Le cronache di Aveiron: Segreti nel regno

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettere di speranza ***
Capitolo 2: *** Le persone giuste ***
Capitolo 3: *** Sangue fraterno ***
Capitolo 4: *** Discordia ***
Capitolo 5: *** Attimi di luce ***
Capitolo 6: *** Vetro infranto ***
Capitolo 7: *** Povera di spirito ***
Capitolo 8: *** Il cavaliere e la principessa ***
Capitolo 9: *** L'unione di due cuori ***
Capitolo 10: *** Ennesima tempesta ***
Capitolo 11: *** Ladri e mostri ***
Capitolo 12: *** Il viaggio della fortuna ***
Capitolo 13: *** Ascantha ***
Capitolo 14: *** Nuove e profonde radici ***
Capitolo 15: *** Con il cuore in mano ***
Capitolo 16: *** Paura di cambiare ***
Capitolo 17: *** Le parole e il loro peso ***
Capitolo 18: *** Continuare ***
Capitolo 19: *** Chieder venia ***
Capitolo 20: *** Doni dal cielo sulla nuda terra ***



Capitolo 1
*** Lettere di speranza ***


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Le cronache di Aveiron: Segreti nel regno

Capitolo I

Lettere di speranza

Un altro intero mese era passato, raggiungendo la sua fine e salutandomi dopo la fine dell’ultimo ciclo solare che lo componeva. Di nuovo al cospetto di Lady Fatima, attendo silenziosa, e qualcosa, una luce nel suo sguardo, mi porta a credere che voglia parlarmi. “Sembra che qualcosa ti turbi, povera cara. Vuoi parlarne?” mi disse, per poi pormi quella domanda fissandomi con quei suoi occhi verdi come preziosi smeraldi. “Preferisco tacere.” Risposi, evitando di guardarla e tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. Ancora una volta, ero triste, e mai, neanche in un milione di anni, le avrei mai dato occasione di vedermi piangere. “Rain, avanti, puoi fidarti di me.” continuò lei, con sguardo dolce e tono quasi supplichevole. Sforzandomi più del dovuto, tentai in ogni modo di ricacciare indietro le lacrime, e solo dopo esserci riuscita, mi preparai a parlare e rivelarle quanto covavo nel cuore. “Si tratta di Stefan, Signora.” Esordii, tacendo al solo scopo di impadronirmi nuovamente del fiato che il precedente pianto aveva sottratto ai miei polmoni. “Vedete, lui è sparito, e non sapete quanto sia preoccupata.” Continuai, concludendo quel discorso con quelle esatte parole. Una confessione che sentivo di dover fare a qualcuno, e che ero finalmente riuscita ad esternare. “È davvero così? Su non disperare. Non credi che abbia in mente qualcosa?” mi rispose, apparendo stavolta visibilmente preoccupata. “Parlate.” La esortai, sperando che fosse in qualche modo in grado di aiutarmi a ritrovare l’amore che credevo di aver perso per sempre. “Volevo che fosse una sorpresa, ma, data la situazione, credo che tu debba averla ora.” Continuò lei, pronunciando parole che ebbero come unico potere quello di irritarmi. Nessuno l’avrebbe mai detto, ma quando voleva, Lady Fatima sapeva essere incredibilmente enigmatica, e i suoi discorsi più indecifrabili di un antico e ormai dimenticato enigma. “Avere cosa?” chiesi, stranita e confusa da quanto avevo appena sentito. “Questa, mia ingenua ragazza. Rispose, avvicinandosi lentamente e porgendomi con delicatezza una piccola busta. “Aprila.” Pregò, continuando a guardarmi e non proferendo parola. Obbedendo a quella sorta di ordine, non esitai per un singolo attimo, e dopo aver aperto quella busta, fui felice. Incredibilmente, conteneva una nuova lettera, e semplicemente guardandola, riconobbi subito la calligrafia. “Cara Rain, sono ancora io. Sto bene, e sono al sicuro, ma mi spiace davvero dirti quanto sto per dirti. Mio padre aveva ragione. I Ladri sono qui, e hanno letteralmente invaso il regno. Ti prego di non uscire di casa a meno che non sia necessario, e in caso di dubbio, rivolgiti a mio padre, a Basil o a Samira. Loro sapranno aiutarti. Resta dove sei, e non aver paura. Non so quando sarò in grado di ritornare da te, ma nell’attesa, abbi cura di te stessa, e ricorda che ti amo. Stefan.” Quelle erano le bellissime parole presenti in quella lettera, che lessi nonostante il fiume di lacrime che minacciava di esondare abbandonando i miei occhi. Piangevo, ma erano lacrime di felicità. Notandomi, Lady Fatima si avvicinò, e limitandosi a guardarmi, pronunciò una singola frase. “Vedi? Questo prova quanto un amore possa essere forte e indissolubile. Sei coraggiosa, e anche se questa vita è per te piena di insidie, sono certa che ce la farai.” Queste le poche parole che mi rivolse, per poi regalarmi un seppur debole sorriso. Guardandola, non ebbi il coraggio di parlare, e dandole le spalle, mi allontanai dalla sua sala. Mi ero ormai incamminata verso la mia stanza, e poco prima di lasciarla completamente da sola, mi voltai verso di lei per un’ultima volta. “Grazie.” Dissi in un sussurro, per poi vederla sorridere e limitarsi ad annuire. Riprendendo il mio cammino, tornai nella mia stanza, e avvicinandomi alla finestra, mi beai della bellezza del cielo. Le stelle, ferme e immobili, sembravano sorridermi, e perfino il vento pareva parlarmi. “Abbi fede.” Mi ripetevo, assistendo con muta ammirazione a quello spettacolo. Era vero. Non potevo scorarmi né perdermi d’animo. Dovevo resistere, poiché quelle del mio Stefan, erano lettere di vera e propria speranza.

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Capitolo 2
*** Le persone giuste ***


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Capitolo II

Le persone giuste

Mattina. Il sole è da poco alto nel cielo, ed io sono felice. Chiaro è che la lontananza di Stefan mi preoccupi ancora, ma dati gli avvenimenti di ieri, so che oggi è un nuovo giorno, e voglio, anzi devo, essere fiduciosa. Grazie alle sue regolari visite, il dottor Patrick mi fornisce il giusto supporto morale, e ad essere sincera, non potrei chiedere di meglio. I miei amici Basil e Samira si comportano in maniera simile, e in questa soleggiata mattina, ho deciso di far loro un’amichevole visita. Non li vedo ormai da lungo tempo, e sono convinta che qualche ora passata in loro compagnia non farà che rallegrarmi l’animo. Dopo aver avvisato il dottor Patrick e la cara Lady Fatima, sono partita in totale sicurezza. Venti minuti di spedito cammino mi hanno poi portata alla mia destinazione, e bussando educatamente alla porta, ho semplicemente atteso che venisse aperta. Nell’attesa, un pensiero si insinuò senza fatica nella mia mente. Riflettendo, riuscii infatti a ricordare la prima lettera inviatami da Stefan, che era giunta a me per mano di Samira. “Com’era possibile?” quella l’unica domanda che continuavo a pormi, mentre la mia pazienza diveniva sempre più sottile. In quel momento, mi decisi. Volevo assolutamente vederci chiaro, e in un modo o nell’altro, avrei fatto luce su questo mistero. “Rain! Ciao! Come va? Tutto bene?” mi chiese Samira, che aprendo la porta mi accolse gioiosamente in casa. “Samira, ti prego, devo sapere una cosa.” Tagliai corto io, mettendo da parte i pressochè inutili convenevoli. “Cosa?” indagò lei, curiosa e incerta. “La prima lettera. Quella che mi hai dato, ricordi?” chiesi, tacendo nell’attesa di una sua risposta. “Certo, qual è il problema?” si informò, apparendo sempre più confusa. “Come facevi ad averla? Chi te l’aveva data?” continuai, ponendole quella domanda in tono inequivocabilmente serio. “Mi dispiace, io non… non mi ricordo.” Biascicò, evidentemente spaventata dalla mia improvvisa rudezza. “Ne sei sicura?” azzardai, parlando in tono più calmo e posato. Mantenendo il silenzio, la mia amica si limitò ad annuire, e improvvisamente, una voce ruppe il silenzio creatosi nella stanza. “Drake.” Disse quella voce, verso la quale mi voltai nello spazio di un momento. In quel preciso istante, scoprii la presenza di Basil, che apparendo serio, mi guardava. Confusa, lo guardai a mia volta senza capire, e perfino Samira parve imitarmi. Nessuna di noi due comprendeva infatti il significato di quel nome, e in perfetto silenzio, attendevamo. “È il fratello di Stefan, ed è qui ad Aveiron solo per lui.” Disse poi Basil, fornendo una precisa spiegazione e facendo sparire ogni nostro dubbio. “Sai dove vive?” chiesi, sperando con tutto il cuore nella positività di una sua risposta. “Sì, ma partiremo domattina. I Ladri attaccano solo di notte.” Mi disse, riuscendo con quelle parole a riaccendere in me un seppur fioco barlume di speranza. Avvicinandomi lentamente, non potei fare a meno di ringraziarlo e stringerlo in un abbraccio. Quando questo si sciolse, feci la stessa cosa con Samira. Ad essere sincera, volevo bene a entrambi, e loro lo sapevano. Dato quanto ero costretta a vivere, ero convinta che non sarei riuscita ad andare avanti senza il loro aiuto, e tutto questo per un semplice motivo. Secondo il mio onesto pensiero, loro erano persone gentili, di buon cuore e degne di ogni singolo grammo della mia fiducia, che ero solita concedere con molta parsimonia. Dopo la fine del nostro abbraccio, avrei potuto snocciolare ben mille motivi diversi per amare il rapporto di amicizia che avevamo costruito, poiché loro erano, in altri termini, le persone giuste.

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Capitolo 3
*** Sangue fraterno ***


