This is not a children's story

di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Christopher ***
Capitolo 2: *** Prudence ***
Capitolo 3: *** Adelaide ***
Capitolo 4: *** Benjamin ***
Capitolo 5: *** Chris e Della – A secret between us ***



Capitolo 1
*** Christopher ***




This is not a children's story

~
 
Gli anni del primo dopoguerra furono particolarmente proficui per chi aveva ancora una grande casa, un patrimonio, una posizione rispettabile all'interno della società. C'era ancora molto da sfruttare, una risorsa invisibile che si trasformò rapidamente in una luccicante miniera d'oro: i bambini.
I bambini erano dappertutto e quelli di buona famiglia, quelli i cui padri erano morti in guerra e i cui soldi erano investiti nell'educazione nella speranza che diventassero, un giorno, abbastanza importanti da continuare il buon nome della loro stirpe, si trovavano nei collegi. In Inghilterra i collegi particolarmente apprezzati erano quelli misti: i bambini studiavano insieme per mancanza di spazio, necessario per dividere normalmente gli uomini dalle donne, e così i genitori risparmiavano sulla retta annuale. Un ottimo investimento in ogni caso, dato che le bambine col primo sangue venivano spedite in un collegio femminile per non rischiare inutilmente la reputazione del proprio.


 

Christopher

 
Settembre. Le foglie cominciavano a cadere e il cielo era spesso più grigio che azzurro. Una bambina saliva le scale di legno del collegio, riflettendo tra uno scricchiolio e l'altro. Era orario di lezione, e lei era stata mandata in biblioteca dal suo insegnante per prendere un libro mancante in aula. Al piano terra c'erano degli adulti, intenti a passeggiare parlottando di attualità, ma lei aveva appena dieci anni e il mondo esterno non rappresentava una priorità. Tornata al primo piano si voltò verso la sua aula, trovando stranamente la porta aperta: il giovane e fresco viso si accigliò incuriosito, oltrepassando la soglia con ancora il libro stretto al petto. I suoi compagni di classe chiacchieravano a bassa voce tra loro e la cattedra risultava essere momentaneamente vuota. La bambina non era sicura sul da farsi, quindi si diresse verso i primi banchi; magari avrebbe aspettato il ritorno del professore accanto alla lavagna, con il libro ben protetto fra le sue braccia. Ebbe il tempo di compiere ancora qualche passo, poi il brusio intorno a lei cessò improvvisamente. La piccola si voltò verso gli altri bambini, poi seguì il loro sguardo verso la porta da poco oltrepassata: un uomo era fermo sull'ingresso. Capelli mori, di bell'aspetto, con gli occhi scuri che guizzavano da una parte all'altra della stanza: aveva un enigmatico sorriso dipinto sul volto, qualcosa che non rassicurava i piccoli. Notata la bambina al centro dell'aula si rivolse verso di lei, dirigendosi nella sua direzione e inducendola a indietreggiare. La piccola lanciava un'occhiata dietro di sé ogni due passi, per essere sicura di non inciampare: solo il rumore delle loro scarpe era presente nella stanza e forse gli altri bambini, in quel momento, trattenevano anche il respiro. Un unico rumore interruppe il loro cammino verso il nulla, un rumore di passi estranei e concitati verso la porta che si bloccarono sulla soglia, fermando il tempo intorno a loro. Il giovane uomo si voltò, la giacca scura seguì il suo tragitto: le mani si alzarono lentamente e una bassa risata fece capolino sulle sue labbra. Lentamente, con le scarpe lucide che procedevano verso di loro, un militare inglese lo fissava con sguardo preoccupato. «Lei non è autorizzato a stare qui» comunicò all'uomo con voce ferma e non troppo alta. Sembravano coetanei e il nuovo arrivato, dai capelli di un attraente biondo scuro e con una pulita e ordinata divisa della Marina Militare, infondeva un certo mistico senso d'ansia e rispetto nei bambini presenti. «Non trovi che i bambini siano carini?» domandò improvvisamente il bruno, inclinando incuriosito il capo verso sinistra. Non distolse comunque lo sguardo dal militare, il quale continuava ad avvicinarsi lentamente. «Lei non è autorizzato a stare in questo istituto. Esca immediatamente» ripeté il militare con la stessa voce pacata e allo stesso tempo, in qualche modo, tesa. Ormai distavano l'uno dall'altro poco più di un metro e l'uomo, con un nuovo e consapevole sorriso sulle labbra distese, cominciò a indietreggiare a sua volta. La bambina seguì il suo esempio: lo sguardo era fisso sul retro della giacca scura davanti a sé, e le braccia stringevano con forza il libro al petto. «Non mi costringa a trascinarla fuori. Ci sono dei bambini in questa stanza. Esca fuori, civile, e non le verrà fatto alcun male» insistette con voce meno gentile; venne presto interrotto da una bassa risata da parte dell'altro.
