Una notte da dimenticare

di Alice95_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'è sempre un inizio ***
Capitolo 2: *** All'improvviso ***
Capitolo 3: *** Il tempo passa ***
Capitolo 4: *** Elefanti e leoni ***
Capitolo 5: *** Il dado è tratto ***
Capitolo 6: *** Il confronto ***
Capitolo 7: *** Conforto e senso di colpa ***
Capitolo 8: *** Cambio di rotta ***
Capitolo 9: *** Ho solo chiamato per dire... ***
Capitolo 10: *** Parliamo ***
Capitolo 11: *** Conseguenze ***
Capitolo 12: *** Castelli di sabbia ***
Capitolo 13: *** Stuart ***
Capitolo 14: *** Armonia ***
Capitolo 15: *** Angoli ventosi ***
Capitolo 16: *** Un po' di pioggia ***
Capitolo 17: *** Indovina chi viene a cena ***
Capitolo 18: *** Routine ***
Capitolo 19: *** Papà orso e orsetta ***
Capitolo 20: *** Ritorno alla realtà ***
Capitolo 21: *** Allo zoo ***
Capitolo 22: *** Sorelle ***
Capitolo 23: *** Chiacchere notturne e pancakes ***
Capitolo 24: *** Sorpresa ***
Capitolo 25: *** Boom ***
Capitolo 26: *** Ospiti ***
Capitolo 27: *** Prima della tempesta ***
Capitolo 28: *** La storia ***
Capitolo 29: *** Il mattino dopo ***
Capitolo 30: *** Un salto enorme ***
Capitolo 31: *** Prima il dovere e poi il piacere ***



Capitolo 1
*** C'è sempre un inizio ***


9 gennaio 2000

Non aveva idea del come o del perchè era finito in un bar alle due del mattino, bagnato dalla testa ai piedi dalla pioggia che stava scendendo da un paio d’ore e francamente non gliene importava.

Ubriacarsi era tutto ciò che contava in questo momento, cercando di dimenticare e allietare il dolore con un po' di scotch. Il suo matrimonio era finito, finalmente finito per sempre e non vi era modo di tornare indietro. Erano stati separati per quasi un anno e non aveva previsto né sperato per loro di tornare insieme. Non dopo averla trovata con il suo regista nel loro letto, nella loro casa. Avrebbe voluto bruciare quel letto, o ancora meglio andare via da quell’appartamento e ricominciare da capo con Alexis, la sua bambina.

Oggi aveva firmato le ultime carte del divorzio. Alla fine le aveva dato quello che voleva, il suo denaro, mentre lui voleva solo che tutto finisse molto presto. L’unica cosa che contava per lui in tutto quel casino era sua figlia.

Sospirò pesantemente. Almeno aveva Alexis, per nessun motivo al mondo avrebbe rinunciato alla sua custodia, nemmeno se la traditrice della sua ex moglie si fosse preoccupata di provare ad ottenerla. Dubitava che l’avrebbe mai fatto. Non le era mai importato molto della cura quotidiana di Alexis e sicuramente non avrebbe iniziato a preoccuparsene molto presto. Aveva firmato i documenti, preso quello che era suo di diritto e se ne era andata a Los Angeles. Una parte di lui sperava che lei sarebbe rimasta lì, per il bene di sua figlia sperava che sua madre sarebbe venuta a trovarla più frequentemente di quanto aveva fatto nel corso dell’ultimo anno.

Ma quando lei se ne è andata, quando lui ha realizzato che era veramente finita, è crollato. Il tradimento di Meredith, l’ultimo anno, il disastro del rapporto o quello che era stato con Sophia. A 30 anni era un uomo divorziato e padre single che non si era mai sentito così solo in vita sua. Non aveva idea del perchè non riusciva a rimanere con nessuna donna, del perchè non era mai abbastanza, non era mai l’uomo che cercavano, forse avrebbe dovuto smettere di cercare.

Così aveva deciso che si sarebbe concesso questa notte mentre sua madre sarebbe rimasta con sua figlia e poi si sarebbe rimesso in piedi per lei. Alexis aveva bisogno di lui ora più di quanto lui avesse bisogno di lei, perchè nonostante quello che sentiva per sua moglie in questo momento, sua figlia aveva più o meno perso sua madre e questo era difficile da gestire per una bambina di cinque anni. Non aveva bisogno di un padre che annegava nell’autocommiserazione. Così domani avrebbe lasciato tutto alle spalle e avrebbe cominciato a essere il padre che meritava e di cui aveva bisogno, forse anche cominciando a cercare un altro posto. Sarebbero stati loro due d’ora in poi. Poteva farcela. Lo sapeva. Sarebbe stato tutto quello di cui la sua piccola bambina aveva bisogno.

Perso nei suoi pensieri Richard Castle non si accorse nemmeno della giovane donna seduta accanta lui. Si cominciò ad accorgere di lei solo quando il barista le chiese il documento d’identità. 

“Non ho il documento con me” la sentì dire e guardandola con uno sguardo più attento realizzò che sembrava molto giovane. Eppure aveva qualcosa nei suoi occhi che diedero l’impressione di aver avuto una vita piena di esperienze.

“Scusa” il barista strinse le spalle “ma non posso servire senza un documento d’identità valido”.

Richard Castle vide la sconfitta negli occhi della giovane donna e sapeva che ventun’anni o meno aveva bisogno di un drink. E conosceva questa sensazione fin troppo bene. “Va tutto bene” sentì la sua voce partire “è con me”.

Il ragazzo dietro al bar lo guardò scettico, “e lei ha ventun’anni?”  guardò la ragazza, che teneva lo sguardo basso evitando il contatto con tutti loro.

Rick annuì “Si” discretamente spinse una banconota da 50 dollari sopra il bancone. La questione fu risolta con quello.

“Grazie” sentì mormorare, ma ancora lei rifiutava di guardarlo.

Stringendosi nelle spalle, continuava a guardare davanti a sé “Di niente, sembrava ne avessi bisogno”.

Rimasero seduti in silenzio, entrambi sorseggiando il loro drink e lui non poteva resistere nel guardarla di tanto in tanto. C’era qualcosa di affascinante e misterioso in lei, qualcosa in quegli occhi tristi, verdi o marroni quali erano. Non era sicuro, ma quegli occhi lo stavano chiamando. Voleva sapere la sua storia. Voleva sapere come una bellissima e giovane donna fosse finita in questo bar, sola, come se il mondo fosse tutto sulle sue spalle. Non aveva idea del perchè ma voleva sapere tutto su di lei. 

Girandosi, la affrontò tendendole la mano. “Sono Rick”.

I suoi occhi incontrarono quelli di lui, esitanti alla ricerca delle sue motivazioni e qualunque cosa vedeva in loro le fecero tendere la mano. “Kate”.

Si girò tornando a guardare il bicchiere di fronte a lei, qualcosa di lui le sembrava familiare e cominciò a chiedersi se si fossero già incontrati prima.

“Quindi quanti anni hai realmente?” Kate lo sentì domandare.

Non lo guardò quando rispose, non si sentiva in dovere di dirgli la verità, ma lo fece, “20”.

Quindi era giovane. Annuendo prese un altro sorso del suo scotch, “Brutta giornata?”.

“Brutto anno”. La sua voce suonava debole e sconfitta. Si sentì male per lei.

Rick emise una risata senza alcuna allegria, “mi è familiare questa sensazione”.

Lei dubitava fosse così. Era passato un anno da quella notte orribile che aveva cambiato tutto. La notte che le aveva portato via sua madre. Esattamente un anno da quel giorno e ancora faceva male come se fosse successo il giorno prima, come se avesse appena aperto la porta di casa e avesse trovato i due detective ad aspettare lei e suo padre. E se tutto questo non era brutto abbastanza non solo aveva perso sua madre un anno fa, ma anche suo padre. Si ricordò improvvisamente del loro ultimo incontro quando lo ritrovò ubriaco per il suo compleanno. L’aveva accusata di cose che non erano vere prima di cominciare a piangere disperatamente e implorarla di perdonarlo. Lo aveva cacciato, non lo vedeva da quel giorno. Ma stasera le era mancato, avrebbe voluto rannicchiarsi tra le sue braccia, sentirgli dire che sarebbe andato tutto bene, come la notte di un anno fa. Sapeva che non era vero, niente sarebbe tornato a posto come una volta, però voleva almeno che il suo papà si prendesse cura di lei, come aveva sempre fatto. Le cose ovviamente erano cambiate e si sentiva più sola che mai.

“Voglio solo cercare di dimenticare” disse piano dopo un po’, non era sicura del perchè lo disse ma quando i loro occhi si incontrarono, trovò una comprensione riflessa nei suoi occhi, qualcosa che non aveva mai visto prima.

“Anche io”, rispose lui altrettanto piano.

Non avevano bisogno di parole, loro già sapevano.

“Normalmente non faccio questo” disse Kate.

“Nemmeno io”, rispose lui, alzandosi e prendendole la mano. 

Lei sapeva che era vero.


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Guardò verso di lui mentre tranquillamente cominciò a rivestirsi, Kate fu attenta a non svegliarlo. Lui aveva preso questa stanza per loro in un piccolo hotel della città, ci fu un silenzio di comprensione tra di loro per mantenerlo anonimo. L’unica cosa che era rimasta della loro notte sarebbe stata la conoscenza dei loro nomi. Rick e Kate. Due estranei in una notte. Lei sbuffò ai suoi pensieri.

Lo studiò nel buio. Era bello, no, era bellissimo. Si, bellissimo ci stava meglio, ma c’era qualcosa in lui che andava oltre alla bellezza, qualcosa di onesto. Accidenti, stava diventando stupida e frivola e voleva rimproverarsi per questo però non poteva fare a meno di ricordare la loro notte passata insieme.

Il loro primo incontro era stato selvaggio e ruvido, esattamente quello che aveva desiderato ed era decisa a lasciarlo in quel modo, solo, nella notte, facendo finta non fosse successo niente. Ma lui l’aveva tenuta con sè e nonostante la sua determinazione, le lacrime cominciarono a cadere.

Lui non fece domande, non spinse per avere delle risposte e sorprendentemente non la lasciò andare. Aveva fatto l’amore con lei, baciando via le sua lacrime e facendola sentire amata. Lei veramente non riusciva a pensare ad una parola migliore per descriverlo, non l’aveva sentito solo come un incontro appassionato tra due estranei. E odiava se stessa per aver permesso alle sue emozioni di avere la meglio su di lei. La gentilezza che lui aveva mostrato era qualcosa che non aveva mai provato prima. Era certamente qualcuno che aveva saputo dare. Sorrise a se stessa, prima di rendersi conto che stava diventando sentimentale per quell’uomo. Un uomo che aveva incontrato in un bar e di cui non sapeva assolutamente niente.

Doveva uscire da quella stanza. Questo non era quello che stava cercando, ma quando si voltò per uscire, intenta a dimenticare le sue ultime ore, non poté fare a meno di chiedersi per un breve secondo come sarebbe stato per loro due incontrarsi in circostanze diverse.



Ciao a tutti, sono Alice e questa è la prima fan fiction che "scrivo".
In realtà non è scritta da me, mi sono ritrovata a leggerla in inglese e me ne sono iinamorata..quindi la traduco per voi.
Spero vi piaccia e niente, a risentirci :)

Questo è il link per chi volesse dare un'occhiata o leggerla in inglese

https://www.fanfiction.net/s/9175920/1/A-Night-to-Forget

 

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Capitolo 2
*** All'improvviso ***


Kate si trovava in piedi, più nervosa che mai, davanti alla porta di suo padre, armeggiando con le chiavi. L’aveva chiamata una settimana fa, chiedendo di dargli un’altra possibilità e promettendole che sarebbe stato un padre migliore. Promettendole nuovamente che questa volta non l’avrebbe lasciata andare e per quanto Kate voleva credere che fosse vero, l’anno passato le aveva insegnato di non credere alle false speranze. Ancora non poteva credere alla piccola voce nella sua mente che le diceva che forse questa volta sarebbe stato veramente meglio. Forse questo era il giorno in cui potevano ricominciare da capo. Lo sperava veramente perchè aveva qualcosa di importante da dirgli.

“Katie”, suo padre aprì la porta per lei, prima che lei potesse entrare dentro. “Sono così felice che sei venuta”.

“Hey papà”, provò a sorridere, ancora non riusciva a non cercare i segni tipici che le dicevano che stava ancora bevendo. Fu sollevata quando non riuscì a trovare niente.

“Entra”, Jim Beckett la introdusse all’interno lungo il corridoio e infine verso il salotto. Tutto era esattamente come se lo ricordava. Suo padre non aveva cambiato niente nella sua casa d’infanzia da quando era morta sua madre.

Seduti uno di fronte all’altro, nessuno dei due sapeva cosa dire, non sapendo come interagire con l’altro dopo tante delusioni e tanto dolore. Lo scorso anno aveva portato un sacco di danni al loro rapporto e nessuno dei due sapeva come risolvere il problema.

“Ti trovo bene”, Kate finalmente ruppe il silenzio imbarazzante che si era creato tra di loro, offrendo un sorriso a suo padre.

“Mi sento meglio”, annuì. “Sto andando agli incontri”.

“Questo è bellissimo papà”, Jim non mancò di notare l’entusiasmo nella sua voce.

“Questa volta voglio farcela Katie. Te lo prometto”. Le sue parole erano sincere mentre cercava di convincerla.

“Sono contenta”. Sperava veramente di potersi fidare di lui, credere che questa volta sarebbe stato diverso. Ma lei aveva perso la sua fiducia e convinzione da qualche parte lungo la strada.  Qualche  volta lo odiava per averle fatto attraversare tutto questo. Non poteva smettere di maledirlo per non essere stato più forte, per averla lasciata sola, ma era il suo papà ed era tutto quello che aveva lasciato. Così lei continuava a tornare, mettendo il suo cuore in bilico su una corda, sperando di non vederlo cadere e rompersi di nuovo.

“C’è qualcosa che devo dirti”. Cambiò argomento, arrivando al vero motivo per cui era andata lì.

“Certo, certo”, intrecciò le mani. “Di che cosa mi vuoi parlare?”.

“Papà, io….”, tagliò la frase a metà.

“Sai che ho trovato una scatola piena di libri che amava tua madre?” le disse con entusiasmo. Si alzò prima che lei potesse fermarlo, scomparve lungo il corridoio tornando un minuto dopo con una grande scatola che aveva le parole “libri/magazzino” scarabocchiate su di essa.

“Si, uhm…grazie”, Kate lo vide lasciare la scatola accanto alla porta prima di risedersi sul divano. Notando un suo disagio apparente, che non era mai un buon segno, si rese conto che doveva farla finita. “Papà, sto lasciando il college”.

Questo fermò lil suo disagio, “Katie?”.

“Voglio unirmi all’accademia di Polizia”, disse velocemente prima di perdere il coraggio.

“Questo è per la tua l’università? Vuoi tornare a Stanford?” chiese. “Se lo vuoi, non mi permetto di fermarti. Mi andrà bene”. Ad un tratto si alzò in piedi, fissandola dall’alto verso il basso.

“Non è per la Stanford o l’Università di New York”, sospirò, “Io voglio fare questo”.

“Un’ufficiale di polizia?” chiese Jim Beckett, sedendosi di nuovo, i suoi occhi ora deviarono verso le sue mani. “Hai sempre voluto diventare un avvocato. La prima donna giudice capo. Amavi Stanford. Non capisco. Questo è sempre stato il tuo sogno Katie. Tua madre…” Kate lo interruppe.

“Le cosa cambiano papà. Voglio fare di più che presentare qualcuno in una stanza della corte. Voglio fare la differenza. Voglio unirmi alla polizia di New York e diventare detective un giorno”.

“Questo lo fai per tua madre” sospirò e non era una domanda.

“No!” esclamò Kate, alzandosi e iniziando a camminare verso il divano. “Forse. Non lo so. So solo che lo devo fare. Voglio fare questo e so che mamma sarebbe fiera di me. Lei avrebbe voluto facessi una cosa che mi rendesse felice”. Sapeva che non era stata onesta, con se stessa e con suo padre. Questo era solo per sua madre.

Jim la guardò, gli occhi umidi, “è pericoloso””.

“La vita è pericolosa”, rispose lei con amarezza.

“Kate”, lo fermò, alzando la mano.

“Non sto chiedendo il tuo permesso o la tua benedizione. Ti sto semplicemente informando del fatto che questa primavera mi unirò all’accademia di Polizia e che non tornerò al college”.

 

———————————

 

Jim non ne fu entusiasta, ma non mise su nemmeno una grande lotta e questo Kate lo vide come un successo. Suo padre avrebbe imparato a vivere con la sua decisione, ma in questo momento doveva concentrarsi su qualcos’altro. Seduta nel salotto del piccolo appartamento che aveva affittato dopo il ritorno da Stanford, aveva la scatola con i libri di sua madre di fronte a lei e cercava di trovare il coraggio per aprirla. E’ passato più di un anno, dovrebbe essere più facile giusto? Solo che non lo era affatto.

Prese un profondo respiro, aprì il coperchio e vide la collezione di sua madre di Jane Austen. Sentì cadere le lacrime silenziosamente lungo le guance, ma non si preoccupò di mandarle via mentre accuratamente posizionava un libro dopo l’altro sul tavolino.

Quasi raggiunto il fondo della scatola le sue mani raggiunsero un libro che aveva visto spesso sul comodino di sua mamma. Sorrise al ricordo.

 

Richard Castle

In a Hail of Bullets
 

Richard Castle, l’autore preferito di sua mamma. Kate non aveva mai letto uno dei suoi libri, non aveva mai capito cosa ci trovasse sua mamma. Nemmeno del perché leggerli il giorno stesso che venivano rilasciati. I romanzi polizieschi avevano un grande appiglio in lei. Girandolo tra le mani si congelò alla vista della foto dell’autore. Quei familiari occhi blu le sorrisero. Era lui. Rick.

Aveva avuto una notte di sesso con l’autore preferito di sua mamma durante l’anniversario della sua morte. Alzò lo sguardo e sospirò, qualcosa tra una risata e un singhiozzo uscì dalle sue labbra, “Ditemi che è uno scherzo”.

Aveva pensato molto a lui durante le ultime due settimane, non riuscì a negarlo, almeno non a se stessa. I suoi occhi blu avevano trovato rifugio nei suoi sogni ed era stata tentata di tornare in quel bar  per vedere se l’avrebbe trovato di nuovo. Ma non lo fece e non lo avrebbe fatto. Soprattutto dopo aver appreso chi era veramente, non c’era motivo per cui lei lo avrebbe dovuto vedere di nuovo. Questo era tutto troppo strano.

Portò il libro a letto con lei quella notte, lo cominciò a leggere e non lo mise da parte finché non arrivo  all’ultima pagina nelle prime ore del mattino. Si stabilì una sorta di pace in lei, qualcosa che non sentiva da almeno un anno e all’improvviso capì quello che sua mamma trovava nei suoi libri.Conforto.

Ogni volta che sua mamma sentiva che la legge aveva fallito, ogni vota che vedeva ingiustizie e non aveva il potere di cambiare le cose trovava rifugio nei suoi libri, perché nelle sue storie, disse una volta a Kate, c’era sempre giustizia e le persone buone vincevano sempre.

Aprì il libro ancora una volta, lasciando scorrere le punte delle dita sopra la prima pagina, una dedica scarabocchiata apparve sotto il titolo.

 

A Johanna,

non lasciarti abbattere.

Ogni vittoria, se pur piccola, è sempre una vittoria.

Lo scopo è cercare di fare la differenza.

Ce la farai.

Rick Castle

 

Sua mamma deve avergli detto qualcosa quando è andata alla firma del suo libro, forse aveva avuto un giorno difficile in tribunale o qualcosa di simile che le aveva dato fastidio, perchè la dedica era troppo personale per essere qualcosa che avrebbe scritto su qualunque prima pagina.

Stringendo il libro al petto, si lasciò uscire un singhiozzo, le lacrime cominciarono a cadere di nuovo. Due settimane fa aveva sperato in una notte da dimenticare. Ora stava diventando una notte da ricordare.

—————

Non poteva essere. Non deve essere. Le stesse parole attraversavano la sua mente, più e più volte. Come un mantra. 

Doveva essere un sogno. Era abbastanza sicura che si sarebbe svegliata da un momento all’altro per rendersi conto che era stato solo un incubo. Solo che non lo era. Non si svegliò mai. E dovette affrontare la realtà, era davvero incinta. Il dottore lo aveva confermato a lei venti minuti fa.

Lasciando l’ufficio medico in fretta si trovò a vagare senza meta lungo Central Park. Era una calda giornata di metà aprile, ma lei sentiva freddo, si sentiva persa e sola. Cosa doveva fare? Era troppo giovane per fare tutto questo da sola. Chi voleva prendere in giro? Era troppo giovane per fare questo, punto. Aveva dei piani. Aveva appena superato l’esame di abilitazione per l’Accademia di Polizia. Doveva iniziare il mese prossimo. Le cose avevano cominciato finalmente ad andare bene per lei e ora questo.

Non riusciva a capire come era potuto accadere. Lei prendeva la pillola e lui aveva usato la protezione, non era stupida. Ma forse la seconda volta, forse…non riusciva a ricordare, all’improvviso i ricordi di quella notte diventarono sfocati. L’unica cosa in cui riusciva a concentrarsi erano i suoi occhi azzurri. Lui e i suoi occhi azzurri, dannazione non riusciva a dimenticare quegli occhi che l’avevano perseguitata nei sogni i mesi scorsi.

Perchè? Perché lei e perchè adesso? Non aveva già passato abbastanza merda? Lacrime amare cominciarono a scorrere sul suo viso, quando finalmente trovò una panchina dove sedersi. Le asciugò furiosamente. Aveva bisogno di pensare, non poteva permettersi di avere un crollo in questo momento. Aveva bisogno di prendere una decisione, solo che non c’erano grandi opzioni per lei. Non poteva farlo. Non poteva crescere un bambino in questo momento. Non c’era nessun modo. Così prese un respiro tremante, spingendo se stessa ad alzarsi dalla panchina, prese la strada in direzione della sua casa.

Aveva bisogno di fissare un appuntamento, prima lo avrebbe ottenuto meglio era.

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Quella notte pensò a lui. Ormai aveva letto tutti i suoi libri, alcuni anche due volte e come il primo le avevano dato tutti quella pace che nessuno era stato in grado di darle dalla morte di sua madre. Non poteva fare a meno di chiedersi cosa Rick avrebbe pensato di questa cosa. Cosa avrebbe fatto se avesse saputo. Avrebbe cercato di convincerla a tenerlo? Se ne sarebbe preso cura? Era stata solo una notte. Entrambi erano stati chiari su questo. Non c’era alcun motivo per cui a lui dovesse importare.

Aveva letto del suo divorzio sui giornali un paio di settimane dopo la loro notte, per un momento si era chiesta se fosse stata lei la ragione prima di leggere che erano ormai separati da un anno. Ne fu sollevata, anche se non riusciva a spiegarsi il motivo per cui le importava così tanto il fatto di non essere stata il tradimento di un marito ma bensì il conforto per un estraneo, proprio come aveva fatto lei quella notte. Tuttavia lui ora era padre di una bambina di cinque anni e avere a che fare con una donna di una notte incinta del suo bambino probabilmente sarebbe stata l’ultima cosa che voleva o doveva affrontare in questo momento.

Ci fu ancora un attimo in cui considerò di entrare in contatto con lui, ma alla fine aveva paura che l’avrebbe mandata via come fosse una nullità, o peggio, che sarebbe stata accusata di avere altre motivazioni. Dopo tutto dal venerdì di questa settimana non ci sarebbe stato nessun motivo per il quale avrebbe dovuto informarlo, aveva preso la sua decisione.

——————————-

Venerdì arrivò e lei non si presentò. Non poteva. La vita era troppo preziosa e Kate lo sapeva meglio di chiunque altro. Non riusciva a convincersi di alzarsi e andare in ospedale.

Rimase a letto a fissare il soffitto tutto il giorno. Con “In a hail of bullets” stretto al petto non riusciva a smettere di chiedersi se tutto questo non fosse uno scherzo cosmico che aveva fatto erigere sua madre. Non credeva nel destino, non più, ma in qualche modo non era in grado di scollarsi di dosso la sensazione che forse non era stata sfortunata dopo tutto.

Kate aprì il libro ancora una volta, lesse la dedica per altre cento volte. Tre piccole parole sporgevano sulle altre.

 Ce la farai.

 

Stava per diventare madre e aveva bisogno di un piano.

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Capitolo 3
*** Il tempo passa ***


Agosto 2002

Richard Castle vagava per le strade di New York in cerca di ispirazione. C’era un inizio di idea che fluttuava nella sua testa, una nuova avventura per Derrick Storm. Inizialmente fu sorpreso quando i romanzi di Derrick Storm si erano trasformati in un grande successo. Avevano fatto di lui uno dei più caldi giallisti sul mercato. E non solo letteralmente, il suo aspetto di certo aveva i suoi vantaggi.

L’ultimo romanzo “Storm Warning” era stato rilasciato due settimane fa e aveva trascorso gli ultimi giorni alle innumerevoli presentazioni di libri e sessioni di intervista. Oggi era il suo primo giorno libero dopo settimane e voleva solo passeggiare per un po' per la sua città in cerca di ispirazione, prima di andare a prendere Alexis da sua madre e trascorrere un po' di tempo padre/figlia insieme a lei. Magari potevano andare a mangiare una fetta di cheesecake da Junior’s o un gelato in quel posto italiano in città. Un film? I suoi pensieri continuavano ad andare velocemente mentre cambiò strada, girò a sinistra e proprio lì, senza sapere il perchè, aumentò il suo flusso di idee. I suoi pensieri saltavano dalle idee del nuovo libro alle possibili attività tra lui e Alexis fino ad arrivare al meeting della Black Pawn che si era tenuto quella mattina.

Essendo onesto con se stesso, realizzò che i suoi pensieri vagavano soprattuto intorno al suo nuovo editore, Gina Cowell. Una donna pericolosa, che aveva messo gli occhi su di lui come se fosse una specie di preda. Forse avrebbe dovuto impostare dei limiti fin dall’inizio, o forse no. Era certamente una bella donna. Ma non voleva mischiare il piacere con il suo lavoro, non avrebbe mai funzionato. Anche se con quel sedere…, strinse le labbra e cominciò a scuotere testa, cercando di togliersi di dosso quel pensiero e provare a capire come far uscire Storm da una casa in fiamme, pur essendo legato a una sedia da un paio di calze. 

“Lo zoo!” esclamò in mezzo alla strada, con l’aggiunta dell’imitazione di un orangutan e ricevendo un paio di sguardi di disapprovazione a cui lui non dava alcuna importanza. Era Richard Castle, l’autore best-seller del New York Times e non gli importava cosa la gente avrebbe pensato di lui. 

Ma poi sentì una risatina dietro di lui e girandosi, curioso di vedere chi si era divertito durante il suo momento di ispirazione vide una donna che stava guardando verso di lui. Seguendo il suono della risata, guardo più in basso e vide una splendida creatura in piedi tra le gambe della donna che stava sorridendo verso di lui.

Si accovacciò, dando alla bambina il suo miglior sorriso, “Hey chi c’è qui”. Le sorrise ancora mentre lei continuava a sorridere da orecchio a orecchio. “Era divertente?”.

La bambina annuì, ridacchiando di nuovo, “divertente”. Ripeté, provando a imitare il suo suono “Uh uh”. Rick rise, “Questo è quello che sembrava?” Chiese.

Anche in questo caso la bambina annuì.

“Beh sembra divertente”, Rick sorrise, poi guardò la donna che l’accompagnava, la valutò in modo rapido e giunse alla conclusione che non era la madre.

“Richard Castle” le tese la mano. “Ho una bambina di sette anni anche se lei continua a ricordarmi che ne avrà otto nel mese di ottobre e dovrò cominciarla a trattare come una bambina di otto anni. A quanto pare arrivare a otto anni è importante”.

La donna rise, tendendogli la mano, “Quando sono piccoli ogni compleanno è importante. Sono Cynthia. Guardo Jamie mentre sua madre è a lavoro”.

“Jamie?” Rick guardò nuovamente in basso, catturando l’attenzione della bambina. “E’ un bellissimo nome. Io sono Rick”.

Ricevette un altro sorriso bellissimo, fece un occhiolino alla bambina e chiese a Cynthia. “Quanti anni ha?”.

“Ne avrà due il primo di ottobre” la donna sorrise, enfatizzando la parola “ottobre”, dato che era lo stesso mese di nascita di sua figlia. Lasciò correre la mano tra i riccioli marrone chiaro della bambina. “Sua mamma è un’ufficiale di polizia qui al dodicesimo distretto. Siamo venute a prenderla per pranzo”.

Rick annuì. Realizzando solo ora che erano di fronte a un distretto di polizia. Guardando Cynthia si accorse di uno sguardo che le stava rivolgendo con una strana espressione sul viso. Quando alzò un sopracciglio per chiederle di quell’espressione lei semplicemente scosse la testa.

“Scusa è che voi due”, guardò in basso verso Jamie, “avete gli stessi occhi blu”.

“Wow”, aggrottò la fronte, studiando la piccola più attentamente fino a capire che Cynthia aveva ragione. “Uguali anche a quelli di mia figlia”. Stava per fare un’altra domanda quando improvvisamente Jamie si separò dalle gambe di Cynthia e cominciò a correre con le sue piccole gambe verso una donna in uniforme che stava uscendo dal distretto, “Mamma!” Esclamò gettandosi tra le sue braccia.

“Hey uccellino, ti sono mancata?” chiese sua madre lasciando un bacio sui riccioli di Jamie.

La bambina allargò le braccia quanto poteva, “Così tanto?” Sua madre cominciò a ridere, sistemandola al suo fianco prima di raggiungere Cynthia e lo sconosciuto in piedi accanto a lei.

Quando alzò lo sguardo dalla figlia in braccio, Rick finalmente intravide il suo viso e si bloccò. 

Era lei. Erano passati più di due anni, ma non aveva dubbi che era lei. Non avrebbe mai dimenticato il suo viso, quel viso con gli occhi tristi che sembravano verdi in un momento e marroni in un altro, quegli occhi che avevano tormentato i suoi sogni.

“Kate?” balbettò sorpreso e la vide sussultare quando i loro occhi si incontrarono.

Non disse una parola, lo fissava solamente.

Cercando di trovare le parole, fece un passo esitante verso di lei, “Non sono sicuro che ti ricordi, ma ci siamo incontrati un paio di anni fa, sono..”.

“Rick”, finalmente trovò la sua voce, “Mi ricordo”.

Lui emise un sospiro di sollievo. Passandosi una mano tra i capelli cercò di trovare un modo con il quale procedere. “Questa è una sorpresa” disse, ridacchiando nervosamente.

“Beh, si”, rispose Kate, i suoi occhi guizzarono da sua figlia a lui per poi posarsi su Cynthia, realizzando che la tata stava osservando il loro scambio con interesse. Alla fine cominciò a parlare, “Dobbiamo andare” e rivolgendosi a Cynthia continuò, “Grazie per averla portata. La porterò da tre tra un’ora”.

L’altra donna sorrise, “Certo Kate”, scompigliando i capelli della bambina aggiunse “Ci vediamo dopo Jamie”.

Poi fece un cenno in direzione di Rick, stringendogli la mano  ancora una volta, “è stato un piacere conoscerti”.

“Piacere mio”, annuì di nuovo con un sorriso forzato sul suo volto. La sua attenzione era certamente altrove.

Cynthia si allontanò e gli occhi di Kate la seguirono mentre si sentiva improvvisamente intrappolata, in piedi accanto al padre di sua figlia, un uomo che pensava non avrebbe mai più rivisto.

“E’ stato bello vederti Rick”. Disse finalmente con un sorriso gentile, prima di guardare verso il basso, prendere la mano di sua figlia e cominciare a camminare.

“Si”, mormorò Rick, non sicuro dove fosse finita la sua capacità di parlare.

Iniziò a guardarla andare via prima di essere improvvisamente spinto da qualcosa che non sapeva nemmeno lui, la chiamò, “Kate aspetta!”.

Lei lo fece, con il panico lampeggiante nei suoi occhi, anche se cercava di nasconderlo ma non fu abbastanza veloce. Rick se ne accorse, era un eccellente osservatore. Sperava solo non fosse per causa sua, sperava che fosse altrettanto sorpresa di vederlo, come lo era lui. 

“Lo so, ora non è un buon momento, ma forse possiamo recuperare qualche altro giorno?” Rick disse con cautela, tirando fuori il suo biglietto da visita. “Mi chiami?”.

Emise un sospiro quando lo prese, la guardò fissare il biglietto tra le mani, il sospetto nei suoi occhi si trasformò in sorpresa.

“Va bene” mormorò Kate, mettendo il biglietto in una delle tasche dell’uniforme.

“Va bene”, un sorriso esitante stava sputando sulle labbra di Rick. “E’ stato bello rivederti, Kate”.

Con questo si voltò e se ne andò, non volendosi spingere oltre. Non era abbastanza sicuro di quello che era appena accaduto, ma sapeva che non poteva lasciarla andare via di nuovo come l’ultima volta. Dopo tutto Richard Castle era un uomo che credeva nel destino. E incontrare per caso la donna che aveva trovato strada nei suoi sogni più volte nel corso degli ultimi due anni, non poteva che essere destino.

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Capitolo 4
*** Elefanti e leoni ***


Sua madre aprì la porta per lui, Alexis non si trovava nei paraggi. Rick ne era stranamente sollevato sentendo che aveva bisogno di riprendersi dalla sensazione che si era creata in lui dopo l’incontro con Kate.

“Richard, vieni dentro”, si chinò per dare un bacio sulla guancia di sua madre e andò dritto verso il soggiorno dell’appartamento di sua madre. “Mi dispiace ma Alexis non è ancora tornata. E’ andata a prendere un gelato con Daphne”.

“Da 8B giusto?” Chiese Rick sedendosi sul divano.

“Si da lui”, Martha confermò, seguendolo e riconoscendo uno sguardo turbato sul suo volto. 

“Richard, stai bene? Sembri un po' strano”.

Prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e appoggiò la testa sullo schienale del divano, “Mi sono imbattuto in lei oggi”.

“Chi?” Martha aggrottò le sopracciglia, sedendosi al lato opposto del tavolino.

“Kate”, sospirò.

“La donna che incontrasti in quel bar e con cui hai trascorso una notte di…”, lasciò il resto della frase in sospeso, muovendo la mano in un gesto che voleva dire “sai cosa voglio dire”, “quella con gli occhi tristi?”.

Lui annuì.

“Dove l’hai vista?” Martha sapeva quasi tutto dell’incontro del figlio con la misteriosa Kate. L’aveva incontrata in un bar, ne fu attratto e non riusciva più a dimenticarla. Provò a cercarla, tornò al bar numerose volte sperando di incontrarla però lei non si fece mai viva. E suo figlio non scoprì mai chi era o cosa le fosse successo. 

“Di fronte al dodicesimo distretto. E’ una poliziotta”.

“Oh, questo non è magnifico? Martha conosceva suo figlio, sapere che la sua donna misteriosa era un poliziotto lo avrebbe reso emozionato. “Allora? Vuoi rivederla? Ci hai parlato?”.

“Ha una figlia”, disse come un dato di fatto.

“E questo sarebbe un problema perché?” Sua madre chiese sorpresa.

Lo era? No. Non è quello che gli dava fastidio. Fissando il soffitto cercò di togliersi quella strana sensazione che aveva nello stomaco.

“Richard?” Girò la testa per guardarla.

“No, non è un problema credo. E’ stato tutto così inaspettato”. Non sapeva che altro dire.

“Il fatto che ha una figlia e magari potrebbe avere una relazione con un uomo o che tu l’hai incontrata?”

Rick aggrottò la fronte , non aveva considerato l’ipotesi della relazione con qualcuno. Potrebbe perfino essere sposata.

“Oh Richard, non dirmi che veramente credevi che a lei il mondo si sarebbe fermato durante il minuto che ti ha visto?!” Martha non poteva fare a meno di prenderlo in giro, a volte era troppo arrogante e lo faceva per il suo bene. “Quindi la vedrai di nuovo?” Martha cercò di ottenere nuovamente risposta alla domanda che aveva fatto precedentemente.

“Le ho dato il mio biglietto da visita”.

“E?” Martha alzò gli occhi al cielo, normalmente non aveva bisogno di tirargli fuori ogni singola parola.

“Ha detto che avrebbe chiamato”. Borbottò.

“Quindi questa è una buona notizia, giusto?” Martha si alzò, andò dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla.

Però, prima che fosse in grado di rispondere, la porta si aprì e Alexis entrò correndo.

“Hey papà”, cominciò a correre verso di lui prima di atterrargli sul petto.

“Zucca stai diventando un po' troppo pesante per saltare sul tuo vecchio padre in questo modo”, cominciò a farle il solletico, i suoi pensieri erano dimenticati per ora.

“Non sei vecchio papà”, Alexis rise, facendogli a sua volta il solletico.

“No?” Rick rise, alzandosi e mettendosi Alexis sulle spalle.

“No! Papà”, urlò per l’eccitazione. “Che stai facendo?”.

“Ti sto per portare allo Zoo”.

“Veramente?” Alexis cercò di divincolarsi dietro la sua schiena, sorridendo da orecchio a orecchio.

“Potrei mai mentire alla mia unica figlia?” Disse fingendosi scioccato.

“No che non mi mentiresti mai” Alexis sorrise, ma dal suo tono così serio ebbe un tuffo al cuore.

“Va bene, andiamo”, Rick si avvicinò alla porta con Alexis ancora sulle sue spalle. “Grazie per averla guardata” Sorrise a sua madre.

“Ogni volta, lo sai”. Martha sorrise al figlio, Rick sapeva che anche lei amava sua nipote, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. “Siamo ancora d’accordo per la cena di stasera?”.

Rick annuì, “Ti chiamo quando abbiamo finito allo zoo così ci incontriamo al loft”.

Marthà guardò suo figlio e sua nipote percorrere il corridoio e scomparire in ascensore mentre ancora stavano ridendo. Sorridendo a sua volta, chiuse la porta.

 

—————————————————

 

“Dimmelo di nuovo, perchè ti piacciono così tanto?” Rick chiese masticando il suo Hot dog, mentre lui ed Alexis si trovavano di fronte a una scheda di informazioni sugli elefanti allo zoo di Central Park.

“Guardali”, Alexis indicò l’immagine di un elefante, “sono così maestosi, il più grande mammifero del pianeta”.

“Secondo me i leoni sono i più maestosi”, Rick affermò divertito.

“Ma i leoni uccidono. So che è nella loro natura e non sto giudicando”, Rick ridacchiò ma tornò subito serio quando vide Alexis rivolgergli uno sguardo di disapprovazione.

“Scusa”, alzò le mani in segno di scusa.

“Papà, hai la senape su tutte le mani”, lo guardò nuovamente con sguardo di disapprovazione. “Comunque, come stavo dicendo, non sto giudicando, ma gli elefanti sono grandi e delicati. Mi piace questa cosa. In qualche modo sono pacifici. E hanno una femmina leader che comanda il gruppo, pare siano pure intelligenti”.

Il cuore di Rick si gonfiò di orgoglio. Sua figlia era davvero straordinaria anche se i suoi preferiti rimanevano comunque i leoni. Abbassandosi, le posò un bacio affettuoso sulla testa, “Penso che questi siano ottimi motivi. Ma permettimi un avvertimento, facciamo in modo che tua nonna non sappia a proposito della femmina leader del gruppo, potrebbe prenderla nel modo sbagliato”. Ridendo alla sua stessa battuta, provò a prendere in braccio sua figlia che velocemente si divincolò.

“Che schifo papà, stai sporcando la mia maglia di senape”, protestò, arricciando il naso nel modo più adorabile possibile.

“Ooops, scusa. Vado a pulirmi. Torno subito”.

Quando ritornò, Alexis stava ancora studiando la scheda, leggendo a proposito degli ultimi elefanti dello Zoo di Central Park che erano stati trasferiti nel 2000.

“Sei triste che non possiamo più vederli qui?” Chiese, lasciando che le sue mani ora pulite scorressero tra i suoi capelli, sorridendo quando si appoggiò contro di lui.

“No”, scosse la testa, “Vorrei che potessero essere tutti liberi e sicuri”.

Il suo cuore si ruppe un po' alla malinconia della voce della figlia, così le girò intorno e si accovacciò di fronte a lei cercando di alleggerire il suo stato d’animo, “Cosa ne pensi? Noi due un giorno andremo in Africa così potremo vederli nel loro habitat naturale”.

“Può venire anche nonna?”

“Certo, se vuole”, Rick sorrise.

“Okay”, Alexis annuì un po' più felice.

“Solo okay?” Rick aggrottò la fronte, un viaggio in Africa doveva riservare molto più entusiasmo.

“E’ stupendo ma sono triste lo stesso per tutti gli animali che non possono essere liberi”.

“Alexis”, Rick cercò di trovare una spiegazione.

“Lo so che ci sono dei motivi papà, ma questo non significa che mi deve piacere”. Sospirò, prendendogli la mano e tirandolo in avanti, “Possiamo andare a casa adesso?”.

La seguì verso l’uscita e capì ancora di più perché amava così tanto la sua bambina. Prima che nascesse lui pensava di sapere l’amore che poteva provare, ma quando la tenne in braccio per la prima volta, la parola “amore” acquisì un significato completamente nuovo per lui.


———————————————————

 

“Quindi come è andata allo zoo?” chiese Martha godendosi gli ultimi morsi del suo dessert e guardando la nipote che era distesa sul pavimento davanti alla tv mentre guardava “Arielle”.

“Beh, non un grande sucesso devo dire” disse Rick sconsolato.

“Perché?” Sua madre aggrottò le sopracciglia.

“Alexis vorrebbe che tutti gli elefanti o probabilmente tutti gli animali fossero liberi e sicuri”.

“Questo è un bel pensiero”, Martha sorrise gentilmente, “ma difficile da raggiungere”.

Rick sospirò, “lo sa pure lei”.

Martha gli accarezzò il ginocchio, “non puoi proteggerla da tutto, bambino. C’è una realtà crudele là fuori e dovrà farci i conti, prima o poi”.

“Lo so, vorrei solo poter tenere tutte le cose brutte lontano da lei”. Guardò sua figlia che si era addormentata davanti al televisore.

“E questo fa di te un gran padre”. Martha sorrise, “Ora prendi tua figlia e portala a letto. Laverò io i piatti”.

“Grazie madre”. Si alzò e gli tornò il sorriso prima di camminare verso la figlia.

Si distese accanto a lei sullo stomaco, imitando la sua posizione sul pavimento e gentilmente la chiamò, “Alexis. Hey Lexi, è tempo di andare a letto”.

Sbadigliò mettendo la testa su di lui, “Non sono stanca”.

Rick ridacchiò, “si vede che non lo sei, vieni zucca, sali”, sussurrò, lasciando strisciare Alexis sulla sua schiena per poi portarla su per le scale.

Quando Alexis si trovò al sicuro sotto le coperte, Rick si sedette sul letto e cominciò ad accarezzarle i capelli.

“Papà? Posso chiederti una cosa?” chiese esitante.

“Tutto quello che vuoi Zucca, lo sai”.

“Ti vuoi sposare di nuovo?”.

Wow, certamente questa domanda non se la aspettava, “Perché lo stai chiedendo?”.

“Il padre di Daphne si sposa di nuovo”, Alexis armeggiava con le sue mani, “e mi chiedevo se…”. La sua voce si fermò prima di formulare la domanda.

“Alexis non so se mi sposerò di nuovo ma ti prometto che non farò niente senza il tuo permesso. Siamo un team, ricordi?”.

Lei annuì, ma vide che c’era qualcos’altro che la stava tormentando.

“Alexis posso vedere che si sta muovendo qualcos’altro nella tua mente. Puoi dirmelo”. Mettendo le sue piccole mani dentro le sue un po' più grandi, le diede una leggere stretta di incoraggiamento.

“Daphne sta anche per avere una nuova sorella”, disse finalmente. “E questo mi ha fatta pensare”.

“Zucca, ti amerò per sempre, lo sai vero? Anche se mi sposerò di nuovo o anche se avrai un fratello o una sorella, ti amerò per sempre. Niente sarà in grado di cambiare questo”.

“Lo so”, mormorò Alexis.

“Ma?” la spronò.

“Se davvero volessi una sorellina o un fratellino?”.

Sicuramente non si aspettava questa cosa.

“Alexis, non ti posso promettere questo tipo di cose”.

“Lo so, volevo solo che lo sapessi”, sorrise timida prima di mettere le sue piccole braccia intorno al suo collo tirandolo giù per un abbraccio. “Nessuna pressione”.

Emise una strana risata dopo quella affermazione, “Buona notte Lexi”.

“Notte papà, ti voglio bene”

“Ti voglio bene anche io. Ora dormi”.

Chiudendo la porta dietro di lui, scese lentamente le scale. Sua figlia aveva veramente chiesto di avere un fratello? Stava ancora scuotendo la testa quando entrò in cucina e qualcosa improvvisamente lo colpì.

“Merda”.

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Capitolo 5
*** Il dado è tratto ***


“Richard?” Martha chiamò suo figlio che lo vide attraversare di fretta il soggiorno per poi andare nel suo ufficio.

Tirò fuori un calendario e cominciò a contare, contare e ancora contare. Girava pagina e ricominciava, avanti e indietro, senza fermarsi.

“Cosa stai…”, sua madre non riuscì a domandare oltre, prima che il figlio la interruppe.

“40 settimane, giusto?”.

“40 settimane cosa?” Martha lo guardò confusa e un po' preoccupata ai suoi tentativi frenetici di capire qualcosa nel suo calendario.

“Gravidanza, 40 settimane di gravidanza”, mormorò tra sé e sé, infine lasciò che le sue dita si posassero sul nove gennaio e sul primo di ottobre.

“Richard? Mi stai preoccupando”, gli disse la madre avvicinandosi alla sua scrivania. 

“Cosa sta succedendo?”.

“Lei è mia”, disse finalmente sconvolto.

“Chi?”.

“Jamie, la figlia di Kate”, fece una pausa prima di dire la verità ad alta voce, “Sono suo padre”, dichiarò fissando la madre con gli occhi spalancati. Tutto improvvisamente gli tornò.

“Non essere sciocco. Come lo puoi sapere?” Martha scosse la testa, incapace di credere a quello che aveva appena detto suo figlio.

“Madre, 40 settimane. E’ nata il primo di ottobre. Me lo ha detto la sua tata. 40 settimane dalla notte che abbiamo passato insieme. 40 settimane.” Si passò una mano sul viso senza saper come procedere dopo quella rivelazione.

“Lei potrebbe avere…”, iniziò Marthà, ma lui la interruppe ancora una volta.

“No, non è così”, scosse la testa con veemenza.

“Richard”. Il suo tono stava cambiando. “Non conosci quella donna. Hai trascorso una notte insieme a lei almeno quasi tre anni fa. Non puoi sapere come è fatta. Devi almeno affrontare la possibilità che magari non è esattamente come te la sei creata nelle tue fantasie”.

“Non hai visto la bambina mamma. Non hai visto i suoi occhi. I miei occhi. Ha i miei occhi. So che è così, deve essere mia figlia”.

“Allora perchè non te l’ha detto? Se la bambina è tua figlia perchè non è venuta a dirtelo?” Martha lo fissò.

Lo guardò di nuovo, vedendo che la sua determinazione stava vacillando, “Non lo so ma lei prima di oggi conosceva solo il mio nome e come mi hai sempre ripetuto più di una volta io non sono il centro dell’universo e non tutti hanno letto i miei libri”, le diede uno sguardo convinto, “quindi forse semplicemente non mi ha trovato”. Passò la mano sul suo viso, “In ogni caso, non importa. Non cambia il fatto che Jamie è mia figlia”. La sua voce era sicura quando disse nuovamente questa frase.

Martha sospirò, appoggiata alla sua scrivania pensò a tutto quello che aveva appena sentito e dopo un lungo minuto di silenzio lo guardò, “Ne sei assolutamente sicuro?”.

Rick annuì. Sapeva che era vero. Era stato infastidito da qualcosa per tutto il giorno e finalmente aveva capito. Finalmente riuscì a rimettere insieme tutti i pezzi.

“Quindi cosa vuoi fare adesso?” dichiarò Martha, sedendosi in una delle sedie di pelle, aspettando che suo figlio si unisse a lei.

Rick prese un profondo respiro, sedendosi accanto a lei, “Non lo so. Questo è così inaspettato”.

Si era perso nei suoi pensieri per un attimo prima di continuare, “Credo che andrò a trovarla domani al distretto, parlerò con lei”. Si strinse nelle spalle.

Martha scosse la testa, “Io non lo farei”.

“Perché no?”.

“Se hai ragione, lei lo sa sicuramente. Almeno dalle un giorno o due per capire, per riavvolgere il nastro, prima che la sua vita cambi da un giorno a un altro. Le hai dato il tuo numero, ti chiamerà quando sarà pronta”.

Sapeva che aveva un senso, ma la sua di vita? Anche la sua vita sarebbe cambiata, “E se non chiama?”.

“Se non chiama puoi sempre andare a trovarla”. Martha gli prese la mano dandogli una leggera stretta. “Richard ti conosco. Non si tratta di dare i soldi alla bambina. Lo posso vedere dai tuoi occhi, già tieni al lei. Vuoi che entri a far parte della tua vita e so che vorresti aver pianificato già tutto ma credimi, se pressi la madre troppo presto potresti perdere la tua occasione. Mi hai detto che è una donna molto giovane e posso solo provare ad immaginare cosa questi due anni e mezzo siano stati per lei. Devi darle un po' di tempo”.

Lui annuì, assorbendo tutto quello che gli era stato appena detto. Sua madre aveva ragione.

“Non ti conosce, non sa che uomo sei, non conosce le tue intenzioni. Entrambi avete bisogno di un paio di giorni per venire a patti con tutto questo, capire come agire, prima di immergervi totalmente”.

“Hai ragione”, Rick finalmente sospirò, “Hai ragione”.

Rimasero seduti in silenzio per un po’, entrambi persi nei loro pensieri, entrambi provando a capire cosa quella rivelazione avrebbe comportato per il loro futuro.

“Cosa dirò ad Alexis?” la sua voce ruppe il silenzio che avevano creato intorno a loro. Questo non era probabilmente quello che intendeva quando poco prima aveva parlato di avere fratelli.

“Quando arriverà il momento le dirai la verità. Come hai sempre fatto”.

 

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Kate non riusciva a dormire. Si era rigirata per più di un’ora. Era così stanca che poche ore prima non vedeva l’ora di lasciare il distretto per andare a prendere Jamie e tornare a casa.

Dopo aver trascorso un po' di tempo con sua figlia e averla messa a letto, si fece una doccia. Non riuscì a calmar i nervi però. Desiderava un bagno, un lungo bagno caldo, ma nel suo nuovo appartamento avendo due camere da letto non poteva permettersi anche una vasca da bagno. Non si lamentava però, aveva trovato una casa abbastanza comoda e conveniente nonostante lo stipendio da poliziotto. Avrebbero sempre potuto traslocare una volta che sarebbe diventata detective, ma per ora andava bene così.

Kate continuava a fissare il soffitto, la sua mente non riusciva a fermarsi. Aveva veramente incontrato Richard Castle oggi? L’uomo che non riusciva a dimenticare perchè tutte le volte che guardava sua figlia vedeva lui? I suoi occhi blu che ancora le tormentavano i suoi sogni.

Non è che non ci aveva mai pensato, alla sensazione che avrebbe avuto quando l’avrebbe visto di nuovo, ma era sempre arrivata alla conclusione che probabilmente lui non l’avrebbe riconosciuta dopo tutto questo tempo. L’aveva tenuto d’occhio, aveva letto di molte donne nella sua vita. Sembravano cambiare più spesso di quanto una persona normale possa cambiare la sua banchieria intima. La prima di un film con una bionda, un evento di beneficienza con una mora, la lista sembrava non finire mai.

Però nemmeno nei suoi sogni più selvaggi avrebbe mai immaginato che l’avrebbe riconosciuta, o che sarebbe stato sorpreso dal loro incontro come lo sarebbe stata lei. Forse lui aveva tormentato i suoi sogni tanto quanto lei i suoi? Respinse questo pensiero, non sapeva nemmeno perchè aveva una speranza del genere dentro di lei. Speranza di cosa? Di una famiglia? Non sarebbe caduta in questa illusione. Lei e Jamie stavano bene. Ognuna aveva l’altra e si erano sempre bastate. Non voleva fare del male a sua figlia. Non più.

Eppure, lui le aveva dato il suo biglietto da visita, voleva che lo chiamasse e più che ci provava più non riusciva a mandare via questo pensiero. Non riusciva a capire del perchè di tutta questa speranza. Non lo conosceva nemmeno, oppure si? Sicuramente conosceva il suo lavoro, aveva letto tutti i suoi libri, l’ultimo giaceva accanto a lei sul comodino. Ma quello era Richard Castle l’autore, che le aveva dato conforto negli ultimi due anni. Rick Castle l’uomo, sembrava essere un playboy arrogante. E non aveva bisogno di questo nella sua vita, nella sua e quella di Jamie.

Infine quando chiuse gli occhi, prese la sua decisione.

 

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Non aveva chiamato. Quattro giorni dopo Rick si trovava ad un altro incontro noioso con la sua agente Paula e la sua nuova editrice Gina trovandosi in difficoltà nel concentrarsi in tutto quello che stava succedendo intorno a lui. 

Perché non aveva chiamato?

“Ricky?” la voce stridula di Paula lo tirò fuori dai suoi pensieri.

“Eh?” Guardò da una donna all’altra. “Scusate, di cosa stiamo parlando?”.

“Della data di uscita del prossimo libro di Derrick Storm”, disse Gina, con quello sguardo che significava sempre guai quando era diretto da lei. Stava cercando di provarci con lui. Che donna pericolosa. 

“Abbiamo rilasciato l’ultimo soltanto tre settimane fa, non potete almeno darmi una pausa dopo tutte le presentazioni dei libri? Per riprendere fiato?” Seriamente che cos’era? Una macchina?.

“Ricky”, Paula si spostò con la sedia vicino a lui, mettendo il suo naso prominente proprio davanti ai suoi occhi. “Sai quanto è importante mantenere i fans soddisfatti. Devi almeno dargli un libro di Derrick Storm all’anno”.

“Lo so questo”, rispose irritato, “Ma non potete darmi almeno un mese? Non ho nemmeno cominciato il nuovo libro ancora”.

“Abbiamo già fatto compromessi per il tuo book tour” rispose acida. “Ti stiamo solo chiedendo fare il tuo lavoro”.

“Te l’ho detto, non voglio stare lontano da Alexis mentre va a scuola”, per difendere se stesso si spostò con la sedia indietro, lontano da Paula. Odiava mettere Alexis in queste discussioni. Non doveva essere costretto a combattere solo perché era un papà.

“Beh, non può rimanere con sua madre?” con questa risposta si arrabbiò ancora di più.

“Sua madre è in California, la scuola di Alexis è qui. Sei ben consapevole di questo”, disse a denti stretti.

Paula alzò le mani in segno di resa, “Ti sto solo dando un suggerimento”.

“Beh io non ho bisogno dei tuoi suggerimenti”.

“Quindi cosa facciamo?” Gina li interrupe prima che le cose potessero sfuggire di mano, “Perché non mettiamo la data di uscita intorno alla stessa data di quest’anno?”.

Rick annuì, “Ok va bene per me”.

Gina guardò Paula, “Paula? In questo modo tutti potranno essere soddisfatti”.

L’agente di Rick annuì e guardando verso di lui aggiunse, “Quanto puoi essere noioso”.

“Ti assicuro Paula, il sentimento è reciproco. Credo che abbiamo finito qui”. Con questo si alzò, salutando, sapendo che lui e Paula erano sempre così, era il loro modo di approcciarsi con l’altro.

Era arrivato quasi all’ascensore quando sentì il rumore di un paio di tacchi a spillo correre verso di lui.

“Rick!”.

Lui sussultò quando sentì Gina chiamare il suo nome, sapendo quello che gli stava per chiedere.

“Gina” si voltò con un sorriso falso sul volto, “Ho dimenticato qualcosa?”.

“No” rise in modo falso, accarezzandogli il braccio. A lui non piaceva. Non era nel mood per flirtare o per svolgere il ruolo che tutti si aspettavano svolgesse.

Facendo un passo indietro, alzò un sopracciglio, “Cosa posso fare per te allora?” cercando di essere sempre cordiale.

“Mi chiedevo se vorresti venire a pranzo con me”, lo disse con un tono suggestivo e affascinante. E in circostanze diverse probabilmente avrebbe accettato, ma oggi doveva andare in un altro posto.

“Mi dispiace Gina. Ho già dei piani”, le sorrise prima di girarsi e andare via.

“Magari un’altra volta?”  disse quasi urlando.

“Può essere”.


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“Sto andando al distretto” Rick guardò a sinistra prima di attraversare la strada, dirigendosi verso la stazione della metropolitana. “Puoi stare con Alexis un po' di più?”.