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Capitolo III

Sangue fraterno

Drake. Un nome che da ormai tre giorni continua a ronzarmi in testa come mille piccole e fastidiose mosche, e che ad essere sincera, non mi piace affatto. A quanto sembra, ha agito da corriere per farmi avere in tempo le lettere di Stefan, e proprio oggi, sono pronta a iniziare il mio viaggio verso il luogo in cui vive. Ora come ora, sono impegnata a camminare per raggiungere casa di Basil e Samira, che alcuni giorni fa hanno promesso di accompagnarmi. Abbracciandoli, non ho potuto fare a meno di ringraziarli, e finalmente, quello odierno è il giorno designato per partire alla ricerca del mio amato. Con lo sguardo alto e dritto in avanti, cammino senza sosta, con i caldi raggi del sole di fine inverno che mi inondano il viso. Quasi per istinto, mi fermo. Sono arrivata. Respirando a fondo, mi faccio coraggio, e bussando alla porta, li vedo. I miei amici. Proprio come me, hanno in spalla uno zaino pieno di oggetti utili, fra cui una mappa e un’affidabile bussola. “Sei pronta?” mi chiede Basil, con un sorriso stampato in volto. “Pronta.” Rispondo, con aria seria. “Allora andiamo.” Ci incalza Samira, ansiosa di iniziare questo nuovo cammino al mio fianco. Io e lei siamo amiche da ormai lungo tempo, e a costo di sembrare orribilmente ripetitiva, le ripeto ogni giorno che le voglio un gran bene. In fin dei conti, data l’attuale situazione nell’intero regno, non sono mai sicura di poterla rivedere dopo averla salutata, poiché di questi tempi, le persone, provate dalla fame, dal freddo e dalle malattie, muoiono come deboli insetti strappati alla vita da predatori più forti e abili. Ad ogni modo, voglio restare positiva, e rimanendo concentrata sul mio percorso, non batto ciglio. So bene che non posso permettermi di distrarmi, e sono così sicura di me che i miei amici, arrancando, faticano a starmi dietro. Ora come ora, il mio cuore è gonfio di gioia e speranza, e nulla può spegnere il mio sorriso. “Sto arrivando.” Una frase che ripeto mentalmente al solo scopo di farmi coraggio, e che a quanto sembra, funziona alla perfezione. Camminiamo da quasi un’ora, e sono stanchissima, ma nonostante tutto, mi sento come investita da una forza tale da permettermi di scalare la più alta delle vette. Molti dicono che l’amore, assieme all’ingegno e alla fortuna, sia una forza capace di muovere l’intero mondo, proprio come ora fa con me. La mia determinazione è incrollabile, e la stanchezza non mi tange. Tutto questo è per Stefan. Una lunga ora passa, e improvvisamente, Basil si ferma. Stando alla mappa che ha disegnato, e dove ha indicato la posizione di ogni eventuale rifugio di fortuna abbandonato, la casa di Drake è proprio davanti a noi. Alzando lo sguardo, la vedo. Esternamente piccola, ma in migliori condizioni. del luogo dove io e Stefan, assieme al dottor Patrick e a quello schifoso verme strisciante chiamato Maddox, siamo abituati a vivere. La sola vista di quell’abitazione fa crescere in me una forse immotivata rabbia, e improvvisamente, sento di dover agire. È strano, forse incredibile, ma il cuore mi parla, dicendomi che il mio Stefan è qui. Avvicinandomi alla porta, faccio del mio meglio per tentare di calmarmi, e serrando i pugni, busso. Alcuni secondi svaniscono poi dalla mia vita, e la porta si apre. Di fronte a me c’è un ragazzo quasi identico a Stefan, eccezione fatta per il colore dei suoi capelli, di un biondo così chiaro da sfumare nell’oro. “Chi sei?” mi chiede, con aria alquanto seccata. “Siamo amici di Stefan, e siamo qui per lui.” Risponde Basil, guardando il ragazzo negli occhi e facendo le mie veci. “Non conosco nessun con quel nome.” Continua questo, riuscendo seppur inconsapevolmente ad adirarmi. “Sciocchezze. Sappiamo che è qui. Ora facci passare. Replico, inviperita e animata dal desiderio di rivedere colui che amo e so di amare. Con quelle parole, mi faccio strada fin dentro casa, e i miei amici, preoccupati almeno tanto quanto me, mi seguono. Ferma al centro di un lungo corridoio, drizzo le orecchie, e improvvisamente, un suono, vagamente simile ad un lamento di dolore, mi fa scattare come una molla. Incredibilmente, quella stessa voce chiama il mio nome, e seguendola, raggiungo una stanza grande e accogliente. Facendo saettare lo sguardo in ogni possibile direzione, lo vedo. Solo, ferito e sofferente. È il mio Stefan, che sdraiato in un comodo letto, chiama il mio nome con un filo di voce. Intanto, Basil e Samira mi hanno raggiunta, ed entrambi, attoniti, non fanno che guardare il loro amico quasi privo di sensi. “Rain…” biascica, non avendo desiderio dissimile dall’avermi accanto. “Stefan! Mio Dio, cosa ti hanno fatto?” “Sono stati… i Ladri… ma starò bene, te lo prometto. Adesso va con loro, e lasciami dormire. Dice, trovando sempre maggiori difficolta nel respirare. “Non se ne parla! Tu hai protetto me dalla Leader, io proteggerò te dai Ladri, capito?” risposi, parlando in tono serio ma con voce dolce e rassicurante, come mia madre era solita fare con me quando non ero che una bambina. Seduta al suo fianco, continuavo a parlargli, le sue ferite erano lievi, ma pur sapendolo, ero preoccupata. Con estrema lentezza, la notte scese, e i miei amici tentarono in tutti i modi di convincermi a tornare indietro. “Io resterò qui. Ora andate.” Dissi, apparendo perfino più seria e decisa di prima. “Ma Rain…” soffiò Samira, nel mero e purtroppo vano tentativo di farmi cambiare idea. “Ho detto andate!” gridai, lasciandomi trasportare da un’emozione negativa quanto la rabbia, che continuando a crescere in me, aveva finalmente trovato il modo di uscire dal mio corpo. Colpiti e spaventati dalla mia reazione, i miei amici obbedirono, e lasciandomi sola in compagnia di Stefan, iniziarono il viaggio di ritorno verso casa. “Non cambierai mai, vero?” mi disse lui, ridacchiando e tossendo. “Mai.” Risposi, non potendo evitare di sorridere a mia volta. Ad ogni modo, passai quella notte a prendermi cura del mio amato, facendo quanto fosse in mio potere per aiutarlo. Cambiavo le garze che coprivano le sue ferite a intervalli regolari, gli asciugavo la fronte dai sudori notturni, gli portavo nuove coperte qualora le richiedesse, e lo baciavo, sapendo di amarlo con tutta me stessa. Ovvio era che fra le mie mansioni di infermiera novella si annoverasse il parlare a quello che ora consideravo mio paziente, che ascoltandomi, non proferiva parola, salvo poi ridere del mio essere così testarda e infantile. Sedendomi su uno sgabello trovato in un’altra stanza, continuai a vegliare su Stefan per ore intere, e poco prima di arrendermi lasciandomi vincere dalla stanchezza, concentrai il mio pensiero su Drake. Stando alle parole di Basil, lui e Stefan erano fratelli, e malgrado mi avesse palesemente mentito al mio arrivo a casa sua, non mi sentivo di odiarlo, condannarlo o fargliene una colpa, proprio perché fra loro scorreva sangue fraterno.

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Capitolo 4
*** Discordia ***


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Capitolo IV

Discordia

Il sole sorge, e sentendo il mio viso venire inondato dalla luce, mi sveglio aprendo gli occhi, ancora assonnati e cisposi. Stefan dorme ancora, beato come un bimbo, e alla sua vista, sorrido. Le sue condizioni stanno migliorando a vista d’occhio, e per qualche strana ragione, mi sento responsabile del suo stato di salute. La quiete regna nella stanza, e di punto in bianco, un rumore mi distrae, interrompendo bruscamente il flusso dei miei pensieri. La porta di casa si è appena aperta, e non odo che dei passi. Voltandomi nella direzione di quel suono, mi rendo conto dell’arrivo di Drake. Appare visibilmente annoiato, e pur notandomi, si rifiuta di parlarmi. Il suo sguardo si posa invece sull’ancora dormiente fratello. A quanto sembra, non è per nulla preoccupato, e spostando il suo sguardo dal suo viso al mio, si decide a rivolgermi la parola. “Guardati, così preoccupata per lui, ma perché? A quale scopo?” mi chiede, con la saccente aria di chi crede di avere costantemente la verità in tasca. “Io lo amo, e lui ama me, ecco la risposta.” Replico, provando una sopportabile fitta di dolore al petto che mi costringe ad agire e parlargli in quel modo. “Come dici? Solo perché ti ha baciata? Non farmi ridere.” Continua, sempre adoperando lo stesso e identico tono di voce, in grado di toccarmi i nervi con forza inimmaginabile. “Sta zitto! Lui mi ama davvero!” sbottai, dopo alcuni secondi di silenzio. Era appena arrivato, ma nonostante tutto, le sue parole non facevano che irritarmi. “Come vuoi, ragazzina.” Concluse, procedendo a darmi le spalle e mettendo quindi fine a quella conversazione. “Drake.” Lo chiamai, sfidandolo con lo sguardo e la voce. Rispondendo a quella sorta di richiamo, il ragazzo si voltò verso di me, e in quel preciso istante, reagii. “Se si sveglierà, anzi quando si sveglierà, ti mostreremo cosa sia il vero amore.” Dissi, pronunciando quelle parole al solo scopo di difendere il mio Stefan e rinforzare la catena di sentimenti che ci legava da tempo ormai immemore. Mantenendo il silenzio, Drake si limitò ad alzare gli occhi al cielo con aria seccata, e in quel momento, decisi di averne letteralmente avuto abbastanza. In preda ai nervi e alla rabbia, girai sui tacchi scegliendo di andarmene, ma non prima di aver deposto un bacio sulla fronte del mio amato. Attraversando quindi il lungo corridoio, me ne andai subito via, e una volta fuori, diedi una rapida occhiata alla mappa di Basil. Da bravo amico, ne aveva disegnato una copia identica anche per me, e seguendo le indicazioni che riportava, assieme ad alcuni punti di riferimento, riuscii a tornare al mio rifugio con velocità inaudita. Una volta arrivata, mi diressi subito verso lo studio del dottor Patrick. In fondo, era suo padre, e in qualità di attento genitore, aveva ogni diritto di sapere quanto fosse accaduto. “Dottor Patrick, devo parlarle.” Esordii, entrando nel suo studio talmente in fretta da dimenticare di bussare. “Di che si tratta?” chiese lui, incerto e dubbioso. “Stefan. Ho scoperto dove si trova, e cosa gli è accaduto. Sono stati i Ladri.” Continuai, non riuscendo a tranquillizzarmi e tremando inconsapevolmente. Alle mie parole, il dottore non rispose, e concedendomi del tempo per respirare, andai avanti. “Un ragazzo di nome Drake lo ha preso con lui, credo siano fratelli, abbiamo litigato, e…” Quel fiume di parole esondò uscendo dalla mia bocca, ma il suo corso venne bloccato e impedito dal ricordo dello screzio che avevo avuto con lui appena poco tempo prima. “Così Drake è tornato in città.” Osservò il dottor Patrick, per nulla sorpreso da quanto avessi appena detto. “È un bene, vero?” mi informai, sperando segretamente per il meglio. “Come hai detto, lui e Stefan sono fratelli, e tutto è iniziato quando erano bambini.” Rispose il dottore, lasciandomi per un attimo con il fiato sospeso. “Credevamo che avrebbero superato la cosa, ma a quanto pare Drake ne soffre ancora.” Continuò, riuscendo a creare una rete di dubbi che in pochi istanti prese possesso della mia giovane mente. Confusa, lo guardai senza capire. “Che intende? Azzardai, tacendo quasi istintivamente e maledicendomi per averlo chiesto e sapendo di essere sul punto di toccare un nervo scoperto. “Io e mia moglie Janet abbiamo divorziato alcuni anni dopo la loro nascita. Stefan è stato un bravo bambino in grado di capire ogni cosa, ma Drake non ha avuto la stessa fortuna.” A quelle parole, sobbalzai, colpita e affondata come una nave in balia delle peggiori tempeste. Tornando a guardarmi, il dottore si abbandonò ad un sospiro, e pur non proferendo parola, mi augurai di non aver riaperto vecchie ferite ormai appartenenti al passato. “Che è successo?” indagai, curiosa e preoccupata al tempo stesso. “Ha creduto che io e sua madre avessimo smesso di amarlo, e che fosse la causa dell’intera faccenda. Janet ha provato a farlo ragionare, ma non ha mai funzionato. Ora è convinto che l’amore non esista, e soffre anche se si nasconde dietro una falsa aria da duro. Una rivelazione che ascoltai in religioso silenzio, e al seguito della quale, finii per commuovermi. Con un gesto della mano, asciugai ogni mia lacrima, e non appena lasciai il suo studio, tornai lentamente nella mia stanza, per poi sdraiarmi sul letto e fermarmi a pensare. In questo preciso istante, la mia vita può essere considerata un unico grande mosaico, le cui fredde e vitree tessere stavano seppur lentamente trovando il loro posto. Una completamente nuova era rappresentata dalla vera natura di Drake, che oscillava come un vecchio pendolo fra affetto e discordia.

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Capitolo 5
*** Attimi di luce ***


