In preda alla vergogna, nascosi il volto con le mani, ma i miei singhiozzi disperati rivelarono che stessi ormai piangendo. “Rain, ascolta. Stefan non potrebbe mai odiarti.” Disse il dottore, tentando di rassicurarmi. “Come fa a saperlo?” chiese, guardandolo con gli occhi rovinati dal pianto e la voce spezzata dallo sforzo che facevo per essere compresa. “Che domande, è mio figlio!” rispose, con aria fiera e orgogliosa. “Come?” non potei fare a meno di esclamare, incredula. “È proprio così. Lui ti ama, è innamorato di te, e sai che farebbe qualunque cosa per renderti felice. Ora basta piangere, e va da lui.” Disse infine, aiutandomi ad alzarmi e spingendomi amorevolmente fuori dalla porta. “Grazie.” Dissi in un sussurro, poco prima di vedere la porta del suo studio chiudersi con estrema lentezza. “Di niente.” Parve dire, pur mantenendo il silenzio e limitandosi a sorridere. Alcuni preziosi secondi di silenzio seguirono quel momento, e sentendo il mio corpo venire letteralmente invaso dalla gioia, e il mio giovane cuore pulsare d’amore per Stefan, feci del mio meglio per evitare di perdere tempo e tornare subito da lui. Raggiunsi la nostra stanza in un battito di ciglia, e aprendo la porta, lo vidi. Era seduto sul letto, e a quanto sembrava, non aveva fatto altro che attendere il mio ritorno. Felicissima di vederlo, lasciai che mi abbracciasse, per poi non resistere alla tentazione di baciarlo e dirgli la verità. Ho parlato con il dottor Patrick, e ora è tutto passato. Scusa per quello che è accaduto, non volevo che litigassimo.” Dissi, parlando con chiarezza e trasparenza. “Ne sono felice, e ora che sei qui, c’è qualcosa che devo dirti.” Rispose lui, sorridendo con una dolcezza capace di sciogliermi il cuore. “Che cosa?” provai l’irrefrenabile impulso di chiedere, sorridendo a mia volta e mostrando un comportamento uguale a quello dei bambini. Creature che amavo, e che un giorno avrei voluto davvero avere. Oltre al vero amore, una famiglia era quello a cui aspiravo maggiormente, ma dati i trascorsi miei e del mio Stefan, uniti a quanto eravamo costretti a vivere, mi portavano a credere che il mio sogno non si sarebbe mai tramutato in realtà. Quella domanda non trovò una vera risposta, ma conservando il mio sorriso, volli comunque essere ottimista, ben sapendo che dopo la visita del dottor Patrick, la fiducia che avevo in me stessa e negli altri, era stata ormai fortunatamente rinnovata.

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Capitolo 14
*** Segreti nell'aria ***


