Dream 2 Fly

di Son of Jericho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Awake ***
Capitolo 2: *** 02. Bad Bad News ***
Capitolo 3: *** 03. Kingdom HalliwHearts ***
Capitolo 4: *** 04. Where There's a Plan A... There's Always a Plan B ***
Capitolo 5: *** 05. San Francisco, Help Me! ***
Capitolo 6: *** 06. Right Into The Storm ***
Capitolo 7: *** 07. I Can't See The Light ***
Capitolo 8: *** 08. Down To Hell ***
Capitolo 9: *** 09. Stars Off The Sky ***
Capitolo 10: *** 10. Our Own Dark Angels ***
Capitolo 11: *** 11. Game Over ***
Capitolo 12: *** 12. Last Stand ***



Capitolo 1
*** 01. Awake ***


Capitolo 1:
Awake



Si sentiva fluttuare nel vuoto, come se avesse di nuovo il potere di levitare. Circondata dall’oscurità, veniva trascinata da una parte all’altra, senza controllo, da una forza invisibile e misteriosa.
Poi venne riportata sulla Terra, dove realmente era.
Distesa al suolo.
Phoebe aprì lentamente gli occhi, combattendo a fatica contro l’immediato impulso di richiuderli. Gli occhi le bruciavano, e le palpebre, pesanti come saracinesche, sembravano chiederle di rimanere abbassate. Aveva la vista appannata, e tutto intorno a lei era avvolto in una foschia che rendeva ogni sagoma distorta e indistinguibile.
Era talmente confusa che non sapeva nemmeno dove si trovava. Si sentiva male, debole, e riusciva a stento a muovere la testa. Con la lucidità ridotta ancora al minimo, un’inquietante sensazione iniziò a farsi largo nella sua mente: si sentiva separata dal suo corpo, di cui non era in grado di comandare i gesti, ma ai quali poteva solo assistere dall’interno.
Si sentiva come… depersonalizzata…
Phoebe percepì una breve ma potente scossa di adrenalina pervaderle il corpo, e un attimo dopo, il cervello sembrò riaccendersi da uno stato di stand-by. Quell’orribile pensiero l’aveva spaventata a tal punto da farle scattare qualcosa dentro e da farla tornare, almeno parzialmente, in sé.
Restava ancora immobile, ma ora, sopportando l’irritazione agli occhi, poteva cercare di mettere a fuoco ciò che la circondava.
Sbatté un paio di volte le palpebre, e le immagini cominciarono a prendere forma. Quell'arredamento antico, quel disordine destinato a rimanere tale per l’eternità, quegli oggetti accatastati… anche se ruotati di 90° verso est, Phoebe li avrebbe riconosciuti tra mille.
Era in soffitta. La sua cara vecchia soffitta.
Phoebe giaceva sopra un tappeto, rannicchiata in posizione fetale, a pochi passi dal treppiede che reggeva il Libro delle Ombre.
Sapere di essere a casa la rese un po’ più tranquilla, ma il senso di sollievo sparì quasi subito. Adesso c’era un altro problema, e non di poco conto: perché si trovava in soffitta in quelle condizioni? Che cosa le era capitato?
Ma Phoebe sapeva che, nella posizione in cui era, non avrebbe potuto rispondere a quelle domande. Ormai ne aveva abbastanza di stare a terra, e aver scoperto di essere in un luogo conosciuto, e per quanto ne sapeva anche sicuro, le aveva conferito una rinnovata forza. Fece appello a tutte le sue energie e riuscì a tirarsi su. Si mise in ginocchio, convinta che se si fosse alzata in piedi le gambe, che quasi non sentiva, non avrebbero retto il suo peso.
Solo quando ebbe raggiunto la nuova posizione, si rese conto che la testa le stava scoppiando. Era come se il cervello stesse tentando di evadere, e stesse provando a sfondare le pareti del cranio con un ariete. Phoebe richiuse gli occhi per contrastare il bombardamento in atto nella sua testa, e cercò di concentrarsi. Non capiva cosa potesse essere accaduto, e quel che era peggio era che non ricordava assolutamente niente. La sua mente brancolava nel buio più totale. Si impegnò a scandagliare ogni angolo dell’oceano della memoria, ma ogni volta l’amo tornava in superficie senza preda. E quell’insopportabile emicrania di certo non aiutava.
Mentre inseguiva inutilmente qualche vago ricordo, Phoebe si sentì travolgere da un tanfo pestilenziale che le provocò un attacco di nausea e le fece perdere il senso dell’orientamento. Era un odore aspro e penetrante, che le si insinuò nelle narici incendiandole la gola e accentuando il bruciore agli occhi. Un odore che lei conosceva, e anche molto bene.
Zolfo?
Perché l’aria era impregnata di zolfo? Che diavolo era successo?
Ma ancora una volta il flusso dei suoi pensieri subì una brusca interruzione. All’esterno, per la strada, un clacson iniziò a suonare furiosamente, seminando il panico nel traffico e rompendo il silenzio che regnava nella soffitta. Poi si udì un boato. Il clacson si zittì, sostituito dal fragore di vetri rotti, lamiere accartocciate, e grida di passanti che avevano assistito ad un pericoloso incidente.
Phoebe si piegò in avanti, stringendo i denti. Tutto quel frastuono, anche se lontano da lei, non aveva fatto altro che intensificarle il mal di testa, fino a renderlo non più sostenibile. Si portò le mani alle tempie in cerca di sollievo da quel pulsare che le impediva anche di ragionare, ma nel movimento, accusò un’improvvisa fitta al braccio destro. Preoccupata, si voltò a guardare il punto dal quale era partita, e con estrema sorpresa, scoprì che la manica della camicetta, poco sotto la spalla, era macchiata di sangue. Con la mano sinistra si premette il braccio, più per istinto che non per effettiva necessità: le faceva male, ma quel dolore era decisamente più lieve di quello che le stava opprimendo il cervello. Evidentemente, non era niente di grave.
Ad ogni modo, seriamente o no, era stata ferita. Come aveva fatto a non accorgersene?
Proprio in quel momento un altro rumore giunse alle sue orecchie, causandole l’ennesima esplosione nella testa. Per le scale, passi rapidi e sempre più vicini rimbombavano come zoccoli di cavallo contro una campana.
- Phoebe! -
Piper e Paige comparvero sulla soglia, trafelate e agitate, e si precipitarono da Phoebe.
- Phoebe! - ripeté Piper, accovacciandosi davanti a lei e fissandola dritta negli occhi. - Come stai? -
Phoebe era più che felice di sentire la voce apprensiva della sorella, ma la confusione non si era ancora dipanata. - Non… lo so. - balbettò.
Paige si guardò intorno studiando la situazione, e lo stesso fece Piper, finché non vide il sangue.
- Ma tu sei ferita! -
Phoebe scosse il capo, ostentando grande controllo pur non sapendo di cosa si trattava. - E’ solo un graffio. - poi, con una certa impazienza, si rivolse ad entrambe le sorelle. - Che cos’è successo? -
Ma Piper stava pensando a tutt’altro. Si girò verso Paige, che era alle sue spalle. - Puoi guarirla? -
- Credo di sì. - Paige si inginocchiò accanto a Phoebe e impose le mani sopra la parte insanguinata. I palmi iniziarono ad emanare un bagliore dorato, e il suo potere curativo, derivante dal suo essere per metà angelo bianco, entrò in azione. Dopo alcuni secondi, però, Paige aggrottò la fronte e l'espressione si fece dubbiosa.
Piper colse istantaneamente quel gesto di perplessità, che la rese ancora più ansiosa. - Che c’è? Non sta funzionando? -
- Sì, ma ci sta mettendo più del solito. -
- Qualcuno vuole spiegarmi, per favore, cos’è successo? - eruppe Phoebe, seccata dal fatto che nessuno la stesse ad ascoltare.
L’attenzione di una stupita Piper venne finalmente catturata. - Non lo ricordi? -
- No. -
- Siamo state attaccate da un demone. - sentenziò Paige, mantenendo gli occhi bassi sul braccio di Phoebe, e sbrigativa come se stesse parlando del postino che ha suonato il campanello.
Piper capì che toccava a lei chiarire, e cominciò la spiegazione con un tono particolarmente tragico. - Ci ha colto di sorpresa. Ci è apparso alle spalle e, senza che potessimo reagire, ha scaraventato me e Paige contro il muro. Per fortuna, tu eri più lontana e non sei stata colpita. Sei corsa qua in soffitta per pronunciare l’incantesimo che avrebbe eliminato il demone, e a quanto pare, lo hai fatto appena in tempo. -
Ora che l’intervento di Paige le stava attenuando anche il mal di testa, Phoebe riprovò a scavare nella memoria in cerca di indizi che confermassero ciò che aveva raccontato sua sorella, ma di ricordi non vi era neanche l’ombra. Per scoprire cosa le era accaduto, o almeno provarci, poteva fare affidamento esclusivamente alla sua fervida immaginazione.
Probabilmente il demone l’aveva seguita fino in soffitta, dove avevano avuto uno scontro e lei era rimasta ferita. Ma nonostante questo, era riuscita a raggiungere il Libro delle Ombre, recitare l’incantesimo ed eliminarlo. Questo avrebbe senz’altro spiegato l’odore di zolfo, dovuto al demone finito in fiamme. E poi, per qualche motivo ancora ignoto, era caduta, aveva battuto la testa e aveva perso la memoria.
- Però è strano. - intervenne Paige, che intanto aveva terminato di curare la ferita. Le altre due le lanciarono uno sguardo a dir poco interrogativo.
- Voglio dire: questo demone è spuntato all’improvviso, e noi non siamo neanche riuscite a difenderci. Eppure sapevamo che sarebbe arrivato, Phoebe aveva avuto una premonizione su di lui. E sono sicura che non era così che doveva andare. -
Piper e Phoebe continuavano a seguirla in silenzio e con attenzione, in attesa che raggiungesse il suo punto.
Paige proseguì. - Quello che non capisco è perché non abbia rispettato ciò che veniva mostrato nella premonizione. So che è già accaduto in passato, ma eravamo sempre state noi a modificare il corso degli eventi, non un demone. Che cosa avevi visto, Phoebe? -
- Ricordo a malapena il mio nome, e dovrei ricordarmi cosa c’era nella premonizione? -
- Prova a concentrarti. - la esortò anche Piper. - Potrebbe essere importante. -
Phoebe chiuse gli occhi e si focalizzò completamente sul suo potere, pronta a rievocare quella visione di cui non aveva alcuna traccia mnemonica. Ma se davvero l’aveva avuta, come diceva Paige, allora doveva essere da qualche parte. In fondo, le premonizioni non avevano nulla a che fare con l’amnesia, e come aveva scoperto quando avevano sconfitto il demone dei dejà vu, qualche anno prima, il suo potere di vedere nel passato e nel futuro era in grado di resistere a qualsiasi manipolazione della memoria.
Phoebe si preparò a trasalire, come ogni volta che aveva una premonizione, e invece…
Niente.
Fece un altro tentativo, ma anche questo andò miseramente a vuoto. Non ricevette segnali di risveglio, e nessuna immagine si manifestò.
Phoebe tornò a guardare le sorelle, che stavano aspettando che lei dicesse qualcosa, ma tutto ciò che poté fare fu scrollare la testa sconsolata e delusa.
- Il Libro delle Ombre! - esclamò Paige. - Due giorni fa hai avuto la premonizione toccando una pagina del Libro. Perché non ci riprovi? Potrebbe funzionare! - Anche Piper annuì.
A tutte sembrava una buona idea, tranne a Phoebe: per quanto provasse a condividere la fiducia delle sorelle, un cattivo presagio continuava a impedirglielo.
Phoebe venne aiutata ad alzarsi; con passo incerto e barcollante si diresse verso il treppiede, mentre un piccolo brivido di paura iniziava correrle lungo la schiena.
Quando fu davanti al Libro delle Ombre, vide che era aperto proprio ad una pagina in cui c’era l’incantesimo per eliminare un demone di basso livello, quasi sicuramente quello che le aveva attaccate.
Titubante, avvicinò la mano al Libro, cercando in tutti i modi di mantenere acceso l’ultimo barlume di speranza che le era rimasto.
Toccò la carta, svuotando la mente e lasciandosi andare.
Niente.
Black out.
Phoebe sentì il brivido diffondersi inarrestabile dentro di lei. - Ragazze. - il tono tradiva tutta l’angoscia di chi non vorrebbe dire una cosa, ma è costretto a farlo. - Il mio potere non funziona. -

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Capitolo 2
*** 02. Bad Bad News ***


Capitolo 2:
Bad Bad News



Paige entrò di corsa nel soggiorno, dove si erano riuniti Piper, Phoebe e Leo, folgorata da un’illuminazione. - Ricordate cosa ha urlato il demone, prima di rincorrere Phoebe su in soffitta? -
Piper fece una smorfia. - Io non ho sentito niente. Ero troppo impegnata ad essere scagliata da una parte all’altra della stanza. - Leo, seduto al suo fianco, sogghignò.
Phoebe si indicò la testa e si strinse nelle spalle. - Io non ricordo nemmeno che aspetto aveva. - poi simulò un sospiro dispiaciuto. - Anche se fosse assomigliato a George Clooney, non potrei saperlo. -
- Tranquilla, non ti sei persa un granché. - le disse Piper scuotendo il capo.
- Era brutto? -
- Abbiamo mai incontrato un demone carino? -
- Beh, uno sì, anche se era mezzo umano… -
- Alt! Non lo voglio sentire nemmeno nominare. Comunque, diciamo solo che non era niente in confronto al mio Leo. - Piper iniziò a lanciare al marito una serie di sguardi complici e di classici sorrisi da innamorati, mentre Phoebe osservava divertita quella che per lei era la coppia più felice del mondo.
- Scusate se vi disturbo. - Paige provò a riprendere la parola, alzando la mano come a scuola. - Possiamo tornare alla mia idea? -
Piper interruppe l’idillio con Leo e riportò l’attenzione sulla sorella. - Certo, scusa. Insomma, che ha detto? -
- “Il Magno vi annienterà!” -
- Questi demoni dovrebbero rinnovare il loro repertorio. - sussurrò Piper a Phoebe, mettendosi una mano davanti alla bocca come se non volesse farsi vedere. - Stanno diventando davvero monotoni. -
Leo, intanto, sembrava l’unico intento a riflettere sulle parole del demone. - “Il Magno vi annienterà”? Che dovrebbe significare? -
- Che questo demone, oltre a soffrire di manie di grandezza come tutti gli esseri malvagi, ha anche il vizio di parlare di sé in terza persona. - scherzò Phoebe.
- Io non credo che si stesse riferendo a sé stesso. - la corresse immediatamente Paige. - Non aveva l’aria di essere così… “grande”. -
- Perché? Assomigliava forse a Danny DeVito? - Phoebe poteva aver perso la memoria, ma di certo non aveva perso la voglia di fare dell’ironia, anche quando si trattava di demoni.
Paige finse una risata e scelse di ignorarla. Non pareva esattamente in vena di battute, e inoltre aveva la vaga impressione che nessuno la stesse prendendo sul serio: Piper era più interessata ad ammirare il suo Leo, mentre Phoebe stava prendendo a cuor fin troppo leggero l’intera faccenda. Non che le desse effettivamente fastidio, ma un minimo di considerazione era forse chiedere troppo?
- No, intendevo… -
- Paige, perché ti stai preoccupando così tanto? - la interruppe duramente Piper, come se avesse fretta di mettere fine a quel discorso. - Lo abbiamo eliminato, no? Sono io quella che si preoccupa, e in questo momento non lo sto facendo. Perché vuoi farlo tu? -
Paige sembrò prendere quella domanda come una sfida personale, e l’accettò. - Perché potrebbe esserci qualcos’altro dietro l’attacco di questa mattina. -
Piper capì dove voleva arrivare. - Ok, questo potrebbe essere un buon motivo. - e d’un tratto la questione diventò della massima urgenza. - Stai dicendo che quel demone potrebbe essere stato mandato qui da qualcuno? -
- Esatto. Non sarebbe la prima volta. -
- No, infatti. - “Ecco, lo sapevo. Mai che si possa avere un attimo di pace in questa casa.”
Se Paige aveva ragione, e in quanto a intuizioni raramente sbagliava, allora la situazione diventava davvero delicata: quello non era stato il semplice attacco di un demone qualunque, ma stava a significare che erano finite di nuovo nel mirino di un essere potente. E l’esperienza aveva insegnato loro che con gli esseri potenti, puntualmente arrivavano anche le complicazioni.
Piper si alzò sbuffando. - E visto che non abbiamo idea di chi o cosa si tratti, sarà meglio non perdere tempo. - “Prima lo togliamo dalla circolazione, prima potrò tornare alla mia vita familiare.” - Sappiamo solo che si chiama “Magno”… - si fermò improvvisamente e si voltò verso Phoebe, puntandole contro il dito. - E adesso contieniti dal fare battute sul fatto che è affamato. -
Phoebe si mostrò sorpresa e assunse un aria da angioletto innocente. - Quali battute? -
- Magno… mangio… affamato… lo sai. -
Phoebe girò la testa dall’altra parte. - Non so di cosa tu stia parlando… - ma in realtà, quel gesto serviva solo a non far capire a Piper che l’aveva scoperta. In effetti aveva pensato a qualche battuta del genere, ma le avrebbe lasciate per un altro momento.
Piper, che sembrava aver preso in mano le redini come un vero capitano, ripartì: - Dobbiamo consultare il Libro delle Ombre, forse lì c’è qualcosa che ci può aiutare. -
Paige annuì. La caccia al demone era ufficialmente iniziata. - Io farò un salto alla scuola di magia. -
Ed ecco che, come ogni volta che si presentava un nuovo demone, si ripeteva la stessa scena, in cui l’intraprendenza delle ragazze andava a scontrarsi con una routine ormai affermata: Piper e Phoebe a controllare il Libro delle Ombre, Paige alla scuola di magia ad esaminare qualche antico tomo, e Leo… a girovagare senza poteri.
Paige era già pronta ad orbitare, ma proprio un istante prima che partisse, Piper la fermò.
- Aspetta. - fece un cenno frettoloso al marito e lo invitò a tirarsi su. - Puoi portare Leo con te? Magari potreste controllare Wyatt e Chris, che sono rimasti là. Vorrei essere sicura che stiano bene. -
“Chi è adesso quella che non si stava preoccupando?” pensò Paige chiamando accanto a sé Leo. - Nessun problema. -
Anche Phoebe, per non sembrare meno battagliera delle sue sorelle, si alzò in piedi e batté le mani come a voler suggellare il piano. - Bene, allora: mentre Prue e Leo vanno alla scuola di magia, io e Piper… - si bloccò quando si accorse che tutti la stavano fissando con occhi sgranati.
- Che c’è? - Nessuno fiatò. Poi, come un flash, Phoebe si rese conto del clamoroso errore. - Paige… volevo dire Paige! - Provò a ricorrere al suo proverbiale sorriso furbetto e imbarazzato che cerca di essere convincente e rassicurante, ma ormai il danno era fatto.
Paige la stava fulminando con tutta la forza che aveva, la sua espressione era mutata radicalmente, e il suo sguardo era pieno di stati d’animo uno più ostile dell’altro.
Uno sguardo che nessuno vorrebbe mai vedere negli occhi della propria sorella. - Come mi hai chiamata? - anche il tono della voce si era indurito.
Nella stanza l’aria sembrava essersi fatta irrespirabile, Leo e Piper continuavano a lanciarsi occhiate incredule, ma era come se nessuno avesse il coraggio di parlare.
- Scusa… - Phoebe provò timidamente a giustificarsi. - Sarà stato un banale lapsus Freudiano… -
- Non aggrapparti ai tuoi studi di psicologia! - “Come se fossi l’unica sulla faccia della Terra ad avere una laurea!”
- Sai com’è: la testa… l’amnesia… - Phoebe fece un ulteriore tentativo, ma era già troppo tardi.
- Io non credo! - tagliò corto Paige, poi si voltò verso Leo e gli ringhiò contro: - Andiamo! -
Per la verità, Leo avrebbe preferito che quel diverbio si concludesse con un chiarimento tra le due, ma prima che potesse dire qualcosa o almeno salutare la moglie, Paige lo afferrò rabbiosamente per un braccio e insieme svanirono in un turbine di luci bianche e azzurre.
Una volta che Piper e Phoebe furono sole, il tempo per loro sembrò bloccarsi. Entrambe se ne stavano immobili e in silenzio, come catturate in un fotogramma.
Piper era ancora scioccata da come le cose avessero preso una tale brutta piega in così poco tempo: un attimo prima le sue sorelle erano pronte a combattere un demone, un attimo dopo parevano sul punto di volersi tirare i capelli.
Erano bastate appena quattro lettere per scatenare un putiferio.
In qualità di sorella maggiore, Piper si sentiva in dovere di fare il possibile per superare quella fase di stallo, ma purtroppo non aveva idea di quali parole usare con Phoebe. E in realtà, non era nemmeno sicura se avesse dovuto dire qualcosa o no.
Cercò almeno un contatto visivo con la sorella, ma Phoebe continuava ad evitare ogni sguardo e a fissare il punto in cui fino a qualche istante prima erano Paige e Leo.
La reazione di Paige aveva lasciato Phoebe completamente spiazzata, quasi frastornata.
Sapeva che probabilmente l’aveva combinata grossa, e le dispiaceva tantissimo, ma era anche convinta che Paige avesse esagerato. Aveva sollevato un polverone, e non ce n’era alcun bisogno. Quello non era proprio il momento di mettersi a litigare. A quanto pareva, avevano cose più importanti a cui pensare.
Per esempio, a colui che indirettamente aveva provocato quel caos.
Phoebe si diresse decisa verso le scale, lasciando indietro anche Piper. - Andiamo in soffitta e scoviamo questo demone. -
Mentre saliva, i suoi pensieri tornarono all'attacco di quella mattina, alla caduta che le aveva fatto perdere la memoria, alla ferita al braccio, e inevitabilmente anche alla discussione con Paige. - Metterò pure questo sul suo conto. -

