Oltrepassando il confine

di Marty_199
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 -Nathan- ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 -Alice- ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Il ricordo più bello e intimo che aveva era di lei, di quando nel mezzo del buio della notte, mentre lui si chiudeva nella sua stanza sperando di non ricevere visite, due piccoli piedini nudi camminavano fino alla sua stanza, due piccole mani aprivano piano la sua porta e mentre era immerso in un sonno senza sogni, un piccolo corpicino si stendeva sotto le coperte del suo letto, per poi addormentarsi.

Ogni mattina si risvegliava così, con quella piccola bambina addormentata affianco, le guance paffute e rosse, i capelli neri e corti sparsi sul cuscino e il respiro regolare.

Era il ricordo più dolce e amaro che avesse con sé, non avrebbe saputo dire per quante notti lei era sgattaiolata nel suo letto, fatto stava che aveva riempito la sua infanzia, quel gesto così spontaneo gli mancava ormai da molto tempo.

Era stato tutto ciò che poteva essere, aveva un passato alle spalle da dimenticare e l’occasione era arrivata quel giorno, era il ventisei luglio del duemila e due e lui aveva avuto la possibilità di avere una famiglia nuova, ma quel giorno aveva portato con se ciò che col tempo, sarebbe diventata la sua più grande forma di dolore e amore.

Una ragazza e un ragazzo, ricordi condivisi e strette di mano segrete, parole sussurrate e film visti insieme, niente di più normale esiste al mondo. Ma non quando ciò che provi è indirizzato verso la tua sorellina, non quando agli occhi della legge e delle persone tu sarai sempre e solo il fratello, quando tutto sembra andare contro a ciò che provi.

Perché ciò che provava per la sua sorellina non era più semplice affetto, e l’emozione che aleggiava tra di loro non sarebbe dovuta esistere, non in forma così totalizzante ed esposta, non così piena e totale, come se un’onda li avesse presi e spinti verso qualcosa che era più grande di loro.

Questi furono i suoi pensieri, mentre si allontanava dalla sua casa senza sapere quando sarebbe tornato.

ANGOLINO 
In questo spazio ringrazio la mia cara amica Letizia_00 per avermi aiutato con la stesura della trama.
Spero che questo piccolo prologo vi sia piaciuto benchè corto corto o che almeno vi abbia incuriosito, e spero naturalmente che qualcuno continui a leggerla.
Fatemi sapere attraverso qualche commento che ne pensate, mi farebbe molto piacere >.<.
Grazie mille comunque a chi la legge.
Un saluto a tutti :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 -Nathan- ***


CAPITOLO 1.

"Persino quando la scelta è concorde,
la guerra, la morte, la malattia assediano l'amore,
lo rendono momentaneo come un suono,
furtivo come l'ombra, fuggevole come un sogno,
breve come un lampo che in una notte nera
sveli, ad un tratto, cielo e terra,
ma prima che si possa dire "Guarda!",
le mascelle del buio l'hanno divorato.
Così in un istante svanisce ogni cosa che brilla"

William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate.

 

Il ricordo della sua stanza buia e piccola lo tormentava da quando aveva solo quattro anni, ricordava da sempre una piccola camera con solo l'essenziale e la porta chiusa, una finestra semi aperta e nessuna possibilità di scappare, era così che la sua infanzia si era svolta.
Mentre sedeva sulla poltrona dell'ufficio in cui si trovava il suo sguardo era basso e dall'espressione pensierosa, un'espressione che non si adduceva ad un bambino di soli sette anni.
Nathan non capiva cosa stesse succedendo intorno a sé, osservava con gli occhi inesperti di un bambino gli adulti presenti nella stanza muoversi, guardarlo e rivolgergli calorosi sorrisi, lui rispondeva timidamente, riabbassando lo sguardo senza voler parlare, non si era mai davvero messo a parlare con la sua mamma, né col suo papà, loro non volevano ascoltarlo. Aveva imparato così.
«Nathan?» Il bambino alzò gli occhi sulla donna che gli si presentò davanti, i capelli biondi illuminati dai raggi solari e un sorriso dolce gli affiorava sulle labbra rosse.
«Hai sete o fame?» Nathan scosse piano la testa piena di capelli arruffati e neri, la voce di quella donna era tanto dolce che gli zigomi del bambino si colorarono di un leggero rossore.
«Mi dispiace molto per quello che ti è successo, sei un bravo bambino e certe cose non dovrebbero mai accadere.»
Nathan abbassò lo sguardo sulle sue dita intrecciate, non capiva chi fosse quella donna né cosa volesse, non ricordava il suo nome ed era da un po' di tempo che era confuso, solo pochi giorni prima si trovava nella sua piccola stanza.
«Qui fuori ci sono delle persone che vogliono conoscerti... potrebbero diventare la tua nuova famiglia, la vuoi una famiglia Nathan?»
Il bambino alzò gli occhi castani sulla donna senza dire una parola.
La donna sospirò appena e dopo una dolce carezza sul viso pallido del bambino la porta si aprì, nella stanza si riversarono tre figure; due erano adulti, una donna e un uomo, mentre la terza figura, piccola e minuta, si stringeva alla gamba dell'uomo con un sorriso timido a increspargli le labbra.
Nathan li osservò senza capire il perché fossero lì e gli rivolgessero fugaci sguardi.
«Lui è Nathan» la donna bionda lo indicò, Nathan si irrigidì appena sulla poltrona pensando di aver nuovamente fatto qualcosa di sbagliato e di aver fatto così arrabbiare qualcuno di loro.
«Ciao Nathan, come stai?» La voce dolce della donna lo fece tranquillizzare, era alta e snella, Nathan rimase colpito dalla sua figura e per un momento la paragonò alle fate disegnate che aveva visto su qualche libro da colorare.
Aveva i capelli neri mossi, occhi verdi scintillanti e un viso dai lineamenti dolci e belli, il bambino ne rimase affascinato.
«Bene» rispose con voce timida e bassa, senza mai staccare lo sguardo dalla donna, che sorrise, piegandosi sulle ginocchia e scendendo nella sua visuale, mentre Nathan restava seduto sulla poltrona.
«Io mi chiamo Amber» il bambino annuì appena, per far vedere alla donna che aveva capito ma non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi.
«Lui è mio marito Mike, mentre la piccolina stretta alla sua gamba è Alice, nostra figli. Alice vieni.»
La donna si girò, rivolgendo lo sguardo verso la bambina che timidamente si sporse oltre la gamba del padre e lo guardò con il rossore a colorarle le guance. Con un piccolo sorriso di timidezza si avvicinò alla madre, indossava un vestitino verde ricoperto di disegni di fiori colorati, i capelli corti neri tenuti fermi da delle forcine rosa, il tutto la faceva somigliare ad una bambola.
«Ciao» esordì la bimba, la voce bassa e insicura, eppure il piccolo Nathan non aveva che occhi per la donna che ora, stringendo un braccio intorno alla bambina, tornava a posare gli occhi verdi su di lui.
«Nathan, so che ti sembrerà strano, ma ti andrebbe ti tornare a casa con noi? Così potremmo conoscerci meglio tutti insieme. »
«A casa mia?» Non voleva che quella donna vedesse la sua casa, era certo che sua madre si sarebbe arrabbiata e gli avrebbe tirato contro delle cose, facendola scappare.
La donna abbassò appenalo sguardo, con espressione triste.
«No, tornerai a casa con noi, avrebbero dovuto portarti oggi ma io volevo vederti prima di persona, ci andremo insieme, starai bene vedrai.»
Il bambino la osservò senza dire niente, non capiva la situazione, non sapeva perché quelle persone fossero lì, ma quella donna gli piaceva e in quel momento era l'unica cosa che contava.

***

Quando Nathan riaprì di scatto gli occhi le figure del suo sogno sparirono vaporizzandosi come acqua nella sua mente, eppure ricordava bene il suo sogno, o meglio il suo ricordo.
Si spostò di lato, allungando un braccio e così colpendo una piccola figura stesa accanto a sé, il mugugno di rimprovero e di fastidio che procurò lo costrinsero a ritirare il braccio.
«Nat mi hai preso sul naso» esordì con voce impastata dal sonno sua sorella.

Nathan sbuffò sonoramente, mettendosi seduto sul letto e passandosi una mano sul volto per scacciare il sonno.
«Tu entri clandestinamente nel mio letto» posò gli occhi su di lei, la sua esile figura era resa appena visibile sotto le pieghe del lenzuolo che la coprivano.
I lunghi capelli neri sparsi alla rinfusa sul cuscino, il viso contorto in una smorfia di fastidio e gli occhi chiusi.
Nathan distolse subito lo sguardo.
«Lo faccio da sempre, dovresti esserci abituato.»
Il ragazzo scese dal letto dando le spalle alla sorella e prendendo una maglietta buttata a caso per terra, coprendo così il corpo allenato agli occhi di Alice.
«E mi pare di averti detto di smetterla più di due anni fa» ribatté con tono fin troppo brusco, passandosi una mano tra i folti capelli neri e girando per tutta la stanza alla ricerca delle sue maledette
ciabatte.

Alice si mise a sedere sul letto, la maglietta che indossava le era calata troppo vicino al seno, Nathan maledì le magliette troppo grandi e si concentrò sulla sua ricerca.
«Ma perché insisti?»
«Alice è ora che comincia a dormire per conto tuo e io mio, cerca di capire.»
«Ma non lo faccio quasi più! Questa è stata una piccola eccezione. »
Nathan alzò gli occhi castani al cielo, per poi rivolgere un fugace sorriso al dolce viso di sua sorella.
«Va bene come vuoi, ora esci e vai a vestirti.»
Alice mise un piccolo broncio scendendo controvoglia dal letto e camminando verso di lui, Nathan si accorse che indossava solo quell'enorme maglietta mentre le gambe erano scoperte e per lui troppo in vista. Rialzò subito gli occhi, puntandoli in quelli grigi di lei.
«Come sei autoritario» lo schernì con una smorfia.
Nathan alzò un sopracciglio nero, poi scuotendo la testa con il sorriso sulle labbra aprì la porta della sua camera per farla uscire.
Alice si sporse e si alzò sulle punte per lasciargli un tenero e casto bacio sulla guancia, per poi uscire dalla sua camera e incamminarsi per il corridoio. Non appena fu fuori, Nathan lasciò andare il fiato che aveva trattenuto nel vederla avvicinarsi, un'altra notte era passata con lei al suo fianco, quella storia doveva finire e subito.
Non appena fu sceso di sotto sentì l'odore delle frittelle di Amber riempire l'aria ed entrargli nelle narici, sembrava lo chiamassero dalla padella nella quale cuocevano. Nathan prese a camminare veloce verso la cucina e non appena fu dentro vide Amber in piedi davanti i fornelli con in mano uno scatolone di latte. La stanza era luminosa e dalle finestre si vedevano i nuvoloni pronti a inondare di pioggia la città di Manhattan.
Nathan si avvicinò piano e con passo felpato alla donna che continuava a dargli le spalle, velocemente le si avvicinò pizzicandole i fianchi con le mani e facendola sobbalzare, un poco del latte nel cartone cascò sul fornello.
Amber lanciò un urletto di gioia e paura, girandosi verso Nathan col sorriso sulle labbra.
«Nathan!» lo rimproverò con la voce di una madre felice di prima mattina nel vedere suo figlio.
«Cucina Amber, adoro le tue frittelle.»
Era da un paio di anni che Nathan aveva preso a chiamare per nome i suoi genitori adottivi, li considerava in tutto e per tutto suoi genitori ma era sempre stato un bambino problematico. Appena arrivato in casa era stato incapace di relazionarsi con loro, non aveva saputo spiccicare parola e non voleva parlare, l'unica che era stata capace di farlo desistere dal suo mutismo era stata Alice, con la sua dolce e innocente insistenza.
All'età di tredici anni aveva picchiato metà dei ragazzi della sua scuola ed era stato costretto a cambiare istituto più volte, nonostante i rimproveri di Amber e Mike, non era stato capace di mettere un freno alla violenza e alla rabbia che sentiva dentro bruciargli come veleno, sentimenti che un bambino di soli tredici anni non avrebbe dovuto provare.
Aveva frequentato vari psicologi, tutti avevano gettato la spugna con lui, tutti lo avevano ritenuto solo disturbato dal suo passato e impossibile da recuperare ma Amber non si era mai arresa e aveva continuato a cercare, fino all'arrivo di Michael Stewart, quell'uomo aveva scavato nella mente di Nathan, lo aveva ascoltato e per la prima volta nella sua vita Nathan si era ritrovato a parlare con qualcuno senza essere subito classificato irrecuperabile.
Aveva preso a fare palestra e boxe regolarmente, sperando che in qualche modo lo sfogo potesse riversarsi nello sport, ciò gli aveva anche permesso con gli anni di mettere su un fisico ben muscoloso, le braccia si erano rafforzate, la pancetta da scolaro adolescente eliminata e sostituita con una muscolatura avuta dopo anni di duro lavoro nel quale si era concentrato nella speranza di allontanare i pensieri nocivi che ogni tanto gli inondavano la mente.
Negli anni seguenti c’erano state cattive compagnie che avevano influenzato la sua vita fino ai diciotto anni, le risse erano all'ordine del giorno e Nathan era convinto che presto Amber e Mike lo avrebbero riportato da dove lo avevano preso, ma ogni volta si era sbagliato.
Col tempo aveva capito che per tutti quegli anni non aveva fatto altro che metterli alla prova, spingerli all'orlo e forse quasi costringerli a convincerli che abbandonarlo fosse la cosa giusta, ed ogni volta loro avevano vinto, tenendolo dentro casa e dandogli quell'affetto che solo una famiglia sapeva dare...ma la prima ad avergli mai dato davvero un'occasione, una speranza e un motivo per sorridere era stata Alice.
Lei aveva da subito fatto parte della sua vita, era per lei che ogni volta si diceva di dover cambiare, per la sua sorellina, quella che a soli undici anni vedendola in tutta la sua fragilità, aveva deciso di proteggere.
Era per questo che ora, a ventun anni chiamava per nome i suoi genitori, era consapevole di ciò che gli aveva fatto passare, era consapevole di non essere in grado di cambiare ma solo di migliorare, forse non si sentiva davvero pronto, forse non lo sarebbe mai stato.
«Oh lo so, ora siediti.»
Nathan fece come gli venne detto e si mise seduto a tavola, una tazza di latte freddo gli era davanti, per il tavolino erano poggiate fette biscottate e cioccolata nel lato di Alice, mentre nel lato di Mike si trovavano due belle uova fritte con bacon e davanti un bicchiere di succo.
Nathan sorrise appena scuotendo la testa, pensando a quanto quei due erano differenti l'uno dall'altra.
«Buongiorno» Alice si mise seduta al suo posto, di fronte a Nathan, guardando con occhi luccicanti il suo latte caldo e le frittelle ancora nella padella. I due si scambiarono un fugace sguardo, uno sguardo complice tipico di due fratelli uniti dagli anni, Nathan aveva imparato a captare ogni minima espressione del suo volto, ogni minimo luccichio di quegli occhi gli era impresso nella mente.
«Io ho fame» cantilenò Alice verso la madre, che con uno sbuffo le rivolse un'occhiata di rimprovero.
«Per fare colazione si aspetta tuo padre, lo sai. Almeno a colazione voglio che siamo tutti quanti.»
Alice roteò gli occhi grigi e spenti da una leggera sonnolenza con impazienza, guardando sognante le frittelle e le fette biscottate poste sul tavolo. Mentre Amber era rivolta verso la padella, Alice allungò la mano verso le fette biscottate per poterne prendere una, Nathan colse l'occasione per schiaffeggiarle la mano e ridere della sua espressione irritata e sorpresa.
«Ma da che parte stai?» sibilò con indignazione Alice, corrugando appena la fronte.
«Se non mangio io nemmeno tu» rispose semplicemente lui, ricevendo in cambio un calcio sullo stinco. Nathan sobbalzò appena sulla sedia, non per il dolore quanto per la sorpresa di quel gesto, che per un qualche motivo gli fece crescere sulle labbra un ghigno di sfida.
«Se vuoi la guerra sorellina l'avrai, ma il capo ha detto che per mangiare si aspetta, non le faccio io le regole.»
«E da quando badi alle regole!» Sbuffò sua sorella scocciata, spostandosi una ciocca nera dietro le spalle, poteva sembrare una piccola strega con mille ciocche di capelli all'aria, leggere occhiaie sotto gli occhi e la sonnolenza ancora visibile sul suo volto... eppure Nathan la trovava sempre com'era, bella in tutta la sua normalità.
La pelle chiara e gli occhi luminosi sotto la luce del sole, all'ombra assumevano del tutto una sfumatura grigia scura e spenta. La cornice di capelli scuri come la notte intorno al viso, erano sempre stati troppi capelli per una sola testa, difficili da domare e tenere in ordine, sopratutto messi a confronto al corpo piccolo che si ritrovava, Nathan aveva constatato che era una corporatura di famiglia, anche Amber era minuta esattamente come sue madre prima di lei, dovevano avere le ossa piccole di natura. Era sempre stata così, il fisico era tutto della madre, ma gli occhi erano identici a quelli del padre. Sapeva che era perfettamente normale, con uno dei denti davanti appena appena storto per una botta che aveva preso da bambina, qualche brufolo che non voleva in alcun modo sparire dal suo volto, forse a causa del suo amore per la cioccolata, e che tendevano a spiccare proprio a causa della sua pelle chiara insieme ad altre piccole imperfezioni che conosceva a memoria.
Tuttavia ai suoi occhi era stata sempre particolarmente bella.
Da sempre Nathan nutriva il sentimento di proteggerla, sentimento che cercava di esternare il meno possibile, proprio come il fatto che la bellezza di Alice per lui risultasse il più grande dei problemi.
Nathan distolse in fretta lo sguardo da lei per posarlo sul suo piatto vuoto, il suo respiro tornò lentamente regolare mentre stringeva piano un lembo di tovaglia senza farsi vedere.
Qualcosa gli bruciava dentro ma non sembrava essere la solita rabbia e per la prima volta dopo tanto tempo, Nathan si ritrovò a sperare che lo fosse.

***

Nel tardo della mattina, dopo essersi preparati velocemente Alice aveva come sempre opposto resistenza a Nathan, che fermo nelle sue convinzioni aveva deciso di accompagnarla al college, all’intera scuola erano stati concessi due giorni in più di vacanza a causa di un allagamento dei bagni per le tubature rovinate. Nathan si era iscritto allo stesso college di Alice, all’inizio era stata una decisione di sola convenienza. Sapeva che il ragazzo attuale di Alice sarebbe stato più che contento di accompagnarla ma Nathan non lo sopportava, odiava l’idea di lasciare sua sorella da sola con quel Bruce, tutto muscoli e poco cervello a detta di ciò che vedeva lui stesso.
«Mi accompagni solo perché vuoi vedere le mie compagne di corso che ti vengono dietro» insistette Alice prendendo il casco dalle sue mani e infilandoselo in testa, più che altro ci era caduta dentro.
«Le vedrei comunque, mi vengono sempre a cercare» le rispose lui ridendo del colpo che Alice gli rifilò col gomito sullo stomaco.
«Idiota.»
Nathan salì sulla moto, passandosi una mano sulla mascella squadrata, da qualche anno oramai era costretto a rasarsi minimo una volta a settimana, e sentendo il leggero pizzicore della barba capì che l’indomani sarebbe arrivato il momento del rasoio. Schiacciò col casco i suoi scuri capelli neri e le fece cenno di salire. Quando Alice salì gli strinse le braccia intorno al busto e Nathan girò appena lo sguardo verso di lei, scorgendola mentre poggiava la testa sulla sua schiena.
«Vai.»
Nathan mise in moto, prendendo a sfrecciare sulla sua moto nero lucido, il rombo potente del motore gli riempì le orecchie ma non abbastanza da impedirgli di scorgere tra tanto rumore, il suono dolce della risata di Alice.
Una volta davanti l’entrata del college l’ampio spazio li accolse, pullulava di ragazzi intenti nel fare casino e nel lamentarsi, dopo due giorni in più di mancate lezioni il ritorno si preannunciava faticoso per tutti. Nathan parcheggiò la sua moto assicurandola con una catena ben spessa, avrebbe fatto di tutto per tenere il più possibile a sicuro il suo meraviglioso mezzo di spostamento, aveva faticato per poterlo avere, sia per il consenso di Amber e Mike che per i soldi che aveva dovuto mettere da parte con i lavori estivi che si era trovato negli ultimi due anni.
Alice al contrario non ci faceva molto caso, smontò dalla sua moto velocemente, sfilandosi l’enorme casco dalla testa e passandosi le mani tra i capelli per sistemarli.
Nathan afferrò il casco dalle sue mani e lo poggiò sul sedile in cuoio nero, guardandola mentre si allontanava velocemente verso un gruppetto di ragazze che avevano già puntato verso di loro lo sguardo, in attesa di poter salutare la loro amica appena tornata.
«A dopo Nathan!» lo salutò girandosi e sorridendo, per poi riprendere a camminare arrivando nel cerchietto ristretto di amiche e abbracciandole una per uno, come fossero passati mesi dal loro ultimo incontro e non solo quattro giorni.
Nathan restò fermo lì, poggiato alla sua moto distante abbastanza per non essere notato dai molti ragazzi presenti. Forse qualcuno lo avrebbe notato, ma per chi lo conosceva sapeva bene che era il fratello di Alice... per chi non lo conosceva sarebbe benissimo potuto passare per il fidanzato di qualcuna delle tante ragazze lì presenti, anche se i suoi occhi erano puntati su una sola figura dai mille capelli neri.
Un ragazzone scuro di pelle e alto il doppio si affiancò ad Alice, facendola sobbalzare, Nathan sarebbe partito in quarta se solo non avesse saputo chi era; Bruce, il ragazzo della sua sorellina.
Gli sorrise in modo languido cingendole con un braccio la vita a avvicinandola a sé, Alice sorrise, uno di quei sorrisi dolci e spontanei che Nathan era solito vedergli, eppure non riusciva a capacitarsi del fatto che fossero rivolti a un altro ragazzo.
Non appena i due si avvicinarono per baciarsi Nathan distolse lo sguardo, consapevole che se avesse continuato a guardare il suo istinto rabbioso si sarebbe svegliato e avrebbe messo a frutto le lezioni ancora presenti di boxe.
Aveva una gran voglia di rompere il naso a quel individuo... ma perché mai avrebbe dovuto farlo? Lui la rendeva felice, era una coppia ormai da sette mesi e Nathan avrebbe dovuto gioire per la sua sorellina.
“Sono solo un fratello rompipalle e iperprotettivo, datti una calmata”.
Prese a ripetersi nella mente per poi lanciargli un ultimo sguardo senza davvero vederli, i suoi occhi erano puntati sul muro lontano della scuola, fingeva di vedere qualcosa che nessuno aveva visto ma che in realtà non esisteva. Davanti a lui si stendeva una massa di ragazzi nel giardino d’entrata, poco distanti dalla folla le scalinate che portavano all’interno del college erano lì, di quel marmo bianco che pareva scurirsi sempre più con gli anni, le enormi porte di entrata ancora chiuse.
L’imponente struttura che circondava in parte il giardino era illuminata dai raggi del sole, le finestre delle aule aperte ma vuote, l’odore di fogna presente pochi giorni prima era stato eliminato e, per quanto possibile in una metropoli grande quanto la loro città, l’aria era tornata pulita dai cattivi odori, facile da respirare.
I dormitori situati al lato del college, in palazzi più bassi e divisi, anche quelli avevano alcune finestre aperte, Nathan si chiese se fosse perché i ragazzi le avevano lasciate così di proposito o fosse entrato qualcuno per aprirle e far cambiare l’aria, sospettava più la prima.
Il giardino nel quale si trovava ora era la parte che più preferiva dell’intera struttura, se non fosse stato per il caos presente avrebbe potuto trovare posto in uno dei tanti tavolini in legno situati per il parco, forse avrebbe potuto sedersi sotto un albero all’ombra invece di arrostire sotto il sole come un’idiota.
Ma tutta la sua esplorazione di un luogo che conosceva ormai come le sue tasche fu interrotta da un ragazzo della sua stessa altezza che gli si posizionò davanti, sventolando la mano come un fazzoletto davanti i suoi occhi.
«Amico ci sei?» Michael, il suo compagno di stanza nonché, almeno così le ragazze lo definivano, migliore amico di Nathan, che sbuffò posando i suoi occhi castani in quelli verdi del suo amico.
«Sì.»
Nathan aveva sempre trovato bizzarro e in parte divertente che il suo compagno di stanza portasse lo stesso identico nome del suo psicologo privato, non era strano perché come nome era molto comune, ma era divertente, almeno per lui, dato che aveva constatato che il Michael suo psicologo aveva scavato nella sua mente portando alla luce aspetti del suo carattere e parti del suo passato che solo il subconscio conosceva. Mentre Michael il suo miglior confidente e amico, non avrebbe saputo tenere un discorso serio per più di trenta minuti consecutivi, era il classico ragazzo che organizzava feste e beveva fino a perdere conoscenza. Nathan lo assecondava con molto piacere con la certezza che se avesse dovuto aprirsi con qualcuno senza temerne la risposta, sarebbe sicuramente stato Michael secondo a vincere nella sua classifica.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 -Alice- ***


