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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Memories of a Toxicdoll and of a Broken Dream *** Capitolo 2: *** Disastri familiari e Sepolcri imbiancati *** Capitolo 3: *** Scheda 1: Shelly Thucker - The Toxicdoll *** Capitolo 4: *** Le regole delle Toxicdolls *** Capitolo 5: *** Scheda n°2: Daphne Ronson - Twinkle *** Capitolo 6: *** L'Indiscreto Profumo del Desiderio *** Capitolo 7: *** Joshua Longman - Weed *** Capitolo 8: *** Un metro e quaranta di guai! *** Capitolo 9: *** Theresa Cassidy Bell - Ginger *** Capitolo 10: *** Momenti di Eternità *** Capitolo 11: *** La mangiatrice di uomini e altri animali mitologici. *** Capitolo 12: *** Rave! *** Capitolo 13: *** Legami a Idrogeno *** Capitolo 14: *** La Donna che osò sfidare la Dea ***
Capitolo 1 *** Memories of a Toxicdoll and of a Broken Dream ***
Questa fic è un’originale sulla quale sono stata a rimuginare per
settimane e alla fine ho deciso che magari sarebbe valsa la
*Mia: pron. Maia; Bea: pron. Biia
Memories
of a Toxicdoll and of a Broken Dream
Mi chiamo Mia* e vivo in una tranquilla e composta cittadina
irlandese vicino Dublino.
La mia realtà quotidiana rispecchia quella dell’esistenza
della classica teenager con alle spalle una famiglia perfetta: papà, mamma, un
fratello maggiore. Ed io, la figlia minore.
Se ora doveste prendermi in esame, scoprireste in me una
persona completamente nella media. Tutto di me è nella media.
Voti scolastici nella media, quasi tutte B; altezza nella
media, 1.65 m; peso nella media: 58 kg.
Potrei andare avanti per ore.
Esteticamente ho un fisico ben proporzionato, il mio viso è
quadrato, con zigomi e mascella molto pronunciati, naso abbastanza dritto e
minuto, labbra sottili, occhi blu scuro, sopracciglia leggermente arcuate e
fronte bassa. Ho i capelli biondo grano, né ricci né lisci, sottili, sempre
acconciati in una lunga treccia come prevede l’uniforme scolastica.
Mi vesto in una maniera…nella media: né appariscente, né
sciatta; al mattino indosso la divisa e al pomeriggio se devo uscire metto
jeans e maglietta bianca. Un classico.
Il mio trucco consiste in una passata di rimmel, un
leggerissimo strato di ombretto giallo pallido, poco lucidalabbra trasparente e
due generose spolverate di fard sull’arancio sotto gli zigomi per evidenziarli.
Vado in una scuola privata gestita dalle suore e in famiglia
sono tutti profondamente credenti.
E oggi, come tutti gli altri giorni, scendo dall’autobus per
andare a scuola con il lettore mp3 nelle orecchie ascoltando i miei idoli:
Carrie Underwood, Hilary Duff, Christina Aguilera e JoJo.
Arrivo in classe con i miei soliti 5 minuti di anticipo e
vado a sedermi al mio posto in fondo all’aula accanto alla finestra. Preparo
ordinatamente i libri sul banco e saluto la mia migliore amica,Beatrix, detta Bea*.
“Hey, Bea, alla fine ti ha telefonato?”
“Sì, usciamo Sabato pomeriggio. Posso dire a mia madre che
sono con te?”
“Certo, non c’è problema!”
Ormai è sempre la stessa storia da cinque anni: lei abborda
i ragazzi e quando ha bisogno di essere coperta mi chiama e mi chiede questi
piccoli favori. Io devo farlo: lei è la mia unica amica ed è piuttosto
popolare, perciò non voglio trovarmela contro.
Per me sarebbe la fine.
E poi rivelerebbe a tutti il mio segreto di sempre…non posso
permettermelo assolutamente.
Suor Gemma entra e batte due volte le mani per richiamare
l’attenzione, poi quando ci siamo tutti seduti ai nostri posti e siamo
composti, prende la parola.
“Miei giovani figlioli, gioite e lodate il signore con canti
e pensieri di gloria oggi che una nuova studentessa si unisce alla nostra
comunità. Salutate ed accogliete con tenerezza Shelly Thucker.”
Nel frangente in cui entra in classe le nostre venti facce
si contorcono ognuna in una smorfia di disappunto o di schifo diversa: con quel
nome ci si aspetta la sorellina più piccola di Barbie e invece ci ritroviamo
davanti un incrocio malriuscito tra Amy Winehouse e Kelly Osbourne.
Una ragazza imbronciata che mastica rumorosamente una gomma
da masticare facendo palloncini e conciata alla ben’e meglio con la nostra
uniforme.
Ha la camicia mezza aperta e il maglioncino legato in vita,
un piercing all’ombelicosi fa vedere
con prepotenza sulla sua pancina piatta, la gonna corta è calzata a vita
bassissima mostrando un paio di mutande nere, le sue gambe muscolose, lunghe e
magrepercorrono con incedere sicuro lo
spazio che separa la cattedra verso il banco accanto al mio. Ai piedi ha un
paio di anfibi neri e dei calzettoni raggomitolati a metà polpaccio.
Lascia cadere pesantemente la sua borsa piena di borchie e
di scritte per terra, poi attira a sé la sedia con un veloce movimento del
piede e si siede accanto a me scomposta.
La fisso sconvolta mentre la lezione inizia.
“Che cosa vuoi, paperella?”
“Da te proprio niente.”
“Io invece voglio sapere come ti chiami, Paperina
Perfettina.”
“Mia. Contenta?”
“Sì.”
Schiocca la gomma da masticare, poi apre un quadernetto nero
e comincia a disegnare, impugnando la penna con la sinistra. Pure mancina,
oltre che a dir poco ributtante.
Occhi castani bardati di ombretto nero e eyeliner, ciglia
lunghissime piene di mascara, colorito bianco cadaverico, labbra rosa
pallidissimo, capelli corti, acconciati ad arte con della lacca in un caschetto
arruffato e disordinato, neri, dai quali sfugge qualche ciocca rosa acceso.
In una parola, inguardabile.
Se la vedesse mia madre…Ma mia madre dovrebbe parlare poco
visto ciò che ha fatto a me.
La figlia indesiderata, concepita in una notte di follie con
il suo ex ragazzo delle superiori, rincontrato per caso. Già, peccato che lui
nel frattempo ha fatto pagare i suoi errori a me e a mia madre.
Grazie a lui, io ora sono in queste condizioni, mi devo
nascondere, mi devo sentire tagliata fuori, mi devo vergognare di colpe non mie
che comunque mi macchiano e che mi precludono a certe cose…Mi precludono ad
amare.
E anche oggi, come ogni giorno, mi accingo a tornare a casa
dopo scuola con il mio solito senso di pesantezza addosso, la sensazione della
mia colpa.
Capitolo 2 *** Disastri familiari e Sepolcri imbiancati ***
Family portraits
Disastri familiari e
Sepolcri imbiancati.
La mia famiglia è perfetta. La mia famiglia è perfetta. Sì,
lo è.
Abbiamo una raffinata villetta in un elegante quartiere, con
giardinetto davanti e su due piani, raffinata, luminosa e pulita.
Mio padre si chiama Robert O’Connor e lavora in borsa, è un
uomo distinto ed un genitore autorevole e severo, indossa capi impeccabili, è
irreprensibile su tutta la linea. Cattolico convinto, osserva sempre i precetti
cristiani e porta sempre nella sua valigetta un vangelo, i dieci comandamenti
ed ha appeso al collo un piccolo crocefisso.
Mia madre si chiama Laura Sheperd, casalinga a tempo pieno
da sempre dedita alla cura della casa e dei figli la cui massima preoccupazione
è posizionare i centrini sulla tavola la domenica.
Mio fratello invece, Richard, frequenta la facoltà di legge
all’Università cattolica e non c’è molto da dire su di lui in realtà.
Una normale famigliola irlandese.
Allegra, benestante, semplice, cooperativa, accogliente,
aperta al prossimo. Ma soprattutto normale.
Questo è quello che mi distrugge.
Questa immagine di plastica, questa pesante ed opprimente
finzione che tutto vada bene, questa ridondante sembianza di normalità così
insostenibile che mi grava addosso, laddove invece in cuor mio sento la voglia
disperata di urlare al mondo che qua dentro di normale non c’è nulla, che non
riesco più a sopportare tutta questa superficialità imperante e questa
solitudine, questo mio essere incompresa, il peso della maschera che
costantemente porto diventa sempre più insopportabile.
Non c’è nulla oltre l’apparenza di normale, qui.
Solo ipocrisia. Ecco cosa c’è davvero sotto l’aspetto della
famiglia O’Connor.
L’altra maledetta
odiosissima faccia della perfezione.
Che cazzo di umiliazione.
Non mi sono mai sentita più imbarazzata di oggi, quando sono entrata in quella
classe mi sarei voluta dare una zappa in testa dalla vergogna.
Mi sono ritrovata venti paia
d’occhi celeste chiaro, tutti uguali, piantati addosso, tutti con la stessa
espressione di disgusto e ribrezzo. Tutti che mi hanno aborrita senza neanche
sapere come mi chiamo.
Senza sapere assolutamente
un cazzo di me, porco cane, superficiali di merda.
Tutti con le loro divise,
compiti, seduti ai banchi con già il quaderno aperto e la penna in mano, con
l’impugnatura perfetta.
Fatti con lo stampino.
La ragazzina vicino alla
quale mi sono seduta stava per vomitare, ci mancava solo che mi sputasse e che
si lavasse la mano dopo avermela stretta.
Mi manca l’Utah. Mi mancano
le altre Toxicdolls, che mi accettavano per quello che sono, o che ero.
E invece per colpa di quel
cretino di mio fratello Stan abbiamo dovuto trasferirci qui, se lui non avesse
fatto quella stronzata io ora me ne starei tanto bene con le altre e
invece…Eccomi qui.
Quartiere borghese, casa assolutamente
spartana e decisamente orribile per i miei gusti. Mi da il voltastomaco. Ma ad
Anne (mia madre) e a Katie è piaciuto subito, ed io voglio almeno che mia
sorella abbia un futuro migliore rispetto al mio e a quello di Stan, e se
questo la può aiutare io sono disposta a tutto.
Anne è la mia mamma, ottima
azionista e bellissima donna, ma in famiglia non ha concluso gran ché.
Stan invece è il mio
fratello maggiore. Ha ventidue anni ed un passato trascorso tra riformatori,
tribunali minorili e galera. E’ stato il devasto della nostra vita: tutto ciò
che abbiamo fatto, tutti i nostri sforzi ed i nostri guadagni alla fine servono
sempre per tirarlo fuori dagli impicci in cui si caccia in continuazione.
Katie, infine, è la mia
sorellina adorata. E’ lei che mi dà la forza di andare avanti, è lei il motivo
per cui sopporto e sopporterò le umiliazioni che questo posto continuerà a
rifilarmi. Ma se in questo modo posso aiutarla a diventare una persona migliore
di Anne, di Stan, di me, allora devo stringere i denti e tirare avanti. Ha nove
anni. Ogni volta in cui mi sento a terra e vorrei mandare a quel paese tutto il
mondo, mi basta vedere il suo sorriso e quegli occhioni che mi guardano dolci
per ricominciare da capo.
E’ l’unica persona che pensa
ancora che in me ci sia qualcosa di buono, ed è per questo che devo fare tutto
il possibile per tutelarla dalla malvagità e da ciò che altrimenti la aspetta.
Ed io non voglio che diventi una Toxicdoll, perché la vita delle toxic è dura e
destinata comunque a finire in maniera bastarda. Io l’ho accettata perché ho
sempre saputo che per me sarebbe stata la cosa migliore, visto che comunque i
miei limiti sono evidenti: poca voglia di studiare e tanta di divertirmi e
trasgredire e sballarmi.
Ma Katie è diversa. Katie è
un piccolo angelo mandatoci da Dio, che troppe volte ha salvato questa famiglia
che è uno sfacelo.
Al ritorno da scuola arrivo
a casa e trovo Stan che fruga nel mio portafogli.
“Che cazzo cerchi Stan? Lo
sai che sto più al secco di te.”
“Oh dai non è possibile
Shelly, c’avrai pure qualcosa no?”
“Se cerchi soldi no, però
per il momento posso farti un piccolo omaggio che mi ripagherai appena
inizierai a lavorare all’officina.”
“E’ buona?”
Di tutta risposta alzo un
sopracciglio, come a voler dire se c’è bisogno di chiederle certe cose, e tiro
fuori da una scatolina riposta nel cassetto della biancheria una bustina di
plastica con chiusura ermetica.
La apro e do il contenuto a
mio fratello: una pasticca rosa con un cuoricino sopra.
“Sei un tesoro, piccola.
Appena becco i soldi te li ridò.”
Esce di corsa dalla mia
stanza.
Tira più una pasticca di ecstasy che un carro di
buoi…
Shelly è
una persona ambivalente: può essere tanto feroce quanto deliziosa, ma ad ogni
modo la cosa più importante per lei è l’amicizia.
È nata il
31/7/1991, ed è in classe con Mia alla Saint Mary High School, penultimo anno,
sezione A.
Ama il
continuo movimento, è iperattiva: nonostante non faccia nessuno sport,
adora il
football e il rugby, tant’è che ogni volta che vede dei ragazzi giocare, si
butta anche lei con loro.
Il suo
soprannome, Toxicdoll, deriva dal nome dal suo famoso gruppo di amiche, fondato
in Utah,
un’associazione
di ragazze che già a 13 anni avevano provato ogni droga ed ogni esperienza, il
cui scopo di vita è il massimo divertimento e l’edonismo sfrenato.
Una volta
in Irlanda, Shelly si sente spaesata e, in qualche modo, spaventata da un mondo
che non la vuole.
Tuttavia,
appena comincia ad inoltrarsi per i corridoi freddi della scuola incontra delle
persone che la accolgono e la accettano, addirittura la riconoscono come
leader, del tutto scevre dai pregiudizi che Shelly pensa abbiano verso di lei.
La sua
capacità maggiore risiede nel costituire un punto di riferimento per gli
emarginati, che puntualmente finiscono per unirsi alla sua “corte” e per
rivelarsi persone belle, che riescono a trovare un posto nel mondo solo grazie
a Shelly e alla sua morale: “ti criticheranno comunque, tanto vale essere te
stesso.”
Il colore
preferito di Shelly è il verde fluorescente.
Il suo
stile di abbigliamento prevede: scarpe da skater colorate o anfibi neri,
scaldamuscoli neri, leggins, o fuseaux dai colori più improponibili, o jeans
attillatissimi, maglietta a mezze maniche, felpa o giacca impermeabile “the
Northface”, o tutt’e due, e a completare il look ci pensano degli occhiali da
sole con maxi lenti e montatura fucsia leopardata.
Shelly
mangia quasi esclusivamente carne e pizza surgelata.
Nonostante
ciò, ha una struttura fisica magrissima: pesa cinquanta Kg per un
centosettantatre cm di altezza.
Il suo
gruppo preferito sono i Little Man Tate.
La sua
materia preferita è la filosofia, nonostante detesti la scuola e lo studio.
Il suo
autore preferito è Edgar Allan Poe, sogna che suo marito gli assomigli,o che
almeno si chiami “Edgar”.
Gira
sempre con il cappuccio in testa, delle enormi cuffie verdi e rosse di plastica
lucida e la sigaretta in bocca, il suo solito trucco è uno smokey molto pesante
sugli occhi e lucidalabbra rosa.
Cammino per il corridoio di
questa scuola disgustosa ed esprimo tutto il mio disprezzo masticando una gomma
a bocca aperta e facendola schioccare rumorosamente. E’ divertente vedere come
tutte le paperine perfettine si girano indignate verso di me.
Oho! Una si azzarda
addirittura a venire verso di me! Ma io dico, con chi crede di avere a che
fare, con la sua sorellina? Se si vedesse si renderebbe conto di quanto è
ridicola: lunghi capelli biondi unticci con la riga da un lato appiccicati al
viso equino, espressione a dir poco ridicola della serie
ma-quanto-mi-fai-incazzare, braccia lungo il corpo tese e mani strette in due
pugni.
Si ferma a due millimetri
dal mio viso e prende a fissarmi negli occhi.
“Tu…Come osi? Sei a dir poco
oltraggiosa, razza di sgualdrina di pessima qualità!”