Il militare aggrottò la fronte, non riuscendo a capire; l'altro uomo si limitò ad abbassare il capo, scuotendolo in segno di diniego, e portò la mano destra alla cintola da cui estrasse, nascosta finora dalla fidata giacca, una pistola. Qualche bambino inspirò rumorosamente, spaventato, e una bambina in fondo all'aula si lasciò andare a un pianto soffocato; nessuno di loro era intenzionato a fare rumore e gli occhi dell'uomo tornarono, divertiti, a fissare il militare. «Ma sono così carini. Come potrei fare del male a un bambino?» domandò in tono retorico. Fece un altro passo indietro, il militare uno avanti: l'uomo alzò la pistola e l'altro alzò le mani nella sua direzione, come per calmarlo. Uno fa un passo verso sinistra e l'altro verso destra, in un valzer spaventoso dall'odore di morte. La bambina aveva già le spalle contro gli scaffali della libreria, stringeva il libro contro il petto e l'espressione terrorizzata le disegnava in volto degli occhi enormi e lucidi: nessuno vi fece caso. Il militare era ancora più vicino, l'uomo aveva ancora la pistola alta verso di lui. «Parliamone fuori», lo invitò il militare. La voce era accorata e nessuno capiva il perché; l'uomo ridacchiava ancora, qualche bambino pensò che fosse pazzo. Un altro passo avanti, nessuno indietro: la canna della pistola si poggiò contro la divisa fresca di bucato del militare. Lo sguardo dei due uomini era fisso negli occhi l'uno dell'altro: quello con le spalle perfettamente dritte e l'altro con il dito sulla leva di scatto. «Non puoi spararmi» sussurrò il militare. «Non voglio, Chris» rispose l'uomo senza smettere di sorridere. Il militare alzò il mento e l'altro sorrise con più convinzione.
La bambina accanto alla libreria urlò, lasciando cadere il libro che incontrò terra con un tonfo. La pistola venne ritratta dal petto gonfio d'orgoglio e portata indietro, verso le labbra schiuse in un ultimo saluto. «No!» urlò il militare perdendo improvvisamente la calma: le braccia scattarono verso la pistola, verso le mani che la tenevano stretta e cercarono di riportarle verso il basso, verso il soffitto, da qualche parte dove non avrebbero seminato morte. Qualche bambino s'infilò frettolosamente sotto il banco, la bambina accanto alla libreria strinse il viso tra le mani per nascondersi dal suono dello sparo, che però sembrava non arrivare mai. I due lottarono continuando quel valzer iniziato solo qualche minuto prima: le braccia distese che s'inseguivano per il possesso dell'arma, i corpi che si sfioravano, i visi sudati contratti. Le dita che s'intrecciavano.
«Eppure lo so che ti piace» mormorò l'uomo mentre il militare gli strappava finalmente la pistola dalle dita arrossate. I loro occhi non avevano mai smesso di cercarsi. «Jim!» esclamò il militare, spinto d'un tratto all'indietro: l'altro uomo, i cui occhi erano corsi alla porta, aveva dato un colpo secco al petto dell'altro con le mani libere. Gettato via così, con l'arma sudata tra le mani, Chris vide il suo accompagnatore di valzer improvvisato allontanarsi di un metro: e proprio a un metro dal viso di Christopher, senza preavviso, volò un seme d'acciaio. Sul petto di Jim comparve un fiore scarlatto, al di sotto della giacca scura come i suoi capelli: la bambina ormai era in ginocchio, singhiozzante dalla paura, e i bambini urlavano in preda al panico. Nella stanza erano entrati due gendarmi, uno dei due con la pistola fumante ancora in mano. Si avvicinarono al militare. «Grazie per avergli tenuto testa in attesa del nostro arrivo, luogotenente» si espresse uno dei gendarmi. Entrambi si preparavano a portar via l'uomo morto: il militare, ancora nel suo bozzolo di divisa, ingoiava le lacrime che gli risalivano agli occhi. Fece un segno di saluto formale, voltandosi verso la porta intenzionato a svanire. Venne bloccato dopo un solo passo: l'anziana e severa preside lo fissava dal suo metro e sessanta di ricchezza. «Grazie per avere garantito la sicurezza degli studenti, luogotenente...?» lo invitò a presentarsi nuovamente; così tanta gente entrava e usciva e non tutti erano degni di memoria. «Bailey. Christopher Bailey» comunicò lui con tono e sguardo serio, seppur perso nel vuoto. La donna annuì. «Luogotenente Bailey, non mancherò di scrivere una lettera di formali ringraziamenti a nome dell'istituto» concluse. Chris salutò nuovamente, congedandosi; la bambina, ancora a terra, era infine svenuta.