In quel momento, mentre le Halliwell cercavano di gestire lo spiacevole quanto inaspettato inconveniente, negli inferi si registrava un grande fermento.
Una nutrita folla di demoni, tutti vestiti rigorosamente di nero, si era accalcata e aveva occupato una delle grotte più grandi del mondo sotterraneo.
L’ambiente, come tutto il resto d’altronde, era tetro e lugubre, rischiarato solamente dalla luce fioca di qualche braciere sparso qua e là. Sulle pareti di roccia rosso corallo, grondanti liquidi indefiniti, erano proiettate almeno una cinquantina di ombre, una vicina all’altra.
Sembravano in attesa di qualcosa, o di qualcuno. Davanti a loro, però, c’era solo una fiaccola spenta piantata nel terreno, e nient’altro.
La maggior parte dei demoni restava in silenzio, e anche quelli che parlavano lo facevano a voce bassa, come per una sorta di timore reverenziale. La sensazione era che avessero quasi paura di alzare troppo il tono e di disturbare qualche entità invisibile.
A un tratto la fiaccola si accese da sola, sprigionando una fiamma alta e vigorosa, e il mormorio generale di colpo tacque, lasciando a echeggiare nella caverna solo il crepitio del fuoco.
Era il segnale.
La terra oltre la torcia tremò, e dal suolo cominciò lentamente ad innalzarsi una colonna di fuoco che ruotava vorticosamente su sé stessa.
Una volta raggiunta la superficie, questa ridusse la velocità, fino a fermarsi ed assumere le sembianze di un uomo calvo e molto magro, che indossava una tunica nera e aveva una fascia color oro legata attorno alla vita.
L’individuo si mise a scrutare il gruppo di demoni, passando in rassegna ogni volto come a voler studiare con attenzione chi avesse di fronte.
Poi, quando fu soddisfatto di ciò che stava vedendo, esibì un diabolico sorrisetto e chinò il capo.
Non era solo.
La caverna fu colpita da un’altra scossa sismica, che annunciò l’arrivo di un nuovo vortice incandescente. Rispetto al precedente, però, questo secondo era diverso: era più grande e imponente, e al suo interno schioccavano delle scintille blu simili a scariche elettriche.
Quando le fiamme si arrestarono, a fianco dell’individuo calvo si manifestò un essere più oscuro e inquietante di quanto fossero tutti gli altri demoni messi insieme.
Aveva una corporatura possente e maestosa, e portava una tuta nera aderente dalle bordature scarlatte che sembrava fatta apposta per mettere in evidenza il fisico; le spalle erano coperte da un lungo mantello dorato, mentre un cappuccio rosso calato sulla fronte rendeva impossibile vedergli il viso, che rimaneva avvolto nell'ombra.
Riusciva ad incutere timore anche solo a guardarlo, e infatti, tutti i demoni si limitavano ad stare in religioso silenzio, con il solo dovere di ascoltare.
Per certi versi, ricordava la Sorgente originale.
Ma quell'essere spaventoso si era recato negli inferi per una ragione ben precisa, e adesso tutti stavano aspettando con una strana ansia che lui parlasse e spiegasse loro perché erano stati convocati.
La voce dell'essere tuonò nell'intera caverna, e forse anche in quelle adiacenti. - L'ultimo messaggero ha fallito. -
Dalla schiera di sudditi, come era facile prevedere, non giunse alcun commento.
Passarono una decina di secondi, prima che l'essere riprendesse. - Chi era l'amico di Den? -
Quella richiesta, che apparentemente era senza significato, ebbe però l’effetto di pietrificare tutti i presenti, anche perché il tono con il quale era stata espressa assomigliava più a una minaccia che altro.
- Coraggio! - li esortò anche l’individuo calvo, braccio destro dell’essere spaventoso.
Alcuni demoni si guardarono confusi tra loro, ma nessuno muoveva un muscolo.
Poi, dal folto gruppo, si fece avanti un ragazzo piuttosto giovane, con i capelli biondi pettinati all’indietro. Con passo insicuro, come se avesse i piedi ricoperti di cemento, superò la fiaccola e si presentò davanti ai due che lo avevano chiamato.
- Tu sei colui che lo aveva raccomandato per la missione? - chiese l’essere, freddo e imperscrutabile come un professore ad un esame.
Il ragazzo deglutì a fatica a annuì al rallentatore.
- Che cosa avevo detto a Den prima che partisse? -
Il giovane esitò a lungo, prima di rispondere. - Che se avesse fallito… lo avrebbe eliminato. -
- E cosa ha fatto? - la voce dell’essere, con l’andare dei minuti, appariva sempre più bassa e cupa, capace di far tremare anche le rocce.
- Ha… fallito. -
- Bravo. E quindi è arrivato il momento di… -
- Ma… - anche balbettando, il giovane ebbe l’ardire di interrompere l’essere spaventoso. - Den è già stato eliminato dalle Halliwell! -
- Ciò che dici è vero… -
L’essere posò la mano destra sul petto del ragazzo, come un padre che rimprovera amorevolmente il figlio che ha commesso una stupidaggine.
- Ma ha anche rivelato alle Prescelte di noi. E qualcuno deve essere punito per questo. -
In quel preciso istante, forse per la prima volta nella sua esistenza, il demone biondo sperimentò cosa fosse veramente la paura.
Il problema, soprattutto per lui, era che di amorevole in quell’essere spaventoso non c’era assolutamente niente. E in quella mano, al posto dell’affetto, c’era una palla di fuoco.
Un forte calore trafisse il giovane alla bocca dello stomaco, mozzandogli il fiato. Il fumo iniziò rapidamente ad avvilupparlo, mentre lui si contorceva in smorfie e rantoli di dolore, e la sua pelle veniva sfigurata dal viola di vene e arterie gonfiate e spinte in superficie.
E quando i suoi occhi sbarrati si persero nel buio sotto il cappuccio dell'essere, fu la sua fine. Disintegrato dalla sfera infuocata che si era insinuata dentro il suo corpo.
- E io mantengo sempre la parola. - affermò l'essere ad opera compiuta, soddisfatto per aver dato una lezione ai suoi sudditi.
“Punirne uno per educarne cento.”
Poi si voltò verso il suo braccio destro, che aveva assistito a tutta la scena con un ghigno sadico.
Era il momento della classica dichiarazione solenne: - Le Halliwell potranno aver vinto una battaglia, ma non vinceranno mai la guerra. -

 

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Capitolo 3
*** 03. Kingdom HalliwHearts ***


Capitolo 3: Kingdom HalliwHearts



Immersa nel silenzio, la soffitta di villa Halliwell assomigliava all’aula di una biblioteca comunale.
Piper era in piedi davanti al treppiede a sfogliare il Libro delle Ombre e a leggere attentamente ogni riga di ogni pagina; Phoebe, invece, se ne stava seduta in poltrona, con aria quasi distratta, e faceva oscillare lo sguardo ora fuori dalla finestra, ora verso il pavimento. Era partita in quarta quando era salita in soffitta, ma poi si era placata e aveva lasciato che fosse Piper ad occuparsi della ricerca.
Ora restava solo da attendere un responso.
I minuti parevano interminabili. Il fruscio delle pagine svoltate inutilmente suonava come i passi di una nuova minaccia che si stava avvicinando a loro.
- Eccolo! - esclamò all’improvviso Piper, facendo sobbalzare Phoebe sulla poltrona. Poi si ritrasse all’indietro, aggrottando la fronte. - Oh, questo è uno nuovo. -
- Chi è? -
- Gino… -
Phoebe si girò di scatto verso di lei inarcando le sopracciglia. - Cosa? Il demone si chiama “Gino”? - le sfuggì una risata. - E chi è, il demone pensionato? Come poteri ha una dentiera magnetica e un bastone allungabile? -
- Molto divertente… - Piper si sporse in avanti strizzando gli occhi. - No, aspetta, ho letto male. -
Phoebe scosse il capo, continuando a sghignazzare. - Eh, questa è la vecchiaia… -
- Io non sono vecchia! - squillò stizzita Piper.
Phoebe sapeva benissimo di averla punta sul vivo. - Ma sei la sorella maggiore, il che significa che sarai la prima ad invecchiare. -
Piper si fece più seria. - Già, ma ho l’impressione che se non ci sbarazziamo di questo demone al più presto, nessuna di noi tre avrà la possibilità di invecchiare. -
Abbassò gli occhi sul Libro, per poi rialzarsi subito dopo. C’era una domanda che le ronzava in testa da diversi minuti, e forse quello era il momento di buttarla fuori. - A proposito di noi tre. - si prese un secondo prima di sganciare la bomba. - Perché hai chiamato Paige con il nome di Prue? -
Phoebe distolse lo sguardo per non dover sostenere quello interrogatorio di Piper. Immaginava che prima o poi l’argomento sarebbe saltato fuori, ma sembrava comunque metterla a disagio. D'accordo, aveva confuso il nome della sorella, e allora? Non le sembrava così grave. C'era davvero bisogno di farne un caso di stato?
- Non lo so. -
Piper socchiuse gli occhi, evidentemente non del tutto convinta, e proseguì nel suo tentativo di estorcerle una spiegazione. - Non era mai successo. -
Phoebe fece un lungo sospiro. - Non so che dirti. Probabilmente il mio cervello e la mia memoria hanno voluto giocarmi un brutto scherzo. -
- Paige non l’ha presa bene. -
Phoebe, a quel punto, parve innervosirsi da tale insistenza. - Certo che non l’ha presa bene, me ne sono accorta! Ma le ho chiesto scusa, che altro dovrei fare? - vide che Piper non rispondeva. - Le passerà, tranquilla. Le liti tra sorelle esistono fin dalla notte dei tempi, e noi lo sappiamo bene. -
- Forse dovresti parlarle. -
Phoebe annuì. - Lo farò. - poi, mostrando una certa fretta di cambiare discorso, indicò il Libro delle Ombre. I demoni, a volte, erano più gestibili delle grane familiari. - Ma adesso sarà meglio tornare al nostro amico “Gino”… -
Piper riportò la concentrazione sulla pagina che aveva davanti. - Allora, si chiama “Jiroke”. - marcò particolarmente il nome, lanciando a Phoebe un'occhiata acida. - E’ un demone imperatore e, senti qua, è soprannominato “il Magno” in onore di Carlo e Alessandro Magno. -
- Abbiamo un demone che è andato a scuola? - il commento cadde nel vuoto.
- Da più di un secolo e mezzo cerca insistentemente di conquistare tutto il pianeta. Il suo obiettivo è quello di diventare l'essere più potente dell'universo e di fondare uno sconfinato impero, degno dei più grandi regnanti della storia, di cui lui sarebbe il sovrano assoluto. -
- Chissà perché non mi sorprende... Ma perché non abbiamo mai sentito parlare di lui? -
- Perché sembra che fino ad oggi si sia scontrato solo con altri demoni. Qui dice che dopo aver preso il controllo di circa tre quarti del mondo sotterraneo, sconfiggendo alcuni tra gli esseri più potenti, ora mira ad impadronirsi anche di quello in superficie. -
Phoebe strinse il pugno e lo sollevò in aria, mimando un soldato pronto alla battaglia. - E, ovviamente, noi siamo qui per impedirglielo. -
- Ma non è tutto: pare che questo Jiroke, proprio come gli antichi imperatori, si serva di un esercito personale, formato da demoni di vario tipo, per combattere guerre contro i rivali, presidiare i confini e invadere nuovi territori. -
Phoebe drizzò le antenne, quando una lampadina sembrò accendersi nella sua testa. - Il demone che ci ha attaccato stamattina faceva parte di questo esercito? -
Piper storse la bocca e si strinse nelle spalle. - Potrebbe. -
Phoebe iniziò a riflettere sulle informazioni che aveva appreso, ma nessuno di quei pensieri le piaceva. “Se il demone vuole il nostro mondo... e ha inviato la sua armata per occuparlo...”
Si voltò verso Piper, allarmata e speranzosa, per una volta, di essersi sbagliata. - Mi stai dicendo che dovremmo attenderci un’invasione di demoni? -
Phoebe fece appena in tempo a finire la frase, che davanti alla finestra comparve dal nulla un individuo con la barba e un giaccone nero.
Dal suo palmo prese forma una palla di fuoco, con la quale iniziò a giocare facendola rimbalzare su e giù. Sorrideva alle due sorelle con aria di sfida, ma a dire la verità, non sembrava avere alcuna intenzione di attaccarle.
- Piper! - urlò Phoebe.
Pur non essendo pienamente sicura di cosa volesse il loro nemico, Piper preferì non rischiare. E prima che il demone potesse fare qualunque mossa, lei stese le mani e lo fece esplodere in una miriade di pezzi.
Piper e Phoebe si scambiarono un’occhiata perplessa, ma non ebbero il tempo di dire una parola, perché subito dopo, e nello stesso punto del demone, apparve un altro essere, avvolto in una nuvola di fumo e armato di una balestra. Era vestito come l'altro, ma a differenza del suo predecessore, questo appariva più agguerrito e, se possibile, anche più cattivo.
L'angelo nero alzò immediatamente la balestra e la puntò contro Phoebe.
- Piper? - immobile sulla poltrona a fissare la freccia rivolta a lei, Phoebe invocò l’intervento della sorella.
E Piper rispose presente. Come un duello nel vecchio west, con un riflesso felino anticipò il colpo dell’angelo nero e lo ridusse in cenere.
- Grazie. - fece Phoebe, tirando un sospiro di sollievo dopo un paio di secondi di apnea.
Piper, innervosita, poggiò le mani sul Libro. - Un demone, un angelo nero… - iniziò a pensare ad alta voce al possibile collegamento tra i due, rimanendo però all’erta per tutto ciò che la circondava, come se si aspettasse da un momento all’altro di dover aggiungere nuove voci a quella lista.
A un tratto esplose in un grido che fece sobbalzare Phoebe per la seconda volta. - Qualcun altro ha voglia di farsi una visita guidata nella nostra soffitta? - Aveva urlato talmente forte che sembrava volesse far arrivare il suo invito non solo ai demoni del sottosuolo, ma addirittura anche agli Anziani negli alti cieli.
Tuttavia, quando qualche secondo dopo vide che nessuno si faceva vivo e che l’attacco, uno dei più rapidi che avessero mai affrontato, era cessato, placò la sua ira.
Guardando il punto in cui si erano manifestate le due creature malvagie, Piper si ripeté mentalmente la domanda che Phoebe le aveva fatto poco prima.
“Un’invasione?” - Sembra proprio di sì. -


In una località sconosciuta, irraggiungibile e ignota ad ogni forza del bene o del male, sorgeva l’imponente reggia del demone Jiroke.
Si trattava di un castello alto oltre quaranta metri, costruito in stile medievale, ed evidentemente sottoposto ad un incantesimo che lo manteneva in ottime condizioni nonostante gli anni.
L’ingresso era affidato ad un gigantesco portone di legno che resisteva ancora intatto, e le pareti di roccia, spesse e fortificate, erano levigate e prive di segni del tempo.
Ai lati due torri di avvistamento, merlate e gemelle, si levavano alte sopra ogni cosa ed erano assegnate a una coppia di demoni posti di vedetta.
Un fiumiciattolo dall’acqua torbida e grigiastra prendeva il posto del più classico fossato, mentre il perimetro era protetto, invece che da una cinta di mura, da una barriera invisibile di magia nera.
Un ostacolo insormontabile contro il quale si erano infranti tutti i tentativi di assalto da parte di legioni nemiche.
Tanti erano stati i fallimenti e tanti erano gli esseri che si rifiutavano anche solo di avvicinarsi, che ormai nel mondo degli inferi la fortezza di Jiroke veniva definita “assolutamente inespugnabile”.
L’interno contava quasi quattrocento locali di qualsiasi tipo e finalità: dalle cucine alle stanze per l’addestramento dei soldati, dalle camere alle sale per le riunioni strategiche, dagli ambienti oscuri in cui concentrare il potere demoniaco, alle celle sotterranee per i prigionieri di guerra.
Ma la stanza più importante, la più grande e la più elegante era senza dubbio il salone regale. Conteneva tutto lo sfarzo che un imperatore possa desiderare: era arredata con lampadari di cristallo, candelabri d’oro e tappeti pregiati, era ornata con gioielli e affreschi, e addirittura, negli angoli erano presenti delle statue in marmo di famosi condottieri antichi.
E soprattutto, ospitava il trono dell’imperatore, sul quale Jiroke era seduto in attesa di aggiornamenti.
A un tratto, accompagnato dalle fiamme, un demone calvo si materializzò a pochi metri da lui.
Hewon, il braccio destro dell’imperatore, si portò davanti al trono e si inchinò in segno di rispetto e di sudditanza.
Jiroke gli fece segno di alzare la testa.
Hewon ubbidì. - Signore, porto notizie dalle sentinelle. -
- Perché loro non sono qui? - la voce cavernosa del sovrano echeggiò nell’enorme sala.
- Le Halliwell le hanno uccise. Ma sono comunque riuscite a svolgere il loro compito. -
- Cosa hanno riferito? -
- Le Prescelte sanno di noi. - fece una pausa, intimorito, fissando il suo imperatore. - Sanno di voi. -
Jiroke non si mosse, come se quelle parole lo avessero appena sfiorato. - Non è un problema. - si limitò a dire.
- Ma adesso cercheranno sul loro Libro un modo per eliminarvi. - ribatté Hewon, mantenendo comunque una certa riverenza. - E presto potrebbero trovarlo. -
- Ti ho detto di non preoccuparti. - Jiroke aveva assunto un tono minaccioso, ma allo stesso tempo quasi beffardo. - Io ho tutto sotto controllo. -


- Sappiamo che aspetto ha? - domandò Phoebe.
Piper lanciò un'occhiata alla pagina e scosse il capo. - No, solo il nome. Nessuna immagine.-
- Strano. - osservò Phoebe, abbastanza confusa.
- Molto strano. - ripeté Piper, che sembrava essere rimasta davvero impressionata da quello che aveva letto. Nonostante negli anni ne avessero viste di tutte i colori, questo demone era riuscito a suscitarle una strana sensazione, tutt'altro che positiva.
Phoebe guardò per un istante fuori dalla finestra, prima di voltarsi di nuovo verso la sorella. - C'è scritto almeno come eliminarlo? -
- Sì, quello sì... - Piper abbassò gli occhi ed ebbe un'insolita esitazione. - Anche se nessuno c'è mai riuscito. -
- Questo perché ancora non erano scese in campo le famigerate sorelle Halliwell! - Phoebe si alzò e andò incontro a Piper. - Prepariamo una pozione? -
- E' un demone di livello superiore, non sarà sufficiente una pozione. -
Mentre parlava, Piper si accorse che Phoebe si era avvicinata al treppiede, aveva posato una mano sul Libro delle Ombre e aveva chiuso gli occhi.
- Una premonizione? -
Phoebe contrasse tutti i muscoli della fronte per provare a concentrarsi ulteriormente, per poi rilassarli poco dopo, rassegnata.
- No. Ancora niente. -
Piper avrebbe voluto rassicurarla dicendole che le sue premonizioni sarebbero tornate presto, ma le parole le rimasero bloccate in gola.
Phoebe riaprì gli occhi. - Se non con una pozione, come dovremmo fare? -
Piper guardò di nuovo il Libro. - C'è un altro modo. - Ebbe un'altra esitazione, stavolta anche più lunga. - Ma non sarà una passeggiata. -
Phoebe, pur aspettandosi tale osservazione, avvertì una certa inquietudine nella sorella, e le rivolse un sorriso di conforto. - E quando mai lo è stato? -
- Abbiamo bisogno del Potere del Trio. - Piper la fissò negli occhi. - Abbiamo bisogno di Paige. -

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Capitolo 4
*** 04. Where There's a Plan A... There's Always a Plan B ***


Capitolo 4:
Where There's a Plan A... There's Always a Plan B
 


- E’ rischioso, Piper. -
- Lo so. Ma non abbiamo altra scelta. -
Pur non avendo mai brillato per gioia e spensieratezza, in quegli istanti il clima nella soffitta si era fatto più cupo, oscuro, quasi ovattato.
Piper e Leo erano uno di fronte all’altro, molto vicini, e parlavano a bassa voce, quasi in un sussurro. Era come se niente di tutto ciò che li circondava contasse.
Una strana inquietudine aleggiava sopra le loro teste. Piper appariva pensierosa e preoccupata, e lo stesso valeva per Leo.
- Sei sicura che non esista un altro modo? -
Piper si sforzò di fare un mezzo sorriso e di sembrare sicura e decisa, ma nessuna delle due cose le riuscì bene. - E se ci fosse, ti pare che starei avendo questa conversazione con te? -
Leggendo lo sguardo della moglie, Leo capì che nemmeno lei era totalmente convinta di quello che stava per fare.
Eppure, la sua apprensione e le sue parole non cercavano affatto di dissuaderla dal suo intento.
Primo, perché una volta che Piper si metteva in testa una cosa era praticamente impossibile farle cambiare idea; e poi, perché anche lui sapeva che in fondo quella era una cosa da fare.
Obblighi di Streghe, responsabilità, Grande Disegno, poteva chiamarlo come voleva, ma si trattava sempre la solita storia.
Lui non poteva e non l’avrebbe fermata, anche se Piper faceva soltanto finta che fosse tutto a posto.
Perché la verità era che, nonostante lei e le sue sorelle avessero già fatto qualcosa del genere in passato, stavolta Piper non riusciva a fare a meno di avere paura.
Una paura che, in quanto sorella maggiore, si era ripromessa più e più volte di non provare: quella di fallire, di non essere in grado di guidare le sue sorelle, di non adempiere al loro compito, di intraprendere un viaggio che sarebbe stato senza ritorno.
Era cominciata quando aveva letto di Jiroke sul Libro delle Ombre, e per adesso non accennava minimamente a smettere.
E il problema più grande era che non riusciva a spiegarsi il motivo per il quale questa crescente angoscia si era insinuata dentro di lei.
Phoebe, invece, non sembrava condividerla per niente. Se ne stava lì ad osservarli, distante e in silenzio, in piedi davanti alla finestra. Era concentrata, certo, ma non preoccupata come lei. Probabilmente per Phoebe questo era un demone come un altro, niente di più speciale rispetto a quelli che avevano sempre combattuto e sconfitto.
E per quanto riguardava Paige, ancora non era nemmeno arrivata.
Gli occhi di Piper incontrarono quelli di Leo in un intenso sguardo. Lei gli chiedeva di lasciarla fare. Lui, anche se a malincuore, perché mettere in pericolo la vita della propria moglie non è mai facile, aveva già accettato.
- Promettimi che starai attenta. - pensò che non servisse dire altro. Poi si rivolse a Phoebe. - Che starete tutte attente. -
Phoebe annuì, consapevole del momento delicato.
Piper trasse un profondo respiro. - Ora è meglio che tu vada. - disse piano al marito.
Prima di andarsene, Leo le si fece ancora più vicino, la strinse delicatamente per le spalle, si sporse in avanti e avvicinò le labbra fino a incontrare quelle di lei.
Piper chiuse gli occhi. Per quei secondi, abbandonata al tocco di Leo, si sentì improvvisamente più serena. Una sensazione di pace, quella che solo un ex angelo sapeva dare.
Che però duro un solo dannatissimo attimo.
Perché quel bacio sapeva così tanto di addio?
- Ti amo. -
- Anch’io. -
Leo fece per congedarsi, ma dopo aver mosso un solo passo, sentì di nuovo la voce della moglie alle sue spalle.
- Aspetta. -
Leo si voltò verso di lei, sorpreso che lo avesse già richiamato. - Che succede? -
- Porta Wyatt e Chris con te alla scuola di magia. Per qualunque cosa, voglio che tu li protegga. -
Leo sorrise all’ennesimo segno di ansia di Piper, così da lasciarle un’ultima immagine positiva di lui. - D’accordo. -
Mentre Leo si dirigeva lentamente verso la porta, Phoebe si avvicinò a Piper, ancora assorta a fissare la schiena del marito che si allontanava.
- Glielo hai detto che, senza poteri com’è, se dovesse davvero succedere qualcosa sarebbe Wyatt a doverlo proteggere, e non il contrario? -
Piper si girò verso la sorella e sorrise nervosamente. - No, ma credo che già lo sappia. -
 
Nell’esatto istante in cui Leo uscì dalla soffitta, Paige ne varcò la soglia.
- Sei in ritardo. - la riprese immediatamente Piper con un’occhiata severa.
Paige proseguì senza neanche guardarla, con l’aria insofferente di un adolescente ai rimproveri dei genitori. - Certo, certo… -
Piper la seguì con gli occhi per un po’, prima di scuotere definitivamente la testa. - Avanti, diamoci da fare. -
Le tre si riunirono intorno al treppiede, sopra al quale il Libro delle Ombre era aperto su due pagine piene di scritte che raccontavano di Jiroke.
- Allora, ripassiamo il piano. - annunciò Piper, rivolgendosi a turno prima ad una poi all’altra sorella.
Solo che, dal modo in cui aveva guardato Paige, più che una proposta generica sembrava che Piper si stesse riferendo soprattutto a lei.
Sul volto di Paige si ripresentò l’espressione insofferente, vagamente infastidita, di prima. - Guarda che me lo ricordo. -
- Meglio essere preparate. Ecco come faremo: evochiamo il demone, rompiamo il cerchio, io lo blocco, tu Paige… - indugiò, come se non sapesse cosa farle fare. - … colpiscilo, orbitagli addosso qualcosa, fai tu… a quel punto riformiamo il cerchio e, prima che possa sbloccarsi, lo facciamo fuori con l’altro incantesimo. -
A nessuna delle tre pareva il piano più sicuro del mondo, ma purtroppo era anche l’unico che erano riuscite a escogitare.
Dal Libro delle Ombre era saltato fuori che questo Jiroke era un essere molto più ostico e potente di quanto avessero immaginato.
Avevano scoperto che era di un livello “raro”, addirittura più alto di quello dei classici demoni di livello superiore, e nessuno sapeva con certezza di che cosa fosse capace. Non poteva essere confinato nella gabbia dei cristalli perché era avvolto da un’aura di magia nera che lo proteggeva dai sortilegi di quella buona.
Forse i loro poteri di Streghe avrebbero funzionato su di lui, ma non erano sicure nemmeno di questo.
E come se non bastasse, gli incantesimi di evocazione e di eliminazione potevano funzionare solo se pronunciati all’unisono da tutte e tre.
Insomma, poteva esserci qualcosa di più semplice?
Le Streghe si disposero a cerchio, con il Libro delle Ombre in mezzo, si presero per mano come per una seduta spiritica e iniziarono a recitare la prima formula per evocare Jiroke:
 
Le grandi forze noi invochiamo
Alla magia ci affidiamo
Perché il male possa scovare
In qualunque terra o mondo lo possa trovare
Per tutta la storia e l’onore
Compaia davanti a noi il demone imperatore.
 
Attesero che facesse effetto, preparandosi ad accogliere lo sgradito ospite.
Ma fu tutto inutile.
Nessuna creatura spaventosa si materializzò nella soffitta.
Piper e Phoebe si scambiarono un’occhiata confusa: non poteva che essere un brutto segno, se il formidabile potere del Trio faceva fiasco.
Ma chiaramente c’era qualcosa che non andava, anche se nessuno pareva farci troppa attenzione. Perché mentre Piper e Phoebe leggevano l’incantesimo a voce alta e con convinzione, Paige sembrava limitarsi a seguire svogliatamente il coro.
Fecero comunque un altro tentativo:
 
Le grandi forze noi invochiamo
Alla magia ci affidiamo
Perché il male possa scovare
In qualunque terra o mondo lo possa trovare
Per tutta la storia e l’onore
Compaia davanti a noi il demone imperatore.
 