“Aaah, senti chi ha parlato!
TU chi saresti, il capo delle paperine? Ma guardati, sei ridicola mentre cerchi
di imbruttirmi.. Comunque, se ci tieni a saperlo, le toxicdolls sono
oltraggiose per antonomasia e sono nate appositamente per sputtanare le
sgualdrine di pessima qualità come te. Chiaro?”
Alzo il pugno con forza
verso la sua faccia e corre via con le altre terrorizzata.
Si è rivelato molto più
facile del previsto grazie al cielo.
“Ehi tu, sei davvero una
toxicdoll?”
Mi volto. Una ragazza alta
più o meno un metro e sessantotto si avvicina. Anche lei ha il mio stile, anche
se i mio è naturalmente più accentuato e violento.
Ha una massa di capelli
rossi mossi tagliati in un caschetto irregolare e sfilzato, fortemente
asimmetrico, che dona molto al suo viso.
Un paio di occhi verde
smeraldo campeggiano, grandi, sotto a delle splendide sopracciglia, le labbra
carnose e rosse le rendono molto seducente, il naso è lungo, dritto e
appuntito, il mento sfuggente. Il volto ha forma ovale, la carnagione
chiarissima.
Molto bella,non c’è che
dire. Ma vediamo che sa fare davvero.
“Sì. Conosci?”
“Voglio diventarlo. Come si
fa?”
“Dipende da quanto sei
disposta a offrire.”
“Che cosa vuoi?” chiede
conturbante.
“Vieni a casa mia alle 9,
stasera, rimani a dormire e ti inizio secondo le regole. I tuoi fanno storie?”
“Ma a chi vuoi che importi?”
Ci troviamo una di fronte
all’altra, siamo alte uguale, ci fissiamo negli occhi e questa volta è lei a
mordersi le labbra, invitante.
Con la mano le sfioro la
coscia, poi me ne vado verso la mia aula con il mio solito fare
noncurante.Mi sento ancora il suo
sguardo addosso.
È pronta da un pezzo a
diventare una toxicdoll. Altrimenti non avrebbe osato fare quel gesto davanti a
me.
Entro in aula e mi siedo
vicino alla biondina di ieri, Mia.
Che naturalmente mi guarda
schifata, della serie oh-cielo-quanto-è-sconvenevole.
Ok, bambola, vuoi giocare a
chi è più stronza? Tanto vinco io, carina.
Perciò, mentre lei è tutta
presa dal ripasso mattutino, io le apro il diario.
“Quand’è il tuo compleanno,
paperina?”
“Il 19 settembre.”
“Ah, ottimo.”
“Il tuo?”
“Vaffanculo.”
“Come prego?” guardala, come
si è accigliata. No, non glielo dico il mio compleanno.
“Vai a fare in culo. È un
concetto semplice, Einstein.”
Si volta remissiva,
naturalmente molto innervosita. Ma almeno imparerà a portare rispetto.
E sulla pagina del suo
compleanno, decorata di lustrini rosa e disegnino vari, ci appiccico la gomma
da masticare e la spando bene su tutta la pagina. Mi scappa una risatina
divertita, che naturalmente la incuriosisce e mi strappa il suo diario dalle
mani.
“Ma che diavolo hai…?”
Quando vede il mio regalino i suoi occhioni blu intenso si
riempiono di lacrime e apre la bocca, senza riuscire a dire nulla però.
In fondo mi fa una tenerezza
infinita quando si mette a piangere silenziosamente.
Si porta le mani al viso,
come se si volesse nascondere.
E improvvisamente mi assale
la voglia di scusarmi e di abbracciarla forte, chiedendole se c’è qualcosa che
posso fare.
Le poso una mano sul
ginocchio, e confronto le nostre mani: le sue curatissime e le mie
mangiucchiate e spellate.
“Scusa, non volevo essere
crudele.”
“Beh, sei stata una grande
stronza.”
Si asciuga gli occhi rossi e
bagnaticci.
Mi sento in colpa da matti.
Devo assolutamente fare qualcosa per lei, poi un’idea mi balena in mente.
Una piastrina militare con
il suo nome, indirizzo e gruppo sanguigno penzola al suo collo.
Prendo un foglietto e
scribacchio il suo indirizzo: oggi le porterò qualcosa.
***
Sento il campanello suonare di colpo mentre ancora piango
come una disperata in camera mia per la pagina di diario rovinata da Shelly.
Che cattiva che è stata, non mi meritavo una simile perfidia.
Insomma, a verità è che è difficile accettarla.
Ma più ci penso e più mi rendo conto che in realtà sono una
disadattata più io che lei.
Lei aveva le sue amiche e stava bene nella sua città,
capisco che sia difficile ambientarsi.
Ma io…Io non mi sono mai trovata davvero a mio agio con nessuno,
nemmeno con Bea.
Una personalità
introversa ai limiti dell’autismo.
Come si aspettavano che reagissi?
Apro la porta e mi trovo davanti Shelly, con in mano dei
pacchetti incartati ed infiocchettati di rosa.
“Che ci fai qua?”
“Mi faccio perdonare.” Risponde lei con un sorriso così
dolce che non le avevo mai visto.
“Entra pure.” Le faccio strada e la aiuto a posare i
pacchetti sul tavolo del soggiorno.
“Wow, bella casa! Ma, per favore, aprili ora!” è impaziente
come una bambina e mi guarda emozionata.
Prendo in mano il primo e scarto: dentro c’è un diario nuovo
di zecca, fucsia e celeste, veramente tenero. Lo apprezzo tanto.
Il secondo invece contiene una penna coordinata al diario.
Nell’ultimo invece c’è una maglietta bianca a righe rosa
chiaro, con una stampa rossa sul petto…
Non ci credo, è la mia frase preferita.
I’m going to live
today like it’s my last day
Non so che fare. Stringo la maglietta, poi mi volto verso di
lei, solitamente gelida ed arrogante, e vedo un’altra persona.
Un’altra Shelly, che mi sorride soddisfatta di aver fatto
centro e che, senza darmi nemmeno il tempo di pensare, mi si fionda addosso e
mi abbraccia come una sorella.
Sento il suo cuore battere contro il mio e rispondo al suo
gesto con calore.
Nessuno aveva mai fatto nulla di simile per me, finora.
“Grazie, grazie davvero. Non avrei mai immaginato che
saresti stata capace di queste cose.”
“Ehi, guarda che mica passo il tempo a pestare gente.
Almeno, non tutto!”
Ride leggermente sguaiata ma c’è qualcosa di strano nella
sua risata. È come se il riso la liberasse, quasi purificatore, come se le
permettesse di esternare tutti i sentimenti solitamente nascosti.
E rido anche io senza nemmeno accorgermene, trasportata da
quel suono ampio e squillante.
Dopo un’ora di belle chiacchiere, Shelly si alza.
“Mi dispiace davvero tanto Mia, ma devo andare perché
stasera deve venire una ragazza da me per…per una cosa, e quindi scappo a
mettere un po’ a posto.”
Chi sarà mai la ragazza che va da lei? Mi sento
inspiegabilmente gelosa: è come se volessi avere il monopolio sull’amicizia di
Shelly, ma poi mi chiedo: che amica sarei se la volessi solo per me?
No, è giusto che lei abbia altre amicizie, per me è già una
conquista esser stata con lei oggi, non mi serve altro.
“Certo, stai tranquilla, e torna quando vuoi. Sei sempre la
benvenuta.”
“Grazie, anche tu quando vuoi…Casa mia è sempre aperta per
te!”
Poi la guardo andare via, mentre attraversa il vialetto di
casa mia e gira l’angolo.
Che strana creatura che è.
Con un sospiro torno in casa e mi vado a sdraiare sul letto.
E tutto sembra già possibile con lei.
***
Appena in tempo per mettere
a posto.
Entro frettolosamente a casa
e trovo mio fratello accasciato sul tavolo, con tre lattine di birra davanti.
“Stan, ma guarda come cazzo
stai!”
Alza il viso, evidentemente
sbronzo, e barcolla verso di me.
“Ehi, piccoletta… Che c’è
che non va?”
“C’è che sei ubriaco come
una tegola! Vieni, ti porto in camera.”
Si appoggia a me a peso
morto mentre io con fatica lo porto in camera sua, sbatacchiandolo su per le
scale.
Quando l’ho fatto stendere
sul letto, me ne vado indignata e un po’ schifata dalla puzza di birra.
Non che io non beva, ma lui
è disgustoso.
Scendo le scale e mi metto a
ripulire la cucina, poi mi fiondo sotto la doccia e mi preparo.
Stasera Katie dorme da
un’amica e mia madre è ad una cena di lavoro. Sicuramente non tornerà, dormirà
in hotel, figurarsi. Stan è fuori gioco.
Perfetto, la notte è mia!
Appena suona il campanello
corro ad aprire e la trovo davanti a me.
“Allora, adesso che sei a
casa mia me lo dici come ti chiami?” tono profondo è provocatorio. Il trucco
per sedurre tutti, ragazzi e ragazze.
“Mi chiamo Daphne. E tu sei
la famosa Shelly.”
La prendo per la vita e la
stringo a me, sussurrandole nell’orecchio piano.
“Pronta?”
E’ assolutamente
terrorizzata, la sua faccia mi fa venire voglia di sbottare a ridere.
Ci guardiamo intensamente,
poi annuisce.
Le faccio strada fino alla
mia camera e la faccio accomodare sul letto, mentre io prendo la costituzione
delle Toxicdolls.
“Ascolta bene le nostre
regole. Se senti di non poterne rispettare alcune, non entri.
1)Le Toxicdolls si sostengono a vicenda in ogni
impresa, per pazza che sia.
2)La sconfitta di una è la sconfitta di tutte.
3)Rispetta le altre e non sparlare dietro a nessuna,
di’ le cose in faccia piuttosto, anche se rischi di essere gonfiata di botte.
4)Le toxicdolls sono bi e per entrare devi obbedire
alla tua maitresse.
5)Non rivelerai nessun segreto delle toxicdolls ad
esterni.
6)Non mancherai ad una riunione o ad una festa e
resterai sempre fino alla fine.
Hai capito bene Daphne?”
“Certo, perfettamente.”
È dannatamente sensuale
sdraiata sul mio letto, con quel vestitino di seta nero bordato di pizzo e gli
ugg.
“Che devo fare?”
Tiro fuori due birre dal mio
mini-frigo in camera e beviamo insieme, sdraiate vicine, ridendo un po’,
parlando del più e del meno, spettegolando e fumandoci un paio di spinelli.
Le stringo la mano e le
nostre dita si incrociano.
La guardo in faccia e mi
sento disarmata. Quelle labbra, che diavolo di tentazione, quanto vorrei
brandirle e morderle e stringerle tra le mie.
E prima che mi accorga cosa
stiamo facendo, lei mi bacia.
Così. Senza una parola.
Senza che io le dicessi niente.
“Penso che potrà funzionare.
Diventeremo grandi amiche.”sentenzia lei.
Un altro bacio, più
aggressivo. E lei su di me.
E cadere sulla sua pelle
A perdifiato,
e poi ventre su ventre,
cosce su cosce,
a precipizio…
[Archiloco]
Spazio Cos
Ringraziamenti!
Intanto grazie a tutti
quelli che hanno messo questa storia tra i preferiti:
Grazie a chi ha
avuto la bontà di recensire i capitoli!
L’accenno
omosessuale di questo capitolo nasce e muore qui.
Voglio inoltre
comunicarvi che questa storia procederà sicuramente fino al 20° capitolo
(se l’ispirazione resta X3) e che ogni qualvolta entrerà un nuovo personaggio
in scena, inserirò una scheda su di lui: mi piace che questi ragazzi, che
vivono nella mia mente e sui fogli di carta e di Word, possano trovare un
angolo del vostro cuore in cui insidiarsi, possano risultarvi umani, tangibili,
vicini.
Vi ringrazio
ancora, e recensite ancora con le vostre considerazioni!
Emily Doyle: grazie per i
complimenti per il disegno! Shelly è un personaggio che amo moltissimo, e mi
riesce facile disegnarla proprio perché la sento viva dentro me.
La storia usa
un linguaggio molto forte proprio perché Shelly narra, e lei pensa in modo
forte, diretto, addirittura volgare. Ma questa è lei, e non volevo che ci
fossero mediazioni, né volevo stemperare i toni, volevo esattamente che lei vi
arrivasse così: come un pugno, un fulmine a ciel sereno, un uragano.
Naturalmente, so che ciò può non piacere, ma spero che la spontaneità sia un
tratto importante ed apprezzabile.
Nafasa: spero di
averti fornito ulteriore materiale per un’analisi migliore, tuttavia sappi che
sviluppi significativi ci saranno già dal capitolo dopo la presentazione di
Daphne. Buona lettura!
Numby: sono felice
che tu apprezzi la narrazione diretta di Shelly e di Mia, spero che continuerai
a seguire e a trovare pane per i tuoi denti.
Ki_chan: quel tipo
cos’ha fatto a Mia? Lui era sieropositivo, e le ha trasmesso il virus HIV,
ovvero l’AIDS in potenza. Spero ora sia un po’ più chiaro :D continua a
seguirmi sai!
Sabri92: ebbene, ecco un
proseguimento delle vicende, spero tu sia felice che io stia postando in tempi
da record visti i miei silenzi epici! Fammi sapere che nepensi, baci<3.
Talpina
Pensierosa: che ti devo dire? Sei sicuramente il giudice migliore riguardo
alla revisione della storia, e spero apprezzerai i capitoli a venire come
questi. Il tuo parere è sempre importante, lo sai bene.
Daphne
Ronson è una bellissima ragazza nata il 28/2/1991, sotto il segno dei pesci.
Ha occhi
verdi, acquosi, e una folta chioma rossa e lunga, taglio anni ’70.
Frequenta
il penultimo anno alla Saint Mary High School, nella sezione c.
La sua
migliore amica è Ginger, che conosce dall’asilo.
Daphne ama
tutto quello che è trasgressivo, e lo prova almeno una volta: fa l’amore con
Shelly, ma è eterosessuale.
Il suo
sport, come tradisce il suo fisico, è la danza classica, che pratica da quando
ha cinque anni.
Segue un
regime alimentare vegetariano ed è un’attivista del PETA, un comitato
animalista.
Il suo
colore preferito è il blu con tutte le sue sfumature.
Daphne è
sintomaticamente pessimista: siccome con la famiglia e con gli amici non ha
nulla di cui lamentarsi, ha acutamente dedotto che la sua vita fa
schifo.
Se non ci
sono problemi, riesce a crearli.
Ha un
carattere polemico e permaloso, ma ha anche un lato molto dolce ed
introspettivo.
Il suo
soprannome è “Twinkle”, bagliore, per via dei vari stati d’animo che fanno
capolino uno dietro l’altro e scompaiono come sono arrivati.
Lo stile
di vestiario che le piace di più è molto semplice: abiti in fibra naturale,
pantaloni molto larghi, canotte, maglioni di lana soffice e vestiti dal taglio
essenziale, prevalentemente monocromatici e dai toni tenui, ottenuti con
processi di tintura naturale.
Capitolo 6 *** L'Indiscreto Profumo del Desiderio ***
L’Indiscreto Profumo del Desiderio
L’Indiscreto Profumo del Desiderio
Se mi aveste vista ad otto
anni probabilmente non avreste mai detto che sarei diventata così. Una bambina
con i capelli castani raccolti in due codini che litigava col fratello maggiore
e con le ginocchia sbucciate, che osservava con ansia la crescita del pancione
della mamma.
Poi, boom.
Una mattina mi sveglio e la
mamma, con la piccola Katie in braccio e un fazzoletto nella manica mi annuncia
che papà se n’è andato, ma, aggiunge, non devo preoccuparmi, perché il fatto che
papà non ci sia più non vuol dire che non mi voglia bene.
Quando una bambina scopre
troppo presto che i parenti non te li scegli, non le resta molto da fare, se
non scegliersi almeno le amiche.
Così sono cresciuta con
loro. Isobel, la splendida, Tasha, la sportiva, Marceen, con i suoi genitori
iperprotettivi, e Shelly, la cinica. Le quattro Toxicdolls.
Le bambine cattive, quelle
cresciute insieme, quelle che hanno osservato ascesa e declino di tutti i
gruppi adolescenziali, di ogni mito, e che ne hanno preso solo il meglio, che
hanno imparato dagli errori degli altri per diventare le prime, le più
desiderate, quelle che se non ci sono ad una festa vuol dire che non vale la
pena nemmeno leggerne l’indirizzo.
