Modern Day Life

di John Spangler
(/viewuser.php?uid=573839)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Il prete e la ladra ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Arrivo a Loguetown ***
Capitolo 3: *** Interludio 1: Schegge di vita ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2: Vecchi e nuovi incontri ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3: Caro fratello ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4: Alte sfere ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5: Il giorno del Ringraziamento ***
Capitolo 8: *** Interludio 2: I ricordi di Benn ***
Capitolo 9: *** Capitolo 6: Manovre di avvicinamento ***
Capitolo 10: *** Capitolo 7: Notte movimentata ***
Capitolo 11: *** Capitolo 8: Il giorno dopo ***
Capitolo 12: *** Capitolo 9: Sex and the (Logue)town ***
Capitolo 13: *** Capitolo 10: La vita è bella ***
Capitolo 14: *** Capitolo 11: Il re è morto, lunga vita al re ***
Capitolo 15: *** Interludio 3: L'ombra del coccodrillo ***
Capitolo 16: *** Capitolo 12: L'amore è nell'aria ***
Capitolo 17: *** Capitolo 13: Natale rosso sangue ***
Capitolo 18: *** Capitolo 14: Dolore ***
Capitolo 19: *** Interludio 4: La ragazza col cappello da cowboy ***
Capitolo 20: *** Capitolo 15: In arresto ***
Capitolo 21: *** Capitolo 16: Dietro le sbarre ***
Capitolo 22: *** Capitolo 17: Il nuovo Governatore della California ***
Capitolo 23: *** Capitolo 18: Uomini in nero, notti insonni e tentativi di penetrazione ***
Capitolo 24: *** Capitolo 19: La caduta dei giganti ***
Capitolo 25: *** Interludio 5: Sulle ali del fenicottero ***
Capitolo 26: *** Epilogo: Closing time ***



Capitolo 1
*** Prologo: Il prete e la ladra ***


Modern Day Life

 

Prologo: Il prete e la ladra

 

13 Ottobre 2013

Loguetown, California, USA

Chiesa di San Roswald

 

Era una sera come tante altre. La chiesa era vuota, illuminata da poche candele attorno alle statue dei santi e sull'altare. La figura incappucciata si muoveva con circospezione tra le ombre, diretta verso la cassetta delle offerte. Avrebbe preferito non farlo, ma non aveva molte alternative. Aveva bisogno di mangiare. Il suo stomaco emise un leggero brontolio al pensiero del cibo. Erano giorni che non faceva un pasto decente.

 

Come mi sono ridotta, pensò la figura. Rubare in una chiesa...mamma si starà rivoltando nella tomba.

 

Arrivata davanti alla cassetta, rivolse una rapida occhiata alla statua di San Roswald accanto all'altare. Anche se sapeva che si trattava solo di un oggetto inanimato, ebbe comunque l'impressione che il santo la stesse guardando e che la stesse giudicando per ciò che si apprestava a fare. Mormorò una breve preghiera e posò a terra lo zaino che aveva in spalla, la testa china e le guance rosse per la vergogna. Aprì lo zaino, prese una forcina per capelli e iniziò ad armeggiare con la serratura.

 

Non era la prima volta che scassinava qualcosa, e quella vecchia serratura arrugginita non offrì molta resistenza. Infatti, meno di un minuto dopo, ci fu uno scatto che nel silenzio della chiesa vuota risuonò con la stessa intensità di un colpo di fucile. La figura strinse i denti e aprì la cassetta, decisa a prendere i soldi e svignarsela prima che qualcuno la cogliesse sul fatto. Ma proprio quando stava per afferrare un mucchietto di monetine, una voce, profonda e vagamente infastidita, tuonò da un punto alla sua destra.

 

- Non lo sai che rubare è peccato?-

 

Un brivido di terrore le corse lungo la schiena. Era stata scoperta! Non ebbe neanche il tempo di girarsi che una mano gigantesca le afferrò il polso destro e la sollevò con estrema facilità. Emise un gemito di paura e guardò l'uomo che aveva davanti.

 

Era un prete, ma dalla stazza si sarebbe potuto pensare che ce ne fossero almeno tre nascosti sotto la tonaca. Aveva una lunga barba nera, una cicatrice sul lato sinistro del volto e delle mani grandi come badili. E un'espressione cupa che non lasciava presagire nulla di buono.

 

- Allora, non hai niente da dire, ladruncola?-

 

La figura incappucciata aprì le labbra per parlare, ma ne venne fuori solo un balbettio confuso.- I-io...n-n-non...-

 

Il prete si spazientì.- Vediamo un pò chi sei...- Con la mano libera scostò il cappuccio della figura, trovandosi davanti il volto di una ragazza dai capelli neri. A occhio e croce, non doveva avere nemmeno vent'anni.- Una ragazza così giovane...perchè sei venuta qui a rubare?-

 

La ragazza deglutì.- A-avevo...avevo bisogno di soldi...h-ho fame...-

 

Il prete si accorse solo allora della spaventosa magrezza della ragazza. Aveva l'aspetto di una persona che non mangia da giorni. E a giudicare dall'odore, aveva anche urgente bisogno di un buon bagno. Inarcò un sopracciglio.- E allora perchè non hai chiesto? Sarei stato più che felice di aiutarti.-

 

- L-la prego...non mi faccia del male...-

 

- Farti del male? Per chi mi hai preso? Non ho nessuna intenzione di farti del male. Voglio solo cercare di capire perchè stavi cercando di rubare i soldi delle offerte. I tuoi genitori non ti hanno insegnato che rubare è sbagliato?-

 

- I...i miei genitori s-sono m-morti...sono sola...non ho un posto dove andare...-

 

- E' la verità?-

 

- S-sì. La prego, non mi faccia del male...-

 

Il sacerdote guardò la ragazza dritta negli occhi. Riusciva benissimo a capire quando qualcuno stava mentendo. E la ladruncola stava dicendo la verità. I suoi occhi erano colmi di paura e sofferenza, e lo guardavano come se fosse il demonio in persona (Non che potesse biasimarla, visto il suo aspetto poco rassicurante). Iniziò a sentirsi in colpa per i suoi modi bruschi. Mise giù la ragazza e mollò la presa. Lei si massaggiò il polso.

 

- Da quanto tempo è che non mangi?-

 

- Non sono s-sicura, ma credo che siano...tre giorni. Prima avevo delle scatolette con me, ma le ho finite. E n-non faccio un pasto vero e proprio da ancora più tempo.-

 

Il prete iniziò a riflettere. Quella povera ragazza doveva averne passate tante per essersi ridotta a quel punto. Probabilmente non era una persona cattiva, ma solo un'anima in pena bisognosa di aiuto. E se le cose stavano così, in quanto uomo di Dio era suo preciso dovere fare qualcosa. Prese una decisione.- Seguimi.-

 

- D-dove?-

 

- In canonica. Ti darò qualcosa da mangiare.-

 

Il volto della ragazza si illuminò. Prese lo zaino e seguì il sacerdote in canonica.

 

Due minuti dopo, il prete guardava a bocca aperta la ragazza divorare un pezzo di pane con una voracità lupesca. Aveva davvero fame, pensò.- Ehi, vacci piano, altrimenti ti farà male.-

 

La ragazza si fermò e deglutì.- M-mi scusi. E' solo che...è passato così tanto da quando ho mangiato del pane.-

 

- Capisco, ma se mangi in quel modo avrai dei problemi allo stomaco. Ecco, bevi.- Le porse un bicchiere d'acqua, che la ragazza mandò giù in un sorso. Le scappò un rutto e si coprì subito la bocca.

 

Il prete sorrise e riprese il bicchiere.- Allora, raccontami qualcosa di te. Perchè te ne vai in giro a rubare nelle chiese?-

 

La ragazza abbassò lo sguardo per la vergogna.- Purtroppo non ho avuto scelta. Negli ultimi tempi...non mi è andata tanto bene. Ho incontrato un sacco di brutte persone, e s-sono stata costretta a rubare per sopravvivere.-

 

- E non hai dei parenti che possano prendersi cura di te, o magari degli amici?-

 

- No, non ho nessuno. I miei parenti sono tutti morti. E non ho amici.-

 

- Sei di qui?-

 

- No, sono...sono nata e cresciuta in Alaska, e per qualche anno ho vissuto in Texas. Sono arrivata qui a Loguetown da poco.-

 

Il prete si accarezzò la barba. Aveva l'impressione che la ragazza stesse nascondendo qualcosa.- Hai detto che i tuoi genitori sono morti, giusto? Come è successo?-

 

- P-preferirei non parlarne, se non le dispiace.- La sua espressione convinse il sacerdote a non chiedere altro al riguardo. Doveva essere un brutto argomento per lei.

 

- Sei in fuga dalla legge?-

 

- No, sono...cerco solo di sopravvivere. N-non ho fatto niente.-

 

- Hmm...- La sua ipotesi si era rivelata corretta. Quella ragazza aveva bisogno di aiuto.- Facciamo così. Per qualche giorno starai qui in canonica, in modo da poterti riprendere. Nel frattempo, parlerò con qualcuno dei miei parrocchiani e cercherò di trovarti una sistemazione più adeguata. E magari anche un lavoro, così non sarai più costretta a rubare.-

 

La ragazza strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca per lo stupore.- D-davvero lo farebbe?-

 

- Certo, figliola.-

 

- Oh, io...non so come ringraziarla...-

 

- Non ringraziare me, figliola. Ringrazia Dio.- A quel punto gli venne in mente qualcosa a cui avrebbe dovuto pensare prima.- Che sciocco, non mi sono ancora presentato!- Tese una mano verso la ragazza.- Io sono Padre Jebediah Urouge. E tu?-

 

La ragazza, tremando leggermente, ricambiò il gesto. La sua mano sembrava ancora più piccola in confronto a quella enorme del prete.- L-lieta di conoscerla, P-padre. Io s-sono Robin. Robin Nico.-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Come promesso, rieccomi qua con un'altra storia. Si tratta di qualcosa di nuovo per me: di solito, mi piace scrivere/leggere storie incentrate sulla nakamaship o cose del genere. Questa qui, invece, pur essendo un AU, è essenzialmente una shipping fic, cioè una storia incentrata su una o più coppie. Ora, premetto che non sono un fan dei crack pairing o di certi tipi di storie. "Ma allora perchè l'hai scritta?", starete pensando. Beh, semplicemente perchè voglio provare a creare qualcosa di diverso da quello che scrivo di solito (e proprio per questo, vi chiedo di essere comprensivi nelle recensioni). In alcune delle mie vecchie storie c'erano delle coppie, ma si trattava di sviluppi casuali della trama (e sempre a differenza delle mie vecchie storie, in questa qui ci saranno pochi morti). Comunque, veniamo al punto: in questa storia compariranno coppie di diverso tipo, cioè sia het che yuri che yaoi. Non vi dirò di chi si tratta per non rovinarvi la sorpresa, ma posso dirvi che alcune di queste coppie sono inedite (o almeno, spero che lo siano). Tra l'altro, in un paio di capitoli comparirà un OC che ho preso in prestito da Yellow Canadair, ma di questo ve ne parlerò più avanti. Inoltre, dovrò purtroppo avventurarmi nel mare dell'OOC. Dico purtroppo perchè di solito cerco di evitarlo, a meno che non ci sia un buon motivo. Qui però il buon motivo c'è: non solo si tratta di un AU, ma molti personaggi hanno avuto delle vite completamente differenti. Ciò nonostante, dove possibile cercherò di rimanere fedele agli originali.

 

Adesso però è meglio che chiuda, ho già detto abbastanza. La storia è composta da trenta capitoli, e verrà aggiornata ogni due settimane, quindi a occhio e croce finirà all'inizio dell'anno prossimo. Spero che avrete la pazienza di rimanere con me fino alla fine.

 

Vi saluto, cari lettori. E buon anno a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1: Arrivo a Loguetown ***


Capitolo 1: Arrivo a Loguetown

 

16 Novembre 2015

Da qualche parte nella California meridionale

Sulla strada per Loguetown

 

Un'automobile nera percorreva a velocità elevata la strada polverosa, illuminata dal sole del tardo pomeriggio. Era una Chevrolet Impala Sport Sedan del 1967, molto ben tenuta e carica di roba fino all'inverosimile. A bordo vi erano due donne, entrambe coi capelli rossi: una quarantenne con un paio di occhiali da sole dalle lenti a specchio che cantava a squarciagola, e una ragazza di venti anni che si copriva le orecchie con le mani e pregava qualunque divinità fosse all'ascolto di porre fine a quel supplizio.

 

- HIIIGHWAAAY TOOO HELLL! I'M ON A HIIIGHWAAAYYY TOOO HEEELLL!-

 

Il nome della donna era Kyoko Watanabe, ma molti la chiamavano col suo soprannome, Bellemere (Anche se nessuno sapeva che origine avesse, questo soprannome, e del resto lei non lo aveva mai spiegato). La ragazza era sua figlia Nami (C'è da dire che, nonostante i nomi giapponesi, le due erano americane al 100%), e in quel momento desiderava ardentemente essere sorda. Il fatto era che sua madre, oltre ad un taglio di capelli decisamente bizzarro, possedeva anche una delle voci più stonate d'America. E dato che Nami non aveva mai avuto il cuore di dirglielo, la donna continuava imperterrita a tormentarle le orecchie.

 

Fortunatamente, poco dopo la canzone finì e Bellemere spense la radio. Nami sospirò e riportò le braccia nella loro posizione originaria. Si girò e si mise a guardare il paesaggio fuori dal finestrino con un'aria leggermente malinconica.

 

Sua madre se ne accorse.- Perchè quella faccia, Nami? Cerca di sorridere. Stiamo per iniziare una nuova vita, in fondo.-

 

Qualche ora prima Bellemere aveva ricevuto una telefonata da parte di sua sorella, il cui marito gestiva un pub a Loguetown. L'aiuto-cuoco del locale si era appena licenziato, e lei, d'accordo col marito, aveva pensato di offrirle non solo il posto, ma anche un appartamento accanto al pub. Bellemere aveva accettato con gioia: era disoccupata da più di due settimane, e per quanto si fosse data da fare non era riuscita a trovare un lavoro. Lei e Nami erano andate avanti con i pochi risparmi che avevano da parte. Quell'offerta era arrivata proprio al momento giusto. Perciò, dopo aver affidato la casa a una persona di fiducia, avevano impacchettato le loro cose, le avevano caricate sull'Impala (Che, miracolosamente, era riuscita a trasportarle tutte senza esplodere), ed erano partite alla volta di Loguetown.

 

Inoltre, da un pò di tempo la donna stava pensando di lasciare Cocoyashi, la piccola città in cui lei e sua figlia vivevano. Non che fosse un brutto posto, tutt'altro. Era semplicemente una città con poche prospettive (Per intenderci, il tipo di cittadina di provincia da cui i giovani con un minimo di ambizione e di buonsenso cercavano di scappare il prima possibile), e lei voleva che sua figlia avesse una possibilità di realizzarsi.

 

Nami, invece, era un pò meno entusiasta. Certo, anche lei desiderava cambiare aria, ma Cocoyashi era pur sempre la città in cui era cresciuta, il luogo in cui vivevano i suoi amici (Quei pochi che le erano rimasti, almeno. Molti li aveva persi di vista negli anni). E soprattutto, era anche il luogo in cui aveva incontrato il suo primo amore, una ragazza di nome Kayme.

 

Era successo sei anni prima: Kayme e la sua famiglia erano venuti ad abitare accanto alla casa di Nami. Le due avevano fatto subito amicizia, ma questa dopo un pò si era trasformata in qualcos'altro. Per Nami era stata una rivelazione. Dopo tanti dubbi, aveva finalmente capito di essere lesbica (Ma non l'aveva ancora detto a sua madre, nonostante fossero passati tanti anni). Il rapporto con Kayme era durato poco più di tre anni, poi si erano lasciate, pur rimanendo amiche. Qualche mese dopo, la sua famiglia si era dovuta trasferire in Canada, e da allora Nami non l'aveva più rivista. Oltre ai bei ricordi, di quel rapporto le era rimasto anche un'altra cosa: un tatuaggio sulla spalla sinistra, che lei e Kayme si erano fatte per festeggiare il loro primo anniversario. Era una specie di girandola con attaccato un mandarino. A sua madre aveva spiegato che era un'immagine vista su un giornale; fortunatamente, la donna aveva accettato la spiegazione senza battere ciglio.

 

Su con la vita, Nami, pensò la ragazza. Pensa al lato positivo: Loguetown è una città grande, e potrà darti più spunti per capire cosa vuoi fare.

 

A differenza di molti suoi amici, Nami ancora non sapeva cosa fare nella vita. Finito il liceo, aveva deciso di non andare al college e prendersi un periodo di riflessione (Inizialmente Bellemere aveva protestato, ma alla fine aveva ceduto, soprattutto dopo che Nami le aveva ricordato che non avevano abbastanza soldi per pagare il college), facendo solo dei lavoretti qua e là, per guadagnare qualche soldo e aiutare sua madre. All'inizio aveva sperato che in quel modo le sarebbe venuta un'ispirazione, ma purtroppo non era andata così: dopo tanto tempo, Nami non aveva ancora deciso quale sarebbe stato il suo lavoro. E la cosa iniziava a darle fastidio.

 

- Eccoci qui! Loguetown a ore dodici!-

 

Nami guardò davanti a sè e vide i primi edifici di Loguetown.

 

- Ti ricordi dov'è il pub?- chiese a sua madre.

 

- Certo, per chi mi hai preso? Non è mica la prima volta che vengo qui. Se non c'è traffico, arriveremo lì tra massimo una decina di minuti.-

 

Invece, il traffico c'era. Le due avevano avuto la sfortuna di arrivare proprio nell'ora di punta, e ci misero più di mezz'ora per arrivare a destinazione; un lasso di tempo che Bellemere trascorse imprecando e facendo gesti minacciosi verso gli altri automobilisti, i quali ricambiarono con gioia. Nami era abituata al carattere di sua madre, e non ci fece caso più di tanto.

 

- Ma tu guarda quel...se lo becco di nuovo, gli mollo un pugno su quel grugno da porco!- Digrignò i denti e si guardò attorno.- Allora, dove diavolo...ah, eccolo lì!-

 

Accostò vicino al marciapiede e spense la macchina. Scese, seguita a ruota da Nami, e si prese un attimo per guardare il luogo dove avrebbe lavorato da lì in poi. Aveva l'aspetto di un tipico pub irlandese, e sull'insegna c'erano il nome del locale scritto in grandi lettere rosse, Red Force, e il suo simbolo, la sagoma di un antico galeone, anch'essa rossa.

 

Il Red Force era famoso in tutta Loguetown. Sebbene non fosse certo elegante e raffinato come l'altro famoso ristorante della città, il Baratie, aveva comunque un gran numero di clienti che venivano lì per l'atmosfera confortevole e i prezzi accessibili. Il periodo migliore era quello in cui si festeggiava San Patrizio, perchè anche chi non era irlandese veniva al Red Force per fare baldoria. Insomma, Bellemere aveva davvero delle ottime prospettive.

 

La donna trasse un respiro profondo e si tolse gli occhiali, infilandoli in una tasca della camicia.- Ok, basta perdere tempo. Entriamo, Nami.-

 

Aprì la porta, facendo suonare il campanello posto all'entrata, e si guardò attorno. Non c'era nessuno, e le sedie erano tutte state poggiate sui tavoli. Questo, unito all'odore di detergente nell'aria, fece capire a Bellemere che qualcuno stava facendo le pulizie. E infatti, pochi secondi dopo, da una porta all'estremità opposta della stanza uscirono due ragazzi, ognuno con in mano un secchio e una ramazza. Avevano entrambi i capelli neri e sembravano molto giovani, e uno dei due aveva un naso molto lungo e la pelle scura. Appena videro lei e Nami, posarono a terra gli oggetti e le vennero incontro.

 

- Buongiorno signora, possiamo aiutarla?- disse il ragazzo dalla pelle scura, con un accento che denotava una chiara origine straniera.

 

- Sì, sto cercando il proprietario. E' qui?-

 

- E' nel suo ufficio, aspetti che vado a chiam...-

 

- Non preoccuparti, ci penso io.- Si mise una mano attorno alla bocca.- SHANKS! VIENI FUORI, BASTARDO DI UN IRLANDESE!-

 

Da una porta accanto a quella da cui erano venuti i due ragazzi giunse il rumore di una sedia che veniva spostata, seguito da dei passi. Subito dopo, nella stanza entrò un uomo alto, di bell'aspetto, con dei capelli rossi che gli arrivavano alle spalle. Il suo nome era Cassidy O'Malley, detto Shanks, proprietario del Red Force e cognato di Bellemere. Vedendo quest'ultima, l'uomo ridacchiò e incrociò le braccia.

 

- Vedo che non hai perso nulla della tua raffinatezza, cara Kyoko.-

 

Bellemere si avvicinò a suo cognato e gli diede una pacca sulle spalle che quasi lo ammazzò, per poi abbracciarlo.- E tu sei sempre il solito, caro cognatino. A proposito, tua moglie e tua figlia dove sono?-

 

Shanks si massaggiò una spalla dolorante.- Makino è andata a fare la spesa. Nojiko invece è in vacanza in Francia, tornerà tra una settimana...- Non fece in tempo a finire la frase che fu investito da una palla di cannone rossa.

 

- Zio Shanks!-

 

Il poveretto barcollò un attimo, poi riuscì a liberarsi dalla stretta della ragazza.- Ehi, ma tu e tua madre state cercando di uccidermi?- disse in tono scherzoso.- Allora, come sta la mia nipotina preferita?-

 

- Benissimo. Oh, sono così contenta di vederti!- Per dare un'ulteriore prova della sua felicità, la rossa decise di stritolare di nuovo suo zio con un abbraccio. Per fortuna, Bellemere intervenne prima che potesse rompergli qualcosa.

 

Subito dopo, Shanks presentò alle donne i due ragazzi che le avevano accolte all'ingresso. "I miei due schiavi", come li definì scherzosamente lui, che in realtà erano i due camerieri del locale e che, occasionalmente, si occupavano delle pulizie. Il ragazzo col naso lungo e la pelle scura si chiamava Usop Abacar, ed era un turista brasiliano arrivato da poco in America. L'altro invece era americano, e il suo nome era Rufy D. Monkey. Avevano entrambi la stessa età, cioè un anno in più di Nami, e sembravano molto simpatici. Finite le presentazioni, Shanks decise di offrire una birra a tutti i presenti, per festeggiare l'arrivo delle due donne.

 

Zio Shanks è davvero una brava persona, pensò Nami mentre guardava suo zio versare la birra nei boccali. Vorrei averlo avuto anche io un padre così.

 

***

 

18 Luglio 2003

Cocoyashi, California, USA

Una casetta in periferia

 

- Ecco che arriva l'onda!-

 

Nami ridacchiò e alzò un braccio per coprirsi, venendo subito colpita da una piccola massa d'acqua. Decisa a ricambiare il favore, mise le mani a conca e le immerse nell'acqua, lanciando poi il contenuto addosso a sua madre.

 

Bellemere rise e accarezzò i capelli di sua figlia.- Va bene, Nami. Ora usciamo da qui, prima che ci spuntino le branchie.-

 

Madre e figlia uscirono dalla vasca da bagno e presero gli accappatoi. Nami indossò il proprio e iniziò ad asciugarsi, guardando sua madre fare altrettanto. Di solito, quando la guardava, pensava che da grande avrebbe voluto diventare bella come lei. Stavolta, invece, i suoi pensieri erano rivolti in un'altra direzione. C'era qualcosa che voleva chiederle da quando era tornata a casa, dopo aver passato il pomeriggio al parco con le sue amiche, ma fino a quel momento aveva sempre esitato. Non aveva mai affrontato quell'argomento con sua madre, non in maniera approfondita, e aveva un pò paura della sua reazione. Tuttavia, alla fine si decise. Se continuo così, pensò la bambina, non farò altro che tormentarmi. Meglio chiederglielo e non pensarci più. Abbassò le braccia e prese un respiro profondo.- Mamma?-

 

- Sì, Nami?-

 

- Ecco, c'è una cosa che volevo chiederti...-

 

- Di che si tratta?-

 

Nami esitò un attimo e guardò negli occhi sua madre. Ora o mai più, si disse.- M-mi parleresti un pò del mio papà?-

 

Bellemere interruppe quello che stava facendo e alzò un sopracciglio.- Il...il tuo papà? Perchè?-

 

- Oggi, al parco, la mia amica Perona stava parlando di suo padre, e mi è venuto in mente che io del mio non so quasi niente. So solo che è morto prima che nascessi. Me ne parli, per favore?-

 

Bellemere si accarezzò il mento, palesemente nervosa.- Credo che sia meglio di no...-

 

- Per favore, mamma.- La bambina guardò sua madre con un'espressione così tenera che la fece capitolare immediatamente.

 

La donna sospirò.- Va bene, in fondo è giusto che tu sappia. Sediamoci che te ne parlo.-

 

Bellemere si sedette sul bordo della vasca, seguita da sua figlia. La prese per mano e la guardò negli occhi.- Tuo padre si chiamava Arlong Fishmann, ed era...- Esitò un attimo, poi riprese a parlare.- Non ti mentirò, Nami. Tuo padre era una persona orribile.

 

- L'ho incontrato a Loguetown, verso la fine del 1994. Io e la nonna eravamo andate a trovare zia Makino, che all'epoca non stava tanto bene. Un giorno, mentre stavo facendo una passeggiata, mi si avvicina un uomo che mi chiede una roba che adesso non ricordo neanche. Comunque, quell'uomo era tuo padre. Iniziammo a chiacchierare, e mi chiese se quella sera ero libera. Io gli dissi di sì, e poi...beh, per farla breve, iniziammo a frequentarci. Aveva il doppio dei miei anni, ma non mi importava. Era affascinante, e mi faceva ridere.- Abbassò un attimo lo sguardo e sospirò.

 

- Poi, qualche mese dopo, scoprii che...che frequentava altre ragazze. E non solo: era anche sposato, e aveva quattro figli. Lo affrontai, chiedendogli spiegazioni, e lui...mi picchiò. Mi disse un sacco di cose brutte, e poi se ne andò. Non lo rividi mai più. Mi sentivo talmente male che non parlai a nessuno della cosa, neanche a zia Makino.

 

- Tornai a Cocoyashi. Qualche giorno dopo, venni a sapere che tuo padre era morto in un incidente aereo assieme ad altre persone. E contemporaneamente, scoprii di essere incinta. Fine della storia.-

 

La piccola Nami era rimasta a bocca aperta per lo stupore. Aveva sempre pensato che tra suo padre e Bellemere fosse successo qualcosa di brutto, ma non avrebbe mai immaginato una cosa del genere.- Era...era davvero così cattivo?-

 

Bellemere annuì con tristezza.- Già. Il tipo di uomo che ti fa odiare l'intero genere maschile.-

 

La bambina strinse più forte la mano di sua madre.- Scusa se te l'ho chiesto.-

 

- Tranquilla, è tutto a posto. E' passato tanto tempo, ormai. E poi avevi il diritto di sapere.-

 

Nami fece per dire qualcosa, ma si bloccò. C'era un'altra cosa che voleva chiedere a sua madre.- Mamma...tu volevi dei figli, all'epoca?-

 

- Beh, ero parecchio giovane. Avere dei figli non era proprio in cima alla lista delle mie priorità. Perchè?-

 

Le labbra della bambina iniziarono a tremolare.- Allora...allora io sono nata per errore.-

 

Bellemere trasalì.- Che...che stai dicendo?-

 

- P-perona h-ha detto che...che quando i figli nascono senza che i genitori li vogliano...nascono per errore...- Una lacrima le scese da un occhio, rigandole la guancia.

 

Bellemere strabuzzò gli occhi.- NON DIRLO NEANCHE PER SCHERZO!- Si ricompose e prese il viso di sua figlia tra le mani.- Nami, non devi ascoltare quello che dice quella str...quella strega. E' vero che all'epoca non pensavo ad avere dei figli, ma tu non sei un errore! L'errore è qualcosa di brutto. E tu...tu sei una sorpresa. La sorpresa più bella che potesse capitare nella mia vita.- Le baciò la fronte e la abbracciò, stringendosela forte al petto.- Sei mia figlia, e ti voglio un bene dell'anima.-

 

Nami singhiozzò e scoppiò a piangere. Ma erano lacrime di felicità. Quelle semplici parole le avevano tolto qualsiasi dubbio.- Ti...ti voglio bene anche io, mamma.-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: La canzone cantata da Bellemere all'inizio del capitolo è "Highway to hell", degli AC/DC. La sua auto, invece, è un piccolo riferimento alla serie tv Supernatural. Il cognome di Usop l'ho preso da "Malê Rising", una storia che ho letto qualche tempo fa sul sito alternatehistory.com (si tratta di un'ucronia in cui l'autore immagina un percorso storico alternativo per l'Africa e il resto del mondo.)

 

Lo so, una nota molto stringata, ma non sapevo cosa dire. Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ci rivediamo tra due settimane col prossimo capitolo. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Interludio 1: Schegge di vita ***


Interludio 1: Schegge di vita

 

16 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

Negli studi di Logue Channel

 

-...e alla fine, dopo estenuanti trattative, i rappresentanti delle Industrie Donquijote hanno concluso l'accordo con i loro colleghi della Doskoi Panda. Da oggi, la celebre azienda russa, leader mondiale nel settore dell'abbigliamento, farà parte dell'impero finanziario del celebre miliardario spagnolo Doflamingo Donquijote.-

 

La giornalista in onda in quel momento, una bella donna dai lunghi capelli blu, fece una piccola pausa e poi riprese a parlare, sorridendo in direzione della telecamera, ma soprattutto delle migliaia di spettatori a casa.

 

- Insomma, dopo l'edilizia, l'intrattenimento per adulti, e i computer, il señor Donquijote ha allargato la sua attività anche ai vestiti. A quanto pare, la sua ambizione non conosce confini!-

 

Ci fu un'altra piccola pausa in cui la donna si aggiustò una ciocca di capelli e si sporse leggermente in avanti, per mettere in evidenza l'abbondante scollatura. Qualcuno avrebbe potuto ritenere quel gesto poco professionale, ma lei non ci vedeva nulla di male. Lo considerava un modo come un altro per tenere viva l'attenzione degli spettatori (E i dati d'ascolto confermavano sempre la validità della cosa).

 

- E queste erano le notizie economiche. Ora passiamo allo sport, con il nostro inviato Mike Galdino in diretta dal circuito di Shelltown, in Nevada. Mike, mi senti?-

 

Intanto, su uno schermo alle spalle della donna era comparsa l'immagine di un uomo di mezza età con in mano un microfono. Alle sue spalle si potevano vedere diverse centinaia di persone in preda alla gioia più sfrenata, tutte radunate attorno ad un palco in attesa di qualcuno.

 

- Sì, Paula, ti sento. In questo momento mi trovo accanto al palco, in attesa che arrivi il vincitore della corsa. E' un momento storico, è la millesima vittoria per questo corridore, e...- L'uomo si interruppe e gettò uno sguardo sul palco.- Ci siamo, Paula, il vincitore è qui!- Si affrettò a raggiungere il palco facendosi largo a gomitate tra le folla, seguito dal cameraman.

 

- Ecco, ci siamo!-

 

La folla si ammutolì e da un altoparlante giunse una voce che tutti attendevano.- Signore e signori, ecco a voi il vincitore di questa corsa. Il grande, l'unico, l'inimitabile...FRANKY FLAM!-

 

A quel punto fece la sua comparsa sul palco un uomo muscoloso con indosso un giubbotto nero, senza pantaloni (Ma almeno aveva le mutande) e a piedi nudi. Aveva delle spalle molto larghe, i capelli celesti, e un sorriso che gli attraversava il volto da orecchio a orecchio. Fece un cenno di saluto verso la folla, che rispose con un grido che fece tremare il terreno, e si avvicinò al microfono sul palco. Dalla folla, due ragazze gli lanciarono dei baci con le dita, seguiti subito dopo dalle loro mutande. Franky Flam le raccolse, se le mise in tasca e rivolse loro con un altro ghigno e un pollice all'insù. Le due ragazze svennero.

 

- Come sempre, il signor Flam riscuote molto successo presso il pubblico femminile, e non solo. Solo qui negli Stati Uniti i suoi fan si contano a centinaia di migliaia, per non parlare di quelli all'estero.- La giornalista, Paula, aveva ripreso a parlare.

 

- Del resto, come si fa a non amarlo? Il suo carattere allegro, unito ad una serie di piccole e simpatiche eccentricità, come ad esempio il non indossare mai i pantaloni, hanno contribuito a renderlo uno dei beniamini del pubblico. Aggiungiamo un'impressionante serie di vittorie, e otterremo un'autentica leggenda dei tempi moderni.

 

- Riassumiamo brevemente la sua storia: nato da una famiglia texana, ha esordito nel mondo delle corse all'età di 19 anni, vincendo il suo primo rally circa tre anni dopo. Dopo una breve parentesi nel mondo delle moto, da cui è nata una storica amicizia/rivalità col pilota italiano Valentino Rossi, è ritornato al suo primo amore, le auto. La sua vittoria più famosa è sicuramente quella del 2009, quando ha stracciato tutti gli altri concorrenti della Water 7 US Cup con una vettura di sua costruzione, da lui battezzata "Thousand Sunny" e che lo ha accompagnato anche nella vittoria odierna. E a tal proposito, come possiamo vedere, in questo momento il signor Flam sta eseguendo la sua celebre "Super Dance", la danza con cui festeggia tutte le sue vittorie.-

 

Più che una danza, era un insieme di movimenti scoordinati, ma aveva comunque il suo appeal. Andò avanti per circa mezzo minuto, poi Franky fece una giravolta su sè stesso, alzò le braccia in alto, unendo gli avambracci, e gridò: - SUPER!-

 

La folla andò in visibilio.

 

Franky rivolse un ultimo sorriso alla folla e parlò al microfono.- Ok, gente, ora basta con le danze. E' ora delle domande. Iniziamo da...lui!- indicò uno dei giornalisti presenti nella folla, che era proprio il Mike Galdino con cui parlava prima Paula.

 

- Signor Flam, come ci si sente ad aver ottenuto mille vittorie?- chiese l'uomo.

 

- Se devo essere sincero mi sento...SUPER! A parte gli scherzi, sono felicissimo di aver raggiunto questo traguardo. Sto praticamente scoppiando dalla gioia!-

 

- E che cosa farà adesso? E' vero che ha intenzione di ritirarsi dal mondo delle corse?-

 

- Sì, è vero.- La folla emise un gemito di tristezza.

 

- E perchè, se posso chiedere?-

 

- Beh, ho semplicemente pensato che fosse arrivato il momento di appendere il cappello al chiodo. Voglio dire, al punto in cui sono arrivato non credo di poter andare più in alto. Meglio andarmene ora e lasciare un buon ricordo nei cuori dei miei fan. Ma non lascerò del tutto il mondo delle corse. Per un periodo, me ne andrò nel ranch della mia famiglia in Texas, per riposarmi. Poi, ho intenzione di creare una mia scuderia e allenare la prossima generazione di piloti.-

 

- I fan sentiranno sicuramente la sua mancanza...-

 

- Già, ma come ho detto prima, è meglio lasciare un buon ricordo quando si è ancora in vetta.-

 

- Un'ultima cosa, signor Flam. Sono fondate le voci secondo cui ha una relazione con l'ex pornostar Madame Shirley?-

 

Franky esitò un attimo.- Assolutamente no. Io e Shirley siamo solo amici. E comunque, se anche tra di noi ci fosse qualcosa di più, sarebbero affari nostri.-

 

- Eppure, qualche giorno fa, vi hanno visto assieme a New York...-

 

- Una semplice coincidenza. Io ero andato lì a trovare un mio parente, lei era appena tornata da un viaggio a Londra.-

 

- E' sicuro? Non è che...-

 

- Ehi, adesso stai veramente cominciando a rompere, figlio di...-

 

- Ehm...purtroppo c'è un problema tecnico, dobbiamo interrompere il collegamento.- disse in fretta un'imbarazzata Paula. Ma prima che lo schermo alle sue spalle si spegnesse, gli spettatori ebbero comunque modo di vedere in cosa consisteva il "problema tecnico": un Franky Flam incazzato nero che saltava giù dal palco e si metteva ad inseguire un Galdino urlante.

 

La giornalista sospirò e mormorò qualcosa sottovoce a proposito di "quell'idiota di Galdino", per poi rivolgersi di nuovo alla telecamera.- Per oggi è tutto, non ci sono altre notizie. Il TG tornerà come sempre domattina alle 7:00. Da Paula Rockbell, buonanotte e grazie per averci seguito.-

 

***

 

3 Novembre 2015

Tokyo, Giappone

Bar di Kin'Emon

 

- Ancora sakè, Garp-san?-

 

- Grazie, Kin'Emon, ma basta così. Per il momento, almeno.-

 

Il barista fece un cenno con la testa e si allontanò, lasciando solo il suo cliente.

 

Garp D. Monkey accavallò le gambe e sbuffò, continuando a lanciare occhiate spazientite verso l'entrata del bar. Ma dove diavolo si è cacciato?, pensò l'americano.

 

Era seduto lì da oltre un'ora, e la persona che avrebbe dovuto incontrare non era ancora arrivata. Ma non se ne stupì più di tanto: la puntualità non era mai stata il suo forte. Per ingannare l'attesa, diede un'occhiata allo schermo televisivo appeso sulla parete dietro il bancone. Non c'era l'audio, ma dalle immagini riuscì a capire abbastanza da dedurre che doveva trattarsi di un talent show. Distolse lo sguardo, leggermente disgustato. Lui detestava i talent. Appoggiò i gomiti sul bancone. Ancora cinque minuti e me ne vado.

 

Fortunatamente, in quel momento la porta del bar si aprì, e fece il suo ingresso nel locale proprio l'uomo che Garp stava aspettando: il suo vecchio amico Sengoku Nagisa, ammiraglio in pensione della Marina Imperiale giapponese. Una volta all'anno, Garp si prendeva una settimana di ferie per andare in Giappone a trovare il suo amico. I due si incontravano prima al bar di Kin'Emon per fare due chiacchiere e bere del sakè, per poi recarsi nella villa di campagna della famiglia Nagisa. Ogni anno, i due notavano sempre dei piccoli, impercettibili cambiamenti l'uno nell'altro. Un capello bianco in più, una ruga che prima non c'era. Solo una cosa non cambiava mai: l'incapacità di Sengoku di rispettare gli orari (Una cosa un pò strana, visto che quando era ancora in servizio era di una puntualità svizzera. Garp era segretamente convinto che il suo amico si fosse un pò rincitrullito dopo il pensionamento, ma si guardava bene dal dirglielo).

 

- Scusa il ritardo, Garp. Ho avuto un contrattempo.-

 

L'americano si girò verso il nuovo venuto.- Hai sempre una scusa. Quando imparerai ad essere puntuale?-

 

I due si guardarono per un attimo in silenzio, poi Garp scese dallo sgabello su cui era seduto e andò verso l'altro uomo, stringendolo poi in un abbraccio.- Al diavolo! L'importante è che sei qui. Come te la passi, Sengoku?-

 

Sengoku era diventato improvvisamente viola.- Meglio, se la smettessi di stritolarmi...-

 

- Oh, scusa.- A volte Garp si dimenticava di avere ancora una forza sovrumana, nonostante l'età. Lasciò andare l'amico e gli diede una pacca sulla spalla.- Dai, sediamoci e beviamo qualcosa. Ehi, Kin'Emon! Altro sakè, e per due stavolta!-

 

Kin'Emon era tornato al bancone proprio in quel momento.- Certo, Garp-san. Oh, Sengoku-san, ben arrivato.-

 

I due amici si sedettero.

 

- Allora, come vanno le cose in America?- chiese Sengoku.

 

- Niente di nuovo. Il Presidente cerca di fare quello che può, e gli altri si scannano per decidere chi dovrà rimpiazzarlo.- rispose Garp.

 

- Veramente mi riferivo a te. Come va con i tuoi nipoti?-

 

Prima che l'americano potesse rispondere, Kin'Emon arrivò con due tazze di sakè caldo, allontanandosi subito dopo per lasciare un pò di privacy ai suoi clienti. Garp prese un sorso dalla sua tazza.- Ah, non me ne stanco mai. Scusa, stavi dicendo?-

 

- Ti ho chiesto come va con i tuoi nipoti. Sei riuscito a convincerli a entrare nel Corpo?-

 

Garp sospirò mestamente.- No. E comunque, ormai ho deciso di non insistere più.-

 

Garp era un generale del Corpo dei Marines (E a differenza del suo amico, era ancora in servizio e non aveva nessuna voglia di andare in pensione), e avrebbe voluto che Ace e Rufy, i suoi due nipoti, seguissero le sue orme. Purtroppo, nonostante innumerevoli tentativi di convincimento, i due ragazzi avevano sempre rifiutato con veemenza (Dimostrando tra l'altro di essere cocciuti come il nonno, il che consolava in parte l'anziano).

 

Sengoku quasi non credeva alle sue orecchie.- Davvero? E perchè?-

 

- Ci ho riflettuto un bel pò, e alla fine ho capito che è giusto che seguano la loro strada. I loro genitori avrebbero voluto così.- Il viso dell'anziano si incupì. Quando ripensava ai suoi due figli, Dragon e Rouge, morti venti anni prima in un incidente aereo assieme ai rispettivi coniugi, veniva sempre travolto da un'ondata di tristezza.- Non posso costringerli a fare le mie stesse scelte. Posso solo cercare di aiutarli dove hanno bisogno.-

 

Il nipponico annuì.- Bene, in fondo è questo il compito di noi della vecchia guardia. Fare in modo che i giovani possano volare con le proprie ali. A proposito, che cosa fanno, i ragazzi?-

 

- Beh, qualche giorno fa Ace ha aperto un'officina per conto suo. Gli è sempre piaciuto trafficare coi motori...Rufy, invece, ha deciso di fare il pompiere.-

 

- Il pompiere? Rufy?- Sengoku aveva incontrato poche volte il nipote di Garp, ma aveva l'impressione che fosse più un tipo che appiccava gli incendi, non che li spegneva.

 

- Già, non ci credevo nemmeno io quando me lo ha detto. Voglio dire, fin da piccolo è sempre stato un irresponsabile. Non prendeva mai niente sul serio, e a scuola andava malissimo, tanto che è riuscito a finire il liceo solo quest'anno. Però ultimamente è cambiato. Non so come sia successo, ma mi sembra che sia diventato molto più maturo di prima. Pensa che si è anche trovato un lavoretto temporaneo per aiutare Ace a pagare l'affitto della casa: fa il cameriere in un pub.-

 

Sengoku sorrise.- Bene. Immagino sarai contento.-

 

- Altrochè.- disse Garp annuendo.

 

- Che ne dici di un brindisi?-

 

- Volentieri.-

 

I due anziani sollevarono le tazze.- A Ace e Rufy. Che il loro cammino sia ricco di soddisfazioni.- disse Sengoku con solennità.

 

- Che siano felici.- disse Garp.

 

- E che permettano a questo vecchio gaijin di arrivare sereno alla pensione.-

 

- Ma vaffanculo!- rise l'americano, subito imitato dal nipponico.

 

I due uomini bevvero il sakè e poi ripresero a chiacchierare.

 

***

 

16 Novembre 2015

Da qualche parte nelle foreste canadesi

 

La freccia si conficcò nel cranio dell'alce, uccidendolo all'istante. L'animale barcollò per un attimo e poi cadde a terra con un tonfo sordo.

 

Subito dopo, da dietro un paio di alberi saltò fuori un uomo con in mano un piccolo arco. Il suo nome era Wiper, e non avrebbe potuto essere più contento.

 

Guardò l'animale che aveva appena abbattuto e mormorò una preghiera di ringraziamento agli spiriti degli antenati. Estrasse la freccia e la ripulì dal sangue e dalla materia organica che la imbrattava, per poi metterla assieme all'arco nella custodia che aveva fabbricato lui stesso e che portava sulla schiena. Prese l'alce, se lo caricò sulle spalle senza alcuno sforzo apparente, e si avviò verso la sua capanna.

 

E pensare che tutti mi prendevano in giro, pensò Wiper. Beh, mi dispiace un pò dirlo, ma i pazzi siete voi. Siete voi quelli che non capiscono, voi che preferite quella città alle terre degli antenati.

 

Non aveva sempre abitato nella foresta. Era nato e cresciuto nella città di Mock Town, nella provincia dell'Ontario. Faceva parte degli Shandia, una tribù di nativi americani originaria dell'Alberta, ma che col tempo si era spostata sempre più a est. E i cui numeri diminuivano sempre di più. All'epoca in cui Wiper era andato a vivere nella foresta, gli Shandia erano poco più di mille.

 

Sospirò, pensando al triste stato in cui si versava la sua tribù. Wiper si era documentato a fondo, e sapeva che un tempo gli Shandia erano stati una delle più grandi tribù del Nord America, una razza orgogliosa di guerrieri e cacciatori. Ora invece, erano ridotti all'ombra di ciò che erano un tempo. Avevano abbandonato le antiche tradizioni, in favore di una "modernità" che un pò alla volta li stava uccidendo. La cosa peggiore era che nessuno sembrava rendersene conto. Perfino gli anziani della tribù, che in teoria avrebbero dovuto esserne i pilastri e depositari della saggezza, non facevano nulla per impedire il decadimento.

 

Lui aveva cercato di fare qualcosa, ma purtroppo non aveva concluso niente. Nessuno gli aveva dato ascolto. Perciò, dopo aver deciso di averne avuto abbastanza, aveva lasciato Mock Town assieme alla sua compagna Laki, l'unica della tribù che la pensava come lui. Alla fine di un lungo viaggio, i due erano arrivati nell'Alberta, nel cuore degli antichi territori Shandia, e avevano dato inizio a un nuovo capitolo della loro vita.

 

Da allora erano passati quattro mesi, e nessuno dei due si era pentito della scelta. Certo, la solitudine a volte pesava, e dovevano faticare un bel pò per procurarsi da mangiare, ma lui e Laki erano felici. Vivevano secondo le vecchie tradizioni, e non si curavano del resto del mondo. Wiper era più che sicuro che gli antenati li stessero guardando con approvazione, e che stessero sorridendo. Inoltre, il giorno prima Laki gli aveva rivelato di essere incinta. Wiper lo aveva preso come un segno del destino, un segno che la scelta che aveva fatto era quella giusta.

 

Non mi sono mai sentito così felice, pensò l'uomo scorgendo in lontananza il fumo prodotto dal fuoco acceso davanti alla capanna. Ho ritrovato la retta via, ho una compagna meravigliosa e sto per diventare padre. Gli altri facciano pure come credono. Se vorranno seguire il mio esempio, bene. Altrimenti, che restino pure a marcire in quello schifo di città.

 

Si fermò un attimo per osservare un uccello che volava parecchi metri sopra di lui. In quel momento Laki uscì dalla capanna, lo vide e gli fece un cenno di saluto con la mano. Wiper ricambiò il gesto, sorrise, e riprese a camminare.

 

***

 

16 Novembre 2012

Loguetown, California, USA

Un parco in centro

 

-...Vado a consegnar il liquore di Binks! Intoniamo una canzone e siam pronti per il mare...tanto presto o tardi saremo ossa e nulla più...senza fine e senza meta, una storiella e tutti giù! Yo-hohoho, Yo-hohoho! Yo-hohoho, Yo-hohoho! Yo-hohoho, Yo-hohoho! Yo-hohoho, Yo-hohoho!- L'uomo col violino, un uomo alto, magro e anziano, smise di suonare, sorrise e fece un breve inchino. Accanto a lui, un enorme San Bernardo che fino a poco prima stava ballando sulle zampe posteriori si fermò, si mise a quattro zampe e abbaiò due volte. La folla che li stava guardando rispose con uno scroscio di applausi, mentre alcuni gettarono delle monete nel cappello a cilindro posto davanti al cane.

 

- Grazie, grazie, siete troppo buoni. Purtroppo per oggi abbiamo finito, ma non preoccupatevi. Lovoon e il sottoscritto torneranno domani per deliziare i vostri occhi e le vostre orecchie. Yo-hohoho!-

 

La folla applaudì un'ultima volta e iniziò a disperdersi. Il suonatore di violino, il cui nome era James Brook, raccolse il cappello e guardò soddisfatto il contenuto.- E' andata davvero bene, Lovoon. Proprio bene, oh sì!-

 

Lovoon abbaiò.

 

Brook prese i soldi e se li infilò in tasca, tolse un pò di polvere dal cappello e se lo mise in testa. Poi mise il violino nella custodia e si diede un'occhiata attorno, come se stesse cercando qualcosa.- Allora, dove...- Il suo sguardo si fermò su una coppia seduta su una panchina ad amoreggiare.- Ah, eccoli!- disse a bassa voce. Toccò una stanga degli occhiali da sole che portava e si sentì un rumore a malapena percettibile simile a un piccolo click.- Bene, ora possiamo anche andarcene. Vieni, Lovoon. Torniamo a casa.- Si abbassò, attaccò il guinzaglio al collare del suo cane, si mise la custodia del violino sotto il braccio destro e si incamminò. Lovoon trotterellava al suo fianco, la grossa lingua rosa che gli penzolava fuori dalla bocca.

 

E' stata davvero una trovata geniale, pensò l'anziano. Un vecchietto col violino e il suo cane...chi mai farebbe caso a loro. E gli occhiali...saranno anche costati una fortuna, ma ne è valsa la pena! Yo-hohoho!

 

Apparentemente, Brook era un anziano qualunque che cercava di guadagnarsi qualche spicciolo suonando il violino e facendo esibire il suo cane. Tuttavia, le cose non stavano proprio così. Ma facciamo prima un passo indietro.

 

Fino a due anni prima, Brook era stato un'insegnante di musica della Grand Line High School di Loguetown. Poi, dopo aver compiuto sessanta anni, aveva finalmente deciso di andare in pensione e dedicare un pò di tempo a sè stesso e a sua moglie Cindry. Purtroppo, qualche tempo dopo Cindry era morta, e dato che non avevano nè figli nè nipoti, Brook era rimasto solo come un cane. O meglio, solo CON un cane.

 

Inoltre, Brook aveva iniziato ad annoiarsi. Si era reso improvvisamente conto di non amare la vita da pensionato. Perciò, aveva deciso di trovarsi un nuovo lavoro. Inizialmente aveva pensato di tornare ad insegnare, ma non gli era andata bene. E dopo una lunga serie di tentativi tutti andati male (Come ad esempio quella volta che era stato assunto come commesso in un negozio di biancheria intima, venendo cacciato appena una settimana dopo perchè aveva il vizio di sbirciare le clienti mentre si cambiavano), gli era venuta un'illuminazione: avrebbe fatto l'investigatore privato.

 

L'idea gli era venuta una sera, dopo aver visto alla TV un vecchio film di cui non ricordava neanche il titolo. Qualche giorno dopo aveva ottenuto la licenza, e coi soldi che aveva messo da parte aveva comprato gli occhiali che ora indossava, un modello speciale dotato di fotocamera prodotto dalle Industrie Donquijote. Erano perfetti per scattare delle foto senza farsi notare, proprio come lui aveva fatto poco prima. Tornato a casa, avrebbe scaricato l'immagine sul computer, per poi mostrarla al suo cliente, il quale avrebbe finalmente avuto una prova dell'infedeltà della moglie. E che lo avrebbe pagato profumatamente.

 

E coi soldi che ho guadagnato qui al parco, pensò l'anziano, comprerò un bell'osso per Lovoon. Se lo merita.

 

Brook era al settimo cielo. Sorrise e iniziò a canticchiare.- Yo-hohoho, Yo-hohoho! Yo-hohoho, Yo-hohoho...-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Franky ha davvero una storia con Madame Shirley, oppure sono solo amici? Lo lascio alla vostra immaginazione.

 

In questo capitolo ho cercato un pò di ampliare l'universo narrativo, presentandovi dei personaggi che non compariranno nel resto della storia. Paula e Galdino sono i veri nomi di Miss Doublefinger e Mr. 3. A lui ho dato il nome Mike perchè mi sembrava che gli si adattasse bene, invece il cognome Rockbell è un piccolo riferimento a Fullmetal Alchemist. Stessa cosa per il cognome di Sengoku, solo che in questo caso il riferimento è a Neon Genesis Evangelion.

 

La scena con Wiper è stata un'aggiunta dell'ultimo minuto, spero che vi sia piaciuta.

 

Riguardo invece i mestieri di Franky e Brook, l'idea mi è venuta leggendo le SBS del volume 76, in cui un fan chiedeva a Oda quali mestieri avrebbero fatto i Mugiwara se non fossero stati pirati.

 

E per oggi è tutto. Se il capitolo vi è piaciuto (ma anche se volete solo mandarmi a quel paese), fatemelo sapere con una bella recensione. Ci rivediamo tra due settimane col prossimo capitolo. Ciao!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 2: Vecchi e nuovi incontri ***


ATTENZIONE: Questo capitolo contiene degli spoiler per chi non ha letto gli ultimi capitoli del manga.

Capitolo 2: Vecchi e nuovi incontri

 

17 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

Per le vie della città

 

Sebbene non fosse grande quanto Los Angeles o San Francisco, Loguetown poteva considerarsi una metropoli di tutto rispetto. Abitata da poco più di un milione di persone, la città era in continua espansione, sia economicamente che dal punto di vista territoriale, tanto che alcuni già ipotizzavano la nascita di una futura megalopoli formata con le città di San Diego e Los Angeles.

 

Oltre che per aver dato i natali a Edward Newgate, attuale (E amatissimo) governatore dello Stato, la città era famosa anche per l'hotel-ristorante Baratie e il parco di divertimenti Sabaody Park. Proprio per questo motivo, l'industria del turismo di Loguetown godeva sempre di ottima salute, in qualunque periodo dell'anno.

 

Inoltre, come tante altre città degli Stati Uniti, a Loguetown era possibile trovare esponenti di svariate etnie. Non era per nulla inusuale imbattersi in persone dai cognomi esotici ma che erano al 100% americane. Tra queste, la comunità giapponese era particolarmente vasta.

 

Adesso, però, concentriamoci su un esponente della suddetta comunità. Una giovane donna dai capelli rossi, che camminava per le strade della città con le mani in tasca e l'aria meditabonda. L'abbiamo già incontrata prima: il suo nome era Nami Watanabe, e in quel momento si stava dirigendo verso quello che sarebbe diventato il suo luogo di lavoro.

 

Quella mattina, durante la colazione, aveva chiesto a suo zio Shanks se avesse qualche lavoretto da farle fare al pub. Sfortunatamente, Shanks aveva già tutto il personale che gli serviva, ma le aveva dato l'indirizzo di un suo caro amico, il quale aveva urgente bisogno di una commessa per il suo negozio. Nami lo aveva ringraziato con un abbraccio soffocante (Quasi spezzandogli le costole, il che aveva portato Makino a ipotizzare una qualche parentela tra la ragazza e un boa constrictor), e poi gli aveva chiesto di che tipo di negozio si trattava. Shanks le aveva risposto che il suo amico vendeva merci di tutti i tipi, ma si occupava principalmente di oggetti d'antiquariato. Le aveva poi scritto l'indirizzo su un foglio, dandole anche delle indicazioni per arrivarci. Inizialmente sua madre si era offerta di accompagnarla con l'auto, ma Nami aveva risposto che preferiva andare a piedi. L'indirizzo non era molto lontano, e la passeggiata le avrebbe fatto bene anche per orientarsi successivamente in città.

 

Chissà che tipo è il proprietario del negozio, pensò la ragazza. Zio Shanks ha detto che è solo un pò eccentrico, ma per il resto è una bravissima persona. Mah. Speriamo che almeno...

 

Un ronzio proveniente dalla tasca sinistra interruppe il corso dei suoi pensieri. La rossa si fermò e tirò fuori lo smartphone e diede un'occhiata allo schermo. Oh, Nojiko ha postato un'altra foto su Instagram. Sorrise. Sua cugina, oltre ad avere un vero talento per la fotografia, pubblicava sempre degli scatti interessanti. Fece scorrere un dito sullo schermo e andò sul profilo di Nojiko.

 

Trovò subito l'ultima foto pubblicata. L'immagine ritraeva Nojiko ai piedi della Torre Eiffel. Alle sue spalle si vedevano altri turisti che andavano per i fatti loro, alcuni dei quali intenti ad assistere alle esibizioni dei mimi. E, abbracciato a sua cugina, un ragazzo dall'aria tenebrosa e pieno di muscoli. 

 

Nami ridacchiò. Quasi tutte le foto pubblicate di solito da Nojiko la ritraevano assieme a qualche giovanotto nerboruto (A volte anche più di uno). Per fortuna i suoi genitori non frequentavano i social network, altrimenti chissà cosa sarebbe successo. Lasciò un breve commento all'immagine e si rimise il telefono in tasca, riprendendo a camminare.

 

Qualche minuto dopo, quando ormai pensava di essersi persa, arrivò finalmente a destinazione. Controllò l'indirizzo sulla targa accanto alla porta, poi lo sguardo le cadde sul nome del negozio, scritto su una vetrina a grandi lettere rosa.- L'Emporio di Ivankov.- lesse.- Ok, entriamo.- Girò la maniglia ed entrò nel negozio.

 

L'interno ricordava molto un museo. Diversi mobili dall'aria antica facevano bella mostra di sè sul lato sinistro della stanza. Un'intera parete era occupata da un altro mobile, immenso e pieno di libri. Su un tavolino lì accanto c'erano diverse statuette di varie dimensioni. Nell'aria c'era un leggero odore di chiuso, e il posto aveva un serio bisogno di una spolverata. Sul lato destro della stanza c'era invece una porta con accanto una grossa scrivania di legno e un paio di poltrone. Seduta alla scrivania, una bella ragazza con gli occhiali e dei lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Stava leggendo un libro, ma sentendo la porta aprirsi si interruppe e alzò lo sguardo verso Nami. Chiuse il tomo e sorrise.- Benvenuta. Come posso aiutarti?-

 

- Uhm...salve, sto cercando il signor Ivankov.-

 

- Il signor Ivankov è uscito, ma dovrebbe tornare tra poco.-

 

- Posso aspettarlo qui?-

 

- Certo, accomodati.- L'altra ragazza indicò una delle poltrone. Nami si sedette e accavallò le gambe.

 

- Posso chiederti perchè lo stai cercando?-

 

- Beh, sto cercando un lavoro, e mio zio mi ha detto che aveva bisogno di una commessa.-

 

- Oh, bene, sei capitata proprio al momento giusto. Avevamo giusto bisogno di un paio di mani in più.-

 

- Lavori anche tu qui?-

 

- Sì. A proposito, non mi sono ancora presentata.- Le tese una mano.- Io sono Robin Nico.-

 

La rossa strinse la mano della mora.- Nami Watanabe. E' da molto che lavori qui?-

 

- Un paio di anni.-

 

- E...ci sei solo tu e il signor Ivankov?-

 

- Purtroppo sì. Prima c'era un'altra ragazza, ma se ne è andata qualche giorno fa, e...-

 

-...e per fortuna! Era assolutamente insopportabile. Non avrei mai dovuto assumerla.- disse all'improvviso una voce allegra proveniente dall'entrata.

 

Le due ragazze si girarono verso la fonte della voce. Nami strabuzzò gli occhi. L'uomo che aveva parlato era vestito con una semplice camicia azzurra e dei jeans, ma per il resto aveva un aspetto parecchio singolare. Aveva una testa enorme sormontata da una gran massa di capelli blu, e delle evidenti tracce di trucco sul viso. Sarà mica lui il signor Ivankov?, pensò la ragazza. Beh, se lo è, è davvero eccentrico.

 

Il nuovo arrivato volse lo sguardo verso di lei.- E tu chi sei, mia cara ragazza?-

 

La rossa si alzò in piedi.- Ehm...salve, io sono Nami Watanabe...-

 

- Oh, sì, la nipotina di Shanks! Mi aveva telefonato giusto poco fa per avvisarmi. Sono davvero felice di vederti.- Si avvicinò a Nami e le strinse la mano, quasi schiacciandogliela. Nami strinse i denti per il dolore. Quell'uomo aveva una forza considerevole.- Io sono Sergei Pavlovich Ivankov, il proprietario di questa baracca. Ma puoi anche chiamarmi Iva, se preferisci.-

 

- Signor Ivankov...la mano...-

 

- Oh, scusa.- L'uomo lasciò andare la mano della ragazza.- A volte mi dimentico della mia forza. Dunque, sei qui per lavorare, giusto?-

 

La rossa si massaggiò la mano dolorante.- Sì...zio Shanks mi aveva detto che aveva bisogno di una commessa.-

 

- Più che una commessa, mi serve una tuttofare. Qualcuno che dia una mano a me e a Robin, e soprattutto che abbia voglia di lavorare.-

 

- E che non si dia delle arie.- aggiunse Robin.

 

- Già, non come quella strega che c'era prima. Ugh! Mi viene il nervoso solo a pensarci. Comunque...di cosa stavo parlando...ah, sì! Se accetti il lavoro, avrai uno stipendio iniziale di 500 dollari, che aumenterò successivamente se sarò soddisfatto del tuo rendimento. L'orario è dalle 9:00 alle 18:00, dal Lunedì al Venerdì. Allora, accetti?-

 

Nami annuì, felice. Era meglio di quanto aveva sperato.- Accetto, signor Ivankov.-

 

- Bene, benvenuta a bordo!- L'eccentrico negoziante sembrava parecchio contento.- Allora, da dove possiamo iniziare...hmm...Robin, è arrivata quella cosa che avevo ordinato?-

 

- Sì, signor Ivankov. E' arrivato giusto cinque minuti fa.-

 

- Bene, molto bene. Allora, cara Nami: come sicuramente ti avrà detto tuo zio, io mi occupo principalmente di oggetti di antiquariato. E non lo dico per vantarmi, ma sono anche abbastanza famoso nell'ambiente. I miei clienti trovano sempre quello che cercano, nel mio negozio. E se non lo trovano, glielo procuro io in pochissimo tempo grazie alla mia rete di contatti! Qualche giorno fa, un mio vecchio amico è venuto a trovarmi e mi ha chiesto di procurargli un certo libro. Libro che, come ha detto Robin, è appena arrivato. Il tuo primo incarico consisterà nel consegnarlo al mio amico. Dimmi, sei venuta a piedi?-

 

- Sì, perchè?-

 

- Il mio amico alloggia al Baratie, che è dall'altra parte della città. Ci metteresti una vita andando a piedi. Vorrà dire che Robin ti presterà il suo scooter. Sai guidarne uno?-

 

- Sì...-

 

- Molto bene. Fatti dare le chiavi, io intanto preparo il pacco. Mi raccomando, dovrai consegnarlo di persona...-

 

- Forse sarebbe meglio se andassi io, signor Ivankov...- intervenne Robin.

 

- No, Robin. E' meglio che Nami inizi subito a farsi le ossa. E poi tu e io dobbiamo occuparci dell'inventario, te ne sei dimenticata? Sù, dalle le chiavi del tuo Waver.-

 

Niente male come inizio, riflettè Nami mentre Robin le porgeva le chiavi dello scooter. Lavorerò assieme a una bella ragazza, e avrò un'occasione di visitare il famoso Baratie. Davvero niente male.

 

***

 

Qualche minuto dopo

Davanti all'hotel-ristorante Baratie

 

Fondato nel 1936 dal padre dell'attuale proprietario, un immigrato inglese giunto in America in cerca di fortuna, il Baratie era famoso in tutto il mondo per l'elevatissima qualità della sua cucina. Sebbene inizialmente fosse solo un ristorante, ad un certo punto i clienti avevano iniziato ad aumentare talmente tanto che si erano create delle liste di attesa infinite, rendendo così necessaria l'aggiunta di un hotel in cui alloggiarli. E quasi contemporaneamente, nel resto di Loguetown erano sorte tante nuove attività dedite all'intrattenimento, tra cui il celebre Sabaody Park. Quello era stato l'inizio di un'epoca d'oro per il turismo della città, un'epoca che, fortunatamente per gli abitanti, non si era ancora conclusa.

 

Nami guardava l'edificio con occhi sgranati. Era la prima volta che lo vedeva da così vicino, e non potè fare a meno di meravigliarsi. Tutto, dal cancello all'entrata del ristorante, le faceva venire in mente la parola lusso. Per un attimo provò l'impulso di tornare indietro: quel posto era così bello da darle l'impressione che la sua presenza lo avrebbe inquinato. Ma fu solo un attimo. Per quanto lussuoso fosse il posto, era pur sempre abitato da esseri umani come lei. E poi, aveva un lavoro da fare, e il signor Ivankov si sarebbe sicuramente arrabbiato con lei se non avesse consegnato il pacco.

 

Prese un respiro profondo e attraversò il cancello aperto, il pacco sottobraccio. Percorse a piedi il sentiero che portava al ristorante (Aveva parcheggiato il Waver di Robin poco lontano da lì) e ne approfittò per dare un'occhiata all'ambiente circostante. Un giardino ben curato era disseminato di alberi e piante di vario tipo, alcune delle quali erano state potate in modo da assomigliare a grossi pesci. Passò accanto ad un paio di cespugli pieni di rose rosse, e alla fine giunse nello spiazzo in cui si trovava l'edificio. Al centro, una fontana con alcune statue di sirene scagliava in aria dei getti d'acqua. E subito dopo, finalmente, il Baratie vero e proprio. Nami si avvicinò, notando i due ordini di scale che portavano all'entrata. Che lusso, osservò mentalmente la ragazza. Chissà quanto ci vuole per mangiare qui...no, forse è meglio non pensarci.

 

Sugli ultimi gradini di una delle due scalinate, erano seduti due uomini, entrambi con la testa china e una sigaretta in bocca. Uno dei due aveva i capelli neri, e dai vestiti e dal cappello bianco che aveva in testa, Nami dedusse che era uno dei cuochi. L'altro invece era biondo, ed era vestito con un elegante abito da sera blu scuro. Probabilmente uno degli ospiti, pensò la rossa. Si avvicinò ai due e si schiarì la voce.- Ehm...scusate...-

 

I due alzarono la testa, e Nami si accorse che erano entrambi molto giovani. Erano diversi non solo per i capelli, ma anche per i tratti somatici. Il moro aveva un'aria poco raccomandabile e un mento che non doveva vedere un rasoio da un sacco di tempo. L'altro, invece, oltre ad essere più giovane, era anche molto più curato. Aveva uno strano sopracciglio attorcigliato, i capelli acconciati in modo da coprirgli l'occhio sinistro, e un elegante pizzetto. Era anche carino, molto più dell'altro (Nami non era priva di senso estetico. E se fosse stata etero, probabilmente ci avrebbe fatto un pensierino).

 

All'improvviso, il biondo ebbe una specie di shock. La sigaretta gli cadde dalla bocca, gli occhi schizzarono fuori dalle orbite (Assumendo, stranamente, una forma simile a un cuore) e scattò in piedi con un gridolino di gioia. Le fu accanto in un secondo, fece un piccolo inchino e sfoderò il sorriso più luminoso che avesse mai visto.- Salve, bellissima fanciulla. Come posso aiutarti?-

 

Nami rimase un attimo interdetta dal comportamento del biondo.- Ecco...io...-

 

- Oh, ma che cafone! Non mi sono presentato.- Le prese una mano e se la portò alle labbra.- Il mio nome è Sanji Vinsmoke, e sono felicissimo di fare la tua conoscenza!-

 

La rossa sorrise, leggermente imbarazzata.- Piacere, io sono Nami. Ecco...dovrei consegnare questo pacco a uno dei clienti del ristorante...-

 

Sanji le lasciò andare la mano.- Ma certo. Vieni con me, ti accompagnerò all'interno. A proposito, gradiresti un assaggio della cucina del Baratie? Gratis, naturalmente. Offro io.-

 

- No, grazie, ho già mangiato.-

 

- Va bene. Che ne diresti allora di venire qui stasera? Ti preparerò personalmente una cenetta coi fiocchi!-

 

Nami capì subito dove voleva andare a parare l'uomo.- Guarda...mi dispiace, biondo, ma ti è andata male. A me piacciono le donne.-

 

L'altro uomo, che era rimasto seduto sulle scale a guardarli, ridacchiò. Sanji rimase un attimo a bocca aperta, ma poi si riprese.- Oh, nessun problema. E...dimmi, ti è mai venuta la curiosità di fare un viaggetto sull'altra sponda?-

 

- Già fatto, grazie.-

 

Sanji soffocò un'imprecazione, e l'altro uomo iniziò a ridere di gusto.- Che fortuna che hai, Sanji.-

 

- Chiudi il becco, Gin!- Il biondo tornò a rivolgersi a lei e sorrise di nuovo.- Allora abbiamo qualcosa in comune, cara. Comunque, non preoccuparti, ti accompagnerò all'interno. A proposito, chi è il cliente a cui devi consegnare il pacco?-

 

- Uhm, dunque...ah, sì, è il signor Nefertari.-

 

- Nefertari, Nefertari...ah, ora ricordo. Alloggia con sua figlia nella Suite Alubarna. Seguimi, ti ci porterò in un istante!-

 

Mentre l'uomo chiamato Gin rimaneva seduto a fumare, Sanji salì di corsa le scale, seguito da Nami. Arrivati alla porta d'ingresso, il biondo la aprì, si scostò di lato e fece cenno alla rossa di entrare.- Dopo di te, mia cara.-

 

- Ehm...grazie.- Nami aggrottò leggermente la fronte. Che tipo strano, disse tra sè e sè. Attraversò la soglia e si trovò all'interno del Baratie. Quello che vide la lasciò senza fiato.

 

Come l'esterno, e forse un pò di più, l'interno del Baratie era la quintessenza del lusso. Un pavimento talmente lucido da potercisi specchiare, adornato da raffinati tappeti con il logo del Baratie ricamato a lettere dorate. Grandi colonne di marmo bianco, piante dall'aria esotica e alle pareti quadri in stile moderno. Era anche meglio di come se lo era immaginata. E dulcis in fundo, un delizioso profumino che giunse a solleticarle le narici, facendole venire l'acquolina in bocca.

 

- Niente male, eh?- disse Sanji, chiudendo la porta.- Ma non è sempre stato così. All'inizio era molto più modesto, poi mio padre ha deciso di fare qualche piccola miglioria, tanto per impressionare ancora di più i clienti.- Le si avvicinò.- Sai, per la maggior parte si tratta di gente ricca sfondata, che si aspetta un ambiente di un certo livello. Ma ogni tanto capitano anche membri della classe media, magari qualcuno che ha vinto la lotteria o che ha messo da parte un pò di soldi solo per venire qui e assaggiare la nostra cucina.- Fece una piccola pausa.- Scusa, sto divagando. Vieni, ti accompagno agli ascensori. Gli alloggi dei clienti sono al piano superiore.-

 

La ragazza seguì il giovane Vinsmoke verso gli ascensori.

 

- Sanji!-

 

All'improvviso, era comparso un uomo anziano con dei lunghi baffi e un'espressione per niente felice, che marciò verso brandendo minacciosamente un grosso mestolo.- Dove diavolo ti eri cacciato, razza di scansafatiche? E chi è quella, qualcuna delle tue amichette?-

 

- Calmati, vecchio.- rispose Sanji con calma.- Ero solo uscito un attimo a fumare. E la signora qui deve consegnare un pacco al signor Nefertari.-

 

L'anziano sembrò calmarsi. Guardò prima Nami, poi puntò un dito verso Sanji.- Vedi di essere di nuovo in cucina entro massimo un minuto. Abbiamo la cena di stasera da preparare, ricordatelo!- A quel punto si girò e tornò da dove era venuto.

 

- Chi era, quello?- chiese Nami appena l'altro uomo se ne fu andato.

 

- Zef Vinsmoke, proprietario e capocuoco del Baratie. Mio padre.- rispose Sanji.- Non fare caso ai suoi modi bruschi, fa così con tutti.- Lui e Nami ripresero a camminare, arrivando finalmente davanti agli ascensori. Premette un pulsante e le porte si aprirono.- Ecco, ora devi solo premere il pulsante per salire. Una volta arrivata, vai in fondo al corridoio, gira a sinistra e troverai la Suite Alubarna. Se quando hai fatto avrai bisogno d'altro, fammi un fischio e arriverò subito.- Al che le fece un altro inchino e se ne andò.

 

Nami entrò nell'ascensore e premette il pulsante indicatole da Sanji. Le porte si chiusero e la cabina iniziò a salire. Qualche secondo dopo, arrivò a destinazione. Le porte si aprirono e lei uscì fuori, iniziando a percorrere il corridoio. Arrivata alla fine, girò a sinistra e arrivò finalmente alla Suite Alubarna.

 

Fece per bussare, ma prima che potesse toccare la porta questa si aprì e ne venne fuori un uomo alto dalla carnagione scura con in mano una valigia. I due rimasero un attimo a guardarsi e poi l'uomo parlò.- Salve. Cerchi qualcuno?- disse in un inglese leggermente accentato.

 

- Salve, sto cercando Cobra Nefertari.-

 

- Sono io. Tu, invece?-

 

- Nami Watanabe, piacere. Devo consegnarle un pacco da parte del signor Ivankov.-

 

- Oh, sì, il libro che avevo ordinato. Beh, cara, purtroppo non posso trattenermi a lungo. E' successo un imprevisto, e devo tornare di corsa in Egitto. Puoi consegnarlo a mia figlia Bibi, penserà lei a tutto. Buona giornata.- disse con un cenno della testa, per poi allontanarsi di corsa.

 

Nami inarcò un sopracciglio, fece spallucce e varcò la soglia.- Permesso?-

 

- Avanti.- rispose una voce femminile.

 

La rossa entrò nella stanza e andò verso la fonte della voce, e diede un'occhiata alla stanza. Beh, pensò, lussuosa come tutto il resto.

 

La Suite Alubarna era grande quanto un piccolo appartamento. Era infatti divisa in cinque locali: due stanze da letto, ognuna con il proprio bagno, una stanza-armadio, una stanza con piscina e un salotto che faceva da anticamera. Proprio nel salotto, seduta su una poltrona davanti a un tavolino con dei libri, Nami trovò la fonte della voce di prima: una ragazza molto giovane (E anche molto carina), con dei lunghi capelli azzurri. Vedendola entrare, la ragazza si alzò e le venne incontro.- Ciao. Posso fare qualcosa per te?-

 

- Ciao, io mi chiamo Nami. Tu sei Bibi Nefertari?-

 

- Sì, sono io.-

 

- Ho incontrato tuo padre poco fa. Dovevo consegnarli un pacco, ma andava di fretta e mi ha detto di darlo a te.-

 

- Oh, certo. Dai pure.-

 

La rossa consegnò il pacco all'altra ragazza. Quest'ultima diede un'occhiata al foglietto legato all'involucro, per poi posarlo sulla poltrona.- Solo un secondo, prendo l'assegno.-

 

Nami diede un'occhiata ai libri sul tavolino.- Cavolo, sono belli grossi.-

 

- Già, purtroppo.- Bibi aveva l'assegno in mano.- Teoricamente sarei in vacanza, ma in pratica sto continuando a studiare. Tieni, ecco l'assegno.-

 

- Grazie.- La rossa prese l'assegno e se lo mise in tasca.- Studiare sarà anche utile, ma è una vera rottura.-

 

- A chi lo dici. Tu studi?-

 

- No, io...dopo il liceo mi sono presa un periodo di riflessione. Per adesso lavoro soltanto.-

 

- Beata te. Purtroppo io non posso permettermelo: la facoltà di scienze politiche non ammette periodi di riflessione.-

 

- Scienze politiche?-

 

- Sì, vorrei entrare in politica e seguire le orme di mio padre. Il mio sogno è diventare la prima donna presidente dell'Egitto.-

 

- Complimenti, sei molto ambiziosa.-

 

- Grazie.-

 

- Ok, ora devo andare. E' stato un...-

 

- Aspetta, volevo chiederti una cosa. Tu sei di Loguetown?-

 

- No, sono di Cocoyashi. Mi sono trasferita qui solo ieri. Perchè?-

 

- Quindi non conosci bene la città?-

 

- Beh, non posso dire di conoscerla come le mie tasche, ma riesco comunque a orientarmi abbastanza bene. Ero già stata qui altre volte, per visitare dei parenti.-

 

- Ah, bene. Comunque, tornando alla domanda di prima, te l'ho chiesto perchè vorrei qualcuno che mi accompagnasse in giro per la città. Ora che mio padre è dovuto tornare all'improvviso in Egitto, sono rimasta sola con il nostro autista Igaram, che adesso sicuramente starà accompagnando papà all'aeroporto. E' un brav'uomo, ma non è proprio il massimo della compagnia. E poi vorrei approfittarne per stare con qualcuno della mia età.-

 

Nami si grattò il mento, riflettendo sulla richiesta dell'egiziana.- Si potrebbe anche fare. Io però la mattina lavoro, finisco alle 18:00.-

 

- Per me va benissimo, tanto passo la mattina a studiare. Ti va bene se ci incontriamo fuori dal Baratie verso quell'ora?-

 

- Purtroppo no. Vedi, il negozio dove lavoro è dall'altra parte della città, e per venire qui mi sono dovuta far prestare uno scooter...-

 

- Allora posso venirti a prendere io con Igaram. Ti va bene?-

 

- Hmm...va bene. Aspetta che ti dò l'indirizzo...- Frugò nella tasca e tirò fuori il foglio con l'indirizzo del negozio del signor Ivankov, porgendolo poi all'altra ragazza. Quest'ultima lo lesse, fece cenno di sì con la testa e glielo restituì.

 

- Grazie, Nami. Ci vediamo più tardi, allora.- Tese la mano destra, e Nami gliela strinse.

 

- D'accordo, Bibi. A dopo.-

 

Uscita dalla stanza, la rossa si incamminò verso l'ascensore. Quella Bibi sembra una brava persona, pensò. Chissà...magari andremo d'accordo, e potremmo anche diventare amiche. E forse...Un ghigno le si dipinse lentamente sul volto. No, meglio non pensare a quello. Magari è etero.

 

Iniziò a fischiettare e si mise le mani in tasca.

 

***

 

Contemporaneamente

Per le vie del centro

 

Dopo la colazione, Bellemere e Makino avevano deciso di prendersi la mattinata libera per passare un pò di tempo insieme e dedicarsi a quell'attività tanto amata dalle donne e che, al tempo stesso, è un incubo per gli uomini: lo shopping compulsivo.

 

Al momento, le due sorelle uscivano da un negozio con le braccia cariche di borse, ognuna delle due con un sorrisone stampato in faccia.

 

- Ah, quanto mi era mancato lo shopping!- disse Bellemere.

 

- Anche a me.- disse Makino.- Ma di sicuro a Shanks non sarà mancato.- Rise, subito imitata da sua sorella. Al poveretto sarebbe di sicuro venuto un colpo appena avesse visto tutta quella roba che avevano preso.- Che dici, ci prendiamo qualcosa da bere?-

 

- Ma sì, mi stava giusto venendo un pò di sete.-

 

Pochi metri più avanti c'era un bar, e le due si accomodarono su uno dei tavolini all'esterno. Posarono le borse a terra e ordinarono da bere: Makino un succo di frutta, Bellemere un White Russian (Il suo cocktail preferito).

 

- Allora, come ti trovi qui a Loguetown?- chiese Makino mentre il cameriere si allontanava.

 

- Finora bene. Spero solo che continui così anche in futuro.- rispose sua sorella.- A proposito, grazie ancora per il lavoro.-

 

- Figurati, se non ci si aiuta tra sorelle.- A quel punto tornò il cameriere con le loro ordinazioni. Makino lo ringraziò e le due iniziarono a bere.

 

- Magnifico!- esclamò Bellemere dopo aver mandato giù il White Russian in un colpo solo.

 

- Come fai a bere quella roba a quest'ora del mattino?-

 

- Il tempo è solo una convenzione umana. E poi, come ben sai ho uno stomaco di ferro.- Si accarezzò la pancia.

 

Makino ridacchiò.- Stai attenta, che anche il ferro prima o poi si arrugginisce.-

 

- Che fai, porti sfiga?-

 

- No, cerco solo di darti dei consigli. Ci tengo alla tua salute.-

 

- Tranquilla, che vuoi che mi succeda per un goccetto in più? E poi, bevo solo una volta ogni tanto.-

 

- Lasciamo perdere.- disse la moglie di Shanks, posando il bicchiere sul tavolino.- Piuttosto, per il resto come va?-

 

- Cosa intendi?-

 

- Voglio dire...come va sul fronte uomini?-

 

Bellemere si schiarì nervosamente la voce.- Ecco, non...insomma, non va.-

 

- In che senso?-

 

- Makino, forse non mi crederai, ma...sono due anni che non tocco un uomo.-

 

Makino rimase di sasso.- Cosa? E...e perchè?- Quasi non credeva alle sue orecchie. Fin da giovane, Bellemere era sempre stata un pò...vivace, da quel punto di vista.

 

- Beh, le ultime storie che ho avuto sono andate malissimo. Ho incontrato solo degli emeriti stronzi. Così ho deciso di prendermi una pausa.-

 

- E come hai fatto a...sì, hai capito, no?-

 

Bellemere le rispose facendo un gesto eloquente con la mano destra. Sua sorella annuì.- Capisco. E funziona?-

 

- Non è proprio la stessa cosa, ma aiuta a superare i momenti peggiori.-

 

- E fino a quando pensi che durerà, questa pausa?-

 

- Non lo so, forse fino a quando incontrerò un tipo decente. Ma credo che sarà difficile. Ho sempre di più l'impressione che la qualità degli uomini stia calando, specie tra quelli della nostra età.-

 

- Potresti sempre provare con qualcuno più giovane...-

 

- Ma per favore! Mi hai presa per una di quelle bagasce di mezza età che vanno coi ragazzini?-

 

- Credo che il termine sia "milf". E comunque, l'età ce l'avresti.-

 

- Ah, sì? Ti stai dimenticando che hai cinque anni più di me? Qui sei tu la vecchia, cara sorella.-

 

- Ehi, a chi hai detto vecchia?-

 

Ma prima che Bellemere potesse rispondere, in lontananza si udirono delle grida seguite da alcuni spari.

 

- E adesso che succede?- disse Makino con una punta di preoccupazione.

 

La risposta arrivò pochi secondi dopo, quando un uomo truccato da clown e armato di pistola emerse da un vicolo, con due poliziotti in divisa che gli correvano dietro. L'inseguito doveva essere parecchio veloce, perchè era riuscito a mettere diversi metri di distanza tra sè stesso e i poliziotti.

 

- Fermati, Buggy!- disse uno dei poliziotti, un giovanotto coi capelli verdi.

 

- Fottiti, sbirro!- rispose l'inseguito, girandosi leggermente per poter sparare meglio. I due poliziotti riuscirono a schivare i colpi. Molti dei passanti, in preda al panico, si rifugiarono dove meglio potevano. Fortunatamente, nessuno rimase ferito.

 

- Makino, credo che faremo meglio a...- fece per dire Bellemere, ma all'improvviso Buggy le arrivò accanto e si fermò.- Mmh...- Le cinse la gola con il braccio libero e le puntò la pistola alla tempia, girandosi verso i poliziotti.- Provate anche solo a pensare di avvicinarvi, e le faccio saltare le cervella!-

 

I due poliziotti si fermarono. Quello coi capelli verdi imprecò e fece per prendere la pistola, ma l'altro (Che, a differenza del suo collega, era biondo) lo bloccò con un'occhiata.- Fermo, Zoro.-

 

Buggy cominciò a sghignazzare.- Bene, bene, bene. Sembra proprio che siamo in un vicolo cieco, eh? Direi che c'è un solo modo per uscirne: gettate a terra le vostre pistole e allontanatevi.-

 

I due poliziotti esitarono.

 

- Avanti, non vorrete mica che spari alla signora? Forza, giù le pistole!-

 

Makino era rimasta immobile per la paura. Sua sorella, invece, era riuscita a mantenere un pò di sangue freddo, nonostante la pistola. Fece la prima cosa che le venne in mente: morse il braccio dell'uomo che l'aveva presa in ostaggio, il quale la lasciò subito andare e si mise ad urlare a squarciagola.

 

- IL MIO BRACCIO! LURIDA...-

 

- Quante storie per un morso!- Si alzò di scatto e mollò un calcio dritto tra le gambe di Buggy, con tanta di quella forza che perfino gli altri uomini presenti sulla scena strinsero i denti e si misero le mani sull’inguine.- Ecco, questo sì che sarebbe un buon motivo per lamentarsi.-

 

Il povero Buggy cadde a terra assieme alla pistola, le mani sopra la parte lesa.

 

- Bel colpo, signora.- disse una voce cavernosa alla sue spalle, accompagnata da un rumore di passi pesanti.- Quell'idiota se lo ricorderà per un bel pò.-

 

Bellemere inarcò un sopracciglio. Quella voce aveva un'aria familiare. Ma chi poteva...

 

- Capitano!- disse il poliziotto coi capelli biondi.

 

- E voi due dovreste vergognarvi! Farvi scappare così una mezzasega come Buggy...-

 

A quel punto scattò qualcosa nella testa di Bellemere. Quella voce...com'è possibile?, pensò la donna. Si girò e si trovò davanti l'ultima persona che si sarebbe aspettata di incontrare.

 

- Smoker!-

 

Il nuovo arrivato, un omaccione dai capelli bianchi e l'aria burbera, si fermò e guardò la donna con un'espressione a dir poco stupefatta.- Bellemere!-

 

Per un attimo fu come se il tempo si fosse fermato. Nessuno dei due fiatò o fece una mossa. Poi Smoker parlò.- Che ci fai qui?-

 

- Mi sono appena trasferita.- fu tutto quello che riuscì a dire la donna. Poi il suo sguardo si soffermò sui capelli dell'uomo.- Sei cambiato.-

 

- Già, anche tu.- C'era qualcosa nella sua voce e nel suo sguardo che fece capire a Bellemere che Smoker non era per niente felice di vederla.

 

- Smoker, io...- Ma l'uomo la zittì con un cenno della mano. Senza dire una parola, si avvicinò a Buggy, che stava ancora mugolando per il dolore, gli prese la pistola e se la mise in tasca. Poi tirò fuori un paio di manette e le mise ai polsi dell'altro uomo.- Grazie per aver steso quest'idiota.- disse rivolto a Bellemere. Poi costrinse Buggy ad alzarsi e gli diede uno spintone.

 

- Avanti, cammina!-

 

- Ehi, vacci piano, Callahan. Ho...-

 

- E sta zitto! Se hai tanta voglia di parlare, fallo col tuo avvocato.-

 

Smoker e Buggy si incamminarono, seguiti dai due poliziotti di prima.

 

- Mi scusi, signore, ma perchè quella donna l'ha chiamata Smoker?- chiese il poliziotto biondo.

 

- Impicciati degli affari tuoi, Pauly!- ruggì Smoker.

 

I quattro iniziarono ad allontanarsi, mentre molte delle persone che si erano fermate a guardare applaudivano Smoker, alcune di loro chiamandolo anche "Cacciatore Bianco". Smoker li ignorò. Subito dopo i quattro sparirono, e la gente tornò alle proprie occupazioni. Bellemere, ancora un pò scossa, tornò a sedersi al tavolino.

 

- Kyoko, chi era quello?-

 

- Non te lo ricordi?-

 

- Perchè, dovrei?-

 

- Era...il mio ragazzo del liceo. Clint Callahan.-

 

Gli occhi di Makino si spalancarono. Si ricordava bene di Clint Callahan, e di quello che era successo tra lui e sua sorella. Non erano bei ricordi.- Oh.-

 

- Già. Chi si aspettava di incontrarlo qui?-

 

Ci fu un attimo di pausa.

 

- Credi che sia ancora arrabbiato?- chiese la maggiore delle due sorelle Watanabe.

 

- Non hai visto come mi guardava? Era incazzato nero! Lui non è un tipo che dimentica tanto facilmente. E non ne avrebbe tutti i torti...- rispose l'altra. Poi sospirò e abbassò lo sguardo. Il ricordo di quello che aveva fatto tanti anni prima ancora la tormentava.- Dio, quanto ero stupida da giovane!-

 

Makino cercò di alleggerire l'atmosfera.- Beh, non è che sei cambiata molto, crescendo.-

 

Bellemere lanciò un'occhiataccia a sua sorella.- Ehi!- Le due si guardarono un attimo negli occhi, e poi scoppiarono a ridere.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Quando ho iniziato a preparare questa storia, ancora non si conosceva il cognome di Sanji (anzi, ancora non si sapeva che ce lo avesse, un cognome), perciò gli avevo dato il cognome Bergeron. Poi però il buon vecchio Oda mi ha sorpreso ancora una volta, e così ho dovuto cambiarlo (tra l'altro, nell'originale Sanji viene indicato come il terzogenito della famiglia Vinsmoke. In questo Au, i rampolli Vinsmoke sono sempre tre, ma Sanji è il secondogenito. Chi sono gli altri due? Lo scoprirete più avanti...)

