Il Drago Di Zaffiro

di DemoneDiCristallo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Crisi ***
Capitolo 2: *** Una luce di speranza ***
Capitolo 3: *** Si accomodi, sig.Gilsson ***
Capitolo 4: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 5: *** La scatola misteriosa ***



Capitolo 1
*** Crisi ***


Svegliai Andrew delicatamente, accarezzandolo sui lisci capelli castani. << Vai a darti una sciacquata al viso, e poi vieni in salone che ti preparo la colazione >>. Il bambino non rispose, continuando a stropicciarsi gli occhi, e lanciando un enorme sbadiglio. << Allora, cosa preparo al mio ometto preferito oggi? >> Mi voltai, dando le spalle al bambino, e aprì il frigorifero. Era semivuoto, alcuni prodotti erano andati a male, e c'era giusto una scatola di latte mezza vuota. Nella credenza, vi era una scatola di cereali, vecchia di almeno una settimana. Avevano perso la croccantezza ed erano diventati molli come palline di carta. Mi vergognavo solamente a guardarlo in faccia. Che razza di padre ero? In tasca non avevo nulla, e sarei passato nuovamente alla chiesa della città a chiedere aiuto. Avevo perso il lavoro da circa un mese, lo schock della morte di mia moglie mi aveva distrutto mentalmente, con conseguente licenziamento. Passai i cerreali ad Andrew, dopo aver versato il poco latte che rimaneva, nella tazzina gialla. Gli diedi un bacio sulla fronte, e con gli occhi lucidi, gli chiesi scusa. Non avevo un soldo in tasca, sapevo che prima o poi i servizi sociali si sarebbero insospettiti. Non potevo permettermi di comprargli il materiale scolastico, ne la merenda, nulla. Andrew avrebbe compiuto sette anni nel giro di due settimane, ed io non potevo organizzargli nemmeno una festa di compleanno. Cominciai a viaggiare con la mente, per trovare una qualche soluzione, chiesi persino aiuto ai miei parenti. Mio fratello ed io non siamo mai stati in buoni rapporti, anzi si poteva dire ci odiassimo l'un l'altro.  Ero solo, in un mondo di squali, di avvoltoi affamati, solo. Dissi ad Andrew di guardare i cartoni animani, e di fare il bravo. Tolsi tutti i coltelli dai cassetti, nascosi tutti gli accendini, mi assicurai che il bambino non potesse ferirsi con nulla. Chiusi persino le grate alle finestre con la chiave, per evitare che si affacciasse.. Mi vestì, e mi dirissi verso la chiesa.  << Padre, ho bisogno di una mano. Sono senza lavoro, a fatica riesco a nutrire mio figlio. Evito di mangiare il più possibile, per far star bene lui, ma è una situazione che non riesco più a sostenere.>> dissi, quasi in lacrime << Capisco. La busta con la spesa della beneficenza che ti avevo dato un paio di giorni fa? >> rispose il prete << Io la ringrazio per quella busta, mi ha dato una grossa mano, ma parlo d'altro. Mio figlio tra non molti giorni compierà sette anni, ed io non ho neanche i soldi per pagare la bolletta della luce, che scadrà tra una settimana circa >> << Capisco... >> disse il prete, volgendo lo sguardo verso il basso. << La chiesa ha un pò di soldi, raccolti con le donazioni. Non è moltissimo, ma dovrebbero bastare per pagare la luce, la bolletta del gas e fare la spesa per almeno una settimana. Per il compleanno di suo figlio...non so come aiutarla. >> << La ringrazio di cuore padre >> ringraziai il prete, che aggiunse << Vai da padre Sebastian e digli che ti mando io. Consegnagli questo foglietto. Buona fortuna. >> Così feci, e ricevetti i soldi per pagare le bollette e permettermi da mangiare per qualche giorno. Erò un pò sollevato, ma sapevo che prima o poi saremmo tornati da capo a dodici. Avrei dovuto trovare un lavoro, e iniziai immediatamente la mia ricerca. Sui giornali trovai un annuncio interessante, che allegava un numero di telefono.