“Richard, quello che stai facendo pensi sia la cosa giusta da fare?” Sua madre chiuse la porta del salotto cercando di fare silenzio mentre Alexis stava leggendo un libro.

“Che altro dovrei fare? Ho aspettato quattro giorni. Penso sia ovvio che non vuole parlare con me”.

Martha spostò il telefono dalla mano sinistra a quella destra, appoggiandosi al bancone della cucina, “Hai quel tono di voce”.

“Che tono?”.

“Quel tono che mi dice che ti stai per cacciare nei guai e stai per fare cose che poi rimpiangerai di aver fatto”. Sospirò. “Senti perché non chiami il distretto prima di andare?”.

“E dire loro che cosa? Voglio parlare con Kate perché sono il padre di sua figlia della quale non mi ha voluta informare?”.

“Eccolo di nuovo quel tono di voce”. Sottolineò Martha. Poteva immaginare l’espressione del suo viso in questo momento.

“Mamma puoi stare con Alexis si o no?” stava per scendere le scale che portavano alla linea rossa mentre cominciò a battere il piede con impazienza.

“Certo, però Richard…”, non riuscì a finire la frase che aveva già riagganciato.

Il distretto era pieno di gente; prostitute, ubriachi, persone normali, bambini in lacrime. Normalmente avrebbe inglobato tutto questo come una spugna, avrebbe creato una scena nella sua testa per il suo prossimo libro ma adesso era troppo impegnato a squadrare la stanza, troppo impegnato a cercarla per poter notare tutto quello.

“Posso aiutarti?” un giovane ufficiale di polizia che non poteva avere più di 20 anni, chiese gentilmente.

“Sto cercando Kate” rispose Rick, cercando di apparire meno sospetto possibile.

“Beckett?”.

Annuì, “U-huh, lei”.

“Royce! C’è Beckett da queste parti?” il poliziotto urlò cercandola in mezzo a tutta quella gente.

“I ragazzi del Vice l’hanno portata fuori, perchè?” Rick guardò l’uomo, Royce, si avvicinò e cominciò a sentirsi un po' giudicato. “Chi è questo?”.

Rick tese la mano, “Rick Castle. Sono un amico di Kate”. 

“Rick Castle?” Royce lo studiò. “Non ho mai sentito parlare di te”.

“Si, sono una specie di nuovo amico” aveva bisogno di un piano molto velocemente perchè questo Royce non stava sicuramente credendo alla sua storia.

“Ci siamo incontrati al parco. Ho una figlia e abbiamo incontrato Kate e Jamie al parco”. Stava balbettando. Stava andando malissimo.

“Conosci Jamie?”.

“Si, bellissima bambina con dei meravigliosi occhi blu. Mia figlia Alexis e Jamie vanno molto d’accordo. Conosci i bambini. Voglio solo sapere se siamo ancora d’accordo per domani”. Cosa stava facendo? Sua madre aveva ragione, si stava mettendo nei guai.

“Tornerà presto. La puoi aspettare lì”. Royce indicò un gruppo di sedie, davanti alla sala ristoro.

Rick annuì, “Grazie, è stato molto gentile”. Sedendosi in una di quelle sedie prese un respiro profondo, forse non sarebbe andata così male, dopo tutto.

Prese solo un sorso dal caffè che gli aveva gentilmente portato Miller perchè sapeva di pipì acida di scimmia e stava cercando un modo per liberarsene quando la vide entrare nella stanza attraverso una delle porte laterali. Il suo cuore perse un battito.

La vide parlare con Royce che stava indicando nella sua direzione e ovviamente dicendole tutto quello che gli era stato riferito. Vedendo i suoi lineamenti da rilassati a tesi si stava preparando a quello che stava per avvenire.

Kate Beckett, in piedi nell’altro lato della stanza voleva fare solo una cosa, fuggire. Ma non poteva farlo con Royce lì davanti che la guardava, così raccolse tutto il suo coraggio e si incamminò verso di lui, decisa a cacciarlo e a fare in modo di non farlo tornare più nella sua vita.

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Capitolo 6
*** Il confronto ***


Rick era ancora seduto quando la vide camminare verso di lui, la guardò attraversare la stanza con lunghi passi sicuri. Cercò di fare il suo miglior sorriso, o quello che almeno sperava venisse fuori, quello con cui normalmente tutte si scioglievano. Ma il suo sorriso vacillò quando vide lo sguardo furioso sul viso di Kate. Naturalmente si era aspettato che fosse sorpresa, forse anche irritata dalla sua visita senza preavviso ma in questo momento sembrava fosse pronta a ucciderlo.

“Che cosa ci fai qui?”, sussurrò, quando era abbastanza vicina a lui per far sì che lo sentisse e per non attirare l’attenzione della gente.

“Non hai chiamato”, balbettò, dicendo la prima cosa che gli era passata per la mente, già sapendo che la sua risposta non l’avrebbe soddisfatta. In qualche modo non aveva mai pensato al fatto che magari lei non avrebbe davvero avuto voglia di rivederlo.

“E chi ti da il diritto di presentarti e molestarmi mentre sono a lavoro?” rispose fissandolo.

“Quindi ti sto molestando?”, stava ritornando un po’ di fiducia in stesso dopo quell’accusa ridicola. Voleva solo parlare, non necessariamente in questo momento. Poteva sempre venire a prenderla più tardi..

“Beh non ricordo di averti invitato”. Rispose Kate, interrompendo il suo treno silenzioso di pensieri mentre era in piedi davanti a lui, con le mani sui fianchi. Se non fosse stata arrabbiata con lui, per qualche ragione incomprensibile, l’avrebbe trovata pure carina.

“Non hai chiamato”, ripetè, cercando di farle capire il suo punto di vista. Ma lo sguardo sul suo viso gli fece capire che era molto lontana dal capirlo.

“Di nuovo? Chi ti ha dato il diritto di presentarti qui? Hai mai pensato che magari non avevo piacere di chiamarti?” glielo sputò in faccia, più forte di quanto avesse previsto e vedendo diversi agenti andare verso la loro direzione. Ottimo, pensò. Questa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno, diventare l’argomento principale del distretto. Era già abbastanza difficile farsi valere tutti i giorni in un mondo di soli uomini, ancora di più essendo una mamma single. Non aveva bisogno pure del gossip intorno a lei.

“Oh  si ci ho pensato”, la risata senza di allegria di Rick la riportò alla questione, “ma ovviamente abbiamo bisogno di parlare, ecco perché sono qui”. Non capiva il rigetto che aveva verso di lui. Cosa aveva fatto?

“Non c’è niente di cui dobbiamo parlare”, replicò lei, cercando di mantenere uno sguardo impassibile. Ma lui se ne accorse dal guizzo nervoso dei suoi occhi, dalla sua lingua che bagnava le sue labbra, era nervosa. Lei sapeva perché lui era qui.

“Sai esattamente di che cosa, o forse dovrei dire di chi”, abbassò la voce, avvicinandosi, invadendo il suo spazio personale. Forse cercare di intimidirla era una mossa poco nobile da parte sua ma non sapeva cos’altro fare. Sembrava funzionare, così si fece sempre più vicino, vedendola fare un passo indietro e inciampando in una sieda dietro di lei.

“Beckett, stai bene?”, Miller la chiamò dall’altra parte della stanza, costringendola a girarsi.

“Sisi tutto bene, Miller!”, rispose, mordendosi le labbra. Non aveva bisogno di tutto questo. Royce l’avrebbe affrontata sicuramente più tardi.

Girandosi di nuovo, lo trovò ancora intento a fissarla, del tutto impassibile alla scena che stava creando, “Devi andare”, disse, “adesso”. E iniziò ad allontanarsi decisa a lasciarlo lì.

“Io non vado da nessuna parte finché non abbiamo parlato di Jamie”, rispose, la voce ferma, anche se non aveva idea di come ci era riuscito. Era furioso. Aveva sperato in una conversazione civile a proposito di tutto quello che era successo due anni fa. Magari sarebbe stato anche un piacevole viaggio nella memoria prima di arrivare a un accordo che avrebbe funzionato per tutti loro. Ma lei si comportava come se lui fosse una specie di pervertito. In cerca di che cosa? Di un’altra notte di solo sesso? Credeva davvero fosse quel tipo di persona?

Rendendosi conto che si trovavano ancora al centro dell’attenzione, Kate lo afferrò per un braccio e lo tirò verso una porta alla loro destra, spingendolo. Trovandosi in una stanza del distretto.

“Jamie non è affar tuo”, quasi gli urlò contro. Appena si trovarono fuori dal centro dell’attenzione e soli ogni fibra del suo corpo si era messa in modalità combattimento. Lo voleva tenere lontano da Jamie.

“Oh, in realtà penso proprio che lo sia. Credo sia molto affar mio”, imitò il suo tono, non era disposto a cedere ed era determinato a non fare marcia indietro. Jamie era sua figlia e lui aveva il diritto di…

“Non ho idea di cosa tu stia parlando”, disse, voltandosi e lasciandolo in piedi da solo, ma prima che potesse uscire dalla stanza le afferrò il polso, facendola voltare e mettendola faccia a faccia con lui.

“Perché ti comporti in questo modo?”, chiese, cercando di adottare un approccio diverso, “Voglio solo parlare e se questo è un brutto momento tornerò dopo oppure ci vediamo per cena o se vuoi ci possiamo vedere anche un altro giorno. Se mi prometti che ne parleremo accetto tutte le tue condizioni”.

“Tu non capisci, vero?” chiese, tirando via il polso dalla sua mano. “Non c’è niente di cui parlare. Non ho niente da dirti”. Dio, voleva solo che se ne andasse. Non poteva gestire questa situazione, non era preparata. Pensava che se non lo avesse chiamato avrebbe perso interesse. Non aveva realmente considerato il fatto che potesse davvero essere serio a proposito della chiamata e certamente non pensava scoprisse la verità. Ma forse se continuava a negare, l’avrebbe convinto di essere arrivato alla conclusione sbagliata.

“Kate”, fece un passo avanti ma lei subito ne fece uno indietro.

“No, Rick. Abbiamo passato una notte insieme, molto tempo fa. E questo è quanto. Io non voglio recuperare niente, non voglio ripetere niente. Non ho tempo per una relazione o qualsiasi cosa tu stia cercando. Sono un poliziotto e una mamma single e l’ultima cosa di cui ho bisogno nella mia vita in questo momento è un uomo”. Sperava solo che avrebbe capito. Per favore, dimmi addio e vattene per la tua strada.

“Sono suo padre”, disse invece, il suo tono cambiò e i suoi occhi si ammorbidirono per un momento. Era vicino alla supplica ma non gli importava. Tutto quello che voleva era avere la possibilità di essere padre della bambina. Una possibilità era davvero tutto quello che chiedeva.

Lei trattenne il respiro, inciampando all’indietro e cercando di mascherare il suo shock. Fino ad ora c’era una piccola parte di lei che sperava davvero fosse qui alla ricerca di un’altra notte di sesso o per avere una risposta al perché fosse scappata, ma dopo quella frase capì che lui sapeva, era a conoscenza di tutto.

“Jamie non ha un padre. Siamo solo io e lei”. La sua voce non era più che un respiro. “Non è tua figlia”.

Rick sentiva la voce di sua madre nella mente, avvertendolo che avrebbe fatto qualcosa di stupido, ma era troppo tardi, si stava per spingere troppo oltre. Era un padre dopo tutto, così sbottò, rabbia e disperazione presero il sopravvento, “Non fare finta di niente, Kate. L’ho vista. Ha i miei occhi, i miei occhi azzurri. So quando è nata, Cynthia me l’ha detto. E’ mia figlia e ne sono sicuro”. Sapeva che la stava perdendo e certamente questo non lo avrebbe portato da nessuna parte, ma non riusciva a tornare indietro. Prese un respiro profondo e cercò di calmarsi. Era anche sua figlia.

“Jamie è mia figlia”, urlò. “Mia. Tu non hai niente a che fare con lei, stiamo bene da sole. E se mai ti vedrò vicino a lei di nuovo…”.

“Oh, quindi è così che la vuoi mettere?”. La sua voce era fredda come il ghiaccio, il sorriso falso sulle labbra ancora più freddo. “Farò un test di paternità per dimostrare che è mia figlia. E chi pensi avrà le carte migliori quando andremo in tribunale? La mamma single che lavora a orari folli, che è costantemente in pericolo e che ha pochissimo tempo per la bambina o il famoso scrittore, con un sacco di tempo libero e molti più soldi?”. Era scioccato dalle sue stesse parole, vide il terrore nei suoi occhi. Quegli occhi tristi che non era mai riuscito a dimenticare. Ora erano colmi di lacrime e sapeva di esserne lui il responsabile, ma non riusciva a fermarsi. “Combatterò Kate Beckett. Combatterò per lei”.

Quando finalmente smise di parlare e vide le lacrime scorrere sul viso di Kate era disgustato da se stesso. Come aveva potuto dirle cose così terribili? Era uno stupido ed era inorridito dal suo comportamento, come aveva potuto lasciare uscire le sue emozioni in questo modo? L’aveva veramente minacciata? Se solo avesse ascoltato sua madre avrebbe agito in modo diverso. Avrebbe potuto chiamarla al distretto, farle prendere tempo, avvertirla, qualsiasi cosa. Darle una possibilità. Prese un respiro profondo, fece scorrere una mano sul suo viso cercando di portare la situazione sotto controllo.

“Vattene”. Sentì la sua voce tremante prima di avere la possibilità di scusarsi. E il suo cuore si ruppe quando realizzò cosa le aveva fatto.

“Kate, io…”, non lo fece finire.

“Vattene”, disse nuovamente, un po' più forte questa volta, ma lui non si mosse.

“Kate, per favore”. La stava implorando.

“L’hai sentita?”, una voce fece sobbalzare entrambi. “Lei vuole che tu te ne vada”.

Girandosi, Rick vide il poliziotto con cui aveva parlato prima, Royce. E sapeva che non c’era niente che potesse fare in questo momento senza peggiorare le cose. Quindi, dando un ultimo sguardo a Kate, che sembrava stesse per avere una crisi di pianto, alzò le mani in segno di resa.

“Per favore chiamami”, disse un’ultima volta prima di girarsi e andarsene.

Royce rientrò nel distretto per guardare l’uomo che aveva sconvolto la sua partner, così tanto che stava ancora piangendo.

“Che cos’era questo?” chiese Royce, guardando Beckett che stava cercando di ricomporsi.

“Niente”, disse finalmente, mettendo su un’espressione coraggiosa e tornando nel distretto, non voleva dare nessuna spiegazione.

“Beckett?”, la richiamò ma lei fece cenno con la mano di non volerne parlare.

“Lascia perdere Royce. Ho tutto sotto controllo”.

 

———————————————————

 

Royce la tenne d’occhio per il resto della giornata. Pretendeva di stare bene quando in realtà aveva ben poche cose sotto controllo. Qualsiasi cosa fosse successa tra lei e quel ragazzo l’aveva sconvolta a sufficienza per averle fatto perdere il senno della ragione, cosa che non era mai successa a meno che non fosse preoccupata per Jamie.

Fece in modo che non dovessero uscire in pattuglia per il resto della giornata, chiedendole alcune favori e lasciandole il lavoro d’ufficio mentre lui si occupava di una ricerca online.

Ci vollero pochi secondi per capire chi fosse esattamente Richard Castle. E Royce si era affrettato a farsi una teoria su cosa fosse successo tra la sua partner e quell’uomo, autore di best-seller. Personalmente non aveva mai sentito parlare di lui, ma sicuramente aveva carisma e aveva creduto alla sua storia circa sua figlia che era amica di Jamie. E se era riuscito a convincere un vecchio poliziotto come lui, aveva una vaga idea di che tipo di promesse potesse fare alle donne  un uomo come lui. Promesse che non avrebbe mai mantenuto, ovviamente. Fortunatamente Beckett, anche se molto giovane, non era quel tipo di donna ma il bastardo era riuscito comunque a farle del male.

“Hey Beckett”, spostò lo sguardo dal lavoro che stava facendo e vide il partner armeggiare nervosamente la penna che aveva in mano.

“Mmmmh?”.

“So che non è affar mio quello che è successo tra te e questo scrittore, ma…”, lo interruppe immediatamente.

“Sai chi è?” domandò con gli occhi ancora umidi. La situazione stava peggiorando di minuto in minuto.

Si strinse nelle spalle, “Ho fatto una ricerca sul web”.

Lei sbuffò, voleva solo che questa giornata arrivasse alla fine. Ma Royce interpretò il suo silenzio come un segno per continuare.

“Ascolta ragazza, voglio solo farti sapere una cosa, se vuoi che vada a fargli una visita o che paghi qualcuno per…” lasciò il resto della frase in sospeso, immaginando che avrebbe capito.

“Grazie Royce ma non è quello che pensi. Posso farcela da sola”, provò a fare un sorriso, ma fallì miseramente.

“Certo, tieni un mente una cosa però, ci sono tanti altri pesci nell’oceano”, disse prima di tornare alla sua scrivania.

Kate seppellì la testa tra le mani. Era già stato sufficiente che Royce avesse assistito alla sua litigata con Rick Castle ma ora si era fatto un’idea totalmente sbagliata di loro due nella sua testa, anche se forse era meglio della verità.

Guardò l’orologio alla parete e sospirò quando vide che mancava ancora più di un’ora alla fine del suo turno. Voleva tornare a casa. Voleva rannicchiarsi sul divano con la sua bambina e dimenticare tutto quello che era successo oggi.

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Capitolo 7
*** Conforto e senso di colpa ***


“Hai rovinato tutto”. Sua madre sentenziò quando entrò nel loft quella sera.

“Che cosa?”, disse Rick quasi urlando. “Madre, cosa te lo fa pensare?”, scosse la testa, facendo intendere che la frase “hai rovinato tutto” fosse la cosa più ridicola del mondo, per di più associata a lui.

“Ti conosco”, fu la risposta secca dalla cucina. Unita a uno sguardo d’intesa sul volto della madre.

Crollò sul divano, premette le dita nelle orbite dei suoi occhi, fino a quando finalmente lo ammise, “Ho rovinato tutto, sono nei guai”.

Sua madre sospirò. Naturalmente sapeva che avrebbe agito in questo modo, come ha sempre fatto quando il suo cuore era coinvolto. Aveva la tendenza a farlo spesso, di andare oltre per poi ritrovarsi in bilico, nei guai, lo faceva ogni volta che aveva paura di soffrire.

Recuperando un drink per entrambi lo raggiunse sul divano, accarezzandogli il ginocchio per ottenere la sua attenzione. Quando sollevò la testa dallo schienale e aprì gli occhi per guardarla Martha gli porse uno Scotch e gli ordino di berlo, per riprendersi un po’.

“Grazie”, annuì, prendendone un grande sorso. Lasciò il liquore bruciargli la gola, sperando di intorpidire il senso di colpa che si era stabilito nel suo stomaco e che lo stava rosicchiando con tanti piccoli denti aguzzi. Era stato un grandissimo idiota. Dopo la prestazione di oggi, aveva probabilmente rovinato tutte le possibilità di creare un rapporto con Kate e Jamie. Se non lo avrebbe chiamato, non riusciva nemmeno a darle torto. Nemmeno lui avrebbe chiamato se stesso dopo quello che era successo qualche ora prima.

Martha aspettò che si ricomponesse, dandogli il tempo di riorganizzare i suoi pensieri prima che lei lo incitasse gentilmente a condividerli, “Quindi ragazzo, dimmi che cosa hai fatto”.

La guardò. Un po’ di sostegno da parte di sua madre di tanto in tanto sarebbe stato bello, anche se questa volta aveva subito c’entrato il punto.

“Alexis?”, chiese guardando nervoso le scale.

“Non ti preoccupare. Tua figlia è nella sua stanza a leggere l’ultimo libro di Harry Potter. Non scenderà per ore, o forse anche per giorni se non la chiamiamo per cenare”. Martha alzò gli occhi al cielo divertita.

“Harry Potter?”, Rick aggrottò la fronte. “Di nuovo? Sarà la dodicesima volta che lo legge”.

“Non guardare me”, disse la madre sventolando le mani. “Questo è certamente un tratto del carattere che ha ereditato da te”.

Sorrise a quell’affermazione, felice che sua figlia avesse ereditato il suo amore per le parole e per i libri insieme al suo entusiasmo per le pistole laser, per lo Sci-Fi e un sacco di altre cose infantili che gli piaceva fare, soprattutto insieme alla figlia. Pensò nuovamente al fatto che probabilmente si era giocato la possibilità di scoprire quello che Jamie amava fare, le passioni con cui sarebbe cresciuta. Posizionando il bicchiere ancora mezzo pieno sul tavolino, si rivolse alla madre e prendendo un respiro profondo, cominciò a raccontarle cosa era successo, “L’ho minacciata”. Disse, con sguardo infelice e colpevole.

“Richard?”, sua madre era scioccata. Conosceva suo figlio, sapeva che non aveva mezze misure e guardando l’espressione sul suo viso capì che questa volta era andato davvero oltre. “Cosa hai detto a quella ragazza?”.

“Più o meno l’ho minacciata di portarle via la figlia”, abbassò la testa, non in grado di sostenere lo sguardo deluso di sua madre.

“Le hai detto questo?”, chiese Martha incredula.

“Non esattamente, ma è quello che si capiva dalle mie parole”, annuì.

“Non capisco. Cosa ti ha portato a dire una cosa del genere?”, lo squadrò più attentamente, sapendo che ci doveva essere di più in quella storia. Si è vero, perdeva il controllo facilmente ma non in questo modo, non senza nessuna provocazione.

“Quando sono arrivato al distretto, lei non c’era, quindi ho aspettato. Quando finalmente è arrivata era già arrabbiata con me. Non so nemmeno il perché. Mi diceva continuamente di andare via e che Jamie non era affar mio”, i suoi occhi erano imploranti verso sua madre, sperando di trovare qualche tipo di comprensione in lei. “Tutto quello che volevo fare era parlare, ma lei continuava a mandarmi via e ho perso la testa. Le ho detto che avrei fatto un test di paternità e che avrei lottato in tribunale”, prese un respiro profondo prima dire la cosa più brutta, “e poi le ho chiesto chi avrebbe avuto le carte migliori e lei è scoppiata”.

“Richard”. Martha lo guardò scioccata.

“Lo so, lo so”, sospirò con la testa tra le mani. “Non volevo, ma ero così arrabbiato”.

Martha si appoggiò allo schienale del divano con gli occhi che fissavano il vuoto e rimase in silenzio per un po’, persa nei suoi pensieri. Sapeva che suo figlio aveva detto quelle cose perché si sentiva impotente. Sapeva meglio di chiunque altro cosa cosa significasse essere padre per lui. Lo vedeva come un privilegio e avrebbe fatto tutto il possibile, si sarebbe impegnato tutti i giorni dell’anno per assicurarsi di onorare questo privilegio. Così, la paura di non poter avere questa possibilità lo aveva fatto scattare e perdere il controllo. Anche se il suo comportamento non era comunque giustificabile.

“E adesso?”, chiese Martha dopo un po’, girando la testa verso suo figlio.

“Le ho detto di chiamarmi”, si strinse nelle spalle. “Ma dubito che lo farà. Non lo farei nemmeno io. Forse avevi ragione, forse non le è mai importato di me”. Guardò sua madre con occhi impauriti, sembrava il ragazzino di cinque anni che aveva appena perso il suo orsacchiotto preferito. “Cosa devo fare, mamma?”.

“Ah, ragazzo”, lo tirò a sé in un abbraccio, non era in grado di dirgli altro in questo momento. Non aveva idea di cosa dire. Fino ad ora aveva trattenuto le proprio speranze ed emozioni. Si era concentrata ad essere una madre, una figura d’appoggio per suo figlio anziché pensare alla possibilità di poter diventare nonna per la seconda volta, ne era entusiasta in fondo. Amava Alexis più di ogni altra cosa al mondo, non c’era niente che non avrebbe fatto per lei e non sarebbe stato diverso per Jamie. Ma c’era ancora una parte di lei che dubitava fosse davvero la bambina di suo figlio. Aveva bisogno di una conferma ufficiale per esserne sicura, nonostante la grandissima convinzione di Rick. Tuttavia quando era andato a parlare con Kate, una piccola parte di lei trasudava emozione ed entusiasmo. Aveva nascosto la sua delusione dopo aver sentito come erano progredite le cose. Conoscendo suo figlio, adesso aveva bisogno che sua madre fosse forte e doveva essere pronta a risollevarlo qualora le cose fossero diventate irreparabili.

 

————————————

 

Kate aprì la porta del suo appartamento e sentì subito la risata di sua figlia provenire dal salotto, il suo cuore diventò immediatamente più leggero.

Royce l’aveva mandata a casa prima del previsto. Lei aveva accettato e se ne era andata velocemente dal distretto, non riuscendo più a sopportare i tanti sguardi compassionevoli alle sue spalle. Non è che non era grata del suo sostegno. Non aveva molte persone su cui poter contare, su cui riporre la propria fiducia. Royce era uno dei pochi ed era contenta del fatto che si preoccupasse per lei e Jamie ma questo non significava dovergli per forza dire la verità su Rick. 

Non aveva mai domandato del padre di Jamie, era un tacito accordo tra loro, era un argomento da non toccare e voleva mantenerlo tale.

Mise la sua arma di servizio nella cassaforte dell’armadio nel corridoio e si tolse le scarpe prima di andare verso il salotto.

Jamie era seduta sul divano mentre stava guardando un cartone animato che a quanto pare era molto divertente, a giudicare dalle sue continue risatine.

Cynthia si accorse subito di lei sul ciglio della porta, sorridendo quando vide gli occhi di Kate illuminarsi alla vista della figlia.

“Hey mostriciattolo”, Kate finalmente si fece sentire, attraversando la stanza e sedendosi accanto alla figlia sul divano.

“Mammina!”, esclamò Jamie felice, saltando direttamente nelle braccia della madre. “Guarda cartone animato”.

“Ho visto”, sorrise Kate, mettendo Jamie al suo fianco. “Sembra divertente”.

“Si, divertente”. Confermò Jamie riportando la sua attenzione alla televisione. Raramente le era concesso di vedere cartoni animati o semplicemente la tv, quindi era più emozionata per quello che per l’arrivo di sua mamma.

Con una risata, Kate baciò la fronte di sua figlia, “Torno subito amore”. Disse, togliendole alcuni ricci dalla fronte prima di alzarsi.

“Kay”, rispose la bambina, senza distogliere gli occhi dallo schermo.

“Sei tornata presto”, disse Cynthia quando le due donne si diressero verso la porta d’ingresso e dopo aver afferrato la borsa dal pavimento accanto alla porta.

“Si, a quanto pare a volte accadono i miracoli”, Kate fece un sorriso stanco.

“Tutto bene Kate?”, chiese Cynthia. Sapeva che il lavoro di Kate era stressante ma oggi non sembrava solo stanca, c’era una sconfitta nel suo sguardo, “Sembri abbattuta”.

“Tutto ok. E’ stata solo una giornata difficile”, Kate cercò di rassicurare la ragazza, che era solo in parte convinta dalla sua risposta. Ma non c’era niente che Cynthia potesse fare. Kate non le aveva mai parlato dei suoi sentimenti o di che cosa la preoccupasse. Era un libro chiuso per tutti a parte per sua figlia e qualche volta per il partner Royce. E Cynthia era felice che permettesse almeno a lui di farsi tenere d’occhio. Sapeva che Kate era forte e indipendente ma New York poteva essere pericolosa ed era un vantaggio avere Royce dalla sua parte.

Ma solo quando Kate stava con Jamie si apriva veramente, diventando una persona diversa. Cynthia aveva assistito alla sua trasformazione innumerevoli volte; lo sguardo perso, i suoi occhi si trasformavano in un miscuglio di amore e adorazione. Kate Beckett era certamente una bella donna ma quando sorrideva a sua figlia la sua bellezza andava oltre, diventava mozzafiato. Cynthia spesso si chiedeva del perché non ci fosse nessun uomo al suo fianco. Aveva rinunciato a chiederle del padre di Jamie molto tempo fa, accettò il fatto che Kate non volesse parlarne ma questo non le impedì di suggerirle degli uomini carini per un appuntamento, che Kate ovviamente aveva sempre declinato. Non aveva tempo per degli appuntamenti, le diceva sempre così.

Si riscosse dai suo pensieri, “Va bene, passa una buona notte Kate”, Cynthia sorrise, prima di fare un passo indietro lungo il corridoio, “Buona notte Jamie. Ci vediamo domani tesoro”.

“Notte!”, arrivò la risposta di Jamie dal soggiorno, troppo presa dal cartone animato per dare alla sua tata un arrivederci come si deve.

Cynthia rise, “Deve essere proprio un bel cartone animato”.

“Sembra di si”, Kate ricambiò il sorriso prima di aprire la porta per Cynthia. “Buona notte e grazie”.

“Di niente Kate. Ci vediamo domani”, Cynthia saluto e se ne andò.

Kate tornò in salotto per vedere se Jamie era ancora occupata con il suo cartone animato prima di andare nella sua camera da letto per cambiarsi in abiti più confortevoli.

Appese l’uniforme dietro la porta e indossò un paio di pantaloni della tuta e una semplice maglia. La sua visuale si spostò verso la sua immagine riflessa nello specchio e capì all’istante il motivo per cui Cynthia si era preoccupata. Sembrava uscita dall’inferno. Sentiva il bisogno irrefrenabile di strisciare sotto le coperte e piangere. Ma non poteva farlo perché di là nel soggiorno c’era la sua bambina che aveva bisogno di cenare e di passare un po’ di tempo con la sua mamma. Inoltre Kate aveva bisogno di stare con Jamie, oggi più che mai. Così sistemò i capelli in uno chignon disordinato prima di tornare di nuovo in soggiorno. 

“Mami?, Jamie guardò sua madre. “Affamata”.

Kate sorrise, “Come ti suona un bel piatto di spaghetti?”.

“Si, spagti!”, esclamò Jamie facendo ridacchiare la mamma. A quanto pare la parola spaghetti era ancora un po’ difficile da pronunciare.

“Va bene, mamma farà gli spaghetti al sugo e anche un po’ di carote tagliate a bastoncini”, afferrò il telecomando e spense la tv, “E tu puoi andare a leggere uno dei nuovi libri che abbiamo comprato in libreria”.

Jamie annuì, scendendo subito dal divano in direzione della sua scatola dei giochi e tirando fuori uno dei suoi nuovi libri illustrati. Lo fece vedere alla sua mamma, “Questo”, dichiarò.

Kate annuì, “Vuoi leggerlo in cucina mentre mi tieni compagnia?”.

Jamie annuì avidamente, lasciandosi travolgere nell’abbraccio di sua mamma e facendosi portare in cucina per farsi mettere a sedere nel seggiolone.

I successivi venti minuti trascorsero con Kate intenta a cucinare gli spaghetti e Jamie concentrata a guardare le illustrazioni del suo nuovo libro che mostravano la vita degli animali africani, elefanti, giraffe, scimmie, ippopotami, zebre e i preferiti di Jamie, i leoni.

“Elefanti grandi”, disse Jamie in soggezione, tracciando il contorno dell’elefante illustrato nel libro accanto a tutti gli altri animali della foresta africana.

Kate annuì, sorridendo, “Loro sono gli animali più grandi sulla terra, eccetto altri animali acquatici più grandi”, spiegò, “e sono i preferiti di mamma”.

“Jamie piacciono leoni”, le disse sua figlia, voltando le pagine fino a trovare quelle con i leoni. “Simba”, indicò un cucciolo di leone.

Kate ridacchiò, da quando sua figlia aveva visto il DVD del “Re Leone”, si era innamorata perdutamente dei leoni. Kate però non le fece vedere tutto il film, solo le scene che pensava fossero appropriate per lei, come quella in cui Simba cantava non vedo l’ora di essere Re e qualche altra scena. Jamie si sedeva di fronte alla tv e cominciava a cantare, non sempre a tempo, e nemmeno usando tutte le parole giuste, ma era sempre adorabile.

“E chi è lui?”, chiese Kate, indicando il leone più grande in quella foto.

“Mufasa”, esclamò la figlia come una iena, aveva un sorriso da un orecchio all’altro.

Kate mise il CD del Re Leone per la cena e tagliò gli spaghetti per Jamie in modo che potesse mangiare da sola. Dopo ascoltò il racconto della figlia su come aveva passato la sua giornata, cosa aveva fatto con Cynthia e cosa avevano deciso di fare il giorno dopo. Sua figlia era decisamente una chiacchierona e Kate non aveva idea da chi avesse preso, o forse si. Spinse via quel pensiero, mettendo via i piatti, prima di prendere Jamie e prepararla per andare a letto.

Dopodiché di coccolarono un po’ sul divano, mentre Kate leggeva, Jamie faticava a tenere gli occhi aperti.

“Dai, mostriciattolo, andiamo a letto”, disse Kate, prendendo la figlia in braccio che mise le sue piccole braccia intorno al suo collo e che si avvicinò per cercare le coccole. Kate sentì il suo respiro vicino e chiuse gli occhi per trattenere le lacrime e il nodo che le si era formato in gola, prima di portarla nella sua stanza. La mise a letto, la coprì e le augurò la buona notte con un bacio, “Ti amo, amore”, sussurrò.

“Ti amo anche io mamma”, mormorò la figlia un attimo prima di addormentarsi.

Kate la osservò per un po’, con la punta delle dita le accarezzò i riccioli marrone chiaro fin quando trovò il coraggio di allontanarsi. In silenzio chiuse la porta alle sue spalle, attenta a lasciarla sufficientemente aperta in modo che la luce del corridoio non tenesse la camera completamente al buio.

Entrò in bagno, si spogliò ed entrò in doccia. Il getto di acqua calda fu abbastanza per farla crollare definitamente, le lacrime cominciarono a cadere e cominciò a singhiozzare, grata che il rumore dell’acqua riuscisse a coprire ogni tipo di suono che avrebbe allarmato e svegliato la figlia.

Si lasciò andare contro il muro di piastrelle e si sedette a terra, avvolgendo le ginocchia con le braccia mentre l’acqua scorreva su di lei. Che cosa avrebbe fatto se davvero avesse deciso di portare la sua bambina lontano da lei? Aveva soldi, successo ed era perfino un padre sigle con un sacco di tempo libero, tempo a volontà per prendersi cura di due bambine. Cosa aveva da offrire lei se non l’amore per sua figlia? Aveva ragione quando l’ha accusata di lavorare ad orari folli e  di avere poco tempo per Jamie. Non poteva negarlo, ma doveva lavorare per vivere e questo non significava che non fosse una buona madre. Tutto quello che ha fatto, l’ha fatto per Jamie. Non c’era nessuno più importante nella sua vita. Non poteva portargliela via, Jamie era tutto quello che aveva, la sua unica famiglia. Non sarebbe sopravvissuta senza di lei.

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Capitolo 8
*** Cambio di rotta ***


Sapeva di essere stato appiccicoso negli ultimi due giorni e sapeva pure che Alexis stava cominciando ad infastidirsi dalla sua costante presenza e dal suo voler per forza trascorrere del tempo insieme a lei. Ma sua figlia era l’unica persona che in questo momento era in grado di impedirgli di fare qualcosa di stupido. Aveva l’ordine tassativo da sua madre di tenere il freno a mano per un paio di giorni, dando la possibilità alle acque di calmarsi, prima di fare un altro tentativo per parlare con Kate. Questa volta l’aveva ascoltata e gliel’aveva promesso. Sua madre gli avrebbe poi dato il permesso di proseguire, sembrava un po' ridicola come cosa ma nemmeno lui si fidava di sé stesso e così aveva accettato.

Fino ad allora doveva tenersi occupato e non c’era nessuno migliore di Alexis per questo.

“Alexis?”, la chiamò in fondo alle scale impaziente, “Scendi?”.

“Un minuto papà”, rispose e lui capì che si stava infastidendo di nuovo, probabilmente alzando gli occhi al cielo nella sua stanza. Wow, le ci erano voluti solo cinque minuti, era un nuovo record. Doveva davvero darsi una calmata. Altrimenti, l’aveva già minacciato di andarsene a vivere con sua nonna. E non c’erano dubbi che avrebbe portato il suo obiettivo fino in fondo. Ma lui aveva già un piano in mente. L’avrebbe conquistato comprandole un’enorme stampa di un grande elefante che aveva trovato in una galleria un paio di settimane fa. Doveva comprarsi altri due giorni di attaccamento, forse anche tre. Poi sperava che sua madre gli avrebbe permesso di chiamare Kate. Si sentiva abbastanza ridicolo, ma avevano lavorato per un piano e si fidava di sua madre.

“Sono pronta”, dichiarò Alexis scendendo di corsa le scale e portandolo via dai suoi pensieri.

Afferrò il portafoglio e le chiavi e tenendo la porta aperta per lei mormorò, “Finalmente”.

“Papà”. Lo rimproverò.

“Scusa, scusa”, alzò le mani in segno di scuse, “Sto zitto”.

“Basta piagnucolare”, sospirò Alexis, tirando i suoi jeans e spingendolo verso il corridoio. “Andiamo”.

La seguì ridendo. Sua figlia era sicuramente quella più matura nel loro rapporto. Lo teneva in riga facendo in modo di non fargli fare lo stupido. A volte non poteva credere che avesse solo sette anni, quasi otto, come avrebbe detto lei. Sicuramente era una bambina intelligente ma aveva anche una serietà che desiderava non avesse. Avrebbe dovuto maturarla con il tempo. Sapeva che il motivo era la madre che li aveva lasciati, che l’aveva lasciata. E pur sapendo che Meredith amava Alexis, non esistevano giustificazioni per la sua assenza. A volte lui non era abbastanza. Sapeva che sua figlia aveva bisogno di sua madre. Come sapeva che qualcun’altra avrebbe avuto bisogno di suo padre, prima o poi.

“Dove andiamo papà?”, chiese Alexis quando giunsero in strada, salendo in taxi.

“E’ una sorpresa”, sorrise, dando all’autista un pezzo di carta con scritto la loro destinazione.

“Papààààà”, piagnucolò, sbattendo le palpebre e imbronciandosi. Sapeva come comprarlo.

Lui sbuffò, cercando di trattenersi anche se sapeva che sarebbe stata una causa persa. Alla fine decise di dirle una mezza verità.

“So che sono stato..”, stava cercando di trovare le parole giuste.

“Un rompipalle?”, Alexis abbassò la testa quando suo padre la guardò scioccato.

“Alexis!”.

“Cosa? E’ così che ti ha chiamato la nonna ieri”, gli diede il suo miglior sorriso sapendo che l’avrebbe fatta franca.

“Beh io avrei detto difficile, signorina, ma va bene”, cercò di sembrare disturbato dalla scelta delle sue parole, ma sul serio, chi voleva prendere in giro? Alexis aveva ragione. “Ad ogni modo, so che non sono stato facile questi ultimi due giorni mentre tu invece sei stata meravigliosa a sopportarmi. Quindi penso che ti meriti qualcosa. Ma non ti dirò altro”, fece il gesto di chiudere la bocca per poi gettare via le chiavi.

Alexis decise di lasciare le cose così come erano, sapendo chela sorpresa l’avrebbe scoperta presto, “Va bene”, gli disse sorridendo, “Ma meglio per te che sia bella”.

“Ti piacerà. Te lo prometto”, le sorrise avvolgendola tra le braccia e dandole un bacio in testa, “Grazie zucca”.

“Per cosa?”, chiese guardandolo.

“Per essere la figlia migliore che un padre possa mai desiderare”. Sospirò, inghiottendo un groppo in gola, sperando che Alexis non cogliesse lo stato emotivo in cui si trovava in questo momento. Aveva chiesto più di una volta del perché si comportasse in quel modo e lui diceva che era per il blocco dello scrittore. Sapeva che non ci avrebbe creduto a lungo.

“Ti voglio bene anche io papà”. Sorrise guardandolo negli occhi, la sua piccola mano raggiunse il suo viso per tirarlo in giù e dargli un bacio sulla guancia. “E va bene così. Non mi importa se sei impegnativo. Ormai sono abituata”.

Rise a sentire quella risposta, la prima vera risata dopo due giorni, e si sentiva bene nel constatare che dopo tutto quello che era successo poteva ancora ridere con la figlia, “Beh grazie, credo”.

 

—————————————

 

Aveva dormito pochissimo nelle ultime due notti, la sua mente era saldamente incollata ad un argomento. Cosa avrebbe dovuto fare? Non ne aveva la minima idea. Non voleva coinvolgerlo nelle loro vite, non ne avevano bisogno. Ma se non fosse stata disposta ad offrirgli qualcosa avrebbe potuto perdere tutto. Kate non aveva idea di quante possibilità avesse per portarle via Jamie ma non voleva nemmeno scoprirlo, temendo che potessero essere addirittura migliori di quello che poteva pensare. 

“Beckett?”, gridò Royce, più forte la seconda volta visto che non aveva avuto reazione. “Beckett!”.

Si girò, sorpresa dal suo tono, “Huh?”.

“Concentrati”, la rimproverò. “Hai la testa tra le nuvole”.

“Non ho la testa tra le nuvole”, rispose lei senza pensare, fissandolo.

“Beh sicuramente non ce l’hai mentre sei a lavoro”. Si avvicinò a lei, la sua voce diventò seria. “Ho bisogno di fare affidamento su di te, Beckett. Siamo una squadra. Devo essere sicuro che tu abbia tutto sotto controllo e non che tu abbia la testa su qualcosa che ti è andato storto e che ti ha fatto essere distratta durante questi ultimi giorni”.

“Io…”, non sapeva cosa dire. Aveva ragione anche se non l’avrebbe mai ammesso.

“Non ho bisogno delle tue scuse, ho bisogno che tu svolga il tuo lavoro. Questa disattenzione ti può far uccidere, devi stare attenta”. Le diede un lungo e impegnativo sguardo assicurandosi che il messaggio fosse stato ricevuto prima di voltarsi e allontanarsi, “Ora andiamo, abbiamo del lavoro da fare”.

Lo seguì in silenzio nel vicolo in cui erano stati assegnati ad indagare per un omicidio. Royce aveva ragione.

 

—————————————————-

 

“Papà dove siamo?”, chiese Alexis con gli occhi spalancati appena usciti dal taxi.

“Aspetta, fra un secondo lo scoprirai”, disse Rick portando Alexis nella galleria.

“Cosa stiamo facendo qui?”, chiese subito appena entrati nella galleria, guardando tutte le foto intorno a lei.

“Ricordi della nostra chiacchierata sugli elefanti l’altro giorno allo zoo?”, Rick si abbassò verso di lei.

Alexis annuì, ancora non riuscendo a capire cosa gli elefanti avevano a che fare con loro e questa galleria.

“Così ho pensato che ti sarebbe piaciuto avere quel quadro laggiù”, sorrise lui, indicando la grande stampa di un elefante.

Gli occhi di Alexis si spalancarono, correndo verso la stampa appesa al muro e portando suo papà insieme a lei, “Papà è bellissimo!”, esclamò Alexis, studiando la fotografia più attentamente.

“Ho pensato che potevamo metterlo in camera tua, se ti va”, suggerì lui, felice del sorriso di sua figlia da un orecchio all’altro.

“Si, si”, sorrise. “Grazie papà”.

Mise le sue piccole braccia intorno alla sua vita in attesa che lui la prendesse e la sollevasse per stringersi al suo petto, “Prego zucca”.

Quando Alexis riaprì gli occhi, la sua visione cadde su un altro punto al lato opposto della galleria, “Papà”, picchiò la sua spalla per farsi mettere a terra, “Possiamo prenderlo quello per te?”.

Si girò, guardando un’altra stampa esattamente uguale a quella dell’elefante, con la differenza che il soggetto principale era diventato un leone. Come aveva fatto a non vederla l’ultima volta?

“Un elefante per me e un leone per te?”, domando Alexis con quell’espressione sul viso a cui era difficile dire di no.

Rick sorrise, prendendola per mano, “Penso che è perfetto”.

 

——————————————————

 

Kate era esausta quando finalmente oltrepassò la porta d’ingresso del suo appartamento a tarda notte. Lei e Royce avevano setacciato numerosi cassonetti in cerca di prove e l’unico successo della sua giornata era stato quello di trovare il portafoglio della vittima dando così alla squadra omicidi un nome su cui poter lavorare. Il resto della notte lo spese a fare da guardia alla scena del crimine fino a quando finalmente furono mandati a casa.

Entrò in soggiorno, dove la babysitter stava già raccogliendo le sue cose.

“Hey Janice, mi dispiace di aver fatto così tardi”, Kate si scusò, frugando nella borsa per darle qualche soldo.

“Nessun problema Kate. Jamie era già a letto quando ho preso il posto di Cynthia, quindi è stata una notte facile”, Janice sorrise.

“Perfetto, grazie. Hai bisogno di un taxi?”, chiese Kate, dando i soldi a Janice.

“No, viene a prendermi il mio ragazzo. Dovrebbe essere già qui. L’ho chiamato quando stavi per tornare a casa”.

“Va bene, allora buonanotte Janice”, la accompagnò alla porta, aspettando finchè la ragazza, che non era molto più giovane di lei, scomparve lungo il corridoio.

Chiudendo la porta dietro di lei, si assicurò fosse chiusa bene prima di andare verso la stanza di Jamie. Aprì la porta lentamente, attenta a non svegliarla e si avvicinò al suo letto. Un singhiozzo sfuggì dalla sua bocca e coprì subito la bocca con la mano. Le lacrime cominciarono a cadere in silenzio ma qualcosa aveva disturbato il sonno di Jamie visto che aveva appena aperto gli occhi.

“Mamma, triste?”, chiese nel buio. Kate fu sorpresa dalla domanda di sua figlia.

“No tesoro”, scosse la testa, asciugandosi rapidamente le lacrime, “Mamma è solo stanca”.

“Jamie dormire nel letto di mamma”, disse la bambina, già lottando per alzarsi.

Sarebbe potuta risultare egoista ma avere sua figlia vicino era tutto quello di cui Kate aveva bisogno. Così la prese in braccio, abbracciò la sua piccola bambina stringendola al petto e la portò nella sua camera da letto. Si cambiò rapidamente con una maglietta e un paio di pantaloni, non si preoccupò di fare nient’altro quella notte. Strisciò sotto le coperte e tirando Jamie al petto sentì subito una sensazione di sollievo. Così tanto che appena chiuse gli occhi si addormentò all’istante.

 

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Avevano sistemato le stampe insieme la scorsa notte, l’elefante nella camera di Alexis e il leone nella sua festeggiando poi con un gelato e un film.

Ma oggi si trovava da solo nella sua miseria. Alexis era a casa di un’amica per un pigiama party e lui aveva passato le ultime ore a fissare una pagina bianca. Stava cercando un’idea per il nuovo libro di Derrick Storm ma non ne aveva una. La sua testa era vuota. Alla fine rinunciò intorno all’ora di cena, decidendo di prepararsi qualcosa da mangiare e perdersi in una maratona di Star Wars.

Aveva appena messo i piatti nella lavastoviglie quando la porta si aprì e sua madre fece il suo ingresso.

“Ciao tesoro”, lo salutò, entrando in cucina e dandogli un bacio sulla guancia.

“Madre, che cosa ci fai qui?”, la guardò sorpreso.

“Tua figlia potrebbe avermi informato che saresti stato solo stanotte. E ho pensato che era meglio se ti avessi tenuto d’occhio, sappiamo che le idee più stupide ti arrivano quando sei senza supervisione”.

Rick ruotò gli occhi, non disposto ad ammettere quanto invece era felice di avere qualcuno capace di distrarlo.

“Allora, qual è il piano stasera?”, chiese la madre, recuperando un bicchiere di vino e sistemandosi sul divano.

“Popcorn e una maratona di Star Wars?”, alzò gli occhi pieni di speranza verso di lei.

“Si ai popcorn e no a Star Wars”, rispose, senza guardarlo.

“Okay”, sospirò. “Cosa vuoi vedere?”.

“Un classico”, sorrise, togliendosi le scarpe e mettendo le gambe sul divano.

 

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Kate si sedette sul davanzale della finestra con un bicchiere di vino in mano intenta a guardare la calda notte d’estate e cominciando a navigare con i pensieri.

Era stata fuori servizio oggi, trascorrendo il giorno insieme a Jamie al parco giochi di Central Park.

Non succedeva spesso che potessero trascorrere una giornata insieme e normalmente Kate ne sarebbe stata entusiasta, ma oggi era stata distratta, la sua mente era occupata da Richard Castle e le sue richieste, o meglio le sue minacce. Ancora non aveva trovato soluzione al suo dilemma e sapeva che prima o poi doveva farlo, ma Jamie era riuscita a farla distrarre sulla questione per le ultime due ore. Solo adesso, con la figlia addormentata, Kate aveva finalmente il tempo di pensarci.

Aveva osservato tutto il giorno le altre famiglie al parco giochi, cosa che di solito non faceva mai. Kate aveva guardato soprattutto i padri chiedendosi se a Jamie sarebbe mai mancata una figura paterna nella sua vita e chiedendosi pure se aveva il diritto di tenere Jamie lontano da suo padre. Certo, era sua madre, ma un giorno Jamie avrebbe realizzato che gli altri bambini avevano un papà mentre lei no, non lo aveva. Le avrebbe domandato il perché e cosa le avrebbe risposto? “Tuo padre ha fatto uno sforzo per conoscerti ma io non ho voluto?”. Voleva davvero essere quella persona? E non sapeva meglio di chiunque altro che a volte tutto quello di cui una figlia aveva bisogno era di stare con suo papà? E quanto faceva male sapere che non invece non c’era a sostenerti? Kate lo sapeva molto bene.

Ma d’altro canto, chi le dava la garanzia che Rick sarebbe stato onesto con lei e con Jamie? Era serio quando le ha detto he voleva conoscerla. Si sarebbe davvero impegnato ad essere padre se gli avesse dato una possibilità o si sarebbe annoiato velocemente? Lasciando e spezzando il cuore della sua bambina. Voleva davvero rischiare che sua figlia si facesse del male?

Ma qual'era l’alternativa? Una causa? Jamie soffrirebbe sicuramente in questo caso.

Stava lentamente calcolando tutte le possibilità, sapendo che in realtà non aveva nessuna scelta. In entrambi i casi si sarebbe presa un rischio, ma c’era solo un modo di offrire alla figlia la possibilità di qualcosa che Kate non poteva darle. Indipendentemente da come si sentiva lei nel far entrare Richard Castle nella vita di Jamie non aveva il diritto di negarle questa opportunità. E di certo non voleva scoprire quanto serio fosse Richard Castle sul volerla portare in tribunale.

Era stato un idiota e non aveva fiducia in lui, ma per il bene di Jamie avrebbe potuto essere…civile.

In questo momento aveva le spalle al muro e realizzò che doveva scegliere il passo successivo da fare. Avrebbe tenuto la situazione sotto controllo al meglio che poteva. Prendere il toro per le corna era meglio di aspettare che lui agisse, lasciandole solo la possibilità di reagire alla sua risposta. Così, avvicinandosi al divano, prese il suo biglietto da visita dalla borsa e compose il numero con mani tremanti.

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Capitolo 9
*** Ho solo chiamato per dire... ***


“Casa Castle”. Un’allegra voce femminile rispose al telefono prendendo Kate alla sprovvista. Non aveva considerato che un’altra persona oltre Castle potesse rispondere al telefono.

“Pronto?”, chiese quella voce leggermente irritata dal silenzio all’altro capo della linea.

Kate non riusciva a dire qualcosa, una valanga di pensieri fluttuavano nella sua testa. Le aveva chiesto di chiamarlo, giusto?  Quindi a lui andava bene. E perché a lei importava se si fosse messo nei guai con una delle sue fidanzate o come le chiamava lui? Non c’erano ancora parole che fuoriuscivano dalla sua bocca. Sentì qualcuno borbottare in sottofondo, una domanda che non riuscì a capire e poi il volume della televisione abbassato.

“Si ciao, uhm sono Kate Beckett. Posso parlare con Richard Castle?”.

Questa volta era lei che aveva ottenuto silenzio e si chiese di nuovo chi fosse la donna dall’altra parte. Ma cosa doveva importare a lei? Sentì qualcosa come qualcuno che si era alzato prima che la donna potesse chiedere di aspettare un attimo. Il suo tono era cordiale, anche un po' emozionato. Forse non era una delle sue amiche.

Rick guardò sua madre con sguardo interrogativo quando lei si alzò e coprì il telefono con una mano dopo aver detto di attendere un momento.

“E’ lei”, sussurrò Martha, facendo quasi saltare Rick dal divano, come fosse stato colpito da un fulmine.

“Cosa faccio?”, la sua voce era diventata stridula dal panico.

Sua madre alzò gli occhi al cielo, “Parla con la ragazza”. Spinse il telefono nel suo petto e lui lo prese con mani riluttanti. Aveva sperato a lungo per una sua chiamata nel corso degli ultimi giorni e adesso non aveva idea di cosa dire.

Kate nel frattempo si chiese perché ci volesse tutto quel tempo, contemplando pure se riagganciare o meno quando all’improvviso sentì la sua voce.

“Pronto, Kate?”, chiese nervoso mentre si incamminò verso il suo ufficio chiudendo la porta dietro di sé dopo un cenno incoraggiante da parte di sua madre.

“Si”, rispose brevemente e nessuno dei due disse più niente per quella che sembrava un’eternità.

“Sono così contento che hai chiamato”, disse finalmente, affondando nella poltrona dietro la scrivania.

“Beh non è che mi hai lasciato molta scelta”, rispose seccamente, tormentando il cuscino che stava stringendo al suo stomaco, rannicchiandosi in un angolo del divano.

Lo sentì prendere un respiro profondo, “Ascolta Kate, mi dispiace. Mi dispiace per quello che ho detto l’altro giorno. Ti prego credimi, non volevo”.

 Lasciò la sua risposta in sospeso, aspettando che lui continuasse a parlare.

“Okay, okay”, prese un altro respiro profondo mentre la sentì armeggiare con qualcosa, prima di continuare con voce tremante, “Ho capito. Non ti fidi di me e non hai motivo per farlo”, un’altra pausa e sempre più respiri pesanti. “Tu non mi conosci ma ti giuro che l’uomo di tre giorni fa non sono io. Non so cosa mi era preso. Tutto quello che voglio è una possibilità. Farò tutto quello che vuoi. Voglio solo avere la possibilità di conoscerla. Voglio solo conoscere mia figlia”.

Aspettò che lei dicesse qualcosa e quando non sentì niente la pregò, “Kate, perfavore. Dammi una possibilità”.

La sentì schiarirsi la gola prima di decidersi a parlare, “Non voglio affrontare l’argomento per telefono. Il mio turno domani finisce alle sei, c’è un ristorante di fronte al mio distretto. Remy’s. Ci possiamo incontrare lì?”.

Lui annuì energicamente, poi si rese conto che non poteva vederlo e disse frettolosamente, “Certo, certo ci sarò. Da Remy’s domani alle sei”. Ripeté le sue istruzioni, scarabocchiando tutto su un pezzo di carta per sicurezza.

“Va bene, buonanotte”, disse Kate frettolosamente. Stava già abbassando il telefono per terminare la chiamata quando lo sentì dire, “A domani”.

 

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“Quindi?”, Martha alzò gli occhi in attesa che suo figlio tornasse nel soggiorno, con sguardo diffidente. 

“Mi incontrerà domani, dopo il suo turno”. Balbettò incredulo.

“Oh tesoro è meraviglioso, non è vero?”, Martha sorrise, ma poteva vedere l’esitazione sul volto di suo figlio. “Cosa c’è che non va?”.

“Beh in realtà non ha accettato ancora niente”, si strinse nelle spalle. Non voleva perdere le speranza, l’aveva già fatto una volta ed era stato un disastro.

“Richard, sicuramente non ti avrebbe chiesto di incontrarla se non fosse disponibile ad ascoltarti e a darti una possibilità”. Martha si spostò verso di lui sul divano, accarezzandogli il ginocchio.

“Mi ha detto che non le ho lasciato molta scelta”.

“Beh”, Martha sollevò leggermente le spalle, “Non ha tutti i torti”.

La guardò, affondando ulteriormente nel divano, “Che bello, grazie. Che aiuto”.

“Ascolta”, raggiunse la sua mano dandogli un’affettuosa stretta, “Non sto dicendo che lei ha pienamente ragione e tu completamente torto. Hai tutto il diritto di incontrare tua figlia. Non so perché lei ha reagito in quel modo e non so cosa le è successo in passato. Qualunque siano le sue ragioni, giuste o meno, ora è così. Dovete imparare a fidarvi entrambi dell’altro. Ma,”, alzò un dito, “E’ un inizio. Hai un piede dentro la porta e questo è quello su cui ti devi concentrare. Parti da qui. Guarda cosa avrà da dirti domani, forse ti sorprenderà, chi lo sa. Per il resto ci sarà da lavorare, duramente. Ma entrambi sappiamo che ne varrà la pena”.

“Giusto”, sospirò, “Grazie”, le offrì un mezzo sorriso prima di alzarsi. “Vado,”, indicò la sua camera da letto.

