GAY. Good As You.

di Mistralia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It doesn't matter if you love him ***
Capitolo 2: *** Biondo Tinto nel Bronx ***
Capitolo 3: *** Fiorellino urla troppo ***
Capitolo 4: *** SangBleu ***
Capitolo 5: *** Je ne parle français ***



Capitolo 1
*** It doesn't matter if you love him ***


Puff, Puff

Un altro pugno.

Puff, Puff

Un calcio. Due calci.

Puff, Puff, SBAM

 

“Stupido arnese” borbottò Alec fra se e se, cercando di riagganciare il sacco da boxe al gancio che pendeva dal soffitto, con evidente incapacità e fatica.

“Ma come… ma come diavolo… ma che ca… AHHH BASTA CI RINUNCIO!” quasi urlò mentre, a metà fra lo sconsolato e l’adirato, gettava con un colpo secco quel povero ammasso di pelle e sabbia a terra, borbottando di come preferisse di gran lunga un sana caccia al demone, piuttosto che perder tempo con quei cosi mondani. Ma Jace era a cena con Clary, Izzy chissà dove a divertirsi con Simon e lui era rimasto solo e sconsolato, in un Istituto troppo grande e vuoto per uno nella sua situazione. O almeno, riempito da persone sbagliate e con le quali, per il momento, aveva poca voglia, anzi nessuna, di venire in contatto.

Ripensando ai fatti di quella settimana, ad Alec venne voglia di spaccare tutto quello che lo circondava, sbriciolare ogni lama serafica, rompere specchi, stracciare arazzi, di fare a pezzi addirittura il suo arco se questo lo avrebbe aiutato a stare meglio. Su tutti però, era più dirompente la brama di prendere una delle sue spade angeliche più resistenti e di conficcarla nel mega-computer che Clary aveva insistito che fosse inserito all’interno dell’Istituto.

“Così forse andrete più a passo con i tempi e riuscirete a controllare le attività demoniache con maggior efficienza” aveva detto, la bastarda, mentre quel cane bavoso del mio migliore amico e parabatai pendeva dalle sue labbra, troppo impegnato a immaginarsela nuda, invece che riconoscere le cretinate assurde della sua ragazza.

Lei e le sue stupide idee, lei e le sue stupide smanie di ampliamento dell’Istituto, lei e la sua stupida voglia di riaprire l’Accademia, lei ed i suoi stupidi amichetti mondani.

Alec non aveva mai odiato il mondo degli umani tanto quanto ora. E si stava tormentando, al ritmo della rabbia che lo stava corrodendo da dentro, consumandolo fino a non lasciare nemmeno un briciolo di pietà.

Alec voleva solo spaccare la testa a tutti.

Fuggire lontano da questo mondo, dal suo mondo, andare in un altro luogo, più lontano, più remoto, più aperto e diverso.

In un luogo dove lui non c’era.

Perchè così Alec avrebbe potuto pensare, riflettere su se stesso e sulle sue decisioni; aveva bisogno di comprendere la loro validità e capire se davvero avesse fatto la cosa giusta, quel giorno, quel lontano pomeriggio in cui aveva cambiato per sempre il giudizio del mondo sulla propria persona, in cui aveva fatto la scelta, dalla quale più non si poteva tornare indietro.

Ma erano dubbi quelli che infestano ora la mente del Nephilim, dubbi seri e molto grandi, che avevano un gusto amaro e un po' acido, sapevano al palato di rimpianto e voglia di modificare il passato, però in gola parevano bruciare come acido, punendolo così per il sadismo e il dolore che stava causando all’unica persona che lo avesse mai amato veramente, senza perdersi nei meandri del suo cognome o del suo ruolo nel cosmo, che aveva superato la Grande Muraglia Cinese delle su membra e sapeva distruggerlo e ricomporlo meglio di prima, simile al migliore degli scultori.

Eppure ora stava lì, sudato e appiccicoso, bisognoso di una doccia, con i fluidi corporei che iniziavano a prudergli e il costo delle frasi mal pronunciate che gli ricadeva sulle spalle, in una muta e perversa presa in giro da parte di questo ilare fato che sembrava perseguitarlo.

Teneva la testa fra le mani Alec, teneva fra le mani la bomba che minacciava di esplodere da un momento all’altro, sperando che quella sottile pressione che stava esercitando con le dite bastasse a placare l’ordigno infernale.

Come lui gli aveva insegnato in una di quelle tante notti in cui i sui demoni interiori venivano a tormentarlo.

Per un attimo Alexander si rese conto di non sapere più chi era, se un cacciatore di ombre, un uomo, un ragazzo, un arma distruttiva; non era più in grado di distinguere le certezze all’interno dei suoi giorni, perchè il suo unico punto fisso, l’unica corda che teneva attaccata la mongolfiera che era la sua vita al suolo, ora non c’era più, fuggito da qualche parte in cima al mondo, nell’assurdo tentativo di cancellare dalla propria mente quelle parole che, Alec non se lo sarebbe mai scordato, sembravano averlo ucciso.

Non un’ uccisione qualunque, no. Quella sarebbe stata più indolore.

Era stata un’uccisione spietata con un antipasto di mutilazioni e torture massime.

Il moro tornò a chiedersi il perchè delle sue azioni, di tutti quei pensieri che gli stavano offuscando la ragione e si ritrovò a pensare che, la colpa, era sua, solo ed esclusivamente sua e del suo essere un vigliacco codardo.

Perchè se c’era una cosa che Alexander Gideon Lightwood aveva bisogno più di Magnus Bane, era l’essere accettato dagli altri.

 

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Capitolo 2
*** Biondo Tinto nel Bronx ***


Il vento soffiava forte e impetuoso quel giorno di Marzo, e portava con sè una violenta e fitta pioggia di fine inverno, che strappava ai poveri malcapitati newyorkesi ombrelli e foulard, rendendo impossibile anche il solo attraversare la strada per dirigersi al supermarket all'angolo.


In quel cupo e gelido quadro della Grande Mela, si aggiravano cauti e incerti, venti loschi individui vestiti d'una nera cappa col capo coperto, i quali, furtivi e lesti, si dirigevano verso una diroccata e apparentemente abbandonata chiesa.