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Capitolo V

Attimi di luce

Ancora una volta, avevo passato le mie notti a preoccuparmi per Stefan, e mentre alla lista dei miei pensieri si aggiungeva il volto di Drake, avevo avuto appena il tempo di accorgermi della fine di una lunga settimana. Svegliandomi di buon’ora, andai subito in cerca del dottor Patrick. Per pura sfortuna, non lo trovai, e raggiungendo la grande sala centrale, chiesi spiegazioni a Lady Fatima. “È uscito poco prima che ti svegliassi, ma tornerà presto.” Mi rispose, riuscendo a rassicurarmi e far scomparire ogni mia preoccupazione. “Bene.” Pensai. “Mi tocca solo aspettare.” In un sospiro di sollievo, sorrisi, e ringraziando la Leader, tornai nella mia stanza. Vi entrai con fermezza e decisione, ricordando solo in quel momento, di aver perso il ciondolo regalatomi da Stefan. Nonostante i miei sforzi nel cercarlo, finii per fallire nel mio intento, e dopo aver passato un’intera ora a ispezionare l’intera casa, decisi di desistere. Riflettendo, ripercorsi mentalmente i miei passi, e potendo chiaramente ricordare, realizzai di averlo lasciato a casa di Drake. Mossa stupida, e che avrei certamente potuto evitare, se solo non fosse stato per una mia abitudine. Lo indossavo ogni giorno, considerandolo un portafortuna oltre che un simbolo di grande e puro amore, ma ero solita toglierlo ogni notte, per poi posarlo sul comodino accanto al letto o nasconderlo sotto il cuscino. Con la tranquillità che ero solita osservare, la giornata scorreva fluida e lieta. Il pomeriggio prese poi con prepotenza il posto del mattino, e un suono conosciuto ma proveniente dall’esterno, mi ridestò dal torpore al quale stavo per abbandonarmi. Ingenuamente, credevo che una sana dormita mi avrebbe aiutato a dimenticarmi di Stefan e del resto dei miei problemi, ma per sfortuna, non fu affatto così. Il suo volto continuava ad apparirmi in sogno, così come ogni parola presente nelle sue lettere, che rileggevo conservando la segreta speranza di rivederlo. Seduta nel grande salone, ignoravo completamente la cara Lady Fatima, scoprendomi troppo intenta a rileggere quelle lettere per guardarla o rivolgerle la parola. Silenziosa, sembrava fissare il vuoto, ma in realtà, proprio come me del resto, aspettava. Un suono, un segno, uno spasmo di vita dall’esterno. Distraendomi per un attimo dalla mia lettura, sentii qualcuno bussare alla porta principale. “Credo siano arrivati.” Disse lei, apparendo incredibilmente seria. Voltandomi verso di lei, la guardai per un attimo, confusa. Aveva detto che il dottor Patrick era stato l’unico a lasciare la casa, e nonostante tutto, parlava al plurale. Stranita, tentai di trovare un senso alle sue parole. Alcuni attimi di riflessione mi condussero per pura sfortuna ad un punto morto. Avrei dovuto trovare un modo per conoscere la verità. Intanto, qualcuno continuava a bussare alla porta con insistenza, quasi come se la odiasse e volesse letteralmente demolirla. Scattando in piedi, corsi ad aprire, e mentre ero nell’atto di farlo, sentii la voce del dottor Patrick. “Rain, sono io, e ho buone notizie. Apri.” Mi pregò, riuscendo a sentire il suono dei miei passi da dietro la porta stessa. Annuendo, obbedii a quella sorta di ordine, e lasciandolo entrare, lo scongiurai di parlarmi. “Che notizie?” chiesi, impaziente e curiosa di scoprire quanto avesse da dirmi. “Te lo dirò fra un attimo, ora vieni nel mio studio.” Rispose, chiedendomi espressamente di seguirlo. In completo e perfetto silenzio, iniziai a camminare al suo fianco, e una volta attraversato un lungo corridoio, giunsi nel suo studio. “Mi dica tutto, dottore.” Lo incalzai, sperando di sentire quello in cui sperassi da giorni. “Si tratta di nuovo di Stefan, ed è molto importante.” Esordì il dottor Patrick, riuscendo con quelle parole a tenermi sulle spine. Curiosa, ascoltavo senza interrompere, e improvvisamente, lo sentii. “Gli ho fatto visita per controllarlo, e non ha fatto che parlare di te. Inoltre ha un’altra lettera.” Disse poi, rendendomi indescrivibilmente felice. “Cosa dice?” chiesi, riferendomi ovviamente all’ancora ignoto contenuto di quella misteriosa lettera. “Mi ha solo detto che è importante, e che dovevi averla il prima possibile.” A quelle parole, sobbalzai. In preda alla contentezza, non potei fare a meno di sorridere. Il mio intero corpo fremeva a causa dell’ansia che sapevo di provare in quel momento, e nello spazio di un momento, il dottor Patrick mi porse una piccola busta. In quel preciso istante, ero troppo tesa per riuscire ad aprirla, ma non volendo apparire impedita, feci del mio meglio per riuscire ad aprirla. Subito dopo, iniziai a leggerla. “Cara Rain, puoi finalmente essere felice. Sto benissimo, ed è solo grazie a te. Le ferite mi fanno ancora male, ma la febbre sta scendendo. Sto tornando a casa da te, perciò puoi sorridere. Ad ogni modo, sai bene che Aveiron è enorme, e che potremmo anche perderci di vista, ma io ti amo, e voglio fare in modo che non accada. Te l’avrò detto ormai migliaia di volte, ma ti amo davvero, e non sopporterei neanche la lontana idea di perderti. I momenti che finora abbiamo passato insieme sono stati i migliori della mia vita, e forse non lo diresti mai, ma solo ora mi scopro troppo timido per chiederti una cosa del genere di persona. Sperando quindi di riuscire a scrivere nonostante le mie forti emozioni, te lo chiederò attraverso le parole impresse in questo bianco foglio di carta. “Rain Angelica Sinette, vuoi sposarmi?” quelle le dolcissime parole con cui la lettera si chiudeva, e per la quali piansi dopo la fine della lettura. Dati i miei sentimenti per Stefan, quella domanda mi apparve alquanto retorica, e inutile è dire che una sola risposta comparve nella mia mente. “Sì.” Una risposta che avrei voluto dargli in quell’esatto momento, abbracciandolo e stringendolo a me fino a togliergli il respiro, ma che avrebbe in ogni caso dovuto attendere per un giorno intero. Ora come ora, non lo credo possibile. Sono poco più che una ventenne, e incredibilmente, con le lacrime agli occhi e un sorriso in volto, sto per coronare il mio sogno d’amore. Tutto questo va oltre le mie più rosee aspettative, e quelli che ora vivo sono attimi di radiosa luce.

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Capitolo 6
*** Vetro infranto ***


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Capitolo VI

Vetro infranto

Con l’inizio di questo nuovo giorno, il grigiore che era solito far parte della mia vita sembra essere scomparso. Sto per sposarmi, e stando alle parole di Samira, appaio felice e radiosa. La nostra amicizia ci lega da ormai lungo tempo, tanto che le ho chiesto di farmi da damigella d’onore. Sorridendo, ha accettato di buon grado, scegliendo poi di aiutarmi a scegliere il vestito adatto all’occasione. Da brava amante dello stile, l’ho scelto bianco, lungo e colmo di pizzi, merletti e decorazioni di ogni tipo. In questo preciso istante, sono intenta ad ammirare la mia immagine riflessa nello specchio. Lady Fatima mi è accanto, e sorridendo, offre gentilmente la sua opinione. “Sei incantevole, e il tuo Stefan ti amerà sicuramente.” Dice soltanto, avvicinandosi allo scopo di posarmi una mano sulla spalla. “Dite davvero?” chiedo, quasi desiderando una conferma di quanto ho appena sentito. “Dicono che l’amore sia cieco, ma anche l’occhio vuole la sua parte.” Una frase che avevo sempre apprezzato, e che detta da una persona del suo calibro, assumeva un significato e un’importanza perfino maggiori. Ad ogni modo, il tempo scorre con la stessa lentezza dei granelli di sabbia in una clessidra, ed io aspetto. Scoprendomi preda dell’impazienza, finora non ho fatto altro che rileggere le lettere ricevute da Stefan, ascoltare i consigli del dottor Patrick uniti a quelli di Lady Fatima, e camminare nervosamente per i lunghi corridoi della casa, bui e tetri a causa della momentanea assenza di luce. Ora come ora, l’ansia mi sta divorando, e torturandomi le dita, non riesco a dominare i nervi. Incredibilmente, anche Drake mi ha fatto visita. “Dov’è?” chiedo con una costanza facilmente riconducibile all’ossessione. “Sono sicura che stia arrivando, cara.” Risponde Lady Fatima, in piedi di fronte alla porta proprio come me. “Vi sbagliate.” La voce di Drake mi distrae dai miei pensieri. “Cosa? Ho la sola forza di chiedere, stranita e arrabbiata al tempo stesso. “Non te ne accorgi? Ti ha abbandonato, e non verrà. Sei così ingenua da crederlo, ma non accadrà.” Risponde, con la solita aria da duro. “Non è vero.” Sibilo nel guardarlo, sentendo una più che motivata collera crescere in me fino a prendere posto della ragione. Sorridendo maliziosamente, Drake non accenna a smettere di guardarmi. È convinto di avere ragione, e a quanto sembra, non ha desiderio dissimile dal mettermi i bastoni fra le ruote. “Non è vero.” Ripeto, serrando la mascella e tentando di ignorarlo. Nello spazio di un momento, la rabbia mi assale, e per sua pura fortuna, qualcosa mi blocca dal mostrargli quello di cui sono realmente capace. Ho appena il tempo di voltarmi, e in quell’istante, la porta cigola. Aprendosi lentamente, rivela la presenza dell’unica persona che aspettavo, ovvero. Stefan. Alla mia vista, mi chiama per nome, e correndogli incontro, lo abbraccio. Proprio come mi aspettavo, la mia ferrea presa dettata dalla voglia che avevo di vederlo gli toglie il respiro, ma a noi non importa. Ci amiamo, e non curandoci della presenza di ognuna di quelle persone, scegliamo di abbandonarci ad un bacio pieno di passione, che per qualche strana e a noi ignota ragione, fa arrossire sia Samira che Lady Fatima. Alcuni istanti dopo, il nostro bacio ha fine, e nell’esatto momento in cui il nostro abbraccio si scioglie, Drake sente di nuovo il bisogno di esprimersi. “Siete assolutamente patetici.” Dice, scandendo chiaramente ogni parola. Tutti i presenti lo ascoltano in religioso silenzio, scioccati. Proprio come me, non riescono a capire né spiegarsi la ragione di quel comportamento. Il silenzio invade quindi l’intera sala, e davanti agli occhi di tutti, Stefan si fa avanti. Paralizzata dallo stupore, non muovo un muscolo, limitandomi a guardarlo senza proferire parola. Camminando lentamente, si avvicina al fratello, e decidendo di affrontarlo, gli parla. “Tu non capisci. Non riuscirai mai a capirlo. Forse Rain non ti piace, o forse la odi a morte, ma a me non importa. Io la amo sin dal giorno in cui l’ho conosciuta , e oggi, di fronte a questi testimoni, voglio sposarla. Sai una cosa? I nostri figli cresceranno senza uno zio, perché non voglio nella mia vita un fratello come te!” urla, ritrovandosi schiavo della sua stessa e incontrollabile collera. Sorpreso da quella reazione, Drake non osa rispondere, non facendo infatti altro che fissarlo dritto negli occhi. “Ora fuori di qui.” Sibila poi, guardandolo con aria di sfida. Per nulla spaventato da quella sorta di minaccia, il fratello non accenna a muoversi. “Ho detto fuori di qui, Drake.” Insiste, sputando senza alcun ritegno quello che è il suo nome. “Va bene, fratellino, divertiti a restare con la tua insulsa fidanzata.” Risponde, per poi scegliere di dargli le spalle e raggiungere lentamente la porta d’ ingresso. Questa si chiude con uno scatto, e voltandomi verso Stefan, non ho parole. Dopo quello che ha fatto, e quello che ho visto, non credo che ci sia più nulla da dirci. I miei occhi si riempiono di lacrime, e una sola frase abbandona le sue labbra. “Rain, mi dispiace, io non…” balbetta, tentando invano di giustificarsi e cercare il mio perdono. Rimanendo ferma e inerme, non riesco neppure a guardarlo, ma facendomi coraggio, scelgo di dirgli quanto penso in questo preciso momento. Non posso crederci. Ha appena tradito la mia fiducia, e ora nonostante quanto sia accaduto, crede di ammansirmi con una semplice scusa. La sua vista è per me divenuta ripugnante, e malgrado un nodo di pianto in gola, trovo la forza di parlare. “Ti dispiace? Ti dispiace? No, è a me che dispiace! Mi dispiace essermi fidata, mi dispiace averti baciato e mi dispiace di essermi quasi donata a te! Io volevo amarti, volevo che ci sposassimo per avere una famiglia, non per vederti distruggere la tua! Non ho altro da dirti. Sei un mostro, Stefan Gardner, un mostro!” conclusi, gettando quindi via il magnifico anello che aveva scelto di regalarmi e che avevo trovato nella busta contenente la sua ultima lettera. Disperato, cercò di chiamarmi a sé, ma fuggendo, non osai rispondere. Per me era finita. Il mio povero e giovane cuore era un fragile pezzo di vetro infranto.