 

Inoltre, in questo capitolo, oltre a introdurre altri personaggi, ho anche voluto darvi qualche avvisaglia di due delle coppie che si formeranno più avanti...ops! Mi sa che ho detto troppo ;) Vabbè, meglio che chiuda. Nel prossimo capitolo, che arriverà come sempre tra due settimane, entreranno in scena altri personaggi, tra cui una certa ragazza col nome di un animale australiano...

 

Ciao ciao, cari lettori!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 3: Caro fratello ***


Capitolo 3: Caro fratello

 

24 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

Terzo distretto di polizia

 

Come ci hanno ampiamente insegnato film e serie TV, il poliziotto americano ha due compagni inseparabili. No, non si tratta di pistola e distintivo, ma di ciambella e tazza di caffè. Certo, si potrebbe disquisire all'infinito sui valori nutrizionali di certe ciambelle, e sul fatto che quello che viene spacciato per caffè non è altro che una brodaglia nera e bollente buona solo per sciacquarsi le parti basse. Fatto sta che i poliziotti americani, durante le loro pause, sono sempre in compagnia dei suddetti articoli. Proprio come i quattro poliziotti che in quel momento erano in piedi attorno alla scrivania di uno di loro ad ascoltare barzellette sporche.

 

-...e alla fine il grassone dice: "Ma allora, se non era tua moglie io chi mi sono scopato ieri sera?"-

 

Seguì un coro di grasse risate.

 

- Cazzo, Bellamy, sei troppo forte!-

 

- Già, questa è una delle migliori che hai mai raccontato.-

 

- E sapete qual'è la parte migliore? E' successo davvero!- Altre risate.

 

Quei quattro poliziotti erano noti in tutto il distretto come "I Terribili Quattro". Non perchè fossero particolarmente indisciplinati, semplicemente perchè stavano sempre insieme. I loro nomi erano: Andrew Bellamy, fonte inesauribile di barzellette e aneddoti vari, detto "Iena" a causa del suo modo di ridere. Winston Pauly, il fumatore del gruppo (E l'unico a non avere un soprannome). Johnny Anderson, detto "Scheggia" per via della sua velocità nella corsa (Anche se le malelingue sostenevano che il soprannome glielo avesse dato una ragazza...). E infine, Zoro Roronoa, universalmente noto come "Musone", perchè non rideva mai. Al massimo, tirava fuori una smorfia che cercava di assomigliare ad un sorriso. Sicuramente vi starete chiedendo come mai se ne stava lì assieme agli altri tre ad ascoltare barzellette. Il fatto era che quei tre erano i suoi migliori amici, e per quanto a volte li considerasse chiassosi, gli piaceva stare con loro, e gli voleva bene (Ma non glielo avrebbe mai confessato. Aveva una dignità da mantenere, che diamine!)

 

In linea col suo soprannome, mentre gli altri si sganasciavano dalle risate e si davano delle pacche sulle ginocchia, Zoro rimaneva serio, annuendo di tanto in tanto e prendendo dei piccoli sorsi dalla tazza di caffè.

 

Bellamy smise di ridere e si sistemò meglio sullo schienale della sedia. Posò lo sguardo su Zoro.- Ehi, Zoro, com'è che non ridi? Non ti è piaciuta la storiella?-

 

- Al contrario, Bellamy. E' molto divertente.-

 

- E allora perchè non ridi?- gli chiese Pauly.

 

- Lo sai che rido mai.-

 

- Già, ora che mi ci fai pensare...perchè non ridi mai?-

 

- Non rientra nel mio carattere.- fu la secca risposta del poliziotto dai capelli verdi.

 

- Lo sai, da quando ti conosco, credo di non averti mai visto ridere.- disse Johnny.

 

- E' vero, neanche io.- disse Bellamy, prendendo una ciambella dalla scatola sulla sua scrivania e staccandone un grosso pezzo.- Mi viene il dubbio che tu ne sia capace.- Iniziò a masticare.

 

- Certo che ne sono capace.- rispose Zoro con una punta di fastidio.

 

- Forse non ride mai perchè ha cose più importanti a cui pensare.- ipotizzò Johnny.

 

- Mi sa che hai ragione. A cosa pensi, Zoro?- chiese Pauly.

 

- A niente.-

 

- Quindi non sei in grado di pensare?- disse Bellamy con un ghigno.

 

- Oppure ti vergogni a dircelo?- disse Johnny.- Dai, a cosa pensi?-

 

- A niente!-

 

- Aspetta, forse ho capito. Pensa a Tashigi!- esclamò Pauly.

 

Gli occhi di Bellamy si illuminarono. Pauly gli aveva lanciato un ottimo suggerimento.- Ehi, Zoro, non ti sarai mica innamorato di Quattrocchi?- Quattrocchi era il nomignolo che Bellamy aveva assegnato a Tashigi.

 

- Non dire cazzate, Bellamy.- rispose Roronoa.

 

- Andiamo, Zoro, non essere timido.- disse Johnny, mettendo una mano sulla spalla dell'amico.- Confessa i tuoi sentimenti...- fece per dire, ma un'occhiata assassina di Zoro lo interruppe. Ritrasse la mano.

 

- Se non a noi, a lei. Ne sarebbe felicissima!- disse Bellamy.

 

- Che vuoi dire?- chiese Zoro, che ormai cominciava ad averne abbastanza.

 

- Non dirmi che non ti sei accorto di niente!- continuò Iena.- Non hai notato come ti guarda?-

 

- Già, quella ti mangia con gli occhi!- intervenne Pauly.- Secondo me, se vi chiudessero entrambi in uno sgabuzzino, di te non rimarrebbero che le ossa.- rise. Stava proprio cominciando a prenderci gusto.

 

Zoro sbuffò.- State dicendo un mucchio di idiozie.-

 

- Ah, sì? Ci hai fatto caso che, quando ti sta vicino, cerca sempre una scusa per strusciartisi addosso?- ribattè Bellamy.

 

- E' solo goffa.-

 

- Può darsi, ma non hai visto le occhiate di gelosia che lanciava a quella giornalista che era venuta qui al distretto qualche giorno fa per intervistarti su quel caso di omicidio?- disse Scheggia.

 

- Quale giornalista?- gli chiese Bellamy, che quel giorno era assente.

 

- La tettona di Logue Channel, Paula Rockbell.-

 

- Sì, me la ricordo!- intervenne Pauly.- Per un attimo ho pensato che le avrebbe sparato. Tra l'altro, quel giorno anche la Rockbell guardava Zoro in una certa maniera...-

 

- Cazzo, Zoro, hai proprio una fortuna sfacciata! Sapessi quanto ti invidio!- sghignazzò Bellamy.

 

Zoro non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo, mentre i suoi compagni ridevano con ancora più gusto di prima.

 

Se lo sport preferito dalla maggior parte degli americani era il baseball, per Bellamy, Pauly e Johnny la faccenda era diversa: il loro sport preferito era prendere in giro Zoro.

 

- Siete dei coglioni.- disse Roronoa.

 

- Ahhh, ma così ci ferisci.- risposero in coro gli altri tre, fingendosi offesi.

 

Zoro sospirò e scosse la testa.

 

- Ehi, Zoro?-

 

Il poliziotto si girò e si trovò davanti Tashigi. Parli del diavolo, pensò.- Cosa c'è, Tashigi?-

 

L'occhialuta gli porse un foglio.- E' per il caso Moria. Devi mettere la tua firma qui sopra...- indicò una linea tratteggiata in fondo al documento. Nel farlo si sporse leggermente verso il suo collega, in modo da sfiorargli il braccio col seno.

 

Zoro, ottuso com'era, attribuì la cosa alla goffaggine della ragazza.- Non ho la penna...-

 

- Tranquillo, ce l'ho io.- Tashigi estrasse una penna dalla tasca del giubbotto, facendola "accidentalmente" cadere a terra.- Ops.- Si chinò per raccoglierla, offrendo così a Zoro la vista del suo bel didietro. Zoro distolse lo sguardo, mentre gli altri tre iniziarono a ridacchiare.

 

La ragazza si rialzò e diede la penna e il foglio al suo collega. Quest'ultimo appoggiò il documento sulla scrivania, firmò e restituì tutto a Tashigi.- Grazie, Zoro. A dopo.- Sorrise e uscì dalla stanza.

 

Zoro fece spallucce e riprese la tazza. Quella ragazza a volte era davvero strana.

 

- Che ti stavo dicendo, Zoro?- ridacchiò Bellamy.- Cerca sempre una scusa per strusciartisi addosso.-

 

- Bellamy, basta. Stai cominciando a stancarmi.-

 

- Uff, come sei noioso!-

 

Dopo quest'ultima frase, tutto tornò alla normalità. Bellamy iniziò a raccontare un'altra storiella, e Zoro prese un altro sorso di caffè. Chiuse gli occhi e iniziò a rilassarsi, sperando che non gli arrivassero altre scocciature.

 

Vana speranza...

 

- Zooorooo!-

 

Il poliziotto spalancò gli occhi e sputò a terra il caffè che stava bevendo. Quella voce...com'era possibile che...

 

Qualcuno degli altri poliziotti presenti nella stanza fischiò.- Ehi, bella, da dove salti fuori?-

 

- Sei venuta a farci compagnia?-

 

Zoro girò lentamente la testa verso l'entrata della stanza, e le sue peggiori paure si avverarono: lei era lì, con una mano appoggiata su un fianco e un ghigno demoniaco stampato in faccia. Una donna dai capelli verdi come i suoi, molto bella, con dei grandi occhi scuri. Koala Roronoa, celebre avvocatessa di New York e sua amatissima sorella maggiore.

 

La donna fece l'occhiolino al poliziotto che le aveva parlato.- Mi dispiace deludervi, ma sono qui per Zoro.-

 

Bellamy rivolse un'occhiata di ammirazione al suo amico.- Cazzo, Zoro, sei un vero magnete per donne.-

 

- E' mia sorella, imbecille! E voialtri tornate al vostro lavoro. Che c'è, non avete mai visto una donna?- ruggì Roronoa. Gettò la tazza in un cestino e si avvicinò alla nuova arrivata.

 

- Sempre gentile, il mio fratellino. Era così anche da piccolo, sapete?- Gli altri poliziotti sghignazzarono.

 

- Piantala!- Spinse la donna in corridoio e la seguì, chiudendo la porta.- Si può sapere che cazzo era, quello? E perchè sei qui?-

 

Koala arruffò i capelli di suo fratello, provocando un piccolo ringhio.- Anche io sono contenta di vederti. Comunque, metterti in imbarazzo rientra tra i miei doveri di sorella maggiore. Ed è troppo divertente!-

 

Zoro sbuffò.- Lasciamo perdere. Piuttosto, che ci fai qui? Non dovresti stare a New York?-

 

- Ti sei dimenticato che dopodomani è il Ringraziamento?-

 

- Il...ah, già.- Se ne era completamente dimenticato. Del resto, Zoro non aveva mai prestato molta attenzione alle ricorrenze.- E Sabo dov'è?- Sabo Vinsmoke, con cui lei aveva aperto uno studio legale a Manhattan, era suo marito.

 

- Al Baratie. E a questo proposito, ho una notizia da darti.-

 

- Cos'è, sei incinta?-

 

- No. Riguarda il Ringraziamento. Il vecchio Zef ci ha invitati tutti a pranzo nel suo ristorante.-

 

- Tutti? In che senso?-

 

- Nel senso che siamo inclusi anche tu, io e papà.-

 

Zoro non credeva alla proprie orecchie. Zef Vinsmoke non aveva mai provato molta simpatia per i Roronoa, e nessuno sapeva il perchè. Quando suo figlio Sabo aveva deciso di sposare Koala, il vecchio era andato su tutte le furie, tanto che non era neanche venuto al matrimonio, e successivamente non gli aveva parlato per sei mesi. C'era voluto l'intervento degli altri suoi due figli per fargli riallacciare i rapporti con Sabo. Il poliziotto non aveva mai capito il perchè di tutta quella avversione. Neanche suo padre, l'ormai anziano Issho Roronoa, lo sapeva. Oppure, se lo sapeva, aveva evitato di dirglielo.

 

Dal canto suo, Zoro non aveva nulla contro la famiglia Vinsmoke. Tranne per quanto riguardava quel damerino di Sanji: lo odiava a morte, e il pensiero di essere imparentato con lui non lo rendeva per niente felice.

 

- E come mai? Se ricordo bene, non gli andiamo molto a genio.-

 

- Chi lo sa? Forse ha cambiato idea. Comunque, ci sarai, sì o no?-

 

Zoro riflettè per un attimo. La prospettiva di ritrovarsi nella stessa stanza con quel cretino di Sanji non lo entusiasmava per niente, ma era curioso di scoprire il motivo della decisione del vecchio Zef. E poi, almeno avrebbe potuto assaggiare di nuovo la cucina del Baratie (Ancora si ricordava le leccornie che aveva gustato al matrimonio di Koala, tutte preparate da quel cretino di Sanji. Per quanto lo detestasse, doveva riconoscere che in cucina ci sapeva fare). Annuì.- Va bene, ci sarò.-

 

Koala sorrise.- Perfetto.- Guardò l'orologio che portava al polso.- Ok, ora vado da papà. Ci vediamo più tardi, fratellino.- Si sollevò sulla punta dei piedi e gli diede un bacio in fronte, per poi scoccarne un altro con le dita in direzione di qualcuno alle spalle di Zoro e allontanarsi ancheggiando vistosamente.

 

Zoro si girò di scatto e scoprì il motivo del gesto: Bellamy, Pauly e Johnny erano incollati al vetro della porta. Notando l'espressione di Zoro, si allontanarono tutti molto rapidamente.

 

Roronoa rientrò nella stanza accolto da un silenzio tombale. Ma durò poco.

 

- Come sei gentile, fratellino!- disse Bellamy.

 

- Proprio come uno scaricatore di porto, fratellino.- gli fece eco Johnny, mentre Pauly si limitava ad annuire. Gli altri poliziotti presenti nella stanza osservavano divertiti la scena.

 

- PIANTATELA, BRANCO DI STRONZI!- ruggì il Capitano Callahan, comparso improvvisamente da chissà dove.- Questo è un distretto di polizia, non un centro ricreativo! Tornate al lavoro, o vi sbatto tutti a dirigere il traffico!-

 

Tutti gli agenti, inclusi i Terribili Quattro, eseguirono immediatamente l'ordine.

 

***

 

Contemporaneamente

Nella cucina dell'hotel-ristorante Baratie

 

Sanji si avvicinò il mestolo alla bocca e assaggiò il contenuto.- Mmh...manca ancora un pò di sale, ma per il resto ci siamo. Bravo, Kobi. Stai davvero facendo progressi.-

 

L'interpellato rivolse al biondo un sorriso imbarazzato e si grattò la nuca.- L-la ringrazio, s-signor Vinsmoke.-

 

Sanji posò il mestolo e sorrise a sua volta. Nonostante gli avesse detto più volte che poteva anche chiamarlo Sanji, il giovane aiuto-cuoco continuava a dargli del lei.- Ah, un'altra cosa. Ti consiglierei di non stare troppo vicino al fornello, a meno che non desideri prendere fuoco.-

 

Kobi si accorse solo in quel momento di avere la manica della camicia pericolosamente vicina alla fiamma. Spostò rapidamente il braccio e riprese a cucinare, il viso rosso per l'imbarazzo.

 

Il giovane Vinsmoke sospirò e incrociò le mani dietro la schiena. Iniziò a camminare, lanciando ogni tanto delle occhiate all'operato degli altri inservienti della cucina, ognuno dei quali impegnato a preparare una portata diversa. Alcuni stavano lavorando al pranzo del giorno, altri invece si occupavano delle pietanze da spedire a domicilio ai clienti che le avevano ordinate (Una trovata di Sanji, che aveva incrementato di parecchio le entrate del ristorante. In quel modo, anche chi non era mai stato al Baratie poteva assaporarne la cucina). Per la maggior parte si trattava di persone che lavoravano lì da anni, ma alcuni, come Kobi, erano stati assunti da poco. E, con grande dispiacere di Sanji, nessuno di loro era una donna (Ma in fondo era meglio così. Se in cucina fosse stata presente una rappresentante del gentil sesso, Sanji avrebbe passato tutto il tempo a provarci con lei, e il lavoro ne avrebbe risentito).

 

Prese una sigaretta dal pacchetto che aveva nel taschino della giacca e fece per accenderla, ricordandosi solo allora che in cucina era proibito fumare. Tenendo la sigaretta stretta tra due dita, uscì dalla stanza e si avviò verso l'esterno.

 

Una volta fuori, appoggiò la schiena al muro e accese la sigaretta. Prese una bella boccata e chiuse gli occhi, producendo poi una nuvoletta di fumo. Che gusto, pensò il biondo. Quasi meglio del bacio di una donna.

 

Rimase così per qualche minuto, gustandosi la sigaretta e il silenzio che lo circondava. Ma poi, all'improvviso...

 

- Che fai, Sanji? Batti la fiacca?-

 

...la voce di suo padre lo fece trasalire. Com'è possibile? Il vecchio ha detto che sarebbe tornato tardi...

 

Aprì gli occhi di scatto e si trovò davanti il proprietario della voce.

 

- Hahaha! Piaciuto lo scherzo, fratellino?-

 

Era Sabo, il suo fratello maggiore. Sanji lo guardò confuso per un attimo, poi si ricordò che, fin da piccolo, Sabo era sempre riuscito ad imitare benissimo la voce di papà Vinsmoke, e ne aveva sempre approfittato per fargli degli scherzi.

 

Il biondo tirò un sospiro di sollievo.- Accidenti a te, mi hai fatto prendere un colpo...- Si avvicinò a suo fratello e lo abbracciò.- Comunque, è bello vederti, fratellone. Quando sei arrivato?-

 

- Poco fa, sono venuto qui dall'aeroporto col taxi. Ehi, non è che mi daresti una delle tue sigarette?-

 

- Certo.- Sanji pescò una sigaretta e la diede a Sabo, accendendola subito dopo.

 

- Ah...- sospirò Sabo esalando una striscia di fumo.- Quanto mi era mancato...-

 

- Non fumi da parecchio?-

 

- Già, tutto merito di Koala. Pensa un pò, un giorno ha preso il pacchetto che avevo appena comprato, lo ha spezzato in due e mi ha detto: "O rinunci alle sigarette, o rinunci al sesso".- Si strinse nelle spalle.- Che altro potevo fare?-

 

Sanji ridacchiò.- Certo che ti sei preso proprio una bella rompipalle.-

 

- Ehi, modera i termini. E' di mia moglie che stai parlando.- Tuttavia, Sabo doveva ammettere che Sanji non aveva tutti i torti. Dietro una patina di dolcezza, Koala nascondeva un carattere autoritario e volitivo, e se si arrabbiava erano guai per tutti (Non per niente era considerata la più feroce avvocatessa divorzista di New York. Il che era un pò ironico, considerando che il suo matrimonio con Sabo andava a gonfie vele). Ma in fondo, era anche per quello che lui la amava così tanto.

 

- A proposito, dov'è la tua signora?-

 

- Da Zoro, poi ha detto che andava da suo padre assieme ai nostri bagagli. E' da lui che staremo. Voleva anche passare a salutarti, ma ho pensato che fosse meglio non farla venire qui prima di dopodomani. Sai, con papà in giro...-

 

- Beh, potevi anche farla venire. Il vecchio è uscito.-

 

- Ah, sì? E dove è andato?-

 

- Non lo so, non me lo ha detto. Ora che ci penso, però, è da qualche giorno che si comporta in modo strano. E' sempre di pessimo umore...più del solito, voglio dire. E poi c'è quella faccenda del Ringraziamento...-

 

- Già, me lo stavo chiedendo anche io. Secondo te perchè ha deciso di invitare i Roronoa?-

 

- Chissà. Forse ha finalmente deciso di seppellire l'ascia di guerra.-

 

- Lo spero. Stavo cominciando a stancarmi di quel suo atteggiamento ostile verso la famiglia di Koala.- Sospirò.- Piuttosto, cambiamo argomento. Che novità ci sono in città?-

 

- Mah, le solite cose.-

 

- E Kaya? Alla fine l'ha trovato, un lavoro?- Kaya era la terzogenita della famiglia Vinsmoke, e aveva da poco iniziato a frequentare la facoltà di medicina alla Marijoa University di Loguetown. Sebbene inizialmente avesse accettato l'aiuto economico del padre, dopo un pò aveva insistito per mantenersi da sola, e si era messa a cercare un lavoro. Il vecchio Zef, già contrariato dalla decisione della ragazza di non dedicarsi all'attività di famiglia (Aveva sperato che un giorno tutti e tre i suoi figlioli avrebbero gestito insieme il Baratie. Purtroppo, non era andata così. Con Sabo avvocato e Kaya decisa a fare il medico, era rimasto solo Sanji. E fortunatamente, almeno lui non aveva deluso le aspettative di suo padre), aveva cercato di intromettersi, ma Kaya era stata categorica: voleva fare tutto da sola. La piccola di casa Vinsmoke ci teneva particolarmente alla propria indipendenza.

 

- Sì, l'ha trovato giusto qualche giorno fa. Lavora come barista in un locale in centro.-

 

- Quale locale?-

 

- Non l'ha detto. Lo sai come è Kaya: guai se qualcuno le fa troppe domande, o cerca di intromettersi nelle sue faccende.-

 

- Kaya...lo sai, certe volte mi riesce difficile credere a quanto sia cambiata, nel corso degli anni. Se penso a come era da piccola...giuro, mai mi sarei aspettato che diventasse così determinata.-

 

- Già, ha sorpreso anche me.- Sanji smise di fumare e buttò a terra la sigaretta, schiacciandola con la punta della scarpa. Si mise le mani in tasca.- Ma è una buona cosa, no?-

 

- Direi proprio di sì. Piuttosto, tu cosa mi racconti, fratellino?-

 

- Niente di nuovo.-

 

- Proprio niente? Magari qualche ragazza?-

 

- Mah...che vuoi che ti dica, c'è penuria di questi tempi.- Per un attimo nell'aria echeggiò la risata dei due fratelli, poi Sanji assunse un'espressione pensierosa.- A dire la verità, una cosa ci sarebbe...-

 

- Spara.-

 

- Giura che terrai la bocca chiusa.-

 

- Giuro. Chi hai messo incinta?-

 

- Nessuno, idiota! Si tratta di una cosa a cui sto lavorando nel tempo libero. Un progetto che, se tutto andrà bene, mi renderà famoso.-

 

- Addirittura! E cosa sarà mai?-

 

- Una nuova ricetta. Ho intenzione di chiamarla "All Blue", e sarà una zuppa di pesce. Sto ancora lavorando sulle combinazioni dei vari ingredienti, perciò non ho detto niente a nessuno. Ma quando avrò finito...oh, quando avrò finito...- Ci fu un attimo di pausa, e poi riprese a parlare.

 

- Sai, per tutta la mia vita sono stato indicato come "il figlio di Zef", oppure "quello del Baratie", e la cosa sta cominciando a darmi fastidio. Non fraintendermi, voglio bene al vecchio, e mi piace un sacco lavorare qui. Ma voglio cercare di staccarmi dall'ombra della famiglia. Voglio diventare famoso per qualcosa che ho fatto io. Capisci quello che voglio dire?-

 

Sabo annuì e gettò via la sigaretta ormai consumata.- Ti capisco, eccome. E' anche per questo motivo che ho deciso di fare l'avvocato.-

 

- Credevo che fosse perchè sei negato in cucina...-

 

- Anche.- I due fratelli risero di nuovo, stavolta più a lungo, ricordando i vari incidenti in cucina di cui Sabo era stato protagonista negli anni.

 

- Comunque, non devi dire niente a nessuno, capito? Neanche a Koala.- disse Sanji.- Voglio che sia una sorpresa per tutti quanti. L'ho detto a te solo perchè sei il mio fratellone.-

 

- Non preoccuparti, manterrò il segreto, se non dirai a Koala che ho fumato...e soprattutto se mi darai un'altra sigaretta!- aggiunse sogghignando.

 

- Certo.- Sanji prese altre due sigarette, le accese entrambe e ne passò una a Sabo.

I due fratelli rimasero lì a chiacchierare un altro pò, poi entrarono nel ristorante.

 

***

 

Nel pub Red Force

 

-...quante ore hai detto che ci metterà, l'aereo?...bene, allora ci vediamo stasera all'aeroporto, tesoro. Buon viaggio.-

 

Shanks mise fine alla chiamata e posò il telefono sulla scrivania, tirando un sospiro di sollievo. Finalmente, dopo dieci giorni, la sua bambina stava per tornare a casa.

 

Bambina..., pensò il rosso. Devi smetterla di pensare a lei in quel modo, Shanks. Ormai ha ventitre anni. Tra un pò sarà lei a sfornare una bambina. Un brivido di terrore gli corse lungo la schiena. Il più tardi possibile, spero.

 

Come la maggior parte dei padri, Shanks faticava ad accettare l'idea che sua figlia stesse crescendo. Nella sua mente, Nojiko era sempre una bambina dai capelli blu che giocava col suo orsacchiotto e che correva a dormire nel lettone dei genitori quando c'era un temporale. Ma ormai, quei tempi erano passati. Nojiko era diventata una donna, e lui non poteva fare altro che accettarlo.

 

Sbadigliò e accese il computer con l'intenzione di farsi una partitina a Solitario, quando all'improvviso sentì il rumore della porta d'ingresso che veniva sbattuta con forza. Qualcuno era entrato nel locale.

 

- EHI, C'E' NESSUNO IN CASA?-

 

Avrebbe riconosciuto ovunque quella voce. Era quella di suo fratello Eustass, detto Kidd. Si alzò e si diresse verso la porta dell'ufficio, chiedendosi cosa diavolo ci facesse lì a quell'ora, visto che di solito dormiva fino a tardi.

 

Aprì la porta e aggrottò la fronte, facendo qualche passo verso il nuovo arrivato.- Kidd, quante volte ti ho detto di non sbattere la porta?-

 

L'altro uomo sbuffò.- Quante storie per una porta. Se si rompe la ripari, no?- Gli si avvicinò e lo stritolò con un abbraccio.- Come te la passi, fratellone? E' da un pò che non ci si vede, eh?-

 

Kidd era il fratello minore di Shanks, ma a parte il legame di sangue e i capelli rossi, i due non avevano praticamente nulla in comune. Tanto per cominciare, Kidd era molto più alto di Shanks. Era anche più muscoloso, grazie alle innumerevoli ore che passava ogni giorno in palestra. Anche il suo carattere era diverso: se Shanks era serio, maturo e responsabile, Kidd era il suo esatto opposto. A quaranta anni suonati continuava a comportarsi come un adolescente, e a nulla erano valsi i tentativi di suo fratello di fargli mettere la testa a posto. Inoltre, Kidd aveva sempre avuto l'abitudine di frequentare persone poco raccomandabili, tra cui un losco uomo d'affari di nome Saul Capone che si diceva fosse a capo di una cosca mafiosa. Anche il suo lavoro non rientrava tra le cose che Shanks avrebbe approvato: Kidd era infatti proprietario di diversi locali notturni di Loguetown, tra cui lo strip-club Amazon Lily.

 

Tuttavia, Kidd non era una cattiva persona. Era semplicemente uno scapestrato. E sebbene Shanks avesse dovuto tirarlo fuori dai guai più di una volta, arrivando spesso pericolosamente vicino all'esasperazione (Non tanto sua, ma di Makino), continuava lo stesso a volergli bene. E Kidd lo sapeva.

 

Shanks si divincolò dalla stretta di Kidd, pensando che prima o poi avrebbe dovuto farsi controllare le ossa da un bravo medico.- Già, è passato davvero un pò. Comunque, perchè sei qui? Cosa ti serve?-

 

- Che c'è, non posso neanche passare a trovare mio fratello?- disse Kidd con finta innocenza.

 

Shanks incrociò le braccia all'altezza del petto.- Sappiamo entrambi che lo fai solo se ti serve qualcosa.-

 

- Va bene, mi hai scoperto. Mi serve la tua macchina per un paio di ore.-

 

- Perchè? Cos'è successo alla tua?-

 

- Ehm...un piccolo incidente. Niente di grave, per fortuna. Il tipo dell'officina mi ha detto che sarà pronta domani pomeriggio. Però nel frattempo mi serve la tua macchina.-

 

- Non puoi usare l'autobus?-

 

- Eddai, fratellone! Solo per un paio d'ore, poi te la riporto e ti faccio anche il pieno, giuro.-

 

Shanks sospirò.- E va bene.- Prese le chiavi della sua macchina dalla tasca dei pantaloni e le diede a Kidd.- E' parcheggiata qua davanti. Ma vedi di riportarmela, capito? Più tardi devo andare a prendere Nojiko all'aeroporto.-

 

Kidd gli sorrise.- Non preoccuparti, fratellone. Te la riporterò tutta intera.- A quelle parole, Shanks provò una certa inquietudine.- Grazie, comunque. Ci vediamo più tardi!- Fece per girarsi e andare verso la porta.

 

Suo fratello lo fermò.- Aspetta. Ci sarai, per il Ringraziamento?-

 

Kidd annuì.- Certo, come potrei mancare? Tua moglie sarà anche un'arpia, ma prepara il tacchino migliore di tutta la città.- Tra Kidd e Makino non correva buon sangue, ma lei lo sopportava lo stesso per amore di Shanks.- E poi, il Ringraziamento l'abbiamo sempre passato insieme, no? Non preoccuparti, ci sarò. A dopo, fratellone!- Al che si mise a fischiettare e uscì dal locale.

 

Shanks non potè fare altro che scuotere la testa e chiudere la porta, per poi rientrare nel suo ufficio.

 

Speriamo che non mi distrugga la macchina, riflettè il rosso. Sennò, è la volta buona che Makino mi ammazza.

 

***

 

Tratto da Wikipedia

 

TRICOSI POLICROMICA (Ultimo aggiornamento risalente al 20/10/15): Bizzarra ma innocua anomalia genetica diffusa in tutto il mondo, manifestatasi per la prima volta in Giappone nel 1902. Così battezzata l'anno successivo dallo scienziato polacco Hershel Hillk, poi vincitore del Premio Nobel per la medicina, la Tricosi Policromica determina una serie di colorazioni inusuali (Ad esempio, blu, oppure verde) nei capelli del suo portatore. Nonostante anni e anni di ricerche, ancora nessuno è riuscito a capire quali siano le origini di questa anomalia. L'unica cosa certa è che non si tratta di una caratteristica ereditaria. Secondo recenti stime, una persona su mille presenta questa anomalia nel proprio patrimonio genetico. Esempi di personaggi famosi affetti dalla Tricosi Policromica sono: Paul Iceburg, politico australiano della metà del 20° secolo (Capelli blu); Franky Flam, sportivo americano contemporaneo (Capelli azzurri).

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Nel caso ve lo stiate chiedendo, mi sono inventato questa storia della Tricosi Policromica per spiegare gli strani colori che hanno i capelli di certi personaggi degli anime. Che ve ne pare, è plausibile?

 

Il Saul Capone menzionato nella scena con Kidd e Shanks è una versione alternativa di Capone “Gang” Bege. Perché l’ho chiamato Saul? Boh.

 

Arrivederci tra due settimane, cari lettori! E lasciatemi un commento.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 4: Alte sfere ***


Capitolo 4: Alte sfere

 

24 Novembre 2015

Sacramento, California, USA

Governor's Mansion

 

Costruita nel 1877, la Governor's Mansion è una elegante villa composta da trenta stanze divise su tre piani. Dal 1903 al 1967 è stata la residenza del Governatore della California, ed è tornata ad esserlo nel 2012, quando l'appena eletto Edward Newgate decise di farla restaurare e di riutilizzarla come residenza ufficiale. In un'intervista alla CNN, Newgate aveva dichiarato che sarebbe stato stupido costruire una nuova residenza quando ce n'era una già pronta, e che la dignità del suo ufficio richiedeva un luogo adeguato. Così, dopo una serie di adeguati restauri, il Governatore aveva trasferito la sua immensa mole nella villa.

 

Attualmente, Newgate si trovava nel suo ufficio assieme a Benn Beckman, suo caro amico e adjutant general della Guardia Nazionale californiana (Cioè il comandante generale de facto delle forze armate di quello Stato, mentre il Governatore era il comandante in capo). Erano entrambi un pò avanti con gli anni: Newgate aveva 78 anni, Beckman 69. Ciò nonostante, non erano certo due vecchi decrepiti. Erano infatti miracolosamente riusciti a conservare buona parte del loro vigore, tanto che spesso riuscivano a dare del filo da torcere ai più giovani, soprattutto Newgate. Alto più di due metri, con una muscolatura da far invidia a un culturista, aveva una forza che gli permetteva di piegare sbarre di ferro a mani nude. E come spesso accade con gli uomini con questo tipo di corporatura, aveva un carattere gioviale e un cuore d'oro. Era stato proprio questo a farlo amare dagli abitanti della California, che lo consideravano una sorta di nonno e lo avevano soprannominato affettuosamente "Barbabianca", per via appunto della sua lunga barba (Anche se di recente l'aveva tagliata, lasciando solo due lunghi baffi acconciati in modo da formare una mezzaluna).

 

Benn Beckman era un pò più basso (Era alto un metro e novanta) e meno muscoloso del Governatore, oltre che più giovane, ma era altrettanto forte. E, a differenza dell'altro, era quasi sempre di pessimo umore (Un tempo era stato un pò più allegro, ma la morte di sua moglie venti anni prima lo aveva cambiato), oltre ad essere uno stacanovista impressionante.

 

I due si erano conosciuti nel 1952, quando Newgate, all'epoca già un mastodonte, aveva impedito ad alcuni bulli di pestare il piccolo Benn. Dopo quell'episodio erano diventati grandi amici, nonostante la differenza di età, ed erano rimasti in contatto negli anni. Ne avevano passate di cotte e di crude, e si erano sempre aiutati quando potevano.

 

In quel momento, i due, seduti ai lati opposti della grossa scrivania del Governatore (Fatta apposta per la sua stazza, così come la poltrona), stavano discutendo di un problema che riguardava l'intera California.

 

- Quanti morti hai detto che ci sono stati?- chiese il Governatore.

 

- 13, e una cinquantina di feriti. Ma sarebbe anche potuta andare peggio. Per fortuna, i miei ragazzi sono riusciti a reagire in tempo. E abbiamo anche avuto un grosso aiuto da quelli della Cipher Pol.- rispose il Generale.

 

- Bene. E i responsabili?-

 

- Se la sono data a gambe subito dopo, quei figli di puttana. Non siamo riusciti a catturarne nessuno, purtroppo.-

 

- Quanti ce ne sono stati questo mese, incluso questo qui?-

 

- Tre.-

 

- Merda. Proprio un bel modo per cominciare il mio secondo mandato, eh? Tre attentati nel giro di un mese.-

 

Poche settimane prima, c'erano state le elezioni per scegliere il nuovo Governatore della California, e Newgate aveva vinto di nuovo. Il suo secondo (e ultimo) mandato sarebbe iniziato il 4 Gennaio 2016. Alcuni suoi colleghi del Partito Democratico, vista l'età, gli avevano suggerito di non ricandidarsi, ma lui li aveva sonoramente mandati al diavolo. Si sentiva ancora forte come un leone, e aveva tutte le intenzioni di rimanere in sella finchè la legge glielo avesse permesso.

 

Purtroppo, negli ultimi tempi il suo lavoro era diventato molto più difficile a causa di una simpatica organizzazione terroristica nota come Baroque Works, i quali, dopo anni di silenzio, avevano deciso di tornare a farsi sentire. E nonostante tutti i suoi sforzi, il Governatore non era ancora riuscito ad assicurarli alla giustizia. La cosa stava anche iniziando a minare la sua popolarità. Non in maniera particolarmente seria, ma era comunque una cosa di cui doveva tenere conto. Il suo unico interesse era proteggere i cittadini, e per farlo aveva bisogno del loro sostegno.

 

- Mi dispiace, Edward.-

 

- Non cominciare, Benn. Non dipende da te. Quei bastardi sono imprevedibili. E poi, non ci siete solo voi della Guardia Nazionale a dargli la caccia. Polizia, FBI, NSA...tutti collaborano.-

 

- Già, ma senza arrivare a dei risultati. Quanti terroristi sono stati arrestati, da quando la Baroque Works si è rifatta viva? Manco uno. E' come se...non so, a volte ho come l'impressione che ci sia qualche pezzo grosso che li copre.-

 

Newgate annuì.- E' un'ipotesi plausibile.-

 

- Sì, ma chi potrebbe essere? Qualche tuo avversario deciso a screditarti? L'industria delle armi? O magari una potenza straniera?-

 

- Adesso non esageriamo, Benn, o comincerai a vedere complotti ovunque.-

 

- Sai, Edward, certe volte sembra proprio che non ti importi molto.-

 

- Mi importa, eccome. Ma cerco lo stesso di rimanere calmo e di procedere seguendo metodi razionali. A differenza di una certa persona di mia conoscenza.-

 

- Vorrei vedere te, se quei pezzi di merda avessero ammazzato tua moglie.- disse Benn con una smorfia.

 

Il Governatore sospirò e scosse la testa.- Benn, non dovresti fare così. Capisco la tua rabbia, ma a lungo andare non ti farà altro che male.-

 

- E secondo te cosa dovrei fare?-

 

- Darti una calmata, tanto per cominciare. Magari cercare di riposarti.-

 

- Riposarmi? RIPOSARMI?! Edward, stai scherzando o cosa?-

 

- Sto dicendo sul serio. Sei sempre stato uno che lavora sodo, ma quando si tratta della Baroque Works diventi praticamente irriconoscibile. Ti trasformi in una macchina, come uno di quei Pacifista dell'Esercito. Vai avanti senza sosta, pensi solo al tuo nemico e ti dimentichi persino di dormire! Guarda un pò che razza di borse che hai sotto gli occhi!-

 

- Stai dicendo che dovrei smetterla?-

 

- No, ti sto solo suggerendo di prenderti una pausa. Ecco, dopodomani è il Ringraziamento. Perchè non vai a Loguetown da Shanks? E' da tanto che non vai a trovarlo.-

 

- Edward, ho un lavoro da svolgere...-

 

- Ti sostituirà il Colonnello Hawkins.-

 

- No, Edward, io...-

 

A quel punto, Barbabianca perse la pazienza. Battè uno dei suoi colossali pugni sulla scrivania, provocando un piccolo terremoto, e si erse in tutta la sua statura, fissando minacciosamente il suo amico Benn negli occhi.

 

- GENERALE BENJAMIN BECKMAN! TI ORDINO DI PRENDERTI UN PERIODO DI RIPOSO!- E sottolineò la frase con un altro pugno sulla scrivania, formando così un cratere in miniatura.

 

Benn era rimasto in silenzio, gli occhi sgranati. Non aveva mai visto il suo amico comportarsi in quel modo.

 

Il colossale Governatore si calmò e assunse un tono più amichevole.- Benn, è per il tuo bene. Juls non vorrebbe vederti consumarti in questo modo.-

 

Sentire il nome della moglie defunta fece scattare qualcosa nel Generale Beckman, perchè a quel punto sospirò e annuì rassegnato.- Va bene, andrò da Shanks.-

 

Newgate sorrise.- Ottimo. Portagli i miei saluti, e ricorda non voglio vederti prima di almeno una decina di giorni.-

 

- Non è un pò troppo?-

 

- Benn...-

 

- Va bene, va bene. Partirò stasera stessa.-

 

Il Governatore annuì soddisfatto e tornò a sedersi.

 

***

 

Contemporaneamente

Loguetown, California, USA

Municipio

 

Il municipio di Loguetown non era antico e sontuoso tanto quanto la Governor's Mansion, ma possedeva una sua certa eleganza. Costruito nel 1906, era un edificio di due piani sormontato da una torre con un grande orologio. Era stato ristrutturato più volte negli anni, la prima delle quali nel 1955, quando un fulmine aveva colpito la torre dell'orologio, quasi distruggendola. Fortunatamente, eventi così disastrosi non si erano più verificati, e i successivi interventi si erano occupati solo della manutenzione ordinaria.

 

Al suo interno, decine di persone andavano e venivano dai vari uffici. E in uno di questi, il sindaco della città era impegnato in una conversazione col suo vice.

 

Il nome del sindaco era Jonas Petricelli, ed era un uomo di 53 anni, alto e robusto, vestito in maniera molto elegante, coi capelli neri e una cicatrice che gli attraversava il volto, frutto di un incidente di caccia avvenuto quando aveva 18 anni (E in cui tra l'altro aveva anche perso la mano destra, ora sostituita da un uncino, visto che si era sempre rifiutato di farsi mettere una protesi). Il vice-sindaco, invece, aveva 65 anni e i capelli grigi, e si chiamava Rayleigh Silvers. Vestiva in maniera un pò più umile rispetto all'altro, e gli occhiali rotondi che portava contribuivano a dargli un'aria da maestro di scuola. I due si conoscevano da diversi anni, ma non erano proprio amici. Semmai, li si sarebbe potuti definire "semplici conoscenti" o anche "avversari con un certo rispetto reciproco", visto che appartenevano a due schieramenti opposti (Petricelli era Repubblicano, Rayleigh Democratico. Erano rimasti tutti di stucco quando il primo aveva scelto il secondo come vice, e Petricelli aveva spiegato la sua scelta con la necessità di avere una persona saggia in grado di aiutarlo ad amministrare la città).

 

Al momento, i due si stavano occupando di organizzare la festa per il centenario di Loguetown, che si sarebbe tenuta il 10 Febbraio 2016.

 

- Hai pensato a qualcuno per il concerto?- chiese il sindaco.

 

- Sì, ho in mente diverse persone, ma non riesco a decidere. Tu chi sceglieresti?- rispose il vice.

 

- Mah. Vediamo...Springsteen?-

 

- Buona idea. Ma sei sicuro che possiamo permettercelo?-

 

- Possiamo, fidati. E poi, il Boss non è particolarmente esoso.-

 

- Bene, e Springsteen sia. Ah, e se dovesse dire di no, che facciamo?-

 

- Potremmo sempre ripiegare su qualcun altro, magari...-

 

La frase del sindaco fu interrotta all'improvviso quando la porta dell'ufficio si spalancò di botto.

 

- Zio Jonas, ti ho portato quel pacco che avevi ordinato!-

 

A parlare era stato un personaggio a dir poco bizzarro. Un ragazzo poco più che ventenne, con i capelli tinti di verde che formavano una grossa cresta, e vestito in una maniera che ricordava certi gruppi punk inglesi degli anni 70. Il suo nome era Bartolomeo Rogers, ed era il nipote del sindaco. Oltre all'abbigliamento, la sua caratteristica principale era la devozione quasi fanatica che nutriva per lo zio, e che più di una volta aveva dato vita ad episodi imbarazzanti (Tanto che Petricelli cercava di pubblicizzare il meno possibile il regalo di parentela col ragazzo).

 

- Ah...grazie, Bartolomeo. Dammi pure.- Il ragazzo si avvicinò alla scrivania e consegnò il pacco allo zio.- Ora, potresti andare a prendermi un caffè, per favore?-

 

- Certo, zio. Signor Silvers, ne vuole uno anche lei?-

 

- No, grazie.-

 

- Va bene, torno subito!- Il ragazzo corse fuori dalla stanza con la rapidità di un proiettile.

 

- Sai, a volte mi chiedo davvero come fai a sopportarlo.- disse Rayleigh aggiustandosi gli occhiali.

 

- Non me ne parlare. Se non fosse il figlio della mia defunta sorella, me ne sarei già liberato.- disse Petricelli, mettendo il pacco in uno dei cassetti della scrivania.- Di che stavamo parlando?-

 

- Di chi potremmo chiamare se Springsteen dovesse dire di no.-

 

- Uhm...Bob Dylan?-

 

- No, è in tour all'estero e sa Dio quando tornerà.-

 

- E chi, allora?-

 

- Senti, facciamo così: decidiamo domani. Tanto non c'è fretta, no? Ci siamo già occupati dei dettagli importanti.-

 

- Come vuoi, Jonas.- Rayleigh diede un'occhiata all'orologio che aveva al polso.- Senti, ti spiace se me ne vado un pò prima?-

 

- No, fai pure.-

 

- Grazie, Jonas. Ci vediamo domani, allora.-

 

- A domani, Rayleigh.-

 

Jonas Petricelli aspettò che il suo vice fosse uscito dalla stanza, poi prese dal cassetto il pacco che gli aveva portato Bartolomeo, lo aprì ed esaminò il contenuto.

 

Se mi vedesse qualcuno, pensò sorridendo, potrei beccarmi una bella multa. O magari mi arresterebbero. Però, fanculo, ne varrebbe la pena per questi sigari.

 

Nel pacco c'erano dieci sigari cubani autentici, che Petricelli aveva ottenuto grazie ad un uomo di fiducia. A causa dell'embargo, l'importazione di quei sigari e di altri prodotti cubani era illegale, ma a lui non importava. E poi, il senso del proibito dava ancora più gusto alla cosa.

 

Prese un accendino da una tasca della giacca, scelse un sigaro, se lo mise tra i denti e lo accese. Chiuse gli occhi, prese una bella boccata e poi esalò una nuvola di fumo. Soddisfatto, si rilassò contro lo schienale della poltrona.

 

Non potrei chiedere di più, pensò. Un buon sigaro e un pò di quiete.

 

Purtroppo per lui, la quiete non durò molto, perchè dopo nemmeno un minuto, la porta si aprì e una certa persona rientrò nella stanza.

 

- Ecco il caffè, zio Jonas!-

 

E che cazzo!

 

***

 

Per le strade della città

 

-...e alla fine mi sono rovesciata addosso tutta l'acqua del catino.- Bibi concluse il suo racconto sorridendo imbarazzata.

 

Nami rovesciò la testa all'indietro e rise di gusto.- Cavolo, avrei voluto esserci!-

 

Le due ragazze erano sedute sul sedile posteriore dell'auto che il padre di Bibi aveva affittato per lei, una Audi A3 nera. Igaram, seduto al posto di guida, continuava a muoversi nel traffico senza prestare attenzione a ciò che si dicevano Nami e Bibi. Stava accompagnando la rossa al suo appartamento, dopo che lei e l'egiziana avevano passato una serata in giro per Loguetown.

 

Nella settimana che era passata dal loro primo incontro, era diventato una sorta di appuntamento fisso: Igaram e Bibi andavano a prendere Nami all'Emporio di Ivankov, l'uomo portava le due ragazze da qualche parte, e poi, a una certa ora, le riaccompagnava a casa. In quel breve lasso di tempo, le due erano diventate subito amiche.

 

- La cosa peggiore era che indossavo un vestito leggero, quindi mi si vedeva tutto...- aggiunse l'egiziana.

 

- Immagino che i tuoi amici maschi saranno stati contenti.-

 

- Oh sì, un paio di loro sono anche svenuti con dei gran sorrisi.- Si scostò una ciocca di capelli dal viso.- Papà era un pò meno contento, però.-

 

- A proposito, hai avuto altre notizie da lui?-

 

- Niente di nuovo. Mi ha solo confermato quello che aveva detto qualche giorno fa. Finchè la crisi non sarà finita, io dovrò restare qui.-

 

Due giorni dopo la sua partenza, Cobra Nefertari aveva contattato sua figlia via Skype, informandola dello scoppio di una grave crisi politica in Egitto. Diverse fazioni estremiste avevano iniziato a contestare le azioni del governo nella politica estera, e avevano dato il via ad una serie di tumulti culminati in uno scontro a fuoco con la polizia, in cui erano morte parecchie persone. La situazione rischiava di degenerare in una guerra civile, perciò Cobra aveva ordinato a Bibi di rimanere momentaneamente in America. Alla ragazza la cosa non dispiaceva, visto che così avrebbe potuto passare più tempo con la sua nuova amica.

 

- Bene, vorrà dire che avrai modo di apprezzare ancora di più la famosa ospitalità americana.-

 

In quel momento, l'auto si fermò accanto a un marciapiede.- Signorina Watanabe, siamo arrivati.- disse Igaram guardandola nello specchietto retrovisore.

 

- Grazie, Igaram. Ma ti ho già detto che puoi anche chiamarmi Nami.-

 

- Non sarebbe appropriato, signorina.-

 

- Lascia perdere, Nami. Igaram tiene molto all'etichetta, anche più di mio padre.-

 

- Va bene. Comunque, grazie per avermi accompagnata.-

 

- Dovere, signorina.-

 

La rossa fece per aprire la portiera e poi si fermò.- Ah, quasi dimenticavo, Bibi.-

 

- Che cosa?-

 

- Hai dei programmi per dopodomani?-

 

- Dopodomani? No, perchè?-

 

- E' il Ringraziamento. Mi chiedevo se per caso a te e Igaram andava di passarlo con me e la mia famiglia al Red Force.-

 

- Volentieri. Igaram, tu cosa ne pensi?-

 

- Mi sembra una buona idea, signorina Nefertari.-

 

- Allora è deciso. Dirò a mio zio di aggiungere due posti a tavola.-

 

La rossa salutò i due egiziani, uscì dalla macchina e rientrò in casa.

 

***

 

Tratto da Wikipedia

 

BAROQUE WORKS (Ultimo aggiornamento risalente al 13/2/2015): Organizzazione terroristica presente in Nord America. Dichiaratamente ispirata ad un'ideologia razzista, la Baroque Works è responsabile di numerosi attentati in tutto il territorio degli Stati Uniti d'America, in particolare in California. Di essa si sa poco, e quel poco è avvolto dall'incertezza. Attualmente è guidata da un misterioso e astuto individuo chiamato (O che si fa chiamare) Hody Jones. Sebbene le forze dell'ordine di tutti i livelli si stiano sforzando da anni, ancora nessuno è riuscito ad arrestare o anche solo a localizzare il leader dei terroristi, tanto che molti ipotizzano che non esista neanche. Dopo qualche anno di inattività, la Baroque Works è tornata in azione all'inizio del 2015 con un attentato nella zona nord di Los Angeles, in cui hanno perso la vita 87 persone.

 

CIPHER POL AIGIS (Ultimo aggiornamento risalente al 10/12/2014): Agenzia di sicurezza privata creata nel 2009 dal politico e imprenditore californiano Jonas Petricelli. La sua sede è a Loguetown, città di cui tra l'altro Petricelli è attualmente sindaco, ma di recente sono state aperte delle filiali in altre città degli Stati Uniti. La Cipher Pol Aigis utilizza armi ed equipaggiamenti ultramoderni, e opera non solo su richiesta di privati cittadini, ma a volte anche di enti pubblici. Attualmente è diretta da Petricelli e da Frank Blueno, ex Berretto Verde e veterano della Guerra del Vietnam.

 

PACIFISTA (Ultimo aggiornamento risalente al 4/11/2015): Robot da combattimento creato dallo scienziato americano Emmett Brown Vegapunk nel 2014. Caratterizzato da un aspetto antropomorfo, un'intelligenza rudimentale e un armamentario impressionante, il Pacifista rappresenta un'autentica rivoluzione nel campo degli armamenti. Sebbene non confermato dal dottor Vegapunk, è opinione diffusa che egli abbia chiamato in quel modo la sua creazione con intenti ironici. Attualmente sono in circolazione circa un migliaio di esemplari, perlopiù in dotazione all'Esercito. Il primo impiego dei Pacifista in un'azione bellica vera e propria è avvenuto all'inizio del 2015 in Siria, contro le forze dell'Isis.

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Nel caso ve lo stiate chiedendo, no: Jonas Petricelli non è l’OC a cui avevo accennato tempo fa. E’ uno dei personaggi più amati/odiati di One Piece. Se non avete capito chi è in realtà, aspettate e lo scoprirete. Se invece lo avete capito, non fidatevi troppo delle vostre intuizioni. Gli indizi che vi ho dato potrebbero essere anche solo dei trucchi per depistarvi. In ogni caso, un po’ di pazienza e scoprirete tutto (e tra un paio di capitoli scoprirete anche chi è la Juls menzionata nella prima scena).

 

Inoltre, in questo capitolo ho infilato anche un paio di riferimenti al film “Ritorno al futuro”. Vi sfido a trovarli.

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo tra due settimane, cari lettori! (E se avete voglia, lasciatemi un commento)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 5: Il giorno del Ringraziamento ***


Capitolo 5: Il giorno del Ringraziamento

 

26 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

All'interno dell'hotel-ristorante Baratie

 

In occasione del Ringraziamento, al Baratie era stato allestito un grande tavolo nella sala principale del ristorante. Alcuni dei presenti chiacchieravano tra di loro, altri attendevano in silenzio l'arrivo del padrone di casa. Sanji e Zoro, seduti l'uno accanto all'altro, si fissavano in cagnesco da più di un quarto d'ora.

 

- Proprio qui dovevi sederti?- sibilò il biondo.

 

- Non li ho scelti io i posti.- rispose il poliziotto.

 

- Potevi almeno vestirti decentemente...-

 

- Cos'ha il mio vestito che non va?-

 

- Sembri un idiota.-

 

- Sempre meglio che sembrare un pinguino.-

 

- Sai, a volte mi chiedo come facciate tu e Koala ad essere parenti. Lei è così bella e intelligente, mentre tu...sicuro di non essere stato adottato?-

 

- Sicuro di non volere che ti spacchi la faccia? Ti farei un favore. Diventeresti molto più guardabile.-

 

- Ha parlato quello che somiglia all'Urlo di Munch. Dico sul serio, come fai a guardarti la mattina allo specchio senza morire di paura?-

 

- E come fai tu ad andare con una donna? A parte pagandola profumatamente, voglio dire.-

 

- Vuoi che ti dia una dimostrazione pratica di come si sfiletta un pesce? Ci metto pochi secondi.-

 

- Sono sicuro che non è l'unica cosa che riesci a fare in pochi secondi.-

 

- Figlio di...-

 

Questo amichevole scambio di battute fu bruscamente interrotto quando qualcuno afferrò Sanji e Zoro per la nuca, facendo poi scontrare le loro teste con un suono che riecheggiò in tutta la stanza.

 

- Volete piantarla, voi due? Giuro, se vi mettete a litigare un'altra volta, vi servo in tavola al posto del tacchino!- Koala lanciò a suo fratello e suo cognato un'occhiata di fuoco, per poi torcergli le orecchie (Giusto come promemoria) e tornare a sedersi accanto a suo marito.

 

- Certe volte mi fanno venire un nervoso, quei due!-

 

- Mi sa che non è stata una buona idea, metterli vicino...- disse Sabo.

 

- Pensavo che si sarebbero comportati in maniera civile almeno oggi, e invece...Zoro! Posa subito quel coltello!-

 

- Volevo solo tagliare una fetta di pane...-

 

- Il pane è già affettato, idiota. E poi perchè lo stavi puntando verso Sanji?-

 

- Ha cominciato lui...-

 

- Per favore, ragazzi, almeno oggi cercate di non litigare.- intervenne Kaya.- Potrete sempre scannarvi in un'altra occasione. Oggi è una giornata di festa. Fate una tregua.- Guardò i due litiganti con un'espressione così pura e innocente che Sanji e Zoro annuirono e decisero di cessare le ostilità, almeno per il momento.

 

- Meno male che ci sei tu, Kaya.- disse Koala, sbocconcellando una fetta di pane presa dal cestino che aveva davanti.- Riesci sempre a calmarli.-

 

Kaya ridacchiò. Da tempi immemori, lei aveva sempre fatto da paciere quando qualcuno litigava. Nemmeno lei sapeva come fosse possibile; forse per via del suo visino angelico, oppure della sua voce suadente, o ancora perchè era la piccola di casa. Fatto sta che, quando c'era un diverbio, lei riusciva sempre a calmare gli animi.- Sai, a volte penso che dovrei fare la diplomatica, invece del medico.-

 

- A proposito, posso chiederti perchè hai scelto proprio quel mestiere?-

 

- Beh, all'inizio era solo per fare un dispetto a papà. Poi, col tempo mi sono resa conto che il mondo della medicina mi appassiona. E mi è sempre piaciuto aiutare gli altri.-

 

- Buona fortuna fin da adesso, allora.-

 

- Grazie, Koala.-

 

Koala finì di mangiare il pane e rivolse la sua attenzione verso suo padre, che era seduto di fronte a lei.- Tutto bene, papà?-

 

Issho Roronoa, ufficiale della Marina in pensione, fece cenno di sì con la testa.- Sto bene, Koala. Dovrei andare in bagno, però.-

 

- Vuoi che ti accompagni?- Issho era cieco e camminava con l'ausilio di un bastone. Tuttavia, sebbene di solito sapesse orientarsi benissimo (Grazie all'udito o al tatto, che negli anni gli si erano affinati considerevolmente), in un ambiente a lui sconosciuto come il Baratie avrebbe rischiato di perdersi.

 

- Non credo che ce ne sarà bisogno. E poi non è urgente. Voglio prima aspettare che arrivi il vecchio Zef.-

 

- A proposito, Sabo, dove si è cacciato tuo padre?- chiese Zoro, interrompendo lo scambio di silenziose occhiate assassine che lui e Sanji avevano iniziato da qualche secondo.- Non avrebbe dovuto essere già qui?-

 

- Probabilmente avrà avuto un contrattempo...- ipotizzò Sanji.

 

- Può darsi, ma è strano. Lui di solito è puntualissimo.- annuì il maggiore dei fratelli Vinsmoke.

 

- Non è che si è scordato del pranzo?- intervenne Koala.

 

- Impossibile. Va bene che ha una certa età, ma non è così rincoglionito.-

 

- Rincoglionito sarai tu, giovinastro impertinente!- tuonò una voce irritata dall'altro capo della stanza. I presenti si girarono, e videro che finalmente Zef era arrivato. L'anziano indossava un completo nero un pò vecchiotto ma ancora in ottime condizioni, i lunghi baffi che gli scendevano sul davanti della giacca. Non indossava il suo cappello bianco da cuoco, perciò tutti notarono la sua testa, che era ormai sulla buona strada per la calvizie.

 

Il proprietario del Baratie si avvicinò al tavolo, mollò un pugno sulla nuca del suo figlio maggiore (Provocando un gemito di dolore da parte dell'interessato e una risatina di Koala), e, senza dire una parola, si posizionò a capotavola.

 

- Innanzitutto, chiedo scusa per il ritardo.- disse, dopo essersi schiarito la voce.- Stavo preparando un discorso per il pranzo di oggi, ma non riuscivo a trovare la giusta combinazione delle parole. Alla fine ho deciso di lasciar perdere, e di dire le cose così come mi venivano in mente.- Fece una piccola pausa, come per raccogliere i suoi pensieri, e poi riprese a parlare.

 

- Veniamo subito al dunque. Sicuramente vi starete chiedendo come mai all'improvviso ho deciso di seppellire l'ascia di guerra, invitando qui i Roronoa.

 

- E' iniziato tutto due settimane fa, quando sono andato in ospedale per le mie solite analisi. Per farla breve, ad un certo punto il medico mi comunica che ho un tumore al cervello.-

 

Nella stanza calò un silenzio tombale. Tutti avevano la bocca aperta e gli occhi sgranati (Escluso Issho, che aveva le palpebre chiuse e si limitava ad ascoltare tutto con aria seria).

 

- Papà...- disse Kaya con un filo di voce e l'espressione sconvolta.

 

- Non vi ho detto nulla perchè il risultato dell'analisi era incerto, e non volevo turbarvi. E infatti, proprio qualche giorno fa, mi hanno comunicato che c'era stato un errore. L'altro ieri sono andato a fare un ulteriore esame, tanto per andare sul sicuro, ma hanno confermato il risultato: sono sano come un pesce.-

 

Ci fu un sospiro di sollievo collettivo.

 

- Comunque, all'inizio mi sono preso un bello spavento. Ho riflettuto un pò, e ho capito che la vita è troppo breve per sprecarla con delle stronzate di poco conto. Per questo ho invitato i Roronoa a pranzo.

 

- Non voglio perdere tempo a spiegarvi perchè ce l'avevo con loro. E' una cosa così stupida che non vale neanche la pena parlarne. Da oggi in poi, voglio che tra le nostre famiglie ci sia la pace.- Il suo sguardo passò da Koala a Zoro, per poi fermarsi su Issho.- Vi porgo le mie scuse per come mi sono comportato nei confronti della vostra famiglia.-

 

Koala e Zoro erano senza parole. L'anziano Roronoa, invece, inclinò la testa di lato e sorrise.- Scuse accettate, Zef.-

 

Zef si schiarì di nuovo la voce.- Ho anche deciso di non essere più ostile alle scelte lavorative di Sabo e Kaya. E' giusto che seguano la loro strada.- 

 

Kaya e Sabo quasi non riuscivano a credere alle loro orecchie.

 

- E un'ultima cosa. L'anno prossimo, quando compirò 70 anni, andrò in pensione. Ho fatto tutto quello che potevo per questo ristorante, ed è giunto il momento di lasciarlo a mani più giovani. Perciò, Sanji prenderà il mio posto.-

 

Sanji strabuzzò gli occhi. Aveva sempre pensato di dover aspettare la morte di Zef per prendere il timone del Baratie, e invece...diavolo, questa proprio non se l'aspettava!

 

- Adesso, però, basta chiacchiere. Riempite i bicchieri.- Prese la bottiglia di vino che aveva davanti e ne versò una piccola parte nel suo bicchiere, imitato dagli altri.

 

- Un felice Ringraziamento a tutti voi!- Tutti i presenti levarono in alto i bicchieri fino a farli toccare, poi se li portarono alle labbra e bevvero.

 

- Non farti strane idee, testa d'alga.- sussurrò Sanji posando il suo bicchiere sul tavolo.- Io ti odio ancora.-

 

- Il sentimento è reciproco, damerino.- bisbigliò Zoro.

 

Koala li sentì, ma decise di far finta di niente.

 

***

 

Contemporaneamente

A qualche miglio di distanza dalla costa

 

L'uomo alto osservava il motoscafo nero avvicinarsi sempre di più alla sua barca. Si aggiustò il colletto dell'uniforme della Guardia Costiera e incrociò le braccia.

 

Il motoscafo si fermò a poca distanza. A bordo c'erano due uomini dall'aspetto anonimo, e dietro di loro diverse casse di legno. Uno dei due si girò nella sua direzione.- Il rappresentante del señor Crocodile, immagino.-

 

- Immagini bene. Ma è meglio non pronunciare ad alta voce quel nome. Non è sicuro.-

 

- E chi potrebbe sentirci, qui in alto mare?-

 

- Non si è mai troppo prudenti, nel nostro settore.-

 

L'altro uomo ridacchiò.- Non hai tutti i torti, hombre. Va bene, diamo un taglio alle chiacchiere. Prima finiamo, meglio è per tutti.-

 

Aiutato dal suo compagno e dall'uomo in uniforme, l'uomo del motoscafo trasferì sull'altra imbarcazione le casse. Quando ebbero finito, l'uomo in uniforme diede agli altri due una valigetta nera.

 

- Ecco qui, la cifra pattuita, più un piccolo extra per voi due. Omaggio del capo.-

 

- Molto gentile il tuo capo, amigo. Lo ricorderò nelle mie preghiere.- Al che scoppiarono tutti e tre a ridere. Subito dopo, gli uomini sul motoscafo si allontanarono nella direzione da cui erano venuti. L'uomo in uniforme, il cui nome era Das Bornes, prese un paio di occhiali scuri dal taschino della camicia e li inforcò.

 

Il capo ha avuto davvero una trovata geniale, pensò mettendo in moto la barca. Chi sospetterebbe di un'unità della Guardia Costiera? Fissare la consegna per il giorno del Ringraziamento, poi, quando per una volta tutti abbassano la guardia, e corrompere quegli ufficiali...davvero geniale.

 

A quel punto, i suoi pensieri andarono al contenuto delle casse, e si concesse un sorriso breve ma capace di gelare il sangue a chiunque lo avesse visto.

 

Chissà cosa direbbero quei due fessi di Kidd e Capone, se sapessero che li stiamo manovrando nell'ombra per spacciare agalmatolite.

 

***

 

Nel pub Red Force

 

Fingendo di pulirsi la bocca con un tovagliolo, Benn Beckman stava facendo del suo meglio per rimanere serio, un'impresa resa quasi impossibile da Kidd.

 

-...e quando il film finisce, Shanks mi chiede: "Eustass, hai mica delle mutande di ricambio? Credo di essermela fatta sotto." E da quel giorno, non ha più visto un film dell'orrore.-

 

Un coro di risate seguì la frase. Dall'inizio del pranzo, Kidd non aveva fatto altro che raccontare una serie di aneddoti imbarazzanti sul passato di Shanks, facendo diventare il viso del poveretto ancora più rosso dei suoi capelli. In compenso, l'atmosfera nella stanza era molto rilassata. Anche Makino, che non sopportava Kidd e di solito lo trattava con una certa freddezza, si stava sganasciando dalle risate.

 

Benn era seduto a sinistra di Shanks, che era a capotavola. Accanto a lui c'erano Kidd, Bellemere e il giovane Usop (Shanks gli aveva proposto di passare il Ringraziamento con loro, e il brasiliano aveva accettato). Dall'altro lato, invece, c'erano Nojiko, Nami, Igaram e Bibi. Makino era seduta all'altro capo del tavolo. Al centro di questo, un piatto con i resti di un enorme tacchino arrosto e diversi bicchieri di birra (Acqua, nel caso di Igaram, che era astemio).

 

- Perchè non racconti anche qualcosa su di te, caro fratellino?- disse Shanks con un'espressione a metà tra l'incazzato e il divertito (In fondo, ricordare quegli episodi lo aveva messo di buon umore).

 

- Perchè le storie che ti riguardano sono molto più divertenti, Shanks!- rispose Kidd facendogli l'occhiolino.

 

- Potresti almeno cambiare argomento?-

 

- Va bene, cambiamo argomento. Niente incidenti imbarazzanti. Vorrà dire che...sì, gli dirò il tuo vero nome!-

 

Ci fu un attimo di silenzio.

 

- Che vuoi dire, zio?- chiese Nojiko, un sopracciglio alzato per la curiosità.- Non è Cassidy il suo nome?-

 

- Non proprio, Nojiko. Vedi, in realtà Cassidy è il secondo nome di tuo padre. Il suo primo nome, invece, è...-

 

- Kidd, non ti azzardare!- Shanks cercò di zittire suo fratello, ma non ebbe fortuna.

 

-...Proinsias!-

 

Calò di nuovo il silenzio. Poi, lentamente, iniziarono ad udirsi dei rumorini soffocati, che all'improvviso si trasformarono in una risata colossale che echeggiò in tutto l'edificio.

 

- Papà, che razza di nome!- esclamò Nojiko battendo un pugno sul tavolo. Tutti gli altri erano in condizioni simili. Persino Igaram, che fino a quel momento aveva riso abbastanza compostamente.

 

Shanks balzò in piedi e battè entrambi i pugni sul tavolo.- SMETTETELA DI RIDERE! PROINSIAS E' UN RISPETTABILE NOME GAELICO!- Guardò tutti come se avesse voluto incenerirli. Ma fu solo un attimo. Alla fine, si lasciò cadere sulla sedia e si unì al coro di risate.

 

E Benn, sopraffatto da quel clima festoso e familiare, fece qualcosa che non faceva più da venti anni. Qualcosa che aveva smesso di fare dopo la morte di sua moglie Juls.

 

Aprì lentamente la bocca e rise. E contemporaneamente, iniziò a ripensare a un giorno di tanti anni fa, in una città dell'Irlanda del Nord, quando aveva incontrato Shanks e Kidd per la prima volta...

 

***

 

Tratto da Wikipedia

 

AGALMATOLITE (Ultimo aggiornamento risalente al 21/12/14): Particolare tipo di droga sintetica comparsa per la prima volta in Spagna verso la fine del 2011, successivamente diffusasi nel resto del mondo. Ne esistono di due tipi: liquida, da iniettare in vena, e sotto forma di piccoli cristalli azzurrini da bruciare per aspirarne i fumi. Gli effetti iniziali sono per certi aspetti simili a quelli dell'eroina, con una forte sensazione di euforia che travolge all'istante il soggetto che ne fa uso, seguita subito dopo da allucinazioni particolarmente vivide. Alcuni dei soggetti esaminati hanno riferito di aver avuto l'impressione di essere diventati di gomma, mentre altri credevano di poter controllare il ghiaccio o di poter rubare le ombre altrui. Come tutte le altre droghe, crea dipendenza, e un pò alla volta riduce il soggetto che la assume all'ombra di ciò che era un tempo, causandone anche la morte (Spesso durante una delle allucinazioni di cui sopra. Si ricorda in particolare il caso di Pell Nielsen, diplomatico finlandese morto nel Giugno del 2014 dopo essersi buttato dall'ultimo piano di un edificio di New York. Testimoni hanno riferito che il signor Nielsen aveva iniziato a sbattere le braccia come se fossero state delle ali, urlando di essersi trasformato in un falcone). Le polizie di tutto il mondo, in particolare l'Interpol, stanno lavorando da tempo per stroncare il traffico di agalmatolite e individuare i responsabili della sua creazione, sfortunatamente senza successo. Numerose organizzazioni terroristiche traggono profitto dallo spaccio di questa droga, tra cui l'americana Baroque Works.

 

CROCODILE (Ultimo aggiornamento risalente al 10/10/10): Noto anche come "Sir Crocodile". Soprannome attributo a un potente boss mafioso di cui non si conosce la vera identità. Viene spesso associato ad un altro boss della malavita noto come "Joker", cosa che ha portato alcuni ad ipotizzare che siano la stessa persona, oppure che lavorino insieme. Altri ancora ritengono che nè Crocodile nè il Joker esistano, ma che siano una sorta di leggenda metropolitana inventata da qualche organizzazione criminale per sviare i sospetti delle autorità.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: E rieccomi qua. Vi sono mancato?

 

(Silenzio tombale. Un cespuglio rotola in lontananza spinto dal vento)

 

Lasciamo perdere. Non c'è molto da dire su questo capitolo, a parte che è un filler e serve più che altro a gettare le fondamenta della storia. A partire dal capitolo 6, inizieremo a entrare nel vivo della trama. Dovrete aspettare un pò, però. Il capitolo 6 arriverà nella settimana tra il 18 e il 24 Aprile. Tra due settimane ci sarà invece un bell'interludio, in cui daremo un'occhiata ai ricordi di Benn e scopriremo finalmente chi è Juls.

 

Ah, un'ultima cosa. La parte sul vero nome di Shanks è un piccolo riferimento al fumetto Preacher, di Garth Ennis e Steve Dillon. La trama è incentrata su Jesse Custer, un prete che perde la fede e si mette alla ricerca di Dio (letteralmente). Tra i tanti personaggi, c'era anche un vampiro irlandese chiamato Proinsias Cassidy, il cui nome ho appunto preso in prestito per il nostro amato Shanks.

 

E questo è tutto. Ci rivediamo tra due settimane, cari lettori! E se ne avete voglia, lasciate un commento.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Interludio 2: I ricordi di Benn ***


Interludio 2: I ricordi di Benn

 

10 Aprile 1980

Enies Lobby, Irlanda del Nord, Regno Unito

Per le vie della città

 

Enies Lobby era una delle più antiche città irlandesi, meta ogni anno di migliaia e migliaia di turisti. Alcuni venivano per visitare i luoghi di interesse storico, altri per gustare la celebre birra Baskerville (Riconosciuta ufficialmente come una delle migliori birre del mondo), e altri per ammirare il paesaggio. Tra i turisti si potevano trovare persone di tutti i tipi: ragazzi in gita scolastica, uomini di mezza età in cerca di un pò di solitudine, e anche numerose coppie innamorate. Ed è proprio su una di queste coppie che ora dobbiamo concentrare la nostra attenzione. Due cittadini americani, che si trovavano lì per festeggiare il loro secondo anniversario di matrimonio. Benjamin Beckman, detto Benn, e sua moglie Julienne, che preferiva essere chiamata Juls.

 

La differenza d'età tra i due era relativamente poca (Lui aveva appena undici anni più di lei), ma quella fisica era impressionante: Benn era un omone muscoloso e coi capelli neri, Juls invece aveva i capelli biondi e una corporatura molto esile (E quando camminava accanto a suo marito, sembrava ancora più piccola), tanto che spesso la gente si chiedeva come facesse Benn a non schiacciarla, quando la abbracciava. A volte se lo chiedeva anche Juls, anche se sapeva già la risposta: per quanto Benn avesse l'aria di un energumeno capace di sfondare una parete con un semplice pugno, sapeva essere molto delicato quando la toccava. E, cosa ancora più importante, la amava alla follia, e non si sarebbe mai sognato di farle del male.

 

Anche i loro mestieri erano diversi: Benn era un giovane ufficiale della Guardia Nazionale della California (Tra l'altro, con ottime prospettive di carriera), mentre Juls faceva la giornalista freelance (Non uno dei lavori più remunerativi del mondo, ma a lei piaceva).

 

Si erano incontrati quattro anni prima, a San Francisco, in circostanze un pò insolite: Benn aveva salvato Juls da un tentativo di stupro. Dopo quell'episodio i due erano rimasti in contatto, e, una cosa tira l'altra, alla fine si erano innamorati. Si erano poi sposati a San Francisco col rito civile, in una suggestiva cerimonia sulla spiaggia che entrambi consideravano il momento più bello della loro vita.

 

Un bel quadretto, ma naturalmente non era tutto rose e fiori: circa diciotto mesi dopo il matrimonio, i due avevano affrontato un brutto periodo pieno di litigi e incomprensioni varie, il cui vero responsabile era però soltanto Benn. La differenza di età e la pericolosità del suo lavoro lo avevano spinto ad avere dei ripensamenti e a temere di lasciare sua moglie troppo presto, e perciò aveva cominciato a comportarsi malissimo nei confronti della povera Juls. Ma poi, era successo l'inaspettato: Juls aveva avuto un aborto spontaneo (Una cosa di cui Benn, nonostante ciò che gli avevano detto i medici, continuava a ritenersi colpevole). Era stato in quel momento che Benn si era reso conto di quanto era stato stupido, ed era ritornato sui suoi passi. Non era stato facile, ma fortunatamente i due erano riusciti a superare quella terribile crisi. Perciò, il viaggio in Irlanda del Nord rappresentava anche una sorta di augurio a che da ora in poi le cose andassero bene.

 

In quel momento, i due passeggiavano mano nella mano davanti ad alcuni negozi di souvenir. Juls si avvicinò a una vetrina, trascinandosi dietro il marito, e indicò uno degli oggetti esposti.

 

- Amore, guarda che bello!-

 

Benn guardò scettico l'oggetto. Era una statuetta che raffigurava il famigerato Giudice Con Tre Teste, personaggio mitologico al centro di svariate leggende locali. Queste leggende differivano tutte per uno o più particolari, ma concordavano su due cose: il Giudice aveva tre teste, e nessuna di queste aveva un bell'aspetto.

 

E, pensò Benn aggrottando la fronte, questa statuetta tiene fede alla leggenda.

 

- Mah.-

 

- Che dici, lo compriamo?-

 

- E poi dove lo mettiamo? Nell'ingresso, per spaventare i ladri?-

 

Juls rise, e Benn rimase un attimo a godersi la sua risata cristallina. Era felice di rivederla così, dopo quello che avevano passato. Soprattutto dopo l'aborto, aveva temuto che sprofondasse in una spirale di depressione da cui poi non sarebbe più uscita. Aveva gridato al miracolo la prima volta che l'aveva vista sorridere di nuovo, piangendo come un vitello e abbracciandola. Ancora adesso, quasi non riusciva a crederci.

 

- Dico sul serio, l'unica cosa per cui potrebbe essere utile è fare da antifurto. Cioè...perchè vuoi comprarlo?-

 

- Mi sembra carino...- disse la bionda sfiorandosi una ciocca di capelli.- E poi non costa neanche tanto. Guarda.- indicò il cartellino del prezzo.

 

Benn si avvicinò alla vetrina per vedere meglio. In effetti, quell'obbrobrio non costava poi tanto. Se proprio Juls lo voleva, avrebbe anche potuto comprarlo. Si accarezzò il mento.- In effetti...-

 

Ma non terminò mai la frase, perchè in quel momento accadde qualcosa.

 

- AAAAHHHH!-

 

Era l'urlo di Juls. Benn girò di scatto la testa, scoprendone il motivo: un ragazzino coi capelli rossi aveva afferrato la borsa di sua moglie e stava cercando di portargliela via. Juls stava resistendo con tutte le sue forze, ma era in evidente difficoltà.

 

- Ehi, tu, moccioso...- Prima ancora che Benn potesse afferrare il ragazzino e suonargliele di santa ragione, questo riuscì a strappare la borsa dalle mani di Juls, facendola barcollare all'indietro. Benn si affrettò ad afferrarla prima che cadesse, e il piccolo ladro ne approfittò per dileguarsi in un vicolo.

 

- Juls, stai bene?- gridò Benn allarmato.

 

- Sì, sto bene...- Nonostante la rassicurazione, dalla voce si capiva che era parecchio scossa.- La borsa...-

 

Benn annuì. Aveva visto in quale vicolo si era intrufolato il ragazzino, e se si fosse messo a correre più veloce che poteva, sarebbe riuscito a raggiungerlo.

 

Nel frattempo, altre persone si erano avvicinate ai due americani, tra cui un poliziotto.- Cos'è successo?-

 

- Un ragazzino ha rubato la borsa di mia moglie. Stia qui con lei, io cerco di acchiapparlo.- Al che si staccò da Juls e partì all'inseguimento del ladro, ignorando le intimazioni del poliziotto di tornare indietro.

 

Benn strinse i denti e corse più forte che poteva, senza riuscire a pensare ad altro che non fosse la sua preda. Era furibondo. Non tanto per il furto in sè, ma per il fatto che quel ragazzino aveva rischiato di far cadere Juls. Appena lo avesse trovato, gliela avrebbe fatta pagare.

 

Si guardò attorno, in cerca del moccioso dai capelli rossi, e finalmente lo scorse in un vicoletto alla sua destra. Anche l'altro si accorse di lui, perchè emise un grido di allarme e si bloccò, rimanendo immobile come un animale davanti ai fari di un'auto. Benn si accorse che teneva la borsa di Juls davanti a sè a mò di scudo, e che tremava come una foglia. Bene, pensò l'uomo. Diamogli un buon motivo per avere paura.

 

- Non muovere un muscolo, moccioso!- disse, col tono più minaccioso che gli riusciva. Il ladruncolo si limitò a singhiozzare.

 

In un lampo, gli arrivò davanti e lo afferrò per il braccio libero, sollevandolo come se fosse stato una piuma (E in effetti, avrebbe anche potuto esserlo, visto quanto poco pesava). Si riprese la borsa di sua moglie e guardò il marmocchio, notando solo in quel momento la sua spaventosa magrezza e la giovanissima età. Benn non era un esperto di bambini, ma ipotizzò che quello lì non dovesse avere più di dieci anni.

 

Il piccoletto tirò su col naso e lo guardò con occhi impauriti.- P-per favore, signore, n-non...non mi faccia del male...-

 

Benn sentì i propri violenti propositi svanire. Aveva pensato di dare una bella ripassata al ragazzino, ma vedendolo gli era venuta una fitta al cuore. Era così magro e impaurito...e ora che ci faceva caso, era un pò sporco e i suoi vestiti erano in cattive condizioni. Era forse un orfanello che viveva per strada? Non lo sapeva. Per un attimo provò compassione per lui. Ma fu solo un attimo. Poi si ricordò che aveva rischiato di far cadere Juls, e prese una decisione.- Non ti farò del male, moccioso. Ma ti porterò dalla polizia. Si occuperanno loro di te.-

 

Il ragazzino sembrò trasalire sentendo menzionare la polizia.- No...la polizia no! Non mi porti da loro, la scongiuro!- Cercò di divincolarsi e iniziò a singhiozzare.

 

Benn fece per chiedergli il motivo di quel comportamento, ma all'improvviso un grido alle sue spalle catturò la sua attenzione.

 

- LASCIA STARE MIO FRATELLO!-

 

Si girò appena in tempo per vedere un altro ragazzino coi capelli rossi, all'apparenza un pò più grande dell'altro ma altrettanto malandato, correre verso di lui con una spranga di ferro in mano. Senza scomporsi, Benn aspettò che gli arrivasse a portata di tiro e gli sferrò un calcio dritto nella pancia, facendolo cadere a terra con un grido di dolore. La spranga rotolò via di qualche metro.

 

- FRATELLONE!- gridò l'altro rosso.

 

Benn spostò lo sguardo da un ragazzino all'altro.- Fratello...cos'è, lavorate in coppia?-

 

Senza attendere una risposta, Benn si avvicinò al ragazzino a terra, che si stava ancora contorcendo per il dolore. Prima che potesse rialzarsi, si mise in bocca la tracolla della borsa, e usò la mano ora libera per afferrare il fratello del ladro e metterselo sotto braccio. Stringendo la presa su entrambi i ragazzini in modo che non

potessero sgusciare via, si incamminò fuori dal vicolo.

 

Qualche metro dopo, quando stava per ritornare nel punto da cui era partito, vide Juls venirgli incontro assieme al poliziotto di prima.

 

- Benn!-

 

I due ragazzini volsero lo sguardo in direzione del poliziotto e sbiancarono.- Oh no, è l'agente Creek!- disse quello che Benn teneva per un braccio.

 

Il suddetto poliziotto li riconobbe entrambi e digrignò i denti.- Ancora voi due! E' la terza volta, questa settimana.-

 

- Li conosce, agente?- disse Benn dopo aver ridato la borsa a Juls.

 

- Purtroppo sì, sono dei piccoli mostri che si divertono a rapinare i turisti. Prima d'ora non ero mai riuscito a beccarli. Ma adesso...oh, adesso avranno quello che si meritano!-

 

Il rosso che Benn portava sottobraccio iniziò ad agitarsi.- No! Per favore...ci lasci andare...-

 

- Un attimo!- intervenne Juls. Scrutò con attenzione i due ragazzini e si soffermò su quello che le aveva rubato la borsa.- Perchè lo hai fatto?-

 

L'interpellato singhiozzò.- M-mi dispiace, signora...non volevo farle del male. Ma...ecco, io e mio fratello abbiamo fame. Non abbiamo nessuno che si occupi di noi...-

 

- Non gli dia retta, signora! Sta sicuramente mentendo per farsi compatire.- ruggì l'agente Creek.

 

- Uhm...- La bionda guardò negli occhi il rosso.- E' la verità, piccolo?-

 

- S-sì, signora! Glielo giuro su San Patrizio!-

 

- Oh, ma per...- iniziò Benn.

 

- Mettili giù, Benn.-

 

- Cosa?-

 

- Mettili giù, ho detto!-

 

Benn posò a terra i due fratelli senza tante cerimonie. L'agente Creek si mosse verso di loro, ma Juls lo bloccò con un cenno della mano.

 

- Juls, che diavolo fai?- le chiese stupito Benn.

 

Sua moglie lo ignorò.- Avete davvero fame, bambini?-

 

I due fratelli annuirono.

 

L'americana rimase un attimo in silenzio, pensierosa. Poi parlò di nuovo.- E' tutto a posto, agente. Penseremo noi a loro.-

 

Sia Benn che il poliziotto rimasero di sasso.- Ma...signora, che diavolo dice?-

 

- Non vede che questi poveretti sono disperati? Mi creda, io so leggere bene le persone. Non sono delinquenti. Hanno solo fame.-

 

- Sarà anche vero, signora, ma sono comunque dei ladri. Si è già dimenticata che quel piccoletto ha cercato di rubarle la borsa?-

 

- No, ma comunque l'ho recuperata e nessuno si è fatto male. E poi, chi ruba per fame non è un ladro.- Accarezzò la testa ai due bambini e accennò un sorriso.- Può anche andare. Ci occuperemo noi di loro.-

 

Il poliziotto scrollò le spalle.- Come preferisce, signora. Ma poi non dica che non l'avevo avvertita.- Al che se ne andò, borbottando qualcosa a proposito della stranezza degli americani.

 

Benn rivolse a sua moglie uno sguardo interrogativo.- Juls, che intenzioni hai?-

 

- Per prima cosa, voglio offrire a questi bambini un pranzo come si deve.-

 

- Che? Ma...-

 

- Fidati, so quello che faccio. Bambini, c'è un ristorante o qualcosa del genere qua vicino?-

 

- Ehm...sì, ci sarebbe il pub Rain Dinners...- iniziò il più grande.

 

- Non ci siamo mai stati, ma abbiamo sentito che si mangia bene.- continuò l'altro.

 

- Ottimo, allora andremo al Rain Dinners.- Prese per mano i bambini.- Fatemi strada. Benn, vieni.-

 

Benn esitò un attimo, poi seguì sua moglie e i due mocciosi. Accidenti a lei e il suo spirito compassionevole, pensò. Che diavolo avrà in mente?

 

***

 

Poco dopo

Nel pub Rain Dinners

 

Porca puttana, ma da quanto tempo non mangiavano questi due?, pensò Benn guardando i due bambini con occhi sgranati. Accanto a lui, Juls sorrideva benevola.

 

Da quando il cameriere del Rain Dinners aveva portato le ordinazioni, i due non avevano alzato la testa dal piatto neanche una volta. Stavano divorando le bistecche con patate con una voracità impressionante, tanto che per un attimo Benn pensò che sarebbero soffocati. Alla fine, quando ormai non erano rimaste neanche più le briciole, i due si fermarono per riprendere fiato.

 

- Allora, Shanks, come ti senti adesso?- chiese Juls al più grande dei due. Shanks era solo un soprannome, il suo vero nome era Proinsias Cassidy O'Malley, mentre suo fratello si chiamava Eustass Patrick O'Malley. Il primo aveva dodici anni, il secondo solo cinque.

 

- Molto meglio signora, grazie. Io...mi ero quasi dimenticato come si sta a pancia piena.-

 

Il piccolo Eustass espresse la sua opinione con un rutto.

 

- Eustass! Non si fanno queste cose a tavola!- lo rimproverò Shanks.

 

- Lascia stare, non è nulla.- gli disse Juls.- Comunque, puoi anche darmi del tu e chiamarmi Juls. Non credo di essere così vecchia da poter essere chiamata signora.-

 

- Grazie per il pranzo, Juls.- pigolò Eustass.

 

L'americana esibì un sorriso che avrebbe sciolto il ghiaccio.- Di niente, piccolo.-

 

Benn decise di intervenire.- Se non ricordo male, prima avevate detto di non avere nessuno che si occupi di voi. Siete orfani?-

 

Shanks annuì.- Sì. I nostri genitori sono morti l'anno scorso in un attentato dell'Ira.-

 

- Oh mio...e non avete altri parenti?- chiese Juls.

 

- Solo una zia, ma qualche mese fa è morta anche lei. Per un pò siamo stati da un poliziotto che conosceva nostro padre, ma poi...- Per un attimo Shanks sembrò riluttante a continuare. Poi deglutì, mise un braccio attorno alle spalle di suo fratello come per proteggerlo e riprese a parlare.- Ma poi a un certo punto ha cercato...ha cercato di farci delle...delle cose. Così siamo scappati, e da allora viviamo per strada.-

 

Benn e Juls erano sbiancati. Anche se Shanks non aveva specificato, avevano capito subito che cosa aveva cercato di fargli quel poliziotto.- E' stato quel tipo di prima? Quel Creek?- chiese Benn.

 

- No, Creek non ci ha mai nemmeno catturati.- disse Shanks.- Ed è successo altrove. Noi prima stavamo a Foosha, un villaggio sulla costa. Siamo qui a Enies Lobby da poco più di un mese.-

 

Benn era rimasto senza parole. Non si sarebbe mai immaginato che quei due avessero un passato così tragico. La rabbia che aveva provato prima era sparita, e stava iniziando a provare un pò di compassione.

 

- E non avete provato a rivolgervi a qualcun altro? Che so, un prete, magari?-

 

Shanks aggrottò la fronte.- E poi dove ci avrebbero messo, in un orfanotrofio? Dove forse saremmo rimasti per anni, senza che nessuno venisse ad adottarci? No, grazie!-

 

Eustass annuì in segno di assenso.

 

- Mmh...- Juls aveva assunto un'espressione meditabonda.- Aspettate qui.- Si alzò dal tavolo e fece cenno a suo marito di seguirla. si allontanò di qualche metro, fermandosi davanti a una delle finestre del locale.

 

- Juls, che hai in mente?-

 

La bionda sospirò.- Voglio fare qualcosa per quei due poveretti.-

 

- E cosa?-

 

- Pensavo...di portarli con noi in America.-

 

Benn guardò sua moglie come se le fosse spuntata un'altra testa.- Che...vuoi dire adottarli?-

 

- Sì, oppure chiederne la tutela legale.-

 

- Ma...- L'uomo non sapeva cosa dire.- Ascolta, passi offrirgli il pranzo, ma prenderli con noi...-

 

- Benn, capisco le tue obiezioni...- Allungò una mano per accarezzargli una guancia.- Ma hai sentito quello che ha detto Shanks? Sono soli al mondo. Se continuano a vivere per strada potrebbero fare una brutta fine.-

 

- E' vero, ma ci sono sempre gli orfanotrofi.-

 

- Tu sei mai stato in un orfanotrofio? Io sì, qualche anno fa. Mi stavo documentando per un articolo che dovevo scrivere. E posso assicurarti che non sono bei posti, per quanto chi ci lavora cerchi di far star bene i bambini.-

 

- Va bene, ma non possiamo metterci a fare i buoni samaritani con tutti i marmocchi che incrociamo! Abbiamo a malapena i soldi per tirare avanti in due.-

 

- Lo so, ma stringendo un pò la cinghia penso che potremmo farcela. E poi...- Gli prese una mano e se la sistemò sulla pancia.- Benn, voglio provare ad essere una madre per quei due bambini, visto che non potrò esserlo di mio.-

 

Benn guardò sua moglie, ricordando le parole del medico che l'aveva operata quando aveva perso il bambino.