CAPITOLO 2

ALICE

Non appena le porte furono aperte e i professori e bidelli addetti alla salvaguardia dei ragazzi fecero cenno alla folla di entrare e dirigersi verso le rispettive aule di lezione, Alice corse nella sua classe allontanandosi da Bruce, consapevole che se avesse continuato a stare con lui avrebbe finito per non entrare più.
I corridoi erano come sempre identici all’anno prima, il pavimento pulito, anzi lucido, doveva essere stato pulito da poco meno di un’ora.
Povera bidella”.
Pensò Alice, consapevole che dopo un’ora di lavoro tutto quel pulito sarebbe scomparso sotto i piedi e le cartacce dei ragazzi presenti nella scuola. Le finestre filtravano la luce del sole, illuminando il tutto senza il bisogno di una qualsiasi luce artificiale, infatti le luci sul soffitto erano ancora spente del tutto.
Una volta nella sua aula trovò la maggior parte dei posti occupati, i banchi allineati perfettamente nelle loro file e puliti come non mai, anche quello sarebbe presto sparito.
Con un sospiro di sollievo notò che il suo posto vicino la finestra non era occupato, una figura maschile allampanata e dai capelli castani sedeva al banco vicino il suo.
Sorridendo prese a passare tra i banchi, mentre i pochi compagni già presenti chiacchieravano tra loro creando un sottofondo di parole confuse e incomprensibili. Una volta davanti il suo banco si mise seduta facendo sobbalzare Harry.
«Cavolo Alice, mi hai fatto prendere un colpo.»
La ragazza rise, guardando il suo migliore amico e trovandolo un minimo diverso.
«Sei fin troppo facile da spaventare Harry.»
Fin da quando era piccolo era stato soprannominato da tutti “Harry Potter”, non solo perché il suo nome riprendeva l’eroe magico creato dalla Rowling ma anche, e sopratutto, per il suo aspetto simile all’attore che lo aveva interpretato nei film.
Harry era magro, snello e con un filo di muscoli addetti alla sua corporatura, portava gli occhiali fin da piccolo e i genitori, forse quasi per dispetto, quando aveva compiuto dieci anni avevano fatto sì di comprargli un paio di occhialoni tondi dalla montura scura. Da qualche anno se li era tolti comprandosene un paio quadrati e che gli conferivano un’aria molto più da professorino. Che era quello che Harry voleva, Alice non aveva mai scordato la spiegazione che gli aveva dato riguardo la scelta di quegli occhiali. Nel suo futuro harry si vedeva dentro Oxford o dentro una delle grandi università dell’Inghilterra dietro una cattedra ad impartire lunghe lezioni circondato dal tempo uggioso della nazione che tanto lo affascinava.
Alice ce lo vedeva, in un piccolo appartamento tutto suo e con sempre un ombrello scuro dietro, con gli angoli dei capelli castani arricciati dall’umidità.
Lo aveva sempre invidiato per la sua certezza in cosa volesse essere in futuro, Alice più ci pensava e più spingeva il suo sguardo avanti, più la sua mente si apriva su di un buco nero colmo di possibilità e allo stesso tempo di niente.
Tornò a guardarlo riprendendosi dai suoi pensieri e da dietro la montatura degli occhiali si nascondevano due occhi cerulei e limpidi che la guardavano con sempre quella nota di curiosità.
Harry non aveva mai nascosto alla sua migliore amica di essere bisessuale, anche se Alice sosteneva che la maggiore preferenza del suo amico tendesse verso i maschi, una sola ragazza fino a quel momento era riuscita a piacergli, ed era stata lei. Non gli aveva mai parlato di altre, in compenso aveva tirato fuori molti nomi maschili.
«Questo può solo voler dire che eri con la testa da qualche altra parte... a cosa pensavi?» il leggero rossore sugli zigomi del suo amico fu più che sufficiente come risposta.
«Jack Marchal.»
«Dimmi che scherzi» Alice avrebbe creduto che il suo migliore amico le rispondesse con, “al fatto che siamo appena tornati e ci aspetta una lezione” o roba simile, invece era di nuovo con la testa altrove, rivolta verso qualche ragazzo. Sapeva essere così diligente, attento e allo stesso tempo così superficiale e lascivo, un connubio che alla fine in
realtà lo rendeva quasi equilibrato.

Era solito che Harry prendesse cotte per ragazzi decisamente indisponibili, lui era solito osservarli da lontano, da dietro le quinte, quasi sperasse in un intervento divino che puntualmente non si presentava ed Harry rimaneva nell’ombra. Si era infuriata col suo migliore amico più volte di quante ricordasse, tuttavia cominciava a credere che oltre alla timidezza nel suo comportamento ci fosse uno schema, un’idea forse; prima o poi qualcuno avrebbe osservato lui e notato i suoi sguardi, lo avrebbe visto.
Almeno lei si era convinta che quella era una delle principali motivazioni, forse semplicemente Harry non sapeva ancora scegliersi le persone giuste.
«Alle elementari ci conoscevamo, eravamo amici. Sai di quelli che si scambiano sempre le figurine e le macchinette» ad Harry si illuminarono gli occhi, quasi fosse perso nei suoi ricordi.
«Per prima cosa dovrai riprendere a parlarci nuovamente, il fatto che vi siate già incontrati aiuta ma Harry» Alice lo osservò, scostandosi una ciocca scura dietro l’orecchio, «macchinine...figurine...davvero tutto molto carino ma non credo che basti, dovrai trovare un altro modo di iniziare la conversazione.»
Si bloccò, guardando Harry mentre scuoteva forte la testa con negazione ai suoi consigli. Alcune ciocche castane gli scivolarono davanti gli occhi.
«Lo so sai, sono incapace ma non fino a questo punto. E in ogni caso non gli parlerei affatto, all’epoca non era altro che un bambino paffutello simile a molti altri, ora è uno dei ragazzi più popolari del college, nonché capitano della squadra di football, io nemmeno esisto nei suoi ricordi!»
Alice storse in naso, Jack Marchal non le era mai piaciuto più di tanto, non che lo avesse mai conosciuto di persona ma i suoi modi e la sua fissa per il football e per le ragazze che andavano a vederlo lo dipingevano come il ragazzo in piena consapevolezza della sua popolarità e del suo fascino. Sarebbe stata ben felice di tenere lontano Harry da lui.
Ma vedere il suo migliori amico gettare la spugna per l’ennesima volta cominciava a farsi ripetitivo. C’erano sicuramente mali maggiori di quel ragazzo.
Fece spallucce mentre sistemava ciò che necessitava sul banco.
«Potresti verificarlo...»
«No. Guarda cambiamo discorso, come vanno le cose tra te e Bruce?»
Alice lanciò un’occhiata storta al suo compagno di banco, che si sistemò gli occhiali sul naso fingendo di non aver notato il suo rimprovero silenzioso .
« Bene suppongo.»
« Supponi?.»
Alice fece spallucce, tirando fuori dallo zaino il suo piccolo astuccio verde e il quaderno degli appunti, aspettando qualche minuto per rispondere.
«Da qualche giorno litighiamo.»
Gli rispose con tono fermo ma tranquillo, con sua sorpresa si accorse di non aver dato una particolare nota di importanza alla frase.
Harry sospirò, posando i suoi occhi cerulei sul quaderno aperto davanti a sé.
«Per cosa?»
«Niente di importante in realtà...» Alice non finì di spiegare, in realtà non sapeva ancora bene che cosa dovesse spiegare, si era detta che quei giorni gli sarebbero serviti per pensare ma alla fine non ci aveva pensato troppo, e ora la cosa cominciava a pesargli. Avrebbe certamente dovuto dare più importanza alla sua relazione.
«La negazione è la prima fase» annuì Harry, facendola sospirare con frustrazione.
«Smettila.»
«Ma è così, se litigate c’è un motivo e se la cosa continua deve esserci qualcosa di grosso alla base, le piccole litigate sono solo piccole micce che diventeranno un fuoco enorme quando uscirà fuori il vero problema.»
Alice lo fissò, mentre nell’aria il brusio teneva compagnia alle loro chiacchiere.
«Oh, non sapevo di aver chiesto la seduta dallo psicologo.»
«Meglio, dal tuo migliori amico, che vede più cose d te, nonostante a portare gli occhiali sia io.»
Il brusio si abbassò gradualmente mentre la porta si apriva e il professore entrava nell’aula mettendo a tacere tutti gli alunni e salvando Alice dal vicolo cieco nel quale si era cacciata.
Durante la lezione Alice fissò fuori la finestra volando con la mente oltre le mura e oltre i vetri che la rinchiudevano lì, immaginò dove potesse essere Nathan.
Era strano, essendo una ragazza fidanzata e per questo classificata tra le ragazze innamorate, i suoi pensieri sarebbero dovuti essere diretti a Bruce, il suo ragazzo. Ma Nathan aveva sempre occupato parte dei suoi pensieri, era il suo fratellone, non di sangue ma non le era mai importato. Era e sarebbe sempre stato il ragazzo che sapeva non l’avrebbe mai lasciata, che l’avrebbe protetta, era la persona che conosceva di più a al mondo ma allo stesso tempo anche la più sconosciuta... di lì a qualche tempo i suoi comportamenti gli sfuggivano.
Era diventato distante, sembrava allontanarla sempre più mentre lei gli si avvicinava.
Ma forse era tutta una sua immaginazione, era normale che volesse un po' più di distanza, era più grande, più popolare e in cerca di divertimento come qualsiasi altro ragazzo della sua età. Alice si convinse che il motivo era solo quello.
Al suono della campanella che segnava la fine dell’ora, Alice chiude il quaderno, accorgendosi di aver preso pochi appunti.
Il professore seguente era di storia e come suo solito sarebbe arrivato un quarto d’ora dopo il suono della campanella.
Alice stava per mettersi a chiacchierare col suo vicino di banco, quando una figura femminile e piena di curve le si parò davanti. Non doveva alzare lo sguardo per sapere chi era, Jessica Chantal, ragazza dai capelli di un misto tra il rosso e il castano chiaro, occhi scuri, quasi neri, piena di carattere e fiducia in se stessa.
«Alice tuo fratello è tornato? Sai non l’ho intravisto tra la folla di ragazzi.»
Alice storse appena il naso fingendo un sorriso cortese, ovvio che non era interessata a lei ma al suo affascinante e palestrato fratello, Nathan aveva una mezza storia con la sua compagnia di classe, ma Alice non aveva mai capito quanto importante fosse. Ammesso che lo fosse anche un minimo.
In realtà non nutriva antipatia contro di lei, gli era semplicemente indifferente. Certo forse nella maggiore non gli piaceva ma non poteva certo farsi piacere tutti solo per il buon cuore che suo padre le aveva sempre ripetuto di dover avere.
In più non riusciva a nascondere il pizzico di invidia che le bruciava dentro nel vedere che il suo seno era il doppio del suo, lo avrebbe tanto voluto anche lei, invece era da quando aveva quattordici anni che il suo seno si era bloccato e non si era ancora arresa a quell’idea.
«Certo, ma dubito che sia nella sua classe, sarà in giardino o in camera, sai col casino che si è avuto oggi molti ragazzi non sono venuti alle lezioni» Alice notò bene che dopo averle dato le informazioni che le servivano, Jessica non stava più ad ascoltarla e fissava il vuoto con espressione pensierosa.
Alice poteva quasi leggere i suoi pensieri, non che fossero difficili da immaginare: “quando posso andare a trovarlo?” o magari: “scappo dalla classe e vado ora?”. Dovevano limitarsi a quelli.
«Okay» si allontanò dal banco riavvicinandosi alle sue amiche della fila opposta a quella di Alice, leggermente infastidita.
Jessica non era stupida, né un gallina senza cervello, anzi i suoi voti erano molto buoni, ma sapeva atteggiarsi come un’insopportabile reginetta superficiale delle volte. Era bella e di certo nella vita avrebbe fatto carriera, non era una persona completamente insopportabile, sapeva rivelarsi anche lei piacevole delle volte, con chi voleva ovvio.
Alice sosteneva dentro di sé che lei e quella ragazza erano semplicemente incompatibili, non avrebbero potuto mai fare amicizia o avere magari una vera conoscenza, una ragione in più era il fatto che andasse a letto con Nathan, non sapeva spiegarsi il motivo ma conoscere la ragazza che di notte condivideva il letto di suo fratello le risultava ancora fastidioso. Non che fosse la prima, ma proprio per quello, non aveva avuto relazioni di amicizia con le altre, perché con Jessica avrebbe dovuto fare un’eccezione?
Forse era perché non la sopportava, Nathan aveva fatto il classico prendendosi Jessica come ragazza/non ragazza, Alice conosceva tutte le amiche e gli amici di Nathan e più o meno tutti gli erano simpatici, pochi erano quelli che preferiva non vedere, ed era certa che quando Nathan le avrebbe presentato la sua ragazza, una vera ragazza affermata come sua fidanzata, sarebbe stata più che felice di diventarle amica.
Ma era strano, non riusciva a pensare a quel futuro giorno senza una punta di invidia a colpirle il petto.
Quella ragazza si sarebbe presa le sue future attenzioni, lo avrebbe certamente allontanato da lei, ed Alice non sapeva immaginarsi un futuro con Nathan lontano, era qualcosa che le bruciava dentro e le infiammava il sangue causandole una sensazione poco piacevole allo stomaco.
Nathan era il ragazzo che il mondo stesso le aveva regalato, non era nato con lei, si era unito alla sua famiglia e alla sua vita quasi d’impatto.
Quando Harry la chiamò toccò a lei sobbalzare, colta nel mezzo di pensieri che non aveva ancora realizato per davvero.
«Adesso credo che fossi tu quella persa nei suoi pensieri, sempre Bruce…?»
Alice rimase in silenzio per qualche secondo, «Sì...Sì.»

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3.

Nathan

Nathan era sdraiato sul suo letto con la valigia buttata ai suoi piedi, alcuni dei suoi vestiti erano rimasti al college per quei quattro giorni, mentre altri, con la scusa della valigia mezza vuota se li era portati dietro da casa, ora era certo che sarebbero rimasti lì dentro per più o meno una settimana buona, la voglia di disfare e sistemare non lo aveva ancora preso, sicuramente si sarebbe mosse nel momento in cui gli sarebbe diventato strettamente necessario.
Amber si sarebbe certamente infuriata nel vederlo così svogliato, ma era uno dei lati positivi essere lì da solo.
Al suo contrario il suo compagno di stanza era stranamente fissato per l’ordine, il suo letto era sistemato e i suoi vestiti piegati nel armadio e nei cassetti, steso sul suo letto disfatto non aspettava altro che il rimprovero di Michael, che non tardò ad arrivare non appena mise piede in camera e si voltò verso di lui, scostandosi le ciocche rosse e ricce da davanti gli occhi e fissandolo storto.
«Non ho alcuna intenzione di stare in un porcile! Andiamo almeno la valigia che ti costa sistemarla?»
Nathan roteò gli occhi.
«Non ho alcuna intenzione di ascoltarti per oggi» ribatté Nathan, tentando di sorridere in modo amichevole. Era steso sul letto e osservava il suo cellulare, scorrendo verso il basso le notizie che stava leggendo, sospirò mettendo in stand by il cellulare e buttandolo con noncuranza sul letto al suo fianco rimandando la sua ricerca a dopo.
«Guarda che dividerò la stanza in due parti come le prime settimane.»
Nathan sorrise veramente divertito. Il primo anno si erano ritrovati nella stessa stanza e ci avevano messo qualche settimana a ingranare, non appena Michael aveva visto lo stato di disordine in cui tendeva a lasciare le cose aveva diviso idealmente la stanza in due parti per non essere associato a quel caos. Nathan invece non aveva fatto altro che pensare a quanto con quei capelli rossicci, quelle lentiggini e quegli occhi verdi, il ragazzo assomigliasse a un cherubino troppo cresciuto.
Nonostante le differenze erano poi riusciti a ingranare e a trovare una via di mezzo per entrambi, presto sarebbe stato il suo turno di onorarla mettendosi a sistemare ciò che era suo, ma era solo il primo giorno, aveva ancora un po' di tempo per del sano nulla fare sul letto.
«Stasera organizzano una festa, mi hanno chiesto se vogliamo andarci.»
Michael si spostò verso il suo armadio aprendolo per osservare i suoi vestiti, lui doveva aver già deciso. Nathan si tirò su seduto.
«Chi la fa?»
«Jack Marchal nella sua camera e lungo tutto il corridoio se ho capito bene, niente di speciale per festeggiare il ritorno in questo carcere, ci stai?» era una domanda alla quale non serviva una risposta. Si tirò in piedi per tirare fuori i vestiti dalla valigia posta ai suoi piedi.
«Fingerò di non vedere» Michael si voltò non appena Nathan cominciò a buttare i vari pantaloni sul letto, decise velocemente che cosa indossare, un jeans e una maglietta a maniche corte blu sarebbe andata più che bene.
Quando si incamminarono verso la stanza la vita all’interno del dormitorio maschile del college era ancora molto accesa, d’altronde erano appena tornati tutti anche se solo dopo pochi giorni, nell’aria aleggiava la voglia di rivedersi tra i vari amici che si erano creati nel mezzo di quei corridoi. Nathan superò tutti con al seguito Michael.
 

Alice.

Alice si preparò indossando solo un paio di pantaloncini di jeans e una canottiera bianca sopra, forse un poco trasparente ma era fresca ed adatta al tipo di serata, in ogni caso ci avrebbero pensato i capelli a coprire ciò che andava celato ad occhi indiscreti. Non ne aveva così tanti per nulla, doveva renderli utili.
La sua compagna di stanza uscì dal bagno, i capelli biondi tenuti fermi da un mollettone in un’acconciatura semplice come da: “Ho caldo e odio i miei capelli”, ma le stava decisamente bene.
Si era leggermente truccata in volto e anche lei aveva indossato pantaloncini uniti a una maglietta arancione sgargiante come la sua personalità. Alice avrebbe voluto truccarsi ma se Lily si era ribellata al caldo segandosi i capelli lei non aveva l’ardire di sopportare il trucco che le avrebbe appesantito il volto insieme al caldo, così ci aveva rinunciato, mettendo in conto che avrebbe lasciato ben in mostra i suoi ormai inseparabili amici Freddy e Brook, uno bello fresco sulla fronte e uno sotto sulla guancia. Non che non avesse altri brufoletti o punti neri sul volto, ma quelli erano davvero i padroni del suo viso.
«Dove pensi di andare?» Alice si voltò verso l’amica con aria interrogativa, alzando un sopracciglio nero.
«Come? Andiamo a quella noiosa festa no?»
Alice avrebbe preferito restare nella sua camera a leggere, guardare un film o magari anche uscire con le sue amiche, non perché fosse una reclusa che odiava le feste ma lì al dormitorio del college o nelle case di chi abitava vicino ogni scusa era buona per festeggiare e per sfortuna o forse fortuna, dipendeva dai punti di vista, le scuse erano sempre più frequenti e fare qualcosa troppe volte lo rendeva ai suoi occhi noioso e ripetitivo dopo un po', anche perché ad ogni festa le cose da fare erano solitamente le stesse.
Le piaceva ballare, divertirsi e sì, anche bere, ma allo stesso tempo anche stare nella sua camera seduta sul letto a leggere non le dispiaceva per niente.
La sua voglia di alzarsi e prepararsi era stata tirata fuori dalla stessa Lily che non aveva fatto altro che sostenere che dovevano andare a quella festa e non per un motivo preciso, l’unico che Alice aveva captato e con la quale era stata convinta era la presenza del ragazzo che piaceva alla sua compagna di stanza ed Alice quasi certamente avrebbe dovuto fare da supporto morale, mentre con lo sguardo avrebbe cercato di adocchiare il suo ragazzo.
«Oh sì, ma non ci andiamo con quei peli che ti ritrovi.» Scosse la testa con fare di diniego mentre la osservava, «ho sorvolato sul trucco però dai!»
«Peli?» Alice abbassò lo sguardo sulle sue gambe, trovandole principalmente normali come sempre, forse aveva la pelle delle ginocchia un po' ruvide? Si era dimenticata di mettersi la crema per il corpo dopo la doccia.
Aguzzando la vista però dovette ammettere dentro di sé che qualche peletto si stava facendo largo con la ricrescita, niente che avesse voglia di levare via in quel momento, Lily era la solita esagerata.
«Oh ma dai! A stento si vedono.»
Lily scosse la testa, prendendola per il braccio e spingendola di prepotenza verso il bagno, tra i vari tentativi di Alice di scamparle. La sua amica su certe cose era davvero irremovibile, Alice l’avrebbe vista bene tra qualche anni all’interno del mondo dell’estetismo, avrebbe certamente fatto faville.
«Se devi andare a lezione! Ma noi dobbiamo andare ad una festa! »
«Ma io non devo fare conquiste quella sei tu.»
Davanti quella protesta la sua amica si fermò, soppesando l’opzione tra continuare a spingere o se andare alla festa a cui erano già in ritardo, arricciò le labbra facendo poi spallucce.
«Va bene, hai vinto. Andiamo.»
Alice si dipinse un piccolo sorriso di vittoria.

