Figli del Nord: Corvo

di Ormhaxan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Prologo ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***
Capitolo 5: *** 05. ***
Capitolo 6: *** 06. ***
Capitolo 7: *** 07. ***
Capitolo 8: *** 08. ***
Capitolo 9: *** 09. ***



Capitolo 1
*** 01. Prologo ***


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Disclaimer: La storia che state per leggere è di proprietà della rispettiva autrice, non vuole avere alcuno scopo di lucro, e si ispira a fatti storicamente accertati e parzialmente alle seguenti saghe nordiche: The Tale of Ragnar’s Sons, © Peter Tunstall, 2005; Ragnars Saga Loðbrokar, tradottuzione di © Chris Van Dyke.
 






Hrafnhildr1 giunse al mutare della marea. Erano stati i sogni e le rune a condurla fin là, sulle sponde del mare di Fyn, isola danese situata a Ovest della Sjælland, territorio, quest'ultimo, un tempo sotto il dominio del leggendario guerriero vichingo Ragnar Loðbrók2 e ora comandato dal minore dei suoi figli, Sigurd Occhio-di-Serpente.  
La stagione del nóttleysi3 era finalmente giunta; l’inverno inclemente, in cui le messi raccolte durante l’estate erano state insufficienti e molti animali erano morti di stenti, era alle spalle e sulla riva del mare il popolo di Odense, Santuario di Odino4, si era riunito per celebrare il blót in onore degli déi e dei Liósálfar, gli elfi della luce.5   

Scese dallo knarr, una delle tante piccole imbarcazioni mercantili norrene appena giunta nell’isola danese, aiutata da uno degli uomini a bordo e, quando i suoi piedi nudi toccarono il bagnasciuga increspato dalle placide onde dai colori del  tramonto, un brivido le corse lungo tutta la sua schiena e si espanse sulla pelle diafana.         
Hrafnhildr non era mai stata sull’isola di Fyn, mai prima aveva lasciato il regno dello Jutland in cui era nata e crescita, eppure una parte di lei sapeva di essere nel posto giusto, in un luogo che le sembrò immediatamente familiare: per tantissime notti aveva sognato quel momento, quella spiaggia e i fuochi delle alte pire che si rispecchiavano nel cielo dalle tinte calde; per tantissime notti aveva udito il vociare sommesso della popolazione e quello dei canti in onore di Thor e Odino e ora che anche i suoi occhi color dell’onice potevano ammirare suddette immagini ebbe la certezza che ben presto il suo destino si sarebbe intrecciato indissolubilmente con quelli del sovrano di quelle terre e dei suoi uomini.
Si mosse silenziosamente tra la gente, catturando, suo malgrado, gli sguardi circospetti di coloro che incrociavano il suo cammino e che venivano incuriositi dal suo inusuale aspetto: sui suoi lunghi capelli, intrecciati in piccole ciocche con sottili  strisce di cuoio, erano appuntati svariati oggetti colorati, piccole pietre preziose e non, ossi di animali che lei stessa aveva sacrificato e altri ornamenti che, cozzando tra loro, provocavano una inusuale musica; indosso portava solo una semplice tunica dai colori neutri lunga fino quasi alle caviglie e un ampio mantello di lana tinteggiato di una tonalità di azzurro scuro e chiuso con una spilla d’argento all’altezza del petto che, come la tunica, lasciava intravedere le clavicole pronunciate e parte delle rune che erano incise sul suo corpo. Attorno ai morbidi fianchi era legata una cintola di cuoio, dalla quale pendevano un’ascia da guerra e un sacchetto color porpora contenente ventiquattro rune che, insieme, costituivano ciò che la società norrena chiamava Elder Fuþark: il Fuþark Antico, la più antica forma di alfabeto runico.     
Lievi sussurri iniziarono a levarsi alle sue spalle, parole appena pronunciate che si interrogavano sull’identità di quella misteriosa ragazza, sulle sue intenzioni e sulle sue origini, ma Hrafnhildr non se ne curò, proseguendo con atteggiamento fiero verso l’uomo a cui era decisa a donare la sua spada, le sue profezie e i suoi servigi.      


Guthrum il Danese, questo il suo nome, era il signore dell’isola di quelle terre6, un condottiero spietato dall’aria tetra e minacciosa; si diceva che non sorridesse mai, che fosse incapace di mostrare affetto persino al suo stesso sangue, e che in battaglia avesse pochi rivali.     
Bardi cantavano le sue gesta e quelle dei suoi uomini, dei vichinghi dagli scudi neri che razziavano ogni villaggio nemico, rubandone il tesoro e trucidandone gli abitanti indifesi; canzoni erano state scritte su di lui, sul norreno dalla chioma corvina in cerca di onore e gloria, la stessa gloria legata ai figli del Nord che i presagi avevano annunciano a Hrafnhildr.          
Quando si incontrarono per la prima volta, Guthrum stava sacrificando un meraviglioso stallone purosangue, suo dono a Odino e agli spiriti che, si diceva, abitassero le foreste dell’isola: non si accorse subito della presenza di Hrafnhildr, dei suoi occhi neri contornati da un trucco altrettanto scuro che le conferiva un aspetto sacrale e minaccioso; solo quando il rito fu portato a termine e ad ognuno dei presenti fu concesso un Sumbel,  bevuta sacra a base di idromele consacrato agli dei, la giovane norrena si avvicinò al condottiero e catturò la sua attenzione.  

