Cento volte prima di innamorarmi di te

di CappelloParlante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** supermercato, corsia surgelati ***
Capitolo 2: *** 2° incontro: Autogrill ***
Capitolo 3: *** 3° incontro: Negozio di intimo ***
Capitolo 4: *** 4° incontro: Davanti alla porta del bagno, aereoporto ***
Capitolo 5: *** 5° incontro: fermate opposte dell'autobus ***
Capitolo 6: *** 6° incontro: Ascensore ***
Capitolo 7: *** 7° incontro: Taxi ***
Capitolo 8: *** 8° incontro: Sauna ***
Capitolo 9: *** 9° incontro: Ospedale ***
Capitolo 10: *** 11° incontro: Saletta appartata, ristorante ***
Capitolo 11: *** 10° incontro: Incrocio stradale ***
Capitolo 12: *** 12° incontro: Scalinata ***
Capitolo 13: *** 13° incontro: Marciapiede affollato, Roma ***
Capitolo 14: *** 14° incontro: Campo di zucche ***
Capitolo 15: *** 15° incontro: Biblioteca ***
Capitolo 16: *** 16° incontro: Porta di casa ***
Capitolo 17: *** Extra 1 ***
Capitolo 18: *** . ***



Capitolo 1
*** supermercato, corsia surgelati ***


La ragazza con il cappotto rosso e il ragazzo con la sciarpa verde si erano scontrati nell'esatta metà del reparto surgelati, e, all' inizio, non era sembrato nulla di eccezionale. Il nome della ragazza era Elisa e, fino a quel momento, non aveva passato una gran bella giornata. Qualche strano cibo croato doveva averle fatto sviluppare una specie di allergia, perché sentiva un prurito terribile su tutte le braccia, e, tanto per chiarire, lei lo aveva detto sin da subito che il pesce non sarebbe dovuto essere di quel colore verde cancrena. Aveva accettato di mangiare quella roba solo perché sua sorella, storicamente viziatella e lagnosa, aveva insistito fino alla morte per andare a cena in quel nuovo ristorante esotico, e, alla fine, sotto il suo sguardo supplicante, si era ritrovata a dire di sì. Il ragazzo, invece, si chiamava Alessandro, e poteva dire in tutta sicurezza e senza margine di errore che, la giornata che stava passando, era decisamente una delle più piacevoli di sempre, anche se non avrebbe saputo dire il motivo . Si era visto alla mattina con Nicoletta, la sua ragazza, per darle il regalo di compleanno, e gli era sembrato che il ciondolo che le aveva comprato le fosse proprio piaciuto. Poi era andato a pranzo con dei suoi amici e non si ricordava molto bene cosa fosse successo, forse avevano provato quel nuovo ristorante croato all' angolo di via Magnolia. Il fatto era che, alla sera, Alessandro e Simone, il suo migliorie amico, avevano alzato leggermente il gomito in un bar che frequentavano assiduamente, e si era ritrovato, così, curiosamente euforico e con solo vaghi ricordi della giornata appena passata. Non sapeva, in realtà, perché si trovasse in un supermercato, ma era così divertente il pesce surgelato nei frighi che non ci badò molto. Mentre ridacchiava tra see se per gli occhi vacui di un branzino, sentì qualcosa andargli a sbattere contro il petto con un gemito. Normalmente non si sarebbe nemmeno mosso, essendo stato l'impatto lieve, ma in quel momento sentiva la testa girare così tanto che si lasciò cadere di schiena sulle piastrelle, trascinando il corpo caldo contro cui aveva sbattuto con se.


****************


C'era qualcosa che non andava. Elisa stava camminando tra gli scaffali del supermercato cercando di scorgere un reparto farmacia dove comprare una crema per le sue povere braccia coperte di bubboni color magenta, ma questa sembrava non esistere. O, al limite, sembrava spostarsi magicamente venti metri più lontano non appena lei girava l'angolo. Per ora aveva trovato il corridoio dei biscotti, del pane e delle uova, e le braccia prudevano così tanto che sembravano andare a fuoco. Lo sapeva che quel pesce non sarebbe dovuto essere verde, ma poi sua sorella aveva detto che era delizioso e, beh, se era delizioso che male c'era a provare, no? Evidentemente qualcosa di male c'era, perché era lei e non sua sorella Aliana in un supermercato di provincia a cercare una dannata pomata per le allergie dopo aver scoperto che tutte le farmacie della città erano chiuse. Con un leggero tremito alle labbra entrò nel reparto surgelati, cercando di scacciare dalla mente l'immagine del pesce ingurgitato a cena. Le affioró un sorriso esaltato sulle labbra quando notò che, alla fine del corridoio, sostava un piccolo banchetto con farmacia. Aumentò il passo, lo sguardo fisso sulla meta, e non fece nemmeno caso al ragazzo dallo sguardo ebete che ridacchiava vedendole incontro. Lo scontro col suo petto, in fin dei conti, non fú così tanto traumatico. Tranne per il suo naso, ovviamente. Elisa aveva sempre avuto un naso particolarmente fragile, si ricordava ancora di quando a otto anni si era beccata un brutto raffreddore e le era bastato soffiarsi il naso perché questo iniziasse a sanguinare. Il petto del ragazzo che le era venuto addosso era abbastanza solido da farle lacrimare gli occhi non appena il suo naso lo scontrò, e, annebbiata per un attimo, si ritrovò a sorreggersi a quel povero cretino. Mentre le sfuggiva un gemito di dolore, Elisa speró con tutta se stessa che lo stolto che le era venuto addosso non fosse un barbone ubriaco o un maniaco in cerca di moscardini surgelati. Il ragazzo avrebbe dovuto avere un corpo abbastanza saldo per sorreggerla per solo un secondo, ma qualcosa andò storto, ed Elisa, con suo profondo orrore, si ritrovò a cadere precipitosamente addosso al suddetto ragazzo, mentre scivolava a terra.


****************


La prima cosa che pensò Alessandro fú che il profumo dei capelli della sfortunata che aveva trascinato a terra con se era decisamente buono. Sapeva di limoni e di qualche fiore strano che non si diede la briga di ricordare. "Hai un buon profumo" sussurró in estasi, il volto coperto dai lunghi capelli marroni dell' estranea. La sconosciuta alzò il volto dal incavo nel collo di Alessandro con un mugugno, gli occhi strizzati in una smorfia di dolore e il naso particolarmente rosso. Ad Alessandro venne da ridere quando la ragazza portò una mano al nasino all' insú per sfregarlo piano. Forse rise veramente, perché la ragazza, che sembrava non essersi resa pienamente conto di dove si trovasse, alzò rapida lo sguardo su di lui, mentre un evidente rosso acceso le colorava le guance. "ciao, io sono Alessandro, hai un nasino davvero carino, sai?" Le disse sorridente. La ragazza fece una smorfia terrorizzata alle sue parole, probabilmente credendo che fosse un pazzo o qualcosa del genere. Alessandro non tardò a rassicurarla "Hei, tranquilla, non sono un maniaco...non só, credo di aver bevuto un po' troppo al bar" borbottó tra se e se. La ragazza non.parve molto rassicurata da quelle parole e, ancora rossa in volto, si alzò veloce dal corpo di Alessandro, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. "Scusa se ti sono venuta addosso" Gli disse con un lieve sorriso, la mano che copriva ancora il piccolo naso "Tranquilla, non mi capita spesso di trovare belle ragazze disposte a cadermi addosso nel reparto dei surgelati" ammicò spudoratamente Alessandro. Una piccola è fastidiosa vocina nella sua testa non ancora contaminata dall' alcol gli strilló che Nicole, la sua ragazza, non sarebbe stata propiamente contenta di lui, ma in quel momento Nicoletta era lontana anni luce, e lui era lì, tra Moscardini e branzini congelati con una ragazza carina dal cappotto rosso. " E comunque è stata anche colpa mia" Disse, la voce un po' impastata e lenta. La ragazza sorrise incerta "Credo che tu abbia preso proprio una bella sbronza, eh?" ridacchió un po', e Alessandro si trovò a pensare che fosse davvero carina quando rideva. "Ora devo andare, ho un'allergia al pesce verde da curare e..." parve un po' imbarazzata dalle parole appena dette e Alessandro la vide arrossire di nuovo. "beh, ciao Alessandro" Gli fece un ultimo sorriso per poi allontanarsi da lui veloce come era arrivata, barcollando leggermente sui tacchetti. Alessandro rimase immobile, leggermente interdetto, accanto al frigo con il branzino surgelato, guardandola sparire dietro ad un banco dei medicinali con il suo profumo dolce ancora nelle narici.

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Capitolo 2
*** 2° incontro: Autogrill ***


Prima che la ragazza con il cappello a pois arancioni rovesciasse una tazzina di caffè bollente sul ragazzo con una improbabile maglietta rosa, stava andando tutto, se non a gonfie vele, almeno in modo decente. O, almeno, per il ragazzo. Perché elisa stava passando una giornata fantastica tanto quanto un dito nell'occhio. Ci sono poche volte nella vita in cui puoi dire senza nemmeno un ripensamento che sei nella merda fino al collo. Ed elisa, in quello schifoso bagno dell'autogrill, poteva dire con assoluta certezza di starci affogando. Nella merda, non nel bagno dell'autogrill, anche se in realtà la differenza non era poi molta. Aveva passato le ultime fantastiche tre ore e mezza a guidare e, contemporaneamente, a buttare giù a sua madre che continuava a chiamarla per chiederle tra quanto sarebbe arrivata a casa di sua nonna. Poi, come era ovvio che sarebbe successo, non aveva più retto. Insomma, non aveva una vescica di ferro, nonostante quello che dicesse Aliana, e si era scolata una bottiglia d'acqua da litro durante il viaggio. Si era fermata così al primo autogrill e si era catapultata nel bagno armata di salviette disinfettanti e amuchina, ossia tutto ciò che serve per sopravvivere nei bagni delle stazioni di servizio Italiane. Senza descrivere lo scenario orribile che trovò nei primi cinque gabinetti, fu sollevata di trovare il sesto pulito. O, almeno, senza macchie bagnate a terra di dubbia provenienza. Era certa di avercela fatta quando tirò lo sciacquone. Non aveva fatto i conti, però, con un vecchio è saggio proverbio che dice che ,se il bagno di un'autogrill è decente, allora ci sarà di certo qualcos'altro che non funziona. Poteva essere la catena o il rubinetto del lavandino. Nel caso di Elisa, come fu agghiacciata di constatare, era la maniglia della porta.


****************


Alessandro credeva che avesse toccato il fondo quando, a tredici anni, aveva dovuto indossare un pannolone (ovviamente quelli enormi per vecchietti incontinenti) perché aveva perso una scommessa con il suo compagno di banco. Ma quanto si sbagliava. Entrò nell' autogrill con passo spavaldo, nonostante si capisse che era in imbarazzo dal rossore diffuso sul viso. Infatti, la maglietta che indossava sotto al felpone grigio non era propriamente la classica vecchia maglietta stinta con qualche scritta in inglese. Anzi. Era una maglietta striminzita che impediva ad Alessandro quasi di respirare, oltretutto di una sgradevole tonalità di rosa acceso, colore che Nicoletta avrebbe probabilmente classificato con un nome lungo come la muraglia cinese, ma che per Alessandro restava, comunque, uno schifoso rosa shocking. Decisamente orribile e decisamente da femminuccia. Se solo non avesse avuto tutti quei brillantini sparsi sul tessuto,magari non sarebbe stata così visibile. Ma, purtroppo, la maglietta era munita di brillantini e pailettes varie. E Alessandro avrebbe voluto decisamete sotterarsi dalla vergogna. Tutta colpa di Simone, quel coglione del suo migliore amico. Perché sapeva benissimo che non avrebbe dovuto provocarlo chiedendogli se aveva il coraggio di mettersi la maglietta smessa di sua sorella di nove anni, mentre Alessandro era un po' troppo ubriaco e un po' troppo euforico per tirarsi indietro - Alessandro si appuntò mentalmente di evitare sbronze epiche per almeno qualche settimana-. Sbuffó mentre un bimbetto lo indicava ridendo alla madre. Avrebbe fatto meglio a tenersi la sete e a restare in macchina. Mentre andava verso il bar e tentava di ignorare le risatine incontrollate di un anziano che si comprava il giornale, sentì una voce che gli sembrava familiare alle sue spalle. Si voltò appena in tempo per vedere uscire dal bagno delle donne due ragazze. La prima indossava la divisa dell' autogrill e aveva in volto una smorfia mortificata, la seconda, invece, portava un improbabile cappello ed era letteralmente furiosa. "E se lei non mi avesse sentito urlare da dentro al bagno che sarebbe successo? eh? Sarei morta incastrata tra la tazza del gabinetto e lo scovolino?". Chissà per quale ragione, Alessandro sentì nelle narici un dolce profumo di limone.


****************


Elisa lasciò perdere le scuse balbettate dalla ragazza dell' autogrill, in fondo non era colpa sua. Effettivamente non era colpa di nessuno, ma guardando l'orologio scoprì con un colpo al cuore che doveva essere da sua nonna in meno di venti minuti, e che effettivamente le avrebbe fatto comodo qualcuno da incolpare. Magari i bagni, le autogrill in generale, se stessa, sua madre (che le aveva lasciato trecentonovantaquattro messaggi nella segreteria telefonica) o quel vecchietto che rideva mentre leggeva il giornale. Optò saggiamente di lasciar perdere. Cammimò velocemente verso il bancone del bar, dove un ragazzo parecchio alto con una felpa enorme grigia stava bevendo qualcosa dandole le spalle. Mentre ordinava un caffè parecchio forte si ritrovò a pensare che i capelli del ragazzo accanto a lei le ricordavano quelli di qualcuno che conosceva. Non riusciva nemmeno a vedere il volto del proprietario di quella chioma nera e scompigliata così smise di allungare il collo verso il vicino lasciando perdere la questione. Quando ebbe la tazzina fumante tra le mani inspiró il forte odore del caffè e la avvicinó alle labbra. Stava prendendo un piccolo sorso quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Non aspettandoselo, fece un balzo alto quasi tre metri e rovesciò il contenuto della tazzina addosso al ragazzo di fianco a lei che le aveva fatto prendere un colpo. Alzò lo sguardo, divisa tra la collera contro quel tizio per averle fatto cadere il caffè e il dispiaciuto per averlo macchiato, quando incontrò due occhi nocciola che le pareva di avere già visto, esattamente come per i capelli. Il ragazzo distolse subito lo sguardo da lei, fissando senza espressione la maglietta striminzita e rosa shocking (rosa shocking!) che indossava "Mi dispiace!" balbettò elisa, prendendo dei fazzoletti dal bancone per aiutarlo. Il ragazzo alzò il capo verso di lei. "Tranquilla, mi hai fatto solo un favore, magari adesso il rosa si nota meno...e comunque sono stato io a farti prendere un mezzo infarto, scusami" Le fece un bellissimo sorriso mentre accettava il fazzoletto che lei gli porgeva. Elisa, però, non riuscì a sorridere, perché si era ricordata in quel momento di due occhi nocciola uguali a quelli del ragazzo visti in un reparto surgelati parecchio lontano da lì. Alessandro gettò il fazzoletto in un cestino e riportò lo sguardo su di lei "In realtà è una cosa stupida, davvero, non so nemmeno perché ti ho fatta girare, è che...beh, ero certo di averti già vista" Elisa sgranó gli occhi e arrossí, perché d'un tratto si era ricordata tutto e rivelargli come si erano incontrati- o meglio dire scontrati- mesi prima era piuttosto imbarazzante. Al ricordo le braccia le parvero prudere di nuovo. Ma come diavolo era possibile incontrare di nuovo lo stesso ragazzo in quell' autogrill sperduta dopo tutto il tempo in cui non l'aveva più visto? Era tutta una questione di sfiga nera, con la quale elisa conviveva da secoli. Le balenó per un attimo l'idea di negare tutto e dirgli che non si erano mai visti prima, ma chissà per quale motivo della psiche umana, era certa che mentire a quel ragazzo allampanato l'avrebbe fatta sentire un verme strisciante. Sospiró facendosi coraggio."Si, hai ragione...ci siamo già visti...un po' di tempo fa, in un supermercato. Io...ecco...ti sono caduta addosso, o forse tu mi sei caduto addosso, non l'ho mai capito...non che io ci abbia più pensato, eh! assolutamente...ma non è successo nulla, cioè, cosa doveva succedere, no? nulla, assolutamente nulla. Eri mezzo ubriaco, è per questo che non ti ricordi niente...ma so che tu ti...beh, tu ti chiami Alessandro, me l'hai detto quella sera" mormorò in imbarazzo, abbassando lo sguardo. Alessandro fece una faccia pensierosa, tentando di ricordare quella giornata, ma, evidentemente, ci rinunciò, perché scosse le spalle sorridendo di nuovo. Elisa si stava decisamente abituando troppo a quel sorriso fantastico. "No, non mi ricordo" ammise sincero, mentre Elisa si malediva mentalmente per i suoi pensieri incoerenti e insensati " mi dispiace, ma dovevo essere parecchio ubriaco per non ricordarmi di una ragazza come te" le disse sornione con un mezzo sorriso. Elisa si incendiò fino alla radice dei capelli per quella battutaccia da scaricatori di porto e decise che era ora di tagliare la corda e di mettere fine a quella sfilza di figure mortalmente imbarazzanti. "Grazie, sei gentile" gli sorrise nervosa "Adesso devo andare, mia nonna fa 86 anni e devo comprare una torta per diabeti-" arrossí per le sue parole, non riusciva mai a mettersi un freno. E, sopratutto, non faceva altro che comportarsi come una quindicenne frustrata quando era nei paraggi Alessandro. "beh, non credo che ti possa interessare"sussurró tesa, tentando una risatina poco convinta. Senza guardarlo si voltò verso la cassa e pagò il caffè in tutta fretta. Non vide, così, il sorriso allegro smorzarsi sul viso di Alessandro, ma notò di sfuggita quella tremenda maglietta rosa fluorescente che Alessandro indossava. Mentre entrava in macchina il più velocemente possibile, con l'impressione di avere due occhi puntati sulla schiena, l'unico pensiero che riuscì a formulare fu chiedersi se, magari, Alessandro non fosse un pochetto effemminato. Beh, anche se fosse stato, a lei di certo non sarebbe importato per niente, propio no.

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Capitolo 3
*** 3° incontro: Negozio di intimo ***


Sin da quando era bambina, Elisa aveva sempre amato spasmodicamente i matrimoni. Passava ore nascosta sotto le coperte a fare sposare Barbie e Ken, infilando lei in un vestito pomposo bianco rammendato dalla mamma e lui in dei bermuda a fiori e in una maglietta azzurrina. L'unico vero matrimonio a cui aveva partecipato, però, era stato quello di sua zia Nora, e, neanche a dirlo, l'aveva fatta piangere modello fontana di Trevi. Aveva anche una spassosissima foto ricordo scattata da quel burlone di suo cugino che la ritraeva sulla panca della chiesa insieme a sua nonna, entrambe con i volti affondati in fazzoletti di stoffa grigia a singhiozzare. Non molto dignitoso, già. Quando Elena, amica dai lontani tempi dei pannoloni, le aveva detto che, finalemte, il suo ragazzo si era deciso a farle la proposta di matrimonio, Elisa aveva attraversato tre fasi. Prima di tutto era saltata al collo di Elena entusiasta e avevano passato venti minuti a starnazzare e a strillare parlando di anelli e abiti bianchi. Poi, come secondo stadio, era arrivata la depressione più nera, in cui si era posta domande esistenziali come "perché lei si e io no?"e"L'ultima relazione decente che ho avuto io è finita due anni fa, perché la sua è durata sette anni?". La serata all'insegna della depressione era finita con un Elisa dagli occhi un po' troppo rossi e un po' troppo gonfi che svuotava la scatola dei biscotti al cioccolato guardando un film demenziale a basso costo. E, in fine, la terza e gloriosa fase di chiusura, l'accettazione. Elisa aveva preso un gran respiro e aveva chiamato Elena, facendo finalmente la parte della migliore amica entusiasta e dandole una mano con i preparativi. Al momento, però, non erano nè bomboniere nè band musicali da scritturare ad impeganarle il tempo, bensì la ricerca di un dannato reggiseno color lavanda che stesse in modo decente sotto l'abito da testimone della sposa.


****************


Alessandro aveva vissuto l'infanzia e l'adolescenza con il miraggio della donna perfetta. Questo strano essere mitologico era la bizzarra unione di sua madre, con i suoi baci sulla fronte, e sua nonna, con la sua parmigiana domenicale durante i pranzi di famiglia. E si chiedeva perché, alla fine, si fosse felicemente fidanzato con Nicoletta, che non incaranava nemmeno uno dei suoi due banali ideali. La osservò a lungo mentre le camminava annoiato a fianco, trascinandosi dietro sacchetti e pacchi con sopra scritto saldi in tutte le sfumature e colori possibili. Eppure, per quanto la guardasse, non capiva davvero cosa l'avesse fatto innamorare l'estate prima. Quando Nicoletta si voltò verso di lui lasciando perdere una vetrina di vestiti voluminosi, gli fece un sorriso radioso, facendo spuntare due fossette sulle guance. Alessandro si disse che, probabilmente, era per quello che se ne era innamorato. Perché quando lei lo guardava, le si leggeva negli occhi che non esisteva nient'altro che lui. "amore! Ma ti stai per caso annoiando?" gli chiese, con un tono a metà tra il divertito e lo scandalizzato. Alessandro abbozzò un sorrisetto "Io? Ma ti pare?". Nicoletta fece un altro sorriso scuotendo la coda bionda,mentre allungava una mano verso quella di Alessandro "Allora ti porto in un posto con l'aria condizionata, così stai al fresco! Mi devo andare a comprare un costume per l'estate, e cè un negozio di biancheria intima dietro l'angolo" Le sopracciglia di Alessandro ebbero un guizzo "Biancheria?" chiese, vagamente malizioso. Nicoletta fece una risatina leggermente stridula, trascinandoselo dietro lungo la strada affollata del centro.


****************


Elisa, nei soli dieci minuti in cui aveva curiosato tra gli scaffali del negozio di biancheria, aveva già guadagnato un numero record di occhiatacce da parte delle commesse. Specialmente una, quella con i capelli rossi legati in una treccia voluminosa, sembrava seguirla a vista come un segugio da caccia. Elisa la oltrepassò ostentando noncuranza e fiondandosi su un tavolo con reggiseni e mutandine colorati. Ce n'erano di verdi, di azzurri e di blu, ma del colore lavanda pareva non essercene traccia. Sbuffó mentre alzava leggermente una quinta di reggiseno viola spaventosamente grande per vedere se si nascondeva lì sotto ciò che cercava. Ma, come le era capitato innumerevoli volte nell' ultimo lasso di tempo, non trovò nulla al di sotto, se non il tavolo nero. "Serve aiuto?" la voce che sentì d'improvviso alle sue spalle, forzatamente gentile e accompagnata da un lieve ringhio, era della commessa con i capelli rossi e la fece sobbalzare leggermente mentre lasciava di scatto la presa del mega reggiseno. Si voltò velocemente verso di lei con un sorriso stucchevole - tanto quanto quello della ragazza del negozio- e incrociò le braccia al petto. "Si, grazie, stó cercando un reggiseno color lavanda taglia terza per un matrimonio, ma non ne ho trovato nemmeno uno...eppure mi dicono che siete ben forniti"Non era sua intenzione apparire così acida, eppure, l'espressione oltraggiata della commessa, la fece compiacere parecchio. Subito dopo, però, l'espressione sconvolta dell'altra venne sostituita da un sorriso sgradevole "Di certo non è il tuo, il matrimonio, vero?No, no, altrimenti non ti servirebbe un reggiseno color lavanda, piuttosto bianco...beh, non importa" le sorrise di nuovo ed elisa fu travolta dalla voglia di scappare a gambe levate da lì "ti avevano informata bene, perché disponiamo della più vasta gamma di colori, e si dia il caso che abbiamo anche reggiseni e coordinati color lavanda" le spiegò, ed elisa fece un sospiro di sollievo, perché finalmente la caccia all' intimo poteva dichiararsi finita. La commessa iniziò a farle strada verso una rella che fungeva da espositore. "allora..."inizó facendo scorrere un dito smaltato tra i capi, guardando elisa con un sorrisetto falso "Sicura di portare una terza? Perché mi sembrerebbe una seconda, al massimo... ovviamente senza offesa!"


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" Tesoro? Dove sei? Ah! Eccoti! Dimmi, preferisci il reggiseno del costume a balconcino o a triangolo?" La testa di Nicoletta era comparsa a tradimento nel bel mezzo dei vestiti appesi diligentemente alle grucce, ed Alessandro aveva fatto un passo indietro. "Eh?" aveva intelligentemente risposto, con sguardo leggermente vacuo. Nicoletta aveva fatto un risolino "Sciocco! Preferisci questo o questo, di reggiseno?" domandò, mostrandogli i due capi. Alessandro non notò la minima differenza, così decise di scegliere in base al colore. "quello rosso mi piace, Nico" le sorrise. La testa della fidanzata sparì dal garbuglio di stoffe dei vestiti appesi e la vide trotterellare fino ad un camerino, chiudendosi dentro con il costume che aveva scelto lui. Sbuffó leggermente mentre posava a terra tutte le borse e i sacchetti che lo facevano sembrare un albero di natale fuori stagione. Si diede una rapida occhiata intorno e decise che, malgrado le aspettative, non trovava cosi interessante il negozio di intimo. Ovviamente, se fosse stato lì con qualcun altro, si sarebbe divertito un mondo a fare battutacce idiote, ma con Nicoletta era un impresa impossibile. Non ne capiva nemmeno una, nemmeno quelle più banali, e, per non fare la figura della tardona, si esibiva ogni volta in quella sua risata ansiosa acutissima. "Ale! Vieni un attimo, per favore!" la voce ovattata di Nicoletta lo raggiunse da dietro la tenda dello spogliatoio. Alessandro si incamminò verso di lei con passo lento."Che cè?"chiese, lo sguardo incantato su un reggiseno viola enorme posato su un tavolo "Prendo il costume che hai scelto tu, ma dato che sono qua voglio provare anche due reggiseni...ne avevo visto uno che è un amore...è color lavanda ed è appeso in una rella all ingresso...vedi un po' se cè la terza, caro"Alessandro soffocó uno sbadiglio sulla spalla"arrivo"mormorò, andando verso alla rella metallica. Quando fú davanti ad essa iniziò a far scorrere il dito tra i capi,cercando il reggiseno lavanda. Con un sorriso fermò la mano sull intimo che voleva Nicoletta e strinse tra le dita la stoffa leggera.Lo stava prendendo dalla gruccia quando lo sentì tirare dall' altra parte della rella. Qualcuno stava cercando di fregargli il reggiseno da sotto al naso. Strinse più forte la stoffa tra le dita e strattonò il capo. "Hei!" una voce lamentosa si levó dall' altra parte dell' espositore. Alessandro allungò il collo per vedere chi fosse la persona con cui si stava contendendo e trovò una ragazza con i capelli marroni scarmagliati e gli occhi serrati. Gli comparve sul volto un sorriso involontario "ciao ragazza dell' autogrill, ci vediamo di nuovo" disse sornione. La ragazza alzò di scatto lo sguardo dal reggiseno lavanda che Alessandro stava ancora strattonando al volto di lui con una smorfia terrorizzata. "oh!" esclamò, mollando la presa e lasciando al ragazzo il reggiseno "di nuovo tu!" Alessandro ridacchió vedendola arrossire " Non mi sembri così entusiasta di vedermi" rispose. La ragazza fece un sorriso timido, che le faceva brillare gli occhi marroni "no, cioè, si...ecco, sono felice di ved-beh, ciao" balbettò arrossendo di nuovo. Alessandro si ritrovò a pensare che, quando arrossiva, era davvero carina. Poi pensò che era un imbecille a far il cascamorto per scherzo con questa ragazza, oltretutto con Nicoletta a due passi.Tossì leggermente" Beh...che ci fai qui?" chiese curioso alla ragazza. "Uh, stò cercando il reggiseno che hai in mano tu" rispose lei, lanciando un occhiata al capo tra le mani di lui. Alessandro sorrise malizioso "ah si? propio questo qui?" chiese, strofinandoselo appena tra le mani, solo per vederla arrossire di nuovo. Infatti, poco dopo, un rossore diffuso comparve sul viso di lei. "Già" mormorò senza guardarlo. Poi alzò il volto verso di lui, d'un tratto determinata "Senti Alessandro...ho bisogno di questo reggiseno, è l'ultimo color lavanda e mi serve davvero...oltretutto non credo che la terza sia la tua taglia" garantì. Alessandro fece un sorriso sghembo" Ah! e io che mi illudevo!" ridacchió appena lui "comunque, nonostante le apparenze, non è per me, ma per la mia ragazza nel camerino là infondo, e non credo che sarebbe proprio entusiasta di lasciarlo a te" disse lentamente, nascondendo un sorriso. La ragazza fece una faccia sconvolta "La tua ragazza?" chiese stupita. Poi arrossí violentemente "Cioè, volevo dire, la tua ragazza vuole proprio questo qua?" Alessandro si trarrenne dal ridacchiare" mi ha detto di prendere una terza color lavanda, e questo è l'unico" spiegò. La ragazza fece una smorfia "Gesù! E ora io come faccio? Il prossimo weekend la mia migliore amica si sposa e io sono la cavolo di testimone, devo mettermi uno stupidissimo vestito sotto cui devo per forza indossare un reggiseno dello stesso esatto color lavanda...ti prego, ti prego, Alessandro, lascialo a me e di alla tua ragazza che non l'hai trovato...posso pagarti, se serve " Alessandro agrottó le sopracciglia per un secondo, poi gli venne un idea e si aprì in un sorriso allegro "va bene, facciamo cosi, io ti dò questo reggiseno se tu mi dici come ti chiami". La ragazza sembrò sollevata e leggermere stupita dalla proposta. "oh, si, va benissimo, anche perché non avrei avuto comunque abbastanza soldi per pagare te e comprare il reggiseno" disse sorridente, allungandosi per prendere il reggiseno. Alessandro,però, alzò velocemente la mano con l'intimo sopra alla testa, facendo in modo che divenisse fuori dalla portata di lei. "Il nome, prego". La ragazza ridacchió" Elisa, mi chiamo Elisa" mormorò sorridendo. Poi gli si avvicinò ancora di più, mentre Alessandro abbassava il braccio, e prese il reggiseno, sommergendolo nel suo odore di limoni e fiori delicati. Mentre Elisa si allontanava da lui lentamente, Alessandro la sentì trattenere appena il fiato mentre gli sfiorava il petto con la guancia. "Grazie" mormorò lei a bassa voce. Alessandro rimase immobile mentre la ragazza si allontanava, la voce di Nicoletta che lo chiamava nelle orecchie e l'immagine di Elisa che sorrideva mentre gli diceva il suo nome.