 

"...purtroppo, è peggio di quanto pensassimo, signor Beckman. Sua moglie non potrà più avere figli..."

 

Gli occhi verdi di Juls incontrarono quelli neri di Benn.- Fallo per me, Benn.-

 

Benn sospirò, sconfitto. Per quanto coriaceo fosse, a sua moglie non riusciva mai a dire di no, specie se lo guardava in quel modo.- Va bene.-

 

Juls sorrise, gli diede un leggero bacio sulle labbra, e, tenendolo per mano, tornò al tavolo. I due fratelli le rivolsero uno sguardo interrogativo.

 

- Bambini...vi piacerebbe venire con noi in America?-

 

***

 

Qualche tempo dopo

Cocoyashi, California, USA

Casa della famiglia Beckman

 

Seduto su un divano accanto al tavolo della cucina, Benn riassumeva la sua giornata di lavoro.

 

-...lui mi dice "Lei non sa chi sono io!", e io gli rispondo: "Certo che lo so. Lei è un imbecille".-

 

Un coro di risate seguì quelle parole. Shanks ed Eustass si battevano i pugni sulle ginocchia, mentre Juls, molto più composta, ridacchiava con una mano davanti alla bocca.

 

Subito dopo, nella stanza echeggiò un piccolo suono metallico.

 

- E' pronta la torta di mele.- disse Juls, alzandosi per poi dirigersi verso il forno.

 

Benn seguì con lo sguardo sua moglie, per poi soffermarsi sui due fratelli. Chi lo avrebbe mai detto, pensò. E' andata meglio di quanto mi aspettassi.

 

Dopo una lunga odissea burocratica, lui e Juls erano riusciti ad ottenere la tutela legale dei due fratelli O'Malley. Non era stato facile, ma alla fine l'avevano spuntata. Inoltre, era stato stabilito che, una volta raggiunto la maggiore età, Shanks ed Eustass avrebbero deciso se prendere la cittadinanza americana e rimanere lì con Benn e Juls oppure ritornare in patria. Quest'ultima ipotesi era però abbastanza improbabile, visto ciò che avevano passato i due.

 

Una volta tornati a casa, Benn e Juls avevano per prima cosa preparato una stanza per i due bambini. Poi avevano acquistato tutta una serie di cose che gli sarebbero servite (Vestiti, libri, qualche giocattolo per il piccolo Eustass), e li avevano iscritti a scuola. Si erano ambientati benissimo, anche se gli altri bambini a volte li prendevano in giro per il loro strano accento.

 

I timori iniziali di Benn riguardo i soldi si erano un pò attenuati: poco dopo il rientro in patria, aveva ricevuto una promozione con un conseguente aumento di stipendio, e Juls era riuscita a vendere un suo articolo ad un importante giornale di San Diego. Per un pò non avrebbero dovuto preoccuparsi.

 

E poi c'era anche un'altra cosa, di cui Benn si stava rendendo conto solo in quel momento: nonostante il primo incontro tutt'altro che piacevole, nonostante le migliaia di dubbi che aveva avuto, alla fine si era affezionato anche lui ai due ragazzi irlandesi. Cominciava quasi a considerarli come dei figli.

 

Davvero strana la vita, riflettè guardando Juls tornare indietro con un vassoio con sopra una bella torta appena sfornata. Un giorno ti dicono che tua moglie non potrà più avere figli, e poi ecco che succede questo.

 

Il corso dei suoi pensieri si interruppe quando notò le labbra di Shanks che tremolavano.- Che c'è, Shanks?-

 

- Qualcosa non va, piccolo?- aggiunse Juls posando il vassoio sul tavolo. Eustass non disse niente, ma era rivolto anche lui verso il fratello maggiore.

 

- Niente, è solo che...- Delle lacrime iniziarono a scendergli dagli occhi.-...io...non pensavo che sarei stato di nuovo così...così felice.- Tirò su con il naso.- Non mi sentivo così da prima che mamma e papà morissero.- Fece una piccola pausa, poi prese per mano suo fratello.- Benn, Juls, non ve l'ho mai detto prima, ma...grazie. Grazie per tutto quello che avete fatto per noi.-

 

I due americani rimasero un attimo in silenzio, poi Juls si sedette accanto ai due irlandesi e li abbracciò.

 

- Non dirlo neanche, piccolo. Non dirlo neanche.- disse la bionda, accarezzando i capelli rossi di Shanks.

 

Benn sorrise e si unì all'abbraccio.

 

***

 

11 Ottobre 1986

Cocoyashi, California, USA

Casa della famiglia Beckman

 

Erano passati sei anni dall'incontro tra i coniugi Beckman e i fratelli O'Malley. Shanks, ormai maggiorenne, aveva chiesto e ottenuto la cittadinanza americana. Dopo aver finito il liceo, aveva iniziato a lavorare come barista in un locale. Il ragazzo aveva le idee molto chiare sul suo futuro: era infatti deciso ad aprire un pub tutto suo, appena ne avesse avuto la possibilità ("Sarà un pub irlandese", aveva detto a Benn e Juls una sera a cena, "In onore della mia terra d'origine. E lo chiamerò Red Force")

 

Il piccolo Eustass, invece, andava ancora a scuola, e se la cavava benino. Non era uno dei peggiori della classe, quanto piuttosto il classico ragazzo intelligente ma svogliato. Aveva voti appena al di sopra della sufficienza, ed era sempre pronto ad azzuffarsi con gli altri ragazzini. Inoltre, da un pò di tempo aveva iniziato a farsi chiamare "Kidd", in onore di Billy the Kid, personaggio dell'epopea western americana di cui si era letteralmente innamorato.

 

Benn e Juls non si erano mai pentiti della decisione di prendere con loro i due ragazzi (Anche se qualche volta Kidd faceva perdere la pazienza alla povera Juls). La loro vita era cambiata in meglio, e tra i quattro si era venuto a creare un legame molto solido, tanto che ormai i due americani consideravano Kidd e Shanks un pò come se fossero stati i loro veri figli. E la cosa era reciproca (Un paio di volte era anche capitato che Shanks chiamasse Juls "mamma").

 

Al momento, Benn sedeva in una stanza della casa che aveva battezzato "la fortezza della solitudine", un angolino tranquillo in cui si ritirava quando voleva rilassarsi. Era una stanza arredata in maniera abbastanza semplice, con un tavolino al centro, un divano e un paio di poltrone, e scaffali pieni di libri e oggetti vari che adornavano buona parte delle pareti. Juls aveva accompagnato Kidd dal dentista, mentre Shanks era al lavoro. E Benn aveva deciso di approfittare del tempo libero a disposizione per leggere qualche libro di Stephen King, il suo autore preferito.

 

Ma proprio quando stava per girare una pagina di "Le notti di Salem", accadde qualcosa di imprevisto.

 

- Ehi, Benn?-

 

Il militare si girò e vide Shanks fermo sulla soglia.

 

- Shanks...non ti avevo sentito. Come mai già a casa?-

 

- Oggi abbiamo chiuso prima, e...- Si fermò un attimo.- Senti, Benn, posso chiederti una cosa?-

 

- Certo. Di che si tratta?-

 

Il ragazzo si grattò la nuca.- Ecco...è una cosa un pò imbarazzante. Volevo chiedere a Juls, ma non c'è, quindi...-

 

- Non preoccuparti, ti aiuterò io. Siediti qui.- Indicò il posto sul divano accanto a sè e posò il libro sul tavolino. Aspettò che Shanks si sedette e accavallò le gambe.- Allora, cos'è che volevi chiedermi?-

 

Shanks deglutì e si morse un labbro.- Dunque...ho conosciuto una ragazza. Si chiama Makino. Si è trasferita da poco in città con la sua famiglia.-

 

Benn annuì e sorrise.- Fammi indovinare. Ti sei innamorato appena l'hai vista.-

 

Il rosso sgranò gli occhi.- Come...come hai fatto?-

 

- Non era tanto difficile da capire. E poi, l'espressione che hai fatto quando l'hai nominata era abbastanza eloquente.-

 

Il giovane irlandese abbassò lo sguardo per l'imbarazzo.

 

- Ehi, non fare così. Non c'è niente di cui vergognarsi.- Gli mise una mano sulla spalla.- Piuttosto, lei lo sa?-

 

- N-no, non gliel'ho ancora detto, però...credo di esserle simpatico.-

 

- Capisco...quindi, quello che volevi chiedermi ha a che fare con lei?-

 

- Esatto, vorrei...vorrei chiederle di uscire, ma...ecco, non so come fare.-

 

- Che vuoi dire? Sei vergine?-

 

- N-no! E' che...non so come fare per conquistarla.-

 

- Ah.- Si grattò il mento.- E avevi pensato di chiedere a Juls perchè...-

 

- E' una donna, e pensavo che avrebbe potuto...non so, darmi qualche dritta, dirmi come pensano le ragazze...- Il ragazzo si interruppe notando l'espressione divertita di Benn.- Cosa c'è?-

 

- Ragazzo mio, se c'è una cosa che un uomo non dovrebbe fare mai, è cercare di capire come ragionano le donne. Credimi, si rischia la pazzia.- Si schiarì la voce.- Comunque, cercherò lo stesso di darti qualche consiglio. Va bene?-

 

Il rosso annuì.

 

- Allora, la prima cosa che devi sapere delle donne, è che sono degli esseri completamente diversi da noi. Per quanto un uomo si sforzi, non riuscirà mai a capirle davvero. Del resto, la cosa è reciproca. Le donne non capiranno mai gli uomini...

 

- Ma sto divagando, scusami. Dicevo, noi uomini non capiamo le donne. Ma qualche cosa la sappiamo lo stesso. Ad esempio, sappiamo che apprezzano quelli che le fanno ridere. Quindi il mio primo consiglio è questo: falla ridere, e sarai sulla buona strada. Con questo però non voglio dire che devi comportarti come un clown del circo. Devi essere simpatico, non un buffone. Capisci cosa voglio dire?-

 

- Credo di sì.-

 

- Molto bene. Un'altra cosa molto importante da tener presente è la sincerità. Se vuoi impressionare favorevolmente una donna, devi essere te stesso. Non cercare di sembrare un "figo" solo perchè vedi altri comportarsi in quel modo. E anche quando hai a che fare con lei, devi essere onesto. Se ad esempio lei ti chiede la tua opinione su una determinata cosa, tu devi dire quello che pensi. Ma devi anche saperlo dire in modo da non urtare i suoi sentimenti.

 

- E a proposito di sentimenti. Quando sei con lei, devi cercare di creare un'atmosfera romantica, ma senza essere troppo smielato. Finchè si tratta ad esempio di una cenetta a lume di candela va benissimo, ma se incominci ad esagerare lei scapperà a gambe levate.-

 

- Un pò come quella cosa della simpatia?-

 

- Esatto. E un'altra cosa. Cerca anche di capire cosa le piace, di condividere qualcuno dei suoi interessi. Così facendo getterai le basi per un buon rapporto.

 

- E direi che così basta. Al resto ci dovrai arrivare da solo.-

 

Shanks prese un respiro profondo e annuì.- Va bene. La prossima volta che vedo Makino, le chiederò di uscire. Grazie, Benn.-

 

- Di niente, Shanks.- 

 

Benn attese che il ragazzo uscisse dalla stanza, poi appoggiò i piedi sul tavolino e riprese a leggere.

 

***

 

15 Gennaio 1995

Loguetown, California, USA

Aeroporto Brandnew

 

L'unico aeroporto di Loguetown era sempre gremito di persone, tutte provenienti o dirette verso i luoghi più disparati. Alcune di queste persone si stavano imbarcando sul volo 3D2Y della American Airlines, diretto a New York. E tra di loro, c'era anche una coppia di nostra conoscenza.

 

- Devi proprio andare?- chiese Benn Beckman a sua moglie.

 

Juls annuì.- Non fare così, Benn. Te l'ho detto, sarà solo per qualche giorno. Appena avrò finito, tornerò a casa.-

 

Alcuni giorni prima Juls aveva fissato un appuntamento con un suo amico e collega giornalista, che lavorava per uno dei più importanti quotidiani newyorkesi. I due stavano lavorando da tempo a un'inchiesta sulla criminalità organizzata della West Coast, ed erano vicinissimi a scoprire la vera identità di un potente boss mafioso noto come Sir Crocodile. Perciò, avevano stabilito di incontrarsi a New York e rielaborare insieme i dati che avevano raccolto.

 

Benn non era molto contento della cosa. Non perchè fosse geloso (Anche perchè sapeva che l'amico di Juls era gay), ma semplicemente perchè, a causa del suo lavoro (Era appena stato promosso colonnello, e gli impegni erano aumentati) non avrebbe potuto accompagnarla.

 

- Vorrei poter venire con te...-

 

- Stai tranquillo, me la caverò benissimo anche da sola. Non so se te ne sei accorto, ma non sono più la ragazzina spaventata e indifesa che hai conosciuto tanti anni fa.-

 

Benn annuì. Juls era cambiata molto dalla prima volta che l'aveva incontrata. Lui però non poteva fare a meno di preoccuparsi. Era sempre stato molto protettivo nei suoi confronti.

 

Juls guardò l'aereo con la coda dell'occhio.- Adesso però sarà meglio che vada, altrimenti rimango a terra.-

 

- Chiamami appena puoi.-

 

La bionda sorrise, abbracciò suo marito e gli diede un bacio breve ma intenso.- Ti amo, Benn.- Si allontanò da lui e si diresse verso l'aereo, ultima di una lunga fila di passeggeri. Appena prima di entrare, si girò un attimo e gli fece un cenno di saluto con la mano, che Benn ricambiò. Rimase a guardarla quando si girò e sparì all'interno dell'aereo, il portello alle sue spalle chiuso da una hostess.

 

Non l'avrebbe rivista mai più.

 

***

 

Qualche ora dopo

Casa della famiglia O'Malley

 

-...ripetiamo la notizia per chi avesse appena acceso il televisore: il volo 3D2Y della American Airlines è esploso mezz'ora fa nei cieli del Texas, nei pressi della città di Amarillo. Le forze dell'ordine, accorse sul luogo dell'incidente, non hanno ancora rilasciato dichiarazioni sulle cause dell'incidente. Data la natura dell'esplosione, si esclude per ora la presenza di sopravvissuti...- Sullo schermo, una giovane Paula Rockbell leggeva la notizia con occhi sbarrati, le mani che tremavano. Le persone raccolte davanti al televisore erano in condizioni simili.

 

Shanks e Kidd erano in silenzio, la bocca spalancata e lo sguardo fisso sul televisore. La piccola Nojiko, seduta sulle ginocchia della madre, guardava tutti con aria confusa.

 

- Mamma, che succede? Perchè hanno tutti una faccia strana?-

 

- Zitta, Nojiko.-

 

Benn Beckman, bianco come un cencio, aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Non sapeva cosa pensare. Il mondo gli era crollato addosso.- Juls...- fu tutto quello che riuscì a dire.

 

All'improvviso, la giornalista si interruppe e fissò un punto al di fuori dello schermo. Dopo pochi secondi riprese a parlare.- Mi comunicano che è appena arrivato in redazione un video proveniente, a quanto pare, dai responsabili dell'attentato. Si tratterebbe di un gruppo chiamato "Baroque Works", di cui nessuno ha mai sentito parlare prima. Ve lo mostriamo.-

 

L'immagine della giornalista fu sostituita da quella di un uomo in divisa militare col volto coperto da un passamontagna. Impugnava un M-16 ed era seduto su una cassa di legno, in una stanza illuminata solo da una lampadina appesa al soffitto, senza altri segni identificativi.

 

- Salve, America. Il mio nome è Hody Jones, e sono il leader della Baroque Works.- La voce dell'uomo, già camuffata dal passamontagna, era priva di accento o di inflessioni particolari. Avrebbe potuto essere chiunque.

 

- Il nome della mia organizzazione vi giungerà nuovo. In effetti, noi esistiamo da poco, e finora non abbiamo mai avuto occasione di farci conoscere. Ma c'è una prima volta per tutto. L'esplosione di cui vi hanno dato notizia i media è opera nostra.

 

- Abbiamo deciso di iniziare in questo modo la nostra crociata. Contro cosa?, starete pensando. E' presto detto. Contro l'America e il sistema corrotto e imbastardito che la governa.

 

- Un sistema in mano ai plutocrati ebrei, che privilegia i negri a discapito dei bianchi. Un sistema che si è arreso al nemico comunista, e che anzi traffica con esso. Un sistema che sta facendo rivoltare i nostri Padri Fondatori nella tomba!-

 

Benn iniziò a tremare.

 

- E' arrivato il momento di porre fine a questo sistema! Il momento che i veri patrioti si sollevino e si riprendano quello che gli appartiene di diritto! E noi della Baroque Works saremo gli artefici di questa rivoluzione!

 

- Quella di oggi è solo la prima delle nostre azioni dimostrative. Molte altre la seguiranno, e non ci fermeremo finchè il governo di Washington non sarà capitolato...-

 

In quel momento, fu come se il mondo attorno a Benn fosse svanito. Non sentiva più le parole dell'uomo sullo schermo, o il respiro delle altre persone che gli erano accanto. In quel momento, l'unica cosa che occupava la sua mente era Juls.

 

Juls, coi suoi lunghi capelli biondi e gli occhi verdi. Juls, col suo sorriso contagioso che rallegrava sempre tutti. Juls, la donna più dolce e gentile che avesse mai conosciuto. La donna che amava, e che ora non c'era più.

 

Gli passarono davanti agli occhi le immagini della loro vita insieme. Gli tornarono in mente le prime parole che le aveva rivolto tanti anni prima, a San Francisco...

 

"Calmati, sei al sicuro adesso."

 

...le ultime parole che lei gli aveva detto poche ore prima, all'aeroporto.

 

"Ti amo, Benn."

 

Aveva sempre saputo che prima o poi la morte sarebbe arrivata a separarli, ma non così. Aveva sperato di poter invecchiare accanto a lei, di dividere con lei tutte le gioie e i dolori della vita. Purtroppo, ora tutto ciò non sarebbe più accaduto. Juls era morta.

 

Juls era morta.

 

Una parte di lui sperava che in qualche modo Juls fosse ancora viva. Tuttavia, la sua parte razionale sapeva che ciò era impossibile. Anche se per miracolo sua moglie fosse sopravvissuta all'esplosione, si sarebbe sicuramente sfracellata al suolo. In ogni caso, la verità era innegabile.

 

Juls era morta.

 

Mentre l'uomo di nome Hody Jones finiva il suo discorso delirante e Paula Rockbell riprendeva il suo posto sullo schermo, Benn Beckman abbandonò per un attimo l'immagine di uomo duro che lo aveva sempre caratterizzato.

 

Seppellì il viso tra le mani e scoppiò a piangere.

 

***

 

26 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

Nel pub Red Force

 

Benn concluse il viaggio nei propri ricordi e ritornò al presente, accorgendosi solo in quel momento di una sensazione che pensava di aver dimenticato.

 

Lì, seduto a un tavolo con Shanks e gli altri, con il suono di risate allegre, una delle quali era proprio la sua, che gli riempiva le orecchie, si sentiva come se il sole fosse tornato a splendere dopo una giornata di pioggia.

 

Per la prima volta dopo tanti anni, si sentiva felice.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Ed ecco qui finalmente l'OC di cui avevo parlato. Dunque, Juls fu creata da Yellow Canadair (che non smetterò mai di ringraziare per avermela prestata) nel lontano 2014, con la storia "Le schiave". La nostra era una schiava dei Draghi Celesti che veniva soccorsa dalla ciurma di Shanks il Rosso. Nella successiva "L'uomo che veniva dal mare", veniva illustrato lo sviluppo del rapporto tra Benn e Juls. Inoltre, di recente Juls ha fatto una piccola apparizione ne "I razziatori dell'isola di Skye". Vi consiglio vivamente di dare un'occhiata a quelle storie, non solo perchè così vedrete com'era la Juls originale, ma soprattutto perchè si tratta di ottime storie e vale la pena leggerle, fidatevi.

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo, come sempre, tra due settimane. A presto! E se ne avete voglia, lasciate un commento)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 6: Manovre di avvicinamento ***


Capitolo 6: Manovre di avvicinamento

 

30 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

Palestra Shimoshiki

 

-...148...149...ngh...150!- Zoro smise di fare le flessioni e si tolse il grosso peso metallico che aveva sulla schiena. L'oggetto, che pesava una decina di chili, cadde a terra con un tonfo sordo.

 

- E bravo Zoro, hai di nuovo battuto il tuo record.- disse Bellamy, seduto su una panca ad osservare il suo amico. A differenza di quest'ultimo, che indossava una tuta rossa ormai zuppa di sudore e maleodorante, Bellamy aveva addosso i suoi vestiti normali ed era pulito. Aveva appena finito di lavarsi dopo aver concluso la sua solita sessione di esercizi vari, ed era rimasto lì per far compagnia a Zoro.

 

Il poliziotto dai capelli verdi si asciugò il sudore della fronte col dorso della mano e si mise in piedi, ansimando.- La prossima volta...arriverò a 300.-

 

- 300? Sei sicuro?-

 

- Fidati, ce la farò.-

 

- Se lo dici tu...- Il biondo diede un'occhiata all'orologio sul muro.- Hmm...senti, io mi avvio. Tu che fai?-

 

- Resto qui ancora un pò. Voglio esercitarmi col sacco.-

 

- Ancora? Ma sei qui da più di due ore! Non sei stanco?-

 

- Un pò, ma posso sopportarlo.-

 

- Zoro, prima o poi tutto questo finirà per ucciderti. Va bene tenersi in forma, ma così esageri.-

 

- Mi fa piacere vederti preoccupato per la mia salute, Iena. Non sapevo che ci tenessi così tanto.-

 

L'altro poliziotto sghignazzò.- Se ti succedesse qualcosa, poi io e gli altri chi piglieremmo per il culo? Comunque, se vuoi continuare a massacrarti, fai pure. Ci vediamo domani al distretto.- Zoro gli rispose con un cenno della testa. Bellamy si allontanò fischiettando.

 

Zoro prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e si avvicinò al sacco pieno di segatura che veniva solitamente usato come bersaglio per i pugni degli atleti. Aprì gli occhi di scatto, mosse leggermente le braccia all'indietro e iniziò a tempestare di colpi il povero sacco. Non essendoci nessun altro al momento in palestra, i pugni echeggiarono nel silenzio come colpi di mitragliatrice, anche per via della velocità. All'improvviso Zoro interruppe la gragnola di pugni e mollò un calcio all'oggetto, poi un altro e un altro ancora. Andò avanti così per circa un minuto, per poi fermarsi e sorridere soddisfatto.- Ora ci siamo.-

 

Quasi tutti i giorni, dopo aver finito il turno al distretto, Zoro si recava in palestra per allenarsi. Rimaneva sempre un pò di più degli altri, in modo da poter usare bene tutti gli attrezzi. Inoltre, una volta alla settimana partecipava al corso di arti marziali tenuto dal proprietario della palestra. Ed era quello il suo vero interesse.

 

Zoro era un appassionato di arti marziali, fin da quando, molti prima, aveva assistito a un incontro di Drakul Mihawk, un ungherese che attualmente deteneva il titolo di campione del mondo. Era rimasto ipnotizzato dalle movenze dell'uomo, che era subito diventato il suo idolo. Da allora, aveva dedicato quasi tutto il suo tempo libero ad imparare le varie discipline esistenti. Il suo sogno era diventare forte quanto Mihawk, e magari anche riuscire a batterlo, se mai si fossero incontrati (Molti pensavano che quella di Zoro fosse un'ossessione più che un sogno, ma nessuno si azzardava a dirglielo in faccia. Avevano troppa paura della sua reazione).

 

Fece schioccare le nocche delle mani e si stiracchiò per bene. Ora che ci faceva caso, iniziava a sentire un pò di stanchezza (Una delle peculiarità di Zoro era la sua resistenza sovrumana alla fatica). Per quel giorno si era allenato abbastanza. Si sarebbe prima fatto una bella doccia e poi sarebbe tornato a casa a gustarsi una bottiglia di sakè o due (Un'altra era l'elevata capacità di sopportazione degli alcolici) davanti a un buon film, oppure sarebbe uscito coi suoi amici.

 

- Ehilà, Zoro.-

 

Il poliziotto si girò e si accorse della presenza di Tashigi. La sua collega indossava una tuta gialla con delle strisce nere, e sembrava appena arrivata.- Tashigi...come mai qui?-

 

- Avevo voglia di esercitarmi un pò con mio padre.- Tashigi era figlia del proprietario della palestra, e spesso approfittava della struttura per allenarsi. A volte sostituiva suo padre nel corso di arti marziali, con grande gioia degli allievi (Oltre ad essere bella da vedere, era anche molto meno severa).

 

- E lui dov'è?- Notò anche che non aveva gli occhiali, e pensò che dovesse esserseli tolti per l'allenamento. Si chiese come facesse senza, poi gli venne in mente che era solo un pò astigmatica. Nulla che la rendesse cieca come una talpa, quindi.

 

- Sarà qui tra poco. Tu, piuttosto, che fai?-

 

- Niente, ho finito gli allenamenti e stavo per andarmene.-

 

Tashigi diede un'occhiata ai muscoli di Zoro, messi in evidenza grazie al fatto che la maglia della tuta gli si era appiccicata addosso per via del sudore, e si morse un labbro.- Senti...prima di andartene, ti andrebbe di provare due mosse con me?-

 

Zoro inclinò leggermente la testa.- Non potremmo fare un'altra volta? Comincio a sentirmi stanco.-

 

- Eddai, solo un paio di mosse, che vuoi che sia?- Si mise una mano su un fianco e sorrise.- Non avrai mica paura di me?-

 

- Paura?-

 

- Di perdere. Sì, dev'essere così. Hai paura di perdere contro una donna.-

 

Roronoa digrignò i denti. Tutto si poteva dire di lui, ma non che avesse paura di una donna. Fissò la sua collega con uno sguardo di fuoco.- Va bene, ma vediamo di fare in fretta.- 

 

Tashigi abbandonò il sorriso e divenne improvvisamente molto più seria. Piegò leggermente le gambe, e partì alla carica. Si muoveva con una tale velocità che Zoro ebbe a malapena il tempo di assumere una posizione difensiva, per poi essere colpito in pieno petto da un pugno della ragazza. Barcollò un attimo e strabuzzò gli occhi, più per la sorpresa che per la forza del colpo.

 

- Che diavolo...-

 

- Ho lavorato molto sulla mia velocità, Zoro.- giunse la voce di Tashigi da dietro di lui, con una sfumatura vagamente inquietante.- Ma non solo. Guarda un pò qua.- Prima che potesse reagire, la ragazza lo colpì alla base della schiena con una forza tale da farlo cadere a terra di faccia. Zoro ruggì e fece per girarsi, ma Tashigi gli saltò addosso e lo tenne fermo col suo corpo.

 

- E ho anche imparato come sfruttare al meglio la mia massa corporea.- Era vero. Per quanto Zoro si sforzasse, non riusciva a scrollarsi di dosso Tashigi. E dire che era molto più leggera di lui!

 

Zoro soffocò un'imprecazione.- Va bene, lo ammetto. Mi hai sorpreso. Ora però vuoi toglierti di lì?-

 

- E perchè? Si sta comodi, qui sulla tua schiena. E poi...- Si abbassò quel tanto che bastava da avvicinarsi all'orecchio di Zoro.-...finchè ti sto sopra, sei completamente immobile. Perchè non dovrei approfittarne?- sussurrò con una voce sensuale che avrebbe fatto intuire a chiunque le sue intenzioni.

 

A chiunque, tranne che a Zoro. Infatti, il ragazzo stava pensando a chissà quale strana mossa Tashigi avesse intenzione di tirare fuori, forse qualcosa che aveva a che fare con le gambe o con la schiena. Non pensò neanche vagamente al sesso, neanche quando iniziò ad avvertire un principio di erezione dovuto alla pressione dei seni della ragazza sulla schiena. Non che fosse gay, o chissà che altro. Era semplicemente parecchio ottuso.

 

- Che intenzioni hai?- chiese, aspettandosi il peggio.

 

- Beh, ad esempio potrei...-

 

-...potresti alzarti e lasciar andare quel poveretto prima di rompergli accidentalmente qualche osso.- disse improvvisamente una voce maschile, con appena una punta di rimprovero.

 

Tashigi alzò la testa e si trovò davanti suo padre, Koshiro. Per poco non le venne un colpo. Nella frenesia del momento, si era completamente dimenticata di lui. Scese immediatamente da sopra Zoro e guardò imbarazzata suo padre.- M-mi sono fatta trascinare dall'entusiasmo, Oto-san. Stavamo...-

 

-...stavamo solo provando un paio di mosse, Sensei.- disse Zoro rialzandosi.- Sua figlia è riuscita ad atterrarmi.-

 

- Mmh...capisco. Vuoi rimanere ancora un pò, Zoro?-

 

- No, grazie, mi sono allenato abbastanza per oggi.-

 

- Come vuoi, ci vediamo la prossima volta allora.-

 

- Arrivederci, Sensei. Tashigi.- Zoro rivolse un cenno di saluto alla ragazza e si allontanò.

 

Subito dopo, Koshiro volse lo sguardo verso sua figlia.- Stai ancora cercando di sedurlo, vero?-

 

Tashigi arrossì un pochino.- Sì, Oto-san.-

 

- E lui non ha ancora reagito?-

 

- No, Oto-san. A volte ho l'impressione che neanche si accorga di me.-

 

- Forse dovresti desistere. In fondo, ci sono tanti altri giovanotti in...-

 

- Mai!- esclamò improvvisamente Tashigi con una determinazione che spaventò Koshiro. Strinse un pugno e socchiuse gli occhi.- Lo giuro su tutto quello che c'è di più sacro, Oto-san. Dovessi metterci cento anni, alla fine quell'uomo sarà mio!- E per sottolineare la sua affermazione, pensò bene di dare un pugno al sacco che stava prima usando Zoro. Purtroppo, ci mise troppa forza, tanto che lo spaccò in due e la segatura finì tutta sul pavimento.

 

- Ops...- Tashigi aveva voglia di sprofondare.

 

Koshiro scosse la testa e sospirò. Quando sua figlia si metteva in testa una cosa, perdeva completamente il lume della ragione. Sarebbe stata capace di distruggere tutto ciò che aveva davanti pur di raggiungere il suo obiettivo. Dio abbia pietà di chi si metterà tra lei e Zoro, pensò chinandosi e iniziando a raccogliere i resti del sacco.

 

***

 

In un supermarket qualunque

 

Il cassiere del supermarket prese delle monetine dalla cassa e le diede alla cliente.- Ecco il suo resto, signora. Vuole che chiami un commesso per aiutarla con le buste?-

 

- No grazie, faccio da sola.- rispose la donna mettendosi gli spiccioli in tasca.

 

- Come vuole, signora. Buona giornata e grazie per aver fatto la spesa da noi.-

 

Bellemere rispose con un cenno del capo, prese le buste e si avviò verso l'uscita.

 

- Forse avrei dovuto farmi aiutare.- mormorò tra sè e sè la donna, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Le buste della spesa erano talmente piene di roba da ostruirle parzialmente la visuale, e rischiava di andare a sbattere contro qualcuno.

 

E fu proprio questo che accadde. Appena ebbe varcato la soglia del negozio, fece per svoltare l'angolo e si scontrò con un muro di mattoni umano. Sia lei che il contenuto delle buste caddero a terra, e a giudicare dalle imprecazioni che sentiva, doveva essere successa la stessa cosa anche a quell'altra persona, chiunque egli fosse.

 

- E che cazzo! Stia un pò attenta, signora!-

 

Bellemere non ebbe difficoltà a riconoscere la voce.- C-clint?-

 

Era proprio Clint Callahan, alias Smoker. Il poliziotto si rialzò massaggiandosi la schiena e fissandola di sbieco. Come l'ultima volta che si erano incontrati, non sembrava molto felice di vederla.- Di nuovo tu.-

 

Kyoko Watanabe si aspettò per un attimo che Smoker l'avrebbe aiutata a rialzarsi, ma non ricevendo alcuna mano tesa, lo fece da sola. Le faceva male la schiena, ma fortunatamente non era niente di grave. Sorrise imbarazzata.- Smoker...che sorpresa. Cosa fai qui?-

 

- Che te ne importa?-

 

- Niente, io...chiedevo soltanto.-

 

Smoker grugnì.- Ero venuto a comprare dei sigari. Questo supermarket è l'unico posto in città dove riesco a trovarli a un prezzo decente.-

 

- Non sigarette? Sai, ricordo che al liceo ne fumavi in continuazione.-

 

- Merito di mia moglie. Mi ha convinto a smettere con le sigarette e a limitarmi a un sigaro di tanto in tanto.-

 

Moglie? Questa non me l'aspettavo, pensò la donna.- Oh, sei...sei sposato? Non lo sapevo.-

 

- Vedovo.- rispose Smoker con un tono più cupo del solito.

 

- Oh.- Bellemere non sapeva cosa dire. Decise di cambiare argomento.- Senti, stavo pensando...visto che ci siamo ritrovati dopo tanti anni, che ne diresti se...insomma, se qualche volta ci incontrassimo per fare due chiacchiere?-

 

Il poliziotto aggrottò le sopracciglia.- Cosa ti fa credere che io abbia voglia di passare del tempo con te?-

 

- Beh...non so, non hai voglia di parlare dei vecchi tempi? Di...-

 

- Stammi bene a sentire, stupida femmina.- Smoker le si avvicinò minaccioso e le puntò contro un dito.- Il fatto che tu adesso viva nella mia stessa città non mi riempie di gioia, ma posso tollerarlo. Posso anche sopportare il fatto di vederti in giro. Ma non pensare neanche per un attimo che io voglia passare del tempo con te, o anche solo parlarti. Con quello che è successo tra di noi, non voglio neanche pensarti! Sei uscita dalla mia vita, e non vi rientrerai mai più! Se cercherai un'altra volta di parlarmi, giuro che non risponderò più delle mie azioni.- Al che si girò e si diresse verso l'entrata del supermarket, calpestando nel mentre un paio di barattoli usciti dalle buste di Bellemere.

 

La donna rimase a guardare la schiena del suo ex che si allontanava, per poi sparire oltre le porte scorrevoli del negozio. Rimase immobile con le braccia lungo i fianchi, negli occhi una tristezza mista a rimorso e senso di colpa. Una lacrima le rigò la guancia sinistra. Alla fine si riprese e si chinò per raccogliere i suoi acquisti.

 

Non può andare avanti così, pensò. Devo parlare con Clint. Devo mettere a posto le cose. Devo...devo costringerlo ad ascoltarmi. Sì, farò così.

 

Finì di rimettere gli oggetti nelle buste di carta e si avviò verso l'Impala parcheggiata poco più avanti (Senza scontrarsi con qualcun altro, fortunatamente).

 

***

 

Fuori da un cinema in centro

 

Nami e Bibi uscirono dal cinema ridacchiando. Ognuna delle due aveva in mano un grosso bicchiere di Coca-Cola con una cannuccia da cui sorseggiavano di tanto in tanto, Bibi praticamente in silenzio, Nami molto rumorosamente.

 

- Cavolo, che film. Abbiamo fatto bene a vederlo. Devo proprio ringraziarti, Nami.- disse l'egiziana.

 

- E di che?- rispose la rossa.- Mi sono semplicemente limitata a scegliere un titolo da un elenco.-

 

- E' vero, ma resta comunque un'ottima scelta. La trama era avvincente, e gli effetti speciali ancora meglio. E la tua amica è stata bravissima.-

 

Erano andate a vedere un film intitolato "La principessa dei fantasmi", il nuovo capitolo della serie Thriller Bark, una saga a metà tra l'horror e il comico. La serie era iniziata da poco, ma aveva subito acquisito un'enorme popolarità in tutti gli Stati Uniti, e stava anche per essere esportata all'estero. Ma la particolarità del film che avevano appena visto le due ragazze, era che aveva come protagonista una vecchia conoscenza di Nami: Perona Addams, sua compagna di classe alle elementari e alle medie, e che ad un certo punto si era trasferita altrove con la sua famiglia. Per un bel pò, Nami non aveva saputo più nulla di lei, ma di recente aveva scoperto che si era messa a fare l'attrice. Aveva iniziato con qualche particina di poco conto in alcune serie TV, tra cui Game of Thrones e Supernatural. Il ruolo interpretato ne "La principessa dei fantasmi" rappresentava il suo esordio sul grande schermo. Nami era rimasta sorpresa nel leggere il nome della sua vecchia compagna di scuola nel cast, e quello era stato il secondo motivo che l'aveva spinta a scegliere quel film (L'altro era che lei era una grande fan di Thriller Bark. Aveva visto tutti gli altri film, alcuni anche più di una volta).

 

- A dire la verità, non siamo mai state grandi amiche. Sai, lei era...beh, diciamo solo che era un pò stronza. In questi anni non mi è mancata per niente. Però ero curiosa di vederla recitare in un film importante.-

 

- Beh, sia come sia, resta il fatto che è un'ottima attrice. E come si muove! Hai visto come ha decapitato quello zombie gigante dopo essergli saltata sulle spalle?-

 

- Già, e quell'altra scena dove scopre che quello nel suo orsacchiotto era in realtà il fantasma della sua peggiore nemica? Sono morta dal ridere!-

 

Le ragazze scoppiarono a ridere, poi presero un ultimo sorso dai bicchieri e li gettarono in un cestino dell'immondizia.

 

- Adesso dove andiamo?- chiese Bibi.

 

- Non saprei, tu dove...- Nami si interruppe, sentendo una vibrazione proveniente dalla tasca dei jeans. Vi infilò una mano ed estrasse il suo smartphone.- Oh, è Nojiko. Chissà che vuole.- Premette l'icona di accettazione della chiamata.

 

- Ehi, cuginetta, dove sei?- giunse la voce di Nojiko dall'altro capo.

 

- In giro con Bibi, siamo appena uscite dal cinema.-

 

- Bene, ho una notizia che ti potrebbe interessare. Più tardi, al Marineford, c'è un live di Apoo e gli Scratchmen, e zio Kidd mi ha fatto avere dei biglietti gratis. Ti va di venire?.-

 

Apoo e gli Scratchmen erano un celebre gruppo reggae, un genere musicale che Nami adorava. Perciò, colse al volo l'occasione.- E me lo chiedi pure? Certo che mi va!-

 

- Benissimo. Viene anche Bibi?-

 

- Aspetta che glielo chiedo.- Si girò verso la sua amica.- Bibi, a te piace la musica reggae?-

 

- Reggae? Uhm...a essere sincera, credo di non averla mai ascoltata. Perchè?-

 

- Nojiko ha avuto dei biglietti gratis per il live di un gruppo reggae, e voleva sapere se ci va di venire.-

 

L'egiziana ci pensò su un attimo e poi rispose.- Ma sì, perchè no?-

 

- Bene.- La rossa tornò a parlare con sua cugina.- Ha detto di sì.-

 

- Fantastico, allora ci vediamo tutte davanti al Red Force. Il tempo di darmi una sistemata e poi andiamo. Ciao ciao!- La comunicazione si interruppe. Nami si rimise il telefono in tasca.

 

- Hai già ascoltato qualcosa di quel gruppo?- chiese Bibi.

 

- Oh sì, tutte le loro canzoni. Vedrai, ti piaceranno sicuramente.- rispose entusiasta Nami.

 

- Va bene, mi fido.- L'egiziana sorrise, subito ricambiata dall'americana.- Credi che debba cambiarmi?-

 

- Ma no, vai benissimo così.-

 

- Meno male. Allora chiamo Igaram e gli dico di venirci a prendere.-

 

Bibi prese il cellulare e telefonò a Igaram. Quest'ultimo, essendo nelle vicinanze, non ci mise molto ad arrivare, e accompagnò le due ragazze al Red Force.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Ricordate quando ho detto che ci sarebbero stati 30 capitoli? Beh, non sarà più così. Di recente ho dato un'occhiata agli appunti, e mi sono accorto che c'erano diverse cose che non andavano, così mi sono messo al lavoro e ho rifatto tutto daccapo. Ora ce ne saranno 27, di capitoli.

 

E a proposito di questo capitolo, sicuramente vi starete chiedendo "Ma come, Koshiro è il padre di Tashigi? E Kuina?" Tranquilli, verrà tutto spiegato a tempo debito.

 

Alla prossima, cari lettori! E fatemi sapere cosa ne pensate.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 7: Notte movimentata ***


Capitolo 7: Notte movimentata

 

30 Novembre 2015

Loguetown, California, USA

Lo strip-club Amazon Lily

 

Nel locale risuonava una musica techno ad un volume quasi assordante, mentre sul palco si dimenavano svariate ragazze mezze nude. Davanti a loro, decine di clienti con la bava alla bocca (Letteralmente) le guardavano con occhi carichi di desiderio, infilando ogni tanto dei dollari nei loro costumi striminziti. Mentre tutto questo accadeva, al bar del locale un certo giovanotto dai capelli scuri e il naso particolarmente lungo era impegnato in una conversazione con la bionda barista.

 

- Dimmi, è da molto che lavori qui?- chiese Usop, sorseggiando svogliatamente un Cosmopolitan. Seduto accanto a lui, Rufy muoveva la testa al ritmo della musica.

 

- Uhm...saranno sì e no un paio di settimane.- rispose la barista, che altri non era che Kaya Vinsmoke, la più giovane dei figli di Zef del Baratie.- Prima lavoravo in un bar in centro, ma il proprietario mi ha licenziata, così eccomi qua.-

 

- E come ti trovi?- Usop stava prestando più attenzione alla ragazza che al cocktail.

 

- Meglio di quanto mi aspettassi. L'ambiente è...come dire, particolare, ma so cavarmela. Il signor O'Malley paga bene, e se faccio un pò di moine ai clienti ricevo anche delle ottime mance.- Fece una piccola pausa, poi riprese.- L'unico problema è la "divisa" che devo indossare.-

 

- Perchè, non ti piace?-

 

- Non molto. E' un pò volgare per i miei gusti. Ma devo metterla, se voglio lavorare qui.- La "divisa" di Kaya, consistente in una camicetta bianca con su il logo del locale (La sagoma di una donna seduta su un fiore) e una minigonna nera, non lasciava nulla all'immaginazione, tanto che non avrebbe fatto molta differenza se fosse stata nuda. Usop stava facendo una fatica incredibile per continuare a guardarla negli occhi.

 

- E comunque...- continuò la ragazza.-...per me, fare la barista è solo un mezzo per guadagnare qualche soldo senza dover dipendere da mio padre. Il mio sogno è fare il medico.-

 

- Beh, ti auguro di riuscirci. Anche se devo dire che è un peccato che tu non voglia continuare per questa strada. Fai degli ottimi cocktail.-

 

- Sei troppo gentile.- Kaya sorrise, e Usop arrossì.

 

- Sarà, ma è vero. A proposito, me ne prepareresti un altro?- Si era accorto solo in quel momento di aver finito il Cosmopolitan.

 

- Non ne hai già bevuti tre, con questo?-

 

- Uno e poi basta.-

 

- Va bene, te lo preparo subito.- La ragazza si girò, e il giovane brasiliano ebbe modo di ammirare il suo sedere fasciato in quella minigonna più piccola del normale. Rosso fino all'attaccatura dei capelli, e con un'erezione che minacciava di bucargli i pantaloni, tornò a rivolgere la sua attenzione sullo spettacolo in corso sul palco.

 

Spettacolo che finì dopo appena dieci secondi. Le ragazze si defilarono tra gli ululati dei clienti, le luci sul palco si spensero e la musica techno di poco prima fu sostituita da un gradito silenzio (Per Usop, almeno. Quell'orrida cacofonia lo stava facendo uscire di senno).

 

- E ora solo qualche secondo di pazienza, gentili clienti. Tra un pò farà la sua comparsa il piatto forte della serata, perciò non allontanatevi!- esclamò il DJ dalla consolle. I clienti risposero con altri ululati.

 

- Uffa, ma non poteva continuare a mandare la musica?- disse Rufy con un tono parecchio infastidito.

 

- Scusa, Rufy, ma che ti importa della musica?- gli chiese Usop.

 

- Mi importa eccome! Mi piaceva un sacco. E' per quella che sono qui.-

 

Usop alzò un sopracciglio.- Fammi capire, Rufy. Tu sei venuto in questo strip-club solo per ascoltare la musica?- chiese incredulo. Gli sembrava impossibile che quella accozzaglia di suoni indistinti potesse piacere a qualcuno.

 

- Esatto.-

 

- E le ragazze?- Quando Rufy lo aveva invitato ad andare all'Amazon Lily, Usop aveva pensato che fosse per vedere delle belle ragazze nude.

 

- Chi se ne frega delle ragazze! E' la musica che mi interessa.-

 

Usop rimase in silenzio per un attimo, leggermente confuso. Ormai poteva dire di conoscere abbastanza bene Rufy, e pensava di essersi abituato a tutte le sue stranezze, ma questa gli giungeva nuova.- Rufy...toglimi una curiosità. Tu per caso sei gay?-

 

- Cosa? No, non sono gay. Io sono...uhm, com'è che aveva detto il dottore? Ah sì, asessuato.-

 

Il brasiliano fissò il suo amico con ancora più confusione, poi scrollò le spalle, mormorò un "mah" e si girò verso il palco.

 

In quel momento, le luci sul palco si riaccesero e la musica ripartì (Per la gioia di Rufy e l'orrore di Usop). Il DJ tornò a farsi sentire.- Gentili clienti, ecco il momento che tanto aspettavate. Un bell'applauso per la...PRINCIPESSA SERPENTE!-

 

Da una tendina in fondo al palco si affacciò una lunga gamba liscia, salutata dalle grida di gioia dei clienti. Due secondi dopo apparve il resto del corpo, e la mascella di Usop cadde a terra per la meraviglia.

 

Si trattava di una ragazza alta e snella dai lunghi capelli neri. Indossava un vestito rosso molto scollato e con uno spacco che metteva in mostra le sue lunghe gambe. Attorno al collo aveva un grosso pitone (Usop notò, con grande sgomento, che era vivo). Ma la cosa che catturò davvero l'attenzione del giovane Abacar furono gli enormi, giganteschi seni della ragazza. Inizialmente pensò che fossero finti, ma subito dopo, quando la ragazza iniziò a dimenarsi, dovette ricredersi. Erano decisamente veri.

 

La ragazza si avvicinò poi ad un palo metallico al centro del palco e iniziò a strusciarvisi contro, mentre il pitone le si muoveva lungo tutto il corpo. Usop era rimasto talmente rapito da quello spettacolo da dimenticare tutto ciò che aveva attorno. Fu per questo che inizialmente non si accorse del fatto che Kaya lo stava chiamando.

 

- Usop!-

 

Il brasiliano tornò in sè solo in quel momento e si girò. Kaya gli aveva portato il cocktail che aveva chiesto.

 

Visibilmente imbarazzato, si affrettò a scusarsi.- Scusa, Kaya, mi ero...mi ero distratto.-

 

La ragazza gli sorrise comprensiva.- Non preoccuparti, non sei l'unico a cui capita. Hancock fa quell'effetto a tutti gli uomini.-

 

A tutti tranne che a Rufy, pensò il ragazzo prendendo il bicchiere e guardando il giovane Monkey con la coda dell'occhio. Proprio come prima, Rufy non prestava alcuna attenzione alla presenza femminile sul palco, limitandosi ad ascoltare la musica.- Hancock...è il nome di quella ragazza?-

 

- Esatto. E' la principale attrazione del locale.- La barista appoggiò un gomito sul bancone.- Del resto, non potrebbe essere altrimenti, visto che è così bella...certe volte la invidio.-

 

- E perchè?-

 

- Vorrei essere anch'io bella come lei.- Sospirò.- Hai visto che razza di tette che ha? Magari anche le mie fossero così.- Il petto di Kaya era molto più piccolo di quello della spogliarellista.

 

- Ma...ma che dici?- Usop mandò giù il drink con un solo sorso e guardò Kaya negli occhi, sbattendo il bicchiere sul bancone.- Delle tette così grosse le procureranno solo dei problemi alla schiena. E poi tu non hai niente da invidiarle. Credimi, sei molto, molto più bella di lei.-

 

La bionda ridacchiò.- Bugiardo.-

 

- Sto dicendo sul serio. Sei la ragazza più bella che abbia visto da quando sono arrivato qui in America.-

 

- Scommetto che lo dici a tutte le ragazze che incontri.-

 

- Ma no, non pensarlo neanche.-

 

Kaya sorrise di nuovo e gli accarezzò una guancia.- Grazie, comunque. Sei davvero gentile, Usop.-

 

Usop ricambiò il sorriso e schiarì la voce.- Ah, senti, volevo chiederti una cosa...- fece per dire, ma fu interrotto da due voci maschili provenienti da un punto alla sua destra.

 

- Ma che cazzo...-

 

- Kaya! Che ci fai qui?-

 

Usop e Kaya si voltarono contemporaneamente e videro avvicinarsi al bancone due uomini biondi e dall'aria sorpresa. Kaya strabuzzò gli occhi.- Sabo...Sanji...-

 

- Kaya, chi sono questi?-

 

- I miei fratelli.-

 

I fratelli Vinsmoke si fermarono davanti al bancone. Sabo diede un'occhiata a Kaya e per poco non gli venne un colpo.- Kaya...ma come ti sei conciata?-

 

- E' la mia divisa.-

 

- Divisa? Vuoi dire che lavori qui?- intervenne Sanji furente.- Ti sei messa a fare la spogliarellista?-

 

- Faccio soltanto la barista. Piuttosto, che ci fate qui voi due?-

 

- Beh, visto che domani torno a New York abbiamo pensato di passare l'ultima sera qui insieme.- disse Sabo.- Sanji mi aveva parlato bene di questo locale.-

 

- Non ci venivo da un pezzo, e avevo un pò di nostalgia.- aggiunse Sanji.- Piuttosto, torniamo all'argomento di prima. Perchè diavolo ti sei messa a fare la barista in un postaccio del genere?-

 

- Non ho trovato altro. E poi, scusa, come fa ad essere un postaccio se, a quanto ho capito, ti piace così tanto?-

 

- Non cercare di cambiare argomento! Sei in un mare di guai, signorinella. Hai idea di che reazione avrebbe papà se lo scoprisse?-

 

E a quel punto, Kaya ebbe un'illuminazione. Tirò fuori un ghigno sinistro e rivolse ai suoi fratelli uno sguardo che spaventò Usop.- Non lo so...forse avrebbe la stessa reazione che avrà Koala quando le dirò che hai portato suo marito in uno strip-club.-

 

Al che, i due Vinsmoke maschi impallidirono, soprattutto Sabo. Koala era gelosissima, e per una cosa del genere sarebbe stata capace di castrarli entrambi. Come minimo.- Ehm...non essere troppo precipitosa, Kaya...- disse Sabo.

 

- Già, cerchiamo...cerchiamo di essere ragionevoli, sorellina.- aggiunse Sanji.

 

- Facciamo così. Voi non dite niente a papà e mi lasciate lavorare, e io in cambio non dico niente a Koala.-

 

Sabo e Sanji annuirono, terrorizzati. Tutto, pur di evitare la furia di Koala!

 

- C'è qualche problema?- disse all'improvviso una nuova voce, profonda e minacciosa.

 

I fratelli Vinsmoke si voltarono e quasi gli venne un infarto: davanti a loro c'era l'uomo più grosso che avessero mai visto. Era alto, muscoloso e li guardava con un'espressione che non prometteva nulla di buono.

 

- No, signor Bornes, nessun problema.- intervenne subito Kaya.- Solo un piccolo fraintendimento. Adesso è tutto risolto, non si preoccupi.-

 

Bornes fece schioccare le nocche delle mani, col risultato di terrorizzare ancora di più Sanji e Sabo (E anche il povero Usop, che non c'entrava niente), e alla fine guardò Kaya.- Se questi due continuano a darti fastidio, chiamami.- disse, per poi allontanarsi in direzione dei bagni del locale.

 

Sabo e Sanji tirarono un sospiro di sollievo.- Meglio che andiamo a sederci.- disse il più giovane. I due rivolsero un'ultima occhiata alla loro sorellina, e poi presero un posto nelle ultime file (I posti migliori erano già occupati, come c'era da aspettarsi), proprio mentre sul palco Hancock iniziava a fare qualcosa di indicibile col suo serpente.

 

Rufy, ignaro di tutto questo, continuava a muovere la testa al ritmo della musica.

 

Usop e Kaya rimasero in silenzio per un attimo.

 

- Ah...volevi chiedermi qualcosa, Usop?- chiese alla fine la bionda.

 

- Eh?- Il brasiliano ebbe un attimo di smarrimento, poi si ricordò.- Ah, sì. Volevo chiederti...ecco...ti andrebbe di uscire con me, qualche volta di queste? Vorrei...vorrei conoscerti meglio.- Aveva fatto uno sforzo sovrumano per non mettersi a balbettare.

 

- Uscire con te? Certo. Anch'io vorrei conoscerti meglio.-

 

- Ok. Ti va bene sabato? Potremmo andare al centro commerciale.-

 

- Perfetto.-

 

Usop sorrise. Quella serata era andata meglio di quanto si aspettasse.

 

***

 

Fuori dal terzo distretto di polizia

 

Nascosta dietro a un bidone dei rifiuti, le mani in tasca e la fronte corrucciata, Bellemere aspettava che il Capitano Clint Callahan finisse il suo turno al distretto.

 

Aveva fatto qualche domanda in giro, e aveva scoperto che il lunedì Smoker finiva di lavorare tardi. Perciò, aveva deciso di aspettarlo fuori dal distretto e coglierlo di sorpresa, in modo da costringerlo ad ascoltarla. Non essendo riuscita a trovare parcheggio nei pressi del distretto, aveva dovuto lasciare l'Impala a parecchi metri di distanza, ed era venuta fin lì a piedi. Per evitare che qualcuno la vedesse, si era acquattata dietro un bidone dell'immondizia, e aveva iniziato a sorvegliare l'ingresso dell'edificio.

 

E dopo quasi un'ora, era ancora lì.

 

- Eddai, Clint. Esci fuori.- borbottò la donna. Stava cominciando a spazientirsi. Per fortuna aveva detto a Makino che sarebbe rientrata tardi, e aveva anche mandato un messaggio su WhatsApp a Nami, altrimenti l'avrebbero già data per dispersa.- Se resto un altro pò qui, rischio di metterci le radici.-

 

Fortunatamente, il pericolo fu evitato, perchè appena ebbe pronunciato quelle parole, la porta del distretto si aprì e ne venne fuori Smoker. Il poliziotto si fermò un attimo per prendere un sigaro dalla tasca e accenderlo, e poi riprese a camminare.

 

Bellemere balzò fuori dal suo nascondiglio e corse verso il suo ex.- Smoker!-

 

L'uomo la vide arrivare e la sua espressione, già non esattamente allegra, si incupì ancora di più.- Ancora tu. Che vuoi, adesso?- esclamò, la voce carica di astio.

 

La donna si fermò a pochi passi da lui e lo fissò dritto negli occhi.- Voglio parlarti, Clint. Dobbiamo chiarire le cose...-

 

- Parlarmi? PARLARMI?! Pensavo di essere stato chiaro, Kyoko. Io non...-

 

- No, tu adesso mi starai a sentire!- Al che, estrasse dalla tasca del giubbotto un piccolo coltello a scatto e se lo portò alla gola.- Altrimenti mi ammazzo! Giuro che lo faccio, Clint. Mi avrai sulla coscienza!-

 

Il sigaro ben stretto tra i denti, Smoker emise una scia di fumo.- Non ne saresti capace. E poi, credi davvero che me ne freghi qualcosa?-

 

- Sì, perchè ti conosco bene, e so che non sei così stronzo come vuoi far credere.-

 

Ci fu un attimo di silenzio, rotto solo da rumori di automobili in lontananza e qualche voce umana.

 

- Parla.- disse infine Smoker, incrociando le braccia.- Ma vedi di non metterci troppo.-

 

Bellemere sospirò per il sollievo e ripose il coltello in tasca. Non aveva avuto nessuna intenzione di uccidersi, era solo un bluff. E per fortuna Smoker aveva ceduto, altrimenti non avrebbe proprio saputo cosa fare.

 

- Allora?- ruggì lui spazientito.

 

- Sì, un attimo.- Prese un respiro profondo, e ripensò a quanto era accaduto tanti anni fa nel liceo di Cocoyashi.- Il vero motivo per cui ci siamo lasciati. E' cominciato tutto quando Jora mi ha chiamato in disparte dopo una lezione...-

 

- Quella stronza...-

 

- Già, era una stronza, ma l'ho scoperto solo dopo. Comunque, mi chiama e mi fa vedere delle foto in cui tu eri con un'altra ragazza. All'inizio non sapevo cosa pensare, ero così confusa...poi Jora mi suggerisce di renderti il favore. Ero talmente arrabbiata che non ci ho pensato due volte, volevo vendicarmi e...-

 

-...e hai pensato bene di passare in rassegna tutti i miei amici.- continuò Smoker.

 

Bellemere annuì, piena di vergogna.- Poi abbiamo litigato davanti a tutta la scuola. Stavamo per ammazzarci e sono dovuti intervenire quelli della squadra di football a separarci. Non ci siamo più parlati, e dopo la fine del liceo non ti ho visto più. Fino a qualche settimana fa, cioè.-

 

- Mia madre aveva deciso di trasferirsi qui a Loguetown. Non ho potuto fare altro che seguirla.- disse Smoker.- Era per questo che volevi parlarmi? Una rievocazione storica?-

 

- No, volevo solo che capissi come erano andate le cose. Perchè vedi, qualche tempo dopo ho scoperto che le foto che mi aveva mostrato Jora erano solo dei fotomontaggi.- Represse una lacrima.- Quella stronza era...era gelosa di noi due. Aveva architettato tutto per farci separare. Sapeva che sono impulsiva, e che avrei reagito senza farmi troppe domande, perciò...-

 

Smoker la interruppe con un gesto della mano.- E' stata tutta colpa di Jora, quindi? E' questo che mi stai dicendo?-

 

- Sì.-

 

- E ti aspetti che ti creda? Magari anche che ti perdoni?-

 

- E' la verità, Clint. Non sono venuta ad implorare il tuo perdono. Volevo solo...volevo solo farti sapere come stanno davvero le cose, ecco. Per anni ho sperato di rincontrarti, di chiarire tutto. Ma se non vuoi credermi fai pure. Non ti biasimo. A ruoli invertiti, io farei lo stesso.- Sospirò.- Comunque, ora me ne vado. Non ti disturberò più, tranquillo. Grazie per avermi ascoltata.-

 

Senza attendere una risposta di Smoker, Bellemere si girò e si incamminò lungo il marciapiede, la testa china e il cuore oppresso da una sensazione che non avrebbe saputo descrivere. Una piccola parte di lei aveva sperato che tutto si sarebbe rimesso a posto con facilità, che Clint avrebbe accettato la sua spiegazione e che loro due sarebbero almeno tornati ad avere dei rapporti civili. Purtroppo, non era andata così.

 

Almeno però sono riuscita a parlargli, pensò la donna senza neanche guardare dove stava andando. Era talmente immersa nei suoi pensieri che si accorse di aver sbagliato strada solo qualche minuto dopo, quando si ritrovò in un vicolo senza uscita.

 

- Merda, ma che...dove sono finita?- Si guardò attorno per orientarsi.- Ok, Kyoko, stai calma. Non è successo niente di grave.- Trasse un respiro profondo. Poi iniziò a battersi la mano sulla fronte.- Stupida idiota! Ma come cazzo hai fatto a perderti?- A quel punto si calmò davvero.- Ok, cerchiamo di tornare indietro.-

 

Purtroppo, proprio quando stava per uscire dal vicolo, si trovò la strada sbarrata da tre uomini dall'aspetto poco raccomandabile. E uno di questi, aveva una faccia stranamente familiare...

 

- Ma guarda un pò chi si rivede!-

 

Bellemere ricordò all'improvviso il giorno dopo il suo arrivo a Loguetown, quando un rapinatore in fuga dalla polizia aveva cercato di prenderla in ostaggio. Lo stesso rapinatore che ora era davanti a lei, a braccia conserte e un ghigno beffardo stampato in faccia, affiancato da due suoi compari.

 

- Ti ricordi di me, bellezza?-

 

La donna non rispose, limitandosi a stringere i denti e a tenere una mano pronta ad estrarre il coltello.

 

- Ma guarda un pò, capo. L'emozione di rivederti è tanta che non riesce a parlare.- disse uno degli altri due, un uomo magro dalla capigliatura bizzarramente acconciata come le orecchie di un animale.

 

- Magari è solo impaurita dal tuo aspetto, Moji.- disse subito dopo l'altro, i cui lunghi capelli neri gli coprivano metà volto. Il suo nome era Kabaji.

 

- Non cominciate, voi due!- esclamò Buggy irritato. Poi, rivolto a Bellemere: - Allora, mia cara, scommetto che non ti aspettavi di ricontrarmi, eh? Nemmeno io. Immagina la nostra sorpresa quando ti abbiamo visto camminare qui tutta sola. Così ho pensato di venire a scambiare quattro chiacchiere, e magari ricambiare il favore che mi hai fatto l'altra volta. Mi fa ancora male, sai?-

 

I tre uomini fecero un passo verso di lei, e Bellemere scelse quel momento per estrarre il coltello.- Non avvicinatevi, pezzi di merda!- gridò con tutta la voce che aveva, nella speranza che qualcuno la sentisse e venisse ad aiutarla. Se però non fosse andata così, era pronta a lottare fino alla fine (Pur non essendo particolarmente forte, era abbastanza sicura di riuscire ad affrontare quei tre).

 

- Oh, ma che paura!- rise Buggy. Poi, in un tono molto più cupo, aggiunse: - Butta via quel temperino, donna. Potresti farti male.-

 

Bellemere partì alla carica verso Buggy, ma gli altri due gli si misero davanti. Kabaji cercò di farle perdere l'equilibrio con un calcio, e lei per tutta risposta gli afferrò la gamba e vi piantò la lama del coltello, togliendola subito dopo e facendolo cadere a terra tra mille imprecazioni.

 

Moji approfittò di quell'attimo per bloccarle la mano che impugnava il coltello. La donna riuscì però a liberarsi e gli sferrò un rapido calcio nelle parti basse.

 

- Ma allora ce l'hai per vizio!- esclamò Buggy facendo un salto all'indietro ed evitando per un soffio un fendente della donna.

 

- Se vuoi te ne posso dare un altro, non c'è problema.- ruggì Bellemere cercando di colpirlo allo stomaco, finendo invece per trafiggere l'aria. Quel Buggy era più agile di quanto si sarebbe aspettata.

 

Improvvisamente, qualcuno alle sue spalle le afferrò il braccio sinistro e glielo torse in un'angolazione impossibile. Gridò per il dolore e fece per liberarsi, ma qualcun altro le bloccò il braccio destro e le tolse il coltello.

 

- Bel lavoro, ragazzi.- disse Buggy soddisfatto. I suoi scagnozzi erano riusciti a riprendersi appena in tempo per bloccare la donna (Non erano messi tanto bene, però. Moji stava ancora mugugnando per il dolore ai gioielli di famiglia, mentre l'altro aveva mezza gamba sporca di sangue).

 

- LASCIATEMI ANDARE!- Bellemere iniziò ad agitare le gambe, ma smise quando Buggy le mollò un pugno in pieno stomaco, mozzandole il fiato. I suoi scagnozzi provvidero a tenerle fermi gli arti inferiori.

 

- Non c'è bisogno di agitarsi così tanto, bellezza. In fondo non vogliamo mica farti del male.- I tre ridacchiarono.- Vogliamo solo divertirci un pò...- Buggy mosse una mano verso il seno di Bellemere, solo per ricevere un morso che lo fece indietreggiare.

 

- Lurida stronza...- mormorò l'uomo massaggiandosi la parte lesa.- Ora ti faccio vedere io!- Diede un pugno in faccia alla sua vittima, poi un altro, e un altro ancora, fino a farle sanguinare il naso.

 

Bellemere era talmente frastornata da non avere più la forza di reagire. In quel momento, non poteva fare altro che pensare a quanto era stata stupida.

 

- Dovrebbe bastare, ma con te è meglio andare sul sicuro...- Buggy le mollò un altro pugno, stavolta più forte degli altri. La donna emise un ultimo gemito di dolore e il suo campo visivo iniziò a colorarsi di nero.

 

L'ultima cosa che sentì prima di perdere completamente i sensi fu il rombo di una moto che si avvicinava, accompagnato da una sfilza di imprecazioni.

 

***

 

Il night-club Marineford

 

Il Marineford era uno dei locali notturni di proprietà di Eustass "Kidd" O'Malley. Come il nome lasciava intendere, era un locale a tema marinaresco, pieno di oggetti nautici e con il personale vestito con finte uniformi della Marina. Era principalmente un luogo di ritrovo per adolescenti, ma ogni tanto capitava anche di trovare qualcuno un pò più grandicello. Inoltre, spesso e volentieri ospitava dei live di band più o meno famose, di qualunque genere musicale si trattasse.

 

In quel momento, sul palco si stavano esibendo Apoo e gli Scratchmen, celebre quartetto reggae. Erano molto apprezzati tra il pubblico giovane, soprattutto tra le ragazze. Infatti, il pubblico che stava assistendo alla loro performance era composto prevalentemente da membri del gentil sesso. Gli uomini invece stavano un pò in disparte, senza curarsi troppo dei musicisti. La maggior parte di loro era lì solo per approfittare della presenza femminile e cacciare qualche nuova preda.

 

E probabilmente era quello il vero motivo per cui Nojiko aveva voluto andare lì, come pensò Nami seduta ad un tavolino guardando sua cugina flirtare spudoratamente con un ragazzone ricoperto di tatuaggi. Lei e Bibi, invece, si stavano semplicemente godendo la musica. L'egiziana era seduta accanto a lei, e sembrava divertirsi un mondo.

 

- Avevi ragione, Nami. Sono davvero fantastici!- Gli occhi le brillavano dalla gioia.

 

- Lieta che piacciano.- rispose la rossa, dando un'occhiata alle gambe dell'altra. Bibi indossava una gonna lunga, ma avendo accavallato le gambe Nami riusciva a vedere lo stesso qualcosa. E quel qualcosa le piaceva. Avrebbe tanto voluto infilare una mano lì sotto ed esplorare le zone nascoste dell'amica, per poi...

 

Smettila con questi pensieri, Nami!, si rimproverò la rossa mordendosi il labbro. Lo sai che è etero. Eppure una cosa era innegabile: Bibi le piaceva un sacco. Più di una volta si era trovata ad immaginare come potesse essere il suo corpo nudo, che sapore avrebbero avuto le sue labbra se le avesse sfiorate, quanto morbida fosse la sua pelle. Ogni volta quei pensieri l'avevano riempita di una sensazione paragonabile alla fame, a cui era riuscita a trovare rimedio grazie alla sua mano destra. Avrebbe tanto voluto che quelle immagini si concretizzassero, ma purtroppo Bibi era dell'altra sponda (Le aveva parlato più volte del suo fidanzato Kosa, che l'aveva lasciata qualche giorno prima di partire per l'America), e non sembrava neanche disposta a sperimentare (Anche perchè ogni volta che lei aveva accennato a qualcosa anche solo vagamente sessuale, Bibi aveva sempre cercato di cambiare argomento. Era molto pudica, una cosa che Nami trovava deliziosa). Perciò, non poteva fare altro che fantasticare. Quello almeno non glielo toglieva nessuno.

 

In quel momento, la band iniziò a suonare uno dei pezzi che Nami amava di più, una cover de "Il liquore di Binks". L'originale era già allegra di suo, ma la versione del quartetto era particolarmente adatta al ballo, pertanto molti di quelli che erano seduti si fiondarono sulla pista al centro del locale, interrompendo qualunque cosa stessero facendo. Persino Nojiko si trascinò dietro il ragazzo di prima, dando inizio a qualcosa che sembrava più un accoppiamento tra animali in calore che una danza.

 

Non volendo essere da meno, Nami decise di buttarsi nella mischia.- Dai, Bibi, andiamo anche noi.-

 

- Non saprei, non sono molto brava a ballare...- disse la giovane Nefertari in tono esitante.

 

- Ma è facilissimo. Vieni, ti guido io.- La rossa prese la mano dell'amica e la trascinò in mezzo alla pista.

 

- Ecco, muoviti esattamente come me.- Nami iniziò a muoversi seguendo il ritmo della canzone. Dopo un attimo di titubanza, Bibi si decise ad imitarla.

 

- Ora metti le braccia così...perfetto! Te la cavi benissimo.-

 

Bibi sorrise timidamente e continuò a ballare.

 

Andarono avanti così fino alla fine della canzone. Dopodichè, Apoo e gli Scratchmen passarono a un nuovo pezzo, una canzone romantica intitolata "Romance Dawn". L'atmosfera nel locale cambiò all'istante, e molte delle persone impegnate sulla pista, oltre a ballare, si misero anche a scambiarsi tenere effusioni con il loro partner.

 

A Nami quella canzone aveva sempre messo un pò di tristezza, ma continuò lo stesso a ballare. Si avvicinò a Bibi, che ormai si stava muovendo per conto suo. Qualcuno da dietro le diede involontariamente uno spintone, e lei finì addosso all'amica. Fortunatamente, riuscirono a non cadere.

 

E fu a quel punto che successe qualcosa di inaspettato. L'una di fronte all'altra, le due ragazze si rimasero un attimo a guardarsi negli occhi. Poi, lentamente, Bibi chiuse gli occhi e avvicinò le labbra a quelle di Nami. Quest'ultima era talmente su di giri che non stette troppo ad interrogarsi sui motivi di quel gesto, e, incentivata dalla sensazione di calore che il corpo dell'amica le stava trasmettendo, fece per ricambiare.

 

Ma proprio quando le loro labbra stavano per toccarsi, Bibi indietreggiò e si portò una mano alla bocca.

 

- Cos'hai, Bibi?- chiese Nami preoccupata.

 

- Non...mi sento bene. Devo...bagno...- fu la risposta dell'egiziana.

 

Nami non perse tempo, afferrò il braccio dell'altra e la portò di corsa in bagno.

 

E fece appena in tempo, perchè non appena ebbe chiuso la porta, Bibi cadde in ginocchio davanti a un water e cominciò a vomitare l'anima.

 

La rossa le si avvicinò e le tenne la fronte con una mano, cercando nel contempo di ignorare il fiotto di roba verde che usciva dalla bocca dell'egiziana. Quest'ultima andò avanti per una decina di secondi, poi si fermò, ansimando.

 

- Oh...mio...ma quanto ho vomitato?-

 

- Ti senti bene?-

 

- No...ho un...qualcosa allo stomaco...-

 

Nami si chiese che cosa potesse aver fatto star così male Bibi. Non poteva trattarsi del cibo o dei drink del locale. Da quando erano arrivate lì, avevano preso le stesse cose, e lei stava benissimo. Com'era possibile che invece Bibi stesse male? Poi iniziò a venirle il dubbio che qualcuno le avesse dato qualche sostanza strana mentre lei si era allontanata per andare in bagno.- Bibi...dimmi una cosa. Per caso, prima, hai preso della roba strana da qualcuno che non conoscevi?-

 

- No...ho solo bevuto una roba che...mi aveva offerto Nojiko. Diceva che...si chiamava Skypiea, e che ne sarei andata matta...BLEURGH!- All'improvviso la ragazza riprese a vomitare, stavolta con più forza di prima. Nami imprecò mentalmente, e si ripromise di dire due parole alla sua cara cugina. Aveva capito cos'era successo. Nojiko le aveva fatto lo stesso scherzo un paio di anni prima, facendole bere un drink a cui aveva aggiunto una polverina che l'aveva fatta stare male per ore. E ora aveva pensato bene di ripetere l'impresa.

 

Accidenti a te, Nojiko, pensò la giovane Watanabe tenendo ferma la testa di Bibi. Doveva essere una serata divertente, e invece mi sembra di stare in una scena de "L'esorcista". Ma che cazzo hai in testa?

 

Fortunatamente, subito dopo la povera Bibi smise definitivamente di vomitare. Si alzò in piedi e andò verso il lavandino, seguita da Nami.

 

- Come ti senti?- le chiese la rossa.

 

- Un pò meglio.- Bibi aprì il rubinetto e avvicinò la bocca al getto d'acqua. Prese un paio di sorsi, si sciacquò bene la bocca e sputò. Ripetè l'operazione un paio di volte e chiuse il rubinetto.

 

- Cavolo, credo di non essere mai stata così male, in vita mia.-

 

- E' colpa di Nojiko. Deve aver messo qualcosa nel tuo drink e poi te lo ha dato.-

 

- Scusa, ma come fai a dirlo?-

 

- Ha fatto lo stesso con me tempo fa. Sai, lei ogni tanto si diverte a fare degli scherzi particolari.-

 

- Oh...beh, non fa niente. Era solo uno scherzo.-

 

Nami non si sorprese per la risposta dell'amica. Ormai sapeva bene com'era fatta caratterialmente, quanto fosse pacifica e per nulla incline alla vendetta. Lei, invece, non era proprio così, e infatti stava già pensando al modo migliore per restituire il favore a Nojiko.

 

Bibi fece per dire qualcos'altro, ma richiuse la bocca un istante dopo averla aperta. Abbassò lo sguardo e si grattò un orecchio, come faceva sempre quando era nervosa.

 

- Cosa c'è, Bibi?-

 

L'egiziana esitò un attimo, ma alla fine si decise a parlare.- Ecco, io...sì, volevo scusarmi per prima.-

 

- Scusarti? E per cosa? Guarda che se è per il vomito, non c'è nessun problema.-

 

- No, non è per quello. E'...è per prima, quando...quando ho cercato di baciarti.-

 

Nami era confusa.- Ma...scusa, ma non capisco. Perchè dovresti scusarti per una cosa del genere?- Anche perchè io ero pronta a ricambiare, aggiunse mentalmente.

 

Bibi sospirò.- Mi sono fatta trascinare dall'atmosfera. Quando ti ho vista così vicina a me, sotto quelle luci, e con quella musica...ho come perso il controllo.-

 

L'americana sorrise e accarezzò una spalla dell'amica.- Non hai niente di cui scusarti, Bibi. E' tutto a posto.-

 

L'egiziana tirò un sospiro di sollievo.- Meno male. Pensavo di aver fatto qualcosa...di inappropriato.-

 

- Addirittura.-

 

- Sì. Sai, dalle mie parti sono un pò rigidi su certe cose.- A quel punto le gote le si colorarono di rosso.- Sono stata solo con Kosa. In teoria non avremmo dovuto far sesso prima del matrimonio, ma alla fine lo abbiamo fatto lo stesso, e più di una volta. Ha sempre iniziato lui, però. Io non sono molto audace. Non ho...non ho mai cercato di baciare un'altra ragazza.-

 

- E allora perchè prima l'hai fatto?-

 

- Te l'ho detto, era come se avessi perso il controllo. Volevo fare qualcosa che non avevo mai fatto prima. Volevo...volevo rompere le regole, ecco.-

 

Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di Nami. Proprio quando non se lo aspettava, ecco che le si presentava un'occasione perfetta per prendere due piccioni con una fava: realizzare le sue fantasie su Bibi, e aiutare la sua amica a divertirsi un pò. Non poteva farsela sfuggire.- E...dimmi, hai ancora voglia di farlo?-

 

- Che cosa?-

 

- Rompere le regole, intendo. Sai, a volte fa bene.- Le si avvicinò sorridendo e le sfiorò un fianco.- E se vuoi, io ti aiuterò.- Il suo tono di voce e lo sguardo lasciavano capire perfettamente ciò che intendeva.

 

E infatti Bibi capì al volo.- Oh...dici sul serio?-

 

- Esatto.-

 

- Ma...aspetta, tu sei...-

 

- Lesbica.-

 

Bibi rimase un attimo in silenzio, incerta su cosa dire.- Io...non lo so, Nami. Vorrei farlo, ma...ho un pò paura.-

 

- Non c'è niente di cui avere paura.- La rossa le prese il volto tra le mani e la guardò dritta negli occhi.- Ascoltami, non devi sentirti obbligata, e io non ti costringerò in nessun modo. Sappi però che, se deciderai di farlo, io sarò al tuo fianco, e farò sì che tu ti diverta.- Subito dopo, aggiunse.- E poi, non è che faresti chissà che cosa. Sarebbe un pò un...sì, un esperimento. Un innocuo esperimento. Tra l'altro, non saresti nemmeno la prima donna etero che fa una cosa del genere.-

 

L'egiziana si prese un attimo per riflettere. Un innocuo esperimento. In effetti, l'idea sembrava buona. Anzi, doveva ammettere di essere piuttosto curiosa, e c'era anche il fascino del proibito da considerare. E poi, a casa nessuno avrebbe avuto modo di saperlo. Ma sì. In fin dei conti, Nami non aveva tutti i torti. Concedersi una piccola deviazione non avrebbe fatto del male a nessuno. Alla fine, si decise, e con grande gioia della rossa, dalle sue labbra venne fuori un timido: - D'accordo.-

 

Nami sorrise, e, prima che Bibi potesse cambiare idea, la abbracciò e posò le labbra su quelle della sua amica. Quest'ultima, dopo un iniziale attimo di titubanza, cominciò a ricambiare il gesto e a muovere le mani lungo la schiena dell'altra.

 

La cosa avrebbe potuto andare avanti per un pò, se all'improvviso qualcuno non avesse bussato alla porta del bagno.

 

- Ehi, voi due, tutto bene?- Era Nojiko.

 

Nami interruppe a malincuore il bacio e si girò verso la porta.- Sì, tutto bene. A proposito, Bibi ti ringrazia per il drink.-

 

Da oltre la porta giunse una risatina.- Meno male, ero in pensiero. Comunque, se lì dentro avete finito, vi consiglierei di tornare di là. La band ha iniziato a suonare "Fuga da Impel Down", e sarebbe un peccato se ve la perdeste.-

 

- Va bene, arriviamo subito.- Al che, Nojiko si allontanò.

 

La rossa si staccò dall'altra e la prese per mano.- Mai un attimo di pace, eh?-

 

- Già.- Bibi ridacchiò nervosa.- Senti, pensi che potremmo continuare, dopo? Magari da me.-

 

- Certo. Ma sarebbe meglio andare a casa mia. Sai, c'è meno gente.-

 

- O-ok.-

 

Le due ragazze si scambiarono un sorriso d'intesa, poi Nami diede un altro bacio a Bibi, e infine uscirono dal bagno camminando mano nella mano.

 

***

 

Saint Kureha General Hospital

 

Bellemere aprì lentamente gli occhi, ritrovandosi a fissare un soffitto sconosciuto. La sua mente andò subito nel panico, ricordando cosa le stava succedendo quando aveva perso i sensi. Dove diavolo era finita? Si rizzò a sedere, accorgendosi di essere sdraiata su un divano, e notando subito presenza di due uomini nella stanza.

 

- Bentornata nel mondo dei vivi, signora Watanabe.-

 

L'uomo che aveva parlato era chiaramente un dottore. Indossava un camice azzurro, dei guanti da chirurgo e aveva in mano un bicchierone di caffè Starbucks. Era alto e magro, aveva i capelli neri e sembrava avere la sua stessa età. Era in piedi davanti a una scrivania piena di oggetti, tra cui un curioso cappello bianco a macchie nere.

 

Con sua grande sorpresa, si accorse che l'altro uomo era Smoker. Il poliziotto era seduto su una sedia di plastica accanto alla scrivania, e come sempre, aveva un'espressione corrucciata.

 

- D-dove sono? Cosa è successo? E chi è lei?-

 

- Uh, quante domande! Ma risponderò lo stesso a tutte. Io sono il dottor Trafalgar, il medico che ha avuto il piacere di occuparsi delle sue ferite. Al momento, si trova nel mio ufficio all'interno dell'ospedale in cui lavoro. Il qui presente Capitano Callahan è stato così gentile da portarla qui dopo averla salvata da degli individui che, a quanto ho capito, non avevano buone intenzioni.-

 

Smoker annuì, producendo un piccolo grugnito.

 

- Ferite? E'...è grave?-

 

- No, non si preoccupi. Per fortuna si trattava solo di robe superficiali. Per qualche ora le rimarranno i lividi, ma a parte questo non ha niente di cui preoccuparsi.-

 

Bellemere si toccò il viso, accorgendosi di avere un cerotto sotto l'occhio destro e un altro sul naso. Fece per sfiorarlo, ma un dolore atroce la costrinse a ritrarre la mano.

 

- Le consiglierei di non toccarsi il naso per un pò, a meno che non voglia provare altro dolore.-

 

Kyoko Watanabe si alzò in piedi, alternando lo sguardo tra Smoker e il medico.- Ha detto che erano solo robe superficiali, giusto? Quindi posso anche andarmene?-

 

- E' così ansiosa di non vedermi più? Oh, povero me, devo essere davvero brutto.- disse il dottor Trafalgar in un finto tono offeso. Smoker si limitò a roteare gli occhi e a sbuffare, come se avesse già visto quella scena.- Comunque, se vuole può andarsene anche subito. Le consiglio solo di riposarsi per bene e cercare di non sforzarsi troppo per le prossime...-

 

La frase del dottor Trafalgar fu interrotta quando all'improvviso la porta della stanza si aprì e una giovane infermiera fece capolino nella stanza.- Dottor Trafalgar! Finalmente l'ho trovata!-

 

- Sugar, non si usa più bussare?- Il medico era palesemente infastidito.

 

- Mi scusi, ma c'è urgente bisogno di lei nella sala operatoria 2-B.-

 

- Quanto urgente?-

 

- E' questione di vita o di morte.-

 

- Va bene, arrivo subito. Tu precedimi.- L'infermiera si allontanò correndo. Il dottor Trafalgar gettò il bicchiere di plastica nel cestino dei rifiuti e sbadigliò.- Mai un attimo di riposo per noi poveri medici. Vabbè, io vado. Sapete dov'è l'uscita, sì? Bene. Mi raccomando, signora, si riposi. Clint, ci vediamo venerdì per il solito poker.- Al che il medico fece un gesto di saluto con la mano destra e uscì dalla stanza.

 

Rimasta sola con Smoker, Bellemere stette un attimo in silenzio, gli occhi fissi sul pavimento. Alla fine si decise a parlare.- Uhm...che tipo strano.-

 

- Law può sembrare bizzarro, ma è una brava persona.- rispose Smoker.

 

- Lo conosci bene?-

 

- Siamo amici da tanti anni.- Il poliziotto si alzò in piedi e si grattò la guancia coperta da una barba incolta.- E' l'unico segaossa di cui mi fidi ciecamente. Sapevo che era di turno, perciò ti ho portata qui.-

 

Bellemere rimase colpita da quelle parole. Smoker non si fidava facilmente delle persone, perciò quel dottore doveva essere davvero eccezionale.- E' un bravo medico, quindi.-

 

- Il migliore della città, se non dell'intero Stato. Ha salvato centinaia di persone. Gli hanno anche dato un soprannome, "Il Chirurgo della Vita".-

 

- Addirittura.-

 

- Senti, vogliamo smetterla di perdere tempo e andarcene da qui? Gli ospedali mi fanno innervosire.-

 

C'è qualcosa che non ti innervosisce?, si chiese Bellemere annuendo. Insieme uscirono dall'ufficio del dottor Trafalgar. Per un pò attraversarono in silenzio i corridoi dell'ospedale. Attorno a loro, un viavai di infermieri, pazienti e medici vari.

 

- Casa tua è vicina?- le chiese dopo un pò Smoker.

 

- Eh?-

 

- Abiti qua vicino? O vuoi che ti accompagni?-

 

Quell'improvvisa gentilezza confuse la donna.- B-basta che mi riporti a dove ho lasciato la macchina. E'...è vicina al tuo distretto.-

 

Il poliziotto annuì.- Ah, tanto per fartelo sapere, mi sono occupato di quei tre che ti hanno aggredita.-

 

- Li hai arrestati?-

 

- Sì, ma prima li ho...ammorbiditi un pochino. Poi ho chiamato una pattuglia.- Si schiarì la voce.- Aggressione, percosse, e tentato stupro. Stavolta quei tre coglioni staranno al fresco per un bel pò.-

 

Bellemere sorrise leggermente. Ammorbiditi...poteva immaginare cosa intendesse Clint, in realtà.

 

- A proposito, ho trovato questo per terra.- Prese un oggetto dalla tasca dei pantaloni e glielo porse. Era il suo coltello. La donna lo prese e se lo infilò rapidamente nella tasca del giubbotto.

 

- G-grazie. Per tutto, intendo.- Bellemere non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Dopo la dichiarazione di odio di Smoker di quel pomeriggio non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere.

 

- Ringrazia il caso. Quando sono capitato davanti al vicolo dove eri tu stavo tornando a casa.- Senza sapere perchè, Bellemere ebbe l'impressione che Smoker stesse mentendo, ma decise di non approfondire l'argomento.

 

I due non si dissero più nulla, fino a quando non arrivarono all'uscita dell'ospedale.

 

- Senti...- iniziò lui.

 

- Cosa?- chiese lei.

 

Smoker esitò un attimo, per poi proseguire.- Quella roba che mi hai raccontato prima...è tutto vero?-

 

Bellemere si limitò ad annuire.

 

A quel punto entrambi varcarono la soglia dell'edificio, venendo subito accolti dalla fresca aria notturna. Bellemere si accorse dello sguardo pensieroso di Smoker. Quest'ultimo digrignò i denti.- Merda.-

 

- Già.-

 

- Ci siamo proprio fatti fregare come due polli.-

 

- Beh, credo che chiunque ci sarebbe cascato, al posto nostro.-

 

Un altro attimo di silenzio. Si diressero verso il parcheggio dell'ospedale, dove Smoker aveva lasciato la moto.

 

- Adesso che facciamo? Riguardo a noi due, intendo.- disse il poliziotto.

 

- Non lo so, Clint. Io avevo solo pensato di parlarti, non avevo considerato il dopo.- Si scostò una ciocca di capelli dal viso.- Possiamo cercare di essere amici.-

 

- Ho passato gli ultimi anni a odiarti a morte. Non sarà per niente facile.-

 

- Lo so, ma dobbiamo comunque fare un tentativo. Possiamo...- In quel momento, la donna mise un piede in fallo e perse l'equilibrio.

 

- Attenta!- Smoker la afferrò per il braccio appena in tempo, ma senza volerlo la attirò a sè con troppa forza, col risultato che finirono entrambi a terra.

 

Bellemere si ritrovò così sopra al suo ex, i loro volti pericolosamente vicini. Dopo un iniziale attimo di imbarazzo, la donna si mise a ridacchiare.

 

- Che hai da ridere?-

 

- Niente, è solo che...sembra la scena di un film. Sai, una di quelle scene dove i protagonisti si ritrovano per sbaglio uno addosso all'altro e cominciano a sbaciucchiarsi.- A quella distanza, poteva percepire benissimo l'odore di Smoker, un misto di sudore, fumo e...qualcos'altro. Il suo respiro si fece più affannoso.

 

- Hmm...hai ragione.- Anche Smoker sembrava essere nella sua stessa situazione. Quel contatto così ravvicinato gli stava procurando un rigonfiamento nei pantaloni, di cui la sua ex si accorse immediatamente.

 

E fu allora che l'istinto di Bellemere prese il sopravvento. Dopo due anni di astinenza, la vicinanza di un maschio le stava mandando in subbuglio gli ormoni. Perciò, calò di scatto la testa e baciò Smoker. Ma la sua parte razionale riprese subito il controllo, e lei si ritrasse imbarazzata.- Cazzo, scusa...-

 

Bellemere aveva visto giusto, prima. Quella in cui si trovavano sembrava proprio la scena di un film. Perchè quando stava per rialzarsi, Smoker la afferrò per il bavero del giubbotto e la costrinse a tornare giù. I due presero così a baciarsi con una tale foga da dimenticarsi completamente di ciò che li circondava.

 

- EHI, VOI DUE! PERCHE' NON VI PRENDETE UNA STANZA?-

 

Interruppero il bacio e si accorsero della presenza di altre persone nel parcheggio. Alcuni ridacchiavano, altri invece li fissavano severi. Si rialzarono in fretta e furia, lo sguardo fisso a terra per l'imbarazzo, e si allontanarono.

 

- Scusa.- borbottò lui.- Non so cosa mi è preso.-

 

- Non scusarti, Clint. Ho iniziato io.- aggiunse lei, rossa in volto, ma più per l'eccitazione che per l'imbarazzo. Baciare Smoker l'aveva fatta sentire bene come non si sentiva da tanto tempo. Aveva risvegliato degli istinti che in quei due anni si erano assopiti.