Adesso, quando la mia
“famiglia” era perfetta sono io ad andare via. Sono io mio padre.
Vago per i corridoi di
scuola scorrendo le foto dalla galleria del cellulare.
Io e Isobel che ci baciamo
sulle labbra ubriache fradice.
Tasha che mi manda a quel
paese mentre la fotografo avvolta nella carta igienica dopo lo scherzo dello
zombie.
Marceen spalmata sul banco
di scuola con la faccia rincoglionita dopo una canna.
Già, quanto ci vorrebbe
adesso una canna.
Aspettate, fermi tutti.
Passando davanti al bagno dei ragazzi sento un odore a dir poco familiare. Erba.
Possibile?
Entro di soppiatto, attenta
a non scatenare reazioni del tipo “c’è una femmina nel bagno dei maschietti!”
come confacente alla gente di qua dentro.
Cazzo, è proprio erba!
Inspiro a pieni polmoni,
attaccata alla porta di uno dei bagni, finché la stessa non mi viene sbattuta
con un colpo secco in faccia.
“Ah! Cristo Redentore, ma
che cazzo…”esclamo, palpandomi il naso con le dita.
“Ehi, scusa…non l’ho fatto
apposta, cioè –risatina da canna- che ci fa una ragazza qui?”
“Odora il fumo di una canna.
Che male…” per fortuna, non mi ha rotto il naso.
“Perché, lo conosci?”
domanda il ragazzo. Un tipo alto, biondo, allampanato.
“Perché, non dovrei?”
“Scusami, ma da dove diavolo
esci fuori? Insomma, qui le ragazze che fumano sono due, e, fidati, le
conosco.”
“Sono Shelly, sono arrivata
da poco e sono una Toxicdoll, l’odore di erba lo conosco da quando ho dodici
anni. Forse è perché avevo una bella scorta che non mi conosci.”
“Ah, ecco, adesso ho capito.
Daphne mi ha parlato di te, anche Ginger vuole conoscerti e diventare una cosa,
una Toxicdoll, quella roba là. Comunque, io sono Joshua e sono in contatto con
gente che rimedia erba e cose così. Qualunque sfizio…”
“Beh, sarebbe carino se
adesso mi offrissi cinque grammi, visto che a momenti non mi spaccavi il cranio
come un cracker.” Mi ergo in tutta la mia statura, e la gonna, troppo grande,
nonostante la cinta all’ultimo buco, cade.
E mentre io arrossisco,
imbarazzata, Joshua comincia a ridere, ancora e ancora, fino alle lacrime,
finché io non mi tiro su la gonna e mi chiudo con lui nel cubicolo del bagno,
tenendogli la testa a tre millimetri dal water, l’altra mano pronta sul
pulsante dello sciacquone.
“Adesso scopri cosa vuol
dire imbattersi in una come me. Dammi i cinque grammi, e diventiamo grandi
amici, oppure ti faccio lo shampoo col detergente per sanitari.”
“Ok, ok, dai, scusa, sia per
prima che per ora. Se mi lasci alzare te li prendo.”
“Nah, me li cerco da me.
Dove li tieni?”
“Tasca sinistra anteriore.”
Recupero la stretta quel
tanto che basta per farlo mugugnare di dolore, ed allungo la mano verso la
tasca dei pantaloni, dove trovo un sacchettino con chiusura automatica.
Lo soppeso con le mani, e me
lo infilo negli slip.
“E bravo il mio Weed.” Mollo
la presa, mentre lui si raddrizza, massaggiandosi la cute.
“Weed?”
“E già. Per me sarai Weed,
il mio personale spacciatore d’erba. Comunque, se sei amico di Daphne, sei
anche amico mio, quindi che ne dici se mettiamo da parte l’accaduto e facciamo
pace?” gli tendo la mano, con un sorrisetto serafico.
“Certo che tu te la canti e
te la suoni! Sei forte, Shelly, mi piaci. Pace!” mi stringe la mano.
“Hm, io potrei farti un
favorino: dammi il tuo contatto MSN, qui la nostra cerchia ha il cellulare
acceso tutto il giorno, siamo sempre connessi su messenger così ci mettiamo
d’accordo per andare a fumare. Io segnalo a tutti cosa ho, e quelli a cui
interessa si presentano qui all’orario stabilito. Ti va di essere dei nostri?”
“Va bene.”
Prendo in mano il suo
cellulare e digito il mio contatto, poi lo confermo entrando sul mio profilo
messenger col mio Blackberry.
Una nuova amicizia e in
brevissimo tempo. Come io sola so fare.
“Che ne dici di fumarci
qualcosa insieme?”gli chiedo, sorridente.
“Va benissimo! Offre la
ditta!” sorride anche lui, spostandosi un poco i capelli dal viso.
“Allora, come ti
trovi?”domanda Joshua.
“Guarda, pensavo peggio a
dirtela tutta…ero addirittura terrorizzata all’idea di dovermi mettere a
studiare, ma alla fine, insomma, spero di farlo il meno possibile, quindi presa
a bene, dai…” una smorfietta soddisfatta mi campeggia sul viso, facendolo
ridacchiare a bassa voce.
“Lo sai che qui non si usano
certe espressioni gergali, pecorella smarrita?” sentenzia Weed facendo il verso
alla direttrice.
“Sì vabbè io tutt’al più
sarò il lupo!”
“O una pecorella smarrita in
un campo di marijuana.” Ci scambiamo un’occhiata d’intesa mentre lui rolla la
canna.
“Weed, sei tu il mio
pastore, non manco di nulla!” cito io con tono supplichevole.
“Cos’è, il salmo della
Toxicdoll?” chiede lui, sollevando un sopracciglio, dubbioso.
“Hahaha…dai potrebbe essere
oh. Accendi ‘sta canna che è meglio, qua la profeta sono io, fidati!”
“Te sarai la profeta, ma io
sono sempre il Messia, non te lo dimenticare.”
Io seduta nel lavandino, lui
sul davanzale, tutti e due magrissimi, tutti e due reietti, passiamo la prima
ora scolastica, ed usciamo solo al suono della campanella del cambio d’ora per
tornare nelle nostre rispettive classi felici e intronati.
.:Spazio Cos:.
Eccovi il
nuovo capitolo, perdonate il “ritardo”, ma l’ho voluto aggiornare.
I dati
concernenti la droga non sono assolutamente dati
dall’esperienza diretta, ma da fonti attendibili.
Anche
questa è Shelly, e questo è il suo amico Weed, che conoscerete meglio nella
scheda successiva.
Chiedo
scusa a tutti i lettori, in particolare a nafasa per il mio errore
nella presentazione di Daphne: il suo taglio di capelli. Ormai il disegno
l’avevo terminato così ho scelto di aggiornare la sua presentazione al disegno,
ad ogni modo facciamo una cosa democratica: nelle vostre recensioni
affermate la vostra preferenza, se la volete con i capelli a caschetto o con
il taglio anni ’70 del disegno, ed io porrò certamente ammenda!
Ringrazio
sia nafasa che Emily Doyle per le recensioni: sono felice che vi
piacciano la storia ed il personaggio di Daphne che è quello che io, al
contrario, amo di meno: ma son gusti, e poi ne avete ancora molti altri da
conoscere!
Spero di
ricevere vostri pareri anche riguardo a questo capitolo!
Ribadisco
inoltre che correzioni ed osservazioni di ogni natura sono sempre ben accette
in quanto spunti di riflessione.
Joshua è
un ragazzo nato in una famiglia irlandese da generazioni, il giorno 11 giugno
del 1989.
Ha una
statura considerevole, pari ad 1,97m, per un peso di settantacinque kg.
Weed è un
soprannome che gli ha affibbiato Shelly perché è considerato un pusher di
nicchia, dedito soprattutto, appunto, all’erba.
Joshua ha
uno sguardo adorabile, gli occhi azzurri sono sempre coperti da una “tendina”
di lunghi capelli biondi, che gli arrivano circa alle spalle.
Il cibo
che preferisce è il roast beef, accompagnato da una buona birra scura, mentre
storce il naso appena sente parlare di verdura. Lui, la verdura, la fuma e
basta.
Il suo
colore preferito è l’arancione.
Weed passa
la maggior parte del suo tempo a leggere, anche solo gli ingredienti delle
gomme da masticare, anche se quello che preferisce sono i fumetti, che porta
sempre nello zaino, insieme ad un lettore mp3 minuscolo, di plastica nera, con
gli angoli smussati e scrostati.
Ha la
mania di scrostare con le unghie qualunque cosa: dalla vernice ai grumi di
colla lasciati dalle etichette.
Il suo
sport preferito è il basket, ma come ragazzo si conserva molto pigro e, quasi,
letargico.
I suoi
interessi verso le ragazze sono piuttosto blandi, sono più che altro loro a
cercarlo, anche se nutre degli interessi verso la sua amica Ginger, che è
esattamente il suo tipo di ragazza: carina, con un che di maschile, auto
ironica, salutista ma non maniacale, istintiva e reattiva.
I suoi
amici lo adorano: è una persona che si fa benvolere da tutti e riesce sempre a
trovare tempo per non perdere i contatti con nessuno.
Il suo
gruppo preferito sono i Led Zeppelin, a seguito del quale ha cominciato a
suonare la chitarra elettrica.
Weed è
buddista, ma frequenta la Saint Mary High School per volere di sua madre, una
donna molto credente che vuole che suo figlio venga istruito alla religione
cristiana.
Naturalmente,
con effetti piuttosto scarsi.
L’abbigliamento
di Weed è sempre piuttosto casual: camicia sbottonata al collo, maglioncini a
“V” e pantaloni di nappa, Clark’s ai piedi e scarpina al collo.
Ha un
carattere piuttosto taciturno, ma con gli amici si scatena e si rivela un
ragazzo sereno, spensierato, intelligente e divertente.
La sua
serata ideale è al pub con il gruppo di amici scolastici, delle birre, discorsi
impegnati, discorsi disimpegnati, tante risate e un paio di joint sul prato
umido.
La vera
ambizione di Joshua è di diventare un interior designer, visto il gusto innato
che lo contraddistingue.
.: Spazio
Cos :.
Eccovi il
personaggio maschile che mi sono più divertita a creare.
Perché
Weed è unico nel suo genere, e mi piace fin troppo che lo sia, e che lo sia a
suo modo.
A metà fra
lo scontroso e la santità.
Per quelli
che si chiedono chi mai sia questa fantomatica Ginger…beh, lo scoprirete solo
leggendo.
Sull’onore,
ne vale la pena.
Ma veniamo
alle recensioni.
Grazie a Talpina
Pensierosa: non dubito che ti innamorerai ancora di più di Weed ora che lo
conoscerai meglio! Per quanto concerne Shelly, lei è così. Imprevedibile.
Divertentissima. Crudele. La adoro <3.
Grazie a nafasa:
l’avrei giurato che la preferivi col caschetto!!! Visto che non ci sono stati
esiti decisivi, attenderò oltre. Non è decisamente una scuola di automi…ma lo
scoprirai ancor meglio tra poco.
Grazie a Black
Lolita: e ancora grazie, grazie, grazie. Perché la tua
recensione, nulla contro le altre per carità, ma dimostra un’attenzione
complessiva alla vicenda ed un giudizio mirato ed obiettivo.
E uno
scrittore si vede dalle recensioni.
Bene,
brava, bis!
Spero di
riceverne altre in seguito e di mantenere alta la tua attenzione.
Oggi è mercoledì. E il
mercoledì è un giorno da scoglionamento. Perché sei a metà, a metà esatta della
settimana, troppo lontano dall’inizio e ancor più lontano dalla fine. Sei in
balia della matematica e della frustrazione del professore che non scopa, e che
brama il weekend per sdrumare la moglie.
Mentre i miei molari
seviziano la matita come un riflesso, il prof. Stanford spiega le somme
vettoriali e mi scappa uno sbadiglio sonoramente colossale.
“Thucker, la matematica ti affligge?”domanda
sarcastico.
“…pff! Fosse solo quella
sarei a cavallo…il vero problema è l’impotenza di chi me la insegna.”
“Thucker, in presidenza.”
“Visto che è impotente? Se
non lo fosse stato, non se la sarebbe presa così tanto e ci avrebbe riso su.”
Nel frattempo, tutti
scoppiano aridere. La situazione si fa
critica per il buono Stanford, che mi prende per il braccio e, tirandomi con
una forza insospettabile, mi sbatte fuori.
Lo guardo dal vetro della
porta, gesticolando contro questo grandissimo pezzo di idiota.
Alla fine, invece che andare
in presidenza,me ne vado direttamente
nell’aula delle punizioni, a tamburellare con le dita sul display del
cellulare.
Tanto per vedere, apro
l’applicazione di MSN, e trovo in linea sia Daphne che Weed.
Joshua-Weed ragazzi alle
8:40 al bagno per chi vuole dell’orange.
Sorrido sotto i baffi e
guardo l’ora: 8:38. Meno male che manca poco. Solo che non so come metterla con
i soldi…insomma, il Dio denaro è nel Dio portafoglio, e il Dio portafoglio è
prigioniero del prof. Stanford.
Che dramma interiore. Beh,
io provo ad andare, tutt’al più me ne ritorno nell’aula delle punizioni.
“Ciao Weed.” Lo saluto.
Oggi Joshua ha una sciarpa
grigia e rossa al collo, l’uniforme della scuola ben sistemata, i pantaloni con
la piega. È davvero raffinato, penso tra me, elegante anche con questa divisa
monotona, che gli sta benissimo, a differenza di come sta a tutti gli altri. I
ragazzi sembrano o piccoli lord anni ’20, oppure i Ramones nel video di “Rock
‘n Roll High School”. Ma lui no. Lui, col suo silenzio intelligente, ricorda
uno studente di Cambridge.
“Ciao, Toxicdoll. Sei venuta
alla fine, eh?”
“Si…l’alternativa era andare
in presidenza, quindi puoi renderti conto. Però c’è un problema: io non ho i
soldi qui con me, il portafoglio sta in classe…lo Stanford mi ha sbattuta fuori
a pedate.” Lo guardo dal basso, sperando in un’indulgenza.
“Come mai ha fatto sbroccare
lo Stanford?” chiede lui, invece.
“Gli ho detto che non è la
matematica il mio problema, ma la sua frustrazione da impotenza.” Faccio
spallucce.
Weed si lascia andare in una
risata di gusto, alla quale finisco per partecipare anche io, riconoscendo di
aver esagerato.
Dal fondo del corridoio si
dirige verso di noi una ragazzina con i capelli biondo varechina a passo di
carica.
“Ciao Josh! Andiamo, non
perdiamo tempo.- mi guarda dal basso all’alto – Ciao. Ginger. Non fare
domande.”
Mi tende una manina piccola,
le unghie mordicchiate rivelano la remota presenza di uno smalto arancione.
Entrati nel bagno, la suddetta
Ginger si siede a gambe incrociate, come un minuscolo Buddha, sulla mensola,
spalancando la finestra dietro di lei. Porgendomi un biglietto dell’autobus, mi
intima: “Te fa’ il filtro!”. Io, obbediente, quasi intimorita dall’angelica
faccetta piena di piercing della tipa, mi metto ad arrotolare un pezzo di
cartoncino strappato dal biglietto intero.
Nel frattempo Weed tira
fuori dalla tasca l’orange ed una cartina lunga, che dà a Ginger.
Lei prepara il tutto con
naturalezza e maestria, completando l’opera col mio filtro ed una lunga leccata
alla parte adesiva della cartina, atto che rivela la presenza di un allegro
piercing alla lingua, una sbarretta con due palline di plastica rossa e
brillantini.
Il Bic di Weed accende
l’opera d’arte.
Non parliamo.
Ci guardiamo in attesa di
qualcosa, di una nuvola che ci porti via e ci salvi da questa gabbia di
paperini perfettini, eppure non succede.
Ci guardiamo, e ridiamo
sottovoce, per non destare l’attenzione delle bidelle o di qualche professore.
“Speriamo che quello stronzo
di educazione fisica non ci becchi.” Mormora Ginger.
“Perché, sentiamo, da quanto
ti importa di quello che dice lui?” domanda sarcastico Joshua.
“Da quando, porco il clero,
mi ha fatto sette multe in quindici giorni. Io non è che c’ho gli alberi da 200
euro in giardino.” Lo fulmina con lo sguardo da sotto un boccolo biondo.
“Tua madre sarà contenta!”
butto lì io.