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Ciao a chiunque sia arrivato sino a qua senza avere attacchi di vomito o altro di spiacevole, e grazie mille per avere letto:) Questa è la mia prima storia in assoluto, e ci terrei davvero tanto se mi diceste cosa ne pensate, cosa crediate che debba migliorare e se magari rendo un po' troppo pesanti alcune parti della storia. In ogni caso grazie davvero anche solo per aver letto questa..beh, questa cosa. Un bacio a tutti

CappelloParlante

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Capitolo 4
*** 4° incontro: Davanti alla porta del bagno, aereoporto ***


"Sasà! Dio, che bello sentirti! Ti prego salvami!" Una voce acuta e teatralmente disperata raggiunse l'orecchio di Elisa, ancora in preda ai sintomi post dormita ventennale. Sbadigliò strizzando appena gli occhi "Chi è?" chiese, la voce ancora impastata. "Elisa! Sono io, Aliana!" Elisa non parve particolarmente colpita da quell' affermazione. " sei una cretina, sono le tre e mezza di notte, richiamami domani così ti uccido in tutta calma. Notte" boffonchiò sdraiandosi sul letto ancora caldo. Stava per premere il tasto di chiusura chiamata quando dal cellulare si levó uno strilletto" No! Non farlo, ti prego! Elisa, rispondimi immediatamente! Ti prego, aiutami! Sono nella merda!" Elisa portò ancora una volta il telefono all'orecchio "puoi restarci fino a domani?" "No!" rispose indignata Aliana. Elisa sospirò "lo sospettavo" mormorò affranta, alzandosi a sedere sul letto. Si passò una mano sugli occhi per darsi una svegliata, tentando di ignorare un principio di malditesta "Allora, che c'è? Problemi con il lavoro li in America?" Aliana fece un verso strozzato "Si! Non sai nemmeno quanti, Sasà! Devi venirmi a prendere, ti prego" Elisa si bloccò per qualche secondo. Poi scoppiò in una risata grassa "Ehi, non è divertente, Elisa!" borbottó Aliana offesa. " Ah no? E se non è una battuta cosa è? Ali, ma ti rendi conto di cosa mi stai dicendo? Cosa dovrei fare, partire dall' Italia con il primo volo e raggiungerti in un continente dall'altra parte del globo?" Dall'altro capo del telefono, Aliana prese un gran respiro "Senti, ho combinato un casino enorme, Elisa. Non so cosa fare per mettere tutto a posto, e voglio tornare a casa...vieni ad aggiustare tutto, ti prego" Elisa indurí la mascella "Mi sembra giusto, devo sempre essere io a sistemare i tuoi casini , eh? Bah...e comunque cosa hai fatto, si può sapere?" chiese aspra. Aliana fece un respiro tremulo "Non posso dirtelo ora, sarebbe troppo lunga" sussurró agitata. Elisa si trarrenne dall'alzare il tono della voce "Aliana, sono tua sorella maggiore ed esigo sapere cosa diavolo hai fatto, okay?" per un poco si sentì solo un respiro rapido e irregolare dall'altra parte del ricevitore "Ah, Sasà, odio quando vuoi fare la mamma" disse poi Aliana, con tono forzatamente leggero. "Aliana. Parla, ora" ordinò severa Elisa. "Eli...sono stata arrestata" ammise tremante, dopo qualche secondo di silenzio teso "Sono in prigione, avevo...avevo compilato il visto turistico invece che quello lavorativo perché pensavo...pensavo che se il lavoro qua non fosse durato... " Aliana tentennó per un po', poi la sorella la sentì singhiozzare appena "sono stata una stupida" mormorò. Elisa sentì un macigno posarsi sul petto "Aliana, in prigione? Ti hanno fatto del male? Come stai? Come è successo? " "No, Eli, senti, calmati, sto bene, è solo colpa mia, però...però mi servi qua, ti prego, vieni e portami via...mi dovrebbero rispedire a casa domani, ma tu...tu vieni comunque" mormorò Aliana. Elisa prese un grande respiro, ormai totalmente sveglia e tentò di scacciare la preoccupazione che la attanagliava " Okay, senti...vedo...vedo cosa posso fare...senti, mamma e papà li hai chiamati, vero?" chiese, mentre tirava fuori la valigia da sotto al letto e iniziava a ficcarci dentro vestiti a casaccio. " Ovvio che no, mi ucciderebbero!" Elisa si bloccò, una camicetta tra le mani "E io cosa mi dovrei inventare?" chiese. Aliana sbuffó, d'un tratto seccata "Digli che sei andata a trovare Francesca, la tua amica che abita a Roma, però vieni, ti prego, fai veloce". Elisa prese l'ennesimo respiro per calamarsi " Sei una pazza, Aliana un'immatura totale...che comunque mamma e papà dovranno venire a sapere tutto in ogni caso, sia chiaro...Aliana, sono preoccupata a morte, mi stai facendo uscire di testa...prigione, dio mio, sei in prigione...così piccolina...io...vengo, arrivo, cerca di non cacciarti nei casini nelle prossime ore, prendo il primo volo" borbottó affannata. "Si! Ti voglio un bene dell'anima! Sbrigati, ti prego! Richiamami appena arrivi, Elisa, Okay? Ci sentiamo" e buttò giù. Elisa fissò sconvolta il cellulare per qualche secondo. Poi lanciò un occhiata depressa alla valigia spalancata sul letto con qualche maglietta spiegazzata dentro e sentì una fitta di ansia attenagliarle lo stomaco, sicura come mai che non le sarebbe passata sino a che non sarebbe tornata in Italia con Aliana.

 

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" Tesoro? Ci sei ancora?" La voce dolce e leggermente roca della donna al telefono risvegliò Alessandro, che si era incantato mentre fissava senza espressione la vetrata dell'aeroporto. Scosse leggermente la testa e avvicinò il cellulare all'orecchio. "Si, nonna, scusa...cosa mi stavi chiedendo?" chiese, lanciando uno sguardo seccato all'orario di arrivo del suo volo, ovviamente in ritardo. "Ultimamente cadi sempre dalle nuvole, gioia, ma cosa hai? È il lavoro che ti stressa? Ti hanno trattato male li a Londra?" chiese, entrando in modalità apprensiva. "No, assolutamente, sono tutti gentili qua, davvero, così zuccherosi da fare venire il diabete" negò parlando in fretta "Ah, non mi parlare di diabete, Alessandro, che mi viene da piangere solo a pensarci...comunque, ti volevo chiedere, tra quanto arriverai?" Alessandro fece una risatina sarcastica "A saperlo! Il volo è stato rimandato di un'altra mezz'ora...in ogni caso intorno alle due di pomeriggio, senza contare altri eventuali ritardi" La donna dall' altra parte fece schioccare la lingua seccata "Ma guarda te! E io che credevo avessimo toccato il fondo con i ritardi praticamente mensili dei treni...beh, caro, lo sai, ti aspettiamo tutti a braccia aperte, fatti sentire appena arriva il volo, mi raccomando, altrimenti sto in pensiero". Alessandro fece un sorriso stanco "Ma certo, nonna, salutami tutti" "Certamente, un bacio" E buttò giù. Anche se non c'era più nessuno dall'altra parte, Alessandro restò con il cellullare incollato all'orecchio per qualche secondo ancora, di nuovo incantato. Probabilmente era solo stanchezza, dopotutto era più che normale essere ridotti una pezza dopo due settimane passate a lavorare ininterrottamente fuori dal proprio Paese. Sbadigliò appena e guardò l'orologio. Erano quasi le due. Si sistemò un po'meglio sulla seggiolina nella sala d'attesa dell'aeroporto avvicinandosi il valigione nero ai piedi. Mentre un'orda di turisti giapponesi usciva silenziosa ed educata da una porta scorrevole, Alessandro pregò con tutto se stesso che, il prossimo volo in arrivo che la voce meccanica avrebbe annunciato dall'autoparlante, sarebbe stato il suo.

 

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Elisa fece sbattere per la seicentesima volta la valigia sui talloni scoperti e strinse forte le labbra per evitare di imprecare ad alta voce. Era stata veramente un'imbecille a scegliere il trolley invece che la valigia a mano, ma quando si era fatta la borsa in fretta e furia non aveva nemmeno pensato alla sua goffaggine perenne. Si ritrovò così in piedi nel bel mezzo di una sala d'attesa in aereoprto, la dannata valigia rossa stretta a se e nessun piano ben collaudato in mente. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto una volta raggiunta Aliana in...in carcere. Ancora non si capacitava che la sua sorellina ventitreenne fosse rinchiusa in una lercia prigione di S. Francisco, con indosso una divisa a righe enorme e magari vicina ad una donnacciona pelosa e tatuata che la guardava male facendo scrocchiare le dita delle mani. Uno scenario decisamente orrendo. Trattenne l'ennesimo sospiro preoccupato e rilesse il messaggio che aveva scritto a suo padre. Nonostante ciò che aveva detto Aliana, Elisa aveva detto ai suoi genitori una mezza verità non troppo crudele, ossia che avrebbe raggiunto sua sorella in america per qualche giorno, senza menzionare prigione o altre cose del genere. La sua idea iniziale era stata quella di raccontare tutto, perché quella volta Aliana si era infilata in un guaio decisamente troppo grande per lei, ma poi, quando stava per chiamare i suoi genitori, si era sentita come quando ad otto anni faceva la spia ad una marachella di sua sorella. Così, alla fine, aveva deciso di andare a S.Francisco, trovare Aliana, farla ragionare e, anche se si fosse rifiutata, obbligarla comunque a chiamare i genitori per raccontare tutto. E poi, ovviamente, avrebbe cercato di farla uscire da lì. Dopotutto Aliana era già da un bel po' maggiorenne, e avrebbe dovuto imparare a pensare un po' con la sua testa. Si sentì improvvisamente parecchio simile alla sua vecchia zia zitella Adelaide, petulante e noiosa di natura, e si ripromise di mettere di nuovo sotto chiave quella parte di se non appena sarebbe tornata a casa. Mentre si mordeva l'interno guancia, Elisa lanciò un occhiata nervosa al cartellone degli arrivi, ma del suo aereo sembrava essersi persa ogni traccia. Si diede una veloce occhiata in giro e decise che era ora di fare una capatina al bagno prima di partire, se non voleva tenersela per le prossime quattordici ore. Si trascinò dietro la valigia, attenta ad evitare collisioni varie con i talloni, e arrivò davanti alla porta del bagno. Non fece nemmeno in tempo a poggiare una mano sopra al legno lucido che una voce seccata la riprese da dietro "Scusi, può fare in fretta? Dorvei entrare..." Elisa si voltò di scatto e molló la presa della valigia quando vide Alessandro, il ragazzo del reggiseno color lavanda, guardarla meravigliato. "tu!" le uscì dalle labbra un verso strozzato, mentre arretrava di un passo "Ma mi stai stalkerando?" chiese non troppo scherzosa. Alessandro, però, ripreso dallo stupore iniziale, scoppiò a ridere "Non ci posso credere! Ormai di vedo ovunque! " Elisa, accantonata lidea del potenziale maniaco, fece un sorrisetto "Già, nemmeno a farlo apposta". Guardò Alessandro con una nuova e genuina curiosità, e lo trovò a sorriderle apertamente. Dopotutto era abbastanza simpatico. E anche carino, pensò vagamente mentre raccatava da terra la valigia. "che ci fai qui?" gli chiese non appena si tirò in piedi. "Sono appena tornato da Londra per lavoro...e tu?" Elisa fece una smorfia "Sto partendo...Vado a San Francisco, salvo mia sorella e torno". Alessandro annuì serio "Cose da tutti i giorni" rispose a tono, facendo ridacchaire Elisa. Stava proprio per chiedergli se stava ancora con quella ragazza del negozio di intimo, quando una voce squillante annunciò che il suo volo era in arrivo. "È il mio!" esclamò Elisa, ritrovando tutta l'ansia che sembrava avere perso durante quel dialogo "Devo andare! Ciao Alessandro, ci vediamo!" disse veloce, poi fece per dargli un bacio sulla guancia, mentre lui le tendeva la mano. Scoppiarono entrambi in una risata allegra, poi Alessandro si chinó verso di lei e, inaspettatamente, le sfiorò appena la guancia con le labbra. "Ci vediamo di sicuro, Elisa" mormorò a bassa voce. Poi si scostò lasciandola parecchio frastornata e rossa in viso, ma Elisa non ebbe nemmeno il tempo di preoccuparsene perché fece giusto in tempo a fargli un sorriso incerto e a schizzare via veloce. Sino a che non fu finalmente seduta al suo posto sull'aereo, il rossore sul viso non accennò a passare. Si disse che era una stupida a comportarsi in quel modo e si costrinse a non pensare più ad Alessandro. Ma, quando l'aereo decollò, Elisa strinse forte gli occhi e portò, senza nemmeno rendersene conto, una mano alla guancia che lui le aveva baciato poco prima, con un minuscolo sorriso soddisfatto sulle labbra.

 

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Ciao a tutti!

Ho cercato di dare più senso possibile alla parte che riguarda la sorella di Elisa, Aliana, perché mi ero impuntata sul fatto di volerla mandare in prigione, chissà poi perché. Ho cercato un po' su internet e ho trovato che è possibile essere arrestati per pochi giorni causa visto sbagliato, e poi essere rimandati nel proprio Paese. Grazie a chiunque abbia letto!

CappelloParlante

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Capitolo 5
*** 5° incontro: fermate opposte dell'autobus ***


"La sua segreteria telefonica ha registrato tre messaggi. Messaggio numero uno, delle ore 11.30, ricevuto ieri:

Ale, sono Nicoletta! Perché non mi rispondi? Sei arrabbiato con me? Ti prego, scusami, non volvo comportarmi così! E poi ci sono rimasta male quando mi hai dato della bambina, ma posso passarci sopra se mi richiami, va bene? Chiamami. Secondo messaggio, delle ore 7.38, ricevuto oggi:

Alessandro, gioia, sono la nonna! Come stai? Non ti sento da così tanto! Credo che tu stia ancora dormendo, ma mi stupisce, sono già le sette e mezza! Non sei più un bambino, tesoro! Chiamami presto, mi raccomando! Terzo messaggio, delle ore 10.27, ricevuto oggi:

Alessandro, sono Nico...perché non mi rispondi più? Sei ancora arrabbiato? Guarda che sarei io a dovere essere furiosa, dato che mi hai dato della immatura davanti ai tuoi genitori! Ma sono disposta ad accettare le tue scuse, davvero, ma devi richiamarmi il prima possibile, intesi? Un bacio, cucciolo" Alessandro guardò l'orologio, che segnava imperterrito le dieci e quaranta. Tutto ciò era decisamente troppo per essere solo mattina. Si passò una mano tra i capelli tentando di districare quella matassa che chiamava amichevolmente chioma, e chiuse gli occhi. In realtà, delle tre chiamate senza riposta, quella che lo terrorizzava di più era quella di sua nonna, perché non appena l'avrebbe richiamata-e l'avrebbe richiamata, a meno che non volesse sperimentare qualche nuovo acido sulla sua pelle- lo avrebbe inondato di domande. Pensando a Nicoletta, invece, più che terrore veniva invaso da una strana voglia di prendere a pugni qualcosa di dolce e innocente, come i koala. Si alzò stiracchiandosi dal letto grande e morbido, e decise saggiamente di rimandare a dopo le chiamate a parentela varia. Mentre si lavava svogliatamente i denti guardandosi allo specchio, pensò che forse la giornata che stava iniziando sarebbe stata addirittura peggiore di quella precedente. E ci sarebbe voluta tutta, davvero. Con un sospiro sconfortato si rese conto che quel fantomatico ieri era iniziato esattamente come l'assilante presente. Sempre gli stessi tre messaggi in segreteria telefonica, anche se di persone diverse, la stessa sensazione angosciata e la stessa insana voglia di picchiare koala. Stava decisamente mettendosi in carreggiata per diventare un ipotetico maltrattatore di animali indifesi. Si ripromise di darsi un contegno, magari più avanti. Avvicinò il viso allo specchio sino a che non toccò la lastra fredda con la fronte e fissò senza espressione le due chiazze violacee sotto agli occhi stanchi. Avrebbe dovuto aspettarselo. Non faceva una notte tranquilla da giorni, in preda all'ansia per il lavoro e per la relazione decisamente poco stabile con Nicoletta. Negli ultimi giorni era nato anche un altro, terrificante problema nella sua vita. Un problema con i capelli arruffati, la risata allegra e un odore buonissimo di limoni. E che portava una terza di reggiseno. Alessandro non poteva fare a meno di sorridere ogni volta che pensava ad Elisa, e più si sforzava di evitarla come un tabù, più lei gli tornava in mente, divertente ed allegra. Negli ultimi giorni aveva continuato a guardarsi intorno in continuazione, sperando di scorgerla tra la folla. Ma, ovviamente, non appena lui aveva dimostrato un minimo interesse, la ragazza dal reggiseno color lavanda era scomparsa nel nulla. Se il destino, il fato o quello che era fosse stata una persona, Alessandro l'avrebbe presa volentieri a pugni. Quando tornò in camera da letto con la barba appena fatta, stette qualche secondo a fissare il cellulare abbandonato sul comodino. Avrebbe avuto il coraggio di prenderlo e di chiamare la sua ragazza, che lo avrebbe assalito, e sua nonna, che lo avrebbe affettuosamente steso con la sua parlantina da logorroica? Probabilmente no. Ma non dovette scegliere il da farsi perché fu salvato dal campanello. Effettivamente gli parve strano che, chiunque fosse, avesse suonato direttamente all' appartamento, tralasciando il portone, ma lasciò perdere e si infilò l'accappatoio. Non guardò nemmeno dallo spioncino e aprì la porta con un sorriso, lieto di aver lasciato ancora per un po' il telefono e tutto ciò che comportava lontano da se. Il sorriso si ghiacciò in fretta e furia non appena vide davanti a se una Nicoletta furiosa e con il trucco sbavato. "Cosa ci fai tu qui?" le chiese, giusto un filino stupito. Nicoletta aveva preso un cipiglio severo, le mani sui fianchi e le sopracciglia inarcate. "Beh, mi pare ovvio, vengo a cercare spiegazioni" sputò rabbiosa e, scostando Alessandro con un.braccio, entrò in.casa. Il ragazzo la seguì tirandosi dietro la porta "Ah, adesso sei tu che vuoi avere spiegazioni?" chiese ironico. Nicoletta sbuffó "certamente! Ieri eravamo a cena dai tuoi e andava tutto bene, poi hai iniziato a fare il diavolo a quattro e sei sparito dalla circolazione!" Il ragazzo fece una smorfia "Ma ti sei almeno chiesta cosa tu abbia fatto ieri per farmi innervosire così tanto?" "Certo che si!" rispose Nicoletta piccata "mi hai dato della bambina immatura davanti ai tuoi genitori, Alessandro! I miei futuri suoceri!" a questa parola la bocca di Alessandro di contrasse in una smorfia "E poi per cosa!?" continuò imperterrita la ragazza "solo perché ho fatto qualche commento assolutamente veritiero su della gente che conosco!" "Quella gente che dici tu" ringhiò Alessandro" sono i più cari amici dei miei genitori, dovresti solo ringraziarmi per averti evitato di finire in bellezza la tua figuraccia!" Nicoletta trasalì, mentre le guance si coloravano di rosso scuro "I più cari...amici?" chiese tremate. "esatto, e comunque a volte ti comporti da vera immatura, Nicoletta, lasciatelo dire" Nicoletta si incendiò di nuovo "Ah si, e quando, se si può sapere?" Alessandro alzò gli occhi al cielo "in ogni minima cosa! Devi sempre essere al centro di tutto, ricevere tutte le attenzioni da chiunque, e guai a chi cerca di surclassarti" disse amaro. Nicoletta gonfiò le guance e assottigliò gli occhi furiosa. Per un istante, Alessandro credette che stesse per esplodere. Poi la ragazza si ricompose e prese un respiro profondo. "Se la pensi così, non abbiamo più nulla da dirci. Addio Alessandro" mormorò guardando in basso. Quando si chiuse la porta alle spalle, Alessandro non fece nulla per fermarla. Rimase semplicemente fermo immobile al centro della sala, il respiro pesante e il cuore che batteva forte. Aveva la vaga sensazione di sapere come sarebbe finita.

 

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Elisa aveva avuto fianalmente un grande e grosso colpo di fortuna. L'ultima volta che si ricordava di averne avuto uno del genere era stato quando sua cugina più grande, Giorgia, le aveva passato un vestito splendido che non le andava più e lei lo aveva indossato ad una festa piena di ragazzi popolari dove aveva fatto un figurone. Beh, a ripensarci non le sembrava più un colpo di fortuna così grandioso, ma all'epoca era rimasta entusiasta. In ogni caso, Elisa non era così allegra per via di un vestitino pieno di paillettes e lustrini, ma per qualcosa di molto, molto meglio. Questo era, per la precisione, il primo ragazzo che, dopo Giacomo, le aveva chiesto di uscire. Questo fantomatico individuo si chiamava Adalgisio e, la prima volta che si erano parlati, Elisa gli era scoppiata a ridere in faccia. Insomma, se avesse avuto lei un nome del genere, di certo non l'avrebbe sbandierato ai quattro venti così, provocando silenzi imbarazzati e risatine incontrollate. Invece Adalgisio, poco prima di entrare nell'aula del corso di inglese, le aveva teso la mano e aveva detto il suo nome, semplicemente. Elisa, dal canto suo, aveva dato il meglio della sua cafonnagine scoppiando a ridere. Era rimasta stupita quando lui le aveva continuato a parlare tranquillamente, per nulla offeso, raccontandole del suo nome, che era tramandato da generazioni in famiglia. Anche quando era finito il corso si erano continuati a sentire per un po', sino a che lui non l'aveva chiamata e non le aveva chiesto espressamente di uscire. Non aveva sbagliato numero, come le era capitato a quindici anni, ne era stato obbligato da amici stronzi. Glielo aveva proprio chiesto e sperava davvero che lei gli dicesse di si. E, ovviamente, con un sorriso da orecchio a orecchio, Elisa aveva accettato. Era mattina presto e stava scegliendo cosa indossare dal mega armadio di camera sua. Dopo aver scartato i soliti vecchi vestiti che non si sarebbe messa nemmeno con una pistola alla gola, tirò magicamente fuori un paio di pantaloni e una camicetta che, magari, sarebbero stati anche bene insieme. In realtà non aveva badato molto a come sarebbe stata poi nel complesso, pensava più che altro ad Aless- ad Adalgisio. Il caro vecchio Adalgisio. Così dolce e gentile, così premuroso. Ci stava bene davvero, ed era pure abbastanza simpatico. Arrossì appena quando tornò a pensare che, appena accettato il suo invito, aveva immediatamente fatto il paragone tra lui e Alessandro, il ragazzo/stalker che continuava ad incrociare nei posti più assurdi. Detto in tutta sincerità aveva passato i giorni dopo averlo incontrato all'aeroporto a guardarsi intorno in continuazione, sperando di vedere i suoi capelli disordinati o la sua faccia allegra tra la gente. Eppure niente, zero assoluto. Alla fine si era detta che Alessandro era stato una specie di divertente passatempo, nulla di più, nulla di meno, solo un po' di pepe in qualche giornata no. Era normale che non l'avesse più incontrato, la gente normale non si incontra di continuo. Aveva accettato di uscire con Adalgisio anche per non pensarci più, e mettere finalmente un simpatico pietrone sopra ad Alessandro e alle sue labbra morbide.

 

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Alessandro, entrando nel ristorante, pensò che avrebbe dovuto seriamente pensare ad un corso per veggenti. Perché, diavolo, lo sapeva benissimo già da quella mattina come sarebbe andata a finire. Più precisamente con Nicoletta che, piangendo, tornava da lui chiedendo scusa, e giurando che avrebbe smesso di comportarsi così. Alessandro, quando l'aveva vista tremare con il labbro inferiore sporgente, non aveva potuto fare altro che sospirare ed accettare le sue scuse, facendo tornare tutto come prima. "Salve, signori, avete prenotato?" il cameriere baffuto fece un sorriso gentile e Alessandro ricambiò un pochino svogliato. "Si certo!" escimò Nicoletta, stretta convulsamente al braccio del ragazzo. "A nome mio, Guglielmi" il camerire annuì brevemente e li condusse sino ad un tavolino circolare accanto ad una finestra. Mentre Nicoletta sfogliava allegra il menù, Alessandro perse qualche secondo ad osservarla. Sin dalla prima volta che l'aveva vista aveva pensato che fosse davvero carina, ma ora sembrava essere una cosa passata in secondo piano. Quando pensava a Nicoletta, adesso, gli venivano in mente solo tutti i litigi che continuavano a portare avanti. Tutto andò liscio sino a quando il cameriere non venne a prendere gli ordini. Fece una battutina sottile su una pizza, e Nicoletta rise così forte e in un modo così acuto che tutta la sala si girò a guardarli. Alessandro sarebbe voluto essere volentieri inghiottito dalle viscere della terra "Ti piace la tua pizza, amore?" chiese zuccherosa Nicoletta, poco dopo. Le fece un sorriso "Si, certo, anche se non credo che a te piaccia la tua" indicò con il capo la pizza margherita di Nicoletta. Infatti aveva notato che si sforzava di mangiarla con gusto, anche se faceva delle smorfie diagustate ad ogni morso "No! È deliziosa, davvero" assicurò lei, dando un altro enorme morso ad una fetta. Quando la sua faccia si accartocciò schifata Alessandro alzò un sopracciglio, scettico. "Okay, hai ragione...sai che ho l'ossessione per i formaggi e quello su questa pizza non è...beh, non è abbastanza di qualità" assicurò con fare da intenditrice. "Ah...beh, a me non mi sembra così cattivo da vomitare" disse Alessandro, dando un morso alla sua vegetariana. "Ovviamente, mica mi viene da vomitare!" escamò Nicoletta dando un altro morso. Alessandro evitò di commentare la faccia disgustata che ne seguì. "Allora" iniziò Nicoletta ancora leggermente verde in viso "Domani ti vedi con Simone?". Alessandro scrollò appena le spalle "Non sò, forse si vede con una" A quell' informazione la ragazza sgranó gli occhi "Una? Si è fidanzato?"chiese, avida di pettegolezzi "No, Nico, non ancora". La faccia delusa di Nicoeletta l'avrebbe fatto ridere in qualsiasi altro momento, ma era stato distratto da qualcos'altro. Per la precisione da una testata di capelli castani scompigliati che era appesa entrata nel ristorante. Si alzò leggermente dalla sedia per vedere se era la sua Elisa, ma quando la ragazza si voltò, invece che vivaci occhi marroni c'erano due occhi a mandorla. Con un sospiro tornò a sedersi. Più la serata andava avanti, più ad Alessandro sembrava pesante Nicoletta. Prima commentò acidamente l'uniforme dei camerieri, poi le tovaglie stinte, poi il taglio di capelli di una sua amica, poi la magleitta sciatta di Alessandro. E, alla fine, il ragazzo si sarebbe sparato allegramente in testa pur di non sentire un'altra parola antipatica uscire dalle labbra rosse di Nicoletta. Quando uscirono dal ristorante la ragazza era entusiasta di essere tornata felicemente con Alessandro. Gli diede un lungo bacio e gli sorrise allegra "Allora, andiamo da te? Potremmo guardare quel film che hai in DVD che voglio vedere da secoli" propose. Alessandro fece una piccola smorfia "Nico, scusa, devo passare in ufficio, ho...ho dimenticato un documento" si inventò su sue piedi. La verità era che voleva fare due passi da solo per schiarirsi un po' le idee. "Okay!" esclamò lei "vengo con te" tubò. Alessandro fece un sorriso tirato "No, Nico, non puoi, poi devo andare da mia mamma, che non è stata tanto bene" Gli occhi della ragazza si sgranarono" oh! stà tanto male?" chiese preoccupata. In quel frangente Alessandro si sentì uno schifoso verme strisciante a mentire così ad una persona che, nonostante tutto, lo amava. "No! No, non tanto, ma voglio passare da lei...ci sentiamo, Nicole, Buonanotte" la baciò velocemente senza darle il tempo di replicare. Cosi la ragazza non poté fare altro che fargli un sorriso un po' insicuro e allontanarsi lentamente. Quando se ne fu andata, Alessandro camminò un po', le mani affondate nelle tasche, senza pensare a nulla in particolare. Quando si rese conto che, per andare al ristorante, era venuto con la macchina di Nicoletta, si diede dello stupido, perché ora sarebbe dovuto tornare con i mezzi. Strascicò i piedi fino alla fermata del bus più vicina, e si appoggiò con le spalle al palo del cartello con gli orari. Avrebbe voluto essere felice con Nicoletta, davvero. Se lo meritava lei, e lo meritava anche lui. Ma allora perchè, si chiedeva,non facevano altro che essere in conflitto? Avrebbe voluto che stessero bene come quella coppia dall' altra parte della strada. Il ragazzo cingeva le spalle della ragazza con un braccio e le sussurrava qualcosa all' orecchio, probabilmente una battuta, perché si sentì rieccheggiare per la strada vuota la risata cristallina di lei. Mentre li guardava fermarsi alla fermata dell' autobus esattamente davanti a quella dove era lui, Alessandro venne colto da un orribile dubbio. Ma no, non poteva essere..."Buonanotte, Elisa" disse il ragazzo dall' altra parte della strada. Si chinó sulla ragazza e le diede un bacio veloce sulle labbra, lasciandola un po' frastornata. Poi, chissà perchè, si allontanò, lasciandola sola alla fermata. Ma Alessandro non ebbe il tempo di pensarci, perché aveva appena realizzato che quella era la sua Elisa, e sentì all'improvviso qualcosa di appuntito pungolargli lo stomaco. Elisa, dall' altra parte della strada, si voltò piano verso di lui e, quando lo riconobbe, fece un piccolo balzo. Alessandro alzò una mano per salutarla e lei gli fece un sorriso gentile. Forse era leggermente rossa in viso, ma non avrebbe potuto dirlo con sicurezza, data l'ora tarda e il buio. Prima che arrivasse l'autobus che Elisa avrebbe poi preso, il ragazzo e la ragazza si continuarono a fissare, senza mai distogliere lo sguardo. Non sorrisero più, ne fecero altri gesti per comunicare. Stettero solo lì, immobili, sentendo il tempo lento che passava, inaspettatamente stupiti che, anche con una strada che li divideva, si sentissero più vicini che mai.