Seguì un secondo di silenzio teso.
Tre.
Cinque.
Niente.
Non successe assolutamente niente.
Piper non riusciva a capire. - Perché non sta funzionando? - chiese, cominciando ad essere piuttosto irritata.
Phoebe aggrottò la fronte e provò a fare un’ipotesi: - Forse l’incantesimo è sbagliato. -
Ma fu Paige, rimasta in silenzio e in disparte fino ad allora, a dare la risposta, che arrivò fredda e spietata come una coltellata.
- Forse perché il Trio non è così unito. -
Come ebbe sentito quella frase, Piper lanciò una dura occhiataccia a Paige: ne aveva abbastanza del suo comportamento irriverente che aveva da quando era entrata. - Ok, ora basta. Qual è il tuo problema? -
Paige rimase a fissarla impassibile per qualche attimo, prima che sul suo viso si dipingesse un ghigno irrisorio. - Vuoi sapere qual è il mio problema? - si voltò lentamente verso Phoebe e fece una pausa, come se si aspettasse che la sorella ci arrivasse da sola. - Lei mi ha chiamata con il nome di Prue! -
Phoebe sgranò gli occhi. - Cosa? Ancora con questa storia? -
Mentre Paige annuiva con forza, Piper pensò che fosse meglio per lei lasciare le mani delle sorelle, così da non rischiare di farsi strappare il braccio in quella che si profilava come una battaglia più brutta di quella che avrebbero dovuto sostenere contro il demone.
- Credevo ci fossi passata sopra! - fece Phoebe, alzando la voce tanto da renderla quasi un acuto.
- E perché dovrei, quando so benissimo che preferireste avere Prue qui al posto mio? -
Piper la ascoltò con una fitta al cuore. - Ma che stai dicendo, Paige? -
- “Prue era la più forte”, quante volte lo avete ripetuto? “Prue era la più grande”, “la più giudiziosa”, “Prue era la strega più forte del mondo!” -
Phoebe e Piper si lanciarono uno sguardo incerto, completamente spiazzate dalla violenza con cui Paige nominava la loro sorella perduta.
- Certo, ci manca, ma questo non significa che non ti vogliamo bene. - provò a risponderle Phoebe. - Adesso ci sei tu. -
Paige sembrò non dare molto peso a quelle parole. - Sì, come rimpiazzo. Voi eravate le Prescelte, il Trio originale, quello temuto da tutti. E io sono solo una ruota di scorta, vero? Un’imbucata alla vostra festa! -
- Non dire sciocchezze, Paige. - intervenne Piper, sempre più accigliata. Lei e Phoebe non riuscivano assolutamente a credere a quello che stava uscendo dalla bocca della loro sorella.
- Ma sapete una cosa? - riprese Paige, agitando le mani per aria. - Anch’io sono una Strega con dei poteri, e anch’io sono una parte integrante di questo gruppo! Provate a usare il potere del Trio in due, e poi fatemi sapere se funziona. - si fermò e fece un sorrisetto. - Provate a fare un 3x2, come al supermercato. -
Piper si intromise di nuovo, nel tentativo di affievolire quelle fiamme che stavano ardendo brutalmente negli occhi spiritati di Paige. - Adesso smettila, stai dando i numeri! Tu sei nostra sorella, una Strega, tale e quale a noi. -
Paige si voltò verso di lei come un cane rabbioso. - Ah sì? E allora perché ho l’impressione di non avere alcuna importanza qua dentro? -
Phoebe e Piper si guardarono un’altra volta, come a chiedersi che cosa intendesse. - Ma di che diavolo stai parlando? - fece Phoebe, in un misto di confusione ed esasperazione.
Paige inclinò il capo da una parte, come se fosse sorpresa di quella domanda. - Nessuno mi da ascolto quando parlo! Le mie iniziative vengono sempre trattate come stupide, e ogni volta c’è qualcuno più attendibile di me che mi passa davanti. “Ascolta Piper, che è la sorella maggiore”, “ascolta Phoebe, che è la sorella di mezzo”, - sembrò venirle in mente un’altra cosa, che le fece alzare ulteriormente la voce. - e che tra l’altro non ha neanche un potere attivo! Beh, quando è il momento di ascoltare la sorella minore? -
- Questo non è assolutamente vero! - strillò Phoebe, piuttosto risentita. - Noi ascoltiamo sempre le tue idee! -
- Davvero? - ribatté immediatamente Paige. - Non mi avete creduto quando vi ho detto che Cole era diventato la nuova Sorgente, non mi avete dato retta quando ho cercato di avvertirvi delle intenzioni delle Incarnazioni, e anche con questo cavolo di demone imperatore: finché ero io a parlarne, tu continuavi a scherzarci su; poi lo ha detto Piper, e allora “oh, andiamo subito a combatterlo!” E guarda un po’? Tutte le volte avevo ragione! -
Phoebe, tra sé e sé, dovette ammettere che in questo caso non aveva tutti i torti. - Ok, ma… -
- No, non c’è nessun “ma”, è così! Io vengo presa in considerazione solo quando c’è da guarire qualcuno o fare da babysitter. -
- Non puoi pensarlo davvero. - le disse Piper, con la voce più conciliante che riuscì a tirare fuori.
- Invece sì! E ne ho abbastanza. -
Paige smise di urlare e sembrò calmarsi, ma si trattò solo di una breve illusione.
Semplicemente, non aveva più voglia di parlare.
Così, prima che qualcuno potesse replicare, Paige diede le spalle alle sorelle e si incamminò verso la porta della soffitta.
- Dove stai andando? - la fermò Piper. Non poteva lasciarla andare via così.
Paige girò solo la testa verso di lei. - Tolgo il disturbo. - Fissò Piper negli occhi per dei secondi che sembrarono immensi e quasi asfissianti. - Vado a controllare i tuoi bambini, contenta? - aggiunse in tono estremamente provocatorio.
E subito dopo questo, Paige svanì senza guardarsi indietro alla maniera degli angeli bianchi, in un vortice luccicante che Piper stavolta non avrebbe potuto frenare.
La soffitta sembrò trasformarsi istantaneamente nel set di un film muto, con Piper e Phoebe lasciate a chiedersi cosa diavolo stesse passando nella testa della loro sorella.
Dimenticandosi completamente, per quegli istanti, della caccia al demone e di tutto il resto.
E infatti, sconvolte com'erano dall'infida direzione che aveva preso il corso degli eventi, nessuno si era accorto che il Libro delle Ombre si era chiuso da solo, e che il simbolo magico sulla copertina era... cambiato.
 
 
Ma qualcuno, a parecchi chilometri di distanza da loro, ne era già a conoscenza.
Hewon si materializzò nel salone regale, di fronte al trono dell’imperatore, mostrando grande impazienza di parlare. Sul suo viso c’era un sorriso ampissimo, raro da vedere in un demone.
- Signore. - esordì. - Aveva ragione. -
Anche Jiroke, il cui volto era come sempre celato dal cappuccio, parve rispondere con un ghigno compiaciuto. - Lo sapevo. -
Hewon avrebbe voluto dire anche un’altra cosa, ma lasciò che fosse il suo sovrano a farlo:
- Il Potere del Trio si è incrinato. -
 
 

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Capitolo 5
*** 05. San Francisco, Help Me! ***


Capitolo 5:
San Francisco, Help Me!

 


Il concetto di meteoropatia è senz’altro uno dei più curiosi. Alcune teorie dicono che l’umore di una persona possa essere profondamente influenzato dalle condizioni del meteo, così da renderla, per esempio, più triste e nervosa quando piove, più allegra e gioiosa quando splende il sole; altre, invece, più semplicemente sostengono che il clima sia un po’ lo specchio dell’anima.
Ecco, diciamo allora che se quel giorno il cielo sopra la città, già molto più nuvoloso del solito, avesse dovuto riflettere lo stato d’animo di Paige, San Francisco si sarebbe dovuta preparare al più devastante nubifragio dell’ultimo secolo.
Mentre camminava, sentiva l’ira scorrerle a tutta velocità nelle vene.
Aveva addosso una prepotente voglia di urlare, di sfogarsi, di spaccare il mondo. Quella voglia, infida e viscida come un serpente, che le proponeva di distruggere tutto ciò che incrociava sul suo cammino e poi di andarsene, pur di sentirsi meglio.
Se solo avesse voluto, avrebbe potuto essere in un qualsiasi altro posto in un battito di ciglia.
New York, Hawaii, Parigi, Alaska. Bastava scegliere.
Ma, dannazione, lei era una Halliwell. E le Halliwell non fuggono.
Così si era limitata a mandare al diavolo le sue intenzioni di andare alla scuola di magia, e si era immessa nelle strade trafficate e caotiche di San Francisco.
Aveva bisogno di aria, di luce, e di pensare, se mai ci fosse riuscita.
Era talmente incollerita che persino nel suo cervello c’erano due voci che si scontravano tra loro.
Una, quella buona e sempre ottimista, forse appartenente alla sua metà di angelo bianco, continuava a chiedersi se per caso non avesse esagerato a reagire così con le sue sorelle.
L’altra, invece, quella della sua metà di Strega, di componente della famiglia Halliwell e soprattutto di sorella, non voleva assolutamente saperne di accettare ciò che era accaduto.
E purtroppo, in quel momento la seconda voce stava prevalendo.
Si sentiva offesa, insultata, e peggio ancora, tradita.
Era sempre più convinta che quello che Phoebe aveva cercato di far passare come un maldestro scambio di nomi, in realtà rappresentasse un segnale.
Piper e Phoebe non erano mai riuscite a superare la morte di Prue, forse non ci avevano mai nemmeno provato, e tanto meno potevano sopportare che venisse sostituita.
Poi a un certo punto era arrivata lei, Paige, comparsa dal nulla ed entrata a far parte delle loro vite in maniera fulminea e inaspettata.
E questo probabilmente alle altre due non era andato giù, perché era come se la nuova recluta le avesse costrette a scordarsi immediatamente della loro sorella perduta, e a riformare quel potere del Trio che però per Piper e Phoebe non sarebbe stato mai più lo stesso. Per il semplice fatto che lei non era Prue.
Certo che non lo era, non lo sarebbe mai stata e neanche pretendeva di esserlo. Lei era Paige, un’altra Halliwell, un’altra Strega.
Era arrivata tardi, e allora?
Fino a pochi anni prima neanche sapeva dell’esistenza di due sorelle. Che colpa ne aveva lei se i suoi genitori le avevano nascosto tutto quanto ed erano scomparsi?
Ma adesso era lì, faceva parte di una nuova famiglia, aveva scoperto chi era veramente e questo era tutto ciò che importava. O almeno così pensava fino a un’ora prima.
Per le sue sorelle lei era un gradino più in basso?
Non la ritenevano capace?
Non credevano che avesse le spalle sufficientemente larghe da sostenere il peso del famoso Trio?
Bene, lei si sentiva abbastanza potente che sarebbe riuscita a dimostrargli che si sbagliavano.
E aveva in mente una sola via per farlo: trovare ed eliminare Jiroke.
Non sarebbe stato semplice, e ancora non aveva idea di come o dove cercarlo, ma ce l'avrebbe fatta. Da sola.
Aveva rinunciato a tanto, forse a tutto, pur di diventare una Strega a tutti gli effetti, e a questo punto non avrebbe abbandonato tanto facilmente.
Avrebbe sconfitto quel terribile demone imperatore, e avrebbe provato a tutti di essere assolutamente all'altezza del Trio delle Prescelte.
Ad un tratto, qualcosa di indefinito interruppe il flusso delle riflessioni e la fece tornare al presente.
Dopo diversi minuti in cui aveva camminato senza neanche prestare attenzione a dove andava, finalmente Paige tornò a guardare la strada davanti a sé, e si rese conto che le centinaia di metri di asfalto che aveva macinato l'avevano guidata verso uno dei quartieri più malfamati di San Francisco.
Povertà diffusa ai bordi delle vie, persone poco raccomandabili che la facevano da padrone e case diroccate e fatiscenti sembravano rendere il cielo ancora più cupo e carico di tormenti di quello che era.
Ma Paige decise di non cambiare rotta: non poteva preoccuparsi dei possibili guai che avrebbe portato un ambiente del genere, almeno non in quel momento.
Imboccò una via laterale, delimitata da mura imbrattate e piene di disegni e scritte incomprensibili, e proseguì in quella direzione.
Con i pensieri che si affollavano e si sovrapponevano iniziò a studiare una strategia per dare la caccia a Jiroke, relegando nel retro della mente, e senza dargli alcun ascolto, quel sesto senso di angelo bianco che cercava disperatamente di avvertirla che qualcuno, nascosto nell'ombra, la stava seguendo.
 
 
Il salone regale del castello di Jiroke non era mai stato così splendente, neanche durante i ricevimenti demoniaci. Candelabri e fiaccole diffondevano luce a pieno regime, segno che quella doveva essere una circostanza estremamente importante.
Un manipolo di demoni, capeggiato da Hewon, si era schierato di fronte al trono con gli occhi puntati sull'imperturbabile imperatore, in attesa che parlasse.
Quando a tutti parve che stesse indugiando un po' troppo a lungo, Hewon provò ad esortarlo, sporgendosi in avanti ed esprimendosi sottovoce: - Signore? -
Non ricevette risposta, ma il gesto che ottenne fu quello che sperava, e fu abbastanza eloquente da far scatenare un moto di adrenalina in tutti i demoni in quella stanza.
Jiroke si alzò in piedi, maestoso e tanto alto da sovrastare tutti i presenti, e dopo aver annuito, finalmente ruppe il silenzio. - Andate. E' giunto il momento di entrare in azione. -
 
 
Stava andando tutto storto.
Prima l'attacco del demone, poi la scoperta di Jiroke, e infine Paige.
Nella soffitta c'era l'infame sensazione di aver imboccato una strada senza uscita, e che ormai fosse troppo tardi per fare inversione a U.
Piper e Phoebe non sapevano più cosa pensare.
Fin dall'inizio di quella storia, ogni volta che avevano provato a risolvere un problema ne era sempre arrivato un altro che si era aggiunto a quello di prima rendendo tutto più difficile, e ormai stava diventando sempre più complicato capire cosa fare.
Dopo che Paige se ne era andata, le altre due sorelle avevano parlato un po’ e, su idea di Phoebe, avevano deciso di concentrarsi prima di tutto su Jiroke.
Rappresentava un pericolo serio e concreto, dovevano eliminarlo e non sarebbe stato saggio rimandare ancora, quando un plotone di demoni avrebbe potuto attaccarle da un momento all'altro.
Poi, una volta sistemato, avrebbero risolto la questione con Paige. Per il momento, era meglio lasciare che sbollisse la rabbia e si calmasse. Dopotutto potevano cavarsela anche in due, come avevano già fatto in passato, seppur per un breve periodo.
Adesso Piper e Phoebe erano di fronte al Libro delle Ombre, con gli occhi incollati su di esso, alla ricerca di qualsiasi cosa che suggerisse loro come eliminare il demone imperatore, dato che il loro primo piano era miseramente fallito.
Ma c'era qualcosa di diverso dal solito.
Piper lo stava sfogliando quasi con disprezzo e ad ogni pagina sembrava aumentare la violenza, come se ogni giro a vuoto fosse un briciolo di pazienza in più che perdeva.
E per quanto cercasse veementemente, tutti i buoni propositi si stavano infrangendo contro il nulla e l'inutile contenuti in quelle pagine.
Quando arrivò mestamente alla fine del tomo, Piper poggiò stizzita le mani strette a pugno sul legno del treppiede. Le parole di Phoebe che seguirono non contribuirono certo ad incoraggiarla. - Non c'è niente. - E non era neppure una domanda, bensì una sentenza dichiarata con una piccola ma evidente vena di rassegnazione.
Piper parve stringere ancora di più i pugni e gettò un'occhiataccia al Libro. - Deve esserci qualcosa. - Continuava a ripeterselo e cercava di convincersi, più che altro per non cedere alla paura e alla preoccupazione che quel demone le aveva provocato fin dal principio.
Poi ebbe un'idea. Con un barlume di speranza alzò gli occhi al soffitto.
- Un aiutino, nonna? -
Passarono una quindicina di secondi in cui desiderò che il Libro si mettesse a svoltare le pagine da solo, ma alla fine anche quella richiesta andò persa nell'aria, dato che il vecchio tomo non si mosse di un solo centimetro.
Piper sbuffò e scosse la testa energicamente. - Non è possibile. Il Libro delle Ombre non ci ha mai abbandonate. C'è roba su tre milioni e mezzo di demoni, e non una singola riga su quello che stiamo cercando? -
- C'era, ma non ha funzionato. -
Piper si stava lentamente stancando del disfattismo della sorella. - Vuol dire che troveremo qualcos’altro, soprattutto ora che non possiamo... - si interruppe, come non volesse dire quello che stava per dire, e scelse di correggere il tiro. - Che almeno per il momento non possiamo contare su Paige e sul Potere del Trio. -
Phoebe fece un lungo sospiro di desolazione. - Forse senza il Potere del Trio non esiste un modo per eliminarlo. -
A quelle parole, Piper si girò di scatto verso di lei e le lanciò uno sguardo inceneritore. - No, questo non lo voglio sentire... -
Un forte rumore simile a un tuono riecheggiò nella soffitta interrompendola bruscamente.
Quando lei e Phoebe si voltarono nella direzione da cui era provenuto, videro a pochi metri davanti a loro l'ultima cosa che avrebbero voluto vedere.
Un tizio piuttosto alto vestito da motociclista, con i jeans e un giubbotto di pelle, i capelli castani pettinati a cresta e un paio di occhiali da sole.
L'ennesimo problema.
Il demone agì con una rapidità impressionante, dando alle due sorelle a malapena il tempo di realizzare: armò la sua mano di una sfera di energia viola elettrico, e la scagliò con forza verso Phoebe.
Lei, vedendosi sfrecciare incontro quel bolide letale, capì di avere una sola possibilità e i secondi contati. Istintivamente si tuffò alla sua sinistra, cercando di schivare il colpo. Prima di atterrare sul pavimento, sentì la sfera sibilare a velocità supersonica appena sopra il fianco, per poi andare a schiantarsi contro la libreria dietro di lei, abbattendo due scaffali e bruciacchiando qualche libro.
Dopo il rischio corso dalla sorella, Piper reagì e passò al contrattacco. Mirò al demone e affidò al suo potere tutta la forza che aveva in corpo.
Un'esplosione colpì il demone in pieno petto, ma l'unico effetto che ottenne fu quello di farlo barcollare, farlo cadere di schiena e fargli perdere gli occhiali.
Mentre Piper osservava sorpresa il fallimento del suo attacco, il demone si tirò su fino a mettersi seduto sul tappeto, con un ghigno sprezzante e beffardo che parve voler sottolineare come il colpo della Strega non fosse stato abbastanza per farlo fuori.
Ma Piper non si lasciò fermare. Non perse neanche un secondo, puntò dritto alla testa e, raddoppiando l'intensità, fece di nuovo fuoco.
Stavolta il demone non poté opporre resistenza, e non appena le fiamme lo ebbero avvolto per intero, si disintegrò definitivamente davanti alle due streghe.
Quando la situazione si fu stabilizzata e con il fumo che si diradava, Piper andò dalla sorella, ancora giù, e le si accovacciò accanto. - Sei ferita? - le domandò con il suo proverbiale tono apprensivo.
Phoebe si guardò prima intorno e poi addosso, controllando se avesse riportato danni a braccia, gambe o altro. Quando vide che non c'erano tracce di sangue e che era tutto a posto, si rialzò, si scrollò un po' di polvere dalle spalle e rispose: - Sto bene. - Dopodiché si avviò verso la finestra, come se nulla fosse accaduto, dirigendo lo sguardo all'orizzonte e scuotendo il capo. - Ma da dove saltano fuori certi demoni? -
Riavvicinandosi al Libro delle Ombre, gli occhi di Piper vagarono tra la libreria danneggiata, il mucchietto di cenere al centro della stanza, e Phoebe, la cui camminata lievemente zoppicante indicava che si era fatta comunque del male quando era caduta a terra.
Nella sua mente cominciò a farsi largo il pensiero che la strada stesse terminando, e che a quel punto l'auto non potesse fare altro che andare a sbattere contro un muro.
- Accidenti... -

 

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Capitolo 6
*** 06. Right Into The Storm ***


Capitolo 6:
Right Into The Storm

 