“E tu chi saresti, ragazzina? – esordì con un ghigno provocatore il vichingo quando se la ritrovò poco distante da lui – Non sarai mica l’ennesima gyðja7 giunta per celebrare l’arrivo della nuova stagione?”     
Guthrum l’osservò attentamente: aveva fianchi larghi, seni morbidi e un atteggiamento tipico di una moglie di lancia; era una ragazza singolare, una di quelle che difficilmente avevano incrociato il suo cammino e stranamente questo lo incuriosiva.   
Notò le sue braccia adornate con una manciata di bracciali torque in argento, sulle quali estremità erano state forgiate, sempre in argento, delle teste di animali cari agli dèi: Guthrum sapeva ciò che quei bracciali simboleggiavano, lui stesso ne sfoggiava molti come monito per i suoi nemici, emblema del suo coraggio in battaglia e delle vite che aveva stroncato. La giovane che aveva davanti non era soltanto una sacerdotessa, una Veggente, ma anche una moglie di lancia, una skjaldmær e furono proprio le parole che pronunciò subito dopo a confermarlo:           
“Sono una sacerdotessa di Freyja, dea della fertilità e della profezia. – rispose algida – Sono anche una skjaldmær, una donna guerriera, e sono qui per offrirvi i miei servigi.”          
“E perché mai dovrei accettare i tuoi servigi, Sacerdotessa?”   
Qualcosa gli diceva di stare in guardia, che quella straniera era pericolosa, portatrice di sciagure e di notizie nefaste: ancora una volta si chiese da dove venisse, da quale strano antro nelle profondità della terra fosse stata partorita e cosa l’avesse spinta a cercarlo.                   
“Perché è stato Odino a spingermi a lasciare la mia terra natia, lo Jutland, e mettermi sul vostro cammino; è stato lui a concedermi il dono della vista e profetizzarmi la grandezza e il prosperare dei figli del Nord. – rivelò a voce alta, rispondendo in parte alle sue domande silenziose  – So che il vostro Veggente è morto cinque settimane orsono, dopo una lunga malattia; so che presto le vostre navi salperanno verso ovest, verso la terra degli angli e so che, in questo momento, un messaggero è in arrivo per informarvi della vittoria riportata in Northumbria dai figli di Ragnar, della vendetta che si è finalmente compiuta.”        
“Come sai queste cose, Veggente?” chiese ancora, apostrofandola con quell’importante nome.
Hrafnhildr sfilò il sacchetto contenente le rune dalla cintura e, aperto, ne estrasse una: “Fehu, la runa della prosperità. – annunciò – Continua ad apparirmi ogni volta che cerco delle risposte, è un segno divino: il momento è propizio, un glorioso futuro attende il popolo norreno, chiunque vorrà viaggiare verso ovest e piegare i regni degli angli e dei sassoni.”  
“Sei una ragazza caparbia, insolente e testarda. – Guthrum ghignò – Vieni qui, in questo giorno di festa, nella mia terra, a dirmi ciò che dovrei o non dovrei fare: dimmi, straniera, perché mai dovrei fidarmi di te? Perché mai non dovrei tagliarti quella tua lingua biforcuta e darla in pasto ai miei cani?”
“Tagliarmi la lingua è un vostro diritto, mio signore, e non mi opporrò ad una tale punizione se questo è il volere vostro e degli déi che servo, ma prima vi supplico di concedermi tre giorni.”          
“Sfrontata! – esclamò sempre più divertito Guthrum – Perché mai dovrei concedervi questo tempo?”
“Perché, mio signore, all’alba del terzo giorno a partire da oggi giungerà un messaggero al servizio dei figli di Ragnar per annunciarvi la vittoria sui northumbri che vi ho profetizzato: l’aquila di sangue sta per essere intagliata, i corvi e i serpenti ora banchettano nella grande sala di Jorvìk; i loro occhi saranno presto puntati a sud, sul regno della Mercia, un regno fragile che ben presto si inginocchierà davanti alla potenza dei Figli del Nord.”            
“Parli con impudenza, Veggente, come se ciò che deve ancora accadere sia già accaduto. – Guthrum inclinò la testa e assottigliò lo sguardo adombrato dalle folte sopracciglia – Parli di grandezza, dei Figli del Nord, di terre lontane e io voglio credere che le tue parole siano veritiere.”        
Fece un cenno alle sue spalle, ordinando a due suoi uomini di farsi avanti e uscire dall’ombra dei fuochi che lentamente si stavano consumando: “Tre giorni, hai detto? Ebbene sia: avrai i tuoi tre giorni, ma se nessun messaggero giungerà da ovest con le notizie da te predette, sarò io ad aver la tua lingua tagliata e la tua testa su di un ceppo.”                    
             
 
*




1. Nome norreno che significa Corvo. Hrafnhildr è il corrispettivo femminile del nome Hrafn, che appunto vuol dire corvo.
2. Guerriero semi-leggendario. Il suo nome, Loðbrók, significa letteralmente calzoni villosi. Delle vicende legate a lui e ai suoi figli si narra nella mia storia in parte collegata a questa dal titolo Figli del Nord.
3. I norreni suddividevano, come noi oggi, l’anno in 12 mesi; tuttavia non avevano quattro stagioni, bensì solo due, inverno ed estate, corrispettivamente skammdegi (giorni brevi) e nóttleysi (senza notte).
4. Significato letterale di Odense, città situata sull'isola di Fyn e terza per grandezza in tutta la Danimarca.
5. Sono contrapposti ai Dökkálfar, gli elfi delle tenebre. Entrambi sono adorati e ricevono sacrifici durante i blòt del nottleysi e dello skammdegi.
6. Non si hanno fonti accertate o conosciute della terra natia di Guthrum, di lui si sa solo che era danese, così mi sono presa la libertà di renderlo il signore dell'isola di Fyn.
7. E' la parola norrena per indicare una sacerdotessa. Il suo corrispettivo maschile è goði. Entrambi erano persone normali, spesso anche guerrieri.





Angolo Autrice: Benvenuti - o bentrovati - in questa mia nuova storia! Non so se state seguendo Figli del Nord o se questa è la prima volta che leggete una mia storia, in entrambi i casi posso dirvi che sono contenta che siate arrivati fin qui.
Questa storia, a differenza della prima della serie, avrà per protagonisti personaggi creati interamente da me, ovvero Hrafnhildr e Einarr, ma non mancheranno anche personaggi storici come Guthrum, Ivar Ragnarsson e tanti altri. Inoltre, si può benissimo leggere indipendentemente dall'altra, poichè man mano andrò a (ri)spiegare moltissime cose, usi e costumi della società norrena e non. 
Spero, infine, che questo primo capitolo vi sia piaciuto e di ricevere pareri. Se qualcosa non dovesse essere chiaro, non abbiate timori nel dirmelo, così che io possa fare chiarezza ed essere io stessa più chiara con il procedere della storia.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 2
*** 02. ***


 
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Einarr uscì dalle ombre che lo avevano nascosto fino a quel momento e, con passo felpato, si portò alla luce dei fuochi che andarono ad rischiarare la sua pelle lattiginosa e i suoi capelli sottili come spighe di avena; prese posto alla destra del suo signore Guthrum, abbastanza vicino da poter parlare con lui, non abbastanza da sovrastarlo con il suo fisico alto e possente, attendendo i suoi ordini.
Aveva osservato con attenzione e sospetto la giovane donna che si era fatta strada tra la popolazione di Fyn, ascoltato le sue parole colme di presagi pronunciate senza alcun timore reverenziale, arrivando quasi ad ammirarla quando aveva tenuto testa al suo signore come mai nessuno di loro aveva osato fare in tutti quegli anni trascorsi al suo servizio.  
“Questo è Einarr Þórvaldsson, uno dei miei più importanti jarl, un giovane guerriero vichingo che io stesso ho contribuito a forgiare e nei prossimi tre giorni sarà la tua ombra: dovrai rispondere di ogni cosa a lui, senza mai allontanarti dalla sua dimora, dal suo sguardo attento o dai suoi uomini; mangerai alla sua tavola e berrai il suo idromele e, se le tue parole dovessero rivelarsi false e beffarde, sarà lui a prendersi la tua vita.”
Hrafnhildr rimase impassibile alle parole di Guthrum, come se ciò che aveva appena detto non la riguardasse affatto e questo portò Einarr a corrugare la fronte e domandarsi cosa passasse per la mente di quella giovane donna: possibile che nulla la toccasse? Possibile che fosse talmente sicura delle sue parole e dei suoi presagi da non temere neanche un po’ il tremendo destino che Guthrum le avrebbe inflitto, attraverso di lui, se le sue parole si fossero rivelate menzogne?