 

 

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Ciao a tutti! Questo capitolo è un po' più lungo, spero non risulti pesante...se fatemelo sapere che cerco di alleggerirlo:)

Un bacio,

CappelloParlante

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Capitolo 6
*** 6° incontro: Ascensore ***


Il volantino con cui Elisa aveva tappezzato mezza città recitava così:

Elisa Rovereti, laureata in scienze della vita, venticinque anni, cerca posto come babysitter per bambini dai due mesi in poi. Se interessati contattare il 3456789012. Il tutto era stato scritto sul vecchio computer di casa dei suoi genitori da Aliana, sotto dettatura di Elisa in persona, e poi stampato in millemila copie. Quando Elisa aveva attaccato con due puntine da disegno il primo foglietto alla bacheca di un asilo, aveva sentito una scossa di eccitazione percorrerla da testa ai piedi. Subito dopo era saltata sulla macchina scassata di famiglia insieme a suo padre ed avevano fatto il tour delle chiese, dei negozi che vendevano prodotti per la scuola e di tutte le elementari, pubbliche e non, lasciando volantini su qualsiasi cosa stesse abbastanza ferma. Quella sera, Elisa, tornò a casa senza più nemmeno una puntina in tasca ma con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Trotterellò allegra fino alla cucina e mise su la caffettiera. Quando fu stravaccata sul divano e con il cellulare in mano, si ritrovò a pensare che ultimamente le stava andando tutto, stranamente, bene. La storia con Adalgisio, se storia si poteva chiamare, arrancava un pochetto, limitandosi solo a uscite nei weekend e qualche volta in settimana, ma non stavano insieme ne Elisa lo avrebbe voluto particolarmente. Era un bravo ragazzo, e andare fuori insieme era piacevole, ma arrivare ad una relazione con lui...beh, era un altro paio di maniche. Il fatto era che, stando con lui, si sviluppava un antipatica sensazione di inferiorità. Insomma, lui era così educato, veniva da una ricca famiglia borghese ed era sempre vestito di tutto punto. Che figura ci faceva accanto, Elisa, con le sue scarpe da ginnastica distrutte e la sua parlantina irritante? Un suono gorgogliante proveniente dalla cucina interruppe i suoi pensieri, ed Elisa si alzò per spegnere i fornelli sotto alla caffetteria. Quando la ebbe impugnata saldamente con una persina fece per rovesciare il caffè nella tazzina sul tavolo. Inutile dire che l'operazione non andò a buon fine. Mentre stava versando allegramente il liquido scuro, il cellulare prese a suonare. Elisa lo ignorò per qualche secondo, sino a che gli squilli non diventarono decisamente inascoltabili. Allungò la mano libera verso il cellulare e fece per rispondere, ma qualcosa andò irrimediabilmente storto. Probabilemte la persina era un po' lisa, perché Elisa sentì un bruciore forte ed improvviso alla mano, e lasciò cadere di scatto la caffettiera. In un solo secondo il suo appartamento/buco si riempì di suoni straduli. La caffettiera che cadeva a terra scheggiando il pavimento, il verso di dolore che emetteva Elisa, il cellulare che era stato appena gettato sul tavolo e la voce di Aliana,che proveniva direttamente dal telefono,strillare. "Che succede?" Elisa la sentì chiedere curiosa dopo qualche secondo in cui non riceveva risposta alle sue starnazzate . "Merda" boffonchiò invece Elisa fissando la mano rossa e il pavimento allagato. "Eli? Ci sei? C'è qualche problema alla linea, mi sà...mi senti?" Aliana stava cominciando a farsi troppo rumorosa, così Elisa allungò la mano ancora buona e prese il telefono "Che vuoi?" chiese, mettendo la bruciatura sotto l'acqua fredda con una smorfia. "oh, ma che accoglienza calorosa! E pensare che portavo buone notizie..." rispose a tono Aliana. "L'ultima volta che mi hai chiamato eri finita in prigione, Lia, in un altro stato" Elisa non riuscì veramente a trattenersi e usò la sua arma migliore contro la sorella. Il senso di colpa."Tu! Avevi giurato che non avresti parlato mai più di quello che era successo! E comunque ti sbagli di grosso, ti avevo chiamato due settimane fa per chiederti se volevi venire al ristorante nuovo che fa sushi sotto casa con me". Elisa rabbrividí impercettibilmente "Lia, lo sai benissimo del rapporto non molto confidenziale che ho con il pesce". Elisa sentì ridacchaire la sorella piano "Invece io e lui andiamo d'amore e d'accordo! Comunque non ti avevo chiamata per parlare di pesce crudo, ma per darti una meravigliosa, grandiosa, esorbitante notizia!" trilló Aliana allegra. Elisa si accucciò a terra armata di spugna e iniziò a pulire le macchie di caffè "Ossia?" chiese non molto partecipe. "Hai appena ricevuto una proposta di lavoro!". Elisa bloccò la mano che stava pulendo terra " Cosa?" chiese incredula "Di già?". Si sentì Aliana ridere piano "Si! Questo è un miracolo bello e buono, Sasà!". Elisa, totalmente scombussolata, sì aprì in un enorme sorriso "Oddio! Non ci posso credere! E chi è il bambino che devo tenere?" " Una bimbetta di sette anni, ora ti invio la mail che mi ha inviato la madre, c'è scritto tutto lì" disse Aliana con tono professionale. Elisa trattenne uno sbuffo "Mi chiedo ancora perché hai insistito così tanto per mettere il tuo numero sul volantino, e non il mio" "Beh, ma è ovvio!"rispose Aliana sconvolta "Tutti i grandi hanno bisogno di una segretaria" annunciò solenne. Mentre Elisa fece un sorrisetto sconsolato, Aliana salutò brevemente e buttò giù. La mail arrivò dopo soli cinque minuti, tempo che Elsia utilizzò per l'evare l'appiccicaticcio del caffè dal pavimento e per mettere una crema sulla mano rossa. Nel messaggio le veniva chiesto in tono gentile se era disposta a tenere una bambina di sette anni, Lucia, il giorno successivo in via delle Rute, numero 20. Elisa, da quanto era entusiasta, si sarebbe volentieri battuta il cinque da sola. Scrisse una veloce mail in risposta in cui diceva che accettava volentieri l'impiego e la inviò ad Aliana- il compito di una segretaria è anche quello di smistare ed inviare varie mail al posto del capo supremo, ovviamente-. Con un aria decisamente entusiasta iniziò a scegliere già i vestiti per il giorno dopo- che dovevano dare sicurezza, ma non essere totalmente da ottantenne- e si disse che, forse forse, tutto stava andando finalemente nella direzione giusta.

 

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Anche se non interessava proprio a nessuno, Alessandro avrebbe voluto raccontare a chiunque incrociasse per strada con che faccia tosta Nicoletta l'aveva lasciato. "Non mi dai più attenzioni, sembri perso nel tuo mondo quando ti parlo" aveva detto lamentosa. Effettivamente Alessandro si rendeva conto di essere parecchio sulle nuvole nell'ultimo periodo, ma non gli sembrava proprio di non averla più calcolata. Insomma, si sorbiva almeno tre volte al giorno i suoi pettegolezzi sfrangia palle sulla sorella dell'amica di chissa chì, senza lamentarsi neanche troppo. Si meritava o no qualche minuto di pace senza la voce petulante della ragazza nell'orecchio? Decisamete sì. Infatti era stato accontentato da Nicoletta in persona che, molto gentilmente, gli aveva dato il ben servito. "Meglio così" borbottó Alessandro imboccando una via stretta e attirando lo sguardo preoccupato di una donna. "Meglio così, perché se non l'avesse fatto lei l'avrei fatto io, e non mi piace veder piangere le donne" mugugnó con tono deciso. Il fatto era che, più che non stare più con Nicoletta, gli rodeva il fatto che fosse stata lei a mollarlo. Come se fosse stata lei quella stufa marcia di lui e non il contrario. Fece qualche altro passo strascicato fissandosi rabbioso i piedi, fino a che un lampione che non si ricordava proprio essere in quella via non gli si parò davanti placcandolo a metà percorso. "Ahia" borbottó passandosi una mano sulla fronte dove aveva preso la botta" Stupido lampione". Mentre stava alzando lo sguardo sul suo avversario di boxe inanimato, gli saltò all' occhio un volantino bianco appiccicato sopra con lo Scotch. " Elisa Rovereti, laureata in scienze della vita, venticinque anni, cerca posto come babysitter per bambini dai due mesi in poi. Se interessati contattare il 3456789012." lesse lentamente. Sì chiese chi avrebbe potuto notare quel foglietto tra tutti quelli colorati di badanti appesi intorno. Poi alzò lo sguardo sulle prime righe e rilesse il nome. Elisa. Sgranó gli occhi. Elisa! E se fosse stata la sua, di Elisa? D'un tratto febrille tirò fuori il telefono dalla tasca e salvò il numero in rubrica, chiedendosi se avrebbe mai avuto il coraggio di chiamare.

 

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Alle sette e mezza spaccate, Elisa era davanti al portone della palazzetta rosa in via delle Rute vestita nella perfetta tenuta da babysitter. Aveva persino, nella borsa grande di stoffa, qualche foglio con disegni delle principesse da cololare. Fece un grande respiro per darsi coraggio e suonò al citofono. Non le risposero nemmeno. Si sentì solo un suono sordo e poi il portone si sbloccò. Entrò un po' timorosa nell'atrio fresco e accompagnò la porta con una mano per evitare che facesse rumore mentre si chiudeva. Decise di fare le scale a piedi perché era troppo nervosa per stare ferma in ascensore. Esattamete un secondo prima che il suo dito indice non particolarmente curato premesse il campanello dell'appartamento, le iniziò a suonare il telefono. Forse per il silenzio totale del palazzo o forse perché non voleva fare figuaraccie, si gettò sul cellulare per evitare che la suoneria venisse sentita anche dall'ultimo piano. Scoccó uno sguardo astioso al telefono, dove lesse, con profondo rammarico, il nome di sua sorella. "Lia, cosa diavolo vuoi?" sussurró imbronciata. "Perché sussurri?" chiese sua sorella con una tonalità decisamente troppo alta della voce. "Shh! Parla piano! Sono davanti alla porta di casa dei Banchi!" mormorò concitata "oh!" esclamò Aliana "E lì non si può parlare normalmente?" chiese "Si che si può, ma ti prego, parla piano, mi da fastidio che mi sentano...è tutto così silenzioso qui che sembro fuori posto...allora, che cè?" chiese piano. "Ah, ma che fisse che ti fai...comunque...tipo dieci minuti fà mi ha chiamato un tizio che aveva letto il volantino, cercava te" elisa alzò gli occhi al cielo "scusa, ma non volevi giocare a fare la segretaria? Segnati i miei impegni e non mi disturbare mentre sto per andare da una bambina" Aliana sbuffó" Io lo avrei anche fatto, ma a quel tipo lì non serviva il servizio di babysitting, voleva parlare con te!" rispose Aliana piccata. "E perché?" "Lo sapessi!" esclamò Aliana "Mi ha chiesto se ero Elisa e, quando ho detto di no, non mi ha lasciato nemmeno il tempo di spiegare che aveva già attaccato" berciò. " Lascia stare, Lia, sarà un burlone che voleva farmi uno scherzo" disse Elisa alzando le spalle. "A me sembrava uno stalker! Sasà, stai attenta per favore!" disse Aliana preoccupata. Elisa fece un sorriso "Stai tranquilla, Ali, va tutto bene" assicurò. "ora ti lascio che entro dentro, un bacio". E, mentre suonava finalmente il campanello, sentì solo vagamente Aliana rispondere "stendili tutti!" prima di ritrovarsi faccia a faccia con un mostro. Okay, okay, non era davvero una strega. Aveva il naso un tantinello lungo e una verruca sul mento, ma era una donna. Forse. Comunque, nonostante l'aspetto non molto rassicurante, le fece un sorriso così gentile da fare invidia. "Ciao, tu devi essere Elisa" le disse porgendole una mano smaltata. Elisa la strinse e cercò di fare un bel sorriso allegro "Esatto, in persona" rispose. "Sei in perfetto orario! Lucia, mia figlia, ti stà aspettando. Devo avvisarti che a volte fà un po' i capricci, ma ti devo chiedere di non accontentarla, altrimenti non imparerà mai a comportarsi bene" le disse prendendo una borsa da un appendiabiti "io devo scappare che sono in ritardo, scusami Elisa cara, arriverò per l'una, non preparare da mangiare per la bambina che poi devo portarla da una compagnetta nel pomeriggio e mangerà da lei!" E scappò via. Elisa rimase qualche secondo interdetta ferma sul porta. Poi si decise ad entrare.

 

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Non era Elisa. Che stupido, era ovvio che non gli avrebbe risposto lei, si sentiva idiota anche solo ad averlo pensato. Però, per un secondo, quando la ragazza dell'annuncio aveva risposto, gli era sembrato di sentire proprio Elisa, quella che conosceva lui. Poi gli aveva detto di chiamarsi Aliana e, insomma, se ti chiami Aliana perchè diavolo ti firmi in giro con un altro nome? Pazienza, pensò Alessandro saltando appena in tempo su un autobus, si sarebbe divertito lo stesso. Stava andando a casa di Simone, dove avrebbe potuto svagarsi con un nuovo splendido videogioco dove facevi punti uccidendo la gente per strada. Almeno non.avrebbe pensato ne ad Elisa, ne a Nicoletta. Quando aveva raccontato a Simone di Elisa qualche tempo prima, lui lo aveva dolcemente chiamato rammollito. Rammollito per cosa, poi? Per non averle chiesto il numero? Come se ne avesse avuto il tempo. Entrava e spariva nella sua vita veloce come un battito di ciglia. Forse avrebbe dovuto lasciare perdere. Forse. Perché pensò, mentre scendeva alla fermata in via della Rute dove abitava Simone, che, chissà per quale motivo, per quella ragazza assurda con i capelli aggrovigliati, valeva tutta la pena del mondo.

 

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"Dammi il telecomando!" esclamò imperiosa la bimbetta, scuotendo i codini castani. "No, Lucia, hai già visto cinque cartoni, ora gioca un po' con me". Rispose Elisa, invocando calma e pazienza. "No! Io con te non ci gioco! Voglio vedere la televisione! Subito" Elisa sospirò" E io ti dico di no, Lucia. Smettila di fare queste scenate" disse elisa, seduta sul divano, guardando Lucia che si dimenava a terra. "Guarda che chiamo la mamma" si sentì vagamente un verme mentre minacciava una bambina di sette anni, ma sembrava l'unica cosa che la tenEva buona. "Non è vero! Tanto poi non lo fai!" strilló Lucia, al culmine della scenata. Elisa incarcò un sopracciglio, pronta a giocare a chi la sparava più grossa, ma, prima che potesse aprire bocca, venne interrotta dal bussare frenetico alla porta. La bambina, ancora a terra, sgranó gli occhioni, mentre si girava a guardare Elisa "L'hai fatto davvero! Tu parli con mamma con i pensieri!" sussurró colpita. Elisa non le rispose e si alzò per andare a vedere dallo spioncino chi fosse. Era troppo presto perché la signora Banchi fosse tornata, mancava circa un ora all' una. "Chi è?" chiese, un occhio strizzato per vedere meglio nel circoletto di vetro. Nulla rispose e nulla vide. Così apri appena la porta, e si trovò davanti soltanto quella metallica dell' ascensore. Fece spuntare fuori la testa e guardò a destra e a sinistra, e non le parve di vedere nulla sino.a che non notò che, la porta dell' appartamento accanto a quello dove era, si stava chiudendo. Rientrò dentro e richiuse tutto. Lucia era esattamente dietro di lei, gli occhi che brillavano "chi era?" chiese curiosa. Elisa scrollò le spalle "Nessuno. Probabilmente un signore che ha sbagliato porta, ho visto la porta accanto che si chiudeva mentre rientravo" spiegò tornando a sedere "Ah!" esclamò Lucia correndo verso di lei. "allora era quella di Simone! È mio amico, sai?" Assicurò convinta. Elisa ridacchió "E ci giochi con Simone?" chiese. "Certo che si! Lui vuole giocare con me sempre!" esclamò la bambina. Elisa incrociò le braccia "e allora perché non vuoi giocare con me?" chiese con una vocetta offesa. Lucia si fissò i piedi "Beh...non só se sai giocare, tu" mormorò. Elisa trattenne una risata. "Certo che só giocare!" esclamò. "Vedremo" propose Lucia, trascinandola il camera sua. Circa un ora dopo Elisa aveva qualche penna indiana tra i capelli, il viso dipinto e i soldi appena guadagnati in tasca. Alla fine Lucia non era una bambina così antipatica, anzi, se si conosceva un po' meglio era divertente giocare assieme a lei. Trotterellò felice fino all'ascensore e pigiò il tasto di chiamata "Aspetti!" berciò una voce roca alle sue spalle. Elisa si voltò e, all'inizio, credette di avere le traveggole, perché non c'era assolutamente nessuno dietro di lei. Solo quando abbassò lo sguardo trovò la proprietaria della voce. Era un'irritabile e arzilla vecchina con un cappotto verde spellacchiato alta si e no come Lucia. " Salgo anche io!" strilló imperterrita. Leggemente frastornata, elisa si scostò per farla passare e poi la seguì dentro. "Marietta! Vai al mercato anche tu!" sentì esclamare non appena entrò nell'abitacolo. Con orrore notò che la vecchietta bassa con il cappotto verde stava iniziando a chiacchierare amichevolmente con un'altra vecchina, tale Marietta, che evidentemente era già dentro all'ascensore e che stava scendendo. " Certo, c'è un banchetto che vende giochini per gatti che è fantastico!" rispose Marietta garrula. Poi si girò verso elisa "allora, che fà, schiaccia il pulsante o aspetta che moriamo qui?" chiese acida. Elisa si fiondò sul pulsante terrorizzata. Mentre le porte scorrevoli si stavano chiudendo, una mano si.infilò nella fessura che avevano lasciato. "Aspetatte, ci sono anche io!" esclamò una voce agitata. Le porte si riaprirono e Alessandro entrò tranquillamente nell'ascensore. Ad elisa quasi cadeva la mascella. Era forse più bello di quando l'aveva visto l'ultima volta, anche se non stava sorridendo. "Sbrigati, giovanotto" intimò la vecchina dal vestito verde, e, dopo aver premuto il pulsante, l'ascensore iniziò a scendere. Era tutto immerso nel silenzio tipico di quel palazzo sino a che Alessandro non si voltò e non vide Elisa. Sgranó gli occhi per un secondo, poi, invece che salutarla, le fece un sorriso a mille watt. Elisa era ancora scombussolata e gli fece un semplice cenno con la mano. Sembravano incapaci di intrattenere un discorso normale, si guardavano solo sorridenti mentre l'ascensore scivolava verso terra. "Cosa stanno facendo?" sussurró la vecchia dal cappotto verde a Marietta. Quest'ultima guardò Alessandro, i suoi occhi increduli che non fissavano altro che la ragazza e la sua bocca piegata in un sorriso allegro e sincero. Poi si voltò e squadrò Elisa da capo a piedi. Aveva le guance rosse, gli occhi brillanti ed il sorriso entusiasta di chi ha scoperto che Natale è già arrivato. Marietta tese le labbra secche in un sorriso di chi la sà lunga "Sento proprio puzza di amore" sussurró.

 

 

 

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Eccomi di nuovo:) Ci tenevo a dirvi che questo è l'ultimo aggiornamento che faccio, perchè parto e non posso portare nulla con me, e tornerò a pubblicare la prossima settimana, il nove o il dieci:) Un bacio a tutti

CappelloParlante

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Capitolo 7
*** 7° incontro: Taxi ***


La ragazza cicciottella che muoveva affannosa le gambe sul tapis roulant davanti ad Elisa era vestita con degli orribili pantaloncini rosa fluorescente che, di certo, non passavano inosservati. Elisa trarrenne una risatina quando la ragazza incespicò sul rullo e finì a terra con un tonfo sordo. Con un mezzo sorriso ruotò lentamente lo sguardo sino a che non incontrò quello stanco e vacuo di un quarantenne sudato fradicio che tentava senza particolare successo di sollevare un peso dal pavimento lucido. Fece un sospiro soddisfatto ed incrociò le gambe. Effettivamente Elisa non avrebbe dovuto starsene seduta sulla panca per fare addominali a guardare con occhio critico la gente sudaticcia che tentava di perdere kili di troppo, ma era davvero, davvero più forte di lei. Aveva avuto un rapporto di odio profondo con la palestra e con tutti i suoi arnesi brucia grassi sin dalla prima volta in cui ci aveva messo un piede dentro, ossia a sei anni, quando faceva quel corso di ginnastica artistica per bambini. Si ricordava ancora con orrore di quella maestra psicopatica che pareva provare un piacere immenso ad urlare addosso a bambine minuscole ed indifese vestite con body rosa pallido. Mentre una vecchina vestita da ventenne illustrava alla ragazza cicciottella come correre sul tapis roulant nel modo corretto, Elisa si disse che, probabilmente, non sarebbe dovuta andare in quella palestra ai confini del mondo proprio per nulla. Non sarebbe dovuta andarci quel giorno, ne il giorno prima ne quello ancora prima, eppure era sempre li, vestita con la tuta più decente che aveva, a fissare ansiosa ogni persona che le si aggirava intorno. Tirò fuori il cellulare dalla tasca della felpa e fece scorrere il dito sulla rubrica sino a che non lesse il nome di Alessandro. Si erano scambiati i numeri dopo essere usciti dal palazzo di Lucia, la bambina di sette anni a cui aveva fatto da baby sitter una volta, e da quel giorno non aveva fatto altro che passare giornate a fissare il nome del ragazzo aspettando un suo messaggio. Cosa che, ovviamente, non era mai avvenuta. Alessandro aveva anche nominato di sfuggita quella palestra in via delle Orchidee, e, senza nemmeno bisogno di chiederselo, Elisa ci si era fiondata subito aspettando solo di vederlo ancora. Ma il ragazzo non ci era entrato nemmeno una volta da quello strano incontro di due settimane prima, ed Elisa iniziava a perdere davvero le speranze. Il fatto era che Alessandro la stava prendendo davvero tanto, accidenti. Era il suo modo di fare così distrattamente adorabile, i suoi occhi scuri che sembravano brillare quando la vedeva e i suoi dannatissimi capelli sparati in ogni direzioni che, Elisa era certa, se li avesse toccati sarebbero stati morbidi e sottili. Fece un altro sospiro malinconico e strinse forte le gambe al petto. Probabilemte non avrebbe più visto Alessandro, sarebbe scomparso velocemente dalla sua vita e lei non avrebbe potuto fare nulla per fermarlo. Forse avrebbe potuto scrivergli lei ma...no, se lui avesse voluto davvero vederla di nuovo come si era illusa lei, allora l'avrebbe già chiamata da un po'. Non si rese neppure pienamente conto di quello che faceva quando, poco dopo, cancellò il numero di Alessandro dal telefono con movimenti stizziti. Si disse che era meglio così, dopotutto. Era stato bello e un po' magico, una favola divertente su cui sospirare. Ma lei non era mai stata una principessa ed Alessandro, evidentemente, non era il suo principe. Stava pensando di tornarsene a casa e dimenticare quella orrenda giornata quando un dito le pungolò il fianco facendole emettere uno strilletto. "Dio, scusa, non volevo farti spaventare". Elisa si voltò verso quella voce acuta e leggermente antipatica alle sue spalle e trovò una ragazza che aveva più o meno la sua età e che, nonostante lo sguardo omicida che le rivolgeva, era decisamente più bella di lei. I suoi capelli erano lunghi e di un castano caldo, perfettamente curati, e le ricadevano sulle spalle in una coda ordinata. Sul suo viso pulito ed elegante sostava una bocca rossa contratta in una smorfia infastidita. Elisa prese un respiro "No, non mi hai spaventata, ero io che pensavo ad altro" mormorò alzando le spalle. La ragazza le fece un sorriso tirato "Oh, bene" rispose. Elisa restò a fissarla per un po', pensando solo secondariamente a quanto doveva sembrare stupida, sino a che la ragazza perfetta non sbuffó forte "Scusa eh, ma io dovrei fare l'esercizio su cui tu sei seduta, non è che puoi levarti dai piedi senza farmi perdere troppo tempo?" Esplose insospettatamente. Elisa sgranó gli occhi "Oh, non avevo capito che volevi il mio posto...e comunque non sei per nulla gentile" le disse con fare da maestrina, alzandosi. La ragazza alzò gli occhi azzurri al cielo "Ah, si certo, tutti qua a dirmi: Non sei gentile, Nicoletta, non sei educata, Nicoletta, pensi sempre a te stessa, Nicoletta, ma che diavolo, Nicoletta può fare quello che vuole, e che nessuno se ne impicci!" esclamò rabbiosa la ragazza. Elisa ebbe la netta impressione che stesse parlando da sola più che con lei e così decise di defilarsi in fretta. Mentre stava entrando di corsa nello spogliatoio tentando di seminare la sconosciuta pazzoide sentì, con suo sommi orrore, la sua voce richiamarla "Senti, tu, dove vai? Sto parlando con te!..Vieni qui.. come hai detto che ti chiami?". Elisa si voltò invocando calma "Non credo possa interessarti come mi chiamo. In ogni caso ora la panca è libera, vai e divertiti a fare addominali" disse lentamente. Poi, mentre la faccia di Nicoletta assumeva un espressione sbalordita, Elisa entrò nello spogliatoio facendo sbattere appena la porta, l'immagine di Alessandro appena appena sbiadita in testa. Sarebbe andata avanti. Ci sarebbe riuscita. Dopotutto aveva preso una semplice cottarella per quel ragazzo, nulla che non si potesse curare con qualche decina di euro tramutati magicamente in tavolette di cioccolato.