“Mia madre non è in grado di
intendere e di volere,è proprio
l’ultimo problema scucirle i soldi di tasca. Io sto qui dentro perché
l’avvocato di mia madre ha preteso che mio padre scucisse un botto di soldi al
mese per gli alimenti. Per mia madre non fa differenza se vado a un cazzo di
liceo privato o faccio la battona.” Storce la bocca, succhiando internamente il
piercing al labbro superiore.
“Per me sì!” ridacchia Weed.
Ginger gli tira un colpo in testa con una forza strepitosa.
“Scusami, non volevo. Io
sono Shelly, l’amica di Daphne.” Mi presento sorridendole.
Improvvisamente, cambia
espressione: gli occhi elettrici si sbarrano e un sorrisone esaltato le allarga
gli angoli della bocca.
“La Toxicdoll? Sei proprio
tu?”
“Sì.” Tiro una calda boccata
di fumo ed espiro sentendomi come un grande capo indiano.
“Senti, siccome voglio
unirmi a voi, vediamoci tutte e tre oggi pomeriggio, Daphne mi ha detto che c’è
una specie di rito di iniziazione ma che è tutto segretissimo – si porta
l’indice davanti alla bocca e sgrana gli occhi ad indicare circospezione –
Comunque, ci vediamo a ricreazione nel nostro nascondiglio. Sai dov’è? Non importa,
ti aspettiamo fuori dalla tua classe e andiamo insieme. Oddio, dobbiamo parlare
di troppe cose, sono eccitatissima! Che bello!” Si lascia sfuggire un gridolino
emozionato e stringe i pugni sotto il mento, goduriosa, emettendo pigolii
caramellati.
“Vedremo.” Mantengo il tono
da capo indiano, adorno da una magnifica poker face.
Dopo due, lunghissime ore di
letteratura suona la campanella della ricreazione.
Oggi che Mia non c’è mi sto
accorgendo di quanto mi manchi la sua presenza.
Perché Mia è come un
biscotto a colazione.
Intanto, ha lo stesso
identico profumo di vaniglia, latte e miele.
Ha i capelli color biscotto.
Dorati, a metà esatta tra il castano chiaro e il biondo, belli e genuini. Come
un biscotto.
E poi è insostituibile.
Uno può tollerare una,
massimo due colazioni senza biscotti.
Il cornetto può attirarti
per il gusto della novità.
Ma alla fine torni sempre al
biscotto.
Il biscotto è un emblema:
vuol dire calore materno, latte schiumoso, la piacevole sensazione del pancino
caldo, e soprattutto coccole e bacetti.
Il biscotto è l’emblema
della tenerezza. Sillogisticamente, Mia è come un biscotto.
Ergo, Mia è l’emblema della
tenerezza.
Mia è puccipucci.
Mi piace sentirla puccipucciare
con me, mi piace farle pensare che io la trovi noiosa mentre non è affatto
così, mi piace andare da lei tutti i giovedì pomeriggio e chiacchierare.
Mi piace guardarmi allo
specchio, cercando nell’armadio qualcosa di decente da mettere per presentarmi
a casa sua senza far venire un infarto ai suoi genitori.
Mi piace che i nostri
incontri inizino e finiscano con due baci sulle guance che sanno di amicizia puccipucciosa.
All’uscita dalla classe,
trovo Daphne e Ginger ad aspettarmi, una con l’uniforme perfettamente indossata
ed i capelli raccolti in uno chignon e due orecchini di perle, l’altra con il
suo improbabile taglio di capelli anni ’80 –copiato da Madonna spudoratamente-,
la camicia aperta con sotto una canottiera giallo fluorescente e un paio di
leggins leopardata sotto la gonna. Magnum ai piedi e un tubo di gomma
trasparente come collana.
“Andiamo. Se racconti a
qualcuno di questo posto puoi dire addio a noi e ai tuoi arti inferiori.”
Minaccia la piccoletta.
“Scusa, ma Theresa è un po’
brusca…” si giustifica Daphne.
“Theresa? Credevo ti
chiamassi Ginger!” i miei occhi fanno avanti e indietro tra le due.
“Beh, diciamo che il nome
per intero sarebbe Theresa Cassidy. Di cognome, Bell. Capisci bene che Ginger è
più pratico e sbrigativo.”spiega la bionda.
“Uhm…e non sei passata per i
vari Tessy, Terry, ecc.?” chiedo io.
“Ginger è il soprannome che
mi aveva dato mia mamma. È quello che preferisco.”
Scendiamo le scale, nel
groviglio di corridoi, ed arriviamo sul retro della scuola, in un’area incolta.
Arrivate davanti ad un recinto di metallo, dipinto di verde, Daphne è la prima
ad arrampicarsi e a lasciarsi cadere dall’altro lato. Poiè il turno di Ginger, che si tira su con le
mani nervose e prensili, come una scimmietta, e che si butta giù con un
muggito.
L’ultima sono io.
Avanti, per prima cosa
bisogna che mi faccia forza con le braccia.
A gambe larghe, infilando le
dita tra i fili di metallo, mi sollevo ed incastro i piedi nei fori. A questo
punto mi spingo con le gambe e tutto sembra più facile.
Con un ultimo sospiro ed una
bella spinta arrivo in cima. Guardo in basso. Devo chiudere gli occhi e
saltare. Mi metto in massima raccolta sulla cima della recinzione e mi slancio
in massima estensione.
Come per gli esercizi di atletica.
Sento l’aria sollevarmi la
gonna e il maglione, stringo gli occhi per prepararmi all’impatto.
Come per gli esercizi di atletica, Shelly.
Punto i piedi, ed appena la
pianta sfiora il suolo fletto le ginocchia e allungo le braccia davanti al
volto, tornando in massima raccolta.
Tocco l’erba con le mani, ed
apro gli occhi. Ce l’ho fatta. Non mi sono fracassata nulla.
Mi alzo con nonchalanche e
sorrido a quelli che mi stanno davanti.
Weed, Daphne, Ginger e due tizi, uno mingherlino con degli
occhialoni neri e uno grande e grosso che mi squadra.
“Benvenuta fra noi, Shelly.
Questo è l’angolo dei derelitti, l’unico posto dove c’è spazio anche per noi al
mondo.” Dice Ginger.
“Benvenuti a voi nel mio
mondo – ribatto io – dove non c’è bisogno di rifugiarsi per trovare spazio per
noi. Nonostante sembriate tanto organizzati, mi sa che dovrò proprio insegnarvi
a vivere.”
“Perché, secondo te come
siamo andati avanti finora?” domanda acida la bionda.
“Nascondendovi. E a te deve
riuscire bene, vista la tua statura, eh? Io non voglio stare con gente che ha
bisogno di rifugiarsi per farsi rispettare. Io voglio che voi usciate allo
scoperto e che facciate vedere ai paperini perfettini che non siete voi a dover
temere il loro giudizio. Sono loro che devono temere il nostro. E lo devono
temere come la peste. Perché non so voi, ma dei miei nemici non ne è mai
rimasto granché che ricordasse un essere umano.”
Li osservo, compiaciuta, con
un sorriso gustoso.
“Allora, siete dei miei? Chi
vota per me?” cinque braccia si alzano, incluso quello di Ginger, che ora mi
guarda entusiasta.
“Sapevo che non eri solo un
metro e quaranta di guai.” Le dico, con sguardo d’intesa.
“Sapevo che non eri solo una
dei nostri. Sei più in alto, devo ammetterlo. Almeno, posso imparare da te.”
Ci studiamo prima di
stringerci la manoe sorriderci l’un
l’altra.
“Affare fatto.”
.:Spazio
Cos:.
Con
questo nuovo capitolo si entra nel vivo della storia.
Shelly è
arrivata, ha fatto una solida base di amicizie ed ora comincia la sua ascesa.
Spero che
le sue peripezie con i professori vi possano divertire e che i personaggi nuovi
vi piacciano.
In questo
capitolo avete conosciuto Ginger.
Che non è
solo un metro e quaranta di guai, ma è molto di più.
Lo
scoprirete nella sua scheda.
E ora, al
mio solito, ecco i ringraziamenti:
Talpina
Pensierosa: cara, spero che vorrai curare con me il personaggio di Weed
e che Ginger ti piaccia ugualmente…lei è la donna dei suoi sogni :P Un bacio, a
presto!!!
Black
Lolita: grazie dei complimenti. Grazie di essere entrata in
contatto con me. Spero di poterti parlare di nuovo presto e di avere tuoi
commenti riguardo al nuovo capitolo.
Ginger, al secolo Theresa Cassidy Bell, è una scheggia
impazzita, alta poco più di un metro e quaranta per trenta chili, in grado di
stabilire record maledettamente stupidi e divertentissimi.
Ad
esempio, le pettinature più disparate provate nel giro di tre mesi, il numero
di canne fumate in un’ora, il record mondiale di fuga dal professore di
educazione fisica ed il numero di nonni morti il giorno prima di ogni
interrogazione.
I suoi
capelli hanno subito cambiamenti continui nel giro di tre mesi.
Inizialmente
portava una lunghissima chioma nera, che staccava decisamente troppo con la
carnagione diafana e gli occhi celesti, due giorni aveva con un caschetto rosso
corallo. Dopo lunghi e svariati cambiamenti, passando per varie tonalità di
castano, meches verde lime, un assurdo taglio garçonne blu elettrico e una
rasatura integrale fatta salva la frangetta castano chiaro, la sua acconciatura
adesso è costituita da un elaboratissimo modello Madonna, con un grappolo di boccoli platino arricciati col ferro
sulla parte sinistra del viso, ed il resto della testa coperto da una folta,
albina peluria lunga sì e no un centimetro.
Ha un
tatuaggio che le copre tutta la schiena a forma di due ali di farfalla
variopinte e piene di sfumature di colore, per non parlare dei piercing che la
decorano nei punti più impensati: una barretta orizzontale alla base superiore
del naso, appena sotto le sopracciglia, un’altra sulla lingua, verde
fluorescente, un piercing sul labbro superiore, uno sul sopracciglio destro con
due palline rosse, uno sul lembo di carne inferiore dell’ombelico, ed infine
una sottile sbarretta di plastica morbida le attraversa la pancia, terminando
alle estremità con due puntine metalliche.
Ginger è
del segno del sagittario, è nata il 15/12/1990 e coglie sempre l’occasione per
far casino.
Il suo
colore preferito è il giallo: non a caso ama tutte le cosa di quel colore, i
pulcini, il suo zaino eastpack, il suo ipod, il sole, i narcisi, le omelette e,
in extremis, il biondo dei suoi capelli.
Daphne e
lei si conoscono dall’asilo.
I suoi
indumenti preferiti sono dei leggins leopardata ed una felpa di pile viola
scuro, della Northface.
Non ha mai
portato i tacchi, ma solo scarpe da ginnastica e infradito.
Indossa
sempre calzettoni colorati e scaldamuscoli piuttosto appariscenti.
Il suo
dolce preferito è il pudding di ananas con scaglie di cocco e cioccolato fuso,
mentre il cibo che ama di più è il fish & chips.
Ginger
odia la verdura come Weed, ma adora la frutta e le bevande ricche di antiossidanti
e vitamine.
Prende
molti integratori per avere una dieta completa di sali nonostante non mangi
verdura.
È molto
attenta all’alimentazione.
Il suo
gruppo preferito sono i Daft Punk.
Ha un
cellulare Samsung touch screen ipertecnologico.
Ginger ha
il pessimo vizio di mangiarsi le unghie come un piccolo roditore, per questo le
sue dita sono molto piccole e sempre umidicce.
Il libro
che adora è “Dieci Piccoli Indiani” e la sua autrice preferita è Agata
Christie.
Sì, oltre
che il giallo, Ginger adora i gialli. Per restare in tema.
La materia che le piace di più è la fisica, affiancata
dalla matematica.
È stata in cura da uno psicologo per otto anni, lei lo
odiava, e il dottore la congedò senza averne cavato un ragno dal buco.
Non si fa alcun problema a picchiare come una bestia, e lo
fa tanto facilmente quanto bacia chi le interessa.
I suoi
hobby sono fare shopping, ascoltare musica, giocare a biliardo e stare con gli
amici, ma anche provare tutti i colori di capelli possibili, ed i tagli più
estremi.
Adora
giocare a calcio e le sue amicizie più profonde sono quasi tutte maschili.
Ginger
pratica l’agnosticismo. Ha un cane di nome Poochie. Vuole diventare un medico
nutrizionista sportivo.
.:Spazio Cos:.
Salute a
voi!
Questa è
la presentazione di Ginger, e spero che ai miei abbondanti (XP) lettori
piaccia,
nonché
alle mie critiche letterarie Talpina Pensierosa, nafasa e
Black Lolita.
Piccola
postilla [acida]:
Quei sei
coraggiosi che hanno messo la storia tra i preferiti potrebbero, oltre che
preferirmi, lasciare una recensione per dirmi perlomeno perché
preferiscono la storia.
Ma niente
rancori! J
In quanto
fatina dello Svelto all’Aceto perdono tutti tutti (<3)
Ed ora i
ringraziamenti:
Talpina
Pensierosa: grazie mille…sapevo che la parte biscottosa ti sarebbe
piaciuta perché riguarda amicizie proprio come la nostra…solo che noi siamo
frollini al cacao!
Nafasa: Ginger,
e il suo caratterino, non gliene passeranno una a nessuno! Buona osservazione
quella riguardante la dittatura di Shelly e la sua entrata facile.
Ma è
tutta apparenza. In realtà, come scoprirai, non c’è nessun capo, lì dentro.
C’è solo
chi è più qualcosa rispetto a qualcun altro.
Shelly è
più intimidente ed è l’anima della festa.
Daphne è
più bella e riflessiva.
Ginger è
più esplosiva e più violenta. Carnalmente.
Tutti
hanno qualcosa da imparare da qualcun altro.
È una persona buona e divertente. Dal nostro primo incontro
ne sono venuti molti altri, sempre a casa mia, il giovedì, dalle quattro alle
otto. Io studio, lei gironzola per la stanza, parla, mi racconta dello Utah,
delle sue amiche, di quello che si sono dette la mattina o il pomeriggio prima
con Daphne e Ginger, e del suo gruppo di amici.
Alla fine Shelly è diventata l’attrazione della nostra
scuola.
Ha fatto di quelli che erano degli emarginati, nelle loro
classi, una cerchia solida di amici inseparabili.
Il suo talento è proprio quello di circondarsi della gente
più disparata e di tirare fuori il meglio di loro con una spontaneità fuori dal
comune.
Mi sembra così strano che una persona fuori dal comune come
lei abbia scelto di stare proprio con me.
Insomma, lei è petrolio,
ed io sono olio extravergine.
Eppure sta qui, vicino a me tutto il giorno.
Arriva in ritardo regolarmente, e dopo nemmeno mezz’ora
fugge in bagno a fumare una sigaretta.
A ricreazione, con i suoi amici, regolarmente fumano due o
tre canne, e così lei ritorna in classe bella alticcia. Si sdraia sul banco, e
dalla quarta ora inizia lo spettacolo.
Perché Shelly è mezza fatta, e così cominciamo a prenderci a
parolacce, a fare battute su battute e iniziamo a ridere come pazze.
Questa è la vita scolastica di norma con accanto Shelly, una
specie di tornado, umorale e volubile: non sai mai come si alza la mattina, se
arriverà arrabbiata o felice, o con che pazzia se ne uscirà oggi.
Come di norma arriva tardi, durante l’ora della
professoressa di letteratura, Lucille Brennen, butta per terra la borsa e si
toglie il bomber verde evidenziatore, poi si lascia cadere sulla sedia e mi
saluta con la mano.
“Ciaooo!”
“Indovina indovina!” mi sussurra lei nell’orecchio.
“Cosa?”
“Domenica c’è un rave a pochi chilometri da qui, mi ha
avvertita Daphne.” Mi sventola il Blackberry sotto il naso, con la schermata di
MSN messenger accesa.
“Ci vai?” le chiedo, invidiosa.
Daphne, Daphne, Daphne. Che cosa ha lei in più? Perché il
suo legame con Shelly è così diverso dal nostro? Beh, d’altro canto, lei può
essere una Toxicdoll. Solo io non posso.
Colpa dell’AIDS, tutta colpa dell’AIDS.
“Piccola, certo che sì. Tu vieni?”