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Capitolo 2
*** Una luce di speranza ***


Tornai a casa, e senza pensarci due volte, chiamai il numero di telefono riportato sul giornale.  Una piccola luce di sperenza,  cominciava a intravedersi in fondo al tunnel. << Pronto buongiorno, chiamo per l'annuncio riportato sul giornale Daily Express, se non sbaglio cercate personale per le pulizie in un magazzino, potrei avere più informazioni? >> Una voce femminile rispose al telefono << Salve, mi lasci un recapito, quanti anni ha, e la sua residenza >> << Mi chiamo Max Gilsson, ho trentanove anni,  e vivo ad Edmolton >> << Oh bene, alllora la distanza non sarà un problema per lei. Ok Max, ci lasci un nuomero di telefono, la contatteremo il prima possibile per fissare un colloquio lavorativo >> Cosi feci. Speravo con tutto me stesso, che avrebbero chiamato per fissare il colloquio. L'unica cosa positiva di questa situazione, è che mi ha costretto a smettere di fumare. Fumavo più di venti sigarette al giorno, ma per pensare al mio benessere, e soprattutto a quello di mio figlio, ho dovuto smettere.  << Papà chi era? >> chiese Andrew, uscendo dalla porta della cameretta. << Nessuno amore, era la solita offerta telefonica di qualche operatore. Tu non preoccuparti, anzi vai in bagno che adesso facciamo la doccia. >> non volevo dirgli del lavoro, per non dargli false speranze.  << Ma papà, guarda l'orologio, è quasi mezzogiorno, io ho fame! >> disse Andrew piagnucolando. << Hai ragione tesoro, che sbadato. >> Avevo la testa talmente sottosopra, che non avevo quasi più la concezione del tempo. << Adesso ti preparo un pranzetto con i fiocchi, che ne dici? La doccia la farai più tardi >> << Si! >> Esclamò il bambino. Potevo leggere la felicità nei suoi occhi, e questo era una pugnalata per me. Quale padre al mondo, avrebbero resto felice il proprio figlio,  un bambino, con un piatto di pasta diverso dal solito? Mangiammo, ridemmo e parlammo del più e del meno.  Lo portai alle giostre, e tornati a casa, gli feci la doccia. Era molto tempo che non ce lo portavo, e con i soldi della chiesa, avevo deciso di farlo divertire un pò. Passarono le ore, e cominciò a calare la notte. Portai il bambino a letto, e mi coricai di fianco a lui. Poggiò la sua piccola testa sopra il mio braccio, e cominciammo a parlare.  << Papà, dov'è la mamma? >> mi chiese il piccolo << Beh vedi Andrew, la mamma è in un posto migliore, dove giocano e si divertono tutto il giorno >> risposi con voce pacata << Dici davvero? >> << Si, e ogni tanto ci osserva, per vedere come stiamo >>. Mia moglie morì in ospedale, fu investita in pieno da un furgone, con a bordo il conducente in stato di ebrezza. Era bella, decisamente troppo bella. Passarono due giorni, e non ricevetti alcuna chiamata. Le mie speranze si stavano pian piano sciogliendo come neve su un termosifone, quando improvvisamente il telefono cominciò a squillare. Risposi immediatamente, e udì una voce maschile, dura e imponente << Sabato, alle 14:30, in via Mc.Ginfley 143 >> << Come scusi? >> e la voce nuovamente << Sabato, alle 14:30, in via Mc.Ginfley 143 >> e poi aggiunse << Citofoni al cognome di Branton. Scala A, terzo piano >> << Nono aspetti, un attimo devo prendere nota! >> ma il telefono venne riagganciato.  << Sabato, 14 e 30...com'era la via? Mc...Mc. Ginfley, e il civico? Mi sembra 143.  Il cognome era Brandon, scala A al secondo o al terzo piano, non ricordo >> Cominciai a ripetermi di continuo le informazioni lasciate dalla voce al telefono, cercando di fretta e furia carta e penna per prendere nota.  