 


 


 
Attenzione!
Nomi, luoghi e fatti narrati sono totalmente frutto della fantasia dell'autore. Riferimenti a persone, luoghi o eventi realmente accaduti è puramente casuale.



 

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Capitolo 2
*** Prudence ***


 
This is not a children's story

~

 
 
Quella sera li portarono a dormire in giardino, in un angolo remoto di quel posto verde e sconfinato che circondava l'istituto. Non chiacchieravano mentre i loro scarponi per l'aria aperta solcavano l'erba umida della sera, gli occhi fissi sulle caviglie del bambino davanti. Camminarono per almeno un quarto d'ora, raccogliendosi poi intorno all'insegnante vestita elegantemente così in contrasto con le loro camicie da notte.


 
Prudence

 
La bambina stringeva fra le mani la sua coperta. A terra erano presenti delle coperte adornate da bianche lenzuola che le ricordavano, in qualche modo, la tipica neve da inverno inoltrato. I capelli castani le piovevano sulle spalle, i grandi occhi infantili osservavano quelli della sua insegnante nonché coordinatrice. Aspettavano tutti che la donna parlasse, un bambino ai piedi di ogni coperta e solo i grilli a fare da padroni nel silenzio notturno.
«Sedetevi» ordinò la donna in tono serio; tutti obbedirono rapidamente, i bambini a gambe incrociate e le bambine, docili, con le gambette poggiate lateralmente come a cavallo. «Quello di stanotte non sarà un campeggio e questa non è una “storia per bambini”, ma è necessario che ascoltiate. I vostri genitori sono stati tutti informati» annunciò mentre gli occhi, implacabili, scorrevano in quelli attenti della sua giovane platea. La donna annuiva fra sé. «Voglio presentarvi una persona. Mister Newman, venga avanti» invitò accanto a sé qualcuno nascosto nell'oscurità; dopo un attimo un uomo sembrò comparire dal nulla, fino a quel momento passato inosservato. Vestito anche lui in maniera distinta, dall'espressione seria e con dorati occhialetti pinzati sul naso, molti dei bambini trovarono spaventoso il suo portamento; qualcun altro invece lo registrò a malapena, più interessato a quello che Mr. Newman portava con sé.
«Lei è la signorina Prudence Charmaine Anne
 Cavendish» presentò schiarendosi la voce e portando, infine, la presenza di qualcun altro alla loro attenzione. Mr. Newman stringeva tra le mani le impugnature di una sedia a rotelle, su cui si trovava seduta una giovane figura abbigliata a lutto. Qualche mormorio nacque tra i bambini più grandi nel sentire il nome della nuova arrivata: era impossibile non conoscere, in quegli anni, l'influenza della Casata dei Cavendish in qualunque punto dell'Inghilterra. «Lady Cavendish è arrivata fin qui direttamente da Derby» s'intromise, puntigliosa, l'insegnante. Il silenzio venne ristabilito facilmente.
«Lady Cavendish, ultima figlia di Sua Grazia Lord Victor Cavendish, nono Duca di Devonshire» introdusse Mr. Newman. Un fremito di agitazione scosse nuovamente i bambini. «Desidera ch'io riassuma brevemente la sua storia, e così sarà fatto. Lady Cavendish è stata inviata in Canada, nel Québec, dove ha passato i quattro anni del conflitto in attesa della fine per il ritorno in patria. Circa due anni fa è stata predisposta una nave per riportarla in Inghilterra, ma non lontano dalla costa del porto la nave fu affondata da un u-boot tedesco» narrò senza che la Lady muovesse un muscolo; qualche bambino trattenne il fiato, spaventato. Passò qualche secondo ancora in cui il silenzio faceva da padrone, poi la ragazzina si voltò verso Mr. Newman il quale, obbediente, si chinò verso di lei. Gli venne sussurrato qualcosa all'orecchio; l'uomo annuì, tornando in posizione eretta. Si schiarì la voce. «Lady Cavendish desidera mostrarvi una cosa» informò i presenti. La ragazzina, abbigliata con un elegante vestito di pizzo nero, alzò lentamente la veletta scura che le copriva pudicamente il viso. Lunghi capelli biondi le contornavano le guance smunte, la pelle oltremodo candida donava un vago senso d'inquietudine a chiunque la guardasse. Gli occhi erano chiusi, tenuti bassi come il resto del capo; il bambino con la vista più acuta necessitò comunque di qualche secondo per capire cosa fosse a stonare così tanto.
Una ciocca mancava.
Questo era il ragionamento più sensato formulato nei minuti immediatamente successivi alla vista del viso della Lady. Il tempo sembrava essersi fermato intorno a quella visita nobiliare così estranea alla loro realtà: anche i grilli sono rimasti in ascolto. L'oscurità quasi totale, al di fuori delle finestre ancora illuminate dell'istituto non lontano e delle stelle, tremendi e luccicanti fuochi sorvegliati dalla Luna silenziosa, abbracciava tutti loro come un manto di bizzarria. Lady Cavendish alzò il volto aprendo i suoi luminosi occhi azzurri sui coetanei di rango inferiore; a qualcuno sfuggì un breve e sconsiderato lamento.