Mattoni, pietre, asfalto, cemento, ghiaia… no, non era il laboratorio di un carpentiere edile, ma tutto ciò che era intorno a lei.
Si era persa.
A furia di vagare senza meta, aveva finito per perderla davvero.
Ed era piuttosto strano, perché lei era nata a San Francisco, ci era cresciuta, ci aveva vissuto una vita intera, e a questo punto avrebbe dovuto conoscerla come le sue tasche. Invece, a quanto pareva, non era così.
Per quanto si sforzasse di individuare un punto di riferimento, non riusciva assolutamente a riconoscere un solo metro di quelle strade. Quelle mura e quei palazzi le apparivano tutti uguali, a formare quello che cominciava ad assomigliare in maniera preoccupante ad uno dei labirinti di Creta.
Beh, magari non ci sarebbe stato il Minotauro. Perché a San Francisco c'era di tutto, ma i minotauri ancora no, vero?
Certo, avrebbe potuto togliersi da quel groviglio di catrame e bitume in un attimo, se avesse orbitato.
Ma a pensarci bene, non aveva alcun posto in cui andare.
La scuola di magia era fuori discussione: tutti si aspettavano che lei andasse là, e chissà quante persone avrebbe incrociato e quante domande le avrebbero rovesciato addosso.
E tanto meno poteva tornare a casa, dove probabilmente le sue sorelle la stavano aspettando, pronte ad asfissiarla con prediche e domande a cui lei non aveva nessuna voglia di rispondere.
Le sfuggì un sorriso amaro. Chissà se stavano sentendo la sua mancanza.
Tuttavia, neppure i suoi propositi di rintracciare Jiroke se la stavano passando molto meglio: era per strada da parecchio ormai, i minuti passavano, ma le idee continuavano a latitare. E sapendo di non poter contare né sul Libro delle Ombre né sulla scuola di Magia, inventare un piano su due piedi senza aiuti di alcun genere non era la cosa più agevole del mondo.
Ma a lei questo non importava. Aveva ancora con sé il suo intuito, che tante volte l'aveva aiutata e che da sempre veniva elogiato, ed era piena di volontà.
Avrebbe continuato a passeggiare, per riorganizzare la mente, e prima o poi avrebbe capito cosa fare. Non si sarebbe fermata, anche a costo di camminare così tanto da far impallidire i corridori della maratona di New York.
Svoltò a sinistra in un vicolo stretto e ombroso, definito dal retro di un condominio dall'aspetto povero da una parte, e da un alto muro dall'altra. Costeggiandolo, Paige poté constatare come anche quest'ultimo fosse stato adibito a tela per aspiranti artisti. Vide un paio di murales di pregevole fattura, una serie di tribali intersecati tra loro, alcune scritte dal significato incomprensibile, e per finire la caricatura di un volto sorridente.
Un sadico sorriso che, invece di essere rassicurante, sembrava proprio volersi prendere gioco di lei.
Dopo qualche metro, Paige si bloccò.
Dinanzi a lei si allungava un vicolo cieco. Una strada senza uscita.
E per di più, sullo sfondo intravide due ragazzi di nero vestiti, uno con la bandana e l’altro con i capelli raccolti in una coda, che davanti alla parete di mattoni che ostruiva il passaggio sembravano intenti a scambiarsi dei pacchetti sospetti.
Paige rimase immobile, senza muovere un muscolo, sperando che non si accorgessero di lei. Non perché la spaventassero, ma perché, strega con dei poteri o no, era sempre meglio evitare brutti incontri.
Ma si rivelò tutto vano.
Il tipo con la bandana, interrompendo quello che stava facendo, girò la testa verso di lei, seguito a ruota dal compare.
Dai quasi cento metri che li separavano Paige colse lo sguardo acido, avido e cattivo nei loro occhi, al quale però per fortuna non vi fu alcun seguito.
I due infatti non sembravano intenzionati ad andare verso di lei, ma si limitarono a fissarla come per intimarla a levarsi dal loro territorio.
Paige afferrò il segnale e lentamente, tenendo la coda dell’occhio sui due, si voltò nella direzione opposta.
Ma come ebbe fatto dietro-front, si pietrificò di nuovo per la sorpresa.
Di fronte a lei si stagliava un uomo magro, quasi allampanato, calvo, con una lunga tunica nera e una fascia d’oro intorno alla vita.
“E questo da dove è arrivato?”
L’uomo non si muoveva, ma pur essendo tutt’altro che grosso, la sua presenza lì sembrava comunque impedirle di passare.
Dall’aria intorno a lui, dal modo in cui la stava fissando negli occhi, e anche perché negli ultimi anni ne aveva visti a sufficienza, Paige capì che quello non era un uomo comune.
E infine, quell’unica e semplice parola che pronunciò in tono disgustato le fugò ogni dubbio.
- Strega… -
Un demone. E nonostante il fisico, l’impressione era che fosse anche piuttosto forte.
Paige strinse il pugno. Poteva sconfiggerlo.
L’istinto le suggerì di voltarsi immediatamente indietro, sia per verificare se per caso l’obiettivo del demone non fossero i due ragazzi, che rimanevano in ogni caso degli innocenti, sia per controllare che proprio quei due non diventassero dei testimoni scomodi nel caso lei avesse usato la magia.
No, i due giovani erano tornati alle loro faccende, e non sembravano dare peso alla loro presenza.
Aveva via libera per sfogare un po’ della rabbia che aveva in corpo.
Paige tornò a fronteggiare combattiva il demone, mentre lui continuava a fissarla con aria di sfida.
Nonostante Hewon non desse ancora segni di volerla attaccare, lei non si fece pregare due volte e sferrò il primo colpo.
- Coperchio! - gridò alzando il braccio. Il coperchio di uno dei bidoni della spazzatura ai lati del vicolo si alzò a mezz’aria, smaterializzandosi e tingendosi di blu, e volò verso il demone.
Ma come gli fu abbastanza vicino, Hewon, con un gesto della mano che sembrò non procurargli nemmeno troppo impegno, deviò la sua traiettoria mandandolo a sbattere contro la parete del condominio.
Hewon scoppiò in una breve risatina, mentre il ghigno dipinto sul suo volto sembrava dirle “è tutto qui quello che sai fare?”
Paige rimase piuttosto spiazzata dalla difesa del suo avversario, ma una frazione di secondo dopo era già pronta al round successivo. Si guardò intorno alla ricerca di qualcos’altro da lanciargli contro, e la scelta ricadde su un oggetto vicino a lei.
- Palo! - Un grosso tubo di ferro cavo appoggiato contro il muro si sollevò, indirizzandosi verso il demone come la lancia di un cavaliere in duello, e si scagliò contro di lui.
Ma esattamente come prima, Hewon attese che il cilindro di metallo gli fosse a pochi centimetri per deviarlo con un gesto quasi annoiato, stavolta con l’altra mano, facendogli terminare la corsa contro il muro.
Dopo il secondo attacco fallito, Paige si sentì preda del nervosismo e di una certa tensione.
Che stava succedendo?
Quel demone sembrava molto più forte di quanto si aspettava e pareva giocare con la strega come il gatto con il topo, mentre lei stava ancora risentendo della discussione con Piper e Phoebe, che l’aveva scossa in profondità, e che non le permetteva di combattere come avrebbe voluto.
Ragionando su questo, Paige cominciò a rendersi conto che probabilmente, in quel momento e in quelle condizioni, non era in grado di affrontarlo da sola.
Prese una decisione, e benché lei fosse la prima a non approvare la sua stessa idea, si convinse che sarebbe stato meglio così.
Continuando a sostenere l’inquietante sguardo di Hewon, sempre immobile, Paige raccolse le sue energie e orbitò via.
Aveva scelto di abbandonare il campo di battaglia e andarsene, anche senza una destinazione precisa, prima che le cose prendessero una piega peggiore di quella.
Per adesso era questo l’importante, si sarebbe occupata del suo nuovo nemico in un’altra occasione, magari insieme alle sue sorelle.
Ma quando riapparve, non poté credere ai propri occhi.
Davanti a lei, con la stessa espressione con cui l’aveva lasciato una manciata di secondi prima, c’era ancora Hewon.
E questa volta, era accompagnato da altri quattro demoni schierati alle sue spalle.
“Ma che…”
Un gelido brivido di sconcerto iniziò a correrle incontrollabile lungo la schiena, mentre si accorgeva che qualcosa non era andato come doveva.
Era orbitata lontano da lì, perché era riapparsa nello stesso posto?
La mente, che sentiva come pressata e sul punto di implodere, le stava impedendo di capire cosa fosse successo.
L’unica cosa che sapeva era che era la prima volta che il suo potere la tradiva in questo modo.
In ogni caso, percependo gli sguardi interessati e famelici dei demoni puntato su di lei, Paige capì di non avere il tempo per cercare spiegazioni o per porsi domande.
La situazione decisamente non era migliorata con i nuovi arrivati, perciò il suo piano non sarebbe cambiato: via di lì!
Approfittando dell’immobilismo dei cinque demoni, che sembravano non voler fare assolutamente nulla per fermarla e di cui lei si stupì altamente, si preparò a orbitare di nuovo.
Si smaterializzò, ma ad un tratto, quando era a circa trenta centimetri da terra, sentì qualcosa afferrarla con forza disumana per le spalle, paralizzarla completamente e tirarla brutalmente giù.
Paige atterrò violentemente sulle gambe, avvertendo la colonna vertebrale che si accartocciava su sé stessa e un bruciore in pieno petto.
Incapace di muoversi e con una tenaglia che pareva volerla stritolare da un momento all’altro, Paige si ritrovò a fissare per l’ennesima volta gli occhi verde marcio di Hewon.
E si rese conto di aver iniziato a tremare.
Stava sentendo solamente dolore e paura.
Per quanto le fosse possibile Paige ruotò il collo verso sinistra, per cercare di vedere cosa le avesse sbarrato la via d’uscita.
Con una sensazione simile a un vero e proprio shock, scoprì che erano mani vigorose e mastodontiche a tenerla ferma, appartenenti ad un individuo enorme, alto non meno di due metri e mezzo, con i denti digrignati, il pizzetto, e che per le fattezze avrebbe potuto ricordare un orco della comunità magica.
E al suo fianco, sorridenti e soddisfatti, c’erano… i due ragazzi che lei aveva ingenuamente creduto essere due spacciatori.
Con il sangue che ormai le stava scorrendo nelle vene pulsanti come veleno, Paige fece un ultimo disperato tentativo di orbitare.
Ma come iniziò a svanire, sentì anche la presa stringersi ulteriormente attorno alle sue spalle, causandole un dolore immane alle scapole e trattenendola forzatamente nel punto in cui si trovava.
Era in trappola.
Per qualche oscuro motivo, la morsa d’acciaio di quel gigante le inibiva i poteri, impedendole di orbitare e chissà cos’altro.
Quando ritenne che la strega fosse ormai caduta nelle sue mani, Hewon fece un passo verso di lei. - Sai... - iniziò a camminare andando a destra e a sinistra con le mani dietro la schiena. - Ero convinto che dopo tutto questo tempo, e dopo tutto ciò che è sempre stato detto sulle famose Prescelte, voi foste un po' più intelligenti. - Si mise a ridere da solo. - Anzi, credevo che foste migliori e basta. - Invertì il senso di marcia con un movimento repentino e smise di ghignare. - Ma a quanto pare, la razza umana non è ancora pronta per concepire certe cose. - Assunse un'espressione disgustata. - Voi non  siete altro che esseri inferiori, privi di qualsivoglia sostanza e significato su questa Terra. Indegni di abitare questo mondo. Ed è per questo che saremo noi ad impadronircene, creature potenti, grandiose e in grado di ridargli lustro e riportarlo ai fasti del passato. Con noi diventerà quello che si merita: un vero regno, ricco, florido, e popolato da entità dalla mente superiore. Ma non preoccupatevi, perché mentre i demoni comanderanno, ci sarà uno spazio anche per gli umani. - ennesimo sorriso. - Sì, magari come schiavi. -
Paige non poteva continuare ad ascoltarlo, e provò a dare uno strattone per interrompere quel monologo. Totalmente inutile. - Mostro, non te lo permetteremo. -
Hewon scoppiò di nuovo a ridere. - E voi sareste quelle che dovrebbero difendere il mondo da noi? - Scosse il capo. - Voi non siete nulla. Siete solo un fastidioso sassolino nella scarpa, di cui liberarsi alla prima occasione. Sai cosa succede quando uno sparuto gruppo di paesani armati di forconi si scontra con un imbattibile esercito di mercenari assetati di sangue? -
Paige gli ringhiò contro.
Il demone si finse impressionato. - Quanta paura! - improvvisamente si fece più serio. - Avete un nome, e non sapete nemmeno che cosa significa. E io che pensavo che ormai l'aveste capito. -
Si prese una pausa, che fece scatenare una bufera di domande riguardo a quella affermazione nella mente di Paige.
Hewon riprese. - E' il Trio ad essere diventato leggendario. E' la parola “Prescelte” che fa tremare metà degli inferi ogni volta che viene pronunciata, non voi. Sapevi che la maggior parte dei demoni non sa nemmeno qual è il vostro vero nome? Da sole, siete insignificanti come un granello di sabbia nel deserto. Se non siete in tre, non valete un bel niente. -
Hewon si sporse in avanti, riducendo la voce a poco più di un agghiacciante sussurro.
- Ed è proprio per questo motivo che adesso sarà più facile sbarazzarci di voi. -
A quelle ultime parole, sul viso del demone si disegnò un sorriso diverso: più malvagio, più carico, più malefico. Quando Paige lo vide, le rotelle nella sua testa cominciarono a girare furiosamente, mentre un'ondata colossale di pensieri le affogava il cervello.
E poteva giurarlo su qualsiasi cosa, mai come in quel momento aveva desiderato che le sue sorelle fossero con lei, ad aiutarla, a salvarla.
Perché Hewon ne aveva abbastanza di parlare. Rivolse uno sguardo severo al gigante che stava tenendo la strega ancorata al suolo. - Non fartela scappare. -
Paige avrebbe dato tutto pur di reagire, ma sentiva che le energie la stavano abbandonando, tanto che ormai le sembrava di non riuscire neanche più a pensare.
Hewon andò ulteriormente verso di lei, finché Paige non se lo ritrovò faccia a faccia. Era talmente vicino che potevano sentire uno il respiro dell'altro.
Affannoso quello della Strega, affamato quello del demone.
Paige si sentiva sull'orlo di un precipizio pronta a cadere nel vuoto, ma quando vide che lui si limitava a fissarla, a sorpresa percepì una lieve sensazione di sollievo.
Un breve sollievo che, però, a volte è peggiore della paura stessa.
Hewon fece un passo indietro, posizionandosi a circa tre metri da lei. Non diceva più una parola.
Mantenendo lo sguardo saldo sulla sua preda, lentamente portò la mano destra all'altezza del mento e distese in su il dito indice.
Sopra di esso, Paige vide formarsi una piccola sfera sprigionante elettricità, di un colore a metà tra il viola e il blu, che danzava sospesa sulla punta come in assenza di gravità.
Uno spietato silenzio si abbatté su di loro, come la mannaia del boia sulla nuca del condannato, finché Hewon non decise che era arrivata l'ora di mettergli fine, con voce calma, pacata, e infida.
- Buonanotte. -
Fu un attimo.
Paige fu investita dalla luce sfolgorante di un fulmine e dal boato fragoroso di un tuono, che la lasciarono cieca e sorda.
Le sembrò di non provare più niente.
E poi, all'improvviso, tutto fu avvolto dal buio abbraccio dalle tenebre.
 
 
Se mai qualcuno avesse chiesto quale fosse la caratteristica che aveva sempre contraddistinto la famiglia Halliwell, la risposta sarebbe stata sicuramente: la testa dura.
Quella che impediva a tutte loro di ascoltare un qualsiasi consiglio, quella che le spingeva a continuare sempre e comunque per la loro strada, quella che non mancava mai di metterle nei guai.
Quella che, quel giorno, Piper stava metaforicamente sbattendo contro il Libro delle Ombre.
Era da quasi due ore che continuava ininterrottamente a sfogliarlo, rileggendosi pagina dopo pagina, riga dopo riga, tutto quello che c’era sperando di individuare qualcosa su Jiroke.
Ma il risultato non cambiava: niente.
Se non fosse stato un antico e sacro cimelio di famiglia, Piper lo avrebbe preso volentieri a pugni.
Come se non bastasse quello che era accaduto, ora ci si stava mettendo anche lui?
Capitò di nuovo sulle pagine che parlavano del demone imperatore e di quel fantomatico modo per eliminarlo, e come reazione, Piper fece un grugnito rabbioso.
Esattamente come aveva fatto negli ultimi centoventi minuti.
Accanto a lei, con le braccia incrociate e lo sguardo pensieroso, c’era Phoebe. Lei ormai neanche riponeva più speranze nel Libro, ma se Piper lo faceva, allora sarebbe rimasta lì con lei, e di certo non le avrebbe detto di smettere di cercare.
A un tratto Piper sollevò di scatto la testa dal Libro e si voltò verso la sorella. - E se provassimo a fare delle pozioni? -
Phoebe sospirò. - Sì, poi ci mettiamo a ballare e chiamiamo Mago Merlino. - scosse in maniera quasi impercettibile il capo. - Andiamo, sei stata proprio tu a dirlo fin dall’inizio, che le pozioni non sarebbero servite a niente. -
Piper tornò ad osservare il Libro, recuperando un po’ di calma e placando la febbre da ricerca. - Lo so. - disse, come se le parole le pesassero. - Ma non so più cosa inventare. Qui non c’è niente. -
Phoebe si trattenne: probabilmente non era il momento migliore per dire “te l’avevo detto”. E ne era tutt’altro che fiera.
- Che facciamo? - chiese, dopo alcuni istanti passati da entrambe a rimirare le assi del pavimento.
La sua domanda non ottenne però risposta, perché le due furono interrotte dall’ingresso nella soffitta di Leo.
Il fu Angelo Bianco, una volta entrato, colse subito la luce negli occhi della moglie e della cognata, e non gli ci volle molto a capire che qualcosa bolliva in pentola.
- Cos’è successo? - chiese.
Piper con un gesto risoluto richiuse il Libro delle Ombre, appoggiandoci la mano sopra. - Le cose… non sono andate come speravamo. -
Leo aggrottò la fronte. - Che significa? -
Phoebe si incamminò lentamente verso di lui, iniziando a spiegare. - Significa che purtroppo l’incantesimo che avevamo non ha… -
- Aspetta! - la fermò Piper, alla quale era appena sorto uno strano sospetto. Si rivolse al marito, assumendo un’aria quasi minacciosa. - Pensavo che Paige te lo avesse raccontato. Aveva detto che sarebbe venuta alla scuola di magia a controllare i bambini… - e mentre lo diceva, le sue stesse parole le suonarono stranamente poco convincenti.
Leo si sentì come se avesse appena ascoltato una lingua senza senso, e adesso si trovasse in difficoltà per rispondere. - Paige? - e la cosa cominciò a preoccupare anche lui. - Io non la vedo da questa mattina, quando ci siamo incrociati qui. -
A tale frase, il cuore di Piper saltò un paio di battiti. Delusa e infuriata dal fatto che sua sorella le avesse chiaramente mentito, per un attimo fu assalita dall’angosciante sensazione che le pareti della stanza si stessero restringendo attorno a lei e la stessero per schiacciare al loro interno.
- Allora…- cercò inutilmente una spiegazione nello sguardo di Phoebe. - Dove diavolo è Paige? -

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Capitolo 7
*** 07. I Can't See The Light ***


Capitolo 7:
I Can't See The Light



“Dove diavolo è Paige?”


Un dolore lancinante.
Un male atroce.
Per il suo corpo, preda inerme della sofferenza, non esisteva altro.
La mente, spenta, pareva averla trascinata in uno stato di cosciente ma muto delirio, incapace di pensare e di comunicare alcun impulso.
Nessun tentativo di movimento.
Rimaneva ferma immobile con la vista perduta nel buio, mentre sensazioni e ricordi erano come rasi al suolo.
La notte era calata davanti ai suoi occhi, stendendo un pesante telo nero che non poteva essere strappato per far trapassare il chiarore.
Era come essere rinchiusa in una campana di vetro oscurato, sospesa nel vuoto, isolata forzatamente dal resto del mondo.
Avvertiva il sangue caldo colare sulla pelle come un fiume in piena, senza neanche sapere da dove provenisse.
Tutto era confuso intorno a lei.
Un attimo prima era abbandonata ad uno spietato silenzio, un attimo dopo era circondata da rumori e voci soffuse che però non riusciva ad interpretare.
Qualcuno doveva essersi avvicinato.
Ma fu troppo tardi.
Prima ancora che qualsiasi cosa potesse accadere, l’oscurità assorbì nuovamente ogni cosa, impietosa e inesorabile come un asteroide ormai fuori controllo, pronto a colpire la Terra.
Aveva sbagliato tutto…


- Dove diavolo è Paige? - ripeté Piper alzando ulteriormente il tono, che per poco non fece tremare le assi del soffitto.
Alternò lo sguardo, inquisitorio e a tratti pure un po’ spiritato, tra il marito e la sorella, ma nessuno dei due fiatava.
- Forse… - Phoebe provò a tirare fuori un’idea. Ne sarebbe bastata una qualunque, giusto per liberarsi dagli occhi di Piper puntati addosso. Purtroppo, però, non le venne niente di buono in mente, e la frase si troncò sciaguratamente a metà.
- Oppure… - la seguì subito dopo Leo, aggiungendo qualche gesto per sembrare più convincente, ma neanche lui riuscì ad andare oltre quell’unica parola.
- Smettetela di tirare a indovinare! - sbottò Piper, mostrandosi sempre più nervosa. - Aveva detto che sarebbe andata alla scuola di magia… - si mise a riflettere ad alta voce, anche se dall’occhiata intransigente che stava lanciando al marito pareva che volesse dare a lui la colpa di tutto. - E invece non l’ha fatto. -
- No, ve l’ho detto. - Leo, dal nulla e senza motivo, si ritrovò a sentirsi come un imputato sotto processo, la cui arringa deve convincere la giuria della propria innocenza. - L’ultima volta che l’ho vista era qui con voi, proprio prima che vi occupaste del demone. -
- E poi? - insistette la moglie.
- Io sono stato alla scuola di magia. - evidenziò particolarmente quel “io”. - E Paige non è venuta. Non ho idea di dove sia andata. -
- Certo… - Piper chiuse così la questione, come a voler sottolineare l’inutilità di Leo.
Poi, cambiando radicalmente l’espressione negli occhi in una più amareggiata, si voltò verso Phoebe. Per quanto le pesasse ammetterlo, ormai rimanevano ben pochi dubbi. - Ci ha mentito. -
Phoebe sapeva quanto contasse per Piper la fiducia tra sorelle, e in quell’occasione Paige l’aveva tradita. Tuttavia, non sapendo come rispondere, si limitò semplicemente ad annuire.
- Scusate, ma qui è piuttosto chiaro che mi sono perso qualcosa. - si intromise Leo; adesso era lui a fare le domande. - Cos’è che mi sono perso? -
Piper scosse il capo e distolse lo sguardo, come se non avesse alcuna voglia di parlarne. Fu allora così che toccò a Phoebe, accortasi della reazione della sorella, occupare la cattedra e iniziare la lezione. - Hai presente quel demone imperatore? - al gesto di assenso di Leo, continuò. - Avevamo trovato sul Libro delle Ombre un modo per eliminarlo... -
L’ormai dismesso Angelo Bianco annuì di nuovo: quella era esattamente l’ultima parte della vicenda che conosceva.
- O almeno così credevamo… -
Piper, che mai nella sua esistenza era riuscita a tacere per più di cinque minuti, sbuffò rumorosamente e terminò secca la frase della sorella. - Ma non ha funzionato. -
Phoebe la osservò sorpresa per un attimo, prima di tornare da Leo. - Già, e stavamo cercando di capire il perché… -
Piper, come trainata da un impulso più forte di lei, si inserì ancora. - Quando Paige ha cominciato a dare di matto. -
Phoebe la guardò storto, non solo perché l’aveva interrotta, ma anche perché non era proprio così che stava per dire.
Leo aggrottò le sopracciglia, mentre dritto in fronte gli si leggeva un “cosa?” grande come un palazzo.
Phoebe lo notò. - Sì, abbiamo litigato… -
- E lei se n’è andata. - tagliò corto Piper, mettendo una pietra sopra il discorso.
Phoebe allargò le braccia, esasperata dal fatto che la sorella continuasse a concludere al posto suo.
Passarono appena un paio di secondi, senza lasciare nemmeno spazio a ragionamenti, che la soffitta fu raggiunta dagli squilli del telefono provenienti dal soggiorno.
Si aspettavano tutto tranne che una chiamata. Phoebe si chiese chi potesse essere. - E adesso… -
- Vado a rispondere al telefono. - Piper intercettò anche questa, cogliendo al balzo l’occasione per uscire da lì.
Un po’ lo faceva per zittire quel’irritante e inopportuno trillo, un po’ per staccare la spina, e un po’ per non rischiare di far esplodere qualcosa.
C’erano così tante emozioni nella sua mente che sembrava esserci una bufera in atto: stress, ansia e preoccupazione per il demone, frustrazione per non aver trovato nulla sul Libro delle Ombre, rabbia e delusione per il comportamento di Paige, e quel generico senso di inquietudine che, anche se affievolito, non accennava a scomparire.
Si proiettò spedita in direzione della soglia, mettendosi persino a parlare da sola, o forse rivolgendosi a Leo. - E questa è tutta la storia. Interessante, vero? -
Scese le scale a passo piuttosto svelto, accorgendosi che, tanto era rimasta chiusa in soffitta nelle ultime ore, che ormai gli stessi gradini, quadri e pareti le apparivano quasi come corpi estranei.
Attraversò il corridoio, arrivò in salotto e raggiunse il telefono, i cui squilli sembravano farsi sempre più assordanti nella casa.
Alzò infastidita il ricevitore. - Pronto? -
- Parlo con Piper o Phoebe Halliwell? - era una voce maschile, calda e cortese, ma allo stesso tempo incerta.
Piper, che non riconosceva chi fosse, percepì in sottofondo un gran movimento, con diverse voci e rumori. - Sono Piper. Lei chi è? -
La domanda cadde nel vuoto. L’uomo dall’altro capo ebbe un’esitazione tutt’altro che rassicurante, per poi riprendere assumendo un tono più grave. - Signora Halliwell, c’è una cosa che devo comunicarle. -

Appena Piper fu uscita dalla soffitta, Leo si assicurò che fosse sufficientemente lontana e che non potesse sentirlo, prima di tornare a parlare con Phoebe.
- Ascolta, vuoi farmi la cortesia di spiegarmi? - a questo punto voleva vederci chiaro. - Vi ho lasciate un paio d’ore fa, tutte insieme, pronte ad affrontare un demone che appariva di chissà quale potenza, e adesso vi ritrovo così, con Piper visibilmente sconvolta, tu quasi rassegnata, e con una sorella che non si trova. Che cos’è successo? -
- Hai sentito Piper: Paige se n’è andata. -
- Ma non può essere scomparsa nel nulla! -
Phoebe fece un lungo sospiro e, sotto lo sguardo attento del cognato, iniziò a passeggiare per la stanza. - Come ti ho già detto, per eliminare il demone imperatore avevamo scoperto un incantesimo. Per essere utilizzato era indispensabile il Potere del Trio, ma non sembrava così complicato, in fondo si trattava solo di evocare il demone, bloccarlo e pronunciare una formula. Pensavamo che sarebbe bastato, e invece… ci abbiamo provato più volte, ma non ha avuto alcun effetto. - scosse la testa. - Evidentemente qualcosa non deve essere andato per il verso giusto, non lo so. Poi abbiamo iniziato a litigare… Paige ci ha accusate di non ascoltarla, di non tenerla abbastanza in considerazione, di non trattarla come una vera sorella, di continuare a preferire Prue a lei. Ma non è assolutamente così, lo sa benissimo anche lei. - si prese una breve pausa per riflettere su quel momento. - Immagino abbia soltanto perso un po’ troppo la pazienza. Eravamo tutte snervate per la mancata efficacia del’incantesimo, e probabilmente Paige deve essere stata quella che si è irritata di più. - allargò il braccio in direzione del treppiede, indicando con la mano il Libro delle Ombre lasciato in precedenza da Piper. - Se solo la formula avesse funzionato, magari adesso… -
Leo aveva in testa una domanda che avrebbe voluto fare, ma al gesto di Phoebe, questa si dissolse nel fumo.
Come l’occhio cadde sul tomo che dava origine alla magia delle Halliwell, un particolare catturò la sua attenzione. Un piccolo e inquietante dettaglio, che soltanto il fiuto di un ex angelo, e sfortunatamente solo allora, era riuscito a cogliere.
- Phoebe, guarda il Libro. -
Muovendosi con passi pesanti, che sembrarono quasi far scricchiolare le travi del pavimento, Leo si posizionò dietro il treppiede, come se volesse mettersi a leggere.
Ma lo sguardo non si staccava dal rivestimento di pelle scura del Libro delle Ombre, e quando Phoebe si spostò al suo fianco, finalmente lo vide anche lei.
L'emblema magico sulla copertina, immagine rappresentativa del potere delle Halliwell, e composto da tre simboli intersecati, che stavano a raffigurare il Trio... non era più lo stesso.
Uno dei tre petali del fiore si era staccato, si era separato dagli altri due e si era allontanato dal centro per starsene distante nella parte opposta della pagina.
Il Potere del Trio si era spezzato.
- Com'è potuto accadere? - chiese Leo, alzando la voce per l’agitazione.
Era successo solo un’altra volta, tanti anni prima…
Prima era rimasta come ipnotizzata da quella visione. - Non lo so, deve essere stato quando abbiamo litigato. -
- Dobbiamo dirlo a Piper. E’ ancora di sotto al telefono? -
Phoebe si guardò intorno, benché non ci fossero poi molti posti in cui cercarla. - Immagino di sì. -
Si fiondarono in un baleno fuori dalla soffitta e giù per le scale, fino ad arrivare sulla soglia del salotto. Ma fu lì che, senza neanche avere la possibilità di aprire bocca, si bloccarono.
Piper.
Se la ritrovarono davanti, con il ricevitore ancora attaccato all’orecchio, gli occhi lucidi e uno sguardo vitreo perso nel vuoto.
- Piper? - provò a richiamarla Leo, che aveva già cominciato a preoccuparsi vedendo la moglie in quello stato.
Ma non ottenne alcuna reazione, perché in quel momento per Piper era come se, oltre quel telefono, non esistesse nient’altro.
Cercava di trattenersi, ma stava singhiozzando.
Tra un singulto e l’altro, riuscì a pronunciare un paio di “sì”, strozzati dalla voce spezzata e quasi senza fiato, in direzione di quella voce dall’altro capo che proprio non voleva saperne di smettere di parlare.
Quando ne ebbe avuto abbastanza, quando sentì che se non avesse chiuso la conversazione o avrebbe fatto esplodere il ricevitore o sarebbe svenuta, riagganciò, lentamente e come se le mancassero le forze.
Restò a fissare il telefono per degli interminabili secondi, distrutta, portandosi una mano davanti alla bocca per impedirle di tremare.
- Piper, chi era? - fece Leo, sbarrando gli occhi per l’apprensione.
Niente.
- Piper, che succede? - tentò Phoebe, che in quanto a livello di angoscia aveva ormai superato il cognato.
Poi, finalmente, Piper riuscì a voltarsi e ad indirizzare lo sguardo verso quelli di Phoebe e Leo.
E quando i due, che già sapevano che non poteva trattarsi di nulla di buono, videro le lacrime che avevano iniziato a sgorgare incontenibili come una cascata, quella consapevolezza divenne una dolorosa certezza.
Talmente dolorosa che vennero entrambi colpiti simultaneamente da una fitta alla bocca dello stomaco.
Perché, che tu sia una Strega o un ex Angelo Bianco, non si è mai pronti ad accogliere una tragica notizia.
Piper cercò di asciugarsi la faccia con la manica, ma la mano tremava e le lacrime scendevano senza tregua. - Era l’ospedale… - cominciò, cercando disperatamente le energie per pronunciare ogni singola lettera. - Hanno ricoverato Paige. -



 


Angolo dell'autore / Aggiornamento Giugno 2015:

Inanzitutto, devo cominciare salutando e ringraziando chiunque sia arrivato a leggere fino a qui.
So che sono passati ormai più di sei mesi dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo, ma sappiate che non ho dato affatto l'addio a questa storia. Quando verrà il momento giusto, la riprenderò in mano e la porterò a termine come merita.