 

E forse fu proprio quello il motivo per cui prese una decisione che avrebbe dato una svolta positiva alla sua vita.

 

- Senti, Clint, so che probabilmente ti sembrerà un pò strano, ma...ti andrebbe di continuare quello che stavamo facendo prima?-

 

Si aspettava un deciso rifiuto, ma con sua grande sorpresa, Smoker annuì.- Da me o da te?-

 

- Facciamo da te.- Meglio non portarlo a casa, pensò la donna. Sai che imbarazzo, con Nami.- A casa mia c'è mia figlia, e vorrei evitare spiegazioni imbarazzanti.-

 

- D'accordo.-

 

Subito dopo, i due salirono sulla moto di Smoker e lasciarono il parcheggio dell'ospedale. Bellemere ne approfittò per mandare un altro messaggio a Nami e avvertirla che avrebbe dormito altrove.

 

Tuttavia, sua figlia non lesse mai quel messaggio, essendo impegnata in...altre faccende. Faccende molto simili a quelle di sua madre.

 

***

 

L'appartamento di Bellemere e Nami

 

Dopo aver lasciato il Marineford, Igaram accompagnò Nami e Bibi a casa della rossa (Nojiko era rimasta con la sua conquista della serata), con la promessa di tornare a riprendere l'egiziana la mattina dopo (E credendo che le due si sarebbero limitate a dormire).

 

Ora, le due ragazze erano sedute sul letto di Nami. Bibi era visibilmente nervosa, un pò anche a causa dello sguardo famelico della sua amica.

 

- Vacci piano, per favore.- mormorò l'egiziana a bassa voce, quasi tremando.

 

- Non preoccuparti. Sarò gentile.- Eccitata dal nervosismo dell'amica e dall'idea di poterle finalmente mettere le mani addosso, Nami le si avvicinò e le accarezzò i capelli. Poi iniziò a ricoprirle il collo di baci, risalendo fino all'orecchio.- Sei bellissima.- sussurrò infilandole una mano sotto la maglietta e palpandole il seno. Bibi iniziò a gemere, e Nami raddoppiò gli sforzi, spedendo la mano libera ad esplorare le parti basse dell'amica.

 

Il resto è meglio lasciarlo alla fantasia del lettore. Basti sapere che quella che seguì, fu per entrambe una notte indimenticabile.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Quando ho iniziato a scrivere questa storia, avevo in mente di incentrarla su cinque coppie. Ebbene, in questi ultimi due capitoli avete visto le prime avvisaglie di tre di queste coppie. Ce ne sarebbe anche un'altra, ma durerà poco. Quale? Aspettate e vedrete.

 

Comunque, che ve ne pare di come sto costruendo le varie coppie? Sapete, essendo questa la prima volta che scrivo una shipping fic sono un pò incerto sui risultati. Voi cosa ne pensate?

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo tra due settimane, cari lettori!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 8: Il giorno dopo ***


Capitolo 8: Il giorno dopo

 

1 Dicembre 2015

Loguetown, California, USA

L'appartamento di Bellemere e Nami

 

La mattina dopo, Nami e Bibi si alzarono di buon'ora, fecero la doccia insieme, e consumarono una robusta colazione (O meglio, la rossa fece una colazione come si deve, mentre Bibi si limitò a mangiucchiare un paio di toast e un'arancia). Nami, non sapendo che sua madre aveva dormito fuori casa, si meravigliò di non trovarla già alzata, ma essendo tutta concentrata su Bibi non se ne curò più di tanto. Finito di mangiare, la rossa accompagnò l'amica alla porta.

 

- Grazie, Nami. E' stato davvero fantastico.- disse l'egiziana, le gote arrossate e l'espressione soddisfatta.

 

- Di niente. Se vorrai rifarlo, non hai che da chiedere.- rispose l'altra sorridendo. Quella mattina si sentiva davvero felice. Aveva aiutato un'amica, e nel farlo aveva anche soddisfatto la propria lussuria. Sperava solo che la cosa non avrebbe rovinato il loro rapporto.

 

Bibi annuì.- Bene, ora sarà meglio che vada. Igaram arriverà a momenti.-

 

- Vuoi che ti accompagni giù?-

 

- Non preoccuparti, ce la faccio da sola. E poi è meglio che tu rimanga qui, nel caso tua madre dovesse svegliarsi.-

 

Avete presente quando si nomina una persona e, subito dopo, questa appare? Ebbene, fu proprio quello che accadde appena Bibi nominò la madre di Nami. La serratura scattò, la porta si aprì, e Bellemere entrò in casa fischiettando, sul volto un'espressione di assoluta serenità. Si accorse della presenza delle due ragazze, e per un attimo fu come se il tempo si fosse fermato. Gli sguardi delle tre donne si incrociarono, nessuno aprì bocca e tutte e tre rimasero immobili.

 

La prima a parlare fu Bibi.- Ehm...buongiorno, signora.-

 

Bellemere riconobbe l'amica di sua figlia, che aveva già incontrato il giorno del Ringraziamento, e la salutò.- Ehm...ciao, Bibi. Qual buon vento?-

 

- L'avevo invitata qui per un pigiama party.- mentì subito Nami. Poi, accorgendosi che sua madre aveva ancora i vestiti del giorno prima, ne approfittò per sviare la conversazione dall'argomento della presenza dell'egiziana.- Tu, piuttosto, perchè indossi ancora la roba di ieri? E...- Le sue narici captarono uno strano odore nell'aria.- E' odore di fumo, questo?- Strano. Che lei sapesse, sua madre non fumava.

 

Bellemere ebbe un attimo di panico. Le era rimasto addosso l'odore del sigaro di Smoker! Merda, eppure pensavo di essermi lavata per bene, pensò la donna. Questa proprio non ci voleva. Aveva sperato di rientrare a casa prima che Nami si svegliasse, in modo da evitare troppe spiegazioni. Beh, ormai la frittata era fatta.

 

- Ti sei messa a fumare? Dove sei stata?- chiese la giovane Watanabe, le mani sui fianchi.

 

La quarantenne si morse un labbro. Era una situazione a dir poco surreale. Le sembrava quasi di essere tornata adolescente, quando rincasava tardi e i suoi genitori la rimproveravano. Si grattò la nuca.- Non ho fumato. E sono stata...sono stata da un'amica. Ma ti avevo mandato un messaggio, non l'hai letto?-

 

- Messaggio? Quale messaggio?- Nami si ricordò solo in quel momento di non aver prestato molta attenzione al telefono.- Ah...ora che ci penso, non l'ho proprio controllato, il telefono.-

 

- Vabbè. Comunque, ti avevo mandato un messaggio in cui ti avvisavo che avrei passato la notte da un'amica.-

 

- E chi sarebbe, questa amica?- La rossa aveva l'impressione che sua madre non gliela stesse raccontando giusta. E infatti aveva ragione.

 

Bellemere non rispose subito. Bibi approfittò di quell'attimo per dileguarsi.- Uhm...io allora vado, Igaram sarà già qui sotto ad aspettarmi. Ci vediamo più tardi, Nami. Buona giornata, signora.- Uscì di corsa dall'appartamento, senza guardarsi indietro.

 

Uscita di scena l'egiziana, Nami riprese l'interrogatorio di sua madre.- Mamma, dimmi la verità. Eri con un uomo?-

 

Beccata, pensò Bellemere. Beh, ormai è inutile continuare a mentire.- Sì.- disse con un filo di voce, lo sguardo fisso a terra. In passato aveva discusso più volte con sua figlia di certi argomenti, e non c'erano mai stati problemi. Eppure, adesso, senza neanche sapere perchè, si sentiva imbarazzata come non mai.

 

Fortunatamente, l'atmosfera cambiò subito. Nami sorrise, le rivolse un sguardo affettuoso e incrociò le braccia.- Era ora! Cominciavo a pensare che volessi farti monaca. Beh, direi proprio che ne avevi bisogno. Non ti vedevo così serena da anni. Dimmi, lui com'è?-

 

Bellemere decise di darci un taglio.- Oh, basta, Nami. Non fare troppe domande.- Poi le venne in mente il modo perfetto per ribaltare la situazione. Le labbra le si allargarono in un ghigno malefico.- Piuttosto...che avete combinato in realtà tu e Bibi? Eravate davvero solo voi due? Oppure c'era anche qualcun altro, magari quel ragazzo che lavora da Shanks, quel Rufy. Oppure l'altro, Usop. O magari tutti e due, eh?- Afferrò sua figlia prima che potesse rispondere e le sollevò un braccio, iniziando a stuzzicarle l'ascella. Nami soffriva il solletico, e lei di tanto in tanto ne approfittava per sottoporla a delle vere e proprie sessioni di tortura.- Allora? Che hai combinato, birbantella?-

 

Com'era prevedibile, Nami scoppiò subito a ridere.- Mamma, smettila...haha...eravamo solo io e Bibi. Usop e Rufy sono solo amici...hahaha...- E quasi senza rendersene conto, aggiunse: -...a me manco piacciono, gli uomini.-

 

Quelle parole sorpresero Bellemere, la quale interruppe subito la tortura e guardò sua figlia.- Oh.- Dire che non si aspettava una simile rivelazione sarebbe stato un eufemismo. Era vero che Nami non le aveva mai portato un fidanzato a casa, ma aveva sempre pensato che fosse perchè era single e voleva guardarsi un pò in giro, come facevano tante altre ragazze della sua età. Comunque, in fin dei conti questo non era che un dettaglio. Il fatto che sua figlia fosse omosessuale, per lei non faceva alcuna differenza.- Beh, questo è...- Poi, all'improvviso, il suo cervello cominciò a mettere insieme i pezzi del puzzle.- Aspetta un attimo. Ma quindi tu e Bibi...-

 

Stavolta fu il turno di Nami di arrossire.- Mamma...non fare troppe domande.-

 

Bellemere ridacchiò. A quanto pare non era l'unica ad aver appena trascorso una notte di sesso. Per un attimo pensò di fare qualche altra domanda imbarazzante a Nami, giusto per farsi due risate, ma alla fine decise di no. La abbracciò e le accarezzò la testa.- Ricordati soltanto di stare attenta, tesoro. Una donna può spezzarti il cuore tanto quanto un uomo.-

 

***

 

L'Emporio di Ivankov

 

Poco dopo, Nami prese l'Impala e si recò al negozio del signor Ivankov per iniziare la sua giornata lavorativa.

 

La quale si rivelò più faticosa del previsto. Il signor Ivankov non era ancora arrivato, e lei Robin dovettero sistemare da sole in magazzino dei mobili antichi arrivati proprio quella mattina. Si trattava di tre enormi comò che un tempo dovevano aver contenuto della biancheria, uno scrittoio in legno di noce, delle sedie e un'elegante specchio che aveva bisogno di un restauro. Cercarono di farsi aiutare dagli uomini che li avevano consegnati, ma purtroppo questi andavano di fretta. Perciò, dopo aver spostato anche l'ultimo oggetto, le due povere ragazze si ritrovarono stanche morte, soprattutto Nami. Robin, essendo più abituata di lei allo sforzo fisico, era in condizioni migliori.

 

- Oh...mio...- ansimò Nami, lasciandosi cadere su una delle due poltrone nell'ingresso. Robin si accomodò sull'altra.

 

- Stanca?-

 

- Direi proprio di sì. Perchè, tu no?-

 

- Un pò, ma ormai sono abituata alla fatica.-

 

Nami annuì, dando un'occhiata al corpo tonico della mora.- Hai detto che sei qui da due anni, giusto? Ti è già capitato di spostare della roba così grossa?-

 

- Sì, e non solo. Una volta io e il signor Ivankov ci siamo ritrovati alle prese con un armadio talmente grande che non entrava neanche dalla porta. Abbiamo dovuto smontarlo e portarlo dentro un pezzo alla volta.-

 

- Ugh. Sai, non avrei mai immaginato che lavorare nell'antiquariato potesse essere così faticoso, a volte.-

 

- Nemmeno io, ma in fondo ogni lavoro ha i suoi pro e i contro.- Si aggiustò gli occhiali sul naso con un dito.- E poi, il resto non è così male. Ti dà la possibilità di recuperare cose che altrimenti andrebbero perdute, a volte ti mette in contatto con gente di tutto il mondo. Ed è anche molto remunerativo.-

 

- Ti piace proprio questo lavoro, eh?-

 

- Sì.- Un accenno di un sorriso si fece largo sul volto di Robin.- E' meraviglioso. Quando ho iniziato ero un pò scettica, ma alla fine me ne sono letteralmente innamorata. Il signor Ivankov ha anche detto che mi lascerà il negozio, quando si stuferà di lavorare.-

 

- Beata te.- La rossa sospirò e appoggiò i gomiti sui braccioli della poltrona.- Voglio dire, hai trovato il tuo lavoro e sei felice. Non puoi neanche immaginare quanto ti invidio.-

 

- Sono certa che prima o poi anche tu troverai il tuo.-

 

- E se non dovesse succedere? In fondo ho venti anni, e finora non ho ancora capito cosa voglio fare nella vita.-

 

- Succederà, stai tranquilla. E' solo questione di tempo.-

 

- Speriamo.- Ci fu un attimo di silenzio, poi Nami riprese a parlare.- Sai, Robin, prima stavo pensando una cosa...-

 

- Che cosa?-

 

- In queste due settimane tu e io non abbiamo parlato molto. Non ci incontriamo mai al di fuori del lavoro, e quando siamo qui al negozio sei sempre indaffarata. A volte ho l'impressione di starti antipatica.-

 

- Posso assicurarti che non è così. Anzi, mi scuso se ti ho dato quest'impressione. E' solo che...ecco, come certamente avrai notato, io sono un pò fredda. Non sono mai stata molto brava a socializzare. Ma non lo faccio per cattiveria, è solo il mio carattere.-

 

- Hmm...ho capito.- Nami si accarezzò il mento, pensierosa.- Senti, ti andrebbe di provare a conoscerci meglio? Potremmo...non so, uscire insieme qualche volta. Magari anche oggi stesso, se ti va. Potresti venire con me e una mia amica.-

 

- Va bene. Ma oggi preferirei di no, se non ti spiace. Potremmo...-

 

In quel momento, la porta dell'emporio si aprì, e Sergei Pavlovich Ivankov fece il suo ingresso nel locale, lasciando la porta aperta.- Buongiorno, care. Scusate il ritardo, ma oggi non ho sentito la sveglia. Allora, ci sono novità? Che stavate facendo?-

 

- Abbiamo appena finito di mettere nel magazzino dei mobili che sono arrivati stamattina, signor Ivankov.- disse Nami.

 

- Oh, bene. Avete avuto problemi a trasportarli?-

 

- Erano molto pesanti, ma ci siamo riuscite lo stesso.- rispose Nami.

 

- Ben fatto, mie care. Ben fatto.- Allungò le braccia e si stirò per bene.- Ah, come mi sento bene, oggi. Sì, sì, proprio bene.-

 

- E' molto allegro oggi, capo.- disse Nami.

 

- Piccina, io sono sempre allegro. Sempre! Un buon negoziante deve trasmettere gioia ai propri clienti, per creare una buona atmosfera e predisporli all'acquisto.- Si avvicinò a Robin e le accarezzò la testa.- Una cosa che la nostra cara Robin sembra non avere ancora imparato.-

 

- Per favore, capo, non ricominci...- disse la mora con aria di sconforto.

 

- Cosa intende, signor Ivankov?- chiese Nami.

 

- Non te ne sei mai accorta? Robin è sempre così seria, non sorride quasi mai. Si limita a trattare i clienti con una cortesia così fredda che a volte ho l'impressione che abbia una stecca di ghiaccio su per il...-

 

- Signor Ivankov!- strillò Robin imbarazzata. Nami ridacchiò.

 

- Scusa, cara, ma è vero.- continuò il negoziante, appoggiando il didietro sulla scrivania accanto alle poltrone.- Ti costerebbe così tanto cercare di sorridere un pò di più? O, perlomeno, non avere sempre quell'espressione tetra.-

 

- E' il mio carattere, capo. Non posso farci niente.-

 

- Eddai, Iva, lasciala stare. Tanto, per l'allegria tu basti e avanzi.- All'improvviso, dall'ingresso giunse una voce dal forte accento britannico. Ivankov e le due ragazze si girarono e videro, appoggiato allo stipite della porta, un uomo alto e robusto vestito come un tipico uomo d'affari inglese: bombetta, giacca e cravatta, e ombrello nero, nonostante la giornata di sole.

 

Vedendolo, Ivankov scattò in piedi e strabuzzò gli occhi.- Bentham!- Corse verso di lui, per poi stringerlo in una morsa d'acciaio e stampargli un bacione sulle labbra.- Bozhe moj, quando sei arrivato? E perchè non mi hai avvisato?-

 

- Volevo farti una sorpresa. Ma ora vorrei...che mi lasciassi andare...-

 

- Oh, scusa.- Il negoziante si dimenticava sempre di avere una forza mostruosa. Lasciò andare il nuovo arrivato e si rivolse alle sue impiegate, che guardavano sia lui che Bentham con curiosità.- Ragazze, questo qui è...-

 

- Lascia, faccio io. Lieto di conoscervi, gentili signore. Io sono Sir Bentham Clay, di Londra.- Si tolse la bombetta e fece un breve inchino.- Proprietario terriero e finanziere, oltre che amico del qui presente Iva.-

 

Pensando a quale tipo di amici si baciassero sulla bocca, Nami e Robin si alzarono e si avvicinarono per stringere la mano al nuovo arrivato.- Piacere, Sir Bentham. Io sono Robin, e lei è Nami. Lavoriamo nel negozio del signor Ivankov.- disse la mora tendendo una mano verso il londinese. Quest'ultimo la prese, la baciò delicatamente, e fece altrettanto con la mano della rossa.

 

- Hmm...Iva, se non ti conoscessi, potrei avere dei sospetti sulla presenza di queste due belle fanciulle.- Al che rise, subito imitato da Ivankov. Nami e Robin si limitarono a guardarli.

 

- Sei sempre il solito scemo, Bentham. Piuttosto, cambiamo argomento. Come mai qui in America? Pensavo fossi pieno di lavoro.-

 

- Ho deciso di prendermi un periodo di vacanza. Sai, mi sentivo un pò stressato ultimamente, e la vecchia Liz mi ha consigliato di staccare la spina per un pò.-

 

- A proposito, come sta la vegliarda?-

 

- Meglio di te e di me. Ha quasi 90 anni, ma è ancora energica come quando era giovane.-

 

- Chiedo scusa, Sir Bentham, ma sta forse parlando della regina Elisabetta?- intervenne Robin.

 

- Esatto, cara. Io e Liz siamo amici di vecchia data. Ci incontriamo sempre due o tre volte alla settimana, per bere il tè e scambiarci pettegolezzi. Cielo, se le piace chiacchierare!-

 

- Va bene, adesso basta parlare. Ragazze, ho avuto un'idea: visto che io e Bentham non ci vediamo da un pezzo, per oggi mi prendo la giornata libera e lo accompagnerò a fare un giro in città, e voi due rimarrete qui in negozio. Vi va bene?-

 

Le ragazze annuirono, anche se un pò incerte.

 

- Splendido, allora noi andiamo. Ci vediamo domani, care!- Ivankov e Bentham si accomiatarono con un gesto della mano e uscirono dal negozio camminando a braccetto. Nami e Robin li guardarono allontanarsi, e poi si scambiarono un'occhiata.

 

- Tu ne sapevi qualcosa? Di quei due, intendo.- chiese Nami.

 

- Sapevo che il signor Ivankov è omosessuale, ma non avevo mai incontrato Sir Bentham prima d'ora, nè lui me ne aveva parlato. Può non sembrare, ma è molto riservato per quanto riguarda la sua vita privata.- rispose la mora.

 

La rossa scrollò le spalle e chiuse la porta, decidendo di cambiare argomento.- Senti, cos'è che stavi dicendo prima che tornasse il capo?-

 

- Cosa...ah, sì, ora ricordo. Stavo dicendo che potremmo uscire Sabato, se per te fa lo stesso.-

 

- Perfetto. Mia cugina ha programmato un giro al centro commerciale Baltigo proprio Sabato mattina. Saremo io, lei e una mia amica.-

 

- Va benissimo. Ci incontreremo là davanti, allora. Ti dò il mio numero, così ci terremo in contatto.-

 

Robin fece quanto aveva detto, e subito dopo le due ragazze tornarono al lavoro.

 

***

 

New York City, New York, USA

Aeroporto Kennedy

 

Sabo e Koala si avvicinarono al nastro trasportatore, cercando con lo sguardo i loro bagagli. Individuatili, Sabo li indicò con un dito.

 

- Eccoli là. Che ti avevo detto? Non li hanno persi.- esclamò Sabo.

 

- Buon per loro, altrimenti era la volta buona che gli facevo una causa coi fiocchi.- rispose Koala, sporgendosi in avanti e prendendo una delle loro tre valigie, la più leggera. Suo marito prese le altre due.

 

In passato, era successo che la compagnia con cui avevano viaggiato adesso avesse smarrito i loro bagagli. Fortunatamente in seguito erano riusciti a ritrovarli, ma nel frattempo Koala aveva avuto modo di esibirsi in una serie di sfuriate che erano già entrate nella leggenda, contribuendo così a rafforzare la sua immagine di donna terribile.

 

Grazie a Dio stavolta è andato tutto bene, pensò Sabo camminando. Non credo che sarei riuscito a trattenerla.

 

- A proposito di cause, come sei rimasto con quell'animalista, quel Kaido?- gli chiese all'improvviso Koala.

 

- Kaido? Gli ho detto che l'avrei richiamato domani mattina. Stasera riesaminerò le carte, e...- rispose lui, senza però finire la frase, perchè in quel preciso istante con la coda dell'occhio si accorse di una folla di gente assiepata davanti a una delle entrate del terminal.- Ma che succede?- Si girò, notando che tra la folla erano presenti diversi reporter, molti dei quali con dei microfoni in mano.

 

- Sarà qualche celebrità.- ipotizzò Koala.

 

Ebbe la conferma della sua ipotesi qualche secondo dopo, quando la folla si aprì un pochino e ne vennero fuori due omaccioni vestiti di nero. In mezzo a loro, una giovane donna dai lunghi capelli rosa, che sorrideva ai giornalisti e mandava baci a chi la salutava.

 

Nel vederla, Sabo ebbe una reazione che sarebbe stata più adatta a suo fratello Sanji: si fermò di colpo, strabuzzò gli occhi, e gli comparve un sorriso idiota sul volto.

 

Koala gli si avvicinò, preoccupata.- Sabo, che ti succede?-

 

Il maggiore dei rampolli Vinsmoke non le rispose, troppo occupato a contemplare la ragazza dai capelli rosa.- Non ci posso credere...è lei!- Lasciò cadere a terra le valigie, una delle quali finì su un piede di Koala, e si fiondò verso la ragazza.

 

- SABO!- gridò Koala, ma suo marito non la sentì neanche. La donna si chiese che diavolo gli stesse succedendo. Sembrava aver perso completamente la ragione.

 

Il biondo arrivò davanti alla ragazza, ansimando per la corsa. I due omaccioni lo scrutarono torvi.- Signorina Bonney, è un piacere conoscerla. M-mi chiamo Sabo, e sono un suo grande fan. Mi farebbe un autografo?- Le porse un foglietto che aveva preso nel mentre da una tasca.

 

- Ma certo, caro.- La ragazza si fece dare una penna da uno dei due gorilla, scribacchiò qualcosa sul foglietto di Sabo e vi posò brevemente le labbra, lasciando così l'impronta del rossetto.- Tieni.-

 

Sabo riprese il pezzo di carta con mani che tremavano per l'emozione.- Oh, grazie, grazie!-

 

La ragazza, i due gorilla e la folla di prima si allontanarono verso un'altra parte del terminal. Sabo rimase imbambolato a fissare il foglietto. Koala gli si avvicinò trascinando le valigie con una mano e ringhiando minacciosamente.

 

- Sabo, si può sapere chi cazzo era quella?-

 

Il biondo tornò in sè e si rimise in tasca il pezzo di carta.- Oh, scusa. Per un attimo mi sono...-

 

- Chi! Cazzo! Era! Quella!- L'espressione che aveva Koala in quel momento avrebbe potuto terrorizzare anche i criminali più incalliti.

 

Sabo deglutì.- Era...era Jewelry "Pozzo Senza Fondo" Bonney. Quando l'ho vista qui, dal vivo, quasi non ci credevo. Finora l'avevo vista solo su uno schermo...-

 

- Ah, quindi è un'attrice?-

 

- Sì. E' una famosissima pornostar. Ho visto tutti i suoi film.-

 

- Una...- Koala si immobilizzò, la bocca aperta e lo sguardo fisso su Sabo. Poi, dalle labbra le uscì un ringhio che aumentò progressivamente d'intensità, e infine la mano libera iniziò a muoversi lentamente verso Sabo. Quest'ultimo si rese conto di cosa stava per accadere, ma non provò neanche a muoversi. Era troppo paralizzato dal terrore. Mentalmente, si diede dell'idiota.

 

All'improvviso, in tutto il terminal risuonarono un ruggito bestiale e l'eco di uno schiaffo epico. Decine di teste si girarono verso la fonte del rumore, vedendo così una donna dai capelli verdi fissare con rabbia un uomo biondo che aveva l'impronta di una mano stampata su una guancia.

 

Koala ringhiò un'ultima volta, prese le valigie e le buttò addosso a Sabo, facendolo cadere a terra con un gran fracasso.- A casa ci torni a piedi. E stanotte dormi sul divano!- Si girò, sdegnata, e se ne andò.

 

Sabo rimase qualche secondo a terra a fissare la schiena di Koala che si allontanava, tra le risatine delle altre persone lì presenti che avevano assistito alla scena. Poi si rialzò, raccolse le valigie e quel poco che restava della sua dignità, e corse dietro a sua moglie.- Koala...amore, aspettami!-

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Stavolta niente da dire, solo che ho di nuovo riveduto gli appunti e ho cambiato qualcosina, e ora ci saranno 26 capitoli. Ah, e la scena con Sabo e Koala è ispirata a un vecchio sketch della Premiata Ditta.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 9: Sex and the (Logue)town ***


Capitolo 9: Sex and the (Logue)town

 

4 Dicembre 2015

Loguetown, California, USA

L'abitazione del dottor Law Trafalgar

 

L'aria della stanza era satura del fumo di sigarette ormai spente e di un forte odore di alcol, oltre che dei fantasmi di svariati peti. Al centro, un tavolino rotondo attorno al quale quattro uomini sulla quarantina giocavano a poker.

 

Il primo era il padrone di casa, Law Trafalgar, celebre medico. Accanto a lui Kuzan Aokiji, psichiatra. Poi Kizaru Borsalino, avvocato di origine italo-giapponese. E infine Clint Callahan, capitano di polizia. I quattro erano amici da tanti anni, e si incontravano ogni Venerdì a casa di Law per giocare e carte, bere una quantità astronomica di alcolici, e, come sempre accade quando dei maschi si riuniscono in branco, lasciar emergere il peggio di sè.

 

Quella sera, dopo aver divorato due enormi pizze con salsicce e peperoni e aver fatto fuori tre casse di birra, i quattro erano passati direttamente al poker. Ognuno di loro aveva messo al centro del tavolo 50 dollari, per poi iniziare a giocare.

 

E dopo quasi un'ora, era finalmente emerso un vincitore.

 

- Guardate e piangete.- disse soddisfatto Clint Callahan sbattendo le proprie carte sul tavolo. Gli altri guardarono increduli prima le carte e poi il loro amico.

 

- Come direbbe la buonanima di mio nonno Salvatore, "Minchia ru culu".- esclamò Kizaru con un fischio di ammirazione.

 

- Ha quasi dell'incredibile. Anzi, del miracoloso.- disse Aokiji.

 

- Già, Clint, di solito non sei così fortunato.- annuì Law.- Che è successo?-

 

- Che vuoi che ti dica. La fortuna è una ruota che gira.- sogghignò Smoker prendendo i soldi al centro del tavolo e infilandoseli in tasca. Diede un'occhiata all'orologio sulla parete e si alzò in piedi.- Sentite, io adesso me ne vado.-

 

- Di già? E perchè?- chiese Kizaru.

 

- Ho...un impegno. Una roba di lavoro, devo andare per forza.-

 

- Lavoro, Clint? Sei sicuro? Oppure si tratta di qualche altra cosa?- Law rivolse al poliziotto un'occhiata indagatrice, appoggiando il mento sul dorso di una mano. C'era qualcosa che non lo convinceva nel tono di voce dell'altro.

 

- Come mai tanta curiosità, Law?-

 

- Nulla, vorrei solo sapere cosa c'è di così importante da farti lasciare prima del solito la nostra serata del Venerdì. Dimmi, si tratta per caso di una donna? Magari quella signora che hai accompagnato l'altro giorno in ospedale?- Un sorrisetto malizioso accompagnò quest'ultima frase. Aokiji e Kizaru si limitarono a fissare Callahan incuriositi.

 

Smoker rimase impassibile, ma dentro di sè maledisse la curiosità e l'intuito di Law. Naturalmente aveva indovinato, era proprio per incontrarsi con Bellemere che stava cercando di andarsene prima. Non lo aveva detto apertamente perchè voleva evitare le battutine e le inevitabili domande dei suoi amici. Quindi, ora cosa poteva fare? Confermare l'ipotesi di Law o negare tutto? Alla fine, decise di rispondere coi suoi soliti modi bruschi.- Law, un consiglio. Impara a farti i cazzi tuoi.- Al che si girò, rivolgendo agli altri uno sbrigativo cenno di saluto, e uscì dalla stanza. I suoi amici rimasero con lo sguardo fisso nella direzione verso cui si era allontanato, in silenzio.

 

Subito dopo, Aokiji sbadigliò.- Stando così le cose, me ne vado anche io. Hina sarà contenta se per una volta torno a casa in anticipo.- Si alzò e si avviò verso la porta.- Alla prossima, signori.- E se ne andò fischiettando.

 

Rimasti soli, Law e Kizaru si guardarono negli occhi.

 

- Dobbiamo trovarci una donna.- disse il medico.

 

- Già.- annuì l'avvocato.

 

***

 

Il giorno dopo

La casa del Capitano Clint Callahan

 

Bellemere si avvolse l'asciugamano attorno al corpo e uscì dal bagno a piedi nudi, canticchiando. I capelli ancora umidi erano raccolti in una lunga coda che le riposava su una spalla, e quando aprì la porta del bagno una nuvola di vapore si levò in aria, risultato della lunga doccia calda che l'aveva tenuta occupata fino a poco prima.

 

- Ah, ci voleva proprio.- Diede un'occhiata nella vicina stanza da letto, notando che Smoker stava ancora dormendo. Il poliziotto era sdraiato su un fianco, il corpo nudo coperto da un lenzuolo. La donna decise di lasciarlo dormire, e si incamminò verso la cucina.

 

Dopo il loro "incontro ravvicinato" qualche giorno prima, lei e Smoker avevano deciso di vedersi ancora. Era stato lui a insistere, cosa che aveva sorpreso parecchio Bellemere. Era già strano che avesse accettato la sua spiegazione, ma questo aveva dell'incredibile. Non che le fosse dispiaciuto. Perchè sebbene Smoker avesse tutti i difetti di questo mondo, c'era una cosa che sapeva fare davvero bene. Era stato solo quella notte, stretta tra le braccia muscolose di lui, che si era reso conto di quanto le fosse davvero mancato il sesso. La masturbazione, in confronto, era solo un debole sostituto. Per la prima volta dopo tanti anni, si sentiva fisicamente appagata.

 

C'era però una questione su cui aveva iniziato a riflettere durante la doccia, e cioè la direzione che avrebbe preso da quel momento il loro rapporto. Era vero che si erano più o meno riconciliati, ma cosa avrebbero dovuto fare, ora? Far finta che quei due incontri non fossero mai avvenuti ed essere semplici amici? Oppure continuare ad incontrarsi, visto che era innegabile che tra loro due l'attrazione fosse ancora forte. O magari ridare una possibilità al loro rapporto? Era una situazione delicata. Un solo passo falso, e tutto sarebbe andato in malora.

 

Dovrò parlarne con Clint appena si sveglia, decise la donna varcando la soglia della cucina. Notò con piacere che anche quella stanza era pulita, come anche il resto dell'appartamento. Le case di tutti gli altri uomini soli che aveva conosciuto erano state più simili a delle discariche. Quella di Smoker, invece, era tenuta così bene da sembrare degna della copertina di una rivista. Ma c'era da aspettarselo. Un uomo come lui non poteva essere disordinato.

 

Marciò verso il frigorifero intenzionata a prepararsi una colazione coi fiocchi, quando con la coda dell'occhio vide qualcosa che catturò la sua attenzione. Su una piccola mensola accanto alla finestra c'era una foto incorniciata. Decise di dare un'occhiata. Si avvicinò alla mensola, prese la foto e la squadrò per bene.

 

Doveva essere stata scattata all'interno di un parco divertimenti, perchè in lontananza, dietro alcuni alberi, si poteva intravedere una ruota panoramica. Ma la cosa veramente interessante erano le tre persone in primo piano, tutte con delle facce decisamente felici. Riconobbe subito Smoker, che nell'immagine aveva ancora i capelli neri (La foto doveva risalire a diversi anni prima, quindi). Accanto a lui una giovane donna con indosso un prendisole giallo e un cappello a tesa larga dello stesso colore, e infine una deliziosa bambina dai capelli rosa che si stringeva al petto un pupazzo di Topolino. Era un'immagine così tenera che Bellemere rimase a fissarla per diversi secondi, dimenticandosi per un attimo di ciò che aveva attorno. E fu per questo che non sentì il rumore di passi alle sue spalle.

 

- Posa quella foto.-

 

La donna si girò. Smoker, nudo, la stava fissando con un'espressione torva che la inquietò non poco, oltre a paralizzarla come un animale davanti ai fari di un'auto.

 

- Posa. Quella. Foto.- Il tono del poliziotto non lasciava presagire nulla di buono. Bellemere si riprese e rimise a posto l'oggetto.

 

- Scusa. Ho...volevo solo vedere cos'era.-

 

Smoker sospirò.- No, scusami tu. E' solo che ci tengo molto a quella foto. Mi incazzo se qualcun altro la tocca.-

 

Bellemere annuì comprensiva.- Quello sei tu tanti anni fa, vero?-

 

- Sei, per la precisione.-

 

- E le altre due...-

 

- Mia moglie, Scarlet. La bambina è...era nostra figlia, Rebecca.- Il viso del poliziotto si fece ancora più cupo.- All'epoca eravamo andati in vacanza in quel parco della Disney vicino Parigi. Rebecca aveva vinto i biglietti con un concorso.- Sospirò di nuovo e abbassò lo sguardo.- Me la ricordo ancora. E' stata...una bella settimana.-

 

Bellemere rimase un attimo in silenzio. Sapeva già che Clint era vedovo, ma non che avesse anche una figlia.- Era? Cioè...è morta anche lei?-

 

Smoker si limitò ad annuire.

 

- Com'è successo?-

 

Il Cacciatore Bianco aggrottò le sopracciglia.- Non è una bella storia.-

 

Kyoko Watanabe si rese conto di aver toccato un tasto dolente. Si avvicinò al suo ex e gli mise una mano sulla spalla.- Scusa, Clint. Io...non volevo farti tornare in mente dei brutti ricordi. Non devi parlarmene, se ti fa stare male.-

 

L'uomo scrollò le spalle.- Ormai il peggio è passato.- Fece un cenno verso il piccolo divano accanto all'entrata della cucina.- Sediamoci.-

 

I due si sedettero. Il poliziotto trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi per un attimo, come per raccogliere i pensieri.

 

- Iniziò tutto 5 anni fa, quando catturai uno psicopatico di nome Teach Marshall. Era un pedofilo che aveva ucciso parecchi bambini in Arizona e qui in California. Era sempre riuscito a sfuggire alla polizia, ma grazie a un colpo di fortuna io e i miei uomini riuscimmo a catturarlo.-

 

- Aspetta. Teach Marshall...quel tipo che si faceva chiamare Barbanera?- Bellemere ricordava di aver letto degli articoli al riguardo.

 

- Esatto. Comunque, lui venne rinchiuso ad Impel Down, mentre io fui promosso capitano del terzo distretto.- Fece una piccola pausa.- Poi, qualche mese dopo, evase.-

 

- Evase? Ma com'è possibile?- La donna non credeva alle sue orecchie. Impel Down era un penitenziario federale di massima sicurezza, da cui nessuno era mai riuscito a scappare. Come aveva fatto quel tizio?

 

- Nessuno l'ha mai capito. Pensa che il governo ha anche tenuto la cosa sotto silenzio, per evitare di danneggiare la reputazione di Impel Down. Figli di puttana...- Strinse entrambi i pugni e proseguì.

 

- In qualche modo, riuscì a non farsi beccare. Arrivò qui a Loguetown e scoprì dove abitavo. E...e...- La voce iniziò a tremargli e si interruppe. Bellemere decise di rimanere in silenzio. Aveva già capito cosa era successo. Strinse una mano di Smoker e aspettò che continuasse.

 

Il poliziotto tornò a parlare col suo tono di voce aspro.- Approfittò di una sera in cui non ero in casa e...e le uccise.- Bellemere poteva sentire il dolore nella voce di Smoker, e si pentì di avergli fatto quella domanda.

 

- Quando tornai e vidi quello che aveva fatto, mi misi a urlare. I capelli mi diventarono bianchi per lo shock.- Ecco spiegato il mistero, pensò la donna cercando di confortare il poliziotto con la sua presenza.- Poi trovai un messaggio scritto sulla parete con del sangue. Quel bastardo si vantava della sua impresa, e mi sfidava a venirlo a cercare. E fu proprio quello che feci. Gli diedi la caccia per tre settimane, arrivai fino in Messico. E quando lo trovai...- Strinse i denti e chiuse gli occhi, mentre una lacrima gli solcava solitaria una guancia. Bellemere lo lasciò fare. Poteva immaginarsi come era andata.

 

Alla fine, il Cacciatore Bianco si riprese.- Dopo tornai a casa. Le autorità iniziarono a farmi una testa così, e io minacciai di raccontare ai media da dove era evaso Teach. Così ci mettemmo d'accordo: loro mi avrebbero lasciato in pace, e io avrei tenuto la bocca chiusa su Impel Down. E fui di parola. Dissi a tutti che si era trattato di un criminale qualunque.- Si grattò la barba incolta e proseguì.- Tra l'altro, fu dopo quest'episodio che iniziarono a chiamarmi "Cacciatore Bianco". Pff. Soprannome del cazzo.-

 

Bellemere abbracciò Smoker.- Cazzo, Clint, mi dispiace così tanto. Non avevo idea.-

 

Clint Callahan sospirò.- Lascia perdere. Mi hai solo fatto una domanda.-

 

La donna si staccò da lui e gli baciò una guancia.- Avrei dovuto star zitta. Scusami. Non volevo farti ripensare a quelle cose orribili.-

 

- Col tempo ci si abitua a convivere con certi ricordi. E' difficile, specie se si rimane da soli per tanti anni, ma è possibile.-

 

- Soli? Intendi...-

 

- Sì. Dopo Scarlet non sono più stato con nessuna. Non ce la facevo a pensare a certe cose.-

 

Ci fu un attimo di silenzio.

 

- Ma...- fece per dire la donna.

 

- Perchè è successo quello che è successo tra di noi negli ultimi giorni?- la anticipò Smoker.- Non lo so. Forse istinto. Quando mi sei caduta addosso nel parcheggio dell'ospedale, ho...ho perso il controllo. Mi sentivo come se mi stesse ribollendo il sangue. Riuscivo solo a pensare a...hai capito, no?-

 

Questo spiega la foga con cui mi hai montata, pensò Bellemere annuendo. Capiva benissimo cosa intendeva Clint. Lei si era sentita allo stesso modo.- E' stato lo stesso per me. Sai, anche io non stavo con qualcuno da un bel pò.-

 

- Ah, sì? E come mai?-

 

- Nulla. Mi ero solo presa una pausa di riflessione dopo l'ennesima storia finita male.-

 

E a quel punto, accadde qualcosa di sconcertante. Le labbra di Smoker iniziarono lentamente a tremolare, fino ad assumere una forma vagamente somigliante a un sorriso, e dalla sua bocca proruppe una risata fragorosa che durò qualche secondo. Poi il poliziotto si ricompose, e riprese il suo solito aspetto tetro.- Sembra quasi la trama di uno di quei film che piacciono tanto a voi donne.-

 

Kyoko Watanabe, ancora sconcertata per la risata di Callahan, non potè che annuire.- Già. Io poi li ho sempre odiati, quei film.- Sua sorella Makino, invece, li adorava.

 

- Volendo seguire la sceneggiatura, adesso dovremmo rimetterci insieme, e vivere felici e contenti fino alla fine dei nostri giorni, eh?- Al che entrambi scoppiarono a ridere. Bellemere era contenta di vedere finalmente un pò di allegria sul volto di Smoker.

 

Il poliziotto si adagiò sullo schienale del divano.- Diavolo, erano anni che non ridevo.-

 

- Dovresti ridere più spesso. Ti farebbe bene.- La donna si prese un attimo per riflettere sul da farsi. Ritenendo che quello fosse il momento migliore per agire, prese un respiro profondo.- Senti, Clint...-

 

- Sì?-

 

- A proposito di quello che stavi dicendo prima...sulla sceneggiatura...-

 

- Guarda che stavo scherzando.-

 

- Lo so, ma dobbiamo comunque parlare di quello che è successo tra di noi. Non possiamo far finta di niente.-

 

Smoker sbuffò e si grattò il petto.- Hai ragione.- Guardò Bellemere quasi con imbarazzo.- Allora, direi che...è stato bello.-

 

- Anche per me.-

 

- Io...ecco, non mi dispiacerebbe rifarlo, però...-

 

- Pensi ancora a tua moglie?-

 

- Si, però...- Digrignò i denti e diede un pugno sulla parete.- Cazzo, perchè tutto deve sempre essere così difficile?-

 

- Clint, calmati.- Kyoko gli accarezzò una guancia.- Chiediti questo. Tua moglie vorrebbe vederti così?-

 

Smoker esitò un attimo.- No.-

 

- Ecco. Vorrebbe che fossi felice.-

 

- E tu invece cosa vuoi?-

 

Bellemere rimase un attimo interdetta dalla domanda.- Cosa voglio io? Beh, ecco...- Non era un quesito facile, ma alla fine trovò la risposta.- Voglio essere felice. Non voglio cercare di sostituire tua moglie, però posso provare a rendere felice anche te.-

 

- Quindi che facciamo? Ci rimettiamo insieme? O rimaniamo amici e ci dimentichiamo di quello che è successo negli ultimi giorni?-

 

- Io...- Fai attenzione, Kyoko, disse tra sè e sè la quarantenne. Un solo passo falso e rischi di rovinare tutto. Si morse un labbro e proseguì.- Credo che sia meglio fare un passo alla volta. Potremmo...non so, potremmo iniziare uscendo qualche volta come amici. Se le cose andranno bene, tanto meglio. Altrimenti...beh, si vede che non era destino.-

 

Callahan grugnì.- Direi che qualche passo l'abbiamo già fatto. Di solito, gli amici non scopano tra di loro.-

 

Kyoko ridacchiò.- Dovevamo pur iniziare da qualche parte.-

 

Il poliziotto rimase in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto. A quel punto, Bellemere decise di agire. Sciolse il nodo che aveva fatto all'asciugamano e lo fece scivolare giù, rimanendo completamente nuda. Accavallò le gambe e si avvicinò a Smoker, appoggiandogli un seno a un braccio.- Senti...stavo pensando di andare al cinema, stasera. Ti va di accompagnarmi?-

 

Smoker fece scorrere lo sguardo lungo il corpo di Bellemere e le accarezzò distrattamente una coscia.- Va bene. Però il film lo scelgo io.-

 

***

 

L'appartamento di Sergei Ivankov

 

Sir Bentham Clay accese una sigaretta e se la portò alle labbra, inspirando profondamente e poi producendo una lunga scia di fumo.

 

- Per favore, Bentham, almeno qui a letto evita di fumare.- disse la voce della persona sdraiata accanto a lui.

 

- Uff, come sei noioso, Iva.- Allungò il braccio verso il posacenere sul comodino e vi schiacciò la sigaretta.- Contento, adesso?-

 

- Sì. E poi, dovresti saperlo già che odio trovarmi la cenere sul letto. Per non parlare di cosa potrebbe succedere se ti addormentassi e ti cadesse la sigaretta accesa sul lenzuolo. Potrebbe scoppiare un incendio, in quel modo.-

 

- E quanto la fai lunga! La cenere si può sempre spazzar via. E se scoppia un incendio, basta chiamare i pompieri.-

 

- Uhm...hai ragione. Anzi, sai che ti dico? Li chiamo lo stesso anche se non c'è un incendio, i pompieri. Così almeno potrò rifarmi un pò gli occhi. Mmh...quei bei ragazzoni in divisa...-

 

- Stronzo.- Il londinese colpì scherzosamente il braccio dell'altro, ed entrambi si misero a ridere.

 

- Come siamo diventati volgari, Sir Bentham!-

 

- A furia di frequentare voi coloniali, ho iniziato a parlare anch'io in un certo modo.-

 

- Spero non sia l'unica abitudine che hai preso da noi "coloniali"...-

 

- Tranquillo, ne ho prese anche altre. Come del resto ti ho dimostrato poco fa.- Risero di nuovo.

 

I due si erano conosciuti l'anno prima, a Londra, quando Ivankov si era recato in Inghilterra per trattare l'acquisto di una statua antica. Era stato amore a prima vista, e nonostante la distanza che separava le loro due nazioni (E la barca di soldi che stavano spendendo in biglietti aerei), i due erano riusciti a mandare avanti splendidamente il loro rapporto.

 

- Sai, mi ha fatto davvero piacere vederti prima del previsto.- sussurrò amorevolmente l'americano accarezzando il petto glabro dell'altro.

 

- Lo immaginavo. E' anche per questo se sono venuto qui.-

 

- A proposito, quanto hai detto di voler rimanere?-

 

- Almeno fino a Natale. Voglio riposarmi per bene, e soprattutto passare un bel pò di tempo con te.-

 

Ivankov si sistemò su un fianco e appoggiò la testa sul palmo della mano.- E hai intenzione di passarlo a chiacchierare?-

 

- Certo che no. Anzi, se mi porti il barattolo della marmellata e un frustino potremmo iniziare a fare qualcosa di molto più divertente.-

 

- Oh, siamo diventati anche perversi, oltre che volgari.-

 

- E' tutta colpa tua, vecchio culattone.-

 

- Ehi, chi hai chiamato vecchio?- Ivankov saltò addosso a Sir Bentham, fingendo di dargli un pugno. Il londinese gli bloccò entrambe le mani. I due si guardarono negli occhi per un lungo attimo, e alla fine si baciarono.

 

***

 

Centro commerciale Baltigo

 

Le quattro ragazze camminavano tra la folla, chiacchierando tra di loro o guardandosi attorno.

 

- E' davvero enorme.- esclamò Bibi.

 

- E' il centro commerciale più grande della California meridionale.- disse Nojiko.- Ci saranno più o meno un centinaio di negozi, e un parcheggiò così ampio che potrebbe contenere un'intera città. Se uno non sta attento, rischia di perdersi. Anzi, credo che sia successo qualche anno fa.-

 

- Ora che ci penso, tempo fa avevo sentito la notizia di una famiglia che si era persa tra i negozi e non era stata più trovata.- intervenne Nami.- Chissà cosa gli è successo.-

 

- Forse sono morti e ora i loro fantasmi vagano per l'edificio.- ipotizzò Robin.- Oppure si sono nascosti nei sotterranei e sopravvivono nutrendosi di ratti e vagabondi.- Brividi corsero lungo la schiena delle altre ragazze.

 

- Robin, perchè devi essere sempre così tetra?- chiese Nojiko. La collega di sua cugina non le stava antipatica, ma aveva la strana abitudine di dire cose raccapriccianti. Da quando erano entrate nel centro commerciale, quella era già la terza volta che le faceva rabbrividire.

 

- Stavo solo facendo delle ipotesi.-

 

- Lasciamo perdere. Piuttosto, che ne dite di andarci a bere qualcosa? Sto morendo di sete.- Le altre annuirono, e tutte e quattro si diressero verso il bar più vicino. Ordinarono ognuna un cocktail analcolico e si accomodarono a uno dei tavolini, in attesa.

 

- Ah, quanto mi era mancato questo posto.- esclamò la giovane O'Malley accavallando le gambe.

 

- Ci sei già stata?- chiese Robin.

 

- Bella, io qui sono praticamente di casa. Ci vengo ogni volta che posso. E' il paradiso: tanti posti in cui spendere, e i commessi sono pure carini. La maggior parte, almeno.- aggiunse, guardando con la coda dell'occhio uno dei camerieri del bar. Il ragazzo in questione era, in effetti, piuttosto bruttarello. Occhiali a fondo di bottiglia, denti sporgenti, sembrava l'immagine tipica del nerd.

 

- Eddai, Nojiko, non cominciare.- la rimproverò bonariamente Nami.- Possibile che devi sempre metterti a fare commenti sull'aspetto degli uomini? Ci manca solo che inizi a portarti dietro le palette coi numeri.-

 

- Non sarebbe una cattiva idea, almeno potrei usarle per difendermi dai malintenzionati.- Risero, smettendo però quando il summenzionato cameriere arrivò con le loro ordinazioni. Il ragazzo se ne andò, e loro bevvero i drink in silenzio.

 

- Fortuna che non è arrivato prima. Sai che bella figura avremmo fatto?- disse Nami.

 

- Già, non avremmo più potuto tornare qui.- annuì sua cugina sorridendo.- Devo proprio imparare a stare attenta a quello che dico, eh?- Fece l'occhiolino alla rossa.

 

- Anche perchè non è gentile parlar male di qualcuno solo perchè non ha un bell'aspetto.- le fece notare l'egiziana.

 

- Scusami tanto, Madre Superiora. Più tardi chiederò perdono al Signore per questo mio peccato.- esclamò Nojiko unendo le mani come per pregare.

 

Nami scosse la testa.- Non cambi mai.-

 

- E perchè dovrei? Sto benissimo così come sono.- Lo sguardo di Nojiko si posò su Robin.- Piuttosto, basta parlare della sottoscritta. Parliamo un pò di Robin.-

 

- Di me?-

 

- Sì. Da quando siamo qui hai detto sì e no due parole.-

 

- Scusa. E' che non sono mai stata molto loquace.-

 

- E' vero, anche al lavoro fa così.- confermò la rossa.

 

- Beh, dicci almeno qualcosa di te. Che so, che tipo di musica ti piace, se hai un ragazzo, cose così.-

 

La mora si schiarì la voce.- Ecco...mi è sempre piaciuta la musica classica. Mozart, Bach, ma soprattutto Beethoven. E non ho un ragazzo. Io...sono omosessuale.-

 

- Anche tu? Magnifico, sono finita in un covo di lesbiche.-

 

Nami e Bibi si scambiarono un'occhiata.

 

- Sì, mi sono accorta di voi due. Non che fosse poi tanto difficile, visto come vi guardate.- Sbadigliò.- E ora sono in minoranza. Che palle.-

 

- Sei etero, quindi.- disse Robin.

 

- Esatto. Non c'è donna più etero della sottoscritta!- esclamò allegramente Nojiko.

 

- Hmm...giusto per rigirarti la domanda di prima: hai un ragazzo?- le chiese la mora accennando un sorriso.

 

- No, sono single. Anche se non mi dispiacerebbe avere un rapporto stabile.-

 

- Scusa, ma mi riesce un pò difficile crederlo.- disse Nami.

 

- E perchè? E' forse sbagliato volere un compagno?-

 

- No, ma considerando che tipo sei...-

 

- Guarda che dico sul serio. Vorrei davvero un rapporto stabile. Il problema è che nessuno dei ragazzi che ho incontrato finora andavano bene. A essere precisi, un paio ci sono anche stati, ma con loro è finita male. Chissà, forse sono solo sfortunata.-

 

- Sfortuna? Ma se sei tu che te li vai a cercare, gli uomini.-

 

- E allora? E' sfortuna lo stesso! Finora ho incontrato solo degli imbecilli. Tanto per fare un esempio: mentre ero a Parigi, ho passato una notte coi giocatori di una squadra di rugby. Tutti bellissimi, con dei muscoli pazzeschi. Ma avevano solo questo di bello, per il resto erano degli idioti di prima categoria! Stupidi e ignoranti più di un campagnolo. Uomini così sono buoni solo per una notte e basta...-

 

Bibi alzò un sopracciglio, incuriosita da quel discorso.- Scusa la domanda, Nojiko, ma...tu, di preciso, con quanti uomini sei stata?-

 

L'interpellata si accarezzò il mento, riflettendo.- Hmm...boh. Arrivata a 50, ho smesso di contare.-

 

La mascella di Bibi cadde a terra con un tonfo. Nami invece non si scompose. Conosceva bene sua cugina, e sapeva che era sempre stata un pò una mangiauomini.

 

In quel momento, accadde qualcosa di eccezionale. Nell'aria attorno alle quattro ragazze echeggiò un suono che fino a quel momento non avevano mai sentito. Tre di loro si girarono verso la fonte del suono, scoprendo così una verità sconvolgente. Com'era possibile che stesse accadendo una cosa del genere? Era forse uno dei segni della fine del mondo?

 

Era incredibile. Inaudito.

 

Robin...stava ridendo!

 

Le altre rimasero in silenzio, gli occhi sgranati. Dopo un pò, Robin smise di ridere e tornò seria.- Scusate, è solo che...mi sembrava di stare in una puntata di Sex and the City.-

 

- Per carità, non nominarmi quella serie!- esclamò Nojiko inorridita.- Mi viene da vomitare solo a pensarci.-

 

- Anche a me. Era una vera merda.- asserì Nami.

 

- Cos'è Sex and the City?- chiese all'improvviso Bibi.

 

Le tre americane fissarono stupite l'egiziana, per poi scoppiare a ridere. Bibi le guardò confusa per un attimo, e poi si unì alla risata.

 

***

 

In un altro punto del centro commerciale

 

- Ehi, bella mora, dove te ne vai tutta sola?-

 

- Ma sparisci, cretino!-

 

Sanji mugugnò sconfitto, guardando la sua preda allontanarsi. Si mise le mani in tasca e si incamminò verso una nuova destinazione, sperando che nessuno che conosceva lo avesse visto. Perchè c'era un particolare da tener presente a proposito di Sanji: sebbene gli piacesse darsi delle arie da Casanova, nel corso della sua vita aveva collezionato una caterva di due di picche. La cosa era probabilmente dovuta al fatto che il biondo, in presenza di una bella donna, perdeva completamente il controllo, iniziando a comportarsi più come un soggetto da manicomio che una persona normale. Ciò nonostante, qualche volta era comunque riuscito a centrare il bersaglio, anche se si trattava di eventi abbastanza rari. Tutto questo però non l'avrebbe mai rivelato a nessuno. Aveva un'immagine da difendere, che diamine!

 

I suoi occhi presero a scrutare la folla in cerca di nuovi bersagli. Hmm, c'è l'imbarazzo della scelta, disse il biondo tra sè e sè. Quella rossa non è male, ma è con un energumeno. Meglio evitare. Uh, guarda che carine quelle due gemelle! Sono proprio...ehi, ma che...

 

A pochi metri di distanza da dove si trovava, davanti a un negozio di animali, aveva scorto Kaya assieme a un ragazzo dall'aria familiare. Frugò nella sua memoria, e si ricordò di averlo visto al bar dell'Amazon Lily qualche sera prima. Che diavolo ci fa qui? Un attimo. Lui e Kaya stanno parlando, e...lei sta ridendo. Aspetta, vuoi vedere...meglio andare a controllare!

 

- Kaya!- Marciò con passo deciso verso sua sorella, cercando nel contempo di mostrare l'espressione più truce che gli riusciva.

 

La ragazza lo vide e lo salutò.- Ciao, fratellone. Anche tu qui?-

 

Sanji si fermò davanti ai due e incrociò le braccia.- Chi è lui?-

 

- Che ti prende? Perchè fai quella faccia?-

 

- Rispondimi. Chi è lui?-

 

- E' Usop, un ragazzo che ho conosciuto qualche giorno fa. Mi aveva chiesto di uscire, e...-

 

- Ah, tu gli hai pure detto di sì?!-

 

- Scusa, ma che ti importa?-

 

- Mi importa eccome! Mi ricordo di lui, era all'Amazon Lily l'altra sera. Tu lì ci lavori, dovresti sapere che razza di gente frequenta quel posto!-

 

- Gente come te, vuoi dire?-

 

Usop cercò timidamente di intervenire.- Ehm...scusate...-

 

- Stai zitto, tu!- gli gridò Sanji.

 

- Sanji, ti stai comportando da idiota.-

 

- Sono tuo fratello. Mi preoccupo per te.-

 

- So badare a me stessa. E poi non ce n'è neanche bisogno. Anche se lo conosco da poco, sento che Usop è un bravo ragazzo.-

 

Sanji si zittì. Guardò di sbieco il brasiliano e corrugò la fronte.- Uhm...scusami un attimo.- Afferrò Usop per la gola e lo trascinò con sè.

 

- Ehi, dove lo stai portando?- esclamò allarmata sua sorella.

 

- Voglio solo parlare un pò con lui, te lo restituisco subito.- Si allontanò di qualche metro, ignorando le proteste di Usop, e si infilò in un corridoio deserto. Lasciò andare l'altro e gli si piantò davanti a braccia conserte.- Va bene, nasone. Che intenzioni hai?-

 

Usop si massaggiò la gola.- I-in che senso?-

 

- Verso Kaya. Hai intenzioni serie, o vuoi solo portartela a letto?-

 

Usop deglutì.- No, io...sono serio. V-vorrei conoscere meglio Kaya e...-

 

- E?-

 

Il brasiliano stava tremando.-...e...m-magari m-mettermi con lei.-

 

Il giovane Vinsmoke poggiò una mano sulla spalla di Usop e lo guardò dritto negli occhi.- Stammi bene a sentire, nasone. Fosse per me, ti avrei già scuoiato vivo. Ma Kaya dice che sei un bravo ragazzo, e io mi fido di lei. Ti avverto, però. Se le fai del male in qualche modo, io ti verrò a cercare, e mi assicurerò che le tue palle finiscano sul menù del Baratie. Ci siamo capiti?- Il tono del biondo non lasciava dubbi sul fatto che non avrebbe esitato a concretizzare quelle minacce.

 

Il povero Usop stava quasi per farsela sotto.- S-sì, signore.- annuì terrorizzato.

 

- Bene.- Sanji lo afferrò di nuovo per la gola, uscì dal corridoio e tornò dove era Kaya.

 

- Usop!-

 

Sanji lasciò andare Usop senza tante cerimonie, quasi buttandolo a terra.- Ho fatto quello che dovevo. Kaya, ci vediamo più tardi a casa. Nasone, non scordarti quello che ti ho detto.- Al che si allontanò, lasciando soli Kaya e Usop (Quest'ultimo si augurò di non incontrarlo mai più).

 

Passò la successiva mezz'ora a vagare per il centro commerciale. Dopo qualche altro tentativo di approccio andato a vuoto, un paio di minacce da parte di fidanzati comparsi all'improvviso, e una ragazza dai capelli viola che si rivelò essere un travestito, Sanji decise di entrare in un bar a bere qualcosa.

 

Che giornataccia, anche peggio del solito, riflettè il biondo avvicinandosi al bancone. Se fossi superstizioso, potrei pensare che mi abbiano fatto il malocchio.

 

Proprio mentre stava per ordinare, con la coda dell'occhio notò qualcosa di particolarmente interessante. Si girò, e gli tornò immediatamente il buonumore.- Ma guarda chi c'è!-

 

Era entrato nello stesso bar di Nami, Bibi, Robin e Nojiko. Le quattro ragazze si accorsero della sua presenza, ma solo le prime due lo riconobbero. Mentre si avvicinava, Nami mormorò "Oh no, di nuovo quel cretino del Baratie", ma fortunatamente il biondo non la sentì, essendo troppo occupato a sbavare e contemplare quei quattro esemplari di bellezza femminile.

 

- Salve, signorina Nefertari. Salve, Nami. Che bella coincidenza incontrarci qui!-

 

Le due ragazze non sembravano molto contente della sua presenza, soprattutto la rossa.- Ehm...salve, signor Vinsmoke.- disse l'egiziana, che nonostante le richieste di Sanji continuava a dargli del lei.

 

- Come mai qui?- gli chiese Nami, visibilmente seccata. Non odiava il biondo, ma lo trovava parecchio irritante.

 

- Nulla, ero qui che facevo quattro passi, quando vi ho viste e ho pensato di venirvi a salutare. A proposito, non credo di conoscere le altre due signore.-

 

- Io sono Robin.- si presentò la mora.

 

- Io invece mi chiamo Nojiko. Sono la cugina di Nami.- La ragazza si era alzata e stava porgendo la mano a Sanji. Nami si accorse che Nojiko stava guardando Sanji in modo strano. Era lo stesso sguardo che le aveva visto fare quando puntava un ragazzo che le piaceva. Iniziò a preoccuparsi per il biondo.

 

- La bellezza è una caratteristica di famiglia, a quanto vedo. Lieto di conoscerti, Nojiko. Io sono Sanji. Sanji Vinsmoke.- Le prese la mano e la baciò delicatamente.

 

- Sei il figlio di Zef del Baratie, quindi.-

 

Sentendosi definire in quel modo, Sanji si infastidì non poco, ma non lo diede a vedere.- In persona.-

 

- Sai, ho sempre voluto provare la cucina del Baratie, ma non ne ho mai avuto la possibilità...- disse Nojiko accarezzandosi i capelli.

 

Fu questo che diede a Nami la conferma definitiva delle intenzioni della ragazza: a Nojiko non era mai importato niente del Baratie.

 

Sanji, invece, vide in quella frase l'occasione perfetta per fare finalmente centro.- Beh, potresti venire a trovarmi qualche sera di queste. Ti preparerei degli assaggi gratuiti.-

 

- Possiamo fare anche adesso.-

 

- E loro?-

 

- Oh, penso che a loro non dispiacerà continuare il giro senza di me. Vero, ragazze?-

 

Bibi e Robin non risposero. Nami si limitò ad annuire.

 

- Va bene, ci si vede, allora. Ciao Ciao!- Nojiko prese sottobraccio Sanji, e insieme si allontanarono.

 

Dentro di sè, Sanji stava scoppiando dalla gioia. Finalmente, aveva avuto un pò di fortuna. E che ragazza che aveva trovato! Già se la immaginava nel suo letto. Sì, pensò. Sì! Finalmente!

 

Non avrebbe mai potuto immaginare quello che sarebbe successo in seguito.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Ed ecco altre tre belle coppie, ovvero la Smoker/Bellemere, la Sanji/Nojiko e la Usop/Kaya. La prima è inedita, la seconda no (Era già comparsa nella mia vecchia storia "Legame fraterno", un AU in cui Nami e Nojiko sono state cresciute da Garp), e so di almeno una storia su fanfiction.net in cui compare. La terza non so (In realtà sarebbero quattro, visto che c’è anche la Bentham/Iva, anche questa inedita, ma non è una delle coppie su cui è incentrata la storia). Comunque, che ve ne pare di queste coppie? Vi piacciono? Vi disgustano? Fatemelo sapere con una bella recensione.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 10: La vita è bella ***


Capitolo 10: La vita è bella

 

12 Dicembre 2015

Loguetown, California, USA

Davanti a una caserma dei pompieri

 

L'uomo con l'uniforme da pompiere e i capelli biondi roteò gli occhi e sbuffò esasperato.- Per l'ennesima volta, Rufy, no.-

 

Il ragazzo assunse un'espressione da cucciolo bastonato.- Ma Marco...-

 

- Niente ma! Il lavoro di un pompiere è spegnere gli incendi, non appiccarli.- Marco si riferiva a quando Rufy, che all'epoca aveva poco più di 10 anni, aveva accidentalmente dato fuoco a un fast food in cui era andato con degli amici (Tra l'altro, nessuno, nemmeno lui, aveva mai capito come avesse fatto). Il proprietario, un vecchietto scorbutico di nome Wanze, non aveva gradito molto la cosa, e il povero Garp aveva dovuto faticare non poco per calmarlo.

 

- Ma è successo tanto tempo fa, ed è stato solo un incidente. In fondo non si è fatto male nessuno...-

 

- Non credo che il vecchio Wanze la pensi allo stesso modo.- Si passò una mano tra i capelli.- E comunque, la mia risposta è sempre la stessa. No.-

 

Rufy si gettò ai piedi di Marco e chinò la testa fino a toccare il cemento con la fronte.- Ti preeegooo...-

 

- No! E piantala, ti stai rendendo ridicolo.-

 

Il pompiere stava lentamente ma inesorabilmente perdendo la pazienza. Da più di un mese, tre volte a settimana, Rufy veniva davanti alla caserma e si metteva ad implorare chiunque fosse disposto ad ascoltarlo (Pochissimi, a dire la verità) affinchè lo facessero diventare uno di loro. Se poteva, cercava sempre di avvicinare Marco, visto che quest'ultimo lo conosceva fin da quando era piccolo ed era anche un grande amico di suo cugino Ace. Ma il biondo aveva sempre respinto le sue richieste. A volte si sentiva un pò in colpa, ma sapeva che lo stava facendo per un buon motivo: ammettere Rufy tra i vigili del fuoco sarebbe stata una catastrofe per l'intera città.

 

Il giovane Monkey tornò in piedi e guardò Marco negli occhi.- Eddai, Marco. Ho tutti i requisiti. Ho un diploma, ho l'età giusta, sono in salute, sono mentalmente equilibrato...-

 

Quest'ultima affermazione strappò un risolino a Marco, ma per fortuna Rufy non se ne accorse.

 

-...devo solo superare le prove scritte e poi iniziare l'addestramento. Per favore, Marco.-

 

Il biondo sospirò.- Rufy, sto cominciando a stancarmi.-

 

- E allora dimmi di sì. Dai, Marco, io voglio davvero fare il pompiere!-

 

Marco incrociò le braccia.- Rufy, mi sembra di avertelo già detto. Per fare il nostro lavoro occorrono anni di addestramento. Non può essere...uno sfizio.

 

- Non è un lavoro affascinante e non si diventa ricchi. 48 ore di riposo ogni 24 di servizio. E quando sei in servizio, sei in servizio. Mangi, dormi e tutto il resto in caserma.

 

- E' quasi sempre roba pallosa. Pulire le attrezzature, effettuare ispezioni, fare corsi di prevenzione antincendio al pubblico...ripeto, roba noiosa. E quando non è noiosa, si rischia la vita.-

 

- Lo so benissimo!- L'espressione di Rufy divenne insolitamente seria.- Marco, probabilmente non mi crederai, ma so bene che la vita del pompiere non è uno spasso, che sicuramente rischierò la vita più volte e tutto il resto. Ma voglio farlo lo stesso! Io...so di non avere una bella reputazione, e capisco perchè finora mi hai detto di no, ma sono maturato molto negli ultimi tempi. Ti chiedo solo di darmi una possibilità. Una sola possibilità, e se fallisco potrai buttarmi fuori a calci. Ti prego, se non vuoi farlo per me, almeno fallo per Ace.-

 

Il biondo si accarezzò il mento, riflettendo. Lui ed Ace avevano parlato spesso della richiesta di Rufy, ma l'altro non aveva mai cercato di far leva sulla loro amicizia per perorare la causa del cugino. Anzi, gli aveva sempre detto di fare come meglio credeva. Un favore avrebbe anche potuto farglielo. Però...beh, pensandoci bene non era necessario mettere subito Rufy a spegnere gli incendi. Anche perchè avrebbe prima dovuto superare l'addestramento. E poi il ragazzo sembrava fare sul serio. Alla fine decise di dargli una possibilità.- E va bene. Ti darò una possibilità. Dovrai prima passare le prove scritte, però, poi ti prenderò come pompiere in prova. E se sbagli, se fai anche un solo errore, ti butterò personalmente fuori di qui a calci.-

 

Sul volto di Rufy si dipinse un sorriso che andava da orecchio a orecchio.- Mitico!- Saltò addosso a Marco e lo strinse in un abbraccio che quasi lo lasciò senza fiato.- Grazie, Marco. Grazie! Grazie! Grazie!-

 

Marco sospirò e chiuse gli occhi. Che Dio mi aiuti, pensò mentre si liberava dalla stretta dell'altro.

 

***

 

L'appartamento di Eustass "Kidd" O'Malley

 

Eustass O'Malley sbadigliò sonoramente e si alzò a sedere sul letto. Si grattò i pettorali scolpiti e guardò l'orologio sulla parete. Le 10:37. Avrebbe fatto meglio ad alzarsi. Era un pò presto rispetto ai suoi orari abituali, ma voleva passare un pò di tempo assieme a Shanks e Benn, visto che, di lì a poche ore, quest'ultimo avrebbe preso l'aereo per tornare a Sacramento.

 

Prima di alzarsi, diede un'occhiata alla donna che dormiva sdraiata sul fianco accanto a lui. Allungò una mano e scostò il lenzuolo che la copriva, ammirando così il magnifico lato B del suo magnifico corpo. I lunghi capelli neri le arrivavano proprio all'altezza del sedere, e sulla schiena aveva tatuato un serpente con la bocca spalancata e una goccia che fuoriusciva da una delle zanne. Kidd sorrise. Uno spettacolo del genere era davvero un ottimo modo per iniziare la giornata. Le diede uno schiaffone su una natica.- Sveglia, raggio di sole.-

 

La mora, che altri non era che Hancock, la spogliarellista di punta dell'Amazon Lily, alzò leggermente la testa dal cuscino e sbadigliò.- Che c'è?- borbottò, la voce impastata per il sonno e l'alcol.

 

- Niente, volevo solo darti il buongiorno.-

 

Ci fu un grugnito.- Kidd...vaffanculo.- Hancock afferrò il lenzuolo e se tirò fin sopra le spalle. Rimise la testa sul cuscino e tornò a dormire. Kidd ridacchiò e scese dal letto, raccogliendo da terra la mutanda che vi aveva gettato la sera prima e infilandosela. Iniziò a fischiettare e si diresse verso la cucina.

 

Prima farò una colazione come si deve e poi andrò da Shanks, disse tra sè e sè il rosso. Entrò in cucina, aprì il frigorifero e guardò dentro. Era quasi vuoto, si era di nuovo dimenticato di fare la spesa. Pazienza, ci avrebbe pensato più tardi. Fortunatamente era rimasta una bottiglia di latte. La prese, la aprì e ne annusò il contenuto. Bene, era ancora buono. Chiuse il frigorifero e si mise alla ricerca di una tazza pulita, un cucchiaio e una scatola di cereali. Dopo aver frugato in mezzo a un mucchio di cianfrusaglie che avrebbero fatto la gioia di un rigattiere (Doveva seriamente fare un pò di ordine in quella casa, che diamine), finalmente trovò ciò che cercava e si sedette al tavolo della cucina.

 

E' un vero peccato che Benn se ne debba andare, pensò Kidd ingurgitando una manciata di cereali. Poteva sembrare strano, ma il rosso provava un sincero affetto per il militare che, tanti anni prima, aveva salvato lui e suo fratello dalla fame (Anche se era tutto partito da un'iniziativa di sua moglie Juls, che Dio l'avesse in gloria). Negli anni, Benn era diventato per lui una specie di figura paterna, una delle pochissime persone che Eustass rispettava.

 

Pensare a Benn lo riportò con la mente al periodo successivo alla morte dei suoi genitori, a tutte le peripezie che lui e Shanks avevano dovuto affrontare. La sua espressione si incupì. Quello era stato il periodo più brutto della sua vita, a cui cercava di pensare il meno possibile e che a volte riviveva di notte nei suoi incubi peggiori, quando si ritrovava per le strade di Enies Lobby credendo che la realtà che aveva vissuto di giorno fosse stata soltanto un sogno. Quegli incubi di cui non aveva mai parlato a nessuno, nemmeno a Shanks, e da cui si svegliava sudato e urlando e...

 

Smettila di pensare a quelle cose, Eustass!, si disse il rosso stringendo un pugno e inspirando profondamente. E' tutto finito. Ora sei in America, la terra delle opportunità. Hai un lavoro, un tetto sopra la testa e tanti soldi. E hai pure una gnocca come Hancock che ti scalda il letto. Perchè cazzo perdi tempo a rivangare il passato? Pensa solo al tuo presente. La tua vita è bella, adesso.

 

Finalmente si calmò. Il suo respiro tornò normale e si concesse un sorriso.- Sì...è bella. La vita è bella.-

 

Ruttò e finì di fare colazione.

 

***

 

Per le strade della città

 

-...e alla fine il pirata con gli occhiali dice "Ma allora, di chi era quel gatto?"-

 

Kaya Vinsmoke rise per la battuta di Usop. Accanto a lei, il suo barboncino Merry abbaiò un paio di volte e scodinzolò, come se in qualche modo avesse capito cosa stavano dicendo i due umani.- Usop, dovresti fare il comico, altro che lo scrittore.-

 

Il brasiliano si grattò la nuca.- Naah, fare il comico è troppo stressante. E poi mi imbarazzerebbe esibirmi davanti a tutte quelle persone. Può non sembrare, ma sono molto timido.-

 

- Davvero? Non l'avrei mai detto.-

 

- E' perchè sono bravo a nasconderlo. E poi, se c'è un buon motivo, riesco a sbloccarmi...- disse ammiccando verso Kaya.

 

- Finiscila, così mi metti in imbarazzo.-

 

Usop usciva con Kaya da appena una settimana, ma era già cotto di lei, ed era quasi sicuro che la bionda lo ricambiasse. Avevano molte cose in comune, tra cui l'amore per gli animali e la lettura. Inoltre, Merry, il barboncino, aveva mostrato più volte il suo apprezzamento per il ragazzo, cosa che gli aveva fatto guadagnare parecchi punti agli occhi di lei (In passato, Merry si era sempre dimostrato ostile ai fidanzati della ragazza, e questi si erano poi rivelati dei gran bastardi. Era come se il cane riuscisse a fiutare la personalità dei ragazzi). Non si erano ancora baciati, ma Usop non aveva alcuna fretta.

 

- Ecco, siamo arrivati.- disse Kaya indicando il grande cancello d'ingresso del Baratie. Era chiuso, ma lei aveva con sè un telecomando per l'apertura. Oltre le inferriate, il sentiero che portava al Baratie vero e proprio era illuminato da una serie di lampioncini che si accendevano automaticamente al calare della sera.

 

- Vuoi che ti accompagni all'interno?- le chiese il brasiliano.

 

- Meglio di no, Sanji o papà potrebbero vederti.- Usop rabbrividì. Ricordava ancora perfettamente la volta che aveva incontrato Sanji al centro commerciale, ed era più che sicuro che il biondo si ricordasse di lui. Quanto a Zef, non lo aveva mai incontrato di persona, ma se era anche solo lontanamente simile al figlio, era meglio ritardare il più possibile l'incontro.

 

- H-hai ragione.- Fece una piccola pausa per raccogliere i suoi pensieri mentre l'americana premeva un pulsante sul telecomando e il cancello si apriva. Si schiarì la voce.- Beh, Kaya...ecco, volevo ringraziarti per oggi. Sono stato davvero bene.-

 

- Dovrei essere io a ringraziarti, Usop.- La bionda gli sorrise.- E non solo per oggi, ma anche per le altre volte che siamo usciti. Mi hai fatta stare benissimo.- Gli accarezzò una guancia.- Sai, sei diverso dagli altri ragazzi che ho conosciuto...-

 

Il giovane Abacar si ritrasse e sorrise imbarazzato.- Dai, così mi fai arrossire...-

 

Kaya ridacchiò. Per un attimo, i due si guardarono negli occhi in silenzio, poi la ragazza gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra. A dire la verità, più che di un bacio si trattò di un leggero sfioramento, ma fu abbastanza per mandare in estasi il brasiliano. Alla fine Kaya si staccò da lui e gli sorrise di nuovo.- Ci vediamo domani, allora?-

 

In un primo momento Usop non rispose, immobilizzato per lo stupore provocato dal gesto della ragazza. Poi il suo corpo e la mente ritornarono alla realtà.- V-va b-b-bene. A-a d-domani.- balbettò.

 

Kaya gli rivolse un ultimo sorriso e poi attraversò l'ingresso del ristorante, seguita dal barboncino Merry. Usop rimase imbambolato a guardarli mentre si allontanavano e il cancello si richiudeva. Dopo quella che parve un'eternità, tornò definitivamente in sè e si incamminò verso casa (O meglio, la casa del suo amico Rufy e di suo cugino Ace, che erano stati così gentili da ospitarlo).

 

Le cose stanno andando meglio di quanto mi aspettassi, riflettè il ragazzo fischiettando allegramente. Ho trovato una città in cui stabilirmi, e anche una ragazza a cui piaccio. Ha! Alla fine essere pessimisti paga. Le cose buone ti capitano sempre quando ti aspetti il peggio.

 

Sebbene inizialmente fosse giunto in America solo per turismo, grazie a un biglietto vinto con un autentico colpo di fortuna, alla fine Usop aveva deciso di stabilirvisi definitivamente. Quel paese era...semplicemente incredibile. Le sue città erano dei veri e propri alveari, e la qualità della vita era più che soddisfacente. Niente a che vedere con le squallide favelas in cui aveva passato la maggior parte della sua adolescenza. Lì in America avrebbe avuto maggiori opportunità di vivere decentemente e realizzare il suo sogno di diventare uno scrittore, e se le cose con Kaya fossero andate bene, tanto meglio.

 

Era talmente immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorse della moto che stava arrivando a tutta velocità da destra, proprio mentre lui stava per scendere dal marciapiede. Fortunatamente una delle due persone a bordo gridò qualcosa e lui si fermò appena in tempo. Vide la moto sfrecciargli davanti e tirò un sospiro di sollievo.

 

C'è mancato poco, pensò ansimando e portandosi una mano all'altezza del cuore. Mamma, che spavento. A quel punto gli venne in mente un particolare a cui inizialmente non aveva fatto caso. Aspetta un attimo, ma quella sulla moto non era la madre di Nami? E chi era il tizio coi capelli bianchi e il sigaro che guidava?

 

***

 

Un motel in periferia

 

Sanji era sdraiato sul materasso, nudo come un verme, le mani tenute ferme con delle manette attaccate alla struttura del letto e una gag-ball in bocca. Ed era al settimo cielo.

 

L'ultima settimana era stata un autentico paradiso per lui. Aveva conosciuto una dea, e il suo nome era Nojiko O'Malley. Era tutto ciò che aveva sempre cercato in una donna: bellissima, intelligente, e sessualmente vorace, anche più di lui. Tutte le volte che si erano incontrati, lo aveva praticamente spolpato vivo. Quasi non riusciva a credere alla sua fortuna. Forse era un pò presto, ma se ne era perdutamente innamorato. Non sapeva se lei lo ricambiava, ma non gli importava più di tanto. L'unica cosa che desiderava era passare del tempo con lei e renderla felice.

 

Quella sera, si erano recati in quel motel dopo aver passato qualche ora al Marineford a ballare. Arrivati nella stanza, Nojiko aveva tirato fuori una serie di giochetti che aveva comprato a Parigi, alcuni dei quali aveva sperimentato subito sul biondo. Inutile dire che Sanji ne era rimasto estasiato. Ora la ragazza era andata in bagno a cambiarsi, promettendo a Sanji una bella sorpresa. Il giovane Vinsmoke non stava più nella pelle.

 

La porta del bagno si aprì e ne venne fuori Nojiko, avvolta da un accappatoio. La ragazza si avvicinò al letto e rivolse al biondo un sorriso malizioso.- Allora, Sanji, sei pronto per la sorpresa?-

 

Il biondo annuì, l'occhio visibile che gli brillava per la gioia e un goccio di bava che gli colava dalla bocca nonostante la palla di gomma.

 

- Bene, allora...voilà!- Nojiko si tolse l'accappatoio e se lo lasciò cadere ai piedi, rivelando così la sorpresa.

 

Era un elegante completino da mistress in pelle nera, con tanto di stivali con tacchi alti e guanti. Il cuore di Sanji iniziò a battere all'impazzata e il suo pene scattò sull'attenti, ammirando il modo in cui l'abito esaltava il corpo della ragazza, specialmente i seni. Ma qualcosa all'improvviso catturò la sua attenzione. Qualcosa di inquietante, un pò più in basso rispetto a dove stava guardando prima. Una sensazione di terrore lo attraversò, mentre lentamente si rendeva conto di quale fosse la "sorpresa" di cui aveva parlato Nojiko. Mugugnò e cercò inutilmente di liberarsi.

 

Nojiko ridacchiò in maniera sinistra.- Non preoccuparti, ti piacerà.- Accarezzò il grosso strap-on nero che puntava minacciosamente verso Sanji e salì sul letto.

 

E così ebbe inizio la notte più lunga di Sanji.

 

***

 

Hotel-ristorante Baratie

Suite Alubarna

 

Mentre Nojiko si dava da fare con Sanji, Nami e Bibi erano a loro volta impegnate in attività simili. Come accaduto spesso le volte precedenti, anche quella sera la rossa era rimasta a dormire dalla sua amica. Fortunatamente, Igaram dormiva in un'altra stanza, altrimenti avrebbe scoperto tutto.

 

Ora, le due ragazze giacevano sul letto stremate, l'egiziana col capo poggiato sul braccio sinistro dell'altra. Erano nude, i vestiti sparpagliati qua e là per la stanza.

 

Accarezzandole i capelli azzurri, Nami notò qualcosa di strano nell'espressione della sua amica.- Tutto bene, Bibi?-

 

- Eh? Sì, tutto...tutto bene.-

 

- Sicura? Se c'è qualcosa che non va, puoi dirmelo tranquillamente. E' qualcosa che ho fatto?-

 

- No, tu non c'entri. E' che...- L'egiziana esitò e per un secondo distolse lo sguardo.- Stamattina ho parlato con Kosa. Su Skype, intendo.-

 

- Oh.- La rossa si morse il labbro.- Ti ha chiamato lui?-

 

L'egiziana annuì.

 

- E come mai?-

 

- Ha detto che voleva risentirmi, che gli mancavo. Abbiamo parlato per un bel pò di cosa ci è successo ultimamente, e...insomma, ho deciso di ridare una chance al nostro rapporto, quando tornerò in Egitto.-

 

Nami rimase di sasso. Questa proprio non se l'aspettava.- Sei sicura? Non avevi detto di essere arrabbiata con lui?-

 

Bibi sospirò.- Sì, ma...ormai mi è passata. Anche lui sembrava cambiato, ha detto che si era pentito del suo comportamento. E poi, io...Nami, io credo di amarlo ancora.-

 

La rossa riflettè su cosa dire.- Beh, se le cose stanno così, allora credo proprio che dovresti farlo. E se ti servirà un consiglio, chiedi pure a me.-

 

L'egiziana si girò su un fianco e si avvicinò ancora di più al morbido corpo dell'americana.- Grazie, Nami. Sei una vera amica.-

 

Nami baciò la fronte di Bibi.- Figurati. Per te farei questo e altro.- Rimasero entrambe così per un pò, semplicemente godendosi il calore dei rispettivi corpi. Poi, la giovane Watanabe riprese ad accarezzare i capelli dell'amica.- Cambiando argomento...- sussurrò in maniera sensuale, girandosi anche lei su un fianco.-...che ne diresti di riprendere quello che stavamo facendo prima?- Mosse la mano destra e afferrò uno dei piccoli seni dell'altra, pizzicandone il capezzolo.

 

Bibi chiuse gli occhi e mugolò di piacere.- Certo.-

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Nami e Bibi che si danno da fare, Nojiko sadomaso, Kidd che si tromba Hancock…c’è limite alla mia follia? Direi proprio di no. A proposito, se volete sapere cosa voleva fare di preciso Nojiko a Sanji, cercate su Wikipedia il significato del termine “pegging”.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 11: Il re è morto, lunga vita al re ***


NOTA: Questo capitolo è ambientato tra la seconda e la terza scena del capitolo precedente.

 

 

Capitolo 11: Il re è morto, lunga vita al re

 

12 Dicembre 2015

Loguetown, California, USA

Aeroporto Brandnew

 

Dopo essere arrivati all'aeroporto, Benn e i fratelli O'Malley decisero di fermarsi in un bar a bere qualcosa, in attesa che partisse il volo per Sacramento. Tuttavia, a causa di una scommessa tra Kidd e Benn, quel qualcosa si trasformò subito in una lunga serie di alcolici di vario tipo. In appena tre quarti d'ora, i due si ritrovarono, se non ubriachi, discretamente alticci, con il povero Shanks che li guardava e scuoteva la testa sconsolato. Il personale del bar, evidentemente abituato a scene del genere, non fece una piega.

 

- Ma guardatevi un pò. Due uomini adulti ridotti come delle spugne. Dovreste vergognarvi.- Il tono voleva essere di rimprovero, ma il sorriso del rosso rovinava tutto.- Cosa penseranno di voi gli altri clienti?-

 

- Fanculo quello che pensano quei caproni. E poi sei tu quello dovrebbe vergognarsi, fratellone.- borbottò Eustass dondolando la testa.- Non hai toccato neanche un bicchiere.-

 

- Già, neanche un goccio.- gli fece eco Benn.

 

- A quest'ora preferisco non bere. E poi tu, Benn, non dovresti bere così tanto alla tua età.-

 

- Mi stai dando del vecchio? Perchè se è così, ti sbagli di grosso. Avrò anche una certa età, ma sono ancora capace di reggere un goccetto e di spaccare il culo a voi sbarbatelli.- Posò il bicchiere che aveva appena svuotato e si pulì la bocca col dorso della mano.- Visto? Ventitré bicchieri e sono ancora in piedi.-

 

- Sarà, a me sembri sull'orlo del collasso. Mi sa tanto che ha ragione Proinsias.- sghignazzò Kidd.

 

- Eustass, ti avevo detto di non pronunciare più quel nome in pubblico.- esclamò stizzito Shanks.

 

- Perchè, ti vergogni? Non avevi detto che è un "rispettabile nome gaelico"?-

 

- Eustass ha ragione. Sei sempre stato fiero delle tue origini irlandesi.-

 

- Sì, ma...oh, andate al diavolo tutti e due!- Il maggiore degli O'Malley si passò una mano tra i capelli e con l'altra mostrò il medio al fratello.

 

Benn rise di gusto, una cosa che non era capitata molto spesso negli ultimi anni, ma che, nel periodo trascorso a Loguetown, aveva riscoperto di essere ancora in grado di fare. Edward aveva avuto ragione. Un pò di riposo gli aveva fatto proprio bene.

 

- La sapete una cosa, ragazzi?-

 

I due fratelli smisero di bisticciare e lo guardarono.- Che cosa, Benn?- gli chiese Shanks.

 

- Sono contento di aver trascorso un pò di tempo con voi. Perciò...ecco, volevo ringraziarvi. Sono stato davvero bene.-

 

- Non dirlo neanche per scherzo, Benn. Ringraziarci per cosa? Era il minimo che potevamo fare. Semmai, siamo io e Shanks che dovremmo ringraziarti. Con tutto quello che avete fatto per noi tu e Juls...- disse Kidd in uno dei suoi rari momenti di serietà.

 

- Già. Quello è un debito che non potremo mai ripagare.- annuì Shanks.

 

Benn rimase un attimo a fissare i due fratelli. Ogni volta che li guardava, non poteva fare a meno di pensare alla sua defunta moglie. Tuttavia, come si accorse in quel momento, il ricordo non faceva più male come una volta. Forse stava finalmente cominciando ad andare avanti.- Se Juls vedesse come siete adesso, sarebbe fiera di voi.-

 

- Forse. Anche se è più probabile che ci prenderebbe per le orecchie e inizierebbe a farci una testa così perchè litighiamo sempre.- esclamò Kidd.

 

- E poi arriveresti tu a finire il lavoro.- continuò Shanks.

 

- Magari dandoci un bel cazzotto sul cranio, oppure limitandoti a fare quello sguardo truce che sai fare solo tu.- Tutti e tre risero.- Ah, quante te ne abbiamo fatte passare, Benn.- sospirò Kidd.

 

- Vero.- Il militare ridacchiò.- Eravate tutto, tranne che degli angioletti. Vi confesso che certe volte avrei voluto strangolarvi.-

 

- E sai quale è la cosa peggiore? Che non siamo cambiati per niente!- Kidd rovesciò la testa all'indietro e rise, smettendo quando si accorse che rischiava di cadere dallo sgabello. Barcollò un attimo e poi ritrovò l'equilibrio.- Per un pelo.-

 

- Ci mancava solo che ti rompessi la testa. Poi avremmo dovuto accompagnarti in ospedale.- lo rimproverò bonariamente Shanks.