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Capitolo 7
*** Povera di spirito ***


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Capitolo VII

Povera di spirito

I minuti passavano lenti, la sera era ormai calata, ed io camminavo nel buio. Avevo ancora indosso il mio vestito da sposa. Anche se bellissimo, era estremamente leggero, ragion per cui mi sentivo morire. Sentivo freddo, e questo non faceva che provare ad annidarsi fra le pieghe e le fessure ora presenti sia nel mio cuore che nella mia anima. Non avendo desiderio dissimile dal lasciarmi alle spalle quanto mi fosse accaduto, camminavo. Vagavo senza una meta precisa e guardando le stelle, speravo in un segno. In quella notte stellata, le principesse del cielo potevano essere le mie uniche amiche, e continuando a fissarle, pregavo in silenzio. Stanca e infreddolita, guardai dritto di fronte a me, e appena un attimo dopo, scoprii di essere giunta in un luogo a me completamente sconosciuto. Non ne ero sicura, ma a quanto sembrava, avevo raggiunto la zona più povera di Aveiron. Attorno a me c’erano persone tristi e addolorate, costrette a vivere di accattonaggio in mezzo alla strada. Guardandoli, provai istintivamente pena per loro, e tentando di ricacciare indietro le lacrime, distolsi lo sguardo. Troppo concentrati sulla loro sofferenza, quelle genti mi ignoravano, e anche se non mi andava di ammetterlo, mi sentivo incredibilmente sola. Raggiungendo una fredda panchina, mi sdraiai, e chiudendo gli occhi, provai ad addormentarmi. Tormentata dai ognuno dei miei ricordi, ci riuscii con non poche difficoltà, e perdendomi nel vasto mondo dei miei sogni, assistetti al ritorno di ognuna di quelle dolorose rimembranze. Per pura fortuna, o forse per opera della mia buona e lucente stella, ebbi modo di concentrare le mie energie sulle poche gocce di gioia che rimanevano nella mia vita, e incredibilmente, riuscii a rivivere tutti i momenti felici passati al fianco del mio Stefan. Ero ormai certa di dormire profondamente, ma nonostante tutto, in quel sogno ogni cosa appariva tremendamente reale. Ricordai ogni cosa. La luce nel suo sorriso, la magnetica bellezza nel suo sguardo, la dolcezza delle sue parole, la delicatezza del suo tocco, e in ultimo il sapore dei suoi baci. Nel mio sonno, non facevo che agitarmi, e al mio risveglio, provai l’insopprimibile bisogno di piangere. Drizzandomi a sedere, notai la presenza del mio riflesso in una piccola pozzanghera formata dalla precedente pioggia. Esaminandola, notai il mio volto. Una vera maschera di tristezza, bagnato di lacrime e corrotto dal dolore. Rimanendo ferma e inerme, utilizzai parte del mio tempo per riflettere, avendo quindi modo di pensare e maturare una dura ma saggia decisione. Quello che era accaduto con Stefan era stato in parte anche colpa mia, e l’esplosione di rabbia che avevo avuto in sua presenza doveva averlo seriamente demoralizzato. Guardandomi indietro, compresi che forse era davvero dispiaciuto, e che essermi rifiutata di ascoltarlo addossandogli ogni parte della colpa era stato un colpo davvero basso. Un boccone amaro da ingoiare, e una verità troppo scomoda per essere celata. Sdraiandomi per la seconda volta, sospirai cupamente, e poco prima di addormentarmi, mi concentrai sul cielo. Giungendo le mani come un fedele in preghiera, sperai ardentemente nel perdono di Stefan. La rabbia previamente provata mi aveva impedito di confessarlo, ma in realtà mi mancava, ed io lo rivolevo indietro. A quel pensiero, delle piccole e quasi invisibili lacrime mi solcarono il volto, facendolo bruciare come vivo e rosso fuoco. Chiudendo quindi gli occhi, parlai con me stessa, non desiderando altro che l’affetto di colui che avevo scelto di amare. In altri termini, volevo tornare ad essere felice, e non più sola e povera di spirito.
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Il cavaliere e la principessa ***


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Capitolo VIII

Il cavaliere e la principessa

Dopo un ennesimo ciclo solare, aprivo gli occhi ancora stanchi. Era mattina. La fredda pioggia aveva smesso di scrosciare, e il sovrano del cielo mattutino aveva preso il suo posto. Operando la sua magia, mi scaldava la pelle, e camminando, potevo sentirne i raggi su tutto il corpo. Una stranissima sensazione mi pervade, e in questo preciso istante, ho in mente un solo ed unico pensiero. Devo tornare a casa. Il tempo scorre, e con l’andar dello stesso, il mio battito cardiaco accelera. La mia mente è occupata a vagare, e inspirando a pieni polmoni, mi concentro sulla meta che mi sono prefissata. Un improvviso dolore al fianco, forse dovuto allo sforzo eccessivo, mi debilita, e massaggiandolo, mi fermo. Il docile vento mi scosta i capelli, e riprendendo a camminare, incontro finalmente un volto amico. Non lo credo possibile, eppure è Samira. Correndo nella sua direzione, la chiamo per nome, e alzando lo sguardo, lei mi nota. È felice, e qualcosa mi porta a credere che mi stesse cercando. “Rain! Grazie al cielo stai bene! Eravamo così preoccupati!” dice, salutandomi con calore e iniziando a camminare al mio fianco. Senza proferire parola, riprendo il mio cammino, e prima che abbia modo di accorgermene, un singolo pensiero prende posto nella mia mente. “Come sta Stefan?” chiedo, apparendo ai suoi occhi visibilmente preoccupata. “È distrutto. Da quando te ne sei andata, non fa che piangere e parlare di te. Ripete di amarti e volerti al suo fianco per sempre. Stiamo tutti cercando di aiutarlo, ma nulla funziona.” Risponde, con occhi bassi in segno di tristezza. A quelle parole, non rispondo. Una fitta di dolore mi attraversa la mente e il cuore, e stringendo i pugni, reagisco. “Dov’è adesso?” indago, con voce ferma e decisa. “A casa, perché?” azzarda lei, riuscendo comunque a fornirmi la risposta che desideravo sentire. “Perché ho deciso.” Rispondo soltanto, lasciando poi che le mie labbra si dischiudano in un debole sorriso. Confusa, Samira mi guarda senza capire. In quel momento, il mio pensiero si concentra nuovamente su Stefan, e prendendole la mano inizio a correre. È inutile, stavolta il dolore al fianco non mi tocca. Sono ormai pronta a tornare a casa e dire tutta  la verità. Il nostro viaggio ha fine dopo circa un’ora di cammino, e una volta arrivata, non faccio che bussare. Sorpreso ma lieto di rivedermi, il dottor Patrick mi lascia entrare, e facendolo, noto il mio piccolo anello. Sorprendentemente, è ancora lì in terra, e raccogliendolo, mi preparo a fronteggiare il mio Stefan. Ciò che sto per dirgli è di vitale importanza, e pur essendo sicura dell’amore che prova per me, in cuor mio spero ancora che riesca a perdonarmi. Così, quel magnifico anello trova il suo posto, e camminando per i corridoi dell’intera casa, mi metto alla sua ricerca. È quindi questione di pochi istanti, e di fronte a me, nella sala principale, si presenta uno Stefan completamente diverso. Normalmente, spenderebbe ogni sua energia nel parlarmi, baciarmi e dirmi quanto mi ama, ma ora non riesce a parlare. La sua felicità è incalcolabile, e il suo intero corpo trasuda gioia. “Sei tornata!” esclama, stringendomi in un abbraccio capace di bloccarmi il respiro e la circolazione. “Sì, e non me andrò mai più.” Rispondo, regalandogli un luminoso sorriso. “Vuoi ancora sposarmi?” chiede, tacendo nella trepidante attesa di una mia risposta. Mantenendo il silenzio, scelgo di tenerlo sulle spine ancora per qualche sporadico attimo. La domanda che mi pone, giunge alle mie orecchie come retorica. “Sì, Stefan Gardner, voglio sposarti e vivere al tuo fianco, ora e per sempre.” Questa la risposta che il mio cuore mi suggerisce di dare, e che pronuncio di fronte alla piccola platea composta da ognuna delle persone di cui mi fidi. Alle mie parole,  Stefan non risponde, ed io stessa cedo alla tentazione di baciarlo. Il silenzio che avvolge la sala viene quindi rotto dall’applauso dei miei amici, e con l’arrivo della sera, scopro di aver assunto una nuova identità. Finalmente, la fortuna pare sorridermi di nuovo, e mentre gli occhi mi lacrimano a causa della gioia, che provo e so di provare, riesco a sentirmi viva, amata e felice. Stefan è oggi diventato il mio prode cavaliere, ed io la sua bellissima principessa.

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Capitolo 9
*** L'unione di due cuori ***


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Capitolo IX

L’unione di due cuori

Un giorno ha appena cessato di esistere, e uno completamente nuovo ha preso il suo posto. Ad essere sincera, non potrei essere più felice. Sono finalmente riuscita a sposarmi e coronare il mio sogno d’amore, promettendo di restare, fino alla fine dei miei giorni, accanto all’uomo che amo. Secondo il pensiero dell’amara e dolce Lady Fatima, ora che io e Stefan abbiamo scelto di unirci in matrimonio, dobbiamo prenderci la mano e compiere un gesto di uguale importanza, ovvero ufficializzare le nostre nozze con un’adeguata cerimonia in una piccola chiesa da lei conosciuta. Limitandoci ad ascoltare le sue parole in religioso silenzio, Stefan ed io abbiamo accettato, e in questo preciso istante, siamo l’uno di fronte all’altra, pronti a rendere vera e pura la nostra unione. La funzione ha inizio, e tutti i miei conoscenti, inclusi Drake, Samira, Basil e il dottor Patrick, siedono sulle lignee panche della chiesa stessa. La funzione ha inizio, e dopo un lungo sermone pronunciato dal prete, arriva il momento più importante. Avvicinandomi, poso delicatamente le mie labbra su quelle del mio Stefan, dando inizio ad un casto bacio simbolo dell’amore che ci unisce. In quegli istanti, il tempo ci appare fermo, ma con la fine di quel bacio, questo riprende normalmente a scorrere. La cerimonia ha quindi fine, e una volta fuori dalla chiesa, Stefan ed io veniamo sorpresi e accolti dalle grida di gioia di tutte le genti del paese, riunitesi nella grande piazza per presenziare alla cerimonia e augurarci un matrimonio lungo e felice. I loro auguri ci riempiono di gioia, e concentrandomi sulla folla, noto che una giovane donna non riesce a trattenersi dal piangere. La sua vista mi intenerisce, e anche se non riesco a sentirla, scopro nei suoi occhi la stessa sfumatura smeraldina presente in quelli di mia madre. Notandomi a sua volta, sorride, e avvicinandosi, mi abbraccia stringendomi a sé. “Rain! Bambina mia!” mi chiama, mentre lascia che alcune piccole e affatto amare lacrime le solchino il volto. Sobbalzando, non posso fare altro che fermarmi a guardarla, e mentre i minuti scorrono, riesco finalmente a riconoscerla. “Mamma! Ma cosa… io credevo che tu e papà foste…” dissi, per poi biascicare quelle poche parole e scoprendomi incapace di completare quella frase, che morendomi in gola, non ha destino dissimile dall’essere dimenticata. “No, tesoro. Siamo vivi, e sono certa che un giorno ci rivedremo, ma adesso va, e sii felice per sempre, piccola mia.” In completo e perfetto silenzio, ascoltai quelle parole senza interrompere, e abbracciandola ancora, piansi sommessamente. Rialzando lo sguardo, lasciai che il colore dei suoi occhi si fondesse con quello dei miei, e poco prima di andare, mia madre mi consegnò una piccola e apparentemente antica pergamena. Accettandola, mi congedai da lei, e nuotando fra la folla, ripercorsi i miei passi, riuscendo a ritornare indietro solo dopo un tempo infinito. Durante il tragitto verso casa, mille pensieri diversi mi si rimescolavano in testa, ma primo fra tutti, uno riguardante i miei genitori. “Perché ero riuscita a rivederli solo ora? Dove vivevano? Perché quella mappa?” domande che mi ponevo nel tentativo di trovarvi una risposta, e che purtroppo, restavano senza. Ad ogni modo, seguendo i consigli di Stefan e del dottor Patrick, provai a dare uno sguardo ai lati positivi che la faccenda sembrava avere. Avevo ritrovato i miei tanto amati genitori, e sposando Stefan, avevo concretizzato l’unione dei nostri due cuori.