La festa era come tutte le altre, anche se meno rumorosa di quanto Alice si sarebbe aspettata ma apparentemente più piena di ragazzi di quanti avrebbe dovuto, niente di esagerato come avrebbe potuto essere al di fuori di quelle mura.
Alice si era fatta largo tra la folla posizionata nel mezzo del corridoio, con in mano un bicchiere contenente poca birra importata molto probabilmente illegalmente dentro il dormitorio, non ce ne era tanta in realtà, solo i primi arrivati ne avevano davvero goduto per la maggiore il chiacchiericcio ora la faceva da padrone.
Aveva ormai perso di vista la sua amica ma l’ultima volta che l’aveva adocchiata il co-capitano della squadra di football le aveva portato un bicchiere di birra salvato all’ultimo e aveva iniziato a parlare con lei, Alice aveva supposto che stesse più che bene in quel momento, anche se era consapevole che al ritorno in stanza avrebbe dovuto subirsi il rimprovero da parte di Lily che le avrebbe rinfacciato di averla abbandonata così, come se non sapesse benissimo cavarsela da sola.
Alice riuscì con infinita fatica a raggiungere una delle finestre del corridoio, l’orario nel quale ipoteticamente tutti i ragazzi del college sarebbero dovuti andare a dormire non era ancora arrivato, dunque una festa rumorosa nel giusto era appena accettabile e per il giardino interno al college erano presenti ancora ragazzi che girovagavano facendo finta di ignorare la piccola festa.
Bruce non era presente né lì’ né fuori, non era da lui saltare una rimpatriata organizzata da un ragazzo che conosceva ma il ritorno doveva aver stancato un po' tutti, presti tutto avrebbe ripreso il via.
Facendo spallucce Alice bevve, sentendo il sapore della birra bagnarle le labbra per poi riempirle il palato, era insolitamente buona. Non per niente le feste di Jack Marchal erano famose, non tanto per il divertimento, quanto per il buono delle bibite, come se fossero sempre di prima qualità.
Alice aveva provato ad invitare Harry, il quale però aveva rifiutato sostenendo che non voleva sentirsi dire in continuazione “Harry Potter si ubriaca!”. Un leggero vento soffiò rinfrescandole il volto, poi riportando gli occhi tra la piccola folla di ragazzi Alice scorse una figura a lei ben nota; Nathan.
Indossava dei semplici jeans strappati, forse solo Alice sapeva che quei jeans un tempo erano integri e che solo in seguito a una disastrosa caduta si erano strappati in modo quasi artistico, tanto che aveva deciso di tenerli nonostante tutto e non aveva fatto male, effettivamente gli stavano bene.
La maglietta blu che indossava sopra gli era un poco stretta alla spalle ormai troppo larghe e rese più prestanti dai muscoli che faticosamente aveva messo su con orgoglio. Alice ricordava ancora quando si stendeva su di lui per sdraiarsi, non aveva poco più di dieci anni ma il petto di Nathan era morbido e comodo, ora era più duro, segno che il programma in palestra e la boxe davano i loro frutti.
Tutto il suo corpo trasudava un’armonia che la sorprese, Alice si sorprese a pensare che visto nel mezzo della folla, una volta adocchiato come uno dei tanti ragazzi lì presenti, Nathan era davvero affascinante, in grado di catturare l’attenzione.
Le succedeva delle volte, vedeva Nathan come qualcuno di esterno, si ritrovava a pensare con facilità a lui come un semplice ragazzo come tanti altri che poteva osservare da lontano e commentare. Non aveva mai saputo spiegarsi quella sensazione, forse perché il suo cervello teneva sempre in conto involontariamente che erano fratelli adottivi, e delle volte si chiedeva come lo avrebbe visto se non fosse mai entrato nella sua vita in quella maniera, cosa avrebbero visto a primo impatto i suoi occhi? Lo avrebbe mai notato?
Non appena si accorse dei suoi pensieri Alice aggrottò le sopracciglia, scacciando via quella sensazione che gli era scesa lungo il corpo, in realtà non le piaceva molto. Non appena tornò presente si accorse subito di un paio di occhi castani che la fissavano.
Nathan congedò per un momento i ragazzi coi quali stava dialogando e ridendo per avvicinarsi a lei. Alice sorrise quando se lo ritrovò davanti.
«Anche tu qui?»
«Sì ma non mi sto particolarmente divertendo...» Alice storse il naso e alzò il bicchiere come per farglielo notare, le piaceva bere ma di rado lo faceva. Più che altro molte volte mancava le occasioni per farlo.
Gli occhi di Nathan si soffermarono sul bicchiere, Alice in quel momento notò il disordine dei suoi capelli neri e la leggera ombra di una barba che cominciava riscoprirgli la mascella, doveva essersi raso da poco ma con poca cura.
«E Bruce sorellina? Dove lo hai lasciato?»
Alice finse di ignorare il tono un poco secco col quale aveva posto quelle domande, doveva essere stata solo una sua impressione. Non era un segreto che Bruce non lo facesse impazzire ma non si era mai messo troppo in mezzo, la cosa che la sorprendeva da lì a qualche mese era il continuo utilizzo del nominativo sorella, non che la infastidisse ma lo trovava strano.
Da due anni chiamava i suoi genitori per nome, mentre con lei non aveva smesso, anzi se possibile non faceva che ostentare quella parola ogni volta che parlava con lei. Alice semplicemente non riusciva ben a capirlo e la cosa la infastidiva.
Non che si sentisse di chiederglielo, erano argomenti difficili.
«E’ in camera che mi aspetta sotto le coperte.»
Nathan rimase impassibile quasi come una statua di marmo, sbatté le palpebre più volte come per recepire bene il senso del messaggio ed Alice accennò all’increspatura di un sorriso divertito davanti la sua espressione.
«Scherzavo.»
Nathan annuì con distrazione ed Alice aggrottò le sopracciglia, la sua non era il miglior senso umoristico del mondo ma era sempre riuscita a strappargli un sorriso. In quel momento invece era solo più cupo, oscuro e chiuso in se stesso, almeno davanti a lei. Fino a poco fa stava ridendo.
«Nat tutto bene?»
Lui parve riscuotersi, strinse appena la mano che teneva il bicchiere fissandola negli occhi.
«Non mi chiamare Nat, è infantile non trovi?» la sua era stata una domanda che non si aspettava davvero una risposta, aveva assunto un tono graffiante e la sua espressione non dava a vedere la semplicità e la gioia che quella abbreviazione del suo nome da parte di Alice gli aveva sempre dato.
La sua espressione era aspra, i muscoli della mascella erano contratti come se improvvisamente avesse deciso di odiare quel nomignolo.
«Non ti ha mai dato fastidio però» controbatté Alice con voce seria ma sporca di incredulità, perché mai Nathan si stava comportando in quel modo?
Lui distolse lo sguardo da lei posandolo invece sulla folla, per poi concentrarsi su di una ragazza in particolare; Jessica. Alice sbuffò nel notare con quanta intensità la fissasse.
«Ti ho imposto di non infilarti più nel mio letto di notte e lo hai rifatto, per quello posso anche sorvolare, per adesso. Ma cerca di non chiamarmi Nat Alice, mai più, mi infastidisce.»
Detto ciò, con una buona dose di amarezza a contaminargli la voce, si allontanò di tutta fretta verso Jessica che non appena lo vide arrivare non ebbe che occhi per lui.
Alice li seguì per un po’ con lo sguardo, poi spostò gli occhi grigi e offuscati di incomprensione verso il giardino, non riuscendo ancora ad elaborare le parole di Nathan.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4.

Nathan

Li aveva visti, aveva visto come i suoi occhi si fossero incupiti, come fossero diventati di un grigio più scuro a causa della sfumatura di incredulità e incomprensione che li aveva colti ma non gli importava, doveva mettere in chiaro diverse cose. E in particolare per la sua stessa sanità e per non mandare in frantumi quello che ormai sentiva sempre di più divenire un castello di sabbia che rischiava di buttare giù.
Le aveva imposto due anni fa di non entrare più nel suo letto di nascosto, ed Alice aveva smesso anche grazie al fatto che orma erano entrambi cresciuti, certo alcune notti quella sua radicata abitudine aveva vinto su di lei e Nathan gliele aveva fatte passare per la sua felicità, non voleva negarle qualcosa che la faceva sentire serena a maggior ragione se quel qualcosa poteva farlo lui per lei.
Tuttavia nel secondo anno per lui era cominciato a diventare più un problema che altro e aveva dovuto ricordargli con una buona dose di compostezza che doveva finirla. Tra le tante cose era qualcosa che poteva negare al Alice senza minare qualcosa di profondo tra loro e permettendosi in parte di contenersi, di tenere sigillate tutte quelle sensazioni e sentimenti che scaturivano in lui. Doveva riprendere a vedere gli occhi come il ragazzino di tredici anni che era stato, non sapeva come altro fare per tenere in piedi quel maledetto castello.
Si stava impegnando, ci stava provando per davvero, gli serviva solo un po' di tempo. Anche un nomignolo non era molto da toglierle no?
Era una delle cose che recentemente, nell'arco di un anno, aveva imparato ad odiare, aveva quasi costretto il suo cervello ad odiarlo, aveva ceduto a quel sentimento per spirito di conservazione.
Sapeva che per Alice quello era un gesto di affetto ma per lui era ormai insopportabile anche solo sentirlo, era il momento che finisse. Lo temeva, poteva sbagliare comunque e farsi odiare, ma forse per assurdo sarebbe stato più facile. Anche i fratelli di sangue potevano scaturire tra loro sentimenti di odio e ritrovare la riappacificazione a tempo debito.
Forse sarebbe andato così, sarebbe stato più normale sicuramente.
La festa cominciò ad ammosciarsi verso una certa ora e Nathan ne aveva già abbastanza, quel luogo gli si era fatto ormai troppo stretto davanti a lui Jessica, impeccabile nei suoi pantaloncini neri e maglietta appena scollata davanti e sulla schiena, aveva l'espressione di una che ora sapeva cosa aspettarsi per la notte.
Nathan posò il bicchiere su uno dei davanzali delle finestre senza cura e incamminandosi verso la sua stanza, un corridoio sopra quello di Jack Marchal.
Aveva bisogno di staccare il cervello.
Jessica lo teneva per mano e alcune volte durante il tragitto era solito fermarsi, premerla con impetuosità contro il muro e prendere possesso delle sue labbra rosee per scambiarsi un bacio pieno di impetuosità.
Una volta davanti la porta della sua camera la prese per i fianchi spingendola dentro e chiudendosi la porta alle spalle. Jessica allungò le mani per sbottonargli la camicia che cadde per terra lasciando il petto ampio di Nathan allo scoperto.
Di certo lui non voleva attendere o mettersi a fare preliminari dolci, voleva solo far tacere le voci e le immagini nella sua testa. Come sapeva che lo voleva anche lei, ne avevano parlato diverse volte di ciò che volevano l’uno dall’altra, egoisticamente sperava che per Jessica non fosse cambiato.
La prese per i fianchi sollevandola e portandole le gambe intorno ai sui fianchi, la afferrò per i glutei con prepotenza, facendola sobbalzare di piacere.
La stese sul letto e si piegò su di lei adoperandosi poi con le mani dietro la sua schiena a sfilarle la maglietta, e scioglierle il reggiseno, Nathan le baciò il collo con frenesia scendendo sul petto e riempendola di attenzioni che voleva darle, non solo per lei ma per se stesso.
Armeggiò col bottone dei suoi pantaloncini per poi sfilarglieli e permettendo poi a lei di fare lo stesso. Le si posizionò sopra, tenendosi su con le braccia poggiate vicino il suo viso, Jessica sorrise appena, stringendo le gambe intorno ai suoi fianchi come per non farlo andare via, non che ci potesse riuscire in un momento del genere e ringraziò mentalmente il suo amico per aver inteso lo svolgimento della serata e avergli lasciato la camera libera, non sapeva dove fosse andato ma non si pose troppe domande o problemi.
I capelli ramati di Jessica erano sparsi sul cuscino e la sua espressione faceva ben trasparire l'aspettativa e l'impazienza. Era bella, ne era consapevole e un poco aveva anche imparato a conoscerla, era una ragazza che in altre circostanza gli sarebbe potuta piacere molto di più.
Nathan scese a baciarle la pancia piatta socchiudendo gli occhi, Jessica incurvò la schiena gemendo e sospirando di piacere. Con una strana calma prese a toglierle quel poco di stoffa che le rimaneva per poi sfilarsi ciò che restava sul suo corpo.
Le sue mani lo accarezzavano passando leggermente le unghie troppo lunghe sulla sua pelle. Nathan le mise le mani sotto le ginocchia avvicinandola al suo corpo eccitato e con una strana lentezza piena di enfasi raggiunse l’apice del loro rapporto.
Sapeva che in tutto quello non stava dando niente di sé a quella ragazza, sapeva che a ogni spinta nessun sentimento trapelava per davvero. Era una notte come tante altre.
La mattina seguente Nathan aprì gli occhi, il lenzuolo era arrivato a coprirgli appena il basso ventre e le coperte erano buttate a terra, proprio come i suoi vestiti.
Nel mezzo della sonnolenza percepì dei leggeri mugugni affianco a sé e istintivamente pensò ad Alice. Quando si girò la figura piccola e dolce di sua sorella fu sostituita da quella di una ragazza dai capelli ramati sparsi sul cuscino, il corpo formoso coperto dal lenzuolo e l'espressione assonnata in volto.
Nathan si passò una mano sul viso e si alzò dal letto recuperando per terra i suoi jeans e infilandoseli velocemente, la porta si spalancò nell'esatto momento in cui si stava allacciando il bottone.
Michael osservò la stanza alzando un sopracciglio, poi posò lo sguardo su di lui.
Nathan poteva quasi percepire il fastidio che la sua mente doveva provare davanti quel disastro.
«Eri nudo? Sarei potuto entrare nell'esatto momento in cui il tuo attrezzo era libero e a penzoloni.»
Nathan abbassò appena la testa per nascondere un sorriso divertito e chiudersi la cerniera.
«Quand'è l'ultima volta che hai fatto sesso da vestito?» Lo schernì, raccogliendo la sua camicia e buttandola a caso sul letto, dove Jessica si stava alzando tenendo le coperte ben salde intorno a corpo.
Michael gettò un occhio alla ragazza molto ammirato delle sue curve appena visibili, poi capendo che non avrebbe ricavato alcunché se non insulti dal suo amico, uscì dalla stanza.
Nathan si voltò verso Jessica.
«Si è fatto tardi, le lezioni iniziano tra un’ora» ribadì lui sospirando stanco, mentre Jessica si alzava restando nuda ai suoi occhi, non ricordava quando avevano raggiunto quel livello di intimità. Si
mise a raccogliere i suoi vestiti per la stanza per poi indossarli velocemente.

Nathan la osservò per un momento mentre si vestiva, quando lei incrociò il suo sguardo lui spostò gli occhi verso la finestra, la giornata si preannunciava piovosa.
«Tanta voglia di cacciarmi?» chiese brusca, mentre Nathan sospirava frustrato.
«Non più del solito Jessica, come sempre.»
La ragazza lo squadrò seria, con gli occhi neri fermi nei suoi.
«Lo so, ci siamo chiariti fin da subito no? Stavo solo intavolando una conversazione inutile. Sembri però più sbrigativo del solito. Hai per caso un'altra nella testa?» mentre la ragazza si rivestiva, Nathan sorrise con l’amaro in bocca a quelle parole.
«No.»
«E non sarà neanche questa la volta in cui ti ruberò il cuore» disse lei con sarcasmo e finto tono smielato, facendo incurvare le labbra di lui in un sorriso appena accennato mentre ringraziava il cielo
che Jessica avesse capito tutto fin da subito. Forse avrebbe dovuto prestare più attenzione a quella frase, sapeva che avrebbe dovuto farlo ma non ne aveva le forze.

Lei finì di vestirsi, legando i capelli in una coda alta e gli si avvicinò.
«Però un bacio prima che me ne vado puoi pure darmelo no?» la maliziosità nella voce di lei lo fece cedere, mentre le stringeva la vita con le mani, avvicinandosela e baciandola con più tranquillità di quanta si sarebbe aspettato.
«Ricordalo bene, non so quanto tempo passerà prima del nostro prossimo incontro» la schernì consapevole che lei non se la sarebbe presa. Gli sorrise, guadagnandosi per questo dei punti in più nella scala di simpatia di Nathan.
C'erano volte in cui sperava che un giorno non lontano potesse imparare a farsi piacere davvero Jessica, ma c'erano altri giorni che invece contestavano con prepotenza quella speranza.
«Sta tranquillo che qualcosa da fare lo trovo nel frattempo.»
Nathan le accennò un saluto con il capo e si sistemò i capelli neri, spostandoli dalla fronte e ormai deciso a prepararsi per la giornata e uscire da quella piccola bolla che si era creata nella stanza.
«Impegnati allora.»
La ragazza sembrò tentennare un momento sulla porta, poi fece spallucce sapendo che si sarebbero rivisti.
Jessica uscì dalla stanza e Nathan finì di prepararsi, sapendo che avrebbe fatto tardi alla prima ora di lezione, non poteva riprendere quell’abitudine o quello sarebbe stato l’anno buono in cui il coach lo avrebbe messo in panchina per punizione e lui non aveva alcuna intenzione di stare fermo e seduto quando poteva sfogarsi tramite lo sport.
 

Alice
Alice sedeva a quello che ormai era il suo banco aspettando il suo amico, che la raggiunse con dieci minuti di ritardo. Ringraziò il cielo che fosse venuto e non l’avesse lasciata sola per magari qualche raffreddore troppo violento o chissà cosa, dato che la lezione che avrebbero affrontato sarebbe stata fisica e lei purtroppo non era decisamente portata per le materie in cui bisognava compiere grandi calcoli. Forse non ci si era davvero mai impegnata ma non erano nelle sue corde, non la emozionavano.
Ciò che veramente le piaceva era la storia, la letteratura sia classica che contemporanea, i libri e tutto ciò che riguardava quel mondo e aveva sempre avuto chi indicare quando le chiedevano da cose le scaturisse quella passione, gli era stata inculcata proprio da suo padre. Nella sua testa erano vividi ancora i ricordi di quando ogni sera si chiudeva nel suo piccolo studio per ascoltare musica classica mentre leggeva Shakespeare, Oscar Wilde, Jane Austen, Emily Brontë e altri.
Alice era entrata in quello studio varie volte senza permesso e aveva trovato la maggior parte delle volte suo padre seduto sulla grande poltrona con un libro tra le mani e gli occhiali da lettura, ogni volta alzava lo sguardo su di lei sorridendo e quando era piccola se la tirava sulle gambe e le leggeva quei libri, che all'inizio non capiva ma riuscivano comunque ad incantarla.
Alice sbatté le palpebre velocemente e più volte per ritornare alla realtà e ai conti della fisica scritti alla lavagna, per lei sarebbe stato più facile imparare una nuova lingua.

Sbirciò Harry seduto accanto a sé e con lo sguardo gli chiese aiuto, l'amico alzò la testa, sbuffando nel vederla tanto disperata come a ognuna di quelle lezioni anche se la ragazza sapeva che in realtà lui era ben felice di aiutarla.
Finalmente arrivò l'ora di pranzo, Alice e Harry si avviarono verso la mensa, una volta lì la rividero per quel che era, uno spazio pieni di tavolini divisi per gruppi distinti. Lei ed Harry avevano i propri amici e non si erano mai curati molto degli altri, ma in quel momento lo sguardo di Harry si era calamitato proprio su un tavolo pieno di ragazzi, in cui sedeva anche Jack Marchal; i capelli mori tirati all'indietro e le lentiggini a ricoprirgli il volto, dandogli comunque quell'aria sbarazzina e affascinante che alle ragazze piaceva.
Alice roteò gli occhi andando alla ricerca di Bruce, ancora non si era visto e lei cominciava ad irritarsi, gli aveva lasciato un messaggio ed era ancora in attesa della risposta.
Presero il vassoio e cominciarono a prendersi da mangiare ed Alice convinse Harry a stare fuori, tanto per cambiare un po' aria e anche per essere certa che gli occhi azzurri del suo amico non puntassero sempre la stessa persona. Lily, la sua compagna di stanza, li raggiunse dal fondo della sala abbandonando le sue compagne cheerleader ed unendosi al loro.
Dovettero attraversare i corridoi e sperare che il cibo non cadesse o che l'acqua si rovesciasse, Alice lanciò diverse occhiate verso Harry sapendo che il pericolo più grande era lui, che vantava goffaggine fin da piccolo e sempre lo sarebbe rimasto, era una delle cose che Alice amava di lui.
Una volta fuori il piacere del sentire il sole sulla pelle e il fresco del vento la fece sorridere, optarono per un tavolino situato sotto un alberello, capace di fargli ombra ma non troppa da coprire del tutto il sole ai loro occhi.
Harry si mise seduto vicino ad Alice mentre Lily si posizionò davanti a loro due, con la coda alta e bionda a oscillare dietro ad ogni suo movimento. La sua amica non si voleva convincere del fatto che con i capelli legati stava decisamente bene, le davano un'aria più adulta e in qualche modo affascinante. Come le donne in carriera, con le loro acconciature che tengono i capelli legati.
«Ma dai! Mi ha dato il pollo!» si lamentò Harry, che da qualche anno aveva intrapreso un percorso vegetariano. Alice in ogni caso in tutti quegli anni che lo conosceva non lo aveva mai visto strafogarsi di carne.
«Dallo a me» Lily si sporse verso di lui, prendendo con le mani la coscia di pollo e posizionandola nel suo piatto, diceva sempre di dover stare attenta alla linea ma mai metteva davvero a frutto quello che diceva, e in ogni caso la sua linea era perfetta così come appariva, Alice non si stancava mai di ripeterglielo.
Passarono tutta la pausa pranzo a chiacchierare del più e del meno, Alice chiese a Lily come fosse andata col ragazzo che le piaceva e se ne pentì subito dopo, dato che la sua amica partì in quarta rimproverandola di averla abbandonata. Alice si scusò senza riuscire a trattenere un sorriso divertito, mentre Harry le guardava confuso e mangiava le sue verdure.
Lily gli raccontò di come fosse riuscita a far colpo, dell'essere riuscita a dargli il suo numero.
Era incredibile con quanta enfasi lo raccontasse, come fosse una storia antica e coinvolgente, e lo era, se non fosse stato per i suoi occhi a cuoricino e la sua espressione persa nel vuoto.
«Quindi vi rivedrete?» chiese improvvisamente Harry, interessato al discorso. Lily annuì raggiante.
«Verrà a vedermi durante gli allenamenti con le mie compagne, Alice tu vieni vero?» I suoi occhi esprimevano una speranza unica e davanti quelle due enormi sfere castane non poteva che
acconsentire.