 

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"Allora? È recuperabile? Intendo, la memoria, si può salvare?". Alessandro si rendeva conto di avere una voce piagnucolosa molto probabilmente patetica per un ragazzo della sua età, ma, mentre implorava il vecchio con il suo cellulare in mano dall'altra parte del bancone, si rese conto che non gliene poteva importare di meno. L'uomo fece un sospiro rigirandosi in mano la memoria scura del telefono, facendo tremare i baffi bianchi e folti. "Ragazzo mio" mormorò tristemente posando il cellulare sulla scrivania ingombra di cavi elettrici e cacciaviti "Se questo cellulare è stato schiacciato da un camion dei rifiuti, come dici tu, c'è ben poco da fare" concluse. Alessandro sentì li cuore farsi pesante."Ma a me serve! Il telefono, dico, mi serve! C'è un numero importante dentro, mi serve assolutamente!" esclamò il ragazzo passando una mano tra i capelli, frustrato. Il vecchio alzò le mani "Spiacente. Ho fatto quello che potevo, ma è andato. Pace eterna al suo corpo mortale e alla sua anima." Alessandro lo guardò male "Senta" inizò posando i palmi sulla scrivania "Nella memoria di questo cellulare qua" e indicò il telefono spappolato sul tavolo "c'è il numero della ragazza che potrebbe essere quella giusta per me, okay? Ne ho bisogno" disse duramente. Il vecchio fece un sorriso malinconico "Ah, la gioventù! Questi amori sconclusionati...caro ragazzo, richiedile il numero! La soluzione è così semplice, a volte..." Alessandro scosse la testa "Non è possibile! Io non la conosco! La incontro sempre nei posti più impensabili e non riesco più a levarmela dalla testa. Il suo numero era l'occasione per fare tutto nel modo giusto. Un appumatemto e poi si decide se vedersi ancora. Invece, così, se la rivedrò o meno, stà tutto al caso!" esclamò rabbioso. Il vecchio, che non sembrava avere capito un granché, fece una smorfietta" Allora"cominciò alzandosi per condurlo alla porta "Non è destino. Va e conosci altre belle ragazze. Magari vai al cinema. È lì che ho conosciuto la mia Rosalba! In bocca al lupo!" esclamò sorridente aprendo la porta. Alessandrò aprì la bocca interdetto, ma non fece in tempo a dire nulla che si ritrovò il telefono fatto a pezzi tra le mani e la porta di legno chiusa sul naso. "Stupido coso" borbottó fissando truce il cellulare con il vetro spaccato. "Ti dovevi fare investire proprio adesso che avevo trovato il coraggio per chiamarla". Camminò spedito per le strade affollate di turisti tedeschi e gente indaffarata carica di sacchetti per la spesa sino a che non arrivò davanti ad un bidone verde dell'immondizia. "Addio. Spero tanto di non vederti più, nemmeno in cartolina" sussurró astioso al cellulare. Poi, con un gesto secco, lo gettò dentro. Ascoltò con un sorriso perfido il rumore del telefono che si spaccava una volta per tutte e se ne andò, leggermente più allegro. Mentre si stava chiedendo se era il caso di iniziare a guardarsi intorno per vedere se Elisa si nascondeva da quelle parti, sentì una mano morbida posarsi sulla sua spalla. "Ale!" strilló una vocetta acuta. Senza nemmeno voltarsi per vedere chi era, Alessandro fece uno sbuffo scocciato "Nicoletta" mormorò affranto.

 

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Gli sconti per qualsiasi prodotto esistente sulla faccia della terra avevano sempre attirato Elisa come una calamita. Una volta non era riuscita a resistere al 25% di sconto su un capo firmato che, improvvisamente, doveva assolutamente avere. Aveva tentato di ignorare il cartellone rosso fiammante con scritto "SALDI" a caratteri cubitali appiccicato in vetrina, ma nulla era servito. Era uscita dal negozietto elegante dieci minuti dopo con un sacchetto di plastica infiocchettato tutta allegra per il nuovo acquisto. Il paio di pantaloni larghi ghepardati in seta che si era comprata era, ovviamente, finito nei fondali inesplorati del suo armadio e mai nemmeno levato dall'incarto. Non il suo affare più riuscito, forse. In ogni caso non andava matta per i ribassi di prezzo relativi solo ai capi di abbigliamento, assolutamente. Infatti, in quella corsia accogliente dell'ipermercato, con le mani strette convulsamente sulla maniglia del carrello straripante di cibo, non guardava altro che la scritta "prendi dieci, paghi sette" attaccata su ogni singolo pacco di biscotti del corridoio. Dovevano essere dei buoni biscotti, si disse Elisa, guardando con aria critica l'immagine sul pacchetto. Insomma, dei biscotti al cacao non possono essere cattivi, no? Allora che male c'è ad usufruire di quello sconticino? Nulla, ecco cosa. Allungò una mano e prese dieci pacchetti di biscotti, andandoli a posare sopra la montagna di cibo nel carrello. Con il cuore più leggero ed un sorriso sulle labbra si incamminò verso le casse. Il tragitto dalla corsia biscotti al punto di pagamento non andò così male. Fu distratta solo da un mega barattolo di Nutella -che, neanche a dirlo, finì nella roba da comprare- e da un mega pacco di carta igienica extra morbida ed extra scontata-Anche questa nel carrello-. Uscì dal supermercato piena di borse attaccate ovunque, e iniziò ad arrancare verso la fermata del bus più vicina. Quando si rese conto che la fermata più vicina era, casualità, lontana miglia e miglia, venne colta da un vago senso di sconforto. Posò a terra pacchi e pacchetti e si mise sul ciglio della strada, aspettando un taxi da fermare. Da quando era uscita dalla palestra stava meglio. Insomma, muoversi le aveva fatto accantonare il pensiero di Alessandro per un po', ma ora che era ferma il problema si presentò nuovamente. Dopo qualche secondo in cui lo odiò profondamente per averla lasciata in balia dell'aspettativa di ricevere una sua chiamata per giorni decise di lasciare saggiamente perdere e di voltare pagina. Quando il rumore di un taxi in lontananza la fece voltare, fu certa che sarebbe stata capace di dimenticarsi di Alessandro. Dopotutto era una donna abituata a uomini come lui, perfettamente in grado di alzarsi in piedi da sola.

 

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" Allora, come te la passi senza di me?" Alessandro avrebbe voluto avere una pistola per porre fine eterna alla sua sofferenza. Se avesse avuto una revolver in mano, probabilmente, l'avrebbe puntata contro la causa del suo nuovissimo mal di testa e avrebbe fatto scattare il grilletto senza troppi ripensamenti. Nicoletta se ne stava lì, la borsa della palestra ancora in mano, a mitragliarlo di domande sperando che lui le rispondesse che, si, senza di lei la sua vita era un disastro cronico. Beh, a chiunque interessi, la sua vita non era un disastro cronico proprio per nulla. Cellulare defunto a parte. Alessandro le fece un sorriso tirato "Alla grande, Nicoletta" rispose prontamente "Mi sto vedendo con una ragazza" continuò con nonchalance. Nicoletta fece un sorriso zuccheroso "Ah, davvero? Hai bisogno di rimpiazzarmi?" chiese. Alessandro alzò un sopracciglio "Stai diventando acida come una zitella, Nicoletta, lasciatelo dire" le disse franco. "Anche tu con questa storia! Un'ora fà in palestra c'era questa ragazza che ha iniziato ad aggredirmi perché pensava che non fossi stata gentile con lei! Ascoltami bene, Alessandro, il mondo sta andando a rotoli! Non si sa più nemmeno riconoscere una persona cortese quando la si ha davanti al naso" borbottó furiosa. Alessandro fece un passo indietro "okay, come vuoi...devo andare, adesso...al...al supermercato" inventò sul momento, notando il negozio alle spalle della ragazza. Nicoletta fece una smorfia "No! Cioè, scusami...io...in realtà mi manchi abbastanza Ale...io...non so...ti va una birra sta sera?" propose incerta. Alessandro, che non.aveva mai avuto meno voglia di birra in tutta la sua vita, fece una faccia terrorizzata "No, grazie mille, ma non posso io dovrei andare da Simon-" "Alessandro!" una vocetta sconvolta lo interruppe all'improvviso e, voltandosi, Alessandro riconobbe con un sorriso in volto una capigliatura spettinata che conosceva sporgere dal finestrino aperto di un taxi.

 

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Elisa non poteva credere ai suoi occhi. Se ne stava seduta tra le borse della spesa nei sedili dietro del taxi chiedendosi se valesse la pena di uscire di nuovo con Adalgisio quando una voce che riconosceva l'aveva fatta voltare. Ed era Alessandro. Alessandro con i suoi capelli scuri e disordinati, con le sue scarpe da ginnastica distrutte e con le sue labbra morbide. E con una ragazza carina affianco, ma al momento non le importava. Mentre il taxi si fermava al rosso del semaforo, Elisa ficcó la testa fuori dal finestrino affannata. "Alessandro!" lo chiamò spenzolandosi oltre alla portiera. Quando lui si voltò, Elisa fece un sorriso così grande che, probabilmente, andò molto vicina ad una paralisi totale. "Tu!". Elisa avrebbe voluto volentieri rispondere alla voce che, si, era lei, era Elisa, la stessa ragazza del reparto surgelati. Lo avrebbe voluto dire, davvero, ma le labbra di Alessandro erano ancora chiuse e la voce che aveva appena parlato era di una donna. Più precisamente della ragazza accanto a lui che, Elisa scoprì con orrore, era la stessa zoticona della palestra. "Oddio, tu" mormorò terrorizzata, guardando la ragazza che, ora si ricordava, si chiamava Nicoletta. Alessandro, passato lo stupore iniziale, ingoiò il sorriso che gli era affiorato spontaneo sulle labbra e si voltò verso Nicoletta "Vi conoscete?" chiese incredulo. La ragazza, senza staccare gli occhi da Elisa, fece una smorfia "Eccome! È lei l'oca che mi ha insultato oggi in palestra...ma comunque" disse squadrando Alessandro "Tu...la conosci?" chiese, quasi sfidandolo a rispondere qualcosa di diverso da no. Alessandro la ignorò totalmente e andò sino al ciglio della strada, verso Elisa. La ragazza aspettò che lui le arrivasse abbastanza vicino, poi fece un sospiro "Perché non mi hai più cercato?" chiese rancorosa. Sul viso di Alessandro si dipinse un espressione esasperata "mi si è spaccato in due il telefono, mi dispiace così tanto, avrei voluto davvero chiamarti" spiegò lui affranto. Sotto lo sguardo offeso e incredulo di Elisa diventò velocemente rosso, intuendo cosa le passasse per la testa "No! Ti giuro che non è la classica balla da telenovela argentina, si è rotto davvero il telefono, altrimenti ti avrei già chiamata sicuramente" si affrettó a dire. "Ale, perché parli con questa qua? È una stupida, lasciala stare e vieni via con me" Nicoletta si era avvicinata ad Alessandro e gli stava tirando la maglietta per un bordo lamentandosi ad alta voce. Il ragazzo allontanò la mano di lei stizzito senza smettere di guardare Elisa. "Te lo giuro, Elisa" mormorò a bassa voce. Elisa arrossí vistosamente e distolse lo sguardo veloce. I rombi dei motori delle macchine ferme al semaforo diventarono più forti ed Elisa decise di ignorare l'imbarazzo e di fare in fretta. Si girò verso Alessandro, che la continuava a fissare intensamente, e fece un piccolo sorriso "ti credo, Alessandro" disse a bassa voce. "A cosa crede questa idiota?" mugugnó Nicoletta isterica. Alessandro fece un sorriso smagliante ad Elisa "Mi credi" ripetè lentamente, così allegro e felice da sentirsi leggero. Quando Elisa incrociò gli occhi del ragazzo non sentì più nulla. Ne i rombi dei motori, ne la radio dell'autista accesa, ne gli strilli di Nicoletta alle spalle di lui. Non senti più nulla. Vide solo che gli occhi di Alessadmro brillavano come stelle e seppe senza sapere come che brillavano anche un po' per lei. Mentre il semaforo diventava verde con uno schiocco, Alessandro sgranó gli occhi ansioso "Elisa, devo vederti di nuovo" esclamò iniziando a camminare accanto al taxi che si muoveva piano. Elisa si sporse oltre al finestrino "Ci vediamo di sicuro" mormorò lei, ripetendo la stessa frase che lui le aveva detto all'aeroporto mesi prima. Lo vide sorridere e fermarsi sul marciapiede mentre ancora la guardava. Così, quando il sole del tramonto coloro' tutto di rosa e di arancione, Alessandro alzò una mano per salutare Elisa. E mentre il cuore di lei accelerava sempre piu', Elisa si rese conto in un solo attimo che il sorriso che illuminava il viso di Alessandro era solo, esclusivamente per lei.

 

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Ciao a tutti:)ci tenevo a dire che, appena possibile, ho intenzione di riscrivere questo capitolo perché non mi piace per niente...beh, niente, volevo dire solo questo...se posso aggiornerò stasera, un bacio CappelloParlante

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Capitolo 8
*** 8° incontro: Sauna ***


" Elisa! Tesoro di mamma! Ma dove ti eri cacciata negli ultimi giorni? Eri assolutamente introvabile, io e tuo padre eravamo preoccupatissimi, pensa che Maria, la mia amica del Bingo, mi ha raccontato che sua nuora era sparit-" " Mamma" il suono che fece interrompere il fiume di parole che sgorgava fuori dal cellulare di Elisa era stato, più che un lamento, un ringhio bello e buono. " Mamma, te ne prego, evitami il riassunto degli ultimi pettegolezzi, ho un mal di testa tremendo" continuò Elisa, tentando di dare un'intonazione più dolce alla voce. Dall'altro capo del telefono sua madre trasalì "Non sono pettegolezzi, gioia, e io non sono una pettegola. Sono solo...ecco, notizie, si, notizie fresche fresche e molto interessanti" borbottó insicura alla cornetta. Elisa sospirò allontanando il piatto di pasta ormai vuoto da se "Certo mamma" mugugnó "allora, cosa c'è?" chiese. Sentì sua mamma gorgogliare felice "Oh, amore, quasi mi scordavo!...tua sorella! Aliana ha trovato lavoro!" esclamò orgogliosa. Elisa fece un sorrisone incredulo "Davvero? L'hanno presa per quel posto all'università che voleva tanto?" chiese entusiasta. Ci fu qualche secondo di silenzio, poi sua madre riprese a parlare, ciarliera come al solito "Oh, no, quel noioso posto in laboratorio...chimica, bah, ma a chi interessa della chimica? A nessuno, ecco a chi! Meglio, Elisa, molto meglio...da oggi pomeriggio lavorerà nella palestra di piazza Italia! Piazza Italia, Sasà! Il posto più bello della città, dove va il fior fiore dei ricchi e famosi!". Elisa rimase interdetta per qualche secondo, poi fece un altro sorriso "Beh, dai, è pur sempre lavoro, sono contenta per lei!" disse allegra, alzandosi per lavare la roba usata per il pranzo. "Oh, si certo, anche noi...aspetta un attimo che papà mi vuole dire...cosa Paolo? Ah. No. Io non glielo dico mica...okay, va bene ma...va bene, ma stai zitto...Elisa, amore, scusa, papà mi parlava, beh...voleva dirti una cosa ma non ha il fegato, vero Paolo? Ecco, voleva chiedere se stai cercando anche tu un lavoro, sai, ormai sei grande..." Elisa ascoltò paziente il discorso vagamente sconclusionato che sua madre non era riuscita a fare bene nemmeno con suo padre come suggeritore, e prese un respiro "Mamma, di a papà che io ho già un lavoro" sillabò lentamente, offesa. Dopo secondo di imbarazzo sua madre riprese a parlare "Certo che ce l'hai...la babysitter, bello, bel lavoro, ma, da quanto ne so non ti chiamano da un po'" mormorò sua mamma intimorita. Elisa indurì la mascella "Chiameranno. Ora devo andare, ciao mamma" sussurró arrabbiata. "Elisa, amore, non ti arrabb-". Clic. Elisa le aveva chiuso il telefono in faccia. Lo aveva fatto davvero. Era da quando aveva dieci anni che sognava di farlo, ma mai ne aveva avuto il coraggio. Con un sorrisetto vittorioso abbandonò il telefono fisso sul divano e andò a prendere il cellulare, pronta a chiamare Aliana e a farle vedere quanto era fiera di lei.

 

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Alessandro guardò infastidito il cellulare vibrante che teneva in mano dove si leggeva chiaramente il nome di Nicoletta. Sbuffó e permette il tasto di chiusura chiamata. Ultimamente con le donne non gliene andava bene una. Elisa, la ragazza fantasma che aveva incontrato la prima volta al supermercato, era sparita nuovamente dopo essere salita su un taxi, ed Alessandro cominciava ad essere seriamente stufo di quella situazione di cui non poteva prendere le redini. Poi c'era Nicoletta, quella patella vivente che, Alessandro, pregava addirittura la notte di non incontrare mai più. L'aveva rivista il giorno in cui aveva incontrato Elisa, solo che la presenza di Nicoletta non era stata altrettanto gradita. Nell'ultimo periodo lo inondava di messaggi e chiamate, e, detto sinceramente, Alessandro ne aveva le tasche piene. Era diventata tutt'un tratto gelosa di Alessandro, cosa per altro stupida dato che loro due non stavano più insieme e sopratutto perché era stata lei a mollarlo. Girò l'angolo di Vico Della Luna e si ritrovò nella maestosa Piazza Italia. Perse qualche secondo ad osservare gli alti platani che facevano ombra sulle panchine e i bambini che strillavano inseguendosi. Quando era piccolo ci andava spesso con suo padre, e quei momenti li ricordava con l'affetto che riservava solo a ben poche cose. Con la coda dell'occhio notò una gelateria all' angolo di un palazzo e accelerò il passo nella sua direzione, deciso prendersi un cono enorme. Quando una ragazza sorridente gli si parò davanti, Alessandro avrebbe voluto seriamente mettersi a sbattere a terra i piedi dalla frustrazione. " Buongiorno, mi scusi, mi può dare qualche secondo del suo tempo?" chiese la ragazza. Aveva una divisa arancione e i capelli raccolti in una coda alta. Sotto braccio portava uno spesso plico di fogli. Alessandro fece uno sbuffo "Sarei di fretta..."mormorò annoiato. La ragazza sgranó gli occhi "farò super veloce, davvero!" esclamò, d'un tratto ansiosa. Alessandro la guardò confuso. " Allora va...va bene, direi" mormorò scoccandole un occhiataccia obliqua. La ragazza riprese un po' di colore in viso "Grazie mille! Stavo dicendole che lei è proprio fortunato! Essendo stato la 394 persona a passare davanti alla palestra 'Fisico Scolpito' ha diritto a provare la nuovissima sauna appena installata!" esclamò allegra. Alessandro, se avesse potuto, avrebbe ignorato la ragazza fingendosi sordo per poi potresti fiondare su un bel gelato cioccolato pistacchio, ma ormai le aveva risposto, così tentò un'espressione felice "Oh, ma che bellezza" mormorò in tono funereo "è un vero peccato che io debba andarmene proprio ora" concluse con un alzata di spalle, facendo un passo avanti e oltrepassandola. "No! Non può, la prego!" esclamò la ragazza afferrandogli un braccio. Alessandro si girò di nuovo verso di lei, in faccia un espressione confusa "Cosa?" sussurró. La ragazza della palestra si guardò intorno con scatti meccanici del collo, visibilmente ansiosa "Okay, ti spiego tutto...io, beh, io sono nuova qua, mi hanno assunto da poco...però...vedi, ho un problema...la mia memoria fa essenzialmente schifo, e mi sono dimenticata di fare promozione della sauna con i clienti...e beh...oggi il capo vuole vedere la nuova sala mezza piena e io non ho trovato ancora nessuno..."mormorò stringendosi le mani imbarazzata. Alessandro trarrenne una risatina divertita "E così io sarei la cavia" ammiccò sorridente. La ragazza le fece una smorfia intimidita "beh, non è che io ti stia spedendo al macello, eh...è una bella sauna...ti prego, fallo per me, salvami da un licenziamento precoce" mormorò supplicandolo. Alessandro scoppiò a ridere "Ma se nemmeno so chi sei" disse. La ragazza parve vagamente offesa "Sono Camilla e potremmo benissimo essere amicI. Ovviamete solo se provi la sauna, mi sembra chiaro" declamò seria in viso. Alessandro annuì solenne "Limpido". Poi fece un sospirò veloce "E va bene...lo farei anche, ma non ho nemmeno la roba per la palestra dietr-" " No problem!" lo interruppe Camilla "Ti presto io costume e cose varie, vieni" e lo tascinò via attraverso la piazza gremita di gente. Alessandro fece un sbuffo, chiedendosi come faceva a trovarsi sempre in situazioni così assurde e spiacevoli. Poi lanciò un occhiata alla ragazza davanti che aveva fatto felice accettando solo la sua proposta e si sentì meglio, quasi come un eroe che aiutava gli altri.

 

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" Sasà! Mamma ti ha chiamato, immagino!" esclamò Aliana, senza dare nemmeno il tempo ad Elisa di rispondere. La ragazza ridacchió "Si, mi ha detto tutto. Complimeti, Lia! Piazza Italia, cavolo! Stai diventando importante! Come si chiama la palestra dove lavori?" chiese curiosa. Aliana non tardò a rispondere "'Fisico Scolpito'! È bella davvero e hanno pure appena ristrutturato tutto e c'è una sauna pazzesca...a proposito, ho una sorpresa per te, vieni al bar sotto casa mia tra dieci minuti!" esclamò esaltata. Elisa rise piano, contenta dell'allegria della sorella "okay, dammi il tempo di vestirmi e arrivo!" rispose alzandosi dal letto. Venti minuti dopo Elisa era sulla soglia del bar prestabilito con un piede ticchettante sul marciapiede ad aspettare Aliana. Era proprio un tipico di lei. Stabilire un orario senza consultare gli altri e poi presentarsi in ritardo. Quando la figura slanciata di Aliana comparve in lontananza, Elisa non poté fare a meno di trattenere un sorriso stanco. Si era messa una divisa, probabilmente quella della palestra, totalmente arancione, e aveva una coda di cavallo piuttosto sfatta che le dondolava sulle spalle. "Sasà!" strilló quando fu abbastanza vicina. Poi allargò le braccia e strinse forte la sorella. Elisa, presa un po' in contropiede, impiegò qualche minuto prima di rendersi conto della situAzione e e di ricambiare l'abbraccio. "Ehi, Lia, che c'è?" chiese dolcemente. Aliana si staccò e le fece un gran sorriso "Ho una splendida notizia per te!" esclamò su di giri. Elisa ridacchió "vuoi entrare dentro per parlarne?" chiese indicando la porta del bar. Aliana fece di no con la testa "C'è un regalo per te" mormorò allegra canticchiando. Elisa sgranó gli occhi "Per me?" sussurró colpita. "Si!" squittì Aliana. "Hai vinto un pomeriggio nella nuova sauna della palestra dove lavoro! Tutto gratuito, è in omaggio per i dipendenti e io lo voglio cedere a te! Oddio, Eli, è un posto mitico, devi andarci!" confessò Aliana su di giri. Elisa trarrenne il fiato" Oh Dio, che bello, Lia, grazie mille! Mi ci voleva proprio! E quando sarebbe questo trattamento?" domandò felice. "Oh! Non te l'ho detto, tra un quarto d'ora, su, andiamo, altrimenti farai tardi". Elisa non ebbe il tempo di protestare che Aliana la stava già trascinando via.

 

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Alessandro aveva indosso dei boxer di un costume marcato 'Fisico Scolpito' di un colore arancione fluo decisamente orrendo, ma fece finta di ignorare le occhiate divertite della gente intorno a lui ed entrò spavaldo nella sauna calda. Provò, sin da subito, un senso di stordimento fortissimo dovuto al caldo opprimente, e dovette sedersi su una panca in legno. Intorno a lui stavano sedute diverse persone, tra donne e uomini. Propio accanto a lui un ciccione dalla pelle bianca se ne stava spaparanzato con gli occhi chiusi. Pochi secondi dopo la stanza fu cosi piena di vapore che Alessandro non riuscì più a vedere nemmeno la ciccia ballonzolante e sudata dell'omone vicino è optò per tenere anche lui gli occhi chiusi. D'un tratto si sentì lo sbattere della porta di legno della sauna e qualche passo leggero sul pavimento scricchiolante "Ehm...buongiorno a tutti" mormorò piano una vocetta ovattata. Giusto qualche secondo e, la ragazza che era entrata, si sedette accanto a lui. Alessandro, causa vapore così fitto da potere essere tagliato con il coltello, non poté vedere nulla di lei, e stette in silenzio per un poco. "Caldino, vero?" borbottó assorta la voce della ragazza. Alessandro avrebbe giurato di averla già sentita, ma, con le orecchie coperte dal turbante, non ne poteva essere certo. Dato che nessuno, uomo ciccione compreso, pareva propenso a rispondere, Alessandro prese parola. "Giusto un poco" sussurró sarcastico. La ragazza fece una risata allegra "Pensi che questa è la mia prima volta nella sauna, ed è persino un regalo!" rispose assorta la ragazza. Alessandro ridacchió "Dal suo tono non direi che è stato gradito molto" "oh, no" disse in fretta la ragazza "mia sorella Aliana era così entusiasta di farmi questo regalo che non potrei lamentarmi mai" la ragazza fece una breve risata. Alessandro agrottó le sopracciglia perplesso "Aliana?" domandò curioso. Aveva conosciuto di certo una persona con quel nome. "Già" disse semplicemente la ragazza. "A lei è toccato un nome particolare come Aliana, che, sa, era quello di un'attrice bellissima italiana degli anni cinquanta, mentre a me il nome di mia nonna. Non che mi lamenti, sono molto affezionata sia al mio nome che a mia nonna" . Alessandro fece un sorrisetto "E tu come ti chiami?" chiese, passando spontaneamente a darle del tu. La ragazza probabilmente stava per aprire bocca, ma venne interrotta dalla porta cigolante che si apriva di scatto. " Eli, esci subito, è successo un casino" disse la voce di una sconosciuta appena entrata. Quando Alessandro sentì pronunciare quel nome scattò a sedersi composto. La ragazza accanto ad Alessandro si mise svelta in piedi e si diresse verso l'uscita" Cosa è successo, Lia?" chiese preoccupata. "La mamma..." disse la ragazza. Poi, questa Eli, la ragazza con cui aveva parlato sino ad allora, sparì dalla sauna con quella Lia portando via con se la sua risata allegra, lasciando Alessandro solo e con la vaga idea di essersi perso qualcosa per la strada.

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Capitolo 9
*** 9° incontro: Ospedale ***


"Dove mi porti di bello, figliolo?" chiese l'ometto sulla sedia a rotelle, pacato come sempre. "Lo sa benissimo, signor Giusti, deve andare all'ospedale per quella visita" rispose Alessandro con un sorriso stanco. "Ah già" mormorò l'uomo assorto, annuendo. "Allora, racconta un poco a questo vecchio qua come mai alla fine hai portato me a fare un giretto invece che la vecchia Metilde" riprese a parlare allegro l'uomo. Alessandro alzò gli occhi al cielo "Gliel'ho già detto, signor Giusti, faccio volontariato. Se una volta ho accompagnato fuori la signora Metilde non vuol dire che assisto solo lei" rispose stancamente Alessandro. "Ah, già" mormorò il vecchino convinto. " E ora dove andiamo?" chiese poi curioso. Alessandro si morse la lingua "All'ospedale, facciamo una visita veloce e poi la riporto allo spizio" rispose. "Ah, è vero" sussurrò il vecchio "bene, facciamo veloce, ho intenzione di battere a carte Pino appena torniamo". Alessandro, suo malgrado, ridacchió piano " Sono convinto che lo straccerà" disse sorridendo. Il vecchio si voltò piano sulla sedia a rotelle sino a guardare Alessandro negli occhi "Grazie, figliolo" sussurrò. E Alessandro, guardando quei due occhi stinti dal tempo diventare lucidi per così poco, si sentì un verme per aver pensato che fosse solo un vecchio ripetitivo.

 

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" Quali fiori vuoi, bella signorina?". Elisa guardò le mani dell'uomo, che stringevano rose, tulipani colorati e margherite enormi. Inghiottè le lacrime che stavano spuntando spontanee "Tutti. Un po' di tutti" sussurrò. L'uomo le fece un gran sorriso e iniziò ad unire gli steli dei fiori con della carta colorata. Quando ebbe fatto un bel mazzo vivace lo porse ad Elisa che, nel frattempo, tentava di non scoppiare a piangere "Quanto le...le devo?" chiese respirando profondamente, nel tentativo di fermarsi. L'uomo le fece un sorriso triste "Nulla signorina. In bocca al lupo" mormorò. Elisa prese i fiori e gli fece un sorriso grato. Poi si voltò e camminò spedita verso l'ospedale rosa pallido. Era la terza volta che ci andava, ed ogni volta, quando giungeva al portone pulito, scappava a gambe levate, terrorizzata da quello che avrebbe potuto trovare dentro. Aliana le aveva detto che era un immatura, suo padre le aveva detto di fare con calma, e che avrebbe superato le seppure quando sarebbe entrata. Ma sua madre, quella di cui le importava di più in quel momento, era lì dentro, e lei, terrorizzata a morte o meno, sarebbe entrata. Per lei. Strinse forte le dita attorno al mazzo ed entrò dentro, accolta subito dal classico odore di disinfettante. I suoi passi leggeri ticchettavano sul marmo del pavimento nell'atrio ed Elisa sentì un groppo in gola quando arrivò davanti all'ascensore. Mentre il suo dito di posava sul pulsante di chiamata, Aliana le comparve affianco. "Sei venuta, allora. Non sei così tanto cagasotto, in fondo" le disse velenosa. Girandosi a guardarla, Elisa notò in Aliana gli occhi più rossi del normale e il mento tremante. Le fece un sorriso stanco "No, non più di te, almeno"mormorò. Aliana fece una risatina poco convinta "Beh, io almeno sono venuta subito dalla mamma, appena è stata ricoverata" disse velenosa. Elisa scrollò le spalle ed entrò in ascensore, seguita a ruota da Aliana "Avevo paura" sussurrò sotto lo sguardo indagatore della sorella "Sto morendo di paura". E l'ascensore salì.