Nel frattempo, ogni vostro pensiero sarà ben accolto e apprezzato!

 

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Capitolo 8
*** 08. Down To Hell ***


Capitolo 8:
Down To Hell


 
La porta del San Francisco Memorial Hospital si spalancò con estrema violenza, tanto che nessuno seppe mai se fosse stata semplicemente spinta o se Piper avesse usato i suoi poteri. Il maniglione antipanico parve addirittura assumere un'impossibile e innaturale forma, andando a sbattere nell'apertura contro il muro e facendo sobbalzare i malcapitati che si trovavano nei paraggi.
Con una faccia che tradiva un cocktail di rabbia e dolore, Piper attraversò l'atrio rapidissima, seguita a fatica da Phoebe e Leo. Almeno non avevano lasciato che fosse Piper a guidare, trovarono il tempo di pensare i due; altrimenti sarebbero sì arrivati comunque in ospedale, ma spinti sopra una barella e dentro un'ambulanza.
La maggiore delle Halliwell giunse all'isola reception dell'ospedale, rappresentata da un bancone circolare, oltre il quale la stava aspettando una giovane infermiera vestita di rosa e dai capelli rossi e ricci. La ragazza, vedendo i tre avvicinarsi, smise di scrivere al computer. - Posso aiutarvi? - chiese cordialmente, forse perché ancora non si era accorta dell'espressione di Piper.
- Dov'è Paige Matthews? - richiese la donna, alzando così tanto il tono della voce che lo spostamento d'aria per poco non spettinò l'infermiera.
- Come? - fece la giovane, sbattendo un paio di volte le palpebre per lo stupore.
- Paige Matthews! - urlò di nuovo Piper schiacciando le mani sul tavolo, ruggendo talmente forte che sembrò quasi voler sputare in faccia alla povera ragazza.
- Siete parenti? - si azzardò a domandare quest'ultima, apparendo piuttosto in confusione.
Non l'avesse mai fatto. Phoebe, sbracciandosi, si fece  largo tra Piper e Leo e raggiunse la sorella al bancone. - No, abbiamo scelto un nome a caso sull'elenco del telefono e abbiamo deciso di venirla a trovare in ospedale. - fece una breve pausa ad effetto, mentre l'infermiera la fissava spaurita. - Ma certo che siamo suoi parenti! -
- Sorelle e cognato. - puntualizzò Leo dalle retrovie.
A questo punto la giovane iniziò a premere alcuni tasti del computer facendo partire la ricerca sul database. - Paige Matthews... Paige Matthews... -
- Allora? - le impose fretta Piper, non tollerando nemmeno pochi secondi d'attesa.
- Eccola! - la trovò finalmente, sospirando sollevata in silenzio. - E' al secondo piano, nella stanza... - poi si fermò, puntando il dito alla sua sinistra oltre Piper. - Guardate, quello è il medico che ha seguito vostra sorella Paige. - disse indicando un dottore in classico camice bianco che, già distante da loro e di spalle, si stava ulteriormente allontanando verso un lungo corridoio.
- Forse potete... - non ebbe finito la frase, che i tre, senza neanche ringraziarla, erano già partiti alla rincorsa dell'uomo.
Superarono una porta a vetri e, accelerando il passo, lo intercettarono prima che potesse prendere l'ascensore.
- Si fermi! - gli ordinò Piper.
Un distinto signore di mezza età, alto e dai capelli brizzolati si voltò verso di loro. - Sì? -
Phoebe superò la sorella. - Lei è il medico che ha curato nostra sorella, Paige Matthews? -
L'uomo, dopo aver fatto passare un gruppetto di persone che usciva proprio dall'ascensore e aver lasciato il posto ad un'anziana signora, rinunciò a salire e fece richiudere le porte metalliche dietro di sé.
Si guardò attorno per un istante, dopodiché portò i tre in disparte e porse loro la mano. - Sono il Dottor Sanders. E sì, ho in cura io vostra sorella. -
- Cos'è successo? Come sta? - Piper trasmise tutta la sua ansia in quella stretta di mano, agitandola forse più del dovuto.
L’uomo aggrottò la fronte. - Temevo qualcuno mi avrebbe fatto questa domanda. - Si guardò intorno e poi richiamò l’ascensore. - Seguitemi. -
Le portò al piano superiore, attraversando il tragitto in religioso silenzio.
Un nuovo reparto si aprì loro all’orizzonte: un ambiente scuro, angusto, ovattato, dove quattro corridoi si allargavano a forma di croce.
- Dove siamo? - domandò Phoebe.
Sanders li portò proprio al centro dell’intersezione. - Terapia intensiva. Vostra sorella è stata ricoverata qui con la massima urgenza. Codice rosso. -
Piper si mostrò stanca di tante parole piene di attesa. - Insomma, dottore, vuole dirci cos’è successo? -
Lui sembrava sempre meno sicuro. - E’ questo il problema: non lo sappiamo con certezza. Da ciò che è stato riferito, una telefonata anonima ha segnalato la presenza di una ragazza priva di sensi nella zona di Torches, in un vicolo dietro una casa colonica abbandonata… -
Phoebe si voltò di scatto verso Leo. - Che ci faceva Paige lì? - gli sussurrò.
- Un’ambulanza è stata immediatamente inviata ma, appena vostra sorella è arrivata qui all’ospedale, è stato chiaro come le sue condizioni fossero critiche. Una ferita molto profonda che potrebbe anche aver causato danni agli organi interni. Tuttavia… -
- “Tuttavia” cosa, dottore? - insistette Piper.
- Non siamo riusciti a capire quale sia stata la causa. Non è una ferita da arma da taglio, e nemmeno da arma da fuoco, per via di alcune bruciature intorno al foro… -
Quelle parole, come furono pronunciate, furono un’illuminazione per Piper, Phoebe e Leo. I tre si guardarono per un istante, abbastanza da far loro capire di cosa si trattasse in realtà.
- Bruciature? - ripeté Phoebe, sperando con l’ultima parte di sé di aver sentito male.
- Esatto. - annuì Sanders.
- Ma si riprenderà? - irruppe Piper, inquieta.
- E’ presto per dirlo. Deve essere sottoposta ancora a parecchi esami, e nel peggiore dei casi ad un’altra operazione. Tutto dipende da come si comporterà durante la notte. - Avrebbe voluto continuare la spiegazione, ma l’istinto lo portò a guardare l’orologio. - Adesso devo proprio andare. Devo presenziare ad un intervento tra pochi minuti, mi dispiace. -
- Si figuri, e grazie del suo tempo. - fece Leo, stringendogli di nuovo la mano.
- Se volete vedere vostra sorella, è nella camera 14, da quella parte. - indicò il corridoio che andava a nord. - Ma vi chiedo cortesemente di non entrare. Non è nelle condizioni di ricevere visite, deve riposare. -
- Certamente. -
Attesero che il medico si fosse allontanato per dirigersi da Paige. La tapparella alzata permetteva loro di vedere all’interno della stanza attraverso il vetro.
Eccola lì: Paige Matthews, lontana dalle sue sorelle, sola e indifesa, distesa inerme tra lenzuola bianche, tenuta al mondo da tubi e flebo, macchinari e display sempre in funzione.
- Non è possibile… - mormorò Phoebe distrutta, poggiando la fronte alla parete trasparente.
Piper la affiancò, gli occhi pieni di lacrime. - Non doveva andare così… non doveva trovarsi lì… non doveva essere da sola! -
Leo le poggiò una mano sulla spalla cercando di placare il suo dolore. - Piper, andiamo, andrà tutto bene… -
- Hai ragione. - fece la moglie in un moto d’orgoglio. - Perché tu adesso andrai a chiamare gli Anziani e farai sistemare loro tutto quanto! -
Leo sgranò gli occhi. - Cosa? -
- Gli Anziani, loro sapranno cosa fare con Paige! -
- Piper, io non ho più i poteri! Nemmeno uno, te ne sei scordata? Come dovrei fare per salire dagli Anziani, chiamo un taxi? -
Piper non voleva sentire ragioni. Testarda, determinata, pronta a tutto per la sua famiglia: una vera Halliwell. - Come ti pare. Fai l’autostop, prendi un ascensore, o noleggia un’astronave. Gli Anziani devono intervenire per salvare Paige! -
Leo tentò di calmare i toni e di far ragionare la consorte. - Non posso, Piper, davvero. E poi, sai benissimo che sarebbe contro le regole. Sai, il profitto personale… -
Ma quelle parole che avrebbero dovuto riportare la tranquillità, contribuirono invece a fomentare la tempesta. - Non mi interessa un accidente del profitto personale! Mia sorella è in un letto d’ospedale e sta lottando tra la vita e la morte. Guardala, Leo! Sta male, e ha bisogno del mio aiuto. Del nostro aiuto. E io non mi fermerò finché non l’avrò riportata qui accanto a me. -
- Gli Anziani non ci aiuteranno, Piper. Non vorranno trasgredire le regole. -
Piper fece un passo verso di lui e gli puntò l’indice al petto. - Se pensi che io me ne starò qui senza far nulla, ad osservare mia sorella attraverso un vetro, ti sbagli di grosso. Non lascerò che mia sorella rischi la vita perché dei vecchi decrepiti non hanno voglia di alzare il culo dai loro troni! -
- Piper… -
- Piper un corno! -
Un’altra mano si posò sulla spalla della maggiore delle Halliwell. - Purtroppo Leo ha ragione. - La voce di Phoebe era spezzata, e gli occhi lucidi. - Dovremo cavarcela da soli, e avere fiducia nei medici. Faranno tutto il possibile, vedrai. -
Piper annuì con veemenza e partì improvvisamente alla volta dell’ascensore, con passo spedito. - Ho capito… - mormorò in tono d’accusa.
Leo fece per andarle dietro, ma Phoebe lo fermò. - Ci penso io. -
Dopo aver visto le due sorelle chiudersi nella cabina e sparire dietro le porte metalliche, il fu Angelo Bianco rivolse uno sguardo a Paige. La mano sul vetro, e dalla sua bocca uscì una promessa. - Ce la faremo. -
Tornò al primo piano utilizzando le scale, e una volta lì, si guardò intorno alla ricerca della moglie. La vide nel parcheggio, appoggiata alla portiera della Jeep, mentre Phoebe cercava in qualche modo di confortarla.
In quel momento, si sentì raggiungere da una voce alle sue spalle. - Signor Wyatt? -
Leo si voltò insospettito, e si ritrovò davanti un uomo ricciolo sulla trentina, con un giubbottino beige e un taccuino nella mano. Dalla tasca interna estrasse un distintivo e glielo mostrò. - Detective Roster, polizia di San Francisco. -
- Sì, ho una certa conoscenza delle forze dell’ordine di questa città. E lei non sembra proprio della polizia. -
L’uomo abbozzò un sorriso. - E’ perché sono in borghese. -
Leo continuò a trattarlo con sufficienza; non era il momento e non aveva alcuna voglia di gestire un'altra scocciatura. - Beh, allora si faccia consigliare dai suoi superiori un bravo sarto. -
- Se permette, parlerei dopo del mio guardaroba. - Gli rispose a tono, riponendo il badge e tornando ad impugnare il blocchetto. - Sono stato incaricato di seguire questa indagine, e volevo fare due chiacchiere con lei. -
Una fiamma si accese in fondo agli occhi di Leo. - Quale indagine? -
- Quella che si è aperta non appena abbiamo ricevuto la segnalazione su sua… cognata, giusto Leo? Posso chiamarla Leo, vero? -
- No. -
Roster fece lo sbruffone. - Capirà, Leo, che ci è sembrato un po’ strano il modo è stata rinvenuta. E quella ferita, poi… -
Si fermò aspettandosi forse una risposta, ma di fronte al silenzio di Leo, brandì una penna e riprese. - Crede che qualcuno potesse avercela con Paige Matthews? - nessun commento. - I medici hanno detto di averla trovata nel quartiere di Torches, una bella zona malfamata. Che sia finita nel territorio di qualche gang? -
- Senta… - reagì Leo. - Un membro della mia famiglia è appena stato ricoverato, e io non ha alcuna intenzione di parlare con lei. Perciò adesso la saluto e me ne vado da mia moglie. -
Gli voltò le spalle ma, dopo appena un paio di passi, tornò a fissarlo. - E lei stia lontano da questo caso. Le conviene. -
Roster parve assumere un’aria di sfida. - Che cos’è, una minaccia, Leo? -
- No, è un consiglio. E farebbe meglio a seguirlo, perché so perfettamente di cosa sto parlando. -
 
 
*****
 
 
Seduto comodamente al suo trono regale, Jiroke si godeva un po’ di quiete, in attesa di notizie.
Non erano passate che poche ore, ma sperava che fossero state sufficienti a Hewon e alla sua banda.
Il veleno nelle sue stava sgorgando velocemente per l’impazienza. Tutto il potere che aveva sempre bramato era lì, a portata di mano, con solo tre misere donne sulla sua strada.
Tutto sarebbe andato secondo i piani, e presto anche quel minuscolo e inferiore pianeta chiamato Terra sarebbe stato annoverato tra le sue conquiste.
Una lingua di fuoco comparsa al centro della sala annunciò l’arrivo del suo braccio destro. - Signore. - si inchinò immediatamente.
L’imperatore annuì e lo invitò ad alzare il capo. - Cosa porti con te? -
- Grandi notizie, Sire. La prima sorella, la più piccola, è stata sistemata. -
- E’ andato tutto bene? -
- Era un osso duro la ragazza, ma questo lo sapevano già, in fondo. Nessun imprevisto però, me ne sono occupato io. -
La soddisfazione trasudava dal cappuccio di Jiroke. - Perfetto. -
- Adesso come procediamo, Signore? -
Il tono si fece solenne. - Preparati, perché ora è il momento di passare ad un’altra sorella. E’ quella più forte, ma è anche quella che al momento è più fragile. Non importa che siano le streghe più forti del mondo, le Prescelte, anche loro hanno punti deboli, e soprattutto lei. La famiglia. -
 
 
*****
 
 
Era tramonto ormai inoltrato, ma dai medici non giungevano ancora aggiornamenti.
L’attesa procedeva snervante e incessante, e tuttavia nessuno aveva intenzione di lasciare l’ospedale.
Leo sembrava essersi liberato almeno per il momento del detective Roster, mentre Piper aveva continuato per tutto il pomeriggio a tempestare di domande il dottor Sanders.
Quando vide la moglie passare dal corridoio diretta al bar, Leo si alzò dalla sedia nella sala d’attesa e con uno scatto la raggiunse. - Dove stai andando? -
- A mangiare qualcosa. Vedi qualcos’altro, qui dentro, in grado di fornirmi conforto e risposte? No, magari un panino sarà più utile di Sanders. -
- Sta solo facendo il suo lavoro… i bambini stanno bene? -
Piper scosse il capo rasserenandosi per un secondo. - Sì, ho chiamato Wendy della scuola di magia. Chris stava già dormendo. Non sanno ancora nulla di quanto successo. -
Leo annuì comprensivo, in fin dei conti c’era davvero poco da dire. Poi si guardò intorno. - Hai visto Phoebe? Sembra sparita. -
Piper allungò il braccio e indicò la rampa di scale. - L’ho vista salire una ventina di minuti fa. -
- Vado a vedere come sta. -
Arrivò al secondo piano e si diresse subito nel corridoio che avevano visitato quella mattina.
La vide proprio dove si aspettava di trovarla, ma non come immaginava.
Appoggiata con la schiena alla parete accanto al vetro e con le braccia conserte, Phoebe era circondata da un’aria cupa e pensierosa. Lo sguardo scuro in volto, che a tratti diventava vitreo a fissare il vuoto.
Leo le si avvicinò. - Phoebe? -
Solo quando si sentì chiamare, lei si accorse di lui. - Ciao, Leo… - anche il tono sembrava distratto da qualcosa.
- Che ci fai qui da sola? -
- Paige… -
- Volevi starle vicino, lo capisco. Ma Paige è forte, se la caverà. Così come tu e Piper riuscirete a sconfiggere il demone anche stavolta. Siete Halliwell, in fondo. - abbozzò un sorriso. - Non preoccuparti. -
- Non hai capito, Leo, non è per questo… -
Quando poi i loro sguardi si incrociarono, Leo poté intravedere negli occhi di Phoebe una strana luce, fatta di dolore, di angoscia, di rimorso.
- Leo… - la voce, indurita, pareva al tempo stesso estremamente fragile. - E’ colpa mia. -

 





Angolo dell'autore:
Credo sia passato esattamente un anno e mezzo dall'ultima volta che ho preso in mano questa storia e pubblicato l'ultimo capitolo.
Un po' per fuga di ispirazione, un po' per mancanza di tempo, un po' per tante altre cose, non è più stata aggiornata.
Tuttavia, non è mai stata dimenticata. E' sempre rimasta in una cartella del mio pc in attesa solo che venisse riaperta.
Avevo infatti detto una volta che, quando sarebbe arrivato il momento giusto, sarei tornato a scrivere Dream 2 Fly, e questo pomeriggio è successo esattamente così.
Questo è il primo capitolo di una nuova serie, ripresa a distanza di un'eternità, ma che porterà al compimento della storia.
Perciò ringrazio chi ha avuto la grazia e la pazienza di dedicare il suo tempo a Dream 2 Fly, e a chi ha lasciato un suo parere.
Detto questo, viaggiando verso tempi migliori, vi saluto e vi auguro buona lettura!

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Capitolo 9
*** 09. Stars Off The Sky ***


Capitolo 9:
Stars Off The Sky



“E’ colpa mia.”
 
- Ma che stai dicendo? - esclamò Leo, controllando comunque il volume del tono in quel reparto delicato. - E’ stato il demone a farle del male, perché mai dovrebbe essere colpa tua? -
- Abbiamo… ho sottovalutato tutta la situazione. - ammise Phoebe in un filo di voce.
Lui continuava a guardarla attonito.
- Pensa al Libro delle Ombre. - riprese lei - Il potere del Trio… -
- Ho visto cos’è successo al Libro, Phoebe, il vostro potere si è fratturato. Ma non c’entra con quello che è successo a tua sorella. La formula per distruggere Jiroke doveva essere stato trascritto male in origine, e quando siete arrivate a pronunciarla non ha funzionato. Quando, poi, tu e Paige vi siete innervosite per questo e avete litigato, il simbolo deve averlo preso come una “spaccatura” tra voi e si è disunito. Ma non puoi incolpare te stessa se Paige è finita tra le grinfie dei demoni. -
- E’ qui che ti sbagli, Leo. Abbiamo sempre pensato che fosse stato il fallimento del nostro piano a influenzare la divisione del simbolo, ma in realtà è l’esatto contrario. L’incantesimo non produceva effetti perché il potere del Trio era già separato, solo che non ce ne siamo accorte prima, prese com’eravamo dalla lotta. Non siamo state unite fin dall’inizio, dal primo attacco dei demoni. -
Leo si stava agitando. - Ma di che stai parlando? -
- Sentirla chiamare col nome di Prue, ha fatto allontanare Paige da noi sempre di più. La formula sbagliata è stata solo un pretesto per buttare fuori tutto quello che aveva dentro, ma il danno era già stato fatto. Il potere non avrebbe funzionato comunque. - un breve singulto le spezzò la voce. - Paige si è sentita emarginata, inferiore a Prue, non abbastanza considerata da noi, e questo l’ha ferita profondamente. Quando poi se n’è andata e ci ha mentito, dicendo che sarebbe andata alla scuola, in realtà credo sia andata a cercare Jiroke da sola, come se volesse provarci il suo valore. Ma non era nelle condizioni di affrontare una battaglia, i demoni devono averla colta di sorpresa e… -
Una manciata di lacrime inondò gli occhi di Phoebe, che si accasciò con la schiena alla parete e le mani sulla fronte.
Osservando la cognata in preda alla disperazione, Leo si sentì a corto di fiato e parole. Neanche la sua infinita saggezza da Angelo Bianco in quel momento sembrò abbastanza.
Di una sola cosa era sicuro, e arrivò persino a maledirsi per questo.
“Piper non dovrà saperlo”, pensò. Sarebbe stato solo un altro brutto colpo, e non sapeva quanti ancora avrebbe potuto sopportarne.
- Andrà tutto bene, Phoebe. - provò a confortarla, poi lanciò un’occhiata all’ascensore. - Io torno giù da Piper. Se vuoi, ti lasciò qui da sola per un po’. -
Lei annuì impercettibilmente. Quando riaprì gli occhi, Leo era già sparito dietro le porte metalliche.
 