«Sì certo, così potrò darti il mio parere personale.»
Lily annuì allegramente finendo di mangiare il suo pollo, Alice in lontananza scorse Nathan con in mano un panino e al suo seguito un paio di amici, la ragazza fece quasi per alzarsi ma improvvisamente si bloccò a metà, chiedendosi se dovesse farlo o meno.
Nathan la sera prima era stato strano, aveva assunto un comportamento brusco nei suoi confronti e le aveva rinfacciato e proibito di usare il nomignolo che lei gli aveva affibbiato a soli cinque anni. Rimase ferma, aspettando che lui si accorgesse di lei e poco dopo i suoi occhi castani illuminati dal sole si posarono su di lei e sui suoi amici.
Alice gli sorrise appena titubante, pensando dentro di sé che la sera prima doveva solo aver bevuto troppo, non era di certo la prima volta. Suo fratello sapeva avere dei seri sbalzi d'umore.
Ma Nathan non ricambiò il suo saluto, finse di non averla vista, finse di aver puntato lo sguardo oltre, trapassandola e rendendola trasparente. Alice non era mai stata trasparente ai suoi occhi, Nathan non aveva mai finto di ignorarla.
Il sorriso di Alice si spense sulle sue labbra trasformandosi in un'espressione di confusione e incredulità.
Girò lo sguardo verso dove pareva guardare Nathan e capì che stava fissando Jessica, seduta a un tavolo con due amiche, rideva e non appena si sentì osservata voltò lo sguardo anche lei, Alice abbassò immediatamente gli occhi, sedendosi nuovamente al suo posto fissando il suo piatto. Quando rialzò lo sguardo su di Nathan, lui era scomparso.
Rimase a fissare lo spazio lasciato vuoto da lui, abbastanza da far preoccupare Harry che si schiarì la voce per attirare la sua attenzione e si sistemò gli occhiali da vista sul naso.
«Cos'è successo avete litigato?»
Alice si girò verso il suo amico, costringendosi a sorridere.
«Non lo so» ammise lei, perché davvero non capiva cosa stesse succedendo, non capiva il comportamento di Nathan.
«È la risposta di una persona che ha combinato casini con un'altra» commentò Lily, fissando Alice coi suoi profondi occhi castani. Era sicura che al loro interno risiedessero delle piccole pagliuzze dorate e ogni volta che glielo faceva notare Lily sospirava davanti lo specchio guardandosi e dicendole che sperava di incontrare un ragazzo capace di dirle certe parole e di notare in lei piccoli dettagli
come quelli.

Alice solitamente rideva sempre, chiedendosi inconsciamente se un giorno avrebbe incontrato un ragazzo capace di vedere il luccichio che i suoi occhi sapevano assumere sotto il sole, solitamente erano sempre di un grigio scuro ma sotto i raggi solari mutavano, assumendo un colorito grigio chiaro simile a quello delle nuvole di un mare in tempesta. Alice ricordò che il primo ad averle detto quelle parole e ad aver paragonato i suoi occhi in modo così completo e perfetto era stato Nathan. Per un momento si era sentita all’interno di un romanzo ottocentesco.
«Non ho fatto niente a Nathan, non so perché si comporta così.»
La campanella suonò, interrompendo il suo farfugliare insicuro e lei ne fu grata, visto che non sapeva cosa dire ai suoi amici per giustificare la strana tensione che uno sguardo rifiutato aveva saputo creare dentro di lei.
Forse non avrebbe dovuto dargli così tanto peso, sarebbe passato.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Alice

«Quindi state bene? E' tutto apposto e non avete niente da raccontare?»
Alice sedeva a gambe incrociate sul suo letto, nella sua camera. Era sera e avevano da poco cenato, la sua compagna di stanza era in bagno a farsi una doccia e lei ne aveva approfittato per chiamare i suoi genitori. In quel momento era al telefono con sua madre che sembrava avere un tono esausto, anche se felice di sentire la voce della figlia. La sua voce riusciva sempre a calmarla e in quel momento era proprio quello di cui aveva bisogno.
«Ma sai la nostra vita è noiosa, vuoi che ti racconti le novità a lavoro? Ho conosciuto la nuova arrivata, incapace anche solo di sistemare due dati di seguito» la voce di sua madre suonava in parte divertita in parte tesa, come fosse forzata.
«Come sempre dovrai fare da maestrina.»
Amber era una contabile di un'azienda facoltosa e di buona marca, era sempre stata brava nei conti e nelle materie pratiche, tutto il contrario di Alice, che avrebbe tanto voluto aver ereditato anche solo una parte del cervello della madre.
Mike, suo padre, era un facoltoso uomo d'affari, un tempo lavorava nel centro di New York sotto il controllo di un capo maggiore. Ma non era un uomo facile ad arrendersi e con un paio di colleghi si era licenziato, riuscendo a comprare con buone azioni e contratti un'azienda sull'orlo del disastro, facendola rinsavire e tornare nel pieno del suo splendore.
Lui e i suoi colleghi e amici erano i maggiori esponenti e capi aziendali, quelli che compilavano contratti e scendevano a patti nei loro enormi uffici affacciati sulla città, mentre gli altri compilavano le scartoffie e stavano seduti dietro una scrivania. Amber lavorava per un'altra azienda, ma non essendo queste due in conflitto non si erano mai creati problemi.
«Ora ti passo tuo padre, si è chiuso nel suo studio per tutto il giorno» sospirò la madre, facendola attendere un momento. Uno dei tanti altri svaghi e veri piaceri del padre era lo scrivere, avendo come base i libri classici non era il tipo da scrivere romanzi rosa.
Alice attendeva solo il momento in cui il suo scritto fosse finito solo per poterlo leggere, il padre aveva già parlato con le case editrici e pareva che quel poco che avessero letto gli fosse piaciuto,
forse tra poco meno di un anno, suo padre avrebbe coronato il suo vero sogno; vedere il frutto della propria scrittura sugli scaffali di una biblioteca. Si chiedeva sempre perché avesse atteso così tanto, ma sua padre gli aveva sempre ripetuto che l’attesa era stata necessaria ma non dolorosa, si era assicurato un futuro in un mondo in cui sapeva di dover avere una certezza materia per mandare avanti la sua famiglia e ora che poteva permetterselo stava dando se stesso al suo piccolo sogno nel cassetto.

Alice sapeva che a suo padre non interessava fare i soldi con il suo libro, voleva solo tenerlo tra le mani e sperare che qualcuno l’avrebbe tenuto tra le sue. Era certa che il dolore dell’attesa l’avesse solo compresa da poco, proprio ora che si stava mettendo all’opera si era tramutato nell'impazienza dell’attesa. Motivo per cui passava molte giornate chiuse lì dentro il suo studio.
«Mike, tua figlia vuole sapere la tua noiosa vita.»
Alice rise appena, sentendo poi il padre sbuffare in modo teatrale, ma poteva ben figurarselo nel suo studio, seduto sull'enorme poltrona girevole e nera, davanti la scrivania con sopra il computer e un leggero sorriso sulle labbra. Una tazza di caffè nero fumante vicina.
«Alice figlia mia, allora esisti ancora.»
La ragazza si morse il labbro.
«Non puoi pretendere che ti chiami tutti i giorni papà.»
«Anche questo è vero. Allora che racconti? Avete ripreso gli studi?»
Alice gli parlò del più e del meno, dicendogli dei suoi voti e delle sue leggere carenze, fortunatamente recuperate con l'aiuto di Harry e con una cocciuta testardaggine, odiava avere materie di cui preoccuparsi.
«E l'altro figlio? Nathan come va?»
Alice ci pensò un po' su prima di rispondere, tenendosi sempre sul vago. Ciò che la sorprendeva era la voce del padre, sembrava essere spenta, stanca, come se fosse ammalato. La sua personale tesi sulla sua voce fu confutata dai continui sospiri del padre, non trasmettevano il fatto che lui fosse stanco di ascoltare sua figlia, più che altro che fosse veramente esausto.
«Papà vai a riposare sembri stanco »seguì un momento di pausa.
«È il lavoro, sfiancante, ci sentiamo uno di questi giorni okay? Di a quell'altro di chiamare ogni tanto.»
«Va bene, ora vado, salutami la mamma.»
La chiamata si concluse così, sia Alice che il padre non erano soliti dirsi "ciao" o salutarsi mille volte, perché sapevano che si sarebbero rivisti, per entrambi i veri saluti dovevano essere dati in momenti speciali o in momenti finali.
Alice lasciò cadere il cellulare sul lenzuolo del letto, in quel momento di silenzio rovinato solo dallo scrosciare dell'acqua, la ragazza pensò a Nathan. Da quando l'aveva ignorata i suoi pensieri erano rivolti a lui per il doppio del tempo e non aveva intenzione di far durare la cosa, così indossò dei semplici pantaloni di jeans e una maglietta a maniche lunghe ma leggera, forse un po' troppo visto che da un giorno all'altro le temperature erano calate, ma non le importava ci avrebbe messo poco.
Uscì dalla stanza dirigendosi attraverso il corridoio verso l'uscita, per fortuna la sua stanza si trovava al primo piano del dormitorio. Una volta fuori l'aria fredda la investì, Alice si strinse nelle braccia, prendendo a camminare per il piccolo giardino come sempre illuminato dalle luci dei lampioni e della stanze dei ragazzi.
Si potevano trovare ancora molti studenti in giro, l'ora in cui bisognava recarsi nelle proprie stanze non era ancora arrivata e di certo i professori non stavano a guardare se una ragazza o meno si spostasse di dormitorio in dormitorio.
Non appena stava per entrare si sentì prendere per il braccio, quasi lanciò un urlo dalla sorpresa. Ma vedendo poi due occhi color cioccolato fissarla si trattenne, osservò Bruce davanti a lei con indosso una felpa grigia uguale ai pantaloni della tuta.
«Alice, dove vai?»
«Da Nathan, Bruce mi hai fatto prendere un colpo! Non puoi comparirmi alle spalle così» la sua voce fu di qualche tono un po' troppo brusca, ma non riusciva a contenere l'amarezza. Non si era fatto vedere per un bel po', rispondendo appena ai suoi messaggi e facendola irritare il doppio.
Bruce dovette notare questo suo malessere, perché addolcì di un poco lo sguardo.
«Scusa per oggi, sono stato impegnato con le lezioni.»
Alice lo aveva sospettato, non era il tipo di ragazza ossessionata dal dover passare ogni singolo minuto col proprio ragazzo, anzi, lei era più che felice di avere momenti tutti per sé o da passare con i suoi amici ma non riusciva a credere che Bruce non avesse avuto il tempo nemmeno per premere un pulsante.
«Posso capirlo Bruce, ma avrai avuto il tempo libero per digitare un messaggio come "Sto studiando", solo per farmi sapere che stavi bene.»
«Okay ammetto di essermene dimenticato, ammetto di aver sbagliato e sono un idiota, mi terrai il muso?» La sua espressione sembrava una via di mezzo tra la speranza e il fastidio, sembrava che dicesse "non puoi arrabbiarti per così poco" ma allo stesso tempo "se proprio sei arrabbiata allora perdonami".
Alice sospirò, creando una piccola nuvoletta di condensa, le temperature erano decisamente scese.
Bruce rimase fermo lì, in attesa, ed Alice sorrise, un sorriso dolce, perché in fin dei conti non valeva la pena litigare per così poco, perché ogni volta si ricordava il motivo per il quale si era innamorata di Bruce, oltre il suo aspetto e il carattere, lui sembrava capirla all'istante ed era una cosa che lei adorava. Anche se ultimamente pronunciare la parola innamorata nella sua mente, risultava per un qualche motivo più difficile del solito. Le piaceva l’idea ma non le bastava più che le piacesse solo.
Bruce le si avvicinò e si piegò per arrivarle davanti il viso, premette con la sua solita prepotenza le labbra sulle sue, Alice chiuse gli occhi e ricambiò il bacio, portando le braccia intorno al suo collo e alzandosi un poco sulle punte, non poteva giocare coi suoi capelli dato che erano coperti dal cappello. Ma il bacio fu insolitamente lungo, come se Bruce volesse recuperare i baci perduti in due giorni e mezzo di assenza, le loro lingue giocavano a rincorrersi e le mani di Bruce si soffermarono sui suoi fianchi come per tenerla inchiodata lì e non farla scappare.
Alice allontanò piano le labbra da quelle di Bruce, sorridendogli appena con gli zigomi arrossati.
«Devo andare a dire una cosa importante a Nathan» soffiò appena con voce bassa sulle labbra del ragazzo, che si adombrò in viso.
«Speravo di riuscire a condurti nelle mie stanze.»
Alice fece cenno di no con la testa, lei si sentiva pronta ormai, sapeva che poteva lasciarsi andare con Bruce, d'altronde poche e piccole litigate non potevano influenzare il suo pensiero, non dovevano farlo.
«Non stasera, devo davvero parlare con Nathan.»
Bruce sbuffò ma non oppose resistenza, si scambiano un altro veloce bacio a stampo e si salutarono.
Alice entrò nel dormitorio maschile, sperando di non vedere nessun maschio senza maglietta o camere con la porta aperta a mostrare tutto l'interno.
Si diresse velocemente al piano sopra verso il corridoio e la terza porta. Riconobbe immediatamente la voce del compagno di stanza di Nathan, Michael.
Bussò piano, non ricevendo risposta, bussò un'altra volta e Michael venne finalmente ad aprirle. La osservò per un attimo poi un largo sorriso gli si aprì in volto.
«La piccola sorellina è venuta a trovarti! Ciao Alice.»
La ragazza sorrise, aveva sempre ritenuto simpatico quel ragazzo, con quei capelli color carota naturali corti e ricci e le poche lentiggini spruzzate sul naso e sulle guance, anche sulla mani poggiate
allo stipite si potevano intravedere dei puntini arancioni colorargli la pelle scura di sole.

«Ciao, stai uscendo?» chiese lei, vedendo che era vestito con jeans e maglione di un nero slavato.
«Vado a recuperare dei soldi che ho prestato a uno, si sta indebitando con me. La tua amica Lily come sta?»
Alice trattenne a stento un sorriso divertito, sapeva bene quanto Michael fosse attratto dalla sua compagna di stanza, molte volte si ritrovava a sperare in una loro futura uscita. Ma quel periodo Lily pareva avere occhi solo per quel tipo co-capitano di Football.
«Bene, è un po' in fissa col football di recente, ma le passerà... se solo tu gliela facessi passare» il suo era un chiaro avvertimento e consiglio, in modi più dolci e raffinati era riuscita a dirgli che alla sua amica piaceva uno del football e che se Michael si fosse fatto avanti, avrebbe potuto distrarla da quella cotta e conquistarla a modo suo.
Lui parve capire, però scosse la testa e sorrise appena, fingendo divertimento.
«Okay nana messaggio ricevuto, ci si vede in giro, ora vado.»
Il ragazzo uscì, lasciandole la porta aperta per farla entrare. Alice entrò nella stanza che le parve divisa in due, il letto di Michael era sistemato e senza nemmeno una piega, gli abiti accuratamente piegati nell'armadio e la valigia sistemata.
Nel lato di Nathan, il letto era sfatto e lui ci sedeva sopra col computer davanti mentre digitava qualcosa, alcune magliette buttate ai piedi del letto e le altre piegate un poco a caso, nella valigia si potevano intravedere ancora degli indumenti da sistemare.
Alice gli si avvicinò, sbirciando un poco il computer e provando a vedere cosa stava facendo, tutto ciò che scorse fu la parola "University" poi Nathan abbassò lo schermo, alzando gli occhi su di lei.
«Alice, che c'è?» il suo tono parve apparentemente normale, eppure conoscendolo, la ragazza era riuscita a leggere una nota di impazienza.
«Sono venuta... a vedere... cosa stai facendo.»
Lui si fece un poco più in là, permettendole di sedersi al suo fianco. Qualcosa le si scaldò nel petto.
«Faccio ricerche su l'università.»
«Ti hanno accettato alla New York University, stavi vedendo com'è fatta?»
Nathan non la guardò, restò per un momento immobile col computer sulle gambe, come stesse pensando alla sua domanda.
Poi si volto, gli occhi ambrati accesi di una luce che li faceva somigliare quasi al colore del miele, un poco pi scuro.
«Sì... più o meno.»
Alice era stata felice per suo fratello, aveva fatto domanda a quella università tempo prima e grazie ai suoi voti, alle sue medie scolastiche e alla sua spiccata intelligenza era riuscito ad entrare. Ne era stato fiero anche lui e i loro genitori avevano festeggiato, era per di più anche conveniente, come università era prestigiosa e di certo costava ma i soldi non gli erano mai mancati, e si trovava poco lontano da casa loro. Dunque Alice avrebbe potuto continuare a vedere suo fratello senza problemi.
Ma se prima Nathan ne sembrava orgoglioso, ora pareva quasi fosse una costrizione, un qualcosa che non gli dava più gioia.
«Nathan qualcosa non va?» dovette ricordarsi di non chiamarlo Nat e le costò anche un piccolo sforzo non farlo.
«Va tutto bene Alice, a parte il fatto che tra poco scatta l'ora e tu dovresti trovarti nella tua stanza» i suoi occhi erano ancora puntati su di lei, era sempre il suo fratellone ma ora non lo riusciva a riconoscere. Quello era un chiaro invito ad uscire, ma il Nathan che conosceva l'avrebbe fatta restare ancora per un bel po' se solo lei glielo avesse chiesto.
«Va bene, uno di questi giorni chiama mamma o papà, vorrebbero sentirti un po' di più.»
Alice scorse un guizzo nella mascella di Nathan, che si indurì appena mentre annuiva lentamente.
La ragazza si alzò e nello stesso istante Nathan riaprì il computer. Prima di uscire si fermò vicino la porta, girandosi verso Nathan.
«Hai per caso visto il mio CD di "scrivimi ancora"?» Quello era uno dei suoi film preferiti in assoluto, era riuscita persino a farlo vedere a Nathan, che con i romantici non ci andava molto d'accordo.
Lui alzò appena gli occhi dal computer scuotendo la testa in segno negativo.
«Non ne ho idea.»
«Se lo trovi portamelo, voglio farlo vedere a Lily.»
Detto ciò uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle, non accorgendosi dello sguardo di Nathan puntato su di lei.

Nathan

Nathan era seduto ancora sul suo letto, le luci della stanza erano spente e il suo amico dormiva russando appena, doveva resistere all'impulso di tirargli un cuscino per far smettere quel concerto fastidioso.
Il computer era ancora acceso e fermo sulla pagina che stava visitando, l'università che tra poco avrebbe dovuto frequentare.