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Capitolo XIV

Segreti nell’aria

Ancora una volta, mi svegliavo aprendo gli occhi con estrema lentezza, e guardandomi intorno con la curiosità di una bambina, scoprivo qualcosa di nuovo, ovvero ciò che in realtà non avrei mai voluto vedere. Era mattina presto, e incredibilmente, Stefan non era con me. Preoccupata, mi alzai dal letto con la ferma intenzione di cercarlo per l’intera casa, ma per qualche strana ragione, non riuscii a trovarlo. Non lo credevo possibile, eppure sembrava essersi volatilizzato, svanendo nell’aria come una minuscola particella gassosa. Inconsciamente, mi ritrovai a camminare per ogni singolo corridoio ispezionandolo a fondo, per poi venire assalita da un profondo senso di impotenza mista a preoccupazione. In quel momento, il mio corpo tremava, ed io ero in ansia. Tesa come una corda di violino, mi muovevo con una lentezza esasperante, sentendo i muscoli dolere sotto ogni sforzo. Lo cercavo senza sosta, ma inutilmente. Il tempo passava, e improvvisamente, ricordai qualcosa. Durante la mia ultima visita allo studio del dottor Patrick, avevo avuto modo di apprendere un importante dettaglio sul legame di parentela che lo univa a Stefan, e aguzzando l’ingegno, compresi quale fosse il prossimo passo da compiere. Erano padre e figlio, e concedendomi del tempo per riflettere, mi decisi a raggiungerlo. Evitando quindi di perdere tempo, mi incamminai verso la mia nuova destinazione, e bussando alla porta, entrai. “Dottor Patrick, ha per caso visto Stefan. È sparito da stamattina.” Chiesi, ponendogli quella semplice domanda con una vena di preoccupazione nella voce. “Non ho la più pallida idea di dove sia.” Rispose, sollevando il capo e spostando la sua attenzione dai suoi documenti al mio viso. A quelle parole, non risposi, limitandomi a ringraziarlo per l’aiuto prima di tacere. Subito dopo, scelsi di andarmene, e dopo aver chiuso la porta, sentii un dubbio insinuarsi come polvere nella mia mente. In fin dei conti, Stefan aveva parlato di una sorpresa riservata a me, e ad essere sincera, ero davvero curiosa. Non potevo esserne sicura, ma qualcosa nel comportamento del dottor Patrick mi portava a credere che in quanto suo padre, fosse in qualche modo coinvolto nella vicenda che si sarebbe presto rivelata davanti ai miei occhi increduli. Tornando nella mia stanza, non feci altro che guardare fuori dalla finestra, attendendo il suo ritorno come un vecchio cane fedele al suo padrone. Con il tempo, le bianche nuvole si muovevano sinuose nell’azzurro del cielo, e dato quello che stavamo entrambi vivendo, non riuscivo a non preoccuparmi. In quel momento, il mio modo di agire poteva essere facilmente ricondotto alla pazzia , ma in cuor mio sapevo che non era così. Giudicandomi in base alle mie azioni, una persona da me diversa avrebbe potuto concludere che ero ormai diventata completamente matta, e che il mio unico passatempo consistesse nello struggermi per un amore che non avrei mai più potuto rivivere, ma al contrario della gente, all’oscuro di ogni cosa, io conoscevo la pura verità, che risiedendo nella mia mente e nel mio giovane cuore, non avrei mai dimenticato né rivelato ad anima viva. Così, con questi pensieri fissi in testa, aspettavo il ritorno del mio Stefan. Le ore diurne stavano per essere sostituite da quelle notturne, e con il loro lento scorrere, sentivo ogni speranza scemare. Disperata, scelsi di uscire e mettermi sulle sue tracce, assicurandomi di avvertire il dottor Patrick. La fiducia che riponevo in lui era