 
*****
 
 
La fronte di Phoebe poggiava debolmente al gelido vetro che la separava da Paige. Il battito era dannatamente irregolare, gli occhi ancora non del tutto asciutti. Ma soprattutto, non riusciva a trovare il coraggio di guardare all’interno di quella stanza, verso il letto dove giaceva immobile sua sorella.
“Mi hanno sempre raccontato che la famiglia è l’ambiente più complicato in cui destreggiarsi. Non importa quanto madri, padri e nonni si impegnino, il risultato è che per noi non è mai abbastanza. Crescere nel modo che vogliamo è un’impresa ardua, spesso impossibile.
I rapporti non sono mai come li sogniamo. Basta un piccolo gesto, una dimenticanza, una parola sbagliata, e questi si rovinano per sempre. E lo sappiamo, riparare qualcosa è molto più difficile che romperla.
Io credevo di aver trovato tutta la fortuna di questo mondo, con voi. Non avrei potuto sperare di avere sorelle migliori di voi, con cui poter condividere questo straordinario dono che ci è stato offerto.
E non posso, non voglio credere che sia finito tutto così per colpa mia. Non volevo che andasse così, Paige, devi credermi.
Non avrebbe potuto esistere altra persona in grado di farmi superare il dolore per la perdita di Prue, se non tu.
Ti voglio bene, Paige, come se ti conoscessi da sempre. E voglio davvero che questo “per sempre” duri in eterno.
Noi, il Trio.
E giuro su qualsiasi cosa, che se potessi tornare indietro, rifare tutto da capo e rimediare ai miei errori, lo farei, così da poterti avere di nuovo al mio fianco.
Invoco qualunque entità mi stia ascoltando in questo momento, aiutateci affinché il Bene possa prevalere anche stavolta.”
Il silenzio che spietato avvolgeva il reparto, però, le ricordò come i propri errori a volte abbiano un costo estremamente elevato. Insostenibile.
 
 
*****
 
 
Appena uscito dall’ascensore, Leo si trovò faccia a faccia con l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare.
Decise di ignorarlo e si diresse deciso verso un distributore automatico. - Non è un po’ tardi per continuare a lavorare, detective Roster? -
L’uomo lo seguì a passo svelto. - Tutti straordinari. -
- E lei non ha niente di meglio da fare? -
- La mia vita privata non è così emozionante. Qui mi pagano, anche bene a dire il vero, perciò direi che preferisco restare a fare due chiacchiere con lei, signor Wyatt. -
Leo arrivò alla macchinetta e posò con veemenza la mano sulla parete, in un chiaro gesto di avvertimento. - Io però non ho niente da dirle. -
- Provi a fare uno sforzo. -
- Le ho già detto oggi pomeriggio tutto quello che avevo da dire. -
- Già, già… beh, sono passate circa tre ore da quando ci siamo salutati e mi ha detto di tenermi alla larga. -
- Allora se vuole glielo ripeto, magari stavolta si prenda un appunto: non si immischi in questo caso. E’ più grande di lei. -
Roster inclinò il capo con aria da sbruffone. - Ma non più grande di una giornalista, uno chef e un… mi scusi, lei che lavoro fa, signor Wyatt? -
- Fisico nucleare. - ironizzò.
Il detective incrociò le braccia al petto con un sorrisetto sornione e finto fare conciliante. - Andiamo, Leo, un po’ di collaborazione non danneggerà nessuno dei due. Io sto solo facendo il mio lavoro per risolvere questo caso. Non ho intenzione di intromettermi nei vostri giri… -
Quando Leo si voltò per rispondergli, con la coda dell’occhio vide Phoebe uscire dall’ascensore. - Phoebe! - la chiamò, facendola fermare al centro del corridoio.
Mosse un passo nella sua direzione, ma prima di allontanarsi, si parò di fronte a Roster affrontandolo a muso duro. - Faccia come le pare. - tornò a rivolgersi alla cognata. - Adesso noi ce ne andiamo. -
Raggiunse Phoebe senza guardarsi indietro e le posò un braccio intorno alle spalle, accompagnandola verso la porta.
- Chi era? - gli domandò lei.
Leo aggrottò nervosamente la fronte. - Il detective che sta indagando sul caso di Paige. -
Phoebe si fece preoccupata. - Che cosa… -
- Non importa, lui non è un problema. Vieni, prendiamo Piper e torniamo a casa. -
 
 
*****
 
 
Il rumore sinistro con cui vennero accolti appena rientrati lo conoscevano fin troppo bene. Lo scricchiolio delle assi di legno della soffitta riecheggiò in tutte le sale, scatenando in loro un misto di brividi e rabbia.
Lasciando Leo a guardia dell’ingresso, Piper e Phoebe si precipitarono su per le scale, sapendo perfettamente cosa le stava aspettando.
E infatti, come ebbero spalancato la porta, i loro sensi si amplificarono e scattarono all’erta.
Accanto al treppiede si stagliava un demone di colore, una montagna di muscoli avvolta in una lunga giacca nera. - Salve, Streghe... - le provocò.
- Salve a te, Mike Tyson. - replicò Phoebe, sarcastica anche in situazioni del genere.
L’attacco del demone fu fulmineo: una sfera di energia si sollevò dalla sua mano e sfrecciò verso Phoebe.
Fu immediatamente chiaro come le Streghe non fossero in condizioni ottimali, influenzate da ciò che avevano dovuto affrontare negli ultimi giorni. La stanchezza, l’emotività, il dolore e il pensiero di Paige le stavano pian piano indebolendo senza che loro se ne accorgessero.
I riflessi delle due si dimostrarono più lenti del solito, con Phoebe che si ritrovò coi piedi piantati in terra e incapace di saltare e schivarsi, e Piper che riuscì a bloccare la sfera solo quando questa fu a pochi centimetri dalla sorella.
Il contrattacco della Halliwell maggiore arrivò subito dopo, quando con un movimento un po’ lento e affaticato mirò alla pancia del demone e fece fuoco. L’esplosione, tuttavia, portata male andò a colpirlo solamente al fianco. L’uomo si accasciò per un secondo in ginocchio, e quando rialzò il capo, sembrava ancora più imbestialito.
Una seconda sfera fu scagliata in direzione di Piper, la quale si gettò istintivamente al suolo, sbattendo violentemente il gomito sul legno, mentre uno scaffale dietro di lei andava in mille pezzi.
Vedendo la sorella in difficoltà, Phoebe attinse alle sue forze per gettarsi addosso al demone, cercando di colpirlo con pugni e calci. Le arti marziali poterono però poco contro la differenza di stazza, che fece ben presto la differenza, e con un duro colpo la donna venne respinta e scaraventata contro il baule.
Con entrambe le streghe a terra doloranti, il demone digrignò i denti e si preparò al colpo di grazia. - Addio, signore… - disse, mentre faceva sviluppare un’altra sfera dal palmo.
In quel momento, la voce di Leo giunse prepotente nella soffitta. - Fermo! -
Il demone sorrise, osservando soddisfatto l’ex Angelo Bianco che, bloccato sulla soglia, si disperava impotente alla vista della moglie. - Piper, no! -
Quell’attimo di distrazione si rivelò però fatale per la creatura maligna.
Phoebe si mosse con la velocità di un gatto, afferrando un pezzo di legno affilato della libreria abbattuta, e con un balzo andò a conficcarlo nella gamba del nemico.
Questo levò un lancinante grido di dolore proprio mentre Phoebe rotolava lontano, concedendo così a Piper il tempo di fare la seconda mossa.
Gli immobilizzò la mano destra, quella dove teneva ancora sospesa la sfera d’energia, togliendogli quindi la possibilità di lanciarla.
E quando si accorse di cosa stava per accadere, per lui era ormai troppo tardi.
Piper concentrò il suo potere e la sua furia sulla sfera, che esplose come una mina anti-uomo in un vortice di fuoco, trascinando con sé e disintegrando definitivamente il demone.
Sicuro che la minaccia fosse stata sventata, Leo corse al capezzale della moglie. - Piper, stai bene? - poi si voltò dall’altra parte. - Tu, Phoebe? -
- Un po’ ammaccata, ma credo di sì. - la sorella minore si alzò a fatica e claudicante raggiunse il centro della stanza, prima di inginocchiarsi vicino a Piper. - Stavolta ce la siamo vista brutta, eh? - poi si rivolse a Leo. - Che fosse così forte il demone? -
Lui scosse il capo pazientemente. - No, non lo era. Siete voi che non siete al meglio in questo momento. Di questo passo, con tutto quello che è successo, qualunque demone di medio livello potrebbe mettervi in difficoltà. Forse dovreste provare a riposare un po’. -
- No! - eruppe improvvisamente Piper. - Non possiamo fermarci e riposare, Leo. -
- Ma sono quasi due giorni che non chiudi occhio… -
- Non importa. Dobbiamo trovare il modo di individuare Jiroke, di impedire l’invasione di demoni, e soprattutto di salvare mia sorella! Questa storia deve finire! -
- Ma… -
Niente. Determinata, testarda e guidata dalle emozioni, Piper non volle sentire ragioni. Si svincolò dalla presa di Leo e, anche lei zoppicando, prese in silenzio la via delle scale.
Il marito guardò confuso Phoebe, prima di lasciarsi andare ad un sospiro rassegnato. Non c’era stata una sola cosa che fosse andata nel verso giusto, negli ultimi giorni.
 
 
*****
 
 
Si ritrovarono poco dopo in cucina per curarsi le ferite e rifocillarsi. Leo si era già preso cura della moglie, e adesso si stava occupando del brutto taglio alla spalla di Phoebe.
Mentre le stava applicando l’ultimo punto, Piper si alzò e si diresse al frigorifero, restando stranamente a fissare un ripiano per alcuni secondi. - I nostri figli. - dichiarò poi all’improvviso, come se avesse avuto un’illuminazione.
Gli altri due si voltarono perplessi verso di lei. - “I nostri figli” cosa, Piper? - le domandò il marito.
Lei si richiuse lo sportello alle spalle e ci si appoggiò con la schiena. - Wyatt e Chris, li voglio qui con noi. -
Leo prese fiato, pensando intensamente ad un altro modo in cui replicare. Odiava dover contraddire Piper, ma ultimamente ci si era ritrovato costretto diverse volte. - Non credo sia una buona idea. -
- Li possiamo proteggere! -
- Sono protetti anche alla scuola di magia, dove almeno lì non entrano demoni. In casa nostra se ne sono presentati anche troppi negli ultimi tempi, non credi? -
Piper si stava già scaldando, vedendo la reticenza del consorte. - Ci siamo noi per questo. -
- Come stasera? Se voi non… - si morse la lingua. - E se qualcosa non fosse andato per il verso giusto -
- Non è un problema. -
Leo la fissò incredulo. Faticava a riconoscere sua moglie in quella donna, dallo sguardo buio, vuoto ed esaurito.
- Come “non è un problema”? Si tratta dei nostri figli, dannazione! Te lo ripeto, non è una decisione saggia portarli qui. Correrebbero troppi rischi. -
- Io invece credo che sarebbero più al sicuro con noi. - si voltò di scatto verso la sorella, che stava assistendo attonita alla scena. - Phoebe? -
La donna si ritrovò in un attimo tutti gli occhi puntati addosso. - Io, io, io… - balbettò incerta. - Non lo so. -
- Beh, io invece sì! - riprese Piper. - In fondo sono la madre, potrò sapere qual è il meglio per i miei figli? -
- Non stavolta, Piper. - rispose duro Leo.
- Ecco, forse… - si intromise timidamente Phoebe. - Potremmo… -
- Grazie Phoebe! - la interruppe immediatamente Piper, felice del suo appoggio. - Allora è deciso, faremo così. Domattina, Phoebe, tu andrai a prenderli alla scuola di magia, ok? -
La sorella riprovò a mormorare qualcosa. - Io… -
Ma la questione era ormai conclusa per Piper che, senza lasciare spazio ad altre parole, se ne andò dalla cucina e sparì su per le scale.
Rimasti soli, Leo si voltò irato verso Phoebe. - Perché le hai detto che andava bene? Sei davvero d’accordo con lei? -
- No che non lo sono! - rispose risentita. - In realtà volevo darti manforte, ma Piper non mi ha fatto nemmeno finire la frase! -
Leo si portò le mani sugli occhi e chinò il capo. E mentre lo scuoteva, cedette ad un altro sospiro di rassegnazione.
 
 
*****
 
 
Una lingua di fuoco si elevò di fronte al trono, dove Jiroke se ne stava rilassato a riflettere e ponderare.
Non appena il fumo si fu diradato, Hewon si piegò in un rispettoso inchino al suo sovrano. - Signore. - esordì, con la voce che tradiva un’aria trafelata.
Jiroke lo invitò a proseguire. - Dimmi, Hewon. -
- Credo che abbiamo un problema. -
L’imperatore si sporse di poco verso di lui. - Di cosa si tratta? -
- Ho fatto come mi ha detto lei, ho chiamato Rhett e l’ho mandato ad attaccare le Halliwell a casa loro. Ma le sorelle sono riuscite ad eliminare anche lui. Mi dispiace, Signore… -
Ma mentre il viso del braccio destro era ogni secondo più teso, quello di Jiroke restava inaspettatamente calmo, come se non si curasse affatto di ciò che gli veniva detto. - Di cosa ti dispiace, Hewon? -
Lui abbassò ulteriormente la testa. - Avevo garantito io per lui. Ma ha fallito il suo incarico… -
Jiroke lo sorprese scoppiando addirittura in una risata satanica. - No, Hewon, non ha fallito… è andato tutto esattamente come previsto. -

 

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Capitolo 10
*** 10. Our Own Dark Angels ***


Capitolo 10:
Our Own Dark Angels



Era rimasto tante volte a guardarla dormire. Fin dalle prime volte, quando rappresentava una presenza impercettibile nella sua vita, fino a quando erano diventati una vera famiglia.
Ma che la osservasse in qualità di Angelo Bianco protettore, o di marito amorevole, poco cambiava.
Adorava stare lì vicino a lei, con la voglia di non abbandonarla mai. Consapevole del tortuoso percorso che avevano dovuto affrontare, dei pericoli che avevano corso, delle avversità che gli si erano parate davanti, e infine della fortuna che li aveva baciati.
Perché non era mai riuscito a definirla in altro modo, se non fortuna. Quella di aver infranto il muro di leggi che duravano da secoli, secondo cui un Angelo Bianco non avrebbe potuto avere una storia con una strega. Ma in fondo lo sapevano benissimo, lui, gli Anziani e tutte le altre creature del loro mondo, che non ci sono magia o poteri che tengano di fronte alla forza più potente di tutte: l’amore.
Un amore che non sarebbe mai venuto a mancare, tantomeno per una litigata.
Non si era trattato certamente della loro prima discussione, ma c’era stato qualcosa che Leo non aveva mai visto prima di allora.
La luce spenta negli occhi di Piper, il tono alterato, l’aria distrutta. Poteva ritrovare tutti questi dettagli nel volto della moglie adagiato sul cuscino, le cui palpebre chiuse sembravano fissarlo.
Il lineamenti erano ancora duri e contratti, come se non riuscisse a trovare pace nemmeno mentre cercava di riposarsi.
E Leo non sapeva decidersi tra quale parte di sé, se quella residua di Angelo Bianco o quella di marito, lo portasse a preoccuparsi di più.
Piper e le sue sorelle avevano dovuto combattere contro tutto il possibile immaginabile e inimmaginabile nel corso degli ultimi anni, ma mai si erano ritrovate tanto in difficoltà.
Jiroke era un demone forte, forse troppo. Una creatura che avrebbe necessitato del potere del Trio per essere annientato, su cui però non potevano contare.
E le sorelle, da sole, non erano attualmente nelle condizioni di contrastarlo.
Paige stava lottando tra la vita e la morte, Phoebe era devastata dai sensi di colpa che si stava infliggendo e dal considerare sé stessa la ragione dei fallimenti, e Piper stava lentamente crollando sotto l’imponente peso di una famiglia da proteggere.
Leo parve cercare una risposta ai suoi dubbi sul viso teso di Piper, invano.
Aveva paura. Paura che la guida si fosse smarrita, che le Prescelte non fossero in grado di compiere il loro dovere, che il dolore potesse portare a scelte sconsiderate.
Si girò nel letto puntando lo sguardo al soffitto. Sconsiderato, esattamente come voler portare via i bambini dalla scuola di magia.


 
*****


Roster ripose il cellulare nella tasca, una volta terminata la chiamata con la centrale.
Un sorrisetto gli guarniva il viso. Era riuscito a battere lo scetticismo del suo superiore, e a farsi accordare altre ore di straordinario per indagare.
Il tramonto era giunto al termine, e i corridoi del San Francisco Memorial Hospital ospitavano soltanto il personale addetto al turno di notte.
Eppure, come aveva detto a Leo, restare ben oltre l’orario non gli dispiaceva affatto. Soprattutto se gli avesse dato l’opportunità di fare un po’ di chiarezza sul caso Halliwell.
Sorrise di nuovo, al pensiero che, nonostante non fossero passate più di ventiquattro ore, l’indagine avesse già un nome.
“Il caso Halliwell”, come quello di J.F. Kennedy o di Lady Diana.
Poteva essere destinato a finire sulle prime pagine di giornali e notiziari, e soprattutto, a restare irrisolto anche quello, se non avesse trovato velocemente degli elementi su cui lavorare.
C’era troppo in quel quadro che non tornava, se lo sentiva. Non si trattava di una banale rapina finita male, come qualcuno dei suoi colleghi aveva insinuato inizialmente, e aveva smesso di credere alla storia delle gang.
Il racconto incerto del dottor Sanders, gli strani esiti degli esami condotti su Paige Matthews e sulle ferite che aveva riportato, e il comportamento sospetto di Leo Wyatt, non facevano altro che fomentare i dubbi che già aveva.
C’era qualcosa di particolare in quel caso, qualcosa che forse andava addirittura al di là della sua sfera di competenza. Ma non gli interessava, di qualunque cosa si trattasse, lui l’avrebbe scoperto.
Scambiò due parole con un’infermiera al banco, dopodiché decise di tornare a cercare il dottor Sanders.
Ma tanto era concentrato sul caso, da non accorgersi dello sguardo torvo che un uomo, appostato appena fuori dal ripostiglio delle scorte, gli stava scagliando.
Indossava un camice bianco come un qualsiasi medico, ma la scintilla di fuoco che gli brillava in fondo alle iridi, indicava come quell’essere, di umano, avesse ben poco.
I passi si mossero senza che il detective li percepisse, seguendolo come un’ombra lungo il corridoio, altare perfetto nel silenzio deserto del reparto.
Giunto di fronte all’ascensore, Roster abbassò distrattamente gli occhi sul cellulare per vedere l’ora.
Un attimo dopo, senza spezzare la quiete che regnava, giaceva in una pozza di sangue con un pugnale nel cuore.


 
*****


Erano rimasti ben pochi dubbi ormai nella testa di Phoebe.
Aveva trovato una risposta al fallimento dell’incantesimo, alla rottura del potere del Trio, all’incombente conquista da parte di Jiroke del loro pianeta, alla consapevolezza di quanto poco avessero fatto per impedirglielo.
E la risposta era una sola: lei.
Si sentiva responsabile per quanto accaduto, così come si sentiva responsabile per essere lì in quel momento.
Percorrendo i lunghi corridoi della scuola di magia, ripensò per l’ennesima volta a quanto fosse una brutta idea quella avuta da Piper.
Eppure, la sera prima, non era riuscita a ribattere quando Piper aveva fatto valere la sua prepotenza.
Solamente più tardi, distesa insonne nel proprio letto, aveva capito perché: il senso di colpa, il timore di rovinare qualcosa di già compromesso, l’aveva frenata dal dare una risposta che avrebbe causato un litigio con Piper.
Dopo Paige, non avrebbe dovuto ripetersi anche con Piper.
Doveva cercare di restare più unita possibile a lei, per il bene di tutti.
Pensierosa, raggiunse la quarta stanza sulla sinistra, una sorta di stanza adibita a nursery dove Wendy si occupava dei piccoli figli di Piper.
Appena entrata, venne colta da un istintivo senso di gioia.
Alla fioca luce mattutina che filtrava dall’unica finestra, osservò Chris nella culla, intento a giocare con un peluche, e poi Wyatt che, seduto sul tappeto, stava tirando su una magione con le costruzioni.
Wendy, accovacciata di fronte a lui, si accorse dell’ingresso di Phoebe e si voltò nella sua direzione.
- Ciao, Phoebe! - la accolse con un ampio sorriso. - Sono contenta di rivederti, come stai? -
Phoebe inclinò la testa poco convinta. - Diciamo che potrebbe andare meglio… -
Wendy si alzò e le andò incontro. - Volevi vedere i bambini? -
- Ecco, a dire il vero… - si strinse nelle spalle, mentre si infilava timidamente le mani in tasca. - Sono venuta per riprenderli. -
La ragazza la guardò confusa. - Davvero? Pensavo che… -
- Lo so. - la interruppe. - Ma adesso è meglio che li riporti a casa. -
- Ne sei sicura? Da quello che mi ha raccontato Leo siete sotto attacco… -
- Sì. - rispose secca.
- Non credo sia una buona idea, Phoebe… -
Phoebe la fissò duramente negli occhi, ma non riuscì a replicare subito. Aveva ragione, nemmeno lei pensava che fosse una buona idea. Ma non poteva fare altrimenti.
- Ascolta, Wendy, sono tuoi i figli? -
Si accorse immediatamente della cattiveria contenuta in quella frase. E provò un forte senso di vergogna. Era debole, era fragile. Preferiva aggredire una ragazza che stava solo pensando al loro bene e a quello dei due piccoli, piuttosto che rischiare di discutere con Piper.
Evitò lo sguardo atterrito e stranito di Wendy, si avvicinò alla culla e prese in braccio Chris. - Vieni qua, tesoro. - prese poi la manina di Wyatt, facendogli cadere un mattoncino. - Andiamo, vi riporto dalla mamma. -


 
*****


Probabilmente Piper era l’unica in casa a non voler credere che il Libro delle Ombre fosse diventato un oggetto in pratica inutile.
L’unica soluzione che aveva offerto loro per contrastare Jiroke si era rivelata efficace come una filastrocca, eppure lei non voleva arrendersi. Nemmeno all’evidenza.
Sporta sul treppiede, continuava a sfogliare pagine su pagine, avanti e indietro, forse senza neanche sapere cosa stesse cercando.
Una tempesta di emozioni era in corso dentro di lei, e anche se non voleva ammetterlo, stava facendo sempre più fatica a tenerla sotto controllo.
Sentiva di avere qualcosa di più importante a cui pensare, prima che a sé stessa.
Phoebe, appoggiata con le braccia conserte ad una libreria poco distante, la fissava assorta.
L’immagine di quel simbolo una volta appartenuto al trio, adesso spezzato, era un’immagine indelebile.
E tra tutte le formule e gli incantesimi che Piper stava scorrendo, sperò che ne potesse trovare uno che sistemasse almeno quel problema.
Ma esisteva davvero un qualsiasi rituale che fosse sufficiente a riunire il trio delle Prescelte?
Esisteva davvero un modo per farle tornare insieme?
- Phoebe, vieni qui. - la ridestò d’un tratto Piper.
La sorella le andò velocemente incontro. - Hai trovato qualcosa? - le domandò speranzosa.
- Neanche una virgola. - spense subito quel briciolo di entusiasmo. - Ma questa è la pagina su Jiroke. -
- E allora? -
- Non sei riuscita ancora ad avere una premonizione su di lui, vero? -
- No, non sono più riuscita ad avere una premonizione su nulla, se è per questo. -
- Prova adesso. -
Phoebe provò a farla ragionare. - Piper, ci abbiamo già provato… -
- Fai un altro tentativo! - eruppe improvvisamente, afferrandole la mano e posandola con veemenza sul libro. Ma come era facile immaginare, il risultato fu nullo.
- Niente? - le chiese conferma.
Phoebe scosse la testa, mentre l’occhio si faceva velatamente lucido. - Te l’ho detto, il mio potere non sta più funzionando… -
A togliere ad entrambe il tempo di riflettere, fu il lampo oscuro che si manifestò improvvisamente al centro della soffitta.
Un Angelo Nero dal ghigno famelico si stagliò in mezzo ad una nuvola di fumo, brandendo la sua balestra.
Phoebe risultò la più sorpresa dall'apparizione, e fu proprio contro di lei che finì puntata l'arma.
Nessuna frase ad effetto, nessuna rivendicazione, soltanto una freccia avvelenata che mirava al cuore.
Ma ciò che nessun demone aveva mai imparato affrontando le sorelle Halliwell nel corso degli anni, forse impossibilitati dal loro odio verso i sentimenti umani, era che il desiderio di salvare la propria famiglia era più potente di qualsiasi strale o sfera di fuoco.
Ancora una volta l'intervento di Piper fu provvidenziale. Ci fu tanta rabbia, tanta frustrazione, tanto odio verso i demoni, in quel preciso e rapido attacco con cui disintegrò l'Angelo Nero in mille pezzi, prima ancora che questo potesse accorgersene.
La soffitta ripiombò in un attimo nuovamente nel silenzio.
Phoebe stava cercando lo sguardo della sorella, ma quello di una stravolta Piper sembrava in tutt'altra dimensione.
Ancora una volta quegli occhi persi nel vuoto di fronte a sé, a cercare un orizzonte che non avrebbe mai raggiunto.
- Piper... - si azzardò a richiamarla, e la reazione che ricevette in cambio la lasciò spiazzata.
Un grido colmo di disperazione, dolore e paura rimbombò tra le pareti della soffitta, una richiesta di aiuto destinata a restare abbandonata. - Basta! -
La voce della moglie aveva allarmato Leo, il quale si presentò trafelato sulla soglia. - Piper, che succede? - domandò, guardando a turno le due sorelle. - Ti ho sentito dal soggiorno, che... -
Appena vide la polvere danzare nell'aria fu capace di rispondersi da solo. - Un altro demone? -
- Stavolta un Angelo Nero. - puntualizzò stancamente Phoebe.
- State bene? -
- Io ne ho abbastanza! - esplose Piper. - Io non ce la faccio più! -
Leo le si avvicinò e le cinse le spalle. - Calmati, vedrai che alla fine andrà tutto bene... -
- Non c'è un accidenti che sia andato bene fino ad ora, Leo! Abbiamo un demone che incombe sul nostro pianeta, migliaia di innocenti rischia di finire soggiogato, la nostra famiglia è in pericolo, Paige è in ospedale... - la voce si era incrinata, ma lei continuava a combattere la sua stessa voglia di scoppiare a piangere. - E io non so più che fare! -
Leo provò a stringere l'abbraccio. - Esiste una soluzione a tutto, fidati. Tutto accade per un motivo, ricordatelo. Supereremo anche questo. -
E mentre pronunciava quelle parole, sapeva che non avrebbe mai smesso di proteggerla, non importava se con o senza poteri.
- Ma adesso capisci cosa intendevo ieri sera, quando parlavamo di tenere Wyatt e Chris qui? Lo hai appena detto anche tu, siamo sotto attacco. E questo non è né il momento né il luogo più adatto per loro... -
- Smettila, Leo! - il tono si era ulteriormente irato. - Ho preso una decisione, e rimarrà quella. So cos'è meglio per i miei figli! -
- D'accordo, d'accordo... - il sospiro di Leo servì nient’altro che a evitare di contraddirla, leggendo il momento di difficoltà.
- Piper, - si intromise Phoebe con fare insicuro. - Perchè non vai giù a riposarti un po'? -
- Non abbiamo tempo, Phoebe. -
- Continuo io, non ti preoccupare. Se trovo qualcosa, - le sorrise. - sarai la prima che verrò a chiamare. -
Piper squadrò prima la sorella e poi il marito, e si accorse di essere praticamente circondata. - Come volete. -
L'aria era comunque irritata, come si evinse dall'occhiata che lanciò a Leo prima di andarsene. - Sei d'accordo almeno che vada a farmi un sonnellino? -
C'era un mare di preoccupazione nel modo in cui Leo la fissava, e arrivò a mordersi un labbro, mentre la osservava sparire giù per le scale.