Eravamo ancora a giovedì, altri due giorni e sarei venuto a conoscienza, di cosa il destino avrebbe riservato per me. << Mi raccomando, fai il bravo >> Misi lo zaino per la scuola sulle spalle di Andrew, e lo accompagnai all'entrata della scuola. Improvvisamente sentì chiamare il mio nome << Signor Gilsson, vorrei parlarle un attimo >> era la maestra di mio figlio. << Si, mi dica>> << Ecco vede, vorrei parlarle di suo figlio. Utimamente io e la mia collega stiamo notando un cambiamento comportamentale nel bambino. Diventa sempre più asociale, non parla con nessuno, e delle volte risponde male alle maestre, me compresa. So che ha perso la mamma da poco tempo, e vede, vorrei consigliarle qualcuno con cui farlo parlare, e magari sfogarsi >> << Mio figlio non ha bisogno di psicologi, o cose simili. Ce la caviamo benissimo da soli. E poi come crede che prenderebbe la cosa? Non è stupido, ha solo sette anni, ma lo capirebbe >> risposi con tono leggermente irritato << Non la prenda come un offesa personale, tutti i bambini dopo aver avuto traumi, hanno bisogno di parlare con qualcuno che li comprenda. Si fidi di me, può solo che far bene a suo figlio. Le lascio questo tesserino nel caso cambiasse idea. Vi è riportato il numero di una psicologa molto brava con i bambini. Ci pensi su, e nel caso fissi un appuntamento.>> Ci pensai su per qualche secondo, e poi con aria infastidita presi il tesserino, e lo infilai nel portafogli in tasca ai jeans. << La ringrazio.>> << Adesso devo andare che i bambini mi aspettano. La saluto.>> Quel tesserino era l'ennesima umiliazione. Mio figlio aveva me per parlare, e avevo paura che uno strizzacervelli non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Presi l'autobus e tornai a casa. Mi sedetti sul divano, e accesi la televisione. Non davano nulla di interessante, ma la televisione era solo un pretesto per fare qualcosa, in realtà avevo tutt'altro per la testa. Come mai il tizio che mi ha chiamato, non mi ha lasciato neanche il tempo di prendere nota? Eppure questo non mi sembra un comportamento adatto per assumere potenziali lavoratori. Alle 13.00 sarei dovuto andare a scuola a riprendere Andrew, e decidetti di passare il tempo cercando qualche altro annuncio lavorativo. Chiamai tutti quelli che rientravano nei limiti delle mie possibilità, ma per uno scherzo del destino, nessuno di questi rispose.  Successivamente mi corricai sul divano, e mi addormentai. Non avevo dormito bene durante la notte, e il sonno si era impadronito di me. Quando mi svegliai, un brivido ghiacciato mi attraversò la schiena. Erano le 12.49 minuti, tra undici minuti Andrew sarebbe uscito da scuola. Mi misi le scarpe il più velocemente possibile, e uscì di corsa. La scuola era a circa un chilometro da casa. Ero a piedi, non avrei mai fatto in tempo. Avevo le mani tra i capelli, non sapevo cosa fare e aspettare l'autobus sarebbe stato inutile, quando per un enorme colpo di fortuna, vidi passare un ragazzo con una biciciletta. << Hey! Hey!>> Gli urlai. << Prestami la tua bicicletta, ho un urgenza!>> << Cosa fratello? Ma ti sei bevuto il cervello? >> << Ti do dieci dollari, prestami quella cazzo di bicicletta ho detto! >> insistetti urlando << No te lo scordi amico, chi me lo dice che poi me la riporterai indietro? >> non avevo altro tempo da perdere. Spinsi il ragazzo a terra, montai in sella e pedalai, pedalai come un forsennato. << Sei un bastardo! >> Urlò il ragazzo correndomi dietro per qualche metro. Un passante si avvicinò al ragazzo e gli disse << Cos'è successo?>> << Quello stronzo mi ha rubato la bicicletta! >> Alla fine riuscì ad arrivare a scuola in tempo. Mi liberai della bicicletta, e passai a prendere mio figlio. Tornando a casa, notai un veicolo nero parcheggiato proprio sotto l'appartamento, e una donna che bussava alla porta.