 

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" Faremo in fretta" assicurò l'infermiera dai capelli rossi ad Alessandro, fermo sulla porta della stanza. Il ragazzo lanciò un occhiata all'orologio da parete appeso sopra ad un finestrone "All'incirca quanto?" chiese, pensando all'appuntamento in ufficio che doveva avere da lì a mezz'ora con un cinese. La ragazza sorrise appena."Un quarto d'ora al massimo" disse. Alessandro scosse le spalle "benissimo" mormorò mentre l'infermiera chiudeva la porta. Fece qualche passo mollo sino alle panchette della sala d'attesa e si sedette buttandosi a sacco di patate sul sedile. Stava pensando di leggere quella rivista orrenda che va tanto di moda tra le donne poggiata su un tavolino, quando una voce singhiozzante proveniente da dietro l'angolo lo fece fermare. "Non-non ce-ce la facc-ccio, Lia" mormorò piangente."Vuoi che venga con te?" chiese dolcemente una seconda voce. "N-no, vorrei stare da-da sola" sussurrò la prima. Alessandro udì qualche altro mormorio, poi una porta che si chiudeva ed infine più nulla. Si alzò silenzioso dalla sua panchetta scomoda e camminò lentamente sino al muro del corridoio. Quando la sua faccia fece capolino oltre l'angolo, vide chiaramente una figuretta appallottolata su un sedile simile a quello dove era seduto lui poco prima scossa da singhiozzi. Come ipnotizzato si avvicinò alla ragazza disperata, la stessa che aveva sentito prima parlare con l'altra ragazza e le si sedette accanto. Evidentemente fece rumore, perché il viso della ragazza scattò in alto e i suoi due occhi nocciola ora arrossati si fissarono su di lui, e, d'un tratto, fu tutto più chiaro. Fece un sorriso sghembo "Elisa" sussurrò a mo di saluto. Elisa aveva sgranato gli occhioni lucidi e aveva allungato una mano tremante, posandola lievemente sulla guancia di Alessandro. "Alessandro" mormorò stupita. Il ragazzo le fece un altro sorriso luminoso, poi, come se si rendesse conto solo allora della situazione di lei, le passò istintivamente un braccio sulle spalle, abbracciandola. Sentì Elisa trattenere il fiato, colta di sorpresa dal suo gesto, e poi abituarsi a lui e lasciarsi andare tra le sue braccia, colta da un'altra crisi di pianto. "Ehi, Elisa" le sussurrò nell'orecchio. "Cosa è successo?". Alessandro la sentì scuotere piano la testa "Io-io non-" il mormorio sommesso di Elisa venne interrotto da un singhiozzo spaventoso. Alessandro, ancora incredulo di averla ritrovata, la strinse forte a se accarezzandole piano un braccio. Quando i singhiozzi di Elisa divennero più radi, Alessandro le alzò con delicatezza il viso sino a fare incontrare i loro sguardi." Vuoi dirmi cosa è successo?" domandò cauto. Elisa prese un respiro tremante " Mia mamma" esalò senza guardarlo. "Ha avuto un...un incidente" i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime e Alessandro la strinse di nuovo a se, intenerito da quel corpicino scosso dai singhiozzi. Passarono i minuti e Alessandro ed Elisa restarono così, abbracciati stretti su una panca nella sala di attesa di un ospedale, sino a quando l'infermiera dai capelli rossi uscì dalla stanza con il signor Giusti a seguito. Il vecchio fece un sorriso sdentato e affettuoso guardando Alessandro prendersi cura di quella ragazza. Diede una lieve gomitata all'infermiera che fissava i due sbalordita "Sono più belli di una partita a poker" disse gracchiante "e, si fidi, c'è ben poco meglio di una partita a poker".

 

 

 

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Capitolo 10
*** 11° incontro: Saletta appartata, ristorante ***


Il pigiama di Elisa consisteva in una mega camicia da notte con dei simpatici orsacchiotti stampati sopra. Questo, unito ai capelli sconvolti e agli occhi gonfi di sonno, la rendeva molto simile ad uno di quegli zombie mutanti che andavano tanto di moda nei film. Non molto presentabile. Ma tutto ciò, ovviamente, non importava minimamente alla sua personale dittatrice in gonnella, la madre, che dopo essersi ripresa totalmente da acciacchi e dolori era partita alla carica comandando a bacchetta amici e familiari. Infatti, alle sette e mezza circa, era appesa letteralmente al campanello dell'appartamento di Elisa, come per cronometrare quanto tempo impiegava dal letto alla porta d'ingresso. Dopo circa due minuti di scampanellamenti vari, Elisa spalancò la porta con uno sbadiglio, una mano tra i capelli e una smorfia minacciosa in viso. "Mamma? Papà? Cosa diavolo ci fate qui?" mugugnó stancamente. Suo padre le fece un sorrisetto mentre le posava un bacio sulla fronte "buongiorno, tesoro" le disse allegro. Elisa si scostò per farli passare "allora? come mai siete qui all'alba?" ringhiò strizzando gli occhi. Sua madre arrivò al divano con due grandi falcate e si sedette con un sospiro "Tesoro, partendo dal fatto che l'alba è già passata da un pezzo, voglio sperare che tu ti ricordi del battesimo di tua cugina, e che sei in pigiama solo per farci uno scherzo" mormorò. Suo padre ridacchió piano alla vista della faccia sconvolta di Elisa "Battesimo?" chiese ingenuamente la ragazza. La madre guardò esasperata il marito "lo sapevo" sussurrò. Poi si voltò verso Elisa e alzò gli occhi al cielo "la tua cuginetta, amore, Isabella, dobbiamo essere in chiesa tra un ora". A quelle parole Elisa sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene "un'ora?" sussurrò terrorizzata. "Su, su" la tranquillizzò suo padre "va che ci metti cinque minuti a vestiti, vai in camera tua". Elisa, ancora un po' intontita dal sonno, barcollò sino al suo armadio, chiedendo al cielo perché proprio lei doveva essere in piedi alle sette e mezza di domenica. Quando spalancò le alte di legno, sua madre le comparve affianco. "Che ti metti, Sasà?" domandò incolore, le mani già infilate nell'armadio a tastare i vestiti. "Non so" sbuffò Elisa "pensavo quella camicetta a fiori e i pantaloni bianchi..." sotto lo sguardo truce di sua madre le mancò la voce "Elisa, ti conci sempre peggio di una zitella, lascia perdere quella orrenda camicia a fiori e lascia che la tua mamma scelga per te qualcosa di bello" disse decisa. Elisa sgranò gli occhi "ma se me l'hai regalata tu, la camicia!" esclamò. Sua madre fece un gesto stizzito con la mano "ora non importa, vieni qua e prova questo vestitino, sarai un amore, cara" le disse con un sorriso materno. Elisa non poté fare altro che chiudersi in bagno e provare il vestito svolazzante azzurro.

 

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"Ti sei preso una cotta, Ale, come una femminuccia". La voce canzonatoria di Simone fece stringere i pugni ad Alessandro "non è vero" mormorò "io non ho nessuna cotta per nessuno". Simone alzò gli occhi al cielo e bevve un sorso di caffè "sarebbe anche ora, amico" continuò imperterrito. Alessandro fece una risata poco convinta "come se te fossi già accasato". Simone sbuffò "io mi sto vedendo con Letizia" "perché quella si che è una storia seria!" esclamò Alessandro ridacchiando. "Beh, sempre meglio nella tua storia/barzelletta con Elisa" rispose a tono Simone. Alessandro prese un gran respiro, prendendo la tazzina di caffè tra le mani "finalmente hai detto il nome che ti frullava in testa da giorni...allora, perché credi che io abbia una cotta per Elisa?" chiese paziente. "È ovvio! Non fai che parlarne, Ale, sempre, del suo profumo di limoni, dei suoi occhi dolci e di altre mille cazzate che pensi solo se sei innamorato perso" sbottó frustrato "smettila di fare il bambino e ammetti che ti piace". Alessandro stette per parecchio tempo in silenzio. Pensò ad Elisa, e a tutto quello che scatenava in lui. Nulla di paragonabile a quello che provava pensando a Nicoletta o alle altre ragazze con cui era uscito. Ma amore...no, amore non era proprio possibile, anche se...ultimamente gli era capitato spesso di pensare al suo sorriso. Che sorriso, oltretutto. Alessandro pensò di non averne mai visto uno di più bello. Sospirò passandosi una mano tra i capelli "non lo so, Simo, non lo so". Simone fece un sorriso "meglio di niente, dai" rispose allegro. Lanciò un occhiata al calendario appeso in cucina "Ehi! ma oggi non é il compleanno di tua mamma?" chiese curioso. Alessandro sbiancò di colpo "il pranzo al ristorante!" esclamò, ricordandosi d'un tratto dell'impegno "Devoandareciao!". Simone fissò allibito l'amico saettare a prendere il casco della moto e uscire dall'appartamento come un fulmine. Sua madre doveva averlo traumatizzato da bambino, decisamente.

 

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"Ma che bella cerimonia!" esclamò garrula zia Delmira appesa al braccio di Elisa non appena fu uscita dalla chiesa. "Mai vista bambina più bella" la assecondò nonna Graziella, facendo le smorfia alla piccola Isabella che rideva gaia in braccio alla mamma. Elisa le fece una boccaccia "sembri una scema" sentenziò Aliana, comparendole affianco e dandole una bottarella sulla spalla. "Oh, Aliana bella, ma come ti sei fatta grande! Dove eri nascosta in chiesa? Non ti ho vista per tutta la cerimonia!" zia Adelaide dirottò tutta l'attenzione sulla sorellina di Elisa, che sorrideva imbarazzata. " Sono arrivata tardi, ero in fondo" mormorò in un tono sommesso non da lei. Elisa fece una faccia sconvolta "e così io mi sono dovuta sorbire la sveglia di mamma e papà alle sette e mezza mentre tu, piccola ingrata, hai poltrito di sicuro sino a tardi!". Aliana sorrise divertita, ma fu la voce pacata del padre a rispondere "Beh, Elisa, se non fossimo venuti saresti ancora a letto" disse saggiamente. "e poi, tesoro, quel vestito ti sta d'incanto" mormorò sua madre fiera. Mentre tutta la parentela si prodigava in complimenti, Elisa divenne rossa dall'imbarazzo, e sperò con tutta se stessa che, il pranzo dopo cerimonia al ristorante, finisse presto.

 

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" Altri cinquanta di questi!" esclamò allegro zio Cirillo, alzando un bicchiere di vino nella direzione della madre di Alessandro. Questa sorrise allegra "grazie a tutti!" esclamò, alzando a sua volta il calice. Era circa il decimo brindisi del pranzo da quando si erano seduti e Alessandro iniziava ad essere vagamente stufo. Non tanto per il bere vino, perché era buono e la compagnia piacevole, ma perché sapeva benissimo come sarebbe finita. Nella sua famiglia avevano tutti la tendenza ad alzare un po' troppo spesso il gomito, sopratutto zio Cirillo, e Alessandro già se lo immaginava a fine pasto a fare brindisi insensati. Come quella volta, alla sua comunione, quando aveva dedicato un brindisi ai pavoni, perché, a detta sua, il loro muggito era davvero il più bel verso tra quelli di tutti gli animali. In quell' esatto momento zio Cirillo si alzò in piedi e tossì piano "A mio cognato, Tommaso, che se fosse stato una donna avrei di certo sposato. Oppure se fossimo stati entrambi gay. Ma non ci saremmo sposati in Italia, ovviamente, ma un America. Sarebbe stato un gran bel matrimonio, Tommasino, davanti alla statua della libertà!". Come non detto. Alessandro, mentre la sua caotica famiglia rideva, sbuffò iniziando a guardarsi intorno. Nella grande sala da pranzo c'erano solo quattro tavoli, uno occupato da loro, uno vuoto, uno da una famiglia rumorosa quasi quanto la sua, e uno da una coppia anziana. Spostò lo sguardo sulla famiglia rumorosa, iniziando ad osservare i vari membri. C'era una vecchia anziana con un naso lunghissimo munito di verruca, e una donnona cicciona che teneva in braccio una bambina sdentata. Con un colpo al cuore osservò la ragazza seduta accanto. Aveva i capelli raccolti sulla testa ed un vestito azzurro che svolazzava ma, sopratutto, aveva un sorriso bellissimo. Forse non l'avrebbe trovato così bello se lui non fosse stato Alessandro e se lei non fosse stata Elisa, ma lei era proprio Elisa, ed era bellissima. D'un tratto vigile si alzò in piedi e camminò verso al bagno continuando a fissare la ragazza che rideva al suo tavolo. Quando lei alzò lo sguardo dalla ragazza che aveva davanti e lo notò, sobbalzò appena. Alessandro indicò ad Elisa il bagno, e mimò il gesto di fare silenzio. La ragazza fece un sorrisino divertito, condito da un tenero rossore diffuso su tutte le guance, e si alzò dalla sedia mormorando una scusa. Alessandro camminò con il cuore a mille sino alla porta del bagno, e svoltò in una saletta appartata e vuota. Solo qualche secondo dopo Elisa lo raggiunse. "Che ci fai qui, Alessandro?" gli chiese, ancora sbalordita della sua presenza. Alessandro ridacchió, godendosi il suono della voce di lei che pronunciava il suo nome "compleanno di mia madre. E tu?" domandò curioso. Elisa sorrise "battesimo" mormorò allegra. Il ragazzo fece una smorfia "spassoso" sussurrò. "Non sai quanto" rispose divertita Elisa. Alessandro si avvicinò a lei, cauto, osservando con la coda dell'occhio il vestitino azzurro che indossava Elisa. Che, tra parentesi, le stava davvero bene. Non che significasse qualcosa. " Non posso credere di avere avuto la fortuna di incontrarti ancora" mormorò poi, dando fiato ai suoi pensieri sconclusionati. Elisa arrossì parecchio "oh" mormorò. Alessandro, vedendola così in imbarazzo, deviò il discorso "Allora...tua...tua mamma, sta meglio?" chiese. Elisa tossicchiò "oh, si grazie mille per...l'altra...l'altra volta" sussurrò. Evidentemente si stava ricordando di quando era scoppiata a piangere tra le braccia del ragazzo, perché il rossore non accennava ad andarsene. Alessandro sorrise ammiccante "alla fine ti sei addormentata sulla mia spalla" confidò. Elisa sgranò gli occhi "non ci avevo pensato! Mi sono svegliata nel mio letto e non ho più fatto collegamenti con te! Scusa"mormorò concitata. Alessandro sorrise cortese "tuo papà ti ha portata in braccio sino alla macchina, poi sei sparita. Mi era dispiaciuto davvero, sai?" chiese, sornione. Elisa aprì la bocca per rispondere, quando si sentì una voce squillante chiamarla. La ragazza sgranò gli occhi "mia sorella, devo andare! Ciao Alessandro". Elisa, veloce come un battito di ciglia, si avvicinò a lui e gli diede un bacio leggero sulla guancia. "Grazie di tutto, Ale" sussurrò dolcemente. Mentre Elisa spariva in un turbinio di stoffa azzurra e profumo al limone, Alessandro portò una mano Lalla guancia baciata, pensando che, se avesse dovuto scegliere un momento da rivivere per sempre, avrebbe scelto quello.

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Capitolo 11
*** 10° incontro: Incrocio stradale ***


" Sasà, cara, tesoro di una sorella, grazie per avermi risposto in modo così tempestivo" ringhiò la voce di Aliana nella cornetta. Elisa fece uno sbadiglio "Noto del sarcasmo" mugugnó assonnata. Aliana fece una risatina isterica "Giusto un pelo, guarda" starnazzò. Elisa guardò incerta il telefono "Lia, che hai?" chiese infilandosi le pantofole. Aliana fece un'altra risatina "Oh Elisa, vorrai dire cosa non ho, dato che in questo momento sono bloccata sul gabinetto" borbottó infastidita la ragazza. Elisa trarrenne un sorriso divertito "Diarrea?" chiese garbatamente. "No! Dio, che cretina che sei" mormorò assorta Aliana "Mi sono venute!" continuò con voce sconvolta. Per qualche secondo Elisa stette zitta, intenta a mettere il caffè sul fuoco, poi scrollò le spalle"E allora? Non credo sia la prima volta..." mugugnó nel telefono "Oh, ma che cervellona, complimenti davvero! È ovvio che non è la prima volta, ma ho finito gli assorbenti!" "Bene! Congratulazioni, anche per questo c'è una prima volta, ora, sempre se non ti spiace, avrei altro da fare..." sussurró Elisa, sapendo benissimo che reazione stava per avere la sorella "Certo che mi spiace" squittì Aliana. "Ripeto per i non capenti: mi sono venute, sono bloccata in bagno senza assorbenti, ho bisogno di aiuto, adesso!" Elisa agrottó le sopracciglia "Ti ricorda qualcosa la data 23 maggio?" chiese. Ci fu un silenzio sordo per qualche secondo "No, perché?" mentì infine Aliana. Elisa fece un sorriso tirato "Era la data in cui sono venute a me, tempo fa, in cui ti avevo chiamata perché ero a corto di assorbenti e in cui tu no-" " Okay! Okay, lo ammetto! mi dispiace di non averti aiutata, avevo da fare, lo giuro!" esclamò Aliana piccata, interrompendo la sorella. " E va bene" disse Elisa. "Andrò, ma solo per farti capire chi è la più matura delle due" sussurrò lentamente, conscia della frecciatina. Poi le venne in mente un' idea geniale e sorrise perfida "io vado a prenderti gli assorbenti, ma tu, cascasse il mondo, a natale ti metti seduta vicino a zia Adelaide invece che sbolognarla a me come ogni anno" gongolò Elisa, l'accenno di una risatina soddisfatta. Aliana deglutí a vuoto qualche volta prima di riprendere parola "E va bene" mormorò affranta "Starò vicino a zia Adelaide. Ma tu va e sbrigati, che quello che vive nell'appartamento di fronte sta iniziando ad appiccicarsi al vetro per vedere se sono veramente seduta dal cesso da venti minuti o se è un'allucinazione " abbaiò arrabbiata. "Detto fatto, Doc. Arrivo" esclamò prontamente Elisa. Prima di attaccare le venne in mente una cosa e strilló contro il telefono "Ali! aspetta! Volevo chiederti della mamma, non mi risponde, come sta? Sei passata da lei, no?" domandò. La madre di Elisa era stata ricoverata qualche settimana prima in ospedale a causa di un brutto incidente stradale. Era riuscita a stare abbastanza bene da tornare a casa negli ultimi giorni, ed Elisa si sentiva in colpa per non essere ancora passata da lei a trovarla. Si sentì Aliana sbuffare divertita "quanto senso di colpa" cantilenò serafica "comunque sta bene, ti saluta, ma te passa presto da lei, va bene?" chiese. Elisa sorrise appena "Ovvio" mormorò. "Bene. Ora corri a prendermi gli assorbenti!"ordinò Aliana ridacchiando "Subito capo!" urlò Elisa, reggendo il gioco.

 

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Alessandro si svegliò su un divanetto di pelle sommerso da bottiglie di birra vuote e con un mal di testa da fare invidia in corso. Strizzò gli occhi alla luce flebile che inondava il salone e si guardò stancamente intorno. Appoggiata ad una sua spalla, una ragazza dormiva della grossa, la bocca semi aperta e i capelli umidicci appiccicati alla fronte. Non si ricordava neppure chi fosse, ma stette molto attento a non svegliarla quando la scavalcò. Goffo a causa del carico d'alcol ingurgitato, barcollò sulle gambe molle sino ad una porta a vetri che dava su un giardino splendido pieno di bottiglie vuote, festoni e gente sdraiata a terra che dormiva. Doveva essere stata proprio una bella festa, e gli sarebbe piaciuto davvero ricordare qualcosa di più a parte indistinti strilli lontani e canzoni urlate a squarciagola. Appoggiò la testa alla porta e sbuffó piano. La camicia bianca che si era messo prima di venire alla festa era diventata una schifosa patacca ambulante chiazzata così tanto di macchie di drink da sembrare un quadro di quegli artisti schizzoidi che andavano tanto di moda. " Ale" un mugolio indistinto gli arrivò alle orecchie e, voltandosi, notò che proveniva da quella ragazza distesa sul divano. "Ale, ci sei?" aveva la voce roca e teneva gli occhi chiusi, mentre passava le mani sulle tempie lentamente. Alessandro, suo malgrado, fece un passo verso di lei "Sono io" borbottó con la voce gracchiante di una cornacchia. La ragazza aprì gli occhi di scatto e rimase a fissare Alessandro per qualche secondo. Poi si aprì in un sorriso entusiasta e si mise a sedere "Oh, tesoro, che bello vedere che sei ancora qua con me!" mormorò in estasi tentando di alzarsi. Alessandro fissò, immobile e confuso, la scena della ragazza che tentava di alzarsi e che barcollava instabile sino a lui, per poi aggrapparsi alla sua camicia bisunta. Come se Alessandro avesse potuto reggerla. Infatti il ragazzo allungò subito una mano verso la parete per sorreggere il peso della ragazza appiccicata a lui. "Ciao ehm...non credo di ricordarmi bene di te, scusami" borbottó incerto, guardandola di striscio. La ragazza fece una risatina allegra continuando a stringere Alessandro a se" Beh, ci scommetto, ieri hai bevuto parecchio...comunque, io sono Caterina, piacere, e tu sei Alessandro, nel caso non ti ricordassi, e ieri mi hai promesso di sposarmi. Appena mia madre lo saprà andrà in estasi". Il cuore di Alessandro parve di piombo e sprofondò parecchio sino ad arrivare dalle parti del nucleo terrestre. "eh?" chiese terrorizzato. Caterina abbozzò una risata "Ehi! Scherzavo, io. Cioè, la proposta di matrimonio è verissima, ma non sono così disperata da crederci, sia chiaro" Alessandro fece un sorriso stanco "Beh, Caterina, direi che la nostra sia stata l'unione più breve nella storia dei divorzi veloci" mormorò Alessandro, staccandosi lentamente da lei. Caterina fece un sorriso triste "È stato bello, Alessandro, qualsiasi cosa sia stato. Ci vediamo" borbottó la ragazza. Poi girò sui tacchi e ondeggiò sino ad una ragazza sdraiata a terra, probabilmente una sua amica, e iniziò a svegliarla scrollandola piano. Alessandro restò a guardarla per un po', assorto. Poi si girò in fretta e si allontanò il più possibile da lei, iniziando a cercare l'uscita della casa. Aveva bisogno assoluto di mangiare qualcosa e nel portafoglio aveva solo cinque euro scarsi. Con un sospiro pensò mentalmente al bar più vicino e decise che nessuno avrebbe potuto privarlo del suo caffè mattutino.

 

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Elisa si stava aggirando tra gli scaffali alti del negozio cercando di non crollare dal sonno. Scartò con un abile mossa del bacino un ragazzo alto con gli occhiali che borbottava tra se e se leggendo le scritte dietro ad un pacchetto di assorbenti e raggiunse con due grandi falcate l'espositore. Con uno sbadiglio fece passare stancamente un dito sui millemila pacchetti di assorbenti cercando di ricordare la marca preferita da Aliana. Quando trovò il solito pacco viola fermò la mano e lo strinse forte tra le dita. Le avrebbero dovuto dare il premio sorella maggiore dell'anno, come minimo. Mentre svoltava l'angolo e si indirizzava verso la corsia delle bibite, sentì distintamente il ragazzo che era con lei nel reparto igene borbottare un "Inaudito!". Ridacchiando è pensando che fosse decisamente una persona non molto centrata, Elisa si incamminò verso le casse. "Buongiorno" borbottó la ragazza alla cassa "Solo questo?" chiese poi, indicando il pacco di assorbenti sul nastro trasportatore. "Si, solo questo" mormorò Elisa assorta, cercando di ripescare il portafoglio dalle profondità della borsa. Quando finalmente uscì dal supermercato con l'aria ghiacciata tirò un sospiro di sollievo. Si fermò qualche secondo ad ammirare il grande incrocio d strade che le si parava davanti. Era il più grande della città e, dalle due in avanti, anche il più caotico. Le era sempre piaciuto vedere le auto strombazzanti passare di fretta e i pedoni che correvano non appena scattava il verde. Elisa si stava giusto chiedendo se andare a casa di Aliana a piedi o in autobus, quando senti una manona non troppo delicata posarsi sulla sua spalla. "Elisa, non ti sei fatta più sentire, come stai?" chiese una voce profonda e gentile. Elisa fece un sorriso un po' tirato mentre si voltava verso l'uomo "Adalgisio! Ma che piacere!"

 

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Quando Alessandro uscì dalla porticina di legno del bar con la caffeina in circolo nel corpo si sentì decisamente meglio. Fece un grande respiro accantonando nella mente quella schizzoide di Caterina e la sbronza presa il giorno prima. Spoleverò la camicia un tempo bianca cercando di darle un contegno e lanciò un occhiata al semaforo dei pedoni. Ecco il vero problema della sua città. Quel maledetto incrocio tra Via Magnolia e Corso Garibaldi. Il semaforo rosso durava un eternità e c'era sempre, ma proprio sempre, qualche imbecille che si dilettava nella guida causando ingorghi e, non troppo raramente, incidenti più o meno gravi. Aspettò paziente che scattasse il verde e poi scattò in avanti, deciso ad andare a casa a farsi una doccia fredda per svegliarsi. Quando fu davanti ad un supermercato minuscolo andò a sbattere contro la schiena enorme di un tizio che sembrava essergli comparso davanti all'improvviso. L'omone si girò, guardandolo vagamente truce, ed incrociò le braccia possenti. Alessandro, nonostante il suo metro e ottantasette, si sentì uno scricciolo davanti ad un gigante. "Ehm...scusa" borbottó passandosi una mano tra i capelli "Sembra strano, ma non ti avevo visto" mormorò alzando la testa per guardarlo. Aveva, nonostante la stazza, una grande faccia da bambino, con quei boccoli biondi che gli ricadevano ordinati sulle spalle. L'uomo fece una faccia stranita e fece per dire qualcosa, ma fu un'altra voce a parlare per lui. "Alessandro?" . Il ragazzo si sporse oltre al petto dell'omone e vide Elisa, prima invisibile dietro al tizio, che lo guardava stranita. Alessandro le fece un sorrisetto, poi spostò lo sguardo sull'uomo "Lo conosci?" chiese con voce volutamente schifata. Elisa ridacchió piano, senza farsi sentire "Alessandro, lui è Adalgisio" ora fu il turno di Alessandro di ridacchiare. Elisa si spostò tra i due ragazzi "E, Alessandro, lui è Adalgisio" mormorò guardando in basso. Adalgisio Il Tozzo tossicchiò" Io e Elisa usciamo insieme" sussurrò antipatico. Alessandro sentì un'inspiegabile fitta al fianco destro "Ah, davvero?" domandò brusco guardando il volto rosso di Elisa. Questa ridacchió a disagio "è da mesi che non usciamo insieme, in realtà, vero Adalgisio?" chiese con voce acuta. L'omone sbuffó e distolse lo sguardo "come vuoi" borbottó annoiato. Alessandro guardò Elisa arrabbiato, notando che, chissà per quale motivo, lei lo fissava mortificata. "Beh" sussurrò Alessandro, d'un tratto allegro come un becchino "divertitevi, allora" sputò velenoso. Fece un sorriso beffardo ed offeso al viso triste di Elisa e le voltò le spalle. Non avrebbe sopportato di vedere quei due vicini ancora un secondo di più.