“Si”, Martha annuì, sorridendo calorosamente a suo figlio. “Notte ragazzo. Prendo una camera degli ospiti se non ti dispiace”.

La risposta non era necessaria. Prendendo i bicchieri di vino e mettendoli nel lavandino, Martha salì le scale pronta per andare a letto.

 

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Ancora una volta seduta sul suo davanzale, Kate guardava la notte con il bicchiere di vino non finito stretto al petto. Beveva raramente del vino o qualsiasi altra bevanda alcolica, ma stasera doveva calmare i nervi prima di chiamarlo. 

Doveva ammettere che la chiamata era andata meglio di quanto si aspettasse. Era sempre sospettosa, ma le sue scuse suonavano sincere e quello aveva smosso qualcosa in lei. Il ricordo della notte che avevano passato insieme e il ricordo di cosa aveva visto nei suoi occhi, quella sera.

Kate sapeva in qualche parte dentro di lei che lui non era l’unico colpevole qui, solo che non era ancora pronta per ammetterlo.

C’erano stati una serie di motivi per cui non gli aveva mai parlato di Jamie. E il suo sfogo e le sue minacce l’avevano riportata alla sua più grande paura che aveva già avuto in passato. Sia due anni fa che ora aveva paura, paura che lui potesse portarle via Jamie.

Quando era distesa in quella sterile stanza d’ospedale, spaventata e sola, Jamie era l’unica cosa che le era rimasta, la sua unica famiglia. Un piccolo fagotto gioioso che le sorrideva come se la sua mamma avesse tutte le risposte, quando in realtà Kate non era mai stata così spaventata in vita sua.

Jamie è stata l’unica ragione che l’ha fatta andare avanti in quel periodo, il pensiero di perderla era impensabile, insopportabile. Mai nella sua vita aveva pensato di potersi sentire in quel modo. Anche se aveva appena tagliato tutti i rapporti con suo padre, il suo cuore stava esplodendo dall’amore che provava per quella piccola bambina tra le sue braccia. Da quel momento capì che non avrebbe mai mollato, mai.

Prendendo un respiro profondo e scendendo dal davanzale della finestra, andò in cucina e versò i resti del vino rosso nel lavandino, prima di  mettere il bicchiere da parte e incamminarsi verso la sua camera.

Ancora non capiva perché lui volesse essere coinvolto nelle loro vite, da quello che aveva capito dai tabloid era un playboy. Stava in giro per la città molti weekend ad intrattenere donne, era il protagonista di ogni party ed aveva infinite brevi relazioni. Non proprio un padre modello se la si guardava da quella prospettiva. Ma era anche un padre single e anche se non aveva mai visto una foto di lui insieme alla figlia, le piaceva pensare che fosse perché lui la teneva fuori dai media e non perché non trascorresse del tempo insieme a lei.

In fin dei conti lei non lo conosceva.

E non importava da quale angolazione la guardasse, doveva accettare che la sola giusta decisione per lei era dargli una possibilità, doveva affrontare il rischio che aveva cercato di evitare in questi anni. Probabilmente non era pronta ad ammettere che glielo doveva o almeno che lo doveva a sua figlia. Jamie meritava questa possibilità. Doveva accettarlo. Doveva solo fare in modo che la sua bambina non avrebbe sofferto lungo la strada.

Quindi faceva meglio ad essere preparata per l’incontro di domani, doveva decidere un piano su come agire d’ora in poi. Se poteva fidarsi delle sue parole, lui avrebbe seguito le sue direttive, accettando tutto quello che gli avrebbe offerto. Ora era meglio capire cosa volesse lei.

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Capitolo 10
*** Parliamo ***


Era nervoso e anche molto in anticipo quando fece il suo ingresso dentro Remy, studiò la stanza per lo più vuota e notando un tavolo libero proprio davanti a sè, subito si avvicinò per sedersi. Da lì, aveva una buona visuale della porta. Non voleva perderla di vista o magari non essere visto da lei.

Dal momento che aveva ancora molto tempo, decise di ordinare un hamburger anche se lo toccò a malapena da quando gliel’avevano portato. Ripassò nuovamente le istruzioni che gli aveva dato sua madre. Quella mattina si era sorbito un lungo colloquio di preparazione, assicurandole che avrebbe mantenuto le sue emozioni e avrebbe controllato i suoi impulsi. Avrebbe lasciato parlare Kate, tenendosi le domande che gli bruciavano dentro. Ci sarebbe stato tempo per le risposte, quando le cose si sarebbero appianate. Ora la sua attenzione era focalizzata su Jamie. Era la sua priorità e tutto il resto poteva attendere.

Martha gli aveva detto che il modo più veloce per lui, di passare un po' di tempo con la figlia, era di avere una tregua con Kate. Sapeva quanto Kate l’aveva tormentato negli ultimi anni, sapeva che non sarebbe mai stato capace di dimenticarla ma glielo disse chiaramente, doveva tenere la loro storia fuori da tutto questo. “Non adesso”, ripetè più volte.

Sarebbe stato difficile per lui. Voleva sapere la storia e con questo intendeva l’intera storia che le piacesse o meno. Voleva solo sapere tutto quanto, dalla notte che si erano incontrati per la prima volta fino ad oggi. Doveva stare calmo, per sua figlia le risposte avrebbero aspettato.

Guardando nuovamente l’orologio, sospirò quando si rese conto che mancavano ancora più di venti minuti, se fosse stata puntuale. Con il suo lavoro sapeva che avrebbe potuto facilmente ritardare. Ci fu un momento in cui si preoccupò che non sarebbe venuta proprio ma allontanò il pensiero velocemente. Sarebbe venuta, doveva solo pazientare un altro po’. Tamburellando con le dita sul piano del tavolo, continuò ad ignorare il suo hamburger, mantenendo gli occhi fissi alla porta di ingresso. Aveva detto che sarebbe venuta.

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Kate uscì dal distretto incontrando la calda aria della sera, il caldo di agosto aveva deciso di avvolgere tutta la città. Si passò nervosamente una mano tra i capelli e li tirò indietro in una coda di cavallo, i suoi occhi stavano guardando l’insegna di Remy all’altro lato della strada. Si chiese se era già lì ad aspettarla.

Si era cambiata in abiti quotidiani, lasciando la sua uniforme di servizio al distretto. Pensava che in questo modo si sarebbe sentita meno esposta vestita normalmente senza uniforme. Sapeva che Royce e altri ragazzi del suo turno avevano già deciso di trascorrere la loro serata di poker settimanale in un altro bar, quindi non c’era timore di poter incorrere in loro ma con l’uniforme poteva comunque essere notata da qualche altro membro del distretto e voleva minimizzare il rischio per non far sì che ciò accadesse. Scegliere Remy era stato un impulso del momento, voleva un posto familiare, che le ispirasse fiducia. In un primo momento non le era venuto in mente che magari non era proprio il miglior posto per mantenere le cose discrete. Ma non voleva chiamarlo di nuovo per dirgli di cambiare posto. Non c’era più tempo ora, doveva solo gestire il nervosismo che sentiva dalla sera prima, anche se aveva cercato di ignorarlo.

Durante il totale disastro dei giorni passati, era stata capace di ignorare i brevi momenti in cui il suo cuore le aveva acceso segni di speranza. Non voleva provare nulla per lui, tutto questo non riguardava loro due. Riguardava Jamie e lei doveva tenere i suoi sentimenti, che non sapeva nemmeno come definire, sotto controllo. Era stata soltanto una notte e non lo conosceva, e per quel poco che sapeva c’erano parti di lui che non le piacevano minimamente. Si rimproverò di pensare a lui in quel modo, eppure Rick aveva risvegliato qualcosa in lei…ma non poteva permetterselo. L’aveva già ferita una volta.

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Stava masticando delle fredde patatine fritte quando la porta si aprì per la prima volta nel corso degli ultimi trenta minuti. Alzò lo sguardo e la vide entrare ed osservare il locale. Automaticamente si alzò in piedi quando finalmente lo notò per poi incamminarsi verso di lui. Indossava un paio di jeans e una maglia bianca, i capelli erano legati in una coda di cavallo che la faceva sembrare più giovane rispetto a un paio di giorni prima quando la vide con la sua uniforme. Non riuscì a fermare il battito veloce del suo cuore quando finalmente gli si mise davanti e facendogli un leggero cenno con la testa si sedette nel posto di fronte al suo.

“Ciao”, disse Rick con un cauto sorriso sulle labbra. “Grazie per essere venuta. Ti posso offrire qualcosa?”.

“Solo un caffè”, rispose Kate seccamente, guardando ovunque tranne che lui.

Rick agitò una mano per chiamare la cameriera, ordinò per entrambi un caffè prima di riportare la sua attenzione verso Kate. Sembrava nervosa e persa mentre armeggiava con il tovagliolo e decise così di prendere l’iniziativa.

“Non riesco a dirti quanto sono grato per questa possibilità”, parlò a bassa voce, vedendo finalmente i suoi occhi incontrarsi con i suoi. Si aspettava gli rispondesse nuovamente che non aveva avuto molta scelta ma con sua sorpresa annuì semplicemente, quindi andò avanti, “E ti voglio chiedere nuovamente scusa per quello che è successo al tuo distretto l’altro giorno. Avevo perso il controllo”.

Kate lo studiò attentamente ritrovando la stessa onestà nei suo i occhi, la stessa che l’aveva portata a passare la notte con lui. In qualche modo si fece coraggiosa, “Avrei dovuto almeno starti a sentire, ma mi hai preso alla sprovvista”. Non era facile per lei ammetterlo.

“Già”, borbottò Rick, fissando il suo hamburger immacolato. Quello l’aveva già capito. Eppure restò sorpreso dalla sua ammissione.

“Quindi, come vuoi procedere?”, chiese finalmente Kate quando il silenzio al tavolo stava indugiando troppo a lungo per i suoi gusti.

Rick la guardò, un tentativo di sorriso sulle labbra, “Forse potremo creare qualcosa simile a un casuale pomeriggio di gioco, un’occasione per me e Jamie di conoscerci”.

La osservò pensare alla proposta quando finalmente accettò, “Va bene, si, possiamo farlo”.

“Bene”, il suo sorriso stava aumentando. “Come ho già detto seguirò tutte le tue direttive”.

“Meglio perché voglio andare piano”, Kate osservò la sua reazione, tormentandosi il labbro inferiore.

“Quanto piano?”, chiese timidamente, anche un po' preoccupato. Fino ad ora credeva che stavano andando da qualche parte ma l’espressione sul viso di Kate gli disse che ci potrebbero essere più ostacoli di quanto avesse immaginato.

“Per adesso la incontrerai soltanto quando ci sarò io, e solo tu. Non voglio che si abitui a persone che poi le volteranno le spalle”, rispose, la sua voce era piena di un’emozione che lui non comprese.

Rick deglutì, prendendo respiri profondi per calmarsi e ricordando a se stesso che questa faccenda non doveva riguardare né lui né Kate. Si trattava di Jamie, aveva bisogno di concentrarsi su questo e fare ciò che era meglio per lei, non importava cosa Kate dicesse e come lui si sentisse. In questo modo avrebbe potuto accettare le sue richieste e avrebbe messo i suoi sentimenti da parte. Per ora.

“Io non vado da nessuna parte Kate”, disse finalmente con la voce più calma che potesse fare, non volendo ripetere gli eventi del distretto. “Sono suo padre, è una responsabilità che non prenderò alla leggera e te lo dimostrerò. Ma posso capire che prima devi conoscermi, vedere che sono affidabile, quindi per ora sono d’accordo. Per ora”. Ripeté le ultime due parole per farle capire che non stava scherzando.

Aspettò la sua reazione ma non ne vedeva una, sembrava persa nei suoi pensieri, persa a contemplare le sue parole, finché finalmente guardandolo di nuovo disse, “Ok, mi sembra giusto”. Non le piacque il suo tono, ma c’era una parte in lei che voleva credergli disperatamente nonostante i suoi dubbi e le sue insicurezze, e non sapeva come zittirla. Non quando era seduto di fronte a lei, i suoi occhi azzurri così intensi e così onesti a cui non poteva dire di no.

“Va bene. Quando?”, Rick aveva in qualche modo perso la capacità di formare frasi di senso compiuto quando capì che lei non avrebbe inscenato una lotta dopo le sue parole.

“Domani esco da lavoro alle due”, disse Kate. E il suo cuore perse un battito a pensare a quella prospettiva, “Possiamo incontraci al parco giochi di Central Park, quello vicino allo zoo”.

Lui annuì con entusiasmo. Domani, l’avrebbe vista domani.

“Ancora una cosa però”, parlò con tono serio e il suo cuore si fermò, “Non le dirai subito che sei suo padre”.

Rick stava per protestare quando lei proseguì velocemente, “Intendo non subito. Voglio che si abitui a te prima di doverle spiegare le cose. Non voglio metterla in confusione. Una volta che si troverà bene con te, glielo diremo”.

Fece un sospiro di sollievo, questo lo avrebbe potuto accettare, aveva un senso, non voleva che Jamie entrasse in confusione. Doveva prima dare alla figlia la possibilità di relazionarsi con uno sconosciuto. “Si, hai ragione”, accettò e vide la sorpresa nei suoi occhi. “Ha bisogno di fidarsi di me”. E sapeva che non si stava riferendo solo a Jamie, continuando a guardare la donna davanti a lui.

“Quindi domani?”, alla fine gli spuntò un sorriso luminoso, incapace di trattenerlo.

“Domani”, Kate annuì e si alzò. “Devo andare a casa”.

“Certo”, disse Rick, alzandosi e standole goffamente davanti mentre lei cercava una penna e un pezzo di carta nella borsa.

Voleva dargli il suo numero nel caso in cui ci fosse stato qualche intoppo, ma trovò una foto di Jamie che aveva messo lì dentro tre settimane fa per farla vedere a Royce. Prendendo un fazzoletto per scriverci sopra il numero, pensò alla sua prossima mossa prima di prendere coraggio e far uscire la foto, passandogliela insieme al numero. 

“Il mio numero, nel caso dovessi annullare l’incontro”.

“Non lo annullerò”, disse subito, quando i suoi occhi si posarono sulla foto della figlia. “E’ bellissima”. Mormorò, prima di guardare Kate, i suoi occhi azzurri erano pieni di così tanto amore che lei dovette fare un passo indietro, sorpresa. “Grazie”. Balbettò Rick infine, con voce tremante, mentre sorrideva in modo meraviglioso.

Lei annuì, sorridendo a sua volta, anche se cercava di nasconderlo, “Ci vediamo domani Rick”.

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Capitolo 11
*** Conseguenze ***


Non appena Kate entrò nel suo appartamento trovò Cynthia che cercava di calmare una Jamie in lacrime nel salotto. Lasciò in fretta borsa e scarpe davanti alla porta e si precipitò subito verso la figlia che era tra le braccia della sua tata.

“Che cosa è successo?”, chiese preoccupata, normalmente quando tornava a casa Jamie era già a letto da un bel po' di tempo.

“Brutto sogno”, sussurrò Cynthia, consegnando la bambina in lacrime alla madre che immediatamente la strinse al petto.

“Hey, uccellino”, mormorò Kate, cominciando a fare cerchi rilassanti con la mano dietro la schiena di sua figlia.

“Mami”, gridò Jamie piangendo, stringendosi sempre più al petto di sua madre, le sue piccole mani strette alla maglia di Kate.

Kate fece un cenno a Cynthia, che se ne andò velocemente, cosicché Kate potesse cullare con calma la figlia spaventata. Sedendosi sul divano, la strinse ancora più forte, sapendo che al momento non poteva fare nient’altro se non abbracciarla.

“Ssssh, è stato solo un brutto sogno tesoro, solo un brutto sogno”, dondolò la bambina da una parte all’altra, dandole morbidi baci sui capelli. “Vuoi dire a mamma che cosa è successo?”, chiese Kate, sperando che parlare avrebbe aiutato Jamie a concentrarsi su qualcosa di diverso.

“Uomo cattivo”, sentì dire da sua figlia tra i singhiozzi. “Male a mama”.

“Oh no tesoro, mamma sta bene. Vedi?”, mise a sedere Jamie sulle sua ginocchia in modo che potesse guardare sua madre da vicino, “Mamma sta bene”.

Le piccole mani di Jamie raggiunsero il suo viso, lo strinse fino a portarlo alla sua altezza e le diede un bacio sulle labbra, “Ti amo mama”, disse tra i singhiozzi.

Il cuore di Kate si sciolse, dando un altro bacio a sua figlia, “Ti amo anche io uccellino. Ora andiamo a letto, va bene?”.

Alzandosi, prese Jamie in braccio e le sorrise, sollevata nel vedere che sua figlia le sorrise a sua volta, “Vuoi dormire nel letto con mamma stanotte?”.

Jamie annuì con entusiasmo e appoggiò la testa nel collo di sua madre. Mettendola a letto, Kate si assicurò che Jamie fosse a suo agio prima di lasciarla sola per andare in bagno e prepararsi per andare a dormire.

Non era la prima volta che Jamie faceva questo sogno, sognava spesso un uomo cattivo che faceva del male o a lei o a sua madre e Kate stava cominciando a preoccuparsi. Questo sogno è cominciato un paio di mesi fa quando Kate tornò a casa un po' sbattuta dopo un inseguimento andato male. Aveva cercato di rassicurare la figlia, aveva cercato di spiegarle l’occhio nero e i lividi in un modo che Jamie sarebbe riuscita a comprendere, cercando di non spaventarla. Ovviamente non aveva funzionato molto bene. Aveva bisogno di parlarne nuovamente con lei, provare a mandarle via quella paura. Solo che non aveva idea di come fare.

In silenzio, si mise a sedere sul letto accanto alla figlia già addormentata. Guardò il ritmo continuo del suo respiro mentre dormiva dolcemente, era sempre meravigliata dall’amore che riusciva a provare per la sua bambina. Era veramente la cosa migliore che le fosse mai capitata, era stata il suo appiglio, la sua sicurezza quando stava per annegare. Quegli occhi azzurri l’avevano fatta riemergere, quegli occhi azzurri che erano uguali ai suoi. Le labbra di Kate si alzarono in un sorriso, ricordando come i suoi occhi azzurri cominciarono a scintillare di amore quando gli aveva consegnato la foto di Jamie. Quello sguardo nei suoi occhi, quello sguardo pieno di amore incondizionato le aveva aperto il cuore. Avrebbe amato Jamie. L’avrebbe amata con tutto il cuore, improvvisamente non aveva più alcun dubbio.

—————————————

Rick si incamminò verso casa senza fretta, Alexis stava trascorrendo un’altra notte a casa di un’amica e lui ora era seduto sul divano, da solo, con un bicchiere di vino sul tavolino di fronte a lui mentre non riusciva a togliere gli occhi dalla foto di Jamie. I suoi occhi azzurri sembravano guardarlo mentre stava ridendo per qualcosa oltre la fotocamera. Era meravigliosa, era sua figlia. Il suo cuore si riempiva sempre più di amore minuto dopo minuto. Non vedeva l’ora di vederla.

Sentì la porta d’ingresso aprirsi vedendo una certa rossa familiare, “Madre, che ci fai qui?”.

Martha ignorò la domanda, lasciando la borsa in mezzo al salotto e correndo per poi mettersi vicino a lui, “Come è andata?”, chiese, con gli occhi in cerca di quelli di suo figlio che la guardavano felice.

“La vedrò domani al parco giochi di Central Park”. Disse sollevato e felice.

“Richard!”, Martha rimase a bocca aperta, la mano destra sulle labbra. “E’ magnifico”.

Il sorriso di Martha si allargò ancora di più quando Rick le passò la foto di Jamie che Kate gli aveva dato in precedenza.

Per qualche minuto Martha rimase a fissare la piccola bambina con la mano destra sul cuore, era emozionata, quando poi rialzò gli occhi emozionati verso il figlio, “E’ bellissima”.

E poi le sue braccia erano intorno a lui, tirandolo in un forte abbraccio sussurrò nel suo orecchio, “Hai ragione, ha i tuoi occhi”.

Rick si tirò indietro prendendo il viso di sua madre tra le mani, “Stai diventando più sensibile con l’avanzare dell’età?”, domandò scherzando, vedendo le lacrime colmare i suoi occhi.

“Non ti azzardare a chiamarmi vecchia”, lo rimproverò, dandogli una pacca sulla spalla. “E adesso racconta, voglio sapere tutto”.

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Rick raccontò a sua madre tutto nei minimi dettagli, rendendo ancora più evidente il fatto che non vedeva l’ora di vederla e Martha non poteva che sorridere all’evidente felicità di suo figlio.

“Quindi a te va bene far andare le cose con calma?”, chiese quando finalmente finì di raccontare. Conoscendo suo figlio, sapeva che questa condizione sarebbe stata difficile da rispettare. Non aveva mai fatto niente lentamente.

Lui pensò alla domanda per un attimo prima di rispondere, “Onestamente, all’inizio non ero d’accordo. Mi conosci”, scrollò le palle con un lieve sorriso. “Ma pensandoci bene Kate ha ragione, nessuno di noi vuole far soffrire Jamie, deve capire le cose e ci vorrà un po' di tempo. Io e Kate abbiamo bisogno di trovare un ritmo, dobbiamo accordarci su come andare avanti d’ora in poi. E in tutto questo, aggiungere pure persone oltre a me, adesso complicherebbe soltanto le cose. Quindi si, rispondendo alla tua domanda, per ora mi va bene fare le cose con calma”.

Fece un respiro profondo, “Ed è per questo che per ora ad Alexis non voglio dire di Jamie”.

Martha lo guardò, “Perché?”.

Rick sospirò, “L’altra sera mi ha raccontato del padre di Daphne che si sposa di nuovo e che Daphne avrà una nuova sorellina o un nuovo fratellino”.

La madre lo guardò di nuovo, “E allora?”.

“Alexis mi ha detto che vuole dei fratelli”.

Martha si strozzò con il vino rosso, tossì fino a quando non fu in grado di parlare di nuovo, “Ha fatto cosa?”.

“Mi ha chiesto se mi sarei sposato di nuovo e che, se l’avessi fatto, le sarebbe andato bene avere un fratello o una sorella”.

“Tua figlia è un bel soggetto”, disse Martha ridendo. “Cosa le hai detto?”.

“Che non le posso promettere cose come queste e che non so se un giorno mi sposerò di nuovo. Ma se le dico subito di Jamie, la vorrà incontrare e non saprei come dirle che deve aspettare. Preferisco avere prima tutto sotto controllo. Non posso considerare solo il benessere di Jamie, c’è pure il suo”.

Martha sorrise, “Stai crescendo ragazzo. Chi l’avrebbe mai detto?”.

“Si, ho i miei momenti”, sorrise a sua volta. “Io e Kate dobbiamo prima essere chiari su molte cose, poi glielo dirò”.

“Sarà diverso rispetto ad Alexis, sai?”, sua madre annuì. “Con lei tu sei l’unico responsabile, prendi tutte le decisioni. Con Jamie sarà diverso, dovrai scendere a compromessi con Kate ed entrambi sappiamo che non è uno dei tratti migliori del tuo carattere”.

“Non lo è infatti”, ammise lui. “Ma ho capito cosa intendi. Siamo entrambi genitori, insieme”.

“Si. E per quanto sei abituato a decidere tutto da solo per Alexis, Kate è abituata a fare lo stesso con Jamie, quindi dovrete entrambi abituarvi a questa nuova situazione”. Concluse Martha, ancora una volta la voce della saggezza.

Rick sorrise calorosamente a sua madre, grato che fosse sempre pronta a supportarlo. Non importa se a volte sembrava strana o fredda, avrebbe potuto sempre contare su di lei. “Grazie madre”, continuò a sorridere, “Cosa farei senza di te?”.

“Ti scaveresti la fossa da solo” rispose lei.


Ciao a tutti, solitamente non scrivo dopo i capitoli però volevo postarvi nuovamente il link della storia originale e dirvi che sto cercando di postare il più velocemente possibile perché la storia è molto lunga, sennò ci metterei secoli. Spero vi piaccia, al prossimo capitolo con il primo vero incontro :)

ecco il link:

https://www.fanfiction.net/s/9175920/11/A-Night-to-Forget
 

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Capitolo 12
*** Castelli di sabbia ***


Cynthia accompagnò Jamie al distretto e la bambina trascorse gli ultimi quindici minuti in giro per le stanze ottenendo l’attenzione di tutti gli ufficiali presenti. Royce fu il primo a cedere, portandola nella sala ristoro in modo che Jamie potesse raggiungere il barattolo di cookies che era stato messo sul bancone.

“Royce, ti ho detto di non darle cookies”, Kate sospirò, arrivando dagli spogliatoi con un abito estivo blu scuro e gli occhiali da sole che le fermavano i capelli.

“Dai Beckett solo uno. Un biscotto non può far male”, la guardò con occhi innocenti.

“Beh uno da te, uno da Miller e anche uno da LT…”, lo zittì.

“E anche uno da Montgomery”, la voce profonda del suo capitano arrivò inavvertitamente alle sue spalle facendola voltare all’improvviso.

“Signore”, ansimò sorpresa mentre guardò il suo capo prendere un altro biscotto e consegnarlo alla figlia che ancora stava masticando quello che le aveva dato Royce, lasciando che si sbriciolasse tutto sul colletto. A quanto pare non gli importava proprio del parere di Beckett. Jamie accettò felicemente l’offerta, sorridendo ai due uomini di fronte a lei. Due degli uomini più duri di New York, abituati a vedersela con la classe più bassa della città, si erano trasformati in due orsacchiotti di fronte a una bambina con il viso tutto sporco di cioccolato.

“Devi fare attenzione Beckett”, Montgomery le fece l’occhiolino. “E’ un’ammaliatrice. Prima che tu te ne renda conto ti troverai due ragazzi davanti alla porta di casa pronti a portarsela via”.

Se Montgomery non fosse stato il suo capitano gli avrebbe dato la più grande roteata di occhi della storia, ma questa volta si limitò a sospirare e prese sua figlia dalle braccia di Royce, “Andiamo uccellino, adiamo via di qui prima che ti facciano venire altre strane idee in mente”. Mormorò Kate, mettendo Jamie al suo fianco e afferrando il suo zaino. Sentì i due uomini ridacchiare alle sue spalle, quando uscì dalla sala ristoro e si avviò verso l’uscita.

“Divertiti Beckett”, urlò Royce alzando la mano per salutare, “Anche tu Jamie”. E la bambina sollevò la mano ancora tenendo il biscotto che le aveva dato Montgomery, salutandolo felicemente.

———————————————

Rick era in preda alle vertigini, era euforico, nervoso e milioni di altre cose tutte in una volta dal momento in cui si era messo a sedere sulla panchina del parco giochi di Central Park, in attesa. Il suo piede cominciò a battere al suolo un ritmo di cui non era a conoscenza. Era arrivato in anticipo, ovviamente, era uscito di casa subito dopo che Martha aveva portato fuori Alexis per una giornata tutto shopping. Aveva tutto il pomeriggio libero prima di andare insieme ad Alexis al cinema a vedere Stuart Little 2.

I suoi occhi giravano costantemente per il parco, preoccupato di potersi perdere l’arrivo di Kate e Jamie mentre teneva saldamente due bicchieri di caffè tra le mani. E poi le vide, Kate in un abito blu scuro e occhiali da sole per ripararsi dal sole. Jamie che camminava accanto a lei, tenendo la mano di sua madre e saltellando felicemente da un piede all’altro.

Si alzò in piedi, si avvicinò a loro esitante fino a quando si incontrarono nel bel mezzo del parco giochi.

“Ciao”, sorrise nervosamente, guardando Jamie che si era avvicinata alla madre, stringendole le gambe e studiando l’uomo di fronte a lei con occhi grandi e curiosi.

“Hey Rick”, Kate annuì e un silenzio imbarazzante si creò tra di loro, nessuno dei due era sicuro di cosa dire fino a quando Rick non si inginocchiò accanto a Jamie e Kate lo seguì. Tirò Jamie al suo fianco e Rick non poté fare a meno di provare un po' di dolore alla vista del suo gesto protettivo. Cosa pensava avrebbe fatto? Ma riuscì a mantenere il suo volto privo di emozioni, ricordando a se stesso che stava facendo tutto questo per Jamie.

“Sono Rick”, sorrise alla bambina che si avvicinò ancora di più alla madre, allontanandosi dallo sconosciuto.

“Rick è un amico di mamma. Te lo ricordi? L’hai incontrato un paio di giorni fa”. Kate cercò di tirare Jamie fuori dal suo guscio, sapendo che sua figlia era sempre molto timida davanti agli sconosciuti e le serviva tempo per fidarsi di persone nuove, per poterle far entrare nella sua vita. Un tratto del carattere che aveva sicuramente preso da lei.

Jamie studiò con attenzione l’uomo di fronte a lei fino a quando non le si illuminò il volto, “Uh-uh”, mimò l’imitazione della scimmia che aveva fatto Rick il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta.

Rick ridacchiò, “Giusto, ero io”.

Gli occhi di Jamie si illuminarono accompagnati da un piccolo sorriso sulle labbra prima di guardare sua madre.

“Rick vuole giocare con noi oggi, ti va bene?”, Kate guardò Rick che aveva un’espressione di speranza sul volto e di rimando la guardò anche lui negli occhi. Lei annuì, dandogli il permesso di dire quello che aveva in mente.

“Sono molto bravo a giocare con la sabbia”, si offrì lui, indicando il terreno dietro di loro. “Ho fatto anni di pratica”.

“Che ne dici uccellino, vuoi giocare alla sabbia con Rick?”.

Jamie guardò la madre, “Mami viene?”, chiese, guardando nuovamente l’uomo di fronte a lei con l’incertezza negli occhi.

Kate accarezzò i riccioli di Jamie, “Si, viene anche la mamma”.

Entrambi gli adulti si alzarono e Rick improvvisamente si ricordò del caffè che aveva comprato per Kate che stava ancora tenendo tra le mani, “Ti ho portato il caffè”, disse un po' stupidamente quando glielo porse.

Kate guardò prima il caffè di fronte a lei e poi Rick, un piccolo sorriso le si formò sulle labbra quando lo prese e le loro dita si sfiorarono, “Grazie”. Mormorò Kate con gli occhi incatenati ai suoi, amava davvero tanto il caffè.

“Prego”, rispose lui, il suo sorriso improvvisamente tornò timido mentre si fissavano, finché Jamie non tirò Kate per la mano, costringendola a interrompere il contatto visivo con Rick per guardare in basso verso la figlia.

“Mama sabbia”. Jamie si lamentò, tirando la madre verso il suo oggetto del desiderio.

“Sabbia si”, Kate scosse la testa per riportare la messa a fuoco prima di seguire la direzione della figlia.

———————————————-

Era stato imbarazzante, non c’era un altro aggettivo per descrivere la situazione che si era creata, con Jamie seduta timidamente in un angolo del rettangolo di sabbia, mentre Rick e Kate un po' più lontani a guardarla. Rick aveva provato a far giocare Jamie con lui ma finora la bambina aveva solo scosso la testa e Kate non la voleva costringere a interagire con Rick se non era ancora pronta. Rick dall’altra parte aveva paura di fare qualcosa di sbagliato e rovinare tutto. Non stava andando bene e sapeva che è stato stupido aver sperato che Jamie l’avrebbe subito accolto felicemente a braccia aperte, era una sconosciuto per lei.

E ancora una volta realizzò che Kate aveva ragione quando ha chiesto di far andare le cose lentamente. Né lui né Kate dovevano stabilire il ritmo, solo Jamie poteva farlo, con i suoi tempi.

Ma ci doveva essere un modo per attirare l’attenzione di Jamie, per suscitare il suo interesse. E così finalmente lasciò Kate sul bordo mentre lui si posizionò proprio nel mezzo del box di sabbia, sentendo gli occhi di Kate che lo fissavano da dietro. Non avevano parlato molto negli ultimi quindici minuti e se l’avevano fatto si era trattato di frasi di circostanza. Non sapeva come iniziare una conversazione con Kate che non portasse a cose che non fossero fuori luogo in quel momento, specialmente davanti a Jamie. Quindi prese una delle palette che Kate aveva messo nello zaino e cominciò a scavare.

Non aveva un piano ma iniziò subito ad accumulare una montagna di sabbia di fronte a lui, scavando piccoli tunnel e prendendo piccoli rametti vicino al box di sabbia. Con la coda dell’occhio vide che Jamie aveva smesso di giocare con le sue forme di sabbia e ora lo stava curiosamente osservando.

Rick sorrise, stava funzionando. Girandosi verso Jamie, le sorrise.

“Vuoi aiutarmi?”, chiese, porgendole una paletta. “Potremmo costruire un’altra montagna e aggiungere una cascata”, suggerì, e il suo cuore perse un battito quando sua figlia si avvicinò, ovviamente incuriosita dalla sua offerta.

Kate vide gli occhi di sua figlia illuminarsi al momento della domanda di Rick. Aveva osservato con interesse come Jamie avesse sparato delle occhiate timide in direzione di Rick non appena si era seduto in mezzo al box di sabbia. Ovviamente voleva prendere parte al gioco ma era troppo timida per chiederglielo.

Ora Jamie stava gattonando verso Rick e si lasciò cadere al suo fianco, indicando uno dei tunnel, “Acqua vera?”, chiese, e poi indicò una fontanella dietro di loro. Questa volta fu il viso di Rick ad illuminarsi.

“Questa è una buona idea. Pensi che la tua mamma possa portarci un po' d’acqua?”, si avvicinò a Jamie come se le stesse svelando un segreto, sebbene avesse parlato abbastanza a voce alta per farsi sentire da Kate.

Jamie immediatamente si voltò, guardando sua madre, “Mami, acqua?”, sollevò il piccolo secchio che era nello zaino. “Pe favoe?”, aggiunse, sbattendo le palpebre.

Kate sbuffò e si alzò. Rick cercò di nascondere una risata, notando che Kate non era molto contenta di essere stata assegnata al compito di operaia. Jamie le consegnò il secchio e Kate si incamminò verso la fontanella mentre Rick alzò la mano per battere il cinque a Jamie. “Ottimo lavoro”, le sorrise e la bambina come risposta annuì con entusiasmo.

“Ti ho sentito”,disse Kate, facendo una smorfia a Rick.

“Oooops”, disse lui, felice di sentir ridere Jamie.

“Oooops”, lo imitò, facendo una smorfia e sembrando la versione di Rick in miniatura.

E così il ghiaccio si sciolse.

————————————————

Kate li osservò da una delle panchine, rinfrescandosi all’ombra degli alberi, mentre Rick e Jamie si divertivano nel box di sabbia totalmente persi nel loro progetto. Lei li aveva lasciati da soli dopo aver portato il terzo secchio d’acqua, decidendo che potevano stare senza di lei per un po’. Inizialmente non sapeva come si sarebbe sentita alla vista di Rick con Jamie , aveva temuto di poter provare gelosia o semplicemente che sarebbe stato difficile per lei vederli insieme. E una piccola parte dentro di lei era stata stranamente soddisfatta quando Jamie non gli aveva dato subito confidenza.

Ma ora, vedendo quanto si stavano divertendo insieme, una nuova sensazione si stabilì in lei, sollievo forse, non ne era sicura. Jamie era stata incollata al fianco di Rick dal primo momento in cui lui era riuscito a farla uscire dal suo angolo del box, e Rick era stato meraviglioso, divertente e attento. Kate poteva benissimo dire che Jamie si era già presa una cotta per Rick.  Aveva visto come sua figlia rideva alle sue facce buffe e come lo guardava con meraviglia mentre costruiva una montagna dopo l’altra, gallerie, ponti, con una competenza che aveva sorpreso pure Kate. Naturalmente aveva una figlia, un’altra figlia, ma in qualche modo non lo aveva mai immaginato in queste vesti, sporco e divertito in un box di sabbia. Dovette mordersi il labbro per nascondere il sorriso che minacciava di uscire a quel pensiero. Jamie e Rick sembravano stare proprio bene insieme.

Fu allontanata dai suoi pensieri dal grido entusiasta della figlia e dalle sue piccole mani che si stavano agitando nella sua direzione, “Mami!”.

Alzandosi, si incamminò per raggiungerli, curiosa di sapere cosa aveva suscitato quella esclamazione di Jamie, “Cosa c’è tesoro?”, chiese Kate quando si mise accanto a lei, notando che sua figlia era coperta di sabbia e di fango, facendo nota mentale di portarla subito in doccia una volta arrivate a casa.

“Rick fatto cassello”, disse Jamie felicemente battendo le mani, Kate non poté non ridere.

“Un castello..Castle? Davvero?”, lo guardò  con un guizzo divertito negli occhi e lui si strinse nelle spalle, sorridendo a sua volta.

“Beh, come potevo non farlo?”, disse lui, ipnotizzato dal primo vero sorriso che le aveva visto sul viso, il primo che non aveva cercato di nascondergli. E quello che vide gli tolse il respiro, era bellissima. Certo, aveva già notato la sua bellezza, era impossibile non farlo. Era veramente una bella donna, ma quel sorriso cambiò qualcosa in lei, sembrava ancora più bella.

“Andiamo”, disse finalmente Kate dopo aver osservato per un po' il castello. Doveva ammettere che era davvero bello, con torri e ponti, aveva aggiunto anche un fossato, pieno d’acqua naturalmente. E guardandolo notò che i suoi jeans non avevano un aspetto migliore degli abiti di Jamie, ginocchia piene di fango e sabbia ovunque. 

Alzandosi, Kate tolse la sabbia dal suo vestito prima di voltarsi e vedere Rick e Jamie pieni di fango ancora seduti nel box, “Andiamo a prendere un gelato”.

“Sii, elato”, strillò Jamie e subito uscì dal box, mentre Rick rimase seduto, sembrava un bambino gigante.

Kate iniziò a seguire la figlia visto che la bambina stava correndo verso il gelataio.

Quando realizzò che Rick non le stava seguendo, si fermò e si voltò, sollevando un sopracciglio interrogativo verso di lui, “Vieni Castle?”.

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Si sedettero fianco a fianco su una panchina, Jamie in mezzo a loro. Tutti stavano mangiando il proprio gelato e Rick non poteva non pensare a quanto fosse domestico tutto questo. Ignorando il fatto che mamma e papà non si parlavano molto, dettagli. Ma stare seduti lì, sotto il sole, sembrava quasi una cosa normale e non poteva non pensare a tutto quello che il futuro gli avrebbe riservato.

Per i suoi gusti era ancora troppo presto per doversi separare ma lui aveva dei piani con Alexis e anche se voleva rimanere, doveva tornare a casa. Aveva visto a malapena Alexis negli ultimi giorni e gli mancava molto.

Ancora una volta si trovarono goffamente uno davanti all’altro e Rick decise prima di salutare la Beckett adulta, forse dopo quel pomeriggio era riuscito a riconquistare il suo cuore. Poi si inginocchiò davanti a Jamie e fu felice di vedere che questa volta Kate non seguì i suoi movimenti.

“Mi sono divertito molto con te oggi, Jamie” disse scompigliandole i capelli. “Spero anche tu”.

Jamie annuì con entusiasmo, allargandole braccia e facendo ridere Rick, “Così tanto?”, chiese, ricordando che Jamie fece lo stesso gesto davanti al distretto, quando Kate chiese alla figlia se le era mancata.

Ancora una volta Jamie annuì, “Si, Rick è motto divettente”.

Lui fece un inchino, “Grazie signorina”. Poi si alzò di nuovo per guardare la Beckett adulta.

Lo sguardo esitante sul suo viso era tornato, eppure credeva di essere riuscito a farla rilassare, “Grazie Kate”.

Lei annuì, “Si è divertita molto, Castle”.

Rick rise, “Quindi mi chiamerai Castle d’ora in poi?”.

“Credo”, scrollò le spalle.

“Quindi, ci sentiamo?”, chiese lui, sperando capisse che in realtà stava chiedendo un altro pomeriggio insieme.

“Fammi controllare gli impegni e ti chiamo”, annuì, capendolo.

“Perfetto”, sorrise, abbassandosi di nuovo. “Ciao Jamie”, le fece l’occhiolino. “Spero di vederti presto”.

“Ciao Rick”, Jamie gli sorrise, salutandolo con la mano mentre lui fece un passo indietro.

“Ciao Kate”, sorrise e voltandosi si allontanò.

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Capitolo 13
*** Stuart ***


Arrivato a casa velocemente, Castle mise i suoi vestiti infangati nella lavanderia e saltò sotto la doccia per ripulirsi. Alexis e sua madre sarebbero arrivate a casa da un momento all’altro e non voleva spiegare ad Alexis perché sembrasse uno che aveva appena trascorso l’intera giornata  immerso nella sabbia. Era già difficile tenerle il segreto per il momento, anche se era ancora convinto fosse la cosa migliore da fare. Però non voleva nemmeno mentirle, almeno non se avesse potuto evitarlo.

Indossò una camicia fresca e un paio di jeans puliti, dopodiché attraversando il suo ufficio si incamminò verso il soggiorno appena in tempo per vedere la porta d’ingresso aprirsi e rivelare Martha e Alexis cariche di borse.

“Suppongo che lo shopping sia andato bene”, Castle sorrise alle due donne, allungando una mano verso sua madre per aiutarla a portare le borse e abbassandosi per baciare Alexis sui capelli, “Hey zucca”.

“Hey papà”. Alexis gli sorrise.

Martha nel frattempo roteò drammaticamente gli occhi per poi raggiungere la sua borsa e consegnare la carta di credito al figlio, “Eccola qui, come se l’avessi sempre avuta tu”.

La fissò, alzando le sopracciglia.

“Solo per una volta, Richard. Tre anni fa ti ho detto che era stato un incidente”. Sua madre sospirò, affondando nel divano e lasciando cadere le borse davanti a lei.

“Avevi accidentalmente speso 4000 dollari?”, inclinò la testa divertito. “Interessante”.

“Dio, come sei tirchio. Ti ripagherò ogni centesimo”, gli diede uno sguardo di disapprovazione.

“Va tutto bene mamma, ti ho perdonato molto tempo fa”, disse ridendo, tirando Alexis al suo fianco.

“Allora ti piace solo torturarmi?”, Martha affermò con sarcasmo, prima di cambiare argomento. “Voi due non dovete andare via?”.

Castle guardò il suo orologio, realizzando che sua madre aveva ragione, avrebbero fatto tardi. Girando Alexis per le spalle le diede una spinta dolce in direzione delle scale, “Porta le tue borse di sopra e rinfrescati, appena hai finito usciamo”.

“Si”, esclamò Alexis felice e salendo in fretta le scale, lasciando suo padre e sua nonna da soli in salotto.

Martha, dopo essersi assicurata che Alexis fosse fuori portata, tirò Castle in cucina e finalmente gli fece la domanda che stava fremendo da quando l’aveva visto, “Come è andata?”.

Il volto di suo figlio si accese, gli occhi arricciati dalla felicità, “Bene, davvero bene credo, almeno con Jamie. La partenza è stata un po' dura però poi siamo stati bene”.

“Sono felice per te”, Martha sorrise calorosamente, la sua mano raggiunse la sua guancia per dargli una pacca affettuosa, “E con Kate?”.

“Beh, lei ha lasciato più o meno me e Jamie da soli, quindi penso sia un buon segno ma non so come approcciarmi con lei, sembra così chiusa. E ci sono molte altre cose di cui dobbiamo parlare ma non so nemmeno come intraprendere una conversazione normale con lei, immaginiamoci una conversazione seria”, sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

“Richard, siamo stati entrambi chiari nel dire che ci vorrà tempo. Non puoi accelerare le cose come in una videocassetta. Ma sicuramente andrà meglio. Ti deve conoscere e sono sicura che si aprirà, prima o poi. Ora focalizzati nelle cose positive. Tu e Jamie andate d’accordo, è fantastico. Parti da qui, ogni giorno andrete sempre più avanti. E il resto arriverà con il tempo, sono sicura”.

Lui sbuffò, ma annuì. Naturalmente sua madre aveva ragione, se solo non fosse così maledettamente impaziente. 

Non c’era più tempo per la conversazione dal momento che Alexis arrivò dalle scale come una furia, “Sono pronta papà!”, esclamò.

“Bene”, sorrise, girandosi per prenderla e braccio e farla girare, “Sei emozionata per Stuart?”.

“Siiii”, gridò Alexis, ritornando a terra e tirando subito suo padre verso la porta.

“Vieni con noi o resti?”, Castle chiese a sua madre, cercando di resistere alla forza che stava mettendo sua figlia per tirarlo.

Prendendo le sue borse, Martha seguì la sua famiglia alla porta, “Ho bisogno di un bagno rilassante a casa”, disse drammaticamente. “Tua figlia mi ha sfiancato”.

Alexis si girò con occhi spalancati, “Non è vero!”.

“Sto scherzando tesoro”, Martha fece un occhiolino alla nipote e continuò. “Ho amato ogni minuto della nostra giornata”.

Gli occhi di Alexis si incresparono di gioia, come faceva sempre suo padre e raggiungendo sua nonna, l’abbracciò. “Anche io”.

——————————————————

Kate e Jamie attraversarono la porta d’ingresso del loro appartamento e Kate dovette prontamente  fermare la figlia che stava già correndo per il salotto con i vestiti sporchi di fango.

“Whoa, aspetta un secondo”, fermò quel fulmine pieno di energia e la tirò al suo fianco, “Dobbiamo tirarti fuori da questi vestiti sporchi e poi subito sotto la doccia, prima di fare qualsiasi altra cosa”. La informò Kate.

Jamie mise il broncio. Aveva chiaramente altri piani per il suo ritorno a casa. Un doccia probabilmente non era in nessuno di questi. Incrociò le braccia davanti al petto, si morse il labbro inferiore e fissò sua madre con uno sguardo gelido.

“Hey signorina, tu e Rick avete giocato con l’acqua, non io”. Kate mise il dito indice sul naso di Jamie e il viso di sua figlia si illuminò all’istante.

“Rick divettente”, dichiarò e fece una smorfia che sicuramente aveva visto fare a lui, mentre Kate la aiutò a spogliarsi. “Facce buffe”.

“Si?”, Kate sorrise a sua figlia, tentando di mascherare quel sentimento di disagio che improvvisamente nacque in lei, “Ti piace Rick?”.

“Si”, disse Jamie con entusiasmo.

“Vuoi passate altro tempo con lui?”, chiese Kate, cogliendo l’opportunità di introdurre quella discussione in modo delicato, senza sembrare forzata.

“Si”, Jamie annuì sempre più entusiasta e Kate non poté non ridere, nonostante quella sensazione nel suo stomaco. Lui oggi aveva reso sua figlia felice e questo doveva essere la cosa più importante. Lo doveva ammettere, era stato formidabile con Jamie, l’aveva conquistata più in fretta di chiunque altro, anche di Cynthia. Non poteva negare però che anche quello la metteva a disagio. Non era abituata alle cose troppo facili e non si fidava della tregua che sembrava essere nata tra loro, non ancora. Le tante delusioni nella sua vita le avevano insegnato questa lezione, fidarsi di qualcuno portava solo ad avere il cuore spezzato.

Per il momento spinse quei sentimenti da parte e si concentrò su come spogliare la figlia prima di attraversare il corridoio e portarla in bagno. Sarebbe stato più facile con la vasca da bagno. La rimpiangeva tutti i giorni al momento del bagno di Jamie e anche al momento del suo bagno, quando, dopo una giornata al distretto, tutto quello che desiderava era un bel bagno caldo per rilassarsi. Ma non c’era proprio spazio nel piccolo bagno e così aveva comprato una vasca di plastica portatile da montare nella cabina doccia e per ora si accontentava di questo. Sicuramente il loro prossimo appartamento avrebbe avuto una vasca da bagno, quando sarebbe diventata detective era sicura che non avrebbe più pensato alle vasche di plastica.

Jamie era in acqua, con le sue papere preferite che galleggiavano intorno a lei mentre parlava felicemente della sua giornata insieme a Rick e delle grandi cose che avevano costruito insieme. Kate si limitò ad ascoltare, cercando di non cedere al panico che minacciava di scoppiare come quel giorno al distretto. Doveva cercare di gestire il suo panico, sapeva che era una cosa ridicola, non poteva sentirsi minacciata o gelosa solo perché Jamie si era affezionata a lui così velocemente. Era suo padre dopo tutto, era una cosa bella. Aveva solo bisogno di tenere questa cosa in mente e usarla contro il panico. Doveva mantenere il sangue freddo, era essenziale.

“Mami?”, Kate fu riportata al presente da sua figlia.

“Si amore?”, girò la testa verso Jamie, solo per essere colpita da una spruzzata d’acqua, seguita dalle risatine di sua figlia.

Kate rimase a bocca aperta dalla sorpresa, gli occhi spalancati per lo shock e l’acqua che le scorreva lungo il viso bagnando pure la maglia. Fissò la figlia, alzò un dito verso di lei, “Tu”, sorrise prima di mettere la mano dentro l’acqua e schizzandola a sua volta, facendo ridere Jamie. “Hai voluto la guerra” e le due iniziarono a schizzarsi.

——————————————————-

“Allora ti è piaciuto?”, chiese Castle, mentre uscivano dal cinema e si avviavano verso casa in una calda serata d’estate. L’estate a New York puzzava, pensò Castle mentre passò in mezzo ai sacchi della spazzatura accantonati sul marciapiede. Spinse Alexis nella direzione opposta, in cerca di un taxi.

“E’ stato bello”, disse finalmente Alexis dopo aver pensato alla domanda del padre per un po’. “Anche se non mi è piaciuto George che ha mentito ai suoi genitori. Non bisogna mentire ai genitori”.

Castle guardò la figlia, contemplò quello che aveva appena detto prima di rispondere, “A volte le persone mentono perché pensano sia la cosa giusta da fare. Mentono per proteggere qualcosa di ancora più grande o perché pensano che magari la verità potrebbe ferire qualcuno. Capisci cosa intendo? Ovviamente non è giusto mentire, ma a volte lo facciamo con le migliori intenzioni”.

“Non ti mentirei mai, papà”. E Alexis sembrava così seria che Castle non poté non abbassarsi e lasciarle un bacio sui capelli. Sapeva che l’avrebbe fatto. Un giorno, nonostante le sue buone intenzioni, gli avrebbe mentito e lui l’avrebbe perdonata, perché è così che funziona tra padri e figlie.

Guardando dietro di lui vide una telecamera rivolta verso di loro. Si posizionò in fretta di fronte ad Alexis e alzò la mano per fermare il taxi che si stava avvicinando, “Andiamo zucca”. Le ordinò. Velocemente la fece entrare in macchina prima di dare un ultimo sguardo dietro di lui, vedendo i paparazzi che avevano accorciato le distanze.

“Andiamo”, disse al tassista e partirono in direzione del loft prima che i paparazzi potessero raggiungerli.

“Che era papà?”, chiese Alexis, cercando di vedere dove erano rivolti gli occhi del padre.

“Niente, c’era solo un brutto odore là fuori”, disse mentre sua figlia ridacchiava. Si lasciò cadere sul sedile mentre passavano un incrocio. Non voleva vedere le foto di sua figlia in uno di quei giornali di gossip. I paparazzi normalmente lo lasciavano in pace ma i romanzi di Derrick Storm avevano fatto così successo che ogni volta che veniva pubblicato un nuovo libro l’interesse per lui e la sua vita privata aumentava sempre di più. Sapeva che faceva parte del successo e Paula insisteva nel dire che faceva parte dell’accordo. In ogni caso, avrebbe fatto di tutto per mantenere la figlia fuori da tutto quello. Sua figlia era off limits.

All’improvviso un pensiero lo colpì, aveva bisogno di parlare con Kate. Come aveva potuto essere così imprudente? E se qualcuno oggi li avesse visti al parco giochi? Poteva già immaginare i titoli dei giornali, sapendo esattamente quello che Kate avrebbe fatto se fosse accaduta una cosa del genere, lo avrebbe chiuso fuori dalle loro vite e tutti i progressi che erano stati fatti negli ultimi giorni sarebbero stati vani. Doveva parlare con lei, doveva dirglielo appena tornato a casa. Questo non poteva aspettare.

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Capitolo 14
*** Armonia ***


Kate andò a letto presto, emotivamente svuotata dopo aver pensato a lungo agli eventi della giornata, decidendo che l’unico modo per fermate il treno di pensieri era quello di andare a letto e cercare di dormire. Ma naturalmente il sonno non sarebbe arrivato facilmente e lei era a malapena addormentata quando il suo telefono squillò, riportandola alla realtà.

“Beckett”, rispose un po' intontita, appoggiandosi alla testiera del letto.

“Hey Kate, sono Rick. Spero non sia troppo tardi”. Sembrava nervoso.

“Castle?”, guardò la sveglia, erano le 10,05. “Ti ho detto che avrei chiamato non appena avrei controllato i miei turni”.

Rick poteva percepire che era un po' infastidita così si affrettò a fermarla prima di non farla proseguire nella direzione sbagliata, “Lo so, non è per questo che ti ho chiamato”.

Si mise a sedere un po' più dritta, tirando ulteriormente la coperta sul suo corpo. Si sentiva stranamente esposta a parlargli mentre era stesa a letto, in pigiama e si rimproverò per quel pensiero.

“Perché allora hai chiamato?”, chiese lei esitante. “E’ per oggi?”.

“No, non si tratta di oggi, non proprio”, sospirò. Non sapeva come entrare nel discorso, realizzando che non aveva idea di cosa Kate sapesse di lui. Doveva chiedere a lei, non c’era altro modo, “Kate?”, si schiarì la gola, “Cosa sai di me?”.

“Che cosa vuoi dire?”. Domandò perplessa.

“Voglio dire, sai chi sono io? Cosa faccio per vivere?”.

Lei rimase in silenzio e lui non sapeva come venirne fuori, ma prima che potesse farle di nuovo la domanda, Kate parlò.

“So che sei uno scrittore. Scrivi romanzi gialli”. Sapeva che non sarebbe servito negare, ma non avrebbe aggiunto altro, aspettando che le rivelasse cosa volesse dire con questa domanda.

“Ok, ottimo”. Lo sentì prendere un respiro profondo. “Prima ero fuori con Alexis”, ancora una volta non aveva idea se Kate sapesse che aveva un’altra figlia, “E’ mia-“.

“Tua figlia, lo so”. Rispose lei prima che Rick potesse finire la frase, e improvvisamente capì di cosa si trattava. Voleva che Alexis incontrasse Jamie.

Pensava di essere stata chiara sul fatto che per ora sarebbe stato solo lui. Quindi perché adesso ne stava parlando di nuovo? Questo sicuramente poteva aspettare domani. Doveva già immaginare quale sarebbe stata la sua risposta per una proposta del genere.

Castle era sorpreso. Sicuramente aveva fatto qualche ricerca su di lui. Ma questo in realtà era una buona cosa, sarebbe stato più facile spiegarle.

“Si, mia figlia”, confermò, prima di continuare, “Alexis e io siamo stati fuori al cinema, abbiamo visto Stuart Little 2, davvero carino e divertente”.

“Castle”. Fermò il suo treno di parole. “Arriva al punto”.

“Ah si, mi dispiace”. Raccogliendo i suoi pensieri, iniziò ancora una volta, “Dopo il film siamo stati seguiti dai paparazzi, beh paparazzi, era solo uno”.

Kate aggrottò la fronte, ancora non capiva il motivo per cui lui le stava dicendo questo. Che cosa voleva da lei?

“Tengo Alexis fuori dai media”, continuò, “E normalmente le riviste di gossip non sono così interessate a me, ancora meno a mia figlia, ma con il nuovo libro in stampa e io nella lista-“, lo interruppe.

“Che lista?”.

“Gli scapoli più ricercati di New York”, disse un po' imbarazzato.

“Oh, quella lista”, non l’aveva vista e si chiese per un attimo a quale posizione si trovasse.

“Sono il numero cinque”, rispose alla sua domanda non detta.

Lei non reagì così lui proseguì, “Beh, comunque, le cose sono un po' calde in questo momento e non ci ho pensato oggi quando ci siamo incontrati. Avrei dovuto considerare la possibilità che magari qualcuno avrebbe potuto vederci”.

Strinse il cellulare nella mano. Cosa stava dicendo? “Mi stai dicendo che qualcuno ci ha fotografato oggi?, chiese, sembrando sconvolta.

“No, no”. Rispose rapidamente. “Non che io sappia e sono sicuro che lo avremmo notato. Penso solo tu debba sapere che qualche volta questo fa parte della mia vita, che mi piaccia o meno”. Rick prese un altro respiro profondo, considerando le parole che sarebbero seguite, “Ma ti assicuro che di solito non è un grosso problema, mi lasciano in pace a meno che non sia qualche serata di gala o di beneficienza. E’ solo che in questo momento tutto si sta accavallando e dovremo stare attenti”. Fece una pausa. “Voglio dire, io sarò più attento d’ora in poi. Volevo solo che lo sapessi, in modo da poter decidere come gestire la situazione”. Terminò con un profondo sospiro, immaginando fosse arrabbiata. Questo sicuramente non avrebbe reso le cose più facili tra di loro. Lo sapeva, ma lei aveva il diritto di saperlo e lui non aveva altra scelta, se non quella di dirglielo.