Fu allora che i loro sguardi si incontrarono per la prima volta, occhi scuri che guerreggiavano contro occhi chiari, cielo notturno in contrasto con quello del mattino; nessuno dei due disse nulla, eppure quello sguardo racchiudeva più di semplici parole, domande silenziose e timori crescenti su ciò che sarebbe accaduto nei giorni seguenti.
“Ai vostri ordini, mio signore. – disse asciutto Einarr, senza distogliere lo sguardo dalla Veggente, rivolgendosi successivamente a lei – I miei uomini vi scorteranno in un posto più appartato, dove potrete aspettare fino alla fine dei festeggiamenti; terminati, procederemo verso Nord, verso le mie terre.”
Due uomini, più bassi e dai colori più scuri rispetto allo jarl, fecero capolino aprendosi un varco tra la folla che, per tutto quel tempo, aveva continuato ad osservarla e ad ascoltare incuriosita lo scambio di parole avvenuto tra la misteriosa straniera e il loro signore.
La presero per un braccio e, bruscamente, la condussero verso un luogo appartato a ridosso di un bosco: una volta là venne privata della sua ascia, della sua sola e unica arma di difesa, poiché considerata troppo pericolosa per rimanere armata e per un momento temette addirittura di essere legata mani e piedi; quei due uomini norreni non si fidavano di lei, Hrafnhildr lo leggeva dai loro sguardi che evitavano accuratamente di incrociare il suo, dai loro bisbigli appena udibili che rivelavano parole colme di malcontento verso Guthurm e il loro stesso signore.
Rimuginò sull’accaduto, seduta gambe al petto e schiena poggiata contro un tronco di albero secolare, chiedendosi se non fosse stata troppo precipitosa: non aveva neanche rivelato il suo nome, pensò, troppo presa dai presagi e da ciò che ben presto sarebbe accaduto; non era stata abbastanza accorta, aveva sfidato apertamente il Danese e ora si ritrovava in quella situazione scomoda, sorvegliata da due volti cupi e adirati per chissà quante ore, probabilmente fino a mattina inoltrata.


“Credete davvero alle parole di quella veggente? – chiese Einarr mentre sorseggiava idromele – Non sappiamo nulla di lei, le sue parole potrebbero essere i vaneggiamenti di una pazza.”
“E’ quello che inizialmente ho creduto anche io, - rispose tranquillo Guthrum – ma qualcosa mi dice che c’è molto di più in lei che una semplice ragazzina che parla a vanvera. No, la giovane ha il dono della preveggenza, i suoi oracoli sono troppo puntali per essere dei vaneggiamenti.”
“Eppure mi avete ordinato di tenerla sotto custodia, di non perderla mai di vista. – sottolineò saccente il più giovane – Qualcosa vi porta a dubitare di lei e della sua buona fede.”
“Non è mai sbagliato dubitare di qualcuno, Einarr. Sono tempi difficili questi, tempi incerti e non dimentichiamo che quella sciagurata ha praticamente interrotto un blòt sacro presenziato dai sacerdoti più autorevoli dell’isola. – bevve un sorso di birra – Non potevo permetterle di andarsene libera per l’isola, come se nulla fosse: hai visto come la guadavano?”
“Una giovane che non passa inosservata, certo. Il suo aspetto parla per lei, lascia intuire la sua natura di sacerdotessa e veggente, il tetro luogo ai margini di chissà dove in cui ha trascorso tutta la sua vita.”
“Un aspetto strano, certo, ma anche affascinante. – disse in tono pacato il signore dell’isola, annuendo lievemente – Non trovi che sia affascinante, Einarr?”
Il più giovane lo guardò con la coda dell’occhio, perplesso e sorpreso da quella domanda inusuale per uno come Guthrum e in risposta si limitò a scrollare semplicemente la spalle.
“E’ meglio che vada. Il sole è sorto da un pezzo e i miei uomini saranno stanchi e seccati di sorvegliare la nostra straniera. – si alzò dal suo seggio e con un cenno reverenziale salutò il suo signore – Attenderò vostre notizie alla prima luce del quarto giorno: se nessun messaggero sarà giunto da ovest, sarà mia premura portare a termine il compito che mi è stato assegnato.”



 
**
 



Arrivarono nelle terre governate da Einarr al calare delle tenebre, dopo ore di lenta marcia verso il nord dell’isola.
Hrafnhildr era stata fatta salire in sella ad una placida giumenta dal manto chiazzato e il crine biondo, tenuta sotto controllo dagli stessi uomini che l’avevano sorvegliata vicino ai boschi e nessuno le aveva mai rivolto la parola se non per ordinarle di fare questa o quell’altra cosa: Einarr non gli aveva neppure chiesto il suo nome, sembrava ignorare la sua presenza, dimenticare che lei fosse a pochi metri da lui.
Forse, pensò la giovane, era un modo per tenerla il più lontano possibile e rendere la sua eventuale esecuzione più facile per il taciturno jarl dal portamento elegante e distaccato: dopo tutto, perché mai avrebbe dovuto provare interesse per lei, una ragazza così strana e misteriosa? Fin troppe persone l’avevano scansata durante il corso della sua breve vita, tenuta a debita distanza perché impaurite da lei e dalle sue maledizioni sotto forma di presagi; troppi l’avevano additata come elfo maligno delle foreste o come discendente di una delle tre Norne1, divinità tessitrici che dimorano nelle radici di Yggdrasill, l’albero della vita al centro del cosmo, alle quali sono legate le vite e i destini di ogni essere umano.  

“Ho sete! – esclamò ad un certo punto, realizzando di avere labbra e gola secche – Ho bisogno di acqua. Per piacere.”
“Non manca molto, a breve arriveremo alla mia dimora e al villaggio. Resistete e non lamentatevi.” rispose seccato Einarr, continuando a guardare il sentiero davanti a loro.
“Prima ho intravisto un fiumiciattolo: potremmo sostare solo cinque minuti, sono sicura che è a pochi metri dal sentiero, non ci vorrà molto…”
“Fate silenzio! – Einarr girò bruscamente il suo cavallo e la guardò con sguardo torvo. Quella ragazza non aveva alcun rispetto per niente e nessuno, pensò mentre la sua cavalcatura si avvicinava a quella della giovane – Voglio ricordarvi che siete sotto la mia tutela, Veggente, e da ora in avanti farete solo e soltanto ciò che dico io.”
Si guardò intorno e affinò l’udito, percependo in lontananza lo scrosciare dell’acqua contro delle rocce. Come aveva ipotizzato Hrafnhildr, il fiumiciattolo non era distante.
“Muovetevi! – afferrò le briglie della giumenta e la costrinse a seguire il suo cavallo – Gli animali saranno assetati e una pausa non farà male a nessuno. Spero solo che voi abbiate ragione e che il ruscello sia vicino, altrimenti sarà peggio per voi.”
Sul volto di Hrafnhildr comparve un fugace sorriso che si guardò bene dal mostrare al giovane norreno e, vittoriosa, seguì le sue orme verso il ruscello che trovarono poco dopo.

L’acqua si dimostrò alquanto gelida a contatto con la sua bocca, talmente tanto da provocarle una dolorosa fitta all’interno dei suoi denti dritti ma leggermente ingialliti; Hrafnhildr ne approfittò per bagnarsi il viso stanco e, tolto il mantello che la copriva quasi del tutto, si passò le mani bagnate sul collo e sugli avambracci in parte coperti dalla tunica di lino che lasciava scoperta una buona porzione delle sue spalle e dei suoi arti superiori.
Einarr la osservò con sguardo obliquo, studiandone i movimenti, ritenendoli privi di pudicizia ma allo stesso tempo eleganti. La straniera aveva qualcosa di unico, dovette ammettere suo malgrado, qualcosa che gli impediva di distogliere lo sguardo, che gli face avvertire lievi sensazioni che da troppo tempo non permetteva a se stesso di provare.
“Si sta facendo tardi, dobbiamo rimetterci in marcia. I boschi non sono sicuri di sera e io non ho intenzione di disturbare i lupi per una qualsiasi veggente.”
“Hrafnhildr. – rivelò algida, guardandolo accigliata – Il mio nome è Hrafnhildr.”
“Un piccolo corvo, dunque. – sorrise sghembo – Non c’è da stupirsi che, con un tale nome, siate diventata una veggente. Ditemi, Hrafnhildr, anche voi sussurrate alle orecchie di Odino?”2
“E’ lui che sussurra alle mie e mi ordina ciò che è mio dovere fare; è lui che mi ha condotto qui da voi per consigliare il vostro signore, metterlo sulla giusta rotta, una rotta che lo condurrà all’immortalità.”
“Non dovreste seguire gli ordini degli déi così facilmente, neanche se è Odino stesso a parlarvi: gli Æsir, come i Vanir3, sono capricciosi ed egoisti, si divertono a giocare con le vite di noi mortali infliggendoci dolori e atroci sofferenze. – la sua voce si era fatta più bassa e cupa – Perché mai dovremmo noi esaudire i loro ordini?”
“Il vostro animo è colmo di rabbia, norreno, posso percepirlo. – Hrafnhildr si alzò e si avvicino al guerriero – Quali torti vi hanno fatto gli dèi che tanto odiate?”
Una smorfia di dolore misto a disgusto increspò le labbra di Einarr e corrugò la sua fronte: “Ciò che è il mio presente o è stato il mio passato è esclusivamente affare mio, Veggente. – sibilò velenoso – Rimontate in sella, prima che la mia pazienza si esaurisca e io decida di anticipare la vostra sentenza di morte.”
Einarr le diede le spalle, rimontando a sua volta in groppa al suo cavallo dal bruno manto, ritornando ad ignorarla come aveva fatto durante tutto il cammino.