 
*****


Tre candelabri, posizionati equidistanti sulla tavola , illuminavano quasi a giorno l'oscura sala regale.
A capotavola, con le mani posate sull'arazzo che copriva buona parte del legno, era seduto Jiroke.
Da solo, in preda al suo senso di onnipotenza, con i pensieri già rivolti al futuro, a quando il suo nome sarebbe stato inserito nei libri di storia da far studiare a nuovi giovani demoni.
Il comando, questo rende un leader davvero grande. Sono il modo in cui vengono guidati i soldati in battaglia, le persone fidate di cui viene circondato, gli obiettivi che riesce a raggiungere, che rendono un sovrano degno di avere un regno ai propri piedi.
E lui sarebbe arrivato ad essere il più grande Imperatore di tutti i tempi.
La porta alle sue spalle cigolò, anticipando l'entrata di Hewon.
Il passo era un po' incerto e chiuso nel silenzio. In fondo erano state davvero poche le volte in cui, nonostante lui fosse il braccio destro di Hewon, aveva avuto il permesso di accedere a quella sala.
Si fermò a circa metà del lato sinistro del tavolo, e giunse le mani dietro la schiena, nella classica posizione di chi è atteso da un'udienza.
- Mi ha fatto chiamare, Sire? -
Jiroke distolse lo sguardo dai quadri che stava osservando. - Sì, Hewon. Devo parlarti di una cosa molto importante. -
Hewon annuì seriamente. - A sua disposizione. -
Per la prima volta, il fuoco negli occhi di Jiroke stava raggiungendo un altro livello, che persino lo stesso Hewon aveva visto raramente prima di allora. - Siamo arrivati al momento della verità, mio fedele servitore. La Terra sta per cadere sotto le nostre mani, e quando salirò al trono supremo, tu sarai al mio fianco. -
- La ringrazio, signore. E le Prescelte? -
- E' proprio per questo che ti ho fatto venire qui. - Un ghigno diabolico e inquietante si allargò sul volto di Jiroke. - Riesci a cogliere l'ironia? Stiamo per riuscire dove per un'eternità intere legioni di demoni hanno fallito. La sorte a volte sa essere davvero bastarda. Migliaia di tuoi simili hanno combattuto contro gli umani e sono stati annientati mentre cercavano di soddisfare la loro sete di potere, mentre adesso saranno costretti a sottostare al mio volere. Fortuna che non toccherà alle Halliwell. -
- Cosa intende? -
- Le sorelle non sono più in grado di contrastarci. Il Potere del Trio è stato distrutto, e adesso possiamo approfittare dei loro errori. -
- Cosa dobbiamo fare, allora? -
Jiroke lo fissò negli occhi, quasi a volergli trasmettere la sua decisione. - Tu. Convoca Kronos e portalo qui. -
A sentir pronunciato quel nome, l'espressione di Hewon tradì un particolare senso di timore. - Kronos? Ma... ne è veramente convinto? -
- Stai mettendo in dubbio un mio ordine? -
- No, è solo che... insomma, Kronos è rimasto rinchiuso nelle segrete del vostro castello per quasi un secolo. Chiunque abbia incrociato la sua strada, e abbia avuto la fortuna di sopravvivere, ha raccontato di un essere incontrollabile, devastante, inarrestabile di fronte a qualunque tipo di forza. - fece un profondo respiro. - Potrebbe essere un problema anche per noi. -
Jiroke non abbandonò il suo sorriso. - E' esattamente ciò di cui abbiamo bisogno, invece. L’arma perfetta. Preparati, Hewon, e chiama gli altri. Voglio che lo sappiano tutti: la fine del mondo, così come lo conoscono gli umani, sta arrivando. -


 
*****


Un sinistro scricchiolio incrinò il rigido silenzio della notte. La porta si schiuse lentamente, lasciando entrare nella camera un sottile fascio di luce soffusa.
Il pavimento accolse impotente i passi dell’intruso, mentre questo si avvicinava alla culla.
Gli abiti neri e il mantello lo confondevano nelle tenebre, rendendolo un’impercettibile ombra.
Lo sguardo perfido dell’oscura presenza si soffermò sul pargolo che riposava beato, stretto nella sua copertina azzurra. Il viso candido e sorridente perso nel regno dei sogni, i capelli castani che accarezzano il cuscino.
Destinato a fare grandi cose, e assieme a suo fratello maggiore, a diventare l’erede di una rinomata stirpe.
Sarebbe stato lui la sua prima vittima.
Un pugnale dal manico intarsiato e la lama ricurva comparve nel palmo del demone, i cui occhi si iniettarono istantaneamente di sangue.
- Avete avuto la sfortuna di appartenere alla famiglia sbagliata, miei piccoli Halliwell… - digrignò i denti, mentre stringeva la presa sull’impugnatura.
Il coltello si mosse velocemente, ma appena fu vicino al corpicino dell’inconsapevole Chris, un lampo di luce si scatenò prepotente, illuminando le pareti a giorno.
L’arma volò distante e il demone fu sbalzato dalla parte opposta della stanza, mentre attorno al bambino si sviluppava una cupola protettiva di un azzurro brillante.
Quando il demone rialzò la testa frastornato, poté vedere cosa lo aveva colpito: Wyatt, in piedi accanto alla culla del fratellino, con le mani tese verso di lui.
Giovanissima età, ma già con tutta la forza che discendeva dalle Prescelte, e il desiderio di proteggere la sua famiglia a tutti i costi.
Il nemico ebbe appena il tempo di realizzare l’immane potenza che aveva di fronte, prima di optare per l’unica soluzione che gli avrebbe permesso di tornare alla base, un vortice di particelle nere all’interno del quale sparire.
Rimasto solo a fronteggiare il buio della notte, Wyatt dovette cedere al peso che si portava dietro. Perché non importava che fosse uno dei più forti esseri sulla Terra, in fondo era ancora soltanto un bambino che aveva bisogno dei genitori. Gli occhi gli si inumidirono, e i singhiozzi gli sfuggirono dalla bocca.
I rumori arrivarono a svegliare bruscamente anche Chris, il quale si unì al pianto straziante del fratello, echeggiando tra le mura di casa Halliwell…


Piper si ridestò si soprassalto e si ritrovò con gli occhi sbarrati. La fronte imperlata di sudore e il cuore che palpitava ad un ritmo decisamente elevato.
Era il peggior incubo che avrebbe mai potuto avere, vedere i suoi figli in pericolo.
Ma quel sogno stava a significare qualcosa?
Nello stesso istante, la porta della camera si spalancò rivelando Phoebe, dall’aria trafelata ed apprensiva, sulla soglia. - Piper, meno male che sei già sveglia… - si accorse poi della strana espressione della sorella. - Ti senti bene? -
- Certo. - annuì l’altra, fingendosi convinta.
- Bene, perché devi venire subito giù. -
Piper rimase dei secondi a fissare il muro. Per quanto potesse essere importante l’avvenimento di Phoebe, c’era una cosa che non riusciva a staccarsi dalla testa.
Lo hanno sempre chiamato istinto materno. Una sorta di sesto senso che connette la madre ai propri figli, e che permette loro di captare i segnali prima di chiunque altro.
Tutto ciò che avrebbe voluto fare adesso era precipitarsi nella camera dei bambini, baciarli e assicurarsi che stessero bene.
E se l’incubo avesse voluto dirle qualcosa? E se Leo e Phoebe avessero avuto ragione? Aveva veramente sbagliato a portare Wyatt e Chris via dalla scuola di magia? Doveva temere che fossero davvero in pericolo?
Eppure, subito dopo si vide costretta ad ascoltare una seconda vocina dentro di lei. Quella della sua parte orgogliosa, testarda, che teme di essere giudicata, che si rifiuta di cedere di fronte ad un errore. Quella di una fiera Halliwell, che la spinse a lasciare tutte quelle domande senza risposta.
Phoebe, però, nel frattempo continuava ad aspettarne una. - Piper, cos’hai? -
Per quanto ritenesse sbagliato mentire ad una sorella, la maggiore reputò che non ci fosse bisogno di farle sapere cosa stava pensando.
In fondo, poteva anche trattarsi soltanto di un brutto sogno, causato dallo stress e dalle troppe emozioni.
- Niente, arrivo. Che è successo? -
Un sorriso sognante si allargò sul volto di Phoebe. - Hanno chiamato dal Memorial Hospital. Paige sta meglio! Dicono che possiamo visitarla. -
Anche Piper si lasciò rapire da quella meravigliosa notizia. Si alzò dal letto, raggiunse la sorella sulla soglia e la strinse in un caloroso abbraccio. - E’ fantastico. -
Dopotutto, qualcosa doveva pur andare per il verso giusto.
Leo le stava aspettando nel corridoio. E quando lo sguardo di Piper incontrò quello del marito, lei sentì un briciolo di gioia volare via.
Di nuovo il pensiero dei bambini. E di nuovo, decise di dare retta alla vocina interiore.
Non avrebbe fatto passi indietro, e non avrebbe scatenato discussioni. Fu sufficiente la fiducia nei poteri dei due discendenti, per farla andare avanti.
Paige rappresentava la speranza di cui tutti avevano bisogno.
La possibilità di eliminare Jiroke, e di far tornare le cose al loro posto.
- Chiama mio padre, Leo. - lo invitò risoluta. - Fallo venire qui per badare ai bambini. Noi andiamo subito all’ospedale. -



 

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Capitolo 11
*** 11. Game Over ***


Capitolo 11:
Game Over
 




C’era qualcosa di diverso, lo capirono appena varcata la soglia.
Le due pattuglie della polizia appostate nel parcheggio del San Francisco Memorial Hospital non rappresentavano un buon segno, e dentro la situazione non era migliore.
Nonostante il tramonto fosse ormai superato e i turni stessero volgendo al termine, i corridoi dell’ospedale erano tutti illuminati a giorno e in preda ad una strana atmosfera.
Il poco personale rimasto non faceva altro che vagare avanti e indietro e da una stanza all’altra.
Piper, Phoebe e Leo si guardarono intorno, ma non c’era una sola infermiera che badasse a loro.
C’era preoccupazione nei loro occhi, notò Phoebe.
Era successo qualcosa, un’emergenza, pensarono i tre. E sempre tutti insieme, pregarono che non si trattasse di Paige.
Rimasero nell’atrio per alcuni minuti, pensando al da farsi. Ma mentre Phoebe e Leo sembravano più concentrati sul capire cosa stesse accadendo, Piper era quella che chiaramente aveva meno voglia di aspettare.
Si fece largo in mezzo ai camici e partì spedita alla ricerca del dottor Sanders, incurante di ciò che la circondava.
Il medico la riconobbe da lontano e richiamò la sua attenzione. - Signora Halliwell! -
Piper si fermò giusto in tempo, prima di mordere un’infermiera, e si voltò verso di lui. - Dottore! -
Fu raggiunta dall’uomo, e subito dopo dalla sorella e dal marito.
- Signori Halliwell, grazie di essere venuti. - esordì Sanders, il quale appariva molto meno tranquillo del solito. - Come vi ho accennato al telefono… -
- Possiamo vederla? - lo interruppe bruscamente Piper.
- E che è successo, dottore? - si intromise a sua volta Phoebe.
L’uomo respirò profondamente. - Venite con me. -
Li guidò camminando lentamente, attraverso l’ala nord dell’ospedale, fino alle scale.
- Perché non prendiamo l’ascensore? – fece notare Leo.
Sanders si girò verso di lui, come se stesse temendo quella domanda. Sospirò di nuovo. - Quel reparto è stato chiuso. -
- Chiuso? - esclamò Phoebe.
Sanders parve ancora più turbato. - La polizia l’ha reso inaccessibile. Stanno ancora effettuando i rilievi e le analisi della scena. Hanno chiesto a tutti di stare lontano. -
Le due sorelle si scambiarono un’occhiata. - Vuole dirci cos’è successo? - fece infine la maggiore.
Sanders si fermò ai piedi della scalinata. - Una cosa che non credevamo possibile in un posto come questo… c’è stato un omicidio, brutale, violento, a sangue freddo. Ieri notte, un’infermiera ha trovato un uomo steso in una pozza di sangue. Nessuno sa cosa sia accaduto, ma adesso quella povera ragazza è sotto shock. E il resto dell’ospedale è terrorizzato. Vediamo persone malate che perdono la vita ogni giorno, ma non così… - il tono si era fatto più grave, quasi rotto.
- Co-come…? - balbettò Phoebe.-
- Non ne abbiamo idea. La polizia non ci ha riferito molto, ma sappiamo che è stata rilevata una profonda ferita da arma da taglio. Un coltello, probabilmente. -
Leo si passò una mano sulla fronte. - Sa per caso anche chi è la vittima? -
Sanders aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare. - Credo fosse un poliziotto… un detective, ecco. Mi sembra si chiamasse Russell… Roster… -
Leo non riusciva a crederci: Roster?! Perché proprio lui? Che fosse soltanto una coincidenza? O aveva forse a che fare con…
Si rifiutò di proseguire nel ragionamento: quello era l’ultimo pensiero, e per adesso lo avrebbe lasciato in disparte.
- E poi, ad essere sincero… - riprese il medico. - Anche in questo caso c’era qualcosa di strano nella ferita… -
Lui non andò oltre nei dettagli, gli altri non ebbero bisogno di chiederli.
Avevano già capito a cosa si stava riferendo, e quale fosse la causa. Ma non era una questione da affrontare davanti a Sanders.
- Andiamo da Paige, per favore. - lo invitò Piper.
Regnava il silenzio, mentre i quattro percorrevano le scale e raggiungevano il reparto di terapia intensiva.
Si fermarono al centro del corridoio. - Vostra sorella non è stata ancora spostata dalla sua stanza, ma ci sono buone notizie. L’intervento è andato bene. Le condizioni di Paige si sono stabilizzate durante le ultime sedici ore, i parametri sono rientrati nella norma, e adesso possiamo dire che è definitivamente fuori pericolo. -
Sui volti dei parenti si leggeva finalmente un bagliore di felicità. Il primo, dopo giorni di inferno.
- Nonostante i miglioramenti, però, abbiamo deciso di tenerla ancora qui. Preferiamo che resti sotto osservazione e sotto monitoraggio continuo, almeno per un po’, prima di spostarla di reparto. -
- Possiamo visitarla? - chiese Phoebe.
Sanders li accompagnò alla camera della sorella. - Sta dormendo, meglio così. Potete entrare, ma vi prego di non svegliarla, ha ancora bisogno di riposo. - si fermò per controllare il cercapersone, che aveva iniziato a trillare. - Scusate, devo andare da un altro paziente. Se avete bisogno di me, mi trovate di sotto. -
- D’accordo, grazie dottore. - lo congedò Leo annuendo.
Rimasti soli, i loro sguardi furono come attratti dal vetro della stanza di Paige.
Piper, dal canto suo, aveva ben poco da ringraziare Sanders. Nessuno più di lei era felice di sapere la sorella fuori pericolo, eppure era consapevole che questo non era abbastanza. Quella flebile speranza che l’aveva accompagnata fuori di casa adesso se n’era definitivamente andata.
Ci aveva creduto fino all’ultimo, forse ingannando più sé stessa che altro, ma non poteva più rifiutarsi di guardare in faccia la realtà: il Potere del Trio non avrebbe potuto ricongiungersi. Paige non avrebbe potuto aiutarle con il demone. Stavolta, non avrebbero potuto contare sulla magia della loro famiglia per sconfiggere il male.
Qualunque fosse il piano, sempre che ne avessero uno, stava andando in rovina.
Leo appoggiò la fronte al vetro e chiuse gli occhi. Era esausto. Negli anni in cui aveva vissuto sulla Terra, tra le sue diverse identità e molteplici incarichi, non si era mai trovato così in difficoltà.
Tanto da non riuscire ad avere nemmeno un briciolo di idea. Apprendere della morte del detective Roster, poi, lo aveva ulteriormente abbattuto. 
Sentiva di aver fallito. Quel male non stava risparmiando nessuno, e si stava espandendo anche al di fuori della loro guerra. Non era più questione di Streghe o Demoni. A rimetterci la vita era stato un innocente. Un uomo che aveva avuto soltanto la colpa di averli incontrati.
Gli occhi di Leo incrociarono per un secondo quelli di Phoebe, e fu come ricevere un altro pugno nel petto. Poteva leggere tutto quello che le stava passando per la testa. L’aria scura, i lineamenti contratti, il dolore che si era impadronito di lei, mentre scorrevano i ricordi dei momenti trascorsi insieme.
E ancora più chiaro, forte e prepotente, il senso di colpa.
 
 
*****
 
 
Da quando era entrato nel mondo della Magia, Victor poteva dire di aver visto di tutto. Demoni, Angeli Bianchi, mostri marini, creature indescrivibili, incantesimi impronunciabili. Tutte cose a cui, in un modo o nell’altro, era riuscito a farci l’abitudine.
Eppure quella sera, vedendo Piper mentre usciva di casa, aveva avuto l’impressione che per una volta la situazione fosse andata al di là del limite generale. E allora cosa poteva fare un padre, se non preoccuparsi?
Tuttavia, il silenzio di Piper e le risposte vaghe di Leo non gli avevano permesso di saperne di più. E forse era meglio così.
Gli piaceva aiutare le figlie con i bambini. Dopo aver cucinato la cena, raccontato una storia a Chris e avergli rimboccato le coperte, adesso si stava divertendo a giocare con Wyatt nella sua cameretta.
O almeno, stava provando a farlo divertire. Perché per quanto fosse ancora piccolo, Wyatt era pienamente consapevole del mondo che lo circondava. E poteva capire anche quando qualcosa non andava.
Ora, nella quiete della sera, i giocattoli e il castello che stavano tirando su con le costruzioni sembravano riuscire a tranquillizzare entrambi.
Solo finché una breve folata di vento non lambì il collo di Victor, proprio mentre stava ponendo l’ultimo mattoncino. Un lieve soffio, che però gli provocò un brivido lungo la schiena.
- Aspettami un attimo, Wyatt. – gli disse, alzandosi per andare a controllare subito la finestra.
Era chiusa, e questo bastò per fargli tirare un sospiro di sollievo.
Sollievo che durò giusto un attimo. La camera fu invasa da un sommesso cigolio che fece trasalire di nuovo Victor, e pose in allarme anche Wyatt.
La porta si schiuse e iniziò ad ondeggiare da sola per alcuni secondi, fino a fermarsi scricchiolando.
Viktor guardò il nipote. Che stava succedendo?
Prese il coraggio a due mani, come non aveva mai evitato di fare in fondo, e si diresse verso la soglia. – Resta qui, Wyatt. – Nonostante tutto, si sentiva ancora in dovere di proteggere la propria famiglia a qualunque costo.
Con fare circospetto uscì nel corridoio, e si ritrovò avvolto dal silenzio. Niente e nessuno.
Si guardò intorno un paio di volte, finché l’istinto non lo invitò a raggiungere la camera di Chris. Si mosse con prudenza, fino alla porta del più piccolo degli Halliwell.
Con un po’ di timore allungò la mano verso la maniglia, ma il desiderio di saperlo al sicuro fece il resto, e lo spinse ad afferrare con vigore il freddo ottone.
L’abbassò e spinse, mentre il cuore batteva all’impazzata.
Era chiusa, così come l’aveva lasciata un’ora prima.
Tante erano le storie che aveva appreso e a cui aveva assistito nel corso degli anni, possibile che si trattasse solo di autosuggestione? In fondo sembrava tutto a posto.
Si lasciò andare ad un altro lungo sospiro, mentre faceva un passo indietro e si appoggiava con la schiena alla parete. Si sentiva più sollevato, nonostante quel tarlo che continuava a chiedergli se avrebbe dovuto davvero preoccuparsi di qualcosa…
 
 
*****
 
 
Una lingua di fuoco portò Hewon di fronte a Jiroke, al centro della sala regale. Un malefico sorrisetto guarniva i volti di entrambi.
- Signore… - esordì Hewon, per poi fermarsi subito dopo. – Mi aveva chiesto di tornare qua non appena… -
- Sei solo? –
- Sì. –
- Bene. Kronos come si è comportato? Ha fatto come gli è stato ordinato? –
Hewon annuì con convinzione. – Avevo i miei dubbi all’inizio, devo ammetterlo. Ma ha svolto un lavoro eccellente, perciò non posso fare altro che darle ragione per l’ennesima volta. L’ho visto in azione, è una creatura incredibile. -
– Te l’avevo detto, che Kronos sarebbe stata una risorsa importantissima per noi. L’arma definitiva. Un po’ come in ogni battaglia ricordata dalla storia: il piccolo esercito che resiste strenuamente e valorosamente agli attacchi, per poi cadere sotto un unico, perfetto, colpo fatale. E questo mondo, ad oggi, ha resistito fin troppo. –
- Ebbene, Signore… -
- Parla, Hewon. –
- Siamo pronti. –
Jiroke si alzò dal trono e con un gesto illuminò le torce agli angoli della sala. – Allora procedete. -
 
 
*****
 
 
Sembrava che nessuno avesse il coraggio di allontanarsi troppo dalla stanza di Paige, quasi la sua presenza, seppur in un letto d’ospedale, stesse dando loro forza.
Nessuno sapeva tuttavia se quella sensazione si chiamasse fiducia, speranza, o semplicemente rassegnazione e voglia di stare il più possibile vicino alle persone care.
Piper continuava a fissare la sorella, ancora immersa nel sonno, attraverso il vetro. Lo sguardo era spento, lontano, perso in chissà quali pensieri e ricordi.
Phoebe e Leo erano uno accanto all’altro, accostati alla parete, anche loro in silenzio.
Fu proprio la sorella minore a cercare le parole, per quanto fosse difficile farlo. – Che facciamo adesso? Cosa possiamo fare? – ripeté.
Leo aggrottò la fronte. – Non lo so. –
- Hai provato a parlare con gli Anziani? –
- Sì, ma neanche loro possono esserci d’aiuto. E’ un pericolo che per tanti, troppi anni è stato ignorato, e ora neanche loro hanno idea di come comportarsi. Non è mai stata creata una strategia per Jiroke e i suoi, fino ad ora. Credevano che non fosse possibile per un solo demone ingrandire il suo potere e le sue conquiste così a dismisura. Evidentemente, anche gli Anziani possono sbagliare. –
- Quindi è colpa degli Anziani se adesso Paige è in ospedale e noi non sappiamo che fare? – ebbe un sussulto di orgoglio.
- E’ colpa di tante cose, Phoebe! – rispose Leo con impeto. Ma quando vide lo sguardo abbattuto della cognata, si pentì immediatamente del tono usato. – Scusa, non volevo intendere… -
Phoebe scosse il capo. – Non importa, ciò che conta è che Paige si stia riprendendo. -
- Rimane il fatto che non sappiamo dove sbattere la testa. Piper? – cercò di interpellare anche la moglie.
Ma Piper non staccava lo sguardo dalla sorella.
- Piper? – la richiamò Leo.
Phoebe le posò delicatamente una mano sulla spalla. – Piper? –
Con la stessa violenza di un fiume che rompe la diga e inonda la valle, tutto il dolore che la donna stava provando sgorgò in un amaro sfogo. – Non lo so! Non lo so! Perché continuate a chiederlo a me? Solo perché sono la sorella maggiore, credete che abbia sempre una soluzione per tutto? –
E senza dar loro nemmeno il tempo di replicare, Piper si allontanò prendendo la via delle scale, mentre combatteva contro la mancanza d’aria.
Phoebe e Leo la lasciarono andare, sperando che da sola potesse ritrovare un po’ di pace.
Era stanca, impaurita, preoccupata, e non aveva più idea di cosa fare.
Esattamente come loro.
Per la prima volta, il Trio era rimasto senza un piano per sconfiggere i demoni.
E non c’era più niente e nessuno che potesse aiutarle.
 