Kate rimase in silenzio per un momento, assorbendo tutto quello che le era stato appena detto. E poi fu sorpresa dalla sua reazione, non era arrabbiata con lui. Lo rispettava per averglielo detto. Sarebbe stato sicuramente più facile tenerselo per sé, sperando di essere fortunato e di non beccare paparazzi mentre erano insieme. Il fatto che lui l’avesse chiamata fece nascere qualcosa in lei, sebbene non sapesse dire bene che cosa, ma comunque scelse le sue parole con cura.

“Okay, fammi pensare a tutto questo e poi vedremo come accordarci per la prossima volta”. Disse lei, passandosi una mano tra i capelli, mentre si rilassò un po' di più tra i cuscini.

La prossima volta, fu sollevato nel sentirla dire quelle parole. Aveva temuto che avrebbe chiuso tutti i rapporti, di nuovo, “Quindi mi chiamerai lo stesso per fissare un nuovo incontro?”, doveva esserne sicuro, la sua voce era piena di speranza.

“Si”, confermò lei. “Ti chiamo domani”.

“Perfetto”. Sospirò e poteva dire di aver temuto il peggio, che lei avesse potuto prendere male questa notizia e che lo avesse cacciato fuori dalle loro vite. Quando era appena riuscito ad entrarci.

“Grazie per avermi avvisata. Non mi piace la situazione ma apprezzo che tu me ne abbia parlato”.

“Certo”, Castle sospirò, “Va bene, ti lascio allora”, disse a bassa voce. “Buonanotte Kate”.

“Notte Castle”.

———————————————————————

Castle controllò il telefono ogni minuto. A Kate aveva dato il suo numero di cellulare e il numero del telefono di casa, ma non aveva idea a quale avrebbe chiamato e sopratutto quando. La logica gli diceva che non l’avrebbe chiamato fino a tarda serata, probabilmente dopo aver messo Jamie a letto. Però c’era quella piccola speranza che gli martellava in testa.

Avrebbe voluto parlarle di tante altre cose la sera prima, di faccende logistiche, ma era rimasto così sorpreso dalla sua reazione alla rivelazione dei paparazzi che non volle spingersi oltre. Saluta quando sei al momento del tuo apice, gli diceva sempre sua madre. E comunque, ora, pensava fosse meglio parlarle di quelle faccende di persona. Anche se il pensiero di una conversazione faccia a faccia lo intimidiva un po’.

“Richard?”, la voce stridula di Paula lo riportò al presente e non riuscì a nascondere il suo sguardo annoiato.

“Cosa?”,  borbottò. Innanzitutto non voleva essere lì. Normalmente Paula faceva questo genere di riunioni senza di lui e ancora non aveva idea del perché avesse insistito così tanto per farlo venire di persona.

In realtà oggi voleva provare a scrivere qualcosa, ma a quanto pare dovevano ancora discutere sul suo prossimo tour. Aveva accettato di fare un paio di città, solo però, se sarebbe potuto tornare a casa tra una e l’altra, non voleva lasciare Alexis da sola per molto tempo, anche se sapeva che sua madre avrebbe potuto benissimo prendersene cura. Ma adesso non c’era più solo Alexis da prendere in considerazione, il pensiero di stare via per settimane quando stava ancora conoscendo Jamie non era una cosa che era disposto a fare. Ovviamente non poteva dirlo, quindi si sarebbe lamentato e avrebbe detto No finché non avessero accettato di spostare il tour.

“Lo sai che questo può costarti soldi”, Paula gli lanciò uno sguardo appuntito.

“Vuoi dire che alla Black Pawn costerebbe un sacco di soldi”, rispose in modo sarcastico, guardando Gina che stava osservando la loro discussione con interesse, cercando di captare il momento in cui sarebbe potuta intervenire per mettersi dalla parte di Rick.

“Paula, quello che dice è giusto, la Black Pawn sa che la figlia di Richard viene sempre prima”, intervenne dolcemente, lanciando a Rick un grande sorriso.

A lui sembrò falso, ma fu comunque educato nel farle un cenno con la testa. “Penso che qui abbiamo finito. Dopotutto se il prossimo anno vuoi un nuovo libro di Derrick Storm, non si scriverà da solo”, disse, portando la sedia indietro e alzandosi.

Non riuscì ad arrivare alla porta che la voce di Gina lo raggiunse subito, “Richard possiamo avere un minuto in privato?”.

Castle guardò Paula che stava già raccogliendo le sue cose, lasciandolo da solo con la sua editrice. Voltandosi mise su il suo miglior sorriso falso, cercando di nascondere i suoi veri sentimenti, “Cosa posso fare per te Gina?”. Chiese, alzando un sopracciglio quando la vide attraversare la stanza per mettersi di fronte a lui.

“Mi hai dato buca l’altra volta, quando ti ho chiesto di uscire per il pranzo”, mise su il broncio, tipico delle donne del suo calibro che ottenevano sempre quello che volevano. Lui non poteva negare che in passato avrebbe funzionato, anche se nemmeno ora ne era totalmente immune. “Pensavo che magari saremmo potuti andare oggi, se sei libero”.

Lui si schiarì la voce, fece un passo indietro per mettere un po' di distanza tra loro e cercando di pensare a un modo gentile per dirle di no, doveva lavorare con lei dopotutto. Ma ovviamente rimase in silenzio per troppo tempo e Gina la prese come una pausa positiva.

“C’è un bellissimo ristorante proprio dietro l’angolo”, stava già prendendo la borsa. “Non accetto un no questa volta”.

Castle sospirò. Non gli lasciò molta scelta, giusto?

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Non era stato così terribile come aveva pensato. Doveva ammettere che effettivamente era stato pure piacevole, il suo pranzo con Gina Cowel. Era una donna intelligente, non c’erano dubbi su questo e quello era una cosa che apprezzava in una donna. Ma l’ultima cosa di cui aveva bisogno in questo momento era di un’altra distrazione. Così aveva deciso di domare il suo lato donnaiolo e affascinante che sapeva di avere e si comportò normalmente. Gina non sembrò preoccuparsene troppo, però lui fu felice che alla fine si fossero salutati senza fissare altri appuntamenti.

“Papà?”, chiamò Alexis dalla cucina, ma era troppo pigro per alzarsi.

“Che c’è?”, le rispose. 

“Ho fame”, disse, avvicinandosi all’ufficio. “Cosa mangiamo a cena?”.

Rick guardò il suo orologio. Alexis aveva ragione, era già passata l’ora della cena e lui non aveva ancora scritto nessun paragrafo. Alzandosi, le si avvicinò, “Cosa ti va?”, chiese. “Pasta, Pizza?”.

“Papà non possiamo sempre magiare cibo spazzatura”, sospirò, roteando gli occhi. 

“Che cosa? Stai chiamando la pastacastle cibo spazzatura?”, mise la mano destra sul cuore, “Questo fa male”.

“Papà”, Alexis sorrise, “Seriamente”.

“Va bene, va bene guastafeste, vedrò cosa fare”, la guardò pensieroso, mentre si incamminarono fianco a fianco verso la cucina.

Aprendo il frigorifero, si soffermò a vedere cosa aveva da offrire, frugò un po' dappertutto finché non trovò gli ingredienti che stava cercando. “Bene, abbiamo pollo e broccoli”, emerse dal frigo per guardare sua figlia, “e patate, ti va bene?”.

“Benissimo”, Alexis annuì, salendo su uno degli sgabelli di fronte al bancone della cucina. “Come è andato il tuo incontro?”, chiese, con un tono troppo da adulta per i gusti di Castle.

“Noioso”, sospirò drammaticamente mentre preparava pentole e padelle per la loro cena.

“Scommetto che Paula era di nuovo arrabbiata con te”, Alexis sorrise.

“La domanda, mia cara figlia, è quando Paula non è arrabbiata con me?”. Puntò la spatola verso di lei, per enfatizzare il suo discorso. “A volte mi ricorda un po' Ursula”.

“La strega del mare?”, sua figlia aggrottò la fronte.

“Esatto lei”, annuì con entusiasmo.

“Ma Paula non le assomiglia”, fece una smorfia.

Castle ci pensò un attimo, “No, hai ragione. E’ troppo magra per sembrare Ursula,ma,” le puntò nuovamente la spatola, “Sono comunque una delle sue povere anime sfortunate”.

“Papà”, Alexis rise e non riuscì a smettere soprattutto quando Rick iniziò a cantare e recitare la canzone de La Sirenetta.

 

In passato sono stata un po’ cattiva,

a una strega assomigliavo in verità

 

Guardò Alexis, lanciandosi la spatola alle spalle e continuando a cantare mentre metteva il pollo nella pentola.

 

 

Son cambiata sai però,

non sono più cosi,

la vita mia è diversa, credi a me!

OH, SÌ!

C’è una cosa che ho sempre posseduto,

è il talento per i giochi di magia.

 

Alzò leggermente il fuoco, portando la fiamma sempre più alta come simbolo sei suoi poteri magici.

 

Ma ti prego non scherzar,

io cerco di aiutar

le persone più infelici attorno a me.

 

Era pronto per il gran finale, ma l’acqua cominciò a bollire e dovette abbassare rapidamente il fuoco per evitare che si rovesciasse. Alexis gli lanciò uno sguardo di disapprovazione per la sua goffaggine, ma non riusciva a nascondere il sorriso che aleggiava sul suo viso. Gli aveva detto mille volte che doveva fare più attenzione.

“Se scopre cosa pensi di lei, si arrabbierà con te di nuovo”. Disse Alexis, quando suo padre terminò la sua performance.

“Ma chi glielo dirà?”, si fermò davanti al bancone, fissandola negli occhi. “La mia stessa carne e il mio stesso sangue? Non credo proprio”.

“Beh”, lei sorrise, sedendosi sul bancone, “Magari un giorno lo userò contro di te”.

“Non lo faresti. Piccola sfacciata”, Castle la fissò divertito.

Sua figlia fece spallucce, senza rispondergli.

———————————————-

Kate tornò più tardi del previsto, ma l’avevano chiamata di nuovo alla Buon Costume e quella era una buona occasione per farsi notare oltre ai normali compiti di routine, e quindi aveva volontariamente accettato l’incarico.

Fortunatamente Cynthia poté rimanere più a lungo del solito così Kate non dovette preoccuparsi di chiamare un’altra baby-sitter.

Quando attraversò la porta d’ingresso, vide Cynthia sul divano che stava leggendo, poi alzò lo sguardo e quando si accorse di lei la raggiunse nel corridoio.

“Si è addormentata due ore fa”, la informò Cynthia, sorridendole gentilmente.

“Bene”, Kate le ricambiò il sorriso, mentre si toglieva le scarpe, “Come è andata oggi?”.

“Bene siamo state al parco giochi”, Cynthia le rivolse uno sguardo indagatore, “E non smetteva più di parlare di un certo Rick”. Alzò le sopracciglia . “Rick sembra le abbia costruito un bellissimo castello”.

“Già”, Kate si passò nervosamente le mani tra i capelli.

“Chi è Rick?”.

Avrebbe dovuto immaginare che Cynthia, una volta saputa la cosa, le avrebbe fatto subito domande. Mordendosi il labbro inferiore, Kate guardò ovunque tranne che la persona davanti a lei, “E’ un amico”. Disse finalmente, sperando che Cynthia avrebbe lasciato fare, ma non fu così.

“Un amico eh? Non l’hai mai menzionato”.

“Un vecchio amico, non lo vedevo da un po' e-“, la interruppe.

“Aspetta un attimo”, Cynthia spalancò giochi dallo shock. “Rick nel senso di Richard Castle?”.

Kate sbuffò senza rispondere.

“Oh mio Dio, Kate”.

“Non è niente di che, davvero”.

“Niente di che? Non è il tuo scrittore preferito?”.

Questo stava diventando imbarazzante.

“Si, mi piacciono i suoi libri”. La voce di Kate era ferma. Non voleva essere interrogata, sopratutto non su Richard Castle, su quanto amasse i suoi libri e  del perché si incontrasse con lei e con sua figlia.

Cynthia sentì il suo cambiamento di umore e decise di darle tregua, “Okay, non ne vuoi parlare. L’ho capito. Non sono affari miei. Ma Kate lui è molto carino e sembra davvero simpatico, a te servirebbe un po' di divertimento”.

“Cynthia”. Kate la fulminò.

“Va bene, va bene, me ne vado”, la donna sorrise prima di avvicinarsi alla porta, “Ci vediamo domani, Kate”.

“La porta si chiuse dietro di lei e Kate rimase a fissarla. Era carino, lo sapeva bene pure lei. Si lasciò uscire un sospiro frustrato, maledicendo Cynthia di averle messo quel pensiero nella testa quando ancora doveva chiamarlo.

——————————————-

Il telefono di Castle suonò alle 22.40 mentre stava sonnecchiando sul divano e gli servirono un po’ di secondi per capire cosa avesse interrotto il suo bellissimo stato pacifico. Praticamente balzò verso il telefono sul tavolino del caffè quando si rese conto che poteva essere Kate.

“Castle”, disse senza fiato e lei si chiese cosa stesse facendo. Magari era con qualcuno?

“Ti sto disturbando?”, chiese un po' seccamente e senza salutarlo, come se si fosse aspettata che lui sapesse che era lei.

“No perché?”, sembrava confuso, si passò una mano tra i capelli per sistemare il ciuffo disordinato.

“Sembri senza fiato”, disse senza pensare.

“Oh, si. Mi ero addormentato sul divano e devo ammettere che il telefono mi ha spaventato un po’, questo è tutto”. Spiegò, e Kate poteva già sentire il suo respiro più calmo.

“Ah va bene”, mormorò, eppure non riuscì a fermare le parole successive che le sfuggirono dalle labbra, “Quindi sei solo stasera?”. Perché gli aveva fatto questa domanda? Si morse il labbro inferiore. Dannazione Cynthia e la sua mente malvagia che le avevano messo quelle immagini nella testa, piacevoli immagini, perché si, era carino. Ma adesso era arrabbiata con se stessa per pensare a lui in quel modo. E ovviamente non aveva niente di meglio da fare che prendersela con lui.

“Perché, non dovrei?”, ancora non riuscì a capire il filo dei suoi pensieri, ma Kate rimase in silenzio all’altro capo della linea, sollevata che non potesse vedere le sue guance rosse. Ma poi lui realizzò, “Intendi mia madre?”, chiese.

Sua madre?

“Tua madre?”.

“Hai parlato con lei l’ultima volta che hai chiamato”, spiegò in modo semplice, se era irritato dal suo comportamento non lo diede a vedere.

Sua madre? Era stata la madre ad aver risposto quando aveva chiamato due giorni fa? Questa cosa stava diventando sempre più imbarazzante, ogni minuto di più, cos’e’ che non andava in lei stasera?

“Hai controllato i tuoi turni?”, chiese Castle e fu immensamente grata delle sua mancanza di domande al suo strano comportamento. Era una cosa buona che Kate non potesse vedere il ghigno che Castle aveva in quel momento.

“Si, si”, esitò, sapendo che a lui non sarebbero piaciute le sue prossime parole, “Sabato è il primo giorno libero”.

“Sabato?”, Kate poté sentire la delusione nella sua voce. “Mancano quattro giorni”.

“Lo so. Mi dispiace”, era vero. “Ho questo incarico speciale con la Buon Costume e richiede più ore del solito”, non sapeva perché si sentisse in dovere di spiegarglielo.

“Va bene tranquilla”, sospirò. “Speravo solo che..”, non finì la frase. Rimasero in silenzio mentre Castle tentò di gestire il suo dispiacere, “Le puoi dire ciao da parte mia?”.

“Certo”, la voce di Kate diventò più morbida, “E ti richiamo per i dettagli”.

Sembrava che lei volesse terminare la chiamata, ma nella mente di Castle c’era ben altro, “Kate, abbiamo bisogno di parlare”, fece una pausa, “Di certe cose. Voglio dire, per il supporto alla bambina e-“. Lei lo fermò.

“Castle”, il suo tono era d’avvertimento. “Non adesso, eravamo d’accordo che avremo fatto le cose con calma”.

“Lo so, ma voglio che tu sappia che-“. Anche questa volta non lo lasciò finire.

“Lo so e lo apprezzo, ma ora non è il momento di parlarne, va bene?”. Lui capì che a Kate non piacque il fatto di aver tirato fuori questo argomento e aveva paura che non era ancora convinta di farlo entrare nella vita di sua figlia.

“Kate”, suonò quasi son il cuore spezzato e per un secondo non ne capì il motivo, poi realizzò.

“Castle, questo non riguarda il farti entrare nella vita di Jamie, va bene? Ero seria quando ho detto che ero d’accordo nel darti una possibilità e non ho cambiato idea”. Kate sospirò, cercando di raccogliere i suoi pensieri. “Sei stato grande con lei. Le piaci e non voglio ostacolarti in nessun modo”.

Lui era scioccato, in silenzio, e lo era anche Kate che non avrebbe voluto rivelare così tanto, ma non c’era modo di tornare indietro. Le parole ormai erano uscite.

“Quindi cerchiamo di concentrarci su una cosa alla volta e in questo momento la cosa principale è la vostra conoscenza”. Aspettò una sua risposta e quando finalmente lo fece, poté sentire quanto fosse stato colpito dalle sue parole.

“Ok, va bene. Hai ragione, quindi a sabato?”.

“E sabato sia, le dirò che la saluti”. Lui capì che stava sorridendo.

“Notte, Kate”.

Attaccarono e Castle fece cadere il telefono sul divano accanto a lui. Quattro giorni. Sospirò mentre si alzò dal divano e si incamminò verso il letto. Aveva sperato di poter vedere Jamie un po' prima, ma d’altra parte le parole di Kate lo avevano rassicurato e per la prima volta andò a letto senza la paura che il mondo gli potesse crollare sotto i piedi.

 

 

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Capitolo 15
*** Angoli ventosi ***


Kate era bagnata dalla testa ai piedi e anche se quella era notte una calda, stava gelando. La Buon Costume l’aveva assegnata in una zona estremamente ventosa, che combinata con i suoi vestiti umidi e a una stanchezza che l’attanagliava da un po’, la portò ad avere solo voglia di tornare a casa. Ma non ancora, non era ancora riuscita ad ottenere niente di positivo da Raul Gonzales, che presumibilmente si trovava nell’edificio dall’altra parte della strada. Presumibilmente, addirittura Kate stava cominciando a dubitarne.

Aveva a malapena visto Jamie in tutta la settimana, il suo incarico con la Buon Costume le aveva occupato la maggior parte del tempo e non desiderava altro che trascorrere una notte tranquilla in compagnia di sua figlia, solo loro due e un libro.

Certo, il suo coinvolgimento in una grande operazione come quella, serviva ad ingrandire il suo curriculum, ma in quel momento stava gelando, era stanca, sola e le mancava la sua bambina. Si chiese se il prezzo da pagare non fosse troppo alto.

Kate strinse un po' di più le braccia al petto e cominciò ad alternare un piede all’altro cercando di ridare sollievo alle sue gambe intorpidite. Con la coda dell’occhio vide una macchina che si stava avvicinando e preparò se stessa a sbarazzarsi di un altro Don Giovanni, che sicuramente le avrebbe fatto un’offerta che a detta loro, non avrebbe potuto rifiutare. Ma poi dalla macchina senza targa capì che era uno dei suoi. Fece un passo in avanti e aspettò che la macchina si fermasse accanto a lei, per poi avvicinarsi al finestrino.

“Royce?”, guardò il suo compagno con un’espressione perplessa, “Che ci fai qui?”.

“Per oggi hai finito, Raul Ramirez è stato avvistato in un altro posto”, la informò Royce, facendole segno di salire in auto. “Mi sono offerto per venirti a prendere e portarti a casa”.

Kate si mise a sedere sul sedile del passeggero e accettò con gratitudine l’asciugamano che Royce stava allungando verso di lei.

“Perché non è venuto qualcuno della Buon Costume?”, chiese, ancora non sicura del perché Royce si fosse preso il disturbo di andarla a prendere, il suo turno era finito da ore.

“Si sono spostati tutti per l’altro appostamento”, fece spallucce. “Non volevo farti prendere un taxi”.

Kate apprezzò il suo pensiero, “Grazie Royce, ma davvero non c’era bisogno di fare questo. Avrei preso un taxi”.

Le diede un altro sguardo, aveva i vestiti bagnati appiccicati al suo corpo, i capelli arruffati, “Non sono sicuro che qualche taxi ti avrebbe dato un passaggio”. Le sorrise, mettendo l’auto in marcia e svoltando per portarla al suo appartamento.

Rimasero in silenzio per un po’, Kate cercò di asciugarsi i capelli nel miglior modo possibile mentre Royce accese il riscaldamento, notando la pelle d’oca sulle sue braccia.

“Da quanto eri lì fuori?”, disse finalmente il suo partner, svoltando poi a sinistra.

Kate sospirò, “Cinque ore”.

“Cinque ore sotto questo tempo?”, Royce la guardò brevemente, non era esattamente una notte fredda, ma con la pioggia ed il vento non era certo delle migliori. “Non hanno avuto nemmeno la dignità di mandare qualcuno a prenderti?”.

“Royce, è tutto ok. Posso badare a me stessa e poi sai quanto è importante prendere Gonzalez”, cercò di calmarlo, sebbene dovesse ammettere che la pensava come lui. E se doveva essere onesta con se stessa, non era la prima volta che succedeva.

“Non va bene, Beckett. Non possono chiedere il tuo aiuto e poi lasciarti sola al tuo destino. Non è accettabile”, poteva dire che era furioso. “Parlerò con quel Gregson che ha chiesto appositamente di te”. Borbottò.

Kate si girò verso di lui, “Tu non farai niente di tutto ciò Royce. Hai sentito? Non ho bisogno di protezione. Posso risolvere la questione da sola”.

“Beckett-“, ma non lo lasciò finire.

“No, ho bisogno di questi incarichi e se tu parli con Gregson non mi chiameranno più”, gli disse seria.

“Perché è così importante per te?”, chiese, fermandosi a un semaforo rosso e girando la testa per guardarla.

“Sai perché”, dichiarò, giocherellando con la collana che aveva come ciondolo l’anello di sua madre, guardando fuori dal finestrino.

“Diventare detective vale più della tua dignità?”, le chiese, perché era così per lui, l’avevano trattata malissimo. Nel momento in cui non avevano più bisogno di lei, se ne fregavano, considerandola una merda. Lui c’era stato, sapeva come funzionava con i ragazzi della Buon Costume e non voleva che lei si mettesse in gioco così tanto per loro solo perché potevano aprirle strade per il futuro. Esistevano altri modi. “La Buon Costume non è l’unico modo per ottenere quello che vuoi, Beckett”.

“Lo so, ma è il più veloce, lo sai bene quanto me”. Lo guardò di nuovo. “Non parlerai con Gregson”.

“Come vuoi”, mormorò Royce. Sapeva quanto era testarda e se la sua mente aveva deciso una cosa, non c’era modo di convincerla a cambiare rotta.

“Quel tizio, Castle, ti da più fastidio?”, le chiese improvvisamente, e Kate venne presa alla sprovvista per il cambio radicale di argomento.

“Cosa?”, gli chiese perplessa.

“Quello scrittore di cui ti sei presa una cotta”, continuò lui, pensando che la sua esitazione volesse dire o che non aveva capito di chi stavano parlando o che semplicemente non voleva parlarne.

“Oh”, lei annuì. “No, tutto bene da quel fronte”.

“Bene, perché sai che se ti da qualsiasi tipo di fastidio, io-“, lo fermò mettendogli una mano sul braccio.

“Non sarà necessario”, Kate non fu disposta a dirgli altro, contenta quando lui lasciò le cose come erano.

——————————————————————-

La settimana passò lentamente, così lentamente che Castle pensava che il weekend non sarebbe mai arrivato. Gina lo aveva tormentato per tutta la settimana per un nuovo appuntamento a pranzo e lui adesso era a corto di scuse. Si, era intelligente, bella e gentile, e sapeva perché Paula era interessata a trovargli una donna, ma aveva anche un senso di finzione e superficialità intorno a lei che non gli piaceva. Aveva incontrato molte donne come lei, donne di successo che erano abituate ad ottenere quello che volevano e doveva ammettere che l’avevano conquistato più volte di quante volesse ammettere. Gli ultimi due anni, dopo la rottura con Meredith, certamente non era stato un santo, anche se non era così playboy come dicevano i giornali di gossip. Ma non riusciva a fidarsi di nuovo di qualcuno, era stato vicino a Sophia, e tutto era andato a rotoli anche lì. Sapeva che non poteva fidarsi di una donna come Gina e non avrebbe fatto di nuovo lo stesso errore. Stava cercando qualcosa, qualcuno di diverso.

Così aveva detto a Gina che aveva bisogno di scrivere , che un lampo di ispirazione l’aveva colpito e sentiva che avrebbe scritto un capitolo in pochi giorni. Lei gli aveva creduto ed era certo che sarebbe riuscito a tenerla a bada per un po’.

La verità era che non era stato in grado di scrivere un singolo paragrafo.  Aveva fissato la pagina bianca per giorni e non era riuscito a fare niente. L’unica cosa che era riuscito a fare è stato scarabocchiare alcune idee e frammenti di scene, nient’altro.

Alla fine aveva finalmente deciso di lasciar perdere e ora era andato in cerca di sua figlia per vedere se volesse passare un po' di tempo con lui. Magari un round a laser-tag avrebbe risvegliato la sua immaginazione.

————————————————-

Kate si svegliò di soprassalto, disorientata e con il fiatone, guardò la sveglia sul comodino. Erano le 03.44.

Gemette, sentendosi calda e in una cattivo stato, e per un momento non capì perché. Aveva preso il raffreddore? Aveva fatto un brutto sogno? E poi ricordò tutto molto chiaramente. Non un incubo, aveva sognato lui. Gemette di nuovo, questa volta imbarazzata. Dio, ti prego no. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in questo momento era fare sogni su di lui, qualsiasi tipo di sogni, anche quelli meno sexy. Era tutta colpa di Cynthia, cercò di dire a se stessa, anche se sapeva che non era vero. Avrebbe dovuto sapere che era solo questione di tempo prima che entrasse nella sua vita e anche sotto la sua pelle. Dopotutto, l’aveva già fatto una volta, in un modo in cui nessun’altra uomo era riuscito a fare. C’erano delle ragioni per cui non era stata in grado di dimenticarlo nel corso degli ultimi anni, e le ragioni non riguardavano solo Jamie.

Aveva bisogno di tenere tutto questo sotto controllo, doveva mantenere il sangue freddo. Non poteva permettersi errori e non poteva nemmeno pensare che c’era anche solo una possibilità…no. Sapeva già come sarebbe finita.

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Annoiato, Castle era annoiato. Solo annoiato, così annoiato che stava seriamente pensando di gettare le matite contro il soffitto per vedere se si sarebbero attaccate. Dove aveva visto questa cosa? Ah si, X-Files, l’episodio dove Scully se ne andava in vacanza in Inghilterra, quello con la bambola inquietante e dove Muller restava a casa, annoiato.

Alexis era a casa di Daphne, sua madre era fuori città con un uomo, solo un amico, certo, sapeva esattamente che tipo di amico fosse. Mamma mia, ora aveva le loro immagini nella mente. Scosse freneticamente la testa, mentre si incamminò verso la cucina e aprì il frigo, non sapeva nemmeno perché. Non aveva fame, era solo immensamente annoiato.

Aveva pensato di chiamare Gina, chiederle di uscire per pranzo. Pensiero pericoloso, aveva bisogno di distrarsi, e anche velocemente.

Poteva chiamare Kate, ma sicuramente era ancora a lavoro. Solo una chiamata veloce, solo per sapere come stava Jamie, anche se sapeva che a lei non sarebbe piaciuto. Anzi probabilmente sarebbe stata furiosa. Ma avrebbe fatto solo una telefonata veloce, non avevano ancora parlato dei dettagli per sabato. Poteva usarla come scusa visto che lei gli aveva detto che lo avrebbe chiamato per discutere dei dettagli.

Era davvero annoiato e voleva davvero sapere come stava Jamie, ormai non aveva più autocontrollo, compose il numero prima di rendersene conto.

—————————————

“Beckett”, rispose senza guardare.

“Hey, sono io”, una voce maschile le rispose, facendole alzare lo sguardo dai fogli che stava leggendo. 

“Castle?”.

“Si”, sospirò, sollevato che l’avesse riconosciuto, “Ciao”.

“Ciao”, disse lei, ancora confusa come dimostrava il suo tono di voce. Cosa voleva?

“Volevo solo..”, balbettò, poi iniziò di nuovo. “Volevo solo sapere come stavi e..”, fece una pausa, “E anche Jamie, volevo solo sapere come stava Jamie?”.

“E’ una domanda?”, chiese lei.

“Uhm, no?”, cattiva idea, era stata una cattiva idea chiamarla, si rimproverò.

“Jamie sta bene”, disse lei finalmente. “Ma ora sono a lavoro e-“, lui la fermò subito.

“Si scusa. Lo so. Volevo solo fare un saluto veloce e sapere come stavano procedendo le cose”. Stava parlando a ruota libera. “Ti lascio tornare. A lavoro, ti lascio tornare al tuo lavoro. Ciao Kate”.

“Castle”, lo fermò prima che potesse attaccare.

“Si?”, lui rispose quasi senza fiato e lei dovette mordersi il labbro inferiore per non ridere.

“A proposito di sabato”, continuò, e il cuore di Castle di fermò. Stava per annullare.

“Uh, si”, il suo tono era esitante, quasi timoroso.

“Ti chiamo stasera”. Gli disse, e poté sentirlo respirare sollevato.

“Oh, okay. Si, grazie”. C’era speranza, dopotutto.

“Ciao Castle”. Doveva tornare a lavoro prima che Royce potesse vedere con chi stava parlando e lo vide camminare verso di lei proprio in quel preciso istante.

“Ciao Kate”. Finalmente attaccò e sospirò. Non era andata così male come si aspettava.

“Chi era?”, chiese Royce, indicando il telefono.

“Nessuno”, disse lei, guardando Royce. “Nessuno che conosci, un vecchio amico del college”.

“Aha..”, lui annuì solamente, sedendosi poi alla sua scrivania. Beckett non aveva mai parlato di un vecchio amico del college.

————————————————

Kate lo chiamò quella notte, era tardi e si era scusata, ma a Castle in realtà non importava. Lo poteva chiamare in qualsiasi momento, non si sarebbe lamentato.

“Com’è stata la tua giornata?”, chiese lui, e davvero non aveva idea del perché. Di certo ancora non erano vicini a quel rapporto dove si potevano chiedere come era andata la loro giornata.

Lei pensò lo stesso, a giudicare dal silenzio che si era creato tra di loro.

“Scusa, non sono affari miei”, si scusò velocemente.

“No, no, va bene. E’ andata bene. Grazie”. Lei non aveva idea di quando era stata l’ultima volta in cui qualcuno, oltre Cynthia, le avesse chiesto come era andata la sua giornata. E a lui interessava davvero, lo poteva sentire dal suo tono e non poteva negare che le faceva piacere.

“Ok, ottimo direi”, disse lui, la sua voce era calda e calma mentre lei poteva sentire i suoi respiri dal telefono. Ritornò il silenzio tra loro, ma stavolta non fu imbarazzante.

Ma Kate non poteva permettersi questa situazione, non poteva abbandonarsi al bisogno che ormai era abituata a cacciare via. Avere qualcuno che si preoccupasse di lei, era solo un’illusione. Lo sapeva fin troppo bene.

“Quindi, per sabato”, riportò la conversazione su basi più solide. “Ho pensato a quello che mi hai detto, riguardo i paparazzi”.

Lui sospirò, forse aveva avuto dei ripensamenti, “Kate io-“, non sapeva cosa dirle.

“C’è un parco giochi privato proprio dietro casa mia e ho pensato che-“, Castle la interruppe.

“Non stai annullando?”, chiese speranzoso.

Kate era perplessa, “No, perché dovrei?”.

“Pensavo per la cosa dei fotografi, per tutto quello che poteva implicare”.

“Castle, non sto dicendo che mi piace, ma se stiamo attenti..”, lo sentì  trattenere una risata. 

“Cosa?”.

“Uhu, sicurezza prima di tutto, ma permettimi di rassicurarti Kate, ti piacerà”, non poté non dirlo, lei aveva gettato l’amo e forse il suo cambiamento di tono l’aveva reso più impavido e coraggioso, e non ci pensò un attimo prima di dire quella frase.

“Seriamente? Quanti anni hai, nove?”. Lui sapeva che non era divertita.

“Mi dispiace, è stato fuori luogo”, si riprese subito. “Ti chiedo scusa”.

La sua unica risposta fu un borbottio a bassa voce, “Quindi sabato. Ci possiamo incontrare alle due”.

“Okay, perfetto”, annuì energicamente.

Gli diede l’indirizzo e lui rapidamente lo scarabocchiò su un foglio.

“Ci vediamo sabato allora”, concluse Kate.

“Certo. Notte Kate”.

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Capitolo 16
*** Un po' di pioggia ***


Castle entrò nel piccolo parco e improvvisamente si ritrovò in mezzo al verde, un’oasi di pace nel bel mezzo della vita frenetica di Manhattan, e per un attimo si fermò per interiorizzare il tutto. Gli alberi offrivano abbastanza protezione dal sole tanto da rendere la temperatura ottimale, il box di sabbia era piccolo ma ben tenuto, come anche le altalene nell’angolo più lontano del parco dove vide Kate e Jamie. Le due non lo avevano ancora notato così si prese l’opportunità di osservarle con calma, rischiando di far diventare freddo il caffè che aveva portato per Kate.

Kate era seduta su una delle altalene con Jamie in grembo, aveva un braccio attorno a lei per non farla cadere e l’altro attaccato a una catena, non aveva mai visto Kate così radiosa, così libera. Anche da lontano poteva vedere i suoi occhi luccicare, sembrava che in quel momento non avesse pensieri nella mente. Le stava bene quell’aspetto e lui era come ipnotizzato, non poteva staccarle gli occhi di dosso, realizzando ancora di più quanto fosse bella.

“Mamma, guarda Rick”, esclamò Jamie, che senza tante cerimonie interruppe la sua segreta sessione di studio e rapidamente si mise in moto cercando di non farsi scoprire.

“Ehi voi due”, le salutò consegnando il caffè a Kate, che lo prese con sguardo sorpreso. Ora questa era diventata una cosa loro? Portarle il caffè? E come faceva a sapere che era drogata di caffè? Agognava quel liquore marrone come gli altri agognavano la luce del sole.

“E’ alla vaniglia”, spiegò, “Spero ti piaccia”.

“Che mi piaccia? E’ il mio preferito”, sorrise timidamente verso di lui e Castle saltellò impercettibilmente dalla gioia, ce l’aveva fatta. L’aveva fatta sorridere e questa volta il sorriso non scomparì subito, era ancora sul suo volto quando prese il suo primo sorso, e chiuse pure gli occhi apprezzando chiaramente la bevanda calda, nonostante la temperatura. 

“Grazie Castle”, disse alla fine, facendo scendere Jamie e alzandosi.

Le sorrise come un’idiota, finché la sua attenzione non si spostò in basso quando Jamie cominciò a tirare i suoi jeans.

“E io?”, chiese, indicando i bicchieri di caffè che i due adulti stavano tenendo in mano.

Castle si inginocchiò di fronte a lei, prendendo lo zaino che aveva in spalla e tirando fuori una borsa termica, “Fammi vedere cosa posso fare per te”, disse a sua figlia, facendo finta di cercare qualcosa finché non prese un gelato, “Un gelato, ti va bene?”.

Jamie urlò di gioia, lanciandosi a prendere il gelato con le sue ditina goffe, Castle sperò che non finisse per terra.

“Uhm Jamie, non hai dimenticato qualcosa?”, chiese Kate, guardando sua figlia in attesa.

“Gassie”, disse Jamie velocemente, prima di riportare la sua attenzione alla carta del gelato che non riusciva ad aprire, finché Castle non l’aiutò.

Vedendo che sua figlia era momentaneamente occupata, riportò la sua attenzione alla madre, sedendosi su una delle altalene e vedendola fare lo stesso, “Come sta andando il tuo incarico speciale? O è top secret?”, chiese timidamente, l’altra sera il loro parlare di cose normali era andato piuttosto bene, e il suo sorriso l’aveva reso abbastanza coraggioso per riprovarci di nuovo.

“Faccio parte della polizia di New York, non della CIA”, rise, tendendo un occhio su Jamie che era già riuscita a sbrodolarsi il gelato sul viso.

“Allora ne puoi parlare?”, rispose lui, mettendo i piedi a terra e spingendosi con l’altalena.

“No, è un’indagine in corso, mi dispiace”. Poteva dire che non era dispiaciuta affatto.

“Oh andiamo”, si lamentò, “Solo qualcosina. Era solo un appostamento o una missione sotto copertura? Ti sei vestita come una…”, guardò Jamie velocemente prima di mimare con la bocca la parola prostituta.

Gli occhi di Kate si spalancarono, “Cosa?”.

“Dio mio!”, esclamò lui un po' troppo forte, “Lo eri!”.

“Castle”, sussurrò, “Vuoi parlare più piano?”.

“Ma ho ragione, vero?”, sussurrò, facendola roteare gli occhi, pensò che fosse adorabile. “Eri vestita come una-“, lei lo fermò.

“Non dirlo”, lo avvertì.

“Va bene, va bene”, alzò le mani in segno di resa. “Ma ho ragione?”.

Lei alzò gli occhi di nuovo, ma poté vedere comunque una risata accennata, sebbene non rise verbalmente, il suo sguardo gli aveva dato conferma.

“Cavolo”, disse lui, “E hai-“, lo fermò di nuovo.

“Castle, non discuterò di questo con te, specialmente non con nostra figlia seduta qui vicino”, e questo lo fece zittire di colpo.

Quando lo guardò di nuovo, aveva un’espressione esterrefatta sul viso e per un secondo si chiese cosa avesse detto per far avvenire ciò, oh, nostra figlia, aveva detto nostra figlia. Fece un respiro profondo. Aveva accuratamente cercato di evitare un “noi” tra di loro, anche se, ovviamente, erano i genitori di Jamie. Cosa le stava facendo quest’uomo per farle perdere la guardia così facilmente? Tanto da farle buttare al vento tutte le precauzioni, tanto da farle deviare il percorso che si era prefissata di seguire. Cosa era successo al voler essere cauti e fare le cose lentamente? Ma questo non avrebbe dovuto sorprenderla, dopo tutto quello che Rick aveva già fatto fino ad ora.

“Rick?”, Jamie salvò sua madre da ulteriori domande mentre osservò Rick saltare giù dall’altalena e andare verso la figlia.

“Ehi”, la salutò, sedendosi accanto. “Che cosa vuoi fare oggi? Sempre giocare con la sabbia?”.

La risposta di Jamie fu interrotta da un forte tuono che fece alzare a tutti e tre la testa verso il cielo, c’erano nubi scure sopra di loro anche se fino a pochi minuti fa il cielo era completamente libero e splendente.

“Avevano detto che avrebbe piovuto stasera”, disse Kate, arricciando il naso. “Mi sa che si sbagliavano”.

“Casa, mami?”, chiese Jamie, guardandola con uno sguardo deluso.

“Mi dispiace uccellino, ma si, dobbiamo tornare a casa”. Kate si inginocchiò di fronte alla figlia, toccandole il naso con il dito, ma il gesto non le provocò il solito sorriso. Kate guardò Rick alla sua sinistra che sembrava altrettanto deluso.

“E Rick?”, Jamie alzò gli occhi pieni di lacrime verso quelli di sua madre. Kate sapeva quanto sua figlia non vedesse l’ora di vederlo di nuovo e il suo cuore si ruppe un po' nel vederla così triste.

“Fisseremo per un altro giorno Jamie”, Rick cercò di andare in soccorso a Kate, non volendo farla sentire obbligata a chiedere qualcosa di cui ancora non si sentiva pronta, solo perché la figlia stava piangendo.

“Quando?”, chiese Jamie, singhiozzando. 

Kate si ritrovò fissata da due paia di occhi blu, il vento stava aumentando e cominciarono a scendere le prime gocce che iniziavano a cadere su di loro. Prendendo un respiro profondo, prese una decisione. Era inevitabile in ogni caso, non è vero? “Che ne dici se Rick viene a casa con noi così giocate lì per un po’?”.

“Siiii!”, Jamie strillò, saltando in piedi, mentre il volto di Castle fece quasi ridere Kate. L’aveva chiaramente colto di sorpresa.

“Sei sicura Kate?”, chiese con calma, non credendo che l’aveva appena invitato a casa loro dopo tutte le sue riserve e le sue richieste di prendere le cose con calma.

“Andiamo Castle prima che ci bagniamo”, disse semplicemente, si strinse nelle spalle e si voltò, lasciandolo seduto a terra con gli occhi spalancati. Non riusciva a credere a quel cambiamento. Sperava solo sarebbe durato. Che non si sarebbe pentita di tutti i progressi che erano stati fatti fino ad oggi, sperava non avrebbe fatto un passo avanti e due indietro.

———————————————-

Si misero a correre, la pioggia che batteva su di loro, Kate stava portando le loro borse mentre Jamie era in braccio a Castle, ridacchiando per tutta la strada e incitando Castle ad andare più veloce. A quanto pare per la bambina non c’era niente di più bello che essere portata in braccio sotto la pioggia.

Si fermarono di fronte a un palazzo, non era niente di particolare però era ben tenuto. Kate frugò nella sua borsa tirando fuori le chiavi per farli finalmente fuggire dalla pioggia. Entrarono nell’androne del palazzo e Castle e Jamie finirono contro la schiena di Kate dal momento che lei si fermò per scollarsi un po' di pioggia di dosso. E sarebbe sicuramente caduta se Castle non l’avesse presa con il braccio libero, inchiodando la sua schiena al suo petto.

“Whoa, attenta”, disse lui, mentre lei stava ritrovando l’equilibrio, muovendosi lentamente cercando di non scivolare sul pavimento, trovandosi improvvisamente vicinissima a lui. 

Un atto che a Rick non passò inosservato, mentre i suoi occhi si spostarono involontariamente sulle labbra di lei, prima di alzarli nuovamente. Non ci pensare nemmeno, pensò lui.

“Beh, se non mi foste venuti addosso”, rispose lei, ma si vedeva che non era veramente arrabbiata.

Lui si strinse nelle spalle, voltandosi per prendere le scale, pensando che sarebbe stato meglio non rispondere, “Quale piano?”.

“Castle”, lo chiamò quando era già a metà della prima rampa di scale, “E’ il sesto e c’è un ascensore”.

Rick fece un’espressione divertita, tornando indietro per aspettare l’ascensore accanto a lei.

“Non l’avevo visto”, sbuffò, riposizionando Jamie sul fianco sinistro per poi abbandonarsi con la schiena al muro.

“Mmh”, fu la sua unica risposta accompagnata da un lieve cenno del capo, ma lui potè vedere gli angoli della sua bocca alzati anche se gli dava le spalle.

————————————————

Entrarono nell’appartamento, Castle si fermò nel corridoio lasciando che Kate prendesse Jamie per poi vederle scomparire dietro a una porta, lui rimase fermo. Era nervoso e insicuro su cosa gli era permesso o non permesso di fare, decise che probabilmente sarebbe stato meglio attendere ulteriori istruzioni.

“Castle?”, la sentì chiamare da dietro la porta. “Vieni qui prima che mi allaghi la casa”.

Lasciò le scarpe accanto alla porta d’ingresso e si incamminò, quasi inciampando nelle borse che Kate aveva lasciato sul pavimento. Infilò cautamente la testa oltre lo stipite della porta, solo per essere colpito in faccia da un asciugamano.

“Asciugati”, gli disse Kate, mentre aveva già quasi finito di cambiare Jamie con vestiti puliti.

“E tu?”, chiese, mentre si passava l’asciugamano tra i capelli, notando quanto i suoi vestiti umidi le stavano attaccati al corpo, i capelli bagnati e arruffati.

“Tra un minuto”, rispose. “Devo trovare dei vestiti prima”.

Lasciando un dolce bacio sul naso di sua figlia, si incamminò verso la porta, “Tu sei a posto uccellino. Vai in salotto. Magari puoi già cercare qualcosa con cui giocare insieme a Rick”.

Jamie annuì e se ne andò, mentre Castle si trovava in mezzo al piccolo bagno, con l’asciugamano stretto al petto come se stesse cercando di coprirsi. “Hai un asciugacapelli?, chiese indicando i jeans e la camicia che erano letteralmente inzuppati.

Lei lo guardò e scosse la testa, “Ci vorrà una vita. Fammi vedere se trovo qualcosa per te mentre metto i tuoi vestiti nell’asciugatrice”. Suggerì lei, prima di lasciarlo solo nel bagno. Aggrottò la fronte,  qualcosa per lui da indossare? Questo voleva dire che aveva vestiti da uomo in casa? Non che fossero affari suoi, ma il pensiero lo metteva a disagio. Non aveva detto che erano solo lei e Jamie? Sbuffò, passandosi l’asciugamano tra i capelli ancora una volta, cercando di guardasi attorno per distrarsi. Notò quanto il bagno fosse piccolo, non solo il rispetto al suo, in generale, eppure era riuscita a creare un ambiente accogliente, aveva un’atmosfera familiare e a lui piaceva molto. Gli piaceva tanto. Fece un passo verso la doccia, ma subito fece due passi indietro. Cos’erano? Fece di nuovo un passo in avanti, questa volta preparato a quella visione e si, erano dei tanga estremamente sexy stesi ad asciugare. Fece un respiro profondo. Wow. Altro respiro. Indossava quelli sotto la divisa? Ora aveva certe immagini in testa. Fece un altro passo esitante verso la sua lingerie, quando  la porta improvvisamente si aprì facendolo sobbalzare, prima di rivelare Kate con in mano un paio di jeans asciutti e una maglietta, i suoi capelli bagnati ancora ad incorniciarle il viso e lui non poté non fissarla.

“Qualcosa non va?”, chiese quando lui non disse nulla.

“Ah, no, no”. Lui scosse la testa. “Va tutto bene. Molto bene”.

Lei aggrottò le sopracciglia, ma non chiese altro, gettando invece i vestiti nella sua direzione. “Provati questi. Potrebbe non essere il tuo stile ma per ora vanno bene”.

“Grazie”, balbettò, prima di vedere di nuovo la porta chiedersi alla sue spalle.

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Sembrava ridicolo. La maglia, che era probabilmente troppo grande per lei, gli stava stretta al petto, e i pantaloni, non sapeva ancora cosa fossero. Sicuramente non erano vestiti da uomo. Sembrava stupido e non voleva farsi vedere vestito in quel modo.

“Castle?”, trasalì dal suono della sua voce. “Pensi di uscire prima o poi?”.

“Si, ma non ridere”, lentamente aprì la porta del bagno, uscendo in corridoio, e naturalmente lei non poté non ridere quando lo vide, non ebbe nemmeno la dignità di nasconderlo.

“Beh, devo dire che i miei pantaloni della maternità ti stanno bene”, sbuffò, “O forse dovrei dire pantaloni di paternità?”.

“I Pantaloni della maternità? Seriamente Beckett?”, lui abbassò lo sguardo sconvolto, pantaloni da paternità, ma non seppe resistere e si mise a ridere pure lui. Rimasero così, in corridoio, a ridere.

“Andiamo Castle, Jamie comincia ad essere impaziente”, si avviò e lui la seguì in salotto, tentando di studiare la casa il più possibile.  Chi lo sapeva se avrebbe avuto un’altra possibilità di essere così vicino a loro, di essere a casa loro? Sapeva che Kate non aveva pianificato di portarlo a casa con loro e solo perché aveva fatto un’eccezione non significava che l’avrebbe invitato di nuovo.

Gli piaceva la sua casa, era piccola come il bagno, ma aveva creato un ambiente familiare per lei e Jamie. La cucina era proprio accanto al soggiorno e la vide rovistare tra gli armadi, prendendo dei bicchieri e dei cracker mentre lui si incamminò verso Jamie che era seduta davanti a una montagna di giocattoli. 

Lo guardò e ridacchio, “Fai ridere”.

“Si?”, lui sorrise, sedendosi vicino a lei. “Sempre lieto di farti divertire, signorina”.

“Fai cassello?”, chiese sua figlia, spingendo alcuni lego verso di lui e poté sentire Kate ridere dalla cucina, facendo ridere pure lui.

“Certo, costruiremo un altro castello”, annuì, mettendo i primi due lego tra di loro.

———————————————

Furono quasi due ore dopo quando Kate emerse dalla stanza in cui era scomparsa, dopo avergli preparato bevande e qualche snack, lasciando padre e figlia da soli con il loro progetto da costruire. Ma ora si era abbandonata sullo schienale del divano, guardando i due fare gli ultimi ritocchi al loto castello.

 “Sembra fantastico”, si complimentò Kate, prima di alzarsi dal divano per vedere meglio il tutto da vicino.

“Lo è, vero?”, rispose Castle e ancora una volta si trovò trafitta dai due paia di occhi azzurri che la stavano fissando.

E non poteva negarlo, i due stavano bene insieme e per la prima volta questo la rese felice, piena di speranza, almeno per sua figlia le cose stavano andando bene.

“Ho messo i tuoi vestiti in bagno se ti vuoi togliere quelli”, indicò i vestiti che stava indossando.

“Si”, ridacchiò, “Perfetto, grazie”.

Lei annuì, lasciando i due di nuovo da soli, camminando verso la cucina per preparare la cena a lei e Jamie.

Stava tagliando delle verdure quando lui improvvisamente si presentò alle sue spalle, facendola sobbalzare.

“Hey”, lei ridacchiò nervosamente, guardandolo e notando quanto la sua camicia gli stava stretta al petto, aveva un petto molto muscoloso.

“Vado a cambiarmi e poi vado. Vi lascio cenare”, parlò a bassa voce, non volendo approfittare della sua ospitalità. Era felice che le cose fossero andate bene quel giorno tra loro, e non voleva rovinarle dando la sensazione che doveva offrigli più di quanto era pronta a fare.

“Okay”, lei annuì, insicura di quale fosse il protocollo richiesto, quindi pensò fosse meglio tenere la bocca chiusa, guardandolo poi uscire dalla cucina per dirigersi verso il bagno.

Doveva chiedergli di restare a cena? Non era sicura, oggi aveva già fatto più di quanto si era prefissata di fare, invitandolo a casa. Non era sicura fosse pronta per qualcosa di più. Era rimasta positivamente sorpresa per aver affrontato tutto con calma e forse non doveva spingersi oltre solo per paura di deluderlo.

Lo vide ritornare, vestito con i suoi abiti, si mise di nuovo a sedere vicino a Jamie e lo ascoltò parlare alla bambina.

“Mi sono divertito tanto oggi Jamie, grazie”, disse, “Ma ora devo tornare a casa”.

Vide la figlia voltarsi verso di lui e per un secondo si chiese cosa Jamie avrebbe fatto, mentre cercava di mettersi in piedi.

“Ciao Rick”, mormorò, e Kate osservò che la figlia non era felice di vederlo già andare via.

“Ciao Jamie”, rispose Rick, e poi a lui mancò il fiato quando la sua bambina lo abbracciò forte. Le braccia di lui la avvolsero automaticamente e quando i suoi occhi incontrarono quelli di Kate, vide che stava sorridendo dolcemente.

E poi Jamie lo baciò sulla guancia e il suo cuore si fermò quando gli sussurrò all’orecchio, “Mi piaci”.

Rick dovette mordersi la lingua per non essere sopraffatto dalle emozioni, eppure la sua voce tremò lo stesso quando disse, “Anche tu mi piaci Jamie. Mi piaci un sacco”.

Jamie si allontanò da lui e Rick si alzò in piedi, camminando verso Kate che era ancora a guardarli dal bancone. Dovette schiarirsi la gola prima di essere in grado di parlare di nuovo, lo aiutò il sorriso sulle labbra di lei.

“Quindi”, sospirò lui.

“Si?”, lei alzò un sopracciglio.

“Meglio che vada”, iniziò di nuovo. “La cena sembra quasi pronta”.

“Va bene”, annuì e lo guardò voltarsi verso la porta per prendere le scarpe, mentre Jamie arrivò correndo verso di loro e prima che Kate se ne rendesse conto, le parole erano già uscite dalla bocca senza il suo permesso, “Vuoi restare a cena?”.

Entrambi si fissarono sorpresi.

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Capitolo 17
*** Indovina chi viene a cena ***


Jamie fu la prima a parlare mentre arrivò correndo verso Rick, tirandolo per i pantaloni, "Si ti plegoo".

Era ancora sotto shock quando guardò Kate e dall'espressione che aveva sul viso, capì che lei non aveva davvero avuto intenzione di chiederglielo. Lui voleva rimanere, davvero, ma non se questo significava riportare l'imbarazzo tra di loro.

Guardò in basso verso la figlia, che ancora gli stava tirando i pantaloni, e poi di nuovo verso il viso attonito di Kate, "Non lo so tesoro". Si inginocchiò, portando i suoi occhi a livello della bambina, "Si sta facendo tardi". Capì che rimase delusa, ad essere onesto lo era anche lui, gli sarebbe veramente piaciuto rimanere. Riportò gli occhi su Kate, dicendole silenziosamente che la decisione spettava a lei.

Lei prese un respiro profondo, a cosa diavolo stava pensando? Era troppo, non poteva, però poi guardò Jamie, a come era attaccata al braccio di Rick mentre lui era ancora inginocchiato davanti a lei. Sua figlia voleva che lui rimanesse e tutto questo lo stavano facendo per Jamie, dopotutto. Così prese tutto il coraggio che aveva in corpo e disse, "Non ho fatto niente di che, ma sei il benvenuto se vuoi rimanere".

Kate riuscì a leggere la domanda inespressa negli occhi di lui, ne era sicura? No che non lo era, per nulla, eppure annuì. "Forza voi due", forzò un sorriso sulle sue labbra, "Potete apparecchiare insieme".

Padre e figlia lavorarono insieme, Castle si assicurò di passarle solo cose leggere, che Jamie fosse in grado di portare in tavola, tovaglioli e cose simili, solo questo. Ad ogni piatto e bicchiere che veniva sistemato sulla tavola il cuore di Kate iniziò a calmarsi, aveva i nervi più distesi, poteva farcela.

Ma poi si fermò di colpo mentre stava portando delle verdure in sala da pranzo, il tavolo apparecchiato per tre, e improvvisamente realizzò che era la prima volta che vedeva le cose sotto quel punto di vista.

Castle notò la sua esitazione e dopo essersi assicurato che Jamie fosse sicura nel seggiolone, camminò verso di lei, prendendo la ciotola di verdure dalle sue mani, "Kate?".

Lo guardò, non sapendo cosa dire. La preoccupazione negli occhi di lui era così tanta che si chiese come faceva. Come riusciva a leggerla così bene?

"Se questo è troppo", disse piano cosicché Jamie non lo sentisse, "Dimmi solo una parola e vado via. A me va bene, davvero". E proprio quando lui pensò che si stesse davvero rimangiando la proposta, sentì una mano calda e sicura sul braccio, il suo viso tornò nuovamente disteso quando disse le successive parole.

"No, perfavore resta". 

Lui annuì semplicemente, portando le verdure in tavola e aspettando che Kate si unisse a loro.

Kate li osservò durante la cena, vide come Castle aiutò Jamie con la carne, tagliando tutto in piccoli pezzetti, assicurandosi che avesse tutto ciò di cui aveva bisogno. Sua figlia parlò senza freni su tutto e su niente, e gli occhi di Castle che brillavano ogni volta che la guardava erano abbastanza per ripetersi il suo mantra. Ce la poteva fare.

"È veramente buono", Castle le sorrise dopo il secondo boccone. Non era niente di che come aveva già detto lei, ma per lui era meglio di qualsiasi altra cena costosa che avesse mai consumato in uno dei migliori ristoranti di New York.  

—————————————————

Alla fine della cena Kate era riuscita a rilassarsi, sebbene non ci fosse stata molta conversazione tra di loro. Eppure Kate aveva sorriso alle storielle che Castle aveva raccontato per intrattenere Jamie e lentamente cominciò a realizzare che in fondo non era una cosa così spaventosa come si era immaginata nella testa. In realtà era stato bello avere qualcuno a cena, era bello avere lui, lì con loro. Lui non riempiva tutti gli spiragli con la sua presenza, non le rubava l’aria come aveva temuto, era perfetto.

Kate pensò che avrebbe cercato di rimanere dopo cena, ma dopo che Castle l’aiutò a sparecchiare, abbracciò Jamie ancora una volta e si diresse verso la porta d’ingresso, con Kate al suo fianco.

“Ho promesso ad Alexis che stasera avremo visto un film insieme”, spiegò lui mentre si stava mettendo le scarpe che erano ancora bagnate, scricchiolando a ogni passo che faceva.

Kate sorrise a sentire quella frase, “Beh allora spero vi divertirete”.