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Capitolo 10
*** Ennesima tempesta ***


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Capitolo X

Ennesima tempesta

Tre giorni. Settantadue lunghe ore che sono appena trascorse, dandomi modo di riflettere e prendere una decisione. Devo, in un modo o nell’altro, riuscire a scoprire la verità. Sono ora seduta nel salone principale, e leggendo alcune pagine di uno dei miei libri preferiti, noto che qualcosa scivola fuori. Fissando il mio sguardo sul pavimento, la noto. È la piccola mappa regalatami da mia madre nel giorno del mio matrimonio. Attualmente, sono l’unica a conoscerne l’esistenza, e nonostante la curiosità minacci di avere la meglio su di me, non oso aprirla. “Che cos’è?” chiede Lady Fatima, avvicinandosi e tacendo nell’attesa di una mia risposta. “Niente.” Rispondo, abbassandomi e affrettandomi a raccoglierla da terra prima che la scopra. Non contenta di quella così misera risposta, Lady Fatima sceglie di agire. “Sicura, mia cara?” mi incalza, sperando di riuscire a carpire quel segreto facendomelo scivolare dalle mani e dalla mente. “Va bene, è un regalo di mia madre. È una mappa per raggiungere il villaggio in cui vive, ma nonostante questo, non sono pronta a tornare da loro.” Risposi poi, dopo alcuni secondi di silenzio rotto solo dalla mia indecisione. “Cosa? E perché mai?” indagò lei, guardandomi negli occhi con aria preoccupata. “Non lo so. Credevo fossero scomparsi, e vorrei davvero farlo, ma significherebbe fuggire, e mi renderebbe codarda.” Risposi, chinando il capo in segno di vergogna. In quel momento, una singola lacrima abbandonò i miei occhi, e solo allora, le posi la domanda più importante. “Non crede?” biascicai, singhiozzando debolmente. “No, Rain tutto questo non è vero. Sono i tuoi genitori, e ti amano!” mi disse, facendosi improvvisamente seria. “Allora è deciso.” Replicai, scattando in piedi come una molla. Subito dopo, scelsi di raggiungere la mia stanza e riflettere. Avrei potuto partire e scappare dal pericolo, o restare e affrontarlo al fianco di Stefan. In quel momento, mi scoprii interdetta. Ferma e inerme in un’orribile posizione di stallo. Poteva sembrare infantile, ma nulla appariva giusto. Ero riuscita a ritrovare la felicità, e dopo solo tre giorni, delle grigie e pesanti nuvole minacciavano di scaricare della fredda pioggia sul futuro che ero impegnata a costruirmi. Avevo le mani legate, ma nonostante tutto, ero certa di una cosa. Conoscendomi a fondo, sapevo bene di essere una ragazza decisa e forte, e anche se a volte la mia timidezza aveva la meglio su di me, le cose dovevano cambiare. Non ero più una bambina, e nella mia vita non c’era che umida nebbia. Mi addormentai quella sera con le lacrime agli occhi e mille pensieri in testa, e poco prima che riuscissi a dormire, sentii una voce. “Andrà tutto bene.” Disse, avendo l’incredibile potere di far sparire ogni mio dubbio. Aprendo leggermente gli occhi, notai una sorta di luce nel buio. Una piccola ma lucente stella, che come ogni notte, mi conciliava il sonno, regalandomi la possibilità di riflettere e decidere quale fosse il passo migliore da compiere per attraversare quest’ennesima tempesta.    

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Capitolo 11
*** Ladri e mostri ***


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Capitolo XI

Ladri e mostri

Incredibilmente, ero riuscita a dormire per delle ore, ma un’improvvisa sensazione di fredda unita ad un immotivato timore, mi costrinse a svegliarmi. Aprendo gli occhi, scoprii la presenza di Stefan nella stanza. “Rain, sta calma. Va tutto bene. È stato solo un incubo.” Mi disse, carezzandomi il viso e i capelli con dolcezza. Sorridendo, gli deposi un bacio sulle labbra, e rigirandomi nel letto, capii che aveva ragione. Mi ero appena svegliata da un incubo orribile. I volti dei miei genitori, altri individui incappucciati, e poi più nulla. Il vuoto più totale. Tacendo il mio terrore, attesi l’arrivo del mattino, e alzandomi dal letto con la presenza del sole nel cielo, mi decisi. Non potevo più nascondermi, e Stefan doveva conoscere la verità. “Dobbiamo parlare.” Gli dissi, guardandolo con aria seria e conducendolo nuovamente nella nostra stanza. Una volta arrivata, frugai per un attimo nel mio zaino, estraendone il libro in cui nascondevo la mappa regalatami da mia madre. Da alcuni giorni cercavo invano di decifrarne le indicazioni, ma ogni volta, non facevo che fallire. “Dove credi che porti?” mi chiese, sedendosi al mio fianco e tentando di aiutarmi. “Non lo so, ma lo scopriremo insieme.” Risposi, decisa a trovare l’uscita di quel metaforico labirinto. In quel preciso istante, il mio pensiero andò a Basil. Difatti, ricordavo bene  che aveva disegnato una mappa con le giuste coordinate per tornare a casa nel momento in cui mi ero persa fra la neve, ed ero mortalmente sicura che sarebbe stato in grado di leggerne una. In fin dei conti, Basil era un ragazzo abile, e date le parole di sua sorella Samira, costantemente positive, ero convinta di potermi fidare. Riflettendo, rimembrai i momenti in cui mi aveva fatto da spalla, e sorridendo, lasciai andare quella mappa. Posandola su una piccola scrivania presene nella stanza. In quel momento, avvertii di nuovo quella sensazione. Freddo misto a paura e terrore. Il ricordo di quello spaventoso incubo continuava a tormentarmi. Voltandomi di scatto verso Stefan, lo guardai in cerca di conforto, e in quel preciso istante, qualcosa di totalmente inaspettato accadde. Stringendomi a sé con delicatezza, Stefan provò a baciarmi, e lasciandolo fare, mossi il collo. Avevo ormai intuito il suo volere, e i miei istinti si erano ormai fatti vivi. Io e lui ci amavamo alla follia, e sapevo bene che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di proteggermi. Sollevandomi leggermente da terra, mi adagiò sul letto in maniera delicata, e nello spazio di un momento, una scia di roventi baci si avventurò dapprima sul mio collo, e poi sul resto del mio corpo. “Ti amo.” Diceva, trovando sempre più faticoso contenersi. Il tempo scorreva, e sentendomi sempre più attratta da lui, provai un’istintiva sensazione di sicurezza. Nonostante i problemi che minacciavano di mettere la parola fine al nostro rapporto, riuscivamo costantemente a trovare il modo di parlare. Per tale ragione, Stefan conosceva ognuna delle mie preoccupazioni, compresa la folle paura che provavo nei confronti dei Ladri. Parlandogli, avevo confessato di temerli, e sin dall’inizio del nostro rapporto, aveva promesso di prendersi cura di me, quasi come se fossi una dolce bambina. Intanto, i suoi baci uniti alle sue attenzioni continuavano a inebriarmi i sensi. Prendendomi una singola pausa per respirare, mi lasciai guidare dai sentimenti, pronunciando quindi una frase di cui non mi sarei mai pentita. “Sono pronta.” Sussurrai, sorridendo con fare malizioso. A quelle parole, Stefan non rispose. Le parole non gli servivano, poiché le sue azioni avrebbero parlato per lui. Le ore notturne si susseguirono, e continuando ad amarci, ci finimmo di baci e carezze. Improvvisamente, una sensazione di appagante calore mi invase il corpo, e abbandonandomi ad un piccolo gemito d’amore, mi accasciai sul letto, sfinita. Alcuni secondi passarono, e imitandomi, Stefan si concentrò su di me. guardandolo, non ebbi la forza di parlare. I momenti che avevamo passato erano stati a dir poco indescrivibili. Quella notte era stata nostra, e finalmente, ero sicura di una cosa. L’amore che io e Stefan provavamo l’uno per l’altra era sconfinato. Non provando alcun rimorso, l’avevo amato fino a donarmi completamente a lui, guadagnando in questo modo un’unica certezza. Come mi ripeteva da tempo ormai immemore, avrebbe fatto del suo meglio per proteggermi, adoperando ogni grammo delle sue energie per scacciare dalla nostra vita Ladri e mostri.

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Capitolo 12
*** Il viaggio della fortuna ***


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Capitolo XII

Il viaggio della fortuna

Notte. Sono sdraiata sul letto nella mia stanza, protetta dalle mie calde coperte e dalla presenza del mio amato Stefan. A occhi chiusi, dorme come un bambino, e al contrario di lui, io sono ora sveglia. Stranamente, sono ancora concentrata sulla notte che abbiamo passato insieme, e oltre ad esserne felice, ne sono anche spaventata. So bene cosa un atto di quel genere comporta, e in un momento di questo calibro, in cui povertà, fame e miseria non fanno che dominare l’intero villaggio, la più ovvia conseguenza sarebbe per me una sorta di maledizione. Liberandomi in fretta da quel pensiero, scuoto energicamente il capo, e alzandomi dal letto, prendo posto alla mia scrivania. La mappa regalatami da mia madre giace lì chiusa con un cordino. Basil l’ha già letta, e incredibilmente, ha scoperto che la destinazione non è un villaggio, ma bensì una città non lontana da Aveiron. A quella scoperta, non ho potuto fare altro che sorridere, e lasciando che quel ricordo si annidi nella mia mente, riesco a trovare la tranquillità. Sciogliendo quindi il nodo che ho fatto per evitare che qualcuno di diverso da me o lui potesse aprirla e scoprire il mio piano, la guardo con attenzione. Indica con coordinate precise il luogo in cui lei e mio padre vivono, ma nonostante tale consapevolezza, non mi sento pronta ad affrontare questo viaggio da sola. Ricordo ancora perfettamente il giorno in cui, scappando di casa, sono quasi morta fra le nevi, ragion per cui, ho ora preso una decisione. Stefan deve saperlo, e partiremo insieme ad ogni costo. Ora come ora, la testa mi duole tremendamente, e degli orribili capogiri mi debilitano. Tornando a letto, mi addormentai con difficoltà, svegliandomi solo con l’arrivo del mattino. Il dorato sole non si fece quindi attendere, e sentendomi stanca ma al contempo piena di energie, saltai giù dal letto, come ero solita fare da bambina nei giorni di festa o a Natale. Anche stavolta, i miei comportamenti potevano apparire infantili, ma a me non importava, il mio unico desiderio era quella di rivedere i miei genitori. Avevo vissuto la mia giovinezza credendoli scomparsi da questo così vasto e crudele mondo, e ora, in età adulta, avevo scoperto la verità. Erano vivi, e volevano solo che fossi felice. A quel ricordo, un sorriso mi illuminò il volto, e non appena il sole illuminò il suo viso, Stefan si svegliò. “Vestiti.” Gli ordinai, con fare serio e autoritario. “Cosa? Perché? È presto!” si lamentò, ignorando la mia richiesta e rigirandosi nel letto. “Andremo dai miei genitori. Sono certa che vorranno conoscere l’uomo che ho sposato.” Dissi, avanzando poi quella più che giusta ipotesi.” “Hai ragione, dammi un minuto.” Rispose, chiedendomi con quelle parole di lasciare la stanza affinchè si vestisse. Obbedendo a quella sorta di ordine, lo lasciai da solo, e vagando per la casa, raggiunsi la sala centrale. Lady Fatima occupava il suo come sempre il suo posto, e guardandomi, azzardò una semplice domanda. “Hai deciso, Rain cara?” mi chiese, alludendo alla discussione che avevamo avuto poco tempo prima. “Andremo oggi.” Dissi, fiduciosa  e sorridente. Felice di sentire quelle parole, la Leader mi si avvicinò, e nel farlo, mi sussurrò qualcosa all’orecchio. “Buona fortuna, ragazza mia.” Quattro semplici lemmi ordinati per formare quell’altrettanto semplice frase, che per qualche strana ragione, se pronunciata da lei, assumeva uno strano ma tuttavia importante significato. Avendo vissuto al suo fianco per molto tempo, sapevo bene che era palesemente attratta dal genere femminile, e dati i comportamenti che assumeva nei miei confronti, mi ero forse scioccamente convinta che lei, una Leader dal cuore inizialmente duro, provasse per me un pizzico d’amore o se non altro di muta affezione. Congedandomi da lei, dovetti ammettere di volerle bene a mia volta, e prima di andarmene per sempre dalla casa che mi aveva offerto ricovero e salvezza per tre lunghi anni, ebbi cura di salutare anche i miei grandi amici Basil e Samira, ben sapendo che forse non li avrei più rivisti. A quella notizia, molte lacrime furono versate, e molti abbracci furono scambiate, e nonostante il dolore che sapevo sarebbero certamente derivati dalla partenza mia e di Stefan, i miei amici erano anche lieti di avermi vista maturare, e intraprendere il vero viaggio della fortuna.