letteralmente cieca, e conoscendolo, sapevo bene che avrebbe capito le mie ragioni. Lodandomi per il mio gesto, lui stesso scelse di aiutarmi a preparare uno zaino per quello che si sarebbe rivelato un lungo viaggio. “Fa solo attenzione.” mi pregò, poco prima di chiudere la porta del suo studio e lasciarmi andare. “Lo farò.” Risposi soltanto, scivolando poi nel più completo mutismo. Da quel momento in poi, tutto tacque. In strada non sembrava esserci anima viva, e tremando, non provavo che paura. I ricordi legati alla presenza di ladri, mostri e assassini nell’intero regno continuavano a tornarmi in mente, infestandola come degli eterei fantasmi farebbero con una dimora ormai vecchia e disabitata. Il vento fischiava e ululava minaccioso, e guardando sia la luna che le stelle, tentavo di orientarmi. Aveiron era enorme, e ben sapendo che avrei potuto facilmente perdermi nella nebbia unita alla neve, non dimenticai di controllare anche la mia bussola. Il ferreo ago ruotava indicando costantemente il nord, e camminando, pregavo nella speranza di ritrovare Stefan. Non c’era traccia di lui da ore, e i racconti del dottor Patrick non erano certo d’aiuto. Secondo il suo pensiero, i loschi figuri conosciuti come Ladri non avrebbero certamente esitato a far del male ad una ragazza come me. Pendendo dalle sue labbra come ipnotizzata, ascoltavo ogni volta quelle parole senza interrompere né fiatare, e data la cattiva fama di cui quelle persone godevano, la parte più impulsiva e ansiosa di me mi spingeva a temere il peggio. Migliaia di diversi pensieri si annidarono quindi nella mia mente, e scoprendomi troppo spaventata per continuare, scelsi di voltarmi e tornare subito indietro. Sulla via del ritorno, non vidi nulla di strano, eccezione fatta per dei sassi nascosti dalla neve. Contando letteralmente i passi che mi separavano dalla mia meta, ero impaziente di raggiungerla, e sapevo bene che ogni singolo movimento mi permetteva di avvicinarmi. Stanca e infreddolita, mi ritrovai in una sorta di piccolo vicolo mai visto prima, e proprio lì, nascosto da un cumulo di nauseante spazzatura, l’ormai morto corpo di un ragazzo congelato dal freddo e ormai privo di forza vitale. Una singola ferita alla testa, e una pozza di rosso sangue raccolta lì accanto. Con gli occhi velati dalle lacrime, mi rifiutai di guardarlo troppo a lungo, facendolo unicamente per accertarmi che non appartenesse al mio Stefan. La mia buona e lucente stella volle che quello non fosse il caso, ma una volta arrivata a casa, comunicai una triste notizia al dottor Patrick. In fin dei conti era suo padre, e doveva saperlo. Alla mia vista, apparve preoccupato, e guardandomi, sperò in una lieta novella. “Non l’ho trovato.” Ebbi la sola forza di dire, per poi scivolare nel silenzio e fuggire rinchiudendomi nella mia stanza. Correndo, sentii la voce del dottor Patrick chiamarmi per nome, ma ignorandolo, gli urlai di lasciarmi in pace. L’orrore di quello spettacolo era ancora nei miei occhi, e sdraiandomi sul letto, affondai il viso nel mio bianco cuscino. Calde e amare lacrime lo inzupparono in poco tempo, e piangendo, continuavo a pregare. Speravo ardentemente che Stefan stesse bene e fosse al sicuro, e inevitabilmente, un’importante domanda non trovava una risposta. Perché l’aveva fatto? Perché mi aveva lasciata avventurandosi all’esterno e sprezzando il pericolo. Non lo sapevo, e malgrado i miei sforzi non riuscivo a gioire ed essere felice. Era inverno, e almeno dal mio punto di vista, la gelida aria non era che piena di segreti ancora da rivelare.