 
*



1. Le Norne sono il corrispettivo delle Parche delle mitologia greca. Come le parche, anche loro tessevano, nelle radici di Yggdrasill, l'albero della Vita al centro del cosmo, l'arazzo del destino. I loro nomi sono: Urðr, Verðandi e Skuld.
2. Si riferisce a Huginn e Muninn, i due corvi che viaggiano per il mondo e associati ad odino; questi due vengono quasi sempre rappesentati sulle spalle del dio, intenti a sussurrargli le notizie raccolte per il mondo.
3. Gli Æsir e i Vanir sono due due stirpi divine della mitologia nordica, molto spesso in contrasto e in guerra tra di loro. Ai primi appartangono divinità come Odino o Thor, mentre ai secondi appartendono Freyja, la dea della fertilità citata nel prologo e Ullr, il dio dell'inverno.




Angolo Autrice: Hello, folks? Come state? Qui, al solito e nonostante l'estate, è un periodaccio. Spero, comunque, che questo secondo capitolo vi sia piaciuto.
Avviso che non so quando potrò aggiornare nuovamente, sicuramente non prima del venti di Settembre, se non anche Ottobre. Portate dunque pazienza... *sigh*
Grazie, infine, a chi ha letto, a chi ha messo o metterà la storia tra le seguite e chi ha recensito! ^^

Alla prossima,
V.

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Capitolo 3
*** 03. ***


 
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Il bosco era oramai alle loro spalle, mentre davanti la strada si apriva e lasciava spazio alle case costruite in legno e argilla dove un tempo c’erano stati alberi dalle profonde radici.
Hrafnhildr si guardò intorno circospetta, stringendosi nel mantello di lana blu quando, da ovest, la brezza notturna sfiorò la sua pelle provocandole un brivido di freddo; gli abitanti uscirono dalle case per accogliere il loro signore, notando immediatamente la donna che cavalcava al suo fianco, una straniera mai vista prima da quelle parti.
La giovane norrena tentò di ignorare i loro sguardi, occhi circondati da profonde rughe e da una fronte corrugata che conferiva loro un’aria arcigna: gli stranieri come lei non erano ben accolti in quelle zone, lo si capiva immediatamente, e il suo istinto le disse che l’essere una veggente non l’avrebbe aiutata.
“Bentornato, Minn Herra.1 – salutò solenne una donna anziana dal viso scavato e dalla schiena leggermente ingobbita, uscendo dalla dimora fatta di robusto legno e qualche mattone appartenente da generazioni alla famiglia di Einarr – Mi auguro che i festeggiamenti del nóttleysi siano stati propizi e che il nostro signore Guthrum continui a riporre la sua fiducia e i suoi favori in voi.”
“Fin troppo, direi. – sussurrò, lanciando uno sguardo a Hrafnhildr, la quale aveva appena smontato in sella alla sua giumenta – Il mare ha portato dallo Jutland questa straniera, una sacerdotessa e Guthrum mi ha ordinato di ospitarla con tutti gli onori presso il mio giaciglio e la mia tavola: sono certa che tu, mia cara Gyda, saprai trovarle un luogo dove dormire e procurarle dell’acqua calda per lavare la stanchezza del viaggio.”
“Certo, Minn Herra. – annuì lievemente e poi si rivolse alla straniera – Seguitemi, da questa parte.”
Hrafnhildr si affrettò a seguirla all’interno della dimora, oltrepassando Einarr senza degnarlo di uno sguardo: non era là per essere gentile o accattivarsi il favore dello jarl, si disse, quindi avrebbe accettato il suo desiderio di ignorarla e starle lontano, comportandosi di conseguenza.


All’interno della dimora norrena tutto era pervaso dalla penombra e un forte odore di legna umida e fumo impregnava l’aria. Il tetto era spiovente, metteva in mostra le possenti travi annerite dal tempo e dalla caligine fatte con i tronchi slanciati e forti dei pioppi; al centro c’era l’unico pozzo luce, un perfetto cerchio che permetteva ai vapori e ai fumi del grande focolare posto al centro della sala di fuoriuscire.
Sul fondo c’era una pedana piuttosto larga, anche questa fatta di legno, come di legno intagliato con maestria era lo scranno che troneggiava al centro, una seduta riservata esclusivamente allo jarl di quelle terre.
Non era molto diversa dalle dimore dello Jutland, eppure in quella sala immensa Hrafnhildr non percepiva la gioia e quell’atmosfera ludica che di solito si respirava nelle dimore dei nobili: al contrario, tutto là dentro trasmetteva desolazione, tristezza, sensazioni talmente lugubri da turbare persino un animo forte come quello della bella veggente.

“E così venite dalla penisola dello Jutland, - l’anziana donna prese la parola mentre, con non poco sforzo, metteva sul fuoco un secchio di terracotta colmo di acqua – dev’essere stato un lungo viaggio per una fanciulla come voi, sola e proveniente da una famiglia di umili natali.”
“Siete molto sicura di ciò che dite, Snort!2
“Ho visto abbastanza inverni per capire dai piccoli particolari chi ho davanti e come rapportarmi alle situazioni che la vita mi presenta. – rispose di rimando – Immagino che anche alla vostra famiglia sia stato fatto dono della preveggenza o che abbiate vissuto in un ambiente in cui la lettura delle rune e dei sogni siano qualcosa che va coltivato e tramandato di generazione in generazione.”
“Mia madre, - sussurrò mentre si appoggiava con la schiena alla parete di legno e argilla – Ho ereditato il dono da lei ed è sempre lei che mi ha insegnato a non averne paura, ma ad accettarlo di buon grado e trarre forza da ciò che le rune e gli dei mi dicono.”
“Immagino siano stati i sogni a portarti qui. – chiese retoricamente e Hrafnhildr annuì – Guthrum è un uomo facilmente malleabile, affascinato dalle parole dei veggenti e dalle letture delle rune, ma il mio signore Einarr non lo è altrettanto. Da lui non avrai alcun trattamento di favore, nessun posto riservato alla sua tavola, poiché da tempo la chiaroveggenza è proibita nelle sue terre.”
“Proibita?”
Hrafnhildr aveva da subito percepito l’avversità di Einarr verso il suo essere e ciò che questo comportava, ma non avrebbe mai pensato che il suo malanimo arrivasse a tanto…
Ora capiva perché gli abitanti del villaggio l’avevano guardata in quel modo, con sospetto e repulsione, facendola sentire sgradita: lei non era la benvenuta in quella dimora, la sua sola presenza era tollerata perché ordine del sovrano dell’isola, conseguenza di un ordine a cui Einarr non si era potuto sottrarre.
Probabilmente, anzi sicuramente, lo Jarl sarebbe stato lieto di tagliarle la testa tranciandole il sottile collo, o pugnalandola nel sonno, privarla della vita con qualsiasi mezzo a lui più gradito.
Avrebbe reagito, si sarebbe ribellata e combattuto fino allo stremo per salvarsi e far valere la sua ragione: Hrafnhildr era sicura delle sue visioni, di ciò che i corvi avevano sussurrato alle sue orecchie e presto, molto presto, anche Guthrum e Einarr sarebbero stati testimoni del suo dono e della potenza dei suoi vaticini.
Tutti loro si sarebbero ricreduti, l’avrebbero rispettata e accolta alle loro tavole, sulle loro navi, permettendole di veleggiare e combattere gli angli e i sassoni al loro fianco; si sarebbe ritagliata un posto di prestigio accanto a Guthrum, sussurrato all’orecchio del Danese le profezie dei suoi sogni e i messaggi delle rune, divenendo una dei veggenti più temuti e importanti tra i norreni.
“E’ una storia lunga e delicata, non spetta a me narrarla. – rispose la donna dandole le spalle – L’acqua è calda abbastanza, ideale per il vostro corpo infreddolito. Seguitemi, da questa parte.”