Si passò una mano sul viso, sospirando e cambiando schermata.
Queens College University.
In quel esatto momento la sua gamba premette sul lato del computer, facendo aprire lo sportelletto nel quale andavano inseriti i film, un CD vi era ancora dentro senza che lui lo ricordasse.
"Scrivimi ancora".
Nathan non poté impedire a un piccolo sorriso di farsi strada sulle sue labbra, prima di essere sostituito da un'espressione di tormento e di rabbia. Non verso la sua sorellina, come cercava di far apparire, ma verso se stesso. Perché i suoi tormenti interni si stavano riversando sul suo presente, sulla persona che in cuor suo sapeva di amare ma che mai avrebbe accettato.
Allontanarla non era ciò che voleva, era ciò che doveva fare. Sarebbe stato un fottuto idiota a non farlo, non poteva far cadere tutta la sua vita per dei sentimenti che non sapeva spiegarsi, che non dovevano esistere.
Tolse il CD posandolo sul comodino vicino il letto e la schermata che mostrava il Queens College rimase aperta, mentre quella della New York University veniva chiusa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

Harry

Harry era in piedi vicino il campo di football, aspettava Alice e intanto con la scusa della sua attesa si era preso del tempo per osservare gli allenamenti.
Nell'ora della ginnastica non sapeva mai bene cosa fare benché gli piacesse lo sport, sua madre lo aveva sempre tenuto lontano dalle attività fisiche troppo rischiose o stancanti e si era ritrovato poi a non aver mai davvero praticato nulla se non con la fantasia. Per fortuna quella per loro era un'ora di buco e lui non era costretto ad allenarsi con nessuno, era certo che il posto in cui avrebbe iniziato non sarebbe stato lì, le squadre si erano praticamente formate il primo giorno con tutti ragazzi già allenati di loro, in quel momento poteva osservare, il che era forse ciò che gli riusciva meglio.
Il campo da Football si trovava dietro l'imponente struttura del college, in un campo privato tutto per loro e bello ampio, circondato dalla recinzione e al di fuori, da panchine dalle quali si poteva osservare la partita che si svolgeva.
Harry si mise seduto su una panca e mentre aspettava i suoi occhi si fermarono su Jack Marchal, il capitano della squadra.
Alto e dalle gambe muscolose, il busto altrettanto allenato e i capelli scuri attaccati alla fronte dal sudore, nonostante le temperature fossero basse.
La maglietta da allenamento non era quella che simboleggiava i loro colori e dunque tutti erano vestiti a modo loro.
Harry si ritrovò a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto giocare a football se solo ne fosse stato capace, certo dalla sua non aveva nemmeno la prestanza fisica adatta, o almeno così era convinto a forza di guardare gli armadi che erano soliti farsi largo sul campo a suon di spallate, se mai lo avessero preso Harry era convinto che sarebbe volato fuori dal campo. Solo una volta ci aveva giocato, proprio insieme a Jack, entrambi avevano l'età di otto anni circa.
Jack era uno dei suoi compagni di classe, col quale aveva fatto amicizia grazie allo scambio delle figurine, ogni tanto si ritrovavano nel piccolo parco del quartiere, Jack con sempre un pallone sotto braccio, Harry con gli occhialoni tondi che giocava a fare il mago con gli altri bambini, un tempo trovava divertente la sua somiglianza al mago dei libri ma col passare degli anni si era rivelata una maledizione, tanto che avrebbe voluto scrivere alla scrittrice e chiedergli di riprendere i suoi libri e cambiare aspetto al suo personaggio principale, o magari di cambiare l'attore dei film.
Era bello somigliare a un attore o a un personaggio, ma era sfiancante se mezzo mondo lo conosceva. Harry si riprese dai suoi stupidi pensieri tornando ad osservare il mondo intorno a sé mentre la sua mente vagava.
Essendo un buon osservatore recentemente si era accorto che Alice pareva in conflitto con se stessa, quando gli aveva accennato di Bruce non sembrava più la ragazza innamorata che conosceva, si vedeva che i loro piccoli litigi erano stancanti. Anche il rapporto con Nathan sembrava avere qualcosa di diverso, da quando lui l'aveva evitata con lo sguardo Alice si era incupita, cosa stesse succedendo tra quei due non gli era ancora chiaro.
«Ei! tu passa la palla!»
Harry abbassò lo sguardo suoi piedi, accorgendosi che la palla da football era a pochi passi da lui nello spalto sotto, doveva essere uscita dato che l'entrata nel campo era proprio vicino a lui e non se ne era nemmeno accorto. Che diavolo con i tiri che facevano se l’avessero colpito come minimo avrebbe dovuto ricomprare gli occhiali.
Si alzò un poco titubante e si avvicinò alla palla, la prese tra le mani e senza pensarci e aspettandosi un fiasco totale la lanciò con forza verso il campo. Con suo sommo stupore il calcio fu dritto e di buona potenza, la palla roteò sopra il terreno e attraversò il campo in linea retta, per poi essere stoppata da uno dei giocatori in campo che la prese al volo con un piccolo salto.
Harry sorrise fiero di sé, incredulo lui stesso della sua bravura in un tiro improvvisato. Con la coda del occhio notò che Jack gli aveva rivolto un piccolo sguardo.
Poco dopo gli arrivò un messaggio su WhatsApp
Alice ore 11:30 a Harry:
- Harry scusa non posso venire, mi sono scordata che devo studiare per continuare il tema su Shakespeare.
Harry sorrise appena divertito, era inutile che Alice studiasse dato che di letteratura e grandi scrittori lei ne sapeva più di quanto volesse dare a vedere, li leggeva fin da piccola, Harry lo ricordava.
Harry ore 11:32 ad Alice:
- Va bene, ci vediamo in aula.
Non appena l'allenamento finì Harry si alzò dalla panca, intento a tornare nella sua aula per svolgere quel maledetto tema a mode esame, a quel punto rimanere fermo lì non aveva più molto senso, a meno che non volesse passare per uno stalker della quadra di football.
«Ei.»
Harry si girò, ritrovandosi davanti un ragazzone dai capelli scuri e dagli occhi verdi, leggermente sporcati di marrone intorno alla pupilla.
Impallidì quando si accorse che era Jack.
«Dici a me?» Si indicò dopo essersi dato un’occhiata intorno.
«Sì, sei tu quello che prima ha calciato vero?» Jack teneva sulla spalla un borsone rosso enorme, doveva contenere al suo interno tutto il necessario per giocare.
Harry annuì, non capendo dove lui volesse andare a parare, Jack gli si affiancò, salutando gli altri suoi compagni con un gesto e tornando poi a guardarlo.
«Hai un bel tiro, non hai mai pensato di entrare nella squadra?»
Harry quasi rise, non gli era mai nemmeno passato per la mente.
«No, non sono portato. E poi la squadra a già undici giocatori fissi.»
«Da quello che ho visto il tiro non era male, il coach voleva sapere se per caso ti sei mai allenato. E poi le riserve servono sempre in campo.»
Harry scosse la testa, sistemandosi gli occhiali che gli erano calati sulla punta del naso. Aveva una bella voce, un po' roca per il freddo al quale aveva esposto la gola.
«Quel tiro è stato frutto della fortuna» ammise Harry, girandosi appena per guardarlo. Da vicino poteva notare le lentiggini puntellare il viso di Jack.
«Come ti chiami?»
«Harry Carter» il ragazzo vide un luccichio di comprensione negli occhi verdi di quel atro. Jack si voltò a guardarlo e parve vederlo per davvero solo in quel momento.
«Un attimo... ma sei il ragazzino occhialuto che giocava sempre ai maghi?» Harry rimase sconvolto, spalancando gli occhi e arrossendo appena per la sua stupidità da bambino. Aveva più volto invitato Jack a giocare con lui ma sperava di essere il solo a conservare quel ricordo nella sua testa, da qualche parte era certo che sua madre conservasse anche una loro foto insieme travestiti da chissà cosa.
Mentre ci pensava si accorse di quante cose imbarazzanti avessero condiviso. E non si sarebbe fatto tanti problemi se solo fossero rimasti in contatto negli anni ma non era successo, e con il tipo di ragazzo che er diventato Jack non poteva altro che definirli imbarazzanti.
«Sì» pareva incapace di rispondere, si limitava a quelle poche parole senza prendere il possesso del discorso.
«Il ragazzino che perse il mio pallone nuovo, come dimenticare, ti ho odiato per mesi.»
Harry voltò lo sguardo verso destra, per evitare di far notare il rossore che gli era comparso sulle guance e sugli zigomi. Odiava arrossire davanti gli altri.
«Sì ecco ero una schiappa prima e lo sono rimasto ora, il tuo pallone è volato oltre il parcheggio... sono andato a cercarlo qualche giorno dopo ma non c'era» Harry si grattò la guancia in palese imbarazzo, stava parlando troppo, come faceva sempre quando era a disagio.
Jack aggrottò le sopracciglia.
«Sono passati anni, non mi interessa più niente di quel pallone» fece una pausa sistemandosi la borsa sulla spalla. «Senti il coach vorrebbe tenerti in prova.»
«Te l'ho detto, non sono bravo e poi non mi sono mai allenato, mi sentirei a disagio con tutti voi che siete capaci e io l'unico idiota.»
Jack annuì appena come fosse d'accordo con lui.
«Posso provvedere a darti qualche allenamento privato, io e te, per vedere se sei portato e se possiamo farti entrare in squadra.»
Gli occhi verdi di Jack non si staccarono mai dal viso di Harry, che in quella occasione vide per la prima volta un'opportunità, gli pareva di sentire nella testa la voce di Alice che gli sussurrava: "accetta! È un ottima occasione per avvicinarvi".
Così quasi senza pensarci annuì, ancora titubante.
«Ci si può provare.»
Jack parve fiero di sé, annuì e si girò per andarsene. Harry non si faceva vanto di comprendere le persone al primo sguardo ma aveva imparato a studiarle da lontano e ad affibbiare ai loro modi di comportarsi diversi tipi di carattere. Jack gli era sempre sembrato distante, consapevole di piacere a tutti e di poterne fare un vanto, era il tipo di ragazzo che poteva organizzare delle feste e non essere solo invitato per pura fortuna.
In tutto il discorso che avevano avuto i suoi occhi non avevano mai smesso di brillare di sincerità, Harry non lo aveva ancora visto parlargli con noia e fastidio, sembrava divertirsi all’idea.
«Poi ti faccio sapere quando.»
Harry prese a camminare velocemente, mentre tirava fuori il cellulare e digitava un messaggio.
Harry ore 12:34 ad Alice:
- Devo esporti delle novità interessanti.

Alice

Nell'ora dedicata al pranzo i due decisero di sedersi nella mensa apposita del college. Lily non li raggiunse, dovendo decidere un qualcosa col suo gruppo di Cheerleaders.
Alice dopo aver ricevuto il messaggio di Harry era rimasta con la curiosità a morderle il petto per conoscere le novità del suo amico. Una volta seduta al tavolo con davanti il suo mangiare, non riuscì più a resistere.
«Avanti dimmi questa novità.»
Harry le si mise seduto davanti, si voltò appena dietro guardando di sfuggita il tavolo dove c'erano un paio di ragazze e ragazzi, e tra quelli, Jack.
«Ascolta bene, perché non ci crederai mai, l'intervento divino è avvenuto.»
Harry le raccontò tutto, del pallone, del suo tiro strabiliante, di come Jack lo avesse invitato a far parte della squadra e si fosse offerto di allenarlo per un po' e valutarlo. Ma soprattutto gli disse del fatto che lui si era ricordato dei loro incontri da bambini. Alice era sorpresa ed entusiasta per il suo migliore amico anche se leggermente confusa.
«È incredibile!»
«Lo so! Per la prima volta in vita mia mi ritrovo a ringraziare il football!» Era visibilmente euforico e felice, i futuri allenamenti non sembravano preoccuparlo minimamente.
Alice sentì il cellulare vibrare, lo tirò fuori mentre ascoltava il farfugliare di Harry.
Aprì WhatsApp e si ritrovò due messaggi.
Bruce ore 13:50 ad Alice:
- Sei alla mensa?
Gli rispose di sì, per poi aprire l'altro messaggio inviatogli da Nathan:
- Dove sei?
Possibile che improvvisamente la cercassero tutti? Gli rispose e poggiò il cellulare sul tavolo, tornando a parlare con Harry.
«L’importante è che sei sicuro di quello che fai.»
«Lo so che jack non ti piace e nemmeno io so che tipo di persona sia adesso però» Harry voltò nuovamente lo sguardo verso il ragazzo seduto a pochi tavoli di distanza da loro, come se non potesse fare a meno di accertarsi che avesse parlato con lui e non con un altro che gli somigliava, Alice sorrise divertita, «era tranquillo quando parlava con me, non sembrava nemmeno scocciato.»
Lei sorrise, non aveva in realtà nulla da contraddire al suo amico, anzi. Era felice che si fosse buttato in qualcosa che non fosse la sua zona sicura, non conosceva bene Jack da dovergli dire di stare attento, magari era come diceva lui ed entrambi si sarebbero divertiti, se non altro avrebbero potuto magari recuperare la loro vecchia e infantile amicizia.
«Allora mi fa piacere, vedi di divertirti, magari il prossimo anno mi diventi il capo della squadra! E dovrò dire addio al mio personale Harry Potter.» Scherzò.
Harry le lanciò uno sguardo stralunato, riprendendo a mangiare, «no seguirei troppo le linee guida della Rowling, rimarrò un semplice ragazzo che ha avuto un buon tiro e che sarà al massimo la riserva in panchina.» Si sistemò gli occhiali, «E poi il mio obiettivo non è così nobile come aiutare la squadra e altre cose così.»
Alice rise. «Sei tremendo, sono certa che se non fosse venuto Jack a chiedertelo avresti detto semplicemente no.»
«Ne sono certo anche io.» Le rispose con il sorriso.
«E io che lodavo la tua presa di posizione nel provare qualcosa di nuovo.»
Mentre rideva scorse in lontananza Nathan, che con lo sguardo pareva cercare qualcuno. Non appena i loro occhi si incrociarono lui si bloccò, per poi avvicinarsi al suo tavolo con in mano qualcosa.
«Harry Potter come va?» lo schernì Nathan, il suo amico fece un cenno di saluto, guardandolo.
«Se mi chiami di nuovo così ti faccio un Avada Kedavra» scherzò Harry, forse gli unici con cui scherzava su ciò erano Alice, Lily e Nathan, per cui un tempo si era preso una cotta.
Nathan sorrise appena, poi si girò verso Alice rimettendo sul volto una maschera di serietà tranquilla ma composta.
«Ho trovato il tuo Cd.»
Le porse la custodia del film con all'interno il Cd, Alice lo prese sorridente e lo mise nella sua borsa.
«Dov'era?»
«L'avevi lasciato nel mio pc.»
Alice si ricordò che l'ultima volta lo aveva visto su quel computer, se ne era dimenticata. Guardò Nathan e sorrise, cosa che non venne ricambiata.
«Grazie.»
«Ho saputo che sei stato preso alla New York University, complimenti» si congratulò Harry per rompere il silenzio. Nathan girò lo sguardo su di lui, annuendo appena senza vera gioia nell’espressione e senza un minimo di vanto con quale si era pavoneggiato i primi giorni, come se nessuna sua emozione trapelasse. Come se non ne provasse affatto.
Alice allungò lo sguardo e notò che vicino la porta d'entrata c'era Bruce, che non appena la scorse tra la miriade di ragazzi, si avvicinò.
Anche Nathan lo notò, il suo sguardo si indurì e dal guizzo della mascella traspariva un palese fastidio. Ma di cosa? Alice davvero non lo capiva.
«Ora vado, ci si vede» si allontanò così, senza nemmeno rivolgerle un secondo sguardo.
Non l'aveva mai liquidata in tal modo, mai.
Bruce li raggiunse e si mise seduto al suo fianco, intrattenne una piccola chiacchierata con Harry per poi rivolgere tutte le sue attenzioni ad Alice, quei due non erano mai andati molto d'accordo ma per qualche motivo Alice si ostinava a credere che prima o poi forse sarebbero riusciti almeno a sopportarsi per un paio di minuti, senza un sorriso costretto sulle labbra.

Nathan

Poche ore dopo la fine delle lezioni, Nathan ricevette un messaggio.
Aprendolo vide il nome di sua sorella.
Alice, ore 18:50 a Nathan:
-Perché fai così?
Nathan fissò il messaggio per alcuni minuti, pensando al modo migliore per risponderle.
Nathan, ore 18:56:
- Cosa vuoi dire?
Lei gli rispose immediatamente come se fosse rimasta ad attendere con lo schermo acceso davanti il viso.
Alice, ore 18:56:
- Ti comporti in modo strano, non negarlo.
Nathan, ore 19:00:
- Sono solo teso.
Sapeva che Alice avrebbe notato il suo radicale cambiamento. Nathan si sentiva diviso in due, tra ciò che voleva e ciò che doveva fare.
Alice, ore 19:15:
- per?
Questa era la semplice domanda alla quale non avrebbe risposto. Non poteva farlo, perché era per colpa di Alice se lui si sentiva così, era per colpa della sua forza di attrarlo se lui doveva lottare con se stesso. Ma se nella sua testa poteva addossare su di lei la colpa, per trovare un minimo di pace contro se stesso, nella realtà non avrebbe mai potuto farlo, in fondo sapeva che tutta quella situazione era solo addossata su di lui, e così l’avrebbe fatta rimanere.
Nathan, ore 19:30:
- Niente, non dormo abbastanza.
Subito dopo scrisse un messaggio al suo psicologo e amico, Michael Stewart. Era un bel po' di tempo che non gli scriveva.
Nathan, ore 19:30.
- Scusi l'ora tarda, ma vorrei sapere se una di queste domeniche potevo vederla, pagherò io stesso la seduta.
Nathan aveva subito preso in una certa simpatia l'uomo che gli scavava nella mente, era stato lui ad indirizzarlo in un qualche sport come la boxe e gli aveva lasciato il suo numero, dato che era maturo e sopra i diciotto anni quell'uomo non vedeva il motivo per il quale non potesse tenerlo, per ogni caso necessario.
Forse col tempo più che psicologo e paziente, erano diventati come due amici di vecchia data che si raccontano ogni cosa, i loro incontri non erano più nello studio, bensì in giro per Manhattan.
Nathan non aspettò né la risposta di Alice né quella di Michael, poggiò il telefono sul letto levando la suoneria e dirigendosi al bagno nella sua camera.
Si spogliò e si infilò sotto la doccia, godendosi il getto d'acqua calda sulla pelle, nella speranza che potesse lavare via anche le sue emozioni, le sue sensazioni e i suoi ricordi.
Maledì sotto voce tutto ciò che lo circondava ma soprattutto se stesso, per quello che provava, per il modo menefreghista con cui trattava Jessica e altre solo per il semplice fatto che non sopportasse passare tempo con loro... perché non era a loro che il suo tempo andava dedicato.
Per il modo in cui stava trattando Alice, per la sua fottuta decisione dell'università e per l'intero mondo che aveva deciso di prendersi gioco di lui come se non lo avesse già maledetto abbastanza.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 CAPITOLO 7
Nathan 

Il giorno dopo era domenica e non era prevista alcuna lezione né alcuna partita che lo interessasse direttamente. Solitamente lui ed Alice non erano soliti tornare a casa per un giorno, anche se il college si trovava nella città di Manhattan e non era molto lontano, preferivano restare lì ed evitarsi un viaggio, a meno che non fosse necessario.
E questa volta per Nathan si era resa necessaria.
Molti ragazzi erano soliti tornare e per quel pomeriggio Nathan aveva chiesto un permesso per poter tornare a casa anche se in realtà non ci sarebbe tornato, per quanto gli facesse piacere rivedere
Amber e Mike la priorità era uscire per incontrare Michael Stewart.
Salì sulla sua moto, consapevole che il non avvertire Alice avrebbe riportato delle piccole conseguenze.
Sfrecciò per le strade osservando dritto davanti a sé, l'aria e le temperature si erano fatte fredde da un momento all'altro ma infondo era ormai quasi metà Dicembre e il tempo si era saputo tenere anche troppo.
Nathan indossava i suoi soliti jeans da moto attraverso i quali sentiva l'aria fredda entrargli dentro e un giacchetto di pelle nero come la moto, il casco altrettanto scuro a coprirgli il volto.
Una volta arrivato nella zona di Upper West Side parcheggiò la moto in un angolo, sfilandosi il casco e dando una smossa ai capelli incollati alla sua fronte. Alzando il sedile tirò fuori la spessa catena, legando dalla ruota la moto ad un palo.
Fatto ciò portò il casco con sé, uscendo dall'angoletto e riversandosi sulla strada affollata di macchine, il rumore dei clacson e dei motori era ovunque e i nuvoloni grigi in cielo preannunciavano pioggia in serata.
Aveva mille ricordi di quella strada, ci aveva portato Alice milioni di volte, tutti e due adoravano quella zona più delle altre, forse era per l'architettura dei palazzi, non esageratamente alti e di uno stile particolare. Tutte case vicine con le altre, Alice diceva sempre che in un posto del genere per un qualche motivo riusciva a sentirsi sicura.
Piccoli alberi e piante di un bel verde illuminato dai raggi solari decoravano le strade in modo alternato, non per niente era una meta per molti turisti.
Ma il vero ricordo che quella strada e quella zona conservavano era racchiuso all'interno del Metropolitan Opera House*, il teatro d'opera più grande del mondo, al quale Nathan aveva portato Alice due anni prima.
Ricordava tutto di quel giorno: Alice era sempre stata appassionata di letteratura e di scrittori del passato, e insieme a quella passione man mano era sorto l’interesse anche per il teatro, proprio in onore di tale passione Nathan l'aveva portata lì un sabato di Novembre per vedere l'opera di Manon Lescaut*. Sapeva che Alice era già a conoscenza di quell'opera e ricordava perfettamente la sua gioia nel sapere che l'avrebbe vista dal vivo. Era saltata al collo di Nathan ripetendo per un'infinità di volte grazie, talmente tanto da fargli quasi salire il nervoso e da costringerla, sotto la minaccia di buttare via il biglietto, a smettere.
Quel sabato si erano recati lì e avevano salito quei pochi gradini che li separavano dal imponente teatro, davanti a loro si era aperta una piccola piazza con nel mezzo una fontana con l'acqua illuminata dalle luci che la facevano assomigliare ad una sorgente magica, alcune persone vi si erano sedute sul bordo prendendo la fantastica immagine di piccole fate nella sua testa. Nathan era stato costretto da Alice a farsi scattare da uno sconosciuto una foto lì, seduto sul bordo con Alice stretta accanto, l'acqua illuminata alle spalle e la bellissima struttura quadrata del teatro come vero sfondo.
Aveva stampato quella foto e la custodiva gelosamente nel cassetto della sua camera.
Una volta giunti proprio davanti le porte di vetro l'imponenza del teatro li aveva stravolti, Alice era rimasta ferma davanti l'enorme entrata ad osservare i possenti cinque archi che la decoravano e le luci color oro illuminare l'interno, i vetri che chiudevano gli enormi buchi aperti lasciati dagli archi erano molti, di forma quadrata e tenuti uniti ma anche divisi per quadrato, c'erano cornici nere introno a ogni vetro e da lontano sembravano costruire un pasol di ciò che c'era all'interno. Erano tanto limpidi da far riversare al di fuori qualsiasi luce vi fosse all'interno.
Nathan aveva dovuto prendere sotto braccio sua sorella e spingerla a muoversi, sotto il pericolo di arrivare tardi.
Si era sempre sorpreso di come Alice fosse affascinata da tali opere, le piacevano anche quelle moderne, proprio come i libri, ma aveva una predilezione per quelle "antiche", del passato, la incantavano in un vortice di emozione che Nathan non aveva mai saputo comprendere né apprezzare fino in fondo, era la più grande eredità che Mike avesse potuto lasciare a sua figlia.
Tal volta Nathan pensava che in Alice vi fosse racchiusa da una parte che conteneva la speciale e rara passione per gli scritti e le opere, mentre da un'altra i semplici vizzi e piaceri di un'adolescente vogliosa di vivere la propria vita al massimo, con film preferiti, divertimento alle feste, musiche contemporanee e tal volta senza senso da cantare sotto la doccia, unito poi ai libri fantasy in cui gli piaceva perdersi.
Due parti completamente opposte ma perfettamente conviventi in una sola persona. Non era nulla di speciale se ben ci pensava ma lo aveva sempre apprezzato.
Nathan rammentò mentre camminava diretto verso la sua meta che quando erano entrati l'interno li aveva lasciati ancor di più a bocca aperta; era illuminato a giorno e meravigliosamente sorprendente era stato il rosso che decorava il tutto come colore predominante dei posti a sedere, sia bassi, laterali che alti e ve ne erano un'infinità in cui sedere e altrettanto spazio per chi, non riuscendo ad occupare un posto, restava in piedi.
Il soffitto e il sotto di ogni spalto era di un colore simile al dorato, accentuato anche dall'enorme lampadario tondo che illuminava tutta la stanza, accendendola di vita.
Nathan ricordava che Alice guardando il soffitto aveva detto che il modo in cui era decorato le ricordava un enorme fiore, ogni semicerchio era un petalo che diventava sempre più piccolo nell'avvicinarsi al centro e al posto del pistillo si trovava il lampadario.
Il palco era enorme e l'apertura era quadrata, una volta seduti ai loro posti e una volta che le enormi tende del sipario si erano aperte gli occhi di Alice non si erano più staccati di lì, l'opera era divisa in quattro atti e per tutti quelli l'emozione non aveva mai abbandonato l'espressione di Alice, rapita come una bambina davanti il suo cartone preferito, mentre un leggero sorriso le affiorava alle labbra dipinte di rosso.