A capo di quella singolare comitiva v'era una figura piú esile e minuta, indiscutibilmente una ragazza, attorno ai vent'anni circa, caratterizzata da una insolita capigliatura color carota, arricciata sulle punte da mano sapiente e esperta.


Nonostante la sua mole, che i ragazzi intorno a lei avrebbero facilmente potuto sovrastare, intorno al mantello della ragazza si respirava una pesante aria di rispetto e alta considerazione, quasi una cupola grigia e imponente di timore reverenziale.


Nemmeno che quella giovane donna avesse salvato il mondo.

Oddio. Forse l'aveva anche fatto.

I ragazzi che trascinava con sè erano diversi, per età e aspetto, accomunati solo da un sottile e flebile filo di paura, timore e una sorta di trepidazione, la quale continuava a oscillare nella bilancia tra felicità e preoccupazione.


Non si capiva bene se quello che li spettava fosse un premio o un'umliazione, la consegna dell'oro o il cammino verso la ghigliottina.


Se da un occhio esterno potevano apparire come un'unica macchia scura compatta e unita che attraversava le diverse avenue, guardando piú da vicino in realtà si era in grado facilmente di notare come fossere tutt'altro che un unico corpo; era palese che nessuno di loro si conoscesse intimamente e che nemmeno sapesse dove fossere diretti.


V'erano 17 maschi e 3 femmine, d'età compresa tra i 15 e i 19 anni, newyorkesi e non; le ragazze ricalcavano l'immagine monotona e dettata dai canoni cosmopolitani delle riviste europee. Tutte e tre bionde, tuttavia di gradazioni diverse, occhi nocciola scuro e linea dei fianchi sinusosa e perfetta; erano l'esempio lampante dell'apparire per essere.


I ragazzi, invece, erano assai diversi per bellezza e carattere, o perlomeno cosí sembrava. Ce n'erano di mori, di biondi cenere, di castani, pel di carota, addirittura uno aveva rasato tutti i capelli, rimanendo quasi calvo; sotto i cappucci spuntavano ansiosi iridi verdi, azzurre cielo, blu tempesta, marroni cioccolato, terra di siena, nero alieno, grigio atena, indaco.


Magri, piú robusti, alti, bassi, per tutti i gusti e tutti i palati.


Aleggiava un animo solenne, tipico di un'iniziazione o qualcosa di simile, e tutti, da quello che sembrava piú estroverso, al lampante esempio del macho da commedia americana, o al topo da biblioteca, mantenevano una condotta impeccabile e austera.


Silenziosi scivolavano per le strade, a coppie di tre, e una foschia bianca pareva seguirli, come a voler nascondere la loro insolita spedizione.

Nessuno doveva saperlo.

L'edificio che si ergeva davanti ai loro volti poteva essere scambiato facilmente per una diroccata chiesa, ormai in disuso, che nessun restauratore s'era preso la briga di riportare al suo antico splendore.


Tetra e nera, con pezzi di tetto che si staccavano solo a guardarli, persiane cigolanti e strani uccelli che si aggiravano intorno alle guglie con fare triste e cupo incedere.La croce in cima era distorta e l'intonaco cadeva non appena il vento diveniva un po' piú forte

Chi mai avrebbe sospettato di un luogo simile.

La ragazza aranciata si fermó improvvisamente davanti al portone scardinato che recava una piccola finestrella in quello che si poteva credere cristallo; infiló la mano in tasca e turó fuori una specie strana e inusuale di penna.Era lunga e d'argento, con strani disegni a linee spezzate curve e una pietra trasparente in cima.


Alzó il pallido braccio e con fare maestro, come se lo facesse da tutta una vita, traccio uno strano disegno sul vetro, lasciamdo una scia blu cobalto.


La porta si aprì con uno scatto secco e sulla soglia apparve un giovane, anch'egli intorno ai vent'anni, la cui capigliatura biondissima spiccava sul buio della strada.


Mormorii si sparsero tra i ragazzi.

«E questo chi è?»

«Sará lui..?»

«Ommiddio quanto è carino!» 

«Se tutti in questo posto sono come lui, credo che mi divertiró molto.»

«Ma cos'è questa tuta?»

«Ma si vestono tutti cosí?» 

«Questo tizio mi fa paura.»

«Ma in che guaio mi sono andato a cacciare?» 

«Perchè sta zitto e ci guarda?»

«Che fai fissi?»

«Vorrei quelle mani in certi posti...»

«Ragazzi ma siamo sicuri di aver fatto la scelta giusta?»

«Io non mi sento molto sicuro.»

«Ho paura.»

«Ma sono biondo naturale quei capelli?»

«Perchè nessuno dice niente?»

«Qualcuno faccia qualcosa!»

«Amen...»

«Aspetta... Ma quello è...»

«Ragazzi oh mio dio lui è...»

 

«Mi chiamo Jace Herondale Lightwood Wayland Morgenstern. E questa è l'Accademia Shadowhunters. »




Ora ragazzi, capisco che sono abbastanza stronza nelle bio e che vi sto altamente sul cazzo, ma se mi lasciate 'na recensioncina ogni tanto mica m'offendo.

Così per dire eh.

Pace e amore.

Mistralia.

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Capitolo 3
*** Fiorellino urla troppo ***


 

Non doveva essere così. No, non doveva esserlo per niente. Una fatiscente e sgangherata Chiesa d'inizio millennio non doveva essere così, così, così... Così. Punto e basta.

Quelle che potevano essere benissimo tre navate rose dai tarli e pulpiti sulla strada dello sgretolamento, erano in realtà colonne marmoree dallo spiccato stile neoclassico con curvilinei capitelli ionici di scuola greca; i pavimenti immaginati come assi sconnesse, si intrecciavano in un complicato reticolato di varie tipologie di legni, a formare un raffinato parquet, interrotto da spesse lastre di vetro in corrispondenza delle attrezzature.

Attrezzature che, invece di essere ceri pasquali, altari e ostensori, erano super moderni computer, schermi al plasma, interfacce di telecamere di sorveglianza; in fondo al grande atrio, invece, si diramavano, su direzioni diverse, tre grandi scaloni in legno di mogano.