Il tepore sciolse le sue membra tese e stanche, rilassò la mente e gli occhi: erano trascorse settimane dell’ultimo bagno e, anche se quella non era  la giornata dedicata al bagno, Laurdag3, per la giovane quello fu uno dei momenti trascorsi in una tinozza di legno più piacevole di sempre.
Posò il capo sul bordo circolare, inspirando profondamente, e iniziò a pensare a qualche scaltro sistema per destreggiarsi in quel posto a lei sconosciuto e a come comportarsi durante i lunghi tre giorni che l’aspettavano: sapeva che un messaggero, inviato da Ivar Ragnarsson, era oramai prossimo a raggiungere Fyn con la richiesta da parte del Senz’ossa di unire il suo esercito con quello di Guthrum per conquistare i restanti regni a ovest del mare; probabilmente, si disse, quel messaggero era già giunto presso la corte del danese, dimostrazione tangibile e reale delle sue predizioni, risparmiandole così tre giorni di lunga agonia accanto all’austero jarl dal passato nebuloso - e, soprattutto, salvandole la vita.
Se solo riuscissi a parlargli, pensò, magari riuscirei a fargli capire che non sono una minaccia e che le mie intenzioni sono nobili.

Un vociare poco lontano la destò dai suoi pensieri: dietro i tendaggi e le colonne di legno qualcuno si era riunito e dai diversi timbri vocali sembravano almeno quattro uomini adulti.
In fretta, Hrafnhildr uscì dalla tinozza e, sfilata in fretta la leggera tunica impregnata di acqua, si rivestì frettolosamente, indossando gli abiti di lino dai colori tenui e di ottima fattura messi a disposizione dell’anziana Gyda. Sopra l’hangerock4 rimise il suo mantello blu dai preziosi ricami e, cercando di dare meno nell’occhio, camminò di soppiatto verso l’uscita della sala grande.


“Eccola, la nostra veggente giunta dal mare. – Einarr la bloccò sul posto – Venite, avvicinatevi.”
I suoi occhi erano da troppo tempo abituati a cogliere ogni più piccolo movimento, i suoi sensi allenati a cogliere ogni più piccolo movimento e per nulla al mondo la presenza della fanciulla sarebbe sfuggita ai suoi sempre vigili sensi. Inoltre, Hrafnhildr era una tentazione troppo forte per lui, così tanto da non riuscire a desistere davanti alla possibilità di umiliarla e farla sentire di troppo in quel contesto, una sciocca impertinente con la bocca piena di frivole e menzognere parole.
“Stavo giusto informando i miei uomini delle vostre singolari teorie secondo le quali presto saremo tutti chiamati a combattere a ovest, nella terra degli uomini che venerano il dio cristiano e che questo viaggio ci porterà ricchezze, terre e gloria immortale.”
Le sorrise algido, imponendosi con superiorità su di lei e deridendola platealmente davanti ai suoi uomini che, senza preoccuparsene, avevano iniziato a sghignazzare.
“Non è forse così, piccolo corvo?”
“Non dovreste burlarvi così apertamente degli déi, Jarl Einarr, perché non si può mai sapere quando questi potrebbero voltarci le spalle o vendicarsi su noi poveri mortali.”
Il volto di Einarr si incupì, perdendo tutta la sua strafottenza, e nei suoi occhi chiari si fece spazio il disappunto e la collera; le sue labbra si assottigliarono, la sua mascella squadrata si contrasse e, scattato in avanti, afferrò con prepotenza la giovane per un braccio:
“Vi proibisco di parlare con me di Odino, Thor o qualsiasi altro dei vostri stupidi Æsir; non mi importa se turbano ogni notte i vostri sogni, quali assurdità vi sussurrano alle orecchie o quali messaggi vi inviano attraverso le rune: ogni mio rispetto nei loro confronti è morto e sepolto da un pezzo, la loro ira si è già abbattuta su di me e la mia famiglia, non può causarmi altro male.”
La lasciò dopo averla strattonata prepotentemente, rischiando quasi di farla cadere rovinosamente a terra: “Non rivolgetemi più la parola, Veggente, non stasera e neanche nei tre giorni che vi separano dalla vostra morte. Per me voi siete solo l’ennesimo scherzo crudele che il fato, comandato dalle Norne onniscienti, ha messo sul mio cammino.”
“State tranquillo e non temete, Min Herra: mi terrò più lontano possibile da voi e dalla vostra lugubre e triste dimora. Piuttosto che sedere alla vostra tavola, preferisco cenare con i porci che si rotolano nel fango nel recinto qui fuori.”
“Attenta alle parole che dite, Veggente: potrei seriamente decidere di farvi vivere con i porci.”


Hrafnhildr mantenne lo sguardo, senza mai distoglierlo o mostrarsi debole, neanche in quel momento carico di rabbia; Einarr era adirato, sembrava quasi folle, ma non per questo lei avrebbe abbassato il capo o permesso di subire angherie.
Lei era una veggente, una donna dello Jutland, una moglie di lancia e non una semplice contadina di qualche sperduto villaggio sommerso dalla neve invernale.
Non avrebbe detto altro, almeno non quella volta – avrebbe lasciato a lui l’ultima parola, poiché da lui dipendeva la sua vita e il suo destino – e stretta nel suo spesso mantello riprese a camminare verso l'imponente portale di legno, sparendo nella penombra della notte schiarita solo dal fuoco vivo e brillante delle torce.



 
*




1. In lingua norrena significa: "Mio Signore"
2. Snor: parola norrena che significa saggio inteso con accezione di intelligente.
3. Per riferirsi al sabato, la lingua norrena parla di Laurdag, ovvero “giorno della pulizia”; in islandese “laug” significa ancora “bagno” o “pozza d’acqua. Tuttora il sabato è chiamato in islandese laugardagur, in svedese lördag e in danese e norvegese lørdag.
4. Hangerock: abito di lana prettamente femminile cucito a tubo e tenuto su da due bretelle fissate con delle spille.