«Lady Cavendish non è riuscita a trarsi in salvo. È stata posta su di una scialuppa di salvataggio ma è affondata anch'essa. I soccorsi sono rapidamente intervenuti, ma sono passate molte ore da quando il suo corpo si è immerso inizialmente in acqua e i pesci, affamati, hanno tentato di cibarsene» continuò a narrare Mr. Newman senza la minima inflessione nella voce. Il volto della bambina dai capelli dorati era colmo di cicatrici, esplose come piccoli fiori malsani sulle gote e la pallida fronte. Mezzo labbro inferiore era tagliato via, un sopracciglio non aveva dolce termine ed era bruscamente interrotto su di una palpebra. L'occhio destro, senza vita, era chiaramente di vetro; qualcuno, non sostenendo quel terribile sguardo, distolse il proprio.
La veletta tornò verso il basso. «È stata ricoverata d'urgenza e salvata nonostante i polmoni pregni d'acqua. Sanguinava copiosamente e suo padre, Sua Grazia Lord Victor Cavendish, Duca di Devonshire, non ha potuto essere presente. Lady Cavendish in persona ha scelto di venire in questo istituto, lontano da quelli prestigiosi in cui ci si sarebbe aspettata la momentanea accoglienza, per evitare gli sguardi indiscreti della nobiltà sua pari. Ora siete coscienti della situazione» si congedò con l'ammonizione che tutti aspettavano. Nessuno fiatò se non per salutare dignitosamente Mr. Newman quando l'insegnante lo richiese; Lady Cavendish venne quindi portata all'interno dell'istituto mentre i bambini, relegati al soffitto stellato per quella notte, non riuscirono a parlare di quanto appena udito. Ognuno di loro, in cuor proprio, sentì il peso di quella novità nelle loro giornate; la figlia mutilata, l'ultima figlia del Duca di Devonshire era lì tra loro, quando fino a quel momento c'erano stati appena qualche visconte e baronetto di poca importanza. La ricchezza non era sinonimo di nobiltà, e la nobiltà aveva ancora molto peso nella loro società.
Per tutti fu un'altra notte insonne in appena una settimana, fra uomini morti e nobili a lutto. Nessuno chiuse occhio, se non per brevi incubi agitati.

 


 


 
Attenzione!
Nomi, luoghi e fatti narrati sono totalmente frutto della fantasia dell'autore. Riferimenti a persone, luoghi o eventi realmente accaduti è puramente casuale.
 

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Capitolo 3
*** Adelaide ***


This is not a children's story

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La ragazzina aveva grandi orbite vuote, nere come la notte dietro di sé. La pelle diafana si allungava al di sotto delle labbra quasi invisibili, distrutte ai lati dalla forma che cercano di assumere. La bocca si allungava, si allungava a dismisura verso il basso in un effetto ottico prodotto dall'acqua nera che eruttava dalla sua gola. Il fluido scuro scorreva denso lungo il mento della giovane, sul corpo nudo e rattrappito. Si spostò con un passo in avanti, poi un altro e un altro ancora; dal petto scheletrico sorgeva un suono basso e disturbante, come un gorgoglio crescente d'intensità attimo dopo attimo...