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Capitolo 3
*** Si accomodi, sig.Gilsson ***


Fortunatamente dava le spalle a me e a mio figlio, quindi presi Andrew in braccio, gli misi una mano sulla bocca, e mi allontanai il più in fretta possibile. Ci nascondemmo dietro a un muretto, aspettando che se ne fosse andata.  Aevo capito chi fosse quella donna, ne ero sicuro. Dopo un pò di attesa, mi affacciai leggermente con la testa, e notai che la donna se ne era andata.  Davanti alla porta, notai qualcosa. Un foglio vi era attaccato. Quel foglio aveva confermato ogni mio sospetto, la donna che ha bussato poco fa, altri non era che l'assistente sociale. Non potevo farla entrare, avevo la casa in soqquadro, e avrei avuto bisogno di tempo per mettere tutto apposto. Da quel momento in poi, capì che la situazione stava prendendo una brutta piega e probabilmente, era stata la maestra a mandarli a casa mia. Nonostante la pessima situazione economica, ho sempre mandato Andrew a scuola senza un capello fuoriposto. I vestiti sono sempre stati puliti, come le scarpe e i capelli. Non ha mai avuto un unghia troppo lunga, e l'ingiene è sempre stato un fattore per il quale mi ritengo più che ossessivo. C'era qualcos'altro, forse la maestra aveva ragione e il bambino è cambiato a livello comportamentale, chi lo sai?
<< Papà, chi era quella signora? Cosa voleva, e perché siamo scappati? >> chiese il bambino
<< Era un'amica di papà. Ma ci ho discusso, lei continua a cercarmi, però io non voglio più vederla >> dissi, inventandomi un altra delle mie bugie.
Arrivò il fatidico giorno del colloquio, e speravo con tutto me stesso, andasse per il meglio.  I soldi della chiesa sarebbero bastati al massimo per altri quattro o cinque giorni, e oltre tutto, il compleanno di Andrew si faceva sempre più vicino.
<< Su da bravo, insapona per bene la testa >> dissi ad Andrew, nel mentre si faceva la doccia. << Così bavo! >>
<< Ok, ora sciacqua per bene e rimani li che prendo l'accappatoio >>
<< Ahi! Papà è ghiacciata, è fredda! >> Urlò il bambino gemendo
Chiusi l'acqua immediatamente, asciugai il piccolo, e andai di fretta in cucina. Provai ad accendere i fornelli, ma come avevo sospettato, era finita la bombola del gas. Ciò significava che non disponevamo più neanche dell'acqua calda, e avremmo dovuto mangiare i pasti precotti cuocendoli col forno a microonde, finché non avrei sostituito la bombola vuota con una nuova.
<< Mi dispiace cucciolo >> Dissi sul punto di piangere
<< Vado a prepararti la colazione >>
Preparai la colazione a Andrew, lo vestì e lo accompagnai a scuola.
<< Oggi viene a prenderti un amica di papà, d'accordo? Papà ha da fare, tu fai il bravo e non farla arrabbiare, intesi? Ah, si chiama Jane. Se hai bisogno di me, lei ha il mio numero e puoi dirgli di chiamarmi >>
Non sapevo a chi lasciare il bambino, e optai per una mia vecchia amica. Non avevo i soldi per una babysitter, e non potevo lasciare il bambino da solo per così tanto tempo. Per convincerla oltre tutto, ho dovuto fare i salti mortali.
<< Va bene papà, ma quando vieni a prendermi? >>
<< Come potrò, il più presto possibile. Adesso vai >> gli diedi un bacio sulla fronte e andai a fare la delega.
Non era lontano dalla scuola, potevo andarci benissimo a piedi. Più mi avvicinavo, più l'ansia e il battito cardiaco aumentavano. Cominciavo a sudare, il nervoso si stava impadronendo di me. Era la prima volta in tutta la mia vita, che provavo una tale sensazione. Mi fermai davanti al citofono, presi un sospiro di sollievo, e premetti il pulsante. I secondi sembravano ore, e dopo qualche istante, una voce femminile chiese chi fossi.
<< Sono il Sig.Gilsson, avevo preso appuntamento per un colloquio lavorativo >>
<< Benissimo signor Gillsson, scala A, terzo piano >>

Lentamente mi feci strada all'interno del grande cortile, ornato con piante di vario tipo. I palazzi erano piuttosto alti, almeno dieci piani ciasciuno. Mi incamminai verso la scala A, ed entrai. Arrivato al terzo piano, suonai alla porta.
<< Salve, lei deve essere Max. Mi chiamo Morgan, e lei è la mia assistente Diana >>
<< Il piacere è mio >> dissi, stringendo la mano ad entrambi. Morgan era un tizio di colore, piuttosto robusto e alto. Avrà avuto sui quarant'anni. Diana, l'assistente, era una donna piuttosto minuta e giovane.