 

- Avreste sempre potuto chiamare un'ambulanza. Oppure mi sarei potuto far dare un passaggio da questa adorabile barista...- Fece un cenno in direzione di una graziosa ragazza dai corti capelli neri, che in quel momento stava pulendo dei bicchieri. La ragazza non diede segno di averlo sentito.

 

- A proposito di donne, Eustass, tu sei ancora single?- gli chiese Benn.

 

- Sì e no. Mi vedo con una, ma non è niente di serio.- rispose il rosso.

 

- E hai intenzione di sistemarti, prima o...- All'improvviso, qualcosa nella tasca del cappotto di Benn iniziò a vibrare.- E adesso chi diavolo è?- Tirò fuori il suo telefono e guardò lo schermo.- Hawkins?- Premette il tasto di accettazione e se lo portò all'orecchio.

 

- Basil, cosa c'è?...Sì, sono all'aeroporto, perchè...- Un attimo di silenzio, poi Benn si irrigidì e strabuzzò gli occhi.- Cosa? E avete già...sì, ho capito. Va bene, fatemi trovare una macchina per quando arriverò.- Interruppe la comunicazione e rimise il telefono in tasca.

 

- Che è successo, Benn?- chiese Shanks preoccupato. Doveva trattarsi di qualcosa di serio, perchè l'altro uomo era sbiancato di colpo.

 

Benn guardò prima Shanks, poi Kidd.- Edward è morto.-

 

***

 

Negli studi di Logue Channel

 

L'atmosfera negli studi di Logue Channel non era delle migliori, a causa della notizia appena arrivata in redazione. Tuttavia, nessuno si perse d'animo, e, messo a punto l'apparato per la diretta, tutti si prepararono a svolgere il loro lavoro.

 

Seduta alla sua solita postazione, Paula Rockbell attendeva che le dessero il via.

 

Un tecnico fece capolino da dietro l'angolo.- In diretta tra dieci secondi, Paula. Sei pronta?-

 

- Certo.- annuì seria la giornalista. Il tecnico si allontanò e diede un segnale ai suoi colleghi, che puntarono le telecamere in direzione di Paula. Subito dopo partì la sigla dell'edizione straordinaria del TG. La Rockbell si schiarì la gola.

 

- Cittadini di Loguetown e dintorni, apriamo questa edizione straordinaria del nostro TG con una notizia che avremmo preferito non dover mai dare. Il Governatore del nostro Stato, Edward Newgate, noto anche come Barbabianca, è morto.

 

- Ancora non si conoscono le cause precise della morte, ma pare che sia avvenuta per cause naturali. Il Governatore è stato trovato morto appena un'ora fa dalla sua segretaria nel suo ufficio, accasciato sulla scrivania. E' stato subito portato in ospedale, dove i medici ne hanno constatato il decesso. Gli accertamenti sono ancora in corso.

 

- Come previsto dalla legge, il Vice-Governatore Gomez Pink ha assunto temporaneamente l'incarico di Governatore fino alle prossime elezioni, che si terranno molto probabilmente a Gennaio, alla scadenza del mandato di Newgate.- Una piccola pausa, poi proseguì.

 

- La morte di Edward Newgate lascia un vuoto incolmabile nei cuori di tutti i californiani, senza distinzioni di schieramento politico. Ripercorriamo brevemente le tappe fondamentali della sua vita.

 

- Nato qui a Loguetown nel 1937, a 17 anni si è arruolato nell'Esercito, servendo con onore prima in Corea e poi in Vietnam. Nel 1979 decide di dimettersi e di entrare in politica, passando in pochi anni da sindaco di Loguetown a senatore. Il suo carisma gli fa guadagnare ammiratori ovunque, anche tra i Repubblicani. Proprio per questo, alla fine del 2011, viene eletto Governatore della California con una maggioranza schiacciante.

 

- Gli anni del suo governo sono stati un autentico balsamo per la California, che è riuscita a risollevarsi completamente dalla crisi economica che stava attanagliando il resto degli Stati Uniti. Non sono pochi coloro che considerano Edward Newgate il miglior Governatore della storia del nostro Stato.- La giornalista si asciugò una lacrima e poi proseguì.

 

- Oltre che come politico, Edward Newgate sarà ricordato anche come filantropo, in particolare per la sua incessante attività a favore degli orfani...-

 

***

 

La casa del Capitano Clint Callahan

 

- Oltre che come politico, Edward Newgate sarà ricordato anche come filantropo, in particolare per la sua incessante attività a favore degli orfani...-

 

Clint Callahan spense il televisore e buttò via il telecomando.- E' morto, alla fine.-

 

Seduta accanto a lui sul divano della cucina, le mani dietro la nuca, Bellemere sbadigliò.- Sembri sorpreso.-

 

- Il vecchio era in politica praticamente dall'alba dei tempi. Avevo quasi cominciato a pensare che fosse immortale.- Si alzò in piedi e si stiracchiò.- Un vero peccato.-

 

- Che vuoi dire?-

 

- Per essere un Democratico, era un buon diavolo. E anche un ottimo Governatore, questo bisogna riconoscerglielo. Ha fatto un gran bene a questo Stato. Diavolo, avevo anche votato per lui la seconda volta che si è candidato.- Smoker era Repubblicano, e pertanto politicamente agli antipodi rispetto al defunto Newgate. Ciò nonostante, provava per lui un profondo rispetto.- Chissà chi eleggeranno, al posto suo.-

 

- Forse il vice, quel Pink. Tempo fa ho letto che Newgate avrebbe sostenuto la sua candidatura allo scadere del suo secondo mandato.-

 

Smoker emise una risata beffarda.- Gomez Pink è una mezzasega, e gli elettori di Newgate lo sanno bene. Se il vecchio fosse vissuto fino a dopo la fine del suo mandato, lo avrebbero votato solo per rispetto nei suoi confronti. Ma adesso...se ne sbatteranno allegramente.-

 

- Se è così pessimo, perchè Newgate l'aveva preso come vice?-

 

- Chi lo sa. Fatto sta che, politicamente parlando, è persino più idiota di Bush. Spero solo che non combini nessun guaio fino alle nuove elezioni.- Si avviò verso il frigorifero e lo aprì, tuffando la testa all'interno in cerca di una birra.

 

La donna guardò il poliziotto e giocherellò con una ciocca di capelli.- Senti, cambiamo argomento. Tra un pò devo tornare a casa. Prima però avrei voglia...di uno spuntino.- disse con una voce sensuale e uno sguardo languido rivolto verso il posteriore dell'uomo.

 

Callahan chiuse il frigorifero e si girò verso Bellemere. Sogghignò. Aveva capito perfettamente cosa intendeva.- Divano o letto?- Cominciò a sbottonarsi la camicia.

 

- Perchè, il tavolo della cucina non va bene?-

 

***

 

Una villa in centro

 

In una stanza quasi del tutto al buio, illuminata soltanto dalla fioca luce di una lampada da tavolo, un uomo sedeva dietro una grossa scrivania di legno. Mentre teneva il braccio sinistro sulla scrivania, con la mano destra teneva poggiata all'orecchio la cornetta di un telefono nero che usava solo per chiamate particolari.

 

-...no, Joker, te lo ripeto per l'ennesima volta. Non c'entro niente con la morte del vecchio. E' stata solo una fortunata coincidenza.- Sbuffò e maledì mentalmente il suo interlocutore.- Una coincidenza molto fortunata, sì. Sarà tutto molto più semplice, adesso.- L'uomo dall'altra parte del telefono disse qualcosa.- No, stai tranquillo. Non ci sarà nessun cambiamento al piano. Andremo avanti come previsto, anche se comunque le cose saranno molto più facili. Pink è un idiota, non vale neanche la metà di Newgate. L'unico di cui in teoria dovremmo preoccuparci è Beckman, ma...beh, lui è un soldato, la politica non gli interessa. E poi sarà facilissimo distrarlo. I ragazzi della Baroque Works hanno sempre lavorato magnificamente.- Ci fu una pausa.- Va bene, allora ci risentiamo tra qualche giorno per i dettagli. Hasta luego, Joker.- Attese il saluto dell'altro e mise a posto la cornetta.- Figlio di puttana di uno spagnolo.- Si accarezzò il moncherino che aveva al posto della mano sinistra e si concesse un sorriso di soddisfazione.- Oggi è la tua giornata fortunata, Jonas. Devi festeggiare.- Aprì un cassetto della scrivania e ne tirò fuori un sigaro cubano e un accendino. A differenza del suo ufficio, lì in casa sua poteva fumare tranquillo. Non doveva neanche preoccuparsi di quel rompiscatole di Bartolomeo, che sapeva di dover rispettare i suoi spazi e che al momento era fuori con degli amici.

 

Jonas Petricelli si sistemò il sigaro in bocca e lo accese, aspirando poi una profonda boccata ed esalando una scia di fumo. Chiuse gli occhi e si godette quel sapore paradisiaco.- Finalmente le cose iniziano ad andare per il verso giusto.-

 

OMAKE

 

In piedi nella sua cameretta, John Spangler si trovava di fronte a un angosciante problema esistenziale.

 

- Allora, quale pornazzo mi vedo stasera?- rimuginò tra sè e sè, osservando le file chilometriche di DVD pornografici di dubbio gusto che occupavano un'intera parete.- Dunque..."A trans con Sanji" l'ho già visto..."I filmati segreti dei Mugiwara" e "Robin, dacci una mano" anche...hmm, "Le calde notti di Tashigi nella base G-5"...ma sì, vada per questo qua.- Fece per prendere il DVD, quando all'improvviso qualcuno bussò violentemente alla porta.

 

- E adesso chi è?- Il giovane autore di fanfiction andò ad aprire, e si trovò davanti un Edward Newgate incazzato nero. Ma non la sua controparte di Modern Day Life. Si trattava dell'originale, con tanto di bisento, bandana nera e mantello bianco.

 

Spangler deglutì e cercò di non farsela sotto.- Ehm...ciao, Edward. Qual buon vento?-

 

Newgate aggrottò la fronte.- Lo sai benissimo, scribacchino da due soldi.- Iniziò ad avanzare minacciosamente verso il ragazzo, costringendolo ad indietreggiare.- Se lo fa Oda-sama è un conto, lui è il capo. Ma tu...tu sei solo un moccioso che scrive fanfiction. Fossero almeno belle...-

 

- Edward, mi è dispiaciuto un sacco doverti uccidere, ma era necessario per la trama. Non...-

 

- E non potevi uccidere uno degli altri?- La rabbia dell'enorme pirata era più che evidente.

 

- M-ma Edward, non l'ho mica fatto apposta. Tu mi piaci...-

 

- Non credere che servirà a salvarti, bastardo!- Newgate sollevò la sua arma e si preparò a colpire.

 

Spangler si coprì il volto con le mani.- No, Edward, ti prego...NOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!-

 

- NOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!- John Sangler si rizzò a sedere sul suo letto, madido di sudore e ansimante. Si guardò attorno, e, rendendosi conto che si era trattato solo di un sogno, tirò un sospiro di sollievo.- Ok, da domani cambio spacciatore.-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Capitolo corto, lo so, ma che posso farci? Mi è venuto così. Spero comunque che abbiate gradito. Ah, e se per caso ve lo state chiedendo, il Gomez Pink menzionato in questo capitolo è il Senor Pink che abbiamo visto a Dressrosa, naturalmente qui in versione magra e senza pannolino. Perchè gli ho dato il nome Gomez? Mi sembrava che gli stesse bene.

 

Volevo anche approfittare di questo spazio per fare un po' di auto-promozione. Ho appena scritto un oneshot intitolato “Back in time”, in cui Akainu/Sakazuki (non capirò mai qual'è il suo vero nome) torna indietro nel tempo e cambia il futuro. Come potete immaginare, la storia non è molto allegra, anzi, credo di poter dire che è la storia più cupa che ho scritto finora. Dateci un'occhiata, se vi va. Vi garantisco che ne vale la pena.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Interludio 3: L'ombra del coccodrillo ***


Interludio 3: L'ombra del coccodrillo

 

5 Settembre 1980

Da qualche parte nelle foreste della California

 

Il ragazzo dai capelli neri camminava silenziosamente tra gli alberi, in volto un'espressione determinata e un fucile di grosso calibro stretto tra le mani. Quell'arma era forse un po’ troppo per lui, che aveva imparato da poco a sparare, ma aveva insistito lo stesso perchè gliela regalassero.

 

Il nome del ragazzo era Jonas Petricelli, e quel giorno compiva diciotto anni. Suo padre aveva portato tutta la famiglia in vacanza da dei parenti, e mentre le donne erano rimaste in casa a preparare il pranzo, gli uomini si erano addentrati nella foresta per una battuta di caccia. E approfittando di un attimo di distrazione degli altri, Jonas si era separato da loro per andare in cerca di una preda tutta sua.

 

Un comportamento un po’ stupido per un cacciatore inesperto come lui, ma a Jonas non importava. Sapeva che in quei luoghi c'erano degli orsi, ed era deciso ad abbatterne uno con le sue sole forze. In quel modo avrebbe non solo festeggiato degnamente il suo compleanno, ma sarebbe anche riuscito a dimostrare una volta per tutte a suo padre quanto valeva davvero.

 

Vedete, Jonas era l'ultimo di sei fratelli. In qualunque altra famiglia sarebbe stato coccolato e trattato come il piccolo di casa, ma sfortunatamente era nato nella famiglia Petricelli, una famiglia mafiosa italo-americana come tante altre, e il cui patriarca, un burbero uomo d'affari di nome Bartolomeo, non aveva mai nascosto la sua predilezione per i figli maggiori. Il povero Jonas era sempre stato trattato come l'ultima ruota del carro, e non poteva neanche contare sull'affetto della madre, visto che la poveretta era morta per partorirlo (E forse era proprio questo il motivo per cui suo padre lo trattava in quel modo). I suoi fratelli maggiori seguivano l'esempio del padre. L'unico membro della famiglia che stava dalla sua parte e gli voleva davvero bene era sua sorella Viola, di due anni più grande di lui. Purtroppo, in quella famiglia le donne non contavano più di tanto, perciò erano praticamente loro due contro il resto del mondo.

 

Ciò nonostante, Jonas non si perdeva d'animo, e cercava sempre un modo per farsi bello agli occhi del padre, partecipando attivamente alle varie attività della famiglia, sia legali che illegali. Certo, non aveva mai avuto molta fortuna neanche da quel punto di vista, ma lui continuava a provare.

 

Quella battuta di caccia era l'occasione perfetta. Se fosse riuscito a tornare indietro con il cadavere di un feroce orso grizzly, suo padre lo avrebbe rivalutato e finalmente avrebbe cominciato a trattarlo come gli altri suoi figli.

 

Se solo riuscissi a trovare una di quelle fottute palle di pelo, pensò irritato il ragazzo guardandosi attorno. Era da mezz'ora che vagava tra gli alberi, e non aveva ancora trovato ciò che cercava. Per un attimo pensò di tornare indietro dagli altri, che quasi sicuramente si erano accorti della sua scomparsa, ma cancellò subito quel pensiero. Era venuto lì per uccidere un orso, e avrebbe ucciso un orso. Tornare a mani vuote era fuori discussione.

 

Superò un ennesimo gruppetto di alberi e finalmente avvistò il suo obiettivo. In una piccola radura, sdraiato a pancia in giù, c'era un enorme orso bruno che sonnecchiava placido. Jonas sorrise. La situazione stava volgendo a suo favore. Doveva solo avvicinarsi un po’, prendere bene la mira, e avrebbe avuto il suo bel trofeo.

 

Purtroppo, era talmente concentrato su questo pensiero che non si accorse di stare per calpestare un ramoscello. Appena vi poggiò sopra il piede, si udì nitidamente un piccolo schiocco. Normalmente non sarebbe stato niente di che, ma data la situazione ebbe un brutto effetto per il povero Jonas.

 

Perchè quel piccolo schiocco causò il risveglio dell'enorme orso, il quale aprì gli occhi e si accorse della presenza dell'umano. Percependo una minaccia, il plantigrado si drizzò sulle quattro zampe e ringhiò, iniziando ad avanzare verso Jonas.

 

- Merda!- Il ragazzo puntò il fucile contro l'orso e premette il grilletto, ma si sentì soltanto un click. Aveva fatto cilecca. Bestemmiò a denti stretti e iniziò a tremare. L'orso era sempre più vicino.

 

- E spara, fucile del cazzo!- L'arma continuava a non funzionare. L'animale era ormai arrivato ad un paio di metri da lui. Si sollevò sulle zampe posteriori, ergendosi in tutta la sua stazza, e ringhiò.

 

Jonas mirò al petto dell'orso, ma all'improvviso una possente zampata gli tolse il fucile dalle mani. La forza del colpo fu tale da farlo cadere a terra.

 

Atterrito, il ragazzo strinse i denti e provò a rialzarsi per scappare. Un'altra zampata lo colpì in pieno volto. Jonas urlò e maledisse la propria stupidità. Il suo campo visivo si riempì di rosso e i pantaloni gli si bagnarono di un liquido che non era sangue.

 

Poi, misericordiosamente, perse i sensi.

 

***

 

20 Aprile 1990

Loguetown, California, USA

Villa della famiglia Petricelli

 

Possono succedere tante cose, in dieci anni, anche le più impensabili.

 

Ad esempio, può capitare che un padre perda quattro dei suoi figli a causa di un regolamento di conti con un'organizzazione rivale. E che, a causa di tutto questo, sia costretto ad affidarsi sempre di più all'ultima ruota del carro.

 

In quel momento, la suddetta ultima ruota, cioè Jonas Petricelli, era in piedi accanto a un letto matrimoniale occupato da una sola persona, l'espressione sconvolta. Poco lontano da lui, sua sorella Viola singhiozzava appoggiata alla spalla del marito Kyros, mentre teneva una mano sul ventre gonfio per la gravidanza. Oltre a loro e alla persona sul letto, nella stanza non c'era nessun altro.

 

Jonas non sapeva cosa pensare. Aveva atteso a lungo questo momento, eppure, ora che era arrivato, non riusciva a gioirne neanche un po’.

 

Suo padre, l'uomo che tanto odiava, ma di cui, al tempo stesso, cercava disperatamente l'approvazione, stava morendo.

 

Non c'era da sorprendersi. Bartolomeo Petricelli era parecchio in là con gli anni, e non si era mai curato particolarmente della propria salute. Alcol, fumo, e rapporti non protetti con donne di dubbia reputazione, alla fine avevano presentato il conto. Certo, aveva tentato di curarsi, ma non era servito a nulla.

 

E ora, dopo mesi di lenta agonia, stava per andarsene.

 

L'anziano gemette e guardò suo figlio.- Hai capito, Jonas? Lascio tutto nelle tue mani.-

 

Il giovane uomo represse l'impulso di mettersi a piangere.- Sì, ho capito, papà. Ma...c'è anche Viola.-

 

Bartolomeo Petricelli emise un suono vagamente somigliante a una risatina.- Viola è una femmina...-

 

Jonas annuì. Anche in un momento del genere, il vecchio patriarca insisteva con la sua scarsa considerazione delle donne.

 

- Mi sei rimasto solo tu. Giuseppe, Carlo, Frank e Tony...non ci sono più. Tutto in mano tua.- Ci fu un colpo di tosse.- Jonas...lo so che i rapporti tra noi non sono mai stati buoni, ma...negli ultimi anni hai dimostrato di sapertela cavare. A parte quel piccolo incidente di dieci anni fa...sei stato un bravo figlio, dopo tutto.-

 

Jonas si incupì, ripensando a quanto era accaduto il giorno del suo diciottesimo compleanno. Aveva rischiato la vita solo per ottenere uno stupido trofeo da riportare a casa. Fortunatamente, suo padre e gli altri cacciatori erano arrivati prima che l'orso potesse ucciderlo, e lo avevano crivellato di colpi. Ora il corpo impagliato dell'animale faceva bella mostra di sè nell'ingresso della villa. A Jonas era andata diversamente: i medici erano riusciti a rimetterlo in sesto, ma avevano dovuto amputargli la mano sinistra, e sul volto gli era rimasta una brutta cicatrice. I suoi fratelli lo avevano preso in giro per un pò, ma avevano smesso quando lui aveva minacciato di squartarli con l'uncino con cui aveva rimpiazzato la mano mancante. Era stato uno dei momenti più brutti della sua vita, e preferiva ricordarlo il meno possibile.

 

Bartolomeo Petricelli tossì di nuovo e posò una mano sul braccio destro di suo figlio.- Mi raccomando, Jonas. Ora sei tu il capo della famiglia...-

 

Jonas singhiozzò.- V-va bene, papà.-

 

L'anziano sorrise e chiuse gli occhi. La mano che aveva posato sul braccio di Jonas scivolò lentamente verso il basso, arrivando a pendere immobile oltre il bordo del letto. Viola gridò e si precipitò ad abbracciare il padre ormai morto, piangendo a dirotto, mentre Kyros rimaneva immobile.

 

Jonas Petricelli cercava con tutte le sue forze di non mettersi a piangere a sua volta. Devo essere forte, pensò. Devo farlo per Viola, per la famiglia. Strinse la mano destra in un pugno. Ora sono io il capo. E farò in modo che le cose vadano meglio di prima. Sì, farò più e meglio di te, papà.

 

Vedrai, papà. Vedrai.

 

***

 

10 Dicembre 1994

Loguetown, California, USA

Ufficio di Jonas Petricelli

 

Se c'era una cosa che Jonas Petricelli detestava con tutto il cuore, erano i giornalisti, a qualunque categoria appartenessero. Per lui, erano soltanto degli scarafaggi, dei rompiscatole che ficcavano sempre il naso dove non dovevano. Tuttavia, in alcune circostanze doveva riconoscere che potevano risultare utili.

 

Era per questo che aveva acconsentito a farsi intervistare dalla giornalista freelance Juls Beckman. La donna lo aveva contattato qualche giorno prima, parlandogli di un servizio che voleva realizzare a proposito dei giovani imprenditori della regione. Sebbene la sua reazione iniziale fosse stata di fastidio, Jonas si era subito reso conto che quella era l'occasione perfetta per cominciare a costruirsi un'immagine pubblica, creando così le basi per quando sarebbe entrato in politica. Perciò, lui e la giornalista avevano fissato un appuntamento per quel giorno nel suo ufficio di Loguetown.

 

Ora, mentre rispondeva a delle domande sulla sua attività nel settore dell'edilizia, l'italo-americano doveva ammettere che era meglio di quanto si fosse aspettato. Non solo la Beckman era cortese e faceva domande intelligenti, ma era anche molto bella (All'inizio lui si era immaginato una racchia di mezza età, magari anche sovrappeso e con un'ombra di baffi), con dei lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon e dei meravigliosi occhi verdi. Non che avesse intenzione di provarci. Era solo un particolare che contribuiva a migliorare l'atmosfera.

 

-...come le avevo accennato prima, l'attività fu avviata da mio nonno nel 1927. Inizialmente si occupava solo di lavori di ristrutturazione, ma col tempo ha iniziato ad espandersi. E' sopravvissuta per miracolo alla Grande Depressione, e ha raggiunto le sue dimensioni attuali verso la metà degli anni 50, grazie all'opera del mio defunto padre. Quando poi è toccato a me prendere le redini dell'azienda, ho cercato di farlo nel rispetto della tradizione ma con un occhio verso il futuro, e soprattutto avendo ben a mente di dover mettere a frutto tutte le mie capacità.-

 

La giornalista annuì.- Infatti, direi proprio che ha avuto degli ottimi risultati. La Petricelli SRL oggi è una delle più ricche e solide aziende della California, non solo nel campo dell'edilizia, ma in generale. E mi pare di capire che quello non sia l'unico ambito in cui lei opera...-

 

- Esatto. Di recente ho anche acquistato un paio di cantieri navali e un centro benessere. Ho intenzione di espandere le attività della Petricelli SRL nel maggior numero di settori possibile. Mio padre e mio nonno hanno messo le fondamenta, ma io porterò questa azienda alla grandezza! E se ne avrò la possibilità, metterò piede anche nel settore dell'elettronica.-

 

Juls Beckman sorrise. Lo aveva fatto spesso da quando era arrivata, e a Petricelli quel sorriso piaceva molto.- L'ambizione non le manca di certo, signor Petricelli.-

 

- Senza ambizione non si va da nessuna parte, mia cara signora. E' un pò come per gli squali. Devono muoversi in continuazione, altrimenti morirebbero. E io mi considero uno squalo. Anche se devo dire che il mio animale preferito è sempre stato il coccodrillo.-

 

La donna annuì, rivolgendo una breve occhiata al fermacarte che sostava su una pila di documenti.- Questo spiega il suo insolito fermacarte.-

 

- Un regalo di mia sorella per il mio trentesimo compleanno. E' un oggetto a cui sono molto affezionato.-

 

- Sua sorella lavora nell'azienda con lei?-

 

- Purtroppo no. Lei e suo marito sono morti l'anno scorso in un incidente stradale. Le volevo bene, e la sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto dentro di me. Un vuoto che cerco di riempire occupandomi di suo figlio.-

 

La giornalista annotò qualcosa sul blocchetto per appunti che aveva in mano e si schiarì la voce.- Molto bene, signor Petricelli. Credo di aver raccolto abbastanza informazioni. C'è però un'ultima domanda che vorrei farle, se non le spiace.-

 

- Prego, signora. Chieda pure.-

 

- Cosa ne pensa delle voci riguardanti il boss mafioso noto come Sir Crocodile?-

 

Quella era una domanda che non si aspettava, e lo mise parecchio a disagio. Tuttavia, mantenne la calma.- E questo che cosa c'entra?-

 

- E' solo una domanda che ho rivolto anche alle altre persone che ho intervistato. Sa, sto lavorando a un'inchiesta sulla criminalità organizzata assieme a un mio collega di New York. In particolare, ci stiamo occupando di questo Sir Crocodile, un boss di cui si sa pochissimo.-

 

- E ha pensato di chiedere a me. Come mai, mi chiedo? Forse per via del mio cognome? E' mai possibile che noi italo-americani dobbiamo essere sempre associati alla criminalità organizzata?- Il fastidio nella sua voce era evidente, e la donna se ne accorse.

 

- Non intendevo offenderla, signor Petricelli, glielo assicuro. Sto solo facendo il mio mestiere.-

 

Sembrava sincera.- Mmh...beh, se proprio vuole sapere la mia opinione, credo che questo Crocodile non esista, e che sia solo un nome inventato da qualcuno per coprire le sue attività. E...-

 

Qualunque cosa avesse avuto intenzione di dire, Juls non lo scoprì mai, perchè in quel momento la porta dell'ufficio si spalancò e una specie di palla di cannone multicolore si precipitò all'interno.

 

- Zio Jonas! Zio Jonas! Guarda che bella nave che ho costruito coi Lego!-

 

Era un bambino vestito con una maglietta a righe rosse e blu e dei pantaloncini che gli lasciavano le ginocchia scoperte. In mano aveva un piccolo veliero costruito con dei mattoncini dai colori più disparati.

 

Petricelli sollevò un sopracciglio. Non sembrava molto felice di quell'improvviso arrivo.- Ragazzo, quante volte ti avevo detto di non entrare nel mio ufficio quando sto lavorando?-

 

- Ma volevo solo farti vedere la mia nave. Ti piace?-

 

- E' molto bella, ma ora dovresti andartene. Stai dando fastidio alla signora.-

 

- Oh, non si preoccupi, signor Petricelli. Non mi dà nessun fastidio, anzi...io adoro i bambini.- La donna si alzò e si avvicinò al bambino, per poi abbassarsi fino ad arrivare alla sua altezza e accarezzargli i capelli.- Ciao, piccolo. Io mi chiamo Juls. E tu?-

 

- Bartolomeo.-

 

- Quanti anni hai?-

 

- Quattro. Perchè mi fai queste domande, signora?-

 

- Sono curiosa. E poi fare domande è il mio mestiere. Sono una giornalista. Sai cosa vuol dire?-

 

- Sì, me lo ha spiegato zio Jonas. Lui dice che i giornalisti sono tutti dei...-

 

- BastacosìBartolomeovaifuoriagiocare!!!- disse Petricelli tutto d'un fiato, alzandosi e iniziando a spingere Bartolomeo verso la porta. Il bambino guardò suo zio, gli mostrò la lingua e poi uscì dalla stanza correndo.

 

Jonas tornò alla scrivania con un sorriso leggermente imbarazzato.- Ah, i bambini...che bella cosa che sono, vero?-

 

- Vero.- Juls si rimise in piedi e guardò l'orologio che aveva al polso.- Adesso devo proprio andare, signor Petricelli. La ringrazio per la disponibilità, e mi scuso se in qualche modo l'ho offesa con la domanda di prima.- Sistemò il blocchetto e la penna nella borsa.

 

- Non si preoccupi, non mi sono offeso. In fondo, voi giornalisti dovete fare il vostro mestiere.- I due si strinsero la mano e si salutarono. Petricelli guardò la donna uscire dall'ufficio e si accigliò.

 

Questa qui dovrò tenerla d'occhio, decise, accarezzandosi l'uncino.

 

***

 

Stesso luogo

Qualche settimana dopo

 

In piedi accanto alla scrivania, Jonas Petricelli parlava al telefono.

 

-...sì, sono d'accordo, Joker. La Beckman sta diventando un problema serio. Dovremo occuparcene per forza...no, tranquillo, ci penserò io. So già come fare, anche per quanto riguarda quell'altro giornalista...va bene, ti richiamo poi.- Mise giù la cornetta, per poi comporre un altro numero.

 

- Signor Bornes? Sono io. C'è una faccenda della massima importanza di cui vorrei discutere con lei...-

 

***

 

Stesso luogo

15 Gennaio 1995

 

-...sta facendo rivoltare i nostri Padri Fondatori nella tomba!-

 

Il televisore fu spento, e nell'aria della stanza echeggiò il suono di una risata.

 

- Meglio di quanto mi aspettassi, signor Bornes. I miei complimenti! Ottima recitazione.- Jonas Petricelli buttò la testa all'indietro e rise di gusto, battendo il pugno sulla scrivania. Era al settimo cielo. Juls Beckman era stata eliminata, e di lì a poco i suoi uomini si sarebbero occupati del suo collega. La cosa migliore era che tutti avrebbero creduto alla menzogna che aveva architettato. Non avrebbe potuto essere più contento.

 

Seduto davanti a lui, Das Bornes si limitò ad annuire.- Ne sono felice, capo.-

 

Petricelli si ricompose.- C'è una cosa però che non capisco. Dove ha preso, quel nome, quel...Hody Jones, giusto?-

 

- Mi sono ispirato a Davy Jones. Sa, lo spirito del mare...-

 

- Ho capito. E i suoi uomini...-

 

- La maggior parte di loro crede davvero a quelle stronzate. Non sospettano nulla, però, sono troppo stupidi. Solo altri due sanno la verità, ma mi fido ciecamente di loro.- Sorrise e incrociò le braccia.- Ma non si preoccupi. Se malauguratamente dovesse venirgli voglia di cantare, me ne occuperò personalmente.-

 

Petricelli annuì.- Molto bene, signor Bornes. E se per caso dovessi ancora aver bisogno dei suoi servigi...-

 

- Non avrebbe che da chiedere, capo. La Baroque Works sarà sempre a sua disposizione. In cambio di un lauto compenso, ovviamente.-

 

- Ovviamente. Un buon lavoro va sempre ricompensato.- L'americano si chinò un attimo e prese da terra una valigetta nera che appoggiò sulla scrivania. La aprì e ne mostrò il contenuto a Bornes: era piena di banconote da cento dollari.

 

- Sono centomila. Bastano?-

 

- Certo.- Bornes prese la valigetta e la richiuse.- Ora se permette, me ne andrei. Ho delle faccende da sbrigare.-

 

- Va bene, signor Bornes. Non la trattengo. Buona giornata.- Petricelli strinse la mano dell'altro e aspettò che se ne andasse. Rimasto solo, si girò verso il ritratto di suo padre che aveva appeso a una parete dell'ufficio.

 

- Che te ne pare, papà? Ho eliminato una minaccia alle attività della famiglia e mi sono procurato degli scagnozzi efficienti. Niente male, eh?- La mano destra prese a tremargli e la sua espressione si rabbuiò.- Scommetto che non te lo saresti mai aspettato da me, eh? Sicuramente hai pensato che non ce l'avrei fatta, che il nostro impero sarebbe crollato dopo pochi anni...E INVECE NO, VECCHIO BASTARDO!- Afferrò il fermacarte a forma di coccodrillo che aveva sulla scrivania e lo scagliò contro il ritratto. L'oggetto colpì il bersaglio e cadde a terra, rimanendo miracolosamente intatto.

 

Jonas Petricelli chiuse gli occhi e prese un paio di respiri profondi, per poi scoppiare a ridere.

 

***

 

30 Novembre 2011

Madrid, Spagna

Una villa in periferia

 

Erano trascorsi sedici anni dal giorno dell'incidente aereo in cui Juls Beckman e tutte quelle altre persone innocenti avevano trovato la morte. La vita di Jonas Petricelli era cambiata, per certi aspetti in meglio, per altri...non proprio.

 

La Petricelli SRL aveva prosperato sempre di più, superando tutte le sue aspettative. Ormai, le sue entrate derivavano principalmente da attività legali. Lo si poteva quasi definire un rispettabile uomo d'affari.

 

Purtroppo, le sue ambizioni politiche avevano subito una brusca battuta d'arresto. Qualche settimana prima, alle elezioni per scegliere il nuovo Governatore della California, aveva ottenuto una percentuale di voti così bassa da essere imbarazzante. Avrebbe dovuto aspettarselo, visto che il suo avversario diretto era il celebre Edward Newgate, e una parte di lui aveva anche pensato di non candidarsi, ma la sua ambizione aveva avuto la meglio.

 

Tuttavia, come in altre occasioni, non si era lasciato abbattere dalla sconfitta, decidendo piuttosto di imparare da essa. La prossima volta avrebbe preparato meglio il terreno e mirato un po’ più in basso. Magari cercando di diventare sindaco di Loguetown.

 

Ma avrebbe avuto modo di pensare a tutto questo più in là. Attualmente, la sua attenzione era concentrata su un unico obiettivo: trattenersi dal massacrare la persona con cui stava parlando. Anzi, che stava parlando ininterrottamente da quasi mezz'ora.

 

-...così, alla fine do a Chopper un'altra dose, ed è lì che mi rendo conto dell'errore nella formula. Dopo un pò quel moccioso inizia a contorcersi e a gridare per il dolore. Me lo ricordo ancora. Io ero lì che prendevo appunti, e lui che non faceva altro che strillare "Papà, papà, aiutami!". Un vero strazio. Per fortuna alla fine è morto. Dopodichè, si è trattato solo di fare qualche modifica al prodotto. Ora è praticamente perfetto, molto meglio di quanto aveva teorizzato all'inizio il mio defunto collega, il dottor Caesar.-

 

Il giorno prima era arrivato in Spagna per discutere di affari con Doflamingo Donquijote, miliardario e suo socio. Avrebbe preferito evitare, visto che mal sopportava lo spagnolo e tutte le sue eccentricità (Ad esempio, la giacca rosa con penne di fenicottero che indossava in ogni occasione, oppure il soprannome che si era scelto, Joker. Per non parlare delle sue disgustose abitudini sessuali...), ma Doflamingo era un elemento importante sia per la sua attività criminale che per i suoi piani futuri. Inoltre, la sua famiglia e i Donquijote facevano affari da un sacco di tempo, fin da quando il suo bisnonno Carmine aveva lasciato l'Italia alla fine dell'Ottocento.

 

Tra le altre cose, Doflamingo gli aveva anche presentato uno dei suoi nuovi collaboratori, un sedicente scienziato inglese di nome Charles Harry Hogback. Lo aveva odiato fin dal primo momento. Le sue mani sempre sudaticce, la vocina stridula, il modo di ridere e la corporatura ingobbita...era la persona più viscida che avesse mai incontrato, e il racconto che aveva appena concluso lo confermava. Certo, nemmeno lui era uno stinco di santo, ma non avrebbe mai trattato in quel modo un suo consanguineo, neanche Bartolomeo. La famiglia era sacra, che diamine!

 

Purtroppo, così come Doflamingo, anche Hogback era importante per i suoi piani. O meglio, lo era la sua invenzione.

 

L'americano si accarezzò il mento e si schiarì la voce.- E che nome avrebbe dato a questa...questa nuova droga?-

 

- Agalmatolite. Non mi chieda da dove l'ho preso, però, perchè non lo so nemmeno io.-

 

- Hmm...ha già qualche campione da darmi, o la deve produrre?-

 

- Purtroppo ho impiegato tutti i campioni a mia disposizione per gli esperimenti. Ma non si preoccupi, ci metterò pochissimo a produrne altra. E gliene invierò periodicamente tramite il Joker.- rispose il britannico.

 

- Non potrebbe darmi direttamente la formula, in modo che la faccia produrre dai miei uomini?-

 

- Mi dispiace, ma non è possibile. La formula è tutta qui nella mia testa.- Si picchiettò il cranio.- Questioni di sicurezza. Spero che capirà.-

 

- Non si preoccupi, capisco benissimo.- Davanti agli occhi gli passarono alcune immagini mentali in cui squartava quell'odioso britannico col suo uncino. Sul volto gli si dipinse lentamente un sorriso oscuro.- Molto bene, dottore. Affare fatto. Sono certo che questa collaborazione sarà proficua per entrambi.- Offrì la mano destra al suo interlocutore.

 

Il dottor Hogback sorrise a sua volta e strinse la mano dell'altro uomo.- Lo credo anche io, signor Petricelli...ops, chiedo scusa. Volevo dire, Sir Crocodile.-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Mi rendo conto solo ora di non essere mai stato molto gentile con Chopper, nei vari AU che ho scritto. Ne "L'alba dei pirati viventi" veniva divorato da Usop e Nami trasformati in zombi, in "Legame fraterno" andava in berserk e distruggeva Drum, nella terza parte di "Three pieces" veniva ucciso assieme al resto della ciurma da Deadpool, in "For want of a fist" (storia che ho poi cancellato perchè faceva veramente cagare) veniva ucciso dai nani di Tontatta trasformati in giocattoli da Sugar, qui è vittima degli esperimenti di Hogback...wow. Verrebbe da pensare che ce l'abbia a morte col piccoletto. Ma posso assicurarvi che non è così. Quando uccido o maltratto un personaggio, è solo per esigenze di trama (anche se devo ammettere che mi diverto un mondo a torturare Sanji).

 

Comunque, tornando al capitolo di oggi, che ve ne pare di questa versione di Crocodile? Vi piace? Preferite l'originale? Fatemelo sapere con una bella recensione.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 12: L'amore è nell'aria ***


Capitolo 12: L'amore è nell'aria

 

20 Dicembre 2015

Loguetown, California, USA

Negli studi di Logue Channel

 

-...come ci ha confermato Mike Galdino prima di venire brutalmente aggredito, il pilota di fama mondiale Franky Flam, da poco ritiratosi dal mondo delle corse, è stato visto in compagnia di Shirley Fishmann, l'ex pornostar nota anche come Madame Shirley. I due erano in atteggiamenti inequivocabili, il che conferma le voci circolate negli ultimi mesi sulla loro relazione. La cosa renderà di certo felici i fan della coppia. Un pò meno per quanto riguarda il nostro Galdino, che dovrà passare un paio di giorni in ospedale per guarire dalle batoste ricevute dal signor Flam e dalla signorina Fishmann. Purtroppo, sono i rischi del mestiere.- Paula Rockbell concluse il discorso con un breve sorriso e poi riprese a parlare.

 

- E ora, passiamo a cose più serie. Sono passati otto giorni dalla morte di Edward Newgate, un evento che ha sconvolto tutti i californiani. Come sapete già, il suo vice Gomez Pink ricoprirà l'incarico di Governatore fino al prossimo 4 Gennaio, data in cui il compianto Barbabianca avrebbe iniziato il suo secondo mandato e in cui, invece, si terranno le elezioni per decidere chi sarà il nuovo Governatore.

 

- Sono già emersi decine di candidati, sia dei due partiti che indipendenti. Da notare soprattutto Jonas Petricelli, sindaco della nostra città.

 

- Per chi non lo ricordasse, Petricelli si era già presentato anni fa alle elezioni, venendo però sonoramente sconfitto da Newgate. Poco tempo dopo, è diventato sindaco di Loguetown.

 

- Petricelli è molto popolare, non solo in città, ma nell'intero Stato. Ricordiamo in particolare non solo la sua ottima gestione della città di Loguetown, ma anche le sue numerose iniziative di beneficenza, e la creazione dell'agenzia di sicurezza e vigilanza Cipher Pol Aigis, che ha dato e continua a dare un enorme contributo alla lotta alla criminalità. Intervistato dai nostri inviati, Petricelli ha dichiarato che, qualora dovesse vincere, si dimetterà da sindaco di Loguetown e lascerà la città in mano al suo vice, Rayleigh Silvers, e che si attiverà per porre fine una volta per tutte alla minaccia della Baroque Works.- La giornalista si schiarì la voce e continuò.

 

- I nostri sondaggi lo danno in netto vantaggio rispetto agli altri candidati. Anche molti degli elettori del defunto Newgate hanno dichiarato apertamente che voteranno per lui, invece che per Pink.

 

- Insomma, il signor Petricelli sembra avere delle ottime prospettive per il suo futuro. Se volete farci sapere la vostra opinione in merito, potete contattarci al nostro numero verde o sulla nostra pagina di Facebook...-

 

***

 

Davanti al Baratie

 

Nami era appoggiata alla portiera dell'Impala, in piedi e a braccia conserte, fischiettando e aspettando l'arrivo di Bibi. Normalmente l'egiziana sarebbe venuta a prenderla assieme a Igaram fuori dall'Emporio di Ivankov, ma stavolta le due avevano deciso di far riposare l'autista. La rossa aveva pianificato una serata solo per loro due. Sarebbero prima andate a mangiare una pizza, poi a fare quattro salti al Marineford, e poi...a fare altro. Nami già pregustava il momento in cui avrebbe assaporato di nuovo il corpo dell'amica.

 

Quel che non sapeva, era che il destino aveva altri piani in serbo per loro due.

 

Proprio quando stava iniziando a pensare a qualche nuovo giochetto da fare con Bibi, dalla direzione del Baratie giunse il rumore di un'auto che si avvicinava. Nami alzò un sopracciglio e subito dopo vide l'auto di Igaram attraversare il cancello e fermarsi a poca distanza dall'Impala. Una delle portiere posteriori si aprì e ne venne fuori Bibi. La ragazza sembrava parecchio preoccupata, e quando vide Nami le corse incontro.- Nami!-

 

- Bibi...che succede?-

 

- E' successo un imprevisto...devo tornare in Egitto immediatamente!-

 

- Oh...la crisi si è risolta, quindi?- Nami ricordava che il motivo della prolungata permanenza di Bibi in America era una crisi politica che rischiava di trasformarsi in una guerra civile.

 

- Sì, ma non si tratta di quello...mio padre è stato colpito da un proiettile. E' in ospedale. I medici dicono che non è grave, però...- Gemette.- Sono preoccupata, e voglio andare subito da lui.-

 

- Cazzo...Bibi, mi dispiace tantissimo...-

 

- Vorrei poter rimanere. Mi mancherà un sacco questo posto, e...e anche tu mi mancherai.- Sospirò.- Non ho mai incontrato una ragazza come te. Io...anche se ci conosciamo da poco più di un mese, ti considero la mia migliore amica, Nami.-

 

La rossa deglutì, cercando di nascondere il disagio provocato da quelle parole.- Per me è lo stesso, Bibi.-

 

- Sarà difficile coltivare un'amicizia con tutta la distanza che ci separerà...-

 

- Beh, non tanto. Puoi tornare qui quando vuoi. E poi possiamo sempre sentirci via Skype e i social network. Ci siamo scambiate i contatti, no?-

 

Al che ci furono dei colpi di clacson.- Signorina Nefertari, dobbiamo andare.- giunse la voce di Igaram dall'auto.

 

- Arrivo subito, Igaram!- rispose l'egiziana. Guardò Nami negli occhi e le si avvicinò, dandole un piccolo bacio sulle labbra.- Ciao, Nami. Grazie di tutto.-

 

L'americana ebbe appena la forza di rispondere, sopraffatta com'era dalle emozioni. Rimase a guardare prima Bibi che entrava in macchina, poi il veicolo che si allontanava lungo la strada. Alla fine rientrò nell'Impala e si lasciò cadere sul sedile del guidatore.

 

Rimase immobile e in silenzio per quella che parve un'eternità, con in sottofondo soltanto i rumori del traffico e le voci degli abitanti della città, lo sguardo fisso davanti a sè.

 

Poi, lentamente, una lacrima le scese lungo la guancia, e lei iniziò a prendere a pugni il volante.- STUPIDA! STUPIDA! STUPIDA!-

 

Sebbene a prima vista potrebbe sembrare che quegli insulti fossero rivolti a Bibi, in realtà non era così. Nami ce l'aveva con sè stessa. Perchè nonostante avesse sempre saputo che prima o poi sarebbe finita, e che in fin dei conti non si trattava altro che di amicizia mista a sesso, una parte di lei aveva iniziato a sperare che il loro rapporto potesse diventare qualcosa di più.

 

In altre parole, Nami aveva iniziato ad innamorarsi di Bibi.

 

Si era detta più volte che era una pazzia, che non aveva alcuna speranza. Che avrebbe dovuto controllarsi. Ma purtroppo, come aveva scoperto, certe emozioni non si possono controllare, e ora non poteva fare altro che piangere e sfogare la rabbia e la tristezza che la stavano invadendo.

 

***

 

Il giorno dopo

L'Emporio di Ivankov

 

Quella mattina, Nami si presentò al lavoro con un'espressione che definire mogia sarebbe stato un eufemismo. Il signor Ivankov non se ne accorse, preso com'era dalla prospettiva di una giornata da trascorrere col suo Bentham. Infatti, poco dopo l'arrivo di Nami se ne andò saltellando e cinguettando come un usignolo.

 

Robin, invece, se ne accorse, e appena le due ragazze furono rimaste da sole, decise di indagare.

 

- Nami, c'è qualche problema?- le chiese, mentre le due si accingevano a pulire delle statuette che più tardi avrebbero consegnato a un cliente.

 

- Eh...cosa?- Era talmente distratta che in un primo momento non aveva sentito la domanda dell'altra.- Hai detto qualcosa?-

 

- Ti ho chiesto se c'è qualche problema.- ripetè con calma Robin.

 

- No, nessun problema.- rispose in fretta Nami. Prese un pennello e cominciò ad occuparsi di una statuetta con le sembianze di una qualche divinità greco-romana.

 

Robin non si fece ingannare dalle parole della rossa.- Sei sicura? A me sembra di sì.-

 

Nami interruppe per un attimo il suo lavoro.- Non è nulla, solo...un problema personale.- Sospirò.

 

- Ti va di parlarne? Potrebbe farti bene.-

 

- Non...non ne ho molta voglia, a dire la verità.-

 

- Se non ti va, fa lo stesso. Non devi sentirti obbligata.- Si aggiustò gli occhiali.- Ma se vuoi, io sono pronta ad ascoltarti.-

 

La rossa esitò un attimo, poi riprese l'operazione di pulizia.- Si tratta di Bibi...-

 

Robin ascoltò con pazienza la giovane Watanabe, la quale andò avanti a parlare per diversi minuti.

 

-...lo so che lei non c'entra niente, e che sono io che mi sono fatta delle illusioni.- disse alla fine la rossa, facendo quindi una piccola pausa.- Ma mi sento...non so neanche come definirlo. Sono triste, e al tempo stesso arrabbiata. Sto male.-

 

- E' comprensibile. Chiunque, al tuo posto, starebbe così.-

 

- A te è mai capitata una roba del genere?-

 

La mora non rispose subito.- No, mai.-

 

Nami sospirò e abbassò lo sguardo, continuando a spolverare la statuetta.

 

Robin si prese qualche attimo per riflettere.- Forse però so come aiutarti.-

 

La rossa interruppe di nuovo il suo lavoro e guardò l'amica.- Cosa intendi?-

 

- Ecco...forse ho qualcosa che potrebbe aiutare a risollevarti il morale. Hai impegni per dopo il lavoro?-

 

- No.-

 

- Bene. Allora verrai con me a casa mia. Una volta lì, ti farò vedere di cosa si tratta.-

 

- Non potresti dirmelo prima?-

 

- No. E' meglio che sia una sorpresa.-

 

- Hmm...come vuoi.- annuì Nami, chiedendosi cosa mai avesse in mente la mora.

 

***

 

Una casa in periferia

 

Nami non si considerava una fifona. Tuttavia, c'erano diverse cose che le incutevano timore. Una di queste, era il film Psycho, che aveva visto da bambina e che le era rimasto impresso nella mente. Il villino che ora stava osservando, e che Robin aveva indicato come casa sua, era spaventosamente identico a quello del film. Mentre lei e Robin scendevano dall'Impala, la rossa non potè fare a meno di pensare che quel posto raccapricciante si addiceva molto alla personalità della mora.

 

Un'altra delle cose che le incutevano timore erano i cani grossi. Proprio come la montagna di pelo che in quel momento stava correndo verso di loro. A prima vista, sembrava un San Bernardo.

 

- Fermo, Lovoon!- gridò Robin, ma il cane non le diede ascolto. Abbaiò un paio di volte e puntò verso Nami. La rossa, impaurita, rimase immobile. Arrivatole davanti, il grosso cane si alzò sulle zampe posteriori, posò quelle anteriori sulle spalle di Nami e prese a leccarle la faccia, scodinzolando nel mentre.

 

- Smettila, Lovoon. A cuccia!- Robin afferrò il San Bernardo per il collare e lo spinse via dalla sua amica. Il cane guaì e si sedette a terra.

 

- Scusa. Lovoon è molto socievole, anche con gli estranei.-

 

- Ho...ho notato.- mormorò Nami, togliendosi la saliva dalla faccia.

 

- Cattivo, Lovoon. Per punizione, stanotte resterai fuori.- Il cane reagì al rimprovero di Robin con un guaito, per poi alzarsi e sparire dietro la casa.

 

La mora tornò a rivolgersi alla rossa.- Scusa, avrei dovuto avvisarti.-

 

- Non fa niente, in fondo non è nulla.- Anche se mentalmente lanciò una dozzina di invettive all'indirizzo di quel sacco di pulci.

 

Le due ragazze entrarono nel villino. Nami approfittò del bagno per darsi una ripulita, e poi seguì Robin in un'altra parte dell'edificio.

 

- E' davvero una bella casa.- disse Nami guardandosi attorno. Diceva sul serio. L'interno dell'abitazione era arredato con gusto ed eleganza, e a differenza dell'esterno, trasmetteva anche una certa allegria.- Vivi qui da sola?-

 

- Sì. Il precedente proprietario, il signor Brook, è morto all'inizio di quest'anno, e dato che non aveva parenti ha lasciato tutto a me.- rispose la mora.- Incluso il cane.-

 

- Era un tuo amico?-

 

- Sì. Lui...mi aveva accolto nella sua casa quando sono arrivata qui a Loguetown, due anni fa. Ha fatto tanto per me.- Un'ombra di tristezza le attraversò il volto, scomparendo dopo appena un secondo.- Ma non parliamo di questo. Vieni, ti mostro una cosa.-

 

Robin guidò Nami in quella che doveva essere la biblioteca della casa. La giovane Watanabe vide una buona parte della stanza occupata da centinaia, forse migliaia di libri. In un angolo, un caminetto spento, e davanti un tavolino con due poltrone. Sul tavolino notò un oggetto che all'inizio non riuscì a identificare. Poi si avvicinò e capì cos'era: la custodia di un violino.

 

- Siediti.- Robin le fece cenno di accomodarsi su una delle poltrone. Nami si sedette, mentre la mora si sistemava sull'altra e apriva la custodia, tirando fuori un violino dall'aria antica.

 

- Tra le altre cose, il signor Brook mi ha insegnato ad apprezzare il valore della musica e a suonare il violino. Diceva sempre che la musica aveva il potere di rimettere a nuovo le persone, e ho avuto modo di verificare questa cosa più di una volta. Quando mi sentivo triste, il signor Brook mi suonava sempre una delle mie sinfonie preferite. E ogni volta, mi tornava il buonumore.-

 

La rossa annuì.- Quindi...vorresti fare lo stesso con me.-

 

- Esatto.-

 

- Io...non so, Robin. Credi davvero che possa funzionare?-

 

- Se ha funzionato per me, funzionerà anche per te. Cosa vuoi che ti suoni?-

 

- Non saprei, non mi viene in mente niente...-

 

- Faccio io, allora.- Robin posizionò l'archetto sulle corde dello strumento, chiuse gli occhi e cominciò a suonare.

 

L'aria della stanza si riempì di una serie di note melodiose. Nami non riconobbe la musica, ma decise subito che era di suo gradimento. Era davvero piacevole, e, proprio come aveva detto Robin, iniziò a sentirsi meglio. Per un attimo dimenticò tutti i suoi problemi, e si concentrò soltanto su quella musica meravigliosa.

 

Quasi non si rese conto dello scorrere del tempo, e quando Robin smise di suonare, si accorse di stare sorridendo.

 

- Mi sembra di capire che ti è piaciuto.- Robin posò il violino sul tavolo e sorrise a sua volta.

 

La rossa annuì.- Moltissimo, non me lo sarei mai aspettato. Sai, sei proprio brava, Robin.-

 

- Grazie. Ho avuto un ottimo insegnante.-

 

- Mi sento meglio, adesso. Io...ti ringrazio, Robin.-

 

La mora si tolse gli occhiali e li posò accanto al violino.- Era il minimo che potessi fare, per una mia amica. E...- Per un attimo distolse lo sguardo da Nami e si schiarì la voce.- Se c'è...qualche altra cosa che posso fare per te, non hai che da chiedere.-

 

Nami fece per rispondere, ma all'improvviso si accorse che lo sguardo di Robin era cambiato. Non ci mise molto a capire di che si trattava. Era inequivocabile, la mora la stava guardando allo stesso modo in cui lei aveva guardato Bibi. A conferma della cosa, il piede di Robin sfiorò il suo in maniera sensuale. Nami era sbalordita; non si sarebbe mai aspettata di ricevere delle avance da Robin, solitamente così fredda e riservata.

 

Cosa doveva fare? Una parte di lei era contenta della cosa, e doveva ammettere che non le sarebbe dispiaciuto passare del tempo a letto con Robin. Ma un'altra parte, quella che di solito aveva la meglio quando prendeva una decisione, le stava dicendo di no. Alla fine si decise.- No, Robin.-

 

- Cosa...-

 

- Non mi fraintendere, tu sei bellissima, e ti ringrazio per l'offerta, ma...vedi, il fatto è che sono ancora un pò scossa per Bibi. Non me la sento di avere subito un'altra storia. Vorrei...vorrei stare un pò per conto mio, ecco.-

 

- Oh...- Robin sembrò rattristarsi.- Ti chiedo scusa. Non intendevo metterti a disagio.-

 

- Non preoccuparti, è tutto a posto. E comunque, siamo sempre amiche, no?-

 

Robin annuì mestamente. La rossa provò dispiacere per l'altra, ma decise che sarebbe stato meglio per entrambe cambiare subito argomento.- Piuttosto...non è che mi suoneresti qualcos'altro?-

 

Il sorriso riapparve sul volto della mora.- Certo.- Prese il violino e ricominciò a suonare, stavolta con più energia di prima.

 

Nami si adagiò sullo schienale della poltrona, chiuse gli occhi, e si lasciò cullare dalle note.

 

***

 

Terzo distretto di polizia

 

Zoro uscì dal distretto sbadigliando.- Che giornata.- Si grattò la testa, ripensando a tutte le scartoffie che aveva appena finito di firmare. La vita di un poliziotto poteva sembrare emozionante, tra inseguimenti e sparatorie, ma a volte era intervallata da momenti di pura e semplice noia, in cui si annegava in un mare di carte e procedure burocratiche. Un'autentica rottura.

 

Si infilò le mani in tasca, e cominciò a meditare sulla sua prossima destinazione. Era troppo stanco per andare in palestra, quindi quell'opzione era automaticamente esclusa. Forse poteva fare quattro passi per la città, magari per poi incontrare qualcuno dei suoi amici e bere qualcosa insieme? No, a pensarci bene non ne aveva voglia. Sebbene non fosse proprio un asociale, di tanto in tanto gli piaceva restare da solo, e quello era uno di quei momenti. Alla fine si decise. Sarebbe rimasto a casa a guardare un film, e avrebbe ordinato una pizza. Conosceva una pizzeria che le faceva davvero bene, e che era anche molto economica. Ne avrebbe ordinata una enorme con peperoni e salsicce, e ci avrebbe fatto mettere una dose extra di formaggio che non guastava mai...

 

- Ehi, Zoro! Che fai di bello?-

 

Roronoa si voltò e vide Tashigi venirgli incontro.

 

- Tashigi...stavo andando a casa.-

 

- Non vieni in palestra? Stavo giusto andando lì, magari potremmo allenarci insieme...-

 

- No, sono stanco. Ho solo voglia di rilassarmi un pò e dormire fino a domattina.-

 

- Capisco. Beh, non mi stupisce che tu sia stanco. Oggi è stata una giornata difficile per tutti.-

 

- Già.-

 

- Tu però l'hai superata. Sei proprio un uomo di ferro, eh?-

 

- Sono un uomo come tanti. Ora però, se non ti dispiace vorrei andarmene...-

 

- Aspetta, volevo chiederti una cosa.-

 

Zoro sbuffò.- Cosa?-

 

- Ti andrebbe di venire a casa mia, più tardi? Mio padre non c'è...-

 

- Cos'è, hai paura di restare da sola?-

 

- No, ma vorrei passare un pò di tempo con te.-

 

- Non ne abbiamo già passato abbastanza oggi, al lavoro?-

 

- Intendevo...noi due soli.- La ragazza sorrise e fece un passo verso di lui.- Ho imparato a cucinare, sai? So a memoria tutte le vecchie ricette della famiglia di mio padre. Potrei prepararti degli ottimi piatti.-

 

- Grazie, ma non amo la cucina giapponese.-

 

- Allora potremmo fare altro. Guardare un film, oppure...-

 

- Oppure cosa?-

 

- Oppure potremmo fare cose di tutt'altro genere...-

 

Chiunque, al posto di Zoro, avrebbe capito cosa voleva in realtà la ragazza, anche l'uomo più stupido del mondo.

 

Ma Zoro era un caso speciale, e pertanto continuò a non capire una beata mazza.

 

- Cioè, che cosa?-

 

E fu allora che accadde qualcosa che si sarebbe potuto definire un evento epocale. Tashigi, che normalmente era cortese con tutti e non imprecava mai, digrignò i denti e strinse i pugni.

 

- Che cosa? CHE COSA?! Si può sapere quale cazzo è il tuo problema, Zoro?-

 

Roronoa, sbigottito, fece per rispondere, ma Tashigi lo travolse con la sua sfuriata.

 

- Io cerco di fartelo capire in tutti i modi, senza essere troppo diretta. Chiunque al tuo posto avrebbe già capito. Ma tu...TU NO, CAZZO! Comincio a chiedermi chi cazzo me lo faccia fare!-

 

- Ma...Tashigi...-

 

- Ma un cazzo! Sai che ti dico, Zoro? Vai a farti fottere!- Al che si girò e iniziò ad allontanarsi da Zoro.

 

Il poliziotto rimase lì imbambolato, mentre la ragazza se ne andava lungo il marciapiede.

 

Fu solo quando Tashigi scomparve del tutto dalla sua vista che Zoro capì finalmente il senso delle sue parole. Gli occhi gli si allargarono e la bocca si spalancò. Ora tutto aveva senso. Tutte le occhiate, le frasi allusive, tutte quelle volte in cui gli si era "accidentalmente" strusciata addosso...ecco spiegata la sfuriata di poco prima. Ora aveva capito, finalmente.

 

- Merda...- Si passò una mano tra i capelli.- E ora che cazzo faccio?-

 

 

OMAKE

 

Tashigi sentì Zoro che la chiamava. Si fermò e si girò verso di lui.- Che c'è?- Era ancora arrabbiata.

 

- Tashigi, perdonami per prima. Volevo solo dirti che...che ti amo!-

 

Il cuore dell'occhialuta iniziò a battere all'impazzata.- Oh...Zoro, anch'io ti amo!-

 

I due poliziotti si abbracciarono e siglarono il loro amore con un bacio. Poi si recarono nella chiesa più vicina, si sposarono e vissero per sempre felici e contenti.

 

Fine della storia.

 

John Spangler guardò con aria scettica le pagine che aveva appena scritto.- Hmm...no, decisamente no. Questo non è OOC. Questo è follia pura.- Appallottolò i fogli e li gettò in un cestino già pieno di cartacce.- E ora che faccio?-

 

- Ti aiuto io, John.-

 

Improvvisamente, e senza alcuna spiegazione logica, Spangler si trovò davanti Ned Stark, Lord di Grande Inverno e protettore di putt...ehm, Protettore del Nord, ancora munito di testa.

 

- Ned...che ci fai qui?-

 

- Sono venuto ad aiutarti coi tuoi problemi di scrittura.-

 

- E come potresti aiutarmi?-

 

- Con un semplice consiglio: usa la Forza. La Forza ti aiuterà a trovare la giusta ispirazione.-

 

- Scusa, ma che c'entri tu con la Forza? E' una roba da Jedi.-

 

- Non discutere. Ricordati ciò che ti ho detto: usa la Forza. E ora scusa, ma devo andare. Ho un appuntamento urgente ad Approdo del Re.- Al che svanì in una nuvoletta di fumo.

 

Il povero (In tutti i sensi) Spangler rimase a lungo imbambolato, ancora incredulo per ciò che era accaduto. Poi, gli arrugginiti ingranaggi del suo cervello iniziarono a girare, e finalmente ebbe un'idea.- Usa la Forza...ma certo!- Prese degli altri fogli e ricominciò a scrivere.

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Ned Stark che mi compare davanti e mi suggerisce di usare la Forza, Robin che vuole farsi Nami…ho proprio bisogno di una vacanza, eh?

 

A parte gli scherzi, che ve ne pare del capitolo? Qui ho cercato di concentrarmi più sugli stati emotivi dei personaggi, anche se mi rendo conto che non è proprio il mio forte. Spero comunque che abbiate gradito.

 

Concludendo, vi annuncio che mi prenderò una pausa dalla scrittura per tutto il mese di Agosto. Tornerò all’inizio di Settembre col nuovo capitolo, e vi anticipo che…no, non vi anticipo nulla (Sono un bastardo!). Nel frattempo, fatemi sapere le vostre opinioni su questa storia, e se avete voglia date anche un’occhiata alle altre mie storie (Ne vale la pena, credetemi).

 

Alla prossima, cari lettori. E buone vacanze.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 13: Natale rosso sangue ***


Capitolo 13: Natale rosso sangue

 

25 Dicembre 2015

Loguetown, California, USA

Per le strade della città

 

Zoro camminava a testa bassa per le vie di Loguetown, le mani in tasca e l'espressione pensierosa.

 

Erano passati quattro giorni dal confronto con Tashigi, e ancora non era riuscito a parlarle. Al lavoro lo aveva ignorato, e non era riuscito a trovarla nè in palestra nè a casa sua. Neanche Koshiro gli era stato di grande aiuto, sebbene gli avesse chiesto delucidazioni ("Mi dispiace, Zoro, ma non vuole vederti", gli aveva detto).

 

Non sapeva proprio cosa fare. Una situazione del genere non gli era mai capitata, e in più lui con le donne era sempre stato un imbranato. Chiedere aiuto ai suoi amici era fuori discussione (Non solo gli avrebbero dato dei pessimi consigli, ma lo avrebbero preso in giro per chissà quanto), così come rivolgersi a suo cognato Sanji (La faccenda era troppo delicata per affidarsi a quel depravato di un damerino). Perciò aveva deciso di confidarsi con sua sorella, che in occasione del Natale era tornata in città assieme al marito. Lo avrebbe fatto dopo la messa, prima di andare al Baratie per il pranzo.

 

Sbadigliò sonoramente e sputò per terra. Aveva ancora sonno, pur avendo dormito fino a tardi, quella mattina. Talmente tardi che quando si era svegliato aveva trovato la casa vuota e non aveva potuto fare altro che avviarsi a piedi verso la chiesa di San Charloss, che la sua famiglia frequentava da sempre.

 

Tuttavia, un pò a causa dei mille pensieri che gli giravano per la testa, un pò per la sua incredibile capacità di perdersi ovunque, aveva preso tutt'altra strada, senza neanche rendersene conto. Se ne accorse solo quando, alzata la testa, si trovò davanti la statua di Dorton Logue, il fondatore della città. Una rapida occhiata nei dintorni gli rivelò che si trovava in una piazzetta che conosceva bene, luogo di ritrovo per coppie in cerca di intimità, bambini e in generale persone con molto tempo da perdere.

 

E che, rispetto alla chiesa di San Charloss, era dall'altra parte della città.

 

- Merda...- Strinse i denti e maledisse il suo senso dell'orientamento, il sonno e il mondo intero. Ora ci avrebbe messo un'eternità per arrivare alla chiesa. E non era da escludere che si perdesse di nuovo. Perchè diavolo non aveva preso l'auto? Quando guidava riusciva ad orientarsi benissimo, il problema era quando camminava. E invece no, dovevi proprio decidere di fare due passi, brutto coglione!, imprecò mentalmente il poliziotto dando un calcio a un sasso che andò a colpire un gatto randagio che sonnecchiava accanto a una panchina. Il felino si svegliò di soprassalto, fissò di sbieco Zoro e soffiò minaccioso, per poi allontanarsi.

 

Roronoa iniziò ad allontanarsi, deciso a fare più attenzione a dove metteva i piedi, quando all'improvviso sentì il rombo di una moto che si avvicinava.

 

- Ehi, Roronoa!- Era il Capitano Callahan, in sella alla sua Harley, un modello un pò vecchiotto ma in ottime condizioni. L'altro poliziotto si fermò proprio davanti a Zoro e spense la moto, poggiando un piede per terra. Si tolse gli occhiali scuri e li ripose in una tasca del giubbotto.- Che fai in giro?- Il Capitano sembrava di buon umore, particolare che Zoro trovò abbastanza insolito.

 

- Uhm...nulla, signore. Stavo andando in chiesa e...insomma, mi sono perso. Lei, invece?-

 

- Perso? Dici sul serio?-

 

- Sì, signore. Ero...ero sovrappensiero e non ho fatto caso a dove andavo.- Era una bugia credibile, e infatti Smoker ci cascò.

 

- Cose che capitano. Comunque, per rispondere alla tua domanda, ho deciso di approfittare della mattinata per farmi un giro in moto.-

 

- Non va in chiesa?-

 

- No, sono ateo. La mia...la mia compagna aveva insistito perchè andassi anch'io, ma alla fine l'ho spuntata.-

 

Compagna?, pensò Zoro.- Credevo che lei fosse single, signore.-

 

- Ah, certo, perchè un individuo con un carattere da orso come il mio deve stare per forza da solo, eh?-

 

- Non intendevo questo, signore...-

 

- Tranquillo, ti stavo solo prendendo per il culo. Comunque, è una cosa abbastanza recente. O meglio, in passato siamo stati insieme per un periodo, e abbiamo ripreso a frequentarci da qualche settimana.-

 

Zoro annuì, poi gli venne un'idea. Forse il Capitano poteva aiutarlo col suo problema. Non era del tutto sicuro che fosse una buona idea, ma valeva la pena tentare.- A proposito, signore, vorrei chiederle una cosa.-

 

- Di che si tratta?-

 

- Ecco...quando ha ricominciato a frequentare la sua compagna, chi è stato a fare il primo passo?-

 

Smoker rimase un attimo in silenzio, poi rispose.- Uhm...beh, credo si possa dire che sia stata lei. Perchè?-

 

- Nulla, è che...vede, signore, il fatto è che avrei un problema con una ragazza...-

 

- Fammi indovinare. Ti sei finalmente reso conto che Tashigi è pazza di te, e non sai come comportarti.-

 

Zoro rimase di sasso. Come aveva fatto Callahan a indovinare?- Ma...come ha fatto?-

 

- Roronoa, anche un idiota si sarebbe accorto che quella ragazza ti sbava dietro. Mi sa che in tutto il distretto, l'unico a non saperlo eri proprio tu.-

 

Zoro desiderò sprofondare.

 

- Comunque, qual è il problema?-

 

Roronoa prese coraggio e spiegò al suo superiore quanto era accaduto con Tashigi quattro giorni prima.

 

- Hmm...- Callahan si massaggiò il mento.- Mi sa proprio che sei nella merda, ragazzo.-

 

- Già.- rispose mestamente il poliziotto più giovane.- Proprio per questo ho deciso di chiederle aiuto, signore.-

 

Il Cacciatore Bianco appoggiò i gomiti sul davanti della moto e sbuffò.- Sarò sincero, Roronoa. Non credo di poterti aiutare. Io sono l'ultima persona al mondo che dovrebbe dare consigli a qualcun altro in materie sentimentali.

 

- Ma farò comunque un tentativo, se non altro perchè mi sei simpatico.-

 

Quell'affermazione sorprese Zoro. Sentire il Capitano Callahan esprimere simpatia per qualcuno era un evento che definire raro sarebbe stato un eufemismo.

 

- La prima cosa che devi fare, è parlare con Tashigi e scusarti per la tua ottusità.-

 

- Ci ho provato, Capitano, ma lei non vuole neanche vedermi.-

 

- E allora cerca di intrappolarla in una situazione in cui sarà costretta ad ascoltarti. Qualcosa tipo...- E gli raccontò il metodo che aveva usato Bellemere per farsi ascoltare da lui.

 

Zoro strabuzzò gli occhi.- Lo ha fatto davvero?-

 

- Già. Quella donna, quando ci si mette, è capace di tutto.-

 

- Mi sembra un pò estremo...-

 

- Sì, ma non devi fare per forza così. Basta che tu la convinca a starti a sentire.

 

- Dopo, però, la faccenda si fa un pò più complicata. Dimmi, tu cosa provi per Tashigi?-

 

- In che senso?-

 

- Ricambi i suoi sentimenti?-

 

- No. Cioè, le voglio bene, ma come se ne vuole a un'amica.-

 

- Teoricamente, credi che potresti arrivare ad amarla?-

 

- Non so...può darsi.-

 

- Ok. E ti piace? Fisicamente, intendo.-

 

- Beh, sì.- Era vero. Pur non essendo chissà quale esperto di donne, Zoro doveva ammettere che Tashigi era davvero molto bella.

 

- E allora esci con lei.-

 

Zoro si grattò la nuca.- Potrei farlo, Capitano, ma...il fatto è che è passato un sacco di tempo dalla mia ultima relazione seria. E non è andata molto bene.-

 

- Capisco. E hai paura che succeda di nuovo?-

 

- Sì.-

 

- Beh, non è detto che andrà per forza così.

 

- Senti, Roronoa, il mio consiglio è questo: parla con Tashigi. Una volta che ti sarai chiarito, inizia a frequentarla. Vale sempre la pena fare un tentativo, e credo che voi due stareste bene, come coppia.

 

- Se le cose vanno male, cercate di rimanere amici. Se invece vanno bene, rinchiudetevi in casa e dateci dentro come conigli in calore.-

 

Zoro ridacchiò.- V-va bene, Capitano. Farò come mi ha detto. E grazie.-

 

- Figurati.- Smoker sputò a terra e si schiarì la voce.- Senti, io non ho niente da fare, adesso. Vuoi che ti dia un passaggio fino alla chiesa dove dovevi andare?-

 

- Volentieri, sarebbe...- Zoro si interruppe. Qualcosa aveva catturato la sua attenzione.- Ha sentito anche lei?-

 

- Che cosa?-

 

- Quel rumore.-

 

- Di che parli? Io non ho sentito nulla.-

 

- Era piuttosto lontano, me ne sono accorto di sfuggita.

 

- Sembrava...non so, un'esplosione.-

 

***

 

Chiesa di San Charloss

 

Seduta ad ascoltare le parole del prete come tutti gli altri fedeli, Koala strinse la mano di Sabo e si accarezzò la pancia. Era al settimo cielo.

 

Due giorni prima, aveva scoperto di essere incinta di poco più di due mesi. Sabo era rimasto talmente sorpreso dalla notizia che era svenuto, e lei aveva dovuto portarlo in ospedale per rianimarlo. Una volta ripresosi, insieme avevano deciso di comunicare la notizia al resto del parentado durante il pranzo di Natale. Chissà quanto sarà contento papà, pensò la donna sorridendo.

 

Koala non avrebbe potuto essere più contenta. Aveva un lavoro che la soddisfaceva, un marito meraviglioso (Anche se un pò idiota), e stava per diventare madre. Aveva quasi voglia di mettersi a gridare per la gioia.

 

Attorno a lei, il resto delle famiglie Vinsmoke e Roronoa seguiva con attenzione l'omelia. C'erano proprio tutti, compreso un ragazzo di nome Usop che Kaya aveva presentato come il suo fidanzato. Con grande sorpresa di Koala, Zef aveva accolto con gioia il giovane, e anche lei doveva ammettere di trovarlo molto simpatico. L'unico a cui sembrava non andare a genio era Sanji, che continuava a lanciare al ragazzo delle occhiate assassine che solitamente riservava a Zoro.

 

Già, Zoro...chissà che fine aveva fatto. Quando erano usciti per andare in chiesa, suo fratello stava ancora dormendo. Lei aveva deciso di lasciarlo stare, pensando che li avrebbe raggiunti più tardi senza problemi, e invece...

 

Forse si è perso, riflettè. Non sarebbe stata una novità. Anche quando erano piccoli, Zoro aveva dimostrato di avere un senso dell'orientamento a dir poco pessimo. Era molto probabile che si fosse perso lungo il tragitto. Pazienza, lo avrebbero cercato più tardi.

 

Con la coda dell'occhio si accorse della presenza, dall'altro lato della chiesa, di Tashigi, una vecchia amica d'infanzia di Zoro. La ragazza era assieme a suo padre Koshiro, e sembrava decisamente giù di corda. Koala, incuriosita, si chiese il motivo di quel malumore. Decise che, una volta finita la messa, sarebbe andata a fare quattro chiacchiere con Tashigi. In passato, nonostante la differenza d'età, tra le due si era creata una certa confidenza, tanto che Koala la considerava quasi come una sorella minore. Anche se non si vedevano da un pezzo, era sicura che l'occhialuta sarebbe stata felice di parlare con lei, e se avesse avuto qualche problema l'avrebbe senz'altro aiutata.

 

In quel momento, però, accadde qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. La porta della chiesa si aprì, e un uomo con un lungo impermeabile scuro entrò dentro, iniziando a incamminarsi lungo la navata centrale.

 

Tutti si ammutolirono, anche il prete. Chi era quell'uomo? Che intenzioni aveva?

 

La sua identità non la scoprirono mai. In quanto alle intenzioni...

 

L'uomo misterioso si fermò a poca distanza da dove si trovavano i Vinsmoke e i Roronoa, sfoderò un sorriso inquietante e aprì l'impermeabile. Addosso aveva degli oggetti che lei non riuscì a identificare, ma che causarono un panico immediato.

 

- AAAHHH! UNA BOMBA!-

 

A quel punto avvenne tutto con una tale rapidità che Koala quasi non se ne rese conto. Vide Sabo spostarsi in modo da farle da scudo, sentì il rumore di un'esplosione, e alla fine perse i sensi.

 

***

 

Chiesa di San Roswald

 

-...e ora, figlioli, preghiamo.- Padre Urouge allargò le braccia e intonò un salmo, seguito a ruota dai fedeli riuniti nella chiesa (Alcuni dei quali, lo sapeva, si limitavano a muovere la bocca senza parlare). Stavolta erano più del solito, cosa che non aveva mancato di rallegrare il sacerdote.

 

In fondo a una delle due file di panche (La chiesa non era molto grande) poteva vedere il Generale Monkey e i suoi nipoti, e accanto a loro Robin e i membri della famiglia O'Malley. La ragazza era molto devota, e non mancava mai alle varie funzioni e iniziative della parrocchia. Lui era sempre felice di vederla. Da quando era arrivata a Loguetown, due anni prima, le era stato vicino e l'aveva aiutata come poteva, e ormai si poteva dire che le volesse bene come a una figlia.

 

Tra l'altro, gli era anche sembrato che la ragazza fosse un pò più allegra del solito. Non era sicuro del motivo, ma era probabile che avesse a che fare con la ragazza dai capelli rossi che le sedeva accanto. Gliela aveva presentata come una semplice amica, anche se dal modo in cui la guardava era chiaro che i suoi sentimenti erano ben altri. Non sapeva se la rossa (Gli sovvenne in quel momento che il suo nome era Nami) ricambiava, e neanche se era dello stesso orientamento di Robin, ma aveva avuto comunque un effetto positivo su di lei. Ne era felice. Quella ragazza aveva sofferto molto, e un pò di felicità non poteva farle che bene.

 

Concluso il salmo, fece per iniziare la parte successiva della funzione, quando all'improvviso le porte della chiesa si spalancarono con un botto che fece tremare le pareti.

 

- Ma che...-

 

- Ehi, che succede?-

 

Un gruppetto di uomini armati e a volto coperto entrò in chiesa. Si fermarono al centro della navata e alcuni puntarono le armi verso i fedeli. Uno di loro, evidentemente il capo, si staccò dal gruppo e si fermò davanti all'altare, per poi girarsi verso la congregazione.- Statemi bene a sentire, branco di stronzi. Io e i miei uomini facciamo parte della Baroque Works, e abbiamo deciso di venire a farvi una visitina in occasione del Santo Natale. Non vogliamo uccidere nessuno, ma se costretti lo faremo! Ora dateci tutti i vostri soldi e vi prometto che vi lasceremo vivere.-

 

Tra la folla si diffusero dei mormorii impauriti. Urouge, furente, scese dall'altare e si avvicinò all'uomo.- Come vi permettete di entrare qui dentro e minacciare di morte delle persone?! Questa è la casa di Dio!-

 

Il terrorista si girò, infastidito da quell'intromissione.- Stai zitto, sporco negro!- Puntò la pistola contro il sacerdote, pronto a far fuoco.

 

Ma prima ancora che potesse premere il grilletto, Urouge gli mollò un pugno che gli fece volar via la pistola, seguito da un altro colpo micidiale, stavolta al ventre, che lo spedì al tappeto. Il tutto accadde con una tale rapidità che il terrorista a malapena si rese conto dell'accaduto, prima di svenire con un gemito.

 

- Se c'è una cosa che odio più della maleducazione, è il razzismo.- asserì il prete in tono grave.- E per la cronaca, la mia famiglia è originaria delle isole del Pacifico, non dell'Africa.-

 

Gli altri terroristi della Baroque Works fissarono sbalorditi Urouge. Quest'ultimo iniziò ad avvicinarglisi, facendo scroccare le nocche e guardandoli in maniera poco rassicurante.

 

- Sapete, prima di prendere i voti, facevo il lottatore di kickboxing. E di tanto in tanto, mi alleno ancora...-

 

Gli assalitori erano talmente impauriti dalla stazza di quel mastodontico prete e dalle sue parole che non pensarono neanche a sparargli. Si limitarono a tremare (Bagnandosi nel mentre i pantaloni) e a mormorare un flebile: - Oh, merda...-

 

***

 

Negli studi di Logue Channel

 

Abitando vicino al suo luogo di lavoro, Paula Rockbell ebbe modo di recarsi subito in redazione per raccontare quanto stava avvenendo.

 

-...ripetiamo per chi si fosse appena sintonizzato: diversi gruppi di terroristi appartenenti all'organizzazione nota come Baroque Works hanno assalito la città di Loguetown approfittando delle festività natalizie.

 

- Non sappiamo quanti siano i criminali, o che obiettivi abbiano. L'unica cosa che possiamo dire con certezza è che non si fanno scrupoli a colpire luoghi come le chiese. Ci è stata infatti segnalata un'esplosione proveniente dalla chiesa di San Charloss, oltre a diverse sparatorie davanti ad altri luoghi di culto, non solo cristiani ma anche di altre fedi.

 

- Ma colleghiamoci subito con il nostro inviato, Mike Galdino. Mike, ci sei?-

 

Sullo schermo alle spalle della Rockbell apparve l'immagine di Galdino. Si trovava in una delle vie centrali della città, e a giudicare dalla sua espressione, non doveva essere molto contento.

 

- Paula, qui è un inferno. I terroristi della Baroque Works hanno messo a ferro e fuoco il centro della città. Sparano a tutto ciò che si muove!-

 

- La polizia è intervenuta?-

 

- Per il momento no, molti dei poliziotti stanno celebrando il Natale con le loro famiglie. Ma alcuni di loro erano in strada, e hanno già iniziato ad affrontare i terroristi.

 

- Proprio qui vicino ho notato il celebre Capitano Clint Callahan assieme a un altro poliziotto. I due stanno facendo il possibile per contrastare gli assalitori.-

 

L'inquadratura cambiò, mostrando un vero e proprio campo di battaglia. Alcune auto parcheggiate lungo il marciapiede avevano preso fuoco, così come le insegne di un paio di negozi. In lontananza, nascosti dietro a un'auto ribaltata, si potevano vedere Smoker e Zoro impegnati in uno scontro a fuoco con gli uomini della Baroque Works.

 

Paula Rockbell osservò l'immagine senza mostrare alcuna emozione. Evidentemente, col suo mestiere era abituata a scene del genere.

 

L'inquadratura tornò a mostrare Galdino, ora ancora più terrorizzato di prima.- La situazione non è delle migliori, Paula. Sarebbe meglio che me ne andassi da qui e mi rifugiassi in un posto sicuro.- Al che si udì una raffica di mitragliatrice. Galdino iniziò a tremare.

 

- No, Mike, sarebbe meglio se rimanessi lì. Questa tragedia deve essere raccontata.-

 

Un proiettile sfiorò la testa di Galdino.- AAAAHHHH! PAULA, IO QUI RISCHIO IL CULO!-

 

La Rockbell sembrò non curarsi molto del pericolo che correva Galdino.- Nasconditi dietro un cespuglio, Mike, ma continua a riprendere. Mi raccomando.-

 

Una nuova raffica di mitragliatrice coprì gli insulti del giornalista. Paula Rockbell, impassibile, riprese a parlare.- Continueremo a narrarvi in diretta questo attacco alla nostra città. Restate sintonizzati...-

 

***

 

Per le strade della città

 

Nel corso della sua carriera di poliziotto, Zoro era stato coinvolto più e più volte in sparatorie contro criminali armati. Ma si era trattato di robe relativamente leggere.

 

Quella in cui era impegnato al momento, invece, sembrava più una scena di guerra. Proiettili volavano in tutte le direzioni, alcune auto bruciavano e molta gente urlava. Tra questi, il Capitano Callahan, nascosto assieme a Zoro dietro un'auto ribaltata.

 

Mentre Zoro si limitava a rispondere al fuoco, Callahan con una mano continuava a sparare in direzione dei terroristi, mentre con l'altra teneva un telefono attaccato all'orecchio, urlando come un ossesso.- VOGLIO TUTTI GLI UOMINI DISPONIBILI! ANCHE LA FOTTUTA HINA BLACKCAGE E LE SUE FOTTUTE SQUADRE SWAT! QUESTA E' UN'EMERGENZA, CAZZO!-

 

Zoro non aveva mai sentito il Capitano imprecare così tanto. Del resto, quella in cui si trovavano era una situazione eccezionale.

 

Decisi ad indagare sulla natura del rumore udito da Zoro, i due poliziotti si erano immediatamente ritrovati in una situazione da incubo. Dopo essere miracolosamente scampati a un assalto degli uomini della Baroque Works, avevano scassinato un negozio di armi (Avevano entrambi lasciato le loro armi di ordinanza al distretto, che era troppo lontano da dove erano in quel momento. Smoker si era comunque ripromesso di risarcire il proprietario del negozio, quando tutto fosse finito), prendendo ciascuno un paio di pistole calibro 45 e diverse scatole di munizioni. In men che non si dica erano incappati in altri terroristi, il che li aveva portati alla loro situazione attuale.

 

Smoker chiuse la comunicazione e smise di sparare. Quasi contemporaneamente, smise anche Zoro.- Merda, ho di nuovo finito i colpi.- Si inginocchiò, prese altre munizioni e iniziò a ricaricare l'arma. I terroristi, invece, continuarono a sparare, anche se con meno intensità.

 

- Anch'io. Quei figli di puttana, invece, sembrano averne quanti ne vogliono.- Diede un'occhiata alle scatole di munizioni.- Siamo quasi rimasti a secco.-

 

- E adesso che facciamo, signore?-

 

- Continuiamo a sparare. I rinforzi saranno qui a breve.- Ricaricò rapidamente la .45.

 

- E se non arrivano in tempo?-

 

- Allora venderemo cara la pelle.- rispose Smoker digrignando i denti.- Se proprio dobbiamo crepare, meglio farlo combattendo e cercando di portare con noi qualcuno di quegli stronzi.-

 

Zoro non potè fare altro che annuire.

 

Smoker prese un respiro profondo e guardò Zoro negli occhi.- Al mio tre, ricominciamo. E stavolta vediamo di non sprecare colpi.- Si mise in posizione.- Uno, due...-

 

Prima che Callahan arrivasse a tre, da una strada alle loro spalle giunse a tutta velocità un furgone nero con uno stemma sulla fiancata. I due poliziotti, sorpresi da quell'apparizione improvvisa, si bloccarono con le pistole in pugno. I terroristi smisero di sparare, probabilmente per lo stesso motivo. Sulla fiancata del veicolo c'era un simbolo con una scritta, ma andava così veloce che Zoro e Smoker non riuscirono a leggerla. Alla fine si fermò. Le porte sul retro si aprirono e ne vennero fuori diversi uomini vestiti di nero e armati di tutto punto. I nuovi arrivati iniziarono subito a bersagliare i terroristi.

 

- E questi?- esclamò Zoro.

 

- Non sembrano Swat...- rispose l'altro poliziotto.

 

Uno degli uomini in nero si staccò dal gruppo e corse verso di loro. Zoro vide che indossava un casco nero che lasciava scoperto il volto (E non poteva essere altrimenti, visto il naso spropositato che si ritrovava), e che era armato con un fucile M-4 completo di lanciagranate.

 

- Voi due, che ci fate qui? Allontanatevi immediatamente! Questa è una zona pericolosa.-

 

- Davvero? Non l'avevamo notato.- rispose sarcastico Zoro.

 

- Siamo poliziotti, e stiamo facendo il nostro lavoro. Voialtri, piuttosto, chi cazzo siete?- ruggì Smoker.

 

- Cipher Pol Aigis, squadra 9. Eravamo in città e abbiamo deciso di venire a dare una mano.- rispose l'altro, il cui nome, a giudicare dalla targhetta che aveva sul giubbotto antiproiettile, era "Kaku".- Abbiamo anche mobilitato tutte le altre nostre squadre in zona.-

 

- Ma non siete un'agenzia privata?- chiese Zoro, stringendo forte l'impugnatura della pistola.

 

Kaku sorrise.- Tranquillo, questa la offre la ditta.-

 

- Bene, allora visto che stiamo dalla stessa parte direi di smetterla di blaterare e di occuparci di quegli stronzi laggiù.- Smoker prese la mira e riprese a sparare.

 

Zoro e Kaku seguirono il suo esempio.

 

***

 

Chiesa di San Roswald

 

Il furgone si fermò davanti alla chiesa. Le portiere si aprirono e ne uscirono quattro uomini armati. Erano venuti lì per scoprire cosa era successo ai loro compagni, che avevano fatto irruzione nell'edificio più di mezz'ora prima ma non erano ancora usciti. Avrebbero dovuto incontrarsi lì fuori per poi riunirsi col resto del gruppo e lasciare la città. Eppure, qualcosa li aveva trattenuti. Era improbabile che se la fossero filata o che i fedeli li avessero sopraffatti. Che fosse intervenuta la polizia?

 

Beh, qualunque cosa fosse successa, stavano per scoprirlo.

 

Quando ormai mancavano pochi metri alla destinazione, le porte della chiesa si aprirono. I terroristi si fermarono. Ci fu un attimo di silenzio, poi un oggetto non meglio identificato volò fuori dalla chiesa fino ad atterrare davanti a loro. Lo riconobbero, era uno dei loro compagni. Era svenuto, e dal modo in cui era conciato sembrava che qualcuno lo avesse pestato a dovere. Si scambiarono uno sguardo interrogativo. Al che dall'edificio iniziarono ad uscire gli altri loro compagni, tutti alla stessa maniera del primo. I terroristi erano sempre più confusi.

 

Una volta concluso il lancio dei corpi, dalla chiesa venne fuori una montagna umana in abito talare che brandiva minacciosamente un grosso cero. I terroristi sentirono dei brividi di puro terrore corrergli lungo la schiena. Ecco cos'era successo ai loro compagni!

 

Il prete li squadrò per un attimo e sorrise.- Siete qui per confessare i vostri peccati, cari figlioli?-

 

I terroristi non risposero, intimiditi dalla mole del sacerdote. Si limitarono a raccogliere in fretta i loro compagni e a tornare sul furgone, che partì con un gran stridio di gomme verso una destinazione più sicura.