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Capitolo 13
*** Ascantha ***


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Capitolo XIII

Ascantha

È passato solo un giorno, ma stando alla mia decisione, è ormai tempo di partire. Seppur triste di vedermi andare, e ansiosa all’idea di non rivedermi, Lady Fatima ha comunque fatto in modo che anche durante il viaggio mi sentissi a casa. Avvalendosi dell’aiuto di una delle sue serve, ha ordinato che una carrozza fosse predisposta per me e Stefan, e obbedendo, la ragazza ci ha mostrato un calesse trainato da ben due bianchi cavalli, che a suo dire, ci avrebbe portato a destinazione in un battito di ciglia. Ad essere sincera, avrei voluto intraprendere questo viaggio al fianco dei miei amici, ma la marcia sta iniziando, e gli eventi non possono essere forzati. Incredibilmente, qualcosa accade. “Aspettate!” grida una voce, appartenuta ad un uomo che correndo, si avvicina a noi. Voltandoci nella direzione di quel suono, Stefan ed io lo riconosciamo. È il dottor Patrick. Stanco e sudato per via della corsa che lo ha condotto fino a noi, ansima, facendo fatica a respirare. “Vengo con voi.” Trova la forza di dire, fermando con un gesto della mano il cocchiere, ormai pronto a spronare i cavalli e dare inizio alla nostra nuova avventura verso un villaggio a noi sconosciuto. “No, papà, dovrai restare qui.” Gli dice Stefan, guardandolo con aria seria. Mantenendo il silenzio, non rispondo, ma disapprovando quel comportamento, lo fulmino con un’occhiata. “Ti sbagli. È libero di venire, se vuole.” Replico poi, facendogli posto in mezzo a noi. “Va bene.” Sembra dire Stefan, che soltanto un attimo dopo, appare leggermente irrequieto. Da quel momento in poi, la nostra marcia ha inizio, e non ascoltando rumore dissimile da quello prodotto dagli zoccoli dei cavalli che colpiscono quasi ritmicamente il terreno, chiudo gli occhi, riuscendo finalmente a rilassarmi e dimenticare dolore, ansia e angoscia provate negli anni. I lunghi minuti trascorsero lenti, e senza neanche saperlo, mi addormentai. Fui svegliata dalla voce di Stefan che chiamava il mio nome, e aprendo gli occhi, scesi dalla carrozza con il suo aiuto. Il viaggio era finito, e mentre il fido cocchiere di Lady Fatima si allontanava dopo averci rivolto un amichevole saluto, unito ad un augurio di buona fortuna, presi per mano il mio amato Stefan, varcando con lui le porte della città dove avremmo vissuto. La bella, accogliente e ricca Ascantha. Lasciando che un nuovo sorriso mi illuminasse il volto, strinsi la sua mano con forza ancor maggiore. “Siamo arrivati.” Dichiarò lui, guardandomi con occhi lucenti di felicità e amore. “E non ce ne andremo.” Risposi, mantenendo quel magnifico sorriso. Un bacio unì quindi le nostre labbra, e varcando le porte di quella così ridente e amena cittadina, fummo entrambi sicuri di una cosa. Almeno per ora, eravamo al sicuro, e l’unica cosa che restava da fare, era trovare i miei genitori. Camminando alla ricerca della loro abitazione, riconoscendola solo grazie all’istinto. “È quella.” Disse infatti una voce nella mia testa, non appena raggiunsi la casa giusta. Esternamente piccola, ma graziosa e munita di un piccolo giardino, il cui prato, curato alla perfezione, ospitava anche alcuni aulenti fiori. Chinandomi, ne annusai alcuni, e tornando a concentrarmi sul mio obiettivo, bussai a quella porta.
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Nuove e profonde radici ***


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Capitolo XIV

Nuove e profonde radici

Ero lì, ferma e inerme di fronte a quella porta. Non una qualunque, ma quella che una volta aperta mi avrebbe dato modo di rivedere i miei tanto amati genitori. Alcuni minuti passarono, e il mio flusso di pensiero fu interrotto da uno scatto. Avevo chiuso gli occhi nel tentativo di ritrovare la calma e regolarizzare il mio respiro assieme al battito del mio giovane cuore, e riaprendoli, la vidi. Era mia madre. Alla mia vista, sobbalzò per la contentezza. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e non appena questo si sciolse, notai le sue labbra. Velate di rossetto per l’occasione, si avvicinarono alla mia guancia lambendola appena. Ricambiando quel bacio come ero solita fare da bambina, la salutai con calore, ed entrando in casa, incontrai lo sguardo di mio padre. Un uomo alto, forte e sempre pronto a proteggere la sua famiglia. In quel momento, il marrone dei miei occhi si fuse con quello dei suoi, e sorridendo, mi sedetti con loro nella piccola cucina. Intavolando quindi una conversazione su quella che era stata la mia vita fino a quel momento, mostrai loro l’anello nuziale regalatomi da Stefan. Fu quindi questione di un attimo, e lo sguardo di mio padre cadde su quel gioiello. Esaminandolo, si fece improvvisamente serio. Era strano a dirsi, ma corrispondeva alla verità. Mio padre era felice, ma quando voleva, sapeva nascondere le sue emozioni. Una qualità che spesso si rivelava una vera e propria arma a doppio taglio. Difatti, ero sicura che un giorno le cose per lui sarebbero precipitate, e ricordo che nei miei tempi di bambina, i litigi con mia madre non mancavano. Per pura fortuna non erano mai legati ad argomenti seri, limitandosi agli screzi che ogni coppia sposata è solita avere. Quel ricordo si insinuò nella mia mente come polvere, e soltanto pensandoci, soffocai una risata. Un singolo istante svanì quindi dalla mia vita, e tornando a guardare dritto di fronte a me, tenni le mani nascoste sotto al tavolo, andando alla ricerca di quelle del mio amato. Il silenzio che invase la stanza venne rotto dalla voce di mio padre. Appariva concentrato sul mio Stefan, non fece altro che porgli domande. “Come ti chiami, ragazzo?” gli chiese, dando quindi inizio ad una sfilza di quesiti che trovarono in poco tempo una risposta. “Stefan Gardner, signore.” Rispose, con aria tranquilla e rilassata. Sorridendo, lasciai che i nostri sguardi si incrociassero, e sorridendo, gli strinsi la mano. Tutto sembrava andar bene, ma nulla avrebbe potuto prepararci alla sua seconda domanda. “Quante ragazze hai avuto?” quattro parole che abbandonando le sue labbra sembravano far parte di un interrogatorio. “Non erano nulla di serio.” Disse Stefan, apparendo ai miei occhi improvvisamente stizzito. “Adesso lo sei? Continuò mio padre, attendendo con serietà una risposta. “Ronan!” lo rimbeccò mia madre, guardandolo con occhi colmi d’ira. Per nulla intimorito dalla reazione della moglie, mio padre non accennò a tacere. “Lascialo rispondere.” Le disse, incalzando quindi il mio amato a farlo. “Certo, signori. Io amo vostra figlia, e non la lascerò mai. Ho avuto il piacere di amarla fino a questo momento, e non lascerò che il nostro amore si spenga.” Disse Stefan in tono solenne, alzandosi e continuando a tenermi la mano. A quelle parole, sentii il mio cuore sciogliersi, e guardandolo con gli occhi di chi ama, lo baciai. Le nostre labbra si unirono in quell’istante, e quasi ignorando i miei genitori, mi concentrai esclusivamente su di lui. Di fronte allo spettacolo offerto dal nostro amore, mia madre non riuscì a trattenersi dal piangere. avvicinandosi, mio padre cercò di confortarla, e guidandoci fuori dalla casa, pronunciò una singola frase. “Venite, dovete vedere una cosa.” Disse, per poi iniziare a camminare di fronte a noi. Seguendo ogni suo passo, ci ritrovammo davanti a una casa distante dalla loro. Tre chilometri le separavano, ma la cosa non ci toccava. Aprendo la porta, mio padre ce ne mostrò gli interni, e ringraziandolo, lo abbracciai. “È bellissima.” Commentai, felice ed eccitata. “Ed è nostra.” Rispose Stefan, deponendo un ennesimo bacio sulle labbra. Silenziosamente, ricambiai, e pur senza approfittare di quel momento, mi sentii felice. Stefan ed io eravamo insieme, e ora, al sicuro in una casa tutta nostra, eravamo pronti a mettere nuove e profonde radici.

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Capitolo 15
*** Con il cuore in mano ***


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Capitolo XV

Con il cuore in mano

Una settimana. Questo il lasso di tempo trascorso dal mio trasferimento ad Ascantha al fianco di Stefan, e oggi, incredibilmente, sto malissimo. Ora come ora, sono impegnata a pensare al discorso che lui ha intrattenuto con mio padre. A quanto sembra, è felice che io abbia trovato l’amore, ma non riesce a fidarsi dell’uomo che amo. Intanto, il tempo scorre, e il petto mi duole. La porta della mia stanza si apre con uno scatto, e chiedendo il permesso, qualcuno esita prima di entrare. È Stefan. “Posso entrare?” chiede, muovendo qualche incerto passo nella mia direzione. “Vattene via.” rispondo, non avendo in corpo neanche un grammo di forza per guardarlo negli occhi. Le iridi marroni di cui mi sono follemente innamorata, lo sguardo capace di rapirmi in ogni occasione, la dolcezza delle sue parole rivolte al mio indirizzo, tutte piccole cose che ancora una volta ero arrivata a odiare. “Rain, dai, ci stai ancora pensando?” continua, ignorando il mio volere e sedendosi al mio fianco. Sa bene che il pensiero legato alle parole di mio padre mi tormenta ancora, e guardandomi spera di rimettere insieme i cocci del mio animo, anche stavolta spezzato e ferito. “Sì, e fa male, Stefan. Mi hai amato, eppure so di non essere tua. Mio padre aveva ragione. Non c’è mai stato nulla di serio fra noi.” Continuo, dandogli le spalle al solo scopo di non vedere il suo volto. “Cosa sono io per te? Solo una ragazza, una sciocca, un infimo giocattolo, giusto?” chiesi, dopo alcuni attimi di silenzio dettati dalle difficoltà che incontravo nel respirare. “No, Rain, sbagliato. Tutto ciò che hai detto è sbagliato. Tu sei mia moglie, ed io ti amo. È per questo che ti ho sposata.” Rispose lui, guardandomi con aria seria e al contempo innamorata. Ferma e inerme di fronte a lui, non ebbi la forza di parlare, e provando una stranissima sensazione di calore in tutto il corpo, chiusi gli occhi. Iniziando inconsapevolmente a tremare, scoprii di aver appena ricevuto un suo bacio. I miei sentimenti mi travolsero come un fiume in piena, e lasciandomi andare, non opposi resistenza. Lasciai infatti che il tempo continuasse a scorrere, e nello spazio di un momento, mi ritrovai sdraiata sul letto. Nessuno di noi due proferì parola, poiché ancora una volta, le nostre azioni parlarono per noi. Baci rubati, sguardi scambiati, tocchi delicati e infine, stanchezza. Quel caldo pomeriggio si tramutò presto in sera, e con l’arrivo della notte, non provai che felicità unita a piacere. Come sapevo di aver ripetuto almeno un’infinità di volte, amavo Stefan con tutta me stessa, ed ero mortalmente certa che lui amasse me. Dopo il discorso di mio padre Ronan, avevo lasciato che una spina di gelosia mi colpisse e avvelenasse l’anima, ma dopo quanto era accaduto, avevo nuovamente scoperto una verità ormai assodata. Io e lui ci amavamo, e nulla ci avrebbe divisi. Cadendo preda del sonno, dormii profondamente, e svegliandomi nel bel mezzo della notte, sentii un ricordo infilarsi fra le fessure e le crepe della mia mente. Ne ero sicura. All’ interno del mio animo c’era ancora qualcosa, qualcosa che avrei voluto dirgli con il cuore in mano.  

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Capitolo 16
*** Paura di cambiare ***