<< Bene Max, intanto si accomodi. Immagino abbia chiamato perché sull'annuncio è riportato che cerchiamo del personale da assumere per le pulizie in un magazzino. >>
<< Beh, si...perché me lo chiede? >>
<< Perché non è così. Stiamo selezionando diverse persone, solo uno di voi, verrà scelto per  custodirlo >>
<< Custodirlo? >> Chiesi sottovoce
La donna interruppe il nostro discorso e con una voce soave e inquietante disse << Lei ha una situazione molto difficile, è rimasto vedovo da poco più di un mese, e ha un bambino da mantenere. Quando era piccolo, la sua più grande paura erano i serpenti. Non va daccordo con suo fratello, e a malapena vi parlate. >> Il sangue mi si gelò nelle vene, e la sorpresa era tale, che credevo di essere in un sogno.
<< Lei come fa a sapere tutte queste cose su di me? >> Chiesi visibilmente irritato
<< Si calmi signor Gilsson. Diana è una sensitiva. Può leggere nell'anima delle persone, semplicmente guardandole negli occhi. Così possiamo renderci conto, di chi sarà in grado di custodire l'ogetto >>
<< Benissimo, io qui ho finito. La ringrazio per il tempo dedicato, devo scappare >> mi alzai, e tesi il braccio ad entrambi, per dargli una stretta di mano, ma nessuno dei due contracambiò.
<< Si ricordì signor Gilsson, nel caso lei fosse il prescelto, non potrà rifiutare, o le conseguenze saranno terribili >>.
Guardai Morgan con un espressione persa, e allo stesso tempo impaurita. Uscì dalla porta, e me ne andai a passo veloce.
 

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Capitolo 4
*** Una visita inaspettata ***