 

***

 

Davanti a una banca

 

Il terrorista col passamontagna guardava i suoi uomini uscire dalla banca con le braccia cariche di soldi. Si concesse un breve sorriso e prese il walkie-talkie che aveva attaccato alla cintura. Premette un tasto e parlò.- Qui Mr. 1. Mi riceve, Mr. 0?-

 

- Forte e chiaro. Come vanno le cose lì?- gracchiò la voce dall'altra parte.

 

- Splendidamente. Abbiamo appena finito di ripulire la banca.-

 

- Ottimo, ma fareste meglio a svignarvela il prima possibile. La polizia e le squadre della Cipher Pol stanno avendo la meglio, e ho appena saputo che sta anche arrivando la Guardia Nazionale. Non credo che saranno molto gentili, con voi. Questa fase dell'Operazione Utopia può anche considerarsi conclusa.-

 

- Ricevuto, Mr. 0. Io e i miei uomini ce ne andremo da qui all'istante. Passo e chiudo.- Spense l'apparecchio e lo rimise a posto.- Va bene, branco di scimmie. Qui abbiamo finito. Andiamocene, prima che arrivino gli sbirri!-

 

I terroristi finirono di caricare i soldi sul furgone e se ne andarono.

 

***

 

Negli studi di Logue Channel

 

-...l'intervento delle squadre dell'agenzia Cipher Pol Aigis ha rapidamente cambiato le carte in tavola, dando una sonora batosta ai terroristi della Baroque Works. Nonostante le forze di polizia abbiano fatto la loro parte, in particolare per quanto riguarda il Capitano Clint Callahan del terzo distretto e le squadre Swat del Capitano Blackcage, la maggior parte dei cittadini da noi intervistati ritiene che il merito sia tutto dell'agenzia fondata dal sindaco Jonas Petricelli.

 

- Adesso, a poco più di mezz'ora dalla fine dell'assalto della Baroque Works, che ha tenuto nel terrore la nostra città per quasi tre ore, è giunto il momento di fare un bilancio dei danni e delle perdite.- La Rockbell fece una piccola pausa e continuò.

 

- I danni prodotti dai terroristi in tutta la città ammontano a circa 17 milioni di dollari, secondo le prime stime. Auto incendiate, negozi distrutti ed edifici vandalizzati al solo scopo di creare danno. Per non parlare delle rapine effettuate nelle due principali banche della città. Secondo le forze dell'ordine, l'obiettivo della Baroque Works erano proprio i soldi contenuti nei caveau, esattamente 53 milioni in denaro, titoli e preziosi, che adesso verranno sicuramente utilizzati per finanziare le loro attività illegali.

 

- Per quanto riguarda le vite umane, purtroppo le notizie non sono migliori. Al momento si contano 56 feriti e 19 morti, ma si tratta di un bilancio provvisorio, in quanto molti dei feriti versano in gravi condizioni e non si sa se ce la faranno.

 

- Insomma, si può dire con certezza che questo sia stato il Natale peggiore della storia di Loguetown. A peggiorare ulteriormente le cose, le forze impegnate nella difesa della città non sono riuscite a catturare neanche uno dei terroristi, che, come abbiamo annunciato all'inizio, sono scappati subito prima dell'arrivo della Guardia Nazionale.

 

- In un comunicato rilasciato poco fa dal municipio, il sindaco Petricelli ha espresso la sua solidarietà alle vittime dell'assalto, affermando che metterà a disposizione tutte le sue risorse, sia come primo cittadino che come imprenditore, per rimediare ai danni subiti dalla città.

 

- E ora colleghiamoci con Mike Galdino, che a dispetto di tutte le sue previsioni è rimasto illeso, per un'intervista esclusiva col Capitano Clint Callahan.-

 

Sullo schermo alle spalle della giornalista ricomparve Galdino, palesemente nervoso ma senza un graffio.

 

- Paula, purtroppo il Capitano continua a rifiutare di farsi intervistare, e credo che sia meglio non insistere. Sai anche tu quanto quell'uomo sia irascibile...-

 

Quasi a conferma delle parole del giornalista, proprio in quel momento si udì la voce fuori campo di Callahan.

 

- ANCORA QUI, VOI SCIACALLI DEI MEDIA! PENSAVO DI ESSERE STATO CHIARO. FUORI! DALLE! PALLE!-

 

Galdino sbiancò, fissando un punto al di fuori dell'inquadratura.- Ecco, proprio come stavo dicendo. Io me ne andrei...-

 

- Va bene, Mike, per questa volta va bene così.- Il collegamento si interruppe e Paula Rockbell tornò a rivolgersi agli spettatori.- Più tardi cercheremo comunque di intervistare altre persone coinvolte nella difesa della città. Come sempre, vi invito a restare sintonizzati...-

 

***

 

Chiesa di San Charloss

 

Zoro si faceva largo tra la folla di gente assiepata sulla strada davanti alla chiesa. Dopo aver lasciato Smoker in compagnia delle autorità cittadine, si era fatto dare un passaggio dagli uomini della Cipher Pol fino alla chiesa di San Charloss. Doveva assolutamente scoprire se la sua famiglia stava bene.

 

Aveva il cuore in gola. Durante il tragitto, aveva sentito alla radio del furgone i primi resoconti dell'assalto alla città. Per poco non era svenuto. Non aveva mai provato così tanta paura, in vita sua. Se per caso fosse capitato qualcosa a Koala o a suo padre, o anche a qualcuno dei Vinsmoke (Era preoccupato anche per quel cretino di Sanji, il che la diceva lunga sulla gravità della situazione), proprio non sapeva cosa avrebbe fatto.

 

Finalmente individuò la sua famiglia. Erano tutti accanto a un'ambulanza. Accelerò il passo e sperò per il meglio.- Ehi!- gridò.

 

Il viso stravolto di Koala fu il primo a voltarsi nella sua direzione.- Zoro...- Sua sorella gli corse incontro e lo abbracciò.- Meno male, stai bene. Eravamo tutti così preoccupati per te...- La donna era palesemente sul punto di scoppiare a piangere, ma per il resto sembrava illesa.

 

Zoro le accarezzò i capelli.- Tranquilla, sto bene. Voialtri, piuttosto?-

 

Koala si staccò da lui e indicò gli altri.- Stiamo tutti bene, ma il vecchio Zef...- singhiozzò.-...è stato ferito gravemente, e dovranno portarlo in ospedale.-

 

Il poliziotto imprecò a denti stretti. Gli dispiaceva parecchio per l'anziano Vinsmoke.- Cos'è successo?-

 

- A un certo punto è entrato un tizio con una bomba e si è fatto esplodere.- disse Sabo, che nel frattempo si era avvicinato ai due Roronoa, seguito da Sanji. Il padre di Zoro era rimasto accanto al vecchio Zef, assieme a Kaya e a un ragazzo dal naso lungo che Zoro non aveva mai visto prima. Degli infermieri stavano caricando il patriarca dei Vinsmoke sull'ambulanza.- Per fortuna non era molto potente, ma ha fatto comunque dei danni seri. Parte della chiesa è crollata. Non ho visto morti, finora, ma i feriti sono parecchi.- L'avvocato aveva il braccio sinistro fasciato.

 

- Ti sei fatto male?- gli chiese Zoro.

 

- Sì, ma non è dovuto alla bomba. Con tutto quel casino, la gente è andata nel panico, e alcuni mi sono passati addosso. Ma non è niente di che.-

 

- Anch'io sto bene, grazie per avermelo chiesto...- mormorò Sanji.

 

- Stai zitto, tu!- lo zittì Zoro, ma con meno astio del solito. Si sentiva molto sollevato, e, incredibile ma vero, non aveva voglia di azzuffarsi con suo cognato. Anche perchè sarebbe stato fuori luogo.

 

- Ah, Zoro, c'è un'altra cosa...- disse Koala.

 

- Di che si tratta?-

 

- Ecco...quella tua amica, Tashigi...-

 

Il poliziotto ebbe un brutto presentimento.- Era anche lei qui?-

 

- Sì, era con suo padre. Lui...gli è crollata addosso una parte del muro della chiesa, ha cercato di proteggere la figlia, e...-

 

Zoro la interruppe. Aveva già capito tutto.- Dov'è, adesso?-

 

Koala indicò l'ambulanza.- Lì. Vogliono portarlo in ospedale assieme a Zef.-

 

Zoro iniziò a correre verso il veicolo. Una sensazione di angoscia opprimente gli attanagliava lo stomaco. Non era sicuro che Tashigi avrebbe accolto bene il suo arrivo, ma doveva almeno vedere come stavano lei e suo padre. Più in là avrebbe pensato a sistemare le cose tra loro due.

 

Ignorò le proteste degli infermieri e si infilò nell'ambulanza. Koshiro era sdraiato su una barella, con gli occhi chiusi e il cranio fasciato. Il petto dell'uomo si alzava e si abbassava lentamente. Sembrava parecchio malconcio. E in piedi accanto a lui...

 

- Tashigi.-

 

Al suono della sua voce, la ragazza si girò e lo guardò con occhi rossi per il pianto.- Zoro...- Rimase un attimo a guardarlo, poi lo abbracciò e gli appoggiò il volto sul torace. Le lacrime le scendevano copiose dagli occhi, andando a bagnare l'abito del poliziotto.- Zoro...Oto-san...-

 

Incerto sul da farsi, Zoro la strinse forte e cercò di confortarla come meglio poteva. Per un attimo si dimenticò di tutto ciò che lo circondava. Non sentì i richiami di Koala e gli altri, o gli inviti degli infermieri ad andarsene da lì. Gli unici suoni a cui prestava attenzione erano i singhiozzi di Tashigi sul suo petto.

 

In quel momento, una singola lacrima rigò la guancia del poliziotto.

 

***

 

Chiesa di San Roswald

 

La gente radunata nella chiesa aveva iniziato ad uscire fuori, anche se con circospezione. Fino a quel momento erano rimasti chiusi nell'edificio, per paura di nuovi attacchi. Fortunatamente, dopo quei terroristi venuti a recuperare i loro compagni, non si era presentato più nessuno. Padre Urouge e il Generale Monkey, assieme a qualche altro volenteroso, si erano occupati della sorveglianza. Ora, parecchi minuti dopo la fine dell'assalto, avevano riaperto le porte della chiesa, e stavano aspettando l'arrivo delle autorità.

 

Il sentimento prevalente tra la folla era il sollievo. Molti, all'arrivo degli uomini della Baroque Works, si erano spaventati a morte. Quasi non gli sembrava vero di averla scampata.

 

Altri, invece, come ad esempio il buon Garp, erano visibilmente inviperiti. Ce l'avevano a morte con quei criminali, e se gliene fosse capitato qualcuno davanti, lo avrebbero sicuramente conciato per le feste.

 

Affiancato dai suoi nipoti, Ace e Rufy, Garp stringeva i pugni e digrignava i denti. A dire la verità, quello non era un atteggiamento insolito per il generale dei marines, noto nelle forze armate americane per il suo temperamento.- Ma non avevano niente di meglio da fare, questi stronzi? Dovevano proprio venire a rovinarci il Natale? Ma porc...-

 

- Nonno!- lo bloccò Ace.- Proprio qua devi metterti a bestemmiare?!-

 

Il marine alzò lo sguardo verso il campanile, ricordandosi solo in quel momento di essere davanti a una chiesa.- Sì, scusa.- disse, rivolto più al padrone di casa che a suo nipote, facendosi rapidamente il segno della croce.

 

Poco lontano da loro, Sergei Ivankov teneva ben stretto il braccio di Sir Bentham.

 

- Giuro, Bentham, in vita mia non ho mai avuto così tanta paura.-

 

- A chi lo dici. Per un attimo, ho pensato che avrei incontrato i miei antenati prima del tempo.-

 

- Meno male che c'era Urouge.-

 

- Già. Chi se l'immaginava che fosse così combattivo. Voglio dire, è un prete...-

 

- Credimi, quello se volesse potrebbe abbattere una parete.-

 

Nel frattempo, Nami e Robin cercavano di superare come meglio potevano lo shock.

 

- Stai tranquilla, Nami. E' tutto finito.- disse Robin alla rossa, delle due la più emotiva.

 

- Sai, Robin, qualche volta di queste dovrai spiegarmi come fai a rimanere sempre così calma.- rispose la giovane Watanabe, tremando e stringendosi le braccia attorno al corpo.- Da quando sono entrati quei tipi, non ti ho vista battere neanche un ciglio. Non hai tremato, neanche quando abbiamo sentito tutti quegli spari e quelle esplosioni. Davvero, come fai?-

 

La mora ridacchiò e si mise in testa il cappello bianco da cowboy, che fino a quel momento aveva tenuto in mano.- A essere sincera, non lo so nemmeno io.-

 

Le due ragazze incrociarono lo sguardo per un istante, per poi mettersi a ridere. Urouge, che le osservava dall'entrata dell'edificio, fu felice di vedere che si erano riprese.

 

Purtroppo, proprio quando sembrava che tutto fosse finito, accadde qualcosa che nessuno dei presenti si sarebbe mai augurato. Qualcosa che cancellò del tutto la sensazione di sollievo che si era andata diffondendo tra la folla.

 

Uno sparo echeggiò nell'aria.

 

- Ma che...- Urouge si guardò attorno. Lo sparo sembrava molto vicino. Forse...

 

Ci fu un altro sparo, e stavolta il proiettile sfiorò l'enorme sacerdote.- Un cecchino. SVELTI, TUTTI AL RIPARO!-

 

Senza mettersi a discutere, tutti eseguirono l'ordine del prete. Anche Nami e Robin fecero per rientrare in chiesa. Ci furono altri spari, e la gente iniziò seriamente ad andare nel panico.

 

- Questa non ci voleva...- mormorò la rossa impaurita.

 

Robin si avvicinò alla sua amica per cercare di confortarla.- Non preoccuparti, andrà...-

 

Un altro sparo stroncò le parole della mora.

 

- Cosa...- Nami si girò e vide Robin cadere a terra con del sangue che le usciva dalla testa. Per un attimo, fu come se tutto attorno a lei si fosse fermato. Vide il cappello bianco dell'altra col foro prodotto dal proiettile e macchiato di sangue, i suoi occhi spalancati per la sorpresa, che la fissavano come per chiederle cosa stesse succedendo.

 

- ROBIN!- Il vocione di Urouge la riscosse. Sentì il prete arrivare di corsa verso di lei. Si chinò sull'amica e cercò di tamponare la ferita come meglio poteva.

 

Urouge la allontanò con un gesto e prese in braccio Robin.- Robin...riesci a sentirmi?-

 

La mora non rispose.

 

Il sacerdote aggrottò la fronte.- Quegli animali...- Un ennesimo sparo attirò la sua attenzione.- Meglio rientrare in chiesa.- Cominciò ad allontanarsi di corsa, stando attento a non far cadere la ragazza. Nami, tremando, raccolse il cappello di Robin e lo seguì.

 

Urouge faceva di tutto per non mettersi a piangere.- Signore, ti prego, fa che sopravviva. Ti prego...- mormorò tra sè e sè.

 

Stretta tra le sue colossali braccia, Robin non capiva più cosa stava succedendo. La testa le faceva male, e si sentiva come se tutte le sue energie la stessero abbandonando. Si augurò che Nami e gli altri stessero bene. Chiuse gli occhi ed emise un gemito appena percepibile. Poi perse i sensi.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Rieccomi qua, vi sono mancato?

 

(Silenzio tombale)

 

Vabbè, lasciamo perdere. Su questo capitolo non ho niente da dire, spero soltanto che vi sia piaciuto. L'ho scritto durante le vacanze, con il caldo e le zanzare che mi tormentavano e i cosiddetti a mollo nelle acque del Mediterraneo. Se vi è piaciuto, ma anche se vi ha fatto schifo e volete invitarmi a cambiare mestiere, lasciatemi una bella recensione.

 

Ci rivediamo tra due settimane col prossimo capitolo. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 14: Dolore ***


Capitolo 14: Dolore

 

5 Gennaio 2016

Loguetown, California, USA

Negli studi di Logue Channel

 

-...e a distanza di dieci giorni da quello che è stato battezzato come il "Massacro di Natale di Loguetown", nonostante gli ingenti sforzi della polizia, della Guardia Nazionale e dell'agenzia Cipher Pol Aigis, le indagini non sono ancora arrivate a una conclusione. Tutte le ricerche effettuate nei vari ambienti della criminalità organizzata e dei gruppi paramilitari di estrema destra hanno dato esito negativo. I terroristi della Baroque Works sono ancora a piede libero, purtroppo.- Paula Rockbell sospirò mestamente e si preparò a leggere la notizia successiva. Gli eventi di cui aveva appena finito di parlare l'avevano colpita profondamente. Nonostante avesse sempre cercato di essere fredda e cinica, non aveva potuto rimanere indifferente di fronte a quel massacro insensato. Un attacco del genere alla sua città, e perlopiù in un giorno di festa...che razza di mostro avrebbe potuto architettare una cosa del genere? Non riusciva a capirlo. Comunque, il fatto che nessuno dei suoi parenti o amici fosse stato coinvolto la rincuorava un pò.

 

- Ora passiamo a una notizia un pò più leggera, anche se non esattamente allegra, soprattutto visto il periodo che stiamo passando.

 

- Nella giornata di ieri si sono tenute le elezioni che, almeno in teoria, avrebbero dovuto decidere il nuovo Governatore del nostro Stato. Purtroppo, come spesso accade, la realtà è stata molto più complicata della teoria.

 

- Infatti, come forse alcuni di voi già sapranno, il gran numero di candidati presenti ha fatto sì che non si riuscisse a determinare un vincitore. Sono però emersi quattro candidati, che, incredibilmente, hanno ottenuto lo stesso identico numero di voti: Gomez Pink, già vice del defunto Newgate e ora Governatore pro tempore della California; Lawrence Cavendish, noto attore di origine inglese; Eli Satch, ex senatore e presidente dell'associazione benefica Moby Dick; e Jonas Petricelli, imprenditore e politico, oltre che attuale sindaco di Loguetown.

 

- Per superare questa situazione di stallo, è stata fissata una nuova votazione la settimana prossima, in cui i cittadini delle California dovranno scegliere tra i quattro candidati di cui prima.- Si schiarì la voce.

 

- Con un pò di fortuna, tra una settimana avremo quindi un nuovo Governatore. Un vecchio sondaggio sulla nostra pagina di Facebook indicava come favorito Jonas Petricelli, e a quanto pare il sindaco è ancora in testa.

 

- Voi cosa ne pensate? Ce la farà? Oppure credete che a vincere sarà qualcun altro? Fatecelo sapere, e restate sintonizzati per ulteriori aggiornamenti sulle elezioni...-

 

***

 

Villa della famiglia Petricelli

 

-...il gran numero di candidati presenti ha fatto sì che non si riuscisse a determinare un vincitore...-

 

Jonas Petricelli, alias Sir Crocodile, seduto sulla sontuosa poltrona del suo salotto con in mano un calice di buon vino, sorrise in maniera sinistra. Un'altra fase dell'Operazione Utopia andata splendidamente. Ancora un pò di pazienza, e il giorno del suo trionfo sarebbe arrivato.

 

Si portò il calice alle labbra e bevve un altro sorso di vino.

 

***

 

Saint Kureha General Hospital

 

Zef Vinsmoke aprì lentamente gli occhi. In un primo momento, vedendo solo forme indistinte, non capì dove fosse. Poi la vista gli tornò del tutto, e si rese conto di essere sdraiato su un letto, in quella che sembrava la stanza di un ospedale.

 

- Ma che diavolo...-

 

- Oh, finalmente si è svegliato, signor Vinsmoke. Stava cominciando a farci preoccupare, sa?-

 

A parlare era stato un medico appena entrato nella stanza. Zef lo riconobbe: era il dottor Trafalgar, lo stesso che si era occupato di accertare il suo effettivo stato di salute, qualche tempo prima.

 

- Dottore...cos'è successo?- mormorò l'anziano.

 

- Non ricorda niente?-

 

- L'ultima cosa che ricordo è che ero in chiesa ad ascoltare la messa di Natale. Come ci sono finito qui?-

 

- Hmm...una piccola perdita di memoria. Dovuta al trauma, senza dubbio.- borbottò tra sè e sè il medico.- Comunque, per farla breve, un terrorista si è fatto esplodere nel bel mezzo della chiesa. Lei è stato ferito gravemente, e ha riacquistato i sensi solo adesso. A proposito, oggi è il 5 Gennaio. Buon anno.-

 

Zef strabuzzò gli occhi. Le parole del medico gli avevano fatto riaffiorare qualche ricordo, anche se erano perlopiù immagini confuse.- Ha detto...gravemente?-

 

- Sì, ma non c'è più da preoccuparsi. Ormai l'abbiamo curata. Dovrà solo stare a riposo per qualche giorno. Ma a parte questo, signor Vinsmoke, la dichiaro ufficialmente fuori pericolo. E' libero di andare. Chiamerò la sua famiglia.-

 

Il proprietario del Baratie tirò un sospiro di sollievo.- Meno male...un attimo, e la mia famiglia? Loro stanno bene?-

 

- Un paio di loro erano un pò ammaccati, ma per il resto stanno tutti benone. Li avesse visti, erano tutti così preoccupati per lei, specialmente sua figlia...- Il dottor Trafalgar sospirò.- Comunque, al momento sono tutti in sala d'attesa. Da quando lei è arrivato, si sono praticamente accampati lì. Se la sente di vederli, o vuole aspettare un pò?-

 

- No, li faccia...li faccia venire.-

 

- Come vuole.-

 

Dopo neanche due minuti, Zef vide la stanza invasa dai membri della sua famiglia.

 

- PAPA'!- gridò Kaya lanciandosi verso il letto e abbracciando il genitore. Gli altri parenti si sparpagliarono tutti attorno al letto. Con la coda dell'occhio, Zef vide che erano presenti anche Koala e Usop, il fidanzato brasiliano di Kaya.

 

- Signorina Vinsmoke, le consiglierei di non stringere troppo, a meno che non voglia soffocarlo.- giunse la voce del dottor Trafalgar.

 

La ragazza si staccò dal padre e si asciugò una lacrima.- Eravamo così preoccupati, papà...-

 

- Come ti senti, Zef?- gli chiese Koala.

 

- Meglio, adesso che vi vedo. State tutti bene?-

 

- Io ho avuto il braccio fasciato per qualche giorno, ma per il resto stiamo bene.- rispose Sabo.

 

- Ci hai fatto prendere proprio un bello spavento, sai, vecchio?- intervenne Sanji, facendo ruotare una sigaretta spenta tra le dita.- Cominciavo a pensare che stessi per tirare le cuoia.-

 

Tutti gli altri guardarono di sbieco il secondogenito dei Vinsmoke, tranne Zef. Conosceva bene Sanji, e sapeva che quando faceva così era per nascondere ciò che provava davvero.- Ti sarebbe piaciuto, eh? Così avresti avuto campo libero col Baratie. Chissà come me l'hai ridotto nel frattempo, il mio povero ristorante...- disse, fingendosi irritato.

 

- Qualunque cosa io possa fare, non potrà mai essere peggio di quello che hai fatto tu.-

 

Zef guardò Sanji per un attimo, per poi scoppiare a ridere. Dopo un pò anche gli altri si unirono alla risata (Tranne il dottor Trafalgar, che si limitò a guardare la scena a braccia conserte, con appena l'accenno di un ghigno).

 

- Vieni qua, Sanji.- Zef fece cenno a suo figlio di avvicinarsi per abbracciarlo. Ma appena il biondo gli fu accanto, gli mollò un pugno colossale dritto sul cranio. Si sentì perfino lo scricchiolio delle ossa.

 

- Così imparerai a essere meno impertinente, giovinastro!-

 

Il povero Sanji si massaggiò la parte lesa e annuì, imprecando dentro di sè. Ma in fondo era contento. Suo padre stava bene.

 

Nella stanza riecheggiò una nuova risata corale, a cui stavolta partecipò anche il dottor Trafalgar.

 

***

 

Un'altra parte dell'ospedale

 

Se l'atmosfera nella stanza di Zef Vinsmoke era allegra, altrettanto non poteva dirsi per altre parti dell'ospedale.

 

Zoro camminava lungo il corridoio, cercando di ignorare l'atmosfera pesante che lo circondava. Uomini e donne che piangevano, medici dall'espressione torva che facevano avanti e indietro, e un paio di volte barelle con corpi coperti da lenzuoli. Quella era la parte dell'ospedale dedicata ai casi più gravi. Il fatto che Koshiro fosse ricoverato lì non era di buon auspicio.

 

Dopo l'attentato di Natale, Zoro era andato a trovare il suo maestro ogni volta che poteva. Erano venuti anche i suoi colleghi, perfino coloro che non frequentavano la palestra. Lo avevano fatto per Tashigi.

 

Tashigi...Zoro si ricordò che, in tutto quel tempo, non aveva parlato molto con la ragazza. Non aveva nemmeno pensato a cosa dirle, a come risolvere il problema tra loro due. C'era da dire che l'occhialuta sembrava essersi dimenticata della cosa. Non che ci fosse da meravigliarsi, con tutto quello che era successo. Lui aveva ritenuto opportuno aspettare.

 

Non poteva andare avanti così all'infinito, però. Prese una decisione. Se...appena Koshiro si fosse ristabilito, avrebbe parlato con Tashigi. Sperando che tutto andasse bene.

 

Svoltò l'angolo e arrivò davanti alla stanza in cui era ricoverato Koshiro. Proprio in quel momento, Tashigi aprì la porta. La ragazza era senza occhiali, e aveva l'aria di chi non ha dormito molto negli ultimi tempi.

 

Gli sguardi dei due poliziotti si incrociarono, e ci fu un attimo di silenzio.

 

- Hmm...ciao, Tashigi.-

 

- Ciao, Zoro...- La ragazza sbadigliò senza coprirsi la bocca.- Scusa, ma sono stanca morta. Mi reggo in piedi per miracolo.-

 

- Non preoccuparti.- disse lui comprensivo.- Come sta tuo padre?-

 

L'espressione della ragazza si fece ancora più triste.- Non bene. I dottori fanno quello che possono, però...- Singhiozzò.- Zoro, ho paura che non ce la farà.-

 

Il poliziotto esitò un attimo prima di rispondere.- Non dire così. Tuo padre è l'uomo più tosto che io conosca. Se la caverà di sicuro.-

 

Tashigi accennò un sorriso.- Tu e il tuo ottimismo, Zoro...- Sbadigliò di nuovo.- Senti, io stavo andando a prendermi un caffè. Rimani tu con Oto-san?-

 

- Certo.-

 

Zoro osservò la ragazza allontanarsi ed entrò nella stanza.

 

C'erano due letti, di cui uno vuoto. Quello occupato da Koshiro era accanto alla finestra.

 

- Sensei...-

 

Il proprietario della palestra aveva davvero una brutta cera, ma sorrise lo stesso vedendo il suo allievo.- Zoro...sei venuto anche oggi.-

 

Roronoa si avvicinò all'altro uomo.- Come si sente?-

 

- Nè meglio nè peggio di ieri.-

 

- I medici cosa dicono?-

 

- Eh...le solite cose.- Koshiro si rabbuiò.- Ma non parliamo di questo, per favore.-

 

Così, per rallegrare un pò il suo maestro, Zoro iniziò a raccontargli alcune disavventure capitategli negli anni, molte delle quali avvenute proprio nella palestra Shimoshiki.

 

-...e così alla fine sua figlia mi atterra con un calcio volante.- I due risero di gusto.

 

- Ha...me lo ricordo come se fosse ieri.- mormorò Koshiro. Subito dopo aggiunse: - Zoro, vorrei chiederti una cosa...-

 

- Sì, Sensei?-

 

- So che probabilmente dovrei farmi gli affari miei, ma...come va tra te e mia figlia?-

 

Zoro capì immediatamente cosa intendeva.- N-non abbiamo più parlato di quello, Sensei. Ho preferito aspettare. Mi...mi sembrava fuori luogo parlare di certe cose, con quello che è successo.-

 

Koshiro lo guardò negli occhi.- E' innamorata di te.-

 

- Lo so, Sensei.-

 

- E tu?-

 

Roronoa abbassò un attimo lo sguardo.- Io...- Per la prima volta dopo tanti anni, Zoro arrossì. Parlare col suo maestro di certe cose lo stava mettendo in imbarazzo.

 

Prima che potesse continuare, Koshiro gli poggiò la mano sul braccio.- Ho sempre pensato che voi due stareste benissimo, insieme. Ma non voglio interferire con le vostre vite o le vostre scelte.

 

- Ti chiedo solo una cosa, Zoro. Anche se non ricambi i suoi sentimenti...per favore, stalle vicino.-

 

Zoro annuì solennemente.- Lo farò, Sensei.-

 

Koshiro sorrise e tossì un paio di volte.- Grazie. Ho sempre saputo che sei un bravo ragazzo...ti voglio bene come se fossi mio figlio...-

 

- G-grazie, Sensei.- rispose leggermente imbarazzato il poliziotto.

 

In quel momento Tashigi rientrò nella stanza. La ragazza si avvicinò ai due uomini e si sedette accanto a suo padre, sul bordo del letto.

 

Zoro decise che era arrivato il momento di andarsene.- Ora devo andare. Ci vediamo domani alla stessa ora?-

 

- Certo. Oh, e salutami gli altri, al distretto.- disse Tashigi.

 

Roronoa annuì.- D'accordo.- Fece un cenno di saluto ad entrambi e si avviò verso l'uscita.

 

E proprio quando stava per chiudersi la porta alle spalle, l'urlo di Tashigi lo bloccò.

 

- OTO-SAN!-

 

Il poliziotto rientrò di corsa nella stanza.- Cosa...-

 

Tashigi era china su Koshiro. In un primo momento Zoro pensò che il suo maestro avesse avuto un malore. Ma poi si accorse che il petto dell'altro uomo non si muoveva. Il silenzio calò nella stanza e un'ondata di panico lo travolse, mentre sperava di sbagliarsi, che non fosse nulla di grave. Si avvicinò, e una rapida occhiata eliminò quelle vane speranze.

 

Koshiro era morto.

 

Il silenzio fu subito rimpiazzato dal rumore del pianto di Tashigi.

 

***

 

Ancora un'altra parte dell'ospedale

 

-...e alla fine il soldatino con una gamba sola sconfisse il Demone Celeste. Lui e la principessa Dressrosa si sposarono e vissero per sempre felici e contenti.- Nami chiuse il libro e guardò la figura immobile distesa sul letto. Sospirò.- Niente anche oggi.-

 

Stupida, cosa credevi?, si rimproverò. Non è mica come nelle favole!

 

Quel fatidico giorno di Natale, dopo che la polizia era arrivata e aveva tolto di mezzo il cecchino della Baroque Works, Robin era stata portata in ospedale. I medici erano riusciti a stabilizzarla, ma purtroppo la ragazza era entrata in coma. Da allora, Nami era andata a trovare la sua amica tutti i giorni, con la speranza che da un momento all'altro si svegliasse.

 

E invece, dieci giorni dopo, Robin era ancora in coma.

 

I dottori avevano preferito non fare ipotesi su se e quando Robin si sarebbe risvegliata. Ma la rossa non si era fatta scoraggiare. Lei, il signor Ivankov e Padre Urouge continuavano a sperare in un miracolo. Del resto, la speranza era l'unica cosa che gli era rimasta.

 

Con l'idea di facilitare le cose, un paio di giorni dopo il ricovero della mora Nami aveva portato con sè un libro di cui la sua amica le aveva parlato spesso, "I racconti del Poignee Griffe". Era un antico libro di favole, a cui Robin era molto affezionata. La giovane Watanabe sperava che, leggendolo, sarebbe in qualche modo riuscita a risvegliare Robin, o perlomeno a facilitare le cose. Finora non aveva avuto risultati, ma non aveva intenzione di demordere.

 

Vale sempre la pena tentare, continuava a ripetersi.

 

Un colpo di tosse la distolse dai suoi pensieri, e la rossa si accorse dell'arrivo di Sergei Ivankov.

 

- Signor Ivankov...salve.-

 

- Ciao, cara. Come vanno le cose?-

 

Nami fece spallucce.- Niente di nuovo, purtroppo.-

 

Ivankov guardò Robin e annuì.- Capisco. E tu, invece? Come stai?-

 

- Io...- La rossa sbadigliò.

 

- Sei qui da molto, eh?-

 

- Già. Sono arrivata ieri sera, per dare il cambio a Padre Urouge. E...yawn...sono sveglia da allora.-

 

Ivankov le mise una mano sulla spalla.- Ti stai affaticando un pò troppo, cara. Non ti fa bene.-

 

La rossa non rispose, continuando a guardare Robin.

 

- Senti, perchè non te ne vai a casa? Hai bisogno di riposarti. Non puoi mica stare qui in eterno.-

 

Nami sbadigliò di nuovo.- E...Robin?-

 

- Me ne occupo io. Sennò che sarei venuto a fare?-

 

La ragazza annuì.- Mi sa che ha ragione...yawn...-

 

Ivankov le accarezzò benevolo la chioma rossa.- Vai pure, Nami. Ci sto io con Robin.-

 

Con un pò di riluttanza, Nami seguì il consiglio di Ivankov. Salutò il suo datore di lavoro, diede un'ultima occhiata a Robin e uscì dalla stanza. Prima di lasciare l'ospedale, decise di fermarsi un attimo nella sala d'attesa per prendere qualcosa da bere dal distributore. Arrivata a destinazione, si fermò davanti alla macchinetta e optò per una bella cioccolata calda, aggiungendovi parecchio zucchero.

 

Appena il distributore ebbe finito di preparare la bevanda, Nami afferrò il bicchiere e bevve la cioccolata con un solo sorso (Quasi ustionandosi la gola, ma era talmente giù di corda che non ci fece caso) e gettò il bicchiere nel cestino. Si lasciò cadere su una delle sedie di plastica della sala e sospirò. Rimase per un pò con lo sguardo rivolto a terra, senza prestare attenzione a quello che la circondava.

 

- Ciao, signorina.-

 

Nami si girò e vide che una bambina dai capelli neri si era seduta accanto a lei.

 

- Ciao.-

 

- Io mi chiamo Mocia, e tu?-

 

- Sono Nami.- Notò che la bambina indossava un piccolo camice bianco.- Sei ricoverata qui?-

 

- Sì. sono al reparto dei bambini. Mi hanno portata qui qualche giorno fa per un trapianto, e mi lasciano andare domani.-

 

- E come mai sei qui? Non dovresti stare nella tua stanza?-

 

- Mi annoiavo, e ho pensato di andare un pò in giro.- Ridacchiò.- I dottori non mi hanno vista.-

 

- Non dovresti andare in giro da sola. Rischi di perderti, o di farti male.-

 

La bambina sbuffò e mise il broncio.- Sarò anche piccola, ma so badare a me stessa.-

 

Nami le accarezzò la testolina.- Buon per te.-

 

In quel momento, Mocia notò il libro in mano a Nami.- Quello che cos'è?-

 

- E' un vecchio libro di favole. Si intitola "I racconti del Poignee Griffe".-

 

- Che nome strano.-

 

- Hai ragione, è davvero strano.-

 

- E' tuo?-

 

- No, è...è di una mia amica. E' ricoverata anche lei qui. Avevo pensato di portarlo e leggerle qualche storia, giusto per rallegrarla un pò.-

 

- E ha funzionato?-

 

Nami decise di non dirle la verità sulla condizione di Robin.- Sì, ha funzionato.- annuì sorridendo.

 

La bambina sembrò riflettere per un attimo.- Non è che lo faresti anche per me? E' da tanto che qualcuno non mi legge una favola.-

 

- Uhm...non so. Queste sono favole molto vecchie, e potrebbero non piacerti...-

 

- Per favore...-

 

Di fronte allo sguardo supplichevole della bambina, la rossa non potè fare altro che cedere.- E va bene.- Mocia sorrise e le si avvicinò per ascoltare meglio. Nami aprì il libro e iniziò a leggere.- Dunque, c'era una volta...-

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Per chi non se lo ricordasse, Mocia faceva parte del gruppo di bambini che Caesar Clown usava per i suoi esperimenti a Punk Hazard.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Interludio 4: La ragazza col cappello da cowboy ***


Interludio 4: La ragazza col cappello da cowboy

 

6 Febbraio 2003

Ohara, Alaska, USA

Un condominio in periferia

 

La bambina dai capelli neri raccolse quanto più fiato poteva, chiudendo gli occhi ed esprimendo mentalmente un desiderio. Poi lasciò andare tutto, e le otto candeline della torta che aveva davanti si spensero in un colpo. Riaprì gli occhi e sorrise, mentre l'altra persona presente nella stanza applaudiva.

 

- Bravissima! Buon compleanno, Robin!-

 

Il nome della bambina era Robin Nico, e proprio quel giorno compiva otto anni. L'altra persona, invece, di anni ne aveva molti di più. Si chiamava Brynden Clover, ed era un professore di storia in pensione. Abitava nell'appartamento di fronte a quello in cui vivevano Robin e sua madre Olvia. Era in buoni rapporti con tutti gli altri condomini, che si rivolgevano spesso a lui per chiedergli consigli. Oltre a questo, si occupava anche di fare da insegnante alla piccola Robin (Olvia aveva scelto di farla istruire in casa. Nonostante questo, Robin riusciva comunque a interagire con gli altri bambini della sua età) e spesso anche da babysitter, quando sua madre era occupata. Robin lo considerava un amico.

 

Quella mattina, Olvia aveva ricevuto la visita di un uomo che a Robin non piaceva per niente, il signor Spandam. Era un uomo viscido e antipatico, che veniva a trovare spesso la madre di Robin, e quando succedeva i due rimanevano chiusi in casa per ore. Lei era felice perchè così poteva passare più tempo col vecchio Clover, ma non le piaceva l'idea di sua madre in casa con quell'uomo. Cosa facevano, poi? Leggevano libri? Discutevano di faccende da adulti? Robin non lo sapeva. Sapeva soltanto che, quando il signor Spandam se ne andava, sua madre aveva sempre dei soldi in più e un'espressione molto triste. Aveva provato a chiedere delucidazioni, ma Olvia era sempre rimasta sul vago, limitandosi ad affermare che Spandam era soltanto un uomo gentile che le stava aiutando a sbarcare il lunario (Non erano mai state ricche. In più, il padre di Robin era morto parecchio tempo prima, tanto che lei quasi non lo ricordava, e le due Nico potevano contare solo sul misero stipendio da cassiera di supermercato di Olvia. La donna aveva cercato più volte di trovare un lavoro migliore, ma non aveva avuto fortuna).

 

E stando a quanto le avevano detto i suoi vicini di casa e gli altri abitanti di Ohara che conosceva, il signor Spandam e la sua famiglia aiutavano un sacco di persone. Robin aveva però l'impressione che ci fosse qualcosa sotto. Se gli Spandam aiutavano davvero la gente, dovevano essere buoni. Questo però contrastava con altre voci che aveva sentito a loro riguardo, voci che parlavano di brutte cose successe a chi era rimasto indietro con dei pagamenti o aveva cercato di parlare di loro alla polizia. Appena ne avesse avuta la possibilità, Robin avrebbe cercato di approfondire la questione.

 

Quello però non era il momento adatto. Ora doveva solo pensare a godersi il suo compleanno.

 

- Mmh...la torta sembra buonissima, professore.- esclamò la bambina.

 

- Aspetta di assaggiarla. Credimi, ti leccherai i baffi.-

 

- Ma io non ho i baffi.-

 

- Vorrà dire che ti cresceranno apposta per l'occasione.- I due risero.

 

- Prima di mangiare la torta, però, c'è una cosa che dobbiamo fare. Chiudi di nuovo gli occhi.- Robin ubbidì. Sentì l'anziano trafficare con qualcosa, e pochi secondi dopo parlò di nuovo.

 

- Brava, ora puoi riaprirli.- Brynden Clover porse alla bambina un oggetto di forma rettangolare, avvolto da una carta di colore bianco e con un fiocchetto rosso.- Tieni, Robin, questo è il tuo regalo.-

 

Robin prese il regalo e iniziò a strappare ansiosa la carta. Era eccitatissima. Con quella forma e quel peso, poteva trattarsi soltanto di una cosa. Tolse l'ultimo strato di carta, e la sua ipotesi fu confermata. Era un libro. Si sentì al settimo cielo. Lei adorava i libri.

 

- Un libro...grazie, professore.- esclamò felice.

 

- Di niente, piccola.-

 

Diede un'occhiata alla copertina e lesse il titolo.- "I racconti del Poignee Griffe". Che nome strano.- commentò.

 

- E' un libro di favole. E' stato scritto quattrocento anni fa da un esploratore francese di nome Noland Montblanc.- disse Clover.

 

- Quattrocento anni? Ma è vecchissimo!-

 

- Esatto. Ed è anche estremamente raro. In tutto il mondo, sono rimaste soltanto dieci copie di questo libro.-

 

- Ma...professore, perchè me lo ha regalato? Un libro così dovrebbe stare in un museo.-

 

- Può anche darsi, ma se lo avessi fatto sarebbe rimasto lì in una teca a prendere polvere, e un pò alla volta tutti se ne sarebbero dimenticati. In questo modo, invece, ci sarà qualcuno che potrà leggere e apprezzare il contenuto. E quel qualcuno sei tu, Robin.-

 

La giovane Nico era rimasta a bocca aperta.- Io...non so cosa dire, professore.-

 

- Non devi dire niente. Devi soltanto goderti il tuo regalo. A proposito, che ne diresti se leggessimo insieme una delle storie?-

 

La bambina sorrise.- E' una buona idea.-

 

- Allora aprilo. Tu sarai il narratore, e io farò le voci dei personaggi.-

 

Robin annuì. Aprì il libro e iniziò a leggere uno dei racconti.- Tanto tempo fa, nel magico regno di Tontatta, viveva il popolo dei nani...-

 

- Ahhh...-

 

Quel gemito improvviso la distolse dalla lettura. Alzò lo sguardo e vide che Clover si era portato una mano al petto, all'altezza del cuore, e aveva il braccio sinistro che tremava leggermente.- Robin, cara...potresti prendere il telefono e chiamare un'ambulanza? Credo di non sentirmi tanto bene...-

 

***

 

Stesso luogo

Due anni dopo

 

Sdraiata sul letto della sua stanza, al buio, Robin cercava di prendere sonno. Ci stava provando da più di quattro ore, e ormai dubitava di riuscirci. Quella sera avrebbe dovuto uscire con delle amiche, ma all'ultimo minuto aveva cambiato idea. Si sentiva troppo depressa, una cosa che le capitava spesso nell'ultimo periodo. Per la precisione, da quando il professor Clover era morto.

 

Ancora ricordava quel giorno orribile di due anni prima, quando aveva accompagnato il suo amico in ospedale. La sirena dell'ambulanza, le facce preoccupate dei medici e di sua madre, i mugolii del professore. Era rimasta quasi un'ora nella sala d'attesa, poi la notizia era arrivata come un fulmine a ciel sereno: il professor Brynden Clover era morto per un colpo al cuore. I medici non avevano potuto fare niente per salvarlo.

 

Robin aveva pianto per quella che le era sembrata un'eternità, e aveva passato i giorni successivi nella depressione più nera. La morte di Clover l'aveva devastata. Era stato quasi come un padre per lei. Un uomo buono come pochi. Perchè era dovuto morire, quando tanti altri individui orribili erano vivi e vegeti e facevano ciò che volevano? Non era giusto!

 

Dato che Clover non aveva altri parenti, gli Spandam si erano presi il suo appartamento (Arrivando così a possedere l'intero condominio) e avevano buttato via quasi tutto quello che c'era dentro. Robin era riuscita a salvare solo poche cose, tra cui il libro che l'uomo le aveva donato per il suo ottavo compleanno. Per lei era un tesoro inestimabile, e lo aveva conservato con estrema cura.

 

Inoltre, Olvia aveva dovuto trovare qualcun altro che si occupasse di fare da insegnante e babysitter a sua figlia. Un altro inquilino del loro condominio, il signor Haredas, si era offerto volontario per entrambi i compiti. Haredas era un altro professore in pensione, vecchio amico del defunto Clover. Un brav'uomo anche lui, era piaciuto subito a Olvia, un pò meno a Robin. Non che le stesse antipatico, ma agli occhi della bambina nessuno avrebbe mai potuto sostituire il vecchio Clover.

 

Adesso, due anni dopo, in quello che un tempo era un giorno che avrebbe festeggiato volentieri (Aveva deciso di non celebrare più il suo compleanno), la giovane Nico continuava la sua battaglia contro il sonno. Rannicchiata in posizione fetale, si girò per l'ennesima volta sul letto, quando all'improvviso sentì delle voci provenire da un'altra parte della casa.

 

Robin aprì di scatto gli occhi. Aveva riconosciuto quelle voci. Erano sua madre e il signor Spandam. Accidenti, era venuta a trovarla proprio quando lei aveva deciso di rimanere a casa. Non doveva assolutamente farsi vedere! Decise di rimanere nella sua stanza, sperando di non aver bisogno di andare in bagno e che quell'uomo se ne andasse presto.

 

Dopo un pò, sentì di nuovo le due voci, stavolta provenienti dalla stanza di Olvia. Erano troppo vicine per essere ignorate, e così Robin si mise ad ascoltare quel che dicevano.

 

- Mi è venuta voglia di qualche piccolo cambiamento...- sentì dire Spandam. La sua voce le faceva venire i brividi.

 

- Non la soddisfo più?- Sua madre sembrava preoccupata.

 

- Ma no. Sei fantastica come sempre, pasticcino. Il fatto è che vorrei anche qualcosa di nuovo, di tanto in tanto.-

 

- Tutto quello che vuole, signor Spandam.-

 

- Cara, ti ho già detto che puoi darmi del tu e chiamarmi Joffrey. Siamo più che in confidenza, ormai.-

 

Joffrey?, pensò la bambina. Che nome strano.

 

- V-va bene. Cosa ti piacerebbe...Joffrey?-

 

- Ci sto pensando da un pezzo. Ecco...vorrei che mi facessi conoscere un pò meglio tua figlia. L'ho vista in giro per la città, l'altro giorno. Sta diventando davvero molto bella, proprio come te. Magari una di queste sere potremmo...-

 

Seguì qualche attimo di silenzio, in cui Robin riflettè sulle parole del signor Spandam. Cosa voleva quell'antipatico da lei?

 

Poi, all'improvviso...

 

- NON AZZARDARTI A TOCCARE MIA FIGLIA, PEZZO DI MERDA!-

 

Seguirono delle urla e rumori di oggetti che si rompevano. La mora si rizzò a sedere sul letto, e ascoltò tutto con occhi sbarrati. Cosa stava succedendo? Perchè sua madre e il signor Spandam stavano facendo tutto quel chiasso? Poi ci fu un rumore che non riuscì a identificare, e subito dopo un urlo disumano che gelò il sangue alla giovane Nico. Sembrava la voce di Spandam. Doveva andare a vedere, forse era successo qualcosa di brutto!

 

Allarmata, Robin corse fuori dalla sua stanza e andò in quella di sua madre. Aperta la porta, si trovò davanti uno scenario catastrofico: i pezzi di una sedia giacevano a terra, accanto a quelli che dovevano essere i frammenti di un vaso. Il resto della mobilia era in condizioni simili. Si accorse che il signor Spandam era sdraiato a terra in una strana posizione. Sua madre, invece, era in piedi accanto al letto e ansimava. Indossava una vestaglia nera, delle scarpe con i tacchi alti e della biancheria intima che Robin non aveva mai visto prima. Fissava l'uomo a terra con un'espressione strana, un misto di odio e disgusto, ma quando si accorse della presenza di sua figlia ne assunse subito una di stupore.- Robin...che ci fai qui? Non dovevi uscire con le tue amiche?-

 

La bambina non rispose, troppo sconvolta da quello che i suoi occhi stavano contemplando.- Mamma, che è successo?-

 

Lo sguardo di Olvia andò da sua figlia al corpo dell'uomo a terra.- Niente, Robin. Io e il signor Spandam abbiamo...abbiamo avuto una discussione molto accesa.-

 

Robin notò una pozza di liquido scuro che si stava lentamente allargando sotto la testa dell'uomo.- Ma...è sangue, quello?-

 

Olvia si irrigidì, ma non rispose. Alla fine si inginocchiò davanti a Robin e la strinse in un abbraccio, per poi guardarla dritta negli occhi.

 

- Robin, dimmi la verità. A te piace stare qui?-

 

La bambina si prese un secondo per riflettere, poi fece cenno di no con la testa.- No, non mi piace.- Era vero. Ohara non era mai stata una bella città, e dopo la morte di Clover per Robin era diventata anche peggio.- Perchè me lo chiedi?-

 

Olvia baciò sua figlia sulla fronte.- Prendi una valigia e raccogli tutte le tue cose, tesoro. Ce ne andiamo da questo postaccio.-

 

***

 

Whisky Peak, Texas, USA

Sei mesi dopo

 

Dopo aver lasciato in fretta e furia Ohara, Olvia e Robin si erano dirette in Canada, per la precisione nella città di Toronto, dove viveva il fratello della donna. Avevano impiegato due settimane per arrivare a destinazione, e una volta lì avevano avuto una brutta sorpresa: il fratello di Olvia era morto pochi giorni prima. Avevano fatto appena in tempo a visitare la sua tomba, che la sua vedova, Roji, le aveva allontanate in malo modo, rifiutandosi perfino di accoglierle nella sua casa almeno per qualche giorno (La cosa aveva parzialmente rallegrato Robin: sebbene avesse visto poche volte la zia Roji nel corso della sua vita, doveva ammettere di trovarla parecchio antipatica. E a giudicare dagli sguardi che si erano scambiati lei e Olvia, doveva essere lo stesso anche per sua madre).

 

Pertanto, avevano trascorso un periodo a vagabondare tra varie città del Canada, finchè Olvia non aveva deciso di spostarsi a sud. Avevano attraversato tutta la East Coast, per poi decidere di andare in Texas. Durante il viaggio, avevano sentito parlare molto bene di una cittadina chiamata Whisky Peak, e si erano dirette lì cariche di speranze.

 

Ora erano lì da quattro giorni, e finora non gli era andata tanto male. Olvia aveva preso in affitto un piccolo appartamento, il cui proprietario le aveva anche trovato un lavoro come cameriera in una tavola calda. I clienti erano perlopiù uomini del posto, una mandria composta da camionisti, operai e agricoltori, e le davano sempre delle buone mance. Le loro maniere, però, lasciavano molto a desiderare. Si esibivano sempre in concerti di rutti e peti che davano il voltastomaco alla piccola Robin, e tutti approfittavano di ogni minima occasione per pizzicare il sedere di Olvia o palparle il seno (Ed era proprio dopo aver fatto queste cose che solitamente le lasciavano la mancia). La donna sopportava tutto stringendo i denti e ripetendo a Robin che prima o poi se ne sarebbero andate anche da lì.

 

Purtroppo, la donna non era riuscita a trovare qualcuno che si occupasse di Robin, così era costretta a portarsela al lavoro. Alla bambina non dispiaceva. Sempre meglio che rimanere sola a casa senza far nulla.

 

Adesso, la giovane Nico si aggirava tra i tavoli in cerca di qualcosa di interessante, osservando la clientela che affollava il locale. Era un'abitudine che aveva preso per combattere la noia, e che lei considerava alla stregua di uno studio antropologico. Osservare i comportamenti delle persone poteva servirle a capire meglio sè stessa e il mondo che la circondava.

 

Finora, aveva capito solo che Darwin aveva ragione. L'uomo si era evoluto dalle scimmie. E alcuni individui avevano conservato molte caratteristiche dei loro antenati.

 

D'un tratto, un oggetto su un tavolo vuoto attirò la sua attenzione. Si avvicinò per guardare meglio, e vide che era un cappello da cowboy bianco. Era davvero molto bello. Si chiese come le sarebbe stato. Dopo una rapida riflessione, decise che non avrebbe fatto male a nessuno se lo avesse provato un pò. Lo prese e se lo calò sulla testa. Le stava un pò largo, ma per il resto andava bene. Doveva solo trovare qualcosa che le facesse da specchio e...

 

- Dereshishishi! Che cosa abbiamo qui, una piccola cowgirl?-

 

A parlare era stato un uomo alto, leggermente sovrappeso e con una folta barba nera. Somigliava vagamente all'attore italiano Bud Spencer, che lei aveva visto in alcuni film alla TV qualche tempo prima. La stella che portava sulla camicia e la pistola nella fondina ne denotavano l'appartenenza alle forze dell'ordine. E a giudicare dalla direzione da cui era venuto, doveva essere appena uscito dal bagno.

 

L'omone si avvicinò a Robin e le sorrise.- Ma lo sai che stai proprio bene col mio cappello, piccola?-

 

- E' suo? Non lo sapevo...-

 

In quel momento, arrivò Olvia.- Cosa succede?-

 

- Niente, mamma, stavo solo...- iniziò Robin.

 

- Sua figlia ha preso il mio cappello, signora, e io le stavo solo facendo notare quanto le stesse bene.- la interruppe l'uomo.

 

- Robin, quante volte ti ho detto di non prendere le cose degli altri senza permesso?- la rimproverò Olvia.

 

- Ma mamma, volevo solo provarlo, non pensavo di...- si schermì la bambina.

 

- Signora, non si preoccupi. Sua figlia non ha fatto nulla di male.- intervenne in sua difesa il barbuto.

 

- Ma avrebbe dovuto comunque chiederle il permesso, signor...ehm, mi scusi, ma non conosco il suo nome.-

 

- Sceriffo Howard Sauro, per servirla. Tutelo la legge in questa città e nel circondario da dieci anni. A proposito, non mi sembra di avervi mai incontrate, prima d'ora.-

 

Robin strabuzzò gli occhi. Lo Sceriffo locale. Questa non se l'aspettava. Forse era davvero nei guai.

 

- Ci siamo trasferite qui da poco. Io sono Olvia Nico, e lei è mia figlia Robin.-

 

- Hmm...mi sembrava che vi somigliaste. Comunque, sono felicissimo di fare la vostra conoscenza. Questa città aveva proprio bisogno di due belle donne in più.-

 

Olvia arrossì leggermente e sorrise, e Robin iniziò a provare una punta di simpatia per il grosso Sceriffo.

 

- Comunque, per quanto riguarda il cappello...- accennò Olvia.

 

- Le ho già detto di non preoccuparsi, signora.- la interruppe lo Sceriffo con un cenno della mano.

 

- La prego comunque di perdonare mia figlia, Sceriffo. E' solo una bambina...-

 

- Ma non c'è nessun problema, signora. Anzi, sa che le dico? Sua figlia può anche tenerselo, il cappello. Le sta così bene che sarebbe un peccato toglierglielo.-

 

- E lei...-

 

- Dereshishishi! Che problema c'è? Ne prenderò un altro. Ne ho a decine uguali, in centrale.-

 

Robin non credeva alle sue orecchie. Poteva tenersi il cappello! Lo Sceriffo cominciava a piacerle. Doveva essere proprio una brava persona.

 

- Grazie mille, Sceriffo!- esclamò entusiasta la bambina, sorridendo per la prima volta dopo mesi.

 

L'uomo le diede un buffetto sulla guancia.

 

- L-la ringrazio anch'io, Sceriffo.- Olvia tese timidamente la mano verso il suo interlocutore.

 

- Prego, signora.- Lo sceriffo prese la mano che gli offriva Olvia e la sfiorò con le labbra, producendosi in un piccolo inchino.- E mi chiami pure Howard.-

 

- E lei...può chiamarmi Olvia.-

 

Robin si accorse che sua madre era arrossita di nuovo. Dal modo in cui guardava lo Sceriffo, capì che doveva piacere anche a lei. E la cosa doveva essere reciproca, a giudicare dall'espressione dell'omone.

 

La gioia della bambina aumentò. Forse, il loro soggiorno a Whiskey Peak non sarebbe stato temporaneo o brutto come avevano pensato.

 

***

 

Whiskey Peak, Texas, USA

Per le strade della città

10 Marzo 2013

 

Proprio come Robin aveva sospettato quel giorno nella tavola calda, la permanenza delle due Nico a Whisky Peak fu molto diversa rispetto a quanto avevano avuto in mente all'inizio.

 

Tanto per cominciare, sua madre iniziò a frequentare lo Sceriffo Sauro, finendo per sposarlo un anno dopo. La cosa, oltre a riempire di gioia le due Nico, ebbe anche l'effetto di rendere più gentili i clienti della tavola calda. Nessuno di loro si sarebbe azzardato a fare il cretino con la donna dello Sceriffo, che nonostante il suo carattere gentile aveva una forza mostruosa e poteva farti passare un brutto quarto d'ora se non rigavi dritto (Confermando così la sua somiglianza con Bud Spencer e i suoi personaggi). L'unico idiota che ci aveva provato, un predicatore ambulante proveniente dall'Alabama, era rimasto in ospedale per una settimana, e dopo era scappato dalla città come se avesse Satana in persona alle calcagna.

 

Robin aveva fatto amicizia con alcuni bambini del posto, finendo per integrarsi completamente nella vita di Whisky Peak. Aveva anche iniziato a frequentare la scuola (Dietro insistenza dello Sceriffo). Grazie alla sua elevata intelligenza se l'era cavata alla grande, riuscendo ad ottenere il massimo dei voti in tutte le materie. Anche al liceo era andata così, e quando si era diplomata i professori si erano tutti complimentati con lei. Con i voti che aveva avrebbe potuto andare in qualunque college del paese, ma aveva deciso di prendersi un periodo di riposo e riflessione, per decidere meglio cosa fare della propria vita.

 

Ora, Robin camminava diretta verso casa, le mani in tasca e fischiettando una canzone di cui non ricordava il titolo. Era reduce da una lunga passeggiata fuori città (Amava camminare in mezzo alla natura).

 

Negli ultimi anni Robin era cambiata parecchio, anche fisicamente. Se da piccola era semplicemente carina, ora era diventata una bellezza che faceva girare la testa a tutti i maschi del posto. Quando andava da qualche parte si accorgeva sempre di come la guardavano, dei commenti che facevano pensando che lei non li sentisse e dei fischi che a volte emettevano. Tuttavia, erano pochi quelli che ci provavano. Avevano tutti troppa paura dello Sceriffo Sauro.

 

Ma anche se avesse avuto una fila di pretendenti lunga un chilometro, a Robin non sarebbe importato più di tanto. Certo, ricevere attenzioni la lusingava sempre, ma il fatto era che a lei piacevano le donne. Era una cosa che aveva scoperto di recente, e non aveva detto nulla neanche a sua madre. Come tante altre ragazze della sua età, aveva attraversato una breve fase sperimentale, prima di capire chi era davvero. Quella fase si era ormai conclusa, e lei era pronta ad affrontare la sua vita. C'era una biondina di nome Califa che lavorava nella biblioteca della città, e che le lanciava sempre delle occhiate eloquenti. Robin aveva intenzione di chiederle di uscire, appena ne avesse avuto l'occasione.

 

Tutto sommato, la mora poteva dirsi felice.

 

Arrivata in vista della sua casa (O meglio, la casa dello Sceriffo Sauro, in cui lei e sua madre erano andate ad abitare), la ragazza imboccò il vialetto sul retro, quando all'improvviso si accorse che una delle finestre era aperta, e che dall'interno della casa provenivano degli strani rumori. Si fermò e aguzzò le orecchie.

 

- Finalmente abbiamo finito!-

 

La ragazza sussultò. Di chi era quella voce? Erano forse entrati dei ladri in casa? Meglio controllare prima di chiamare la polizia.

 

Si avvicinò alla casa e strisciò lungo il muro, silenziosa come un ninja. Arrivò fino ad una finestra aperta e ci si nascose sotto, stando ben attenta a non farsi scoprire, e si mise in ascolto.

 

- Certo che quel bestione menava di brutto. Credo di avere una costola rotta.- disse una prima voce.

 

- Anch'io. Meno male che avevo portato la pistola.- disse una seconda, maschile come la prima.

 

Pistola? Robin cominciò ad avere paura. Cosa era successo mentre lei non c'era?

 

- Comunque, l'importante è che sia tutto finito. Hai fatto le foto che aveva detto il capo?-

 

- Certo, e gliele ho anche inviate. Per una volta, immagino che sarà felice.-

 

- Vorrei ben vedere, con quello che questa qui ha fatto a suo figlio...-

 

Figlio?, pensò Robin. Che diavolo sta succedendo?

 

- Ma alla fine ha avuto quello che si meritava.-

 

Un'ondata di terrore attraversò il corpo di Robin. Quelle parole non potevano significare nulla di buono.

 

- Quello che non capisco è perchè il capo ha voluto aspettare così tanto. Non poteva ordinarci di agire appena l'abbiamo trovata?-

 

- Glielo avevo chiesto anch'io. Mi aveva risposto che era meglio lasciar passare un pò di tempo, e colpire quando meno se lo aspettano.-

 

- Mmh...ha una sua logica.-

 

Robin stava cominciando a tremare come una foglia. Se prima aveva solo il sospetto che fosse successo qualcosa di brutto, ora ne aveva la certezza.

 

- A proposito, che aveva detto il capo riguardo alla figlia di Olvia?-

 

- Aveva detto di ucciderla solo se la trovavamo in casa. Tanto, quando tornerà qui e vedrà tutto questo casino, non potrà certo capirlo che siamo stati noi. Sembrerà una rapina finita male.-

 

Una lacrima attraversò una guancia di Robin.

 

- Perfetto.- Ci fu uno sbadiglio.- Dai, ora possiamo anche andarcene.-

 

- Prima vorrei fare un altro controllo, non si sa mai.-

 

- L'abbiamo già fatto prima, ed era tutto a posto.-

 

- E se ci fosse caduto qualcosa e non ce ne fossimo accorti? Credo che dovremmo fare un controllo un pò più accurato...-

 

- Non cominciare, Jango. Dai, andiamocene da qui. Abbiamo già visto ovunque, e non abbiamo lasciato manco una traccia.-

 

- Vabbè, se lo dici tu, Fullbody.-

 

- Certo. Io sono quello intelligente dei due, ricordi?-

 

- Sicuro. Tanto intelligente che quella volta a Dallas non ti sei accorto che quella puttana era un uomo.-

 

- E smettila di tirare fuori 'ste vecchie storie del cazzo!-

 

- Letteralmente.-

 

I due uomini risero sguaiatamente. Robin li sentì iniziare a spostarsi da dov'erano e si nascose in fretta dietro la casa, vicino ai bidoni della spazzatura. Aspettò finchè non sentì i due uscire dalla casa. Poi li sentì mettere in moto un'auto e allontanarsi a tutta velocità. Fu allora che decise di rientrare in casa. Doveva scoprire cos'era successo.

 

Col cuore che le batteva all'impazzata, la ragazza aprì lentamente la porta di casa ed entrò. Una rapida occhiata le rivelò che tutto era stato messo a soqquadro. E più andava avanti, più era peggio. Le cornici con le foto di famiglia erano state fatte a pezzi, i cassetti dei mobili tirati via e spaccati in due. La cucina sembrava essere stata appena devastata da un uragano, e il salotto era nelle stesse condizioni.

 

Ma il peggio doveva ancora arrivare.

 

- Howard!-

 

Robin sentì il mondo crollarle addosso. Ai piedi delle scale che portavano al piano di sopra, giaceva il corpo dello Sceriffo Howard Sauro. La ragazza corse verso di lui, sperando che fosse ancora vivo. Purtroppo non era così: il suo petto non si muoveva, e una grossa macchia di sangue in corrispondenza del cuore le tolse ogni dubbio.

 

- No...Howard...-

 

La ragazza rimase immobile a contemplare il cadavere della seconda figura paterna della sua vita. Le sembrava quasi impossibile che fosse morto. Howard Sauro, lo Sceriffo di Whisky Peak, colui che poteva intimidire un uomo semplicemente con lo sguardo...morto. Quel gigante buono, che aveva cambiato in meglio la vita sua e di sua madre...

 

A quel punto tornò in sè.- Mamma!- esclamò. A giudicare da quello che avevano detto i due uomini, anche Olvia doveva essere in casa. Il pensiero di quello che potevano averle fatto la fece rabbrividire. Scavalcò il cadavere dello Sceriffo e corse di sopra.

 

- Mamma! Mamma, dove sei?-

 

Nessuna risposta. Poi le venne in mente di andare a controllare in camera da letto. Si diresse lì più in fretta che poteva e spalancò la porta già socchiusa.

 

Quello che trovò fu mille volte peggio di ciò che aveva visto finora. Sua madre era sdraiata sul letto, nuda, in una pozza di sangue. I suoi vestiti giacevano strappati in un angolo, e sulle gambe e il petto aveva segni di morsi e graffi. Quei mostri dovevano averla violentata, prima di ucciderla.

 

Col cuore in gola, la giovane Nico andò verso il letto. Fu allora che si accorse che Olvia era ancora viva.

 

- Mamma...-

 

Olvia emise un gemito di dolore e girò la testa verso sua figlia.- Robin...-

 

- Mamma...cosa ti hanno fatto...-

 

La donna non rispose. Robin si chinò verso di lei e le scostò una ciocca di capelli dal viso.- Perchè...perchè ti hanno fatto questo?- disse singhiozzando.

 

- Erano...uomini degli Spandam...volevano vendicarsi.- mormorò la donna, aggiungendo subito dopo: - Howard...-

 

Robin decise di non rispondere, ma Olvia capì lo stesso.- Anche lui...nngh...-

 

- Non sforzarti, mamma. Vado a chiamare un'ambulanza.-

 

- Non servirebbe a niente...sto per...-

 

- No, mamma, non dirlo neanche!- Robin era disperata. Non poteva perdere anche sua madre.

 

Olvia sospirò, raccolse le ultime forze che le rimanevano e fissò sua figlia negli occhi.- Robin...quei mostri potrebbero tornare...scappa...ormai non c'è più niente che ti leghi a questa città...-

 

- No, mamma, NO!-

 

La donna sorrise.- Ti voglio bene, Robin.- E in quel momento la vita lasciò del tutto il corpo di Olvia.

 

Robin fissò a lungo il cadavere della donna che le aveva dato la vita. Poi, quasi senza rendersene conto, uscì dalla stanza.

 

In un attimo, il suo mondo era cambiato. Se fino a mezz'ora prima era una giovane donna felice e piena di speranze per il futuro, ora non era più così. Le persone più importanti della sua vita erano morte. Prima Clover, poi Howard Sauro, e infine sua madre. Non aveva più nessuno al mondo. Era sola.

 

Non poteva fare altro che seguire l'ultimo consiglio di sua madre. Prese un grosso zaino e vi infilò dentro tutto ciò che poteva servirle per sopravvivere, inclusi due dei suoi oggetti più preziosi: il libro di favole di Brynden Clover e un ciondolo con una foto dei suoi genitori scattata il giorno del loro matrimonio. Prese anche i pochi soldi che riuscì a trovare. Alla fine indossò il cappello di Howard Sauro e disse una breve preghiera, per poi mettersi a correre, mentre le prime gocce di un fiume di lacrime iniziavano a rigarle il viso.

 

Robin uscì di corsa dalla casa, piangendo a dirotto, senza guardarsi indietro.

 

***

 

10 Ottobre 2013

Lungo un'autostrada della California del sud

 

Robin passò i mesi successivi a girovagare per il sud degli Stati Uniti, senza mai fermarsi troppo a lungo in un posto. Dormiva dove poteva, spesso in ricoveri per senzatetto. I soldi che aveva all'inizio finirono in fretta, e così fu costretta a rubare. La sua dieta si ridusse drasticamente, e in poco tempo lei divenne praticamente uno scheletro. Per spostarsi tra una città e l'altra si faceva dare dei passaggi da chi capitava. Era molto pericoloso, però, e un paio di volte avevano anche cercato di violentarla, ma grazie ad un coltello a serramanico che aveva rubato in un negozio era riuscita ad evitarlo. Purtroppo, durante una di queste colluttazioni il suo cappello da cowboy si era rovinato, e lo aveva riposto nello zaino. Alla prima occasione avrebbe cercato qualcuno che potesse ripararlo.

 

Adesso, era appostata dietro un paio di grosse rocce, con in mano un binocolo, intenta a sorvegliare la strada in attesa che arrivasse qualcuno a cui chiedere un passaggio. Aveva preso quest'abitudine dopo il secondo tentativo di stupro da parte di un camionista. Evitava gli uomini, da soli o in gruppo, scegliendo solo donne o famiglie con bambini. A volte però non arrivava nessuno, ed era costretta ad andare a piedi.

 

Robin non si era mai sentita così male. Era stanca, affamata e aveva voglia di piangere, ma non ne aveva la forza. Aveva perso tutte le persone a lei più care, e il mondo sembrava deciso a rendere la sua vita un inferno. Spesso, prima di addormentarsi, aveva pregato il Signore di farla morire nel sonno, in modo da non dover più soffrire. Ma non era successo. Perchè? Perchè lei era ancora viva, mentre i suoi cari erano tutti morti? Perchè doveva soffrire in quel modo? Cosa aveva fatto di male?

 

Le sue domande non avevano ancora ricevuto una risposta.

 

Ciò nonostante, lei andava avanti lo stesso, anche se ormai avveniva principalmente per inerzia. Non aveva più molta voglia di vivere (E l'ipotesi del suicidio le sembrava sempre più allettante).

 

Perchè?, pensò la ragazza guardando nelle lenti del binocolo. Perchè proprio io?

 

Singhiozzò e cercò conforto nei ricordi dei bei momenti passati con il professor Clover, sua madre e lo Sceriffo Sauro.

 

All'improvviso sentì il rumore di un'auto che si stava avvicinando da ovest. Puntò il binocolo in quella direzione e scrutò attentamente il contenuto del veicolo. Una famiglia. Bene. Le famiglie erano sicure.

 

Riposto il binocolo nello zaino, uscì dal suo nascondiglio e si fermò sul ciglio della strada, agitando un braccio per attirare l'attenzione della famigliola.

 

L'auto si fermò proprio davanti a lei. Era una vecchia station wagon grigia, con un mucchio di bagagli sul tetto tenuti insieme da delle funi. All'interno vi erano un uomo e una donna, e sul sedile posteriore due bambini troppo occupati a giocare tra di loro per prestare attenzione a tutto il resto.

 

- Serve aiuto?- le chiese il guidatore, un uomo di mezza età calvo e coi baffi.

 

- Sì, per favore. Vorrei un passaggio fino alla prossima città.-

 

- Hai avuto un incidente?- chiese la donna, paffuta e dai capelli biondi, probabilmente la moglie dell'uomo.

 

- No, sto solo...sto girando l'America in autostop. Voglio conoscere meglio il mio paese.-

 

- Ho capito. Comunque, noi stiamo andando a Loguetown. Per te va bene?-

 

- Va benissimo. Allora potreste darmi un passaggio fino a lì, per favore?-

 

- Ma certo, salta su.-

 

Robin entrò nell'auto e si accomodò sul sedile posteriore. I due bambini la guardarono per un attimo, e poi ripresero a giocare. Fatte delle rapide presentazioni (I nomi dei due adulti erano Lulu e Laura Peepley, mentre i bambini si chiamavano Dori e Brogi. Robin diede loro un nome falso che si era inventata qualche giorno prima, Katarina Devon), l'auto si avviò verso la città di Loguetown.

 

***

 

15 Ottobre 2013

Loguetown, California, USA

La casa di James Brook

 

Robin si svegliò e per prima cosa si guardò attorno in cerca di eventuali pericoli. Poi si ricordò che non si trovava sotto un ponte, o da qualche parte in mezzo al deserto. Era in una casa vera, in un letto vero, e invece dei soliti vestiti puzzolenti indossava un morbido pigiama azzurro. Guardò le lenzuola e la coperta che la coprivano e le accarezzò con la punta delle dita. Quasi non le sembrava vero.

 

Il giorno prima, Padre Urouge, il prete che l'aveva sorpresa a rubare e che per certi aspetti le ricordava Howard Sauro, le aveva presentato due dei suoi parrocchiani. Un bizzarro individuo di nome Sergei Ivankov, e un vecchietto con una pettinatura afro che si era presentato come James Brook. Nonostante la sua diffidenza iniziale, i due uomini si erano rivelati molto simpatici. Entrambi le avevano fatto delle offerte interessanti: Ivankov un posto di lavoro nel suo negozio di antiquariato, mentre Brook si era detto disponibile ad ospitarla in casa sua.

 

Padre Urouge le aveva parlato molto bene dei due, e quel poco che aveva visto finora le aveva fatto una buona impressione. Erano così gentili e simpatici, diversi dalla maggior parte delle persone che aveva incontrato nell'ultimo periodo. Sebbene una parte di lei continuasse a ripeterle di stare attenta, aveva deciso di fidarsi di loro.

 

Non le avevano messo fretta. Robin era andata a dormire a casa del signor Brook, e più tardi quel giorno sarebbe andata a dare un'occhiata al negozio del signor Ivankov. Se si fosse trovata bene in entrambi i posti, sarebbe rimasta. 

 

Finora non aveva avuto motivo di lamentarsi. La casa del signor Brook era davvero molto bella (Anche se forse qualcun altro l'avrebbe giudicata raccapricciante). Era accogliente, arredata con gusto, e aveva la biblioteca più grande che avesse mai visto. C'era anche un bel cane (Vedendola, le era corso incontro scodinzolando e le era saltato addosso, facendola quasi cadere. Per fortuna non aveva cattive intenzioni).

 

La ragazza stava seriamente pensando di rimanere. Forse era un rischio, ma per quanto tempo ancora poteva andare avanti facendo l'autostop e dormendo dove capitava? Quel tipo di vita le avrebbe fatto fare una brutta fine, se...se non ci avesse pensato lei prima.

 

Robin si accorse solo in quel momento di non aver pensato al suicidio neanche una volta, da quando era lì. Padre Urouge, Ivankov e Brook le avevano trasmesso delle sensazioni di tranquillità. Sensazioni che non aveva più provato da...dai tempi di Whisky Peak.

 

La mora sospirò. Forse era un segno divino.

 

Il suo stomaco brontolò, e la giovane Nico decise di rimandare a più tardi le riflessioni. Prima doveva mettere qualcosa sotto i denti.

 

Sul volto le si dipinse lentamente un sorriso. Sì, una bella colazione era proprio quello che ci voleva.

 

Scese dal letto e, a piedi nudi, andò in bagno. Si diede una rinfrescata, e subito dopo scese le scale per andare in cucina.

 

Trovò il signor Brook seduto al tavolo a leggere un giornale. Davanti a lui, i resti di una colazione frugale.

 

Sentendola arrivare, l'anziano alzò la testa e sorrise.- Buongiorno, Robin.-

 

- Buongiorno, signor Brook.- 

 

- Hai passato una buona notte?-

 

- Sì. Era...era da tanto che non dormivo così bene. Lei, invece?-

 

- Ho dormito bene anch'io, anche se non per molto. Yo-hohoho! Alla mia età le ore di sonno sono sempre di meno! Ma adesso siediti, cara. Ti preparo la colazione.-

 

- Non è necessario, posso farlo da sola.-

 

- Eh no! Ci penso io, sei mia ospite. Che razza di padrone di casa sarei, altrimenti?- L'anziano chiuse il giornale e si alzò in piedi.- Dai, siediti.-

 

La ragazza si accomodò su una delle sedie.

 

- Dimmi, cosa preferiresti mangiare? Frutta, pancake, o una tradizionale colazione all'inglese con uova e pancetta?-

 

La mora si prese un attimo per riflettere.- Ecco...vorrei dei pancake, un pò di frutta e del caffè, grazie.-

 

- Arrivano subito, cara. Yo-hohoho!-

 

Robin osservò l'anziano mentre trafficava con gli attrezzi della cucina. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che qualcuno le aveva preparato da mangiare? Non lo ricordava.

 

Poco dopo, nell'aria si diffuse l'odore del caffè e dei pancake, e lo stomaco della ragazza brontolò di nuovo. Adesso pensiamo solo a mangiare, disse tra sè e sè.

 

Una volta che Brook le ebbe portato la colazione, Robin divorò tutto con la rapidità di un piranha. Non rimasero neanche le briciole dei pancake.

 

- Però. Ne avevi, di fame.- commentò l'anziano dalla sedia di fronte a Robin.

 

- Sì. Ho mangiato pochissimo, negli ultimi mesi. Non faccio un pasto completo da non so nemmeno io quanto.- Un velo di tristezza le calò sul viso.- Quando Padre Urouge mi ha trovata, non mangiavo da tre giorni.- 

 

L'anziano annuì.- Non hai avuto una bella vita, a quanto ho capito.-

 

- Esatto.-

 

- Ti va di parlarne?-

 

Robin si girò verso Brook.- P-parlarne?-

 

- Sì. Potrebbe farti bene.-

 

- Io...non so, non ho mai parlato con nessuno della mia vita. Anche con Padre Urouge sono rimasta sul vago.-

 

Brook le accarezzò una mano.- Non devi sentirti obbligata a parlare, Robin. Se però hai voglia di farlo, io sono sempre a disposizione.-

 

La ragazza si ritrovò a contemplare il volto dell'anziano. Aveva uno sguardo gentile, di quelli che ispiravano fiducia. Le ricordava un pò il professor Clover.

 

E se mi sono fidata di Clover, pensò la mora, forse posso fidarmi anche di lui.

 

- Va bene. Ma la avverto, non è una bella storia.- Brook annuì e le strinse la mano. Lei prese un bel respiro e si schiarì la voce.

 

- E' iniziato tutto dieci anni fa, nella città di Ohara, in Alaska. E' lì che sono nata...-

 

E fu così che Robin raccontò a Brook tutto quello che le era successo negli ultimi anni, senza omettere alcun particolare. Quando ebbe finito, diversi minuti dopo, si accorse di sentirsi stranamente meglio.

 

- Mio Dio...Robin, non avrei mai immaginato che...ti chiedo scusa. Deve essere doloroso ripensare a tutto questo.- disse l'anziano, sinceramente dispiaciuto.

 

- Un pò, ma...mi ha anche fatto bene, come aveva detto lei. Era da tanto che non mi confidavo con qualcuno.-

 

- Lieto di esserti stato d'aiuto, allora.-

 

Robin annuì e bevve un altro sorso di caffè, svuotando la tazza.- Signor Brook, volevo chiederle una cosa...-

 

- Dimmi, cara.-

 

- Ecco...perchè mi ha accolta nella sua casa? Fino a ieri lei non mi conosceva, e per quanto ne sa io potrei anche essere una criminale.-

 

- Una criminale, tu? Yo-hohoho, questa è davvero bella!- Brook cominciò a ridere a crepapelle, smettendo quando notò l'espressione di Robin.- Scusa, è solo che...voglio dire, è vero che fino a ieri non ti conoscevo, ma non ci vuole niente per capire che sei una brava ragazza. Basta guardarti in faccia.

 

- Riguardo al motivo per cui ho scelto di ospitarti...beh, mi sembrava la cosa giusta da fare. E poi, da quando mia moglie Cindry è morta, qui in casa siamo rimasti solo io e Lovoon. Per quanto possa volere bene a quel cagnone, devo dire che non è un granchè, come conversatore.-

 

Robin ridacchiò.- Immagino che vorrà sempre parlare di ossi e gatti da inseguire.-

 

- E non solo. Continua a raccontare di quella volta che ha inseguito il postino e gli ha strappato il didietro dei pantaloni con un morso. E' stata la prima volta che ho visto delle mutande coi fiorellini addosso a un uomo.-

 

Nella cucina risuonò la risata dei due.

 

Robin doveva ammettere che l'anziano cominciava davvero a starle simpatico. Fece una piccola pausa e dopo riprese a parlare.- Signor Brook...è sicuro che per lei non sia un problema se resto qui?-

 

- Sicurissimo, perchè dovrebbe esserci un problema?-

 

La mora prese una decisione.- Allora io...rimarrò qui. E credo proprio che accetterò anche il lavoro che mi ha offerto il signor Ivankov.-

 

- Benissimo, Iva ne sarà entusiasta!-

 

Per la prima volta da quando aveva lasciato Whisky Peak, Robin cominciava a sentirsi bene. Non solo fisicamente, ma anche a livello emotivo. Stranamente, però, le stava venendo voglia di piangere.- Io...non so proprio come ringraziarvi...lei, signor Brook, e anche il signor Ivankov e Padre Urouge...-

 

- Ma cara, non c'è bisogno che ci ringrazi.-

 

E fu allora che Robin decise di lasciarsi andare del tutto. Chiuse gli occhi e iniziò a piangere. Ma a differenza delle altre volte, stavolta piangeva di felicità.

 

Brook si alzò in piedi, andò vicino a Robin e la abbracciò, stringendola più forte che poteva.

 

- Non hai più nulla da temere, Robin. Questa adesso è casa tua.-

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Di tutti i capitoli che ho scritto finora, questo qua è il mio preferito. Mi sono divertito un mondo a scrivere le disavventure di Robin. Del resto, lei è il mio personaggio preferito, quindi non poteva essere altrimenti. A voi com’è sembrato?

 

Nel caso ve lo stiate chiedendo, i nomi che ho dato a Spandam e Clover sono un piccolo riferimento a quel capolavoro che è il Trono di Spade. Se non avete mai visto questa serie, vi consiglio di farlo (e anche di dare un’occhiata ai libri su cui si basa).

 

A proposito del Trono di Spade, tra di voi ci sono per caso dei fan? Ve lo chiedo perché ho una mezza idea di scrivere un crossover con One Piece, e non mi dispiacerebbe qualche dritta.

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo tra due settimane!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 15: In arresto ***


Capitolo 15: In arresto

 

10 Gennaio 2016

Loguetown, California, USA

Un edificio in fiamme

 

Avete presente il detto "Le disgrazie non vengono mai da sole"? Allora, avrete più volte avuto la possibilità di verificarne la validità. Se succede qualcosa di brutto, si può star certi che presto ne seguirà un'altra.

 

Proprio come era successo la mattina del 10 Gennaio ai pompieri di Loguetown. Un grosso incendio alla periferia della città aveva richiamato l'attenzione di buona parte dei vigili del fuoco. Subito dopo, però, ne era scoppiato un altro in una delle zone residenziali della città. Ed essendo la maggior parte degli uomini già impegnati, erano stati convocati anche i pompieri in prova.

 

Tra questi, anche il giovane Monkey D. Rufy.

 

Naturalmente, il ragazzo era accorso in caserma con tutto l'entusiasmo che lo contraddistingueva. Anche se, essendo ancora in prova, non gli avrebbero lasciato fare molto, voleva comunque fare la sua parte e dimostrare di avere la stoffa del pompiere.

 

Inizialmente, tutto era andato bene. Poi, una delle persone che avevano salvato dall'incendio si era ricordata che la figlia più piccola era ancora in casa. A quel punto, le fiamme avevano completamente avvolto il palazzo, e sarebbe stato estremamente pericoloso anche solo avvicinarsi. Alcuni dei pompieri veterani erano dell'opinione che ormai non ci fosse più nulla da fare.

 

Ma Rufy, che oltre ad essere cocciuto come un mulo era anche parecchio impulsivo, la pensava diversamente. Prima che qualcuno potesse accorgersi di quello che stava facendo, si era bagnato dalla testa ai piedi ed era entrato nell'edificio per salvare la bambina. Ci aveva messo pochissimo a trovarla, visto che la piccola strillava come un'ossessa (Come biasimarla?). Se l'era stretta al petto e aveva cercato di rifare all'indietro il percorso che lo aveva portato lì, ma all'improvviso delle lingue di fuoco gli avevano bloccato la strada, ed era stato costretto a cercare una nuova via d'uscita.

 

Per tutto il tempo aveva avuto il cuore in gola. Pur mantenendo una faccia spavalda per non spaventare ulteriormente la bimba, dentro di sè stava morendo di paura, e quando le fiamme lo avevano circondato, per un attimo aveva pensato di morire. Se l'era cavata per il rotto della cuffia. All'ultimo minuto, era riuscito a saltare da una finestra con la bambina stretta tra le braccia e ad atterrare su un cassonetto dei rifiuti pieno e fortunatamente aperto. La piccola aveva protestato per la puzza, ma per il resto era illesa. Rufy l'aveva riconsegnata subito dopo alla sua famiglia.

 

Ora era seduto a terra e con la schiena appoggiata all'autopompa, a riposarsi, mentre gli altri pompieri si occupavano di estinguere le ultime tracce dell'incendio.

 

Ad un certo punto Rufy notò che Marco stava venendo nella sua direzione. In un primo momento pensò che volesse rimproverarlo per la sua azione sconsiderata, ma si dovette ricredere quando si accorse che non aveva la solita "faccia da rimprovero" (Ormai riusciva ad identificarla con una precisione scientifica).

 

- Ehilà, Marco.-

 

- Ciao, Rufy. Tutto bene?-

 

- Un pò affaticato, ma per il resto sto bene.-

 

Il biondo si fermò a pochi centimetri da Rufy.- Sai, volevo parlarti di quello che hai fatto poco fa.-

 

Rufy annuì.

 

- E' stata un'azione molto avventata. Avresti dovuto lasciar fare a uno dei pompieri più esperti. Invece così hai seriamente rischiato di lasciarci le penne.-

 

- Lo so, ma che altro potevo fare? Quella poveretta stava per fare la fine di un pollo arrosto.-

 

Marco ridacchiò per l'analogia.- E' vero. Ed è proprio per questo che sono venuto a congratularmi con te.-

 

Rufy ebbe l'impressione di aver capito male.- Cosa? Dici sul serio?-

 

- Sì. Per fare una cosa del genere ci vuole molto coraggio, e tu hai dimostrato di averne un bel pò. Per cui, ti faccio i miei complimenti, Rufy.- 

 

Il ragazzo si sentì molto sollevato.- Grazie, Marco.-

 

- Lo sai, dopo oggi credo proprio che non ci sarà nessun problema ad ammetterti come pompiere a tutti gli effetti...-

 

- DAVVERO?- Gli occhi del giovane Monkey schizzarono fuori dalle orbite.

 

- Certo. Oggi te la sei cavata alla grande, e...- Marco fu costretto a interrompere la frase quando un Rufy sovraeccitato gli saltò addosso e iniziò a stritolarlo.

 

- Grazie, grazie! Oh, sono così felice...-

 

- Lo sarei anch'io se la smettessi di stritolarmi.- disse Marco, che stava già diventando viola.

 

- Scusa.- Rufy lasciò andare la presa.

 

Marco controllò che tutte le ossa fossero ancora intatte.- Un altro abbraccio dei tuoi e dovrò andare in ospedale.-

 

- Scusa, Marco, non volevo farti male. Il fatto è che quando sono felice non riesco a controllarmi.-

 

- Beh, allora spero di non farti mai incazzare.- disse Marco sorridendo.

 

I due risero per la battuta e poi tornarono dai loro compagni.

 

***

 

Negli studi di Logue Channel

 

Seduta alla sua postazione, Paula Rockbell svolgeva come sempre il suo lavoro di giornalista.

 

-...intervistato dal nostro inviato Galdino, il Primo Ministro pro tempore Cobra Nefertari ha dichiarato che la crisi politica in Egitto può considerarsi definitivamente conclusa. I capi delle fazioni ribelli sono stati arrestati e condannati agli arresti domiciliari, in attesa del processo, che si terrà la settimana prossima. Fatto questo, ha dichiarato sempre Nefertari, l'Egitto potrà aiutare gli alleati occidentali nel conflitto contro l'Isis.- La giornalista si aggiustò gli occhiali, e, come tante altre volte, si posizionò in modo da mettere in evidenza la scollatura.

 

- E adesso, passiamo alle notizie dagli Stati Uniti. Iniziamo con i risultati delle elezioni Californiane.

 

- Come sapete, la settimana scorsa erano emersi quattro candidati, tutti con lo stesso numero di voti: Gomez Pink, Lawrence Cavendish, Eli Satch, e Jonas Petricelli. Ieri c'è stata una nuova votazione, in cui gli elettori hanno dovuto scegliere tra queste quattro persone il nuovo Governatore della California.- Fece una piccola pausa, tanto per creare un effetto drammatico.

 

- Purtroppo, neanche stavolta si è arrivati a un risultato concreto. Sono comunque emersi due candidati con più voti degli altri: Jonas Petricelli ed Eli Satch. Pertanto, bisognerà procedere a una nuova votazione, stavolta tra questi due candidati, che si terrà il giorno 14.

 

- Satch e Petricelli non hanno rilasciato dichiarazioni. Il Governatore pro tempore Pink, invece, in una conferenza stampa tenutasi stamattina alla Governor's Mansion, ha espresso la sua speranza che la nuova votazione sia quella decisiva. Ha anche annunciato il suo pieno sostegno al futuro vincitore, chiunque egli sarà. Lawrence Cavendish, che tra l'altro ha ottenuto la percentuale di voti più bassa di tutti la scorsa settimana, non si è reso disponibile per un'intervista.- Fece una pausa e sospirò.

 

- I commenti degli spettatori sulla nostra pagina di Facebook esprimono impazienza e fastidio. Molti hanno anche avanzato l'ipotesi che le elezioni siano state truccate per favorire l'instabilità della California. L'unica cosa certa, è che l'indice di gradimento di Jonas Petricelli sta salendo sempre di più. Sarà lui il nostro nuovo Governatore? Solo il tempo potrà dirlo.