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Capitolo 12
*** 12° incontro: Scalinata ***


Elisa aveva sempre avuto un'anima romantica particolarmente evidente, ne era conscia lei e, sopratutto, la gente che aveva intorno. Ogni volta che si guardava un film strappa lacrime in tv, o polpettone melenso, come lo chiamava Aliana, finiva sempre nello stesso modo, ossia con una Elisa che usava miliardi e miliardi di fazzoletti, disboscando foreste, parchi e aiuole. Così, in quella mattina grigia e gonfia di pioggia, quando si trovò con Elena davanti ad una vetrina dove se ne stava bella bella una sciarpa verdone scuro, non poté fare a meno di sospirare pensando ad Alessandro. Elena, che aveva sentito benissimo, proprio come tutto quello che accadeva nel raggio di un kilometro, fece un sorriso furbo. "Si sospira, Elisa?" chiese guardando l'amica. Elisa, che aveva lo sguardo incantato sulla sciarpa, fece non poco sforzo per riportarlo sull'amica. "Cosa?" mormorò assorta. Elena scoppiò in una risata fragorosa "oh, Eli, sei incredibile" sussurrò "ma quanto ti ha presa quell'Alessandro?" chiese retorica, un sorriso divertito stampato sul volto. Elisa arrossì appena "lo sai benissimo, quanto mi ha presa...è che è tutto così irreale, Ele, non ho mai la certezza di rivederlo, compare da solo, così, dal nulla...l'ultima volta che l'ho visto, al ristorante, stavo seriamente per chiedergli il numero, poi è arrivata quella ficcanaso di Aliana e, beh, non se n'è fatto niente" borbottó stringendosi nel cappotto marrone e caldo che indossava. Elena cominciò a camminare lungo il marciapiede affollato "se fossi in te lo cercherei ovunque, se è davvero così speciale come dici" disse risoluta. Elisa le trotterellò dietro "non è che è speciale, ma che...beh, non so, mi piace come è, come mi parla, e avresti dovuto vederlo all'ospedale, quando mia mamma era ricoverata, è stato così dolce" sussurrò sognante. Elena fece un sorrisetto" a proposito di come è..." buttò lì con nonchalance. Elisa ridacchió" era, è e sarà, Elena,..." prese un respiro facendo uno sbuffetto nell'aria fredda " un gran pezzo di gnocco". Elena scoppiò a ridere forte, facendo voltare alcuni passanti curiosi. Elisa arrossì, prendendole un braccio e trascinandola fuori visuale "piantala, Elena" cercò di dire seria, ma la vista dell'amica con la faccia rossa dal ridere le fece scappare un sorriso. "Okay, okay, scusa...allora, dopo aver appurato che è un gran pezzo di gnocco, c'è qualcos'altro che dovrei sapere su di lui?". Elisa scosse le spalle "che mi piace. Cavolo, mi piace proprio". Elena fece un sorriso materno "si vede" mormorò " Mi sembra di rivedere me stessa anni fa con Marco". Elisa sorrise "la sola differenza è che poi lui te lo sei sposata" sussurrò affranta. Non aveva ancora propriamente superato il trauma del matrimonio dell'amica e della sua perenne zitellaggine. Elena incaricò un sopracciglio " beh, cosa ne sai tu di cosa ti riserva il futuro...magari ti sposerai con quello gnoccone e avrete una carrellata di bambini gnocch-" " e dacci un taglio" ridacchió Elisa. Elena alzò le mani, come per tirarsi fuori "e allora che si fa?" chiese, scartando abilmente un vecchino che le stava venendo addosso "non si fa proprio niente, aspetto solo che lui si faccia vivo in qualche modo" finì la frase in un sussurro vago, perché lo sguardo le era appena caduto su un ragazzo che camminava tra la gente davanti a loro, e che indossava una sciarpa verde scuro. Strinse forte un braccio ad Elena "Elena" sussurrò aumentando il passo "è lì davanti! Io vado" mormorò assorta, mollando la presa dell'amica e sparendo tra la folla. Sentì solo vagamente le lamentele/proteste/domande di Elena, perché la testa era impeganata in tutt'altro. Più precisamente a seguire quella sciarpa svolazzante stretta al collo del ragazzo davanti.

 

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" Sono cinque euro e settanta" mormorò incolore la cameriera del bar, fissando Alessandro con occhi vacui. Il ragazzo frugò con la mano nella tasca del cappotto, cercando il contante. Quando ebbe pagato e fu sulla grande via affollata del centro, si strinse al collo il suo sciarpone rosso. Quella mattina, quando si stava preparando per uscire di casa, si era vietato categoricamente di guardarsi allo specchio, così da non vedere le mega occhiaie violacee che di sicuro aveva parcheggiate sotto agli occhi. Detta in tutta sincerità, Alessandro non si era mai preoccupato troppo del suo aspetto, dicendosi che era abbastanza figo anche senza farsi cose strane alla faccia, come depilarsi le sopracciglia - ma insomma, esistevano davvero maschi che si depliano le sopracciglia?- ma aveva sempre odiato e cercato di evitare la nascita di occhiaie. Le sgradite amiche gli erano venute sicuramente, dato che aveva passato tutta la notte a sgobbare sui libri. Con uno sbadiglio stanco di passò una mano sugli occhi e iniziò a salire le scalette per arrivare sul Ponte della Libertà.

 

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Elisa ormai correva, gli occhi fissi sul ragazzo davanti, mentre spintonava la gente che la ostacolava. Il suo cervello non pensava più a niente, voleva solo rivedere il viso allegro di Alessandro e potergli parlare ancora e ancora. E magari baciarlo davvero. Chissà come sarebbe stato. Le sue labbra erano morbide, e questo già lo sapeva, ma non riusciva proprio ad immaginarsi che effetto le avrebbero fatto sulle sue. Prese fiato e lo inseguì su per le scalette che andavano sino al Ponte della Libertà. Quando furono quasi in cima, Elisa fece uno scatto e afferrò il braccio del ragazzo "Ehi! Aspetta!" strilló frenandolo. Il ragazzo si voltò, mostrandole un viso incerto che decisamente non era proprio quello di Alessandro. Il ragazzo la squadrò con i suoi occhi con un taglio asiatico e fece un sorriso di circostanza "ci conosciamo?" chiese cortese. Elisa staccò la mano dal cappotto del ragazzo e lo guardò incerta "oh! Non sei...la sciarpa...io...scusa, ti avevo scambiato per un altro" borbottó immobile. Il ragazzo annuì brevemente "capisco, beh, io dovrei andare....arrivederci" le rivolse un ultimo sorriso freddo e si voltò, continuando a salire le scale verso il ponte di buona lena. Elisa rimase ferma per qualche secondo, attonita, poi scese le scale verso la strada, fermandosi sull'ultimo scalino. Si sedette sulla pietra umida, senza pensare al cappotto che si bagnava o alla sporcizia su cui era appoggiata. Nemmeno quando iniziò a pioviginare si alzò, rimase semplicemente seduta li, la testa appoggiata alle ginocchia, ascoltando i passi frettolosi della gente che le passava davanti. Per qualche secondo aveva creduto davvero che fosse il suo Alessandro, ed era questo che le faceva male più di tutto. Mentre sentiva le goccioline fredde impiastricciarle i capelli, sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Ed Elisa pianse mentre dal cielo cadevano goccioline invadenti, un pianto di esasperazione, di stanchezza e di liberazione. Pianse via la preoccupazione per sua madre di cui non si era mai liberata totalmente, l'ansia per il lavoro che mancava da tempo e, chissà perché, pianse per Alessandro. Pianse per lui perché era arrabbiata, perché la faceva irritare con il suo svanire proprio quando lei iniziava a pensare che, forse, sarebbero stati bene assieme. E, quando fece un ultimo singhiozzo tremante, una mano guantata le si posò dolcemente sulla spalla. Ed Elisa, gli occhi ancora rossi e gonfi, seppe che era Alessandro. Che compariva ogni volta quando lei ne aveva più bisogno e che andava via ugualmente, come incurante di ciò che provava lei.

 

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Mentre Alessandro percorreva a capo chino il lungo ponte silenzioso chiedendosi se, per caso, avrebbe dovuto chiedere a sua madre di prestargli la crema per viso, quando sentì dei borbottii indistinti provenire dalla scaletta che aveva appena percorso. Si voltò e vide, non senza un po' di stupore, Elisa, proprio la sua Elisa, parlare con un tizio che, casualità, aveva al collo una sciarpa simile alla sua verde a casa. In silenzio si avvicinò, cercando di non farsi vedere, e si accucciò addirittura dietro ad una ringhiera, ascoltando in silenzio. Si sentì molto come quando, a sette anni, si nascondeva dietro al divano di nonno Gino e aspettava che si addormentasse per fargli un agguato. Quando il ragazzo si voltò, dando le spalle ad Elisa, e completò le scale, rivolse ad Alessandro, ancora piegato sulle ginocchia, uno sguardo curioso, per poi riprendere il suo percorso come se nulla fosse. Alessandro attese ancora qualche secondo poi, mentre qualche gocciolina iniziava ad inzuppargli la sciarpa, si alzò e scese di corsa le scale. Quando la scalinata finì immettendosi nella grande strada gremita di negozi del centro, Alessandro notò solo all'ultimo la figuretta rannicchiata sull'ultimo scalino, e fece molta fatica per non caderle addosso, tanto veloce andava. Il ragazzo si fermò per un po' a guardare la testa di Elisa andare su e giù, al ritmo del suo respiro singhiozzante, e poi le posò delicatamente una mano sulla spalla. La ragazza non si voltò subito. Alzò il capo dalle ginocchia e stette per qualche secondo ferma, rilassata sotto il tocco gentile di Alessandro. Poi, quando si voltò verso di lui, non gli rivolse ne sguardi stupiti ne scombussolati, come se avesse capito che era lui già da prima, quando nemmeno lo guardava. Lo fissò con due occhi spenti e arrossati, rivolgendogli una lunga occhiata dura. Alessandro, sotto quello sguardo, sentì una forte fitta al petto e gli sorse spontanea una smorfia triste sul viso. Elisa prese un respiro tremante e levó la mano di Alessandro dalla sua spalla. Poi, con tutta calma, alzò di nuovo lo sguardo su di lui, gelida, mentre il ragazzo la fissata allibito, senza capire più nulla. "Perché sei sparito?" domandò Elisa con voce roca, dopo un tempo che parve infinito. Alessandro deglutì a vuoto "sparito?" mormorò "Elisa, sparito da dove? Sei tu che compari nella mia vita a tradimento e sparisci non appena mi volto!" rispose risentito. Elisa fece un sorriso triste, mentre gli occhi le diventavano lucidi "lo so che non è colpa tua, Ale, ma...tu...tu mi incasini la vita, davvero. Arrivibe te ne vai e io non capisco più nulla. Nulla.". Alessandro la guardò a lungo, sempre più curioso di lei. Si chiedeva come sarebbe stato abbracciarla senza una ragione, solo perché ne aveva voglia, o baciarla, sulle labbra, per sentire il suo sapore. Sospirò, mentre si avvicinava ad Elisa di un passo. La ragazza lo guardò, tremante, e in Alessandro crebbe la paura che lei scoppiasse a piangere di nuovo. Non voleva essere la causa delle sue lacrime. Senza un obbiettivo ben fisso in testa allargò le braccia e la strinse a se, forte e protettivo, cercando in qualche modo di allontanarla dal freddo e dal dolore. Elisa appoggiò il capo al petto di lui e ascoltò il suo cuore battere veloce, incerta se fidarsi di lui o meno. E così, mentre la pioggia batteva forte sul marciapiede colmo di gente, Alessandro strinse Elisa a se e, in uno slancio di coraggio le si avvicinò all'orecchio. "Non ti lascerò più andare" le sussurrò piano piano, quasi come se non volesse farsi sentire.

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Capitolo 13
*** 13° incontro: Marciapiede affollato, Roma ***


Elisa si svegliò con una piacevole sensazione di tranquillità nel petto. Scostò il lenzuolo bianco e, stiracchiandosi, raggiunse la cucina. Il tempo fuori era dei migliori, non una nuvola in cielo, ed Elisa si ritrovò per la seconda volta a sorridere appagata, senza un motivo ben preciso. Mise su il caffè e si sedette sul tavolo della cucina, una rivista di gossip tra le mani. Detto in tutta sincerità a lei quella roba non faceva proprio impazzire, ma a sua madre si, ne andava matta, così, una volta letti tutti i giornali, li passava a lei, nella speranza che capisse qualcosa di più sulla moda. Ovviamente questo miracolo bello e buono non si era mai realizzato, ed Elisa continuava a vestirsi orgogliosa con la sua cara, vecchia roba stinta. Voltò con pigrizia una pagina, trasalendo appena per il brutto muso di una modella - possibile che esistessero modelle brutte? Magari era il trucco...- e stava leggendo un articolo su un attore Hollywoodiano ricco da far schifo quando squillò il telefono. Con uno sbadiglio Elisa si alzò con calma dal tavolo e andò a prendere la cornetta sepolta da strati di cuscini sul divano. Premette il tasto verde e portò il telefono all'orecchio, pensando che, chiunque fosse dall'altra parte, non gli avrebbe permesso di rovinarle quella giornata così perfetta e tranquilla. "Pronto?" chiese soave. "Elisa! Dei del cielo, sbrigati! Hai ancora la voce da sonno! Io e papà passiamo a prenderti tra mezzora, spero tu abbia già fatto la valigia!" il ringhio non ben udibile di sua madre la costrinse ad allontanare la cornetta dall'orecchio "Cosa?" domandò, pregando Dio che non si fosse dimenticata qualcosa da fare, anche se la probabilità che fosse successo proprio quello era molto alta. " Il viaggio di lavoro di papà, amore! Avevi detto che volevi venire pure te a Roma, non essendoci mai stata! Sei ancora di questo parere vero?". Appunto. Elisa sentì sfuggirle dalle mani quel bel weekend tranquillo che si stava immaginando rimpiazzandolo con una cartolina di Roma e con l'immagine di sua madre in versione turista accanita. " Farò finta che tu sappia tutto per la mia salute mentale, Elisa. Io e papà passeremo da te alle dieci e mezza. Non farci aspettare" e buttò giù. Cosi, mentre il caffè sotto cui si era scordata di spegnere il fuoco usciva inesorabilmente dalla caffettiera, Elisa seppe che quel weekend non sarebbe stato ne pacifico ne tranquillo. Proprio no.

 

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Alessandro uscì dall'albergo facendo sbattere la porta e guardò il cielo azzurro sopra Roma. Poi, lentamente, abbassò lo sguardo sul completo scuro che indossava e sbuffò forte. L'unica volta in cui era riuscito ad andare nella capitale non poteva ne visitarla ne farsi una passeggiatina tranquilla. L'unico tragitto che gli era tempistocamente concesso fare era dall'ufficio all'albergo, più una capatina veloce al bar per colazione. Attraversò a passo svelto la strada trafficata e scartò uno scooter che gli veniva in contro. Il marciapiede largo su cui si affacciava il palazzo con annesso l'ufficio era gremito di gente, e Alessandro ci mise quasi cinque minuti per fare solo venti metri. Quando giunse davanti ad una gioielleria la cui vetrina strabordava di oro e argento notò con la coda dell'occhio una ragazza poco più avanti, con una chioma incasinata castana. Il suo pensiero volò immediatamente ad Elisa e trattenne appena il fiato, aumentando il passo per raggiungerla. Quando le fu accanto si sporse in avanti, un sorriso vittorioso stampato in viso. Inutile dire che, quando vide la faccia della ragazza, acne e verruche comprese, Alessandro fece un balzo indietro. Il fatto era che, ormai, Elisa sbucava nella sua vita come funghi, e il ragazzo non faceva altro che guardarsi intorno, certo che l'avrebbe vista. Ma, dopotutto, era stato uno stupido. Era impossibile rivederla a Roma, così grande e trafficata. Prese un respiro e aprì la porta dell'ufficio. Il fatto di avere zero possibilità di vedere Elisa in quei due giorni che avrebbe passato li lo faceva un pochetto demoralizzare ma si disse, mentre entrava nella suo personalissimo sgabuzzino/ufficio, che l'avrebbe rivista comunque all'appuntamento che si erano dati.

 

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Elisa si gettò a peso morto sul letto lindo e pulito della loro camera d'albergo. Le piante dei piedi le bruciavano come se, da due mesi a quella parte, non avesse fatto altro che divertirsi a camminare sui tizzoni ardenti. Con uno sbuffo si portò le mani sugli occhi, nel tentativo di reprimere in partenza il malditesta. " Elisa! Che fai? Dove sei? Vieni qui!". Ecco il più grande problema di quella vacanza. Sua madre. Elisa emise un mugugno non molto costruttivo e si voltò su un fianco. "Elisa! Amore, che hai, stai male?" domandò sua madre, ad un tratto la voce tremendamente vicina. Elisa sentì il materasso abbassarsi accanto a lei e poi la mano fresca di sua mamma districarle i capelli. Con uno sforzo immane la ragazza aprì gli occhi "mamma, che c'è?" chiese con voce stanca. La donna continuò ad accarezzare i capelli "papà è già in ufficio, noi che facciamo? Ti va di iniziare a visitate Roma, la bellissima e immortale Roma?" chiese sua mamma con voce eccitata. Elisa notò solo in quel momento che era già vestita nella sua classica tenuta da turista. Camicia larga e colorata, pantaloncini sopra al ginocchio e mega occhialoni oscuranti. Per non parlare di quella enorme macchina fotografica a tracolla. Elisa emise uno sbuffo "ho mal di testa, mamma" borbottò chiudendo gli occhi di nuovo. "Ma come? Volevi tanto venire a Roma e ora fai la pigra? su, sbrigati, adesso-" sua mamma si interruppe all'improvviso. Elisa aprì gli occhi "che c'è?" chiese. Sua mamma stava fissando il cellulare della ragazza posato sul comodino "ti sta chiamando Elena" mugugnò contrita passandole il telefono. Elisa, all'improvviso un po' meno pigra, scattò a sedere. Prese dalle mani di sua mamma il cellulare che vibrava, silenzioso, con il nome di Elena scritto sul display. Elisa si alzò dal letto e rispose "pronto, ele?" trillò allegra. Sua mamma dal letto sbuffò" vado in bagno" la sentì borbottare. "Ciao, Eli, come è Roma?" chiese la voce allegra dell'amica. "Mi credi se ti dico che sono troppo pigra per uscire dall'albergo" rispose sorridente. Elena ridacchiò "certo che ti credo, ti conosco, sai? Comunque, non è della tua stupidità indiscutibile che ti volevo parlare, ma di Alessandro...ho letto tipo venti minuti fa il tuo messaggio e, cavolo, appuntamento! Racconta!" Elisa sospirò, sognante "ah, Ele, è tutto così magico, la mia fiaba personale! Sai quel giorno che eravamo in centro io e te? Ecco, poi l'ho incontrato davvero, e mi ha detto che non mi avrebbe più lasciata andare, Elena! Dio, che cosa romantica! Comunque, ci siamo organizzati per una specie di appuntamento, cioè, non è molto formale, ma chissene frega, no? Andiamo nel campo di zucche!" disse garrula, un sorriso esagitato sul volto mentre guardava la gente in strada dalla finestra. Elena stette zitta per qualche secondo "perché non me l'hai raccontato prima? Perché non formale? Ma perché, sopratutto, in un pulcioso campo di zucche?" domandò la vice esterrefatta di Elena. Elisa ridacchiò" scusa per non averti detto tutto subito, ma ero troppo presa dalla faccenda e poi mi sono dimenticata di chiamarti" mormorò poi dispiaciuta. Elena sembrò sconvolta "che ragazza stupida che sei....mh, vabbe, chiuderò un occhio...allora, perché nel campo di zucche?". Elisa tentennò imbarazzata "l'ho scelto io, in realtà, mi sembrava...romantico?" chiese con un fil di voce. Elena scoppiò a ridere "romantico forse per una coppia di spaventapasseri, Eli!". Elisa sbuffò "senti, non iniz-" si interrompe di parlare bruscamente, una mano sul vetro della finestra. "Elisa, che c'è?" chiese preoccupata l'amica. "Elena. L'ho visto, è qui sotto, per strada, e ha un completo!" strilló Elisa. In fatti, tra la folla, aveva visto distintamente il ragazzo scartare la gente sul marciapiede. Elena sospirò "te lo sei immaginato" le disse lentamente. "Può essere ma voglio vedere se è lui, ciao a dopo!" scattò Elisa e, senza aspettare una risposta, buttò giù. Non ascoltò quasi sua madre che, mentre usciva dalla porta della stanza in tutta fretta, le chiedeva cosa volesse dire "vado dal mio principe azzurro".

 

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Alessandro sbuffò risentito. Solo l'essere nuovo in quell'ufficio non implicava che, se quel panzone del suo collega aveva voglia di caffè dovesse prenderglielo per forza lui. Eppure, guarda caso, era proprio lui, in carne ed ossa, nuovamente sul marciapiede gremito di gente a sgomitare per entrare nel bar. "Alessandro!" sentì strillare alle sue spalle. Si voltò di scatto, ma non notò nessuna persona dal volto familiare tra i musi che aveva intorno. Scrollò appena le spalle, pensando che stessero chiamando un altro Alessandro, e si rimise a spintonare la gente per cercare di entrare nella caffetteria. " Alessandro" strilló di nuovo la voce, ora solo più vicina. Il ragazzo indurì la mascella "chi minchi- oh". Quando si era voltato, pronto a dare una bella strigliata all"indesiderato scocciatore che lo stava cercando, l'ultima persona che si aspettava di vedere era Elisa. Eppure era lì, sorridente e felice, ad un palmo dal suo naso. O dalle sue labbra, a scelta. Le fece un sorriso luminoso "mi stai per caso stalkerando?" le chiese, imitando la domanda che gli aveva posto ragazza qualche incontro fortuito prima. Elisa ridacchiò allegra, gli occhi socchiusi e il capo all'indietro. "Cosa ci fai qui?" gli chiese poi gentile. Alessandro perse qualche secondo ad osservarla "lavoro" mormorò poi. Elisa aveva notato la voce di lui abbassarsi, e arrossì tutto d'un colpo. " Oh bene" sussurrò abbassando lo sguardo. Rimasero qualche secondo cosi, in silenzio, poi Alessandro prese un respiro "vorrei passare ancora un po' con te, ma devo andare a prendere il caffè per un mega tricheco che lavora con me". Elisa ridacchiò "allora ci vediamo il prossimo weekend?" domandò insicura. Alessandro sorrise intenerito "certo che si" rispose, trattenendosi a stento dal posarle una mano sulla guancia. "Allora ci vedia-" " come mai un campo di zucche?" la interruppe, non riuscendo a mettersi un freno. "scusa" mormorò, vedendola arrossire di nuovo "ma era da un po' che me lo chiedevo" confidò. Elisa fece una risata non molto convinta "ecco beh...perché...perché lo trovavo...roman-bello. Lo trovavo bello e caratteristico" incespicò la ragazza. Alessandro sorrise "va bene" sussurrò" allora ci vediamo la perché è caratteristico" mormorò avvicinandosi a lei "anche se io l'avrei scelto perché è romantico".

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Capitolo 14
*** 14° incontro: Campo di zucche ***


"Appuntamento?!" Elisa allontanò il cellulare dall'orecchio con uno sbuffo. Quando aveva chiamato Aliana per chiederle un consiglio su cosa indossare per l'uscita con Alessandro, non aveva calcolato l'alto livello di gitazione presente nella sorella. "Lia, ti prego, non strillare, sono le nove di mattina" mormorò flebilmente. Aliana parve non ascoltarla "cavolo! Un appuntamento bello e buono! Oddio, e con chi è? Non dirmi con quella noia di Adalgisio, ti prego, altrimenti butto giù" berciò instancabile. Elisa fece una risatina "no, non è con Adalgisio, però sei ingiusta, non era una noia, non lo conoscevi nemmeno" " grazie al cielo che non lo conoscevo, Elisa!" sbuffò Aliana "comunque, chissene frega di Adalgisio, non è con lui l'appuntamento, vero?" chiese, la voce vagamente minacciosa. Elisa fece un sorrisetto "oh! si è con lui, è l'amore della mia vita e domani convolaremo a nozze!" trillò allegra. Aliana ridacchiò piano "smettila di fare la cogliona e dimmi chi è" intimò. Elisa sorrise e si sedette di nuovo sul letto con un sospiro "un ragazzo che ho conosciuto tempo fa...lui è così carino Ali! Credo mi piaccia proprio!". Aliana stette in silenzio per un po' "perché non me ne hai parlato prima?" chiese, la voce seria e leggermente offesa. Elisa fece una smorfia "oh, Lia, non te la prendere, non volevo mica nascondertelo! Solo che non credevo arrivassimo mai al punto di vederci ad un appuntamento" mormorò dispiaciuta. Aliana sbuffò "beh, la prossima volta fatti sentire quando ti succede qualcosa" sibilò " perché sai, magari, quando ti sposerai, ci terrei ad essere invitata!". Elisa alzò gli occhi al cielo "smettila di fare la melodrammatica, Ali, scusami, la prossima volta sarai la prima a sapere tutto". La sorella fece uno sbuffetto" okay, va bene" mormorò poi "Senti, sto uscendo di casa, passo da te e ti aiuto a scegliere cosa mettere". Elisa sgranò gli occhi "ma no, tranquilla, non c'è bisogno che vieni qu-" " si che c'è bisogno, tu fai schifo a scegliere cosa metterti, fosse per te andresti ad un appuntamento con il principe William vestita da palombaro". Elisa ridacchiò "non credo di poter rivaleggiare con Kate" Aliana si unì alla risata "se ti vesti da palombaro di sicuro! Arrivo, Sasà". Ed Elisa, dopo aver chiuso la chiamata, guardò per la prima volta in assoluto l'armadio di camera sua con un sorriso.


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"Sono le nove e venti e dò un buon giorno a tutti gli ascoltatori di Radio Pettegolezzi, la radio che ti fa sapere tutto di tutto di tutti! Sono Annetta Andreoli e oggi, insieme a me, c'è Mariuccia Tripodi, informatissima su qualsiasi relazione in corso o defunta ad Hollywood e dintorni! Allora, Mariuccia, hai qualche nuova news da offrire ai nostri ascoltatori?" " Buon giorno a tutti! E grazie per avermi invitata, Annetta, cara! Ovviamente sono a conoscenza del gossip più succulento del mese! Per chi non lo sapesse, ovvero, probabilmente tutti, la duchessa Maria Antonietta della lomba-". Alessandro fece finire gli sproloqui che uscivano dalla sua radiosveglia allungando un dito e cliccando il tasto 'colse'. Chiuse ancora un secondo gli occhi e fece un gran respiro. Anche se era la terza mattina consecutiva in cui si svegliava nello stesso identico modo non si poteva dire che fosse stato meno traumatico. In fin dei conti, come poteva essere un buon modo per iniziare la giornata ascoltare quella stazione radio per vecchie pettegole? Quella mattina, proprio come le tre precedenti, stette qualche secondo assorto a chiedersi perché diavolo la radiosveglia sembrasse fare ciò che voleva, come se avesse vita propria. Insomma, non era normale che, invece che la stazione calcistica che impostava personalmente lui il giorno precedente come sveglia, si cambiasse magicamente da solo con "Radio Pettegolezzi". Iniziava a sospettare seriamente che la sua donna delle pulizie, Lidia, si divertisse a fargli questi scherzi divertentissimi quando passava a spolverare al pomeriggio. Come se fargli ascoltare i discorsi per zitelle a tradimento fosse la punizione per quando le aveva detto che aveva pulito male la cucina. Con uno sbadiglio stanco si stiracchiò nel letto. Fece un sorrisetto vittorioso quando gli cadde lo sguardo sul calendario appeso all'armadio. Infatti, come gli ricordava lo scarabocchio rosso scritto nelle note del mese, quella sera avrebbe dovuto accompagnare sua madre a teatro a vedere un polpettone polacco. Teoricamente quel compito sarebbe dovuto spettare a suo padre perché, insomma, nelle promesse nuziali, quando si accenna alla malattia e al dolore, probabilmente si intende anche accompagnare la consorte alle rappresentanzioni cantate in lirico di una durata di quattro ore e mezza. In ogni caso, pensò Alessandro tracciando una rigaccia nera sull'impegno, lui non sarebbe andato comunque. Quella sera aveva di certo meglio da fare. Per la precisione sarebbe stato occupato ad un appuntamento che aspettava da tempo, con una ragazza che ne valeva la pena in uno sconfinato campo di zucche.


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Elisa strabuzzó gli occhi, le mani strette sulla stoffa ruvida del suo paio preferito di jeans slavati "la gonna no, Lia, ti prego" sussurrò terrorizzata, arretrando sino al letto. Aliana la guardò con un cipiglio severo, le mani sui fianchi e la bocca contratta in una smorfia "Sasà, molla quei jeans pulciosi. Non ti permetterò di rovinarti l'appuntamento da sola, manco fossi un kamikaze" rispose aspra, facendo un passo verso di lei. Elisa balzò veloce sul letto, allontanado dalla portata della sorella i jeans "se gli interesso davvero non baderà nemmeno a quel brufolo che mi è spuntato sul mento stamattina, figurati ai vestiti" ribattè. Aliana saltò urlando sul letto morbido, tentando di afferrare i pantaloni in mano alla sorella ma, all'ultimo secondo, Elisa si scostò agilmente e la sorella finì a pancia in giù sul copriletto. "Elisa" borbottò, la faccia schiacciata contro al letto, mentre la sorella ridacchiava alle sue spalle "ti prego, fatti mettere in ordine da me". Ad Elisa si smorzò il sorriso. Poi fece uno sbuffo "okay, va bene, ma solo perché se ti ignoro finisci per metterti a piagnucolare manco avessi tre anni" borbottò infine, tendendo una mano ad Aliana per aiutarla ad alzarsi. La sorella fece un sorriso da orecchio a orecchio che Elisa trovò vagamente inquietante "non te ne pentirai, sei in una botte di ferro con me" sussurrò estasiata. Elisa fece una smorfia "di ferro proprio" mormorò preoccupata.