Al centro della stanza vi era posto un gigantesco schermo, che presentava le tipiche funzionalità dei PC, con l'intelligente aggiunta del touch screen; viceversa, per ogni lato quattro file di scrivanie trasparenti con sedie d'ufficio girevoli nere, le quali corrispondevano una per una all'ennesimo Macintosh d'ultima generazione.
In alto, distribuite lungo un filo centrale, si trovavano cinque diverse prospettive del sistema di sicurezza, che davano sullo spiazzo appena fuori l'edificio, la sala principale e alcuni corridoi.

Eppure non si respirava l'aria asettica degli ambienti puramente moderni e all'avanguardia, all'interno dei quali pure un solo capello fuori loco sembrava rovinare l'utopica e surreale perfezione dei numeri e del meticoloso ordine delle cose; no... All'interno dell'Accademia vi figurava un invidiabile connubio fra vecchio e nuovo, albero e sabbia, legno e vetro, ieri e domani.

Tutto ciò perchè, se da una parte sembrava che Steve Jobs avesse preso residenza, dall'altra si sarebbe potuto immaginare il sommo pittore Michelangelo ancora intento a ritoccare i ricchi affreschi delle volte poli-colore o Da Vinci col suo fidato goniometro in mano, nel tentativo di aggiungere qualche altra vela, scalinata, stucco.
In quel loco posto tanto tetro all'apparenza, si soffocava per la pesante afa di vetuste e nuove tradizioni che si incontravano, scontravano, giacevano insieme generandone altre; le armature alle pareti prendevano vita nella comune immaginazione dei presenti, sguainando le spade, affilando le lance, proteggendo il ferreo volto con scudi decorati da stemmi cobalto e bordeaux. Camelot si animava adirata e funesta in quella gelida notte, risvegliando assopiti ardori di guerra e battaglie, alzando la polvere bagnata di sangue e madida di sudore , smuovendo colline e montagne, al grido di un unico motto: « Dura Lex, sed Lex », la legge é dura, ma è legge.

loro sapevano bene.

Ed è così che si sentivano i giovani incappucciati, come se sulle loro spalle gravasse un peso enorme, una responsabilità nota a pochi, comune ad altrettanto meno eletti; non avevano la capacità di sottrarsi a questa loro vocazione, gli era stata legata al collo con un blocco pietroso da cento chili e nessuna facilitazione.

Ma loro erano coraggiosi, erano color che il fato, l'Angelo, Dio, avevano selezionato per decretare le sorti del mondo intero.

Perciò, per quanto la paura e la preoccupazione avesse messo radici nel loro cuore, il lo passo era sicuro e fiducioso, mentre quel biondo tinto li scortava al centro dell'immensa stanza.

« Ragazzi, sentite, la farò breve. Tutte le leggende sono vere. Fate, stregoni, vampiri, lupi mannari, demoni... Esistono, sono tra noi ed è vostro e nostro compito proteggere gli umani dalla loro minaccia.
Quando vi abbiamo arruolati, vi abbiamo spiegato la storia di Jonathan Shadowhunter, di come siamo stati generati, dal sangue versato di un angelo e di un uomo. Voi siete così, avete nelle vene sangue angelico, possedete la vista e siete in grado di vedere il nostro incasinato e putrefatto mondo, mentre i mondani ne restano incoscienti.
Da un anno a questa parte, una guerra ha sconvolto il nostro sottile equilibrio e ha decimato molti di noi, rendendo di vitale importanza la ricerca di nuovi Cacciatori. »

A quel punto subentrò la giovane che li aveva introdotti nel palazzo, la pel di carota, che rimosse il cappuccio e scosse la testa; il nero copricapo rivelò una testa ben proporzionata, occhi d'un verde foresta pluviale e un nasino alla francese perfetto per i suoi tratti somatici.

Sfilandosi la cappa, mostrò al pubblico presente un corpo ben tornito, atletico, ma esile, poco adatto a trafiggere muta-forma e simili.

Almeno all'apparenza.

Prese un piccolo respiro e disse con voce ferma:

« Verrete addestrati a combattere, a pensare, ad amare come uno shadowhunter, sarete in grado di tenere testa alle più grandi progenie demoniache. 
Mangerete, dormirete, studierete, suderete, respirerete insieme al pari di un solo corpo. 
Se uno di voi cade, cadono tutti gli altri. Tra tre mesi ci saranno degli esami di forza, resistenza, logica e teoria; se li supererete, diventerete Nephilim a tutti gli effetti, berrete dalla Coppa Mortale e entrerete nella nostra grande famiglia. 
Se fallirete, ve ne tornerete a casa e tutti i ricordi che avete di noi spariranno come fumo. »

« Se siete disposti a rischiare, sforzarvi, spingervi fino ai vostri più reconditi limiti, schiacciare le vostre più agghiaccianti paure ditelo subito. Altrimenti non perderemo tempo con voi. »

Jace si mise a fissarli, cercando di trasmettere con lo sguardo il peso delle parole sue e della sua compagna, volendo far capire loro che non si poteva sfuggire alle responsabilità di quel mondo, il loro mondo.

Avrebbero sofferto come cani, sarebbero stati trattati come cadetti dell'esercito se non di più; combattere, studiare, combattere, studiare, combattere, combattere.
Dovevano capirlo fino in fondo se volevano trionfare.

« Io ci sto. » dissero a canone, uno dopo l'altro, come automi incanti dai gesti e dal discorso dei loro coetanei che, imponenti , parevano sovrastarli; avevano tutti bene o male la stessa età, ma la rossa e il biondo avevano sulle spalle molte più storie, ferite, dolori, ammacchi di tutti gli altri messi insieme e suscitavano stupore e rispetto fino ai massimi livelli.

Con Jace Herondale non si discuteva

« Io mi chiamo Clary Morgerstern Fairchild, talento runa, 21enne e docente qua nell'Accademia. Sono figlia di Joscelyn Fairchaild e di Valentine Morgenstern. Teneteli a mente questi nomi... Vi serviranno per storia angelica. »

« Insieme a me e Clary operano altri Shadowhunters, i migliori della nostra generazione. Sono Alexander e Isabelle Lighwood, Simon Lewis e Marise Trueblood. Portate loro rispetto e ne riceverete altrettanto. Per gli altri corsi vi aiuteranno Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, Luke Garroway, ex leader dei licantropi, e Lily Chen, capo dei vampiri Newyorkesi. »

« Noi non siamo il Clave, non siamo omofobi, né tantomeno razzisti, appoggiamo i Nascosti e collaboriamo con loro. Chiunque verrà sorpreso a svillaneggiare verrà irrimediabilmente espulso. Sono stata abbastanza chiara? »

Nessuno rispose e i due lo presero come un si.