L'opera era finita, sua sorella si era girata verso di lui con gli occhi lucidi e rossi dalle lacrime trattenute. Nathan non sapeva dire se fossero per il tragico finale dell'opera o se per la devastante emozione che doveva provare dentro di sé. Doveva ammetterlo anche lui, ne era rimasto colpito, non era stato in grado di spostare gli occhi, di distrarsi o di annoiarsi.
Le note di quell'opera gli vibravano ancora dentro.
«Nathan... grazie» sussurrò con dolcezza Alice per quella che doveva essere la centesima volta. Il ragazzo sbuffò, alzandosi ed esibendosi in un cordiale inchino per poi porgerle il braccio. Se ben pensava era lui a dover ringraziare lei, non si sarebbe mai goduto uno spettacolo simile se non per la passione che Alice aveva nutrito negli anni.
«Signorina, se ora me lo permette la scorto fuori.»
Alice aveva riso, alzandosi e prendendo il suo braccio. Era vestita con un elegante quanto insolito abito nero, non era esagerato ma nemmeno invisibile. Sul davanti una minima scollatura a V si faceva largo mostrando la pelle chiara, mentre le perline nere adornavano tutto il tessuto, le cadeva in modo perfetto sul corpo, rendendola più esile di quel che era.
La vita stretta fasciata perfettamente e le braccia coperte dalle maniche lunghe, il seno piccolo ma messo un poco in evidenza senza sfociare nel volgare, la gonna liscia le cadeva sulle gambe e quasi sembrava accarezzare il pavimento mentre Alice camminava. I suoi occhi grigi erano messi in evidenza da una luccichio di gioia e i capelli neri andavano confondendosi col vestito.
Forse Nathan era di parte... eppure Alice quella sera era apparsa ai suoi occhi quasi come una visione, si era azzardato a sfiorare l’idea che quasi sembrava perfetta, non di una perfezione finta, vuota o costruita, perché non la potevi costruire, lei ai suoi occhi era una bellezza naturale nella sua semplicità, nel suo essere vera anche con un vestito del genere addosso.
Nel modo in cui camminava senza atteggiarsi ma oscillando un poco le anche in alcuni movimenti, soprattutto nei passi incerti, nella dolce, sottile e involontaria sensualità del corpo a volte un poco infantile, nel modo in cui si scostava delicatamente le ciocche di capelli dietro l'orecchio, nei movimenti esitanti e tremolanti, simili a quelli di una foglia sottoposta alla potenza del vento, quando si sentiva poco a suo agio in una situazione o con una persona, in quegli occhi vividi, capaci di far vedere la loro vera luce solo a chi sapeva cogliere i piccoli dettagli che la celavano, un luccichio, una
scintilla o un'ombra.

Due profondi occhi contenenti le nuvole del cielo, le ombre sfumate di un disegno fatto a matita, l'orizzonte del mare nelle sue più tempestose giornate... erano persi in universi e pensieri che solo lei riusciva a percepire.
Nathan sarebbe potuto andare avanti per ore ma in quel momento tutto sembrò bloccarsi, persino il tempo gli concesse dei secondi tutti suoi con i quali elaborare ciò che stava succedendo dentro di lui.
E mentre il tempo riprendeva il suo corso senza che nessuno si accorgesse della sua piccola pausa, Nathan restò fermo lì, con una nuova consapevolezza pronto a torturarlo per il tempo a venire.

Nathan si accorse di essersi fermato nel mezzo del marciapiede, colpito da tale ricordo come un fulmine a ciel sereno. Quella sera era impressa in lui come un marchio a fuoco sulla sua pelle, all'inizio il suo ripetersi nella mente lo bruciava, provocandogli un dolore insopportabile e folle, ora, col passare del tempo era una cicatrice vivida, viva, la sentiva formicolare dentro di sé ogni volta che Alice gli si avvicinava.
Quel ricordo sarebbe dovuto andare in frantumi come un vetro in esplosione, perché era quella la sera in cui tutto era davvero cominciato, in cui la sua discesa aveva preso il via. E non riusciva in alcun modo a rimuoverlo, solitamente ci si affeziona sempre a ciò che ci fa più male, no? O almeno questo era quello che gli aveva detto il duo psicologo in una delle loro sedute.

Nathan continuò a camminare per pochi metri, facendo svanire nella nebbia dei ricordi tutto ciò che in pochi minuti aveva saputo ritirare fuori da una scatola chiusa con un lucchetto nella sua testa.
Si ritrovò davanti la facciata della palestra di boxe, chiusa dato che era domenica.
Nathan osservò la facciata un poco rovinata dal tempo ma la scritta come insegna tutta in rosso era ancora ben visibile agli occhi dei passanti.
Era arrivato un poco prima del orario del suo incontro ma conoscendo Michael preferiva arrivare prima che dopo, non era tipo da sopportare i ritardi.
In quel momento un gruppo di ragazzi si fermò davanti la palestra cominciando a prendere a calci la porta e il muro, Nathan intuì a distanza che fossero ubriachi, lui stesso aveva frequentato certi individui imparandone le abitudini. Se ne vergognava ancora.
Il più grosso tra tutti lo osservò, sul suo volto si formò un ghigno storto e fastidioso da guardare.
Anche Nathan lo riconobbe e per scherno gli fece un cenno di saluto con la testa. Questo gli si avvicinò, fermandosi proprio di fronte a lui, la puzza di alcool era quasi nauseabonda.
«Eccolo lo stronzetto, stavo proprio pensando a te.» Biascicò confuso.
L'espressione di Nathan si fece aspra, assottigliò appena gli occhi stringendo il pugno. Il ragazzone davanti a lui era Tyler, l'idiota che qualche tempo prima aveva battuto in un incontro di boxe, in quel momento era più palestrato che mai, i capelli rasati a zero, il viso riempito di piercing e gli occhi neri pieni di furia.
«Ma non dirmi, è da tanto che occupo i tuoi pensieri?» ribadì Nathan, girandosi per andarsene e mantenere fede alla promessa fatta con se stesso, avrebbe fatto a botte solo nel piccolo ring quadrato presente nella palestra.
«Mi mostri le spalle?! Coglione prova a battermi ora!»
Era ovvio che gli bruciasse ancora, la sua sconfitta era avvenuta contro un pivellino, lui si era appena inserito nella Boxe mentre Tyler c’era già dentro da anni. Nathan aveva una tale rabbia quegli anni, un tale bisogno di sfogare quei sentimenti disastrosi contro qualcosa che aveva lottato come una tigre, i suoi pugni erano volati come missili e se avessero potuto avrebbero abbattuto qualsiasi cosa si
fosse presentata loro davanti. E così ci era riuscito, all'ultimo Tyler aveva emesso un sibilo strozzato per poi cadere all'indietro e reggersi alle funi del ring, per poi... alla fine cadere a terra, umiliato nella sua sconfitta. Nathan aveva emesso un ringhio di vittoria e di sfogo, uscendo poi dal ring senza degnarlo di un secondo sguardo. Non che volesse davvero umiliarlo o cosa, semplicemente non aveva avuto importanza in quel momento come non lo aveva nel presente, non era mai stato più di nulla nella sua testa, poteva essere Tyler come chiunque altro.

Non giustificava il suo comportamento ma non si era mai nemmeno vantato della sua vittoria.
Nathan allungò lo sguardo, vedendo i compagni di Tyler scrocchiarsi le dita e il collo, pronti a combattere come se lo sapessero e non aspettassero altro, di certo non era una situazione alla pari.
«Hai bisogno dei tuoi amichetti per fare a botte ora? Andiamo risparmiamocela tutti e due.»
Tyler emise un verso simile a un ringhiò, assumendo uno sguardo duro e stringendo i pugni talmente tanto da far diventare bianche le nocche. Poi improvvisamente un altro ghigno gli si aprì in volto.
Nathan rimase impassibile.
«C'era una ragazzina che ha esultato quel giorno quando hai vinto, solo una puttanella esulterebbe in tal modo, forse se la trovo potrei convincerla in qualche modo a esultare anche per me.»
Nathan ricordava che Alice era stata lì quel giorno, lo aveva accompagnato e poi aveva deciso di restare, lui non era d'accordo, avrebbe volentieri risparmiato agli occhi innocenti di sua sorella quella parte di sé.
Ma lei era rimasta, lo aveva osservato in silenzio e lui non le aveva mai rivolto lo sguardo, per non scoprire quale espressione vi si celasse: stupore? Disgusto? Paura? O semplice indifferenza? Non lo sapeva e non voleva.
Ma poi aveva vinto ed Alice aveva esultato correndo verso di lui e abbracciandolo, senza preoccupasi del fatto che fosse sudato e livido.
Sentire quello stronzo chiamare Alice puttanella gli fece salire il sangue alla testa dalla rabbia, tutto si dipinse di rosso, sentiva la vena sul collo e sulla tempia pulsare dalla furia che pian piano cresceva, le mani gli prudevano e richiedevano il sangue, quello che gli avrebbe fatto sputare da quella bocca schifosa che aveva lasciato uscire tali parole. Ogni suo pensiero e buon proposito venne cancellato e sostituito dal buio della sua testa acceso solo dal rosso.
Ridusse gli occhi a fessure, stringendo la mascella e i pugni, i muscoli parvero gonfiarsi nel sapere che presto avrebbero fatto ciò che più adoravano, imbattersi contro qualcun altro fino a cadere dalla stanchezza.
«Io ti ammazzo» la sua voce era arrochita, quasi ringhiante, come una belva che si prepari a sbranare la preda.
Aveva fatto una promessa a se stesso sì, ma sapeva dentro di sé che non l'avrebbe mai davvero mantenuta e in quel caso, non poteva. Dentro di lui c'era una belva che chiedeva di uscire, ringhiava furiosamente graffiando le pareti della sua gabbia, era arrivato il momento di ridargli la sua attesa libertà. E così, il primo pugno si infranse sul naso di Tyler, il rumore sordo delle nocche di Nathan sulle ossa di qualcun altro fu terrificante, ma allo stesso tempo inebriante di adrenalina.
Poco dopo era steso a terra, il naso gli colava sangue e gli doleva, proprio come l'occhio, se lo sentiva gonfio e a mala pena lo apriva, la vista era appannata e un poco rossa, doveva essergli partito un capillare, ricordava molto la sensazione di quando gli era successo la prima volta e quella che provava in quel momento era identica.
Il labbro spaccato da un lato e il costato dolente e benché fosse ridotto così, Nathan aveva provato una soddisfazione unica e un potere immenso quando lo aveva steso, mentre il sangue gli colava dal naso rendendolo ridicolo, aveva continuato, lo aveva umiliato con coscienza e aveva vinto, di nuovo.
Ma non era solo ed essendo in molti di più Nathan aveva dovuto soccombere un momento dopo.
E in quel momento era lì steso sull'asfalto, dolorante ma soddisfatto. Sputò il suo sangue per terra, tirandosi su con le braccia e con la forza che gli rimaneva si tirò in piedi. Emise un gemito di dolore basso passandosi la mano sul costato e roteando la spalla indolenzita.
"Vigliacchi bastardi."
Si avvicinò alla palestra, poggiandosi poi al muro e tirando un sospiro, cominciava a vederci sempre meno con l'occhio sinistro e il naso doleva sempre più, in quel momento avere del ghiaccio sarebbe stato meraviglioso, come una mano divina scesa dal cielo.
Guardando davanti a sé non vide alcuna mano divina, l’unica cosa che mise a fuoco fu la figura del solo il suo psicologo che gli veniva incontro.
"Oh cazzo."

Alice

«Nathan!» Alice urlò, richiamando l'attenzione di suo fratello, avevano appena cinque minuti per parlare e la ragazza si sentiva furiosa.
Gli si avvicinò fermandosi proprio davanti a lui e spalancando gli occhi. Il viso di Nathan era malandato, il naso rosso e un poco gonfio, proprio come l'occhio, circondato da un livido violaceo con il labbro sotto spaccato.
Ma suo fratello sembrava tranquillo e composto, la sua espressione era dura mentre aspettava che la sorella parlasse.
Alice aveva dimenticato la sua rabbia, per un momento l'aveva accantonata. La preoccupazione veniva prima, chi lo aveva ridotto così?
«Cosa diavolo ti è successo?» Le uscì appena un sussurro, non era la prima volta che lo vedeva ridotto in tal modo, anzi, aveva perso il conto delle volte in cui era successo ma le faceva sempre male pensare a lui schiavo della sua rabbia interiore, odiava vederlo ridotto così e sapere che in ogni caso non avrebbe potuto fare nulla.
«Nat...» non fece in tempo a finire la frase che Nathan parve lanciare fulmini dagli occhi. Spostò lo sguardo evitando il suo.
«Ma mi ascolti quando parlo?! Non voglio sentire quel nomignolo! Non lo sopporto Alice, è infantile. Smettila di chiamarmi così.» Sbottò con tono duro, facendola sobbalzare e indietreggiare sconcertata. Quello era davvero Nathan?
«Nathan... scusa... non volevo io... me ne sono dimenticata» la sua voce fu pari a un sussurro spezzato, gli occhi spalancati nei quali vi si rifletteva un ragazzo che non conosceva. Era solo un nomignolo, creato con affetto da una bambina che aveva difficoltà a dire il nome intero del suo fratellone, un nome da scrivere facilmente sui disegni che gli aveva regalato, o per chiamarlo in aiuto quando cadeva e si feriva al ginocchio o al gomito.
Perché ora la sua voce trasudava odio? Quelle parole per Alice erano come veleno e lui il serpente che glielo aveva impiantato nel sangue.
Non poteva crederlo.
Si girò senza dirgli altro e per la prima volta in vita sua desiderò davvero allontanarsi da lui il più possibile e il più velocemente.
Corse verso la sua classe, gli occhi le bruciavano, poteva non sembrare una cosa davvero grave ed effettivamente Alice si rimproverò per la sua infantilità, ma per lei lo era in ogni caso. Lo era per il loro rapporto e Nathan sembrava volerlo buttare via come niente fosse.
«Alice!»
La ragazza si girò di scatto, ricacciando indietro le lacrime.
«Harry...» lui notò i suoi occhi, il suo sguardo, ma lei non aveva voglia di spiegare, non c'era niente che potesse spiegare al suo migliore amico, in ogni caso non sarebbe servito, Harry aveva il dono di capirla, di interpretare i momenti nel quale valeva la pena di chiedere o quando bisognava restare in silenzio. Quella volta capì con un solo sguardo che l'opzione giusta era il silenzio.
«Andiamo, faremo tardi a lezione.»
Si ritrovò a dire Alice, con voce ferma e tranquilla, mentre dentro di sé si sentiva scombussolata da un uragano.
La sera si chiuse nella stanza di Bruce, passarono varie ore insieme, a parlare del più e del meno tra un bacio e l'altro. Ora erano lì, stesi sul letto, Bruce le poggiava sopra con il gomito si teneva su impedendo al suo corpo di schiacciarla, mentre con l'altra mano si infilava sotto la maglietta scorrendo verso l'alto e accarezzando la pelle del fianco, Alice sentiva le sua mani bollenti.
Le piaceva ricevere certe attenzioni, le mani di Bruce erano un poco frementi e forse veloci, quasi impazienti di toccare il suo corpo. Le accarezzò la guancia con la mano avvicinandosi e baciandola, deciso subito a renderlo un bacio passionale. Lei ricambiò leggermente più titubante, non sapeva ancora se sarebbe arrivata fino in fondo, era andata da Bruce perché ne aveva bisogno, le parole di Nathan le aleggiavano ancora in mente come una fastidiosa presenza che non riusciva a scacciare via, stare col suo ragazzo la aiutava.
Bruce lentamente scese a baciarle il collo, riempiendolo di baci voraci, Alice si riprese dai suoi pensieri e cominciò ad accarezzargli il petto in gesti fin troppo delicati per i suoi gusti.
Sentiva il corpo di Bruce rispondere a quei piccoli gesti, ogni guizzo dei muscoli sotto la sua mano pareva volergli rispondere.
Le fece scorrere le mani dalla vita alle cosce, quando Alice capì che aveva intenzione di sfilargli i pantaloni si irrigidì, le piacevano tutti quei baci e quelle carezze, ma qualcosa dentro di lei sembrava opporsi ad andare fino in fondo, gli mise le mani sulle sue, facendogli capire con i soli gesti che non era ancora il momento.
Sul viso di Bruce si disegnarono delle ombre oscure, il gioco di luce sulla sua pelle sembrava essere quasi una piccola opera d'arte.
Alice lo baciò e con le mani prese a percorrere il profilo dei suoi addominali in gesti più decisi e sospirando a ogni carezza di Bruce, quasi per farsi perdonare di non essere ancora pronta.
Sentiva che Bruce tentava di trattenersi il più possibile ma che gli fu impossibile non allungare le mani fin troppo maliziose di toccare il corpo di lei e infilarle sotto la maglietta con troppa prepotenza... arrivando a sfiorarle appena il reggiseno, provocando un sobbalzo da parte di Alice che però non lo allontanò.
Bruce la sollevò piano, facendo alzare la maglietta della ragazza e scoprendo un pezzo di pelle della pancia piatta, baciandola con foga.
Alice si ritrovò di nuovo sotto di lui, stesa sul materasso, con i capelli neri sparsi sul cuscino e le labbra rosse per i suoi baci, gli occhi grigi puntai nei suoi, con appena un luccichio di imbarazzo.
Bruce la osservò per un lungo momento, nel quale Alice si sentì apprezzata.
Gli occhi di Bruce si spostarono nei suoi, un piccolo sorriso di soddisfazione misto a qualcosa che Alice non fu in grado di decifrare. Lui le mise le mani sotto le ginocchia avvicinandola al suo corpo bramoso ed eccitato, mentre la guardava in ogni minimo dettaglio.
«Non ti devi mica vergognare» sussurrò Bruce, ed Alice si sentì un minimo rincuorata, anche se ancora decisa a non far alcunché di troppo spinto.
Il suo ragazzo riprese con una serie di baci sul collo che scesero leggermente vicino al seno, lasciato poco scoperto dalla piccola scollatura della maglietta, provocando sospiri e piccoli gemiti di piacere da parte di Alice.
La ragazza abbassò appena lo sguardo ed imbarazzata riportò subito gli occhi in quelli divertiti di Bruce, che rise notando il suo rossore nonostante la piega che aveva preso la situazione.
Bruce sorrise e riprese a baciarla con le mani maliziose che vagavano sul suo corpo. Gli mise le mani sui fianchi accarezzandole il ventre piatto e chiedendole se poteva andare avanti.
Sembrava che a quella domanda non servisse una vera risposta, lui sembrava intenzionato a sfilarle con calma i pantaloni e per un attimo Alice si fece convincere.
Le mani di Bruce erano appena scese dietro il bordo dei jeans e lo avevano afferrato, Alice ebbe il tempo di un secondo per pensare a quell'opzione, che la porta della camera si aprì.
«Oh...»
Sia Bruce che Alice si girarono di scatto verso l'entrata della camera, scorgendo una figura alta e mora nascosta nella penombra.
«Scusate» tossicchiò il ragazzo palesemente imbarazzato, grattandosi la testa ed entrando a testa bassa. Alice poté giurare di averlo visto trattenere un sorriso divertito.
Bruce sospirò amareggiato della brusca interruzione, spostando il suo peso su un solo avambraccio, per poter guardare negli occhi il suo compagno di stanza. Alice si abbassò velocemente la maglietta e sapendo di andare contro i voleri di Bruce, si mise seduta, rossa in viso.
«Jack hai un tempismo che fa altamente schifo.»
Alice lo osservò, quello che condivideva la stanza con Bruce era Jack Marchal? Colui per cui il suo migliore amico Harry ora aveva una cotta.
Non ricordava di averlo mai visto in quella camera, o forse lo aveva semplicemente dimenticato.
«Tu potevi avvertirmi, io non vi avrei... interrotto.»
Jack posò per un momento gli occhi su di lei, aggrottando le sopracciglia.
«Tu sei...»
«Alice» rispose immediatamente Bruce, impedendole di proferire parola. La ragazza aggrottò le sopracciglia, mentre il suo ragazzo fulminava Jack con lo sguardo, che confuso fece spallucce, buttandosi sul letto.
«Lo so che mi odierete ora e mi manderete tante di quelle volte a quel paese che sarò costretto a trovare la via. Ma io devo riposare, ed essendo questa per metà la mia camera...»
Lasciò la frase in sospeso ed Alice capì al volo. Si alzò, notando lo sguardo di scuse di Jack e la furia di Bruce.
«Nessun problema Jack, mi sembra giusto» sorrise Alice, per poi girarsi e lasciare un bacio a Bruce, che intento nel farla restare le circondò i fianchi con le braccia. Alice mugugnò appena.
«Bruce, lasciami» ridacchiò, liberandosi dalla sua presa andando verso la porta, li salutò nuovamente tutti e due, per poi uscire.
Percorse tutto il corridoi maschile per poi fermarsi davanti la porta di Nathan, sembrava che riuscisse ad avvertire la sua presenza, lei sapeva che suo fratello era lì, dietro quella stupida porta di legno, a separarli era solo un muro e mai un muro era sembrato più spesso che in quel momento.
In testa le frullavano una miriade di dubbi, perché si comportava così? Sembrava perennemente infuriato con lei ma Alice non ne capiva la causa, se solo lo avesse saputo... avrebbe potuto fare qualcosa, rimediare in qualche modo. Ed era assurdo che la sua mente fosse più concentrata su Nathan che sul passo che era quasi stata pronta a portare avanti con Bruce, si rimproverò nuovamente da sola e si chiese quale groviglio gli si fosse creato nella testa per non sapere a chi e su cosa dover indirizzare i suoi pensieri.
Sarebbe potuta entrare, avrebbe potuto bussare e chiedergli spiegazioni. Nathan aveva il viso pieno di lividi, era palese che avesse nuovamente fatto a botte e che quella volta ce le aveva prese anche lui. In mattinata Alice si era sentita infuriata, Nathan la domenica se n'era andato sena dirle niente, senza chiederle se volesse anche lei prendersi un piccolo permesso per uscire di lì.
Poi lo aveva visto e la rabbia era scemata fino a scomparire del tutto, non le importava più di essere stata lasciata lì senza il minimo avvertimento, tutto si annebbiava davanti la preoccupazione che aveva provato nel vederlo in quello stato...e a Nathan era sembrato non importare più di tanto, tutto ciò che aveva visto e sentito era lei mentre pronunciava il suo nomignolo.
Alice si allontanò dalla porta, concedendole un ultimo sguardo, per poi uscire di lì e dirigersi verso la sua camera.