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Alessandro non l'avrebbe mai, mai, mai ammesso, ma, in tutta sincerità, se la stava facendo sotto. Proprio come un adolescente brufoloso con annesso apparecchio al primo appuntamento. Fece ruotare il te freddo nel bicchiere di vetro un'altra volta, lo sguardo sempre più vacuo. Al suo fianco, Simone sbuffò forte "Alessandro, non diventare un ameba, ti prego" sbottó frustrato. Alessandro non si diede nemmeno la pena di voltarsi a guardarlo "mh" mormorò assente. Simone si passò una mano sugli occhi e mollò sul bancone il boccale di birra "Ale, stai bevendo un te freddo" esclamò esplicito, lanciando un occhaitaccia al bicchiere dell'amico " solo perché devi vedere una ragazza" concluse schifato. L'altro lo guardò male " ma lo capisci che non voglio fare cazzate, Simone? Per una volta, potresti gentilmente lasciarmi fare?" sibilò. Simone riprese tra le mani il boccale e fece spallucce "come vuoi" mormorò, fingendo indifferenza "ma ti dico una cosa, amico" si voltò verso Alessandro e lo guardò, serio come mai prima "quando le donne ti impediscono di berti una birra con il tuo migliore amico, allora sei diventato loro succube. Non farti traviare da Elisa, Ale!". Ad Alessandro, detto in tutta sincerità, veniva leggermente da ridere. Ma, come solo un vero gentleman inglese sa fare, strinse le labbra e guardò a sua volta Simone. "Quindi secondo te sarei succube di una donna già al primo appuntamento?" domandò con un sorrisetto. Simone scosse il capo tristemente e prese un gran sorso di birra "non sai mai cosa possono farti, quelle la. Sono belve feroci infiocchettate in una bella carta regalo, te lo dico io". E con questa perla serale, Alessandro si decise a vuotare il bicchiere.


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Elisa, guardando il tendone bianco e la gente allegra che ballava sul palcoscenico montato prontamente sul suo campo di zucche, si sentì molto stupida. In primis perché aveva dato appuntamento ad Alessandro in un posto dove, evidentemente, si stava svolgendo la sagra della zucca, e in secondo luogo perché indossava delle scarpe col tacco scomodissime. Sbuffò forte e si strinse nel maglioncino panna che indossava. In quel momento, appoggiata ad una staccionata di metallo con la musica di fisarmonica nelle orecchie, le veniva davvero da piangere. Aveva rovinato tutto, un'altra volta. Ma come era possibile che proprio quel dannatissimo giorno, proprio quando avrebbe dovuto incontrare Alessandro senza tante storie, proprio quando forse lui l'avrebbe finalmente baciata su quel bellissimo campo di zucche da cui si vedono le stelle, le si dovesse piantare davanti una allegra festa paesana di cui non uno al mondo conosceva l'esistenza. Sagra della zucca, pensò Elisa con disprezzo, che cosa orribile. Il campo di erba tagliata di fresco si estendeva per molto spazio davanti ai suoi poveri piedi schiacciati nelle scarpe strette, ed era tutto occupato da tavolate di gente che beveva e mangiava zucca. L'orchestra suonava canzoni che conoscevano solo gli anziani, ma sembrava non importare a nessuno. Roteavano sul palco ragazze sorridenti con i vestiti buoni, le scarpe delicate e i capelli acconciati, strette tra le braccia di ragazzi impacciati con le guance arrossate. Coppie anziane ripetevano i passi ballati così tante volte da giovani, sorridendo malinconici guardando con affetto i volti segnati da rughe dei compagni di una vita. Ed Elisa si ritrovò a sorridere, nonostante il fatto che, probabilimente, la sua serata importante era rovinata, sorrise perché era tutto così leggero e semplice che sembrava gallegiare nel vuoto della notte e nel silenzio del tempo. I bambini che si inseguivano tra le gambe dei ballerini improvvisati sul palco, l'odore di fritto, la gente che rideva, qualche abbraccio occasionale. Ed era tutto bellissimo, nonostante lo odiasse.


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Alessandro indossava una camicia bianca con i primi due bottoni lasciati aperti, dei jeans normalissimi e teneva stretta in mano una rosa rossa. Banale, decisamente banale, si ripeteva nella mente mentre svoltava l'ennesimo angolo. Magari ad Elisa sarebbe piaciuto il pensiero anche se...no, forse avrebbe fatto meglio a buttare via il fiore. Si passò una mano tra i capelli, frustrato, mentre l'ultima luce del giorno svaniva dietro ad una chiesetta. L'aria era fresca e frizzante e Alessandro si ritrovò a sorridere di impazienza. Finalmente era certo che avrebbe rivisto Elisa, senza complicazioni ne errori vari. Lei ci sarebbe stata e lui ci sarebbe stato. Il resto, poi, veniva da se. Camminò spedito ancora qualche metro, i passi che rimbombavano sul marciapiede sconnesso. Poi, quando voltò l'ultimo angolo, si trovò davanti al campo di zucche dove così spesso aveva giocato a calcio da bambino. Si estendeva, grande e vivace, per tutta la vallata, ma non era vuoto come si sarebbe aspettato. Gremitava di vita e di gente, si sentiva in lontananza la musica e l'odore di zucca, ed Alessandro, mentre iniziava a scendere le scalette, si chiese se Elisa avesse scelto quel posto proprio per la festa paesana. Perché aveva l'idea che Elisa fosse così, teneramente anticonformista e tremendamente imprevedibile. E gli piaceva un sacco anche per questo.


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" Ehi ehm...ti va, cioè, beh, si, ti va, per caso, di ballare con...con me?". Il ragazzino dagli occhi lucenti che si era parato davanti ad Elisa la fissava ad intermittenza, guardando prima lei, poi le sue scarpe. La ragazza fece un sorriso intenerito e guardò il ragazzino. Avrà avuto quattordici, massimo quindici anni. " Ciao, mi dispiace, ma sto aspettando un altro" mormorò osservandolo. Il ragazzo alzò il capo verso di lei e fece sprofondare le mani nelle tasche "Ah" sussurrò deluso "il tuo ragazzo". Elisa si tratrenne dal ridacchiare "beh, in realtà no, non è ancora il mio ragazzo questo è il nostro...primo appuntamento". Il ragazzo si animò tutto, facendo un sorriso luminoso "oh, bene! Allora ho qualche speranaza!" esclamò su di giri. Poi le si avvicinò di un passo "se si comporta male cercami e dimmelo, così ci penso io a lui, e magari noi ci facciamo un ballo". Detto questo le stampò un bacio sulla guancia e, rosso in viso e allegro, si allontanò, lasciandosi alle spalle una Elisa allibita e piuttosto divertita. "Ah, Elisa, dimmi con quanti tuoi spasimanti dovrò combattere prima di poter passare del tempo con te" esclamò all'improvviso una voce melodrammatica alle sue spalle. Elisa, colta alla sprovvista, fece un balzo e si voltò di scatto. Quando vide Alessandro che le sorrideva vivace proprio dietro di lei, fece una risatina " Beh, se conti questo e quel bambino di sei anni che mi ha chiesto di ballare dieci minuti fa sei a due, e sono entrambi contendenti minori di diciott'anni, quindi direi che potresti batterli" " magari uscirei incolume...sei qui da più di dieci minuti? sono così in ritardo?" chiese preoccupato, cambiando velocemente tono. " no, per nulla, sono io che sono arrivata presto". Guardando Alessandro con attenzione, notò uno strano sorriso furbo dipingersi sul suo volto. Le si avvicinò di un passo, sino a che lei non sentì l'odore fresco del suo dopobarba "e come mai sei arrivata così presto?" chiese a bassa voce. Elisa, come era logico aspettarsi, si incendiò immediatamente "oh, beh, io volevo...controllare se...ecco, il campo di zucche...c'era...ancora?" mormorò flebilmente. Alessandro fece un minuscolo ghigno "avevi paura che non venissi?" domandò. Aveva una bella voce, calda e bassa, che ad Elisa ricordava, chissà perché, il rumore delle onde del mare. Bastò il rossore diffuso sul viso della ragazza come risposta alla domanda di Alessandro. Con un sorriso leggero le si allontanò appena "ho una...cosa per te" disse senza guardarla negli occhi. Elisa non avrebbe saputo dire come, ma era certa che fosse imbarazzato. Alessandro portò una mano dietro alla schiena e armeggiò per qualche secondo. Quando le porse una rosa rossa, Elisa trattenne il fiato. "Oh" mormorò soltanto, guardando il fiore che lui le porgeva. Allungò una mano tremante e prese lo stelo senza spine della rosa, portandola al viso. Chiuse gli occhi e inspirò il suo odore delicato e, quando guardò il volto rosso di Alessandro, sorrise dolcemente "grazie, è bellissima" sussurrò, stringendo il fiore al petto. "Beh...sono contento che ti piaccia" rispose Alessandro, una mano dietro al collo. Elisa, felice, sorrise e, in uno slancio di coraggio, gli porse una mano "Ti va di mangiare qualcosa? C'è un odore di zucca delizioso".


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"Allora" cominciò Alessandro, prendendo un pezzo di zucca al forno dal contenitore in plastica "avevi scelto questo posto per la sagra della zucca o è stato un incidente di percorso?" chiese curioso, guardando Elisa. La ragazza, seduta al tavolo di fronte a lui, fece cadere nel piatto la zucca che stava mangiando "ah, che stupida" mormorò raccttandola, cercando di nascondere l'imbarazzo. Quando fu nuovamente con la forchetta tra le mani, fece un sorriso incerto "incidente di percorso...non lo sapevo, mi aspettavo il classico vecchio campo di zucche, e invece..." borbottò, guardando la gente intorno che mangiava ai tavoli. Alessandro la guardò per qualche secondo "a me piace" disse semplicemente. Elisa gli sorrise grata "anche a me, molto" sussurrò. Il ragazzo posò sul tavolo le posate e sorrise "allora, ti va di ballare?" chiese allegro. Elisa appoggio il tovagliolo sul piatto e si alzò dalla panca di legno "certo che si!" esclamò, contenta come una bambina, guardando il palco li vicino. In quel momento, la banda, stava suonando una canzone vivace con parole messe a caso giusto per far rima, ma nessuno ci badava. Elisa, la mano stretta in quella delicata di Alessandro, si fermò qualche secondo a bordo pista per vedere la gente che ballava. Sorridevano tutti. C'era il sorriso sdentato del bambino stretto alla mamma, che ondeggiava lentamente al centro della pista, c'era quello tirato della donna di mezza età, che borbottava ogni volta che il marito le pestava un piede, c'erano quelli un po' altezzosi di una coppa nordica che ballava benissimo zigzagando tra la gente. E c'era gente, tanta gente. La nonna che ballava con la nipote, ricordandole ogni tre secondi che "non devi poggiare i piedi così, vedi? Appoggi e fai questa specie di saltello, brava, stai imparando" oppure le adolescenti a bordo pista che sibilavano frustrate perché "nessuno mi sta invitando a ballare! eppure mi sono anche truccata!". Ed era tutto accompagnato da una musica semplice, cantata da una voce mediocre. Ma era bellissimo. E dolce. Alessandro si chinó su Elisa sino a sfiorarle il collo con il naso, facendola rabbrividire "io non so ballare" sussurrò piano al suo orecchio. Elisa si voltò appena verso di lui e gli strinse la mano "nemmeno io" mormorò con un sorriso, portandolo lentamente sulla pista. Ballarono con passi appena accennati, ondeggiando leggeri tra la gente, senza fare altro che guardarsi negli occhi senza riuscire a dire nulla. Ballarono lentamente, senza fretta, diventando parte perfetta di quel quadro senza tempo, galleggiando verso il cielo nero pece. E, quando la canzone finì, ballarono ancora un poco, persi l'uno negli occhi dell'altro, senza più pensare a nulla. Quando Alessandro si chinó appena su di lei, Elisa chiuse gli occhi. E il suo bacio fu un leggero sfiorarsi di labbra, un fugace assaggio di loro. Ma fu bellissimo. E dolce.





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Dedico questo capitolo a mia nonna, che è mancata la settimana scorsa. Può non essere bello, può essere pieno di errori e magari non ti sarebbe piaciuto nemmeno. Ma lo so che mi avresti sorriso lo stesso. Un sorriso un po'stanco, un po' segnato. Mi avresti detto che se a me piace come è venuto fuori, ne è valsa tutta la pena del mondo. E se faccio ciò che amo non sbaglio mai. Grazie, di tutto.

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Capitolo 15
*** 15° incontro: Biblioteca ***


"Il cavaliere era così forte agli occhi della principessa mentre, con grande coraggio, sfidava l'orrendo drago. Il grande mostro cercava in tutti i modi di incendiare con il suo alito di fuoco l'impavido cavaliere, ma questo era davvero troppo furbo per lui, così, mentre la principessa si copriva gli occhi per non guard-" "non ho capito" mormorò il bambinetto seduto sul tappeto a gambe incrociate. Elisa sollevò lo sguardo dal libro di fiabe che teneva in grembo e sospirò "cosa non hai capito, Mattia?". Il bambino fece una smorfia "ma non ha senso!" esclamò spalancando le braccia "se il cavaliere sfida il drago muore incendiato!". Elisa si trattenne dal ridere " ma il cavaliere vuole salvare la principessa, tesoro! Rischia la vita per lei! È una cosa nobile". Il bambino corrucciò le sopracciglia, come se avesse la sensazione di essersi perso qualcosa per strada "non è nobile. È stupido". Elisa ridacchiò appena per poi scoccarglì un'occhiata severa "non si dicono queste parole, Mattia" "ma tu le dici!" borbottò il bambino imbronciato. Elisa incrociò le braccia al petto "non è vero, io non le dico mai" "invece si! Mentre venivamo qui hai detto "deficente" al signore sull'autobus". Elisa, al ricordo dell'omone scorbutico e irascibile che avevano incontrato quella mattina andando in libreria, arrossì appena "beh, si, hai ragione, ma queste parole non si dicono lo stesso, okay?" "okay" boffonchiò Mattia non troppo convinto. "Va bene" sussurrò poi Elisa, lasciando perdere. "Dove eravamo rimas-" " chi fa tutto questo baccano?" la interruppe una voce gracchiante da dietro un lungo scaffale ricolmo di libri. Mattia, preso di contro piede, spiccò una corsa terrorizzata sino ad Elisa, che si ritrovò il bambino appiccicato addosso. Quando spuntò da dietro lo scaffale la bibliotecaria proprietaria della voce acida, Elisa si tratenne a stento dallo sbuffare. Ogni singola volta in cui aveva messo piede in quella biblioteca, quella donnina raggrinzita non aveva fatto altro che seguirla come un segugio da caccia, pronta a sgridarla al minimo rumore. Elisa fece un sorriso tirato "mi scusi, stavo raccontando una storia al bambino" mormorò guardando Mattia seduto sulle sue gambe che fissava indispettito la bibliotecaria. La donna strinse le labbra "è suo figlio?" domandò acida. Elisa corrucciò le sopracciglia "no, sono la babysitter, ma non vedo come questo possa cambiare qualcosa" borbottò. La bibliotecaria fece un sorriso arcigno "se fosse stato suo figlio avrei potuto darle qualche prezioso consiglio su come crescere quella piccola peste che ha in braccio, ma non essendo così, beh...cerchi di fare silenzio" mormorò voltandole le spalle. Elisa sgranò gli occhi, esterrefatta "ma come di permette" sibilò arrabbiata. Mattia fissò per qualche secondo il punto da dove era sparita la vecchia bibliotecaria e fece una smorfia. "Lei può essere la strega cattiva, Elisa?" domandò con una vicina flebile, appoggiando la testa sul petto della ragazza. Elisa sorrise appena "direi proprio di si" sussurrò divertita.


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"Ale non puoi capire cosa mi è successo Dio santo, non puoi nemmeno immaginare che culo abbiamo avuto, anche se, in realtà, è tutta bravura, ma non so, davvero, sto uscendo di testa e mia so-" " ciao anche a te, Simone" borbottò Alessandro con uno sbadiglio. Se avesse dovuto stilare una lettera per elencare tutti i modi in cui preferirebbe non essere svegliato, beh, un Simone urlante al telefono si aggirerebbe di certo tra le prime posizioni. Forse solo sua zia Concetta con un carico dei suoi amabili biscotti spacca denti lo avrebbe potuto superare. Forse. "Ah già, scusa" rispose veloce Simone "buongiorno, amico. Okay, ti stavo dicendo, quando ci hanno scelto come gruppo per il mega concertone del prossimo weekend stavo davvero uscendo di testa! Praticmente-" " Aspetta un attimo" lo interruppe Alessandro sgranando gli occhi "vi hanno scelto per il concerto? Ho sentito bene?" chiese entusiasta. Si sentì Simone ridacchaire "certo che si, che ti aspettavi, siamo i migliori sulla piazza" ironizzò con falsa modestia. Alessandro scoppiò a ridere allegro. Simone faceva parte di una band punk-metal-rock-melanconica, un genere che Alessandro non credeva nemmeno esistesse ma su cui non si era mai dato la briga di indagare, insieme a sua sorella Anna e qualche altro amico del gruppo. Aveva ascoltato qualche loro canzone e non erano niente male, ma il fatto che erano stati davvero scelti per aprire il concerto che si sarebbe tenuto il sabato dopo era una notizia bomba. Sorrise divertito nel sentire Simone lanciarsi in un racconto dettagliato "e poi, non immagini Riccardo che faccia ha fatto, davvero!" esclamò esaltato "ti giuro che si è messo a piangere dalla gioia! Glielo rinfaccerò per tutta la vita!". Alessandro scoppiò a ridere "beh, amico, complimenti. Allora stasera usciamo tutti per festeggiare?" propose allegro. "Ovvio che si, Ale, non vedo l'ora di farti vedere la foto che ho fatto a quel coglione di Riccardo, ma, senti...posso chiederti un favore?" chiese poi, la voce gentile e cortese assolutamente non da lui. Alessandro sbuffò sdraiandosi sul divano "dipende, Simo. Se devo andare da tua madre a raccattare di nuovo la tua chitarra la riposta è ovviamente no, lo sai che se varco la soglia di casa tua poi ne esco tre ore dopo con quattro teglie di lasagne perché, a detta della tua genitrice, sono troppo sciupato". Simone rise nel telefono "Dio, me lo ricordo ancora, ho riso per secoli...comunque no, è facile da fare. Praticamente, Anna ha ordinato un libro alla Biblioteca in Piazza dei mille, ma non può passare a prenderlo, così ha chiesto a me, ma io non posso passare a prenderlo perché devo mettere a posto camera mia, quindi magari, dico, magari, puoi farlo tu, caro". Alessandro ridacchiò nel telefono "devi mettere a posto camera tua, piccino?" sogghignò. "Oh, senti, non ti ci mettere anche tu adesso, che sei l'unico del gruppo a vivere da solo" mugugnò. Alessandro incarcò le sopracciglia "ah, davvero? Guarda te, e io che pensavo che Francesco fosse stato l'ultimo di noi a traslocare in una casa da solo. Traslaciando te, amico, ovviamente, che persisti nel rimanere a casa dei tuoi". Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Simone sbuffò "allora, che fai, vai tu in Biblioteca o no?" cambiò drasticamente argomento, facendo sorridere l'amico. "Certo che ci vado io, cosa non si fa per gli amici...ma tu vedi di tirare su tutte le mutande sparse in camera tua, Simo, lo sai che poi tua mamma s'arrabbia" lo provocò, immaginandosi la sua faccia. "Oh, ma vaffanculo" rispose Simone, trattenendo una risata. Quando Alessandro ebbe buttato giù lanciò un'occhiata alla finestra dove battevano da qualche minuto grosse gocce di pioggia. Con uno sbadiglio si alzò dal divano, pensando che, se fosse dovuto andare alla biblioteca, avrebbe fatto bene a sbrigarsi, perché il tempo sarebbe di certo peggiorato.


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" E fu così che la principessa, sporgendosi oltre il davanzale della sua alta torre sorrise al suo coraggioso cavaliere" lesse Elisa, segretamente rapita da quella favola per bambini "e quando gli diede un bacio, l'incantesimo della vecchia strega svanì. Tutto tornò alla normalità e vissero tutti felici e contenti. Fine". Elisa chiuse a malincuore il libro di racconti e guardò Mattia seduto sulle sue gambe. La fissava con i suoi due grandi occhi azzurri sgranati e continuava a torturarsi in grembo le manine, ansioso, come se si aspettasse ancora il finale. Elisa sorrise "è finita, tesoro" mormorò dolcemente. Mattia mise su un broncio "non è vero! Le storie non finiscono davvero così!" borbottò. Elisa si appoggiò alla poltrona e ridacchiò piano "ah si? E come finiscono davvero le storie?" domandò. Il bambino fece un sorriso furbo e saltò giù dalle sue gambe, iniziando a saltellare "ci sono tantissimi combattimenti! Il cattivo muore con una spada nel cuore" e mimò una dubbia morte orrenda contorcendosi sul tappeto a terra "e il cavaliere che è bravo va in un'altra avventura!" esclamò entusiasta, alzandosi in piedi "non bacia" fece una smorfia "una stupida principessa". Elisa scoppiò a ridere, per poi tapparsi la bocca per non fare rumore "vieni qui, terremoto" mormorò battendosi le mani sulle gambe. Il bambino si sedette e la guardò curioso, inclinando il capo "quando sarai grande, non la penserai più così" gli disse piano, con un sorriso. Mattia scosse la testa "no, non è vero, mi fanno schifo i baci". Elisa ridacchiò di nuovo "adesso si, perché sei piccolino..." "io non sono piccolino!" "ma quando sarai più grande e troverai la tua principessa non vedrai l'ora di baciarla". Il bambino la guardò confuso, poi assottigliò gli occhi "tu ce l'hai un principe?" le chiese poi, incrociando le braccia. Elisa arrossì sino alla radice dei capelli. Non l'avrebbe ammesso mai, ma la prima persona a cui aveva pensato era stato Alessandro, il ragazzo delle casualità con cui era uscita la settimana prima. Si erano concordati per rivedersi il weekend dopo per andare assieme ad un concerto, ma doveva ammettere che le mancava davvero più di quando avrebbe dovuto, con i suoi sorrisi dolci e i suoi occhi brillanti. Sospirò appena e guardò Mattia "non lo so...forse?" mormorò. Il bambino fece una smorfia "non è vero, non si può non avere un principe" le rispose categorico. Elisa risa appena "invece si che si può. Forse l'ho trovato, ma non sono sicura. Bisogna vedere come va a finire" borbottò. Mattia fece un sorriso enorme "fino a che non lo sai, posso essere io il tuo principe? Però senza baci, che schifo! Ma se vuoi mi puoi leggere le storie, quelle mi piacciono" esclamò allegro. Elisa sorrise e gli accarezzò i capelli morbidi "non so se al mio quasi-principe andrebbe bene questa cosa" sussurrò. Mattia fece una faccetta scandalizzata "ma allora è un cattivo! Con la spada posso ucciderlo!" strillò, scattando in piedi e iniziando a mettere in scena di nuovo la morte di un qualche personaggio. Elisa rise, e, colta alla sprovvista, trasalì quando dallo scaffale da dove era spuntata prima la bibliotecaria cadde un libro. Alzò svelta lo sguardo aspettandosi di vedere la figura rachitica della donna e si preparò mentalmente all'ennesima sgridata.


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"Dio, lo sapevo che sarebbe venuto giù il diluvio universale" sussurrò a labbra strette Alessandro entrando nella biblioteca. Era totalmente scolo nonostante si fosse portato dietro un ombrello, e l'ultima cosa che aveva voglia di fare era venire rimproverato dai soliti bibliotecari rompi palle. Si levó la felpa zuppa e la lasciò su un appendiabiti all'ingresso. Quando abbassò lo sguardo e notò che la maglietta che indossava si era totalmente appiccicata al suo torace sbuffò forte. Fece qualche passo scivoloso sino a che non giunse ad una scrivania che rigurgitava libri e post-it da ogni dove. "Ehm...c'è qualcuno?" borbottò posando una mano sul legno lucido. "Le sembra un modo dignitoso di presentarsi davanti ad una signora?" sussurrò una voce astiosa alle sue spalle. Alessandro si voltò e, quando vide la figura accartocciata della donna, sospirò "mi scusi...è lei la bibliotecaria?" domandò stancamente. La donna fece passare velocemente lo sguardo sui muscoli abbastanza evidenti del ragazzo e guardò male le piastrelle del pavimento "si, mi segua" borbottò andando dietro alla scrivania. Quando si fu seduta alla sedia girevole e ebbe acceso il computer preistorico che occupava una buona parte del tavolo, la donna lo guardò con un cipiglio nervoso "allora? È qui per ritirare un libro o per consegnarne uno?" domandò. Alessandro si trarrenne dall'alzare gli occhi al cielo "ritirare. È per Anna Caputi, una mia amica, non so, credo sia una romanzo rosa" borbottò. La donna inserì il nome della ragazza digitando sulla tastiera scalercia e assottigliò gli occhietti "uhm, si, ha ordinato 'Cento volte prima di innamorarmi di te'...titolo lunghetto, eh? Beh, vado a prenderlo, aspetti qui" sussurrò sparendo dietro ad una porta. Alessandro era partito con il presupposto di aspettare davvero lì per il tempo che la donna avrebbe impiegato nella ricerca, ma dopo nemmeno venti secondi era già annoiato a morte. Iniziò così a guardarsi attorno e a percorrere corridoi stretti strabordanti di libri. Non gli era mai piaciuto troppo leggere, anche se doveva ammettere che, se il libro lo prendeva, riusciva a finirlo in davvero pochi giorni. Quando superò il reparto fantasy facendo scorrere lo sguardo sugli ultimi arrivi era del parere di tornare indietro prima che la vecchia tornasse, fino a che sentì una voce delicata scoppiare a ridere. Incuriosito iniziò a seguire quel suono dolce, sempre più certo che fosse di qualcuno che conosceva bene. Quando la risata si spense, Alessandro sentì altri borbottii e qualche altra risata. Forse qualche strillo. Oltre alla voce della ragazza si capiva bene che ce n'era un'altra, forse di un bambino. Quando, a spararlo daI proprietari delle voci, ci fu più solo uno scaffale, Alessandro si rese conto di non potere uscire allo scoperto nelle condizioni in cui era, la maglietta fradicia e le scarpe scivolose. Sbuffò e spostò qualche libro dallo scaffale per vedere oltre. Non seppe il motivo per cui lo fece. Probabilmente banale curiosità, o forse era davvero certo di conoscere quella risata. Fatto sta che, quando mise da parte un'enorme enciclopedia, non fu così tanto sbalordito dal trovare Elisa, proprio la sua Elisa, ridere dolcemente di un bambino che si contorceva a terra. Sorrise involontariamente mentre il suo sguardo si posava sulle labbra di lei. "Vieni qui, terremoto" la sentì sussurrare al bambinetto . Quando lui si accomodò sulle gambe di Elisa, lei gli sorrise teneramente. "Quando sarai grande, non la penserai più così" gli disse, e Alessandro si chiese di cosa diavolo stesse parlando. Tese di più l'orecchio per sentire meglio, consapevole di starsi comportando esattamente da vecchia pettegola. "No, non è vero, mi fanno schifo i baci" mugugnò il bambino. Alessandro fece un sorrisetto: la faccenda si faceva interessante. Elisa fece una risata allegra "adesso si, perché sei piccolino..." "io non sono piccolino!" la interruppe lui offeso "ma quando sarai più grande e troverai la tua principessa non vedrai l'ora di baciarla" continuò imperterrita lei. Alessandro trattenne il fiato e si alzò sulle punte dei piedi "tu ce l'hai un principe?" le chiese il bambino, e Alessandro non poté fare altro che concentrarsi al massimo per sentire la risposta. Si sentì qualche borbottio sconnesso, e poi un "forse?" mormorato appena."Non è vero, non si può non avere un principe" rispose il bambinetto. Alessandro non poté fare a meno di concordare con lui. Non aveva mai provato quella sensazione prima, nemmeno per Nicoletta, ma era certo di volere essere lui il principe di cui Elisa parlava. La ragazza rise un poco "invece si che si può. Forse l'ho trovato, ma non sono sicura. Bisogna vedere come va a finire" borbottò. Il ragazzo agrottó le sopracciglia. Avrebbe voluto saltare fuori dalla libreria e dirle che non esisteva assolutamente nessun forse. "Fino a che non lo sai, posso essere io il tuo principe? Però senza baci, che schifo! Ma se vuoi mi puoi leggere le storie, quelle mi piacciono" esclamò il bambino. Alessandro alzò gli occhi al cielo. Era possibile che ogni bambino, ragazzino, uomo e vecchio che Elisa incontrasse le chiedesse di essere il suo fantomatico "principe azzurro"?. Il ragazzo sentì una risatina "non so se al mio quasi-principe andrebbe bene questa cosa" sussurrò poi Elisa, e Alessandro concordò mentalmente. Poi però venne colto da un dubbio. E se non fosse lui il ragazzo di cui parlava Elisa? No, non era possibile, lei non era il tipo di ragazza che frequenta due persone insieme. Anche se, beh, non poteva essere certo che stesse parlando di lui. Solo ci sperava. Ci sperava tantissimo. D'un tratto Alessandro, ancora in bilico sulle punte, sentì le suole fradice delle scarpe slittare sul pavimento scivoloso, e si ritrovò a dover trattenere un urlo. Si aggrappò forte allo scaffale, e non si rese conto subito di aver scontrato l'enciclopedia di prima. Il grande libro traballò per qualche secondo, per poi cadere precipitosamente verso terra. Il suono che produsse sembrò ad Alessandro molto simile ad un boato, e alzò subito lo sguardo verso Elisa, che aveva appena smesso di ridere. Beccato.