 
Adelaide

 
Un urlo soffocato disturbò appena il sonno delle figure addormentate. Le piccole mani erano strette sulla parte inferiore del viso, a fermare lo spavento notturno che avrebbe risvegliato mezzo istituto. Appena le immagini dell'incubo tornarono alla mente della bambina, eccola che tremante si esaminava il volto e le braccia: era lei, era sana, non vomitava pece e vedeva ancora nonostante l'oscurità.
«Della?»
Venne chiamata in un sussurro insicuro. La bambina si voltò verso destra: una sua compagna la osservava assonnata, il busto semialzato dal cuscino e un braccio ancora sotto le lenzuola candide. Adelaide cercò di sorriderle. «Torna a dormire, May» la invitò in un mormorio. L'altra restò in silenzio per un minuto, poi tornò a parlare. Sembrava più sveglia di lei. «Hai ancora incubi?» le domandò con preoccupazione; Adelaide tentennò, poi annuì. Un dito sottile andò alla guancia destra, dove un ciuffo di capelli neri venne spostato dietro all'orecchio. Restò in silenzio mentre Margaret la scrutava con sguardo sospettoso.
Che giornate disastrose si stavano susseguendo nelle ultime settimane! Prima aveva rischiato di essere sparata nel conflitto tra il luogotenente Bailey e quel folle uomo sconosciuto, poi l'incontro con Lady Cavendish. Il ricordo della ragazzina le provocò un brivido, e quando Margaret le sfiorò la mano trasalì dalla paura. «Shh, era un sogno» le ricordò l'amica. La lunga treccia le ricadeva su una spalla; era molto bella per essere non molto ricca. Adelaide ricambiò il sorriso che le veniva rivolto. «Ti tengo la mano finché non ti addormenti, va bene?» le propose dopo un momento. La bambina, ancora spaventata, annuì dolcemente.


Dopo la morte di sua madre, il restante genitore della giovane Adelaide aveva ben pensato di metterla in quell'istituto per darle un'educazione degna di  questo nome. Suo padre era un barone, così come lo era stato suo padre prima di lui; il nonno di Adelaide e morto da molto tempo e la bambina non aveva avuto tempo di conoscerlo, ma non si era mai posta molte domande sulle sue origini. Suo padre aveva però sfruttato le sue conoscenze per avere un controllo più diretto su di lei: non fidandosi totalmente di quel luogo sconosciuto, aveva chiesto aiuto a un suo caro amico per tenerla d'occhio. L'amico, con una posizione e dotato di una forte morale, aveva accettato di buon grado e anche Adelaide non era dispiaciuta dalla situazione. L'uomo in questione le era sempre piaciuto, anche se solo osservato da lontano, e dopo la morte di sua madre era stato la persona più vicina a suo padre; quando nei giorni precedenti era in difficoltà la bambina si era ritrovata bloccata dalla paura, e il non averlo più incontrato per l'istituto la tormentava. Christopher le aveva salvato la vita e lei non era riuscita neanche a ringraziarlo!
Si voltò scalciante su un fianco, lasciando andare la mano dell'amica addormentata. I pensieri continuavano a tormentarla per qualche minuto: rivide Christopher lottare con quello sconosciuto, il libro caderle di mano e immaginò di nuovo la bambina sul fondo dell'oceano. La bambina veniva sparata e cominciava a perdere pece dal foro in petto, Christopher non aveva più gli occhi e la inseguiva per le scale dell'istituto...
Poi il vuoto.

 


 


 
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Capitolo 4
*** Benjamin ***


This is not a children's story

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Ogni notte era uguale, in quell'istituto costruito già vecchio agli occhi dei piccoli ospiti. Adelaide e Margareth riposavano fra gli altri bambini. I dormitori erano composti da stanze di sedici letti, otto contro la parete est e otto contro la parete ovest. C'era un solo bagno e Adelaide, svegliandosi, notò la porta socchiusa. Effettivamente le scappava la pipì: si alzò piano limitando il rumore al solo fruscio del lenzuolo. Scese a piedi scalzi, saltellando in punta di piedi verso il bagno e gettando sporadiche occhiate ai bambini addormentati. Eddy, Charlie, Cornelia, Ben... Ben? 
La ragazzina si fermò davanti al letto vuoto di Benjamin con espressione confusa.