Spazzietto Autrice:
* Metropolitan Opera House.
Metto qui una piccola nota per chi non lo conoscesse, so che potrebbe anche non interessarvi :), o magari lo conoscete già.
Ma per chi fosse interessato il Metropolitan Opera House è un teatro d'opera di New York, inaugurato nel 1883 e diventato il principale teatro musicale degli Stati Uniti. Chiuso nel 1966, è stato sostituito, nello stesso anno, da un nuovo edificio nel Lincoln center nell'Upper West Side.
Io non ci sono mai stata, ma spero un giorno di poterlo vedere almeno da fuori, per le descrizioni mi sono basata sulle varie foto che sono andata a cercare e su ciò che c'era scritto su internet.
Spero di essere riuscita un minimo a farvelo piacere o di averlo descritto in modo alquanto carino e giusto, se vi va fatemelo sapere, anche se non vi è piaciuta la sua descrizione, in tal caso vedrò di modificarla al meglio. :)

*Manon Lescaut.
Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut, noto anche semplicemente come Manon Lescaut, è un romanzo dell'autore francese Antoine François Prévost, (conosciuto anche come "Abbé Prevost"). Pubblicato nel 1731, è il settimo e ultimo volume di Mémoires et aventures d'un homme de qualité. (Memorie e avventure di un uomo di qualità).

Quelle che vi ho lasciato sopra sono solo notizie generali, potreste saltarle come no, io le ho messe perché semplicemente mi faceva piacere e se qualcuno voleva saperne poco poco di più ecco qui.
Un saluto e un abbraccio a tutti i lettori silenziosi che sono arrivati fin qui, a chi ha recensito facendomi infinitamente felice! E a chi ha aggiunto tra le seguite o le preferite la storia, grazie!
Spero che nel suo scorrere continui a piacervi.
Un saluto a tutti.
Marty_199.


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

Nathan

Nathan era in piedi vicino la finestra della sua camera che dava sul giardino, il ghiaccio premuto prima sull'occhio e poi sul naso, in gesti alterni. Una figura a lui fin troppo conosciuta attraversò il giardino diretta verso la sua camera, i capelli neri e lunghi oscillavano a causa del vento, intrecciandosi tra loro. Le spalle ricurve e le braccia strette intorno al corpo, segno che stando fuori doveva sentire freddo.
Nathan rimase fermo lì a fissarla, fin quando non scomparve dietro la porta, senza lanciare secondi sguardi a nessuno, tanto meno alla sua finestra. Non poteva biasimarla, Alice doveva essere arrabbiata con lui, era inevitabile. Doveva anche credere che quei lividi sul suo volto fossero per una rissa senza senso, per il solo gusto di farla, e non era del tutto sbagliato come non sarebbe stato del tutto giusto.
Quello doveva saperlo solo lui.
Si girò e si stese sul suo letto, fissando il bianco soffitto della sua stanza e cadendo inconsciamente tra le braccia di Morfeo.

«Mamma ho fame...» il bambino camminò piano verso la sua mamma, seduta su una sedia vicina il tavolo. Due bottiglie vuote posavano sul tavolo davanti a lei.
Sua madre aveva i capelli mori al lato del viso, l'espressione vuota e le rughe marcate dalla tristezza e dalla depressione.
Il piccolo bambino gli si avvicinò, con lo stomaco dolorante dalla fame, gli si fermò davanti ma nessuna reazione scosse gli occhi della donna, lo trapassava, come se non fosse mai esistito.
«Mamma ho fame» ripeté il bambino, la voce sporca di pianto e gli occhi rossi. Un guizzo parve smuovere la madre, che posò gli occhi su di lui, vedendolo per davvero.
Ma la sua espressione era impassibile, si portò alle labbra la bottiglia che teneva in mano, bevendone un lungo sorso.
Il bambino restò fermo a guardarla, speranzoso, gli occhi ambrati offuscati dalle sua stesse lacrime.
«Cosa vuoi?Anche io ho fame! Ma tuo padre non porta soldi! Con cosa mangiamo noi è?! Cosa cazzo vuoi Nathan?! Vattene!» Sua madre prese ad urlare con prepotenza, lanciando la bottiglia lontano, che si infranse contro il muro della cucina esplodendo in una marea di schegge appuntite.
Il bambino sobbalzò al rumore del vetro esploso e corse nella sua stanza chiudendo la porta, con sottofondo le urla di sua madre. Era sempre chiuso lì dentro, loro lo chiudevano lì dentro ma forse proprio perché era solo e in un piccolo spazio, riusciva a sentirsi più al sicuro, mentre si tappava le orecchie e stringeva gli occhi tentando di ignorare i crampi della fame che provava.

Nathan si svegliò di soprassalto col fiatone e si mise a sedere di scatto. Nella sua mente l'immagine della piccola stanza svanì lentamente e ad essa si sostituirono i muri e i mobili della sua stanza al college. I muri blu e gli armadi in legno attaccati alla parete, il letto del suo amico davanti il suo, contro la parete opposta alla sua.
Il respiro regolare di Michael dava a vedere che era ancora immerso nel sonno e che non si era accorto dell'incubo che aveva appena fatto scuotere Nathan. Sentiva ancora l'odiosa sensazione della paura, il fracasso della bottiglia che andava in frantumi si ripeteva nella sua mente in continuazione come fosse un vecchio lettore cd inceppato e riproponesse sempre la stessa musica, il dolore della fame, i crampi e il bisogno di cibo improvvisamente si fecero insostenibili.
Nathan si alzò piano dal letto, scostando le coperte e camminando al buio, si avvicinò alla sua valigia tirando fuori da una tasca al suo interno una barretta di cioccolato e cominciando a mangiarla nel più completo silenzio.
Il dolore allo stomaco cessò improvvisamente, rincuorato dell'aver constatato che poteva ricevere cibo quando voleva, o meglio, non era il suo stomaco a essere sollevato... ma la sua mente.
Nathan sapeva fin troppo bene che il suo era un problema di natura psicologica, che i crampi della fame non erano causati da un vero bisogno disperato di cibo ma dalla sua mente, dal suo subconscio, che forse solo per torturarlo gli rievocava tali ricordi.
Il suo psicologo gli aveva vietato di mangiare ogni volta che sentiva quei malesseri, ma Nathan non poteva farne a meno, per questo portava sempre con sé qualcosa da mangiare, in caso quel dolore si ripresentasse lui era sempre pronto a combatterlo e a cacciarlo via.

Alice
Nel pomeriggio seguente Alice si incamminò verso il giardino di lato al dormitorio maschile, non era molto grande come spazio e non aveva nemmeno un albero ma era dove la squadra delle cheerleaders si allenava per le loro coreografie.
Alice era lì per vedere la sua amica Lily e con lei anche il ragazzo che ora le piaceva.
Si sedette a una delle tante panchine lì presenti, il gruppetto di ragazze le era poco distante e intravide subito la sua migliore amica, i capelli biondi erano legati da una coda alta e scintillante sotto i raggi del sole, il biondo di Lily era invidiabile, dato che nonostante assumesse sfumature un poco più scure... sotto il sole erano luminosi.
Lily la vide e la salutò con sorriso sulle labbra e con fin troppa eccitazione, poteva esserci un solo motivo, il suo prezioso Co-capitano era presente tra gli spettatori.
Alice fece vagare lo sguardo ma sulle panchine e seduti per il parco c’erano troppi ragazzi perché lei potesse anche solo immaginare chi fosse il ragazzo. Lily dovette vedere il suo continuo cercare, perché con un gesto veloce della mano glielo indicò.
Era esattamente il tipo di ragazzo che faceva per la sua amica, alto e muscoloso, massiccio nella corporatura e nero di pelle, era un bel ragazzone.
Alice scosse la testa sorridendo appena divertita, il Co-capitano sedeva su una delle panchine ed era solo, gli occhi scuri puntati sul prato e precisamente verso le ragazze che si allenavano, da quella distanza Alice non sapeva stabilire se stesse guardando Lily o qualcun’altra di loro, sperava solo che questa volta la sua migliore amica avesse scelto bene colui per cui prendersi una cotta, era solito di Lily scegliere ragazzi inclini a farsi piacere troppe ragazze contemporaneamente, ed era sempre lei a doverla aiutare una volta col cuore spazzato.
Quante volte le aveva detto di stare attenta? Di non accontentarsi? Lily non era stupida ed Alice lo sapeva, ma la sua vita era stata influenzata dalla sua famiglia, in particolare dalla madre, che aveva quel maledetto vizio.
Alice ripensò a tutte le volte in cui Lily era venuta da lei a raccontarle del nuovo compagno della madre, che come era ormai noto si rivelava lo stronzo della settimana e dopo poco più di un mese si lasciavano, Lily si infuriava con la madre e veniva a sfogarsi con Alice, che attenta e premurosa nei suoi confronti provava a darle un minimo di consigli, la sosteneva, le stava sempre accanto nel miglior modo possibile e sperava che quella disastrosa abitudine non avesse intaccato anche la vita della sua migliore amica, o ve l’avrebbe dovuta aiutare, sarebbe dovuta stargli dietro e lo avrebbe fatto volentieri per lei ci sarebbe sempre stata.

Harry
Nello stesso momento nel giardino dietro della struttura del college due ragazzi si stavano allenando, Harry maledì dentro di sé il momento nel quale aveva accettato di allenarsi.
Jack era davanti a lui, le ginocchia un poco divaricate e piegate il busto basso verso avanti e l’espressione concentrata, pronto a bloccargli il prossimo tiro, erano ormai dieci tiri che tentava di fare senza metterci la forza che aveva dimostrato quel giorno, e non riusciva nemmeno per sogno a spostare Jack dalla sua posizione quando doveva muoversi per il campo, finendo sempre con le gambe all’aria. L’unica nota positiva che gli aveva sentito commentare era per la sua velocità, ma Harry cominciava comunque a perdere la speranza.
«Non potremmo fare, qualsiasi altro allenamento?»
Jack si spostò indietro un ciuffo moro da davanti gli occhi, scuotendo la testa e passandogli la palla. La sua forma ovale gli era ancora scomoda ma la gomma con cui era fatta aderiva bene alla pelle e riusciva a capire perché fosse facile tenerla in mano.
«Sto cercando di capire dove potresti inserirti, abbiamo la maggior parte delle posizioni già occupate ma tu saresti perfetto come halfback. Avanti proviamo.»
«Aspetta...halfback sarebbe
Jack sorrise quasi con fare sconfitto. «Il giocatore che porta la palla partendo da dietro la linea di attacco, non sei prestante a forza ma sei veloce, leggero e rapido, ottimo per le corse laterali, se ci concentriamo sullo scatto e sul ricevimento hai una possibilità. Con il lancio in parte ci sei.»
Harry sospirò sconfitto ma in parte si ritrovò d’accordo, quella posizione gli sembrava molto più adatta a lui di qualsiasi altra, se inseguito da ragazzoni enormi e incavolati neri era sicuro di poter raggiungere la velocità di un fulmine. Buttò un occhio al pallone tra le sue mani e seguì le direttive di Jack posizionandogli dove gli disse e si preparò.
Lanciò la palla a Jack al meglio che poté prendendo poi a correre con uno scatto che gli fece fuoriuscire l’aria dai polmoni di botto. Sarebbe bastata un poco di concentrazione ma con la consapevolezza del verde degli occhi di Jack che lo seguivano nei movimenti quella non ne voleva sapere di venire e lui si sentiva uno stupido a farsi mettere in soggezione da così poco come due paia di occhi indagatori e critici.
Ennesimo respiro mancato dalla fatica, Harry si sistemò gli occhiali sul naso mentre Jack posizionava il braccio all’indietro lanciandogli il pallone in un lancio corto che avrebbe dovuto prendere, i suoi occhiali produssero un leggero luccichio sotto i raggi del sole, la palla si scagliò contro di lui e per un secondo pensò di poterla prendere mentre i suoi piedi non entravano in accordo con quel pensiero e lo fecero sbilanciare in avanti mentre prendeva la palla tra le mani. Si fermò a pochi centimetri dal terreno, in una partita vera quel trascinarsi lo avrebbe certamente portato alla sconfitta.
La convinzione di potercela fare si sgonfiò come un palloncino bucato.
Harry osservò la palla con sguardo affranto, no, non era decisamente portato. Jack si rimise dritto, non aveva neanche dovuto muoversi e forse proprio a causa di quel stare fermo e della noia che doveva provare si mosse per recuperare i suoi occhiali a terra, passandogli vicino. Harry tentò di nascondere l’imbarazzo e imprecò sotto voce.
«Il tiro è buono, ci manca un po' di forza. Sulla presa dobbiamo lavorare.»
Harry si voltò verso Jack, la sua voce era normale, tranquilla e per nulla scocciata, anzi, sembrava quasi divertita, ne rimase decisamente sorpreso.
«Io... io te lo avevo detto che non sono bravo» esordì, avvicinandosi alla panchina e prendendo l’asciugamano, non gli piaceva praticare sport per quanto quello in sé gli piacesse, più che altro perché sapeva che non ne era pienamente capace.
Indossava un’insolita tuta e una felpa, al di fuori del college faceva freddo e questo era il chiaro segno che Dicembre si era del tutto inoltrato, ma a forza di allenarsi il corpo gli si era riscaldato, l’unico segno del freddo era la nuvoletta di condensa che si creava a ogni suo respiro.
«Siamo solo alla prima lezione, ti ci devi solo abituare nulla di strano. Direi che per oggi va bene così» Jack gli si avvicinò, prendendo il suo borsone rosso e caricandoselo sulla spalla, gli rivolse un fugace sguardo e un sorriso di cortesia.
«Giovedì ti rivoglio qui sempre alla stessa ora, cinque e mezza.»
Harry annuì per poi osservarlo mentre si allontanava, il perché quel ragazzo lo attraesse tanto doveva ancora capirlo, forse era per il fisico ben mantenuto e le gambe muscolose che poteva ben notare in quel momento, tanto diverso da lui, che era sempre stato magro e con pochi muscoli a ricoprire il tutto, forse perché Jack era portato da sempre per lo sport mentre lui preferiva nascondersi dietro un paio di occhiali e la capacità di fare calcoli senza alcun problema.
Mentre si alzava con in una mano l’asciugamano e nell’altra la bottiglietta vide un ragazzo avvicinarsi, lo riconobbe subito, era il fratello di Alice.
Un tempo, da ciò che ricordava era agli inizi del liceo, aveva preso una cotta per lui e di certo non c’era da chiedersi il perché, Nathan gli era sempre risultato affascinante, negli ultimi anni lo era incredibilmente di più.
Harry lo salutò avvicinandosi a sua volta.
«Nathan» non appena gli fu vicino notò il suo viso, era livido e arrossato, si chiese cosa doveva essergli capitato ma sapendo che non lo avrebbe gradito, non diete voce alle sue domande.
«Harry, ti alleni per le partite di football? Non eri negato?» Scherzò appena Nathan senza vero divertimento né interesse, doveva essere una domanda di cortesia.
Harry e Nathan avevano legato da subito, standosi simpatici a vicenda e avendo una caratteristica particolare in comune: il profondo e sincero affetto per Alice.
«Lo sono ancora ma pare che vogliano darmi una possibilità. Non hanno idea di quanto si sbaglino a farlo.»
Nathan sorrise appena, per poi riprendere il cipiglio serio, decisamente c’era qualcosa che lo turbava, Harry era sempre stato bravo a percepire il turbamento delle persone.
«Puoi dare una cosa ad Alice per me?»
«Certo, di che si tratta?» Era decisamente confuso, da quando doveva fare da intermediario tra quei due?
«Tu dagliela e basta.»
Harry annuì prendendo il foglio piegato che Nathan tirò fuori dalla tasca del giubbotto, per poi ringraziarlo e allontanarsi con la stessa silenziosa cammina con cui si era avvicinato.
Harry era decisamente curioso di aprire e vedere di cosa si trattava, ma aveva sempre avuto rispetto per la privacy altrui e nonostante fossero entrambi suoi amici non si azzardò a guardare, infilandosi con cura in tasca il foglio si diresse verso la sua camera con l’intenzione di fare una doccia e ripensare a quel pomeriggio per almeno i seguenti tre giorni.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

Alice

Alice sedeva al suo banco con davanti il suo tema su Shakespeare corretto e revisionato. Un largo sorriso le si aprì in volto nel vedere che per il professore era risultato perfetto e senza alcun errore, proprio come aveva sperato Alice mentre lo scriveva.
Era fiera di sé e voleva chiamare suo padre per condividere quella loro piccola gioia, ma improvvisamente il ricordo di ciò che doveva fare nel pomeriggio fece scemare la sua gioia. Si era messa in testa di parlare con Nathan e mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Si sentiva nervosa e quasi mai le era capitata una cosa del genere, non quando si trattava di lui.
In quel momento non aveva nemmeno Harry accanto a sé, era dovuto rimanere nella sua stanza dato che si sentiva poco bene.
Bruce non si faceva sentire più di tanto, ed Alice lo aveva intravisto raramente. Le dava fastidio, perché la evitava così? Pochi giorni prima erano quasi finiti sotto le coperte e per lei avrebbe rappresentato la sua prima volta, dunque un qualcosa da non poter dimenticare né da trattare con leggerezza e ora lui non si faceva più sentire. Nathan non era l’unico col quale avrebbe dovuto intrattenere un bel discorso... ma tra i due, Alice non sapeva spiegarsi il perché venisse prima Nathan.
Il giorno passò con una lentezza straziante, forse era perché aspettava con impazienza il finire delle lezioni, ed esse solo per farle un dispetto si allungavano di minuto in minuto. Il tempo sapeva prendersi gioco davvero di spera di accelerarlo, prima o poi qualcuno avrebbe scoperto e confutato questa certezza che le vagava nella mente.
Alla mensa si unì al gruppo di cheerleaders con la sua amica Lily, si divertiva con loro, anche se i discorsi ritornavano ad essere sempre gli stessi, ripetuti all'infinito. Si divertiva sì, ma preferiva sempre il tempo che passava sola con i suoi due migliori amici.
Quando finalmente il tempo decise di accontentarla e le lezioni finirono Alice non aspettò nessuno ed uscì dalla classe, senza posare gli ultimi libri di lezione e senza dirigersi nella sua camera, corse verso dove sapeva sarebbe andato Nathan, era martedì e lei sapeva benissimo che suo fratello aveva l'allenamento di Basket.
Un amaro pensiero le ricordò che solo l'anno prima, Nathan la invitava a vedere gli allenamenti e ovviamente ogni partita, lei lo sapeva quanto lo sport fosse fondamentale per lui e lo avrebbe sempre condiviso e sostenuto.
Mentre camminava lui non l'aveva né invitata né le aveva rivolto la parola, perché? Alice era negata nel Basket e Nathan non aveva mai perso l’occasione di sfotterla per tale motivo, ed era per quello che lui la invitava, per farle vedere come si giocava. Per passare tempo insieme.

«Nathan! Fammi tilare!» La piccola Alice mise il broncio, mentre suo fratello rideva, sia per la sua espressione sia per la mancata erre nella parola.
«Non sei capace.»
La piccola Alice incrociò le braccia al petto, mentre guardava suo fratello palleggiare per poi tirare e prendere il centro del canestro. Era così bravo che il broncio della piccola sparì, sostituito da un enorme sorriso sorpreso.
«Sei bravo!»
«Lo so» Nathan si girò a guardarla, le guance leggermente rosse dal freddo, era inverno e il Natale era da poco passato. Erano da poco passai tre anni da quando il suo fratellone era entrato a far parte della sua famiglia, era ancora restio e si chiudeva nella sua camera ma stava imparando a sciogliersi col tempo.
Era avvolto in un cappotto grigio scuro, il capello nero di lana lasciava uscire ciuffi ribelli e neri, schiacciati sulla fronte, il viso leggermente tondino e paffutello, Nathan solitamente mangiava ogni volta che sentiva il minimo stimolo della fame.
La piccola Alice era avvolta in un cappotto celestino chiaro, le forcine a tenerle fermi i corti capelli neri e il capello di lana rosa, colori vivaci addetti a una bambina.
«Facciamo una cosa, se mi prendi la palla ti faccio tirare, altrimenti mi lasci da solo.»
La piccola Alice annuì con l'entusiasmo infantile a guidarla. Si avvicinò di corsa al fratello allungando le piccole braccia per afferrare la palla, ma lui con uno scatto la spostò allontanandola di lato e ridendo divertito.
In quel momento la piccola Alice era arrabbiata, le guance le diventarono rosse e la sua voce venne inclinata dal fastidio e dalla rabbia.
«Non è giusto! Tu sei più grande!»
«E tu sei piagnucolosa» la prese in giro Nathan, prendendo la palla e facendo un ennesimo canestro.
Il parchetto era vuoto, loro erano lì soli a litigarsi una stupida palla, solo i passanti potevano vedere una piccola figura dal cappellino rosa sbattere i piedi a terra piagnucolando. In un ennesimo scatto, con le sue gambette, Alice provò a prendere la palla. Si intrecciò con i suoi stessi piedi cadendo a terra e strisciando sul terreno.
Borbottò qualcosa rialzandosi sulle ginocchia e guardando il suo bel cappotto sporgo e rigato. Gli occhi le diventarono rossi e si gonfiarono di lacrime trattenute, alzò lo sguardo sul fratello.
«Nat sono caduta.»
«Lo so» suo fratello le si avvicinò aiutandola ad alzarsi, la palla sotto braccio e una mano stretta piano intorno al braccio esile della sorellina. Con passo lento presero a camminare verso casa.
«Quando sarò grande ti farò vedere come gioco a Basket, così magari ti imparerai anche tu.»
La piccola Alice sorrise felice, dimenticando che il suo cappotto preferito si era rovinato.