 

- Ora cambiamo del tutto argomento. I produttori della celebre serie televisiva Game of Thrones hanno annunciato la futura partecipazione allo show di Shirley Fishmann, alias Madame Shirley, ex pornostar e attuale compagna dell'ormai ex pilota Franky Flam. La notizia è stata confermata anche sul profilo Facebook della signorina Fishmann, per cui tra l'altro questo rappresenterebbe un ritorno al mondo dello spettacolo dopo una pausa di un anno e mezzo, e anche il suo primo ruolo non pornografico. Ancora non si conoscono i dettagli, ma i fan del mondo di Westeros e dei film di Madame Shirley sono già in fibrillazione. E considerando le scene a cui Game of Thrones ci ha già abituati, possiamo star certi che ci sarà di che rifarsi gli occhi.- Sorrise e subito dopo proseguì.

 

- E ora, una notizia che farà felici gli animalisti. Il noto attivista Jorge Kaido ha vinto la sua causa contro la compagnia Magellan Oil. Kaido, che si è avvalso dello studio legale newyorkese Vinsmoke & Roronoa...-

 

***

 

Villa della famiglia Petricelli

 

Chiuso nel suo ufficio, con le gambe appoggiate sulla scrivania, Jonas Petricelli alias Crocodile parlava al telefono col suo socio spagnolo.

 

- Tutto sta procedendo come avevo previsto...no, stavolta no. La gente sarà talmente esasperata che non dovremo ricorrere a nessun trucco...sì, ti ho già detto che questa linea è più che sicura.- Fece una piccola pausa e ascoltò quello che il suo interlocutore aveva da dire.

 

- Sì, sono sicuro che andrà bene. Perchè, dici? Beh, mettiamola in questi termini. Tu per chi voteresti, se volessi un Governatore forte che...bravo, vedo che hai capito. E comunque, tanto per andare sul sicuro, ho deciso di fare quella certa cosa di cui discutevamo tempo fa...esatto, Saul Capone e gli altri...sì, mi rendo conto, ma possiamo sempre sfruttare qualcun altro.- Sbadigliò.- Senti, io adesso chiudo. Ti richiamo se ci sono novità. Hasta luego, Joker.- Mise giù la cornetta senza aspettare la risposta dell'altro. Si massaggiò una tempia e sbuffò. Gli era venuta un'emicrania coi fiocchi. Quella situazione lo stava stressando sempre di più. Non vedeva l'ora che...

 

Qualcuno bussò alla porta.- Zio Jonas! Ci sei?-

 

Petricelli digrignò i denti e soffocò una bestemmia.- Sono occupato, Bartolomeo. Cosa c'è?-

 

- Niente, sto uscendo e volevo sapere se ti serviva qualcosa.-

 

- Non mi serve niente, grazie.- rispose secco il sindaco di Loguetown.

 

- Va bene, allora io vado. Ci vediamo domattina!- Sentì un rumore di passi che si allontanavano e una porta che si chiudeva.

 

Crocodile sospirò e chiuse gli occhi.- E ho pure finito i sigari...che seccatura.- Sbadigliò di nuovo e decise di schiacciare un pisolino.   

 

Si addormentò dopo appena tre minuti, e sognò un mondo perfetto in cui non doveva avere a che fare nè col Joker nè con Bartolomeo, dove aveva tutto ciò che voleva e la gente lo osannava al suo passaggio.

 

Ciò era bello, ed egli sorrise nel sonno.

 

***

 

Hotel-ristorante Baratie

La stanza di Sanji Vinsmoke

 

Sanji era sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto. Nojiko, distesa sul fianco sinistro, dormiva con la schiena rivolta verso di lui. Erano nudi. I loro vestiti giacevano sparsi qua e là per la stanza.

 

Ormai lui e Nojiko si frequentavano da più di un mese, e le cose stavano andando meglio di quanto entrambi avessero immaginato all'inizio. Quello che era iniziato come una serie di incontri a base di sesso spinto, si era trasformato in un rapporto vero e proprio. Sanji stava iniziando a provare per lei qualcosa che andava al di là dell'attrazione fisica, ed era quasi certo che per lei fosse lo stesso. Non ne avevano ancora parlato, però, e nessuno dei due aveva presentato l'altro alle rispettive famiglie. Ritenevano che fosse meglio aspettare un pò.

 

Avevano diverse cose in comune. Una grande voglia di vivere e di esplorare il mondo, il gusto del bello, la passione per i libri di George Martin e Ken Follett, l'amore per la musica reggae. Parlavano molto, sia della vita in generale che dei loro progetti (Sanji non le aveva ancora parlato dell'All Blue, però). Inoltre, durante una chiacchierata, la ragazza gli aveva rivelato di voler diventare una fotografa professionista. Aveva già pubblicato alcuni scatti su una rivista online. Sanji li aveva visti, e pur non capendo nulla di fotografia doveva ammettere che lei aveva davvero talento. Si augurava che lei potesse realizzare il suo sogno, e che lo avrebbe ancora voluto al suo fianco durante il tragitto. Anche dal punto di vista sessuale andavano forte (Tra l'altro, grazie a lei Sanji aveva scoperto il mondo del sadomaso, di cui fino a qualche tempo prima aveva avuto solo un vago concetto).

 

Non si era mai sentito così felice. Nojiko era diversa da tutte le altre ragazze che aveva conosciuto. Se fosse stato credente (Andava in chiesa solo per far contento suo padre), avrebbe ringraziato Dio con tutto il suo essere.

 

Si girò sul fianco e accarezzò piano i capelli blu della ragazza, ascoltando il suo respiro e ammirando la sua schiena e quello che veniva dopo. Ogni volta che la vedeva nuda, non poteva fare a meno di stupirsi per tutta quella bellezza. Certe volte gli sembrava irreale. Si sentiva davvero fortunato che una simile dea avesse scelto proprio lui.

 

Con un sospiro, chiuse gli occhi e cercò di prendere sonno. Qualche minuto dopo, non riuscendoci, gettò la spugna e decise di dedicarsi ad altro. Ultimamente aveva trascurato del tutto il progetto dell'All Blue, essendosi dedicato solo al Baratie e ancora di più a Nojiko. Magari avrebbe potuto lavorarci un pò adesso. Sì, era davvero un'ottima idea.

 

Si alzò dal letto, stando attendo a non svegliare la ragazza, e poi si sedette alla scrivania. Tirò fuori da un cassetto la ricetta dell'All Blue e la esaminò per l'ennesima volta. Ci stava lavorando da un sacco di tempo, ma non era ancora arrivato a un risultato decente, e la cosa stava cominciando ad esasperarlo. Una volta aveva anche pensato di mollare tutto, ma era stato solo un breve momento di sconforto: aveva iniziato quel progetto, e lo avrebbe portato a termine, a costo di doverci mettere degli anni!

 

All'improvviso sentì un cigolio alle sue spalle, seguito da uno sbadiglio.- Cosa fai?-

 

Si girò. Nojiko si era svegliata e lo guardava con espressione interrogativa.

 

- Niente, Padrona.- rispose in fretta Sanji.

 

Nojiko sorrise.- Sanji, non devi fare lo schiavetto per tutto il tempo. Puoi anche comportarti normalmente, quando non giochiamo.-

 

Il biondo si rilassò un pochino.- Sicura? Non è che, quando meno me lo aspetto, tiri fuori la frusta?- Non sarebbe stata la prima volta. La ragazza adorava fargli degli scherzi, a volte anche molto pesanti.

 

- Non ti preoccupare. Il gioco è finito. Adesso c'è solo la cara, vecchia me stessa.-

 

Sanji sospirò sollevato.- Meno male.-

 

- Comunque, cos'è che stai facendo?-

 

- Niente, sto...sto controllando una cosa. Una cosa segreta.-

 

- Di che si tratta?-

 

- Se te lo dico, giuri di tenere la cosa per te?-

 

Nojiko annuì e si posò una mano all'altezza del cuore.- Giuro solennemente di non farne parola con nessuno.-

 

- Ok. Stavo controllando una ricetta a cui sto lavorando da un pezzo.-

 

- Ah, è una roba complicata?-

 

- Abbastanza. E' un piatto nuovo, una zuppa di pesce che volevo preparare per quando sarei diventato capocuoco del Baratie.-

 

- Ho capito. Un piatto speciale per celebrare l'evento.-

 

- Anche, ma più che altro servirà...o meglio, dovrebbe servire a rendermi famoso per qualcosa di veramente mio.-

 

- In che senso, scusa?-

 

Sanji le spiegò il motivo per cui stava lavorando alla sua zuppa di pesce All Blue.

 

- Hmm...e finora come va?-

 

- Così così. Ho provato varie combinazioni, ma non ce n'era nessuna che andasse bene. Ho ristretto la lista degli ingredienti e ora sto pensando a come procedere.-

 

- Posso darti una mano, se vuoi.-

 

- Ti intendi di alta cucina?-

 

- Un pò. Provare non costa nulla. E poi che vuoi che succeda? Al limite, cancelli tutto e ricominci daccapo.-

 

Sanji annuì.- Va bene.- Si alzò e andò a sedersi sul bordo del letto. Nojiko gli si mise affianco, e lui ne approfittò per darle un'altra occhiata al seno. Mai viste delle tette così belle, pensò. Sembrano scolpite da un artigiano divino.

 

La ragazza prese in mano la lista e controllò gli ingredienti.- Ci sono pesci di tutti i tipi.- commentò.

 

- Lo so, per questo l'ho chiamata All Blue. Volevo creare qualcosa che ricordasse i mari di tutto il mondo.-

 

La giovane O'Malley annuì e si accarezzò il mento, indicando poi uno dei nomi segnati nella lista.- Questo qua si potrebbe anche togliere.-

 

- Ci stavo giusto pensando. E' un tipo di pesce che non mi ha mai convinto molto.-

 

- Ok. E...e se provassi a togliere questo e ad aggiungere un altro pò di questo?-

 

- Ci ho già provato, ma il sapore veniva troppo forte.-

 

- Hmm...e se invece mettessi un pò di paprika?-

 

Il giovane Vinsmoke riflettè un attimo.- Non ci avevo mai pensato. Però potrebbe funzionare.- Ebbe un'illuminazione.- Sì, ci sono...ora so come fare. Grazie, Nojiko! Mi hai dato una splendida idea!- Prese la ragazza per le spalle e le stampò un bacio sulle labbra.

 

- Quanto entusiasmo.- commentò lei divertita.

 

- Per forza, mi stavo scervellando da un sacco. Ora però so come fare. Diavolo, questa potrebbe essere un'autentica svolta!- Si alzò dal letto e ritornò alla scrivania.

 

Nojiko, però, aveva altro in mente.- Sono felice di esserti stata d'aiuto, però...che ne diresti di occuparti un pò della sottoscritta, adesso?-

 

Sanji si girò e vide che la ragazza si era sdraiata e stava allargando lentamente le gambe, continuando a fissarlo. Capì subito l'antifona, e non se lo fece ripetere due volte. Mise via la lista.

 

- Certo...Padrona.-

 

Nojiko ridacchiò e lui saltò sul letto, pronto a fare il suo dovere.

 

Purtroppo, il telefono della ragazza scelse proprio quel momento per suonare.

 

- Che cazz...- esclamò Sanji.

 

Nojiko prese il telefono dalla borsa e controllò il numero sullo schermo.- Papà? E che vuole?- Sfiorò l'icona di accettazione.- Pronto, papà?...Dove sono...ehm, sono da un'amica.- mentì. Non aveva ancora detto a Shanks del suo rapporto con Sanji.- Perchè, che è successo?- Sanji vide un'espressione allarmata farsi strada sul volto della ragazza, e iniziò a preoccuparsi.- Cosa...ma come...va bene, arrivo subito.- Chiuse la comunicazione, rimise a posto il telefono e saltò giù dal letto.

 

- E' successo qualcosa?- le chiese Sanji.

 

Nojiko raccolse da terra i suoi abiti e iniziò a rivestirsi.- Si tratta di mio zio. E' stato arrestato.-

 

***

 

L'appartamento di Eustass "Kidd" O'Malley

Qualche minuto prima

 

Nell'appartamento risuonavano dei forti rumori di risucchio, misti a gemiti di piacere e grugniti. A produrli erano Kidd ed Hancock, che non si erano mai curati molto della discrezione (I vicini si erano lamentati più volte di certi rumori). Erano entrambi nella stanza da letto, nudi.

 

Kidd era seduto sul bordo del letto a gambe aperte e grugniva come un autentico maiale, mentre Hancock, in ginocchio tra le gambe di lui, era impegnata in un "esame orale" che avrebbe suscitato l'invidia di una professionista dell'hard.

 

Era in momenti come questi che Kidd andava in estasi e si dimenticava completamente del resto del mondo. E non poteva essere altrimenti. Come avrebbe potuto pensare ad altro, con una simile bellezza che si dedicava al suo membro come se fosse l'unico scopo della sua vita? Quella donna era davvero incredibile. Aveva un frullatore al posto della bocca! Ancora una volta, ringraziò il fato per avergliela fatta incontrare.

 

Come tutti i bei momenti, anche quello giunse alla fine (Del resto, Hancock stava andando avanti da un bel pò, e la mascella cominciava a farle male). Kidd gemette un'ultima volta ed eruttò come un vulcano nella bocca di lei, che golosa ingoiò tutto quanto.

 

Ansimando, il rosso accarezzò la testa della mora.- Sarò anche ripetitivo, Hancock, però...diavolo, se sei brava!-

 

Hancock leccò via una goccia di sperma che le era rimasta sulle labbra e sorrise maliziosa a Kidd.- Che posso dire...sono una donna dai molti talenti.-

 

Kidd fece scorrere lo sguardo lungo il morbido corpo della donna, soffermandosi in particolare sui suoi seni invitanti, sodi e grossi come cocomeri. Allungò una mano e ne sfiorò uno.- Già. Hai davvero molti talenti.- 

 

La mora si alzò in piedi e Kidd la afferrò per i fianchi. La strinse a sè e insieme si rotolarono sul letto, finchè Kidd non le fu sopra. Il rosso la baciò con passione e le accarezzò i fianchi.

 

- Non dirmi che hai di nuovo voglia...- sussurrò Hancock.

 

- E se anche fosse?- La mano dell'uomo scivolò tra le gambe della mora e iniziò a stuzzicarla con maestria.

 

- Sì, così...mmh, non ti fermare...-

 

Purtroppo, quel momento piccante fu interrotto dal trillo improvviso del campanello della porta d'ingresso.

 

Kidd sbuffò.- E adesso chi è che rompe?-

 

- Aspettavi qualcuno?- chiese Hancock.

 

- No, nessuno.-

 

Il campanello suonò di nuovo.- Polizia. Aprite.- giunse una voce profonda e autoritaria.

 

Kidd scattò giù dal letto.- Gli sbirri?-

 

- Kidd, hai fatto qualcosa?-

 

- No, ma è meglio che vada a vedere che vogliono, sennò questi non se ne vanno più.-

 

Il rosso si infilò in fretta e furia un paio di jeans presi dall'armadio e marciò verso l'ingresso dell'appartamento, borbottando colorite bestemmie. Spero solo che non siano qui per qualche stronzata, pensò il rosso. Sennò è la volta buona che mi sbattono dentro per omicidio!

 

Arrivato nell'ingresso, Kidd spalancò la porta e, senza neanche badare a chi aveva davanti, sbottò: - Che cazzo c'è?-

 

Davanti al rosso c'erano due poliziotti. Uno di loro era Johnny "Scheggia" Anderson, mentre l'altro era Winston Pauly, amici e colleghi di Zoro Roronoa. Nessuno dei due sembrò scomporsi per i modi bruschi di Kidd (Anche perchè erano abituati a peggio, tra le imprecazioni dei criminali che arrestavano e le continue sfuriate del Capitano Callahan).

 

- E' lei Eustass Patrick O'Malley, detto Kidd?- chiese Pauly.

 

- Sì, e le ripeto la domanda di prima: che cazzo c'è?-

 

Il poliziotto biondo tirò fuori dalla tasca un paio di manette e si avvicinò a Kidd, mettendogliele ai polsi prima che questi potesse reagire.- La dichiaro in arresto per complicità nei reati di sfruttamento della prostituzione e spaccio di droga. Ora le elencherò i suoi diritti...-

 

 

OMAKE

 

Marco aprì la porta del suo appartamento e accese la luce, trovandosi così davanti due uomini vestiti di nero, uno dei quali aveva in mano una valigetta.

 

- E voi chi siete? Che ci fate in casa mia?-

 

- E' lei il signor Marco Phoenix?-

 

- Sì. Perchè?-

 

L'uomo che aveva parlato aprì la valigetta e ne estrasse dei fogli.- Siamo di Equitalia. Abbiamo delle cartelle esattoriali da notificarle.-

 

Il biondo strabuzzò gli occhi e iniziò a urlare.- NOOOOOOOOO!!!!!!!-

 

- Marco, perchè urli?-

 

Il pompiere aprì gli occhi e si rese conto di essere nel suo letto.- Oh...niente, Rufy, è stato solo...- In quel momento si accorse di un particolare inquietante.- Un attimo...che ci fai nel mio letto? E perchè sei nudo?-

 

Rufy sorrise e accarezzò i capelli dell'altro uomo.- Non è ovvio?-

 

Marco, inorridito dalla realizzazione, urlò di nuovo.- NOOOOOOOOO!!!!!!!-

 

- NOOOOOOOOO!!!!!!!- Il pompiere si alzò a sedere sul letto, ansimando come se avesse appena concluso la maratona di New York. Rimase qualche attimo con lo sguardo fisso nel vuoto, poi si rese conto che era stato solo uno stupido sogno. Per sicurezza si diede anche un pizzicotto sul braccio. Poi sbuffò, e si rimise a dormire.

 

- Fanculo, devo smetterla di mangiare pesante la sera.-

 

 

NOTA: Stavolta niente da dire. Vi invito solo a commentare e a restare sintonizzati.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 16: Dietro le sbarre ***


Capitolo 16: Dietro le sbarre

 

11 Gennaio 2016

Loguetown, California, USA

Negli studi di Logue Channel

 

-...è di ieri la notizia che ha creato scompiglio in tutta la città. In seguito a delle informazioni ricevute dalla Cipher Pol Aigis, che, in quanto agenzia privata, è abilitata ad indagare ma non ad eseguire arresti, la polizia di Loguetown è riuscita a smantellare una grossa organizzazione criminale con base proprio in questa città. Un duro colpo per il crimine organizzato.

 

- L'organizzazione sembrerebbe capeggiata da Saul Capone, proprietario di una catena di ristoranti italiani qui in città. Capone è sempre stato una figura piuttosto ambigua, e fino a questo momento le voci sui suoi rapporti col crimine organizzato non avevano mai trovato una vera e propria conferma.- La Rockbell si schiarì la voce.

 

- Tra gli arrestati, anche Eustass O'Malley, proprietario di molti celebri locali notturni di Loguetown, tra cui lo strip-club Amazon Lily e il Marineford. Stando a quanto rilasciato dal portavoce della polizia, i locali di proprietà del signor O'Malley venivano usati principalmente come piazze di spaccio di droga, soprattutto cocaina e agalmatolite, oltre che come vere e proprie case d'appuntamenti per clienti facoltosi.

 

- E a questo proposito, mi comunicano dalla regia che è pronto un breve filmato con la testimonianza di una delle donne coinvolte nel giro di prostituzione. Per precauzione, abbiamo camuffato la voce e inquadrato la donna in modo da non mostrarne il viso.-

 

A quel punto, lo schermo alle spalle della giornalista si accese, mostrando una donna seduta su una poltrona e inquadrata di spalle, l'unico particolare distinguibile i capelli neri.

 

- Quando sono venuta qui a Loguetown, non avevo un soldo.- disse la donna con la voce camuffata.- Ho cercato lavoro ovunque, ma non ho avuto fortuna. Poi, una ragazza che avevo incontrato in un bar mi propose di lavorare come spogliarellista all'Amazon Lily. All'inizio mi sembrò una buona idea. Avrei guadagnato bene, senza faticare molto.

 

- Solo dopo capii quanto mi sbagliavo. Quello che all'apparenza sembrava un semplice locale di spogliarelli era in realtà un bordello per gente ricca. Con la scusa di fare degli spettacolini nel privè, le ragazze venivano pagate per avere rapporti con i loro clienti. Spesso però non volevano, e venivano costrette. Io stessa sono stata picchiata diverse volte. Ci minacciavano di morte se solo avessimo pensato di andare a parlare con la polizia.

 

- E non solo. Spesso eravamo costrette ad assumere droghe di ogni tipo. Cocaina, erba, eroina, anche agalmatolite. Era un autentico inferno. Io...- Singhiozzò un paio di volte.- Scusate...- Al che scoppiò a piangere.

 

Lo schermo si spense e la telecamera tornò a inquadrare la Rockbell.

 

- Le indagini della polizia su questa storia terribile sono tuttora in corso. Inoltre, secondo alcune voci non confermate, ci sarebbe un possibile legame tra l'organizzazione di Saul Capone e la Baroque Works...-

 

***

 

Villa della famiglia Petricelli

 

Petricelli guardava il notiziario con un ghigno trionfale. Tutto stava andando secondo i piani. E nessuno sospettava che ci fosse lui dietro a tutto questo.

 

- Poveri fessi...-

 

La sua risata echeggiò in tutta la stanza.

 

***

 

Una cella del terzo distretto di polizia

 

Kidd sedeva nella cella, da solo, la testa china e mille pensieri che gli vorticavano in testa. Non riusciva a credere a quello che gli era successo. Certo, non poteva dire di essere uno stinco di santo, ma non era neanche un criminale. Non aveva mai desiderato di mettersi a fare il pappone, e non aveva mai toccato della droga. A parte una puntatina al casinò ogni tanto, gli unici vizi che si concedeva erano l'alcol e le donne (In nessun caso prostitute). I suoi amici, però...era anche possibile che qualcuno di loro fosse coinvolto in affari poco puliti. Ma perchè avevano arrestato anche lui? Doveva per forza trattarsi di un errore. Oppure...oppure l'avevano incastrato.

 

Sì. Era quella l'unica spiegazione possibile. Qualcuno lo aveva incastrato. Forse qualcuno che ce l'aveva con lui. Ma chi?

 

Sentì la porta in fondo al corridoio che veniva aperta. Seguirono un paio di voci che non riuscì a distinguere, e poi un rumore di passi che iniziarono ad andare nella sua direzione. Alzò la testa, aspettandosi che si trattasse di un altro poliziotto, magari venuto a prelevarlo per un interrogatorio, o magari per portargli qualcosa da mangiare (Sarebbe anche stata ora, che diamine!). Ma invece ebbe una sorpresa. Perchè pochi secondi dopo, oltre le sbarre della sua cella, vide comparire suo fratello Shanks. Kidd si rallegrò un poco. Finalmente un volto familiare.

 

- Ehi, fratellone.-

 

- Ciao, Eustass.- Shanks si fermò davanti alla cella e incrociò le braccia all'altezza del petto. Non aveva una bella espressione.

 

- Meno male che sei venuto. Sai, cominciavo a pensare che vi foste dimenticati di me.-

 

Il maggiore dei fratelli O'Malley annuì.- Avrei voluto venire prima, ma non me lo hanno permesso. Sai, l'orario delle visite e tutto il resto...-

 

- Figurati. Sempre a rompere le palle, gli sbirri.-

 

- Ho anche provato a chiedere se era possibile tirarti fuori su cauzione. Mi hanno risposto che dovrai restare in cella fino al processo.-

 

- E perchè?-

 

- Una nuova legge che hanno approvato qualche mese fa, dicono.-

 

- Hmpf. La mia solita fortuna. A proposito, ti hanno mica detto chi si occuperà del caso?-

 

Shanks annuì.- Il procuratore Sakazuki.-

 

- Oh, merda.- Akainu Sakazuki era il procuratore distrettuale più temuto di tutta la California. Se era lui ad occuparsi di un caso, si poteva stare certi che le cose non sarebbero andate bene per gli accusati.- Di male in peggio.-

 

Ci fu un attimo di silenzio.

 

- Eustass, devo chiedertelo...- disse alla fine Shanks.- Hai davvero commesso i reati di cui ti accusano?-

 

- Cazzo, Shanks, no!- gridò Kidd balzando in piedi.- Non ho fatto nulla! E' vero che non sono un cittadino modello, e che alcuni dei miei amici hanno una reputazione un pò ambigua, ma non sono un criminale! Non ho mai spacciato droga! Cazzo, non l'ho mai nemmeno toccata.-

 

- E le ragazze dello strip-club?-

 

- Semplici spogliarelliste, nient'altro! Si limitano a dimenarsi sul palco e a scuotere le tette in faccia ai clienti, tutto qui.-

 

- Hmm...stando a quanto mi hanno detto i poliziotti, le ragazze hanno dichiarato ben altro.-

 

- Tutte stronzate!- Kidd afferrò le sbarre della cella.- Shanks...Cassidy, è una montatura. Qualcuno vuole incastrarmi. Sono innocente!-

 

Shanks rimase un attimo in silenzio, per poi sospirare. Kidd notò che l'espressione del fratello si era incupita. Cominciò a preoccuparsi.

 

- Ne hai combinate tante nella tua vita, Eustass.- disse l'irlandese trapiantato in America.- Talmente tante che ci vorrebbe una notte intera per elencarle. E ogni volta, io mi dicevo che eri solo un ragazzo scapestrato che sbagliava, e che la prossima volta avresti imparato dai tuoi errori. E ti perdonavo sempre.

 

- Ma questo...questo è veramente troppo.-

 

- Che vuoi dire?-

 

- Che non ti aiuterò, Eustass. Hai passato il limite. Sei diventato un criminale.-

 

Kidd rimase a bocca aperta. Suo fratello, la persona che lo aveva sempre protetto fin da quando erano piccoli...lo stava praticamente abbandonando. Non era possibile.

 

- Non è così, Shanks. Mi hanno incastrato, lo giuro!- Il rosso sembrava sul punto di mettersi a piangere.- Ti prego...mi devi credere.-

 

Ma l'altro O'Malley non si scompose.- Vorrei poterlo fare, Eustass. Davvero.- Sospirò di nuovo e fece per andarsene.

 

- No, aspetta...Shanks! FRATELLONE!-

 

Shanks fece finta di non sentire le grida di suo fratello. Si limitò ad abbassare la testa e ad andarsene da lì.

 

***

 

Hotel-ristorante Baratie

La stanza di Kaya Vinsmoke

 

Naturalmente, la notizia degli arresti si era diffusa ovunque e in pochissimo tempo, in alcuni casi con degli effetti spiacevoli e inaspettati.

 

Tanto per fare un esempio, la giovane Kaya Vinsmoke non solo si era ritrovata di colpo senza lavoro, ma aveva anche dovuto raccontare tutto a suo padre (All'anziano era venuto un colpo quando aveva sentito il nome di sua figlia tra gli indagati, durante il notiziario di Logue Channel, e aveva ovviamente preteso spiegazioni).

 

Stava passando un brutto momento. Pur non essendo accusata di nulla, in quanto barista dell'Amazon Lily doveva comunque essere interrogata dalla polizia. Ma era più che sicura che non sarebbe stata arrestata. Non aveva fatto niente di illegale, e anche se nei privè dello strip-club alcuni clienti si dedicavano ad attività illecite, lei ne era completamente all'oscuro.

 

Adesso, stava raccontando l'accaduto al suo fidanzato Usop, il quale era entrato di nascosto nella stanza arrampicandosi sul grosso albero che stava di fronte alla finestra (Zef avrebbe sicuramente obiettato alla sua presenza, se lo avesse saputo. Il capocuoco provava simpatia per il ragazzo, ma quelle erano circostanze particolari).

 

-...ti lascio immaginare papà come ha reagito.-

 

- Me lo immagino eccome.- annuì Usop. Al posto suo, non avrebbe preso bene una simile notizia.

 

- La cosa peggiore è che adesso mi ritroverò senza lavoro! Non riuscirò a mettere da parte i soldi che mi servono per andare a vivere da sola, e non potrò neanche continuare a pagarmi gli studi. Dovrò cercarmi un altro lavoro, oppure...dovrò chiedere aiuto a papà.-

 

Usop era dispiaciuto per Kaya. Sapeva quanto ci tenesse alla propria indipendenza.

 

Al che gli venne un'idea.- Se vuoi, posso chiedere al signor O'Malley di assumerti come cameriera al Red Force.-

 

- Davvero lo faresti?-

 

- Sì. E poi, con Rufy che passa sempre più tempo in caserma coi pompieri, una persona in più ci farebbe davvero comodo.-

 

- Oh, grazie, Usop!-

 

La bionda espresse la sua gratitudine stampando un bacio sulla bocca del moro. Quest'ultimo, sorpreso dal gesto, rimase immobile.

 

- Non aspettarti chissà quale paga, però.- disse il brasiliano dopo essersi staccato dalla sua ragazza.

 

- Tranquillo, neanche all'Amazon Lily prendevo molto. E poi, sono una brava risparmiatrice.-

 

A quel punto i due rimasero in silenzio per qualche attimo. Dopo un pò, Usop si accorse che Kaya lo guardava mordendosi un labbro. Alzò un sopracciglio. Sembrava quasi che volesse dirgli qualcosa, ma esitasse a farlo.

 

- Cosa c'è?- disse cercando di avere un tono rassicurante.

 

Kaya deglutì.- Ecco...cambiando completamente argomento...c'è una cosa a cui sto pensando da qualche giorno.-

 

- Cioè?-

 

La risposta della ragazza lo colse di sorpresa.- Usop, voglio fare l'amore con te.-

 

Il giovane Abacar sussultò.- C-cosa?-

 

- Ho detto che voglio fare l'amore con te.-

 

- H-ho...ho sentito. Ma intendevo...perchè adesso?-

 

- Che c'è di strano, scusa?-

 

- Beh, visto quello di cui stavamo parlando fino a poco fa...insomma...-

 

- Ho capito, pensi che non sia il momento adatto.-

 

Il ragazzo annuì.- E poi, scusa, non corriamo il rischio che tuo padre o tuo fratello entrino all'improvviso e ci trovino insieme?- L'idea non gli piaceva per niente. Era sicuro che se Sanji o Zef lo avessero trovato nel letto di Kaya, lo avrebbero rispedito in Brasile a calci nel didietro.

 

- La porta è chiusa a chiave. Se arrivassero, avresti il tempo di nasconderti.

 

- E comunque, penso che il momento sia più che adatto.- Strinse una mano del moro e lo guardò negli occhi.- Usop, è da più di un mese che ci frequentiamo. Non dirmi che non hai pensato neanche una volta a certe cose?-

 

Usop arrossì.- In effetti...-

 

Kaya sorrise.- Ci ho pensato anch'io. E...credo che ormai il momento sia arrivato.

 

- Ti voglio, Usop. Ti voglio così tanto...-

 

Usop non rispose, limitandosi a guardarla negli occhi con una punta di imbarazzo. La giovane Vinsmoke decise di prendere l'iniziativa. Posò le labbra su quelle del brasiliano e gli accarezzò un fianco. Quel semplice gesto ebbe l'effetto immediato di far perdere qualunque inibizione al ragazzo, che ricambiò il bacio e abbracciò la bionda. Subito dopo i due si sdraiarono e iniziarono a spogliarsi a vicenda.

 

- Usop...- mormorò Kaya.

 

- Sì?- rispose lui.

 

- Fai piano, per favore. E'...è da un pò che non sto con un ragazzo.-

 

Usop annuì.- Non preoccuparti. Sarò gentilissimo.-

 

E così accadde. Usop trattò Kaya come un fiore delicato, e quando ebbero finito, la ragazza aveva il sorriso più luminoso che lui avesse mai visto.

 

- Ti amo, Usop.- disse la bionda con un filo di voce, le guance arrossate per la passione.

 

- Ti amo anch'io, Kaya.- rispose il giovane Abacar.

 

Si addormentarono l'uno tra le braccia dell'altro.

 

***

 

Casa della famiglia O'Malley

 

Anche in casa O'Malley l'atmosfera non era delle migliori. Shanks era rientrato dalla visita a Kidd con un'espressione tetra che aveva messo di malumore tutti, perfino Bellemere e Nami. Il giorno dopo si era chiuso nel suo ufficio e non aveva parlato con nessuno fino a sera, quando era rientrato in camera da letto. Sua moglie Makino aveva aspettato che si infilasse nel letto, senza fargli domande. Lei e Shanks erano sposati da tanti anni, e ormai sapeva bene che quando suo marito era di quell'umore, era meglio aspettare che parlasse lui per primo.

 

Come infatti accadde dopo cinque minuti che Shanks si fu sdraiato sotto le coperte.

 

- Non sarò stato un pò troppo duro con lui?- disse il rosso con lo sguardo rivolto al soffitto, dopo aver riassunto a Makino l'accaduto.

 

- Può darsi, ma in una situazione del genere credo che chiunque si sarebbe comportato in quel modo.- rispose la donna, stesa su un fianco e col gomito appoggiato sul materasso.

 

L'irlandese sospirò.- Che ne pensi?-

 

- Secondo me è innocente.-

 

- Davvero? Proprio tu, che non lo hai mai sopportato e hai sempre detto che era un poco di buono?-

 

- E' vero. Però credo che sia innocente. Insomma, Kidd è una testa di cazzo di prima categoria...senza offesa...ma non penso che sia un criminale.-

 

Shanks si girò su un fianco.- Io...sinceramente, non so più cosa pensare. Eustass ne ha sempre combinate di tutti i colori...non sarebbe strano se avesse deciso di andare oltre il limite.

 

- E poi c'erano delle prove schiaccianti. Le testimonianze di tutte quelle ragazze, e la droga che la polizia ha trovato nel suo appartamento...- Scosse la testa. - Non so proprio cosa fare, Makino.-

 

- Può anche darsi che sia tutta una montatura.- ipotizzò lei.

 

- E chi avrebbe interesse a incastrarlo?-

 

- Non lo so. Però...amore, è pur sempre tuo fratello.- Gli accarezzò il viso.- Anche se è colpevole, dovresti almeno cercare di stargli vicino.-

 

Il rosso ridacchiò.- Hai sempre avuto il cuore tenero, Makino.-

 

La donna sorrise.- Lo so. Ma è questo che ti piace di me, o sbaglio?-

 

- E' così.-

 

Qualche attimo di silenzio.

 

- Va bene, ci penserò.- disse alla fine il rosso.

 

Shanks baciò sua moglie e si girò dall'altra parte, addormentandosi poco dopo.

 

 

OMAKE

 

Di ritorno da una passeggiata in centro con Robin, Nami aprì la porta ed entrò in casa. Fece per proseguire, quando all'improvviso sentì la voce di sua madre proveniente dalla cucina.

 

- Attento, che così la spacchi in due!-

 

- Tranquilla, so quello che faccio.-

 

La rossa alzò un sopracciglio. L'altra voce era di un uomo. Probabilmente era quel poliziotto che frequentava sua madre, Clint Callahan. Ma cosa stavano facendo?

 

- Piano, fai piano...-

 

Nell'aria risuonò un gigantesco PLOP, e subito dopo si sentì di nuovo la voce di Bellemere.

 

- Ecco, bravo, hai spruzzato dappertutto!-

 

Nami cominciò ad avere una vaga idea di cosa stessero combinando quei due. Perciò, decise di uscire di nuovo e di tornare dopo almeno un paio d'ore. Cercando di non farsi sentire, varcò la soglia e richiuse piano la porta, per poi allontanarsi di corsa.

 

Intanto, Bellemere e Smoker erano in piedi davanti al tavolo della cucina, su cui era sparsa una misteriosa sostanza biancastra, parte della quale stava colando sul pavimento. Callahan aveva lo sguardo basso, e Bellemere sembrava parecchio contrariata.

 

- Scusa...- mormorò l'uomo, le cui mani erano occupate da un grosso oggetto di forma oblunga.

 

- La prossima volta, lo champagne lo stappo io!- esclamò Kyoko Watanabe.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Spero che la scena con Usop e Kaya sia venuta bene. Come ho già detto altre volte, questa è la prima shipping fic che scrivo, nata da un desiderio di provare a scrivere qualcosa di diverso dal mio solito. Perciò, vi chiedo umilmente di farmi sapere la vostra opinione.

 

Comunque, la storia si sta avviando verso la fine. Altri cinque capitoli e chiuderà il sipario, gente! Come sempre, vi invito a rimanere sintonizzati. Ci rivediamo tra due settimane!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 17: Il nuovo Governatore della California ***


Capitolo 17: Il nuovo Governatore della California

 

15 Gennaio 2016

Loguetown, California, USA

L'appartamento di Bellemere e Nami

 

Nei giorni successivi alla sua partenza, Bibi si era sempre tenuta in contatto con Nami. Oltre a scambiarsi di tanto in tanto messaggi su Facebook o Twitter, ogni due o tre giorni le due amiche facevano una lunga chiacchierata via Skype. Proprio come stavano facendo in quel momento.

 

-...alla fine ho deciso di andare alla Marijoa University, qui a Loguetown. Uno dei ragazzi che lavorano qui al Red Force è fidanzato con una ragazza che frequenta lì la facoltà di medicina, e me ne ha parlato molto bene. E poi, è vicina a casa, quindi non dovrò spendere chissà quanto per spostarmi.- disse Nami.

 

- Bene, e quand'è che incominci i corsi?- le chiese Bibi.

 

- Penso verso Settembre, ma non sono ancora sicura. Devo prima mettere da parte abbastanza soldi.-

 

- Giusto.- Bibi sapeva che, pur non essendo proprio povere, Nami e sua madre non potevano neanche definirsi ricche.

 

- Sai, quando l'ho detto a mia madre quasi non ci credeva. Non le sembrava vero che finalmente mi fossi decisa.-

 

- Già, ricordo che me lo avevi detto più di una volta. Dicevi sempre che non ti veniva in mente nulla. Comunque, sono contenta per te.-

 

Di recente, la rossa aveva preso una decisione che avrebbe cambiato la sua vita. Finalmente, dopo anni di incertezza, aveva deciso quale mestiere avrebbe fatto: la pediatra. Dopo quella volta che aveva letto delle favole alla piccola Mocia nella sala d'attesa, era tornata il giorno dopo per fare altrettanto con gli altri bambini. Inizialmente l'aveva fatto solo per accontentare Mocia, ma poi era successo qualcosa. Non sapeva di preciso cosa fosse, fatto sta che occuparsi dei piccoli degenti del Saint Kureha le aveva procurato una gioia immensa. Andava lì ogni volta che poteva, e i piccoli ormai la consideravano una sorta di sorella maggiore. Con sua grande sorpresa, aveva scoperto di saperci fare con i bambini. Perciò, una volta messi da parte abbastanza soldi, aveva deciso che si sarebbe iscritta alla facoltà di medicina, per poi specializzarsi in pediatria.

 

La giovane Watanabe era felicissima. Finalmente, aveva trovato il suo scopo nella vita.

 

- A te invece come va? Tutto a posto con tuo padre?- chiese all'egiziana.

 

- Oh, sì, papà sta benissimo. E' solo un pò stressato per via del suo nuovo incarico.-

 

- Immagino. Fare il Primo Ministro non dev'essere un compito facile.-

 

- Infatti. Certe volte dice che avrebbe fatto meglio a darsi all'agricoltura.-

 

Risero.

 

- E con Kosa invece come va?-

 

- Alla grande.- Bibi era tornata insieme a Kosa subito dopo essere rientrata in Egitto, e il loro rapporto andava a gonfie vele.- E a questo proposito, Nami, volevo chiederti una cosa.-

 

- Di che si tratta?-

 

- Io e Kosa stiamo pensando di sposarci. Non c'è ancora niente di definitivo, però...se succederà, ti andrebbe di farmi da testimone?-

 

Quella domanda colse di sorpresa la rossa.- Non so se è il caso...-

 

- Se ti riferisci a quello che c'è stato tra noi due, puoi stare tranquilla. Gli ho detto tutto.-

 

- Ah. E...lui come ha reagito?-

 

- Ha detto che non gli importa, e che vuole pensare solo al futuro.-

 

Nami annuì, ma non disse altro.

 

- Ti prego, Nami. Significherebbe molto per me.- la implorò l'egiziana.

 

Nami era indecisa sul da farsi. Visti i loro trascorsi, forse la sua presenza sarebbe stata un pò fuori luogo. Ma d'altra parte Bibi era sua amica. Non poteva certo deluderla.

 

Alla fine la giovane Watanabe cedette.- E va bene, sarò la tua testimone.-

 

L'egiziana ne fu felice.- Magnifico. Magari potrai anche approfittare dell'occasione per visitare l'Egitto. Se non sbaglio, dicevi di volerci andare...-

 

- Hai ragione. E magari mi farai tu da guida.-

 

- Puoi contarci.- Una voce fuori campo fece voltare l'egiziana.- Va bene, arrivo.- Tornò a rivolgersi alla sua amica.- Ora devo andare. Ci risentiamo Lunedì alla stessa ora, va bene?-

 

- Va bene. Passa un buon fine settimana.-

 

Le due ragazze si scambiarono un ultimo saluto e chiusero la comunicazione.

 

***

 

Tribunale

 

-...pertanto, condanno l'imputato Eustass Patrick O'Malley a dieci anni di reclusione, da scontare nel penitenziario federale di Impel Down. Così ho deciso, l'udienza è terminata.- Il giudice Strawberry battè il martelletto sul legno dello scranno, per sottolineare la sua frase.

 

Al banco degli imputati, Kidd abbassò la testa. Il suo avvocato, Kizaru Borsalino, rimase in silenzio. Sapevano entrambi che gli era andata abbastanza bene. Tra tutti gli imputati, Kidd aveva ricevuto la pena più leggera, grazie soprattutto all'abilità di Kizaru. Saul Capone aveva ricevuto l'ergastolo, anche perchè nel frattempo erano emerse prove di altri crimini da lui commessi in passato. Das Bornes e Kaya Vinsmoke, invece, erano stati riconosciuti come estranei ai fatti.

 

Kidd continuava a chiedersi come fosse potuto accadere. Era sicuro che qualcuno l'avesse incastrato. Il problema era che non aveva prove per dimostrarlo. L'accusa, invece, di prove ne aveva parecchie. Come ad esempio la testimonianza di Hancock Boa, che aveva sconvolto l'intera aula coi racconti della depravazione di Kidd e di tutte le nefandezze che aveva commesso. Tutte false, ovviamente, ma come già detto, non c'erano prove contrarie.

 

Naturalmente, Kidd non era rimasto in silenzio. Sebbene il suo avvocato gli avesse detto più volte di mantenere la calma, dopo la deposizione di Hancock lui si era messo ad urlare come un pazzo, tanto che il giudice aveva minacciato di far sgomberare l'aula. Inutile dire che la cosa aveva aggravato la sua posizione, dando all'accusa ulteriori armi con cui colpirlo. Per tutto il resto del processo, il rosso era rimasto seduto al suo posto con le braccia incrociate, continuando a fissare Hancock con un'espressione più di stupore che di rabbia. La mora aveva evitato il suo sguardo. Non riusciva a spiegarselo. Per quale motivo aveva raccontato tutte quelle menzogne? Era quella la cosa che più lo faceva stare male. Si sentiva come se lei lo avesse tradito col suo migliore amico.

 

L'avvocato Borsalino sospirò e si aggiustò gli occhiali. - Mi dispiace, Eustass. Davvero.-

 

- Lascia perdere, Kizaru. Hai fatto del tuo meglio.- Kizaru era considerato un vero e proprio principe del foro, ma purtroppo stavolta la sua abilità oratoria non era servita a molto. Il rosso non gli serbava rancore. Anzi, gli era grato. L'italo-giapponese era forse l'unico dei suoi amici che poteva essere definito una persona rispettabile, e non aveva neanche voluto essere pagato. Kidd avrebbe dovuto sdebitarsi con lui in qualche modo, appena uscito di galera.- Anzi, se non fosse stato per te sarebbe andata peggio.-

 

- Non è finita, comunque. Ricorrerò in appello.-

 

- Mi sa che sarà inutile.- Con la coda dell'occhio vide il procuratore distrettuale Sakazuki allontanarsi assieme al giudice. Kidd non aveva mai visto di persona quell'uomo prima d'ora, ma lo aveva odiato fin dal primo istante. Anche Hancock si allontanò in quel momento, rapidamente e con lo sguardo basso. Perchè, Hancock?, pensò il rosso. Perchè?

 

Sentì un colpo di tosse. Si girò e vide Makino e Nojiko che gli si avvicinavano. Dietro di loro, Nami, Bellemere, e un ragazzo biondo che Kidd riconobbe come uno dei Vinsmoke. Non si interrogò più di tanto alla sua presenza.

 

- Ehi, Makino.-

 

- Ciao, Eustass.- rispose sua cognata. Kidd si era sorpreso nel vederla tra il pubblico. Tra di loro non c'erano mai stati buoni rapporti. Quello che non lo aveva sorpreso, invece, era l'assenza di Shanks.

 

- Tuo marito non c'è?-

 

- Lui...non se l'è sentita di venire.-

 

- Non lo biasimo.- Capiva perchè suo fratello non era venuto, e non glie ne faceva una colpa. Ma la sua assenza lo feriva lo stesso.

 

- Ehm...vi lascio soli. Ci vediamo, Eustass.- Borsalino mise le carte usate per l'arringa in una valigetta nera e se ne andò.

 

Kidd lo guardò allontanarsi.- Sembra proprio che stavolta andrò in galera, eh?- disse mestamente.

 

- Se può consolarti, Eustass, noi crediamo che tu sia innocente.- disse Makino.

 

- Proprio tu, che dicevi sempre male di me.-

 

La donna sospirò.- E' vero. Ma credo anche che tu non sia un criminale.-

 

- E' un peccato che tu non sia un giudice. Avrei potuto cavarmela, oggi.- Rise.- Comunque, grazie. Sono contento che ci sia qualcuno che crede nella mia innocenza, oltre a Kizaru.-

 

- Ha fatto un ottimo lavoro, con quell'arringa.-

 

- E' vero.-

 

Rimasero tutti in silenzio per qualche secondo.

 

Nojiko si fece avanti.- Verremo a trovarti ogni volta che potremo, zio.-

 

- Non ti preoccupare, Nojiko. Anche solo una volta alla settimana andrà bene.- Vide che il biondo di prima non si era staccato da Nojiko.- Piuttosto, lui?- lo indicò con un cenno del capo.

 

- Sanji? E'...è il mio ragazzo.-

 

Kidd sorrise.- Te la fai coi Vinsmoke, adesso, eh? Tuo padre lo sa?-

 

- Per il momento è meglio che non lo sappia.-

 

- Capisco. Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me.- Le fece l'occhiolino.

 

In quel momento, arrivarono dei poliziotti.- E' ora di andare, signor O'Malley.- disse uno di loro.

 

- Va bene, arrivo.- Si alzò in piedi.- Ah, Makino...per favore, dì a Shanks che non lo biasimo per quello che mi ha detto. Lui capirà.-

 

Makino annuì e abbracciò Kidd, seguita da Nojiko, Nami e Bellemere. Subito dopo cominciarono tutti ad allontanarsi. Ma appena prima di andarsene coi poliziotti, il rosso ebbe un pensiero improvviso.

 

- Ehi, Vinsmoke!-

 

Sanji si girò.

 

- Vedi di trattare bene mia nipote, hai capito?-

 

Il biondo vide lo sguardo feroce di Kidd e scattò sull'attenti.- C-certo, signore.-

 

Kidd ridacchiò e lasciò che i poliziotti lo portassero via.

 

***

 

La casa di Tashigi

 

Dopo la morte di suo padre, Tashigi aveva chiesto e ottenuto due settimane di licenza, che aveva trascorso cercando di superare il lutto e riorganizzando la palestra Shimoshiki. In questo era stata aiutata da Zoro, che le era stato accanto ogni giorno. Il poliziotto dai capelli verdi lo aveva fatto principalmente per aiutare l'amica, ma anche per risolvere la questione rimasta in sospeso tra loro due. Tuttavia, non aveva neanche ancora accennato alla cosa. Continuava a rimandare, in attesa che Tashigi si fosse ripresa abbastanza dal lutto (Era molto legata a Koshiro, e la sua morte l'aveva devastata).

 

Ora, dieci giorni dopo la morte di Koshiro, i due poliziotti sedevano nella cucina della casa di lei. La ragazza aveva offerto un tè a Zoro, in parte per ripagarlo dell'aiuto che le stava dando. Roronoa aveva finito in due sorsi la sua tazza, mentre quella di Tashigi era ancora mezza piena.

 

- Sei stato davvero gentile ad aiutarmi, Zoro. Grazie.- disse lei.

 

- Non dirlo neanche. Per te questo e altro.-

 

- Mi sono sentita uno straccio, in questi giorni. Ma grazie a te, sto cominciando a sentirmi meglio.-

 

- Vedrai che per quando tornerai al lavoro ti sarai rimessa del tutto.-

 

La ragazza sospirò.- Non tornerò, Zoro.-

 

- In che senso?-

 

- Ho deciso di lasciare la polizia e dedicarmi solo alla palestra. Non posso fare due lavori contemporaneamente.-

 

Quelle parole colsero di sorpresa Roronoa.- Ma...perchè? Gli orari non sono in contrasto.-

 

- Zoro...a parte che sarebbe troppo stressante, il fatto è che la mia vera passione sono sempre state le arti marziali. Se sono entrata in polizia, è stato solo per starti vicino.-

 

Il poliziotto deglutì.- E...pensi di farcela, a gestire da sola la palestra?-

 

- Certo. Anche quando...quando c'era Oto-san, mi occupavo io di un sacco di cose.- Sospirò.- Appena finirà questa licenza, darò le dimissioni.-

 

- Mancherai a tutti, al distretto.-

 

- Davvero? I tuoi amichetti non facevano altro che prendermi in giro.-

 

- E' solo il loro modo di mostrarti il loro affetto. Ti considerano un pò una sorellina minore.- Era vero, per quanto strano potesse sembrare. Tashigi era benvoluta da tutto il distretto. Al funerale di Koshiro erano presenti tutti i poliziotti, compresi quelli che non avevano mai parlato molto con la ragazza. - Anche il Capitano Callahan ti vuole bene. Me lo ha detto lui stesso.-

 

- Mi fa piacere. Ma ormai ho deciso. Lascerò la polizia.-

 

- Almeno ci permetterai di venirti a trovare?-

 

- Certo. Potete venire in palestra quando volete.-

 

A quel punto nella stanza calò il silenzio. Tashigi bevve gli ultimi residui del suo tè e mise via la tazza. Incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò sopra la testa.

 

Zoro decise che era arrivato il momento di parlare con lei. Non poteva continuare a rimandare. Prese un bel respiro e parlò.- Ascolta, c'è una cosa di cui vorrei discutere.-

 

La ragazza alzò la testa e lo guardò.- Dimmi.-

 

- Riguarda...insomma, noi due...quello che è successo poco prima di Natale.-

 

In un primo momento, l'occhialuta non capì.- Noi due? Cosa...- Al che le venne in mente la sfuriata che aveva fatto a Zoro fuori dal distretto.- Oh...ho capito. Ma perchè ora?-

 

- Credo che sia meglio non lasciare certe questioni in sospeso.-

 

- Hai ragione.-

 

Per un attimo nessuno dei due fiatò.

 

Fu Zoro a parlare per primo.- Per prima cosa, volevo scusarmi per averti ignorata. Non l'ho fatto per cattiveria, è solo che...diciamo solo che non sono mai stato molto bravo a capire certe cose.-

 

- Me ne sono accorta.- rispose seccamente lei.- Comunque, non hai di che scusarti. Anzi, sono io che dovrei farlo. Quella volta fuori dal distretto...avrei dovuto essere più gentile.-

 

- Non preoccuparti, è tutto a posto. Penso anche che me la meritassi.-

 

- Ero arrabbiata, e ho detto delle cose...cioè, mi conosci, io non sono una che impreca...-

 

- Infatti, quel giorno mi sono chiesto cosa ti fosse successo. Per un attimo ho anche pensato che fossi posseduta.-

 

La ragazza sorrise.- Addirittura.-

 

- Già, sembravi davvero un'indemoniata.- Fece una pausa.- L'altra cosa di cui volevo parlare è che...ci ho pensato un pò, e voglio provarci.-

 

- Provarci con cosa?-

 

- Con te, per vedere se...se possiamo andare d'accordo e...-

 

Lei lo bloccò con un gesto della mano.- Zoro, non devi sentirti obbligato a fare certe cose. Se non ti piaccio, va bene lo stesso. Rimarremo amici, e io vedrò di farmene una ragione.-

 

- No, Tashigi, non è così.- Si schiarì la voce.- Tu mi piaci, e anche parecchio. Ho sempre pensato che avessi un bel cu...ehm, che fossi molto bella. E non solo, sei anche una persona intelligente, dolce e premurosa. Qualunque uomo sarebbe fortunato ad averti.

 

- Vedi, il fatto è che la mia ultima relazione non è andata bene. Anzi, è andata malissimo. L'idea di averne un'altra mi spaventa. Ma negli ultimi giorni ho riflettuto parecchio, e mi sono reso conto che non è detto che debba andare per forza di nuovo così. Perciò, ho preso una decisione.

 

- Sarò sincero: non so se arriverò ad amarti col tempo, o anche solo se riusciremo ad andare d'accordo. Però penso che valga la pena fare un tentativo. Quindi ti chiedo: Tashigi, vuoi uscire con me una di queste sere?-

 

Tashigi rimase per un pò a bocca aperta, gli occhi spalancati. Poi tornò in sè, lanciò un grido di gioia e si gettò addosso a Zoro.- SI'! FINALMENTE! NON SAI QUANTO HO ASPETTATO...- Fece per baciarlo, ma lui la spinse via.- Cosa...-

 

- Credo che sia meglio non affrettare le cose.- disse l'uomo, vagamente imbarazzato da tutto quell'ardore.

 

- Scusa, hai ragione.- La ragazza si ricompose.- Però...almeno questo...- Gli diede un bacio sulla guancia. Stavolta, Zoro non si mosse, limitandosi ad arrossire.

 

- Allora, dove potremmo andare per questo nostro primo appuntamento?- chiese lei.

 

- Non so, Tashigi. Forse...- Zoro si interruppe e rimase un secondo in silenzio, per poi iniziare a ridere.

 

- Cosa c'è?-

 

Zoro smise di ridere.- No, niente. Mi sono solo reso conto che...ecco, è buffo. Sono talmente abituato a chiamarti per cognome che mi sono dimenticato il tuo nome.-

 

Tashigi ridacchiò e scosse la testa.- Chissà perchè la cosa non mi stupisce...comunque, mi chiamo Kuina.-

 

- E' un bel nome.-

 

- Vedi di non scordartelo di nuovo, però.-

 

Stavolta risero entrambi.

 

***

 

Villa della famiglia Petricelli

 

-...ormai è ufficiale. Finalmente, le elezioni sono giunte a un risultato definitivo! Con una percentuale di voti del 65%, Jonas Petricelli è stato scelto come nuovo Governatore della California!- La voce di Paula Rockbell era l'unico suono che riempiva la stanza. Petricelli, alias Crocodile, se ne stava seduto in silenzio ad ascoltare.

 

- Come tutti sanno, Petricelli è un noto imprenditore attivo soprattutto nel settore edile, nonchè sindaco della città di Loguetown. Naturalmente, ancora per poco. Come da lui già annunciato, Petricelli si dimetterà dalla carica e lascerà la gestione della città al suo vice, Rayleigh Silvers, il quale rimarrà in carica fino allo scadere del mandato del suo predecessore.

 

- Il giuramento è fissato per domani a mezzogiorno, e saranno presenti sia l'ormai ex Governatore temporaneo Gomez Pink che diverse personalità del mondo politico.

 

- I commenti sui social network sono già numerosi. Molti si chiedono se Petricelli sarà in grado di eliminare la minaccia della Baroque Works, come aveva promesso durante la campagna elettorale, e soprattutto se riuscirà ad essere all'altezza del compianto Edward Newgate...-

 

Petricelli spense il televisore e si voltò verso il ritratto di suo padre sulla parete di fronte alla scrivania.- Hai visto, papà? Niente male per l'ultima ruota del carro, eh? Credo proprio di aver superato ogni tua aspettativa.- 

 

Stappò la bottiglia di costoso champagne francese che aveva conservato apposta per l'occasione e ne versò una generosa quantità in un bicchiere, per poi avvicinarselo alle narici.- Aaah, il dolce profumo della vittoria.- mormorò soddisfatto. Bicchiere in mano, si alzò in piedi e si incamminò lentamente verso il ritratto.

 

- E pensare che dicevi sempre che ero un buono a nulla. Lo pensavi anche quando sei morto, mi hai affidato la famiglia solo perchè per te non c'erano altre alternative valide.- Corrugò la fronte.- Una volta mi avevi detto che non avrei mai combinato granchè nella vita. Beh, guardami adesso!

 

- Prima semplice boss mafioso, poi sindaco di Loguetown, adesso Governatore della California, e in futuro...- Le labbra gli si allargarono in un sorriso demoniaco.-...Presidente degli Stati Uniti!-

 

Arrivato di fronte al quadro, si fermò. Sollevò il bicchiere come per fare un brindisi e mando giù il contenuto in un colpo solo.

 

- Buon compleanno, papà. Spero che adesso tu sia all'inferno.-

 

 

OMAKE

 

-...e il nuovo Governatore della California è...NESSUNO! No, anzi, è...QUALCUNO! Uh, non so più cosa sto dicendo!-

 

Paula Rockbell aveva iniziato ad urlare come una pazza e ad agitarsi. Petricelli alzò un sopracciglio.- Ma che diavolo...-

 

La giornalista iniziò a strapparsi i vestiti.- Uh, ma che caldo che fa!- Rimasta solo con la biancheria intima, si mise a ballare.- Questo è il ballo del qua qua...-

 

Sir Crocodile si diede un pizzicotto sul braccio. No, non stava sognando, era tutto reale. Ma allora cosa stava succedendo?

 

La Rockbell si tolse anche il reggiseno e agitò i suoi seni prosperosi.- Sono vere, sapete? Tutta roba naturale, non c'è neanche un grammo di plastica!- Accarezzò quei meravigliosi globi di carne con una lentezza sensuale e si pizzicò i capezzoli.

 

Sempre più confuso, Petricelli si chiese perchè mai nessuno avesse fermato la donna o avesse interrotto il programma. Non che tutto quel ben di Dio gli dispiacesse, anzi. Ma era strano che una giornalista si comportasse in quel modo, e per di più durante un TG nella fascia giornaliera. C'era qualcosa di strano. Avevano forse nebulizzato nell'aria una droga che faceva comportare la gente in modo insolito?

 

Quando la donna stava ormai per togliersi anche le mutande (Al grido di "Sono blu anche là sotto, guardare per credere!"), l'italo-americano iniziò ad avere una vaga idea del motivo di tutte quelle bizzarrie. Del resto, pensandoci bene, era l'unica spiegazione possibile. Alzò lo sguardo al cielo ed esclamò: - Spangler, hai bevuto di nuovo?-

 

- Eh?- John Spangler mise giù la bottiglia di grappa che si stava scolando.- Ho bevuto solo un goccetto...HIC!- Sparse per terra, almeno una decina di bottiglie di alcolici vari, da vodka russa a cartoni di vino da due soldi (Indice del cattivo gusto di quel giovane scrittore di fanfiction).

 

- Solo un goccetto...un paio di palle! Posa subito quella bottiglia e smetti di scrivere!- gli ordinò Sir Crocodile.- Certe cose si fanno da lucidi, altrimenti si rischia di ottenere dei risultati aberranti. Guarda le 50 sfumature...-

 

- Cazzo, Croc, hai ragione!- Improvvisamente tornato sobrio, Spangler buttò via la bottiglia. L'idea di produrre una schifezza paragonabile alle 50 sfumature lo aveva scosso nel profondo.- Grazie per avermi fatto rinsavire.-

 

- Di niente. E ora torna a fare il tuo lavoro.-

 

Spangler annuì e riprese a scrivere, cancellando tutto quell'abominio di prima, per la gratitudine di Sir Crocodile e soprattutto della povera Paula Rockbell.

 

E dall'alto della sua nuvoletta, Eiichiro Oda scosse il capo.

 

- E dicono che il pazzo sono io...- Fece fare un'inversione a U alla nuvoletta e se ne tornò in Giappone, pronto a disegnare altri eccitanti capitoli di One Piece.

 

E tutti i rivenditori di alcolici della zona finirono sul lastrico, perchè da quel giorno Spangler non toccò più un goccio. E fu questa la vera tragedia.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Ci sono in giro diverse teorie secondo cui Tashigi e Kuina sarebbero la stessa persona. Non me le ricordo tutte, perciò eccovi un link: http://onepiecegt.it/?id=1421. Come ho detto prima, si tratta di teorie dei fan, quindi niente di ufficiale, ma nella mia storia ho voluto mettere un piccolo riferimento. Perciò, ecco a voi Kuina Tashigi, appassionata di arti marziali e innamoratissima di Zoro.

 

Ci rivediamo tra due settimane!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 18: Uomini in nero, notti insonni e tentativi di penetrazione ***


Capitolo 18: Uomini in nero, notti insonni e tentativi di penetrazione

 

17 Gennaio 2016

Loguetown, California, USA

A parecchie miglia di distanza dalla città

 

La strada era percorsa da una sola macchina, un'utilitaria di colore giallo piena di valigie e con a bordo tre persone. Erano le tre sorelle Boa: Hancock, Mary e Sandy. La prima guidava, mentre le altre due, molto più piccole di lei, giocavano sul sedile posteriore.

 

Hancock aveva aspettato che passassero due giorni dal processo, poi, quella mattina, aveva fatto i bagagli, decisa a lasciare per sempre Loguetown. Aveva intenzione di andare a San Diego, e una volta lì avrebbe iniziato una nuova vita.

 

Lei era una donna a dir poco sfortunata. Aveva perso entrambi i genitori qualche anno prima, e si era ritrovata a dover badare da sola alle sue sorelline. Aveva fatto lavori di ogni tipo, sempre senza molto successo, finchè un giorno non aveva deciso di averne avuto abbastanza. Aveva lasciato Pasadena, la sua città natale, e si era trasferita con Mary e Sandy a Loguetown, che tutti le avevano sempre descritto come la gemma della California.

 

E in effetti lo era, ma non per lei. L'unico lavoro che aveva trovato all'inizio le dava a malapena la possibilità di pagare le bollette. Anche se poi era stata assunta all'Amazon Lily, diventandone la spogliarellista di punta, la sua situazione finanziaria era rimasta tutt'altro che rosea.

 

Per questo aveva accettato con così tanto entusiasmo i novantamila dollari che il signor Bornes le aveva offerto per testimoniare contro Kidd. Certo, un pò le era dispiaciuto. In fondo il rosso non l'aveva mai maltrattata, ed era sicura che a suo modo le volesse bene. Ma lei era stanca di fare la fame. Voleva solo che lei e le sue sorelle avessero una possibilità di condurre una vita migliore. E quei soldi gliela avrebbero data. Una volta arrivata a San Diego, avrebbe affittato un appartamento a buon mercato, si sarebbe cercata un lavoro decente, e avrebbe cercato un modo per far fruttare i suoi soldi.

 

Sorrise. Finalmente, la sua vita stava prendendo una piega positiva.

 

Aggiustò lo specchietto retrovisore e tornò a concentrarsi sulla guida. La strada che stava percorrendo era piena di curve, e doveva stare attenta.

 

Dopo l'ennesima curva, si trovò davanti qualcosa che non si era aspettata. Un furgone nero stava fermo proprio al centro della carreggiata. Accanto ad esso, un uomo grande e grosso, vestito con un completo dello stesso colore del furgone. Per qualche strano motivo, indossava una maschera da hockey. Hancock si accorse che il furgone era posizionato in modo da bloccare completamente la strada. Si guardò attorno in cerca di un percorso alternativo, ma non ce n'erano.

 

La mora imprecò a denti stretti. Non poteva fare altro che fermarsi.

 

- Hancock, che succede?- chiese Sandy da dietro.

 

- Perchè ci siamo fermati?- proseguì Mary.

 

- Non è niente, ragazze, solo un piccolo contrattempo. Lo risolverò subito.- Si slacciò la cintura e aprì la portiera, pronta a dare battaglia.

 

- Ehi, tu, levati dalla strada!- gridò inviperita.

 

L'omaccione in nero non rispose. Si limitò a guardarla e a infilarsi una mano sotto la giacca.

 

- Sei sordo? Ho detto...- La frase le morì in bocca quando vide l'uomo estrarre una grossa pistola da sotto la giacca. Il panico si impadronì di lei. Fece per richiudere la portiera e mettere in moto la macchina per allontanarsi da lì, ma l'altro fu più rapido di lei. Un proiettile la colpì dritta in mezzo agli occhi. Col silenzio che avvolgeva quel luogo, lo sparo risultò ancora più rumoroso di quello che era. L'ex spogliarellista ebbe appena il tempo di rivolgere un ultimo pensiero alle sue sorelle, e poi morì. Il suo cadavere cadde a terra con un tonfo sordo, una metà fuori e un'altra metà dentro la macchina.

 

- HANCOCK!- Sandy e Mary erano terrorizzate. Cosa stava succedendo? Perchè quell'uomo aveva sparato a Hancock?

 

Paralizzate dal terrore, le due sorelle rimasero a guardare l'uomo in nero che si avvicinava lentamente alla macchina. Sembrava che facesse così apposta, per incrementare la paura delle sue vittime. Alla fine, l'uomo aprì con violenza la portiera della macchina e fissò lo sguardo sulle piccole Boa.

 

- Ti prego, signore, non farci del male...- pigolò Sandy, abbracciata stretta a Mary.

 

Ma l'uomo in nero non la ascoltò. Puntò la pistola e sparò altri due colpi alla testa delle bambine. Come Hancock prima di loro, Mary e Sandy non emisero alcun suono. I loro cadaveri si accasciarono sul sedile, continuando a fissare il loro assassino con occhi colmi di terrore.

 

- Spiacente, piccole, ma devo fare quello che mi ordina il capo.- esclamò in finto tono di scusa Das Bornes, togliendosi la maschera e riponendola nella tasca interna della giacca.

 

L'uomo rimise la pistola nella fondina sotto l'ascella sinistra e prese un telefono dalla tasca dei pantaloni, componendo il numero del suo datore di lavoro.

 

- Allora, Bornes?- giunse dall'altro capo la voce di Sir Crocodile.

 

- Tutto a posto, capo. I bersagli sono stati eliminati.-

 

- Bene, ora non dovremo più preoccuparci di loro.- Subito dopo, aggiunse: - Ti ha visto qualcuno?-

 

- Al massimo qualche uccello, ma per il resto qui attorno non c'è anima viva.- Ridacchiò per l'involontaria battuta.

 

- Molto bene. Adesso seppellisci i corpi nel deserto e brucia la macchina. Non deve restare neanche una traccia, hai capito?-

 

- Sì, capo. A proposito, dei soldi che ne devo fare?-

 

- Hmm...tieniteli. Direi che te li sei guadagnati.-

 

- Grazie, capo. Procedo subito.-

 

Das Bornes chiuse la comunicazione. Prese i cadaveri delle tre sorelle Boa e li seppellì in profondità, in un punto ben lontano da lì, poi sparse un bel pò di benzina sulla loro macchina e le diede fuoco con l'accendino che si era portato appresso (Naturalmente, prima si assicurò di mettere in salvo i soldi. Aveva già qualche idea su come spenderli). Rimase a guardare finchè la macchina non fu ridotta a un ammasso di metallo annerito, poi salì sul furgone e rientrò in città.

 

***

 

Penitenziario federale di Impel Down

 

L'acqua della doccia smise di scorrere. Le ultime gocce sparirono nello scarico assieme a peli e residui di sapone.

 

Kidd uscì dalla doccia, afferrando il primo asciugamano che gli capitò davanti. Iniziò ad asciugarsi i capelli e sospirò.

 

Impel Down era peggio di come se l'era immaginata. Sembrava un posto progettato da un architetto in preda a qualche turba mentale. Era così cupo che, al suo arrivo, Kidd era stato colto da un'improvvisa depressione. Il personale, poi, era ancora peggio. Il direttore, un certo Mr. Hannyabal, era l'uomo più brutto che avesse mai visto, oltre ad essere un bastardo pomposo e arrogante con un alito che sapeva di fogna. Aveva provato un pò di sollievo quando aveva visto le guardie che lo avrebbero poi accompagnato nella sua cella, una bella rossa di nome Sady (Che preferiva essere chiamata Sady-chan) e una biondona da urlo il cui cognome aveva scorto sulla targhetta che portava sul mastodontico petto, Domino. Purtroppo, la gioia iniziale era svanita quando si era reso conto che quelle due erano in realtà delle pazze sadiche che si divertivano a torturare sessualmente i carcerati. Per non parlare poi di quello strano tipo all'ingresso, quel Saldeath. Metteva i brividi solo a guardarlo. L'unica cosa positiva di quel posto era il cibo.

 

Nonostante le rassicurazioni di Kizaru sul ricorso in appello, Kidd era sicuro che avrebbe passato i prossimi dieci anni lì dentro. Aveva parlato con un paio di detenuti che erano lì da molto tempo, ricevendo dei resoconti tutt'altro che rassicuranti. A quanto pare, Impel Down riusciva a ridurre la stragrande maggioranza dei detenuti all'ombra di sè stessi, tanto che quando uscivano i loro parenti li riconoscevano a malapena. Alcuni si erano anche suicidati. Normalmente ci sarebbero state delle proteste da parte di qualche associazione per i diritti umani, ma dato che quel carcere racchiudeva la feccia d'America, nessuno muoveva un dito. I due detenuti avevano consigliato a Kidd di rassegnarsi, come avevano fatto tutti gli altri.

 

Ma Kidd non era come gli altri. Lui avrebbe tenuto duro. Non si sarebbe fatto scoraggiare da quell'ambiente. E una volta fuori da lì, avrebbe dato una svolta alla sua vita, a cominciare dal rapporto con Shanks. A costo di metterci una vita, avrebbe messo le cose a posto col suo fratellone. Lo giuro sulla tomba di Juls, riflettè mentre finiva di asciugarsi.

 

Si avvolse l'asciugamano attorno alla vita e fece un nodo per tenerlo fermo.

 

- Guarda un pò chi c'è!-

 

Kidd si girò nella direzione della voce e imprecò. Erano ancora quei due tipi che continuavano a dargli fastidio da quando era lì, Jesus Burgess e Pierre Lafitte. Erano entrambi molto alti, ma il primo aveva un fisico massiccio, che a Kidd ricordava molto quello di certi luchadores messicani (Infatti, era stato proprio quello il mestiere di Burgess prima che questi decidesse di darsi al crimine), mentre l'altro era magro e pallido (Quasi quanto un cadavere. Il che era ironico, considerando che prima lavorava in un'impresa di pompe funebri). Erano diversi anche nell'atteggiamento: rumoroso e prepotente Burgess, calmo e untuoso Lafitte. L'unica cosa che avevano in comune, era l'incredibile capacità di irritarlo.

 

- Ciao, rosso. Ti siamo mancati?- disse Lafitte.

 

Kidd roteò gli occhi.- Andate a rompere il cazzo a qualcun altro. Sul serio, lo dico per voi. Non ho voglia di sorbirmi le vostre stronzate anche oggi.-

 

- Quanta ostilità. Mi chiedo perchè. Non abbiamo fatto nulla per meritarcela.- ghignò Lafitte.

 

- Già, vogliamo solo fare amicizia.- grugnì Burgess.

 

Kidd sbuffò. Sapeva cosa intendevano in realtà. Aveva fatto delle domande agli altri detenuti, scoprendo così delle inquietanti verità su di loro. Non solo avevano fatto parte della banda del famigerato Barbanera, assassino e pedofilo, ma avevano anche instaurato un vero e proprio regime di terrore tra i detenuti di quella sezione del carcere. Oltre a questo, aveva anche saputo che i due avevano un modo tutto loro per dare il benvenuto ai nuovi arrivati, se questi erano di loro gradimento. La cosa aveva incrementato il disgusto che Kidd già provava.  

 

Altro che fare amicizia, quei due volevano inchiappettarselo!

 

Ma lui non aveva intenzione di lasciare che ciò accadesse.

 

Che io sia dannato se mi lascerò sfondare il culo da quei due pezzi di merda!, disse tra sè e sè il rosso.

 

- Quante volte devo ripetervelo? Smettetela di rompermi i coglioni!-

 

Lafitte incrociò le braccia e lo guardò divertito. Burgess gli si avvicinò, mentre gli altri detenuti assistevano alla scena.

 

- Non ti conviene metterti contro di noi, O'Malley. Possiamo rendere la tua permanenza qui dentro un autentico inferno. Se invece farai il bravo, saremo molto gentili.- disse Lafitte.

 

Kidd non rispose.

 

- Quindi, perchè adesso non ti togli questo asciugamano e...- Burgess fece per muovere una mano verso i fianchi di Kidd, ma questo lo bloccò e gli strinse il polso in una morsa d'acciaio.

 

- Te lo ripeto per l'ultima volta, Burgess.- sibilò minacciosamente Kidd.- Stammi lontano.- Sottolineò la frase torcendo il polso dell'ex luchador, per poi mollarlo e spingerlo via.

 

- Ehi, come ti permetti...- intervenne Lafitte, solo per ricevere un pugno in faccia dal rosso.

 

Gli altri detenuti iniziarono ad assieparsi. Era evidente che si stavano godendo la scena. Kidd decise che gli avrebbe dato qualcosa di bello a cui assistere.

 

Il naso di Lafitte stava sanguinando.- Mi hai rotto il naso...BASTARDO!-

 

- E ringrazia che ti ho rotto solo quello.- Il rosso accompagnò la frase con un altro pugno, stavolta al ventre dell'altro detenuto. Questi stramazzò al suolo gemendo, e per sua fortuna svenne.

 

- HAI FATTO MALE AL MIO AMICO!- Burgess gli corse incontro come un toro imbufalito. Kidd lo fermò all'ultimo secondo con un possente calcio sul mento, seguito da una gragnola di colpi al torace. L'ex luchador barcollò un istante, e come il suo compare prima di lui, cadde a terra e svenne.

 

Kidd si massaggiò le nocche doloranti, mentre gli altri detenuti lo applaudivano.

 

- Vai così, rosso!-

 

- Se lo meritavano, quei due!-

 

Il quarantenne li ignorò, lo sguardo rivolto ai due avversari atterrati.- Trovatevi qualcun altro da inculare, figli di...- 

 

- FERMI TUTTI!-

 

Ad urlare era stato il capo delle guardie di Impel Down, Shiryu Wallace, che tutti i detenuti chiamavano "Pioggia Dorata" (Il rosso aveva preferito non indagare sull'origine di quel soprannome). Era accompagnato da quattro energumeni in uniforme, e tutti loro erano muniti di manganelli. Kidd si era aspettato che comparissero da un momento all'altro, con tutto quel chiasso.

 

- Raccogliete questi due e portateli in infermeria!- latrò indicando i corpi di Burgess e Lafitte stesi a terra. Le guardie eseguirono l'ordine.

 

Shiryu gli arrivò accanto, fissandolo dritto negli occhi e impugnando minacciosamente il manganello. Era un uomo imponente, ma Kidd non era per nulla intimidito dalla sua stazza. Aveva avuto a che fare con individui più grossi.

 

- Si può sapere che cazzo hai in testa, O'Malley? Sei qui da nemmeno due giorni, e già ti fai coinvolgere in una rissa!-

 

- Non è stata colpa mia...-

 

- Già, già, dite tutti così.-

 

- Davvero, sono stati quei due a incominciare. Lo chieda a chiunque, glielo confermeranno.-

 

Gli altri detenuti, che fino a quel momento erano rimasti a guardare, distolsero subito lo sguardo, e alcuni approfittarono dell'occasione per sgattaiolare fuori dalla stanza in tutta fretta, gli asciugamani ben stretti attorno alla vita.

 

- Hmm...non so se avrò il tempo di sentire tutti questi testimoni.- commentò sarcastico Shiryu.

 

Kidd strinse i denti.- Branco di bastardi.-

 

- Che ti aspettavi, O'Malley? Questa è una prigione, non un raduno dei boy scout. Nessuno di questi figli di puttana alzerebbe un dito per te.-

 

Ancora arrabbiato, il rosso dimenticò ogni cautela.- Già, sono proprio degli stronzi. E lei è l'uomo adatto per sorvegliarli. Del resto, chi meglio di uno stronzo può controllare un'altro stronzo?-

 

Gli occhi del capo delle guardie si allargarono dallo stupore. Ma la sua espressione si trasformò subito in una di rabbia. Mollò un pesante colpo di manganello in testa a Kidd e lo afferrò per il collo.- Va bene, lo so io come trattare quelli come te. Tre giorni in cella d'isolamento non te li leva nessuno!-

 

Kidd si lasciò trascinare senza opporre resistenza. Che bell'inizio di merda, pensò, cercando di ignorare il dolore al cranio.

 

***

 

27 Gennaio 2016

Per le strade di una non meglio precisata città europea

 

Una singola figura andava nervosamente avanti e indietro lungo il marciapiede. Si trattava di un uomo di mezza età, dai corti capelli rossi, che indossava un lungo soprabito nero e dei vecchi stivali militari. Il suo nome era Drake Diez, noto Ispettore dell'Interpol, e non era mai stato così vicino a perdere la pazienza.

 

- Ma dove diavolo si è cacciato?- borbottò l'uomo.

 

Si era recato in quel punto della città per incontrare un suo informatore, una persona di cui conosceva solo il nome in codice: Corazon. Avrebbe dovuto incontrarlo a mezzanotte in punto, ma ormai erano già passati più di tre quarti d'ora. Stava cominciando a preoccuparsi. Le altre volte, Corazon era sempre stato puntualissimo.

 

Aveva incontrato Corazon cinque anni prima, quando era stato appena promosso Ispettore. Era stato lui a telefonargli, dandogli appuntamento nel luogo dove si trovava ora. Le informazioni che gli aveva consegnato gli avevano permesso di smantellare un grosso traffico internazionale di stupefacenti, permettendogli così di iniziare a farsi un nome nell'Interpol, cosa a cui Drake teneva moltissimo. Fino a quel momento era riuscito ad andare avanti non tanto per i propri meriti personali, quanto per il nome di suo padre, Barrels Diez. Questi era stato infatti un celebre Ispettore dell'Interpol, in passato, e Drake aveva seguito le sue orme. Ma, com'era naturale che fosse, lui non desiderava essere apprezzato solo per via della fama di suo padre. Le informazioni di Corazon erano state un'autentica manna dal cielo. Sempre esatte, e la cosa migliore era che non chiedeva niente in cambio. Più di una volta Drake si era interrogato sui motivi che spingevano Corazon a fare quello che faceva, e anche sulla sua identità, ma dopo tutto quel tempo non sapeva ancora nulla. L'unica cosa che poteva dire con certezza era che Corazon aveva un vago accento spagnolo.

 

Si fermò e si grattò la cicatrice a forma di X che aveva sul mento, un souvenir lasciatogli anni prima da un gangster col grilletto facile. Sbuffò e guardò l'orologio che aveva al polso. Quasi l'una di notte. Ancora cinque minuti, pensò, e me ne vado. Non posso stare tutta la notte in piedi.

 

Quando stava per perdere definitivamente la pazienza ed andarsene, dal vicolo alla sua sinistra emerse una figura alta, vestita di nero e con una lunga sciarpa avvolta attorno alla testa, in modo però da lasciar scoperti due occhi azzurri. Drake tirò un sospiro di sollievo. Il suo informatore era arrivato.

 

- Corazon...sei venuto, finalmente.-

 

- Le mie scuse, Ispettore. Ho avuto...qualche contrattempo.-

 

- Niente di grave, spero.-

 

- Nulla di cui debba preoccuparsi, stia tranquillo.-

 

- Va bene, in fondo non sono affari miei. Allora, cosa mi hai portato stavolta?-

 

Corazon si infilò una mano sotto la giacca e tirò fuori una busta di plastica trasparente, che porse subito all'Ispettore. Quest'ultimo vide che conteneva diversi fogli.

 

- Si tratta di informazioni relative all'organizzazione criminale capeggiata dal Joker. Inoltre, stavolta sono riuscito a includere anche qualcosa riguardante uno dei suoi principali alleati, Sir Crocodile.-

 

Drake annuì. Conosceva bene quei nomi. Il Joker e Sir Crocodile erano a capo delle due più potenti organizzazioni della criminalità internazionale. In tanti anni, mai nessuno era riuscito a catturarli, o anche solo a scoprire i loro veri nomi. Fino a quel momento, almeno.

 

- Sai, mi sono sempre chiesto come fai a procurarti queste informazioni, e anche perchè lo fai...-

 

Corazon fece spallucce.- Ho i miei metodi.- Poi, aggiunse: - Riguardo al perchè...diciamo solo che cerco di fare la cosa giusta.-

 

L'uomo dell'Interpol fissò a lungo il suo informatore.- Chi sei tu in realtà, Corazon?-

 

- Ispettore, le avevo già detto che non avrei mai risposto a domande sulla mia identità. E' meglio per tutti.-

 

- Scusa, ero solo curioso.- si schermì Drake.

 

- Non importa. Piuttosto, perchè non dà un'occhiata al contenuto della busta? Credo che lo troverà molto interessante.-

 

Drake aprì la busta e prese un foglio a caso. Lesse le prime righe e strabuzzò gli occhi.

 

- Oh, mio...- Mise a posto il foglio e diede una rapida occhiata a qualche altra pagina.- Questa è roba grossa.- mormorò.

 

- Esatto, Ispettore. E nel caso se lo stia chiedendo, le assicuro che è tutto vero.-

 

- Non lo dubitavo, Corazon.- Le informazioni dell'uomo mascherato si erano sempre rivelate esatte. Ormai, Drake si fidava ciecamente di lui.

 

- Con queste informazioni riuscirà a dare un duro colpo al crimine organizzato. Inutile dire che anche la sua carriera ne ricaverà dei grossi vantaggi.-

 

L'Ispettore annuì, già pregustando i riconoscimenti che gli sarebbero sicuramente piovuti addosso. Stavolta, pensò con soddisfazione, diventerò famoso per qualcosa che non riguarda il nome di mio padre.

 

Corazon tossì un paio di volte.- Mi scusi, ma...ora devo proprio andare. Addio, Ispettore Diez.-

 

- Addio...perchè addio?-

 

- Questa sarà l'ultima volta che ci vedremo, Ispettore.-

 

- Come, l'ultima?-

 

- Diciamo solo che ho tirato la corda troppo a lungo. Meglio smettere, prima che si spezzi. E poi, dopo oggi lei non avrà più bisogno di me.-

 

Drake guardò negli occhi il suo informatore, e capì che stava facendo sul serio.

 

- Sei proprio sicuro?-

 

- Sì.-

 

- Va...va bene. Allora addio, Corazon. E grazie di tutto.-

 

Corazon rispose con un cenno del capo. Si girò e tornò nel vicolo da cui era venuto, sparendo dopo pochi secondi.

 

L'Ispettore si aggiustò il cappello e guardò il dossier. Giusto il tempo di farmi qualche ora di sonno, decise, e lo porto alla centrale. E poi...poi si vedrà.

 

Drake si infilò la busta sotto il braccio e tornò a casa sua.

 

 

OMAKE

 

Dopo che Corazon si fu allontanato, Drake aprì di nuovo il dossier. Le informazioni che conteneva erano talmente sconcertanti che quasi non ci credeva. Doveva rileggerle.

 

La trilogia delle 50 sfumature faceva parte di un complotto per spingere la gente a leggere di meno, inondando il mercato di libri di merda.

 

George R.R. Martin era un'entità soprannaturale che si nutriva dell'angoscia provocata dalle morti dei personaggi dei suoi libri.

 

I trentatre trentini non erano mai entrati a Trento tutti e trentatre trotterellando. E non erano nemmeno trentatre.

 

Le scie chimiche erano i residui dei peti di un enorme drago invisibile.

 

Il mangaka giapponese Eiichiro Oda non faceva uso di nessuna droga, era pazzo di suo.

 

E infine, la rivelazione più sconvolgente di tutte...

 

Quelli sulla testa di Donald Trump non erano i suoi capelli, ma una creatura aliena che aveva preso il controllo del magnate per conquistare il mondo partendo dagli Stati Uniti.

 

Drake rabbrividì. Erano informazioni terribili. Ma se avesse agito in fretta, avrebbe sicuramente fatto in tempo a salvare il mondo.

 

Chiuse il dossier, battè i tacchi degli stivali tre volte, e scomparve in una nuvola di fumo fucsia.

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Giuro che mentre scrivevo questo capitolo ero sobrio. E se per caso vi state chiedendo come mai qui il soprannome di Shiryu è "Pioggia Dorata"...beh, lo lascio alla vostra immaginazione.

 

Inoltre, approfitto di questo spazio per fare un po' di spudorata autopromozione. Dopo un periodo in cui mi sono dedicato solo alle fanfiction di One Piece, ho scritto una storia originale intitolata “Marco e Laura”. Si tratta di un oneshot horror/erotico, che credo potrebbe interessare i fan dei due generi. Perciò, se avete tempo e voglia, vi invito a darci un'occhiata.

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo tra due settimane!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 19: La caduta dei giganti ***


Capitolo 19: La caduta dei giganti

 

1 Febbraio 2016

Loguetown, California, USA

Un edificio in centro

 

Das Bornes salì le scale che portavano al suo appartamento fischiettando. In mano aveva due buste, una col logo di un ristorante cinese ("Da Wanze"), l'altra con quello di un sexy shop ("Eroland"). Si sentiva molto allegro quella sera. Da quando Kidd e quegli altri erano andati in galera e il suo capo era finalmente diventato Governatore, aveva avuto un bel pò di tempo per rilassarsi. Certo, continuava a lavorare per lui, ma adesso che Sir Crocodile non era più in città per occuparsi personalmente dei suoi affari, era Bornes a gestire tutto in suo nome. Pertanto, poteva anche decidere autonomamente quando prendersi una pausa.

 

Il che era proprio ciò che aveva fatto quella sera. Aveva ordinato una sostanziosa cena cinese da portar via al ristorante del vecchio Wanze, e subito dopo era andato nel suo sexy shop di fiducia, dove aveva affittato due vecchi film di Madame Shirley. E aveva tutte le intenzioni di godersi la serata.

 

Peccato che il destino avesse altri piani per lui.

 

Arrivato finalmente al suo piano, Bornes vide quattro uomini vestiti di nero fermi davanti alla porta del suo appartamento. Tre di loro erano dei veri e propri armadi a muro, mentre l'ultimo aveva una corporatura normale (Era anche l'unico a indossare un cappello). Si fermò e i loro sguardi si incrociarono. Li squadrò per bene. Non avevano un aspetto rassicurante.

 

L'uomo col cappello si staccò dal gruppo e venne verso di lui.- Il signor Bornes?-

 

- Sì, sono io. E voi chi siete? Perchè stavate fermi davanti a casa mia?-

 

Si mossero anche gli altri tre. Quello che aveva parlato per primo tirò fuori un portafoglio dalla tasca e gli mostrò un tesserino.- Vorremmo scambiare quattro chiacchiere con lei, se non le dispiace...-

 

Bornes iniziò a sudare freddo. Quel tesserino poteva significare solo una cosa: guai. Fece per scappare via, ma i tre armadi lo circondarono immediatamente, bloccandogli i polsi. Le buste caddero a terra. Cercò di divincolarsi, ma la stretta di quei tre era troppo forte. Era sconcertato. Dovevano essere forti, molto più di lui.

 

- Le conviene collaborare, signor Bornes.- disse in tono minaccioso l'uomo col cappello, avvicinandosi lentamente. Bornes notò che aveva degli occhi gelidi, da assassino. Incutevano timore. Perfino a lui.- Mi creda, lo dico per il suo bene.-

 

Bornes deglutì.- Che...che cosa volete?-

 

- Come ho detto prima, solo scambiare quattro chiacchiere. Ma prima sarà meglio andare in un luogo più discreto. Ragazzi, accompagnate il signor Bornes al furgone. E assicuratevi che non scappi.-

 

I tre armadi umani annuirono e trascinarono Bornes lungo le scale. L'uomo col cappello osservò per un attimo le buste cadute a terra, per poi raccoglierle. Aprì quella del ristorante cinese e annusò il contenuto. Sembra buono, disse tra sè e sè. Sarebbe un peccato sprecare tutta questa roba. Diede un'occhiata alla busta del sexy shop. Hmm...credo proprio che passerò una bella nottata, appena finito con signor Bornes.

 

Sorrise, si aggiustò il cappello e scese le scale.

 

***

 

Saint Kureha General Hospital

 

Sergei Ivankov sedeva accanto al letto di Robin, alternando lo sguardo tra la rivista che stava leggendo svogliatamente e la ragazza in coma.