 

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Capitolo 4
*** 04. ***



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La luna primaverile era una pozza luminosa nel cielo. I suoi raggi, pallide carezze pervase da ombre, si infrangevano nell’esatto punto in cui, distesa, giaceva Hrafhildr.
Un tempo, tanti anni prima, sua madre le aveva detto che la luna, astro divino trainato dal carro di Máni1, aveva il potere di influire sulla memoria delle persone nello stesso modo in cui influenzava le maree; in quel momento, lontana dalla dimora di Einarr, dal luogo in cui, tra chiacchiere e musica, si stava consumando un ricco banchetto a cui non era stata invitata, la giovane veggente comprese che le parole pronunciate da sua madre erano vere.
Da molte lune, oramai, non pensava al suo passato, a ciò che era avvenuto in una notte non molto diversa da quella, durante un banchetto non molto diverso da quello che stava venendo consumato nella grande sala situata oltre le piccole case di contadini: a quel tempo, lei era una fanciulla innocente e pura, promessa sposa di un uomo di quasi vent’anni più vecchio dall’animo gentile e dai sentimenti sinceri. In quella notte così simile a quella, lei stava sorseggiando pregiato vino, cantando sulle note di una melodia spensierata, festeggiando il suo fidanzamento e il prossimo matrimonio con un uomo che, a modo suo, l’avrebbe resa felice.
Sorrise malinconicamente: attorno a lei tutto era silenzioso, talmente da farle percepire il tempo scorrere lentamente, quasi fosse stato congelato in un eterno istante da una forza superiore.
Hrafhildr non aveva consultato le rune in quella mattina precedente al banchetto in onore della promessa coppia, troppo impegnata con i preparativi; aveva ignorato gli dèi, il fato che, spietato, la stava attendendo tra le ombre della sera e fu questa sua mancanza la sua condanna: quando il banchetto stava per giungere al termine, e il suo promesso sposo, uno jarl minore del posto, aveva consumato abbastanza vino da annebbiare i propri sensi, suo figlio maggiore, un bastardo avuto in giovanissima età che lui aveva accolto nella sua dimora e allevato con gli onori che sarebbero spettati al suo erede, svelò finalmente il suo tradimento: in meno di un’ora, il suo promesso sposo e i suoi fedeli uomini vennero assassinati, le loro gole squartate da parte a parte con coltelli affilati e lei, bella veggente e pura promessa sposa, venne trascinata per i capelli nella stanza matrimoniale poco distante.
Per tutta la notte e per tutto il giorno successivo Canut, figlio patricida dell’uomo che Hrafnhildr avrebbe dovuto sposare, abusò di lei, privandola della sua innocenza, della sua dignità, di ogni cosa: quando ne ebbe abbastanza e la sua lussuria fu sufficientemente saziata, la lasciò andare con addosso solo una tunica sbrandellata e un mantello blu ricamato, dono di nozze che la madre le aveva donato prima di separarsi da lei, promettendole che l’avrebbe uccisa se, anche solo per sbaglio, le loro strade si fossero incontrare una seconda volta.

Non se ti uccido prima io. – pensò affondando le dita affusolate nella nuda terra resa leggermente umida dall’aria della notte.
Aveva giurato che avrebbe ucciso Canut, un giorno, vendicando il suo promesso sposo e i suoi uomini; aveva giurato che sarebbe diventata un’abile combattente, che non avrebbe mai più messo in secondo piano il suo compito di veggente e gyðja e, soprattutto, aveva giurato a se stessa di non permettere a nessun uomo di sfiorarla o possederla nuovamente contro la sua volontà.


“Vi ho trovata, finalmente!”
La voce alle sue spalle la fece scattare e, afferrata una pietra di medie dimensioni, Hrafnhildr levò il braccio a mezz’aria per difendersi da un ipotetico aggressore.
“Calmatevi, Mær,2 – le disse l’ombra – sono solo io, Gyda.  Ho pensato aveste fame e vi ho portato qualcosa da mangiare dalle cucine.”
La fanciulla abbassò l’improvvisata arma e si concesse un sorriso rilassato: “Perdonatemi, non avevo intenzione di farvi del male. Mi avete solo spaventata e, considerato il modo ostile in cui mi hanno accolto nel villaggio, ho temuto che fosse qualche malcapitato.”
“Nessuno vi farà del male, Veggente, non se siete una protetta dello jarl. – si sedette accanto a lei con movimenti goffi a causa della sua schiena e le porse il piatto d’argilla – Mangiate, forza.”
“Ci penserà lui stesso a togliermi la vita se le mie profezie dovessero svelarsi fasulle. – rispose di rimando, iniziando a sbocconcellare un pezzo di pane – In ogni caso, so cavarmela benissimo da sola… anche se preferirei riavere la mia ascia.”
“Siete una skjaldmær, dunque. – Gyda increspò le labbra in un flebile sorriso – Una giovane dalle mille risorse, lo ammetto. Ditemi, c’è altro che nascondete dietro il vostro candido viso?”
“Queste giovane ha visto molte più cose nei suoi vent’anni di quanto immagini, Snort. – disse piccata – La mia vita non è mai stata facile, fin da piccola io e mia madre siamo sempre state emarginate dal villaggio in cui sono nata; solo la posizione di mia madre, veggente e amante dello jarl del posto, ci proteggeva, ma quando lui è morto mia madre è stata costretta a fuggire lontano per scampare all’ira della moglie e dei suoi figli, miei fratellastri.”
“Dov’è vostra madre adesso?”
“Non saprei… - rispose con un sospiro, scrollando le spalle – Non la vedo da quasi cinque anni, da quando mi ha consegnato una modesta dote e mi ha vista partire per sposare un uomo più grande, un nobile minore, signore di una terra brulla e arida nell’entroterra dello Jutland.”
“Quindi siete sposata?”
Hrafnildr la guardò per qualche secondo con la coda dell’occhio, indecisa se rispondere sinceramente o mentire: Gyda sembrava una donna onesta, non ora ostile, eppure qualcosa dentro di lei le diceva di non fidarsi, le diceva che quella poteva essere una tattica di Einarr per conoscere il suo passato e screditarla in qualche modo agli occhi di Guthrum.
“Sono scappata prima di arrivare a destinazione. – mentì, preferendo la menzogna alla difficile e ancora dolorosa verità – Il mio promesso sposo era vecchio, un uomo famoso per la sua poca pazienza e per la sua indole violenta: non volevo essere un suo trofeo, una moglie-mucca con il solo scopo di generale figli. Io sono nata per imprese ben più grandi, per servire le divinità, combattere fianco a fianco con i vichinghi, diventare immortale e guadagnare un posto nel Valhalla.”
“Mi sembra di sentire il mio padrone Einarr. – provocò Gyda – Anche lui sogna da sempre la grandezza, la gloriosa morte in battaglia e neanche la sua adorata sposa…”
Gyda smise bruscamente di parlare, portandosi una mano sulla bocca quando, dandosi della sciocca, si rese conto di aver parlato troppo: la giovane moglie di Einarr era un argomento di cui nessuno parlava più, persino il suo nome era bandito dalla sua tavola e dal villaggio.
“Perdonatemi, è meglio che vada. – si alzò, aiutata dalla veggente – Dimenticate ciò che vi ho detto, ve ne prego: la mia anziana mente spesso vacilla, dimentica il mio posto e la mia bocca pronuncia parole che dovrebbero rimanere mute.”