Alice tornò alla se stessa diciottenne, nel suo corpo ormai adulto e non da bambina, alle sue gambe lunghe e non corte e un poco imbranate. La sorpresa di quel piccolo ricordo era dolce mentre sbiadiva.
Mentre camminava stringeva i libri che teneva tra le braccia, forse un poco per l'ansia, si era preparata un discorso da fargli ma improvvisamente gli risultava stupido e insensato. Scosse la testa ripetendosi che gli avrebbe detto tutto ciò che gli passava per la mente.
La palestra per gli allenamenti era alla sinistra del college, Alice sarebbe potuta passare per il giardino e fare il giro largo, dandosi tempo per pensare alle parole giuste ma aveva aspettato quello che le era parso un tempo troppo lungo per fare il giro largo, così attraversò i corridoi del college, mentre tutti i ragazzi si dirigevano verso l'uscita.
Con passo affrettato e senza quasi nemmeno accorgersene si ritrovò davanti la porta della palestra, era chiusa ma da dentro la stanza si sentivano arrivare le grida di passaggi, la palla che rimbalzava sul pavimento e le basse incitazioni dei pochi spettatori che dovevano esserci, il rumore delle scarpe che stridevano sul terreno cerato a uno scatto. Con un profondo sospirò aprì la porta e si posizionò in un angolo, il pavimento era rivestito di parquet lucido e scuro, i due canestri si trovavano agli antipodi della stanza e nel mezzo vi era lo spazio nel quale i giocatori si lanciavano la palla o allenavano le
loro gambe agli scatti necessaria correndo da una parte all’altra, l’aria era satura di sudore e solo le finestre aperte in alto permettevano al fresco di entrare.

La palestra non era attrezzata solo per il basket, appese ai muri vi erano le sbarre e in uno stanzino si trovavano vari attrezzi usati per gli allenamenti quotidiani, ma ormai da anni era solito che si svolgessero sempre partite amichevoli di basket.
Ai lati della palestra, attaccate al muro c’erano poche panchine sparse senza un vero ordine, sulle quali sedevano spettatori di cui lei solitamente faceva parte. Buttando un occhio ai ragazzi che giocavano riconobbe immediatamente Nathan, una semplice canottiera nera e dei pantaloncini blu scuro che stonavano completamente, suo fratello solitamente non era attento nel vestirsi, soprattutto se doveva praticare sport.
Come avesse sentito i suoi pensieri Nathan si voltò verso di lei, scoccandole un'occhiata che Alice non capiva se essere infastidita o sorpresa.
La ragazza lo osservò mentre prendeva a correre palleggiando tre volte, poteva vedere chiaramente i muscoli delle gambe contrarsi dallo sforzo, quando saltò la sua espressione si tramutò in un muto silenzio di trionfo, con una schiacciata decisa fece punto, facendo traballare il canestro, nella ricaduta a terra i capelli volteggiarono per un secondo, staccandosi dalla fronte e alzandosi un poco.
Quando ricadde sulle sue gambe ghignava di soddisfazione, la palla ricadde dietro di lui e alcuni compagni gli si avvicinarono per battergli il cinque.
Nathan poi si allontanò un momento mentre gli altri riprendevano a fare passaggi, sbattendo più volte le palpebre Alice si accorse che Nathan veniva verso di lei ma nessun sorriso gli accendeva il volto.
Quando se lo ritrovò davanti si diede della stupida per la sua ansia, quello era suo fratello, il suo Nathan. Che fosse diventato inspiegabilmente antipatico e irritante o meno, era sempre Nathan.
«Hai fatto una bella schiacciata.»
Nathan incrociò le braccia, sospirando appena.
«Sì, mi è riuscita bene» le sue braccia erano imperlate di sudore, proprio come la fronte. La maglietta gli si era appiccicata in alcuni punti e si potevano intravedere i muscoli al di sotto.
Il viso era ancora rosso ma parte dei lividi intorno agli occhi e sul naso stavano sparendo, il loro colore violaceo era più chiaro, il taglio sul labbro inferiore invece si stava rimarginando, anche se era ancora gonfio e rosso. Alice fremeva dal sapere il perché o chi gli avesse fatto ciò ma non era lì per le domande, non di quel tipo o di quel argomento. E decise di non girarci troppo intorno.
«Nathan, per messaggio mi hai risposto con la terribile scusa del "non dormo abbastanza", quindi te l'ho richiedo, cosa ti succede?» Il tono di voce le uscì un poco più duro di quanto avrebbe voluto, ma non se ne pentì per davvero.
«Niente Alice» ringhiò lui come risposta, riducendo gli occhi a due fessure e ispirando profondamente, come a voler trattenere la rabbia.
«Non è vero! Smettila di trattarmi come la sorellina imbecille alla quale non dici niente! Smettila!» Si ritrovò a dire con voce troppo alta, forse anche gli altri l'avevano sentita e ora prestavano orecchio a loro ma ad Alice non interessava, per quanto le importava potevano anche mettersi ad ascoltare fingendo di continuare a giocare a basket.
«Perché deve esserci un fottuto motivo Alice? Voglio stare solo, con i miei amici! Con quel coglione del mio compagno di stanza, non ti basta come motivazione? Voglio il mio spazio Alice, sai essere petulante! Mettiti in testa che voglio stare da solo o meglio, che non voglio passare ogni minuto della mia giornata con te tra i piedi» disse aspro, le parole le si insinuarono nella mente e nel cuore, col
gusto del veleno più disgustoso. Lo poteva capire, forse a ben pensarci era troppo attaccata a lui e i ricordi della loro infanzia non volevano dire che tutto doveva rimanere com’era, solo loro due, sempre e comunque. Ma perché doveva essere così arrabbiato?

Non voleva discutere di quello, gli avrebbe lasciato tutto lo spazio che voleva, l’unica cosa che chiedeva era capire.
«Okay ma perché non vuoi più che ti chiami col tuo soprannome?» La voce la tradì quando si accorse che mentre parlava le si era ridotta a un sussurro strozzato, tutta la sua determinazione era improvvisamente scomparsa, si era andata a nascondere dietro la tristezza e la vergogna che le parole di suo fratello avevano saputo scatenare in lei.
«Te l'ho già detto mi pare, è infantile... e all'apparenza tutti e due siamo cresciuti, o almeno io, se poi tu sei legata a un qualcosa di tanto infantile non mi riguarda, in mia presenza non usarlo.»
Qualcuno dal campo lo richiamò, forse per coinvolgerlo in un'ennesima partita. Nathan non fece urlare il suo nome due volte, si girò verso i suoi compagni e corse verso la loro direzione prendendo al volo la palla arancione e dando il via al gioco.
Alice rimase ferma immobile dov'era, si sentiva gli occhi maledettamente gonfi e doloranti, quasi la implorassero di piangere. Ma lei non lo fece, ricacciò giù il groppo pesante che sentiva in gola ed uscì dalla palestra, chiudendosi la porta dietro.
Ora cosa doveva fare? Parlare con Bruce sarebbe stato il suo ennesimo passo ma il dialogare con Nathan non era andato come se lo immaginava e non se la sentiva di intrattenere un ennesimo discorso con qualcun altro.
Avrebbe volentieri chiamato i suoi genitori ma sapeva che erano impegnati col lavoro, ed in ogni caso non avrebbe saputo cosa dirgli. Quella cosa riguardava solo loro due.
Così, con un insolito e sconosciuto senso di vuoto si allontanò il più possibile, uscendo fuori dalla struttura del college e, nonostante il freddo, decise che avrebbe passato un paio di ore all'aria aperta.
Tutto in quei giorni sembrava andare all’aria, all’inizio dell’anno ogni cosa le era sembrata nel posto giusto come sempre, certo i suoi unici problemi erano suo fratello e il suo ragazzo, niente di grave comunque... ma bastavano affinché le riempissero un poco la mente di pensieri.
Forse solo in quei giorni si ritrovava a pensare seriamente alla sua relazione con Bruce, era inevitabilmente in crollo, litigavano più del solito ed Alice non poteva più negare di non provare le stesse cose che provava un tempo, quando la loro relazione era agli inizi Bruce le dedicava tutto il tempo che poteva, si comportavano come una vera coppia e ogni occasione era buona per fare foto e immortalare il momento per poterlo ricordare al meglio, il suo cellulare infatti ne era pieno.
Ma da qualche tempo non riusciva più a provare e ricambiare a pieno, anche Bruce aveva smesso di dedicarle tanto del suo tempo, ed era innegabile che qualcosa tra loro si fosse inclinato.
Alice non sapeva più dire con certezza cosa provasse davvero per lui, se solo affetto o quello che poteva essere definito amore ma non se la sentiva ancora di lasciarlo o di rompere inoltrandosi in una litigata ulteriore. Non ora che le cose con Nathan avevano preso questa piega tutto era impallidito davanti la possibilità dell’inclinazione del loro rapporto, che cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva ignorarlo e allo stesso tempo non era nemmeno abituata a litigare con lui, non aveva idea di come avrebbe dovuto fare.
Senza accorgersene si era sempre sentita un po' al centro del suo mondo e forse era tempo che aprisse gli occhi e si rendesse conto che non era così, non più. Nathan per fortuna era riuscito a crescere e ad aprirsi al mondo.
Forse si stava solo incasinando da sola ma quella non era una scusa per rimanere immobile mentre il loro rapporto rischiava di deteriorarsi senza che ne sapesse il motivo. Avrebbe pianto magari, ma si sarebbe rimessa in azione per scoprire ciò che le mancava nel quadro generale.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10

Harry

Harry uscì dalla sua stanza, tirò su col naso, portandosi una mano alla fronte e sentendola ancora calda. La sua influenza sembrava non volersene andare più, quasi si fosse affezionata a lui.
Ciondolando come fosse uno zombi si avventurò per i corridoi del dormitorio maschile, vi erano vari ragazzi in giro, segno che le lezioni dovevano essere finite e che lui aveva nuovamente perso un altro giorno di scuola e di studio, quello era il quarto, non gli piaceva l’idea di dover recuperare, nonostante a lui piacesse lo studio, restare indietro era sempre fastidioso.
Tirò nuovamente su col naso, alcuni ragazzi gli si avvicinarono per chiedergli se stava bene, Harry prese a rispondere a tutti con semplici monosillabi. La sua voglia di vedere altri volti era pari a zero e non voleva pensare di essersi ammalato per un solo semplice allenamento, si sarebbe sentito più schiappa di quanto già non era.
Si sistemò bene il capello sulle orecchie per fare in modo che gli coprisse tutto il capo, dopodiché uscì fuori al giardino.
Aveva mandato un messaggio ad Alice solo pochi minuti prima, chiedendole di incontrarsi in cortile, non era di certo una buona idea nelle sue condizioni... ma doveva, non gli piaceva farsi vedere così malandato e scomposto ma doveva ancora consegnare ad Alice la lettera di Nathan... lettera o quel che fosse.
A causa del suo stare male se ne era completamente dimenticato e sperava che Nathan non se la fosse presa a male, anche se ne dubitava, in caso glielo avrebbe fatto sapere, no? Non sapeva cosa ci fosse dentro ma se fosse stato importante magari avrebbe creato qualche scompiglio di troppo, benché fosse stato tirato in mezzo contro la sua volontà.
L’aria fredda lo fece rabbrividire per ben tre volte di seguito, si sfregò le mani sulle braccia nel tentativo di riscaldarsi e si mise seduto su una delle panchine nel parco del college. Il legno era freddo e leggermente umido, lo sentiva attraverso i pantaloni, aveva piovuto? Se anche fosse stato lui non se ne era minimamente accorto.
«Harry!»
Il ragazzo si voltò verso l’amica, Alice gli correva incontro, una volta che gli fu davanti gli si sedette affianco, il viso esprimeva preoccupazione.
«Se» la sua voce era nasale e alquanto ridicola.
Alice si sfregò le mani, aggrottando le sopracciglia.
«Pensavo stessi meglio ma è ovvio che non è così, per quale motivo mi hai chiesto di uscire? Dovresti restare fermo sotto le coperte tutto il giorno!» Il tono preoccupato e apprensivo della sua migliore
amica lo fece sorridere.

Se non ci fosse stato Nathan, loro due avrebbero finito per considerarsi fratelli non di sangue. Ma riflettendoci bene era già così, d’altronde anche Nathan era suo fratello non di sangue, in parte avrebbero potuto contendersi l’affetto di Alice ma non ve ne era alcun bisogno.
Entrambi si rispettavano e ad entrambi Alice mostrava un amore ed un affetto unici nel loro genere.
«Dovevo darti una cosa.»
«E non potevi darmela in camera tua?»
«Non se ne parla, il mio letto è un disastro, la stanza puzza e puoi immaginare come sia ridotta ora che Jim deve badarvi da solo. E’ un ottimo compagno di stanza e mi chiede sempre come sto, ma riguardo a pulizie e all’ordine... temo per quella povera sventurata che lo prenderà in marito.»
Alice rise, portandosi dietro una ciocca di capelli. Ora i suoi occhi erano dipinti anche di curiosità. Harry infilò la mano nella tasca interna del giubbotto, tirandone fuori la busta con all’interno le misteriose notizie riguardanti Nathan.
I bordi si erano stropicciati e l’intera busta era rovinata, Harry gliela porse, scusandosi con lo sguardo per come era ridotta.
«Ma di chi è? Cioè chi me la manda?»
«Nathan, dopo l’allenamento è venuto da me e me l’ha data dicendomi che dovevo fartela avere.
Mi è risultato strano, da quando ha bisogno dei tramiti per dare le cose a te?» Harry aveva posto tale domanda con un tono innocente, di semplice incomprensione. Nathan ed Alice non avevano mai avuto problemi di comunicazione, ma proprio perché era un bravo osservatore aveva notato il loro recente distacco.
Gli occhi grigi di Alice furono attraversati da un’ombra scura, strinse appena le labbra volgendo lo sguardo verso la busta. La aprì con cura per non rischiare di rovinare ciò che vi era dentro, poi una volta aperta tirò fuori il foglio bianco ripiegato al suo interno e lo aprì. Harry non fece in modo di impicciarsi, ciò che riuscì ad intravedere però fu uno specie di stemma, come se fosse un foglio appartenente ad un college, poteva essere un’iscrizione o un ammissione. Ma era presto perché potesse essere di Alice.
Harry sbirciò l’espressione di della sua amica, era decisamente poco consolante... aveva appena sgranato gli occhi, le labbra semi aperte a simboleggiare la sua incredulità. Non dovevano essere buone notizie.
«Nathan ha fatto richiesta per l’università.»
Harry si accigliò senza capire, doveva essere una buona notizia no? D’altronde aveva dei voti stellari e non era un caso che avesse fatto domanda alla New York University. Nathan aveva una mente matematica che se sfruttata al modo giusto l’avrebbe portato ad enormi risultati.
Per questo non capiva perché Alice non ne fosse felice ma scossa.
«Non è una cosa buona?»
Alice scosse la testa, sospirando affondo.
«Sì ma... ma non è per quello che credevo.»
«Cosa vuol dire? Non ha fatto domanda per la NYU? Ora che ci penso è anche stato preso no? Mi sono congratulato apposta non è che ho sbagliato?»
Capiva ma allo stesso tempo non capiva, Nathan aveva cambiato i suoi piani... e allora?
Alice ripiegò il foglio con finta calma, non era per niente tranquilla e Harry non riusciva a capire il perché.
«Lui è stato già accettato nei corsi della NYU. Ma ha fatto domanda per il Queens College una settimana fa, questa è la copia.»
Era decisamente arrabbiata in quel momento, forse per Harry non era il momento di fare domande. Anche perché Alice si stava alzando e sicuramente era diretta dal fratello.
«Perché avrebbe dovuto fare domanda per un altro istituto?» Domandò Harry sinceramente curioso.
«Non ne ho idea ma intendo saperlo. Harry riesci a tornare in camera da solo? Se ti serve aiuto...»
Harry scosse la testa, era ancora padrone del suo corpo e non tanto malato da non riuscire a camminare.
Più che altro era preoccupato per la sua migliore amica e per quella strana reazione.
Alice lo guardò, chiedendogli scusa con lo sguardo per la sua imminente fuga verso il fratello. Harry gli sorrise facendogli capire che non c’era problema, poi la vide correre con stretta in mano la busta, i capelli neri si muovevano a ritmo col suo andamento.
Harry si rialzò dalla panchina, dirigendosi verso l’entrata dei dormitori maschili, desiderando solo stendersi sul letto per far passare quel terribile capogiro che gli era appena preso.
Quando stava finalmente per arrivare all’entrata un ragazzo gli si parò davanti, lì per lì pensò di non essere stato notato, solo dopo si accorse che il ragazzo lo stava fissando. Con due paia di occhi verdi che Harry seppe subito riconoscere.
«Come stai Carter?»
Jack gli si era parato davanti, la felpa aderente al corpo e i capelli scuri incasinati dal vento. Nel suo sguardo si leggeva una particolare preoccupazione. Harry sentì gli zigomi andare a fuoco.
«Una favola » ironizzò prendendo a tossire, Jack gli mise una mano sulla spalla. Harry non sapeva dirsi se lo faceva per sostenerlo o se per essere certo che restasse ad un debita distanza in modo da non essere esposto a germi infettivi.
«Devi riprenderti, il coach vorrebbe vedere i tuoi miglioramenti per decidere se ammetterti o meno.»
Harry si sistemò gli occhiali sul naso scivoloso a causa del sudore, incredibile come nonostante i brividi di gelo che percepiva, il suo corpo sudasse in quel modo. Aveva bisogno si una doccia e subito dopo di una dormita.
«Io non... non ho fatto miglioramenti» Harry si spostò una ciocca di capelli castano chiaro dalla fronte sudata, aggrottando le sopracciglia davanti il sorriso divertito di Jack.
«No infatti» ammise lui senza problemi «motivo in più per riprenderti no? Almeno ci alleniamo e tiriamo fuori questi maledetti miglioramenti.»
Il sorriso caldo e rassicurante di Jack lo fece ridere appena e annuire con vigore. Dentro di sé desiderava già potersi sentire meglio.
Jack fu richiamato da qualcuno, Harry non si voltò a guardare chi fosse e nemmeno gli interessava. Era per lui parte di un sogno essere così tanto apprezzato, avere qualcuno che gli stesse dietro nello sport nonostante la sue effettiva incapacità.
«Devo andare, purtroppo anche se non sembra anche io devo migliorare. Rimettiti Carter.»
Jack lo salutò, allontanandosi poi da lui verso chi lo aveva chiamato. Harry per un istante odiò chiunque avesse urlato il suo nome e il mondo complessivo degli allenamenti. Ma si ricordò immediatamente che anche se Jack fosse stato libero, non avrebbe perso più di troppo tempo con lui.
Con un lieve sospiro si allontanò, tornando verso la sua camera. Perchè doveva essere così maledettamente bravo a deprimersi da solo?

Alice.
Alice prese a correre verso la camera di Nathan. La testa le esplodeva, questa volta sarebbe stata lei a sbraitargli in faccia. Una cosa era tenerla lontana, un’altra escluderla del tutto da delle decisioni che in primo piano avevano preso insieme consultandosi.
Nathan aveva superato il limite, non doveva aver chiesto nemmeno parere ai genitori.
«Nathan!» Entrò dentro la sua camera senza il minimo riguardo per cosa stesse facendo. Per quanto le importava poteva essere anche nudo.
Spalancò la porta, ritrovandosi davanti Michael steso sul suo letto disfatto e suo fratello che usciva dalla porta del bagno. Lo sguardo normale, troppo normale davanti l’evidente furia di Alice.
La ragazza alzò la lettera di ammissione che teneva in mano, le nocche bianche da quanto l’aveva stretta.
«Cos’è questa?!»
Nathan non prese il foglio tra le mani, sapendo perfettamente a cosa lei si riferiva, semplicemente camminò fino al suo letto per prendere il cellulare.
«Una lettera di ammissione per il Queens College? Che vuol dire? Da quando hai cambiato idea?»
Non le riusciva di usare un tipo pacato e controllato, non si sentiva così, percepiva un esplosivo dalla miccia accesa dentro di sé. Michael era rimasto in silenzio con gli occhi puntati sui due, Alice percepì appena il leggero strusciare delle lenzuola, doveva essersi messo seduto.
«Da qualche mese.»
«E parlarne no vero?! »urlò, lasciando cadere a terra il pezzo di carta.
«Temo di essere libero di fare le mie scelte.»
Il suo tono monocorde non faceva che mandarla ai pazzi.
«Non da quando queste scelte ti allontanano dalla nostra famiglia! Il Queens College è lontano da casa! La NYU era perfetta.» Alice intravide la figura di Michael sgusciare via dalla camera con sul
viso l’espressione di un terzo incomodo capitato nel momento sbagliato e imbarazzato dalla sua stessa presenza. Si chiuse la porta alle spalle lasciandoli soli.

Nathan strinse la mascella e con essa il pugno lungo il fianco. Era teso quanto lei.
«Per di più me la fai dare da Harry? Cos’è ora parliamo per intermediari?» Le parole fluivano via da lei come acqua, non riusciva a fermarsi. Non voleva fermarsi.
Nathan sospirò, gli occhi ambrati coperti di ombre troppo scure per essere comprese.
«Sapevo che la tua reazione sarebbe stata questa.»
«Cosa ti porta ad allontanarti da noi?! Da me?!»
Suo fratello sussultò percependo quelle parole, gli occhi di Alice presero a velarsi di lacrime. Non tanto per la questione del college, quella poteva considerarsi il fattore scatenante, il vero motivo era che non comprendeva i suoi comportamenti, si sentiva lontana, lasciata indietro senza che avesse fatto niente.
Ed era quella a distruggerla, se almeno fosse stata consapevole di un errore avrebbe trovato un modo per rimediarvi. Invece non le veniva fornito alcun indizio ma il muro di Nathan cresceva e lei non riusciva ad impedirlo. Si sentiva impazzire.
«E’ una scelta.»
Il suo tono non era più neutro né duro, una nota di rassegnazione la sporcava. Rassegnazione di cosa? Perché?
Le lacrime presero a scendere lungo le sue guance, Nathan rimase immobile mentre col braccio compiva leggeri movimenti come indeciso se consolarla o meno, se toccarla o meno. Suo fratello non aveva mai dovuto pensare su certi gesti spontanei. Quanto odiava le sue lacrime, gli succedeva spesso, quando era triste e sopratutto quando era arrabbiata e frustrata, gli impedivano di parlare e confrontarsi come avrebbe voluto.
Alice gli voltò le spalle, calpestando il foglio in terra e uscendo di lì sbattendo la porta alle sue spalle.

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