“Grazie”, erano di nuovo uno di fronte all’altra, improvvisamente Rick tornò nervoso, “E grazie per oggi Kate”.

Lei si strinse nelle spalle, il sorriso ancora sul suo viso quando Jamie corse al suo fianco, tirandole la gamba. Dopodiché se ne andò subito e tornarono soli, lui si abbassò posandole un bacio sulla guancia, “Mi chiami?”, chiese senza aspettare la risposta. Sapeva che l’avrebbe fatto. Fece un occhiolino a Jamie e poi chiuse la porta dietro di lui, lasciando un’attonita e sconvolta Kate in mezzo al suo corridoio.

———————————————

Entrò in casa quasi saltellando, la madre alzò un sopracciglio scettico alla vista del suo arrivo allegro.

“Qualcuno è di buon umore”, osservò, mettendo da parte la rivista che stava leggendo, in attesa che il figlio si sedesse accanto a lei. “Sei tornato più tardi di quanto mi aspettassi”, dichiarò, con un’espressione di attesa sul viso.

“Beh abbiamo trascorso il pomeriggio a casa di Kate per la pioggia e poi mi ha invitato per cena”, sembrava un bambino di cinque anni durante il giorno di natale, la felicità gli sprizzava da tutti i pori.

“Richard, questo è magnifico”. Martha rimase a bocca aperta per la sorpresa. “Sono così felice che stia andato tutto così bene”.

“Si”, annuì. “E’ stato un giorno perfetto e le cose possono andare solo a migliorare. Dov’è Alexis?”

“Sono qui papà”, esclamò Alexis scendendo dalle scale e per un secondo Castle temette avesse ascoltato la loro conversazione. Ma lei corse verso di lui, saltandogli addosso, senza fare domande su dove fosse stato.

“Possiamo ordinare la pizza?”, chiese invece, e Castle annuì anche se in realtà non aveva fame.

“Certo zucca. Cosa vuoi?”.

“Funghi e ananas”, disse.

“Ewwww, ananas”, Castle arricciò il naso.

“Amo l’ananas”, Alexis mise il broncio, incrociando le bracca davanti al petto.

“Sei sicura di essere mia figlia?”, sorrise lui, cominciando a farle il solletico.

“Papà!”, strillò, cercando di allontanarsi da lui mentre si stava contorcendo con le braccia.

Alla fine la lasciò andare, “Prendi il telefono, e ananas sia”, rise prima di girarsi verso sua madre, “Resti?”.

“Se mi volete”, sorrise guardando Alexis che stava tornando con il telefono in mano.

“Si perfavore nonna”.

“Va bene, va bene, ma niente ananas per me”, Martha rise, abbracciando sua nipote mentre suo figlio prese il telefono per chiamare la pizzeria.

Si sedettero davanti alla tv mezz’ora dopo, Mary Poppins in tv mentre si gustavano loro pizza. Anche Castle finì tutto nonostante la cena che aveva già fatto da Kate.

Dopo che ebbero finito, Alexis si accoccolò al fianco di suo padre, la mano di lui le accarezzava i capelli e le braccia della figlia lo avvolsero intorno alla vita, “Papà hai uno strano odore”, disse improvvisamente, allontanandosi e annusando la camicia.

“Cosa? Puzzo?”, Castle si mise a sedere un po' più dritto, cercando di annusare i suoi vestiti.

“No, ma i vestiti hanno un odore diverso”, dichiarò la figlia dandogli uno sguardo interrogativo.

“Aaaah”, non sapeva cosa dire. Kate doveva aver messo qualcosa di profumato nell’asciugatrice. Di solito lui non usava profumi. “Sono stato da Macy e sai, una di quelle ragazze del reparto profumeria mi ha cercato di vendere tantissimi profumi”.

Fortunatamente per lui, Alexis sembrava soddisfatta della risposta, concentrandosi di nuovo sul film. La madre lo osservò, sapeva che non era la vera storia.

Dopo, mimò con la bocca sopra la testa di Alexis, ritornando poi al film. Sua madre avrebbe amato la storia dei pantaloni di paternità.

Quando finì il film, Alexis era già addormentata sul petto di Castle. Tentò di prenderla in braccio con cura, ma lei si svegliò e sbadigliò, “Il film è finito?”, chiese assonnata.

“Si zucca”, ridacchiò. “Mary Poppins è finita e tu devi andare a letto”.

“Va bene”, mormorò, nascondendo il viso nel suo collo.

“Dì buonanotte a tua nonna”, Martha si abbassò verso di lei cosicché Alexis potesse darle un bacio, e poi si alzò dal divano.

“Mi piacciono le serate tra di noi”, disse Alexis chiudendo gli occhi, “Tutti insieme”. 

Castle alzò gli occhi per trovare quelli di sua madre, sapendo che c’era qualcuno che mancava nella famiglia, ma sua madre scosse la testa, con un sorriso sul volto. Presto, gli disse senza dover usare le parole. Succederà presto.

—————————————————

Kate mise Jamie a letto dopo averle letto una storia e dopo averla sentita dire cento volte quanto si fosse divertita con Rick.

“Mami?”, Jamie abbracciò il suo cuscino, non ancora addormentata, aprendo gli occhi ancora una volta per guardarla con quei suoi due occhi azzurri.

“Si, uccellino?”, Kate si avvicinò, le sue dita accarezzavano i capelli della figlia.

“Mi piace Rick”, mormorò, come se non fosse sicura se le era permesso di dirlo ad alta voce. E come poteva, l’unico uomo che conosceva era Royce. E Royce non era mai andato a casa loro per giocare insieme a lei.  Non c’era da meravigliarsi se fosse un po' confusa riguardo questo nuovo uomo che era entrato nella sua vita. Per la prima volta Kate iniziò a dubitare di aver preso la decisione giusta, non dicendole subito chi fosse realmente Castle. Come poteva sua figlia capire perché fosse entrato nelle loro vite?

“E’ ok, tesoro”. Disse Kate, decidendo che adesso non era ancora il momento giusto per dirle che Rick era suo padre. Non senza di lui, gliel’aveva promesso ed era intenzionata a mantenere la sua promessa. E forse, se era onesta con se stessa, era spaventata a farlo da sola.

La bambina annuì, alzando gli occhi pieni di speranza verso sua madre.

“Va più che bene Jamie. E va bene se vuoi giocare con lui”, aggiunse Kate.

“Mama piace Rick?”.

Oh. Come avrebbe dovuto rispondere? C’era una risposta a questa domanda?

“Si, anche a mamma piace molto”, si sentì dire prima di realizzarlo, si sorprese pure lei, rendendosi conto che era vero. A lei piaceva lui.

“Okay”, mormorò Jamie, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi all’istante con un bellissimo sorriso sul viso. 

Kate rimase seduta accanto a lei un po' più a lungo. Le piaceva davvero. E ora?

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Routine ***


Nelle successive tre settimane adottarono una sorta di ritmo, ancora un po' instabile, ma diventava sempre più forte ogni giorno che trascorrevano insieme. Castle poteva dire che Kate si sentiva più a suo agio con lui, più aperta e più disponibile ogni volta che lo incontrava. Non riusciva a non sorridere pensando a quanto sua madre avesse ragione. Tutto quello che serviva era un po' di pazienza e un po' di tempo, poi il resto sarebbe venuto da solo.

Castle e Jamie erano inseparabili, il legame tra loro era già così forte che Kate, anche se avesse voluto, non poteva e non riusciva a fare finta di niente. Jamie era pazza di Castle e sapeva che anche lui lo era di lei, Kate lo poteva vedere nei suoi occhi ogni volta che la guardava.

Alexis era tornata a scuola circa una settimana prima, e questo rese un po' più difficile gli incontri tra Castle e le due Beckett, dato che la rossa era abituata ad averlo a casa tutti i pomeriggi e tutte le sere, mentre dall’altro lato quello era l’unico periodo che Kate aveva disponibile per farli incontrare. E non poteva chiedere di farsi cambiare i turni. Montgomery con lei era già meno duro che con tutti gli altri colleghi, non dandole i turni di notte. Ancora non aveva idea di come fosse stata fortunata ad avere un capitano del genere.

Kate sapeva che la madre di Castle l’aveva aiutato a coprire molte uscite e sapeva anche che Castle temeva fosse solo questione di tempo prima che Alexis iniziasse a insospettirsi e a fare domande. Lei lo capiva, non voleva farla soffrire in nessun modo, doveva pensare pure a lei e così Kate gli aveva detto che avrebbero parlato con Jamie molto presto, non specificando bene quando, rimandava sempre l’inevitabile. Si rese conto che l’aveva ferito con la sua non decisione, dal momento che aveva accettato in silenzio, così come aveva accettato ogni sua singola decisione fin dall’inizio, anche quando non era d’accordo.

Qualche giorno prima, al parco, il segreto stava per essere rovinato quando un’altra madre aveva detto a Castle quanto sua figlia fosse adorabile, e lui in risposta accennò solo un sorriso. Jamie non notò la cosa e Kate ne fu sollevata, questo non era sicuramente il modo in cui voleva che Jamie scoprisse chi fosse realmente Castle.

Ma Kate sapeva che non poteva rinviare troppo la cosa, anche Cynthia stava iniziando ad insospettirsi visto che c’era sempre una nuova storia su Rick. E non poteva fermare sua figlia nel raccontare le cose. La verità doveva venire fuori, il più presto possibile. Kate iniziò a venire a patti con questo.

Iniziò a pensare al come e al quando, seduta al suo tavolino da caffè, mentre stava lavorando ad alcuni file che si era portata da lavoro. Cynthia non era libera nel pomeriggio a causa di un’emergenza e così Montgomery aveva accettato di lasciarla andare a casa prima, con poco preavviso, ma solo se si fosse portata del lavoro con lei.

Il problema era che Jamie non la lasciava lavorare, richiedendo la sua attenzione, e Kate stava lentamente perdendo la pazienza. Sapeva che non era colpa di Jamie. Ovviamente desiderava giocare con sua madre, anche perché non succedeva spesso di vederla così presto a casa, ma lei aveva bisogno di finire in lavoro in giornata.

“Uccellino mi dispiace ma mamma ha del lavoro da fare”, disse a sua figlia per la quinta volta, e il broncio di Jamie aumentava sempre di più.

“Mami”, si lamentò e Kate poté vedere le lacrime di rabbia che erano sul punto di uscire, era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento. “Chiama rick”. Non era una domanda, era un’affermazione.

“Jamie, non posso chiamarlo e e aspettarmi che lui venga. Potrebbe avere altri impegni”, cercò di far ragionare la figlia.

“Chiama Rick”, disse nuovamente Jamie, prendendo il telefono.

“Jamie”, ritentò Kate, ma la bambina le posò il telefono in grembo.

“Chiama Rick”.

Kate sospirò, prendendo il telefono. Poteva fingere di chiamarlo, ma poi ci ripensò, forse sarebbe stato in grado di venire. Altrimenti Jamie avrebbe dovuto aspettare domenica prima di rivederlo. Prendendo un respiro profondo, cedette. Perché no? Poteva almeno provare.

——————————————-

Rick era bloccato dietro la sua scrivania, a scrivere. Era riuscito a comporre una sorta di mezzo capitolo prima che l’ispirazione se ne andasse. Sua madre aveva portato via Alexis per tutto il giorno, sapendo che doveva cominciare a scrivere il prossimo Derrick Storm se voleva almeno finirlo entro l’anno prossimo. E Alexis era una distrazione troppo grossa.

Ma quando il suo telefono squillò, fu come un segno dell’universo che gli diceva che per quel giorno aveva finito, magari si sarebbe unito a sua madre e ad Alexis.

“State parlando con il bellissimo e affascinante Richard Castle, come posso aiutarvi?”, disse, pieno di sé.

“Sei serio?”, fu la risposta secca dall’altro capo del telefono.

“Kate?”, si raddrizzò sulla sedia, quasi cadendo, mentre tentava di ritornare serio. Perché cavolo aveva risposto al telefono in quel modo?

“Non ti vanti più eh”, poté sentire il sorriso nella sua voce. Bene, quindi non era successo niente a Jamie.

“Ma rimango sempre affascinante”, se ne uscì con una risposta rapida e intelligente.

“So che è improvviso”, andò dritta al motivo della sua chiamata, “Ma c’è qualche possibilità che tu possa venire?”.

“Adesso?”, chiese perplesso.

“Va benissimo se non puoi, ma sono bloccata a casa con del lavoro da fare e Jamie è annoiata e chiede di te”. Spiegò lei, prima di iniziare a mordersi il labbro inferiore.

“Si, no. Arrivo”, rispose in fretta, già dirigendosi verso la porta d’ingresso.

“Sei sicuro?”, chiese, “E Alexis?”.

“E’ con mia madre oggi, quindi veramente, non ci sono problemi. Arrivo tra poco a prendere il piccolo terremoto”. Il sorriso di Rick era così luminoso che avrebbe potuto illuminato l’intero emisfero. Lo aveva chiamato per chiedere aiuto. Si sentiva l’uomo più fortunato del mondo in questo momento.

“Grazie Castle. Lo apprezzo molto”. Disse piena di gratitudine.

“Quando vuoi, Kate. Quando vuoi”.

——————————————————————

Arrivò a casa loro in tempo record e non appena la porta si aprì, Jamie era già tra le sue braccia, urlando felicemente.

“Rick!”, esclamò la bambina, le sue piccole braccia intorno al suo collo e lui cercò di non fare cadere il caffè che aveva portato per Kate.

“Whoa, hey ranuncolo”, rise, quel nomignolo gli era uscito senza pensare. “Sei così felice di vedermi?”.

“Mami è noiosa”, Jamie sbuffò, non lasciandolo ancora andare. 

“Hey Kate”. Le sorrise calorosamente, felice di vederla sorridere allo stesso suo modo verso di lui.

“Hey, grazie per essere venuto”.

“Di niente”, annuì. “Oh, ti ho portato il tuo caffè. Ho pensato che ne avessi bisogno”.

Il suo caffè? Dopo averle portato il caffè ogni volta nelle passate tre settimane, lei stava iniziando ad accettare che era diventata una cosa loro. E si che ne aveva bisogno, non aveva idea di quanta caffeina avesse bisogno in quel momento.

Raggiunse il bicchiere che le stava allungando e ne prese subito un sorso, “Grazie Castle”.

Lui annuì di nuovo, “Quindi, cosa vuoi che facciamo? Vuoi che ti lasciamo sola per finire meglio di lavorare? Posso portare Jamie fuori”. Suggerì lui.

Kate lo guardò con occhi spalancati, lui non aveva mai trascorso del tempo da solo con Jamie, era sempre stata con loro. Era un grande passo e a giudicare dalla sua espressione speranzosa, lo era anche per lui, però il momento era arrivato. Nelle ultime settimane aveva più volte dimostrato che si poteva fidare di lui, realizzò che era passato più di un mese ormai, più di un mese dal giorno che si erano incontrati per caso di fronte al distretto. Erano cambiati tanto da quel giorno. Ed era arrivato il momento di dargli qualcosa in cambio, così dopo aver preso un respiro profondo annuì, “Sarebbe fantastico, si”.

“Ogni suo desiderio è un ordine”, Rick si inchinò, fingendo di far cadere Jamie e prendendola giusto in tempo, facendo ridere e crepapelle la bambina. “Scarpe?”, guardò in basso verso sua figlia , vedendo che era già pronta per uscire di casa.

“Tornate per le sei?”, chiese Kate. “La cena sarà pronta”.

Castle annuì, “La porto per quell’ora”.

“No”, prese un respiro nervoso, scuotendo la testa, “Voglio dire, puoi rimanere a cena, se vuoi”.

“Va bene, mi piacerebbe molto”, annuì lentamente.

“Allora ci vediamo alle sei. Divertitevi voi due”.

Quando la porta si chiuse dietro di loro, Kate si appoggiò al muro. Cosa stava facendo? Giocava alla famiglia felice con lui? Sospirò, scuotendo la testa. No, stava solo facendo la carina perché oggi l’aveva aiutata. Era la cosa giusta da fare, niente di più.

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Uscì immediatamente da casa sua per paura che potesse cambiare idea da un momento all’altro e invece ora stava correndo. Jamie era felicemente seduta sulle sue spalle, stringendogli la testa con le sue piccole braccia, mentre lui stava correndo verso l’appartamento di Kate. L’ultima cosa che voleva, era essere in ritardo. Gli aveva dato fiducia e voleva farle capire che aveva fatto la cosa giusta. Quindi non si sarebbe preso quindici minuti in più, per quanto fosse tentato.

Kate li fece entrare quando l’orologio segnava cinque minuti alle sei, sorridendo alle due facce felici che la stavano salutando.

“Appena in tempo, la cena è quasi pronta”, sorrise, prendendo Jamie dalle spalle di Rick. “Vi siete divertiti?”.

“Si”, Jamie annuì energicamente. “Guarda”. Le indicò il libro che Rick stava tenendo tra le mani.

“Un nuovo libro?”, chiese Kate, gli occhi sorpresi in quelli di Castle.

“L’ho portata in libreria”, si strinse nelle spalle. “Sembrava stesse iniziando a piovere, quindi ho pensato fosse meglio fare qualcosa al chiuso”.

“Bene”, Kate sorrise, scompigliando i capelli di Jamie. “Puoi aiutarla a lavarsi le mani?”.

“Certo”, annuì e si incamminò verso il bagno, mettendo nuovamente Jamie sulle spalle mentre si abbassava accuratamente sotto lo stipite di una porta, in modo da non farle battere la testa.

Kate li osservò divertita prima di tornare in cucina e preparare le ultime cose per la cena.

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“Quindi, come è andata alla libreria?”, chiese Kate, riempiendo il piatto di Castle di patate.

“C’è quel bellissimo posto sulla 23esima, è piccolo ma ha una bella sezione per bambini”. Disse lui.

“Oh si, lo conosco. Io e Jamie ci siamo già state, hai ragione, è un posto molto carino”.

Castle prese il piatto, continuando, “Abbiamo letto un paio di libri e poi le ho lasciato scegliere uno per portarlo a casa. Spero sia ok”, per un secondo sembrava impaurito dalla reazione che avrebbe potuto avere, era solo un libro ma con Kate non si poteva mai sapere.

“Certo che è ok”, lo rassicurò velocemente prima di passare a Jamie. “Amore hai ringraziato Rick per il libro?”.

Sua figlia annuì, continuando a mangiare le sue verdure e guardando Rick.

“Lo ha fatto”, confermò lui, facendo l’occhiolino a Jamie.

Un silenzio confortevole cadde intorno a loro, si stavano tutti godendo la cena quando Kate se ne uscì con una domanda personale. Fino ad ora si erano fermati su temi leggeri o gli aveva chiesto a proposito di Alexis, niente di più.

“Quindi, Rick, essendo uno scrittore”, lo guardò, “Che tipo di libri leggi?”.

“Beh, devo ammettere che leggo di tutto, passo dai classici ai libri spazzatura e naturalmente quelli degli altri scrittori di gialli. Devo vedere come si comporta la concorrenza”.

Sembrava divertita, i suoi occhi erano arricciati dalla gioia, “E chi è il tuo più grande avversario?”.

Rifletté alla domanda prima di rispondere, “Patterson, Connelly, Cannel e Lehane”.

“Buone scelte”, annuì Kate.

“Sei una fan?”.

Kate guardò in alto, un po' sorpresa, “Mia mamma, mia mamma amava i libri gialli”. Disse, un po' troppo triste per i suoi gusti.

“Amava?”, la sua voce era dolce, gli occhi fissi in quelli di Kate.

“Non c’è più”. Era tutto quello che riuscì a condividere in quel momento, in realtà era già più di quello che condivideva solitamente, nemmeno Cynthia lo sapeva.

Non lo stava guardando e quindi non vide la mano di lui raggiungere le sue dita per poi stringerle gentilmente.

“Mi dispiace”.

Fu sorpresa nel constatare quanto in realtà fosse stato confortante quel gesto, “Già, grazie”, mormorò prima di spostare la mano e portarla sul suo grembo. Era troppo, aveva bisogno di tornare in acque più sicure.

“Quindi, Patterson?”, era pietosa e lo sapeva, ma sperava solo che capisse che non voleva più parlarne.

La guardò con quei suoi due occhi blu e guardandoli lei pensò che riuscisse a leggerla dentro, o forse ci riusciva davvero, perché le fece un piccolo cenno con il capo come dirle che aveva capito. “Si Patterson, mi ha da poco invitato ad unirmi a lui e a tutti gli altri per giocare a poker”.

Kate riuscì a mettere uno sguardo eccitato sul suo viso, riuscì a sembrare impressionata, “Wow, è un onore, direi”.

“Credo di si, ma forse vogliono solo rubarmi le idee”, lui fece una smorfia e lei rise, l’ansia sparì.

“Mami?”, chiese Jamie, subito ottenendo l’attenzione di sua madre. “Stoia dea buonaote?”.

Kate rimase sorpresa, “Certo, lo sai che ti leggo sempre una storia prima di andare a dormire”.

Ma Jamie scosse la testa, “No Rick”.

“Oh”, gli occhi di Kate tornarono su Castle che sembrava altrettanto sorpreso. “Non lo so tesoro. Devi chiedere a Rick se ha tempo dopo cena”.

“Rick?”, Jamie spostò i suoi occhi speranzosi su di lui.

Lui guardò rapidamente Kate che con la testa gli diede un permesso silenzioso, prima di ritornare sulla figlia, “Mi piacerebbe molto”.

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Capitolo 19
*** Papà orso e orsetta ***


Kate era sparita con Jamie in bagno mentre Castle si offrì di lavare i piatti. Naturalmente Kate si era opposta, dicendo che non era necessario, l’avrebbe fatto lei più tardi, ma Castle aveva insistito. Era il minimo che potesse fare dopo aver preparato la cena per tutti loro. Alla fine Kate accettò. Se voleva davvero fare i piatti, non lo avrebbe fermato. Lei sorrise quando finalmente gli consegnò l’asciughino, arrendendosi.

“Rick?!”, Jamie tornò correndo in cucina, vestita con il suo pigiamino e con il libro comprato da Rick stretto al petto. Kate seguì la scia della figlia, ridacchiando per l’evidente entusiasmo di Jamie. Aveva avuto problemi a tenerla in bagno il tempo necessario per prepararla per andare a letto, non riusciva a stare ferma un attimo.

“Pronta per la nanna?”, le domandò Castle, guardando divertito le due donne mentre si appoggiò al bancone, togliendosi l’asciughino dalla spalla. 

“Si”, urlò Jamie, tendendo le braccia verso di lui.

Lui subito la prese in braccio, mettendola al suo fianco per poi puntare i suoi occhi verso quelli di Kate.

“In fondo al corridoio a destra”, rispose alla sua domanda inespressa, indicando la direzione del bagno che si trovava in mezzo a due porte, una a destra e una sinistra, pensando che sicuramente erano le due camere, “Io devo finire alcune cose di lavoro, se per te va bene”.

“Certo”, annuì. “Ti unisci a noi quando hai finito?”.

“Si, non mi ci vorrà molto”. Rispose, i loro occhi si incontrarono, caldi e felici, le ci volle un po' per spostare lo sguardo lontano da lui, “Vado..”, indicò in direzione del salotto.

“E noi andremo…”, lui indicò la direzione opposta.

“Si”, sospirò lei. Questo stava diventando ridicolo e quasi non gli si mozzò il fiato quando Kate si avvicinò a lui, per un secondo pensò che lo stesse per baciare, invece si avvicinò alla bambina, lasciandole un dolce bacio sulle labbra, “Fai la brava uccellino. Vengo tra poco”.

“Ok mami”, Jamie annuì, sistemandosi meglio sul petto di Castle, il cui cuore stava ancora battendo all’impazzata. Seriamente, cosa non andava in lui? Perché avrebbe dovuto baciarlo?

Era sicuramente meglio mettersi al sicuro e andare fuori dalla zona di pericolo, così finalmente si incamminò verso la camera da letto di Jamie.

Una volta lì, mise Jamie a terra e subito iniziò a mostragli la sua stanza. Gli presentò tutti i suoi peluches e Castle capì subito conto che il signor Squibbles, la scimmia, era probabilmente il più importante.

Su una parete della camera da letto c’era un disegno di alcuni orsetti che giocavano e si chiese se l’avesse fatto Kate, da sola, si mise da parte la domanda per poi fargliela direttamente. Sul soffitto, sopra il letto di Jamie, c’era disegnato un cielo stellato, Jamie gli chiese di spegnere le luci, lui utilizzò un interruttore di una lampada sul comodino e improvvisamente si ritrovarono sotto un tetto di stelle danzanti. Jamie ritornò al suo fianco, prendendogli la mano mentre lui guardava ancora estasiato le luci che si muovevano per la stanza. Era bellissimo.

“E’ stupendo”, esclamò lui, sentendo Jamie tirarlo per la mano, voleva essere ripresa in braccio.

“Mami fato tutto”, spiegò lei una volta tornata tra le sue braccia, appoggiando la testa alla sua. E per un momento, chiuse gli occhi per trattenere tutte le emozioni che stavano fluttuando dentro di lui come un vortice.

“Stoia?”, chiese finalmente sua figlia e Castle fu grato della distrazione, potendo focalizzare l’attenzione su qualcos’altro che non fosse sua figlia tra le sue braccia. Spense le luci e prese il libro dal letto dove Jamie l’aveva lasciato, prendendo anche il signor Squibbles e passandolo alla bambina. Castle si mise a sedere sulla grande poltrona che vide in un angolo della camera. Jamie si sistemò comodamente nel suo grembo, accoccolandosi, mettendo la testa sul suo petto mentre lui l’avvolse saldamente con un braccio mentre cercava di calmare il suo cuore in corsa, prima di iniziare finalmente a leggere.

Ecco come Kate li ritrovò mezz’ora dopo, quando si incamminò silenziosamente verso la camera di Jamie. Si fermò sulla soglia, nascosta per metà dall’ombra del corridoio e li osservò mentre Castle era intento a leggere la storia alla figlia.

La sua voce era calda e bassa, portava in vita i personaggi in un modo che non aveva mai sentito prima. C’era una parte di lei che si chiese come sarebbe stato averlo lì a leggere i libri ogni sera, ma in quel momento era troppo distratta dalla visione dinanzi a lei. Sua figlia cullata nell’abbraccio di suo padre, aggrappandosi a ogni parola che usciva dalle sue labbra, come ipnotizzata.

“Quando papà orso e orsetta tornarono alla loro tana dopo una lunga e avventurosa giornata, orsetta aveva una domanda da fargli”, lesse Castle, prima di alzare un po' il tono di voce. “Papà orso, perché sei venuto a cercarmi?”, la voce di Castle si abbassò, quando lesse la risposta di papà orso, “Perché i padri ci sono sempre per i loro figli. Non importa cosa possono aver fatto, quanto male possono essersi comportati. Papà orso ci sarà sempre per orsetta”.

Jamie sospirò quando Castle lesse la risposta di orsetta, avvicinandosi ancora di più al suo petto, “Ti amo, papà orso”.

Castle guardò in basso verso sua figlia, la voce colma di emozione quando lesse le ultime parole di papà orso rivolte a orsetta, “E papà orso amerà sempre orsetta”.

Era una dolce storia sull’amore di un padre per il figlio e Castle prese un respiro profondo quando chiuse il libro, mettendolo sul pavimento vicino a lui e trovando gli occhi di Kate sulla soglia della porta, “Fine”. Sussurrò, chiedendosi da quanto fosse lì.

Calò il silenzio mentre tutti sembravano persi nei loro pensieri, finché la mano di Jamie non afferrò la camicia di Castle, tirandola finché lui non la guardò. Trovò qualcosa negli occhi della bambina che gli fecero fermare il cuore, per poi farlo ripartire all’impazzata, “Rick papà?”.

Lui deglutì a vuoto mentre non riusciva quasi più a respirare. Non poteva star chiedendo quello che lui stava pensando, che sperava. Forse la storia aveva smosso qualcosa in lei, forse sentiva il loro rapporto forte tanto quanto lui? Le settimane passate erano state…non sapeva nemmeno come definirle.

“Sono un papà, si”. Rispose nel miglior modo che poteva fare, i suoi occhi si incollarono a quelli di Kate che invece li aveva spalancati dallo shock realizzando cosa stava per accadere. Si spinse fuori dalla porta, sfrecciando verso la figlia.

“Mio papà?”, la voce di Jamie era così piccola, tranquilla e colma di speranza, con gli occhi pieni di lacrime.

Lui alzò la testa di scatto, vedendo che Kate si era già inginocchiata di fronte a loro. Cercò il suo viso per avere un segnale di quello che avrebbe dovuto fare e quando la vide annuire, il cuore di lui si fermò. Era giunto il momento, era arrivato.

Prendendo un respiro profondo, strinse un po’ di più Jamie contro lui e fece uscire quelle parole che aveva desiderato far uscire da tanto, “Si Jamie, sono il tuo papà”.

Il silenzio riempì nuovamente la stanza, Kate prese la mano di sua figlia, in attesa della sua reazione, ma Jamie rimase in silenzio. Kate si avvicinò, le sue ginocchia toccavano le gambe di Castle, mentre cercava di valutare la reazione della figlia alla notizia.

“Uccellino, capisci cosa significa?”, chiese finalmente Kate dolcemente, ma Jamie rimase in silenzio, evitando lo sguardo di sua madre che guardò Castle impotente. Non sapeva cosa fare e, dallo sguardo di lui, nemmeno Castle lo sapeva.

Ma poi disse la prima cosa che gli passò per la testa, come faceva sempre, sapeva che questo comportamento l’aveva messo nei guai più di una volta, ma che altro poteva fare?

“Va bene per te Jamie? Che io sia il tuo papà?”, chiese gentilmente, mettendo il suo dito indice sul naso della figlia, ricordandosi che Kate lo faceva spesso.

Jamie alzò gli occhi, lo studiò, “Come papà orso?”, chiese esitante, con gli occhi timidi, ma Castle sapeva esattamente quello che voleva dire.

“Si, da questo momento ci sarò sempre per te, come papà orso e come la tua mamma”.

“Okay”, Jamie disse semplicemente, senza chiedergli dove fosse stato fino a quel momento. Ma sapeva che quel giorno sarebbe arrivato. Sarebbe cresciuta e un giorno gli avrebbe chiesto dov’era stato i primi due anni della sua vita, ma in questo momento non aveva importanza. Lo sapeva, finalmente lo sapeva e non doveva più fingere. Abbassò la testa, lasciando un dolce bacio sui capelli di Jamie.

“Sempre Jamie, te lo prometto”.

Sentì le dita di Kate stringersi attorno alla sua mano sinistra, quasi dolorosamente, facendogli spostare lo sguardo su di lei. C’erano lacrime nei suoi occhi, non sapeva se era un buon segno o un brutto segno, ma prima che potesse pensarci ancora, lei si alzò.

“Forza uccellino, è tempo di andare a letto”. Disse incamminandosi verso il letto di Jamie e tirando giù le coperte, conoscendo la bambina era troppo stanca per elaborare veramente questo importante cambiamento nella sua vita. Castle si alzò lentamente con Jamie assonnata tra le sue braccia, la portò verso il letto e la mise delicatamente giù.

“Buonanotte ranuncolo”, sussurrò, e le piccole braccia di Jamie avvolsero il suo collo, tirandolo giù e lasciandogli un dolce bacio sulle labbra.

“Notte papà”, mormorò nel suo collo, e poi lo lasciò andare, aspettando il bacio di sua madre.

“Dormi bene, uccellino”, disse Kate a bassa voce prima di passare davanti a Castle, una mano sulla sua spalla mentre lasciava la stanza, dando ai due qualche altro minuto per stare da soli.

———————————————————-

Rick tornò in salotto, trovando Kate a guardare fuori dalla finestra, e il suo umore si abbassò un po' vedendola persa nei suoi pensieri.

“Kate?”, la sua voce era morbida quando annunciò la sua presenza.

E poi lo sorprese quando si girò, un dolce sorriso sulle sue labbra, “Hey”.

Fece un respiro profondo, facendo un passo verso di lei prima di tentare di formare un pensiero coerente, “E’ stato..”. Non trovava le parole.

“Inaspettato?”, lo aiutò a finire la frase, sorridendo. “Si lo è stato”.

“Ti va bene?”, chiese timoroso. “Voglio dire..”.

Lei si allontanò dalla finestra, incamminandosi verso il divano e solo in quel momento Rick notò i due bicchieri pieni di vino sul tavolino da caffè.

“Non è stato certamente il modo in cui mi aspettavo succedesse”, rispose lei, sedendosi sul divano e invitandolo a unirsi a lei. “Ma forse è meglio l’abbia capito da sola”.

“Già”, sospirò lui ancora sotto shock quando si lasciò cadere accanto a Kate.

“Hey”, stava per prendergli la mano ma poi l’allontanò timidamente, realizzando che c’era già stato troppo contatto tra di loro, specialmente tra due persone che solitamente non si toccavano. “Tu stai bene?”.

La guardò sorpreso. Non era mai stata preoccupata riguardo i suoi sentimenti. Sapeva che suonava male, ma era vero, fino ad ora era stato solo lui a preoccuparsi dei sentimenti di lei. Evitavano sempre discussioni che per lui erano importanti, ma forse da stanotte alcune cose sarebbero cambiate. Almeno ci sperava.

“Un po' sopraffatto”, ammise finalmente, realizzando che stava ancora aspettando una sua risposta.

“Ti posso capire”, rispose Kate a bassa voce.

“Cosa pensi gliel’abbia fatto capire?”, chiese lui, raggiungendo finalmente uno dei due bicchieri pieni di vino e prendendone un sorso, ne aveva davvero bisogno.

“Non lo so, forse la storia di papà orso”, disse lei, e lui spalancò gli occhi.

“Kate, io non..”, Dio, sperava non pensasse che avesse comprato il libro apposta per cercare di farlo capire a Jamie. “Giuro che l’ha scelto Jamie il libro”.

Non rispose, si alzò e basta, rimettendo il suo bicchiere sul tavolino e lasciandolo solo sul divano. Castle la vide attraversare la stanza, sembrava lo stesse evitando per prepararsi a una litigata. Era andata così bene fino ad ora. Perché doveva sempre finire in dramma? Perché stasera?

“Kate?”, provò di nuovo, notando che aveva qualcosa in mano mentre stava ritornando verso di lui.

“Lo so Castle, lo so”, sorrise, cercando di rassicurarlo. “In realtà devo ammettere che nostra figlia ti ha preso un po' in giro”.

Castle la guardò, “Come?”.

Kate rise, passandogli il libro che aveva recuperato in una delle scatole che contenevano i giocatoli di Jamie. Lo prese non sicuro di cosa Kate volesse dire, fino a quando non lesse il titolo.

“E’ il libro”, disse lui, guardandola sorpreso.

“E’ il suo preferito”, Kate alzò le spalle divertita. “Le hai comprato un libro che ha già”.

“No”, la fissò incredulo. “No”, ripetè, e poi la sentì ridere, tentando di nascondersi dietro alcune ciocche di capelli, ma tutto il suo corpo era scosso dalle risate. Dio, adorava quel suono.

“Non è divertente”, mise il broncio, lei lo guardò, incontrando i suoi occhi. “Forse un pochino”, ammise lui prima di sorriderle come un idiota. Cosa importava. Jamie lo sapeva, lei finalmente sapeva. Niente l’avrebbe più allontanato da lei, poteva preoccuparsi di tutto il resto domani.

“Quindi”, sospirò lei, “Adesso?”.

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Capitolo 20
*** Ritorno alla realtà ***


Castle la guardò con occhi spalancati mentre gli stava distruggendo le sue illusioni di poter vivere quel momento con leggerezza, con la felicità che aveva in ogni parte del corpo. L’intera giornata era stata troppo bella per essere vera e lui non voleva pensare al domani. Ma ovviamente Kate aveva ragione, dovevano discutere dei passi successivi, avevano molte cose di cui parlare. 

“Devo dirlo ad Alexis”, disse serio, mettendo il suo ormai bicchiere vuoto sul tavolino, questo non era più negoziabile. Non avrebbe tenuto Alexis all’oscuro di tutto per molto altro tempo.

Kate annuì lentamente, ma qualcosa sembrava infastidirla.

“Non sei d’accordo?”, chiese, e non poté non dirlo con tono nervoso. Pensava davvero che avrebbe aspettato ancora molto per dirlo a sua figlia? O anche per farle incontrare? 

Lei si affrettò a spiegare, “No, voglio dire, sono d’accordo nel dirlo ad Alexis, è arrivato il momento. E anche Jamie deve sapere di lei. Anche se penso sia meglio che sia tu a dirglielo”. Non riuscì a non notare il suo tono accusatorio, ma lei si trattenne dal sottolineare che era stata sua la decisione di non dirlo ad Alexis, lei non gliel’aveva mai chiesto, ma al momento era meglio non iniziare a discutere.

“Sento un però da qualche parte”, la guardò ancora scettico, le settimane passate l’avevano messo in allerta.

“Nessun però, ho fatto solo un suggerimento”, cercò di rassicurarlo.

“Kate”, la sua voce era seria, ne aveva davvero abbastanza di fare tutto con calma. E ora che Jamie sapeva non c’era nessun motivo di andare avanti in questo modo.

 “Ti prego, ascoltami”, fermò la sua protesta, gli occhi di lei non lasciarono i suoi, e lui si chiese dove fosse finita la donna che aveva conosciuto nelle ultime settimane. “Penso solo che sarebbe meglio per Jamie averti tutto per sé per una settimana o due, prima di incontrare Alexis”.

“Non sono sicuro di capire”, ammise lui, ma il suo porsi così apertamente lo rese più calmo e disposto ad ascoltarla.

“Ascolta, avere te, avere un padre, è tutto nuovo per Jamie. Non ha mai avuto una figura paterna o qualcosa di simile nella sua vita..”.

La fermò, non credendo a quello che aveva appena detto. “Intendi che non sei mai stata così  vicino a qualcuno da fargli incontrare Jamie? Non hai mai avuto..”. Sapeva che non aveva il diritto di chiederlo, ma questo lo sorprese. Era sicuro che una donna come Kate, beh, avrebbe avuto uomini in fila per averla, per uscire con lei. “Tuo padre?”, chiese lui, rendendosi improvvisamente conto che non l’aveva mai menzionato.

“Siamo sempre state io e lei”, semplicemente confermò i suoi dubbi, aggirando la domanda sul padre.

Solo lei e Jamie. Per qualche ridicolo motivo il suo cuore saltò di gioia quando realizzò che Kate non aveva permesso a nessuno di avvicinarsi a Jamie. Questa cosa rendeva più facile il pensiero di aver perso i primi due anni di sua figlia, sapere che nessuno aveva mai preso il suo posto, nemmeno per un secondo.

“In ogni caso”, continuò, “Questa è una cosa nuova per lei e sono un po' preoccupata che magari potrebbe diventare gelosa se aggiungiamo subito Alexis in tutto questo. Capisci? Non fraintendermi, lo faremo e sono sicura che Jamie sarà entusiasta di incontrare sua sorella, però meglio darle una settimana, forse due, da trascorrere solamente con te e capire come venire a patti con tutto questo”. Lo guardò con occhi esitanti, “Cosa ne pensi?”.

Castle si limitò a guardarla. Non aveva mai chiesto la sua opinione. Finora aveva deciso tutto lei e lui aveva obbedito. Ora, quando per la prima volta aveva voce in capitolo, realizzò che era d’accordo con lei. Jamie sembrò accettare gli sviluppi di quella sera, ma non c’erano garanzie che la mattina si sarebbe comportata allo stesso modo. Era tanto per una bambina di due anni, e forse anche Alexis avrebbe avuto bisogno di un paio di giorni per assimilare le nuove aggiunte alla famiglia. Questo probabilmente non era quello che aveva in mente quando gli disse di volere un fratellino.

“Penso che hai ragione”, lui annuì. “Dirò ad entrambe dell’altra, vedremo come reagiranno e poi quando entrambi penseremo che saranno pronte, le faremo incontrare”. Si assicurò di enfatizzare la parola entrambi. Proprio come sua madre gli aveva detto, entrambi dovevano imparare a gestire le cose insieme e sapeva che Kate aveva già fatto passi da gigante quella sera, era giusto dimostrare che lui voleva fare lo stesso.

“Sembra un buon piano”, Kate sorrise, prima di tornare seria di nuovo. C’era qualcos’altro che voleva dirgli. Sapeva che fin dall’inizio, era sempre stata una persona difficile da gestire, ma voleva che lui sapesse che aveva accettato tutto quello. Voleva sapesse che non solo stava accettando la sua presenza nella vita di Jamie, ma anche nella sua. C’era tanto, tanto altro che gli doveva, ma non era ancora pronta per quello. Quindi per ora gli avrebbe detto questo, sperando che sarebbe stato sufficiente.

“Castle”, e improvvisamente l’esitazione prese possesso della sua voce e della sua postura. “Voglio che tu sappia..”, non andò oltre perché entrambi scattarono in piedi, sentendo Jamie piangere.

Castle era dietro Kate quando lei si precipitò nella stanza della figlia, prendendo la bambina singhiozzante tra le braccia.

“Hey amore, è tutto ok. Mamma è qui”, provò a calmare la figlia, “Hai fatto un brutto sogno?”.

Sentì Jamie annuire nel suo abbraccio, alzò gli occhi verso Castle e vide che si spostò più vicino, cominciando ad accarezzare i riccioli di Jamie.

“Vuoi raccontarci il sogno?”, chiese lui, e solo in quel momento Jamie sembrò accorgersi della sua presenza. Le sue piccole braccia si allungarono subito verso di lui, e quando gli occhi di Castle incontrarono quelli di Kate, poté vedere quanto lei si sentì ferita, eppure gli passò delicatamente bambina che la vide aggrapparsi a suo padre come di solito faceva con lei.

Avrebbe mentito se diceva che non le faceva male, ma poteva accettarlo. Doveva abituarsi. Era una cosa nuova. 

“Uomini cativi, venivano per me e mama”, sussurrò Jamie nel suo collo e sentì Kate sospirare. Quindi non era la prima volta che sua figlia faceva questo sogno, i suoi pensieri furono confermati dallo sguardo di Kate.

“Hey Jamie”, le lasciò un dolce bacio sui capelli, aspettando che lo guardasse. “Ricordi cosa abbiamo imparato da papà orso?”.

Lei annuì piano.

“Avrebbe sempre protetto orsetta, o no?”, Castle aspettò che Jamie annuisse di nuovo. “E io farò lo stesso. Te lo prometto, non permetterò a nessuno di farti del male”, guardò Kate, “o di fare del male a tua mamma”. Sapeva bene che Kate non aveva bisogno della sua protezione, ma sentì che doveva includerla per rassicurare Jamie. Sperò solo che Kate non lo avrebbe rimproverato più tardi.

Gli occhi di Kate brillavano, il suo cuore si strinse a sentire le sue parole.

“Non se posso prevenirlo”, andò avanti, “E farò di tutto per mantenere la promessa. Qualunque cosa”.

Jamie annuì di nuovo e Castle la rimise delicatamente nel letto, rimboccandole le coperte. Quando alzò gli occhi vide Kate guardarlo con occhi dolci, brillava qualcosa di nuovo in loro, qualcosa che non aveva mai visto prima. Affetto?

“Grazie”, sussurrò lei. Era tanto tempo che qualcuno non la faceva sentire così al sicuro. Non aveva mai notato quanto le mancasse questa sensazione. Non che avesse bisogno fisicamente di protezione. Era una poliziotta, si poteva prendere cura di se stessa ma era stata da sola per così tanto tempo, che aveva dimenticato cosa significasse avere qualcuno vicino, cosa significasse non fare sempre tutto da sola. Era certa che Royce l’avrebbe sempre protetta, ma era differente, molto differente dalle promesse che Castle aveva appena fatto. E magari non era ancora pronta ad accettarle, non poteva nemmeno essere sicura che Castle lo volesse o che le avrebbe veramente mantenute, ma per Jamie, era più che pronta ad accettarle.

Aspettarono finché non furono sicuri che si fosse addormentata di nuovo, lasciandola poi da sola. Un volta nel corridoio, Castle si voltò verso Kate, “Meglio che vada. Si sta facendo tardi e mia madre si starà chiedendo dove sono finito”.

“Ok”, annuì lei, seguendolo alla porta d’ingresso.

“Oh”, si girò lui, “Cosa volevi dirmi prima?”, chiese mentre si stava mettendo le scarpe.

“Può aspettare”, gli disse, sentendo che il momento per la grande rivelazione era passato. Era già successo abbastanza per un giorno. “Hey, cosa fai domani dopo pranzo?”, chiese invece, come se ci avesse appena pensato.

“Niente di particolare, forse scriverò un po’. Perché me lo chiedi?”, fece un passo verso di lei.

“Ho pensato che magari ci potevamo incontrare durante la mia pausa pranzo, così tu e Jamie potete passare del tempo insieme. Posso dire a Cynthia di tenersi il pomeriggio libero, così puoi stare con Jamie e portarla qui verso le cinque”.

Gli occhi di Castle si illuminarono, “Mi piacerebbe molto”.

“Bene”, sorrise.

“Bene”.

“Ti chiamo domani per decidere dove incontrarci?”, chiese lei, e lui annuì.

“Perfetto”, fece un altro passo verso di lei. “Grazie..”, guardò in basso verso i piedi, piuttosto nervoso. “Voglio dire, per oggi, è stato-“, Kate lo interruppe, sorridendo nervosamente.

“Particolare”, suggerì lei ma lui scosse la testa.

“E’ stato perfetto”. La fissò con quegli occhi azzurri che le facevano sentire qualcosa che nemmeno capiva, e improvvisamente gli eventi del giorno le piombarono addosso, minacciando di sopraffarla.

“Castle”, balbettò, vedendo lui colmare la distanza tra loro e avvolgerla in un abbraccio.

Rick non pensò, agì e basta. Lo sguardo di lei gli disse che in quel momento aveva bisogno di un abbraccio, come se nessuno l’abbracciasse da tempo, ma ora sentendola irrigidirsi tra le sua braccia non ne era più così sicuro. Stava per spostarsi e scusarsi quando sentì le sue braccia lentamente avvolgergli la vita, stringendolo. Rimasero così per qualche minuto, finché lui non avvicinò la bocca al suo orecchio e sussurrò, “Ce la faremo, Kate”.

“Lo so”, mormorò lei contro il suo petto, allontanandosi subito dopo. “Grazie Castle”.

Il sorriso che le fece era una delle più belle cose che avesse mai visto, e poi lui aprì la porta, salutandola e andandosene.

——————————————————————

Castle praticamente volò appena entrò dentro al loft. Aveva preso il taxi e forse aveva dato un po' troppa mancia al tassista, ma non gli importava. 

“Madre!”, chiamò lui, saltando quando la vide uscire dalla cucina.

“Richard”, sussurrò. “Alexis è già a letto. Vuoi fare piano perfavore?”.

La guardò con una po' di vergogna, “Scusa”, sussurrò.

“Comunque, a cosa è dovuto il tuo splendido mood?”, gli chiese sua madre, guidandolo verso il divano.

“Lo sa”. 

Sua madre aggrottò le sopracciglia, “Chi sa cosa? Richard va tutto bene?”, toccò la sua fronte controllando non avesse la febbre.

“Madre”, le spostò la mano. “Jamie sa. Sa che sono suo padre”.

“Oh Richard”, si portò una mano sopra la bocca prima di abbracciarlo, “E’ magnifico”.

Castle l’abbracciò con entusiasmo, “Sono così felice”.

“Lo so che lo sei, ragazzo”. Martha si allontanò, accarezzandogli il viso “Lo so che lo sei. Ora dimmi cosa è successo. Ho trovato il tuo messaggio. Kate ti ha chiamato e ti ha chiesto di raggiungerle?”.

“Si”, confermò lui, affondando nel divano e tirando la madre accanto a lui. “Doveva lavorare e Jamie era annoiata, quindi mi ha chiesto di stare insieme a lei per un po’”.

“E?”, come al solito sua madre non aveva pazienza per aspettare tutta la storia.

Le raccontò tutto, della libreria, di papà orso e orsetta, e di come Jamie avesse scoperto la verità su di lui, su di loro.

“E’ una bambina intelligente”, Martha sorrise, vedendo l’orgoglio negli occhi di suo figlio.

“Beh, è mia figlia”, ridacchiò.

“Beh, forse ha preso da sua madre?”, scherzò Martha, amava prendersi gioco di suo figlio.

“Cosa?”, protestò. “Guarda Alexis, creo figli intelligenti”.

“Touché, Alexis sicuramente non ha preso la sua intelligenza dalla madre”, replicò sarcastica.

“Madre”. Cercò di fare una faccia seria.

“Cosa? E’ vero”. Strinse le spalle. “Quindi? qual è il prossimo step?”.

“Domani andrò a prendere Jamie dopo pranzo, passerò del tempo da solo con lei”, le disse.

“E Alexis?”, domandò Martha.

“Glielo dirò domani, ma io e Kate siamo d’accordo sul dare a entrambe una settimana o due per abituarsi alla nuova situazione, prima di farle incontrare”.

“Tu e Kate, eh?”, alzò le sopracciglia, notando il cambiamento del suo tono.

“Cosa?”, la guardò.

“Ah niente, ragazzo”. Sorrise e gli picchiettò il braccio. “Sono felice che stia funzionando”.

“Si, anche io”, sospirò lui, prendendo la mano di sua madre e stringendola leggermente. “E’ cambiata sai?”.

“Kate?”.

“Si, questa sera, non so, è stato diverso, lei era diversa”. Martha sorrise allo sguardo confuso sul viso di suo figlio.

“Bel cambiamento o brutto cambiamento?”, chiese.

“Bello credo, spero”, disse lui.

Martha non commentò, aspettò che il figlio continuasse a parlare, sapendo che c’era qualcosa che lo turbava.

“Come faccio a dirlo ad Alexis?”, disse finalmente, i suoi occhi felici diventarono all’improvviso preoccupati. Aveva voluto così tanto coinvolgere la figlia che ora per assurdo ne era terrorizzato.

“Con calma”, rispose semplicemente Martha.

“E se mi odiasse?”, sapeva che stava esagerando.

“Richard, chi sta facendo il drammatico in famiglia adesso? Lei è tua figlia, ti adora. Non potrebbe mai odiarti. Magari sarà un po' arrabbiata, ma le darai tempo se le servirà del tempo. Hai fatto un magnifico lavoro con Alexis, specialmente da quando quella se ne è andata”, Martha gli lanciò uno sguardo d’intesa, evitando di dire il nome dell’ex moglie di suo figlio. “Segui il tuo istinto e assicurati che lei capisca che Jamie non cambierà quello che avete. Sono sicura che ce la farai”. Si alzò e gli posò un bacio sulla testa. “Mi chiami dopo aver parlato con Alexis?”.

Lui annuì, alzandosi e abbracciando sua madre per salutarla. “Ti chiamo domani sera”, e poi la baciò sulla guancia, “Grazie, per tutto”.

“Ogni volta che vuoi, ragazzo”.

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Allo zoo ***


Kate non aveva dormito molto la scorsa notte, sia per paura che a Jamie potesse tornare un altro incubo, sia per paura di andare nel panico dopo tutti gli eventi del giorno, ma nessuna delle due cose accadde. Jamie da quando era stata messa a letto, aveva dormito come un sasso, nonostante Kate fosse andata a controllarla più volte durante la notte e finalmente capendo che se avesse continuato, sarebbe stata lei la ragione della sveglia di sua figlia.

Ma stando nel letto a pensare, realizzò che sebbene fosse in tensione per la situazione e forse anche un po' impaurita, la sensazione di panico che aveva sentito durante le scorse settimane, non si era ripresentata. Era riuscita a conoscere meglio Castle e sebbene ancora non era sicura di chi realmente fosse il Castle uomo, era assolutamente sicura che il Castle padre sarebbe stato il miglior padre che avesse mai potuto immaginato per sua figlia.

Le aveva parlato di Alexis, aveva voluto farle sapere chi fosse sua figlia e lei non poteva fare a meno di sentirsi  come se già conoscesse la ragazza. Aveva riso quando le disse che in realtà era Alexis l’adulta di casa, aveva adorato quando le disse di non aver mai assunto una tata per badare a sua figlia, che si era sempre assicurato fossero lui o sua madre a rimboccarle le coperte la sera e che solo in rare occasioni fu costretto a chiamare una baby-sitter, la figlia adolescente di un suo amico. Non gli piaceva andare ai tour dei suoi libri senza di lei, così cercava di organizzarsi in modo che potesse andare con lui o che almeno potesse fare delle breve visite a casa tra una data e l’altra. Era più che ovvio che lui viveva per fare il padre e che amava fare questo ogni minuto di più.

Non era stato molto loquace riguardo sua madre, le aveva detto che non voleva spaventarla ed ebbe la sensazione che stava scherzando solo a metà.

Ma adesso riusciva a capire, riusciva a vedere come le cose avrebbe potuto funzionare tra loro, come le cose avrebbe potuto funzionare per Jamie. Gli aveva creduto quando le aveva detto che ce l’avrebbero fatta.

La realtà però l’aveva subito riportata con i piedi per terra, quando lasciò Jamie da Cynthia quella mattina, le prime parole entusiasta di Jamie furono, “Rick è Jamie pappà”.

Cynthia guardò Kate con occhi sconvolti per assicurarsi che la rivelazione fosse vera, ma per fortuna non cominciò a farle domande. Sapeva che Kate non le avrebbe detto niente in quel momento. Ma sapeva anche che era solo questione di tempo, realizzando che sarebbe venuto il giorno in cui avrebbe dovuto dare la notizia anche a tutti gli altri. Essere la madre della figlia di Richard Castle non era una cosa che potevi tenere nascosta per sempre. 

Ma per il momento riportò indietro questi pensieri, relegandoli in un angolo della mente, un passo alla volta, disse a se stessa. E il prossimo passo era Alexis.

—————————————————-

Castle attraversò la strada, quasi scontrandosi con un taxi che non aveva visto. Stava correndo perché era in ritardo e sapeva che Kate doveva tornare al distretto in tempo, ma Paula l’aveva tormentato ancora una volta sul tour e Gina gli aveva mostrato ancora una volta il seno, cercando di convincerlo a uscire nuovamente per pranzo quando tutto quello che voleva era andarsene e raggiungere Jamie e Kate. Doveva esserci un modo più facile per gestire quelle due donne. Ma in quel momento aveva altre cose in testa.

“Kate!”, chiamò quando la vide, era seduta accanto a Jamie su una panchina, che stava osservando quello che gli sembrava un libro illustrato.

“Castle”, sventolò la mano, alzandosi per incontrarlo a metà strada, un sorriso apparve sulle sue labbra quando lo vide accelerare il passo verso di lei.

“Hey”, sospirò lui, fermandosi di fronte a lei con le mani sulle ginocchia cercando di calmare il respiro. “Scusa, sono in ritardo, sono rimasto bloccato in una riunione e il traffico era orribile. Ho corso per gli ultimi sette isolati”. Disse, annaspando.

Kate si morse il labbro, cercando di non ridere, “Veramente sei mezz’ora in anticipo Castle”.

“Cosa?”, sbuffò, ancora respirando affannosamente. “Sul serio?”.

“Si”, rise. “Ti avevo detto di incontrarci all’una e mezzo”.

Castle guardò il suo orologio e poi riguardò lei, erano ancora cinque alle una, “Sul serio?”.

“Sul serio”.

“Huh”, la guardò un po' confuso, i suoi capelli erano arruffati in un modo strano e Kate sentì un improvviso bisogno di sistemarglieli, mettere le sue dita tra i capelli per sentire se erano davvero così morbidi e soffici come sembravano. Si morse il labbro un po’ più forte per far smettere quel treno di pensieri. Sapeva come erano i suoi capelli. Era un ricordo distante, ma ricordava la sensazione di averli tra le dita. Dovette letteralmente fare un passo indietro, coprendo quel gesto come segno di incamminarsi verso Jamie.

“Andiamo Castle”, disse lei, portando la testa in direzione di Jamie, che era ancora seduta sulla panchina, assorta nel suo libro.

“Come sta?”, chiese Castle, mentre camminava verso di lei.

“Emozionata”, Kate sorrise e lui cercò di ricordare il giorno in cui l’aveva vista sorridere così tanto come negli ultimi dieci minuti. “Cynthia ha detto che non ha smesso di parlare di suo padre per tutta la mattina”.

“Si?”, il suo cuore saltò di gioia dopo quella frase.

“Si”, Kate ridacchiò. “Ha detto che Jamie ti ha descritto come Superman”.

“Superman?”, Castle sorrise da un orecchio all’altro, “Mi piace questo paragone”.

“Non ti montare la testa, Castle”. Kate roteò gli occhi. “Sorridere troppo ti farà venire le rughe”.

Lui continuò a sorridere, “Quindi Cynthia sa?”.

“Si, Jamie glielo ha balbettato cinque secondi dopo aver aperto la sua porta di casa”, Kate gli sparò uno sguardo attento, cercando di capire come avesse preso questa notizia. Non aveva programmato di dirlo a nessuno prima che lui potesse parlare con sua figlia, Jamie evidentemente non era della stessa idea.