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Elisa allungò il collo per cercare di vedere tra i libri dello scaffale "signora Edna? Mi dispiace, non volevo fare rumore" disse, sperando così che la bibliotecaria accettasse le scuse e non comparisse nemmeno nella sua visuale. Purtroppo o per fortuna non fu così. Perché, pochi secondoi dopo, una figura slanciata ed atletica comparve oltre allo scaffale. E non era certamente la bibliotecaria. "Alessandro?" Elisa emise un verso strozzato mentre portava una mano alla bocca "non ci credo" sussurrò. Alessandro era bello esattamente come all'appuntamento della settimana prima, ma aveva un qualcosa di più che impediva ad Elisa di pensare ad altro oltre che a lui. Forse era per i suoi capelli, così adorabilmente spettinati, o per la sua maglietta, bagnata e appiccicata al petto. Okay, probabilmente per la seconda. Elisa scosse la testa e afferrò di slancio il polso di Mattia, che giocava ancora sul tappeto. "Ciao, ehm...che ci fai qui?" domandò imbarazzata, alzandosi. Alessandro, che da quando aveva fatto la sua comparsa era stato stranamente zitto, fece un sorriso allegro "dovevo passare a prendere un libro...e tu?" chiese curioso, andandole incontro. Elisa arrossì "io...beh, faccio la babysitter a Mattia" mormorò scrollando la manina del bambino. Mattia sbuffò, cercando di caturare l'attenzione di lei "Eli! Lui chi è? Il tuo mezzo principe?" domandò innocente. Se Elisa avesse potuto, sarebbe beatamente morta lì, in quella biblioteca che puzzava di muffa. Ridacchiò nervosamente, sperando che Alessandro non avesse sentito nulla del discorso di poco prima "ma no, tesoro, quella era una favola!" esclamò con voce acuta. Il bambino non sembrava molto convinto, e nemmeno Alessandro. Elisa lo vide sorridere appena e avvcinarsi "e così hai un principe?" domandò a voce bassa. Oh, quanto le piaceva quella voce. "Eh? Cioè, era una storia, solo una fiaba, non-" " si, ma non hai risposto alla mia domanda. Hai un principe, Eli?" sussurrò. Elisa arrossì furiosamente e strinse la mano al bambino "ahia! Mi hai fatto male, Elisa!" strillò questo. Elisa lasciò la presa e gli accarezzò i capelli diatrattamente "Ale, non so cosa tu stia dicendo" mentì. Mattia camminò spedito sino a che non fu a fianco del ragazzo "ti sta chiedendo se può essere il tuo principe. Va bene, te la lascio, ma devi trattarla bene" disse poi ad Alessandro. Sia il ragazzo che Elisa sgranarono gli occhi. "Cosa?" sussurrò Elisa stravolta. Alessandro si voltò verso Mattia con un sorriso enorme e gli battè il cinque "sei forte, piccoletto" esclamò allegro. Mattia rise e corse ad attaccarsi alle gambe di Elisa. La ragazza fissava Alessandro ad occhi sgranati, le labbra che tremavano appena "cosa diavolo sta succedendo?" sussurrò. Alessandro stava aprendo la bocca per dire qualcosa, quando dallo scaffale uscì veramente la vecchia bibliotecaria zitella. "Tu! Scostumato, dove eri finito? E tu, ragazzina, fa meno chiasso con quella peste, te l'ho già detto!" berciò interrompendo Alessandro. Elisa non seppe se esserne felice o tremendamente arrabbiata. "Su, vieni con me" borbottò tascinando via il ragazzo per una mano. Elisa fece un passo nella sua direzione, come se avesse voluto seguirlo "Ale! Allora il prossimo weekend? Ci vediamo?" domandò veloce mentre la vecchia lo tirava via. Alessandro le sorrise "Non me lo perderei nemmeno se cascasse il mondo" sussurrò.





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Ascoltatemi per un attimo! Okay, allora, gentaglia, scusate per il ritardo, intanto. Okay, ora, vi scongiuro, continuate a leggere. Mi dovete dare un consiglio sulla storia, perché non so più cosa fare. Ero partita con l'idea di farla lunga cento capitoli, ma mi sto chiedendo se non sarebbe meglio abbreviare la storia. Che so, magari farla diventare "Venticinque volte prima di innamorarmi di te". E sarebbe anche tanto, forse. Perché secondo me farla arrivare ai cento è una cosa molto forzata. Nel senso, si piacciono già ora che siamo al 15, se vado avanti così diventa troppo tutta uguale e noiosa, no? Non so, vorrei sapere che ne pensate, è molto importante per me. Se vi va passate a leggere anche un'altra mia storia "Le stelle bugiarde" che aggiornerò domani, credo. Comunque grazie per avere letto, e datemi qualche consiglio se potete! Un bacio,

CappelloParlante

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Capitolo 16
*** 16° incontro: Porta di casa ***


Mi scuso davvero per il ritardo, ragazze. Sono stata un sacco impegnata tra studio e cose varie, ma non credo posso interessarvi particolarmente. Quindi, beh, niente, grazie a chi continua a leggermi, davvero, nonostante aggiornamenti a casaccio. Vi lascio ad Ale ed Eli:)








Giuseppina, la madre di Alessandro, allegra cinquantanovenne di provincia, era stata certa di essere ad un passo dalla morte almeno venti volte in tutta la sua vita. Il primo caso di morte mancata era accaduto in estate, quando ancora Alessandro viveva con i suoi genitori. Giuseppina si era messa a cacciare degli urli tremendi durante la notte ed il marito, Gianfranco, si era preso davvero un bello spavento. Era stata ricoverata all'ospedale di S. Benedetto per qualche giorno, e poi se ne era tornata a casa, perfettamente in salute, come se non fosse mai accaduto nulla. Un po' meno bene era stato Gianfranco, che, dopo gli urlacci della moglie, aveva dovuto adattarsi al nuovo apparecchio acustico. In ogni caso, ormai, nessuno si preoccupava più di tanto, nemmeno Giuseppina in persona. Solitamente tutto si svolgeva secondo il solito copione. Giuseppina, parzialmente preoccupata, chiamava Alessandro e lo informava della sua imminente morte. Il ragazzo annuiva distratto, poi domandava se la dovesse portare lui all'ospedale oppure se se ne sarebbe occupato il padre. La donna cianciava per qualche minuto raccontando che il marito aveva scassato la macchina trafficandoci il giorno prima, e Alessandro concludeva puntualmente che sarebbe toccato a lui scarrozzarla in giro. Ecco, solitamente andava tutto così. Solitamente. Perché quel sabato stranamente caldo, quando il telefono fisso in casa di Alessandro squillò, nessuno si sarebbe mai aspettato che Giuseppina, per la prima vola dopo anni e anni senza nemmeno una linea di febbre, stesse davvero male. Il ragazzo, ancora mezzo addormentato, barcollò sino al telefono abbandonato sul divano e lesse il numero che lo stava chiamando. Casa dei suoi. Con uno sbuffo rassegnato premette il tasto verde. "Pronto?" boffonchiò soffocando uno sbadiglio "Sandro Dio mio, sbrigati, tua madre stà morendo!". La voce bassa ed agitata di suo padre lo accolse, obbligandolo ad allontanare leggermente il telefono dall'orecchio "papà? Ma stai scherzando? Non devi mica preoccuparti! Dai, sarà la terza volta in questo mese, sai come vanno queste cose, passami la mamma che mi dice quando devo passarla a prendere" mormorò, lanciando un'occhiata allo scaffale con i biscotti. Quella mattina non c'era un solo pacco pieno, e con una smorfia rassegnata Alessandro realizzò che sarebbe dovuto andare a fare colazione al bar. "Alessandro non sto scherzando mica, io! Stavolta muore davvero! Ho chiamato l'ambulanza, stanno arrivando, tu vai al solito ospedale, veloce!" tuonò la voce di suo padre. Alessandro, per qualche secondo, non sentì più nulla. Era tutto ovattato, silenzioso, tutto così calmo e tranquillo. Non c'era la voce di suo padre, così sofferente e preoccupata, non c'erano i lamenti acuti di sua madre in sottofondo, che si era sforzato di ignorare sino ad allora, non c'era più nulla. Era solo, nel vuoto. Quello fu l'ultimo istante di quiete prima che la realtà gli piombasse sul petto, pesante come un'incudine. Alessandro dovette prendere fiato più volte prima di riuscite ad elaborare una frase "papà...sei, Dio, sei serio? Sta male davvero?" chiese velocemente, mentre correva in camera sua per infilarsi un paio di pantaloni. Non capiva più nulla, sentiva come se non fosse lui a muovere le gambe, le braccia, come se non fosse lui a parlare. Si sentiva come una grande, goffa marionetta, i cui fili finivano direttamente in mano al terrore più puro, che lo faceva muovere a scatti tentando di fare qualcosa di utile. "Alessandro, sta male! Vieni qui, cazzo, sbrigati! Ci vediamo al San Benedetto" e buttò giù. Alessandro, per la prima volta dopo anni avrebbe voluto solo acasciarsi a terra e chiudere gli occhi, senza pensare più. Ma non lo fece lo stesso. Gettò il telefono sul divano e si infilò veloce le scarpe. Giusto il tempo di prendere le chiavi della macchina al volo ed era già giù per strada, la maglietta del pigiama e i pantaloni della tuta addosso, cercando di non scoppiare a piangere.





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" Colazione per due a letto!". Elisa non aprì subito gli occhi. Perché sentire la voce squillante di Aliana alle dieci di mattina in casa sua non era una cosa normale, e perché le due mani fastidiose che la stavano scrollando non sarebbero dovute esserci. "Elisa, dai, ti ho preso fatto anche il caffè!" mugugnò la voce di sua sorella, facendole aprire un solo occhio. Elisa squadrò la Aliana, sorridente e china su di lei, e agrottò le sopracciglia "come sei entrata in casa mia?". Aliana alzò gli occhi al cielo "ho una copia delle tue chiavi da anni, Sasà". Elisa si mise a sedere tra le coperte ancora calde e incrociò le braccia al petto "e perché mi hai portato la colazione a letto?" chiese sospettosa. Nei tre anni in cui aveva abitato lì, non una volta Aliana si era presentata con in mano un vassoio rigurgitante fette di torta e caffè, e il fatto che, di punto in bianco fosse così carina e servizievole con lei le puzzava di imbroglio lontano un miglio. Aliana alzò gli occhi al cielo " perché ti voglio bene, Sasà...devo sempre avere secondi fini?" mormorò. Elisa le scoccò un'ultima occhiata indecisa per poi stringersi nelle spalle e sorridere appena "okay, dai, vieni qui" rispose. La sorella fece una risatina allegra e si mise a carponi sul letto, il vassoio incredibilmente instabile su un palmo della mano. "Lia, sporcami il letto e sei morta" ringhiò tra i denti Elisa, prendendo il vassoio dalle mani di Aliana e poggiandoselo sulle gambe. Aliana sbuffò lasciandosi cadere di fianco a lei "non essere così noiosa e accendi la tv, c'è un programma così carino a quest'ora..." mormorò. Elisa le passò il telecomando e afferrò golosa una fetta di torta. "Mh!" esclamò allegra dopo il primo morso "cioccolato!". Aliana appoggiò la schiena al muro e sorrise beata fissando lo schermo, dove una sorridente ottantenne parlava concitata alla telecamera. Poi si voltò, lentamente, verso la sorella. Le fece un sorriso lieve, appena accennato, e appoggiò il capo sulla spalla di Elisa "era da tanto che non facevamo queste cose, io e te. Mi sei mancata" sussurrò.



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Se foste capitati, anche per errore, nella sala d'attesa del quinto piano, all'ospedale S. Bernanrdo, sicuramente non avreste potuto non notare i due, un ragazzo e un uomo dalla folta barba brizzolata, seduti fianco a fianco sull'unica panca che c'era. Il ragazzo era Alessandro, e, per la prima volta da quando aveva nove anni, piangeva sulla spalla dell'uomo. Non singhiozzava ne strillava, non aveva spasmi e non aveva bisogno di prender gran boccate d'aria per calamarsi. Era un pianto silenzioso, leggero, formato da solo qualche lacrima e la speranza che il padre, l'uomo seduto accanto, non se ne accorgesse. Ma era un pianto lo stesso. E nemmeno lui capiva il motivo, nemmeno lui sapeva perché sentiva il bisogno di stare male, perché sua madre stava bene, sarebbe stata bene, era una cosa sicura. Non sarebbe morta. Ma Alessandro piangeva lo stesso. Era paura, forse. Inquietudine. O magari solo ansia. Il ragazzo si chiese se suo padre, che in quel momento gli stava accarezzando i capelli dolcemente, avesse mai pianto. Era sempre stato così grande, così imponente. Non aveva bisogno di piangere. Non era un debole, lui. E restarono così, appoggiati l'uno all'altro nel silenzio assordante dell'ospedale vuoto. Alessandro non pianse più, ma restò lì, appoggiato al padre, sino a che non fu l'ora di andare a parlare con i dottori. E, quando si scostò per fare alzare il padre, l'uomo si voltò verso di lui e lo guardò fisso. Abbozzò un sorriso burbero, uno dei suoi, di quelli che Alessandro aveva visto così di rado sul viso dell'uomo, e prese un gran respiro. "Non sei un debole, spero te ne renda conto. Non lo sei e non lo sei mai stato.". Alessandro si perse ad ascoltare la voce profonda e calma dell'uomo, e, all'improvviso, mentre si fissavano immobili, si rese conto che non gli importava più se suo padre avesse visto che aveva gli occhi rossi. Non gli importava più. Perché adesso erano loro due, solo loro due, dalla stessa parte. E suo padre era fiero di lui. Era sempre stato fiero di lui. Non glielo aveva mai detto. Suo padre gli lasciò un bacio sulla fronte e si allontanò dietro ad una infermiera. Alessandro sorrise e appoggiò il capo al muro alle sue spalle. Avrebbe voluto continuare a rivivere quel momento per sempre. Era fiero di lui.



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Per pranzo Elisa e Aliana avevano mangiato una quantità infinita di schifezze, ed Elisa si sentiva vagamente in colpa. Un po' per via del patto stretto con se stessa quel lunedì, quando aveva deciso che "dieta" sarebbe dovuta diventare la sua parola d'ordine, e un po' perché aveva mangiato metà della porzione di patatine ad Aliana senza che se ne accorgesse. "Allora, Sasà" boffonchiò Aliana sdraiata sul tappeto in salotto "che fai stasera? Ti va di affittare un film? Uh! Potremmo vedere quel film incredibile che è uscito l'an-" " Lia! Fermati. Mi dispiace un sacco, ma stasera non posso..." la interruppe Elisa. Aliana si voltò a pancia in giù e appoggiò il mento sulle mani intrecciate " e come mai?" domandò con voce cantilenante. Elisa sprofondò ancora di più nel divano ed arrossì "io...beh, esco con Alessandro, andiamo, lo sai, c'è quel concerto..." borbottò vaga. Aliana fece un sorrisone e si mise a sedere di scatto "Oddio! Ma allora sta funzionando tra di voi!" trillò allegra, fiondandosi a sedere accanto alla sorella. Elisa fece una risatina "beh...si! Dio, sono così felice!" esclamò. Aliana stette per qualche secondo in silenzio, poi fece un sorriso furbo " e sai già che metterti?" chiese con nonchalance. Elisa sgranò gli occhi " si! Non c'è bisogno del tuo aiuto, davvero Lia" si affrettò a rispondere. L'ultima cosa che le serviva erano ventimila consigli di moda concentrati in quattro ore. Il sorriso di Aliana si allargò " non sai mentire, Sasà" sussurrò minacciosa. E, quando Aliana prese la mano della sorella.trascinandola in camera sua, Elisa seppe che era la fine. Nell'ordine, provarono: il vestito del matrimonio della zia Assunta, il chiodo di pelle che le aveva regalato Aliana, una tonnellata di gonne, tra jeans e stoffa colorata, e un'infinità di canotte. " Devi essere rock, Elisa! Dai troppo l'impressione di brava ragazza, è un concerto, per Dio!" continuava a strepitatre Aliana ogni volta che si immergeva nell'armadio. Quando ne uscì con un vestito nero e corto Elisa fece una smorfia "non è il fatto di essere una brava ragazza. È che voglio stupire lui, non me" borbottò. " Ti piace parecchio, eh?". Aliana aveva un sorrisetto sornione sulle labbra che ad Elisa non piaceva proprio per niente. Beh, non le piacevano proprio per niente un sacco di altre cose, come ad esempio quel vestito tremendo che sua sorella teneva in mano invitandola a metterselo. Ma non era quello il punto. Il punto era che ormai Aliana aveva chiesto l'indicibile, e il fatto che stesse sorridendo come un'imbecille non cambiava proprio niente. Ed Elisa avrebbe voluto davvero che Aliana si stesse riferendo al vestito, perché così avrebbe detto semplicemente che le faceva schifo e sarebbe finito tutto lì. Ma Aliana stava parlando di Alessandro. Ed Elisa sapeva benissimo che, quello, invece, non poteva finire lì. Prese un gran respiro e distolse lo sguardo dal viso della sorella " mi piace proprio tanto" sussurrò.



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Alessandro si ricordò del concerto dove avrebbe suonato Simone di quella sera non appena tornò a casa. Si passò stancamente una mano sugli occhi e prese un gran respiro. Non si sentiva davvero di andare. Tra sua madre e tutto non era dell'umore per stare fuori sino a tardi a fare casino. Però, d'altro canto, c'era Elisa, e a lui avrebbe fatto davvero piacere vederla. Non poteva tirarle il pacco così. Dopo qualche minuto Alessandro si fece coraggio e la chiamò. In realtà non sapeva ancora cosa le avrebbe detto, non si era preparato uno straccio di discorso, e quando lei gli rispose iniziò a torturasi le labbra, ansioso. "Pronto?" chiese la voce dolce di Elisa, leggermente tremolante. Alessandro sorrise appena, era imbarazzata. "Ciao, Eli, sono Alessandro, come stai?" mormorò. Sentì Elisa prendere fiato "bene, benissimo, e te?" domandò. Alessandro fece una smorfia "non troppo bene, è di questo che ti volevo parlare" rispose "oggi mia, beh, mia mamma è stata male. Non è troppo preoccupante, ma sono ancora un po' scosso, e non credo di poterti accompagnare al conce-" " tua mamma è stata male? Mio Dio, mi dispiace così tanto, adesso come sta? Che domanda.stupida, sta male, ma dico...i dottori, cosa ne pensano?" lo interruppe parlando veloce. Alessandro abbozzò un sorriso " dicono che si rimetterà nel giro di qualche settimana. Grazie, Elisa, davvero, mi dispiace per il concerto" sussurrò. "Chissene importa del concerto" boffonchiò lei "hai bisogno di qualcosa? Non so, qualcosa di pronto per cena, aiuto morale, io...". Alessandro ridacchiò "sei così carina. No, tranquilla, oridinerò una pizza sotto casa" rispose. Elisa impiegò un po' a rispondere "e...dove la ordinerai?" chiese. Alessandro agrottò le sopracciglia "beh...c'è una pizzeria sotto casa, io abito nel terzo palazzo di via dei Ginepri" mormorò senza capire. " Ah, okay" rispose Elisa "se hai bisogno fammi uno squillo, va bene?" domandò poi. Alessandro sorrise "certo che si, grazie mille" rispose. "Ma figurati, ci sono passata anche io" sussurrò Elisa.



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 Alle sette e mezza in punto Elisa era ferma davanti al portone del terzo palazzo in via dei Ginepri, due cartoni di pizza e il film che Aliana l'aveva costretta ad affittare in mano, tentando di non pensare a cosa stesse facendo. Più ci rifletteva, più sentiva che stava facendo un'idiozia. Con chissà quale coraggio suonò al numero di Alessandro al citofono e attese. "Pronto? Chi è?" borbottò una voce roca, che fece arrossire Elisa. "Ehm...raccomandata" borbottò. Raccomandata alle sette e mezza? Dio, che idea stupida. "Raccomandata? A quest'ora? Mh...va bene, terzo piano" rispose lui, aprendo il cancello. Elisa, ad ogni passo che faceva, si sentiva ancora più stupida. Non poteva semplicemente andare a casa di Alessandro, così, senza invito. E se lui non volelva vederla? Magari gli lasciava le pizze e andava via. E il film? Beh, poteva sempre nasconderlo in borsa. Dio, che imbarazzo. Non si rese nemmeno conto di trovarsi davanti alla porta di lui tanto era impegnata a rimuginare. Con una smorfia terrorizzata suonò il campanello. "Arrivo!" strillò una voce ovattata da dentro. Quando la porta si spalancò rivelando un Alessandro sbalordito in pigiama, Elisa abbassò lo sguardo sui cartoni delle pizze. "Tu per me ci sei stato, quando mia mamma è stata male. Ora tocca a te" sussurrò.

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Capitolo 17
*** Extra 1 ***


È la terza volta che tento invano di caricare questo capitolo dopo aver scoperto che non mi aveva preso la pubblicazione di sabato. Speriamo bene.


Buonsalve gentaglia:) Questo non è un vero e proprio capitolo, ma, da come avrete correttamente supposto, è un piccolo extra. Eravamo rimasti ad Elisa, ferma sulla porta di Ale, con due pizze in mano e la preghiera di non fare la figura della disperata. Mi sono detta, diavolaccio, per una volta che sti due stanno incollati, perché non farci un capitolo? Ecco a voi Eli ed Ale descritti senza loro prensieri personali, proprio come se voi foste lì, con loro, a guardarli innamorarsi piano piano.







Le luci dei lampioni, a quell'ora tarda della notte, oltrepassavano le finestre della sala al quinto piano in Via dei Gladioli trasformandosi in chiazze lattiginose. Illuminavano appena la piccola stanza dove il televisore trasmetteva imperterrito un film, senza che nessuno ci presetasse attenzione. Sparse a terra c'erano solo qualche lattina di birra vuota, due cartoni per la pizza e un paio di scarpe nere, con un tacchetto basso e tozzo. Nella piccola sala tutto taceva. Ogni tanto si sentiva qualche borbottio assonnato provenire dal ragazzo addormentato sul divano, che si rigirava tra i cuscini. Aveva i capelli corvini sparati in tutte le direzioni e sulle labbra un lieve sorriso. Chissà cosa stava sognando. Teneva stretta tra le braccia una coperta di plaid arrotolata e, ogni tanto, ci affondava il mento. Proprio accanto al ragazzo, nell'altra metà del divano, una ragazza dal trucco sbavato dormiva della grossa seduta, la testa protesa all'indietro e le braccia conserte. Effettivamente non aveva molto spazio, perché il ragazzo, Alessandro, occupava più della metà del divano e la ragazza, che si chiamava Elisa, era obbligata a stare schiacciata verso un lato. Non fu il rumore ovattato del televisore a svegliare la ragazza verso le tre di notte, ma, invece, fu la sirena ululante di un'ambulanza che passava giù in strada. Elisa sgranò gli occhi e si tirò a sedere dritta, il principio di un urlo sulle labbra. Quando si rese conto che il rumore che l'aveva fatta svegliare non era altro che il suono del mezzo in strada sbuffó appena, appoggiandosi alla spalliera. Lanciò un'occhiata ad Alessandro acciambellato accanto che, al contrario di lei, aveva un sonno parecchio pesante, e stava ancora dormendo beato. Elisa arrossì appena e fece un sorriso intenerito, gli occhi puntati fissi sul viso sereno del ragazzo. La ragazza sospirò "come fai ad essere sempre così tremendamente carino..." sussurrò tra le labbra. Si avvicinò appena a lui, timorosa, e lo fissò da vicino. Osservò curiosa i suoi occhi chiusi e la linea dritta e risoluta del naso. Fremette appena quando posò lo sguardo sulle sue labbra. Allungò appena una mano e sfiorò con l'indice la guacia del ragazzo. La ragazza arrossì. Continuò ad accarezzare il viso di lui gentilmente, senza diventare invasiva, salendo sempre di più. Si lasciò sfuggire un sorrisetto soddisfatto quando passò le dita tra i capelli scuri di lui. Li accarezzò dolcemente, senza più avere paura. Quando Elisa passò ancora una volta la mano tra le ciocche morbide di Alessandro, il ragazzo mugugnò qualcosa. Elisa si immobilizzò, una mano per aria, gli occhi sgranati in un misto di terrore e ansia. Alessandro strinse gli occhi e fece una smorfia sofferente "mamma" borbottò. Elisa si incupì, dispiaciuta. Allungò la mano verso il capo di Alessandro e riprese ad accarezzarlo piano piano. Non si sentì quasi la sua voce, quando sussurrò "ci sono qui io, adesso. Non sei più solo". Alessandro non si svegliò, né diede segni di avere capito. Ma i suoi occhi si distesero e lui si avvicinò, nel sonno, a lei, come se volesse qualche carezza in più. Elisa ridacchiò piano, imbarazzata, e continuò a sfiorare Alessandro con gentilezza sino a che non crollò anche lei in un sonno profondo, un sorriso felice stampato sul viso.

Qualche secondo prima che la sveglia suonasse e che facesse piombare tutto in un imbarazzo confuso ed esagerato, Alessandro ed Elisa non sembravano avere problemi nell'essere l'uno stretto all'altra. Alessandro aveva le braccia avviluppate attorno alla vita della ragazza, stesa accanto a lui sul divano, e teneva il capo affondato nell'incavo della spalla di lei. Elisa aveva la fronte premuta contro il petto del ragazzo e, per la prima volta da quando conosceva Alessandro, non stava arrossendo in sua presenza. Se ne stava lì, semplicemente, silenziosamente grata di quel contatto caldo e accogliente che lui le offriva. Quando la luce prepotente del sole entrò dalle finestre ed illuminò i due ragazzi abbracciati, non cambiò nulla nella scenetta. O quasi. Perché, osservando bene, si poteva notare Alessandro sorridere appena. Giusto una lieve piega sulle labbra, nulla di eccezionale. Poteva essere una semplice smorfietta dovuta alla luce prepotente che gli illuminava il volto, o magari un' espressione fatta di riflesso al sogno che stava facendo. Poteva essere una contrazione involontaria delle labbra o chissà quale altra cosa. Ma, nella più infinita banalità, poteva anche essere un banalissimo, vero sorriso. Uno di quelli piccoli, che di solito la gente non nota. Di quelli di sollievo, accompagnati da un lieve sospiro. Come quando ci si leva un peso dal petto. Perché in quel momento, Alessandro, abbracciato ad Elisa, condivideva con lei più di mezzo metro scarso di divano. Condivideva un po' del dolore che si portava dentro. E sorrideva sollevato raddrizzando le spalle, leggermente meno stanco, pronto a farsi carico di altri problemi, di altri casini. Perché magari Alessandro poteva essere ancora un bambino intrappolato nel corpo di un ultra ventenne, poteva comportarsi da adolescente frustrato per la maggior parte del tempo, poteva fare finta di essere sempre lo stesso, ma stava crescendo. E imparare a dividere il dolore, imparare a condividere ciò che lo uccideva dentro, fu solo il primo di tanti passetti timorosi fatti, finalmente, nella giusta via per diventare grandi.

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Capitolo 18
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Non so se più nessuno arriverà mai a leggere sino a qui, ne se a qualcuno a cui questa storia interessava almeno un pochino avrà voglia di perderci altro tempo, ma oggi è capitato, sono in qualche modo tornata sul mio account e beh, mi dispiace così tanto di avere lasciato questa storia senza una fine. Non so cosa sia stato, ma ho appena riletto i capitoli e ho deciso di riscriverla. Mi piacevano Elisa ed Alessandro, e spero davvero che a qualcun'altro possano piacere ancora perché mi piacerebbe tanto raccontare di nuovo di loro. Magari aggiustando un po' i capitoli, che a vederli oggi mi sembrano così scarni, ma a questo si può rimediare. Niente, non so, se a qualcuno importava almeno un briciolo di questa storia e la mia assenza lo ha infastidito chiedo scusa, mi dispiace davvero. Sono felice di avere ritrovato tutto questo, comunque. Un grande bacio, CappelloParlante

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