 
 

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Capitolo 12
*** 12. Last Stand ***


Capitolo 12:
Last Stand

 


Il silenzio faceva da padrone all’interno del San Francisco Memorial Hospital, mentre le lancette degli orologi stavano per raggiungere le ventitré in punto.
La polizia aveva abbandonato la scena del crimine almeno un paio di ore prima, con gli agenti che erano rientrati in centrale cercando di portare con sé quanti più indizi possibili riguardo alla morte del detective Roster. Pochissimi, a dire il vero. E non poteva essere altrimenti, dopotutto nessuno aveva idea di cosa gli fosse accaduto realmente.
Il turno di notte era appena iniziato, e ormai poche infermiere erano rimaste a presidiare i reparti.
Piper, Phoebe e Leo erano invece gli unici presenti nella sala d’attesa. Benché l’orario di visita fosse ampiamente superato, erano riusciti in qualche modo ad ottenere dal dottor Sanders il permesso di restare più a lungo.
Ma che lo facessero per restare il più vicino possibile a Paige, per studiare un altro possibile piano, o semplicemente per evitare di pensare ad altro, forse neanche loro sapevano quale fosse la ragione.
Anche parlare sembrava fosse diventato troppo difficile per i tre. La paura di sbagliare le parole, di creare altri problemi e di non avere modo di rimediare, li stava paralizzando.
Phoebe era piegata in avanti, con le mani sulla faccia e i gomiti posati sulle ginocchia, mentre Leo se ne stava con gli occhi chiusi e la schiena appiattita contro la parete.
Piper, seduta ancora più lontana dagli altri due, aveva le mani conserte e lo sguardo fisso nel vuoto.
Cosa le stesse passando per la testa non era dato saperlo.
- Hai parlato con tuo padre? – provò a smorzare la tensione Leo, senza tuttavia ricevere reazione. – Piper? –
- L’ho chiamato io. – intervenne Phoebe, notando come la sorella non stesse nemmeno ascoltando.  – Ha detto che è tutto a posto. Ha messo Chris a letto presto, mentre Wyatt si è addormentato poco fa. –
Leo riappoggiò la testa al muro sospirando. – Perfetto, almeno loro stanno bene. -
 
 
*****
 
 
- Non stanno per niente bene. – dichiarò Jiroke, seduto al tavolo della sala regale. Aveva davanti a sé un grosso libro, rivestito di cuoio scuro e dalle pagine gialle e ruvide.
Nonostante la somiglianza con il Libro delle Ombre delle Halliwell, c’era un importante dettaglio che lo rendeva molto più oscuro e pericoloso.
Man mano che Jiroke leggeva, le righe successive si scrivevano da sole, come se il testo fosse in continua evoluzione.
Quello strumento che l’Imperatore stava fissando tanto avidamente risaliva a più di un secolo prima, durante una delle ultime invasioni dei demoni nel regno ultraterreno.
Poteva essere considerato una sorta di diario di bordo con il potere della veggenza, ovvero quello di vedere il presente, di qualsiasi luogo, e riportarlo in tempo reale sulla pagina.
Nascosto per tutto questo tempo, era stato l’unico compagno di cella di Kronos, durante la sua lunga prigionia.
Una volta libero, il libro era finito nelle mani di Jiroke. E in quel momento, il sovrano stava osservando ciò che lo circondava nel mondo umano, soffermandosi sui soggetti che gli interessavano maggiormente.
Un padre di tre streghe, un semplice uomo determinato a proteggere i suoi nipoti, ma non abbastanza forte da capire il pericolo che l’ha appena sfiorato.
La quarta Prescelta, la sorellastra, vittima della sua stessa impulsività.
Il suo esercito che marcia come un sol uomo, ormai prossimo a distruggere l’antico e prendere il controllo del nuovo.
La sua arma migliore, schierata per completare una missione che significava successo.
Sé stesso, pronto a regalare lustro e prosperità al suo regno.
Il resto della famiglia Halliwell, distrutta dal dolore e dalla fatica di una battaglia che non potevano vincere. Ostinata rifiutava la resa, eppure non riusciva neanche ad accorgersi della minaccia che, sempre più vicina, vagava famelica per le corsie dell’ospedale.
 
 
*****
 
 
Un boato sommesso spezzò prepotentemente la quiete notturna dell’istituto medico. Le sorelle e Leo, sonnecchianti sulle poltroncine della sala d’attesa, furono ridestati dal rumore a cui seguì la vista di due lingue di fuoco, una rossa e l’altra blu fosforescente.
Davanti a loro si materializzarono due esseri che non avevano ancora incontrato, ma capaci di dare subito una sensazione di potere.
Uno era calvo e magro, con una lunga tunica nera e l’aria sicura e compassata; l’altro era molto più alto, muscoloso e incattivito. La carnagione scura s’intravedeva appena sotto l’armatura e l’elmo da guerriero antico, ed era equipaggiato con un’enorme ascia gotica.
Piper fu la prima a balzare in piedi, gli altri due dopo di lei.
Le due fazioni si fronteggiavano a viso aperto, nella sala deserta dell’ospedale.
Da una parte c’era la fame, la brama di gloria e di vendetta. Dall’altra c’era soprattutto timore.
Hewon fu il primo a prendere la parola, con tono irrisorio. – Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento, e in verità lo aspettavo con una certa trepidazione. Ho così davanti quel che resta della celebre famiglia Halliwell… fino ad oggi avevo avuto il piacere di conoscere solo vostra sorella, sapete? –
 – Sei stato tu a ridurre Paige in quelle condizioni? – gli urlò contro Leo, mentre una scintilla scoccava negli occhi delle due donne.
Hewon finse di pensarci. – Lo ammetto. Così come ammetto però di non essere riuscito a completare il lavoro… -
Phoebe digrignò i denti. – Bravo, un gran bel sovrano. I tuoi sudditi dovranno essere fieri di te, Jiroke. –
- Oh no, no, non confondetevi, signorina Halliwell. Io non sono chi credete che sia. Il mio nome è Hewon, secondo nella catena di comando e braccio destro dell’imperatore. Jiroke, il Supremo, non ha certo bisogno di impegnarsi personalmente per eliminarvi. –
- Credo che ci stiate un po’ sottovalutando. – guardò poi l’altro demone. – Lui invece è la vostra mascotte? –
L’ironia poteva essere un’arma a doppio taglio in quel momento, anche se in realtà la sua intenzione era quella di guadagnare tempo per permettere così a Piper di colpirli. Non capiva però perché la sorella restasse ancora immobile.
- Lui è il nostro nuovo amico: Kronos, discendente dei potenti Titani. –
Ciò che tuttavia Hewon si era riservato dal raccontare, riguardo quell’essere così imponente e terrificante, era la sua storia.
Circa un secolo prima si era verificata l’ultimo tentativo di invasione dei demoni nelle terre degli Anziani. La forza armata era numerosa, imponente, e poteva contare su creature devastanti.
I guardiano dei Cieli erano in inferiorità numerica, ma potevano contare su una maggiore organizzazione e una migliore strategia difensiva. Perché all’esercito del male mancava una guida che riuscisse a renderli coesi e con un unico obiettivo, e questa fu la ragione del loro fallimento.
Dopo giorni di sanguinosa battaglia, gli Anziani riuscirono a prevalere, grazie anche all’aiuto delle altri abitanti del mondo magico.
Kronos era uno degli alfieri della spedizione, e fu l’unico ad evitare la morte. Al momento della sua cattura, qualcuno in alto pensò che le sue capacità avrebbero potuto risultare utili in futuro, e che quindi non doveva essere eliminato.
Risparmiarlo fu però un errore madornale, di cui oggi chiunque si sarebbe pentito.
Se avessero conosciuto le conseguenze, non avrebbero ritenuto sufficiente imprigionarlo nella zona grigia del cielo.
Come fosse finito poi nelle segrete del castello di Jiroke, lo ignorava persino Hewon.
Gli bastava sapere che il suo sovrano nutriva un’estrema fiducia in Kronos, e che grazie a lui e al suo potere di manovrare tempo e spazio, avrebbero distrutto definitivamente il Trio e conquistato la Terra.
- A volte mi chiedo come abbia fatto questo mondo a resistere così a lungo. – riprese Hewon, sprezzante. – Affidandosi ad una famiglia patetica come la vostra. Ogni generazione è sempre più una vergogna per il sovrannaturale. –
Qualcosa nelle infide parole del demone risvegliò Piper, la quale strinse i pugni lungo i fianchi.
- Se c’è qualcuno degno di difendere la Terra, quella è proprio la nostra famiglia! – gridò la sorella, prima di sferrare l’attacco contro Hewon.
Quest’ultimo però, come già accaduto durante il combattimento con Paige, dimostrò di aver studiato alla perfezione le tre sorelle, le loro forze e i loro punti deboli.
Impose la mano di fronte a sé e, senza difficoltà, deviò l’esplosione contro la finestra alla sua destra, mandandola in frantumi.
Piper fu subito preda dalla frustrazione. – Stai attenta, Piper. – la invitò Leo.
Hewon sorrise. – Stanotte finisce tutto. –
- Non andrete oltre, invece. – ribatté Phoebe, Si lasciò alle spalle timori e pensieri, e si lanciò con coraggio contro le due creature. Riuscì ad arrivare a un metro da loro, prima di sentirsi portare via come da un uragano. Hewon le fece perdere l’equilibrio e la fece volare dalla parte opposta della stanza, facendola sbattere con violenza contro una fila di poltroncine.
Leo accorse al capezzale della donna, mentre Piper rimaneva l’unica a fronteggiare i due demoni.
- Ho sempre pensato che lei fosse la più forte delle tre, signorina Piper. – fece Hewon. – E per dimostrarle il mio… apprezzamento, ecco un piccolo regalo per lei. Kronos, mostraglielo. –
Kronos si infilò la mano sotto il corpetto ed estrasse lentamente un piccolo oggetto.
Tra la luce dell’ospedale e la stanchezza, nei primi istanti Piper faticò a capire cosa gli stesse mostrando. Era azzurro, e assomigliava ad un fazzoletto…
D’un tratto lo sguardo cadde sulle iniziali impresse su un angolo, e un feroce brivido sembrò spezzarle la schiena.
C.P.H.
Christopher Perry Halliwell.
- Non vi dispiace se lo abbiamo preso senza chiedere il permesso, vero? – sibilò Hewon.
Leo, accovacciato vicino a Phoebe, lo guardava pietrificato. – Mio Dio, Chris… -
Piper gli ringhiò contro. – Se avete osato fargli qualcosa… -
- Cosa, Piper? – si spazientì il demone, alzando la voce. – Cosa?! -
Cosa fu a muovere Piper in quel momento, probabilmente non lo sapeva nemmeno lei. L’istinto materno, la scarsa lucidità, l’esaurimento delle forze, le emozioni che avevano preso il controllo, la sete di vendetta. Fu una combinazione di tutto questo, o forse niente di tutto ciò.
Con i sensi evidentemente alterati, Piper si gettò all’attacco dei due demoni, incurante della magia, della ragione e di tutto il resto.
E mentre Leo urlava in lacrime alla moglie di fermarsi, Kronos decise di giocare il suo asso.
Batté l’ascia sul pavimento, causando un improvviso terremoto. Da terra si sollevò un vortice di fuoco blu, il quale si allargò fino a formare due spirali concentriche che ruotavano in sensi inversi.
Piper si fermò appena vide un’ala di fumo fuoriuscire a correre verso di lei, ma ormai era troppo tardi. Si sentì come afferrata da un gigantesco artiglio, e trascinata brutalmente e contro la sua resistenza all’interno delle spirali.
- Andiamo, Kronos. – dichiarò Hewon, mentre Piper si faceva sempre più vicina alla luce.
L’ultima cosa che Leo e Phoebe furono in grado di vedere fu un accecante bagliore, che li stordì per un tempo breve ma indefinito.
Quando riaprirono gli occhi, la sala d’attesa era rasa al suolo come un campo di battaglia. I demoni se n’erano andati. Piper era sparita. E fuori c’era il sole.
 
 
*****
 
 
- Doveva essere una sorta di portale. – disse Leo, guardandosi intorno per capire meglio.
- Un portale? – ripeté Phoebe, ancora scossa e appena capace di rimettersi in piedi.
- Quel demone, Kronos, ha il potere di comandare spazio e tempo a suo piacimento. –
- Lo conosci? – fece Phoebe stranita.
- Ne ho sentito parlare dagli Anziani. Un giorno mi hanno raccontato una storia a proposito di un’invasione di demoni, che cercavano di conquistare le terre celesti. Kronos fu l’unico a salvarsi, deve essere lui. E quello che ha portato via Piper è sicuramente un portale spazio-temporale. Guarda, tua sorella è sparita insieme a loro, e noi abbiamo fatto un salto di alcune ore in avanti. –
- Il processo è reversibile? Ricordo che con Tempus, qualche anno fa… -
- No, ma c’è qualcosa sul Libro delle Ombre, ne sono certo. –
- Allora torniamo a casa. – barcollò Phoebe, mentre la sala si riempiva d’infermiere impaurite e assistenti che potevano soltanto provare a rimettere a posto.
 
 
La jeep era rimasta al posto in cui l’avevano lasciata. Leo si mise alla guida e premette a fondo sull’acceleratore, senza curarsi minimamente di limiti o semafori.
Manteneva gli occhi fissi sulla strada, mentre Phoebe ragionava su cosa potessero fare. – Un incantesimo di localizzazione, ne abbiamo alcuni sul Libro. Possiamo provare ad evocarla, o usare la tavola esoterica di nostra nonna. –
E nonostante questo, c’era un altro pensiero che si annidava nelle menti di entrambi, ma di cui nessuno aveva il coraggio di parlare: Chris.
Leo fermò l’auto sgommando davanti al vialetto e si precipitarono in casa.
Corsero su per le scale fino ad arrivare alla stanza di Wyatt. Leo spalancò la porta, e almeno a quella visione si sentì rasserenato. Il bambino e Victor si erano addormentati uno accanto all’altro, avvolti in un caloroso abbraccio.
Purtroppo durò solo un istante, perché Phoebe ripartì lungo il corridoio. – Chris! –
Provò ad entrare nella cameretta del più piccolo, ma la maniglia non si muoveva. – E’ bloccata, Leo! –
L’uomo la raggiunse e, in preda alla frenesia e al timore, fece l’unica cosa che gli passava per la testa. Una poderosa spallata e la porta fu abbattuta, concedendo loro via libera.
Stavolta, ciò che videro gli fece perdere dei battiti al cuore.
Le coperte scostate, il lettino vuoto.
- Mio Dio, hanno preso Chris! – esclamò Phoebe, portandosi le mani alla bocca.
Leo stava ribollendo all’interno. – Andiamo! – gridò, prima di riprendere la via verso la soffitta.
Le ultime speranze erano tutte affidate al Libro delle Ombre.
Ma appena superata la soglia, i due rimasero pietrificati.
Vicino al treppiedi, immerso in una pozza di sangue, giaceva un corpo privo di sensi.
Il loro, di sangue, si gelò istantaneamente nelle vene.
- Piper! –
 
 
*****
 
 
Il trono di Jiroke svettava alto nella sala regale. Davanti a lui solo Hewon e Kronos, il primo inchinato con riverenza, il secondo con le mani strette attorno all’ascia.
Jiroke afferrò lo scettro e si alzò in piedi. L’aria trionfale brillava in tutto il castello.
- Signori, questa è l’alba di un nuovo giorno. La Terra non ha più le sue paladine della giustizia. Il Trio è stato annientato, il suo potere disgregato, i loro corpi abbattuti e le loro anime corrotte.
L’ultima sorella rimasta non rappresenta un ostacolo, da sola sarebbe incapace di combatterci. Non esiste più nessuno che possa fermarci. –
La vera cerimonia sarebbe arrivata a tempo debito. Bastavano loro tre, per il momento.
 - Hewon, per i tuoi fedeli servigi, ti nomino Primo Sacerdote. Ogni suddito dovrà renderti onore e rispetto, sapendo che più in alto di te ci sarò solo io. Kronos, il tuo apporto è stato prezioso e determinante per l’esito della guerra. Per questo, ti concedo la carica di Generale Supremo. L’intero esercito sarà ai tuoi ordini, per guidarlo verso mille altre conquiste. –
Si prese una pausa per ammirare il suo stesso lavoro. – Gioite, perché il mondo demoniaco oggi ha trionfato. Adesso andate. Radunate le truppe, e prendete il controllo di ciò che ci spetta. –
Il Regno del Terrore era iniziato.
 
 
*****
 
 
Ancora una volta al San Francisco Memorial Hospital.
Ancora una volta ad attendere notizie dai dottori, pregando le divinità che fossero confortevoli.
Ancora una volta a piangere per una sorella.
La polizia era tornata per nuovi rilievi e aveva transennato anche la sala d’attesa, nei loro pensieri distrutta da chissà quale tipo di ordigno.
Phoebe, appoggiata contro il bancone della reception, aveva la faccia nascosta tra le braccia, mentre Leo le stava accanto ma senza dire una parola.
Niente sembrava avere più importanza. La magia, i demoni, il loro dovere di Prescelte. Tutto in fumo.
D’un tratto sentì la voce del dottor Sanders e riuscì a tirarsi su. – Dottore. – mormorò distrutta, fisicamente e mentalmente.
- Signori, lasciate innanzitutto che vi dica che mi dispiace davvero, per quello che state passando. – esordì l’uomo con tono addolorato.
Lei annuì. – Come sta Piper? –
Sanders parve esitare, e Leo notò immediatamente come la sua espressione si fosse rabbuiata a quella domanda.
- Vostra sorella è stata trasportata qui in codice rosso, era molto grave. Ha perso molto sangue, e presentava diverse fratture e danni ad organi vitali. L’hanno messa subito sotto i ferri, per cercare di arrestare le emorragie interne. L’intervento è durato due ore, e credetemi, hanno fatto il possibile. –
Gli occhi di Phoebe furono inondati da lacrime che la soffocarono, Leo iniziò a tremare come una foglia. – Dottore, che significa? – gli chiese lui, perdendo il controllo della voce.
- Sua moglie presentava danni seri, alcuni irreparabili, che non potevano essere risolti con un solo intervento. E ha già perso molto sangue, perciò non può essere sottoposta subito ad un’altra operazione. Hanno dovuto indurle il coma farmacologico. Ora è collegata ad una macchina, che la sta tenendo in vita. -
Leo continuava a fissare il dottore con occhi sbarrati, sconvolto, mentre Phoebe era scoppiata a piangere copiosamente.
Sanders deglutì a fatica, cercando di liberarsi dal groppo che gli impediva di continuare. – Ci sono novità anche su Paige. – e il modo in cui lo disse, purtroppo, non faceva presagire niente di buono.
- Stanotte, mentre la tenevamo in osservazione, Paige ha avuto una ricaduta. –
La sorella ebbe uno scatto. – Ma come? Ieri ci ha detto che stava bene? –
Il medico scosse il capo sconsolato. - Non sappiamo come sia successo o da cosa sia stata provocata, ma abbiamo fatto appena in tempo a riprenderla. Le abbiamo somministrato la stessa cura usata in precedenza, ma purtroppo questa volta sembra non avere effetti. Stiamo facendo di tutto per mantenere le sue condizioni stabili, ma la verità è che Paige sta peggiorando di ora in ora… -
Prese fiato per ciò che ancora doveva dire: qualcosa per cui un uomo, non importa quanti anni di esperienza abbia alle spalle, non è mai pronto.
- Ad oggi, non posso promettervi che ce la faranno. -
A quelle parole, Phoebe si sentì mancare il suolo sotto i piedi e il fiato nei polmoni. La testa iniziò a girarle vorticosamente, sommersa da un mare di dolore e lacrime.
Stava cedendo sotto un peso che non poteva sorreggere. Da sola era smarrita, lo era sempre stata.
Da sola non le sarebbe mai stato possibile ritrovare la felicità.
Frammenti di pensieri presero a vagare senza controllo nella sua mente. Paige… Piper… Prue…
Era finito tutto.
L’addio al Trio sparì nelle tenebre. E l’ultima cosa che sentì furono le braccia di Leo che cercavano di afferrarla, mentre cadeva all’indietro perdendo definitivamente i sensi.
 
 
*****
 

Epilogo
 
 
Un lampo di luce squarciò il buio, e una fitta la colpì al cervello come un’esplosione, ridestandola dal torpore.
Rimase immobile per degli interminabili secondi, nel silenzio più totale.
Erano ancora vividi i ricordi degli ultimi istanti prima di svenire. I demoni, le sue sorelle…
Si rifiutava di aprire gli occhi, serrati dal terrore di ciò che avrebbe potuto vedere.
Non era pronta ad affrontare la fine.
La mano, mossa in maniera impercettibile, andò a sfiorare qualcosa che la sorprese.
Si aspettava il tessuto delle lenzuola di un letto d’ospedale, o il freddo marmo del pavimento. Si trattava invece di qualcosa di più soffice.
Sollevò le palpebre con inaspettata fatica, scoprendo un fastidioso bruciore agli occhi.
Phoebe si schiarì la vista ancora un po’ appannata e si guardò intorno. Si ritrovò distesa su un tappeto che credeva di riconoscere, così come conosceva quelle pareti e quel… treppiedi con un grosso libro sopra.
Che ci faceva in soffitta?
Raccolse le poche forze che aveva, ma mentre cercava di tirarsi su, avvertì un forte odore inondarle la gola e andare a pungerla come una raffica di spilli.
Ne fu disturbata, ma non tanto dal fetore, quanto dal fatto che conoscesse bene anche quello.
Zolfo.
Phoebe si voltò istintivamente verso la finestra. Subito dopo, si levò in lontananza il suono insistente di un clacson, per poi terminare in un fragoroso schianto in mezzo alle urla dei passanti terrorizzati.
Guidata da una sensazione di sconcerto misto a paura, si portò lentamente la mano sotto la spalla destra, consapevole di cosa avrebbe trovato.
Il dolore e il sangue per una lieve ferita che non ricordava di essersi fatta.
Lei che aveva studiato psicologia, sapeva bene che esiste un particolare fenomeno della mente umana, sul quale si sono sempre concentrate diverse ricerche per capirne la causa.
Il deja vu.
Alcune teorie dicono che si tratti di disturbi neurologici, che ingannano la percezione della persona portandola a fare valutazioni sbagliate.
Nel suo caso, poteva sperare che fosse l’esatto contrario.
Una premonizione.
Un brivido le corse lungo la schiena. Significava che, se aveva ragione… non tutto era perduto.
Sapeva come sarebbero andate le cose, conosceva il nemico che le attendeva e il metodo per eliminarlo.
Conosceva le loro stesse debolezze.
E soprattutto, aveva compreso e poteva rimediare ai suoi errori.
Perché a volte anche la più trascurabile delle distrazioni, come un nome confuso, può portare a conseguenze devastanti.
Le si riempì il cuore di gioia quando sentì dei passi sulla soglia, e Piper chiamare il suo nome.
E dietro di lei, Paige.
Phoebe rimase in ginocchio e lasciò che le due le corressero incontro, prima di afferrare le mani di entrambe e sorridere.
- Piper, Paige… siete la mia vita, vi voglio bene. –
Le sorelle si guardarono perplesse, ma a Phoebe non importava quanto suonasse strano.
Perché tutto ciò che contava era essere di nuovo insieme.
Stavolta, il Potere del Trio avrebbe trionfato.
 
 

 
*****
 
THE END
 

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