Ma i suoi occhi stavano ancora brillando di gioia, “Credo che sarebbe stato inutile negarlo”.

“No, direi di no”. Kate sorrise a sua volta, sollevata, fino a quando raggiunsero la panchina. “Jamie guarda chi c’e’”.

Alzando il viso, gli occhi timidi di Jamie incontrarono quelli di Rick.

“Hey Jamie”, salutò sua figlia entusiasta, inginocchiandosi di fronte a lei e toccandole il naso con il dito indice.

“Ciao Rick”, rispose seria, prima di riportare l’attenzione sul suo libro.

La testa di Castle si voltò in direzione di Kate, la confusione era padrona del suo viso. Non aveva appena detto che Jamie era emozionata e che l’aveva descritto come Superman? Ma Kate scosse la testa, i suoi occhi gli dissero silenziosamente di non preoccuparsi.

“E’ perché è ancora tutto nuovo per lei”, disse con calma portandolo qualche passo lontano da sua figlia. “Dalle un paio di minuti. Sono sicura che si sentirà meglio”.

Nuovo? Come poteva essere nuovo se si erano visti per settimane?

Kate sembrò leggere i suoi pensieri, “Fino a ieri eri solo Rick, l’uomo divertente con cui amava trascorrere del tempo, ma ora sei il suo papà. E’ un grande cambiamento ma credimi, non vedeva l’ora di vederti. Quindi non ti preoccupare”. Gli strinse il braccio con una mano e gli occhi di lui la fissarono, prima di spostarsi una ciocca di capelli dal viso. Sapeva che la stava fissando.

Kate si rimise a sedere sulla panchina, indicandogli il posto libero tra lei e Jamie, era felice che lo stesse aiutando. Si sedette, aspettando qualche secondo e rimase sorpreso quando Jamie sembrò ignorarlo.

Rimasero seduti in silenzio fino a quando Kate non gli picchiettò la spalla, incoraggiandolo a fare il primo passo. Prendendo un respiro profondo, si chinò e guardò il libro che Jamie era così interessata a leggere. E vedendolo, gli venne un’idea in mente.

“Hey Jamie, cosa ne pensi se andassimo allo zoo?”, chiese titubante, guardando sua figlia girarsi lentamente per guardarlo. “Ti piacerebbe? Solo io e te?”.

Invece di rispondergli, guardò verso sua madre. “Mami?”.

“Mamma deve lavorare amore. Ma papà ti riporterà a casa non appena avete finito, così puoi chiamarmi e raccontarmi tutto, ok?”.

Jamie annuì prima di riportare la sua attenzione al suo libro che mostrava una grande varietà di immagini di animali selvatici. Kate sapeva che era uno dei suoi preferiti. Jamie amava tutti i tipi di animali e poteva stare a guardare quel libro per ore. Non si sarebbe mai stancata. Avrebbe amato lo zoo.

“Perché non andate”, suggerì Kate. Aveva tanto lavoro da fare e forse se fosse rientrata prima, sarebbe riuscita ad uscire prima quella sera.

“Sei sicura?”, chiese Castle. “Non voglio toglierti del tempo con lei”.

Kate gli sorrise, “Va tutto bene, divertitevi voi due allo zoo”.

“Ok”, Castle annuì, alzandosi e tendendo la mano a Jamie.

La bambina si avvicinò a sua madre, abbracciandola e baciandola, e per qualche secondo il cuore di Castle perse qualche battito per paura che non volesse andare con lui, ma poi gli afferrò la mano e lo seguì.

“Ciao mami”, sorrise e salutò di nuovo sua madre.

“Divertiti uccellino”. Kate rispose al saluto. “Ci vediamo dopo Castle”.

Lui annuì e poi posizionò Jamie sulle sue spalle, prima di attraversare la strada, in direzione della metro.

—————————————————-

Jamie si aggrappò a lui per tutto il tragitto in metro, ma ogni volta che le chiedeva qualcosa lei si limitava ad annuire o a scuotere la testa. Castle sospirò. Questo non era come aveva immaginato il loro giorno insieme. Era stato stupido a pensare che Jamie avrebbe accettato subito il fatto che lui fosse suo padre e che potessero andare avanti come se non fosse cambiato niente. Avrebbe dovuto essere preparato a questo, ma non lo era. La verità è che si sentiva impotente.

Ma poi Jamie vide i leoni di mare e tutto cambiò, “Guadda papà!”, esclamò lei emozionata, tirandogli la mano per convincerlo a muoversi più velocemente. Da quel momento non smise di parlare. La sua emozione crebbe ancora di più quando raggiunsero i fienili dove potevano accarezzare gli animali.

Castle aveva comprato ad entrambi un gelato e degli hot dogs, che si stavano godendo in una piccola zona relax appartata, Jamie stava seduta sulle ginocchia di Castle mentre lui cercava di non riempire entrambi di senape.

“Sua figlia è adorabile”, Castle guardò in alto e vide una donna molto attraente in piedi accanto a loro.

“Grazie”, disse, sorridendo.

“Sono Carol”, la donna si presentò, ovviamente interessata a conoscerlo meglio.

“Rick”, rispose lui, il suo sorriso perse un po' di gioia. Non era qui per flirtare.

“Quindi Rick”, stava facendo praticamente le fusa e Castle frenò la sua voglia di ruotare gli occhi. “Siete qui, soli soletti?”.

Mettendo sul viso la sua miglior faccia da poker, finse di non notare il significato nascosto delle sue parole, “Si, sua madre doveva lavorare oggi”.

Carol capì subito, “Vedo. Beh è stato un piacere conoscerti Rick”. E dandogli un ultimo sguardo e guardando a malapena Jamie, se ne andò.

Castle scosse la testa, riportando la sua attenzione alla figlia che portò la testa all’indietro per fissarlo con due bellissimi occhi grandi.

“Amica pappà?”, chiese. Lui rise, “No, è più tipo una iena”. Sapeva che Jamie non poteva capire cosa volesse dire, ma il modo in cui lo disse la fece ridere.

“Quindi Jamie, chi è il tuo animale preferito?”.

La bambina non dovette nemmeno pensare per un secondo alla domanda, e guardandolo con un sorriso raggiante disse, “Mufasa”.

Il cuore di Castle perse un battito. Le piacevano i leoni. Peccato che non c’erano allo zoo di Central Park. Sorrise, realizzando che Alexis non sarebbe stata d’accordo con lui.

“Tu papà?”, lo guardò con occhi luminosi, occhi che assomigliavano così tanto ai suoi che a volte gli si mozzava il fiato a guardarli.

“Anche i miei”, disse piano. “Anche papà ama i leoni”.

———————————————————————

Kate fu accolta da una sonora risata, quando aprì la porta di casa quel pomeriggio.

“Hey”, li salutò, investita da una palla di energia che si lanciò contro le sue gambe per essere presa in braccio, “Vii siete divertiti?”.

“Si”, Jamie annuì felice. “Pappà piacciono leoni”.

“Davvero?”, Kate alzò le sopracciglia, guardandolo. Castle si strinse nelle spalle, raggiante come un albero di natale. “Sono sicura che questo ti renda molto felice, vero uccellino?”.

Jamie annuì, “Mama piaciono elefanti”, dichiarò, come se fosse la cosa più terribile del mondo e Kate non capì perché lui improvvisamente la guardò quasi con meraviglia.

“Rimani a cena?”, chiese Kate, sentendosi a disagio sotto quello sguardo intenso.

“Ah no”, si passò una mano tra i capelli. “Mi dispiace, ma devo andare”.

Kate si maledisse internamente, ovviamente non poteva. Doveva parlare con Alexis quella sera.

“Allora un’altra volta”, lo aiutò velocemente, vedendo che non voleva creare dispiacere a Jamie. Avvicinò di nuovo la figlia verso di lui, “Dai la buonanotte a papà, uccellino”.

“Notte pappà”, Jamie avvolse le sue piccole braccia intorno al collo di Castle, dandogli un bacio. “Ti amo”.

Lui la abbracciò a sua volta, chiudendo gli occhi per cercare di non piangere, “Buonanotte uccellino”, sospirò, “Ti amo anche io”.

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Capitolo 22
*** Sorelle ***


Castle era il nervosismo in persona, stava camminando su e giù per la cucina come un animale in gabbia, Alexis era di sopra in camera sua ignara delle sua agitazione mentre lui stava ancora cercando di raccogliere il coraggio per chiamarla di sotto. Non aveva idea di come dirglielo, dove cominciare, in quale modo si poteva dire a una bambina di sette, quasi otto anni che quasi tre anni fa aveva trascorso la notte con una donna che non conosceva? E che ora, solo un paio di settimane fa, era venuto a sapere che il desiderio di Alexis di avere un fratellino era stato già esaudito da tempo? Beh, magari poteva non iniziare con quella frase. L’umorismo non l’avrebbe portato da nessuna parte.

Prendendo un respiro profondo, seguito da altrettanti respiri, si fermò finalmente all’inizio delle scale per chiamare sua figlia di sotto.

Ci vollero pochi secondi per vedere una testa rossa spuntare dall’angolo delle scale.

“Si papà?”.

“Hey”, cercò di sorridere, sapendo che aveva fallito miseramente, il suo nervosismo era visibile su tutto il suo viso, “Potresti venire di sotto un secondo? C’è’ una cosa che devo dirti”.

Alexis corse giù per le scale, sorridendo in modo luminoso, ma il suo buon umore sparì subito quando vide lo sguardo serio e tormentato di suo padre.

“Ho fatto qualcosa di sbagliato papà?”, chiese lei, alzando gli occhi verso di lui quando si fermarono l’uno davanti all’altra.

Benissimo, stava già sbagliando tutto, facendo già preoccupare Alexis senza ancora averle detto niente. “No!”, esclamò più forte del necessario, “Non hai fatto niente di sbagliato, niente di niente”. La sua mano raggiunse il viso di sua figlia per darle una carezza, cercando di calmarla con i gesti quando le sue parole ovviamente non potevano.

“Perché sembri così serio?”, chiese, guardandolo incerta e diffidente.

Castle sospirò, prendendo la mano di sua figlia e trascinandola sul divano, “Perché ho una cosa seria da dirti e non sono sicuro di come reagirai”. La introdusse nella strada dell’argomento, ma le sue parole peggiorarono le cose.

“Mi fai paura papà”, Alexis sussurrò quasi e lo poteva vedere nei suoi occhi, quanto fosse confusa e spaventata. Era l’ultima cosa che voleva.

Imprecò silenziosamente a se stesso quando tirò Alexis vicino a lui. Poteva andare peggio di così? Doveva fare meglio e più veloce.

“Non è niente di brutto, te lo prometto”. Almeno sperava non la vedesse come una brutta cosa. “Ma  ho bisogno che tu sappia che va bene se la prendi male o se magari ti servirà un po' di tempo per pensarci, ok?”.

Aspettò che annuisse. “E qualunque cosa accada, non cambierà le cose tra di noi. Nulla potrà cambiare quello che abbiamo. Ho bisogno che tu lo tenga in mente”.

“Ti stai per risposare?”, esclamò Alexis con un’espressione che poteva descrivere come terrorizzata.

“Cosa?”, gridò sconvolto. “No, no”. Scosse la testa violentemente, più di quanto fosse necessario. “No, non mi sto per risposare, Alexis. Non potrei, no”.

Sembrò visibilmente più rilassata dopo le sue parole, “Ok, perché non era questo che intendevo quando ti ho detto che mi sarebbe andato bene avere un fratellino o una sorellina”.

“Uhm-”, sentì il suo sudore raccogliersi sulla fronte. “Alexi, io, tu-”, sospirò.

“Papà?”.

“Hai una sorella”. Delicato, davvero delicato Rick.

“Io cosa?”, la voce di Alexis si bloccò in gola mentre lo guardava negli occhi, pregando silenziosamente di dirle che stava scherzando. Questo non era quello che intendeva due settimane fa.

“Hai una sorella”, ripete l’unica cosa che gli diceva la sua testa, prima di aggiungere, “Sorellastra”, dopo un secondo, inutile ripensamento.

“Non capisco”, la sua voce era calma, troppo calma per i suoi gusti. “Intendi prima di mamma?”.

“Ah-“, si passò una mano tra i capelli, cercando di togliersi il sudore che si stava formando sulla sua fronte. “No, non prima di tua mamma”. Sospirò, doveva mettere le carte in tavola. “E’ successo quasi tre anni fa, dopo tua mamma, dopo che siamo divorziati, ho incontrato una donna”. La guardò per capire la sua reazione. Sembrava disposta ad ascoltare e forse sarebbe riuscita a capire. Ma si fermò non appena capì che stava raccontando troppo. Non voleva metterla a disagio.

“Kate, il suo nome è Kate, è una poliziotta”, continuò, cercando di farle capire che Kate non era come una delle tante. Perché anche lei avrebbe fatto parte della sua vita, in un modo o nell’altro, non solo Jamie ma anche Kate Beckett avrebbe fatto parte delle loro vite d’ora in poi. “Non ci siamo più visti da quella volta, non finché non ci siamo rincontrati per caso un paio di settimane fa”.

Castle guardò sua figlia, ma lei non lo stava guardando, mordendosi il labbro in un modo che le ricordò troppo Kate. “E’ quando ho scoperto di Jamie”, disse, prendendo il portafoglio e tirando fuori la foto di Jamie, che Kate gli aveva dato al loro incontro da Remy. “Farà due anni tra circa due settimane”.

Alexis esitò finché non vinse la curiosità e prese la foto senza dirgli nulla e senza nemmeno guardarlo in viso.

“Alexis?”, la sua voce era dolce, ma allo stesso tempo timorosa, “Zucca, per favore dì qualcosa”.

“L’hai saputo per settimane e non me l’hai detto?”, l’accusa era pesante nel suo tono di voce, “Mi hai detto di dire sempre la verità e ora se tu che hai mentito a me”.

Si alzò di scatto e corse su per le scale prima che lui potesse reagire, era già alla fine della rampa quando lui ritrovò la sua voce, “Alexis!”. La chiamò, alzandosi per inseguirla.

“Lasciami in pace”, fermò i suoi tentavi di salire per le scale e lui fece come richiesto, fermandosi di botto. Dopo tutto le aveva detto che andava bene se avesse avuto bisogno di tempo. Così invece di cedere alla tentazione di vedere se stesse bene solo per un suo bisogno egoista, si mise a sedere sulle scale, affondando la testa tra le mani. Era andata peggio di quanto avesse temuto.

————————————————————

Non aveva idea del tempo che era rimasto a sedere sulle scale, cercando di capire cosa avrebbe potuto migliorare la situazione. Sicuramente non si aspettava che Alexis avrebbe subito sprizzato felicità da tutti i pori dopo la notizia, eppure era rimasto sorpreso dalla sua reazione, da quanto sembrasse infelice.

Sospirando pesantemente, finalmente si alzò, sentendo le ginocchia scrocchiare mentre si dirigeva nel suo studio per chiamare sua madre.

“Oh Richard, mi dispiace”, disse sua madre dopo aver scoperto cosa era successo, “Ma conoscendo Alexis, si riprenderà presto. Lasciale un po' di spazio e vedrai che verrà da te fra poco”.

“E se non lo farà? Se non volesse avere a che fare con Jamie?”, sembrava disperato e Martha sapeva quanto era difficile per lui, ma conosceva anche che sua nipote, ed era molto improbabile lo scenario drammatico che lui stava dipingendo.

“Vedrai, sarà emozionata quando riuscirà a processare il tutto. Devi solo rimanere positivo”, lo incoraggiò, “E non pressarla. Lasciale lo spazio di cui ha bisogno”, aggiunse.

“Ci proverò”, sospirò, “Ma non te lo posso promettere”.

“Va bene ragazzo”, sua madre sorrise. “Prova a dormire adesso”.

Attaccò, ma non si mosse dalla sua scrivania, si sentiva solo e impotente. Avrebbe dovuto fare meglio, Alexis si meritava di meglio, solo che non aveva idea di come farlo. Si era incasinato e ora doveva trovare il modo di uscire da quel pasticcio, ma non era sicuro di poterlo fare da solo.

Compose il numero prima ancora di pensarci.

“Beckett”.

Era ridicolo quanto più facile riuscisse a respirare solo sentendo la sua voce.

“Hey Kate, sono io. Spero di non disturbarti”, sembrava timido e Kate capì subito che la chiacchierata con Alexis non era andata bene.

“Hey Castle, non mi stai disturbando, mi stavo solo preparando per andare a letto”, gli disse, sistemandosi di nuovo sul divano.

“Oh scusa, ti lascio andare allora”, disse piano, ma lei subito lo fermò.

“No, è veramente ok. Come è andata con Alexis?”, credeva fosse il modo migliore per arrivare al punto.

“Non bene”, sospirò pesantemente, “E’ scappata in camera sua. Mi ha detto che le ho mentito”. Kate lo sentì prendere un altro respiro. “Vuole che la lasci in pace”.

“Castle”, la sua voce era dolce, così calda che avrebbe voluto sentirla per sempre. “Ha bisogno di tempo. Immagino che possa essere abbastanza spaventoso se all’improvviso vieni a sapere che dovrai condividere la persona più importante della tua vita con qualcun’altro che non conosci”. Non voleva farlo suonare come se includesse anche se stessa nella cerchia di persone con cui Alexis avrebbe dovuto per forza spartire suo papà, e rapidamente continuò, “So di non essere fiera di come ho gestito le cose fin dall’inizio”.

Lui dovette ammettere che aveva ragione. Entrambi avevano agito d’impulso da quel giorno al distretto.

“E’ diverso per Alexis rispetto a Jamie, Castle”. Cercò di dargli delle possibile ragioni per spiegare la reazione di Alexis. “Jamie ha qualcosa che non ha mai avuto prima, invece Alexis si sente come se ti stesse perdendo. E’ abituata ad averti tutto per sé”.

“Non è egoista”, lui sembrò sulla difensiva.

“Non sto dicendo che lo è Castle. Alexis ha tutto il diritto di essere arrabbiata. E’ più grande di Jamie, sa che ci saranno cambiamenti e conseguenze con l’arrivo di Jamie nelle vostre vite. E credo sia giusto darle un po' di tempo per pensarci”.

Lui non disse niente per quello che sembrava un’infinità di tempo e lei si ricordò le parole che le aveva detto solo un giorno fa, pensando che adesso avesse bisogno lui di sentirsele dire, “Ce la faremo, Castle”.

I suoi occhi si alzarono, ma prima che potesse dire qualcosa Kate ricominciò a parlare.

“E da quello che mi hai detto su Alexis, sarà la sorella maggiore migliore che Jamie avesse mai potuto desiderare”.

“Grazie Kate”. Ebbe difficoltà a far uscire qualche parola, il suo cuore si strinse a sentire le sue parole e il suo sostegno. “Grazie”.

“Tutte le volte che vuoi Castle. Pensi che riuscirai a dormire un po’?”, era così catturato dal calore della sua voce che fece fatica a concentrarsi sulla domanda.

“Ci proverò”, le promise.

“Bene”, sembrò soddisfatta. “Parleremo domani”.

Terminarono la chiamata augurandosi la buonanotte e Castle si sentì meglio. Era ancora un disastro, ma ce l’avrebbero fatta. Tutto sarebbe tornato apposto alla fine.

“Papà?”.

Alzò la testa e vide Alexis in piedi sulla soglia del suo ufficio. Anche nella penombra poteva vedere che aveva pianto e questo gli ruppe il cuore. Si alzò in piedi e si avvicinò, insicuro.

“Alexis”, lei non si mosse, stava fissando il pavimento. “Zucca, vieni qui”.

Fu sollevato quando lei gli si lanciò addosso. La avvolse tra le sue braccia e la strinse al petto.

“Alexis, mi dispiace, non volevo farti del male”, disse nei suoi capelli, mentre lei si stava aggrappando a lui. Lentamente andò a sedersi su una poltrona con Alexis sulle sue gambe.

“Perché non me l’hai detto?”, chiese infine, giocando con i bottoni della sua camicia, evitando di guardarlo.

“E’ complicato”. Iniziò, “Jamie non sapeva chi fossi e sua mamma, Kate, voleva fare le cose con calma”. Continuò e lentamente le raccontò tutto quello che era successo nelle ultime settimane, lasciando da parte le cose che non doveva sapere.

“Non te l’ho detto perché ho pensato sarebbe stato più facile se prima io e Kate avessimo sistemato tutto”, le alzò il viso per guardarla negli occhi. “Lo capisci?”.

“Credo”, Alexis rispose piano, prendendo un profondo respiro. “Ma come mai hai incontrato Jamie solo adesso?”.

Non era sicuro di come rispondere. “Kate non sapeva chi ero e quando ci siamo persi di vista non mi poteva trovare”. Si rese conto che non aveva idea se questo fosse effettivamente vero. Era la storia che si era creato nella sua testa, dal momento che non aveva mai trovato il coraggio di chiederlo direttamente a lei.

“Perché non sapeva chi eri?”, Alexis aggrottò la fronte e Castle trasalì. Sua figlia era troppo intelligente. Di certo non voleva spiegargli cosa volesse dire avere una storia di una notte.

“Vedi”, cercò di prendere tempo. “E’ complicato”.

“Cose da adulti?”, chiese Alexis.

“Si, una cosa del genere”.

“Ok”, annuì.

Rimasero in silenzio per un po’, Alexis si allontanò dal petto di suo padre e tirò fuori la foto di Jamie, che aveva tenuto sotto la maglia per tutto il tempo.

“E’ carina”, disse finalmente e Castle vide un sorriso sul suo viso.

“Lo è”, confermò lui.

“Pensi che le piacerò?”, chiese Alexis quasi sussurrando, con un tono di voce insicuro.

La avvicinò, baciandola sui capelli, era così fiero di sua figlia, “Ti amerà e ti adorerà, perché avrà la sorella maggiore migliore del mondo”.

Il sorriso di Alexis aumentò, “Si?”.

“Assolutamente zucca”.

“E sua mamma?”, sussurrò di nuovo, esitante, “Piacerò anche a lei?”.

“Alexis”, aspettò che lo guardasse e sospirò. A volte odiava la sua ex moglie per quello che aveva fatto a sua figlia, “Sei una bambina meravigliosa, ovvio che le piacerai”.

“Va bene se penso a questa cosa per un altro po' di tempo?”, chiese, con un tono che suonava molto più grande della sua età.

“Certo, prenditi tutto il tempo che ti serve e se c’è altro che vuoi sapere, chiedimelo e basta”. Le spostò una ciocca di capelli dal viso. “Ogni volta che vuoi”.

“Posso dormire con te stanotte?”, era ancora aggrappata a lui.

“Vieni zucca. Andiamo a letto”. Le disse piano, alzandosi.

Dopo una rapida fermata in bagno, le rimboccò le coperte sul suo enorme letto e poi la sentì avvicinarsi il secondo dopo che si era disteso.

“Ti voglio bene papà”, lo abbracciò stretto.

“Ti voglio bene anche io zucca”, mormorò. “Più di ogni altra cosa”.



Ciao a tutti, volevo informarvi che domani partirò per circa due settimane quindi la storia non riuscirò ad aggiornarla quotidianamente, anzi probabilmente quasi per niente. Stava arrivando anche la parte più bella! Dovrete attendere un po', ma tranquilli che non mi dimentico.

PS: Forse stasera ne pubblico un altro.

Buona lettura
Alice

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Chiacchere notturne e pancakes ***


Il mattino dopo, Castle stava lanciando i pancake in cucina quando il telefonò cominciò a squillare, prendendolo alla provvista e interrompendo il suo canticchiare sottovoce. Alexis era corsa di sopra a rinfrescarsi, come diceva lei, e lui dovette mordersi la lingua per non ridere. Era sicuramente un termine che aveva acquisito da sua nonna. Raggiunse il telefono, sicuro sarebbe stata sua madre.

“Buongiorno madre”, quasi cantò al telefono, non in grado di contenere il suo mood, però incontrò silenzio.

“Uhm, sono Kate”. La sua voce sorpresa arrivò dopo un po’, leggermente esitante. “Ti disturbo?”.

“Oh”, lasciò cadere la spatola, altrettanto sorpreso, non si aspettava una sua chiamata oggi, e immediatamente si preoccupò fosse successo qualcosa a Jamie. “Hey, Kate, è tutto ok?”.

“Hey”, lei sorrise piano. “Era quello che volevo chiederti. Volevo solo sapere come stavano andando le cose con Alexis, ma a giudicare dal tuo buon umore, deduco ci sia stato qualche miglioramento?”.

“Si, un gran miglioramento”, disse lui, e Kate sentì il sorriso nella sua voce, sentendo le sue labbra sollevarsi automaticamente. “Non appena abbiamo attaccato lei è scesa e abbiamo parlato”.

“E’ bellissimo Castle”. Era felice per loro, e lui fu contento di sentirla così preoccupata riguardo ad Alexis. Oltre a sua madre non era abituato a vedere qualcun altro fare un gesto gentile, quando si trattava di sua figlia. Nemmeno la sua ex moglie.

“Si, penso fosse più arrabbiata del fatto di non essere stata coinvolta fin dall’inizio che per la notizia in sé. Mi sono scusato e le ho spiegato perché non glielo avessi detto subito, lei sembra aver capito”.

“E come si sente ad avere una sorellina più piccola?”, forse non era affar suo, Alexis era la figlia di Castle, ma voleva sapere, aveva bisogno di sapere se Alexis stesse bene.

“Le ci vorranno un paio di giorni per abituarsi all’idea, venire a patti con tutto questo, ma sono abbastanza sicuro che sia molto emozionata. E’ già preoccupata del fatto che non potrebbe piacere a Jamie”, confessò, non sicuro se stesse oltrepassando un limite con Kate condividendo quelle cose, ma si sentiva così bene ad avere qualcuno con cui parlare, qualcuno che capiva.

“Sono sicura che Jamie adorerà Alexis”, disse Kate dolcemente, in qualche modo poteva capire le insicurezze di Alexis, avendone tantissime pure lei. “Da quello che mi hai detto, è la migliore sorella che Jamie potesse avere”.

“Grazie Kate”, sospirò lui, la voce scossa dall’emozione, “Significa molto”.

Quando lei non rispose, Castle credette di aver detto troppo. Ma lei era riuscita a toccare un tasto dolente con il suo supporto. Aveva sempre fatto tutto da solo, anche quando Meredith viveva ancora con loro, era lui che si prendeva cura di Alexis, doveva gestire tutto lui. Quando aveva bisogno di aiuto si era sempre cercato di confidare con sua madre ma la maggior parte delle volte aveva sempre agito d’istinto. Per Alexis aveva sempre desiderato una figura materna da amare, una simile a Kate.

Non voleva danneggiare il loro rapporto andando oltre, non voleva danneggiare quello che erano riusciti a creare nelle settimane passate. Non aveva idea di cosa fossero, oltre che i genitori di Jamie, ma sperava stessero cominciando a essere amici e non voleva rovinare tutto quello perché non la faceva sentire a suo agio. “Beh, avremo un giorno padre-figlia, forse la porterò fuori dalla città per un paio d’ore”.

“Sembra perfetto”, disse Kate. “Siamo ancora d’accordo per domani? Se preferisci trascorrere del tempo insieme ad Alexis lo posso capire. Non voglio farla sentire sola o abbandonata ora che è a conoscenza di tutto”.

“No, no. Siamo ancora d’accordo. Alexis sarà a una festa di compleanno, me ne parla da settimane, figurati”. La rassicurò, ma sperava non mancasse molto tempo per arrivare al giorno in cui non avrebbe più dovuto dividere il tempo tra le sue due figlie.

 

——————————————————————————————

 

Tornò a cucinare i pancakes quando Alexis scese di corsa le scale per unirsi alla colazione.

“Ti sei rinfrescata?”, chiese, mettendo un piatto di pancake e un bicchiere di spremuta davanti a lei.

“Si”, Alexis sorrise, “Ma puoi farmi una treccia prima di andare via?”.

“Certo”, annuì, sedendosi accanto a lei e iniziando a mangiare. Entrambi si concentrarono nel loro posto in un confortevole silenzio, una volta finiti i suoi pancake Castle le chiese, “Quindi, cosa vuoi fare oggi zucca?”.

Alexis finì di masticare il suo boccone, pensando alla sua domanda, “Possiamo andare al museo?”.

“Al museo?”, sospirò, “Pensavo potessimo fare qualcosa all’aperto”.

“Sta piovendo”, dichiarò Alexis come dato di fatto, la testa di Castle si girò per guardare fuori dalla finestra e constatare che in effetti aveva cominciato a piovere. Forse avrebbe dovuto controllare le previsioni del tempo prima di fare piani per andare in campagna.

“Ok, hai vinto. Museo sia, in quale vuoi andare?”, chiese, prendendo la sua tazza di caffè.

“National History Museum?”, suggerì Alexis.

“Di nuovo?”, quasi piagnucolò.

“E’ uno dei miei preferiti”, si strinse nelle spalle. “E pure uno dei tuoi”.

Aveva ragione. Sorridendo, annuì, “Ok. Ti concedo il National History Musem se tu mi concedi una maratona di film questa sera”.

Alexis posò la sua forchetta, guardandolo seriamente, aggrottando la fronte e ricordandogli Marlon Brando ne “Il Padrino”, alla fine gli allungò una mano per stringergliela, “Affare fatto”.

“Sapevo di averti fatto un’offerta che non potevi rifiutare”, replicò con la sua migliore imitazione di Brando, prima di stringerle la mano per sigillare l’accordo.

 

——————————————————

 

La settimana seguente volò, Castle divise il suo tempo tra Alexis e Jamie, trascorrendo del tempo insieme alla più piccola prima o dopo la pausa pranzo di Kate e con Alexis sempre dopo scuola. Aveva detto a Jamie di Alexis e di sua madre, ma non era sicuro avesse capito. Forse era troppo per una bambina di due anni la cui famiglia era stata solo sua madre fino a quel momento. Avrebbe capito quando si sarebbero ritrovati tutti insieme, ne era sicuro.

“Papà?”, Alexis era in piedi sulla soglia della sua camera e lui la guardò sorpreso, girandosi a controllare la sveglia. Era mezzanotte passata.

“Hey Alexis, perché sei ancora sveglia? E’ tardi”.

“Non riesco a dormire”, sospirò lei, non muovendosi dalla porta.

Lui mise il libro che stava leggendo sul comodino e picchiettò lo spazio vicino a lui, “Vieni qui”.

Alexis corse, salendo sul letto accanto a lui e il suo braccio avvolse le sue piccole spalle per farla avvicinare. Rimase in silenzio, sapendo che sua figlia avrebbe parlato quando sarebbe stata pronta.

“La voglio conoscere”, disse finalmente così piano che non era sicuro di aver capito.

“Jamie?”, chiese per essere sicuro, abbassando la testa per essere più vicino a lei.

“Si, la voglio conoscere. Si può fare?”, i suoi occhi blu lo guardarono, insicuri ed esitanti.

“Certo che si può fare zucca”. La baciò sulla testa. 

“Quando?”,.chiese rannicchiandosi più vicina a lui, il sonno la stava già prendendo.

“Presto”, le promise prima che si addormentasse.

Spegnendo le luci, si ritrovò al buio, mise le coperte su di loro e cominciò a pensare. Probabilmente sarebbe stato meglio chiamare Kate al mattino, sapere quale pensava fosse il modo migliore per farle incontrare. Ma poi un altro pensiero lo colpì, sapeva che era l’occasione perfetta. 






 

Ciao a tutti.... sono un'amica di Alice che la sosttuisce e le pubblica i capitoli tradotti mentre lei è in vacanza, per non lasciare la storia ferma per troppo! 
Enjoy. 
S.

 

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Capitolo 24
*** Sorpresa ***


Era una cosa stupida, era uno stupido e si sarebbe arrabbiata, pensò Castle, con gli occhi che guizzavano da Alexis a sua madre, mentre erano seduti in auto. Gli era sembrata una buona idea due notti fa, l’opportunità perfetta per fare finalmente incontrare le figlie. Ma non era riuscito a trovare il coraggio per chiederlo a Kate,  ed ecco quando avrebbe dovuto fermarsi, non è che non lo sapesse, solo che non poteva. Lo voleva così tanto, e Alexis era emozionatissima, non poteva tornare indietro. Non poteva rompere il cuore di Alexis e rimandare tutto, Kate e Jamie domani avrebbero lasciato la città per trascorrere il weekend in un Bed and Breakfast fuori New York. E non voleva aspettare ancora molto, per il bene di Alexis e anche per il suo.

“Richard?”, sua madre gli lanciò un’occhiata. “Va tutto bene?”.

“Si”, annuì poco convinto, sapendo che sua madre lo conosceva bene. “Sono solo un po' nervoso”.

“Certo”, Martha annuì, ma il suo tono la rese sospettosa.

Aveva tutto il diritto di esserlo. Kate aspettava solo lui oggi. Aveva programmato il weekend con Jamie mesi fa, aveva preso l’intera settimana di riposo dal lavoro e in realtà  aveva posticipato il viaggio di die giorni per celebrare il secondo compleanno di Jamie insieme a lui. E ora lui stava portando sua figlia senza averglielo detto e sapeva che l’avrebbe ucciso. Sperava solo che avrebbe aspettato fino a quando non ci fossero state le bambine.

Martha continuò a gettare sguardi su di lui e sembrava dirgli che sapeva esattamente cosa stava per fare. Ma lui si era preso il rischio e sperava solo per il meglio, sperando che Kate lo avrebbe perdonato e che il legame tra loro fosse abbastanza forte per permetterle di vedere che quello che stava facendo era per il bene di tutti. Era arrivato il momento di riunirsi tutti insieme.

In piedi davanti alla porta, la sua mano destra si alzò per bussare, l’altra mano stava avvolgendo Alexis e in quel momento pensò che sarebbe svenuto da un momento all’altro. Il suo cuore batteva così forte che pensava gli sarebbe esploso.

“Qual è il problema Richard?”, sua madre lo prese in giro da dietro. “Vai, bussa”.

Lanciò un ultimo sguardo in basso ad Alexis, la sua bambina era stata stranamente tranquilla per tutto il tempo, “Sei pronta?”.

Prendendo un profondo respiro, incontrò il suo sguardo e gli diede un cenno convinto, la determinazione era padrona del suo viso, voltando la testa verso la porta e preparandosi a quello che stava per succedere.

Si va in scena, pensò, mentre cominciò a bussare alla porta d’ingresso di Kate.

——————————————

Kate era seduta sul divano, stava guardando Jamie giocare con dei nuovi giocattoli, quando sentì bussare alla porta. Alzandosi, sorrise a Jamie, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi, “Andiamo uccellino, vediamo chi c’è”.

Jamie alzò gli occhi grandi verso sua madre, “Pappà?”, chiese speranzosa, i suoi occhi non lasciarono quelli di sua madre.

“Forse?”, Kate sorrise, alzando le sopracciglia in un modo che aveva imparato da Castle.

Gli occhi di Jamie si illuminarono come un albero di Natale e Kate la presa in braccio per portarla verso la porta. Fermandosi davanti, guardò sua figlia al suo fianco, “Pronta?”.

Jamie sorrise da un orecchio all’altro e annuì.

Kate spalancò la porta, incontrando gli occhi nervosi di Castle.

“Hey Cas-“, il resto del saluto le morì sulle labbra, quando notò la rossa adulta in piedi dietro di lui. Kate capì immediatamente di chi si trattava, Martha Rodgers, l’attrice di Broadway e madre di Castle. Cosa faceva qui?

Castle si schiarì la voce e con molta più convinzione di quanto sentisse, arrivò dritto al punto, “Hey signorina festeggiata, c’è qualcuno che voglio farti conoscere”.

Solo in quel momento lo sguardo di Kate si abbassò verso la bambina dai capelli rossi vicino a Castle, mentre quelli di lei incontravano quelli di Jamie. Oh, non l’ha fatto. L’ha fatto. Sentì avvicinarsi un mal di testa potentissimo. Come aveva potuto?

“Jamie, questa è mia figlia Alexis”, Castle presentò le ragazze, ignorando totalmente Kate, “Alexis, questa è tua sorella Jamie”.

Nessuno disse una parola, le due bambine si guardavano negli occhi con paura, con gli occhi esitanti, in attesa, e Castle sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa prima di far diventare le cose più imbarazzanti di quanto già non fossero. Ancora ignorando lo sguardo furioso di Kate e dimenticando completamente le sue buone maniere, introdusse Alexis nell’appartamento di Kate. Sapeva che stava giocando con il fuoco mentre apriva le braccia verso Jamie, ancora nell’abbraccio di sua madre e le domandò, “Vuoi vedere i tuoi regali?”.

“Sii”, Jamie strillò, lanciandosi tra le braccia di suo padre.

Kate la lasciò andare, sapendo che era inutile punire Jamie per il comportamento di suo padre.

Una volta nelle braccia di suo padre, Jamie cominciò a balbettare emozionata, tutta la tensione fu dimenticata quando Castle la portò in salotto, Alexis ancora timida al suo fianco destro.

“Una fatta, passiamo alla seconda”, disse a se stesso. Si sarebbe preoccupato più tardi delle due donne in piedi dietro di lui, ancora sulla soglia, sapendo che i loro sguardi bruciavano sulla sua schiena.

Con Castle e le ragazze in salotto, Kate era da sola con la madre nel corridoio. Le due si guardarono con attenzione, non sicure di cosa dire ed entrambe arrabbiate con Castle per averle messe in questa situazione.

Fu Martha che trovò la voce per prima, saltando i convenevoli, “Che ne dici di un caffè?”.

Agganciando un braccio intorno a Kate, in un gesto molto familiare per due persone che si erano appena conosciute, ma era tipico di Martha, aspettò che la donna più giovane prendesse l’iniziativa.

Kate finalmente si mise in moto, portando la madre di Castle in cucina e riempiendo una tazza di caffè fumante per lei, prima di fare lo stesso per lei e raggiungendola al piccolo tavolo che si trovava in cucina, dal quale potevano guardare Castle con le due bambine.

“Non te l’ha detto”, disse Martha, affermando l’ovvio.

“No”, rispose semplicemente Kate, non sapendo cos’altro dire. Castle le aveva praticamente teso un agguato con la sua famiglia e insieme al fatto di non sentirsi bene, non aveva migliorato il suo umore.

“Ascolta Kate, so che non è affar mio e credimi, hai ogni diritto di essere arrabbiata con lui. Diavolo, lo sono anche io per aver messo entrambe in questa situazione. E se questo è troppo me ne andrò”, fece un gesto verso la porta, “Ma per favore fai rimanere Alexis. Era così nervosa e emozionata di incontrare finalmente Jamie, le si spezzerebbe il cuore se dovesse andare via adesso”.

Kate non disse niente per un po’, si limitò ad osservare Castle con le bambine, tre paia di occhi blu, a ridere nel suo salotto, mentre Castle stava facendo una gran confusione a consegnare i regali. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto dividerli. Voltando la testa e guardando il quarto paio di occhi blu nel suo appartamento, scosse la testa.

“E’ ok, non c’è bisogno che se ne vada Signora Rodgers”, Kate le sorrise, alzandosi per prendere il dolce e i piatti. Ma fu fermata dalle mani di Martha sulle sue.

“Chiamami Martha”, sorrise alla donna più giovane, “E grazie”.

Kate annuì, ma Martha non la lasciò ancora andare.

“Voleva fare del bene, sai. Ha un modo tutto strano per dimostrarlo, ma è così”. Martha non pensava che suo figlio si meritasse le sue difese in quel momento, ma non voleva che le cose peggiorassero.

“Lo so”, Kate sospirò e Martha la lasciò andare.

“Ma credo comunque che tu debba fargli lo stesso una bella lavata di capo”, aggiunse Martha in un secondo pensiero, seguendo Kate per aiutarla con i piatti. “Spaventalo. Se lo merita”.

Kate guardò l’altra donna e sorpresa dallo sguardo serio sul suo viso non poté non ridere, un po' di tensione se ne era andata, “Oh credimi, lo farò”.

Si sorrisero a vicenda per un momento, creando una sorta di silenzio di accordo tra di loro, prima di portare i piatti e il dolce in salotto, una accanto all’altra.

Castle, Alexis e Jamie erano seduti sul pavimento in mezzo alla stanza, Jamie stava battendo le manine emozionata, Alexis si sentiva sempre più a suo agio mentre Castle prendeva un regalo dopo l’altro dal suo zaino.

“Ok, questo è da parte mia”, puntò il regalo più grande, “E questo è di Alexis”.

Jamie guardò entrambi i regali, considerando quale aprire per primo e infine le sue manine raggiunsero quello di Alexis, rendendo Castle ridicolmente orgoglioso vedendo i sorrisi sui volti delle sue due bambine.

Quando Jamie cominciò a scartare i regali non fu molto elegante, era più come un piccolo terremoto, la carta volava in ogni direzione ma questo fece ridere Alexis la cui risata causò di rimando anche quella di Jamie, e proprio in quel momento iniziò la loro connessione. Avvicinandosi a sua sorella, Alexis guardò Jamie che apriva il suo regalo. Alla fine venne fuori un oggetto morbido e peloso e Jamie urlò di gioia.

“Simba!”, esclamò mentre stringeva a sé il peluche.

“Ti piace?”, chiese Alexis, un sorriso invadeva il suo viso.

Jamie annuì e portò Simba al suo petto, coccolandolo.

“Apri anche il mio”, Castle gli spinse vicino il suo regalo e Kate dovette mordicchiarsi il labbro per non ridere a quella scena. Era ancora arrabbiata con lui, ma sembrava più emozionato delle due bambine e onestamente era adorabile.

Posizionando con cura Simba al suo fianco e dando un ultimo sorriso ad Alexis, Jamie raggiunse l’altro regalo e in poco tempo altri pezzi di carta tornarono a volare di nuovo.

“Mufasa!”, strillò, portando entrambi i leoni in aria. “Mami guadda!”.

Kate, dopo aver messo i piatti con il dolce sul tavolo, aveva assistito allo scarto dei regali con Martha da una certa distanza, “Sono bellissimi uccellino. Hai detto grazie?”.

Jamie sembrò leggermente in colpa, portò i suoi occhi verso Alexis e quasi sussurrò, “Grazie”.

Alexis le sorrise, “Prego Jamie”.

E poi Jamie si alzò da terra, buttando le sue piccole braccia intorno al collo di Castle, “Grazie pappà”.

Lui l’abbracciò forte prima di guardare Alexis, ma lei sembrava star bene, le sorrise e le prese una mano per tirarla con loro.

La rabbia di Kate svanì a quell’immagine che si presentò davanti a lei. Era molto bella ed era ora. Doveva ancora parlare con Castle, ma non in quel momento. Poteva aspettare. Non voleva rovinare il compleanno di Jamie quando si stava rivelando una delle giornate più belle della sua breve vita.

“Chi vuole un po' di dolce?”, chiese Kate, e prima che Castle potesse capire, Jamie corse verso sua madre, i leoni tra le braccia, un sorriso enorme sul suo viso. Kate la prese in braccio, osservando Castle che si stava alzando da terra per poi con una mano aiutare Alexis, che si avvicinò a lui.

Solo allora Castle si rese conto che non aveva finito  le presentazioni quando erano arrivati, e ora aveva almeno la dignità di sentirsi pieno di vergogna. Fermandosi di fronte a madre e figlia, mandò a Kate uno sguardo di scuse, prima di abbassarsi un po’, “Alexis, lei è la mamma di Jamie. Kate Beckett”.

Con Jamie ancora al suo fianco, Kate si inginocchiò di fronte ad Alexis, “E’ un piacere conoscerti Alexis”.

Gli occhi timidi della bambina incontrarono quelli di Kate, mentre le porgeva una mano, “Piacere anche mio, Signora Beckett”.

Kate le sorrise calorosamente, “Puoi chiamarmi Kate”.

Alexis annuì, osservando la donna per la prima volta, i suoi occhi marroni, i capelli morbidi attorno al viso. Sembrava così diversa rispetto a sua madre.

“Cosa ne dici Alexis, ti piacerebbe un po' di dolce?”, la sua voce era dolce e calda, gli occhi pieni di pazienza mentre le porgeva una mano.

Castle guardò con meraviglia Kate che aveva già conquistato il cuore di sua figlia in pochi secondi, quando la rossa mise la mano in quella di Kate e la seguì verso il tavolo.

Castle andò dietro di loro, notando lo sguardo di approvazione che sua madre gli stava mandando oltre il tavolo e realizzò che non aveva presentato nemmeno lei. Sospirò. Era. In. Grossi. Guai.

“Castle?”, Kate lo portò lontano dai suoi pensieri, “Puoi prendermi Jamie e metterla nel seggiolone? Così Alexis mi può aiutare con il dolce?”, guardò in basso verso la bambina accanto a lei, “Se vuoi”.

Alexis annuì energicamente e Kate passò Jamie a Castle, che andò verso sua madre per l’ultima presentazione della giornata, “Jamie, lei è Martha, mia mamma…tua nonna”.

Jamie osservò la donna dai capelli rossi accesso, prima di riportare lo sguardo a suo padre. La sua fronte si aggrottò per cercare di capire tutte le nuove cose che aveva imparato oggi. “Lexis?”, chiese.

Castle rise, “Si, è anche la nonna di Alexis”.

“Hey, signorina”, Martha sorrise a sua nipote che guardava timida il nuovo membro della famiglia. Martha le toccò il nasino con un dito, e la bambina avvicinò la testa al petto di suo padre.

“Ti sono piaciuti i regali?”, chiese Martha, non ferita dal riserbo di Jamie, sapendo che ci voleva del tempo.

Jamie annuì, “Jamie piaciono leoni”.

“L’ho saputo”, Martha rise e raggiunse la sua borsa,. “Ecco perché ho pensato che questo ti sarebbe piaciuto”.

Castle guardò sua madre sorpreso, non aveva idea avesse fatto un regalo a Jamie. “Madre?”.

Ma lei scosse la testa, porgendo a Jamie un altro piccolo leone di peluche. La bambina lo prese, leggermente esitante, sorridendo a sua nonna, “Grazie”.

Martha le sorrise e poi guardò Castle mettere la figlia nel seggiolone, mentre Alexis distribuiva i patti con il dolce sul tavolo, su istruzione di Kate. Era ridicolo quanto sembrassero una vera famiglia, pensò, mentre si sedeva davanti a suo figlio.

Dopo che tutti avevano il piatto con il dolce davanti a loro, Kate scomparve in cucina per fare del caffè, riportando poco dopo la testa alla loro vista, “Alexis, ti va bene del succo di mela?”.

“Si, grazie”. Alexis annuì e poi si incamminò verso suo padre per mettersi a sedere accanto a lui.

“Kate è carina”. Disse lei, attenta a farsi sentire solo da lui. Sospirando Castle posò un bacio sui suoi capelli, felice che si sentisse bene.

“Si, lo è”. Concordò osservando Kate in cucina, pronto a chiedere se avesse bisogno di aiuto, ma abbassò la testa quando Alexis cominciò a tirarlo per una manica.

“E’ bella”, sussurrò sua figlia, arrossendo.

Si, anche quello, pensò lui mentre Kate ritornava in soggiorno, posando una caraffa di caffè sul tavolo e porgendo ad Alexis un bicchiere di succo alla mela.

“Tutto ok?”, chiese alle persone intorno a lei, sedendosi poi a un tavolo che non aveva mai visto così tanti ospiti prima d’ora e provando a ricordare se avesse dimenticato qualcosa.

“E’ meraviglioso, grazie Kate”, Martha la rassicurò e Kate finalmente si mise a sedere, osservando grata come Castle stava già aiutando Jamie con il suo dolce, come Martha stava riempiendo le loro tazze di caffè, e focalizzandosi infine su Alexis, seduta tra lei e suo padre, sembrando un po' in disparte.

Le parole uscirono dalla sua bocca prima che potesse realizzarlo, “Quindi, come è andata a scuola oggi?”.

Alexis la guardò sorpresa, sua madre non le aveva mai chiesto della scuola, “Bene”, disse finalmente, guardando suo padre, che le stava dando un sorriso incoraggiante, prima di fermare un pezzo di dolce che stava cadendo dal piatto di Jamie.

“E qual è la tua materia preferita?”, chiese Kate, guardando la ragazza con interesse.

“Mi piacciono tutte”, Alexis sorrise alla donna.

“Tutte quante?”, Kate rise. “Wow, sono tante”.

“Papà mi sta aiutando ad un progetto di scienze”, disse Alexis cominciando a parlare, e per i successivi minuti Castle e Martha osservarono Kate e Alexis discutere animatamente sui vulcani mentre loro due erano impegnati ad ascoltare il balbettio di Jamie.

Ad un certo punto, Castle colse lo sguardo di sua madre e quasi pensò di aver visto lacrime nei suoi occhi. Lei annuì, dicendogli silenziosamente che stava bene con un piccolo sorriso sulle sue labbra, prima di riportare la sua attenzione a Jamie.

Sapeva esattamente come si stava sentendo, perché anche lui si sentiva così.




 

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Capitolo 25
*** Boom ***


Dopo che Castle si era offerto volontario per lavare i piatti, ricevendo uno sguardo d’intesa da parte di Kate, dicendogli in silenzio che sapeva esattamente cosa stava cercando di fare e che non avrebbe funzionato, erano ora di nuovo tutti riuniti in soggiorno. O più precisamente, nel bel mezzo del Rio delle Amazzoni, circondati da animali selvatici, tra cui un branco di leoni, mentre tentavano di remare per farsi largo tra le acque agitate e trovare una terra dove approdare, utilizzando il divano che ovviamente era stato trasformato in zattera.

Jamie ed Alexis erano pazze di gioia, sedute davanti a tutti nella parte iniziale della zattera, cercavano di dare istruzioni al padre urlando “Attento!” ogni singolo minuto, in modo che Castle facesse confusione cercando di cambiare rotta in continuazione.

Kate e Martha erano nella parte posteriore, ridevano all’uomo-bambino davanti a loro e Kate onestamente non ricordava quando lei e Jamie si erano divertite così tanto.

“Madre, questa è probabilmente la cosa più vicina a cui potrai mai aspirare per interpretare il personaggio di Katherine Hepburn in The African Queen”, disse Castle scherzando e ricevendo un cuscino sulla schiena.

“Ora non fare il simpatico”, rispose Martha. “Ero troppo giovane per fare quel ruolo. E comunque lascerei il remake di quel bellissimo film a te e Kate. Voi due formate una coppia molto più bella”.

Castle si girò per guardare sua madre. Cosa stava cercando di fare con quei commenti? L’unica cosa che sarebbe riuscita a fare era mettere Kate a disagio e guardando l’espressione del suo viso temeva che le sue preoccupazioni fossero fondate.

“Kate?”, le domandò piano e almeno sua madre ebbe la dignità di guardare altrove.

“Sai, i miei genitori mi hanno chiamata così per Katherine Hepburn”, disse lei sorprendendolo, e l’atteggiamento di Martha cambiò subito, da colpevole a incuriosito.

“Veramente?”, chiese lei mettendosi più vicina.

“Si”, Kate rise, cercando di coprire le lacrime che stavano riempiendo i suoi occhi. “Il mio nome per intero è Katherine Houghton Beckett”.

“Era una donna forte, bellissima e intelligente”, Martha annuì. “Penso che i tuoi genitori abbiano fatto la scelta perfetta”. La donna più anziana le sorrise e le picchiettò la mano. Guardando suo figlio e vedendo l’espressione dolce sul suo viso, capì in quel momento di averlo già perdonato per tutta quella situazione.

“Okay ragazze”, esclamò Castle, intuendo che la situazione stava diventando troppo personale per Kate, ed essendo il re delle distrazioni, pensò che fosse ora di un safari. “Pronte ad approdare?”.

“Si”, le sue figlie urlarono.

“Bene ma attenzione agli animali selvatici, non vogliamo che qualcuno venga mangiato”, le avvertì, voltandosi di nuovo verso Kate per farle un occhiolino, prima di scendere dal divano e tuffarsi nel mare di animali di Jamie. “Voi signore venite?”, guardò Kate e sua madre che negarono con la testa.

“Io custodirò la zattera”, disse Martha.

“E io andrò al villaggio lungo la spiaggia per fare rifornimento”, Kate stette al gioco e Martha annuì, impressionata.

“E’ brava”, dichiarò lei, sorridendo quando vide Castle e le ragazze strisciare in terra verso i leoni di peluche.

Kate stava frugando dentro i mobili di cucina, in cerca di vino da aprire quando sentì qualcuno entrare dentro la cucina. Girandosi e aspettandosi di trovare Castle, incontrò invece il sorriso timido di Alexis.

“Hey Alexis, hai bisogno di qualcosa?”, chiese Kate, dandole la sua completa attenzione.

Alexis saltava da un piede all’altro, “Ho bisogno di..”, e si fermò, ma Kate capì subito.

“Oh vedo, andiamo tesoro ti faccio vedere dov’è”. Ancora una volta le offrì la sua mano che Alexis afferrò senza esitazione, seguendo Kate in direzione del bagno.

Kate aspettò fuori dalla porta fino a quando Alexis non finì e ritornarono fianco a fianco nel soggiorno.

“Che cosa state facendo di là?”, le chiese Kate.

“Osserviamo i leoni”, le disse Alexis, ma non sembrava molto entusiasta.

“Non ti piacciono i leoni?”, Kate aggrottò la fronte.

“No, mi piacciono, ma non come a Jamie e a mio padre”, spiegò.

“E quali sono i tuoi animali preferiti?”, le chiese Kate, sperando che Alexis non si sentisse lasciata fuori da tutto il polverone che avevano fatto sui leoni quel giorno.

“Mi piacciono gli elefanti”, ammise Alexis timidamente, come se dovesse vergognarsi per quella preferenza.

“Veramente?”, Kate sorrise e aspettò che Alexis annuisse, “Sai una cosa? Anche a me”.

“Veramente?”, gli occhi di Alexis si alzarono e Kate annuì con un grande sorriso sulle sue labbra.

“Sono grandi e pericolosi, ma allo stesso tempo delicati”, spiegò Kate e si fermò quando Alexis fece lo stesso.

 “Si, e la femmina più anziana guida il gruppo”, disse Alexis emozionata.

“Perché sono più sveglie”, disse Kate, facendo ridere Alexis. “Vieni, ti voglio mostrare una cosa”.

Conducendola nel corridoio, Kate aprì la porta della sua camera ed entrò, Alexis si fermò sulla soglia. “E’ tutto ok”, sorrise Kate, “Vieni dentro”.

Esitante, Alexis seguì Kate nella camera, guardandosi timidamente attorno. “E’ bellissima”, disse dopo un po’, memorizzando ogni piccolo dettaglio, da quei mobili mai visti prima a tutti quei libri.

“Grazie”, le labbra di Kate si alzarono in un grande sorriso. “Vieni, voglio farti vedere questo”.

Alexis si avvicinò al comodino vicino al letto dove Kate le mostrò quattro elefanti di porcellana, ognuno più grande di quello precedente.

Gli occhi di Alexis si spalancarono, “Wow, sono bellissimi”. Sussurrò quasi.

“Si?”.

“Si”.

Kate ebbe un’idea, “Sai cosa ti dico Alexis? Vuoi portarlo a casa con te?”, Kate prese il secondo più piccolo e glielo passò, la bambina lo tenne tra le mani con una dolcezza e una cura così disarmanti che potevi pensare fossero la cosa più importante del mondo.

“Meglio di no”, disse Alexis, diventando improvvisamente triste.

“Oh, va bene”, Kate rimase sorpresa, era sicura che Alexis avrebbe amato quel regalo.

“Penso sia meglio che stiano tutti insieme, come una famiglia”, continuò Alexis, riconsegnano il piccolo elefante a Kate.

“Ok, hai ragione”, disse Kate mentre comprese quale fosse il problema e rimettendo l’elefante al suo posto. “Di nuovo tutti insieme, va bene?”.

Alexis annuì, ma prima che Kate potesse aggiungere qualcosa, un colpo alla porta tirò fuori entrambe dalla loro piccola bolla.

Kate alzò lo sguardo e vide Castle in piedi sulla soglia.

“Mi dispiace, ma si sta facendo tardi”, si scusò. “Zucca, tua nonna ti porterà a casa”.

“Cosa? Non possiamo stare un po' di più?”, Alexis si lamentò, andando lentamente verso suo padre.

“Mi dispiace ma domani hai scuola ed è già tardi, oltre al fatto che Jamie e Kate si devono svegliare presto domani mattina”, cercò di farla ragionare.

“Ma non rivedrò Jamie finché non ritorneranno”, il suo labbro iniziò a tremare, facendo capire a Castle che era molto stanca.

“Sono solo un paio di giorni”, Castle cercò di rassicurarla, non volendo terminare la giornata con Alexis che faceva i capricci.

Kate si inginocchiò di fronte a lei, avvolgendole una piccola mano tra le sue, “Appena torniamo dal nostro viaggio chiamo tuo papà e fissiamo subito per un altro giorno, va bene? Magari voi due potete venire da noi così ordiniamo una pizza. Come ti suona?”.

“Ok”, Alexis annuì, non molto entusiasta ma ricacciando indietro le lacrime.