« Bene ora chi ha delle dom... »

« FIORELLINOOOOOO »

« Oh cazzo è Magnus. »

 

Popolo Lavoratore!

Ho capito che, per quanto mi rompa, devo inizare a fare le note sotto testo per essere minimamente cagata dalla popolazione mondiale.

Ringrazio LaVampy per avermi scosso dal torpore dell'invisibilitá più totale, divenendo la mia prima recensitrice. Viva la finezza e le palle che sbattono.

Alloraaaaa, a parte frantumarvi gli attributi per essere notata almeno un pochino, vi avviso che ci saranno dei cambiamenti.

Non sono in grado di definire con certezza i tempi... Per cui considerate il secondo capitolo non come una settimana antecedente al primo, ma moolto prima.

Sorry I'm only human.

Pace e Amore.

Mistralia.

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Capitolo 4
*** SangBleu ***


«Se siete disposti a rischiare, sforzarvi, spingervi fino ai vostri più reconditi limiti, schiacciare le vostre più agghiaccianti paure ditelo subito. Altrimenti non perderemo tempo con voi.»

Era in tal maniera che Jace, così aveva detto di chiamarsi, aveva concluso il suo altisonante discorso, appoggiato dalla ragazza pel di carota, la quale, appena entrati, si era subito attaccata a lui, quasi attratta da una forza invisibile.

Quei due giovani, simili solo per età al resto della comitiva ancora incappucciata, risultavano agli occhi dei nuovi cadetti degli esseri quasi surreali, più vicini agli angeli del cielo che ai demoni con cui avevano a che fare tutti i giorni. Quell’uomo dai capelli color platino, vestito di nero, con fibbie pesanti e sporgenti, lame trasparenti che pendevano dal grande cinturone, occhi oceanici, profondi, osservatori degli animi e delle auree… e quella donna, minuta, fragile come la porcellana imperiale russa, le braccia fini e muscolose, tante, troppe cicatrici per una che poteva benissimo frequentare il college, e gli occhi, d’un verde quasi spaventoso, fiammeggiante e distruttivo.

“Questi due hanno passato le pene dell’inferno”, fu il primo pensiero, dall’entrata nell’Accademia, non serio che fece Corinne.

Corinne sapeva cos’era il dolore, lo aveva imparato quand’era solo una bambina e dell’arte del sopportarlo ne aveva fatto un’abitudine, come Prometeo sul Caucaso, con quella fastidiosa aquila che ogni santo giorno lo straziava di dolore mangiandogli il fegato.

Prometeo sentì tutte quelle sensazioni, le assaporò controvoglia per uno, due, tre giorni, una settimana, un mese, cinque anni, ma poi si stancò di provare tali emozioni e si rassegnò al suo destino crudele, con la consapevolezza che l’uccello non gli avrebbe più fatto alcun male finché non glielo avrebbe permesso.

Allo stesso modo, la ragazza, con la sua pelle color cioccolato, lucida e sudaticcia, aveva impedito che i ricordi di quella notte, l’incendio, le fiamme, le urla, influissero sulla sua vita, lasciandosi addosso, come unico souvenir, le bruciature sui lisci capelli corvini e la patina lattiginosa che oscurava quelli che, un tempo, erano stati spensierati occhi onice.

La rabbia per quella che era stata la sua vita, dopo l’episodio che aveva distrutto la sua famiglia, l’aveva trasformata in una perfetta macchina da guerra: era agile, allenata, con un fisico mascolino e non indifferente, tuttavia fin troppo da uomo, tant’è che Clary, al momento della conta, l’aveva classificata come uomo anziché come donna.

Ma a Corinne non importava, non le era mai interessato nulla se a scuola veniva additata come quella dell’Orfanotrofio, senza genitori che venissero alle assemblee, che, nonostante la spiccata schiettezza, non permetteva a nessuno di avvicinarsi più di tanto; non l’aveva toccata nemmeno quel soprannome, Regina del Polo, perchè lei era superiore e sapeva di esserlo. Non era come i suoi compagni di liceo, si guardava allo specchio ed era conscia di essere un’altra persona, maldestra, impacciata, che inciampava da tutta una vita, anomala, che non si sente normale e non vuole nemmeno esserlo.

 

Anche perchè vedere licantropi e demoni dalla mattina alla sera non è l'ideale di normalità.

 

Tutti coloro che erano presenti in quella sala avevano una storia, dei lutti che gravavano ancora sul cuore, responsabilità e conti aperti col mondo, ma, eppure, si erano lasciati trascinare in quell’avventura brutale ed incerta, piena di insidie e pericoli, con la paura di fallire e tornarsene con la coda fra le gambe, dietro l’angolo.

Però, alla fatidica domanda di Jace, tutti avevano risposto con un sonoro “si” ed avevano acconsentito a tutti i termini della loro nuova esistenza.

Tutto questo per il semplice motivo che, se la prospettiva di una vita frugale e dedita alla salvezza del mondo li aveva spaventati, la vista di quei due, così ragazzi e già così adulti, cresciuti fra armi e guerre, che tante ne avevano passate e tante altre ne stavano per subire, con quella loro aria di superiorità e fragilità ben celata, che irradiavano fiducia e amore da ogni poro, li avrebbe di certo convinti.

 

Perchè amare non era distruggere. Ed essere amati non era essere distrutti.

 

Poi d’improvviso, in mezzo a quell’aria solenne e ufficiale, un grido, un po’ troppo gioioso e effeminato per essere di un uomo comune, che aveva squarciato la stanza.

 

«Oh cazzo, è Magnus», era stata questa la risposta di Jace, come se se lo aspettasse e, nonostante ne fosse infastidito, si fosse rassegnato.

 

«J. ci dovresti essere abituato.»

 

«Si ma perchè quello stregone deve arrivare sempre nei momenti meno opportuni?»