 
**

 
Quando Gyda si allontanò, Hrafnildr tornò a stendersi sulla nuda terra e ai suoi volatili pensieri: dunque anche Einarr, proprio come lei, aveva perso qualcuno; anche lui aveva affrontato il dolore e la disperazione, sentimenti che probabilmente lo avevano quasi condotto alla follia.
Non che questo giustificasse il suo atteggiamento, il modo in cui si era comportato con lei, le sue parole piene di rabbia e il suo brusco modo di fare.
Sospirò, portandosi a sedere e, sciolto il laccio che legava il sacchetto in cui erano racchiuse le rune al suo vestito, lo aprì e ne estrasse alcune:

Uruz, il Bisonte: periodo pieno di energie e salute. Come aveva predetto, la sua vita non si sarebbe conclusa molto presto e neanche quella di chi la circondava.

Ansuz, Odino: messaggio, una rivelazione. Il messaggero di Ivar Ragnarsson era in procinto di raggiungere Fyn, era questione di ore oramai.
 
Sowilo, il Sole: onore, cambiamento significativo nella propria vita. Vittoria. La vittoria che avrebbe seguito la discesa in guerra di Guthrum e dei suoi uomini, le conquiste delle terre nemiche.

Infine Wunjo, la Gioia: annunciava prosperità, amicizia e ricompense spirituali, ma anche piacere fisico, una forte estasi, bramosia dei sensi verso qualcosa, o qualcuno, a cui è impossibile resistere.


Hrafnhildr si morse un labbro: possibile che l’ultima runa parlasse di un uomo? Dopo ciò che le era capitato tre anni prima, la giovane non aveva mai più preso in considerazione di sposarsi o di poter riuscire ad amare qualcuno, tantomeno entrarci in intimità.
Eppure, da qualche notte – era tutto iniziato quando aveva lasciato lo Jutland e si era imbarcata su quella malandata imbarcazione – continuava a sognare l’ombra di un uomo, la sua figura nascosta tra le ombre della notte, la sua ascia che brillava nell’oscurità, il profumo muschiato della sua pelle che arrivava ai suoi sensi spinto da un alito di vento.

Divinità: si divertono a burlarsi di me, mettendomi alla prova e facendomi desiderare cose che non saranno mai.
L’uomo dei suoi sogni era un mezzo per indagare il suo animo, per saggiare la sua debolezza umana, il suo essere di donna: a nessun uomo avrebbe mai permesso di possederla, di domarla, di decidere sulla sua vita.
Era un corvo libero, lei, una prescelta di Odino che aveva dedicato la sua vita alla divinazione: non le serviva un uomo, un qualche tracotante vichingo dalla fluente chioma e mai le sarebbe servito.
Lei era padrona del suo destino, la sua sola e unica signora e lo sarebbe sempre stata.
 


*




1. Máni: nella mitologia norrena, era il dio che trainava il carro che trasportava la luna; era in contrapposizione con Sòl, sua sorella, che trainava il carro del sole. Entrambi i due fratelli erano inseguiti da due lupi, i quali, si narra, raggiungeranno le due divinità, divorandole, allo scaturire del Ragnarök, la fine del mondo.
2. Mær: in norreno significa fanciulla.






Angolo Autrice: Hello, folks! Lo confesso, questo capitolo mi soddisfa tantissimo. Finalmente scopriamo buona parte del passato della nostra protagonista e intravediamo quello del protagonista maschile, il nostro freddo Einarr. C'è ancora molto da svelare, non lo nascondo, ma oramai non manca moltissimo all'inizio della storia vera e propria, in cui sarà presente la vera azione! E poi, chissà, magari andando avanti questi due riusciranno ad avere un rapporto civile... forse! :3
Grazie, al solito, a tutti voi che leggete, seguite e recensite! Vi adoro! <3

Alla prossima,
V.

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Capitolo 5
*** 05. ***


 
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Dormivano ancora tutti quando entrò con passo felpato nella sala grande. Il sole era sorto da qualche ora, pallida sfera di fuoco nella tiepida coltre del mattino, e fuori il villaggio e i suoi umili abitanti avevano iniziato i loro consueti lavori.
Anche Hrafnhildr aveva deciso di rendersi utile, lei che non era mai stata capace di rimanere con le mani in mano e che trovava nelle faccende domestiche un modo per sfuggire ai suoi tumultuosi pensieri: si era svegliata di buon’ora, leggermente indolenzita a causa delle malandate condizioni del giaciglio sul quale aveva trascorso le ore più buie della notte -  era stata Gyda a metterlo gentilmente a disposizione, in cambio di un aiuto con le faccende l’indomani mattina, nella piccola capanna in cui i domestici erano soliti riposare - e, dopo un veloce pasto a base di pane e di formaggio, si era rimboccata le maniche e aveva iniziato a liberare i lunghi tavoli ai lati della sala grande ancora ricoperti di ciotole sporche  e avanzi di cibo.
Nonostante il chiarore che filtrava dal pozzo di luce al centro del tetto, dal quale continuava ad uscire fumo dalle tinte grigio scuro originato da tizzoni di legna bruciata e quasi del tutto annerita, la sala era avvolta in una penombra che rendeva difficile muoversi senza il rischio di incespicare in un qualsiasi arnese – dai bicchieri ancora mezzi pieni di idromele e birra alle spade che i vichinghi si portavano sempre con loro come simbolo della loro posizione sociale – e svegliare qualcuno: Hrafnhildr stessa rischiò, nonostante i suoi ottimi riflessi, di inciampare tra gli ostacoli disseminati sul suo cammino e nei suoi stessi passi, tirando successivamente un sospiro di sollievo quando, guardandosi attorno, si accertava che nessuno si fosse svegliato per causa sua.

Dovesse accadere, Jarl Einarr ne sarebbe infastidito, potrebbe addirittura arrivare a rinchiudermi chi sa dove e con chissà quale animale o furfante.

Si addentrò oltre i tavoli, verso la parte opposta all’ingresso, dove si trovava, come da tradizione, il giaciglio dello jarl: non a tutti era permesso entrarci, oltrepassare i pesanti drappeggi che separavano l’ambiente da quello in cui stavano riposando i commensali, ma in veste di domestica Hrafnhildr si sentì autorizzata a insinuarsi tra le compatte ombre della stanza per completare il compito che le era stato affidato.
Attorno a lei regnava un silenzio quasi assoluto, tale che neanche il russare dei vichinghi riusciva a intaccarlo e per tutto il tempo che rimase là dentro la giovane provò la sensazione di star profanando un qualche luogo sacro adibito nel cuore di una foresta dai rami talmente fitti da impedire ai raggi del sole di filtrare e riscaldare la terra con il loro calore.
Si mosse lentamente accanto al letto in cui, addormentato, giaceva Einarr, lanciando occhiate furtive ogni volta che percepiva il minimo movimento del suo corpo o il suo respiro farsi leggermente più profondo e irregolare; se l’avesse scoperta, sicuramente avrebbe iniziato ad inveire contro di lei, lei che era stata mandata là solo per rassettare la stanza prima del risveglio dell’uomo, che non aveva alcuna intenzione di frugare tra le sue cose e nel luogo che, più di ogni altro, racchiudeva i suoi più intimi segreti.
La sua adorata sposa.
Ritornarono alla mente della ragazza le parole sfuggite dalle labbra di Gyda la sera prima, il segreto malcelato riguardante una giovane sposa, una fanciulla tanto amata: guardando Einarr, la veggente si chiese cosa fosse capitato alla sua consorte, quale sciagura si fosse abbattuta sulla sua casa, quale punizione divina tanto crudele.
Era stato il dolore della perdita a renderlo così sfuggente agli occhi della gente e iracondo a quelli delle divinità?
Era stato il lutto a segnare così profondamente il suo animo, la perdita per la donna a cui aveva donato il suo cuore?
Se le cose stanno così, il suo odio verso gli Æsir sarebbe più che giustificato e io non potrei biasimarlo.
Una parte di lei non avrebbe mai potuto biasimarlo eppure un’altra parte, quella che aveva consacrato la sua vita alle divinità, sapeva che ogni cosa accadeva per un motivo ben stabilito.
Se le Norne, nella loro eterna dimora situata presso le sponde dalla fonte di Urðarbrunnr, avevano deciso di recidere la vita della giovane sposa dal loro arazzo del destino, lo avevano fatto per un motivo ben preciso, una ragione ancora inspiegabile per degli insignificanti mortali come loro.