“Andiamo zucca, saluta”. Castle si voltò per lasciare la stanza quando notò di sfuggita la libreria di Kate e quasi non gli prese un colpo, non poteva aver visto male, c’erano tutti i suo libri allineati su uno degli scaffali.

I tre si incamminarono di nuovo verso il salotto dove Jamie era seduta sulle ginocchia di sua nonna, rapita da una vecchia canzone di Broadway che Martha le stava cantando.

“Niente bis, madre”, disse Castle ridendo. “Tempo di andare”.

“Ah peccato”. Martha guardò sua nipote, “Ti canterò una nuova canzone la prossima volta”.

Jamie annuì e poi chiese, “Lexis?”.

“Si, io e Alexis dobbiamo tornare a casa. Ma sono sicura che ci vedremo presto Jamie”.

Si incamminarono tutti insieme verso la porta, Jamie ed Alexis mano per la mano mentre Kate e Castle si lanciavano uno sguardo d’intesa, le due ragazze sarebbe state inseparabili d’ora in poi.

Alexis abbracciò la sorellina per salutarla, mentre Martha picchiettò il naso di Jamie e disse, “Ci vediamo presto Bumble Bee”, facendo ridere Jamie.

E poi Kate si trovò avvolta dall’abbraccio stretto di Martha, sorprendendola, “E’ stato così bello conoscerti Kate”, le disse piano l’attrice, prima di lasciarla andare. “Rifacciamolo presto”.

Kate annuì soltanto, guardando Alexis prendere la mano di sua nonna prima di voltarsi per guardarla, una domanda inespressa nei suoi occhi.

“Non dimenticarti il nostro pizzappuntamento”, disse Kate, vedendo l’incertezza sparire dagli occhi di Alexis, rimpiazzata da un dolce sorriso.

Dopo che la porta si chiuse, Jamie e i suoi genitori rimasero soli nell’appartamento silenzioso e improvvisamente insicuri di come proseguire.

“Che ne dici di preparare Jamie per andare a letto mentre io cerco di sistemare il soggiorno?”, suggerì Kate.

Castle annuì, prendendo in braccio la figlia e incamminandosi verso il bagno, mentre Kate sparì nel soggiorno.


——————————————————————


Osservò lo spazio che una volta era il suo soggiorno e sorrise, a prescindere dal mai di testa che stava tornando di nuovo, portandole dolore agli occhi. Anche la gola le faceva male, e si chiese se si fosse sentita così tutto il pomeriggio. Forse era stata troppo distratta per notarlo, ma appena il silenzio era tornato e il caos di tutto il clan di Castle scomparso, notò quanto fosse stanca. Aveva davvero bisogno di un paio di giorni per ricaricare le batterie.

La settimana passata era stata stressante, oltre ai suoi soliti turni aveva anche lavorato per la Buon Costume. Altre due notti sotto la pioggia fredda iniziavano a farsi sentire. Non aiutava il fatto che lei e Jamie si erano ritrovate bagnate dalla testa ai piedi due giorni fa, prendendosi una doccia gratuita mentre ritornavano dal parco. Probabilmente si era presa un’influenza. Bene, proprio quello che ci voleva.

Si sarebbe riposata presto, quindi al momento non ci doveva pensare e anzi, doveva mettersi al lavoro, iniziando a raccogliere gli animali di peluche sparsi sul pavimento del salotto.

Nel frattempo Castle stava aiutando Jamie con il pigiama, mentre la bambina stava parlando emozionata della sua giornata.

“Quindi, ti sei divertita?”, chiese Castle, e Jamie annuì energicamente.

“Lexis divettente”, disse lei, con quegli occhi blu scintillanti che lo fissavano e Castle avrebbe urlato di gioia. Però potè anche vedere che l’entusiasmo di Jamie si stava esaurendo.

“Sei stanca Jamie?”, chiese quando la prese in braccio.

Lei negò con la testa, ma il grande sbadiglio che seguì diceva il contrario.

Ridendo, le diede un bacio sulla guancia, “Andiamo a letto, piccola festeggiata”.


———————————————


Si incontrarono nella camera di Jamie. Kate stava già mettendo i peluche nelle mensole, lasciando i leoni di Jamie sul letto. Alzò lo sguardo quando Castle entrò nella stanza, Jamie già mezza addormentata tra le sue braccia.

“E’ molto stanca”, sussurrò lui, posando la figlia nel letto, sistemandole le coperte e assicurandosi che potesse raggiungere tutti i leoni che desiderava.

Kate si abbassò e Castle fece un passo indietro per darle un po' di spazio mentre lei cominciò a sfiorare i riccioli di Jamie.

“Hey uccellino, ti è piaciuto il tuo compleanno?”, chiese Kate.

“Si”, Jamie sussurrò e Kate poté vedere quanto le costasse tenere gli occhi aperti.

“Ottimo, dormi bene. Ti amo”, Kate le diede il bacio della buona notte.

“Ti amo mami”, rispose Jamie con gli occhi già chiusi e Kate si allontanò per dare spazio a Castle.

“Ci vediamo in salotto”, sussurrò quando gli passò davanti.

“Va bene”, rispose lui, preparandosi alla tempesta che sarebbe seguita.

 

———————————————————

 

Era rimasto al fianco di Jamie più del necessario, sua figlia si era addormentata un secondo dopo che gli avevano dato la buonanotte. Sapeva che stava tergiversando e che non poteva rimandare a lungo, doveva affrontare Kate. Dopo tutto se l’era cercata. Prendendo un ultimo profondo respiro per darsi forza, si incamminò verso il salotto.

La trovò a guardare fuori dalla finestra, la sua schiena rivolta verso di lui. E non era sicuro che l’avesse sentito entrare nella stanza visto che non si muoveva.

Si schiarì la voce ma lei ancora non si voltò, e il suo cuore perse un battito. Aveva sperato che dopo le grandi cose che erano successe quel giorno magari poteva essere più indulgente, ovviamente si era sbagliato.

“Kate”, la chiamò, e quando la vide rimanere a fissare il paesaggio fuori dalla finestra, andò avanti, “Ascolta, mi dispiace. Te l’avrei dovuto dire, almeno parlartene. Lo so e credimi lo volevo fare”.

Prese un altro profondo respiro, “Ma poi mi sono tirato indietro, avevo paura dicessi di no e Alexis era già così emozionata, e io non potevo..lo so che non è una giustificazione. E’ solo che..a volte…voglio dire”, balbettò, si fermò e tentò di nuovo. “A volte faccio cose stupide con le migliori intenzioni e mi dispiace. Mi dispiace veramente tanto”.

Calò il silenzio tra di loro.

“Hai finito?”, chiese finalmente Kate, ancora rifiutandosi di guardarlo, con quel tono neutrale non aveva idea di cosa avrebbe detto dopo, quanto arrabbiata potesse essere. Era sempre molto difficile capirla e lui non era abituato. Le donne erano sempre molto chiare quando si trattava di quello che volevano da lui, ma con Kate non si poteva mai sapere. L’aveva sorpreso un paio di volte durante le scorse settimane. Ma in quel momento lo stava spaventando a morte. C’era così tanto un gioco.

“Io”, si fermò. “Si, ho finito”.

Finalmente Kate si girò per guardarlo e la sua faccia non sembrava così arrabbiata come si aspettava.

“Castle, non va bene agire alle mie spalle”, iniziò e fu subito interrotta da lui.

“Lo so. Non—“, abbassò la testa mentre lei alzò una mano per fermarlo.

“E’ il mio turno”, disse lei, “Non sono sicura che tu lo sappia. Penso che sei abituato a far vedere il tuo bel sorriso ogni volta che fai qualcosa di stupido e tutto torna apposto velocemente. Ma non va bene prendere decisioni che coinvolgono nostra figlia senza consultarmi e poi aspettarti che una scusa sentita possa sistemare tutto. Eravamo d’accordo nel fare le cose insieme e questo non include fare le cose da solo quando pensi che non sono d’accordo con te”. Aspettò che lui immagazzinasse le sue parole prima di continuare. “Non rifarlo più”.

“Non lo farò”, promise lui, ancora guardando il pavimento.

“Detto questo”, andò avanti, non più in grado di trattenere il sorriso che aveva minacciato di uscire non appena era entrato nella stanza, “Voglio ringraziarti per aver dato a Jamie il miglior compleanno di sempre. Non che ne abbia vissuti molto fino ad ora”, sorrise, “Però non l’ho mai vista così felice”. Lei incontrò i suoi occhi, assicurandosi che lui avesse capito, “Grazie”.

Lui si rilassò visibilmente, abbassando le spalle mentre un sorriso si formava sulle sue labbra, “Davvero?”.

“Si, è stato perfetto”. Annuì, improvvisamente dolce e tenera.

La sua rabbia si era placata durante il corso della giornata, anche se non voleva fingere che non fosse stato importante il fatto che abbia preso una decisione senza di lei. Ma sembrava che avesse recepito il messaggio e non c’erano motivi per punirlo ancora più del necessario.

Lui era ancora cauto, non riusciva a credere che l’avesse perdonato così facilmente. “Quindi siamo a posto?”. 

Lei si avvicinò, “Si, siamo a posto”.

“Ok”, fece un sospirò di sollievo e poi guardò la porta. “Dovrei andare allora, è tardi e tu probabilmente ti sveglierai presto domani mattina”.

Kate sembrava riluttante a lasciarlo già andare via e lui alzò le sopracciglia interrogativamente.

“In verità”, iniziò lei, “Potresti sederti un minuto? C’è una cosa che voglio mostrarti”.

“Certo”, accettò, facendo quello che gli era stato chiesto e sedendosi sul divano mentre Kate scomparve nel corridoio per poi entrare nella sua stanza.

Castle si chiese cosa aveva in mente, ricordò i suoi libri nella libreria e una parte di lui sperò che fossero quelli ciò che voleva mostrargli, magari raccontargli la storia che c’era dietro.

Ma sembrò ritornare a mani vuote quando si sedette sul divano accanto a lui, finché non aprì una mano e gli mostrò un braccialetto rosa da ospedale, e lui capì subito cos’era.

“E' di Jamie, dell’ospedale”, spiegò lei, mentre lui la fissava attonito, esitante, mentre lei tentava di incoraggiarlo con uno sguardo.

Prendendo il braccialetto con cura, lo studiò come se fosse il tesoro più prezioso del mondo.

“Jamie Rowan?”, la guardò non appena venne a conoscenza della nuova informazione.

Kate lo guardò imbarazzata quando disse, “Si come Katherine Hepburn in-“.

Without Love”, finì la frase per lei, ancora più attonito. “Amo quel film”.

“Anche io”, e lui poté giurare di averla vista arrossire, i suoi occhi guardavano altrove, imbarazzati, nascondendosi dietro a un ciuffo di capelli quando si morse il labbro inferiore.

Era adorabile e non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, anche se lei si ostinava a non guardarlo.

Alla fine le porse il braccialetto in modo che lo potesse rimettere apposto, ma con sua sorpresa avvolse le dita sopra le sue, intrappolando il braccialetto nelle loro mani.

“No, tienilo”. Disse, finalmente guardandolo negli occhi.

“Sei sicura?”, guardò le loro mani unite prima di alzare gli occhi spalancati verso di lei.

“Si”, annuì lei. “Io ho l’altro. E’ giusto che suo padre ne abbia uno”.

Il cuore di Castle cominciò a battere all’impazzata e sentì le sue dita stringergli la mano prima di lasciarlo andare, “E’ tardi”. Interruppe il momento e si alzò, aspettando che lui la seguisse.

Lo fece, ancora ipnotizzato dal piccolo braccialetto di plastica nelle sue mani, “Devo un attimo andare in..”, indicò in direzione del bagno, “Sarò veloce”.

Kate annuì prima di sparire nella cucina.

Castle era ancora su di giri per tutti gli eventi della giornata quando si fermò in mezzo al corridoio. Era stata una giornata veramente sorprendente, anche Kate non era stata in grado di negarlo e non riuscì nemmeno a rimanere arrabbiata con lui. Era un fortunato, stupido e coraggioso uomo, pensò, mentre gli occhi gli cadevano sulla porta della camera di Kate. E visto che era stupido e coraggioso entrò dentro in cerca dei suoi libri.

Li trovò, tutti, proprio come aveva visto prima e non riuscì a non sorridere mentre pensava a come avesse dovuto acquistarli e leggerli tutti in così poco tempo e non aver avuto nemmeno il tempo di risistemarli.

Prendendo In a Hail of Bullets realizzò subito che era una vecchia edizione, dal momento che la copertina era cambiata per la nuova edizione, anzi questa sembrava una copia della primissima edizione. Lo aprì e fissò incredulo quello che trovò scritto sulla prima pagina.

 

Johanna Beckett

 

1994

 

Era un libro di sua madre. Kate non gli aveva mai detto il nome di sua madre, ma lo capì subito quando voltò pagina, lentamente realizzò che non aveva mai capito niente.

 

A Johanna,

non lasciarti abbattere.

Ogni vittoria, se pur piccola, è sempre una vittoria.

Lo scopo è cercare di fare la differenza.

Ce la farai.

Rick Castle

 

Sua madre era una fan ed era molto improbabile che Kate non sapeva chi fosse al loro primo incontro. Aveva costruito con cura tutta la storia nella sua mente, sul perché non lo avesse mai trovato, sul perché non gli avesse mai detto di Jamie quando si erano incontrati per caso qualche settimana prima e invece la verità era tutta scritta su quel pezzo di carta.

L’aveva sempre saputo, lo sapeva fin dall’inizio e aveva deliberatamente deciso di tenere sua figlia lontana da lui. Tutti i sentimenti di speranza che quel giorno erano nati dentro di lui si erano distrutti, rimpiazzati da rabbia e dolore. Come aveva potuto?

Stringendo il libro al petto si voltò, correndo in salotto e poi in cucina.

“Cos’è questo?”, urlò, facendola saltare dalla sorpresa.

“Castle, che succede?”, guardò il suo viso agitato, finché i suoi occhi non si posarono nel libro nelle sue mani e il sangue le si gelò nelle vene.

“Eri nella mia camera?”, disse finalmente lei, cercando di distrarlo, sperando in qualcosa che non sapeva nemmeno lei.

“Non provare a cambiare discorso adesso”, quasi ruggì, avvicinandosi. “Da quanto tempo lo sapevi Kate? Da quanto?”.

Lei si sentì come un animale in trappola senza uscita, senza un posto dove nascondersi dalle sue domande scottanti e non aveva idea di come rispondere. I suoi occhi pieni di panico incontrarono quelli di lui, brucianti di rabbia, e provò a calmarlo, parlando a bassa voce.

“Cas-“, non la lasciò finire.

“Da quanto Kate? Lo sapevi quando siamo stati a letto insieme? Sapevi chi ero e hai deciso che non avevo il diritto di conoscere mia figlia?”.

“Non è andata così”, disse lei, con gli occhi pieni di lacrime. Se solo glielo avesse detto, se solo non avesse continuato a rimandare.

Lui prese le sue parole come conferma dei suoi sospetti, e la rabbia lo lasciò, lasciando solo spazio al dolore.

“Capisco”, dichiarò, la voce fredda come il ghiaccio. Appoggiò il libro sul bancone della cucina e si avviò alla porta senza nemmeno guardarla.

“Castle, aspetta”, lo chiamò, ma lui non si fermò, non si voltò nemmeno.

“Ho bisogno di andarmene da qui”, disse, con tono sconfitto e perso, e il cuore di lei si spezzò al pensiero di quello che gli aveva fatto, “Dì a Jamie che la vedrò la prossima settimana”.

E con quello la porta si chiuse con un colpo e non c’era niente che poteva fare.

“Merda”, mormorò lei, prima di accasciarsi contro il bancone della cucina, con la testa tra le mani. Cosa aveva fatto?




Ciao a tutti, sono tornata nuovamente attiva e cercherò di postare spesso come le scorse settimane, anche perché essendo la storia lunghetta...così evitiamo di finirla nel 2018 😂
Ringrazio Sofia <3
Buona lettura
Alice

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Capitolo 26
*** Ospiti ***


Castle si precipitò in casa sbattendo la porta alle sue spalle. Sua madre non era in vista quando entrò nel soggiorno, così continuò a camminare verso lo studio. Afferrò una bottiglia di scotch, versandoselo in un bicchiere, prima di crollare a sedere dietro la sua scrivania a fissare il buio. Girò il liquido nel bicchiere, osservando come la luce della lampada da tavolo lo facesse brillare, prima di buttarne giù un grande sorso.

“Richard?”, sua madre comparve sulla soglia, “Pensavo di averti sentito entrare”.

“Come sta Alexis?”, chiese lui senza guardarla, i suoi occhi fissavano il bicchiere ormai vuoto davanti a lui.

“Oh Richard, è al settimo cielo, non ha smesso un attimo di parlare di Jamie mentre tornavamo a casa, e..”, si avvicinò alla scrivania gettando al figlio uno sguardo d’intesa, “Penso che la tua Kate abbia fatto una buona impressione su di lei”.

“Non è la mia Kate”, quasi urlò e Martha sollevò le sopracciglia sorpresa. Guardandolo più da vicino, vide la sofferenza sul suo viso, il modo in cui cercava di nasconderglielo, e subito capì che doveva essere successo qualcosa di orribile dopo che era andata via.

“Cosa è successo?”, chiese piano, non sicura di voler sentire la risposta.

Castle fece una risata fredda e Martha si rese improvvisamente conto che quello che era successo doveva essere qualcosa di più grave di Kate che gli dava dell’egoista, cosa che onestamente si meritava.

“Non stiamo parlando di te che hai nascosto tutto a Kate, vero?”, diede voce ai suoi sospetti ma Castle tenne la bocca chiusa. “Richard?”, disse più insistente, non distogliendo i suoi occhi penetranti da lui finché non sentì il figlio sospirare arreso.

“Lo sapeva”, disse semplicemente lui, come se quello fosse la risposta a tutto.

“Chi sapeva cosa?”, Martha aggrottò la fronte.

“Kate, sapeva chi ero. Fin dall’inizio, tutto questo tempo ha sempre saputo esattamente chi ero eppure ha tenuto lo stesso Jamie lontano da me, non ha mai voluto che la incontrassi”. Lacrime si stavano formando nei suoi occhi. “Se non mi fossi imbattuto per caso in lei, non l’avrei mai conosciuta. Non avrei mai conosciuto mia figlia”. Sbatté le palpebre, cercando di trattenere le lacrime. Dopo aver trascorso settimane con Jamie non poteva immaginare una vita senza di lei, e pensare che avrebbe potuto non avere l’opportunità di farle da padre se non l’avesse incontrata per caso, gli si spezzava il cuore.

Sua madre ebbe difficoltà a credere a quello che aveva appena sentito. Certo, sapeva quanto le cose all’inizio fossero state complicate con Kate, ma la donna che aveva incontrato oggi, così aperta, disponibile, non riusciva ad immaginarla tenere lontani padre e figlia di proposito.

“Ne sei sicuro? Te l’ha detto lei?”, chiese incredula.

La guardò furioso, “Da che parte stai madre?”.

“Dalla tua”, disse lei, “E’ solo che…”, non concluse la frase.

“Lo so”, rise amaramente. “Pensavo che le cose stessero andando bene e poi ho trovato i miei libri nella sua camera, tutti i miei libri”, enfatizzò l’ultima frase. “E viene fuori che sua madre era una mia fan”.

“Oh ragazzo, mi dispiace”, Martha rimase a bocca aperta, capendo che ora la storia aveva senso.

“Non aveva bisogno di aggiungere altro dopo, è abbastanza ovvio com’è andata”. Spinse il bicchiere lontano da lui e lentamente si alzò in piedi.

“Che cosa farai adesso?”, chiese sua madre, spostandosi anche lei dalla scrivania.

“Ho intenzione di andare a letto”, mormorò.

“Richard?”, era ovviamente preoccupata.

“Non voglio parlarne, non stanotte”, la guardò con occhi imploranti e Martha annuì.

“Va bene ragazzo, vado a casa allora. Chiamami quando sei pronto”, si avvicinò a lui, lasciandogli un dolce bacio sulla guancia. “Andrà tutto bene, lo sai”.

“Come fai a saperlo?”, chiese lui, stoico.

“Perché quali siano state le ragioni per cui Kate abbia preso quelle decisioni in passato, adesso ti vuole nella vita di sua figlia”.

Lui non fece altro che alzare le spalle, in quel momento il suo cuore faceva troppo male per vedere uno spiraglio di luce, e quindi andò in camera, non voleva pensare più a nulla.

 

—————————————————————————

 

Kate si svegliò nel cuore della notte, la testa le scoppiava, la camicia da notte era intrisa di sudore, attaccata al corpo, le ci volle un po' per capire cosa l’avesse svegliata dal suo sonno agitato.

Scese dal letto nel giro di un secondo quando sentì Jamie piangere, dovendosi aiutare con lo stipite della porta quando fu colpita da un improvviso senso di vertigini. Lentamente arrivò nella camera di Jamie e quando la vide con il viso rigato di lacrime la prese subito in braccio.

“Uccellino, scotti”, mormorò, premendo la mano sulla fronte di sua figlia.

“Mami”, Jamie si lamentava, avvicinandosi sempre di più al petto di sua madre.

“Va tutto bene, uccellino, va tutto bene”, Kate cercò di calmarla. “Mamma è qui”.

Kate si sistemò meglio Jamie in braccio e si incamminò verso la cucina, sapeva che doveva fare qualcosa per la febbre prima che peggiorasse, ignorando il suo corpo dolorante e i pensieri su Castle.

Quando arrivò il mattino, Kate era esausta, Jamie aveva pianto tutta la notte e si era addormentata solo durante le prime ore del mattino. Non si era mai allontanata dal suo capezzale e anche adesso le era accanto, la stava osservando dormire mentre era sdraiata vicino, intenta a darle carezze rassicuranti sui capelli.

Per tutta la notte Kate aveva cercato di farle abbassare la febbre e finalmente, dopo ore, la temperatura di Jamie era leggermente scesa, permettendo alla bambina di chiudere gli occhi e addormentarsi. Per tutto il tempo aveva ignorato i segnali del suo corpo, poteva riposare solo quando Jamie si sarebbe sentita meglio. E doveva anche occuparsi di alcune faccende.

Doveva chiamate il B&B per cancellare la prenotazione, non c’era modo di andare fino alla costa questa settimana anche se sapeva che Jamie ci sarebbe rimasta male. Sua figlia era entusiasta del viaggio, la loro prima vacanza lontane da casa.

Lasciando un bacio sulla fronte di Jamie, finalmente si alzò per cambiarsi in abiti più freschi, non aveva il coraggio di fare la doccia visto che Jamie si era appena addormentata. Si trascinò in cucina, riempiendosi un bicchiere d’acqua prima di cercare il numero di telefono del B&B.

La proprietaria era un’anziana signora molto gentile che le aveva detto di non preoccuparsi e di rimettersi presto. Avrebbe dato la camera a qualcun’altro, sperando che un giorno sarebbero riuscite ad andare.

Dopo la telefonata, Kate frugò nel suo armadio in cerca di cibo, Jamie doveva mangiare qualcosa quando si sarebbe svegliata, anche se sapeva già che non avrebbe voluto niente. Il risultato della sua ricerca fu scadente, non c’era molto in casa, o almeno non c’erano cose che Jamie potesse ritenere commestibili. Pensava di stare fuori città per i prossimi giorni e non aveva fatto scorta di cibo.

Sospirò, aveva anche bisogno di medicine, dal momento che aveva finito tutto durante la notte, ma questo la gettò in un dilemma. Doveva uscire, ma non poteva lasciare Jamie da sola, non nello stato in cui era e non l’avrebbe lasciata da sola comunque. Cynthia era fuori città, quindi chiamarla non era un’opzione, e Royce era occupato a lavoro, quindi rimaneva solo una persona, una persona che probabilmente non aveva nessuna voglia di parlarle al momento. Castle.

 

——————————————————-

 

Castle stava mettendo via i piatti quando il telefono cominciò a squillare. Aveva accompagnato Alexis a scuola, cercando di nascondere il suo umore sotto terra mentre sua figlia non aveva smesso un attimo di parlare di Jamie e Kate, e di quanto si fosse divertita. Era felice che Alexis si fosse trovata bene con loro così velocemente, lo era veramente, ma non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di tradimento, non riusciva a togliersi il dolore e la rabbia che provava quando pensava al fatto che Kate non avrebbe voluto averli nella sua vita, e addirittura nemmeno in quella di Jamie.

Mettendo velocemente apposto l’ultimo piatto, raggiunse il telefono e rispose, “Castle”.

Per un lungo istante non sentì niente, fino a quando non la sentì balbettare. “Hey Castle, sono io, Kate”.

Kate sentì lui prendere un lungo respiro e per un secondo pensò che avrebbe attaccato.

Castle di certo non si aspettava di sentirla così presto, aveva pensato che non l’avrebbe contattato fino a quando non sarebbero tornate dal loro weekend, dopotutto dovevano già essere fuori città.

“Beckett, che cosa vuoi?”, chiese finalmente lui, con un tono freddo.

“E’ per Jamie”, gli disse in fretta, temendo che avrebbe cambiato idea e chiuso la conversazione. Non poteva biasimarlo se lo avesse fatto.

Ma le sue parole gli fecero cambiare del tutto atteggiamento, la sua rabbia fu sostituita da preoccupazione per la sua bambina, “Cos’ha Jamie? Non siete in viaggio per il Connecticut?”.

“No”, disse Kate, felice di sentirlo mettere da parte le loro divergenze per un attimo, “Jamie ha preso una brutta febbre stanotte. Non siamo andate”.

“Come sta?”, chiese Castle, dopo essersi urlato in testa di non correre subito verso la porta per andare a casa loro a controllare la sua bambina. 

“Sta dormendo ora, la febbre è scesa un po’, ma è stata sveglia tutta la notte a piangere”, lo informò, non includendo il fatto che lei si sentisse uno schifo.

“Cosa vuoi che faccia?”, chiese lui, andando subito al dunque visto che non era dell’umore per conversare, figuriamoci di farlo con lei.

“Non te lo chiederei sei…”, si fermò, sentendolo prendere un profondo respiro. Non era sicuramente quello che lui voleva sentire. “Non posso lasciarla sola e ha bisogno di qualcosa per la febbre”.

“Ok”, annuì anche se non poteva vederlo, “Altro?”.

“Cibo”, balbettò lei, “Non ho molto qui, ma ha bisogno di mangiare qualcosa quando si sveglia. Un po' di zuppa o—“. La interruppe.

“Ok, arrivo appena possibile”, disse lui, già pronto ad attaccare, ma lei lo fermò.

“Castle, grazie”, gli disse piano.

“Già”, dopo quella risposta la conversazione finì.

 

——————————————————————-


Era come se qualcuno le stesse colpendo la testa con un martello e gemette quando aprì gli occhi, realizzando che si era addormentata sul divano. I colpi non si fermarono, sentiva la sua testa come se stesse per esplodere e poi lo sentì.

“Kate?”.

Stava bussando alla sua porta.

“Kate!”, urlò, bussando contro il legno ancora una volta. “Kate, apri”.

Le presero le vertigini quando si alzò dal divano per andare ad aprire Castle.

“Che diavolo—“, quasi le urlò contro, ma vedendo il suo volto pallido e il modo in cui si sosteneva alla porta per mantenersi in piedi, decise di non andare oltre, “Stai da schifo”, disse non molto elegantemente.

“Grazie Castle”, mormorò, quando lui le passò davanti per entrare.

“Perché ci hai messo così tanto?”, chiese, mettendo le buste che aveva in mano sul bancone della cucina.

“Scusa, mi sono addormentata sul divano”, spiegò, seguendolo lentamente.

Le diede uno sguardo da vicino realizzando che sembrava esausta, e dimenticando la rabbia per un momento le si avvicinò e le mise una mano sulla fronte.

“Kate, sei bollente”, disse sorpreso.

“Sto bene”, replicò testarda, allontanando la testa dal suo tocco, ma dovette sorreggerla quando inciampò nel tentativo di allontanarsi da lui.

“Non stai bene”, disse lui. Perché doveva essere così testarda? “Hai la febbre e a malapena ti reggi in piedi”.

Lei fece spallucce, sedendosi su una sedia in cucina, “Jamie sta ancora dormendo”, tentò di cambiare discorso.

La ignorò e invece chiese, “Come può funzionare?”.

“Cosa?”, Kate aggrottò la fronte, non riuscendo a pensare chiaramente , la sua testa le faceva malissimo.

“Con te e Jamie. Puoi prenderti a malapena cura di te stessa, come puoi pretendere di poterti prendere cura di lei?”.

I suoi occhi grandi lo guardano e lui sospirò. Non voleva. Non voleva davvero starle vicino in questo momento, ma non c’era altro modo e l’avrebbe fatto solo per Jamie, non per Kate, tentò di dire a se stesso.

“Venite entrambe a casa con me”, dichiarò.

“Cosa?”, Kate si alzò di scatto, ma se ne pentì subito quando tutto diventò nero.

“Fai piano”, disse, aiutandola a rimettersi in piedi.

“Castle, io posso—“, ma non la lasciò finire.

“Questo non è negoziabile”. La fissò, sfidandola a protestare.

Alla fine sospirò, era troppo stanca per discutere, “Ok, ma solo un giorno o due”.

Lui non commentò, la seguì in silenzio e l’aiutò a preparare un paio di cose da portarsi dietro prima che tutti e tre si trovassero fuori dalla porta di casa, Jamie accoccolata contro il suo petto mentre il tassista lo aiutava con le borse.

 

———————————————————

 

Lui aprì la porta del loft e nonostante la stanchezza Kate fu impressionata da quello che trovò davanti ai suoi occhi, il soggiorno da solo sembrava più grande di tutto il suo appartamento. Per la prima volta pensò a quanto dovesse essere ricco. Questo era l’appartamento di un multimilionario.

Lo sentì ringraziare il tassista e chiudere la porta, prima di prendere il controllo della situazione, “Vi metterò entrambe nella mia camera, così Jamie non si ritrova da sola”, disse piano per non svegliare Jamie che era addormentata tra le sue braccia. Era felice di essere stato capace di darle le medicine in auto, così da non doverla svegliare di nuovo.

“Non voglio che tu te ne vada da camera tua”, replicò Kate, seguendolo esitante.

“Andrò di sopra, in una delle stanze degli ospiti, è’ più facile in questo modo, non dovremo portare tutte le borse di sopra”, fece spallucce, incamminandosi verso la propria camera.

“Le lenzuola sono state cambiate stamattina, così potete subito mettervi a letto”, suggerì lui.

“Castle”, iniziò non sapendo cosa dire realmente, era troppo. Sapeva che era ancora arrabbiato, deluso…

“Sei esausta Kate, mettiti solo sotto le coperte e dormi un po’”, le disse, già mettendo Jamie in un lato del suo letto.

Non l’avrebbe perdonata facilmente, era ancora arrabbiato e ferito e lei doveva spiegargli molte cose, non avrebbe fatto passare la cosa in sordina, ma per ora le stava offrendo una tregua che lei non vedeva l’ora di accettare.

“Pappà?”, mormorò Jamie e Castle si abbassò verso di lei, lasciandole un bacio sulla fronte e togliendole dolcemente i riccioli che le cadevano sul viso.

“Torna a dormire uccellino. Mamma e papà sono qui”, la rincuorò, osservandola tornare a dormire prima di guardare Kate.

Era ancora in piedi in mezzo alla stanza, insicura su cosa fare.

“Prendo le vostre cose e poi vi preparerò della zuppa di pollo per quando vi sentirete meglio”, iniziò a sorpassarla, ma lei lo fermò con una mano sul braccio.

Guardandola negli occhi, poté vedere come stava combattendo con le sue emozioni, i suoi occhi brillavano quando disse, “Grazie Castle”.

Lui annuì semplicemente, non capendo il tormento che vide nei suoi occhi, c’era gratitudine ma anche qualcos’altro, qualcosa di più profondo, come se fosse sconvolta dalle sue attenzioni.

Andò in soggiorno, lasciando Kate da sola nella sua camera e quando fu lontano, lei si avvicinò lentamente ad un lato del letto. Un piccolo sorriso le apparve quando vide il dipinto con il leone su una delle sue pareti, ma era troppo stanca e finalmente cedette al suo invito, si mise sotto le coperte accanto a sua figlia e si addormentò solo qualche secondo dopo.

Ecco come le trovò Castle, le due Beckett addormentate nel suo letto, Jamie stretta al petto di sua madre. Lasciò le borse accanto alla porta e in silenzio uscì dalla stanza, con un piccolo sorriso sul viso.

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Capitolo 27
*** Prima della tempesta ***


 

Per i successivi due giorni Kate fece soprattutto una cosa, dormire. Si svegliava solo per prendere le medicine che erano sempre pronte sul comodino, insieme a dell’acqua e un po' di cibo che non aveva mai toccato, lasciava il letto solo per usare il bagno. La seconda volta che si era svegliata dopo essere arrivata nel loft di Castle, Jamie era scomparsa e per un attimo le prese il panico finché non vide il pezzo di carta sul cuscino accanto a lei.

 

Non ti preoccupare

Ho portato Jamie di sopra

Stava piangendo

Non volevo svegliarti

Rick

 

Quasi si mise a piangere, uno strano rumore le sfuggì dalla gola mentre stringeva il foglio al petto. Aveva dormito mentre sua figlia piangeva. Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se Castle non fosse stato lì. Aveva ragione lui, era in uno stato in cui non poteva prendersi cura di Jamie, al momento.

Lui l’aveva controllata regolarmente, rassicurandola del fatto che Jamie aveva appena iniziato a piangere non appena era entrato in stanza e l’aveva portata con sè, cosicché Kate potesse dormire. Era sicuro si sarebbe svegliata per dare una mano. Lui prendeva Jamie con sé di tanto in tanto, ma Kate non era mai stata in grado di rimanere sveglia a lungo. Qualsiasi cosa avesse preso, l’aveva presa bene. Non si ammalava da anni.

In tutti quei momenti, si erano scambiati a malapena qualche parola, lui era educato, rispettoso, ma poteva benissimo dire che era ancora arrabbiato, anche se cercava di non darlo a vedere. Ma lei sapeva che era solo questione di tempo prima che la loro tregua finisse. Era solo la calma prima della tempesta.

 

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Venerdì pomeriggio Kate si svegliò con le risate di Alexis e Jamie provenienti dal soggiorno e si trascinò fuori dal letto per vedere cosa stessero combinando, visto che si sentiva un po' meglio.

Le trovò per terra, entrambe tentando il fare il solletico a Castle che cercava disperatamente di allontanarsi dalle due bambine, sedute su di lui. Fu lui a notarla per primo, “Vedo che qualcuno si è svegliato”, disse, voltando la testa di Jamie verso sua madre che era appoggiata allo stipite della sua camera.

“Mami” la bambina urlò, lottando per scendere da Castle e dandogli un calcio nelle parti intime.

“Ouch”, sentì Castle lamentarsi, il viso contorto dal dolore e Kate non riuscì a trattenere una risata, prima che l’aria le abbandonasse i polmoni quando Jamie le corse incontro. Sicuramente la guarigione di sua figlia era stata molto più veloce rispetto alla sua.

“Hey uccellino”, rise prima di prenderla in braccio con braccia tremanti. “Ti senti meglio?”.

Jamie annuì, accoccolandosi tra le braccia di sua madre mentre Kate guardava Castle alzarsi da terra e avvicinarsi.

“Come stai?”, chiese, notando che era ancora un po' pallida e scossa, ma almeno era in piedi, i suoi occhi erano più chiari rispetto ai tre giorni trascorsi.

“Un po' meglio, grazie”, rispose onestamente offrendogli un sorriso, che non fu ricambiato.

“C’è della zuppa”, disse invece, prendendo Jamie dalle sue braccia, notando quanto poco riuscisse a sostenere quel peso in più e mettendo poi la bambina a terra che subito cercò Alexis, prima di andare in cucina.

Kate lo seguì, sedendosi su uno sgabello davanti al bancone e provando a usare le dita per sistemarsi i capelli che certamente dovevano sembrare un inferno, dopo due giorni passati a letto senza nemmeno una doccia. Si sentì insicura del suo aspetto, l’intera scena sembrava così domestica, ma Castle sembrava non pensarci. Mise un piatto di zuppa di fronte a lei, insieme a del pane e un bicchiere d’acqua, e lei dovette ammettere che il profumo era ottimo, sentì il suo appetito ritornare per la prima volta dopo giorni.

“Grazie”, lei annuì e lentamente iniziò a mangiare, assicurandosi che il suo stomaco ce la facesse.

 

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Dopo aver finito la sua zuppa ritornò nella camera di Castle, e si addormentò, sapendo che Jamie stava bene ed era in ottime mani. Ma adesso si era svegliata e si sentiva bene per la prima volta dopo giorni. Uno sguardo alla sveglia le disse che era passata la mezzanotte e il loft di Castle era avvolto nel silenzio.

Per un momento considerò che cosa fare, prima di portare le sue gambe fuori dal letto, incamminandosi verso il bagno, con il disperato bisogno di farsi una doccia. O ancora meglio, un bel bagno caldo, la vasca era troppo grande per non essere tentata ad usarla.

Quindici minuti dopo entrò nell’acqua calda e sospirò pesantemente, questo era il paradiso. Era da tantissimo tempo che non si faceva un bagno, le sembrava una vita. E quando ci pensò meglio, realizzò che in realtà erano anni, prima di andare a Stanford, quando ancora viveva con i suoi genitori.

La vasta selezione dei sali da bagno di Castle trasformarono ben presto il bagno in un’oasi di gelsomino e lavanda. E raggiungendo l’Ipod trovato su una mensola, rimase sorpresa di sentire “Spiritual” di Coltrane subito dopo aver messo gli auricolari. Lei amava Coltrane. Il paradiso, era semplicemente il paradiso, furono i suoi ultimi pensieri prima di appoggiare la testa al bordo della vasca e chiudere gli occhi.

 

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Castle si svegliò nel cuore della notte, affamato. Gli servì un momento per orientarsi, ancora non si era abituato a dormire nella stanza degli ospiti, nonostante fosse la terza notte di fila.

Tirandosi su giù dal letto e scendendo le scale, fu sorpreso di vedere una luce provenire da sotto la porta della sua camera. Si fermò all’ultimo scalino, considerando la sua prossima mossa prima di fare una deviazione, abbandonando il frigo per un paio di minuti e andando a controllare Kate.

Bussò alla porta, era chiusa solo in parte ma non sentì risposta e così lentamente entrò nella stanza.

“Kate?”, sussurrò, ma ancora non ci fu risposta.

Si guardò intorno, trovando  il letto vuoto e una nuova fonte di luce provenire da sotto la porta del bagno.

“Oh”, mormorò nel silenzio della sua stanza, sentendosi un po' stupido e fuori luogo fermo lì ad aspettarla mentre lei era dentro. Ma visto che era lì poteva aspettare per vedere come stava. Forse le serviva qualcosa.

Aspettò e aspettò ancora, iniziando un po' a preoccuparsi quando dopo dieci minuti ancora non era uscita. Non molto da gentiluomo, mise un orecchio sulla porta del bagno per vedere se avrebbe sentito qualcosa, ma non sentì niente. Nemmeno un piccolo suono.

La sua immaginazione da scrittore si aprì subito sugli scenari peggiori, Kate distesa sul suo pavimento del bagno, sangue ovunque dopo essere svenuta e dopo aver battuto la testa contro il lavandino o qualcosa del genere.

Bussò, cercando di placare il suo panico, ma non ci riuscì quando ancora non ottenne risposta.

“Kate?”, alzò la voce, bussando più forte questa volta. Ancora niente.

Basta, pensò mentre aprì la porta del bagno e si imbatté in una Kate più che viva e tranquilla nella sua vasca da bagno. Aveva gli occhi chiusi, il respiro leggero…e i seni proprio a pelo d’acqua. Trattenne il fiato e proprio in quel momento lei notò qualcosa, visto che aprì gli occhi e voltò la testa per guardarlo.

“Castle!”, urlò, alzando le braccia per coprirsi il seno, ma quell’improvviso movimento fece traboccare l’acqua dalla vasca, gli auricolari caddero dentro l’acqua. Lui subito si voltò, alzando le mani.

“Mi dispiace, ho bussato…non rispondevi, io”, balbettò, “Io..ero preoccupato”, disse finalmente, ancora senza muoversi.

“Castle!”, urlò di nuovo e lui la guardò, vide le sue guance rosse…bellissima, era bellissima. “Castle!”.

“Huh?”.

“Esci”, gli ordinò, facendogli cenno con la mano.

“Certo, scusa”, mormorò, finalmente girandosi e uscendo.

La porta si chiuse dietro di lui e dopo aver ripreso fiato, tornando in sé, Kate si mise a ridere.


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Entrò in soggiorno, vestita con un paio di pantaloni della tuta puliti e una felpa della NYPD che era un po' troppo grande per lei. Lo trovò in cucina, a prepararsi un sandwich, per quanto potesse vedere da quella posizione.

“Hey”, annunciò la sua presenza e Castle sollevò la testa, con occhi spalancati e imbarazzati.

“Kate, guarda mi dispiace. Non avevo intenzione,”, sospirò. “Ma non rispondevi e—“, Kate sollevò la mano per interrompere il suo balbettio.

“Va bene”, sorrise. “Solo che non ti avevo sentito”.

“Okay”, sembrò rilassarsi.

“Grazie per essere venuto a controllare”, aggiunse. Avevano già abbastanza carne al fuoco tra di loro, non voleva aggiungere altri momenti imbarazzanti.

Le offrì il primo vero sorriso reale da giorni, e poi annuì. “Vuoi anche tu qualcosa?”, chiese, puntando il sandwich di fronte a lui.

“Mi piacerebbe, grazie”. Rispose lei, realizzando solo in quel momento quanta fame avesse.

Lui annuì e ne preparò un altro, mentre Kate si mise a sedere sul grande divano, sollevando le gambe e portandole sotto di sé, i capelli umidi sistemati in una coda disordinata. Lui si diresse lentamente verso di lei, porgendole il piatto con il sandwich e contemplando se ritornare di sopra e lasciarla da sola.

Era arrabbiato con se stesso per quello che era successo prima in bagno, non per il fatto di averla trovata lì, che era abbastanza imbarazzante, ma perché il suo corpo aveva reagito immediatamente al corpo nudo nella vasca. Non voleva sentirsi attratto da lei, non quando era ancora così arrabbiato. L’aveva ferito. Non voleva fargliela passare liscia solo perché era un uomo e lei una delle donne più belle che avesse mai visto. Anche adesso senza trucco e dopo tre giorni a letto con la febbre, era sempre bellissima e non poteva pensare una cosa del genere in quel momento.

Si voltò, determinato a lasciarla da sola, ma le sue parole lo fermarono.

“Castle, dobbiamo parlare”. Disse lei piano, la sua voce era insicura e nervosa.

La postura di lui cambiò, la sua faccia diventò fredda come il marmo. Non voleva, non voleva farlo adesso, aveva paura di quello che gli avrebbe detto, ma sua madre aveva ragione su una cosa quando le aveva parlato al telefono, c’è sempre una storia e lui doveva sapere la storia.

“Okay”, finalmente accettò, sedendosi in una delle poltrone il più lontano possibile da lei, “Parla”.

 

 

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Capitolo 28
*** La storia ***


Kate si stava fissando le mani, non sicura di come iniziare, non sapeva come uscire da quel caos che aveva creato lei stessa non dicendogli niente prima che lui scoprisse tutto. Ma le vecchie abitudini erano difficili di mandare via e quindi il suo primo istinto fu quello di accusarlo di aver guardato le sue cose senza il suo permesso, ma si trattenne, non era il punto in quel momento. Non era così importante come sistemare la faccenda con Castle, perché non era mai stata sua intenzione ferirlo.

“Perché Kate?”, chiese lui quando la vide persa nei suoi pensieri, “Non capisco perché l’hai fatto. Mi reputavi veramente così piccolo?”.

“Non è quello”, difese se stessa, subito allontanandosi da lui.

“Quindi che cos’è Kate? Aiutami a capirlo, perché non trovo veramente una ragione abbastanza valida per giustificare quello che hai fatto”. Cercò di parlare a bassa voce, ma la sua rabbia venne fuori a ogni parola che le rivolse.

“Non so dove cominciare”, ammise lei, rannicchiandosi ancora di più all’angolo del divano. Non l’aveva mai vista così. Insicura e impaurita, con la voce così debole.

“Che ne dici dall’inizio?”, suggerì lui e per la prima volta, gli occhi di lei incontrarono i suoi e quello che ci vide lo spaventarono. Sembrava con il cuore spezzato, ferita e sola.

“L’inizio”, ripetè lei piano. Era più facile vista in quel modo. Non ne aveva mai parlato prima. Royce l’aveva scoperto da solo e lei gli aveva a malapena confermato la sua intuizione. Ma non aveva mai raccontato a nessuno l’intera storia e forse era giunto il momento.

Castle stava iniziando a perdere ogni speranza di sentirla parlare, pronto ad alzarsi e lasciarla quando sentì la sua voce appena sussurrata.

“Mia mamma”, prese un respiro profondo. “Mia mamma è stata uccisa”.

Questo era l’inizio.

 

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Castle si era aspettato molte versioni della sua storia, si era aspettato scuse e giustificazioni ma non si aspettava questo, la cruda realtà di quello che apparentemente era stato l’inizio di tutto. Era totalmente impreparato a quello, specialmente vedendo il dolore crudo nei suoi occhi.

“E’ stata accoltellata in un vicolo, nessuna rapina e la polizia ha chiuso il caso come una semplice violenza tra gang. Non hanno mai trovato il colpevole”, continuò Kate, gli occhi fissi sulle sue mani.

Lui prese un respiro profondo, sentendosi inutile di fronte alle lacrime silenziose che erano cominciate a uscire dai suo occhi.

“Mio papà la prese male, ha preferito trovare conforto nell’alcol e io sono tornata da Stanford per prendermi cura di lui”, stava lottando per mantenere il controllo, cercando di mantenere la voce calma, ma senza successo. “Non voleva nessun aiuto, nemmeno il mio”, continuò.

La gola di Castle diventò improvvisante secca, le sue mani sudavano. Era pura agonia vederla in quelle condizioni e poteva solo immaginare quanto le costasse dirgli tutte quelle cose.

“La notte che ci siamo incontrati”, prese un altro respiro profondo, “Era il primo anniversario della sua morte”.

Castle ingoiò a vuoto per prendere aria, era seduto sulla punta della poltrona, ricordando quegli occhi tristi che l’avevano catturato dal primo momento, e non voleva fare altro che avvicinarsi a lei, “Kate”, sussurrò, il tono pieno di compassione, ma lei lo ignorò.

“Non parlavo con mio padre da settimane e volevo solo dimenticare, non voleva pensarci più”, per la prima volta dall’inizio del racconto lo guardò negli occhi, “E poi sei arrivato tu”.

Il cuore di Castle si fermò, perché quello che vide nei suoi occhi era più di quello che si fosse mai aspettato o che avesse mai sperato. C’era una tenerezza, una gratitudine che gli fece pensare di essere stato il suo salvatore quella notte.

“Non sapevo chi fossi”, disse, e aspettò che lui accettasse quel fatto, solo quando annuì, proseguì. “Mia mamma era la fan, non avevo mai capito il suo amore per i romanzi gialli, non fino a quel momento”, spiegò lei, un piccolo sorriso apparve sul suo viso.

Sembrava persa nelle sue emozioni e le diede un momento per riprendersi, fino a quando non la incitò gentilmente a proseguire, “Cosa è successo poi?”.

“Non ne sono ancora sicura”, disse con una risata asciutta. “Quella notte, la nostra notte, è stata molto più di quello che stavo cercando, tu sei stato molto più di quello che stavo cercando”. Le costò molto ammetterlo, specialmente nel terreno pericoloso in cui si trovavano in quel momento, doveva essere completamente onesta.

“Avevo la sensazione che mi avessi capita, che sapessi di cosa avevo bisogno, senza in realtà saperlo e senza che io dovessi dire qualcosa, ed ero sopraffatta e spaventata allo stesso tempo”.

“E’ per questo che te ne sei andata nel cuore della notte”, concluse lui, annuendo e capendo.

“Non avevo idea di cosa avesse significato per te, per quello che sapevo eravamo due sconosciuti che avevano accettato di passare una notte insieme”. Sbuffò. “Quella notte è stata meravigliosa, penso che non avrei potuto sopportare la possibilità di vedermela rivoltare contro”.

Lui sospirò, “Kate io—“, ma lei lo fermò, scuotendo la testa.

“Ti prego no, non ce la farò mai se tu…”, si interruppe.

“Ok”, accettò, chiudendo la bocca.

“Ho realizzato chi fossi due settimane dopo”, ammise lei, sapendo che gli avrebbe fatto male sapere da quanto tempo lo sapesse. “Mio padre mi diede una scatola con tutti i libri di mia madre”.

“E il mio era lì dentro”, realizzò lui.

“Si”, tentò di asciugarsi le lacrime, “Improvvisamente mi stavi fissando dal retro della copertina di In a Hail of Bullets”.

“Capisco”, suonò acido e lei sperò di poter dire qualsiasi cosa per scacciare quel senso di dolore dai suoi occhi, per riportare quella luce che non vedeva da giorni.

“C’era une dedica, mia madre era andata ad uno dei tuoi firmacopie e quella dedica era così personale, io, io ho portato il libro a letto con me quella notte, non sono riuscita a chiuderlo fino a quando non l’ho finito”.

“Bello eh”, c’era un leggerissimo sorriso accennato sul suo viso e Kate ne fu immensamente felice, c’era speranza.

“Bello, si”. Confermò, mordendosi il labbro. “Mi sono sentita più vicina a mia mamma quella notte che…”, si fermò per ripartire di nuovo. “In quel momento ho capito perché amasse così tanto i tuoi libri, c’è sempre una conclusione, il bene vince sempre e da speranza”.

Castle si chiese se i suoi libri avessero fatto lo stesso per Kate, ma non osò chiedere.

“E poi ho scoperto di essere incinta”.

Castle dopo quella frase trovò difficile anche solo respirare, eccola, ecco la parte che stava aspettando ma ora non era sicuro fosse il momento e il posto giusto, forse era già abbastanza per quella notte. Guardò Kate, vide che era esausta e emotivamente svuotata, e oltre a quello, non era ancora guarita del tutto dalla febbre.

“Kate”, disse piano per non spaventarla, e lei lo guardò con due grandi occhi rossi e gonfi, sembrando di colpo giovanissima.., “Forse è meglio se torni a letto”.

Lei non capì, non era quello che voleva? Non voleva sapere la verità?

“Castle?”.

“Kate, è piena notte. Sei infreddolita e stanca”, cercò di spiegare, vedendo come stesse tremando, ma Kate scosse la testa con veemenza.

“No, ho bisogno di farlo”, sembrò quasi disperata. Era già difficile farlo in quel momento, non sapeva se ci sarebbe riuscita il giorno dopo. Ma Castle sembrava insicuro, non voleva caricarla troppo.

“Castle, ti prego”, lo pregò e non le importò.

Lui finalmente si arrese, sospirando, “Ok, ma lascia che ti prenda un bicchiere di acqua e una coperta”.

Quando ritornò, lei prese un sorso dall’acqua che gli aveva offerto e si avvolse attorno alla coperta, dopo aver messo il bicchiere sul tavolino da caffè.

“Grazie”, mormorò, sorpresa di non vederlo risedersi sulla poltrona ma sedendosi al lato opposto del divano.

“Quindi hai scoperto di Jamie”, le disse gentilmente, il tono calmo, “Perché non sei venuta da me?”.

“Io-“, prese un profondo respiro, “Fu uno shock. All’inizio non capivo come era potuto succedere e onestamente era l’ultima cosa che avevo bisogno in quel momento”.

La parte successiva era una delle più difficili da ammettere, ma doveva sapere tutto, “Presi un appuntamento per abortire”, sussurrò e nuove lacrime cominciarono a cadere, perché non poteva immaginare un mondo senza Jamie.

Il cuore di Castle si spezzò alla visione di un mondo senza la sua piccola bambina, ma si trattenne, lei era lì, Kate non l’aveva fatto, “Cosa ti ha fatto cambiare idea?”.

“Non potevo, la vita è preziosa, non avrei potuto vivere con quella decisione”, la sua voce si addolcì, un sorriso le ritornò sul viso. “La migliore decisione della mia vita”.

“E poi?”.

“Ho considerato di dirtelo, ma non sapevo come avresti reagito alla notizia, dopo tutto era stata solo una notte”. Andò velocemente avanti prima che la potesse interrompere, “Ero certa avessi altre cose in mente. Un divorzio, essere un papà single. Ho pensato che l’ultima cosa di cui avessi bisogno in quel momento ero io incinta di tua figlia, o peggio che mi avresti accusata di approfittarti per altri motivi, che volessi solo i tuoi soldi”.

“Kate, non avrei mai…”, fu sorpreso quando sentì afferrargli la mano che aveva appoggiato sul divano, aggrappandosi come se la sua vita fosse in gioco.

“Adesso lo so”, sospirò prima di continuare, “Avevo cambiato idea un mese prima che Jamie nascesse”.

La testa di Castle si alzò sorpresa, “Cosa?”.

“Ero già stata ammessa all’accademia e anche se avrei iniziato più tardi, riuscii a trovare una persona che conosceva il tuo indirizzo. Sono venuta e ti ho visto con la tua ex moglie”, guardò altrove, perché in quel momento le faceva male guardarlo.

“Meredith?”, la mente di Castle corse e poi si ricordò, la sola volta che era stato debole abbastanza da far rientrare la sua ex moglie nella sua vita, proprio quando Kate aveva cambiato idea. Il loro tempismo non avrebbe potuto essere peggiore.

“Pensavo che foste tornati insieme e sapendo che avevate una figlia non volevo mettermi in mezzo”, disse piano.

“Kate”, sospirò. “Non stavamo tornando insieme. E’  stata solo una cosa di una…”, non c’era bisogno di continuare, “Dio, se solo avessi saputo”.

“Non è colpa tua, te l’avrei detto comunque, ora lo so”, strinse di nuovo la sua mano, colpita da come accusasse se stesso quando in realtà l’unica che aveva rovinato tutto era stata lei.

“Cosa è successo poi?”, chiese lui, sentendo che c’era altro.

“Il giorno in cui Jamie è nata, mio padre si fece vedere in ospedale, ubriaco. Mi disse che voleva vedere lo stronzo”. Si asciugò le lacrime, tirando su con il naso. “L’ho cacciato, dicendogli di non farsi rivedere mai più e così e stato. Siamo state solo io e Jamie da quel momento”.

“Mi dispiace”, sussurrò Castle, avvicinandosi a lei inconsciamente.

“Non essere dispiaciuto!”, disse quasi disperata. “Jamie è stata l’unica cosa che mi ha tenuta a galla e sono stata un’egoista, egoista a volerla tenere solo per me, perché avevo paura me l’avresti portata via e so che quella sarebbe stata l’ultima goccia, sarebbe stata la fine. Ero un relitto allora, e probabilmente lo sono ancora”. Le ultime parole furono quasi un sussurro. 

Lui era scioccato alle sue parole.

“E sono io che devo essere dispiaciuta, perché tu meriti di esserci nella sua vita, sei un padre meraviglioso Castle, e pensare che ero quasi riuscita a dividervi per sempre. Mi dispiace, mi dispiace così tanto. Vorrei poter tornare indietro e fare tutto diversamente”.

Adesso stava piangendo a dirotto e Castle si avvicinò, “Kate calmati”.

“Non posso”, cominciò a piangere ancora di più. “Non sono abituata ad avere persone che si preoccupano per me. Da quando mia madre è morta, ho fatto sempre tutto da sola e mi spaventa il fatto che tu sia qui e che continui a tornare, combattendo per ciò che è tuo di diritto, e mi spaventa ancora di più il fatto che magari un giorno ti fermerai perché farò qualcosa di stupido. Il cuore di Jamie si spezzerebbe. Ho così paura di rovinare tutto, perché sono stata così dannatamente brava a farlo i primi due anni della sua vita”.

Lui la fermò, non ce la fece più e la prese tra le sue braccia, “Sssh Kate, sei una madre meravigliosa e ti prometto che non riuscirai a farmi andare via. Tornerò sempre, è quello che fanno i padri”.

E poi realizzò, lei non ne aveva idea, aveva perso la fiducia perché suo padre l’aveva lasciata nel momento in cui aveva più bisogno. 

“Mi dispiace tanto Castle”, singhiozzò sulla sua maglia, le braccia erano attorno alla sua vita, stringendolo a sè.

“Non dico che non sono più arrabbiato”, mormorò nei suoi capelli umidi, “Ma sapere aiuta. Sapere la storia aiuta. Tutti facciamo degli errori, dobbiamo solo fare del nostro meglio per non ripeterli una seconda volta”.

La sentì calmarsi finché non si allontanò da lui.

“Grazie Castle, per tutto”, tirò su con il naso, togliendosi le lacrime dal viso.