 

«Perchè Magnus…»

 

«CHI OSA NOMINARE IL MIO NOME INVANO?»

 

Corinne volse la testa verso la zona da dove sembrava provenire quell’urlo, seguita dagli altri suoi compagni; quello che vide la lasciò senza fiato.

Vicino al mega-schermo vi era forse l’uomo più bello che avesse mai visto: alto, slanciato, ben tornito, con gli occhi più affascinati mai conosciuti dal genere umano. Il fatto che avesse delle penne giallo canarino tra i capelli, l’eye-liner nero e glitter su ogni superficie visibile, non faceva che renderlo ancora più appetibile.

Indossava una giacca lunga retrò anni 80 bordeaux, pantaloni di velluto blu scuri e una camicia inamidata del medesimo colore; il suo gilet, invece, era grigio, mentre le scarpe di vernice rosso sangue.

Incedeva verso gli incappucciati con grazia felina, passo lento e uno strano luccichio negli occhi, come se provasse gusto nel far irritare il biondino di fronte a loro.

 

«Oh ma che delizia! Dei poveri sperduti agnellini shadowhunters pronti per la brutale iniziazione e già carichi di adrenalina da omicidio cronico. Proprio un bel quadretto si.»

 

Pure la voce era suadente e delicata come un guanto di velluto, nonostante fosse palese la nota femminea presente in essa; sembrava fiero e sicuro nella sua superiorità, come se avesse avuto a che fare con i cacciatori di ombre per tutta la vita e sapesse benissimo come andavano trattati, ma anche stuzzicati.

 

Oh quanto avevano ragione.

 

«Magnus ti avevo detto di venire domani mattina! Non è un buon momento per i tappeti rossi e le paillettes sul marmo appena pulito.»

 

«Jace suvvia…» disse Clary, cercando di mettersi tra i due.

 

«Primo» esordì Magnus, sventolando un dito davanti agli occhi dell’altro ragazzo “Finché continuo a sfornare piccoli soldatini delle ombre in miniatura a vostro piacimento, faccio ciò che mi pare. Secondo. È Alec che mi ha detto di venire e mi ha dato la chiave, biondino.»


«1 a 0 per il Sommo Stregone di Brooklyn»

 

«Clary non cominciare. Basta quello sfigato di Simon come cronista sportivo improvvisato»

 

«Quello sfigato è il mio migliore amico, Jace, ed il nostro testimone di nozze!»

 

«Il tuo, tesoro, e comunque sono ancora in tempo per decidere, il matrimonio è tra due settimane!»

 

«Prova solo a ridire una cosa del genere e giuro che ti faccio ridurre in poltiglia di topo da Magnus!»

 

«Ma che c’entro ora io?»

 

«Guarda che, se abbiamo iniziato questa discussione, è perchè tu devi fare sempre delle entrate plateali ed estemporanee. Mi domando come fa Alec ancora a sopportarti!»

 

«I motivi sono più d’uno e di certo non devo rendere conto a te della mia vita privata. Gli ho sempre detto di cercare un nuovo parabatai, i biondi tinti non si addicono al suo charme.»

 

«I MIEI CAPELLI SONO BIONDO NATURALE!»

 

«Ed io sono etero! Ma fammi il piacere. Izzy, dopo quell’orrenda permanente verde, sembrava più vera di te, Jace dai mille cognomi»

 

«Posso gentilmente suggerivi di smetterla? Stiamo dando spettacolo!»

 

«Certo! Perchè questa prima donna deve sempre rompere e dare fastidio. Sei una fottuta mosca, Magnus.»

 

«Chiedilo ad Alec se a letto sono un fottuta mosca, Herondale, sarà più che felici di risponderti»

 

«Ma che mi frega a me della vostra vita sessuale!»

 

«Che palle ragazzi basta! Sembrate un branco di cuccioli di licantropo!»

 

«Oddio biscottino, proprio no... io ero un amore da bambino, nessuno poteva resistere alla mia pelle blu e agli occhi da gatto! Che bei tempi quelli…»

 

«Ma sentitelo non fa altro che vantarsi!»

 

«Io posso. Non mi sono rifatto l’altro ieri nella SPA in fondo alla strada.»

 

«COSA? IO NON SONO RIFATTO»

 

«Seh. CIAONE biondino, che tanto biondino non sei»

 

«Giuro che…»

 

I ragazzi lì presenti guardavano stralunati quella scena, chiedendosi se fossero davvero gli stessi soggetti che, con fare regale ed austero, li avevano condotti all’Istituto. Stavano là, a litigare, come normali adolescenti lunatici, e riflettevano la monotona immagine che loro, giovani ed inesperti aspiranti cacciatori, avevano avuto fino a poco tempo prima.

 

Amici, scuola, famiglia, sabati sera e compiti in classe da consegnare. Una vita normale, insomma.

 

E ciò non faceva che rendere quest’avventura ancora più affascinante e curiosa agli occhio dei ragazzi.

 

Come si poteva diventare assassini di professione e conservare quell’umanità?

 

Si poteva in maniera eccelsa, e Clary e Jace ne erano la prova vivente, dato il facilmente notabile solitario con smeraldo incastonato indossato dalla donna e il modo in cui, con lampante affetto e bonarietà, lo stregone e il cacciatore litigavano, quasi fosse un loro costume ormai consolidato.

 

“Loro amano. Loro sanno amare” Corinne ne fu meravigliata.

 

E come lei anche gli altri presenti erano incantati da quella scena e non notavano lo sguardo colpevole di Clary che chiedeva scusa loro con gli occhi, pregando di perdonare i due bambini indisciplinati.

La situazione si stava sempre di più riscaldando e gli insulti si facevano ancora più pesanti quando uno degli incappucciati decise di farla finita.

Corinne aveva inquadrato fin da subito quel Logan Blueblood; dalla sua prima impressione, a pelle, le era parso altezzoso e presuntuoso, chiari segni, a suo parere, di una comune e gravissima SFDP.

 

Sindrome Figlio di Papà.

 

Trasudava ricchezza e serenità da ogni stupido pelo che aveva sul corpo, camminava sicuro di sè e conscio di avere quel suo bel culetto, fasciato da jeans Armani, al caldo e ben protetto da qualsivoglia autorità.