 
Benjamin

 
Il bagno non era chiuso, rifletté, e la luce era spenta; quindi non poteva essersi nascosto lì. «Ben?...» titubante, sussurrò comunque il nome del compagno mentre si dirigeva verso il bagno in punta di piedi. Poggiò quindi la mano gelida sul legno della porta, la quale reagì con un appena percettibile scricchiolio. «Ben, se questo è uno scherzo io... Non... Non mi piace» balbettò in un mormorio. Uno «Shh!» dagli ultimi letti la zittì e Adelaide, fattasi coraggio, trattenne il respiro per poi infilare la mancina nel bagno oscuro. Afferrò subito il cavo pendente dal muro e lo tirò verso il basso, illuminando così un bagno vuoto. La bambina era confusa e cominciava a sentire freddo a piedi nudi e senza il suo lenzuolo. Con la mancina spense la luce –ormai non aveva più voglia di orinare– mentre con la destra si tirava un ciuffo di capelli, sovrappensiero. Nessuno di loro aveva il permesso di uscire dai dormitori dopo lo spegnimento delle luci; Adelaide cominciò a mordicchiarsi le unghie della mano libera, ferma appena fuori dal bagno con la porta socchiusa, riflettendo sul da farsi. Immaginò di dover avvisare l'istitutrice della mancanza di Ben, ma poi lo avrebbe messo nei guai. Benjamin era tra gli studenti meno ricchi dell'Istituto e la sua famiglia non possedeva alcun titolo; non aveva mai nemmeno sentito il suo cognome. Se lo avessero scoperto fuori dal dormitorio, nel cuore della notte...!

«May!» 
«Mh...»
«May, svegliati!»
«...che ore sono?»
«Sssh! Abbassa la voce!»
Margaret finalmente aprì gli occhi e individuò l'artefice di quei sussurri con un sospiro. «Della, è ancora notte. Mi dici cosa...» provò a chiederle a bassa voce, ma venne zittita di nuovo con un perentorio indice posizionato lungo il naso. Margaret rimase in silenzio e seguì con lo sguardo il segn di Adelaide, che con un cenno del capo le indicò il letto vuoto di Benjamin. La reazione era ovvia. «Dov'è Ben?» chiese la bambina in un sussurro; gli occhi fecero per andare verso il bagno, ma Adelaide scosse la testa. «Non c'è» rispose sedendosi sul letto dell'amica. Si guardarono a lungo negli occhi; non comunicarono nulla con l'uso della voce, ma dopo un paio di minuti sospirarono all'unisono e si alzano insieme. «Andiamo» mormorò Adelaide. «Non facciamoci beccare, però» ricambiò Margaret afferrandole la mano. Entrambe in abiti da notte, di un terribile giallo paglia che le faceva risaltare nell'oscurità, aprirono la porta del dormitorio con una cautela infinita. Si fermavano a ogni scricchiolio e aspettavano di non udire null'altro per ricominciare a muovere la porta, millimetro dopo millimetro, finché non ci fu abbastanza spazio per passarci appena lateralmente. «Abbiamo sprecato tipo mezz'ora» borbottò Adelaide appena fuori dal dormitorio. I loro passi, per quanto cauti, emettevano ogni tanto qualche rumore inducendole a fermarsi. La loro prima idea fu quella di dirigersi in mensa: nessuna delle due aveva espresso questo pensiero ad alta voce, ma entrambe si diressero lì in modo quasi automatico. Sembrò passare un'infinità di tempo nel loro camminare piano, quasi senza respirare, con l'orecchio teso al minimo rumore e con il cuore a mille per paura che l'istitutrice o qualcuno della servitù potesse aprire una porta e vederle in qualunque momento, ma alla fine arrivarono alle scale. «Fa' piano» le ricordò Adelaide e Margaret annuì, mettendo il piede destro sul primo gradino. In fondo era buio e la bambina ne era spaventata; quando dopo un attimo Adelaide le si allontanò fu quasi tentata dal lanciare un urlo. Deglutì guardando l'amica allontanarsi verso un'aula, poi gettò un'altra occhiata verso il fondo delle scale: nero come la pece. In preda al panico corse dall'amica, non badando al rumore causato dai suoi passi: Adelaide si voltò verso di lei con un'espressione ai limiti della rabbia. Si portò un dito alla tempia: "sei fuori di testa?!" le mimò con la bocca. Margaret si fermò con gli occhi lucidi. "Ho sentito qualcosa" continuò a mimare con gesti e movimenti delle labbra. Margaret inspirò profondamente, calmandosi, poi annuì. Si avvicinò a passi lenti alla porta, cercando di fare il minor rumore possibile mentre Adelaide tratteneva il fiato e si abbassava in avanti, andando a scrutare nel buco della serratura. La serratura era fortunatamente vuota e una candela era accesa su uno dei banchi.
"Cosa c'è?!" mimò verso Margaret; L'amica le aveva toccato la spalla per sapere delle ultime novità, ma l'espressione infastidita di Adelaide sembrò bastarle: si limitò a poggiare l'orecchio contro il legno della porta.