“Non posso. Piuttosto, grandissima
troia, che hai fatto ieri sera? Mi hai svegliata con quella telefonata alle
tre di notte, e tu eri completamente fatta e parlavi di qualcosa come di una
micia ed un uccellino….ma che volevi?”le chiedo bisbigliando.
“Non si dicono le parolacce!-
finge di rimproverarmi –Ieri ero in riunione a casa mia con le Toxicdolls, e ci
siamo completamente strafatte, e poi Ginger ha letto, mezza nuda, ad alta voce,
le regole..e leggendo quella che chiede che noi siamo bisexual, ha detto e allora lo volevo dire anche a
te. A te piace più la micia o più l’uccello?”
Arrossisco e mi sento stupida,
capendo troppo tardi il doppio senso. E dire che mi ci ero arrovellata tutta la
notte, su questa cazzata.
“Non lo so. Forse né l’uno né
l’altro…chi lo sa.”mi tengo sul vago.
“Tu sei problematica, ragazza.
Comunque è una norma che ho eliminato.”conclude, facendomi l’occhiolino, e si
mette a mandare messaggi con il Blackberry nascosto nell’astuccio.
Capisco che la conversazione è conclusa,
e mi volto con gli occhi bassi sul quaderno.
Mi
sento completamente stravolta.
Conosco
poche persone, ma fortunatamente sono così belle e uniche che non vorrei
assolutamente stare da nessun altra parte.
Per
fortuna oggi è tornata Mia. Vorrei dirle che mi è mancata, che mi è mancato il
suo profumo, sentire il calore nell’averla accanto.
Lei
è diversa da tutte le altre, lei non sarà mai una Toxicdoll.
Perché
Mia ha degli obiettivi, e si aggrappa al presente, al momento, cerca di vivere
con impegno e rettamente, di preservare la sua anima. Lei che ce l’ha.
La
mia dov’è, Mia? Perché da quando ti conosco comincio a volere anche qualcosa di
diverso? Temo di desiderare qualcosa che non posso avere.
La
campanella della ricreazione mi riporta alla realtà.
Scatto
in piedi ed esco per prima, spintonando, e corro giù per le scale, verso il
nostro nascondiglio, sicura di non aver lasciato tracce.
Mi
arrampico sulla grata verde e mi lascio cadere sull’erba secca.
Trovo
già due dei ragazzi, Kurt e Joshua, e l’immancabile Ginger.
Ginger
e Weed si piacciono. Stanno sempre a battibeccare, a punzecchiarsi, scherzano
come bambini, litigano, si odiano, fumano e fanno pace.
Lui
la prende in giro per la sua statura, lei invece gli rifila scenate di gelosia
camuffate da amorevoli scherni per le altre ragazze con cui si diverte a farla
arrabbiare.
Una
volta aveva addirittura baciato una delle ragazze per bene.
All’uscita,
Ginger e delle altre le avevano fatto una “chiusa” come se ne fanno
poche, e
l’avevano
lasciata rantolare a terra, con le labbra spaccate e piene di ematomi.
“Sfido io chi ti vorrà baciare adesso,
puttana”.
Da
allora lui si limita a fare il solletico o a prendere in braccio qualche
compagna di classe, ma chiaramente Ginger resta l’ape regina, nello sciame
delle favorite di Joshua.
Poi
c’è Kurt. Kurt è la nostra guardia del corpo, un ragazzone largo quanto alto e
con un’aria minacciosa…che in realtà è tutta apparenza.
Kurt
è un ragazzo dolcissimo e disponibile al 100%.
Per
capirci, è quello che alle feste non beve, non si stona e controlla che tutti
gli altri non esagerino e stiano piuttosto bene a fine serata, quando ci
riaccompagna uno per uno a casa con la sua macchina, con l’unico patto che
tutti mettano dei soldi per la benzina e, a turno, lo aiutino a scuola con le
materie più ostiche.
L’ultimo
membro della compagnia è Francis. O anche il Nerd.
Il
soprannome si spiega da solo, no?
Francis
è un ragazzo mingherlino, sempre in camicia e pantaloni scuri, con tanto di
cintura, a vita altissima. Ha degli splendidi ricci scuri e gli occhi da Bambi,
nascosti dagli occhiali spessi con la montatura nera e pesante modello
Wayfarer, una parlata forbita ed espressioni lapidarie tutte votate a smontare
lo sfortunato di turno.
Il
Nerd è, ovviamente, molto dotato e colto. Un vero e proprio mangiatore di
libri.
Il
suo punto debole è la matematica, determinato semplicemente dal fattore noia.
“I
numeri mi buttano giù, e lo Stanford ancora di più, se possibile.”
Quando
aveva sentenziato così, si era pronunciato nel suo totale disinteresse per la
materia, accompagnato alla compassione per il povero Prof. Stanford, un uomo
sulla cinquantina con baffoni biondi e chierica, tanto frustrato quanto le sue
cravatte.
Il
genio della matematica e della fisica –perché dovunque ce n’è uno,
innegabilmente- è Ginger.
Mettile
in mano una calcolatrice scientifica, un quadernetto a quadretti, una penna e
una ventina di esercizi universitari di matematica pura, e lei li risolve nel
giro di due ore.
Ed
eccoci qui, tutti riuniti nel nostro ritaglio di libertà.
Daphne
si cala dalla recinzione elegantemente, con forti reminescenze della sua
attività di ballerina classica, mentre il Nerd, impacciato come al solito, per
scavalcare ci impiega un’eternità.
“Forza
e coraggio, Frankie!” urla Daphne, che non ha ancora imparato che lui si chiama
Francis, e non Frankie.
“Francis,
Daph, Francis. Per gli amici, quindi non per te, il Nerd.”annaspa lui,col
fiatone.
“Vero!
Per quelli come me, no?” chiede Ginger, in punta di piedi anche per dare un bacino
sulla guancia a Francis, che è piuttosto basso per essere un ragazzo.
“Già.
Ora vai a scaricare la tua furia omicida su Weed” le risponde lui con
sufficienza ironica, spintonandola verso Joshua, seduto a terra, che invece la
stringe dal basso.
Mi
metto a gattoni e mi allungo verso Weed a mo’ di gatto.
“Vero
che hai quella cosuccia che mi fa taaanto felice?”sbatto le ciglia,
supplichevole.
“Hrm.”
Grugnisce lui, in segno si assenso, mentre fruga nelle tasche e sposta Ginger,
mettendola a sedere su una delle sue cosce.
“Certo
che sei piccola ma pesicchi!” lamenta Weed, provocando l’indignazione
della bionda.
“Ma
come ti permetti? Ho anche perso peso, sono arrivata a ventisette chili!”
strilla lei con la vocetta acuta.
“Sì
vabbè dai un chilo Ginger a quanti chili del Sistema Internazionale equivale?
Sei un piombino!”ribatte lui, canzonandola.
“Se
alludi all’altezza, nella botte piccola c’è il vino buono.” Momentanea rimonta
di Ginger.
“Nella
botte…ma nel tappo no.” L’ultima frecciata di Weed la fa ammutolire ed
imbronciare, mentre riflette su cosa rispondergli.
A
questo punto comincia il rituale della ricreazione.
Weed
prepara la canna, Ginger lo riprende in continuazione fingendo che non le vada
bene niente, Kurt fa la guardia, scherzando sul fatto che quei due stiano
sempre a rimbeccarsi come una vecchia coppietta di pensionati, Daphne osserva
con rispettosa contemplazione, il Nerd e io chiacchieriamo impazienti e ci
prendiamo in giro.
E
io penso che queste cose in Utah, queste emozioni, queste risate non le avrei
conosciute.
Non
avrei mai saputo che qui, nel quartier generale dei paperini perfettini, la
felicità dell’amicizia fa si che la vita sia eterna.
.: Spazio
Cos :.
Eccomi
qua, perdonate il ritardo nell’aggiornamento ma questo mese, al solito, è
sempre il più impegnativo per quanto concerne gli impegni accademici.
Così, tra
un argomento e l’altro, sono riuscita a revisionare anche questo capitolo e a
pubblicarlo.
Dal
prossimo attendetevi una maggiore strutturazione della trama che prende una
piega più intelligibile.
Al solito,
leggete e recensite in virtù della mia beata gioventù, eccetera eccetera, tanto
sappiamo tutti che non lo farete, ma d’altra parte uno spera sempre che sotto
Natale (che dista soli sette mesi, essù!) voi siate tutti più buoni!
Special Thanks to:
Nafasa: sì, quel
dolce è decisamente da provare!
Black
Lolita: abbi fiducia sia per la recensione alla tua storia, che
arriverà di certo, sia per il tuo nick :P un elefante non dimentica niente! Ti
ringrazio per la recensione, anche io amo moltissimo Ginger e spero ti piaccia
ancora di più col passare del tempo. Per quanto riguarda Mia…beh, vedrai,
vedrai.
Talpina
Pensierosa: come vedi qui sono già più comprensibili le fila del
racconto, incluso il rapporto tra Ginger e Weed e l’amicizia biscottosa di
Shelly e Mia. Che dire? Spero ti piaccia anche questo capitolo!
Capitolo 11 *** La mangiatrice di uomini e altri animali mitologici. ***
La mangiatrice di uomini e altre figure mitologiche
La
mangiatrice di uomini e altre figure mitologiche.
Ogni istituto ce l’ha.
Che sia bionda o bruna, lei c’è.
L’archetipo più famoso della modernità: la mangiatrice di
uomini.
Può essere una collega affascinante, un’esperta compagna di
classe che sa esattamente che punti toccare, o una donna in carriera
protagonista della sua scalata sociale.
Sta di fatto, che da qualche parte la trovi, gira e mettiti
bene.
La nostra scuola ne vanta ben due, e per di più di fronti
opposti: Daphne, la ribelle reginetta della corte di Shelly, con quell’aria di
languida apatia, e Margaret.
Una vera e propria serpe in seno, capace di assumere l’aria
di un angelo di fronte ad ogni suora, anche la più severa, e sempre in
situazioni che sarebbero incontrovertibili e inequivocabili.
E’ riuscita ad essere pizzicata mentre stringeva il pacco
del capo della squadra di football, e a cavarsela facendosi venire i lacrimoni
a forza, piagnucolando che era stato lui, Garrett, ad obbligarla a farlo,
minacciandola di picchiarla se si fosse rifiutata.
Naturalmente, quel bel bietolone di Garrett non si sarebbe
mai sognato di minacciare una ragazza, neanche la peggiore stronza, ed in
realtà l’unica vittima di una violenza sessuale era lui, che si era ritrovato
l’uccello stritolato tra le mani di quella assatanata.
Insomma, dopo parecchie di queste performance da Oscar ed un
letto più affollato di un negozio H&M di sabato pomeriggio, Margaret si è
meritata la fama di puttana ed è man mano rimasta sola.
Le sue amiche sono scivolate via come un pugno di sabbia.
In questo modo, lei è diventata un’isola. Certo un’isola
splendida, con curve da Grand Prix, dove puoi trovare esattamente quello che
desideri: lo sballo più sfrenato, coccole regali, oppureuna sfida all’ultimo sangue.
La verità è che da Mag puoi avere davvero tutto, ma non il
suo amore.
E’ una grande attrice che sa sfruttare l’onda e le persone
che le sono accanto, ha fatto delle donne i suoi nemici e degli uomini la sua
personale riserva di selvaggina.
Un’amica sarebbe un ostacolo tra un ragazzo e lei, e per
quanto riguarda gli uomini, quand’anche questi credano di averla domata e
sopraffatta, la verità è che sono stati loro ad essere domati e sopraffatti.
Margaret è facilmente distinguibile: ha capelli biondo
platino, un delizioso faccino innocente e due occhioni blu più profondi
dell’oceano. Una Mary Sue.
Una delle sue caratteristiche è stare sempre da sola, ed
avere una straordinaria preparazione scolastica, determinata non tanto dalla
voglia di studiare, quanto dalla logica della potenza, un’insana necessità di
fare tabula rasa di ogni potenziale avversario, una specie di bullismo
intellettuale.
In breve, quella che sembra una ragazza dolcissima è una
carogna a tempo pieno.
Facciamo la strada insieme tutti i giorni, abitiamo vicine,
e procediamo una su un marciapiede, una sull’altro, fingendo di ignorare le
nostre divise, troppo uguali per nascondere che evidentemente non siamo amiche.
La mattina è il momento della giornata più bello e più brutto al tempo stesso.
Io sono impaziente di arrivare a scuola, e aspetto che
Shelly si degni di venire.
Ma durante tutto quel pezzo di strada, gli occhi curiosi
della gente che si chiede perché noi due non camminiamo, ridacchiando, una
accanto all’altra come sarebbe consueto, mi fanno venire una voglia incontrollabile
di scappar via e correre alla fermata dell’autobus come se dovessi vincere la
maratona di New York.
Anche stamattina la situazione non fa eccezione.
Mag cammina ondeggiando con i fianchi dall’altro lato della
strada, la gonna le volteggia intorno alle gambe seguendo il ritmo dei suoi
passi.
Io invece avanzo meccanicamente, attenta a non fare
movimenti inconsulti che possano scoprire le mie cosce, non perfettamente
toniche e nascoste dalle calze nere, di lana, e lascio che qualche ciocca di
capelli, sfuggita alla treccia, mi cada davanti al viso.
Poi, una frase di Shelly mi balena in mente.
Mia, devi proprio
imparare ad affrontare le cose da persona matura, tanto cos’hai da perdere?
Avrai solo il rimpianto di non averlo fatto, alla fine.
Va bene, affrontiamo la situazione.
Attraverso la strada, e la fermo tirandola per la spalla.
“C-ciao, noi…noi andiamo nella stessa scuola.” balbetto.
“Embè?” risponde Mag, seccata e con un’espressione di
sufficienza.
“Io sono Mia e…beh, facciamo sempre la stessa strada la
mattina perciò…mi chiedevo se non potessimo andare insieme.”
Benone, mi sono bruciata la dignità in mezzo minuto.
“Si può fare.” Sorride, di un sorriso storto.
La guardo, cercando di sondare il terreno. Mi sta prendendo
in giro? Perché ha detto sì? E perché sorride a quella maniera? Che Dio me la
mandi buona…
Ogni scuola ha quella strana
specie chiamata “migliori amici”.
Si muovono esclusivamente in
coppia, e tu puoi inzuccheratici il naso, ma non sarai mai parte integrante
della loro amicizia.
Perché loro si capiscono al volo, e tu a volte li osservi come se, per te,
parlassero sanscrito.
Questo e quello che succede
a me nei confronti di Ginger e Daphne.
Io pensavo che la mia
amicizia con Daph fosse esclusiva e, beh, che la coppia fossimo noi.
E invece no.
C’era un problema di
centoquaranta centimetri a dividerci. C’è tuttora. Ed è insormontabile per me.
Così l’unica cosa che posso
fare è tenermi in disparte, e godere delle briciole del loro banchetto.
Adoro Ginger, adoro Daphne.
Ma loro, adorano me?
Quando conosci Ginger,
capisci che lei non racconta la sua vita a nessuno. La distribuisce a pillole
alle persone scelte da lei con una cura meticolosa, forse perché è tanto piena
di dolore che nessuno ci crederebbe sentendola tutta di fila.
La sua allegria e la sua
inspiegabile felicità sono una specie di reazione omeopatica alla sofferenza
con cui è stata avvelenata, e nonostante la portata dei suoi problemi è sempre
pronta ad ascoltare le lagnanze degli altri.
Daphne invece è tutto il contrario.
Bellissima, con una famiglia affettuosa, scivola, lasciva, da un ragazzo
all’altro, uno più bastardo del precedente, e cerca tutte le scuse per
deprimersi.
Non che ci sia qualcosa di
infinitamente drammatico nelle sue relazioni, anzi talvolta c’è da dubitare del
suo stesso coinvolgimento, è piuttosto un suo masochismo.
Daphne ha un desiderio di
compatimento insoddisfatto che trova un placebo solamente
nell’autocommiserazione e nel pessimismo cosmico.
Che, naturalmente, si
trasforma in una pedanteria esasperante.
E così, i due poli opposti
sono la Coppia.
Le amiche per eccellenza,
quelle cresciute insieme, Ginger con i suoi occhi celesti ed elettrici, Daphne
con i suoi occhi acquosi, due grandi laghi gemelli, con trentasette,
irrecuperabili centimetri di distanza, ma la stessa lunghezza d’onda.
Sdraiati sull’erba
verdissima, come una buccia di lime srotolata sulla terra umida.