Era ovvio che non avesse mai ricevuto rimproveri o punizioni e qualsiasi cosa avesse mai fatto, era sempre rimasto un cavaliere senza macchia e senza paura.
 

Artù ne sarebbe rimasto inorridito.

 

L’erede della casata dei SangueBlu non era passato inosservato nemmeno a Clary la quale, fin dal loro primo incontro, quando quel moccioso ci aveva apertamente provato con lei, lo aveva detestato ed odiato.

La sua era una delle famiglie di Shadowhunters più famose in Europa ed era normale che, intorno al ragazzo, aleggiasse quell’aria di superiorità, che non risparmiava al ragazzo pesanti insulti verso chi non considerava alla sua altezza.

 

Praticamente tutti.

 

Sembrava quasi che nei suoi ricci biondi e gli occhi acquamarina si annidasse una stragrande ed esagerata fiducia in se stesso, deleteria all’ennesima potenza.

E, diciamolo, la famiglia razzista e tradizionalista dove era cresciuto non aiutava, anzi, Clary prevedeva temporali violenti all’orizzonte e tante, ma tante, lettere di reclamo dalla Francia, con tanto di contrassegno del Clave; molto probabilmente il loro carissimo governo avrebbe chiesto, senza molte cortesie, che al povero pargoletto BlueBlood fossero riservati i migliori trattamenti e gentilezze, nemmeno fosse la regina d’Inghilterra.

 

Ma non era la Bibbia che, una volta, diceva che eravamo tutti uguali?

 

Perciò, gli Shadowhunters lì presenti non si sconvolsero quando, con tono saccente ed arrogante, Logan non esitò ad urlare:

 

«Levati dai piedi, noi non abbiamo tempo da perdere, frocetto del cazzo!»

 

Ci fu un’attimo di silenzio e poi si sentì il rumore di una corda che veniva tesa ed una freccia che veniva scoccata, andando a finire molto vicino al viso del ragazzo.

 

«Veramente si dà il caso che, il frocetto, sia il mio ragazzo, quindi può stare dove vuole»

 

Questa nuova voce subentrata nel teatro che, via via, si stava formando, sorprese ancora una volta il giovane pubblico, il quale, si voltò verso l’uomo che, vicino alla porta, impugnava un arco ancora fumante; aveva un’espressione che, se fosse stata in grado di avere qualche effetto sul genere umano, avrebbe di sicuro potuto uccidere e poi smembrare il corpo del defunto senza pietà.

 

«E tu chi saresti per poter permettere ciò?»

 

«Io sono Alexander Gideon Lightwood, Direttore dell’Istituto ed erede della Casata dei BoscoLuce. Ti conviene chiudere la bocca, frocetto.”


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Okaaaaay, parliamone gente.
Ho cambiato di nuovo la mia BIO perchè mi sono resa conto che il mio essere passiva-aggressiva non porta a nulla, perciò, prima di tagliarmi le vene con il nome di Zayn sopra, visto e considerato che nessuno si sta cagando questa cosa, vediamo di cambiare un po' il mio modo di presentarmi.

Allooooora, in questo capitolo entrano in gioco Corinne, la ragazza dal passato oscuro, e Logan, il figlio di papà poco incline all'educazione. In più, signori e signore, finalmente abbiamo il nostro Alec. 😍 
Avrete già capito che la presenza di Logan non sarà delle più genuine e che causerà non pochi problemi alla nostra Malec... siamo, perciò, da questo momento, nel vivo della fanfiction.

In più iniziamo a fare conoscenza degli altri aspiranti shadowhunters, la quale storia si intreccerà a quella dei nostri carissimi Jace, Clary, Alec, Magnus, Simon ed Izzy.

Buona Lettura.

Mistralia.

P.S. E fatemela 'sta recensione. Le mie vene sono così carine!

P.P.S. Il matrimonio Clace NON è spoiler, solo mia invenzione

 

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Capitolo 5
*** Je ne parle français ***


La prima volta che Simone RavenScar aveva sentito parlare di Alexander Lightwood, aveva dodici anni ed era appena ritornata da un pesante allenamento durato l’intera giornata.

Era da poco iniziato il mese di Agosto, l’aria era calda, afosa ed umida, e i vestiti ti si appiccicavano addosso nemmeno fossero stati ricoperti di colla; Simone cercava, invano, di regalarsi un po’ di fresco sventolandosi la faccia con le mani e la maglietta sgualcita, mentre si recava nelle sue stanze per il pranzo, contando, come solo una bambina può fare, le mattonelle che separavano la stanza dei manubri da quella della loro improvvisata sala da pranzo.

La ragazza non aveva mai capito per quale motivo suo padre non avesse, in alcun caso, voluto consumare i pasti con gli altri shadowhunters dell’Istituto. In fondo era lui il rettore, colui che comandava e dava gli ordini, prendeva decisioni e si occupava del benessere di tutti. 

Erald RavenScar era un uomo solitario, cupo e tenebroso, segnato dalle morti della moglie e della sorella, avvenute durante la ribalta del Circolo di Valentine, solo perchè le donne, affiancando l’uomo, si erano schierate con il Clave.

 

Errore imperdonabile.

 

Simone sentiva tutte le notti suo padre urlare nel suo letto, invocando Raziel, Ituriel, Jonathan Shadowhunters, il vecchio Mongerstern, urla agghiaccianti, graffianti, affilate come lame di coltelli, che spezzavano la tranquillità avvolgente della notte, rendendola scomoda, inopportuna e malevola; si udivano le lacrime, in quel torbido silenzio, scendere leste sul volto dell’uomo, il fiato che si affievoliva, la bocca che si spalancava per mettere quei pochi suoni rimasti, quando ormai l’alba si affacciava dal Ponte Vecchio sul Lungarno e l’insonnolita Firenze iniziava a svegliarsi.

 

Simone si era salvata per miracolo quel fatale pomeriggio di diciassette anni fa, e doveva ringraziare per questo Jacob BlueBlood, che l’aveva estratta dalle braccia sporche di sangue e spezzate della madre, e l’aveva portata in salvo, nascondendola dentro la giacca da shadowhunter; era nata solo da cinque giorni, l’incubatrice era un lontano ricordo, e non aveva ancora le rune, rimanendo, perciò, un obiettivo tropo facile e succoso.