Passai a prendere Andrew e tornai a casa senza dare troppo peso alle parole dette da quel Morgan. Un senso di delusione, albergava all'interno della mia testa. Sapevo che questo era stato l'ennesimo fallimento, e dovevo riuscire a trovare la forza per andare avanti. Passarono i giorni, io trascorsi tutto il tempo cercando un lavoro, ma con scarsi risultati, inoltre, tra una spesa e l'altra, finì quasi completamente i soldi donati dalla chiesa. Era arrivato il giorno che avrei voluto non arrivasse mai: il compleanno di Andrew. Svegliai il bambino tra carezze e baci, sussurrandogli all'orecchio << auguri, amore mio >> . Il piccolo sembrò ignorarmi completamente, ancora immerso nei sogni. Si girò in posizione fetale, e cominciò a ronfare nuovamente. Decisi di lasciarlo dormire un altro pò, tanto non sarebbe dovuto andare a scuola, essendo domenica. Cominciai a darmi dentro con le faccende di casa, pulendo dal salone al bagno, primo per una questione di igiene personale, secondo perché l'asistente sociale avrebbe potuto bussare alla mia porta in qualsiasi momento. Improvvisamente, sentì suonare alla porta di casa. Guardai attraverso lo spioncino, e non potetti credere ai miei occhi.
<< Cosa ci fai qui? >> gli chiesi.
<< Sono venuto per il compleanno di mio nipote. >> rispose.
<< Non ti sei fatto vivo per sette anni, e ti presenti così all'improvviso. C'è dell'altro? >>
<< Si. Ho rifelttuto molto in questi giorni. Ho pensato, perché tenere l'astio e l'odio, per cose successe sette anni fa? Dico bene fratellino? >>
Non seppi cosa rispondere, e rimanetti in silenzio.
<< Come vanno le cose? Ah ti porgo le mie condoglianze. Mi dispiace molto. >>
<< Ti ringrazio. Ah che maleducato, accomodati. >>
Feci sedere mio fratello sul divano, assieme a me, e cominciai a spiegargli tutto quanto.
<< Merda, perché non me ne hai parlato prima? >> chiese mio fratello, quasi sorpreso.
<< Forse perché non ne ho mai avuto l'occasione? Perché credevo che dopo quel che era successo, mi odiassi? >>
<< Siamo fratelli, come puoi pensare che ti odi? Comunque ho portato un regalo per Andrew. >>
<< Ti ringrazio di cuore. Mettilo la, cosi quando si sveglia lo trova. >> risposi, con aria sorpesa.
<< A proposito...l'ultima volta che l'ho visto, aveva pochi giorni, posso vederlo? >>
<< Si vai. E' di là che dorme. >>
<< Sono sveglio! >> Gridò il bambino, dalla cameretta.
Mio fratello entrò lentamente nella stanza, e cominciò a presentarsi al nipote.
<< Ciao, io sono lo zio Ricky. Non ti ricordi di me perché eri molto piccolo l'ultima volta che mi hai visto. Io sono il fratello maggiore del tuo papà! >>
Il bambino fissò Ricky, e dopo un pò, pronunciò un freddo e secco "ciao".
<< Allora, com'è andata? >> chiesi a mio fratello
<< Come immaginavo, ci vorrà del tempo prima che mi consideri realmente suo zio >>
<< Capisco...vedrai che col tempo ti accetterà. >>
<< Comunque ho notato che ha gli stessi occhi azzurri di tua moglie. Complimenti, è davvero un bel bambino. >> disse Ricky
<<  Andrew vieni di qua che lo zio Ricky è venuto per il tuo compleanno, non fare il maleducato! >> urlai, con tono irritato.
Il piccolò uscì dalla sua stanza, con il pigiamino di Topolino, le pantofole di Spiderman e tenendo con la mano sinistra un orsacchiotto marrone. Teneva il broncio, e si sedette scattosamente sul divano, con le braccia conserte.
<< Allora? Perché fai così? Perché devi tenere il muso? Sai quanta strada ha fatto lo zio per venire al tuo compleanno? >> Gli dissi con tono di rimprovero.
<< Non mi importa niente! >> urlò il bambino, sporgendo leggermente i grandi occhi azzurri.
<< Ma cosa ti prende? >>
Scoppiò in lacrime e disse << Sono stanco di vivere come un povero. Da quando la mamma è con gli angioletti tu non hai più i soldi per fare nulla. Non me l'hai comprata la torta vero? E neanche un regalo! E' il compleanno più brutto di tutta la mia vita! >> detto ciò, corse in camera sua e chiuse la porta sbattendola. Io e mio fratello rimanemmo ammutoliti. Io mi sentivo lacerato, come se avessi ricevuto duemila coltellate nello stesso punto. Mi veniva da piangere. In quel momento mi schifavo, perché stavo facendo vivere a mio figlio una vita che non avrei mai voluto vivesse. Chiesi scusa a mio fratello, che annuì, e si alzò in piedi.
<< E' meglio che vada. Spero il regalo sia di suo gradimento. Questo è il mio numero, se hai bisogno di qualcosa chiamami. >>
Non dissi nulla, accompagnai solamente la porta. La scenata di poco fà mi aveva ammutolito. Entrai nella stanza di Andrew, ma non vidì il bambino, sentì solo il suo pianto a singhiozzo.
<< Andrew, dove sei? Su dai esci fuori, non fare così! >>
Iniziai a cercarlo, e lo trovai sotto al letto, in posizione fetale, mentre abbracciava il suo peluche.
<< Lasciami stare! >> urlò piangendo.
<< Su dai vieni di là, che lo zio ti ha lasciato un regalino! >>
<< Non mi interessa! Ho detto vattene! >>
<< Ti racconto una storia, va bene? >> Dissi sussurrando, con tono pacato.
<< C'era una volta un uomo, e con lui, la sua donna. Loro si amavano tantissimo, erano fatti l'uno per l'altra. Era come un angelo, gli occhi di lei lo lasciavano senza fiato ogni qual volta si incrociavano con i suoi. Avevano una casa, un lavoro, ma soprattutto, si amavano. Cosa potevano desiderare di più? Col tempo però, nonostante l'amore che si trasmettevano a vicenda, cominciarono a sentire come un vuoto, che li separava. Avevano bisogno di un qualcosa che li unisse. Inizialmente non sapevano cosa fosse questo vuoto, avevano tutto il necessario per stare bene, ma più il tempo passava, più questa sensazione aumentava, finché il loro cuore, che ormai si era unito in un solo grande cuore, comunicò loro cosa effettivamente mancava. Così dopo nove mesi, quell'angelo mise al mondo  un bambino. Questo bambino colmò subito quel vuoto, e li unì definitivamente. Loro tre insieme erano perfetti, e avrebbero vissuto tutta la vita insieme, vedendo il loro piccolo crescere.  Quel bambino eri tu Andrew. Sei il dono più grande che Dio mi potesse regalare, e sappi che per farti stare bene, darei la mia vita. >> il piccolo uscì da sotto al letto, mi abbracciò stringendomi forte, e cominciai a piangere assieme a lui.
<< Ti voglio bene papà. Scusami tanto per prima. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose >>
<< Non fa niente piccolo mio... Non fa niente. Ti voglio un mondo di bene. >> baciai Andrew sulla fronte, asciugai le sue lacrime, e tornai in salone.
<< Tesoro vuoi un toast? >> gli chiesi.
<< Si papà! Con la cioccolata! >>
<< Arriva subito! >>
Andai verso il frigorifero per aprirlo, quando improvvisamente, il cellulare squillò.
<< Pronto? >>
<< Domani alle 8.00. Stesso posto. >>  detto questo, la cornetta venne subito riagganciata.
 