Weed si diverte ad alzare la
gonna a Ginger, che si impegna a fingersi più indignata che lusingata, Daphne
si dispera mentre il Nerd le rispiega per la centesima volta la lezione di
fisica, ed io e Kurt giochiamo a poker. Io nemmeno so le regole, quindi è più
Kurt che gioca a poker con me, che mi invento le scale e le coppie.
“Ma perché ‘sto coso ha una
freccetta sopra?” chiede Daphne, indicando un numero sul libro.
“Perché è un vettore,
capra!” tuona il Nerd, esasperato.
“E che è?”l’espressione di
Daphne è sempre più sconcertata.
“Basta, ti prego, ho bisogno
di un analista!” lui si alza e si sgrulla il giaccone, poi va via.
“Adesso che gli è preso?” si
intromette Ginger, prendendola da parte.
“Sbaglio sempre tutto!”
sospira.
La coppia di “migliori
amiche” si allontana, e lascia noi tre a guardarci.
“Ma quando litigheranno
quelle due? Stare così appiccicate gli farà male e rovinerà il rapporto…”dice
Kurt.
“Mai, Kurt, non litigheranno
mai.” Gli rispondo io sorridente, prima di tuffarmi di nuovo nell’erba.
“Sai, Shelly, i rapporti
umani sono fatti così. Quando due persone stanno insieme per troppo tempo,
prima si danno assuefazione, poi arrivano al livello di mal sopportazione e
alla fine –bang!- si portano reciprocamente a non sopportarsi. Litigano, si
parlano male alle spalle, fanno pace e ricomincia l’amore. Inevitabilmente, è
un amore diverso rispetto a quello di prima. Diciamo che un amore…post rem.”
“Che vuoi dire?” chiedo,
incuriosita dal discorso di Kurt.
“Che dopo una rottura, i due
litiganti si riuniscono, ma con l’esperienza. I momenti cruciali sono quelli
più importanti perché sono quelli in cui impari davvero com’è la persona che
hai accanto, e la osservi con occhio disincantato e critico. Fidati, Ginger e
Daphne sono lì lì per scoppiare.”
“Lo sai…lo sai che hai
ragione?”strabiliata. Ecco cosa sono.
“Certo che lo so. Comunque,
puoi altrettanto rassegnarti al fatto che il mondo funzioni per affinità
elettive. Per coppie. Ginger e Daphne, Ginger e Weed, Nerd ed io. Io e te.”
Sorride.
Kurt ha un sorrisetto dolce,
che rende buffi i suoi lineamenti imponenti e spigolosi.
Consiste, sostanzialmente,
nell’alzare un angolo della bocca: questo movimento gli forma una fossetta
deliziosa nella parte alta della guancia.
“Già. E’ dolce da parte tua
dirmi che mi vuoi bene.” Lo guardo, stringendomi nelle spalle. “Ti voglio bene
anch’io, gigantone.”
D’altronde, anche io e lui
siamo una coppia, nel branco di quella strana specie chiamata “migliori amici”.
Una scossa gentile mi
sveglia, accompagnata da un risolino infantile.
“Hmmm…” mugolo,
stropicciandomi gli occhi coi pugni.
“Ti svegli, Shu?” dalla voce
riconosco la mia sorellina, Katie.
Shu è il mio soprannome, qui
a casa. Me l’ha dato mamma da piccola, ma detto da
Katie è decisamente più bello. Con lei vicino tutto il mondo è più bello,
grazie alla sua voglia di sapere, di provare nuove cose, il suo entusiasmo
nello scoprire le cose che la circondano.
E quello che più mi meraviglia è il suo amore per me,
che è immancabilmente corrisposto da una mia esclusiva adorazione verso di lei,
il mio zuccherino.
“Sì, ora arrivo. Vuoi metterti un po’ a letto con me?” le propongo,
tendendole la mano.
“Ok. Però
dopo scendiamo a fare colazione?”
“Certo! Ho una fame!”
Lei si accoccola tra la
trapunta e il mio corpo, con i capelli scompigliati e l’espressione
vispa di chi è già sveglio da un bel pezzo.
Mi chiede della scuola,
degli amici, che cosa faccio stasera. Io rispondo a tutte le domande, e dopo
una buona mezz’ora sento degli altri passi avvicinarsi alla mia camera.
Ci mettiamo sedute tutt’e
due,ed entra
nostra madre.
“Ehi, buongiorno…cosa
aspettate a scendere per colazione?” dice, con quella sua voce calda ed un
sorriso stanco.
“Eccoci, ci
eravamo solo messe a chiacchierare un po’.” rispondo
io.
Katie scivola giù dal letto
e comincia ad avviarsi, comprendendo da uno sguardo di mamma che deve lasciarci
sole.
“Allora Shu, come ti trovi?”
mi domanda, sedendosi accanto a me, composta.
“Bene, davvero benone.
Insomma, a scuola mi sono fatta un po’ di amici, anzi
stasera andiamo ad un rave a qualche chilometro da qui, però ho ancora qualche
problema ad abituarmi. Prima ero molto più arrabbiata, ora mi è passata…solo
che abbiamo avuto così poco tempo per parlare. Tu, ti trovi bene?”
“A dirla tutta devo ancora prendere il ritmo, poi sul lavoro è molto
difficile per me ambientarmi. Per i colleghi uomini sembra essere un’anomalia
avere una donna che ricopre il loro stesso incarico, mentre tutte le donne rivestono
soprattutto incarichi di amministrazione, e non
sembrano inclini a fraternizzare. Devono ritenermi una
provinciale, temo!” Ride con una mesta ironia.”Con chi è che vai al
rave? Gente affidabile?” la solita domanda da mamma.
Continua a farmela, nonostante sappia già che indifferentemente dalla mia
risposta, lei starà in ansia.
“Sì, mamma. Compagni di
scuola, gente perbene.”
“D’accordo…ora scendiamo,
Stan e Katie saranno impazienti.”
Mi allunga una vestaglia di
pile, mentre io mi infilo le pantofole e metto un
cerchietto di plastica scadente fra i capelli, uno di quelli da casalinga, che
non metteresti mai nemmeno per andare a buttare la spazzatura.
Scendiamo le scale e andiamo
in cucina, dove ci aspettano Stan, con la canottiera e i pantaloni grigi della
tuta, che tiene in mano un mug pieno di caffè bollente, e Katie, seduta
al tavolo, composta, che mescola con il cucchiaino il cacao nel latte.
Io prendo una ciotola dallo
scolapiatti, i cereali da una credenza ed il latte dal frigo, e preparo la mia
colazione, mentre la mamma si limita ad una mela ed una tazza di tè.
Stan ci racconta del lavoro
all’officina, della ragazza che lavora nel negozio di vestiti di fronte, quella
che gli sorride ogni mattina, e delle battute con i colleghi di lavoro.
Katie invece riporta la
prima litigata con una compagna di classe, tale Renée O’Brien,
che le ha detto che assomiglia ad una scopa, e lei le
ha risposto che lei invece è un carciofo, e così via.
Io non dico niente, accenno
solo al rave di stasera, dopodiché mi vado a fare un doccia.
Alle sette di sera mi
comincio a preparare, stando al telefono con Kurt.
“Senti, giant, per
che ora mi passi a prendere?” gli chiedo, tenendo il cordless tra l’orecchio e
la spalla, mentre mi abbottono i jeans e vado alla
ricerca di una maglietta pulita, che sia anche mediamente decente.
“Penso di arrivare per le 7:40 pm, tu fatti trovare davanti al portone di casa e
presentati un minimo vestita.” E qui Kurt allude alla mia tendenza a
buttarmi addosso due straccetti per poi lamentare il
freddo.
“Sì, ho i
jeans, fammi solo trovare una cazzo di t-shirt. Daphne viene con noi?”
“Sì, figurati, che l’avresti
fatta venire con gli anzianotti?”
Gli anzianotti sarebbero
Ginger e Weed, che vengono con la macchina di Ginger, la quale, a dispetto
delle apparenze, ha diciotto anni suonati, ed ha passato
con successo l’esame per la patente.
“Hahaha…secondo te scocca qualcosa fra quei due? Io dico di sì.” Asserisco
convinta io, avendo tra l’altro appena trovato una
maglietta nera con stampa fluo.
“Mmm, sicuramente sì, ma non
stasera: Ginger è troppo esaltata per i suoi gusti, lo sai che la preferisce quando è meno nervosa. Se
si baciassero stasera e poi lei andasse a fare la scema con gli altri ragazzi,
non so quanto Joshua sarebbe disposto a tollerare. Se accadesse
il contrario, invece…beh, lo sappiamo tutti come reagisce Ginger, vero?”
Saggio come al solito, il mio gigante buono.
“Vero vero…va
bene, dai, ti lascio finire di prepararti, ci vediamo tra poco.”
Do uno sguardo veloce al mio
riflesso nel lungo specchio dai contorni curvilinei appeso al muro. Sono decisamente vestita a cavolo. Mi lascio cadere sul letto,
sconfortata, prima di spogliarmi e ricominciare tutto da capo.
Per le sette e quaranta
sono, miracolosamente, pronta, e siedo sui gradini bianchi della veranda.
Guardo fisso verso la strada, annoiata e con la mente appannata, quando,
all’improvviso, la macchina di Kurt si ferma davanti a casa mia e lui,
sporgendosi dal finestrino, mi urla scherzosamente: “A bella, quanto prendi?”
Scoppiando a ridere, apro lo
sportello anteriore e mi lascio cadere sul sedile.
Dietro stanno il Nerd, in
libera uscita, e la bella Daphne.
“Allora, siete pronti?”
domando loro, allungando il collo oltre il poggiatesta.
“Se i miei lo vengono a sapere mi riducono ad un capretto sacrificale.” Sospira
Francis.
“Su con la vita Frankie! È
un rave, mica la fine del mondo.” Daphne lo tira scherzosamente per una manica della camicia, mentre lui,
facendosi paonazzo di rabbia, esclama per la centesima volta: “Francis,
non Frankie, per DIO!”
Nel frattempo, Kurt se la
ride al volante ed io cerco di trovare una posizione in cui io riesca a stare comoda. Alla fine mi risolvo a mettere i
piedi sul cruscotto e la schiena appoggiata sulla parte bassa del sedile.
“Ehi, donnaccia, giù le
fette!” mi sgrida Kurt, dandomi un colpetto sulle gambe.
“Uffa…ma io sto
comoda!”reclamo io.
“Giù!”
“Eddai…”
“GIU’!”
“Guada che non ti sono più
amichetta!” lamento, facendo il verso alle squinzie di scuola.
“Hmpf, potrei morire.” Mi
risponde lui, sarcastico.
“Buuu.”
Gli faccio il labbrino, e alla fine mi rassegno ad abbassare le gambe. “Certo
che sei pesante però.”
“Ottantatre
chili, per precisare.”risponde.
“Hahaha. No.”
Fino a che non arriviamo, vengo legata come un salame al sedile, sotto l’occhio vigile
di Kurt . Scendiamo dalla macchina, lasciata al parcheggio antistante il prato
dove si tiene il rave, e ci incontriamo con Ginger e
Weed. Lei è completamente fuori di sé dall’agitazione, ed appena arriviamo si
butta addosso a Daphne, aggrappandosi a mo’ di koala contro Twinkle che,
destabilizzata nell’equilibrio, barcolla per qualche secondo
prima di recuperarlo, sorreggendo una borsa enorme e la piccola Ginger.
Ci salutiamo e, quando le
due si decidono a sciogliersi dalla presa, ci avviamo verso il sound system, il
posto è già gremito di gente e la musica, sparata a palla, ci
investe come uno tsunami.
Weed,che
per questa sera ha rinunciato alla sua solita mise intellectual-chic,
afferma, con tono oracolare: “Iovado a prendere le birre.”, e viene seguito a
ruota dal Nerd.
“Beh, almeno andiamo a
ballare, dai!” propone Ginger, trascinandosi me e Daphne dietro.
“Io vi controllo a
distanza!” ci urla dietro Kurt, ormai troppo lontano da noi.
Facendoci largo fra la massa
di corpi che scorrono uno sull’altro, in un miscuglio indistinto di anche,
braccia ondeggianti e voci che si intrecciano tra loro
in un coro stonato, ci uniamo a tutto il resto della gente.
Daphne, a riprova che la sua
bellezza languida paga, è la prima che viene trascinata
via da un gruppo di ragazzi, all’assedio dei quali lei non si sottrae affatto,
nel frattempo io e Ginger cerchiamo di rimanere unite.
Balliamo, gridiamo,
scoppiamo a ridere una in faccia all’altra senza un apparente motivo, se non
quello di essere qui, ora, di essere vive, di avere il
piacere di sperimentare sulla nostra pelle come l’Irlanda sia la terra della
musica per eccellenza nei secoli, dalla solennità delle melodie celtiche fino
alla nostra techno, che non ci da’ pace, ci ordina,
con la sua ossessiva ritmicità, di muoverci, far qualcosa, rovesciare indietro
la testa e fare spazio a nuovi pensieri.
Dopo un paio d’ore ci
allontaniamo, sudate, e andiamo alla ricerca degli altri membri del gruppo.
L’adrenalina, consumatasi,
lascia il posto ad un bisogno d’aria e di riposare.
“Ehi, eccovi!”ci chiamano due voci
maschili all’unisono: Weed e Kurt.
“E
già. Come va, vi state divertendo?” chiedo io,
sollevando con la mano la frangetta appiccicaticcia di sudore.
“Sì, abbastanza. Volete
qualcosa da bere?”domanda questa volta Joshua.
“Mmm…magari. Ma che sia alcolico e freddo!” precisa Ginger, mentre lui se
ne va, lasciandoci con Kurt.
Facciamo quattro passi
insieme, allontanandoci dalla conca dove si tiene il rave, e ci buttiamo
sull’erba umida , a guardare le stelle. Dopo poco ci raggiunge Weed, con le mani occupate da quattro bicchieroni
di plastica pieni, acrobaticamente stretti fra le dita.
Porge a Ginger un BlackRussian con ghiaccio, a me
una birra chiara, mentre per sé e Kurt ha preso due Guinness.
Mi sento gelare il sudore
addosso, e mi appoggio alla spalla di Kurt, che mi da’
un buffetto sulla guancia e mi abbraccia, comprendendo al volo che sono
infreddolita.
“Molto meglio!” esclamo
soddisfatta, prima di sorseggiare la mia birra.
“Non ti conoscessi, eh?”
sorride, il mio giant, strofinandomi le nocche sulla testa.
“Mi fai male! Poi scusa mi vuoi rovinare l’acconciatura veryfica?”sfoggio un’espressione da vamp per caricare di
comicità il momento.
“Ma che rovinarti, tutt’al più fa pure un po’ schifo avere il sudore dei tuoi
capelli sulle mani…pensa quali pericoli sfido per fare una cosa affettuosa per
te!”
Kurt si guarda le mani,
facendo una faccia disgustata.
“Hahaha, cosa, affronti il
Mostro della Forfora?” “Hahaha, scema!”
Ridiamo, io e lui, e ci
beviamo la birra, sentendo le gocce fredde di condensa sul bicchiere sulle
mani, e asciugandoci i palmi sulle rispettive maglie.
“Shelly,
ma Daphne che fine ha fatto?” dal profilo di Kurt fanno capolino Ginger
e Weed, incuriositi.
“Non lo so…chi ha soldi per
chiamarla?”rispondo io, agitando in aria il cellulare.
“Io…aspetta,
ora provo.” Si offre Ginger, tirando fuori dalla
sua borsa di peluche fucsia il suo telefono.
Dopo sette tentativi Daphne
non risponde, e per di più non si riesce a rintracciare nemmeno il Nerd. Ci
alziamo, buttiamo i bicchieri ormai vuoti in uno dei cestini e ci dividiamo per
andarla a cercare.
Quella che prima sembrava
essere la cosa migliore, la musica vibrante, ora è solo un insormontabile
ostacolo, che complica le nostre ricerche.
Io e Kurt, Ginger e Weed corriamo tra la gente, chiedendo se per caso abbiano visto
una ragazza alta, magra, con i capelli lunghi e rossi ed un ragazzo
mingherlino, castano, con dei grandi occhiali neri. La risposta è sempre la
stessa: no, mi dispiace, e lo sconforto sempre maggiore.
“Dai, andiamo da Joshua e
Ginger, cerchiamo di restare uniti almeno noi.”propone Kurt.