«No, la prego...» si udì provenire dall'interno dell'aula. Entrambe le bambine si accigliarono. "Ben?” formulò con le labbra Margaret, e Adelaide annuì prima di tornare a spiare dal buco della serratura. Le ombre proiettate sul muro erano spaventose: la luce gialla della candela allungava ogni cosa in modo mostruoso. Le ci volle un po' per capire a chi appartenessero quelle ombre in più: sembrava essere un grosso animale, qualcosa di non umano.  Era troppo alto per essere Ben ma la voce era la sua... Cosa stava accadendo?
«Per favore... B-Basta...» arrivò a loro una bassa voce rotta da qualcosa. "Sì, è Ben" confermò Margaret in quel modo silenzioso dopo averle picchiettato una spalla. Adelaide si concentrò di più. Perché non riusciva a vederlo? 
Qualcosa si spostò dal suo campo visivo e un'ombra salì verso il muro, rendendo visibile l'oggetto poggiato sul banco nella sua visuale, seppur molto lontano. Non era un oggetto: è un bambino. Un bambino seduto sul banco... Forse Ben? Ma perché sarebbe dovuto essere lì? 
Schiacciò con più forza l'occhio contro la serratura, come se questo potesse migliorare la sua visuale. Il capo del bambino sparì dietro un'altra figura, una figura forse umana: probabilmente di una donna. Aveva la gonna lunga e... Il bambino si stava stendendo sul banco, mostrando il viso alla bambina nascosta. "Sì, è Ben!" mimò a Margaret tirandole le vesti. Poi tornò a guardare: non era da solo, ma non riusciva a capire cosa...
Adelaide emise un gemito. Era un verso di angoscia lungo e profondo, come una sirena, che spaventò Margaret e chiunque fosse dietro quella porta. Dall'interno dell'aula si sentì parlare a bassa voce, principalmente una voce femminile, poi la candela venne rapidamente spenta. Margaret inorridì: la serratura era tornata buia e probabilmente Ben e chiunque altro fosse lì dentro stavano per uscire. Adelaide era bianca in volto, l'avambraccio destro era tenuto contro lo stomaco e la mano sinistra pigiata con forza sulle labbra spalancate. Margaret non poté far altro che trascinarla con sé verso il dormitorio, ignorando qualunque cosa stesse accadendo alle loro spalle. Margaret si costrinse a essere coraggiosa, infilando la sua amica a letto prima di imitarla a sua volta. Quando Benjamin finalmente rientrò, Margaret si era già addormentata in un lieve russare. La piccola Adelaide invece era ancora intenta a fissare il soffitto e a rivivere quella pellicola nella sua mente, le spiacevoli fotografie di un atto proibito: le nudità di Ben, la gonna alzata dell'insegnante, la preghiera sussurrata, la Lussuria che s'insinuava nelle loro giovani menti. Qualcuno ha sbagliato, pensò. Qualcuno ha sbagliato... Ma chi?

 


 


 
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Capitolo 5
*** Chris e Della – A secret between us ***


This is not a children's story

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Non riusciva più a riposare da quel giorno. Margareth aveva continuato a chiederle cosa fosse accaduto, e Adelaide aveva continuato a ignorare l'amica. Non aveva ancora rivolto la parola a Benjamin e Margareth, ancora all'oscuro di tutto, aveva deciso di comportarsi normalmente con il bambino –senza far parola su quella notte in particolare. Adelaide intanto parlava poco, mangiava poco, non dormiva affatto e gli occhi guizzavano febbrili nei corridoi, alla ricerca di qualcuno. Alla ricerca di un protettore.