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Capitolo 5
*** La scatola misteriosa ***


Accompagnai Andrew a scuola e andai direttamente nel luogo stabilito. Citofonai, ma non rispose nessuno. Improvvisamente, un auto nera alle mie spalle, suonò il clacson. Il veicolo era una Renault Scenic del 2014, e alla guida vi era Morgan.

<< Sali in macchina. >> mi ordinò
Inizialmente esitai, l'istinto mi diceva di non salire a bordo dell'auto, mi diceva che era meglio stare alla larga da quei due, ma ormai volevo andare fino in fondo e scoprire cosa volessero da me. Salì in macchina, e immediatamente gli chiesi dove stessimo andando, senza ricevere nessuna risposta.  Il tipo era davvero taciturno, una noia totale, e nel silenzio incominciai a viaggiare con la mente. Mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di me, pensavo al mio futuro, e purtroppo vedevo tutto grigio. Dopo circa un'ora di viaggio, arrivammo a destinazione. Scendemmo dalla macchina, ed entrammo in una specie di fabrica per scarpe abbandonata. Era in un luogo sperduto, fuori dalla città, e non c'era anima viva. Insomma, il posto migliore per commettere un'omicidio senza destare sospetti.
<< Seguimi. >> disse con decisione.
Così feci. Era semibuio, e si poteva odorare una puzza di muffa terribile. La polvere era ovunque, le ragnatele, e gli escrementi di topo non mancavano affatto. Il posto era umido, ma anche ampio e spazioso. Da una saracinesta mezza rotta, qualche raggio di sole riusciva ad entrare, nonostante fosse una giornata nuvolosa. Continuai a seguire Morgan, finché arrivammo in una stanza, piccola e illuminata da alcune candele. Sembrava una specie di sgabuzzino. Li vi era la cartomante che l'ultima volta disse di avermi letto l'anima. Quando la vidi, un brivido mi attraversò tutta la schiena.
<< Felice di rivederla Max. >> disse Diana
Non dissi nulla e mi sedetti di fronte a lei, solo un tavolino rotondo ci separava.
<< Allora, cosa volete da me.>>
<< Vogliamo che lei lo custodisca. Noi non siamo più in grado di farlo, perché il nostro tempo è finito. >>
<< Tempo? Di quale tempo parlate? E' un contratto? >>
La donna rise istericamente, e poi disse...
<< No. Non è un contratto come non è un lavoro. >>
<< Beh gratis io non lavoro. Adesso mi sto incazzando, o mi dite cosa volete da me, o giuro che questa giornata non ce la dimenticheremo tanto facilmente >> dissi alzandomi di scatto.
<< Le ho appena detto che non è assolutamente un lavoro. >> disse Diana con tono serio e inquietante.
<< Bene Diana, è arrivato il momento. >> sussurrò Morgan, all'orecchio sinistro della donna.
La donna si alzò, si voltò e da una piccola botola posta sul terreno, tirò fuori una scatola in legno, di un rosso cremisi. Era grande quanto la confezione di un paio di scarpe.
Non appena la vidi, provai il panico. Il cuore cominciò a battere a mille, il respiro si fece affannoso, e l'adrenalina saliva sempre più. Sentivo che il contenuto in quella scatola di legno era in qualche modo attratto da me. Non sapevo cosa fosse, ma avevo la sensazione che quell'affare fosse un concentrato di tutto il male dell'umanità, racchiuso in una piccola, scatola non più lunga di cinquanta centimetri.
<< Oh, mi raccomando, la apra solo quando se la sente! >> Disse la donna, quasi a prendermi in giro.
<< Venga con me, la riporto ad Edmonton. Non voglio una sola domanda sul contenuto della scatola, è chiaro? >>
<< Ok, come vuole signor Morgan...>>