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Capitolo 15
*** Promesse su carta ***


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Capitolo XV
 

 
Promesse su carta
 

 
Ben trenta giorni, ovvero un lungo mese. Quello l’esatto lasso di tempo trascorso dalla fine del mio viaggio alla ricerca di Stefan. Nessun risultato, ma in compenso, una scoperta agghiacciante. Camminando per le innevate strade del regno messo in ginocchio da fame, miseria e povertà avevo infatti scoperto il cadavere di un povero ragazzo, ucciso quasi sicuramente dagli ormai famigerati Ladri. Ora come ora, il tempo scorre senza sosta, e avendo ormai perso ogni speranza, non faccio che piangere. Le mie lacrime ora cadono copiose sul freddo pavimento della stanza, ed io vengo giornalmente travolta da un senso di rabbia, impotenza e infine rammarico. So bene di non poter agire anche se vorrei, e mentre sono intenta ad ammirare il paesaggio innevato appena fuori da una piccola finestra, i miei lamenti, uniti a dolorosi singhiozzi, producono un’eco infinita, viaggiando, trasportati dal freddo vento, in lungo e in largo per il regno. Le pareti della mia stanza e dell’intera casa non sono abbastanza spesse da contenere il mio dolore, e nonostante tutto, la consapevolezza di una piacevole sorpresa non mi rende felice. In questo preciso istante, la stessa appare rovinata. Stanca e delusa, ho ormai smesso di piangere, ma solo perché tutte le mie lacrime se ne sono andate con il mio Stefan. Fortunatamente, i miei amici non sopportano lo stato in cui verso, e tentando di distrarmi da quanto provo attualmente, escogitano stratagemmi sempre diversi per tenermi occupata. Ora come ora, non ho desiderio dissimile dal cadere in un sonno profondo e sperare di non svegliarmi, ma secondo le parole del fidato dottor Patrick, non posso lasciarmi andare. Il suo pensiero si fonde e confonde con quello di Basil e Samira, che parlandomi, tentano di riportare un sorriso sul mio volto. Incredibilmente, perfino Lady Fatima sembra preoccuparsi per me. Nella speranza di risollevarmi il morale, mi ha già chiamato al suo cospetto diverse volte, ma io non ho voluto ascoltarla. Sono ormai giorni che ogni persona a me cara si adopera nel tentativo di aiutarmi, e ad essere sincera, vedere i loro sforzi vanificati non fa che avvilirmi ulteriormente. Agli occhi di chi non mi conosce, l’intera faccenda può apparire banale, o addirittura infantile, ma in questo preciso istante, so bene che l’unica cosa in grado di riportare la gioia sul mio viso e nel mio cuore è proprio Stefan, sparito dalla mia vista da ormai trenta lunghi giorni. Devastata dalla tristezza, stavo per arrendermi, ma proprio oggi, in questa soleggiata mattina, la mia sorte sembra essere cambiata. In piedi di buon’ora, ero ancora chiusa nella mia stanza, placidamente intenta ad annegare ogni mio dispiacere nella lettura, quando improvvisamente, la voce di Samira mi ha distratta dai miei pensieri. “Questa lettera è per te. Non so chi te l’abbia mandata, ma la Leader dice che è importante.” Mi ha detto, dopo essere entrata nella mia stanza con una piccola busta in mano. “Grazie.” Ho soffiato, per poi sorridere debolmente e vederla lasciarmi completamente da sola. A quanto sembrava, aveva scelto di farmi visita unicamente per agire da sentinella e consegnarmi quella lettera, poiché andandosene, uscì in fretta, per poi scegliere di tornare subito a casa sua. Inizialmente, non volevo neanche aprirla, ma ascoltando le parole di Lady Fatima, che aveva ora stranamente deciso di prendermi sotto la sua protettiva ala, mi sono decisa a farlo. “Cara Rain, sono io, Stefan. Ascolta, mi dispiace di essere sparito così in fretta e senza neanche avvisarti, ma non ho davvero potuto. Se ora stai leggendo questa lettera, sappi che sono vivo e che sto bene. Ora come ora, posso solo immaginare la grandezza del tuo dolore, ma non preoccuparti, io sto bene. Per ora non posso dirti altro, anche se esistono migliaia di altre cose che desidererei ardentemente confessarti. Guarda nel tuo cuore, e perdonami se puoi. Prima di andare, c’è un ultima cosa che mi sento di scriverti. Qualunque cosa accada, abbi fede, e conserva questa lettera e la sua busta fino al mio ritorno. Ti amo, mia dolce Rain. A presto, sempre che il cielo ci permetta di rincontrarci, il tuo tanto amato Stefan.” Dolci e toccanti furono per me le parole che componevano quella lettera, scrittami con mano e cuore dal ragazzo di cui ero follemente innamorata. Ogni singolo lemma mi aveva letteralmente colpito il cuore, facendolo fremere d’amore come mai aveva fatto prima. Finalmente, la tristezza mi aveva abbandonata, e dopo lunghi giorni passati a piangere contando ogni lacrima da me versata, potevo dirmi felice e piena di speranza. Un nuovo raggio di sole aveva iniziato a splendere sulla mia tormentata e burrascosa vita, e con la gioia padrona del mio cuore, mi addormentai quella notte, scegliendo, poco prima di dormire, di fidarmi del mio Stefan, ora più che mai deciso a mantenere le promesse che mi ha fatto trasponendole su un semplice ma per me importante foglio di fragile e bianca carta.



Salve a tutti i miei lettori. Con questo capitolo si conclude la prima parte della mia nuova saga "Le cronache di Aveiron" Spero che la storia di Rain e del suo amore per il suo Stefan vi stia piacendo. In fondo la storia è appena iniziata, e moltissime cose accadranno. Cosa esattamente? Scopritelo continuando a seguirmi, e prima che vada, lasciatemi dire grazie a tutti coloro che leggono, includendo in maniera speciale "la luna nera" "JustBigin45" e "Karon Migarashi". che mi seguono letteralmente sin dal principio, e che ringrazio in questo esatto momento. Ci rincontreremo nel seguito delle avventure di Rain, o se vi va, nel resto della mia pagina. Alla prossima, e grazie ancora, anche a chi legge in silenzio,

Emmastory :)

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