 
Chris e Della
"A secret between us"


 
Non che in realtà avesse mai parlato con Christopher. Suo padre l'aveva avvisata riguardo la sua esistenza, l'aveva visto entrare qualche volta nello studio per chiacchierare di cose da adulti e un giorno, poco prima di partire per l'istituto, l'uomo le aveva rivolto un cenno del capo accompagnato da un sorriso gentile. Nonostante la poca confidenza, dopo l'incidente con Ben il suo unico pensiero fu quello di parlare con il militare. Seguiva le lezioni con molta poca voglia, quasi disattenzione, e passava continuamente nel grande atrio dell'istituto nella speranza di vederlo. Trascorsero tre giorni interi prima che riuscisse a intercettarlo, all'uscita della presidenza.
«Signore» azzardò alle sue spalle; Christopher si voltò a guardarla incuriosito, vagamente perplesso. «Salve Adelaide. Cosa posso fare per te? Vuoi che porti un messaggio a tuo padre?» le chiese gentilmente; il suo non era un rapporto di lavoro, né era una collaborazione ufficiale. La bambina scosse il capo e l'uomo, lievemente perplesso, rimase in attesa di una spiegazione. L'espressione preoccupata della giovane lo indusse ad accigliarsi, e quando lei gettò un'occhiata preoccupata alle sue spalle Christopher si chinò su di un ginocchio. «Vuoi che andiamo a parlare da qualche altra parte?» chiese a bassa voce. Adelaide annuì con forza, come letta nel pensiero; negli occhi grandi della bambina c'era paura e confusione, due sentimenti che il militare aveva imparato a riconoscere nel corso del tempo nonostante la sua giovane età.
 
Non c'era nessun luogo in cui potessero restare veramente da soli, ma a quell'ora del mattino la sala della musica era vuota e non ci sarebbero state lezioni di piano fino al primo pomeriggio. Christopher non lo sapeva ma Adelaide sì, e fu proprio la bambina a condurlo lì –aspettando che fosse l'adulto ad aprire la pesante porta di legno, per essere sicura di non trovare nessuna insegnante pronta a bacchettarla per aver bighellonato. Il militare lasciò che la piccola studentessa sguisciasse per prima all'interno dell'aula, poi la seguì richiudendo la porta dietro di sé. Si fermò con la schiena al battente di legno, le mani dietro alla schiena e gli occhi chiari fissi in quelli scuri della bambina. Strinse le labbra, aspettando che dalle altre uscisse qualche suono; notò la difficoltà dell'altra nell'aprirsi a un totale estraneo su di una questione evidentemente delicata, così si decise a fare il primo passo. «Qualcuno ti ha fatto del male?» chiese con il tono più gentile che gli era possibile, nonostante la preoccupazione. Adelaide si affrettò a scuotere la testa e Christopher aggiustò il tiro. «Qualcuno ha fatto del male a qualche altra bambina?» riprovò; si aspetta di ricevere una risposta affermativa, ma l'altra esitò prima di scuotere nuovamente il capo. Il militare socchiuse gli occhi, assottigliandoli con sospetto. Gli ci volle un attimo. «Qualcuno ha fatto del male a... Qualche bambino?» modificò lievemente la domanda e questa volta il mento della bambina si mosse in verticale. L'uomo sospirò, voltandosi verso una delle grandi finestre presenti nella sala; affacciava sul giardino antistante l'istituto. «Un adulto?» intuì, e il gesto affermativo venne colto con la coda dell'occhio. La bambina non voleva dirgli alcunché spontaneamente, ma ormai si era abituato a quel gioco del silenzio. «Un adulto esterno?» aggiunse subito, e l'altra sgranò di nuovo gli occhi. Schiuse le labbra, poi le richiuse e si strinse nelle spalle. Christopher tornò a osservarla, poi annuì a sua volta e infine si lasciò andare a un sorriso di rassicurazione. Aprì lievemente la porta alle sue spalle. «Credo tu debba affrettarti in mensa. Non preoccuparti, sistemerò la situazione. Tieniti lontana dai guai, per favore. Tuo padre non me lo perdonerebbe mai» provò a scherzarci su, ma la bambina non sorrise. Annuì, mormorò un «grazie» alquanto rauco e sparì attraverso lo spiraglio verso il corridoio, la testa pudicamente abbassata e le gote rosse, custodi di un timore più grande di lei.


 


 
Attenzione!
Nomi, luoghi e fatti narrati sono totalmente frutto della fantasia dell'autore. Riferimenti a persone, luoghi o eventi realmente accaduti è puramente casuale.


 

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