Tornai a casa, posai la scatola sopra il tavolo, e cominciai a fissarla. La fissai intensamente, mi chiedevo cosa ci fosse dentro, ma non appena il pensiero di aprirla mi passava per la mente, un brivido intenso mi faceva cambiare idea. Era ipnotica, una scatola rossa, ipnotica. E nel mentre la guardavo, venivano proiettati nella mia mente tutti i problemi avuti da un mese a questa parte. Quando improvvisamente mi squillò il cellulare facendomi fare un salto di almeno quindici centimetri.
<< Pronto? >>
<< Signor Gilsson? >>
<< Si, chi parla? >>
<< E' la scuola. Suo figlio non sta bene, ha dato di stomaco un momento fa. Gli abbiamo chiesto se preferiva la chiamassimo, e ha detto di si. Lei può venirlo a prendere?
<< Si, ma non ho la macchina, e non vorrei farlo camminare se sta male. Ora provo a sentire mio fratello. >>
<< Suo fratello ha fatto la delega? >>
<< Dannazione...daccordo, sto arrivando. Arrivederla. >>
Presi la scatola, e la nascosi dentro un cassetto molto alto, dove Andrew non poteva arrivare. Arrivai a scuola, per prendere il bambino. Aveva una brutta cera, allora decisi di portarlo dal dottore, per accertarmi non fosse nulla di grave.
<< Allora dottore, cosa l'ha fatto stare male? >>
<< Un intossicazione alimentare, signor Gilsson. Sa se suo figlio recentemente ha mangiato un alimento andato a male? Come per esempio, latte o marmellata? >>
<< Non che io sappia dottore. Andrew, ti ricordi di aver mangiato qualcosa di cattivo? >>
il bambino scosse la testa.
<< Faccia mangiare al bambino solo riso in bianco per stasera e vediamo come va. Se peggiora o ha ancora i sintomi, torni da me che le prescrivo un medicinale. >>
Tornammo a casa. Entrando, notai che Andrew ancora non aveva scartato il regalo di mio fratello e subito gli dissi di farlo.
<< Andrew, perché ancora non hai aperto il regalo dello zio? >>
<< Perché ogni volta mi dico di aprilo, ma poi faccio altro e me ne dimentico. >>
<< Bene, perché non lo apri ora, così vedo anche io cosa c'è dentro? >>
<< Va bene >> Rispose con aria quasi scocciata.
Il bambino si tolse le scarpe gettandole a casaccio per il salone, e si sedette.
<< Andrew, cosa ti ho insegnato? Alzati e vai a mettere subito le scarpe a posto, in bagno. >>
Si alzò in piedi sbuffando, raccolse le scarpe e le portò in bagno.
<< Ora posso aprirlo? >> Chiese infastidito
<< Si vai, aprilo. >>
Il bambino cominciò a scartare il regalo, strappando la carta rossa con le piccole mani, e gettandone i pezzi a terra.
<< Allora, ti piace? >> gli chiesi sorridendo.
<< Ma è bellissimo! >> Esclamò Andrew.
Era una specie di mini laboratorio chimico. Sulla scatola c'era scritto "il mini laboratorio di Heisenberg". Ti insegnava a fare piccoli esperimenti, e a detta loro, il materiale all'interno non era tossico, ma era assoulutamente da evitare l'ingerimento.
<< Allora, chiamo lo zio Ricky così lo ringrazi tu? >>
<< Si, è un regalo davvero bellissimo! >>
Feci il numero di mio fratello, e passai il cellulare al piccolo.
<< Pronto zio? Ti volevo ringraziare per il regalo, mi piace davvero tanto. >>
<< Hey Andrew. Sono davvero contento ti sia piaciuto, e mi fa davvero piacere sentirti. A proposito, come sta il mio nipotino preferito? >>
<< Io sto bene zio.  Adesso ti devo lasciare, non vedo l'ora di giocare con il tuo regalo! >>
Ricky si mise a ridere, si salutarono ed andrew andò a giocare col suo regalo. Avevo un sorriso a trentadue denti, stampato sul viso. Era molto che non sorridevo così. Un sorriso che però, si sgretolò, quando aprendo il portafogli notai che i soldi della chiesa erano praticamente finiti.

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