 

Quale altro modo, perciò, per eliminare un cacciatore di ombre, che distruggere la sua intera famiglia ?


 

Lei però era viva, e per tutta la sua esistenza era stata l’ancora di suo padre, debole e provato, prossimo a toccare il fondo, e alternava le sue lune ad allenamenti e libri di demologia, nella speranza di diventare un’eccelsa Nephilim e di riuscire nell’eliminare il mondo che aveva deturpato la sua famiglia, con quell’orrenda e putrida cicatrice di lutti ed incubi.

 

Tutta questa rabbia, tuttavia, aveva reso il carattere della giovane RavenScar insicuro e privo di ogni fiducia; non era mai troppo bella, troppo magra, troppo allenata, preparata negli studi e nelle verifiche di Storia Angelica.

Le sue compagne uscivano, si divertivano, baciavano ragazzi e seguivano il concetto del Carpe Diem come solo delle italiane potevano fare; lei, invece, restava china sui libri per un tempo che pareva infinito, anche se aveva gli occhi rossi, le palpebre pesanti e le braccia molli per la mancanza di sonno.

 

S’era fatta crescere i capelli, s’era fatta allungare la frangetta per lasciarla cadere davanti agli occhi, s’era tinta i capelli di un biondo chiarissimo e irrazionale, palesemente contraffatto, e tutte le mattine poneva nei suoi occhi azzurri, vitrei e puerili, lenti a contatto castane, e questo esclusivamente perchè, tra le sue coetanee, andava di moda e lei non voleva essere da meno.

 

Desiderava essere accettata, che il mondo vedesse in lei una stella, la quale, prima o poi, avrebbe disegnato il futuro del pianeta, facendo di se stessa la parte fondamentale del complicato ecosistema umano, in un continuo di battaglie, demoni Shacks e Nascosti.

 

Lei, con i suoi abiti sempre neri, lo smalto d’un tetro corvino, le pupille luttuose e impaurite, ma il cervello da genio, aveva visto, fin da subito, in Alec Lightwood, un esempio di perfezione serafica, il suo idolo, lo stimolo di cui aveva bisogno per migliorare.

 

Così, quando suo padre, con la sua voce tremula e pacata, le aveva raccontato di come il giovane BoscoLuce fosse stato in grado di rompere, in un sol colpo, il naso ad un suo avversario irriverente, durante un allenamento di karate, Simone si era ripromessa che, quando lo avrebbe incontrato, si sarebbe fatta spiegare tutti i suoi segreti, per apprenderli e adattarli a sé.

 

Perciò aveva pregato Erald, quando si era diffusa la notizia che l’Istituto di New York fosse in cerca di cadetti prossimi all’Ascensione da formare ed istruire, di trasferirla là, in modo che le barriere, tra il suo Alec e lei, si annullassero definitivamente.

 

E lui era stato ben contento di lasciargliela vinta; odiava sua figlia, odiava tutto ciò che la riguardava e agognava il giorno in cui finalmente se ne sarebbe andata via, lasciandolo alla sua muta disperazione e solitudine.

 

Il suo era un rancore profondo ed oscuro, nato quando, avvolta in una coperta macchiata di sangue, gliela avevano posta fra le braccia, con la triste notizia che Alice, sua moglie, la sua vita, era deceduta per salvarla, facendole scudo con il suo corpo; il mondo, da quel dì, per lui, non era più esistito, e quella stesa figlia che, ogni santa colazione, gli ricordava tutto quello che aveva perso, lo annichiliva e lo spegneva del tutto, facendogli bramare il mattino durante il quale lei non si sarebbe più svegliata e non gli avrebbe più abbuiato le fette biscottate con quel suo “buongiorno” falso e fin troppo squillante.

 

Simone questo non lo sapeva, amava il padre immensamente, e ogni cosa che faceva, aveva come obiettivo quello di renderlo fiero di lei, della donna che avrebbe costruito pezzo per pezzo, lenta ma certosina, come solo una shadowhunters è in grado di fare.

 

Ed ora, che Alexander si ergeva di fronte a lei, Simone faceva fatica ad adattarlo alle sue aspettative.


Tanto per cominciare era molto, molto, molto più bello di come se lo figurava; aveva gli occhi talmente cerulei, che riusciva ad accecarla, mentre i capelli mori, morbidi al tatto e dal pungente odore di sandalo, le invadevano i sensi. Era altissimo, muscoloso, proporzionato, il volto da cucciolo e la voce da leader.

 

Eppure…

 

«Veramente si dà il caso che, il frocetto, sia il mio ragazzo, quindi può stare dove vuole»

 

Il suo ragazzo? Da quando in qua Alec era…GAY?

 

 

«Alec! Grazie al cielo che sei arrivato… un altro secondo e ti dovevi cercare un nuovo parabatai»

 

A parlare era stato quello stregone multicolore dai tratti coreani, forse portoricani, che era apparso improvvisamente ed aveva iniziato a punzecchiare il famoso Jace Herondale che, per quanto illustre, Simone aveva immaginato più umano e meno ultraterreno, senza quest’ingombrante aurea di solennità e responsabilità.

 

Non era nemmeno così bello.

 

«Senti amico puoi mettere un silenziatore sulla bocca del tuo ragazzo per favore? A chi diavolo è venuto in mente di nominarlo professore?»

 

«Se proprio vuoi sapere come fare per chiudermi la bocca allora converrebbe che Alec si abbas…»

 

«MAGNUS»

 

A ribattere, questa volta, invece, era stata la giovane Fray che la bionda sapeva benissimo essere la figlia di colui che aveva sterminato la sua famiglia.

Sembrava così fragile e innocente, difficile pensare che fosse la progenie del peggiore dei demoni.

 

 

Ci vediamo nella sala combattimenti, Fairchild…

 

 

«Che cosa biscottino? Hanno abolito la libertà di parola?»

 

«No, ma gradirei evitare certi discorsi davanti ai ragazzi»

 

«E che divertimento c’è allora?»

 

«C’è che bisogna che impari quando è l’ora di fare silenzio, Bane!»

 

«Senti biondino ora mi hai veramente rotto il ca…»

 

«ADESSO BASTA!»
 