Ma io lo strattono e me lo tiro dietro, tornando nella mischia, e continuo a
picchiettare sulle spalle della gente, finché una ragazza alta, con un fisico
muscoloso, i capelli biondi, bagnati, ed il trucco sfatto, che emana un
disgustoso lezzo di birra non mi risponde con un grugnito, indicando una
direzione con la testa.
Ci precipitiamo dove la tipa
ci ha indicato, e in un angolo completamente buio troviamo
Daphne accasciata a terra, in posizione fetale, fredda, bagnata di sudore e con
il trucco sciolto, tra le mani stringe fili d’erba e terra, sembra che qualcuno
abbia cercato di spogliarla.
A sorvegliarla, un depresso
Francis, che ci fa un apatico cenno con la testa, per poi tornare a guardare
lei.
“La volevano stuprare. Erano
in cinque. Tre le stavano davanti e due la tenevano immobilizzata a terra, con
i piedi sulle spalle. Quello più grosso le aveva già tolto i pantaloni e si
stava calando i suoi, quando sono arrivato.”racconta,
mestamente.
“O
mio Dio…”mormoro io, coprendomi la bocca con le mani.
“Stava urlando…piangeva,
tirava calci…si aggrappava all’erba, come se potesse salvarla, e quegli
schifosi la prendevano a schiaffi, le tiravano dei calci fra le gambe. Allora…-
si lascia andare ad un singhiozzo – allora gli ho gridato di piantarla.”
“E
loro che ti hanno fatto?” gli chiedo.
“Questo – dice Francis,
mostrando al chiaro di luna il viso, che rivela un ematoma scuro e del sangue
rappreso intorno all’occhio sinistro, che non riesce ad aprire, invisibile
prima, nell’ombra. – E poi hanno deciso di stuprare me. Uno per volta.”
La freddezza del racconto,
l’idea di quello che deve avere subito il povero Nerd, il dolore, la violenza
fisica e morale, mi fanno scoppiare in lacrime.
Mi getto a terra accanto a
lui per abbracciarlo e fargli coraggio, mentre lui
geme ancora e piange al ricordo di tutto questo.
Dopo poco si sveglia Daphne,
completamente immemore dell’accaduto, al racconto del quale non riesce a
trattenere i nervi e le lacrime.
“Ragazzi, io intanto avverto
Ginger e Weed, gli dico che vi abbiamo trovati e che
loro possono anche andare a casa.”soggiunge Kurt.
“Dai,
andiamo a casa.” Dico loro, che annuiscono con la testa e si sollevano a
fatica.
Francis zoppica, sostenuto
da Kurt, ed io tengo per mano Daphne.
“Vuoi che io dorma da te?”le
chiedo.
“Sì, grazie…mi piacerebbe
tanto averti accanto, stanotte.”
Mi abbraccia, con
l’espressione di chi non vuole pensare, di chi vuole
spegnere il mondo almeno per una sera e ricominciare, come se niente fosse, la
mattina dopo.
Mando velocemente unsms a mia madre, avvertendola
che stasera non torno a casa, e salgo in macchina con gli altri.
Alle quattro e mezza arriviamo a casa di Daphne, e alle quattro e quaranta ci
rannicchiamo, abbracciate, fra le lenzuola.
Le accarezzo il viso ed i
capelli, baciandole le guance, per farle sentire quanto le sono
vicina, mentre lei si abbandona al sonno, ed io resto a proteggerla dagli
incubi fino alle sei, quando anche le mie palpebre si chiudono, sfinite.
.:
Spazio Cos :.
Ebbene, è arrivato anche lui.
Il dodicesimo capitolo è caldo caldo di tastiera.
Sinceramente, sono piuttosto stanca, quindi lascio a voi il compito di commentarlo.
Un bacio grande!
Grazie a:
Talpina Pensierosa, nafasa
e Black Lolita.
Ringrazierò individualmente nel
prossimo capitolo, prometto!
Pomeriggio in giro. Il cielo
è pesante come un coperchio di peltro.
Il Nerd e Kurt sono a casa a
studiare, Weed tace e se ne sta con gli occhi fissi nel vuoto, Ginger cammina
canticchiando, io cerco di girare un drummino e Daphne se ne sta con gli occhi
persi nel vuoto. Non ha affatto superato il trauma, e noi abbiamo deciso di
portarla fuori per farle respirare, almeno, un po’ d’aria fresca.
“Entriamo in questo
negozio?”propone entusiasta Ginger, strattonandoci in un negozio di vestiti usati,
dove è sparato a palla David Bowie, Changes.
“Ch-ch-ch-ch-changes! Don’t wanna be a richer man…time may change me,
but I can’t chase time!” canta Ginger, mentre fruga tra montagne di capi
vintage.
Daphne si guarda allo
specchio e sentenzia, ispirata dallo Spirito Santo-Bowie: “Tanto la nostra vita
non cambierà mai. Le persone non cambiano mai. Ci speriamo tutti, ma non
succede mai niente. Può solo andare peggio.”
Un paio di occhi celesti la
fulminano da trenta centimetri più in basso, segno evidente che Theresa Cassidy
Bell è arrivata al limite della sopportazione del pessimismo cosmico che Daphne
si spalma intorno con cinismo e perversa goduria.
“Cazzo, Daph, non ti va mai
bene niente! Se tu non hai il coraggio e la voglia di cambiare la tua vita,
allora abbi almeno il buongusto di non rompere i coglioni a quelli che, invece,
si sono fatti un culo come una casa per prendere in mano la propria esistenza e
migliorarla. Io sono felicissima di essere viva, di essere qui, e visto che ho
notato che abbiamo davvero troppo poco tempo a disposizione, le cose che mi
fanno stare male le risolvo, le elimino, o almeno trovo una soluzione
provvisoria. Hanno tentato di stuprarti, è vero, ma è passato, e tu comunque
non puoi farci niente, puoi solo cercare di andare avanti, con le tue forze,
cercando di capire che certe cose capitano, punto, e che non avresti potuto
prevederlo. Non ci sarà sempre la mamma a proteggerti dal mondo, è ora che
impari a farlo da sola! Apri gli occhi per piacere…sempre che tu voglia essere
mia amica.” Ginger la guarda con odio. E’ la prima volta che si affrontano,
così direttamente.
“Senti, risparmiati la
morale edonistica per qualcun altro, non si risolve tutto così facilmente.
Ah no, scusa!, dimenticavo
che per te non ci sono problemi, a te va sempre l’acqua per l’orto, sono solo
io quella che se la prende nel culo dal mondo intero.
Sono sempre io a sbagliare
tutto!”
Gli occhi acquosi di Daphne
si diluiscono con le lacrime, che naturalmente non servono.
“Ma fai un po’ come ti pare,
per quanto mi riguarda sei una ragazzina che vuole essere compatita.
Piantala di crogiolarti nel
dolore e rimboccati le maniche, prenditi le tue responsabilità.
La vita è quello che scegli,
ricordatelo bene. Io con quelle come te non ci perdo nemmeno tempo, anzi, fai
una bella cosa: ripassa quando cresci!”
Io e Weed ci guardiamo, e
sembra quasi di sentire il crack sordo tra le due.
Due amiche così non si erano
mai viste: sempre a ridere, sempre a confidarsi.
Probabilmente, Daphne è
l’unica persona che conosca una percentuale della vita di Ginger, oltre la
facciata.
Naturalmente, neanche lei sa
tutto della piccola Bell.
Cresciuta da una madre
tossicodipendente e da un padre freddo, insensibile all’allegria della sua
bambina e alla sofferenza della moglie.
Il divorzio e la distruzione
sono gli elementi che hanno fatto divenire Ginger quella che è.
Una bambina che ha sofferto
troppo, che è cresciuta facendo da spettatrice allo show penoso della sua vita,
e adesso è diventata un demiurgo che riesce a plasmare la sua esistenza a suo
piacimento con un’abilità invidiabile.
E’ un attimo, e Daphne
scappa. I suoi capelli rossi scompaiono dal negozio, come una saetta, lasciando
me e Weed basiti, e Ginger rigida, a far scorrere tra le labbra la pallina del
piercing sulla lingua. Poi, pesca svelta una magliettina cortissima, di velluto
lilla, ed un top semitrasparente leopardato rosa shocking, e li porge alla
cassiera.
“Prendo questi” cinguetta,
fingendo indifferenza.
“Cinque euro e settanta”
risponde quella, ancora sotto shock per la sfuriata consumatasi.
Usciamo tutti insieme,
l’atmosfera imbarazzata si fa sempre più evidente.
In momenti così Ginger
diventa inavvicinabile.
Weed le porge una sigaretta,
esitante, che lei accetta e accende con movimenti meccanici.
“Mi dispiace.” Mormoro,
mettendole una mano sulla spalla.
“E’ solo che lei deve
imparare, non può continuare a stare così per tutta la vta. Io…credo che non
vorrei vederla, ora, quindi magari è meglio che vada a casa.”
“Vuoi venire a casa mia?” mi
mordo il labbro, aspettando che decida.
“Sì, va bene…forse è meglio
così.” Mi stringe ancora più forte la mano.
Weed fa un cenno con la mano
per salutarci e se ne va, lasciandoci sole per strada.
Avanziamo silenziose,
lanciandoci d tanto in tanto uno sguardo. Una volta davanti alla porta di casa
mia, giro la chiave nella toppa e la lascio entrare.
Quello che trovo in cucina è
allucinante, restiamo tutte e due senza parole, ad occhi sbarrati: Katie è
accasciata a terra, con un grande ematoma sullo zigomo, gonfio e deformato, a
pochi metri da lei c’è una pozza di vomito, e la cucina nel caos più assoluto.
Dopo cinque secondi riesco a
realizzare e salgo le scale, facendomi i gradini a tre a tre, e piombo nella
camera di Stan.
E’, come sospettavo,
sdraiato sul letto, la maglietta lurida di ogni schifezza tra chiazze di
sudore, olio da macchina e schizzi di rigurgito.
Oddio, oddio, oddio. E
adesso che faccio?
La mia Katie, la mia
piccolina, l’unico pensiero mentre tremo di paura, girando per la stanza di
quel porco disgustoso di mio fratello.
Tre bottiglie vuote di Jack
Daniels’ mi sembrano una spiegazione più che sufficiente alla vicenda: Stan va
a prendere Katie a scuola, arrivano a casa, lui la manda a lavarsi le mani e a
prepararsi per il pranzo, e visto che mia madre gli ha nascosto il whiskey lui
fruga e rivolta le credenze. Una volta trovate le tre bottiglie, se ne scola
una come fosse acqua.
Quando Katie scende, lo
trova già alla seconda e gli grida di smetterla, magari mettendosi a piangere.
Lui non la ascolta, e quando la piccola si fa troppo insistente e lo
infastidisce, le tira un pugno in faccia, che la fa cadere come un sacchetto di
patate. Siccome Stan è già bello che suonato, dopo aver sferrato il colpo, non
avendo controllato la forza, ha un conato e rovescia. Alla fine, si rialza, si
sciacqua la bocca due o tre volte con gli ultimi sorsi della rimanente
bottiglia di whiskey e riesce miracolosamente ad arrivare alla sua stanza e a
sdraiarsi sul letto.
Scendo di corsa le scale per
controllare Katie, e la trovo tra le braccia di Ginger sul divano.
“E’ tutto a posto?” le
chiedo.
“Io credo che tu debba
chiamare un medico, un’ambulanza, quello che ti pare: dall’aspetto, lo zigomo
dev’essere rotto.” Ginger tasta piano la zona del viso illividita.
Aggrappata alla cornetta del
telefono, digito velocemente il numero del pronto soccorso.
“Pronto?...C’è
un’emergenza…una bambina ha ricevuto un pugno sul viso, è svenuta, la parte è
piena di sangue pisto…Sì, l’indirizzo è 34, Brenton Road. Va bene, grazie.”
“Allora, che dicono?” chiede
la biondina.
“Arriverà tra poco
l’ambulanza, intanto devo farle degli impacchi col ghiaccio. Ginger, mi
dispiace, io ti avevo portata qui perché speravo di farti rilassare e invece…”
“Ehi, non c’è problema.
Anzi, dimmi come ti posso aiutare, che se faccio qualcosa almeno non ci penso,
no?” sorride.
“Va bene, allora fai una
cosa: legale i capelli e mettile una tuta. Le trovi al piano di sopra, nella
sua cameretta: la riconosci perché c’è scritto KATIE sulla porta. Io intanto
pulisco la cucina e preparo la borsa col ghiaccio. Lascia Katie sul divano,
cambiala lì.”
Do’ mano allo scopettone, un
po’ titubante, mordicchiandomi la mucosa delle labbra, e sento i veloci passi
di Ginger. La vedo toccare mia sorella con una delicatezza insospettata, così
riesco a tranquillizzarmi.
“Ecco, questo è il ghiaccio.
Puoi farle l’impacco tu mentre io chiamo mia madre?” le allungo la sacca, piena
di cubetti gelati.
“Certo, fai pure!”
“Pronto, mamma? Ciao sono
io, Shelly…Senti sto aspettando l’ambulanza per portare Katie
all’ospedale…Perché Stan le ha mollato un pugno, lei è svenuta e forse quello
stronzo le ha anche rotto lo zigomo…Lo so, è che ha bevuto come una spugna, ha
trovato le bottiglie di Jack Daniels’…Va bene, appena so qualcosa ti avverto.
Tu però vieni appena esci dal lavoro.”
Finalmente, arriva
l’ambulanza. Racconto tutto a uno dei paramedici, un ragazzo biondo e bello da paura,
anche lui sconvolto dall’aspetto bizzarro di noi due. Probabilmente gli diamo
l’idea di essere due giovani ribelli di buona famiglia che manifestano la loro
anima sovversiva con abiti da poco, acconciature bizzarre, piercing e droghe
occasionali provate a un paio di rave. Insomma, due diciassettenni che hanno
l’apparenza navigata, ma che tutto sommato sono protette dalla calda copertina
dei soldi di papà. Ha, ha, ha. No.
Però, è bello, bello, bello
da fare schifo.
“Scusami, dov’è tuo
fratello?” chiede lui.
“In camera sua. –mi
interrompo per masticare la gomma- Piano di sopra.” Gli faccio cenno con la
testa.
“Accompagnami.” Che occhi,
che occhi…! verde foglia, e pagliuzze dorate.
Mi segue per le scale, ed
entra con me in camera di Stan.
“Ah!” mi porto la mano
davanti al viso.
Lo troviamo buttato per
terra, con le gambe strette al petto, contratto, e vomito, vomito ovunque,
lezzo di acido ed alcool, nauseabondo. Senza rendermene conto, gli stringo il
camice. Lui resta rigido e prende, veloce, la ricetrasmittente, premendo un
pulsante celeste.
“Mi servono Paul e Steven al
secondo piano, ora!!!” poi, rivolgendosi a me “E’ la prima volta che beve così
tanto?”
“No…cioè, io lo vedo sempre
strafatto di pasticche o di alcool, ma non gli era mai presa così. Insomma,
Stan è il tipo che la sbronza la smaltisce durante la nottata, e la mattina è
come nuovo.” Mi passo le dita fra la frangetta, scompigliandola.
“E tu bevi? Ti
droghi?”chiede, in tono confidenziale.
“No, non come prima. Sono
pulita da un bel pezzo, la mia ultima pasticca se l’è presa lui mesi fa. Bevo
il giusto con le mie amiche, e ogni tanto ci facciamo una canna insieme.”
Diciamo che la mia versione è un po’ rielaborata, altrimenti chissà per chi mi
prende.
“Ok. Ragazzi, portiamolo
giù.” Lui e gli altri due si incollano mio fratello in spalla, e portano anche
lui sull’ambulanza.
Ginger ed io saliamo dietro,
con gli altri paramedici, ed una volta arrivati all’ospedale il ragazzo con cui
avevo parlato prima ci accompagna in una corsia bianca e tetra, fermandosi
davanti a una panchina sagomata anatomicamente.
“Dovrete aspettare qui
finché non vi chiamerà il primario. E’ tutto, per ora. I bagni sono in fondo a
destra, e proseguendo per il corridoio in quest’altra direzione trovate i
distributori automatici.”
“A posto. Io penso che
aspetteremo qui, per ora. Senti, se volessi fumare?” domando io.
“In questo caso, penso che
dovresti uscire nel giardino interno. Basta seguire le indicazioni per
raggiungerlo. Penso sia tutto per ora.- fa per andarsene, e si rivolta ancora
verso di noi – Per qualunque cosa, chiamatemi. Mi chiamo Edgar Fergusson.”