“Grazie per avermi raccontato”, rispose lui, “E per quello che può valere, mi dispiace essere entrato nella tua camera”.

Fece uscire qualcosa che sembrava una risata, “Te l’avrei dovuto dire prima. Volevo ma non trovavo mai il coraggio”.

Lui annuì, un sentimento che gli era familiare.

Rimasero in silenzio per un po’, seduti vicini, Kate che gli stava ancora stringendo la mano.

“Quindi adesso?”, chiese lei.

“Penso che entrambi abbiamo bisogno di dormire e poi ne parleremo ancora domani, ma c’è un’altra cosa”, disse lui.

“Ok”. Lo fissò in attesa.

“Voglio trascorrere più tempo con Jamie, so che hai Cynthia, ma-“, si fermò, passandosi la mano libera sul viso, “Posso prenderla la mattina e riportarla quando ti finisce il turno, o potresti venire a prenderla qui e cenare con noi qualche volta, e voglio anche che Jamie resti a dormire una volta ogni tanto”. Disse tutto velocemente, avendo paura della sua reazione.

Con sua sorpresa gli strinse la mano e sorrise, “Ok, mi sta bene”.

“Si?”.

“Si”.

Si sorrisero finché Kate non si alzò in piedi, “Sono stanca”.

Lui annuì, “Anche io”.

“Grazie per avermi ascoltata”, disse lei piano, guardandolo attraverso le ciglia scure.

“Sempre”, sorrise e la osservò alzarsi, per poi ritirarsi in camera.

“Kate?”, la chiamò prima che potesse sparire dietro la porta, e lei si voltò, “Non è mai stata solo una cosa di una notte per me. Sono tornato in quel bar per settimane, sperando di ritrovarti lì. Non sono mai riuscito a dimenticarti”.

Forse era troppo, ma doveva dirglielo visto che lei era stata così onesta con lui quella notte, doveva sapere.

Il lieve rossore sulle sue guance, il modo in cui i suoi occhi brillavano e il piccolo sorriso sul suo viso gli dissero che aveva fatto la cosa giusta.

Il cuore di lei perse dei battiti a quelle parole, e non poté nasconderglielo, poteva leggerglielo negli occhi, lui lo sapeva.

“A domani, Kate”.

“Buonanotte Castle”.

Ed entrambi presero la loro strada, sapendo che il giorno dopo avrebbe segnato un nuovo inizio per loro.




Ciao a tutti, spero che il capitolo vi sia piacuto. I caskett stanno creando sempre più feeling <3
Comunque vi rilascio il link della storia originale, https://www.fanfiction.net/s/9175920/1/A-Night-to-Forget 

Buona lettura 
Alice

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Capitolo 29
*** Il mattino dopo ***


Nonostante l’aver fatto tardi, Kate si svegliò presto il mattino dopo. Non aveva dormito molto bene, troppi pensieri le correvano in testa dopo la chiacchierata con Castle. Gli stessi pensieri che l’avevano fatta alzare alle sette del mattino, impedendole di cercare altro riposo.

Sperava che quello che gli aveva raccontato la scorsa notte fosse abbastanza, perché non c’era nient’altro che potesse dargli. Non era mai stata così tanto onesta con qualcuno come lo era stata con lui quella notte. Questo la spaventava molto ma allo stesso tempo era stato liberatorio. E aveva ancora le farfalle nello stomaco quando ripensava alle sue parole. Era stata più di una cosa di una notte. Fino a quel momento non aveva realizzato quanto avesse bisogno di sentirselo dire, anche lui aveva provato lo stesso.

Ma ora aveva bisogno di focalizzarsi su altre cose. Sapeva che non poteva recuperare il tempo perduto, non poteva recuperare i due anni in cui aveva tenuto separati padre e figlia. Eppure sperava che lui potesse credere a quello che gli aveva detto, che non l’aveva fatto perché non lo voleva nelle loro vite.

Per il resto ci sarebbe stato tempo, lo sapeva bene. Non si aspettava subito il suo perdono. Da quel lato c’era del lavoro da fare. Doveva dimostrargli che le cose sarebbero state diverse d’ora in poi, che voleva allentare il controllo che dal momento in cui era arrivato Castle aveva stabilito nelle loro vite. Ma era fiduciosa di aver iniziato bene, accettando senza esitazione la richiesta di Castle di trascorrere più tempo insieme a Jamie. 

C’era solo un modo per scoprirlo, ed era affrontarlo. Così trascinò le gambe fuori dal suo letto, già sentendo la mancanza delle soffici coperte e del comodo cuscino, si mise la felpa della NYPD e si avviò verso il soggiorno.

Lo trovò in cucina, intento a preparare quella che sembrava una enorme colazione, e lentamente, con gambe tremanti, gli si avvicinò. Il cuore le stava battendo fortissimo, così tanto che le veniva difficile respirare.

“Hey”, finalmente si fece sentire, così piano che pensò non l’avesse sentita, ma Castle si voltò immediatamente.

“Hey”, rispose lui, un sorriso esitante sul suo viso. “Come stai?”.

“Stanca”, fece spallucce, sbadigliando.

“Già, sei stata piuttosto male negli ultimi tre giorni. Penso ti ci vorranno un altro paio di giorni per tornare veramente in forma”, disse, ed entrambi rimasero in silenzio, entrambi insicuri su cosa fare o cosa dire. Quando il silenziò diventò scomodo, lui optò per la cosa che aveva sempre funzionato tra loro, “Caffè?”, chiese e vide le labbra di lei alzarsi in un sorriso meraviglioso.

“Mi piacerebbe un po' di caffè”, sospirò contenta, attraversando il soggiorno, dove era rimasta ferma fino ad allora, e sedendosi su uno sgabello di fronte al bancone, intenta ad osservare Castle preparare esperto due tazze di caffè.

Le posò la sua tazza davanti, prima di appoggiarsi al bancone e assaggiare la sua.

Lei fece lo stesso e un gemito uscì dalla sua bocca, facendola arrossire, “E’ eccellente”.

Castle sorrise, ovviamente soddisfatto della sua reazione, prima di tornare serio di nuovo.

“Ascolta Kate”, si spostò dal bancone e le si avvicinò. Kate sperava fosse un buon segno. “Non posso pretendere che gli ultimi due anni non siano esistiti”, disse nervoso, guardando la sua reazione. Ma con sua sorpresa, resse il suo sguardo e annuì.

“Mi servirà del tempo per venire a patti con tutto questo”, continuò lui.

“Lo so”, sospirò lei. “Lo so”. I suoi occhi passarono dal suo viso alla tazza che aveva in mano.

“Hey”, appoggiò i gomiti sul bancone, arrivando con il viso allo stesso livello di quello di lei, e aspettò che lo guardasse. “Questo non vuol dire che deve esserci imbarazzo tra di noi. Andrà tutto bene, mi servirà solo un po' di tempo”.

“Ok”, lei finalmente annuì e si immobilizzò quando le mani di lui coprirono le sue, le strinse appena e gli regalò un dolce sorriso.

Kate non si sentiva così da tanto tempo, il suo tocco le provocava qualcosa che non avrebbe dovuto, e realizzò con una chiarezza quasi eccessiva, che avrebbe sempre potuto contare su di lui. Non importava quanto le cose fossero difficili tra loro o quello che gli avrebbe riservato il futuro, avrebbe sempre potuto contare su di lui. L’aveva fatto soffrire eppure lui aveva incassato tutto, continuando a prendersi cura di Jamie e anche di lei. Quello per lei significava molto di più di quello che sarebbe riuscito a esprimere a parole.

 

————————————

 

Il resto della mattinata passò velocemente, Alexis e Jamie avevano tenuto i genitori occupati finché Kate non decise che era giunto il momento di tornare nel loro appartamento.

Aveva appena recuperato la borsa dalla camera di Castle mentre lui stava raccogliendo le cose di Jamie al piano di sopra, quando Alexis apparì al suo fianco.

“Kate?”, domandò, con occhi timidi rivolti alla donna di fronte a lei.

“Hey Alexis”, Kate le sorrise calorosamente, capendo che la ragazza era insicura di dirle qualsiasi cosa volesse chiederle.

Kate si inginocchiò di fronte a lei, sapendo che le cose diventavano più facili quando due persone si guardavano negli occhi, “Che succede tesoro?”.

Con un grande sospiro Alexis iniziò a parlare, gli occhi fissi sul pavimento, “Tu e Jamie potete venire al mio compleanno martedì?”.

Oh. Kate non sapeva che il compleanno di Alexis fosse vicino.

“Mi dispiace tesoro, dovrò lavorare martedì, ma tuo padre può portare Jamie qui, così potete trascorrere il pomeriggio insieme”. Provò a rigirarla positivamente.

Alexis annuì, ma Kate vide che era dispiaciuta e non voleva darlo a vedere.

Kate le portò un ciuffo di capelli rossi dietro l’orecchio, non voleva vederla triste, “Hey, abbiamo ancora il pizzappuntamento da fare domani, giusto? E il prossimo weekend non dovrò lavorare, quindi se vuoi, anche con tuo padre possiamo fare qualcosa tutti insieme. Che ne dici?”.

Gli occhi di Alexis si spalancarono, “Abbiamo ancora il pizzappuntamento?”.

Kate rise alla sua evidente emozione, “Certo”, annuì, “E’ il minimo che posso fare dopo la cura che hai riservato a Jamie in questi giorni”.

Alexis le sorrise e prendendo completamente Kate di sorpresa, mise le sue piccole braccia attorno a lei, “Grazie Kate”, disse la piccola rossa nel suo orecchio.

“Non c’è di che”, disse Kate in risposta, avvicinandola.

Ecco come le trovò Castle quando apparve sulle scale, Kate incontrò i suoi occhi, sembrando un po' imbarazzata, “Ho solo detto ad Alexis che siamo ancora d’accordo per il pizzappuntamento di domani e visto che per il suo compleanno devo lavorare, ho suggerito che possiamo fare qualcosa il prossimo weekend”, gli disse, e aggiunse velocemente, “Se va bene per te, ovviamente”.

Castle la stava fissando e Kate per un secondo pensò che avesse rovinato tutto, ma poi quell’enorme sorriso sul suo viso la fece ricredere e sospirò sollevata.

“E’ perfetto”, disse lui, ma poi la guardò un po' preoccupato, “Sei sicura che stai bene per fare tutto questo?”.

La dolcezza di quest’uomo, pensò lei e poi annuì, “Se vi va bene ordinare qualcosa a casa”.

“Va più che bene”, rispose sorridendo, finalmente incontrandosi davanti alla porta del loft, “Che ne dici se io ed Alexis portiamo le pizze?”.

“Ok”, concordò lei, sorridendogli.

“Ok, scendiamo allora”, suggerì, “La macchina deve già essere qui e ho anche chiesto a Charlie di prendervi qualcosa da mangiare, così non dovete preoccuparvi fino a lunedì”.

“Castle”, sospirò, “Non avresti dovuto—“, ma lui la interruppe.

“Non è niente”, alzò le spalle e lei decise di accettare il suo aiuto senza protestare oltre.

“Grazie”, disse, seguendolo poi fuori dalla porta.

Si salutarono in strada, Castle passando Jamie a sua madre e poi dando ad entrambe un bacio sulla guancia. Jamie ridacchiò, mentre sua madre arrossì, portando velocemente la sua attenzione ad Alexis.

“Ci vediamo domani”, sorrise, vedendo il viso di Alexis illuminarsi di nuovo.

“Si”, Alexis sorrise da un orecchio all’altro mentre afferrava la mano di suo padre, guardando poi  Kate e Jamie salire in macchina. Le salutarono finché l’auto non scomparì dietro l’angolo, prima di ritornare di sopra.

 

—————————————— 


Lunedì Kate tornò a lavoro, ancora non si sentiva bene al 100% ma lo era abbastanza per andare a lavoro. Martedì avrebbe avuto un altro incarico speciale con i ragazzi della Buon Costume a cui non sarebbe mai potuta mancare, ed era anche la ragione per cui non poteva unirsi al compleanno di Alexis.

Lei e Castle avevano concordato che lui avrebbe preso Jamie dopo la pausa pranzo di Kate e poi lui e le ragazze avrebbero trascorso il pomeriggio insieme, celebrando il compleanno di Alexis e cenando al loft insieme a Martha. Castle poi avrebbe riportato Jamie all’appartamento di Kate dove Cynthia si sarebbe occupata di lei fino al suo ritorno. Avevano programmato tutto, però Kate di sentiva ancora insoddisfatta mentre cominciò a realizzare che in realtà avrebbe preferito trascorrere la giornata insieme a Castle e le ragazze piuttosto che lavorare per la Buon Costume.

Ma aveva accettato l’incarico molto tempo fa e non poteva ritirarsi con così poco preavviso.

“Beckett?”, Il capitano Montgomery fece il suo nome, squadrando la stanza.

“Signore?”, lo guardò interrogativa.

“Vieni un attimo”, fu più un ordine che una domanda e lei si affrettò a seguirlo nella sala break.

“Come ti senti?”, chiese, studiandola da vicino.

“Sto bene”, rispose lei, ma il suo capitano la guardò scettico.

“Non sembri stare bene”, disse come un dato di fatto, non distogliendo gli occhi dai suoi. Sembrava pallida.

“Mi sentivo molto peggio la scorsa settimana”, provò a buttarla sul ridere per cercare di uscire da quell’interrogatorio, perché era quello che le stava facendo.

“Comunque, ti ho tolto dall’incarico della Buon Costume”.

“Signore?”, disse, scioccata.

“Beckett, sei stata a letto per una settimana. Ancora non sembri stare bene e per nessun motivo lascio uno dei migliori uomini in un vicolo freddo a prendere una polmonite. Ho già informato il Detective Gregson che non sarai disponibile”.

“Capitano-“, provò di nuovo, ma lui la interruppe sollevando una mano.

“E’ un ordine, non ci sarà nessun incarico per te”, il suo tono non lasciava spazio a discussioni.

“Che cosa faranno?”, chiese, sentendo che non poteva fare niente.

“Hanno già richiesto qualcuno dal 54esimo distretto”, Montgomery alzò le spalle. “Esposito, credo si chiami così”.

Il nome non le diceva nulla e Kate decise che era meglio lasciare le cose per come stavano.

“Vai a casa presto, riposati e trascorri un po' di tempo con Jamie”, suggerì lui, “E mi assicurerò di farti tornare in lista per il prossimo incarico”.

“Grazie Signore”. Kate annuì, prima di tornare lentamente alla sua postazione dove un sorriso si formò inconsciamente sulle sue labbra.

“Per cosa stai sorridendo?”, chiese Royce sorpreso, da quello che aveva capito Montgomery l’aveva tolta dall’incarico.

“Montgomery mi ha tolta dall’incarico”, lo informò.

Royce aggrottò la fronte, “E da quando questo ti fa sorridere?”.

“Da quando significa che posso andare al compleanno di una bambina”, continuò a sorridere mentre Royce sembrava sempre più confuso.

“Ma il compleanno di Jamie è stato la scorsa settimana”, la guardò interrogativo.

Kate sospirò. Guardandosi attorno, tornò seria e fece segno a Royce di seguirla, “Vieni, ti devo raccontare alcune cose”.

 

 

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Capitolo 30
*** Un salto enorme ***


Forse dopotutto non era stata una buona idea, pensò Kate quando si ritrovò di fronte alla porta di casa Castle. Non gli aveva detto che sarebbe stata in grado di unirsi alla cena. Voleva fare una sorpresa e in più non voleva fare promesse ad Alexis che non poteva mantenere, visto che poteva comunque essere trattenuta a lavoro. Anche se libera dall’incarico della Buon Costume, non significava che avrebbe lasciato il distretto in tempo, ma Montgomery l’aveva mandata a casa presto, e quindi era riuscita a fare un regalo ad Alexis e arrivare anche in tempo per la cena.

Ma ora, in piedi davanti alla porta, pensò che magari avrebbe dovuto chiamare e chiedere a Castle se gli andava bene averla lì con loro. Magari aveva altri piani, forse…

Adesso era troppo tardi per pensarci. Era lì e non poteva più tornare indietro, quindi con un ultimo e profondo respiro, sollevò la mano e bussò.

 

——————————————————————————-


Castle guardò sorpreso la porta, “Aspetti qualcuno?”, chiese lui, aggrottando la fronte verso sua madre.

Martha negò con la testa, fulminandolo con lo sguardo, “Chi dovrei aspettare?”.

“Non lo so”, alzò le spalle con una risatina, “Un ammiratore segreto?”.

“Magari”, l’attrice sospirò drammaticamente, prendendo la spatola dalle mani di suo figlio quando se ne andò dalla cucina e si incamminò verso la porta per vedere chi era. “Non rovinare la mia cena”, disse, guardando dietro le sue spalle e ricevendo un alzata di occhi da parte di sua madre.

Attraversando la stanza guardò le sue bambine, sedute vicine sul divano mentre leggevano un nuovo libro che Alexis aveva ricevuto da sua nonna e che adesso stava leggendo a Jamie.

Aprì la porta con un sorriso sulle labbra, che velocemente se ne andò quando vide chi c’era dall’altro lato.

“Kate”, mormorò, sorpreso. “Che cosa ci fai qui? Pensavo avessi detto che saresti stata a lavoro”.

Per un momento lei ebbe paura fosse arrabbiato, “Io, io sono stata tolta dall’incarico”, balbettò, sentendosi a disagio. Avrebbe dovuto chiamare.

“E sei venuta qui?”, chiese lui, inebetito.

“E’ il compleanno di Alexis”, disse Kate un po' stupidamente, un sorriso nervoso sulle sue labbra, sentendosi completamente fuori luogo.

“Richard tesoro, chi è?”, sua madre lo chiamò dalla cucina, distogliendo la sua attenzione da Kate.

Si girò di colpo, guardò indietro verso la cucina prima di tornare a guardare Kate con una grande sorriso sul viso, “E’ Kate”.

Al nome di Kate, Alexis si girò subito verso la porta, “Kate è qui?”, esclamò, c’era meraviglia nella sua voce e Castle finalmente fece un passo indietro per permettere a Kate di entrare.

Alexis era già saltata giù dal divano, mentre Jamie ci mise un po’ più di tempo.

“Sei qui”, la rossa urlò felice mentre correva verso la porta.

“Hey Alexis”, Kate sorrise, inginocchiandosi davanti alla bambina e esitando solo un secondo prima di avvicinarla per abbracciarla, “Buon Compleanno”.

“Grazie”, Alexis sorrise, le sue piccole braccia erano attorno al collo di Kate.

Martha guardò la scena dalla cucina e quello che vide le toccò il cuore, Alexis, la cui madre ancora doveva chiamarla per augurarle buon compleanno, sprizzava di gioia alla vista di Kate per il semplice fatto che fosse lì, che le importasse abbastanza di lei da fare uno sforzo, anche se non ne aveva nessun obbligo. Gli occhi di Martha si spostarono verso suo figlio, ancora in piedi accanto alla porta aperta e quando si voltò per guardarla, sapeva che dallo sguardo sul suo viso stava pensando la stessa cosa.

“Mami”, Jamie rise mentre correva verso sua madre, ovviamente eccitata anche lei di vederla.

“Hey uccellino”, Kate rise, prendendo sua figlia e mettendola nel lato destro, mentre Alexis era ancora attaccata nel sinistro. Diede un bacio a sua figlia, prima di riportare la sua attenzione ad Alexis.

“Ho qualcosina per te”, disse Kate, vedendo poi gli occhi di Alexis spalancarsi dalla sorpresa, non si aspettava un regalo da Kate. “Lo vuoi aprire ora o dopo cena?”, chiese, sapendo già la risposta.

Alexis guardò suo padre, spalancando i suoi grandi occhi blu verso di lui, “Papà, posso aprirlo ora?”.

Lui rise, sapeva veramente come comprarlo, sebbene quel giorno non dovesse nemmeno preoccuparsi di farlo, “Certo che lo puoi aprire ora, sei la festeggiata dopotutto”.

Andarono tutti in direzione del divano, Alexis portando il pacco di Kate mentre Jamie lasciando la mano di sua madre e cominciando a correre in avanti. Kate guardò le due bambine con occhi luccicanti. Erano già legatissime dopo nemmeno una settimana.

Sentì Castle dietro di sè, una mano sulla sulla sua schiena per avvicinarla e sussurrarle nell’orecchio, “Grazie”.

Lei girò il viso leggermente per guardarlo, “Per cosa?”.

“Per essere qui”, disse dolcemente. “Significa molto”.

In qualche modo, aveva la sensazione che non si stesse riferendo solo ad Alexis, ma forse era solo una sua impressione e quindi annuì soltanto, prima di farsi guidare verso il divano.

Martha si unì a loro, portando a Kate un bicchiere di vino rosso, che Kate accettò volentieri.

“Grazie”, le sorrise.

“Non c’è di che”, Martha le ricambiò il sorriso, la mano libera toccò brevemente la spalla della donna, dandole una leggera stretta, prima di sedersi sulla poltrona davanti al divano.

Jamie ed Alexis erano salite sul divano, sedute tra i loro genitori, ed entrambe osservarono con occhi spalancati Kate prendere il regalo dalla borsa, “Non è niente di grande”, disse quando lo porse ad Alexis, “Ma penso che ti piacerà”.

Guardando Kate, Castle realizzò che sembrava nervosa, cosa che lo sorprese. Fino a quel momento pensò che avesse preso qualcosa che era riuscita a trovare velocemente una volta uscita da lavoro, ma adesso era curioso di sapere cosa ci fosse in quel pacchetto.

Ma, ovviamente, sua figlia ci mise anni per scartarlo, “Alexis, nessuno riutilizzerà la carta”. Cercò di velocizzarla, ma lei si limitò a fulminarlo con lo sguardo.

Lui alzò le mani in segno di resa, “Va bene, è il tuo regalo”, disse imbronciato, guardando Kate che era chiaramente divertita dal suo comportamento, anche se cercava di nasconderlo.

Quando finalmente Alexis finì di scartare il regalo, apparve una piccola scatola e la bambina alzò i suoi occhioni confusi verso Kate, che le rivolse un sorriso incoraggiante, “Aprila”.

Con un cenno timido, Alexis lo fece, aprendo il coperchio della piccola scatola e fissando estasiata il contenuto.

“Sono simili ai miei”, spiegò Kate, prendendo uno degli elefanti dalla scatola e mostrandolo ad Alexis, “Ma i tuoi sono di un colore un po' più chiaro, vedi?”.

“Si”, Alexis annuì, colpita.

“Ti piacciono?”, chiese Kate timidamente, e Castle l’avrebbe voluta baciare al suono della sua voce così preoccupata.

Alexis guardò Kate, e con un grande e luminoso sorriso annuì, “Li adoro. Grazie tante, Kate”.

Sollevata, Kate lasciò andare il respiro che stava tenendo da un po' quando Alexis mise le braccia attorno a lei, questa volta non ne fu sorpresa, ricambiò l’abbraccio con forza, pensando che questo era molto meglio che passare la serata in piedi in un vicolo freddo per la Buon Costume, e si sentì un po' dispiaciuta per quel ragazzo di nome Esposito.

“Buon Compleanno Alexis”, sussurrò Kate nell’orecchio della ragazza, e quando i suoi occhi incontrarono quelli di Castle, fu sicura di averlo visto ricacciare indietro una lacrima.

Mentre sua figli a più grande osservava attentamente i tre elefanti nella scatola con Kate, lui mise Jamie in grembo e la baciò sui capelli, cercando di nascondere le emozioni che lottavano per uscire fuori.

Da quando Meredith se n’era andata, i compleanni di Alexis erano sempre stati un po' una sfida. Di solito era una bambina gioiosa, ma quando la giornata passava senza che Meredith si facesse viva come promesso, nemmeno per chiamarla nel giorno più speciale della sua vita, Alexis diventava triste per tutta la giornata. Quel giorno ovviamente era iniziato uguale a tutti gli altri, con Meredith che non si era presa nemmeno cinque minuti per sua figlia. Quindi Castle si era già preparato per risollevarle il morale, le avrebbe detto che Meredith era davvero molto impegnata e che era sicuro avrebbe chiamato il prima possibile, sapendo che probabilmente era una bugia. Non si sapeva mai con la sua ex.

Ma aveva la sensazione che non ci sarebbe stato bisogno di risollevarle il morale oggi. Jamie l’aveva tenuta occupata per tutto il pomeriggio e con Kate lì insieme a loro, sembrava che non desiderasse avere nient’altro, le cose sarebbero andate bene per una volta. E ne era estremamente felice, perché la sua bambina se lo meritava.

Tornando alla realtà, finalmente si alzò in piedi, mettendo Jamie sulle sue spalle, “Che ne dici uccellino, vuoi aiutare papà ad apparecchiare il tavolo?”.

Jamie rise e urlò felice, cosa che Castle interpretò come un ok, così la portò in cucina, lasciando Kate ed Alexis meravigliarsi sugli elefanti. Prese nota mentale di chiedere a Kate del significato del regalo, mentre Martha lo seguì in cucina.

Sua madre aveva avuto il pensiero di mettere il cibo in forno per mantenerlo caldo, al momento dell’arrivo di Kate, quindi ora dovevano solo sistemare la tavola e mettere i patti.

Jamie prese con cura i tovaglioli da suo padre, e con una concentrazione che solo una bambina di due anni può avere, li portò a sua nonna che li sistemò sul tavolo.

Alexis e Kate si alzarono poco dopo, la rossa che stringeva la mano di Kate e Castle si ricordò ancora una volta di quanto fosse mancata una figura femminile nella vita di sua figlia. Certo aveva sua nonna, ma lei era…, beh era Martha e Kate era, sospirò, lei era Kate. E sarebbe stato più che felice se sua figlia avesse trovato un’amica in lei.

Finalmente si misero a sedere, Castle aiutando Jamie con la carne e mormorandole cose senza senso nell’orecchio, facendola ridere e combinando un disastro sul tavolo, ma a Castle non importava. Non in un giorno come quello.

Nel frattempo Kate stava chiedendo ad Alexis del suo ultimo progetto scolastico, volendo sapere tutto, ed Alexis era entusiasta di condividerlo, visto che sua mamma era sempre annoiata quando le parlava della scuola.

Martha stava osservando la scena con un’emozione che la sorprese, e mentre la cena continuava era sempre più chiaro che bellissima coppia suo figlio e Kate avrebbero formato, e la piccola voce nella sua mente le suggerì di velocizzare le cose con un piano.

“Possiamo ancora fare qualcosa insieme nel weekend?”, chiese Alexis mentre mangiavano il dessert, masticando un grosso pezzo di cioccolata che aveva trovato nel suo gelato, guardando prima suo padre e poi Kate.

Kate guardò Castle. Non era una sua decisione da prendere, “Jamie ed io siamo libere”, suggerì.

Castle annuì, “Certo, cosa volete fare?”, chiese lui, togliendosi il tovagliolo e facendo uscire Jamie dal seggiolone per metterla in grembo.

“In verità penso di avere una splendida idea”, Martha li interruppe, sapendo di avere tra le mani l’opportunità perfetta. “Perché non fate un weekend negli Hamptons?”, suggerì con nonchalance.

“Gli Hamptons?”, Castle e Beckett chiesero all’unisono, spalancando gli occhi in direzione di Martha.

Ma l’attrice finse di non sentire il loro tono scioccato e continuò.

“Richard, hai quella splendida casa lassù e non sarebbe l’opportunità perfetta per portarci Jamie e Kate dopo il viaggio cancellato in Connecticut?”.

Castle la fulminò, capendo esattamente cosa stava cercando di fare. Ma ancora una volta sua madre lo ignorò, sapendo che non c’era niente che potesse fare in quel momento.

“Potresti prendere Alexis venerdì, dopo scuola, e andare diretti. Sono sicura che alle ragazze piacerebbe, non è vero bambine?”.

Cercò di coinvolgere Alexis e Jamie nella conversazione ed entrambe urlarono di felicità, sebbene solo Alexis sapesse di cosa stavano parlando e cosa fossero realmente gli Hamptons. Jamie era solo felice di urlare, non doveva avere una ragione particolare per farlo.

“Voglio dire, se Kate può uscire prima da lavoro”, Martha batté le palpebre innocentemente e Castle dovette ammettere che era un’attrice migliore di quanto pensasse.

Kate fu totalmente presa alla sprovvista e l’unica cosa che riuscì a dire fu un mormorio appena accennato, “Credo”.

“Ottimo”, disse l’attrice trionfante, riportando la sua attenzione al dolce non ancora finito e lasciando Kate e Castle con i postumi della sua decisione.

Guardando Kate, Castle ebbe la sensazione che non fosse molto d’accordo con quanto era appena successo, e lui sapeva perfettamente come si sentiva, anche lui ebbe difficoltà ad immagazzinate tutto quello che era stato detto, quindi le offrì velocemente una via d’uscita. “Veramente ho bisogno di scrivere questa domenica”.

Diede a sua figlia un sorriso di scuse, “Magari un’altra volta zucca”.

Kate si rilassò visibilmente e Castle prese nota di fare un discorsino a sua madre più tardi.

 

————————————————————

 

Kate e Castle erano fianco a fianco mentre lavavano i patti. Ovviamente lui aveva una lavastoviglie in casa, ma i bicchieri costosi dovevano essere lavati a mano e Kate suggerì che magari potevano farlo insieme.

Martha e le ragazze si erano ritirate nell’ufficio di Castle per vedere The Lady and the Tramp e Castle sapeva che sua madre si era offerta volontaria solo perché non voleva lavare i piatti, ma non gli dispiaceva più di tanto. C’era una cosa che voleva dire a Kate e non aveva bisogno della madre ficcanaso intorno.

“Grazie”, disse improvvisamente Castle nella cucina silenziosa, e Kate lo guardò, studiandolo. Non le era passato inosservato il fatto che era stato stranamente in silenzio dopo aver finito la cena.

“Per i piatti?”, rise leggermente, “Tu hai cucinato, era il minimo che potessi fare”.

“Non è quello che intendo”, disse lui, ancora non guardandola, concentrato nel bicchiere di vino nelle sue mani.

Mettendo l’asciughino da parte, Kate si voltò per guardarlo più da vicino, “Hey, stai bene?”.

La mano di lei si posò sul suo avambraccio e lui realizzò che era una cosa che facevano spesso, il toccarsi.

Castle sospirò, girandosi a sua volta e appoggiandosi al lavandino, “E’ solo-“, si fermò, cominciando di nuovo, “Meredith, la madre di Alexis, non ha nemmeno chiamato”.

“Cosa?”, Kate lo guardò scioccata. “Non ha chiamato per il compleanno di sua figlia?”.

Lui alzò le spalle, “Nessuna chiamata, nessun regalo, niente di niente. Anche se non ne sono sorpreso, non è la prima volta che succede”.

“Mi dispiace Castle”, mormorò Kate, la sua mano strinse il suo braccio, perché sapeva che non c’era rimasto male per lui, ma aveva il cuore era spezzato per la sua piccola bambina.

“Da quando se ne è andata in California è stata più un fantasma che una madre. Appare improvvisamente senza avvisare e se ne va altrettanto veloce”. Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. Sembrava più giovane e Kate non riuscì a non pensare che fosse adorabile.

“Non sto dicendo che non ama Alexis, so che non è così, solo che ha un modo terribile per dimostrarlo, ed Alexis è quella che ci rimette. Una bambina ha bisogno di entrambi i genitori—“, lasciò cadere la frase, abbassando la testa e sentendo la mano di Kate spostarsi dal suo braccio.

Quando rialzò lo sguardo, si accorse che Kate era diventata terribilmente rigida al suo fianco.

“Kate?”, le chiese dolcemente, ma lei rifiutò di guardarlo e lui si ripetè le sue ultime parole nella testa realizzando come dovevano essere state recepite da Kate, merda, non era quello che intendeva.

“Kate”, balbettò. “Non credi che io penso tu sia una cattiva madre, vero?”.

Il silenzio fu la sua risposta.

Castle sospirò, passandosi una mano sul viso, non era quella la verità, se c’era una cosa che aveva capito fin dall’inizio, era che Kate Beckett era una delle madri migliori che un figlio potesse mai desiderare.

Castle afferrò la mano di lei e la tirò verso il tavolo, si assicurò che sua madre e le figlie fossero ancora pienamente concentrare nel loro film prima di farla sedere accanto a sé.

Lo sguardo perso ed insicuro sul viso di lei, gli fecero raggiungere la sua piccola mano e avvolgerla tra le sue. A volte dimenticava quanto fosse giovane, ancora non aveva 23 anni e magari oltre a dirle che gli serviva del tempo per venire a patti con tutto quello, le avrebbe dovuto dire quanto l’ammirasse per quello che era riuscita a fare nella sua vita.

Ma temeva che poteva suonare strano detto da lui ed era già stato abbastanza imbarazzante il mattino dopo, quindi quando era sembrato che avessero trovato la loro strada, non aveva osato dire altro per distruggere tutto.

“Non intendevo te, Kate”, cominciò. “Penso che tu sia una madre meravigliosa. Basta guardare Jamie. E’ una bambina bellissima, intelligente e soprattutto felice, e tutto questo grazie a te”. Le disse, e con un sorriso aggiunse, “Beh forse anche io ho fatto qualcosa per l’intelligenza”.

Lei fece uscire una leggera risata, ma ancora rifiutava di guardarlo.

“Forse ho sbagliato l’altro giorno a dirti che avevo bisogno di tempo, anche se è vero. Non posso fingere che gli ultimi due anni non ci siano mai stati. Perché amo Jamie con tutto il mio cuore e non c’è niente che non farei per lei, o che non avrei fatto per lei fin dall’inizio. Ci sarei stato per lei e per te”. Aspettò che immagazzinasse le sue parole prima di continuare.

“Ma quello su cui non sono stato chiaro è che capisco cosa hai passato. E so che le decisioni che hai preso non sono state fatte senza pensarci”.

Qualcosa simile a un singhiozzo uscì dalla bocca di Kate e lui le strinse leggermente la mano.

“Credimi, se avessi dovuto vivere ciò che hai passato tu, non ne sarei uscito a testa alta. Ma tu l’hai fatto, hai lottato per nostra figlia e lei hai dato tutto quello di cui avesse bisogno per renderla felice. E alla fine è quello che conta di più”. Terminò dolcemente e vide una lacrima solitaria scendere sul suo viso, senza pensarci, gliela asciugò. Perché sotto la dura corazza che aveva Kate Beckett, c’era una giovane donna vulnerabile e insicura, che forse ogni tanto aveva bisogno di sentirsi dire quanto fosse grande, quanto fosse straordinaria.

“Non possiamo tornare indietro nel tempo e rivivere i due anni, anche se entrambi lo vorremmo, ma possiamo partire da qui, insieme”. Sorrise, “Preparati solo a molte domande come, qual è stata la sua prima parola? Quando ha fatto il primo passo? Il suo primo boo-boo? Il suo…”.

La sentì ridere e finalmente la vide alzare gli occhi per guardarlo, “Mi sembra giusto”.

“Hey”, disse lui dolcemente, “Tutto quello che volevo dire prima è che vorrei che Meredith fosse un po' più come te”.

Oh, gli occhi di Kate si chiusero alle sue parole, nuove lacrime si stavano formando.

“Significa molto per Alexis che tu sia qui oggi”. Sospirò, “Vorrei solo che avesse qualcuno con cui parlare se non volesse venire da me o da mia madre”, sapeva che stava andando oltre, forse stava chiedendo troppo, perché tecnicamente Kate non era legata ad Alexis in alcun modo, sperava soltanto…

“Lei ha qualcuno”, Kate interruppe i suoi pensieri, confermando la sua ipotesi senza un singolo segno di dubbio nella sua voce. C’era una cosa che aveva imparato nei due giorni passati, questa strana vibrazione familiare che percepiva dal compleanno di Jamie, era forte, non solo per Jamie, ma anche per se stessa. 

Adorava Alexis e non aveva idea di come una madre non potesse non voler trascorrere ogni singolo minuto con quella deliziosa bambina dai capelli rossi e Martha…beh, era certamente un personaggio, e a Kate piaceva il suo approccio eccessivamente drammatico alle cose, che solo un’attrice può mostrare, contrariamente al suo modo di pensare molto più tranquillo. Ma soprattutto, non le ricordava sua madre e questo era un grosso sollievo, poteva guardare Castle e Martha senza intristirsi su ciò che aveva perso.

“Sai una cosa?”, disse improvvisamente, prendendo Castle di sorpresa. “A meno che tu non debba veramente scrivere, potremo andare negli Hamptons”.

“Cosa?”, la sua voce uscì fuori molto più forte di quanto avesse voluto.

“Penso che potrebbe essere carino, un nuovo inizio..dobbiamo cominciare da qualche parte, no?”, alzò le spalle.

Castle annuì, aveva capito. L’aveva detto proprio lui, non c’era niente che potessero fare per riprendersi i due anni passati e anche se avevano parlato, fino a quella sera quella mancanza pesava ancora sulle loro teste. Ma Kate aveva ragione, dovevano guardare avanti, lasciare il passato alle spalle.

“Intendi come un inizio di noi come”, esitò ma decise che non aveva importanza dopo tutto quello che si erano detti quella sera, questo non poteva ferirli, “Come una famiglia?”, perché era quello che aveva pensato lui dal momento che lei si era presentata alla porta quella sera, lui Jamie e Kate erano una famiglia adesso, che lei lo volesse o no.

“Per quanto possa essere non convenzionale”, Kate sospirò, ma non sembrò turbato dalle sue parole.

Lui scosse la testa, “Non siamo non convenzionali, siamo solo differenti”.

Kate accettò le sue parole con un cenno del capo, realizzando che la sua mano era ancora protetta tra quelle di lui, e lei la girò in modo che i loro palmi si toccassero, prima di allontanarla lentamente.

“Quindi?”, chiese lui speranzoso.

“Quindi chiederò al capitano se posso avere venerdì libero”, concluse lei, guardandolo.

“Bene”, sorrise calorosamente e lei non poté non fare lo stesso.

Rimasero seduti in silenzio per un po’, ma non fu imbarazzante, c’era un’atmosfera serena, entrambi consapevoli di quello che avevano raggiunto quel giorno, e poi lei lo guardò, mordendosi il labbro, cercando di nascondere un sorriso.

“Ho detto la verità a Royce”, disse, e gli occhi di Castle si spalancarono.

“Tu cosa?”.


Ciao a tutti, mi scuso se sto postando meno ma ho molto meno tempo, sicuramente fra un po' ricomincerò a postare più velocemente...e niente, buona lettura :)

 

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Capitolo 31
*** Prima il dovere e poi il piacere ***


“Mi ucciderà”, Castle piagnucolò al telefono, facendo roteare gli occhi a Beckett dall’altro capo della linea.

“Non ti ucciderà Castle”, mormorò lei a denti stretti, cominciando ad essere annoiata dal comportamento infantile di Castle, dal momento che rifiutava di entrare al distretto.

“Beh, sicuramente lo voleva fare l’ultima volta”, esclamò lui, non capendo come lei non riuscisse a vedere che lui non stava reagendo male, ma stava semplicemente giudicando la situazione basandosi su prove concrete. Dopotutto, c’era stata anche lei al distretto con lui due mesi prima.

“Prima di tutto”, Kate sospirò mentre tentava di mantenere la voce neutrale, “Non voleva ucciderti nemmeno quella volta, stava solo proteggendo me e Jamie, e secondo, molte cose sono cambiate se non ricordo male”. Sentì lui sbuffare.

“Non lo so”, si imbronciò e lei riuscì ad immaginare il suo viso in quel momento. Quell’uomo aveva spesso comportamenti da bambino e mentre qualche volta pensava che fosse dolce e adorabile, anche se non gliel’avrebbe mai detto, adesso la cosa stava diventando ridicola.

“Ascolta Castle”, Kate fece un ultimo tentativo per convincerlo, “Ho bisogno di altri venti minuti per finire delle carte, prima di poter andare. Tu sei fuori, sotto la pioggia, con nostra figlia che posso già sentire chiedere dei cookies, quindi per favore, metti giù il telefono e porta il tuo sedere qui, così posso cominciare”.

“Va bene”, sbuffò, “Ma se non andremo agli Hamptons perché mi ha ucciso, non è colpa mia”.

“Ne ho abbastanza”, disse Kate, terminando la chiamata.

Due minuti dopo, Castle era in piedi davanti alla sua scrivania, Jamie in braccio mentre si guardava nervosamente attorno, cercando quello che lui riteneva essere un nemico.

“Dov’è lui?”, sussurrò.

Kate si mise la testa tra le mani, scuotendola lentamente, “Puoi smetterla per favore? Non ti farà del male”.

“Certo”, risposte Castle sarcastico, rivolgendole un sorriso falso.

“Mi arrendo”, sospirò Kate, quando si alzò per salutare sua figlia, decidendo di ignorare Castle d’ora in poi.

“Hey uccellino, tu e papà vi siete divertiti stamattina?”, chiese.

Aveva lasciato la bambina al loft quella mattina, insieme ai loro bagagli, in modo che Castle e Jamie potessero andare a prenderla al distretto e da lì andare a scuola di Alexis e poi diretti verso gli Hamptons.

Dal compleanno di Alexis la settimana era volata, tutto era diventato più semplice e confortevole tra di loro, visto che avevano affrontato i discorsi più importanti. Avevano instaurato un nuovo ritmo e Kate non poteva negare che le piaceva, questi nuovi loro due.

Jamie annuì energicamente, “Jamie vaigia”. Disse a sua madre fiera e Kate rise.

“Hai aiutato papà con le valigie? Ottimo, almeno qualcuno sapeva cosa stava facendo”. Kate sorrise a Castle mentre prendeva Jamie dalle sue braccia per poi dirigersi in sala relax, sicura che Castle l’avrebbe seguita.

“Vuoi un biscotto mentre mamma finisce di lavorare?”, le chiese, già sapendo la risposta, svoltando l’angolo ed entrando nella stanza.

“Anche io voglio un biscotto”, sentì Castle borbottare dietro di lei e dovette mordersi il labbro per non ridere al broncio che era evidente nella sua voce.

Ripassò Jamie a Castle e raggiunse il barattolo di biscotti, mettendolo poi sul tavolino, “Non esagerate”, li avvisò, soprattutto a Castle che le stava rivolgendo un sorriso imbarazzato.

“C’è del caffè se vuoi”, gli disse, ignorando le sue mani che erano già dentro il barattoli di biscotti.

“Grazie, ma no, grazie”, negò con la testa, “Il caffè qui sa di urina di scimmia con acido di batteria”.

“Molto maturo Castle”, roteò gli occhi e si voltò per andarsene, “Vengo a riprendervi quando ho finito”.

 

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Quando quindici minuti dopo Kate ritornò nella sala relax, già cambiata dalla sua uniforme, con un confortevole paio di jeans e un maglione, trovò Castle con le spalle al muro, seduto in una delle sedie con Jamie stretta al petto, il terrore nei suoi occhi rivolto all’uomo in piedi davanti a lui.

Spalancando gli occhi, Kate fece sentire la sua presenza, “Che sta succedendo qui?”, chiese per sapere, i suoi occhi passavano da Castle a quelli del suo tutor.

Royce fu il primo a sentire la sua voce, cercando di giocarsela bene, “Niente”, scrollò le spalle. “Io e Castle stavamo solo facendo una chiacchierata amichevole, vero?”.

Castle la guardò con occhi spalancati e pieni di panico, e quasi le venne da ridere, una chiacchierata amichevole non era sicuramente quello che stava succedendo tra i due.

“Lascialo in pace Royce”, disse mentre si preparava una tazza di caffè, dal suo tono si sentiva che era seria. Non spettava a Royce avere una chiacchierata o qualsiasi altra forma di discussione con Castle, ed era del tutto inutile e fuori luogo, sebbene sapesse che lo faceva per il suo bene. Teneva molto a lei e a Jamie.

Royce alzò le braccia in un gesto che diceva, non ho fatto niente, e con una manata sulla spalla di Castle, che doveva avergli fatto male, si allontanò, “E’ stato bello rivederti, Castle”, disse oltre le sue spalle, prima di uscire dalla stanza.

Kate guardò in basso cercando di nascondere il sorriso sul suo viso, ma Castle capì subito, “Molto divertente”, mormorò, mettendo Jamie ancora più vicina come se potesse proteggerlo, mentre lei si coccolava felice nel suo petto. “Te l’avevo detto che voleva uccidermi”.

“Castle, mi dispiace”, Kate si riprese mentre attraversò la stanza per mettersi a sedere accanto a lui, “Mi scuso per qualsiasi cosa possa averti detto, non è compito suo e non sono affari suoi, ma non ti ucciderà”. Lo guardò e aggiunse, sorridendo, “Non glielo permetterei”.

Gli strinse la mano che non stava avvolgendo Jamie finché lui non la guardò, un sorriso esitante apparve sulle sue labbra, “Sai, avrei anche evitato l’intimidazione, ma sono felice che ci sia lui a proteggerti, anche se io non sono di certo una minaccia”.

Lei ricambiò il sorriso, “No non lo sei”, e in qualche modo suonò come se lo stesse prendendo in giro.

Kate guardò altrove, non volendo fargli intendere quello che voleva dire, prima di dare un sorso al suo caffè, torcendo il naso immediatamente. Castle aveva ragione, sapeva di pipì acida di scimmia.

“Sei pronta per andare?”, chiese lui, guardando Kate mentre gettava il suo caffè nel lavandino.

“Si, tutto pronto”, annuì.

Castle si alzò dalla sedia, pronto a seguire Kate fuori dalla sala break , quando il loro cammino fu interrotto da una persona.

“Capitano Montgomery”, disse Kate sorpresa, vedendo immediatamente come gli occhi del capitano erano fissi sullo sconosciuto che stava tenendo in braccio sua figlia.

“Beckett”, annuì. “Te ne stai andando per il tuo weekend, suppongo”, chiese Montgomery, non lasciando gli occhi di Castle.

“Uhm, si signore”, balbettò, “Stavamo andando”. Gli aveva detto dei suoi piani quando aveva chiesto mezza giornata, ma non gli aveva detto che lei e Jamie non sarebbero state sole.

“Sono Richard Castle”, sentì parlare l’uomo dietro di lei, capendo che Castle si stava avvicinando per stringere la mano al Capitano.

Il capitano gliela strinse, “Roy Montgomery”, si presentò prima di guardare Beckett con una punta di curiosità negli occhi.

“Capitano”, prese un respiro profondo, cercando prendere tempo, aveva già informato Royce su chi fosse realmente Castle, che differenza faceva se l’avesse saputo pure il Capitano, “Castle, voglio dire, il Signor Castle, è il padre di Jamie”.

“Capisco”, Montgomery sollevò le sopracciglia, ma non la guardò sorpreso, e Kate pensò se Royce gli avesse detto qualcosa. Ma il capitano fu veloce a chiarire, “Gli occhi blu sono familiari in effetti”, fece un occhiolino.

Castle sorrise e annuì, “Beh, quelli li ha presi sicuramente da me”.

Montgomery sorrise amichevolmente a tutti loro, prima di salutare, tutto il resto non era affar suo, “Godetevi il weekend”, disse, prima di guardare Castle ancora una volta, “E’ stato un piacere conoscerti”.

“Mi piace”, mormorò quando Montgomery era già lontano.

“Anche a me”, rispose Kate piano, prima di tirarlo per un braccio, “Andiamo a prendere Alexis”.

 

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Si erano lasciati la città alle spalle da un’ora, Kate stava lottando per tenere gli occhi aperti mentre la Mercedes di Castle stava silenziosamente percorrendo le miglia mancanti con le bambine già addormentate sul sedile posteriore.

Avevano chiacchierato per la prima mezz’ora finché Kate non si era sentita sempre più stanca, e quindi era sceso il silenzio.

“Dormi un po’”, la voce soffice di Castle la raggiunse, mentre lei stava già combattendo con le braccia di Morfeo.

“Non voglio che ti annoi”, mormorò, sebbene sapesse che era una causa persa.

“Dormi Kate”, disse semplicemente, e dopo pochi secondi era già andata nel mondo dei sogni.

Guardandola dormire di tanto in tanto, Castle fu felice di vedere che i suoi lineamenti avevano perso la stanchezza, facendola sembrare più rilassata e felice. Le ragazze si erano svegliate lungo il viaggio ma si intrattennero tra di loro, e lui non dovette preoccuparsi di tenerle occupate.

Si fermarono solo una volta in un paesino lungo la strada cosicché Alexis potesse usare il bagno di un benzinaio, mentre Castle controllava il pannolino di Jamie.

Kate dormì per tutto il viaggio e si svegliò soltanto quando le ruote della Mercedes scricchiolarono sul vialotto di casa Castle.

Quando vide la casa, tornò subito lucida, “Castle”. Lei rimase a bocca aperta, osservando quella che doveva essere la casa di un multimilionario. Aveva sospettato che avesse soldi ma vedendo la sua proprietà le fu chiaro che non era semplicemente ricco, ricco era poco in confronto.

“Ti piace?”, chiese, suonando sorprendentemente nervoso. Gli importava davvero così tanto cosa pensasse lei?

“Castle, è magnifica”, rispose onestamente, mentre usciva dalla macchina per guardarla meglio.

“Aspetta che ti faccia fare il tour”, le sorrise eccitato, mentre aiutava Jamie ad uscire dalla macchina e Kate apriva la portiera ad Alexis.

Scosse la testa al suo entusiasmo infantile e poi lo aiutò con i bagagli, mentre Alexis prese la sorellina per la mano aspettando i due adulti davanti alla porta. Lei non lo avrebbe mai ammesso, ma il suo comportamento infantile su certe cose lo trovava attraente e non riusciva a ricordare l’ultima volta che avesse riso così tanto da quando Castle era entrato nella sua vita. Era divertente,  la faceva rilassare un po' eppure sapeva come fosse anche serio sulle cose più importanti.

“Ecco il piano”, cominciò lui mentre prese le chiavi per aprire la porta. “Ci sistemiamo nelle stanze, poi vi faccio vedere casa che include la piscina dietro e il mare, e poi—“, Kate aggrottò la fronte.

“La piscina è dentro? E’ metà ottobre”, disse lei, ma ricevette solo un sorriso compiaciuto in cambio.

“E’ riscaldata”, Castle cancellò le sue preoccupazioni con un sorriso, tenendo aperta la porta per tutti.

“Comunque, dov’ero rimasto?”, mormorò finché i suoi occhi non si spalancarono per lo shock, “Aspetta, non dirmi che non ti sei portata il costume”, la guardò come se dimenticare il costume fosse la fine del mondo.

“Te l’avevo detto”, si lamentò.

“Calmati”, roteò gli occhi, “Ne ho preso uno come richiesto”.

“Grazie a Dio”, sospirò sollevato prima di far ripartire il treno di pensieri, “Ok, quindi dopo che siamo stati al mare, io ed Alexis vi introdurremo una tradizione della famiglia Castle”.

“E cosa sarebbe?”, chiese Kate, ancora divertita dall’attacco di panico che aveva avuto sulla questione del costume.

“La Castle Cookies Cottura Contest”, entrambi i Castle esclamarono all’unisono.

Kate rise, mentre Jamie urlò insieme a loro, “Non hai già mangiato abbastanza cookies per oggi Castle?”, chiese, “Non pensi che non abbia notato il barattolo vuoto nella sala break”.

La guardò imbarazzato, indicando Jamie, “Li ha mangiati lei”.

“U-huh, certo”, Kate annuì, non credendo a una singola parola che le aveva detto.

 

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Dopo la fine del tour, Kate era un po' intimidita, la casa era ancora più grande da come sembrava dall’esterno, non aveva mai messo piede in un posto del genere. Ma nonostante quello, le piacque all’istante, perché oltre ad essere immensamente grande era anche sorprendentemente accogliente, sembrava una vera casa piuttosto che una casa costosa per i mesi estivi.

“Quindi che ne pensi?”, chiese Castle, tirando fuori gli ingredienti per i biscotti, mentre Jamie ed Alexis erano già sedute impazienti sul bancone della cucina.

“E’ bellissima Castle, sul serio”, lo rassicurò, sembrava veramente preoccupato dalla sua reazione.

“Ti piace la tua camera?”.

Lei sorrise, “E’ perfetta, puoi smettere di preoccuparti per favore?”.

“Voglio solo che tu e Jamie vi sentiate a vostro agio”, alzò le spalle.

“Lo siamo”, gli picchiettò una spalla gentilmente. “E Jamie adora stare con Alexis”. Confermò prima di fare una domanda che aveva in testa da quando Castle le aveva mostrato le camere, “A proposito dove hai preso quel letto?”.

“Ce l’avevo in cantina. E’ il vecchio letto di Alexis e ho chiesto a Charlie di metterlo lì prima che arrivassimo”.

“Chi è Charlie”, Kate aggrottò la fronte, prendendo la farina dalle sue mani e iniziando a mischiare uova e zucchero in una grande ciotola.

“Charlie si prende cura della casa quando siamo a New York. E’ anche quello che ha riempito il frigo”, Castle sorrise.

“E’ molto gentile”, Alexis si intromise nella conversazione, battendo le piccole dita sul bancone.

“Charlie ha una nipote della stessa età di Alexis, di solito giocano insieme d’estate”, spiegò Castle, aggiungendo gocce di cioccolato nel composto, prima di passare il resto alle bambine per tenerle occupate fino a quando non avesse finito l’impasto. 

Infine distesero il composto per i biscotti sul bancone infarinato e Castle si mise a sedere vicino a Jamie per aiutarla con le formine, alla fine però decisero di usare soltanto le mani e ben presto padre e figlia si ritrovarono davanti tanti piccoli biscotti.

“Mama Castle”, esclamò Jamie felice, e poi le sue dita sporche di cioccolato raggiunsero il viso di suo padre, “Pappà”.

Quando Kate si girò, mentre puliva le ciotole, si mise a ridere. Padre e figlia avevano il viso completamente imbrattato di cioccolato mentre Alexis sembrava non fosse stata coinvolta nella loro preparazione.

“Penso che voi due abbiate bisogno di lavarvi” disse dopo un po’, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Alexis.

“Cosa? Non ti piacciamo così dolci?”, Castle la prese in giro.

“Non quando siete anche molto appiccicosi”, Kate scosse la testa e poi vide lo sguardo di lui farsi malizioso.

“Beh, conosco alcune cose che possono essere dolci, appiccicose e calde”, la fissò negli occhi e lei dovette ingoiare a vuoto quando realizzò che questa volta non aveva usato giri di parole, lui sapeva esattamente cosa stava dicendo.

“Castle”, lo mise in guardia, ma lui continuava a fissarla, gli occhi scuri di lei erano dentro i suoi quando Alexis non chiese innocentemente, “E che cos’è papà?”.

Kate lo guardò divertita mentre la sua faccia diventava rossa e cercava disperatamente di trovare una versione non vietata ai minori dei suoi pensieri.

“Cioccolata calda, tesoro”, Kate lo aiutò a uscirne con un occhiolino e poi si voltò per nascondere il suo sorriso.

 

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Kate non aveva davvero idea di come fosse riuscito a convincerla di fare il barbecue in giardino nel bel mezzo di ottobre, ma una volta che si erano sistemati davanti alla piscina e Castle aveva cominciato a fare il fuoco nel grande forno, sembrava una cosa normale.

Il sole era svanito e ad eccezione del fuoco, le luci della casa, le stelle in cielo e le luci della piscina, tutto il resto era immerso nel buio, dando l’impressione che fossero gli unici esseri viventi esistenti al mondo. Kate avrebbe quasi pensato che fosse romantico.

Tutti e quattro erano avvolti in soffici accappatoi e mentre Castle armeggiava con la loro cena, Alexis si era già spogliata in direzione della piscina.

“Papà, posso entrare?”, chiese, già immergendo la punta del piede nell’acqua calda.

“Certo”, Castle annuì. “Buttati”.

Con un grande tuffo Alexis saltò dentro la piscina, facendo subito scadere Jamie dal grembo di sua madre, cercando di seguirla.

“Aspetta, aspetta, aspetta”, Kate la trattenne. “Dobbiamo prima equipaggiarti”. Disse ignorando le lamentele di Jamie.

Castle stava già prendendo i suo braccioli, porgendolo uno a Kate, mentre lui ne infilava uno in un braccio di Jamie.

“Alexis puoi stare con lei per un secondo?”, chiese Kate, avvicinandosi al bordo della piscina con Jamie, in un punto dove Alexis poteva stare facilmente in acqua e allo stesso tempo non avere problemi nel tenere d’occhio sua sorella finché Kate e Castle non le avrebbero raggiunte.

La rossa annuì energicamente, felice che Kate si fidasse di lei, e attentamente aiutò sua sorella ad entrare nell’acqua. Jamie rise emozionata e subito cominciò a spruzzare acqua da tutte le parti.

“Arriviamo subito”, Kate rise ma non era preoccupata che Alexis non riuscisse a contenere quella palla di energia.

Tornò da Castle che aveva già sistemato il tavolo per dopo, ”Pronta ad entrare?”, chiese, guardando Kate annuire e cominciare ad aprire il suo accappatoio.

E poi tutta l’aria lasciò i suoi polmoni quando la vide in piedi di fronte a lui in un peccaminoso bikini rosso.

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