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Capitolo XVI

Paura di cambiare

Sdraiata nel letto che Stefan ed io condividevamo, non dormivo. Ero infatti sveglia. Un ricordo mi aveva ridestato dal torpore in cui mi ero permessa di cadere, e voltandomi, sperai ardentemente che Stefan non facesse domande. Il ricordo di quanto accaduto appena poche ore prima era ancora impresso nella mia mente, e sebbene quel solo pensiero mi provocasse una sensazione di incredibile felicità e piacere, non riuscivo a gioirne. Ad ogni modo, il tempo scorreva, e tentando di dormire, chiusi gli occhi. Mi addormentai senza difficoltà, e sognando, rivissi quei momenti. Svegliandomi di soprassalto, provai un’improvvisa paura, e sforzandomi per respirare normalmente, finii per tossire, svegliando Stefan. “Rain! Tesoro, va tutto bene? Mi chiese, drizzandosi a sedere sul letto e cingendomi un braccio intorno alle spalle. A quella domanda, esitai. Guardandolo quindi con occhi sgranati, non feci che biascicare parole. “Io… sì, sto… sto bene, è stato solo… solo un sogno. Torna a dormire.” Dissi, con il fiato corto e la mente confusa. “Sei sicura? Se ti va possiamo parlarne.” Azzardò lui, mostrandosi evidentemente preoccupato per me. “Cosa? No!” replicai, mutando improvvisamente tono di voce. Sorpreso da quella mia così strana reazione, Stefan mi guardò senza capire. “Ho detto che sto bene, ora ti prego, torna a letto.” Continuai, posandogli un bacio sulle labbra al solo scopo di allontanare da me ogni sospetto. “D’accordo. Buonanotte, amore mio.” Rispose, deponendomi un leggero bacio sulla fronte. Continuando a guardarlo, lo imitai dopo pochi secondi, e dandogli nuovamente le spalle, mi vergognai come una ladra. Avevo indosso il mio pigiama, e le coperte mi offrivano un rifugio agendo da scudo contro il freddo notturno, ma nonostante tutto, non avevo alcun modo di stare tranquilla. I dubbi mi assalivano, e il ricordo della nostra dolce notte d’amore non era d’aiuto. Certo era che Ascantha fosse per noi una città nuova, e il simbolo dell’inizio della nostra nuova vita insieme, ma quella notte, ero tesa come una corda di violino. Mi sentivo nuda come un piccolo e insignificante verme, e colpevole come una sporca e ignobile criminale. Sforzandomi ai limiti delle mie possibilità, cercavo di non pensarci, ma era vero. Esisteva la seppur remota possibilità che fossi incinta del bambino di Stefan. Per una nuova madre, l’avere un figlio non è che una notizia stupenda, o anche un miracolo in alcuni casi, ma non per me. Ero fuggita da Aveiron nella speranza di salvarmi dalla minaccia dei Ladri, e quel sogno riguardante i miei genitori era bastato a convincermi della loro presenza anche qui ad Ascantha. Fingendo indifferenza realmente non provata, mi arresi alla stanchezza, e addormentandomi, attesi l’arrivo del mattino. Il dorato sole non tardò quindi a fare la sua comparsa nel cielo, e appena sveglia, il mio pensiero andò al dottor Patrick. Aveva scelto di accompagnarci nel nostro viaggio, e con i suoi sudati risparmi, era riuscito a comprare una nuova casa in cui vivere. Fortunatamente, era poco distante dalla nostra, e informando Stefan della mia uscita, la raggiunsi. Preoccupandosi per il mio attuale stato di salute, insistette come mai prima per seguirmi. Tentai in ogni modo di fargli cambiare idea, ma senza successo. “Ci andrò da sola.” gli dissi, affrettandomi ad indossare una leggera giacca e sperando che si convincesse. “Non puoi, stai troppo male.” Rispose, avvicinandosi con aria seria. Mantenendo il silenzio, ingoiai il rospo e lo lasciai fare, e da quel momento in poi, il viaggio ebbe inizio “Dottor Patrick, la prego, deve aiutarmi.” Furono le prime parole che pronunciai una volta arrivata. “Rain, che ti succede? Sembri sconvolta.” Osservò, guardandomi con aria interrogativa e confusa al tempo stesso. “Deve aiutarmi. Sono giorni che mi sento stanca, debole e senza forze, e il mio intero corpo urla di dolore. Forse non dovrei dirlo, ma Stefan ed io ci siamo amati, e adesso è possibile che… che…” una lunga frase che abbandonò la mie labbra con velocità inaudita, e che a causa della paura unita all’indecisione, non riuscii a completare. Ascoltandomi, Stefan spostò il suo sguardo su di me. “Sia in attesa.” Mugolai infine, chinando il capo con fare avvilito. “Tutto qui?” commentò il dottore, regalandomi un sorriso che non accettai. “Forza, vieni qui e sdraiati, lo scopriremo subito.” Disse poi, invitandomi a prendere posto sul lettino vuoto accanto alla scrivania presente nel suo studio. Obbedendo ciecamente, mi mossi con lentezza, e sdraiandomi, attesi. Un accurato esame ebbe inizio in quel momento, e con la sua fine, non proferii parola. “Allora?” azzardai, per poi tacere nell’attesa di una qualsiasi risposta. “Non vedo né sento ancora nulla, ma c’è una possibilità, perciò congratulazioni.” Il colpo finale, che arrivò lesto colpendomi dritto al cuore. Non volevo crederci. A quelle parole, mantenni il silenzio, e pur non parlando, desiderai ardentemente che nulla fosse reale. “Stai sognando, Rain, stai sognando.” Mi ripetevo, nella vana speranza di aver ragione e di stare immaginando ogni cosa. “Mio Dio, è fantastico! Rain, hai sentito?” mi chiese Stefan, abbracciandomi con una forza tale da impedirmi qualsiasi movimento e impedendomi perfino di respirare. Non emettendo un fiato, sfuggii da quell’abbraccio e dai suoi sguardi, non sentendo nel cuore e nell’animo, nient’altro che tristezza. Delle piccole lacrime iniziarono quindi a scivolarmi sul volto, e puntando il mio sguardo sulla porta, agii d’impulso. Piangendo, fuggii da loro, e con gli occhi velati dalle lacrime, tornai subito a casa. Una volta arrivata, mi rintanai nella mia stanza, scegliendo di non uscirne per nessuna ragione. Così, in quell’assolato pomeriggio primaverile, imparai una cosa. Rain, la dolce e forte ragazza che tutti conoscevano, aveva un solo punto debole, rappresentato dalla grande paura di cambiare.  

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Capitolo 17
*** Le parole e il loro peso ***


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Capitolo XVII

Le parole e il loro peso

Immobile. Ero lì, ferma e inerme, non osavo muovermi. Le parole pronunciate dal dottore mi colpirono come una freccia farebbe con un bersaglio, ed ero attonita. Avrei dovuto essere felice, ma non lo ero. Seduta in terra, sul freddo pavimento di quella che era la mia camera, piangevo fredde e amare lacrime, e guardando la mia immagine riflessa in uno specchio, provai disgusto per me stessa. Avevo amato Stefan fino all’inverosimile, mostrandogli la realtà dei miei veri e puri sentimenti, e quello era il risultato. Il dottor Patrick aveva detto che nulla era ufficiale, ma ero sotto shock, e dovevo non aver sentito. Quella sera dopo aver rimesso nel bagno di casa, e sopportato un orribile mal di testa, me ne convinsi. Ero incinta. Una condizione alla quale credevo non mi sarei mai abituata, ma che per ora stava permettendo ad un minuscolo e indifeso esserino di crescere al mio interno. Il mio corpo ospitava quindi la sua vita, ed io non riuscivo ad accettarlo. Ero completamente sola, e improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. Non volendo essere disturbata, l’avevo chiusa a chiave, e mentre quel suono si faceva più insistente, capii che era Stefan, ragion per cui, desistetti. Girando la piccola e aurea chiave nella serratura, riaprii la porta, e pur lasciandolo entrare, non parlai. Mantenendo il silenzio, mi sedetti sul letto, per poi sdraiarmi e dargli le spalle. “Va tutto bene?” mi chiese, tacendo nell’attesa di una mia risposta. “No.” Dissi semplicemente, evitando di guardarlo e affondando il viso nel cuscino. In quel momento, un’inspiegabile rabbia mi pervase. Per qualche strana ragione, potei sentire le mie vene pulsare, e guardandolo, dissi la verità. “Sono incinta, Stefan. Incinta! Stiamo per avere un figlio! Come vuoi che stia?” risposi, scaricando ingiustamente su di lui ogni mia frustrazione. “Rain, ti prego, rilassati, i nostri genitori capiranno.” Rispose, riuscendo incredibilmente a mantenere e far uso di una calma che definirei mostruosa. “Sicuro?” chiesi, non desiderando che una conferma delle parole che avevo appena sentito. “Garantito. Ora sdraiati e dormite entrambi, d’accordo?” continuò, sorridendo e parlando al plurale unicamente per riferirsi anche a quel minuscolo essere non ancora nato ma presente nella mia mente, nel mio corpo e nel mio cuore. Seguendo alla lettera il suo consiglio, annuii, e lasciando che le sue labbra si posassero sulla mia fronte, mi addormentai, stanca ma serena. La mattina arrivò in fretta, e svegliandomi, mi accorsi di una visita di entrambi i miei genitori. Erano all’incirca le dieci del mattino, e considerandomi una persona attiva e mattiniera, sapevo bene di aver dormito troppo. Entrando in cucina, li vidi seduti a tavola in compagnia di Stefan, che parlandoci, era riuscito a intrattenere con loro una conversazione. “Gliel’hai detto?” chiesi, solo dopo aver bevuto un sorso di caffè dalla mia tazza. “No.” Mi disse, con il solo uso dello sguardo unito ad un rapido cenno del capo. A quella risposta, non feci che annuire, e sedendomi accanto a mia madre, mi preparai a vuotare il sacco. Presi quindi un ampio respiro, e intrecciando le mani, mi decisi a parlare. “Mamma, papà, abbiamo qualcosa da dirvi.” Esordii, per poi tacere e guardare negli occhi mio padre. Ad essere sincera, la sua era la reazione che temevo di più. Difatti, data la sorta di interrogatorio che Stefan aveva dovuto sopportare appena lo aveva conosciuto, mi portava a credere che una gravidanza fosse per lui fuori dalla questione. “Dirci cosa, cara?” mi incalzò mia madre, parlando nel suo solito tono dolce e gentile. “Stefan ed io… saremo genitori. Sono incinta.” Confessai, seppur tentennando per un singolo secondo. “Cosa? Rain è incredibile! Congratulazioni!” rispose mia madre, abbracciando con forza tale da impedirmi di respirare. Stranamente, mio padre rimase in silenzio, e per tutta risposta, lasciò la stanza.  “Ronan…” provò a chiamarlo la moglie, pur senza ottenere alcun risultato. “No, Katia.” Fu la sua unica risposta, che diede voltandosi verso tutti noi per un semplice e fugace attimo. Quelle furono le sue uniche parole al riguardo. Non volle parlarmi per il resto della sua visita, e poco prima di andarsene, fulminò Stefan con un’occhiata. “Non avvicinarti a mia figlia.” Sembrò dire, per poi sparire dalla nostra vista poiché incalzato dalla moglie. Ad ogni modo, il pomeriggio arrivò in fretta, e ritirandomi nella mia stanza, andai subito alla ricerca di un foglio su cui scrivere. Avevo sempre amato la scrittura, e mettere le mie idee e la mia anima su carta, aveva il potere di rilassarmi e aiutarmi a pensare. Concedendomi del tempo per riflettere, capii che forse avevo nuovamente agito d’impulso, e credetti che scrivere mi avrebbe aiutata a comprendere meglio le parole e il loro peso.

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Capitolo 18
*** Continuare ***


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Capitolo XVIII

Continuare

Il pomeriggio si stava eclissando, e la sera si avvicinava. Seduta alla mia piccola e lignea scrivania, ero intenta a intrecciare frasi e parole, messe insieme su due fogli distinti. Inizialmente volevo solo che fossero appunti riguardo ai miei sentimenti, ma assieme al mio cuore, questi mi hanno guidata, e su quei di fogli di bianca e fragile carta, scrissi due diverse lettere. Una andava ai miei genitori, in special modo a mio padre, e l’altra andava a Samira. Assieme a suo fratello Basil, era una mia grande amica, e non vedendola né avendo sue nuove da lungo tempo, avevo improvvisamente sentito di scriverle e provare a comunicare. Una volta finito, posai entrambe le mani sulla scrivania stessa, e mantenendo il silenzio, la richiusi. Scelsi quindi di chiuderla in una busta da lettere e lasciarla sotto il mio cuscino, certa di riuscire a trovare del tempo per recapitargliela. Ad essere sincera, non avevo scritto molto, avendolo fatto unicamente per sincerarmi del suo benessere unito a quello del fratello. In quel momento, avrei davvero voluto fare la stessa cosa con quella destinata a mio padre, ma per qualche strana ragione, non ne avevo la forza. Qualcosa mi bloccava. Rimanendo ferma e inerme, seduta con la schiena dritta e una postura più rigida di un’asse di duro legno, non facevo altro che rileggerla. “Cari mamma e papà, questa lettera è indirizzata solo ad uno di voi due, e se ora la state leggendo, sappiate che ne sono felice. Siete i miei genitori, e vi voglio bene, ma voglio che sappiate una cosa. Le notizie che vi ho dato possono sembrare inappropriate dato il periodo che ogni persona sta ora attraversando, e forse qualcuno non ha avuto la reazione che desideravo, ma non importa. Vi voglio bene, Rain.” Una lettera semplice e non molto lunga, che avevo scritto al solo scopo di mostrare ai miei genitori quello che sentivo, sperando di far capire loro che nonostante quanto fosse accaduto durante la loro visita, non ero arrabbiata, né provavo astio nei loro confronti. Maturando un’importante decisione, posai anche quella lettera sotto al mio cuscino, e poco prima di addormentarmi, mi guardai allo specchio. In completo e perfetto silenzio, ammirai la mia immagine riflessa, e in quel preciso momento, me ne accorsi. Una sopportabile sensazione di dolore mi scosse il corpo, e guardando in basso per un semplice attimo, mi abbandonai ad un sospiro. Non ero triste, e neppure sola, ma semplicemente stanca. Il dolore proveniva dal mio ventre non ancora gonfio, e aveva un preciso significato. In quel momento di assoluta debolezza, perfino il mio bimbo non ancora nato cercava di comunicare con me, la sua futura madre. “Puoi farcela, mamma.” Sembrava dire, muovendosi lentamente al mio interno. Accorgendomene, dischiusi le labbra in un debole sorriso, e sdraiandomi sul letto, chiusi gli occhi. Alcuni minuti passarono, e con l’arrivo della buia notte, Stefan mi raggiunse. Sedendosi al mio fianco, decise di imitarmi, e avvicinandosi, mi carezzò la schiena e i capelli. “Possiamo farcela, Rain.” Disse in un sussurro, che culminò con un bacio sulla mia fronte. Mantenendo il silenzio, non ebbi la forza né il modo di parlare, ma solo perché troppo occupata a nascondere un sorriso sotto a una coperta. Avevo riavuto la mia felicità, e come ogni volta, sapevo di dover continuare.