 

Da quando la mora era finita in ospedale, lui, Padre Urouge e Nami si erano dati il cambio nel vegliarla. Quella sera toccava a lui. Quando era arrivato, aveva trovato una Nami distrutta dal sonno. Sospirò. Quella povera ragazza trascorreva sempre più tempo del dovuto in ospedale. Sapeva che andava anche a visitare i bambini del reparto pediatrico, ma la maggior parte delle sue energie le spendeva per occuparsi di Robin. Lui e Urouge avevano cercato più volte di convincerla a distribuire in maniera più equa il tempo da dedicare alla mora. Ma non c'era stato nulla da fare. Nami sembrava convinta di doversi fare carico da sola di Robin.

 

Se continua così si distruggerà, riflettè l'antiquario. Sciocca testarda, cosa crede di fare?

 

Era sinceramente preoccupato per la rossa. Si ripromise di essere più persuasivo, la prossima volta che avessero parlato.

 

Diede un'ennesima occhiata a Robin, chiedendosi quando e se si sarebbe svegliata. Purtroppo, i medici erano rimasti sul vago. Secondo loro, la giovane Nico avrebbe potuto svegliarsi da un momento all'altro, così come avrebbe potuto rimanere in quelle condizioni per anni. In casi come questo non si potevano mai fare previsioni precise. Potevano solo sperare che andasse tutto per il meglio.

 

Mise via la rivista e decise di distrarsi pensando a qualcos'altro. Tornò con la mente a una conversazione avuta con Bentham quella mattina, e che lo aveva lasciato di stucco.

 

Bentham gli aveva chiesto di sposarlo e di trasferirsi con lui in Inghilterra.

 

In un primo momento aveva pensato che il baronetto stesse scherzando. Ma si era dovuto ricredere quando l'altro si era inginocchiato e gli aveva dato una scatolina nera con dentro un magnifico anello con diamante.

 

Per un pò era rimasto senza parole. Lui e Bentham non avevano mai parlato di matrimonio, anche se una volta avevano ipotizzato di andare a vivere entrambi a Londra. L'idea non gli era dispiaciuta, ma c'era il problema del negozio. Con l'arrivo di Robin e poi di Nami aveva pensato di affidarlo a loro due, ma con tutto quello che era successo di recente quell'opzione era diventata impraticabile.

 

Ad essere sincero, neanche l'idea di sposare Bentham gli dispiaceva. Lo amava, ed era sicuro che vivendo con lui si sarebbe trovato più che bene. Il fatto era che la proposta era arrivata così all'improvviso che lo aveva stravolto. Perciò aveva deciso di rifletterci un pò su. Bentham era stato molto comprensivo, e gli aveva detto di prendersi tutto il tempo che gli serviva.

 

E' proprio un tesoro, pensò l'antiquario accavallando le gambe e alzando lo sguardo al soffitto. Ma sarà la cosa giusta? Finora il nostro rapporto è andato benissimo. Cosa succederebbe se le cose cambiassero? E se la convivenza stabile ci distruggesse? E se venissero fuori dei lati del carattere di Bentham di cui non mi ero accorto prima? Cosa devo fare? Uffa, perchè deve essere sempre tutto così difficile?

 

Fortunatamente per lui, in quel momento accadde qualcosa che lo distolse da quei pensieri. Dalla figura distesa sul letto d'ospedale giunse un mugolio, seguito da un leggero tremare della mano sinistra.

 

Ivankov scattò subito in piedi.- Oh mio...Robin, sei sveglia?-

 

La mora aprì lentamente gli occhi e sbattè le palpebre.- Signor Ivankov...dove sono...cosa...-

 

- Non ti affaticare, tesoro. Va tutto bene. Sei al sicuro.-

 

- Ugh...la testa...mi fa male...-

 

- Sta tranquilla, vado subito a chiamare qualcuno che si occuperà di te. Tu però non ti agitare troppo.- Accarezzò la testa di Robin e le sorrise. Finalmente, una buona notizia. Avrebbe dovuto subito avvisare Nami e Padre Urouge. Prima, però, doveva chiamare un medico.

 

Si precipitò fuori dalla stanza e iniziò a gridare a squarciagola.- DOTTORE! VENGA SUBITO QUI, SI E' SVEGLIATA!-

 

***

 

Hotel-ristorante Baratie

 

Il cliente assaporò con calma l'ennesima cucchiaiata di zuppa. Sanji assisteva alla scena con tensione crescente. Suo padre gli aveva dato il permesso di inserire la zuppa All Blue nel menù del giorno, e quello che aveva davanti era il primo cliente che l'aveva ordinata. Si trattava del signor Abel Tonjit, critico gastronomico e uno dei loro clienti più affezionati. Era un uomo minuto sulla settantina, di solito parecchio critico verso le novità, e che si era lasciato convincere dall'insistenza di Sanji a provare la nuova zuppa.

 

Ora, il biondo stava facendo del suo meglio per non mettersi a tremare. Tutta quella tensione lo stava uccidendo. Da quel primo cliente dipendeva il fato dell'All Blue. Se avesse gradito, la zuppa sarebbe diventata una presenza fissa del menù. E, cosa ancora più importante, lui avrebbe avuto la fama che cercava. Se invece le cose non fossero andate come sperava...non voleva neanche pensarci.

 

E datti una mossa, vecchiaccio!, pensò nervoso il giovane Vinsmoke. L'anziano ci stava mettendo un'eternità, come del resto faceva ogni volta che mangiava. Di questo passo, per quando avrai finito sarò decrepito come te.

 

Finalmente, Tonjit smise di masticare il pesce e posò il cucchiaio nel piatto. Si pulì la bocca col tovagliolo e guardò Sanji.- Beh, signor Vinsmoke, sarò sincero con lei. Questa zuppa è...- Iniziò a grattarsi la barba canuta.

 

- E'...- Sanji si sentiva sul filo di un rasoio.

 

-...davvero magnifica!- esclamò Tonjit.- Un perfetto miscuglio di vari sapori, con un adeguato bilanciamento di spezie. A proposito, ci ha messo per caso della paprika?-

 

- Sì, signore. Giusto un pò, per esaltare il sapore dei vari pesci.- Il biondo quasi non credeva alle proprie orecchie. Ce l'aveva fatta!

 

- Un'ottima decisione. Le faccio i miei complimenti. Lei è riuscito a sorprendermi, ed è una cosa che non succede spesso. Scriverò una recensione più che positiva, può starne certo.-

 

Sanji rimase come paralizzato per un attimo. Poi, all'improvviso, cominciò a saltellare con i pugni per aria e a gridare di gioia. Gli altri clienti del Baratie si girarono a guardarlo.

 

- Ehm...signor Vinsmoke, si sente bene?- chiese Tonjit.

 

Sanji tornò in sè.- Sì, sto bene...anzi, non sono mai stato meglio.- Il biondo si sentiva al settimo cielo. Il suo momento di gloria era arrivato!

 

- Bene, allora potrebbe portarmi il conto, per favore? Si è fatta una certa ora, e dovrei...-

 

- Sa cosa le dico, signor Tonjit? Lasci perdere il conto. Per stavolta offre la casa!- esclamò Sanji raggiante.

 

- Ma...ma come?-

 

- Sì, ho deciso di festeggiare l'esordio della nuova portata. Per il primo cliente che la ordina è gratis!-

 

- Come vuole lei. Io allora vado.-

 

- Ah, signor Tonjit, solo una cosa. Nella recensione...potrebbe specificare che la zuppa è stata un'idea mia? Sa, ci tengo molto...-

 

- Certo, naturalmente.- disse Tonjit, leggermente confuso dal comportamento del giovane uomo. Si alzò, salutò Sanji e si avviò verso l'uscita.

 

Sanji rientrò in cucina con un enorme sorriso sulle labbra. Finalmente, dopo tanta attesa, avrebbe coronato il suo sogno. Per prima cosa, avrebbe dato la notizia alla sua famiglia, e poi...avrebbe festeggiato adeguatamente con Nojiko.

 

***

 

2 Febbraio 2016

Sacramento, California, USA

Governor's Mansion

 

Se qualcuno si fosse preso la briga di fare una classifica degli uomini più felici del mondo, ai primi posti ci sarebbe stato sicuramente Jonas Petricelli.

 

Il neo eletto Governatore della California era infatti al settimo cielo. Dopo anni di attesa, dopo aver faticato come un mulo, aveva finalmente ottenuto quello che voleva. Occupava una carica importante, le sue attività (Sia legali che illegali) prosperavano, e se avesse giocato bene le sue carte sarebbe arrivato ancora più in alto. L'unica nota stonata era Bartolomeo: il ragazzo aveva insistito per venire con lui a Sacramento e fargli da segretario, e pur di farlo smettere, Jonas aveva acconsentito. Per fortuna, c'era talmente tanto da fare che i due si incontravano pochissimo nel corso della giornata.

 

Adesso, Jonas era intento a godersi il suo nuovo ufficio. Era talmente spazioso che sembrava un piccolo appartamento. Aveva preferito farvi pochissime modifiche: si era trattato perlopiù di spostare alcuni mobili, toglierne un paio, e aggiungere il ritratto di suo padre. Lo aveva fatto piazzare di fronte alla scrivania. Aveva spiegato la cosa affermando di volere avere sempre davanti a sè l'immagine dell'uomo che lo aveva spinto a diventare ciò che era. In un certo senso era così, anche se il vero motivo era naturalmente diverso.

 

Inoltre, l'italo-americano aveva confermato Gomez Pink come Vice-Governatore, più che altro perchè non aveva un'opzione migliore. Anche se, ad essere sinceri, la decisione era stata a suo modo vantaggiosa: pur non essendo una cima, Pink poteva contare su molti dei sostenitori del fu Edward Newgate, garantendo così a Jonas una buona base. Inoltre, la sua ingenuità lo rendeva il capro espiatorio perfetto. Jonas aveva già un piano preciso su come sfruttarlo.

 

Sono così felice che quasi non mi sembra vero, riflettè il nuovo Governatore sfogliando alcuni rapporti inviatigli dal Generale Beckman. La Guardia Nazionale era finalmente riuscita ad individuare uno dei nascondigli della Baroque Works, e aveva arrestato tutti i terroristi che erano stati trovati all'interno. Sorrise. Naturalmente, appena insediatosi aveva iniziato ad adoperarsi per mantenere le promesse elettorali. Un paio di soffiate anonime qui, un indizio là, e la Baroque Works sarebbe presto finita nelle grinfie della giustizia. Il tutto fatto in modo da non suscitare sospetti. Non era mica uno stupido. Certo, dopo non avrebbe più potuto usare la finta organizzazione terroristica per i suoi scopi, ma non sarebbe stato un problema. E poi, era meglio liberarsi di quella gentaglia, come gli aveva fatto notare il buon vecchio Bornes.

 

E a proposito di Bornes...

 

- Chissà che fine ha fatto...-

 

Quella mattina aveva chiamato il suo braccio destro diverse volte, ma l'altro non aveva risposto. Probabilmente aveva scordato il telefono a casa, oppure stava ancora dormendo. Di sicuro non era niente di grave. Avrebbe richiamato più tardi.

 

- Dunque, adesso...- fece per dire, ma un bussare concitato proveniente dall'esterno lo interruppe. Si girò verso la porta.- Avanti.-

 

La porta si aprì, e la sua segretaria, un'irritante biondina con gli occhiali di cui a malapena ricordava il cognome (Era la signorina Valentine, un altro retaggio della vecchia amministrazione), fece capolino nella stanza.- Signor Governatore, mi scusi, ho cercato in tutti i modi di...- La donna si tormentava le mani e aveva lo sguardo a terra.

 

- Che cosa succede?- chiese, brusco.

 

- Ecco...-

 

- Lasci perdere, signorina. E' meglio che sia io a spiegare tutto al Governatore.-

 

Al che fecero il loro ingresso quattro uomini vestiti di nero, uno dei quali indossava un cappello (Petricelli non lo sapeva, ma erano gli stessi che avevano arrestato Bornes la sera prima).

 

- Innanzitutto, chi è lei? E cos'è che dovrebbe spiegarmi?- Jonas non aveva mai visto quegli uomini, ma dall'aspetto sembravano agenti del governo federale. Cosa volevano da lui?

 

L'uomo col cappello tirò fuori un tesserino e glielo mostrò.- Agente Speciale Robert Lucci, FBI.-

 

L'FBI? E adesso che diavolo stava succedendo? Jonas si impose di rimanere calmo.

 

- In quanto alla spiegazione...beh, credo che non ci sia molto da dire. Signor Governatore, lei è in arresto.-

 

La segretaria sussultò. Jonas rimase impassibile.

 

- In arresto? E con quale accusa?-

 

- Direi che c'è l'imbarazzo della scelta. Associazione mafiosa, omicidio, terrorismo, e tante altre cosa su cui stanno indagando i miei colleghi in questo momento. Non c'è che dire, lei si è dato da fare in questi anni, Sir Crocodile.- Lucci accompagnò le sue parole con un sorrisetto sadico.

 

- Mi hanno chiamato in molti modi, ma finora nessuno mi aveva accusato di essere un criminale. Cosa che, peraltro, non sono. Temo proprio che lei abbia preso un granchio, signor Lucci.-

 

- Agente Speciale Lucci, se non le spiace.- L'agente federale si avvicinò alla scrivania, mentre i suoi colleghi rimanevano a distanza.- E non ho preso nessun granchio. Ho tante di quelle prove che non so neanche da dove cominciare. Prove schiaccianti. Quindi, la pianti con questa commedia.- Fece una pausa.- Sa, il signor Bornes ci aveva avvertiti che lei si sarebbe comportato così...-

 

Jonas sollevò un sopracciglio.- Bornes? Das Bornes?-

 

- Esatto. Io e il signor Bornes abbiamo fatto una chiacchierata lunga e interessante. E' stato più che felice di collaborare, in cambio di uno sconto di pena.-

 

Ecco che fine aveva fatto, pensò l'italo-americano.- E vi fidate della sua parola? Bornes non è certo una persona affidabile...-

 

- Se non fosse così, allora perchè lei gli ha affidato la gestione delle sue attività di Loguetown e dintorni?- Lucci gli arrivò di fronte e piantò le mani sulla scrivania.- Giù la maschera, Petricelli. Il gioco è finito. Il suo impero criminale ha i minuti contati. E non solo qui in America. A quest'ora, i miei colleghi dell'Interpol avranno già arrestato il suo alleato spagnolo, il Joker.-

 

La maschera di impassibilità di Petricelli crollò. Gli si allargarono gli occhi e la bocca gli si spalancò.- Come...-

 

- Come abbiamo fatto a beccarvi? Un informatore ha indirizzato nella giusta direzione un mio amico Ispettore dell'Interpol, e lui ha passato le informazioni a me.-

 

Jonas rimase in silenzio. In pochi minuti, il mondo che aveva faticato tanto per costruire era crollato. Gli sembrava impossibile. Com'era potuto succedere?

 

Lucci fece cenno a uno dei suoi uomini di avvicinarsi. Questi venne vicino alla scrivania, esibendo un paio di manette.

 

- Ha intenzione di opporre resistenza?- gli chiese Lucci.

 

Scrollò le spalle.- Servirebbe a qualcosa?- Si alzò in piedi e offrì i polsi all'agente con le manette.- So riconoscere la sconfitta.-

 

- Molto bene.-

 

- Zio Jonas, che sta succedendo?-

 

Bartolomeo aveva scelto proprio quel momento per entrare lì, dando un'ennesima prova del suo pessimo tempismo.

 

- Bartolomeo...-

 

- Zio, eh? Arrestate anche lui.- Gli altri due agenti si mossero verso Bartolomeo.

 

- Il ragazzo non c'entra niente con questa storia. Lasciatelo andare.- disse Petricelli. Bartolomeo sarà anche stato un rompiscatole, ma era pur sempre suo nipote, e non era mai stato coinvolto nelle sue attività criminali.

 

- Questo, se permette, lo decideremo noi. Portateli via!-

 

La testa bassa, Petricelli si lasciò condurre fuori dall'ufficio assieme a Bartolomeo. Lucci si mise in fondo al corteo. La signorina Valentine era rimasta impietrita in un angolo.

 

All'improvviso, Jonas si fermò, costringendo gli altri a fare altrettanto, e si girò verso il ritratto di suo padre.

 

- Che cosa...cosa hai detto?-

 

- Sta parlando con me?- chiese uno degli agenti. Lucci inarcò un sopracciglio.

 

- No, io...niente, era solo un'impressione.- Scosse la testa e continuò a camminare.

 

Era impossibile, doveva per forza essersi sbagliato. Una cosa simile non poteva succedere. Eppure, per un attimo gli era sembrato che il ritratto di suo padre avesse parlato, sussurrando una frase che Jonas odiava e che si era sentito dire più volte nel corso dell'infanzia.

 

Sei un buono a nulla, Jonas.

 

***

 

Madrid, Spagna

Una villa in periferia

 

Come annunciato da Lucci, alcuni agenti dell'Interpol, guidati dall'Ispettore Drake Diez, si erano occupati dell'arresto dell'individuo noto come Joker. A causa dei fusi orari, la cosa era avvenuta quando in California era ancora notte. Ma facciamo un passo indietro.

 

La mattina del 2 Febbraio, l'Ispettore Drake e i suoi uomini si erano recati nella villa della famiglia Donquijote, un elegante edificio alla periferia di Madrid. Il loro arrivo era stato annunciato al padrone di casa dalla procace signorina Mone, segretaria e amante occasionale del padrone di casa, Doflamingo Donquijote. Ovviamente, quest'ultimo non aveva affatto gradito la cosa.

 

Al momento, erano tutti nell'ufficio del miliardario. Gli uomini dell'Interpol in piedi e con facce gravi, Doflamingo seduto su un grosso divano rosa con a fianco Mone. Il padrone di casa indossava una bizzarra vestaglia dello stesso colore del divano con delle piume di fenicottero attorno al collo, e portava degli occhiali da sole con lenti colorate che definire di cattivo gusto sarebbe stato un eufemismo (Drake si chiese perchè li portasse anche lì al chiuso. Forse i suoi occhi erano molto sensibili alla luce). La fedele segretaria, invece, aveva un ben più sobrio tailleur grigio e degli occhialini rotondi che contribuivano a darle un'aria particolarmente sexy (Certi particolari a Drake non sfuggivano). Dall'espressione infastidita di entrambi, e anche dal fatto che sembravano essersi rivestiti in tutta fretta, era facile immaginare in cosa fossero impegnati prima dell'arrivo di Drake e compagnia.

 

- Ispettore, si rende conto di cosa mi sta accusando?- sibilò il biondo miliardario.

 

- Io non la sto accusando. Io ho la certezza che lei sia il Joker.- rispose Drake.

 

- Non abbiamo mai sentito nominare un individuo con questo nome.- asserì la segretaria, stringendo protettiva una mano del suo datore di lavoro.

 

- Per favore, Mone, stai zitta. Questa è una faccenda tra me e l'Ispettore.- La donna annuì e si staccò da lui.- E cosa le darebbe questa certezza?-

 

- Le prove schiaccianti che mi sono state consegnate. Prove che la identificano inequivocabilmente come il capo di un'organizzazione criminale con ramificazioni in tutto il mondo. Il Joker, per l'appunto.-

 

- Consegnate? Quindi immagino che lei abbia un informatore...-

 

- Esatto.-

 

- E non le è mai venuto il dubbio che queste informazioni potrebbero essere false? Potrebbe anche trattarsi di un complotto orchestrato dai miei concorrenti, gente a cui non va giù il mio successo. Ce ne sono molti, sa?-

 

- Impossibile. Ho fatto dei controlli, e sono giunti tutti a delle conclusioni più che certe. E il mio informatore è una persona affidabile. In tanti anni che collaboriamo, Corazon non mi ha mai deluso.- Drake si diede mentalmente dell'idiota. Nell'euforia del momento, si era lasciato sfuggire il nome del suo informatore. Non era poi tanto grave, però. Era un nome in codice, e dubitava che il signor Donquijote lo conoscesse.

 

Tuttavia, come avrebbe scoperto di lì a poco, le cose non stavano proprio così.

 

Doflamingo fissò lo sguardo su di lui e alzò un sopracciglio.- Corazon? Ho sentito bene? Ha detto proprio...Corazon?-

 

- Ehm...- Drake pensò subito a qualche scusa da inventarsi.- Ecco...-

 

Al che accadde qualcosa che lo sconvolse, e che avrebbe ricordato per sempre. Doflamingo rimase immobile per alcuni secondi, aprì leggermente la bocca, e poi scoppiò a ridere.

 

La sua risata echeggiò in tutta la stanza, spedendo dei brividi lungo la schiena di tutti i presenti, perfino Mone. C'era qualcosa di strano, in quella risata. Qualcosa che dava un'idea di...pazzia.

 

- Señor Donquijote...- mormorò Mone con un filo di voce. Sembrava spaventata.

 

Doflamingo smise di ridere.- Oh, caro Ispettore, a quanto pare ci siamo rivisti, alla fine...-

 

- Cosa...- La voce del miliardario era cambiata. Di poco, ma era cambiata. E Drake aveva l'impressione di averla già sentita.- Che intende, signor Donquijote?-

 

Il miliardario rise di nuovo.- Non proprio...facciamo così, le darò un aiutino.- Con un gesto improvviso si tolse gli occhiali da sole, e l'Ispettore Drake ebbe modo di vedere i suoi occhi.

 

Due occhi spaventosamente familiari. Due occhi che aveva già visto, e che riconobbe all'istante. Non c'erano dubbi, erano proprio quelli. Ma allora...

 

- No...non è possibile...- mormorò l'Ispettore.

 

- E invece sì, mio caro Ispettore.- Il biondo scattò in piedi e sorrise, facendo poi un breve inchino.- Io...IO SONO CORAZON!-

 

 

OMAKE

 

Sdraiato sul suo letto, John Spangler rifletteva su come procedere una volta finita Modern Day Life.

 

- Allora, che storia potrei scrivere?- Si grattò la barba incolta.- Dunque, potrei scrivere un crossover con Twilight...- Gli venne un brivido di terrore.- Meglio di no. Oppure, potrei provare con qualcosa su Smoker...no, magari un'altra volta. Che altro...una parodia di qualche film, con i Mugiwara come protagonisti...no. Un attimo...forse potrei scrivere una storia dove sulla nave si diffonde un virus che rende tutti arrapati come bestie e...no, questa fa schifo solo a pensarci. Uffa, che posso fare?- Tamburellò le dita sul materasso e attese l'arrivo dell'ispirazione.

 

Purtroppo, invece dell'ispirazione arrivò qualcos'altro. All'improvviso, un enorme meteorite proveniente da un lontana parte dell'universo si schiantò sulla casa di Spangler, distruggendola completamente. Nessuno di quelli che erano all'interno sopravvisse.

 

La notizia si diffuse subito in tutto il mondo, e la gente iniziò a festeggiare. Tra tante brutture, finalmente era arrivata una bella notizia: Spangler era morto, e non avrebbe più infestato la rete con le sue storie orribili.

 

Ma siamo davvero sicuri?

 

Una mano emerse dalle macerie fumanti della casa. Un pò alla volta uscì anche il resto del corpo.

 

John Spangler si tolse di dosso polvere e calcinacci e si stiracchiò per bene.- Ci vuole ben altro per farmi fuori!-

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Che follia è mai questa? Che c’entra Corazon con Doflamingo? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, che come sempre arriverà tra due settimane. Ciao ciao!

 

PS: L’altro giorno sono finalmente andato a vedere One Piece Gold. Sarò sincero: pur non ritenendolo bello quanto Z, devo dire che mi è piaciuto molto. Voi l’avete visto? Se sì, che ne pensate?

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Interludio 5: Sulle ali del fenicottero ***


Interludio 5: Sulle ali del fenicottero

 

10 Settembre 1980

Madrid, Spagna

Orfanotrofio Whole Cake Island

 

Nonostante coloro che ci lavorano facciano di tutto per renderli piacevoli, gli orfanotrofi non sono dei bei posti. Nell'aria c'è sempre un'atmosfera triste, resa ancora peggiore dalle espressioni dei bambini, quelle espressioni che sono un misto di angoscia e speranza. Tutti loro, anche se cercano di non darlo a vedere, sperano sempre che prima o poi arrivi qualcuno a prenderli. Questo, però, avviene una volta ogni tanto, oppure mai. La cosa peggiore è che non possono fare nulla per cambiare la situazione. Possono solo sperare che vada tutto bene.

 

Attualmente, l'orfanotrofio Whole Cake Island ospitava ottantacinque bambini di tutte le età. Per la maggior parte erano spagnoli, ma c'erano anche diversi stranieri, entrati nella struttura grazie al buon cuore della direttrice (Un donnone di chissà quanti chili il cui nome era Linlin Charlotte, e che i bambini chiamavano affettuosamente Big Mom. La signora non aveva mai avuto figli suoi, e perciò considerava i piccoli ospiti dell'orfanotrofio come la sua prole), e molti di origine sconosciuta. Tra questi, anche un bambino di dieci anni, biondo, che portava sempre degli occhiali da sole con le lenti colorate. Il suo nome era Doflamingo.

 

Nessuno sapeva da dove venisse. Si sapeva soltanto che la direttrice lo aveva trovato, una buia e piovosa sera di tanto tempo prima, davanti alla porta dell'orfanotrofio, in una cesta di vimini e avvolto in una copertina rosa, assieme a un fenicottero giocattolo che stringeva in mano come se la sua vita dipendesse da esso. Il piccolo era stato subito portato al caldo dalla signora Charlotte, che più tardi aveva anche provveduto a dargli un nome. Da allora, erano passati nove anni. I bambini erano andati e venuti, ma il piccolo Doflamingo era ancora lì.

 

Di tutte le famiglie che avevano visitato l'orfanotrofio, nessuna aveva voluto adottarlo. Nemmeno la direttrice riusciva a spiegarsi il perchè. Forse a causa del suo aspetto straniero, oppure perchè non aveva un bel carattere. Fatto sta che Doflamingo era ancora lì.

 

Naturalmente, la direttrice faceva di tutto per farlo stare bene. Purtroppo, con gli altri bambini non aveva un bel rapporto, anche se ce n'erano un paio che si poteva dire gli stessero simpatici (Un bambino grassottello di nome Trebol e un altro che si chiamava Diamante, che invece era magro come una mazza di scopa). Tuttavia, il suo unico, vero amico, non era un bambino. Il suo nome era Corazon, e nessuno lo aveva mai visto, nè si sapeva della sua esistenza.

 

Questo perchè Corazon era nella testa di Doflamingo.

 

Naturalmente, il piccolo si era guardato bene dal rivelare l'esistenza di Corazon agli altri. Sapeva cosa succedeva a chi diceva di parlare con persone che erano nella sua testa, l'aveva visto alla televisione.

 

Non avrebbe saputo spiegare l'origine di Corazon, nè perchè avesse quel nome. Un giorno, aveva semplicemente iniziato a sentire una voce nella testa che gli dava dei consigli. Erano buoni consigli, e grazie ad essi la permanenza nell'orfanotrofio era diventata molto più sopportabile per il piccolo Doflamingo. Non solo, Corazon agiva anche come freno per alcuni dei suoi peggiori impulsi, ad esempio consigliandoli di non reagire quando gli altri bambini lo prendevano in giro per i suoi capelli color oro, o per gli occhi azzurri (O per gli occhiali regalatigli dalla signora Charlotte, a cui lui teneva molto e che non si toglieva mai. Gli stavano un pò larghi, ma confidava che col tempo si sarebbe adattato ad essi). Se non fosse stato per lui, Doflamingo li avrebbe massacrati di botte, e sarebbero stati guai per tutti. (C'era da dire, però, che non sempre Corazon riusciva nell'impresa di frenarlo, e per questo Doflamingo era stato spesso aspramente rimproverato dalla direttrice). Inoltre, Corazon gli raccontava sempre qualche storiella, prima di addormentarsi, e giocava con lui quando gli altri non avevano voglia.

 

Il che era proprio ciò che stava accadendo al momento. Doflamingo era accucciato in un angolo, il suo inseparabile fenicottero in mano, e stava seguendo le istruzioni di Corazon.

 

Ed ecco che il Grande Fenicottero atterra il cattivo con una zampata!

 

Doflamingo mosse il giocattolo simulando un combattimento con un essere invisibile.

 

Presto, prima che si rialzi! Finiscilo con un colpo di becco.

 

Il bambino agì di conseguenza.

 

Vittoria! Il Grande Fenicottero ha vinto ancora!

 

Doflamingo sorrise. Adorava i giochi che faceva con Corazon, perchè vinceva sempre e non si annoiava mai.

 

E adesso, potremmo...

 

- Ehi, moccioso.- Una voce poco amichevole interruppe il gioco. Doflamingo si girò e si trovò davanti Pica, il bambino più antipatico di tutti. Era un bullo che approfittava della sua stazza per terrorizzare gli altri bambini, i quali erano talmente intimiditi che non avevano mai riportato la cosa alla direttrice. Di solito lasciava stare Doflamingo, non reputandolo degno della sua attenzione, eppure ora era lì accanto a lui.

 

- Che c'è, Pica?- domandò stizzito Doflamingo. Detestava Pica, sia per il suo comportamento che per la vocetta stridula che lo contraddistingueva (E che era in contrasto con la sua mole).

 

Ho un brutto presentimento, Dofy, lo avvertì Corazon. Stai molto attento.

 

- Ti ho visto qui nell'angolo e ho pensato di venire a vedere cosa stavi facendo.-

 

- Niente che ti riguardi, te lo assicuro.-

 

- Ah, sì? Beh, questo lo decido io. Che hai in mano?-

 

- Niente.- Doflamingo cercò di nascondere il giocattolo, ma Pica glielo strappò di mano.

 

- Ma che bel giocattolo.- disse il bullo.

 

- Ehi, ridammelo!- Il biondo fece per riprendersi il fenicottero. Pica lo sollevò in alto, in modo che non potesse arrivarci.

 

- Ci tieni molto, eh?-

 

- Ridammelo!-

 

Nel frattempo, gli altri bambini lì presenti avevano interrotto le loro attività e si erano messi ad assistere alla scena.

 

- Uhm...non penso proprio. Sai che ti dico? Da oggi, questo è mio.- esclamò trionfale Pica.

 

- RIDAMMELO!- Doflamingo sferrò con tutta la sua forza un pugno in pancia a Pica, spedendolo a terra. Gli altri bambini trattennero il fiato. Nessuno aveva mai osato colpire Pica! Era un evento sensazionale.

 

Pica si rialzò in fretta, continuando a stringere il giocattolo.- Dannato moccioso...come ti sei permesso?!-

 

- Ridammi il mio fenicottero, Pica.- Doflamingo si preparò a colpire di nuovo. Era infuriato. Assieme agli occhiali che portava, il fenicottero era l'oggetto a cui teneva di più. Non poteva permettere che glielo portassero via.

 

Dofy, è meglio se vai a chiamare la direttrice.

 

Doflamingo ignorò il consiglio di Corazon.

 

- Vuoi questo stupido giocattolo? Ecco, tienitelo!- Pica prese il fenicottero con entrambe le mani e lo spezzò in due. Gettò i pezzi a terra e sorrise beffardo.

 

Per un attimo, fu come se il tempo si fosse fermato. Doflamingo, Pica e gli altri bambini rimasero immobili. Poi, all'improvviso...

 

Dofy, fermo!

 

...Doflamingo scattò in avanti e iniziò a tempestare di pugni Pica. Quest'ultimo, in un primo momento, fu troppo sorpreso per reagire. Poi si riprese, e fece per colpire a sua volta Doflamingo, ma un pugno sulle parti basse tolse dalla sua mente ogni intento bellicoso. Un altro pugno, stavolta al naso, lo spedì di nuovo a terra. Per la prima volta, il bullo cominciò ad avere paura per sè stesso. Non era mai capitato che una delle sue vittime reagisse, e soprattutto non con quella ferocia. Doveva fare qualcosa per fermare tutto.

 

- Aspetta, ferm...- Un ennesimo pugno in pieno volto lo zittì. Il suo intero corpo era diventato un ammasso di dolore. Il suo campo visivo si riempì di nero. Riusciva solo a sentire le grida d'incitamento degli altri bambini. I piccoli avevano visto il loro spauracchio crollare, e si stavano godendo la scena. Ed era quella la cosa che gli faceva più male.

 

Doflamingo smise di colpire il suo avversario e lo afferrò per il collo.- Ne hai avuto abbastanza?-

 

- S-sì.-

 

Dofy, adesso sarebbe meglio che lo lasciassi andare. Credo che abbia imparato la lezione.

 

Hai ragione, Cora. Lasciami fare solo un'ultima cosa...

 

- Se mi darai di nuovo fastidio, o se darai fastidio a uno degli altri, io tornerò per finire il lavoro. Hai capito?-

 

- Sì!- Pica stava tremando.

 

- E se la direttrice o uno del personale ti chiede cosa ti è successo, dirai che sei caduto dalle scale. Sono stato chiaro?- ruggì Doflamingo, digrignando i denti.

 

- S-sì!-

 

- Adesso vattene.- Mollò la presa e stette a guardare il bullo che correva via spaventato. Seguì un attimo di silenzio, poi gli altri bambini gli corsero incontro.

 

- Sei grande, Dofy!-

 

- Gli hai dato quello che si meritava!-

 

Doflamingo non gli diede ascolto. Si limitò a raccogliere i pezzi del fenicottero e ad andare via.

 

Credi che si possa aggiustare?, chiese a Corazon.

 

Certo, basterà un poco di colla, rispose l'altro. A proposito, Dofy...prima, dicevi sul serio quando hai minacciato Pica?

 

Doflamingo non rispose.

 

***

 

Stesso luogo

Una settimana dopo

 

Essere convocati nell'ufficio della direttrice dell'orfanotrofio non era mai una buona cosa. Per quanto di solito la signora in questione fosse dolce come lo zucchero, quando si infuriava diventava una vera e propria belva. Doflamingo/Corazon lo sapeva bene. Era stato in quell'ufficio tante di quelle volte che si ricordava perfettamente l'aspetto e la disposizione dei mobili. E ogni volta che veniva convocato, era perchè aveva combinato qualcosa. Stavolta però non aveva fatto nulla. Si chiese quindi perchè mai la signora Charlotte volesse vederlo.

 

Secondo te di che si tratta?, disse la voce di Corazon nella sua testa.

 

- Boh. Non saprei.- rispose Doflamingo.

 

Sicuro? Non hai fatto proprio niente, stavolta?

 

- Stavolta no, giuro.-

 

Vabbè, ti credo.

 

Arrivato davanti alla porta, il bambino esitò un attimo, poi bussò un paio di volte.

 

- Avanti, entra pure, caro!- giunse la voce della direttrice.

 

Doflamingo entrò nell'ufficio, notando così che la signora Charlotte non era sola. Davanti alla sua scrivania, erano infatti seduti un uomo e una donna che lui non aveva mai visto. Avevano entrambi i capelli scuri, ed erano ben vestiti. Appena messo piede nella stanza, si girarono subito verso di lui.

 

- Ma che bel bambino.- disse la donna in tono gentile.

 

- Già, anche più di come ce lo aveva descritto, signora direttrice.- continuò l'uomo, che aveva i capelli lunghi, la barba e una faccia amichevole.

 

- Ehm...- Doflamingo rimase dov'era. Gli estranei lo mettevano sempre a disagio.

 

Non startene lì impalato, baccalà!, gli gridò Corazon. Dì qualcosa.

 

- Ehm...salve.-

 

- Non avere paura, Dofy, avvicinati. Questi signori sono qui per te.- lo incoraggiò Big Mom.

 

- P-per me?- Poteva significare solo una cosa...

 

- Esatto, sono qui perchè vorrebbero adottare un bambino. Oh, ma che stupida! Non vi ho ancora presentati. Dofy, questi sono i signori Homing e Maria Donquijote. Signori Donquijote, questo è Doflamingo, ma tutti lo chiamiamo Dofy.-

 

- Doflamingo...è un nome singolare.- disse la signora Donquijote.- Mi piace.-

 

- Quanti anni hai, piccolo?- gli chiese Homing.

 

- Ho...ho nove anni.-

 

- Dofy è qui con noi da quando era ancora un neonato. In tutti questi anni, nessuno ha mai voluto adottarlo.- intervenne Big Mom.- Ed è un vero peccato. E' un bambino molto gentile e intelligente, anche se un pò monello. Ha solo bisogno di qualcuno che gli voglia bene e che gli dia una buona educazione.-

 

E anche di qualche consiglio in fatto di abbigliamento, commentò sarcasticamente Corazon.

 

Chiudi il becco, Cora!, rispose Doflamingo.

 

- Ti piacerebbe venire a casa con noi, Dofy?- Maria Donquijote aveva un'aria rassicurante, dei begli occhi profondi e un sorriso luminoso. Doflamingo decise che gli piaceva.

 

- Non...non lo so. Non avete figli vostri?-

 

- Purtroppo no.- gli rispose Homing.- Stiamo cercando di avere dei bambini da un sacco di tempo, ma finora non siamo stati fortunati. Perciò, prima di diventare troppo vecchi, abbiamo deciso di adottarne uno.-

 

- E volete proprio me? Sicuri?- Doflamingo non credeva alle sue orecchie. Stava finalmente per avere una famiglia?

 

- Sì, se lo vuoi anche tu.- rispose Maria.

 

- Possiamo fare così, Dofy. Starai a casa dei signori Donquijote per un paio di settimane, e se ti troverai bene ufficializzeremo l'adozione. Che ne dici?- gli chiese la direttrice.

 

Accetta, Dofy. Quando mai ti ricapita un'occasione del genere?

 

Doflamingo si trovò d'accordo con Corazon. Non poteva lasciarsi sfuggire quell'occasione, o sarebbe rimasto per sempre in quell'orfanotrofio.- Va bene.-

 

I Donquijote sorrisero, e Big Mom annuì soddisfatta.- Splendido! Allora, dovete giusto firmare un paio di fogli e poi...-

 

Mi sa proprio che ce l'abbiamo fatta, caro Dofy.

 

Già, hai ragione, Cora.

 

Doflamingo sorrise di gioia. Per la prima volta nella sua vita, si sentiva davvero felice.

 

***

 

16 Luglio 1985

Madrid, Spagna

Villa della famiglia Donquijote

 

Doflamingo si trovò talmente bene con i Donquijote che l'adozione fu ufficializzata dopo appena una settimana. Ora, finalmente, il bambino che nessuno voleva aveva un cognome e dei genitori che gli volevano bene. Non avrebbe potuto andargli meglio. Homing e Maria erano delle persone squisite. Purtroppo, non si poteva dire lo stesso per i due fratelli di Homing, Vergo e Gaimon. Vergo, il maggiore dei tre, era a capo dell'azienda di famiglia (Che si occupava di trasporti), e non era proprio un campione di simpatia. Si diceva anche che avesse rapporti poco chiari con la criminalità organizzata d'oltreoceano, ma non era mai stato dimostrato. Gaimon, il più giovane dei tre fratelli, era invece volgare e stupido, oltre che una costante fonte di imbarazzo per sua figlia Albida e il resto della famiglia. Per fortuna, i contatti tra i tre fratelli erano abbastanza sporadici.

 

La vita di Doflamingo era cambiata, così come il suo rapporto con Corazon. Se prima questi era una semplice voce nella testa, ora era in grado di assumere il controllo del corpo. Doflamingo aveva continuato a mantenere segreta la sua esistenza. Corazon rimaneva sempre il suo miglior amico, anche se poi ne aveva conosciuti molti altri. Si era lasciato alle spalle l'orfanotrofio, ma di tanto in tanto telefonava alla direttrice per sentire come stava. Era molto affezionato al donnone, che considerava alla stregua di una madre.

 

La vita di Doflamingo era cambiata in meglio, e tutto sembrava filare liscio come l'olio.

 

Tuttavia, ad un certo punto erano successe due cose che avevano rimescolato le carte in tavola.

 

Dopo anni e anni di tentativi, finalmente Maria Donquijote era rimasta incinta. Homing aveva accolto con gioia la notizia, Doflamingo un pò meno. Era convinto che con l'arrivo del bambino, i suoi genitori adottivi avrebbero smesso di volergli bene. Naturalmente non l'avrebbero mai fatto. Pur non essendo sangue del loro sangue, i coniugi Donquijote adoravano Doflamingo.

 

L'altro evento fondamentale accadde qualche mese dopo la notizia della gravidanza. Negli anni a venire, Doflamingo lo avrebbe considerato il giorno più brutto della sua vita.

 

Nel dare alla luce il bambino, Maria Donquijote morì.

 

Sia lui che Homing ne furono devastati, e passarono diversi giorni nell'angoscia più totale, ma alla fine riuscirono ad andare avanti. Homing chiamò il piccolo Rosinante, e iniziò a dedicargli tutte le attenzioni di cui aveva bisogno. La vita sembrava essere tornata alla normalità, se non fosse stato per un piccolo particolare che avrebbe cambiato per sempre la vita dei Donquijote. 

 

Un pò alla volta, Doflamingo aveva cominciato a odiare il suo fratellino. Un odio cocente, che Corazon aveva fatto di tutto per contrastare, senza però riuscirci. Quel piccolo mostro aveva ucciso Maria venendo alla luce. Perchè era dovuta andare così? Perchè Maria Donquijote era morta, mentre Rosinante era ancora vivo? Con quale diritto si era preso la vita della seconda figura materna della vita di Doflamingo? Senza darlo a vedere, si era lasciato consumare da quell'odio. Al punto che ora, esattamente un anno dopo la morte di Maria Donquijote, stava per compiere un gesto atroce.

 

No, Dofy, non farlo!, ripetè Corazon per l'ennesima volta.

 

Stai zitto, Cora. Quel mostro merita di morire.

 

Doflamingo, un cuscino in una mano, si avvicinava lentamente alla culla dove dormiva il piccolo Rosinante. Suo padre si era addormentato sul divano del salotto, e in casa non c'era nessun altro. Sarebbe stato uno scherzetto: avrebbe soffocato suo fratello con quel cuscino, in modo da non lasciare tracce. Tutti avrebbero pensato a una fatalità, a una delle tante morti in culla di cui ogni tanto si sentiva parlare. Nessuno avrebbe mai sospettato di lui.

 

Quando fu a pochi centimetri dalla culla, Corazon cercò di prendere il controllo del corpo.

 

Non posso lasciartelo fare, Dofy!

 

Il corpo di Doflamingo si bloccò. La bocca gli si aprì e il braccio destro prese a tremargli.

 

Lasciami, Corazon! Lasciami!

 

No, Dofy, è solo un bambino. E' tuo fratello, cazzo!

 

Non è mio fratello, è solo un mostro che mi ha portato via mia madre!

 

Non...

 

Alla fine Doflamingo riuscì a riprendere il controllo del proprio corpo. Si avvicinò alla culla e fece quello per cui era venuto lì.

 

Corazon non potè fare altro che guardare impotente mentre Doflamingo soffocava il piccolo Rosinante. Quando ebbe finito, il biondo si allontanò da lì e tornò nella sua stanza, sorridendo per la soddisfazione, senza neanche guardarsi indietro.

 

Mio Dio...Dofy, che hai fatto?!

 

Stai zitto, Cora.

 

***

 

Stesso luogo

30 Marzo 2002

 

Come Doflamingo aveva previsto, nessuno sospettò di lui per la morte di Rosinante, che venne attribuita a cause naturali.

 

Quel che non aveva immaginato, era che Homing, poche settimane dopo, avrebbe seguito sua moglie e suo figlio nella tomba. Lo trovarono seduto nel suo ufficio, con in mano un bicchiere di vino rosso e una confezione di sonniferi mezza vuota sulla scrivania.

 

Gli altri Donquijote intervennero subito per occuparsi di Doflamingo. Vergo, in particolare, lo prese sotto la sua ala. Doflamingo ebbe così modo di scoprire che suo zio non era poi tanto male, e che le voci secondo cui aveva rapporti con la criminalità organizzata erano vere.

 

Tra le altre cose, Vergo gli rivelò che le Industrie Donquijote traevano una grossa fetta dei loro profitti illeciti proprio dai traffici con una famiglia mafiosa americana, i Petricelli. Allettato dalla prospettiva del guadagno facile, Doflamingo tenne la bocca chiusa. Inoltre, cominciò a frequentare sempre più spesso i vari ambienti in cui operava suo zio. Questo perchè, siccome Vergo non aveva figli, un giorno Doflamingo avrebbe ereditato un posto di rilievo nell'azienda di famiglia, e un pò di pratica non gli avrebbe certo fatto male. Perciò, appena diventato maggiorenne, Vergo lo prese a lavorare con sè.

 

L'altro suo zio, Gaimon, cercò di combinare un matrimonio tra Doflamingo e Albida, ma fu costretto a desistere quando scoprì che a quest'ultima piacevano le donne. Ciò nonostante, i due cugini, che provavano un sincero affetto reciproco, continuarono a frequentarsi (Anni dopo, Doflamingo fece perfino da testimone al matrimonio di Albida, che fu una delle prima ad approfittare della legge spagnola sui matrimoni omosessuali per impalmare la sua compagna, una modella giapponese di nome Reika Momousagi).

 

Poi, un giorno, Vergo morì, seguito a ruota da Gaimon, e Doflamingo si ritrovò a capo delle Industrie Donquijote assieme ad Albida (Essendo lei una delle poche persone di cui lui si fidava, le aveva chiesto di affiancarlo nella direzione dell'azienda. Tra l'altro, Albida era completamente all'oscuro delle attività illegali condotte dal cugino). Deciso a farsi un nome, espanse l'attività originaria in svariati settori, fino a far raggiungere all'azienda dimensioni mondiali. In pochi anni, divenne uno degli uomini più ricchi d'Europa, e poi del mondo. Si occupò sia delle attività legali che di quelle illegali, rafforzando i legami con i Petricelli ed esplorando nuove frontiere della criminalità.

 

Ormai diventato ricco e potente, Doflamingo aveva tutto ciò che voleva, ed era felice come non mai. L'unica nota negativa del periodo fu la morte di Big Mom, all'inizio del 2001. Doflamingo si occupò personalmente del funerale, e in seguito fece anche una grossa donazione all'orfanotrofio. Morta la signora Charlotte, tutti i suoi legami col passato erano stati recisi. Tutti tranne uno...

 

- Stai zitto, Cora! Non mi servono più i tuoi consigli!-

 

Corazon continuava a farsi sentire, di tanto in tanto, ma Doflamingo non gli dava più ascolto come prima. Anzi, la maggior parte delle volte lo ignorava. Il loro rapporto aveva cominciato ad incrinarsi dopo l'omicidio del piccolo Rosinante, e ora i due erano proprio ai ferri corti.

 

Dofy, te lo ripeto, non mi piace quello che stai facendo.

 

Doflamingo sbattè un pugno sulla scrivania del suo ufficio.- Quando mai! Hai sempre da ridire su tutto. Invece di sostenermi, non fai altro che rimproverarmi.-

 

Questo perchè sei diventato un criminale della peggior specie, Dofy.

 

- Non chiamarmi più Dofy!-

 

Guardati. Sei diventato irriconoscibile. Cosa direbbero i tuoi genitori o la signora Charlotte, se ti vedessero?

 

In un primo momento, Doflamingo non rispose.

 

Dofy...

 

- Ora basta!- gridò Doflamingo.- Ne ho abbastanza di te!-

 

Che hai intenzione di fare?

 

- Stai a vedere...-

 

A quel punto ebbe inizio una sorta di lotta interiore che andò avanti per quasi un'ora. Doflamingo fece appello a tutte le sue forze per sopprimere Corazon. Tuttavia, quest'ultimo oppose una strenua resistenza, e alla fine riuscì a sopravvivere, anche se la sua fu una vittoria di Pirro. Decise pertanto di far credere a Doflamingo di averlo distrutto, in modo da potersi riorganizzare con calma.

 

Doflamingo si accasciò sulla poltrona, esausto, e si addormentò.

 

Corazon si rifugiò in un angolo remoto della mente di Doflamingo, dove si mise ad elaborare una strategia. Non era finita lì. Aveva visto cosa era diventato l'altro, ed era deciso a fare qualcosa.

 

Dovessi metterci degli anni...giuro che ti fermerò, Doflamingo!

 

***

 

Stesso luogo

23 Dicembre 2011

 

Corazon prese un paio di respiri profondi e si lasciò cadere sulla poltrona, esausto. Ci aveva messo un'eternità per prendere il controllo del corpo. Del resto, erano passati anni dall'ultima volta, ed era parecchio arrugginito. Era stata un'autentica lotta. Doflamingo era diventato forte. L'unica nota positiva era che non se ne sarebbe accorto. Corazon avrebbe fatto in modo che pensasse di essersi addormentato, o qualcosa del genere.

 

Prese il vecchio telefono sulla scrivania e cominciò a comporre un numero. Quello che stava per fare equivaleva a un tradimento, ma non aveva scelta. Doveva cercare di contrastare Doflamingo, prima che fosse troppo tardi. Aveva un piano preciso. Una serie di piccole batoste alla sua attività criminale, per poi arrivare al colpo finale. Sapeva come muoversi, e a chi rivolgersi. Ci sarebbe voluto un pò di tempo, ma era sicuro che alla fine avrebbe vinto la sua battaglia.

 

Sei diventato crudele, Dofy, pensò Corazon. Un mostro. Non è questo che volevo per te.

 

Si portò la cornetta all'orecchio e attese.

 

La voce dell'uomo che rispose dall'altra parte dopo qualche attimo era impastata dal sonno, e a giudicare dal tono non doveva essere molto felice di essere stato svegliato.- Pronto?-

 

- Parlo con l'Ispettore Drake Diez, dell'Interpol?-

 

- Sì, ma...chi è lei? Che...yawn...che cazzo vuole da me a quest'ora?-

 

- Mi ascolti attentamente, Ispettore, perchè ho delle informazioni molto importanti da comunicarle...-

 

***

 

Stesso luogo

Oggi

 

Drake guardava il pazzo ridente in cui si era trasformato Doflamingo con un misto crescente di orrore e disgusto. Aveva già una mezza idea su come stessero le cose in realtà. Doveva solo confermarla con un bell'interrogatorio.

 

Fece un cenno ai suoi uomini.- Ammanettateli tutti e due.- Le proteste della segretaria Mone furono subito messe a tacere, mentre il miliardario continuava a sghignazzare come una iena. Furono entrambi condotti fuori dalla villa e fatti salire su una delle auto dell'Interpol.

 

Drake salì sull'altra auto. Si accomodò sul sedile del passeggero e rimase in silenzio, continuando a riflettere su quello che aveva già classificato come il caso più strano della sua vita.

 

E nell'ufficio di Doflamingo, un certo fenicottero giocattolo rimase su una mensola a prendere polvere.

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Inizialmente avevo pensato di far suicidare Doflamingo per evitare l’arresto. Ma poi Yellow Canadair (Che qui ringrazio) mi ha fatto notare che la cosa non andava d’accordo col suo carattere, è così ho cambiato tutto. Comunque, che ve ne pare di questa mia versione di Doflamingo? Fatemelo sapere con una bella recensione.

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo tra due settimane, con l’ultimo, scoppiettante capitolo di questa storia. Nel frattempo, buon Natale e buon anno nuovo!

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Epilogo: Closing time ***


Epilogo: Closing time

 

Parte 1: Aftermath

 

7 Febbraio 2016

Loguetown, California, USA

Negli studi di Logue Channel

 

-...sono passati cinque giorni dagli eventi che hanno sconvolto il mondo.-

 

Paula Rockbell, come sempre, stava facendo il suo lavoro di giornalista.

 

- Per chi si fosse distratto o non ricordasse, ecco un breve riassunto: un'indagine congiunta di Interpol e FBI ha portato all'arresto di centinaia di persone e allo smantellamento di due organizzazioni criminali di livello mondiale. Tra gli arrestati, spiccano in particolare due nomi: Jonas Petricelli, imprenditore e ormai ex Governatore della California, e Doflamingo Donquijote, miliardario spagnolo.

 

- O almeno, questo era quello che tutti credevamo. Come è infatti stato appurato dalle indagini, gli individui in questione erano in realtà a capo di due potenti organizzazioni criminali, una delle quali responsabile per la creazione della droga conosciuta come agalmatolite. Ma non solo: si è anche scoperto che Petricelli e Doflamingo erano rispettivamente le vere identità dei boss noti come Sir Crocodile e il Joker, che molti hanno sempre considerato soltanto delle leggende, e che purtroppo negli anni sono diventati associati a tragici eventi.

 

- Oltre alle organizzazioni facenti capo ai due boss, è stata smantellata anche la famigerata Baroque Works, tristemente nota per i numerosi attentati compiuti in territorio statunitense, tra cui l'esplosione del volo 3D2Y nel 1995.- Fece una piccola pausa, ricordando quel terribile giorno.- Quella che era sempre sembrata un'organizzazione terroristica come tante, era in realtà uno strumento nelle mani di Jonas Petricelli, che l'ha usata più e più volte per eliminare avversari scomodi o per facilitare i suoi affari e la sua ascesa politica. Appena diffusa la notizia, i parenti delle vittime della Baroque Works si sono coalizzati e hanno proposto una causa comune contro Petricelli. I procedimenti legali sono ancora in corso, ma è quasi certo che alla fine otterranno un risarcimento più che consistente.- Si concesse un piccolo sorriso di soddisfazione e continuò. 

 

- E a proposito di procedure legali, da segnalare la scarcerazione di Eustass O'Malley, arrestato qualche tempo fa con l'accusa di complicità nello sfruttamento della prostituzione e spaccio di droga. Il signor O'Malley è infatti stato riconosciuto innocente. Secondo quanto riportato alla FBI da un testimone di cui non è stato diffuso il nome, l'intera faccenda era stata orchestrata da Petricelli in modo da orientare a suo favore l'opinione pubblica. Abbiamo cercato di contattare il signor O'Malley per un'intervista, ma purtroppo non ha voluto rilasciare dichiarazioni.- Si schiarì la voce.

 

- Petricelli si trova attualmente nel carcere di Loguetown. La sua azienda, la Petricelli SRL, è stata posta sotto sequestro, mentre l'agenzia di sicurezza Cipher Pol Aigis è stata momentaneamente chiusa. L'incarico di Governatore della California continuerà ad essere ricoperto da Gomez Pink fino a nuove elezioni.

 

- Donquijote, invece, è stato rinchiuso in un manicomio criminale nel nord della Spagna. Gli è infatti stata diagnosticata una particolare forma di disturbo mentale, che, a detta dei medici, rischia di degenerare in fretta e renderlo un pericolo per sè stesso e gli altri. Le Industrie Donquijote sono state momentaneamente affidate a un consiglio di amministrazione presieduto da una cugina, Albida Donquijote, che le autorità hanno giudicato estranea ai fatti, e che si è dichiarata più che disposta a collaborare alle indagini. E' molto probabile che le Industrie subiranno un ridimensionamento, oltre a dover pagare una cifra ancora da stabilire. Molti ne hanno auspicato la chiusura, ma non è ancora stato deciso nulla.

 

- Insomma, un bel pasticcio, che sicuramente terrà impegnata le autorità ancora per molto tempo. Possiamo solo auspicare che giustizia sia fatta.

 

- E anche per oggi è tutto. Ci rivediamo domani alla stessa ora con un'intervista esclusiva all'Ispettore dell'Interpol responsabile dell'arresto di Donquijote. Grazie per averci seguito e buon proseguimento di giornata.-

 

***

 

Saint Absalom Cemetery

 

Benn Beckman percorreva i viali del cimitero, la testa bassa e le mani nelle tasche dell'impermeabile. Ogni tanto dava un'occhiata alle lapidi che lo circondavano, per assicurarsi di essere sulla giusta strada. Quello era il cimitero più grande della città, ed era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che era stato lì.

 

Era sera, e nel cimitero c'erano pochissime persone, la maggior parte delle quali se ne stava già andando. Aveva scelto apposta quell'ora tarda. Quando veniva a far visita ai defunti preferiva avere attorno meno gente possibile. Appena arrivato, aveva incontrato il Generale Monkey assieme ai suoi nipoti. Se ne stavano giusto andando, e avevano scambiato due parole. Erano andati lì per il suo stesso motivo. Anche loro avevano perso qualcuno. Qualcuno che aveva finalmente ricevuto giustizia.

 

Quando aveva sentito la notizia in TV era rimasto a bocca aperta. Per anni aveva dato la caccia ai responsabili della morte di sua moglie, e sapere che erano stati arrestati lo aveva al tempo stesso sorpreso e sollevato. Avrebbe preferito catturarli di persona, ma anche così andava bene. L'importante era che marcissero in galera.

 

Girò l'angolo e si rese conto di essere arrivato a destinazione. Quella era la parte del cimitero in cui erano sepolti i membri della famiglia Beckman, inclusa sua moglie.

 

Si sentì improvvisamente in colpa. Negli ultimi anni aveva evitato di andare al cimitero. Ripeteva sempre di essere molto occupato con il lavoro, ma sapeva che il vero motivo era un altro. Quando guardava la foto sulla lapide di Juls, non poteva fare a meno di pensare che i suoi assassini erano ancora a piede libero. Allora una rabbia senza precedenti si impadroniva di lui, e doveva fare degli sforzi sovrumani per calmarsi. Perfino quando era venuto a trovare Shanks per il Ringraziamento, aveva preferito stare alla larga dal cimitero.

 

E a proposito di Shanks, doveva essersi occupato lui della tomba di Juls. Notò infatti che era perfettamente pulita. Mancavano i fiori, però. Non importava, ci avrebbe pensato Benn.

 

Si fermò davanti alla lapide di Juls e sospirò. Guardò la foto, e un mare di ricordi gli attraversò la mente. Juls che rideva. Juls che rimproverava Kidd e Shanks. Juls che gli diceva quanto lo amasse. Aveva scelto lui la foto per la lapide. Era una foto in cui Juls sorrideva. Era bellissima, proprio come se la ricordava.

 

- Juls...mi manchi.- mormorò il militare.- Ti chiedo scusa se negli ultimi tempi non mi sono fatto vedere, ma...non ce la facevo. Non riuscivo a guardarti senza pensare a quei bastardi che ti hanno uccisa, e...- Si asciugò una lacrima.- Comunque adesso è tutto finito. Quei mostri sono dietro le sbarre, e credo proprio che ci resteranno per un bel pò.- Fece una pausa.- Ora cercherò di venire un pò più spesso. E la prossima volta porterò anche Shanks e Kidd. Manchi molto anche a loro, sai?- Un sospiro.- Spero che arrivi presto il momento in cui potremo riunirci.-

 

Altre lacrime iniziarono a scorrere, ma stavolta non le fermò. Accarezzò la lapide e si concesse un sorriso.- Riposa in pace, amore mio.-

 

***

 

L'appartamento di Eustass "Kidd" O'Malley

 

Mentre Benn faceva visita a sua moglie, Shanks era andato a trovare suo fratello. Dopo aver appreso la verità sul suo arresto, si era sentito in dovere di chiedergli scusa per come lo aveva trattato. Prima, però, c'era un piccolo problema da risolvere.

 

Avanti, Shanks, bussa a questa porta, si rimproverò l'irlandese. Non puoi stare qui in eterno.

 

Era lì da venti minuti, e non aveva ancora trovato il coraggio di bussare. Voleva disperatamente parlare con suo fratello, eppure c'era qualcosa che lo bloccava. Forse era paura per la sua reazione, forse rimorso per le parole che gli aveva detto l'ultima volta che si erano visti. Fatto sta che aveva avvicinato più volte la mano alla porta, e ogni volta l'aveva ritirata.

 

Andiamo, è ridicolo...

 

Fortunatamente, in quel momento la porta si aprì. Eustass O'Malley apparve vestito di tutto punto, con un grosso zaino sulle spalle e una valigia in mano. I due fratelli rimasero un attimo a fissarsi, con un misto di imbarazzo e sorpresa. Shanks fu il primo a parlare.

 

- Ciao, Eustass.-

 

Kidd sembrava più sorpreso che imbarazzato.- Ehm...ciao, fratellone. Qual buon vento?-

 

Shanks deglutì.- Ho pensato di venire a trovarti. Ecco...ho sentito le ultime notizie.-

 

- Ah.-

 

Ci furono alcuni secondi di silenzio assoluto.

 

Alla fine, Shanks si decise. Prese il coraggio a quattro mani e guardò suo fratello negli occhi.- Volevo solo dirti che...che mi dispiace.-

 

- Uh? E per cosa?-

 

- Lo sai. Per quello che ti ho detto. Per aver creduto che...che fossi un criminale.-

 

- Oh, quello? Lascia perdere, non hai niente di cui scusarti.-

 

- Cosa? Ma...-

 

- Ehi, non ti preoccupare. Dico sul serio, è tutto a posto.- Poggiò la mano libera sulla spalla di Shanks.- Ho avuto un bel pò di tempo per riflettere, e non sono per niente incazzato. Con tutto quello che ho combinato negli anni, chiunque al tuo posto avrebbe pensato male.-

 

Il rosso non credeva alle sue orecchie.- Davvero? Quindi non sei arrabbiato con me?-

 

Kidd rise.- Tranquillo. Gli unici con cui ce l'ho a morte sono quegli stronzi che hanno organizzato tutto e quella puttana di Hancock. E da quello che ho sentito in TV, hanno avuto quello che si meritavano.-

 

- Oh...meno male. Mi sento molto meglio, adesso.- Si accorse solo in quel momento dei bagagli di Kidd.- Stai partendo?-

 

- Sì, è una cosa che ho deciso appena sono tornato a casa. Avevo intenzione di fermarmi prima un pò da te e poi da un mio amico, dopodichè sarei andato all'aeroporto.-

 

- E dove vai?-

 

- In Irlanda del Nord.-

 

- Come mai?- Da quando, tanti anni prima, i due fratelli erano venuti a vivere in America, non avevano più messo piede nella loro terra d'origine.

 

Kidd sospirò.- Ho solo bisogno di cambiare aria. Con tutto quello che è successo negli ultimi tempi, ho deciso di dare una svolta alla mia vita. Sai quando ti vengono quelle illuminazioni che non ti aspetteresti mai? Ecco, a me è successa la stessa cosa. Devo cambiare, ritrovare me stesso e robe simili. E ho pensato che farmi un giro nei posti dove sono cresciuto non mi avrebbe fatto male. Non starò via a lungo, però. Giusto un paio di anni, poi tornerò qui a Loguetown.-

 

- Ah...- L'idea che Kidd sarebbe stato via per due anni preoccupava il rosso.- Sei proprio sicuro...-

 

- Non preoccuparti, sono abbastanza grande da badare a me stesso, fratellone.- Gli diede una pacca sulla spalla.

 

- Andrai anche a Enies Lobby?-

 

- Certo. Voglio rivedere i luoghi dove abbiamo incontrato Benn e Juls. Forse potrei anche rincontrare qualcuno di quelli che abbiamo rapinato.- I due risero al ricordo delle loro disavventure.

 

- Magari incontrerai anche il vecchio agente Creek. Chissà se è ancora vivo.- disse Shanks.

 

- Sicuro, quello lì aveva la scorza dura. Non morirebbe neanche se lo ammazzassero. Anzi, probabilmente a quest'ora è anche diventato capo della polizia di Enies Lobby.- Risero di nuovo.

 

- Mi mancherai, Eustass.-

 

- Anche tu...Proinsias.- Shanks ridacchiò.

 

- Promettimi che ogni tanto mi telefonerai.-

 

- Certo, stai tranquillo.-

 

I fratelli O'Malley si abbracciarono, per poi scambiarsi un ultimo saluto.

 

 

Parte 2: Le coppie

 

2 Aprile 2016

Loguetown, California, USA

Hotel-ristorante Baratie

 

Sotto gli sguardi attenti di decine di persone, Zef Vinsmoke posò il lungo cappello bianco sulla testa del suo secondogenito, che si era appena seduto al suo posto a capotavola.

 

- Signore e signori, vi presento il nuovo capocuoco del Baratie: Sanji Vinsmoke!-

 

Ci fu uno scroscio di applausi.

 

Era un momento solenne. Il cappello del capocuoco equivaleva alla corona di un re. E il Baratie aveva appena assistito all'incoronazione del suo nuovo sovrano.

 

Sanji non avrebbe potuto essere più felice. Il suo momento di gloria era finalmente arrivato! Sorrise e fece scorrere lo sguardo da un capo all'altro del tavolo, pieno di ottime pietanze ancora da gustare e di persone venute lì per lui.

 

Si erano riuniti nella sala grande, quella che di solito veniva usata per le occasioni più importanti. Oltre ai Vinsmoke, erano presenti anche gli O'Malley, i Roronoa, le due Watanabe, il fidanzato di Kaya, e anche il personale del Baratie al gran completo.

 

E naturalmente, Nojiko, bella come non mai.

 

Sanji si poteva ritenere un uomo molto fortunato. Non solo era finalmente diventato capocuoco del Baratie, ma la sua creazione, la zuppa di pesce All Blue, aveva fatto raddoppiare gli affari del ristorante. Le prenotazioni erano schizzate alle stelle, e si era venuta a creare una lista d'attesa così lunga che suo padre stava pensando di far ampliare l'hotel.

 

Adesso smetterò di essere soltanto "il figlio di Zef del Baratie", pensò il biondo. Tutti si ricorderanno della mia opera. Da oggi in poi, quando la gente penserà a me, mi chiamerà "il creatore della zuppa All Blue". Diavolo, è tutto così bello che quasi mi viene da piangere.

 

Tuttavia, sentiva che a quel momento perfetto mancava qualcosa. Poi capì. Fece cenno a Nojiko di avvicinarsi. La ragazza si alzò dal suo posto, e Sanji provò una fitta di desiderio nel guardarla muoversi. Sarebbe stato capace di prenderla e possederla lì davanti a tutti. Ma non l'avrebbe fatto. Non era quello che aveva in mente.

 

Appena la ragazza gli arrivò accanto, Sanji la strinse in un caldo abbraccio e la baciò appassionatamente. Gli altri reagirono con una nuova sequenza di applausi.

 

Ho tutto quello che volevo, riflettè il giovane Vinsmoke. Il Baratie, la fama, e la ragazza che amo. Non potrei chiedere di più.

 

Dopo quella che a tutti parve un'eternità, Sanji si staccò dalla sua bella, e la celebrazione proseguì.

 

***

 

20 Settembre 2016

Un edificio in centro

 

Usop Abacar uscì dall'ufficio in cui aveva appena trascorso l'ultima mezz'ora con un gran sorriso sulle labbra e un rettangolino di plastica in mano. Quest'oggetto apparentemente insignificante, era in realtà di un'importanza fondamentale, almeno per lui.

 

Si trattava infatti della Green Card, una tessera che gli avrebbe permesso di rimanere nel territorio degli Stati Uniti per un periodo di tempo illimitato. Il motivo della sua particolare importanza era molto semplice.

 

Ora che aveva la Green Card, aveva compiuto il primo, importante passo verso la cittadinanza americana.

 

Si trattava solo di aspettare qualche anno e di rigare dritto, dopodichè avrebbe potuto sostenere un esame sulla storia e le leggi degli Stati Uniti (E per cui si stava già preparando). Fatto anche quello, sarebbe finalmente diventato un cittadino americano a tutti gli effetti.

 

E a quel punto, avrebbe chiesto a Kaya di sposarlo.

 

Non aveva dubbi in merito. Kaya era la ragazza più dolce, bella e intelligente che avesse mai incontrato. La amava con tutto sè stesso, e voleva passare il resto della sua vita con lei. L'avrebbe sposata anche in quel momento, ma non voleva farle pensare che lo stesse facendo solo per ottenere la cittadinanza.

 

Infilò la tessera nel portafoglio e iniziò a pensare al modo con cui fare la proposta a Kaya. Doveva essere una sorpresa. Magari poteva nascondere l'anello in un dolce, come aveva visto fare in un film...no, c'era il rischio che lo ingoiasse.

 

Lascia perdere, ci penserai quando sarà il momento, si impose il brasiliano.

 

Dopo un pò, arrivò nella sala d'attesa dove aveva lasciato Kaya. Vedendolo arrivare, la ragazza si alzò in piedi e gli venne incontro.- Fatto?-

 

Il brasiliano annuì.- Fatto. Ora sono il felice possessore di una Green Card! Con essa potrò finalmente trovare il tesoro che tanto a lungo ho cercato! Così parla il prode Capitano Usop.- disse in tono teatrale. A volte gli piaceva fare dei piccoli siparietti demenziali, per far divertire Kaya.

 

E fu proprio quello che accadde. La bionda ridacchiò compostamente e scosse la testa, per poi esclamare, in finto tono di rimprovero: - Sei sempre il solito.-

 

Usop fece spallucce.- Sono troppo vecchio per cambiare.- Guardò l'ora sull'orologio della sala d'attesa, e vide che era mezzogiorno passato.- Piuttosto...visto che ormai si è fatta una certa ora, mi permette di offrirle il pranzo, bella signorina?- Offrì il braccio a Kaya.

 

La giovane Vinsmoke rise e incrociò il braccio con quello del suo fidanzato.- Ma certo, mio prode Capitano Usop.-

 

I due innamorati uscirono dall'edificio e si diressero verso il ristorante più vicino.

 

***

 

20 Gennaio 2017

La casa del Capitano Clint Callahan

 

Da un pò di tempo a questa parte, Bellemere aveva iniziato a passare sempre più tempo a casa del Capitano Callahan. Avendo una copia delle chiavi, poteva andare e venire quando voleva. Tutto quell'andirivieni stava però cominciando a stufarla, tanto che pensava sempre più spesso di trasferirsi da Clint e lasciare l'appartamento accanto al Red Force a Nami.

 

Tuttavia, in quel momento i suoi pensieri erano concentrati su ben altro. Aveva appena scoperto una cosa che l'aveva lasciata di stucco, e si era precipitata nell'appartamento del poliziotto per riferirgliela. Avrebbe anche potuto telefonargli, ma nella foga non ci aveva proprio pensato.

 

Aveva notato la moto di Smoker parcheggiata davanti all'edificio in cui viveva (Tra l'altro, senza nessun sistema di sicurezza. Non che ce ne fosse bisogno. Nessuno si sarebbe azzardato a toccare la moto del famigerato Cacciatore Bianco), concludendo che l'uomo fosse in casa. Quando entrò nell'ingresso e vide la sua giacca appesa all'attaccapanni, ebbe la conferma.

 

- Clint, sono io. Dove sei?-

 

Non ebbe risposta. Si accorse allora di un rumore simile a un ronzio, proveniente dalla stanza da letto. Aguzzò le orecchie, e capì che non era un ronzio, ma soltanto Clint che russava. Andò verso la stanza da letto, la cui porta era aperta, e sbirciò. Smoker era effettivamente sul letto. Era sdraiato, e indossava solo i pantaloni della divisa e gli stivali. C'era un leggero odore di sudore misto a fumo. Storse il naso. Aveva detto più volte a Clint di non fumare in casa, ma lui non la stava a sentire. Lascia perdere, Kyoko, si disse. Pensa solo a svegliarlo.

 

Si avvicinò al letto e contemplò la forma dormiente del suo compagno. Le dispiaceva svegliarlo, ma era necessario. Considerando che molto probabilmente aveva avuto una giornata difficile al lavoro, decise di tentare con un approccio gentile.

 

- Smokey...-

 

L'uomo continuò a dormire.

 

- Smokey...-

 

Ancora niente. Si rese conto che, così facendo, non avrebbe concluso nulla. Pertanto, per chiudere in fretta la faccenda, decise di provare con qualcosa di più drastico. Allungò una mano verso di lui e gli afferrò un braccio, scuotendolo con vigore.

 

- Sveglia, orsacchiotto!- gridò.

 

Al che Smoker aprì gli occhi di scatto e la fulminò con un'occhiataccia. Aveva sempre odiato essere chiamato con soprannomi stupidi, già ai tempi del loro primo rapporto. Lei però se ne era sempre fregata. Si divertiva troppo a prenderlo in giro.

 

- Che c'è?- ruggì lui, in tono palesemente irritato.

 

- Sono venuta a vedere se eri sveglio.-

 

- Beh, adesso lo sono. Contenta?-

 

La donna annuì e si sedette sul bordo del letto.- Sì. Comunque, c'è una cosa che volevo dirti.-

 

- E non può aspettare domani mattina, questa cosa? Oggi al distretto è stata una giornata d'inferno, e mi sono dovuto fare un culo così per tenere tutto in ordine. Voglio dormire, cazzo!-

 

- E' meglio che te lo dica adesso, credimi.-

 

Il poliziotto masticò un'imprecazione e si mise a sedere.- Va bene, di che si tratta?-

 

- Sono incinta.-

 

Per un attimo, sembrò che gli occhi di Callahan schizzassero fuori dalle orbite. Poi la sua espressione ritornò quella di sempre.- Cosa...come?-

 

- Come? Ti sei dimenticato come si fanno i bambini? Eppure è una cosa che abbiamo fatto abbastanza spesso, negli ultimi tempi.-

 

- Me lo ricordo, stupida. Intendevo come...- Fece un attimo di pausa.- Oh. Ora ricordo.- Negli ultimi tre mesi non avevano usato contraccettivi. Una sera Bellemere aveva insistito per fare l'amore, nonostante lui avesse finito i preservativi, e da allora era diventata un'abitudine. Non se ne erano preoccupati più di tanto, in parte perchè erano entrambi sani come pesci, ma anche perchè si consideravano troppo vecchi per avere figli.

 

Ah, quanto si erano sbagliati.

 

- Sei proprio sicura?-

 

Kyoko annuì.- Ho fatto il test di gravidanza tre volte, e domani andrò dal ginecologo, tanto per eliminare i possibili dubbi. Ma so già quale sarà la risposta.-

 

Ci fu un attimo di silenzio.

 

- E meno male che eravamo troppo vecchi per avere figli...- mormorò Smoker.

 

- Non sembri molto contento.- disse la quarantenne.

 

- Non è così, è solo che...non me lo aspettavo, ecco.-

 

- Cosa facciamo?-

 

- Cosa facciamo? Lo teniamo, cazzo. Che razza di domanda è?-

 

- Dicevo così, per dire.-

 

Smoker si passò una mano tra i capelli bianchi.- Porca puttana, quasi non riesco a crederci...sto per diventare padre di nuovo.-

 

- Sai, anni fa mi ero ripromessa che avrei avuto altri figli, se mai avessi incontrato l'uomo giusto.- disse Kyoko Watanabe.- Purtroppo, ho incontrato solo delle teste di cazzo.-

 

- E sarei io l'uomo giusto?-

 

- Certo. Sei uno stronzo di prima categoria, più acido di una vecchia zitella.- Allungò un braccio e gli accarezzò una guancia.- Ma sei anche uno degli uomini migliori che abbia mai conosciuto. Sei l'uomo che amo.-

 

Smoker non rispose subito, limitandosi ad abbassare lo sguardo e ad arrossire leggermente. Succedeva sempre così. Appena si parlava di sentimenti e robe simili, il burbero poliziotto arrossiva come una verginella. Era un lato del suo carattere che Bellemere adorava.

 

- E poi, abbiamo già qualche esperienza in campo genitoriale. Non sarà molto difficile...- Per un attimo, temette di aver fatto una gaffe. Sapeva che Clint non parlava volentieri di quello che era successo a sua moglie e sua figlia, e che anche solo accennare a loro due lo incupiva. Fortunatamente, non andò così. Il poliziotto si limitò ad annuire.

 

- Hai ragione. Però...il fatto è che non mi aspettavo una roba del genere...-

 

- Se è per questo, non ti aspettavi nemmeno di innamorarti di nuovo, eppure è successo.-

 

- Intendevo che non sono preparato per questo.-

 

- Non preoccuparti, ti aiuterò io.- Salì sul letto e si sedette accanto al poliziotto, stampandogli un bacio sulla fronte.- Sarai un ottimo padre, Clint. Ne sono più che sicura.-

 

Callahan rimase qualche secondo in silenzio.- Il nome lo scelgo io.-

 

- Ok.-

 

- Se è una femmina, Rebecca. Se invece è un maschio...Clint Jr.-

 

- Per me vanno bene.-

 

- E niente battesimo o robe del genere. Deciderà quando sarà grande.-

 

- Agli ordini, Capitan Orsacchiotto!- esclamò facendo il saluto militare.

 

- E smettila di chiamarmi così!-

 

- E tu smettila di essere sempre così acido.-

 

- Fanculo.- Callahan si girò su un fianco, sprimacciò per bene il cuscino e chiuse gli occhi. Subito dopo, Bellemere gli si avvicinò, abbracciandolo da dietro e accoccolandosi contro il suo corpo. Una mano della donna si accomodò sul suo ventre piatto.

 

- Il mio orsacchiotto Smokey...- sussurrò, godendosi il calore del suo uomo.

 

- Hmpf.- Smoker prese la mano della sua compagna e la strinse delicatamente. I due rimasero così per un pò, e alla fine si addormentarono entrambi.

 

***

 

Palestra Shimoshiki

 

- KYAHHH!-

 

Il calcio della ragazza con gli occhiali colpì in pieno petto l'uomo coi capelli verdi, prima ancora che questi potesse contrattaccare. L'uomo cadde a terra con un tonfo sordo.

 

- Sì! A quanto siamo, Zoro? Duemila?- gridò trionfale Tashigi.

 

- Duemila e uno.- la corresse a malincuore Zoro.

 

Qualche tempo prima, i due avevano iniziato ad allenarsi insieme la sera, dopo l'orario di chiusura della palestra. Durante una delle sessioni, la ragazza lo aveva sfidato a batterlo. Roronoa aveva accettato la sfida, pentendosene dopo un pò. Tashigi era molto, molto più forte di lui. Il poliziotto ci aveva messo tutte le sue forze, cercando anche di imitare qualcuna delle mosse del suo idolo Mihawk. Eppure, per quanto avesse provato, aveva sempre fallito. Dopo duemila e uno incontri, non era ancora riuscito a sconfiggerla.

 

Molti avrebbero trovato vergognoso essere sconfitti da una donna, ma non Zoro. Per lui, era una prova del fatto che doveva continuare ad allenarsi se voleva arrivare al livello del grande maestro ungherese. E poi, Kuina era l'unica da cui avrebbe accettato una cosa del genere.

 

Kuina...a volte si stupiva nel pensare a quanto era cambiato il loro rapporto nell'ultimo anno. Da semplici amici e colleghi di lavoro, erano diventati una coppia stabile. Si era aspettato il peggio, quando avevano iniziato a frequentarsi, ma non era andata così. Dopo un pò, si era accorto di ricambiare i sentimenti che la ragazza provava per lui (Con grande gioia di Tashigi, naturalmente). E in generale il loro rapporto andava a gonfie vele. La sua famiglia aveva accolto favorevolmente l'occhialuta, soprattutto Koala e quel cretino di suo cognato Sanji (Non che fosse una sorpresa. Sanji faceva l'idiota con qualunque donna avesse davanti, anche se ora aveva Nojiko che lo teneva in riga). I loro colleghi al distretto avevano naturalmente reagito alla notizia con spirito goliardico.

 

E a proposito del distretto, c'erano stati dei cambiamenti anche su quel fronte. La ragazza aveva lasciato la polizia, preferendo dedicarsi esclusivamente alla palestra ereditata dal padre. Quando poteva, Zoro le dava una mano, anche se lei non ne aveva tanto bisogno. Era più che capace di badare da sola ai suoi affari.

 

Intelligente, caparbia, e capace di una dolcezza quasi materna. Zoro si considerava fortunato ad avere una donna così al suo fianco.

 

Se solo fossi così fortunato anche nei combattimenti, pensò il poliziotto.

 

- Duemila e uno...mi sa che dobbiamo festeggiare.- sorrise la ragazza.

 

- E' proprio necessario?-

 

- Sì...anche perchè credo che il modo con cui lo faremo ti piacerà moltissimo.-

 

Roronoa alzò un sopracciglio.- Come...- Al che la ragazza si tolse gli occhiali, posandoli su una panca lì affianco, e iniziò a sfilarsi la maglia della tuta. Un sorriso gli si dipinse lentamente sul volto.- Hai ragione, penso proprio che mi piacerà.-

 

Toltasi la maglia, la ragazza rimase solo col reggiseno.- Credi di avere ancora energia per un altro...incontro?- 

 

- Certo.-

 

L'occhialuta rise e si tolse lentamente il reggiseno, per poi gettarlo via.- Bene, perchè ho intenzione di andarci giù pesante, stavolta.-

 

Roronoa annuì, contemplando il petto nudo della sua ragazza.- Fai del tuo peggio.-

 

Kuina Tashigi si abbassò e salì addosso a Zoro, tenendolo fermo col peso del proprio corpo.- Baciami, stupido.- gli sussurrò a pochi centimetri dal volto.

 

Zoro non potè fare altro che obbedire.

 

***

 

18 Aprile 2017

L'Emporio di Ivankov

 

- Hai chiuso tutto?-

 

- Tutto.-

 

- Allora possiamo andare.-

 

Nami, seduta al posto di guida dell'Impala, guardò Robin rientrare in macchina e chiudere la portiera. La mora si tolse il cappello appartenuto ad Howard Sauro e lo posò sul cruscotto.

 

- Mi mancherà, il negozio.- disse la giovane Nico.

 

- Guarda che non ce ne andiamo per sempre. Qualche settimana al massimo, poi saremo di nuovo qui.- le fece notare la rossa.

 

- Lo so, ma mi mancherà lo stesso.-

 

All'inizio dell'anno, Sergei Ivankov aveva sposato Sir Bentham in una cerimonia nel municipio di Loguetown (E a cui aveva partecipato anche Padre Urouge, ma solo perchè Ivankov era suo amico. La sua religione non approvava certe cose). Dopodichè, si era trasferito in Inghilterra assieme al suo sposo. Prima, però, aveva formalmente ceduto l'Emporio a Robin, in modo che la ragazza potesse continuare a lavorare nel settore che tanto amava. Ivankov aveva promesso di tornare in città di tanto in tanto, anche per eventualmente dare una mano a Robin, ma non ce n'era bisogno. La ragazza se la cavava splendidamente.

 

Nami sorrise e scosse la testa.- Fai tanto la donna di ghiaccio, ma sotto sotto sei una sentimentale, eh?-

 

- Sbaglio, o è questo che ti piace di me?-

 

- Non sbagli, anche se ci sono tante altre cose che mi piacciono di te...-

 

Dopo che Robin aveva lasciato l'ospedale, più di un anno prima, le due ragazze avevano iniziato a passare un sacco di tempo insieme. Inizialmente, la rossa aveva solo cercato di dare un sostegno morale alla sua amica, in modo che si riprendesse del tutto dal coma. Poi, con grande sorpresa da parte sua, era scoccata la proverbiale scintilla. Tra le due ragazze era sbocciato l'amore. Nami ricordava ancora la sera in cui si era dichiarata a Robin. Era stato un momento a dir poco commovente.

 

- Hmm...pensi sempre a una cosa.-

 

- Io mi riferivo ai tuoi occhi e ai tuoi capelli. Lo vedi che sei tu la pervertita?-

 

- Lasciamo perdere.- Si allacciò la cintura.- Piuttosto, ti sei ricordata dei biglietti?-

 

- Certo, per chi mi hai presa? Ce li ho nella borsa, assieme al dizionario di arabo.-

 

- A proposito, credi che dovremo indossare il velo?-

 

- Bibi mi ha detto che non sarà necessario, ma ne ho portati un paio, per sicurezza.-

 

Qualche tempo prima, la giovane Nefertari aveva annunciato a Nami il suo matrimonio con Kosa. La cerimonia era stata fissata per i primi di Maggio, ma la rossa aveva deciso di prendersi un periodo di vacanza e partire un pò prima, in modo da poter avere il tempo di visitare l'Egitto (Fortunatamente, il matrimonio della sua amica era capitato in un periodo in cui non era particolarmente impegnata con gli studi). Il loro volo sarebbe partito qualche ora dopo dall'aeroporto Brandnew di Loguetown. Avrebbero lasciato la macchina nel parcheggio, in modo che Bellemere potesse andare a riprenderla più tardi con calma (La donna avrebbe voluto accompagnarle di persona, ma un impegno imprevisto glielo aveva impedito. Non era un problema. Il parcheggio del Brandnew era ben custodito). Lovoon, invece, era rimasto con Padre Urouge.

 

- Sai, ho un pò paura...- disse Robin.

 

- Perchè?- chiese l'aspirante pediatra.

 

- Non ho mai volato, prima d'ora.-

 

- Tranquilla, non c'è niente di cui avere paura. Una volta che l'aereo sarò decollato, non ti accorgerai neanche di stare in aria.-

 

- Speriamo solo che a bordo non capiti qualche terrorista.-

 

Sopprimendo un brivido, Nami fece per mettere in moto la macchina, ma all'improvviso qualcosa le balzò in mente.- Ah, Robin...prima che ce ne andiamo, avrei qualcosa da darti.-

 

- Di che si tratta?- domandò l'antiquaria.

 

- Ti ho preso un regalo. Ecco...è per il tuo compleanno.-

 

La mora si incupì.- Nami...mi sembra di averti parlato del perchè non voglio festeggiare il mio compleanno. E poi sono passati più di due mesi.-

 

- Lo so, ma ho pensato che almeno una volta un regalo dovevo fartelo, anche se in ritardo.-

 

Robin sbuffò.- E va bene, vediamo questo regalo.-

 

La rossa si piegò in avanti e prese un oggetto da sotto il sedile, porgendolo a Robin. Quest'ultima alzò un sopracciglio. Era un libro piuttosto voluminoso, dalla rilegatura chiara, senza scritte di alcun tipo.

 

- Che cos'è?-

 

- Aprilo e vedrai.-

 

La mora aprì il libro e iniziò a sfogliarlo, scoprendo che su ogni pagina c'erano delle fotografie.

 

Fotografie che lei aveva già visto.

 

- Oh...-

 

Erano le foto di quando era piccola, dei suoi genitori insieme e del periodo trascorso a Whiskey Peak. In una di queste ultime, lei era appollaiata sulla spalla di Howard Sauro, e indossava il cappello bianco che le aveva regalato.

 

Quasi non credeva ai suoi occhi. Dopo la sua fuga da Whiskey Peak, aveva pensato che tutte le vecchie cose che aveva lasciato indietro fossero state distrutte. E invece...

 

- Come l'hai ottenuto?-

 

- Ho fatto qualche ricerca, e ho scoperto che a Whiskey Peak vive una cugina di Howard Sauro. Ho parlato con lei, e mi ha detto che, dopo la sua morte, ha conservato tutto quello che ha trovato nella casa di Howard, oltre a occuparsi della sua tomba e di quella di tua madre. Se vuoi, al ritorno dall'Egitto possiamo andare a farle visita.-

 

Quella rivelazione aveva lasciato Robin di stucco. Tutti i suoi vecchi libri, i suoi ricordi d'infanzia e le altre cose...c'erano ancora.

 

- Perchè l'hai fatto?-

 

- Te l'ho detto, volevo farti un regalo. Non sapevo cosa prenderti, e ho scavato un pò nel tuo passato. Spero che non ti dispiaccia.-

 

- No, anzi. E'...è una bellissima notizia.- Singhiozzò.- E un bellissimo regalo. Davvero, Nami, io...non so cosa dire.-

 

- Dimmi solo se ti piace.-

 

La mora annuì.- Sì. Credo che sia il regalo più bello che mi abbiano mai fatto.-

 

Nami sorrise e si protese verso Robin. La baciò a lungo sulle labbra, per poi sussurrarle in un orecchio: - Buon compleanno, Robin.-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Ed eccoci finalmente arrivati alla fine di questo mastodonte che mi ha tenuto impegnato per un anno intero! E' la storia più lunga che ho scritto finora, più di centomila parole divise in ventisei capitoli, oltre che la mia prima shipping fic.

 

Allora, per prima cosa voglio ringraziare Yellow Canadair per avermi prestato la sua Juls. Poi, ringrazio tutti coloro che hanno commentato e messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate, e anche tutti i lettori silenziosi.

 

Oltre a questo, volevo anche chiedervi alcune cose: qual'è il personaggio o la coppia che avete apprezzato di più, il vostro momento preferito e anche cosa non vi è piaciuto molto. "Eh, ma quante cose vuoi sapere!". Lo so, ma come ho già detto altre volte, questa storia per me rappresenta un esperimento, e gradirei sapere se è riuscito.

 

E adesso, uno sguardo a quello che verrà. Nei prossimi mesi non avrò molto tempo da dedicare alla scrittura, visto che dovrò dedicarmi agli ultimi esami dell'università e alla tesi, ma credo che riuscirò a trovare un pò di tempo da dedicare a un paio di oneshot a cui sto già lavorando nel tempo libero: una versione riveduta e corretta della mia precedente storia "For want of a fist" (Che ho cancellato perchè faceva letteralmente cagare), e un crossover col Trono di Spade che ho provvisoriamente intitolato "A game of pirates" (Vi anticipo che qui Brook sarà un Guardiano della Notte trasformato in non-morto dagli Estranei). Dopodichè, chissà. Le idee sono tante.

 

E detto questo, vi saluto. Grazie ancora per avermi seguito e buon anno. A presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3351020