Edgar! Oh, insomma, si
chiama Edgar! Come Edgar Allan Poe, il mio scrittore preferito, ed è tutta la
vita che proclamo a destra e a manca che mio marito si chiamerà Edgar!
Scompare nei meandri dei
corridoi ospedalieri, mentre noi due restiamo sedute, a guardarci i piedi.
“Ti piace,eh?”sorride,
goduriosa, Ginger. Arrossisco in tutta risposta, trattenendo un brivido.
“Non sono il suo tipo –
dico, mentre mi stiracchio- temo che i miei capelli lo abbiano intimorito!”
afferro una delle ciocche rosa sparse tra i miei capelli neri,
sventolandogliela sotto il naso.
“Hahaha! Sei proprio
tremenda, bestia, più che dai tuoi capelli quel povero…come si chiama? Edward? Hermann?”
– “Edgar!” la interrompo io – “Ah sì, quel povero Edgar sarà terrorizzato dalla
tua lingua! Tu sì che hai un’arma contundente in bocca, mica io!” dice lei,
facendomi una linguaccia per mostrare ben bene il piercing rosso fuoco.
“Senti Ginger, se vuoi
andare…vai tranquilla, io resto qui.”
“No, no assolutamente, io
resto qui. E’ per questo che ci sono le amiche.”
Inavvertitamente, quasi come
fosse la cosa più naturale del mondo, ci stringiamo la mano.
“Hey, Shelly, quel tizio non
si chiama Edgar?” mi chiede di colpo Ginger.
“Sì, perché?”
“Come Edgar Allan Poe…non
volevi che tuo marito si chiamasse Edgar? Questo è pure sotto i duecento anni!”
“Già.”
Di colpo entra mia madre col
fiatone.
“Ciao amore, ciao, io sono
la madre di Shelly, mi chiamo Anne.” Dice, porgendo la mano a Ginger,mentre io
resto seduta immobile, gelida.
“Shelly, cara, si hanno
avute notizie?”mi chiede.
“No.”
“Shelly, cos’hai? Adesso ci
sono qua io, ok? Devi stare tranquilla.”
Di colpo mi sento infiammare
da un’incazzatura colossale, e i miei nervi partono completamente. Le prendo il
braccio e la trascino nel giardino con me, dove comincio a urlare : “TU! Con
quale faccia mi chiedi cos’ho? Sei tu, TU!, tu sei la causa di tutti i miei
problemi! Di tre figli che hai avuto due sono completamente deviati, e parlo di
me e Stan. Avanti guardami. GUARDAMI, ORA! Puoi salvare Katie, sei ancora in
tempo, a per farlo ci devi essere, a casa! Guarda Stan: l’hai lasciato in mezzo
a una strada tutta la vita, decisa che tanto da lui non ti saresti mai potuta
aspettare niente, ed ecco che cosa hai fatto di lui! UNA BESTIA! Ora guarda me,
guarda la tua Shu: quando hai deciso che era tutto inutile anche con me? Quando
ho preso la prima pasticca o quando hai scoperto che mi bucavo? Te lo ricordi,
Anne, quel livido sul braccio? Ti ricordi ancora i miei occhi rovesciati? –
ingoio un po’ di saliva e la guardo in faccia; le lacrime le rigano il viso. Se
la ricorda anche lei quella sera, in Utah, quando mi aveva trovata piena di
fori di siringa, e il livido sul braccio per un buco fatto male. -Era allora
che avevo smesso con l’eroina, ti ricordi? E lo sai per chi? Per Katie. Per la
figlia che tu hai abbandonato con quel lurido porco di Stan. Mamma, se solo tu
ci fossi stata vicina, forse…forse questo non sarebbe successo. Forse io sarei
diventata una brava persona, forse Stan studierebbe ingegneria al college
invece che lavorare in un’officina…-lentamente, mi calmo e sento la parte
razionale riaffiorare- Ok, va bene, noi non abbiamo avuto un’opportunità
–singhiozzo, inizio a piangere anche io- Ma Katie cosa ti ha fatto? Perché devi
condannare anche lei? Perché non puoi essere un po’ più presente con lei…è solo
una bambina! Ha bisogno di sentirti accanto…Va bene che non ti importi di dove
vado, cosa faccio, con chi io esca, ma perlomeno pensa a Katie. E’ tutto quello
che ti chiedo.”
Ci guardiamo per qualche
secondo prima che lei mi abbracci. Ed io mi lascio abbracciare.
“Sono una pessima madre…non
riesco nemmeno a preoccuparmi di dove vai, con chi sei..E’ solo che penso che
se ti lascio libera, senza scocciature, tu sia più felice.”
“Io sarei felice se
riuscissi almeno a preoccuparti per Katie.”
“Va bene…prometto che le
procurerò una baby sitter per farla prendere a scuola e poi cercherò di tornare
io nel pomeriggio. Ok?”
Faccio spallucce, prima che
arrivi un medico.
“Thucker?”chiede.
“Sì, siamo noi.”conferma
Anne.
“La bambina sta bene.
L’intervento per ricostruire lo zigomo è andato perfettamente. Si rimetterà
presto, ha solo bisogno di riposo e di starsene a casa. Niente scuola per
almeno due settimane, al termine delle quali verrete qui e vedremo come
ossifica. Se tutto va bene, tra un mese dovrebbe essere come nuova, ma comunque
niente sport. In linea di massima contiamo di dimetterla tra due giorni. Il
ragazzo invece non vanta le stesse condizioni. Il fegato ha ceduto, la milza
era completamente “spappolata”, per essere franchi, ed il rene destro è
compromesso definitivamente. Abbiamo asportato la milza, che non è vitale, e
per il momento è sotto dialisi in attesa dell’operazione al rene.
Fortunatamente, potrà vivere con un rene solo, ma mensilmente dovrà tornare
ogni mese per la dialisi. Per quanto riguarda il fegato, stiamo aspettando che
ci vengano date notizie dalla banca degli organi. Finora abbiamo trovato un
donatore compatibile quattro su sei, ma è comunque rischioso. Meglio attendere
e cercare qualcuno con una compatibilità totale.”
“Mi scusi, io sono la madre,
potrei sottopormi anche io agli esami per la compatibilità? C’è più probabilità
che io possa essere un donatore sicuro, giusto?”
“Se la mette così, signora,
venga subito con me.”
Mia madre si volta verso di
me e mi bacia la fronte. “Chiamate un taxi e andate a casa. Io starò bene.”
“Ok…in bocca al lupo,
allora.” Stavolta sono io ad abbracciarla.
Torno da Ginger e le
racconto l’accaduto, dopodiché ci alziamo e usciamo, andando al telefono
pubblico per chiamare il taxi.
“Chissà se rivedrò mai
Edgar” mi dico tra me e me, richiamando alla mente il suo viso sorridente.
.: Spazio
Cos:.
Tredici.
Questo
capitolo inizia con una situazione iniziale difficile, e sicuramente ora mi
rimprovererete la durezza di Ginger come innaturale, o sarà oggetto di ironia
di pessimo gusto. Ma Ginger, se ben ricordate la storia mentre la leggete, è
l’estremo positivo, ed era inevitabile che riguardo al trauma si scontrasse con
Daphne. Ora direte: “avrei voluto vedere lei!”, ma lei probabilmente avrebbe
fatto buon viso a cattivo gioco, ed avrebbe tentato di dimenticare.
Daphne,
invece, non riesce a dimenticare proprio perché non vuole.
Shelly
invece qui si vede davanti il chiaro spettacolo dello sfacelo della sua
famiglia, che rimprovera alla madre.
Giusto
perché questo capitolo non sembri una correzione del precedente, sappiate che
io sto pubblicando a storia ormai ultimata, quindi tutto ciò che leggete era
previsto.
Grazie a Black
Lolita per la recensione, e a nafasa per il comico commento che mi
ha fatta morire dalle risate davanti al pc.
Capitolo 14 *** La Donna che osò sfidare la Dea ***
…La ragazza alternativa…
…La
Donna che osò sfidare la Dea…
Il mondo si divide
sostanzialmente in due categorie di esseri umani: i puntuali ed i ritardatari.
Nemmeno a dirlo, io sono una ritardataria. Mia, invece, è una puntuale a morte:
farla arrivare tardi equivale ad assicurarle un’ipossia. Questa mattina non fa
eccezione, sono le otto e trentacinque ed io corro come Forrest Gump nella
speranza di arrivare alla fermata dell’autobus prima che quello delle otto e
quaranta passi, lasciandomi a piedi o facendomi aspettare quello delle nove
meno dieci.
Tanto ormai la prima ora me
la sono giocata.
Stringo con una mano il
bordo della gonna che scivola, scivola giù lungo l’inguine, e con l’altra mi
tengo il cappuccio del bomber in testa, cercando di mantenere in equilibrio
sulla spalla la borsa.
Magicamente, riesco a
prendere l’autobus appena in tempo. Spiaccicata tra una vecchia con i capelli
cotonati che puzza di cucinato in una maniera allucinante, ed un energumeno di
centottanta chili, tiro fuori lo specchietto da una tasca e mi guardo: ho delle
occhiaie pazzesche ed un colorito cadaverico impressionante.
Ieri sera io e Ginger siamo
andate via dall’ospedale all’una e quaranta, quando era arrivata mia madre. Lei
è rimasta lì tutta la notte, prendendosi oggi come giorno di ferie, ma noi due
siamo arrivate a casa alle due e mezza circa. Ginger sarà sicuramente già
arrivata a scuola.
Tiro un bel sospiro prima di
farmi strada tra la gente per scendere alla mia fermata.
Entro a scuola sgattaiolando
per i corridoi senza farmi vedere, e mi infilo dritta dritta nella “sala
punizioni”.
Farebbero prima a chiamarla
la “sala Shelly”, ci vivo praticamente, qua dentro.
Oh, cucù! Sembra che avrò un
ospite per questo quarto d’ora prima della seconda ora.
Una ragazza con una massa di
capelli ricci, neri e lunghi se ne sta seduta ad un tavolo, leggendo un libro.
“Ciao…vengo in pace.”dico,
alzando le mani in segno di resa.
“Ciao. Devi essere Shelly,
tu.” Alza appena gli occhi dal libro prima di ri-immergersi nella lettura.
Solleva un angolo della
bocca in una specie di sorriso diffidente.
“Wow, ti hanno già inviato
il mio curriculum! Che fai, mi assumi o devo parlare con i miei amici
importanti?” mi sdraio sul tavolo, davanti a lei.
“Ti sei fatta una fama…Io
sono in classe con Daphne.”
“Ah! E siete amiche?”
domando, stupita: Daphne non me ne aveva mai parlato.
“Daphne non mi piace. Mi è
più simpatica Theresa, ma in linea di massima io sto da sola. Non mi trovo bene
con nessuno in particolare.”
D’improvviso mi accorgo che
ha uno sguardo bellissimo. Due occhi grandi, dal taglio orientale, passano
velocemente dal mio viso al libro, e dal libro al mio viso.
“Come…come ti chiami?”
“Emerien”
Resto senza parole.E la guardo andare via con un’espressione
soddisfatta, mentre io resto impalata lì, con la gonna che cala e le occhiaie
alle ginocchia.
Entro in classe al suono
della campanella, e mi trascino fino al mio posto, facendo un cenno di saluto a
Mia. Ho ancora la rabbia latente, all’altezza del diaframma sento un pulsare
quasi insopportabile.
“Buongiorno Thucker, devi
darmi la giustificazione del ritardo.”
“Tah-dah! Visto che non sono
una prestigiatrice, indovini un po’? E già, non ce l’ho!” canterello io.
“Che è successo? Oggi sembri
più terribile del solito.” Sussurra Mia. Rispondo con un grugnito.
Prendo il mio astuccio e un
quaderno a righe, e controllo dal cellulare chi è connesso su MSN. Twinkle è su “occupato” e potrebbe non
rispondere. Twinkle, il soprannome di Daphne. Le invio un messaggio
istantaneo: Daph sono io. Vieni in bagno
tra mezz’ora?ho un po’ d’erba dall’altro ieri. Stringo il cellulare in mano
finché non avverto la vibrazione.
Twinkle scrive: dolce mamma Maria!.
Sorrido, ed aspetto.
***
Oggi Shelly è strana.
Accucciata sul banco, col cappuccio della felpa sugli occhi
e il “quaderno degli scarabocchi” davanti, fa quasi paura per quanto sembra una
lupa.
Che ci devo fare, lei è così. Indisponente e umorale. Io lo
so, che di certe cose ne parla solo con i suoi amici, mentre io mi devo
raggranellare i discorsi che facciamo insieme, e sono costretta ad assaporare
solo un lato di Shelly, ma mai la sua autentica essenza.
Un po’ frustrante, a pensarci bene. Ma alla fine può andare
anche così.
Non sono una che esige chissà cosa.
Oggi pomeriggio dovrei uscire con Mag, e la cosa oltre che
impaurirmi mi distrae dalle lezioni e dall’arrabbiatura di Shelly.
“Mia? Ohi, Mia! Ma ci sei?” chiede insistentemente la mia
compagna di banco,strattonandomi.
“Che…che c’è?” le chiedo io di rimando, anche abbastanza
seccata.
“Mentre entravo in classe un tipo mi ha dato questo per te.”
Mi allunga un biglietto piegato e stropicciato, che le strappo dalle mani.
“Un tizio chi, di
grazia?”
“Un tizio alto e magro, con i capelli chiari…biondo cenere,
più o meno. Il nome non gliel’ho chiesto.”
“Shelly mi spieghi come diavolo fai? Cioè, uno ti dà un
biglietto per me, uno che non hai mai visto né conosciuto, e tu nemmeno gli
chiedi come si chiama? Io non ho parole…”la guardo negli occhi, prima di
distogliere lo sguardo, arrabbiata come sono.
“Ehi…e grazie dove
lo metti?” bisbiglia lei da sotto il cappuccio.
“Guarda, è meglio se non te lo dico.” Occhiataccia.
Afferro il foglietto e lo infilo nel diario, col proposito
di aprirlo dopo.
Mag si sarebbe ricordata tutto: com’era vestito, che taglio
di capelli aveva, la forma degli occhi e l’esatta sfumatura di colore, se i
pantaloni avevano la piega o meno e da quanto erano stirati, e senza dubbio gli
avrebbe chiesto nome, cognome, data di nascita, codice fiscale, cognome da
nubile della madre e delle nonne e analisi del sangue recenti.
Mag è divertente. È pettegola, sicuramente, e decisamente
civettuola, ma ha un non so che di accattivante, che me la fa andare a genio.
La verità è che siamo due anime sole. Due pezzi spaiati di
puzzle diversi che si sono magicamente riusciti ad incastrare.
Io ho paura di parlarle di questo bigliettino.
È pericoloso,
questo bigliettino.
Devo fare finta che non mi interessi, devo reprimere
l’eccitazione, e non devo assolutamente conoscere questo ragazzo.
Non mi posso innamorare di questo lui, non potrò mai avere figli, e Dio solo sa quanto mi resta da
vivere. Perché far soffrire qualcun altro?
Bene, tempo cinque minuti ed un ragazzo che corrisponde più
o meno alla vaga descrizione fattami da Shelly bussa educatamente alla porta
della nostra aula con un mazzo gerbere rosse.
“Mi scusi, professoressa, sono qui per consegnare questi
fiori alla signorina Mia O’Connor.”
“Oh…beh…Prego, Peterson, faccia in fretta.”La bocca della
professoressa si contrae in una fessura.
Il ragazzo arriva a lunghe, eleganti falcate verso il banco
di Shelly e mio. Shelly lo saluta con un cenno della mano, articolando le dita,
mentre io sento il cuore scoppiarmi e la bocca secca, che cerco di forzare in
un sorriso.
Si inginocchia davanti a me e mi allunga i fiori, che tento
di accogliere protendendo, tremanti, le braccia. Lui sorride, dolcissimo, e mi
manda un bacio.
“Signorina O’Connor, mi chiamo Robert Petersone vorrei che accettaste questi fiori in
segno di affettuosa simpatia. La prego di perdonare la mia presunzione nello
sperare che lei voglia venire a cena con me venerdì alle 19:00.”mi sussurra all’orecchio.
“S-sì…grazie…grazie…L-le farò sapere s-signor Peters…” non
riesco a finire la frase, che mi lascio cadere in avanti, stringendo ancora il
mazzo di gerbere, e appena capisco di star svenendo sento l’abbraccio di Robert
stringermisi attorno.