 

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Capitolo 19
*** Chieder venia ***


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Capitolo XIX

Chieder venia

Un giorno. Un solo giorno, ovvero ventiquattro lunghe ore che erano appena trascorse, e che io avevo letteralmente trascorso nel migliore dei modi. Ora come ora, è mattina, e stando alle parole di Stefan, suo padre vuole vedermi. “Dice che è per il bambino.” Mi ha detto, sorridendo debolmente. “Bene, allora andiamo.” Ho risposto, sorridendo a mia volta. “Come?” ha poi chiesto, forse stranito o confuso dalle mie parole. “Stefan, che domande, sei suo padre.” conclusi, dopo attimi di silenzio forzato interrotti da una piccola risata che era riuscita a sfuggire dalle mie labbra. Limitandosi ad annuire, Stefan non rispose, e prendendomi la mano, mi accompagnò dal dottor Patrick. “Siete arrivati.” Osservò, non appena ci vide mettere piede nel suo studio. Annuendo lentamente, non feci che guardarlo. “Sdraiati.” Pregò poi il dottore, indicando quell’ormai famoso lettino. Non proferendo parola, obbedii ciecamente, e in quel preciso istante, l’esame ebbe inizio. Inutile è dire che l’attesa per i  risultati fu per noi snervante, e notando l’espressione sul volto del dottor Patrick, dedussi che voleva farci una sorpresa, o che forse, si stava impegnando per nasconderci qualcosa. “Non so come dirvelo, ragazzi.” Esordì, facendoci inconsciamente preoccupare. “Cosa c’è? Qualcosa non va?” chiese Stefan, con la voce rotta dall’emozione di quel momento. Silenzio, un silenzio di tomba fu la sua unica risposta. “Ecco.” Pensai, parlando con me stessa. “L’ho perso.” Una maschera di tristezza si dipinse sul mio volto, e solo in quell’istante, la quiete presente nella stanza si ruppe come vetro. Avrete una bellissima bambina.” Disse, non riuscendo poi a trattenere un sorriso che riempì di luce e gioia la stanza. Fu quindi questione di un attimo, e ci ritrovammo tutti stretti in un singolo e forte abbraccio. “Congratulazioni.” Continuò il dottore, per poi sorridere e salutarci augurandoci buona fortuna. “Grazie. Non potei che rispondere, sussurrando e non riuscendo a parlare a causa della contentezza. Una volta fuori, respirai a fondo, e stringendo la mano di Stefan con forza ancora maggiore, non ebbi reazione dissimile dal baciarlo. Arrivammo a casa in pochissimo tempo, e non appena entrai, la vidi. Una piccola busta giaceva in terra come una foglia secca recentemente caduta dall’albero a cui apparteneva. Muovendo qualche incerto passo in quella direzione, feci per raccoglierla, ma Stefan fu più veloce di me. Andando a sedersi in salotto accanto all’ormai spento caminetto, scelse di aprirla, leggendone per me ogni parola. A quanto sembrava, mia madre aveva ricevuto quella che io stessa gli avevo scritto, e armandosi di pazienza, era riuscita a rispondermi. “Rain, tesoro, ci dispiace davvero per quello che è accaduto, e tuo padre è perfino più addolorato di me al riguardo. Sappi che siamo i tuoi genitori, e amandoti sin dal giorno della tua nascita, ti reputiamo ora abbastanza adulta da sapere una cosa. Lo scriverei se potessi, ma è una storia troppo lunga per una semplice lettera, perciò è deciso. Speriamo entrambi che accetterai il nostro perdono, e che tu e il tuo Stefan ci accogliate in casa domani. A presto, nostra piccola goccia di pioggia. Queste le poche frasi contenute nella sua lettera, che dopo lo spavento inizialmente provato durante la visita del dottor Patrick, fortunatamente scomparso, mi aiutavano a restare serena e ottimista. Nonostante le ripetute minacce del mondo esterno, la calma scorreva nelle vene mie e di Stefan, e cosa ancor migliore, la mia lettera, scritta su semplice e bianca carta, e inviata in quello stesso giorno, aveva indotto mio padre a sotterrare l’ascia di guerra e chieder venia per gli errori commessi in passato.

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Capitolo 20
*** Doni dal cielo sulla nuda terra ***


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Capitolo XX

Doni dal cielo sulla nuda terra

Lunghi sono stati i mesi ormai volti al termine, e altrettanto lunghe le giornate che li hanno caratterizzata. La quiete, merce per me e Stefan ormai rara, si è fortunatamente protratta, e nel giorno della visita dei miei genitori, mio padre ha finalmente trovato il coraggio e il modo di scusarsi con Stefan di ogni torto che lo aveva costretto a subire. Tutti i dissapori che sembravano esserci sono ormai acqua passata, e nonostante il lasso di tempo trascorso da allora, le esatte parole pronunciate da mio padre quella sera sono state letteralmente scolpite nella mia memoria. “Mi dispiace. Mi dispiace per tutto il male che ti ho causato, ragazzo mio. Ora so che tu ami mia figlia, e soltanto guardandoti riesco a capire che faresti di tutto per lei. L’hai protetta e amata per tutto questo tempo, e guardatevi. Giovani, innamorati e felici. State per avere una figlia. Sappiate entrambi che ne sono felice, e non posso fare altro che augurarvi buona fortuna.” Un discorso chiaro e fluido, che trovando la libertà grazie alla sua voce, è giunto fino alle nostre orecchie. Nessuno di noi si è permesso di interromperlo, e ringraziandolo, lo abbracciammo, facendo poi la stessa cosa con la mia adorata madre, donna bella, dolce e incredibilmente sensibile, che data tale qualità, non riuscì a trattenersi né a smettere di piangere. Un semplice ma forte abbraccio ci avvicinò, e in quel momento, qualcosa accadde. Dopo quanto era accaduto, vederli mentre erano sul punto di andarsene era per me insopportabile, così, in uno slancio di generosità, mi offrii di farli restare per la notte. Essendo entrambi troppo orgogliosi, avevano inizialmente rifiutato, ma sentendo dei tuoni in lontananza, e successivamente lo scrosciare della pioggia, si erano convinti. In fin dei conti, per noi non era certo un problema. La casa era grande, e ben due camere erano rimaste inutilizzate. Parlandone, Stefan ed io avevamo sapientemente deciso che una avrebbe accolto nostra figlia, mentre l’altra avrebbe potuto avere molteplici usi, incluso l’ospitare dei visi amici per qualche notte. Scuotendo la testa, distolsi l’attenzione dai quei felici ricordi, tornando quindi a concentrarmi sul giorno che era da poco iniziato. Il pomeriggio si apprestava a prendere il posto del dorato mattino, ed ero impegnata a leggere una nuova lettera, speditami stavolta dalla mia amica Samira. Poche righe scritte in maniera semplice e riservata, che mi informavano di un importante avvenimento nella sua vita. Con mia grande gioia, scoprii che la sua buona stella aveva deciso di sorriderle, dandole modo di incontrare un ragazzo a suo dire meraviglioso, che a suo dire, non aveva tardato a diventare l’amore della sua vita. Continuando a leggere, scoprii che si chiamava Soren, ma per mia nera sfortuna, quello fu l’unico dettaglio che diede. Volendo mostrare la sua felicità, aveva espresso un preciso desiderio, secondo il quale, un giorno avrei dovuto conoscerlo. Nel leggere quelle parole, sorrisi. Conoscendola, sapevo che Samira era una vera sognatrice, e che nulla l’avrebbe mai indotta ad abbandonare i suoi stessi sogni, fossero quelli legati all’amore o alla sua libertà d’espressione. Con il calar della sera, mostrai quella lettera a Stefan, che leggendola, rise di gusto. “Potreste essere gemelle.” Commentò poi, continuando a ridere. A quelle parole, non risposi, limitandomi a guardarlo. “Scusa.” Soffiò infine, stringendomi in un delicato abbraccio. “Non scusarti.” Azzardai, provando quasi istintivamente a difenderlo e far passare i miei problemi in secondo piano. Ad ogni modo, le ore passarono, e prima di dormire, mi accoccolai come una serafica gatta fra le sue braccia, lasciandomi carezzare e baciare da lui. Intuendo il mio volere, non accennò a fermarsi, capendo che in quel momento il sonno era fuori discussione. Alcuni piccoli ma dolci baci raggiunsero il mio collo e le mie labbra, ma gemendo per un improvviso dolore allo stomaco, fui costretta a fermarmi. Inizialmente incredulo, Stefan mi guardò senza parlare né capire, ma nonostante tutto, i suoi occhi tradivano paura. “Stefan…” biascicai, sentendo le forze abbandonarmi lentamente. “Sono qui amore, dimmi, cosa ti serve?” chiese, facendosi subito serio e mostrandosi pronto all’azione. Aprendo la bocca, mi sforzai per parlare, ma un secondo gemito di dolore parve soffocarmi. “Devi… devi chiamare tuo padre!” gridai, colta per l’ennesima volta da un dolore ancor più acuto. “Cosa? È notte fonda, ed è troppo lontano!” disse, tentando di giustificare in qualche modo la sua immobilità. Intanto il tempo scorreva, e con gli occhi velati dalle lacrime, lo pregai. Alzandosi subito in piedi, Stefan corse via da me, e uscendo di casa, urlò con quanto fiato avesse in gola per attirare l’attenzione. Forse il dottor Patrick non lo avrebbe sentito, ma poco importava. Sapeva bene che avevo bisogno di aiuto, e anche l’ausilio di una sconosciuta anima ci avrebbe allietati entrambi. In quel momento, un colpo di fortuna. La folle corsa di Stefan lo portò proprio davanti a casa di suo padre, e bussando, entrò facendo subito il mio nome. Agendo d’istinto, il dottore lo seguì correndo più veloce che potesse, e tornando a casa, entrambi riuscirono ad aiutarmi. Non volendo intralciare il lavoro di un dottore esperto quanto suo padre, Stefan rimase in disparte, limitandosi a tenermi la mano e sussurrare frasi di incoraggiamento. “Andrà tutto bene.” Diceva, faticando a mantenere la calma e il sangue freddo. Anche se lentamente, le lancette del tempo continuavano a muoversi, e mentre qualcosa nel mio corpo mutava, il dolore che sentivo non accennava a diminuire. “È quasi fatta Rain, respira.” Mi disse poi il dottore, guardandomi negli occhi con aria sicura. Mantenendo il silenzio, annuii, e dando fondo alle mie ultime energie, feci un ultimo sforzo. Spossata, crollai sul letto, e chiudendo gli occhi per uno sporadico attimo, mi allontanai mentalmente dal resto del mondo. Ero ancora cosciente, ma stanchissima. Non riuscivo infatti a tenere gli occhi aperti, e proprio nel momento in cui credetti di cedere e perdere i sensi, eccolo. Un pianto, ma non uno qualunque, bensì quello della mia amata bambina. Aprendo gli occhi, lasciai che il dottore me la posasse in braccio, e guardandola, iniziai a piangere. “Le manca solo un nome." Osservò Stefan, dopo aver deposto un piccolo bacio sulla mia guancia. “Terra.” Dissi, felice e finalmente calma. Lacrime di gioia mi solcarono il volto, e proprio allora, qualcuno bussò alla porta. Precipitandosi ad aprire, Stefan si accorse dei miei genitori. A quanto sembrava, le mie urla dovevano averli svegliati, e una volta in piedi, avevano deciso di farmi visita per accertarsi delle mie condizioni, scoprendo solo allora l’ingresso nel mondo della loro nipotina. Una creatura dolce e indifesa, che tutti avremmo amato senza riserve fino all’ora della nostra ineluttabile morte. Sapevo bene che avevano qualcosa di molto importante da dirmi, ma in quel momento, anche il segreto più recondito e nascosto passò in secondo piano. Quella sera, non mi interessai di nulla eccetto che di Stefan e di nostra figlia. Quella dolce bimba non lo sapeva, e ne era difatti all’oscuro, ma proprio come tante altre cose, lei era un dono del cielo su questa nuda terra. Chiaro era che molte cose ancora non quadrassero. “Come avrebbe reagito Drake? Dove si nascondevano i Ladri? E soprattutto, dov’era mia sorella?” domande che mi ponevo parlando con me stessa, e che avrebbero certamente trovato una risposta, anche se solo nel momento in cui fossi riuscita a svelare gli antichi segreti presenti nel regno.    

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