Alexander Lightwood che si arrabbiava era uno spettacolo fatato dal vivo, imperdibile ed inimmaginabile; i suoi occhi si gonfiavano di mille onde cobalto che prendevano fuoco, una vena sul collo pulsava mossa da un insolito tremore e i bicipiti si stringevano e immobilizzavano, al pari di una possente macchina da guerra.

 

E bellissima anche…

 

Alec posò l’arco, si sistemò i capelli ed incrociò le braccia, posando le mani sui gomiti, allargando nel frattempo le gambe.

 

«Jace bisogna che la pianti di attaccare Magnus ogni santa volta che fa qualcosa che non ti piace. Noi sopportiamo talmente tante tue sciocchezze!»

 

«È vero tesoro…»

 

«Clary tu mi stai per sposare, dunque non hai voce in capitolo»

 

«E perchè?»

 

«Sei stressata amore…perciò non ragioni»

 

«Bene… allora visto che non ragiono, stanotte dormi in Infermeria, letti scomodi e il resto?»

 

«Cosa? No… ti prego!»

 

«Goodbye my love…»

 

«Clary aspetta parliamone…»

 

E così come si era presentato, Jace sparì dalla visuale degli incappucciati, inseguendo la sua fidanzata incasinata ed arrabbiata, sotto lo sguardo curioso dei presenti, i quali, sempre più sbalorditi, non erano nella facoltà di comprendere come quei ragazzi potessero essere gli stessi cacciatori tutto d’un pezzo di cui stavano per diventare i successori.

 

Ormai nella stanza erano rimasti solo lo scalmanato stregone e il nuovo arrivato, colui che si era dichiarato il loro futuro Preside, armato e con la faretra ancora sulle spalle, che guardava con occhi dolci e lascivi il giovane uomo dai mille glitter.

 

Logan era rimasto, per un secondo, interdetto; come poteva uno shadowhunters, un Lightwood, direttore di un Istituto per giunta, essere omosessuale? In che diavolo di direzione stava andando il mondo?

 

Suo padre gli aveva insegnato, fin da piccolo, che Dio aveva creato l’uomo e la donna per un motivo preciso, perchè facessero prosperare il mondo riproducendosi e adoperandosi per il suo benessere, non perdendosi in sciocchezze contro natura e senza il benché minimo briciolo di senso.

 

Come amare una persona del tuo stesso sesso.

 

Sapeva molto bene che l’erede dei BoscoLuce era un tipo strano, solitario e schivo, ma vederlo lì davanti a lui, così virile e uomo, pieno di talento e possibilità, che accarezzava un uomo.

 

E lo faceva con una tale dolcezza, guardandolo negli occhi, piegando il labbro inferiore, umettandolo, ridendo per una stupidissima battuta detta sottovoce, che quasi sembrava umano.

 

Logan sentì montare un moto di rabbia, rosso scarlatto e scottante al tatto, che lo spingeva a togliere di mezzo tutti coloro che lo separavano dai due, solo per poterli separare o chissà, anche punirli per i loro atti osceni.

 

Alec rimase per un altro pochino a parlare con Magnus, ridendo spensierato, liberando nell’aria la sua genuinità, spensieratezza, voglia di vivere, che solo negli ultimi tempi aveva conquistato; voleva davvero baciare il suo ragazzo, voleva farlo suo anche in mezzo a quella stanza piena di ragazzi innocenti e impauriti, tanta era l’attrazione e l’amore che lo legava allo stregone.

 

«Devi smetterla Mag di litigare con Jace… Non posso sempre dividervi…»

 

«Oh ma se dividerci implica che tu entri da quella porta, baldanzoso e focoso, armato di quel tuo splendido arco, e mi proteggi dagli shadowhunters brutti e cattivi, potrei anche non smettere mai, Fiorellino»

Alec lo fissò un po' incerto sul da farsi, si morse il labbro ed attese una reazione che non tardò ad arrivare; Magnus lo fissava esitante, con gli occhi elettrici e torbidi, accesisi in un sol colpo, nemmeno che le labbra del cacciatore costituissero una sorta di preliminare.


O forse si?


 

«Ho una voglia matta di baciarti…»
 

«Credi che non lo sappia? Stasera faremo tutto quel che vuoi, ma ora occupati dei tuoi piccoli mostricciattoli, che io vado a preparare i moduli e le aule»

 

«Lo faresti davvero?»

 

«C’est la vie, c’est l’amour, mon petite fleur. Je ne peux pas attendre de vous voir nue»

 

«Lo sai vero che io il francese non lo capisco?»

 

«Appunto Alexander, appunto…»

 

Quando lo stregone ebbe finalmente abbandonato l’androne dell’Istituto, il giovane moro si voltò, assumendo la tipica espressione fredda e distaccata, che riportò sull’attenti i ragazzi lì presenti.

 

«Come avrete già capito dalla mia spiacevole presentazione, dovuta ad un altrettanto spiacevole individuo» Gli occhi di Alec cercarono quelli di Logan tra la folla «Io sono Alexander Lightwood, dirigo questo covo di matti e mi occuperò di voi per tutta la durata del vostro soggiorno. Mi vanto di essere un cacciatore giusto e imparziale, ma per il reato di omofobia posso pronunciare soltanto una sentenza: l’espulsione. Non mi importa se siete shadowhunters di nascita, figli del Re Uther Pendragon, eredi di Franz Joseph, oppure semplici mondani coraggiosi. Una sola critica, un solo commento negativo, e sarete sbattuti fuori a calci, non importa ciò che possiate dire in vostra difesa. Ci siamo capiti BlueBlood? Un.Altra.Parola.»

 

Logan provò a sfidare con lo sguardo Alec, provò a mantenerlo fisso e imperturbabile, ma alla fine cedette e lasciò cadere la testa, sconfitto e sfinito.

 

Almeno per ora

 

«Bene. Procediamo con lo smistamento.»


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Sinceramente...Non so cosa cavolo ho scritto questa volta...
Percui... Non so nemmeno che cavolo dire nelle Note...
Perciò, visto e considerato che non ho più una cavolo di voglia di fare alcunchè... 
Vado a coltivare cavoli.

Arrivederci. 👋🏽

Mistralia. ♠️

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