Nello stesso istante in cui, persa nei suoi pensieri, Hrafnhildr si stava ponendo quelle domande, Einarr si stava destando dal suo profondo sonno.
Erano stati i suoi sensi di guerriero a farlo svegliare, quel sesto senso che aveva percepito la presenza poco lontana della giovane e che, rapidamente, stava risvegliando i suoi sensi e le sue membra dal torpore in cui erano caduti.
Astrid
Per un fugace momento pensò che fosse tornata, che fosse lei l’ombra poco lontana: la sua adorata moglie, la sua giovane sposa dal timido sorriso che lui aveva condannato a morte certa.
Per un fugace momento i suoi occhi del colore del freddo ghiaccio si adombrarono al pensiero di poterla riabbracciare o anche solo rivederla per un istante, quel tanto che bastava per chiederle perdono ancora una volta per le vite che lui stesso aveva condannato per sempre; i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma quelle stesse lacrime furono ricacciate immediatamente dentro quando realizzò che la fanciulla di profilo non era la sua defunta moglie, ma la veggente che, suo malgrado, aveva condotto al suo villaggio.
Colto da un moto d’ira insensato, l’afferrò saldamente per un braccio, costringendola a fare una torsione del corpo e, prepotentemente, la scaraventò sul letto in cui fino a poco prima aveva dormito, sotto il suo possente e seminudo corpo.

“Cosa ci fate qui?” le chiese, mentre una mano l’afferrava per il collo sottile.
Hrafnhildr boccheggiò, sconvolta e presa alla sprovvista dal suo repentino risveglio e da quel brusco gesto che le riportò alla mente attimi che aveva creduto seppelliti per sempre in un angolo remoto della sua memoria: per un istante, un lungo e interminabile istante, non fu più la forte veggente che era diventata, ma tornò la fragile fanciulla di molto tempo prima, di quella che sembrava una vita precedente; per un lungo e interminabile istante, quello sopra di lei non fu Einarr, l’iracondo jarl di una terra a lei sconosciuta, ma Canut, il figlio bastardo dell’uomo che avrebbe dovuto sposare, il giovane senza scrupoli che aveva rubato la sua innocenza e violato il suo corpo per una notte e un giorno interi.
“Volete possedermi? – chiese con voce incolore, quasi non fosse davvero lei a parlare – Se volete fare violenza anche voi sul mio corpo, allora fate pure.”
Einarr strabuzzò gli occhi, sconvolto da una tale domanda che, in un primo momento, ritenne una stupida provocazione, un voler metterlo alla prova senza un motivo apparente; solo quando lei alzò la sua veste, mostrando le sue cosce nude e aprendo automaticamente le gambe pallide, Einarr realizzò che quella richiesta non era stata fatta per sfidarlo, tutt’altro.
La Veggente sembrava seria, aveva creduto davvero che lui volesse possederla per sfogare attraverso di lei e il suo corpo il suo disprezzo e così schernirla una volta per tutte.
Sdegnato da quel folle e ingiustificato comportamento si allontanò dalla giovane, che in risposta puntò i gomiti sul morbido giaciglio per riuscire a sollevarsi leggermente con il busto e guardarlo, in piedi davanti a lei, con occhi velati.
“Siete per caso impazzita? – chiese a sua volta, oltraggiato – Credete che io sia capace di un atto così scellerato?”
“Lo siete? Non vi conosco, Jarl, non so chi voi siate o quali segreti nascondiate dietro il vostro palese odio verso di me e tutto ciò che rappresento.”
“La stessa cosa vale per me, Veggente: non so nulla di voi, del vostro passato e, per quanto mi riguarda, avreste potuto sgozzarmi nel sonno con una qualsiasi lama trovata ai piedi del mio letto.”
“Non sono un’assassina, tantomeno uno spergiuro che infrange il sacro voto dell’ospitalità uccidendo il padrone di casa nel sonno. – rispose, questa volta con voce più alta – Ero venuta solo per raccattare i resti del vostro banchetto, così da sdebitarmi con Gyda per il tetto sopra la testa che mi ha offerto questa notte appena trascorsa.”
“Ammetto che il mio lato di guerriero ha avuto la meglio e di aver reagito in modo brusco, ma come vi ho appena spiegato non vi conosco e, sentendomi minacciato, ho agito d’istinto. – riprese Einarr – In ogni modo, avreste potuto ribellarvi e supplicarmi di lasciarvi andare, invece che insinuare un tale abominio.”
“Ribellarsi non serve a nulla, rende solo il tutto più doloroso per se stessi. – sottolineò Hrafnhildr, stringendosi le braccia al petto – Inoltre, dubito che qualcuno sarebbe corso in mio aiuto: sono solo una straniera, una veggente, una donna che non ha alcun valore.”
“Avete valore per Guthrum, il mio signore, e per questo motivo avete valore per me. Il mio compito è quello di tenervi sotto il mio controllo, al sicuro e…”
“Tagliarmi la testa quando arriverà il momento opportuno. – sorrise di un sorriso sghembo – Me lo avete ricordato fin troppe volte durante il nostro viaggio e nel giorno appena trascorso.”
“Se siete decisa a dipingermi come un demone senza alcun cuore o rimorso fare pure, non mi interessa. – fece un passo verso di lei, mentre la sua voce si faceva più severa – Sappiate, però, che nonostante i miei doveri non sarebbe facile per me togliervi la vita: la vostra esecuzione, se mai dovesse accadere, non sarà senza conseguenze. Anche io ho un cuore, o almeno un tempo lo avevo…”
“Così come lo avevo io. – rispose lei, azzardando e avvicinandosi senza troppa paura a lui – Ma l’innocenza è svanita da un pezzo, così come la disillusione e la speranza.”
“Eppure avete consacrato la vostra vita alle divinità…”
“Bisogna pur trovare un modo per non impazzire e non soccombere a questa vita, non credete? – Hrafnhildr scrollo leggermente le spalle – Voi avete il vostro onore, la guerra e il sogno del Valhalla, mentre io ho questo.”
“Siete una creatura davvero singolare, Veggente.”
“E voi un uomo dall’animo impenetrabile, Jarl.”
“Forse non siamo poi così diversi. – un flebile sorriso comparve sulle labbra circondate da una curata barba biondiccia – Magari, potreste chiedere alle rune di aiutarvi; magari, loro sapranno rivelarvi cosa si cela dietro questo mio impenetrabile e intransigente animo… o magari no.”
“Potrei, - concordò – magari l’ho già fatto e conosco ogni vostro segreto passato e futuro. Qualunque sia la verità, non vi permetterò nuovamente di toccarmi senza il mio permesso, qualsiasi sia la vostra ragione. Se lo farete ancora, state pur certo che ve ne pentirete.”

Einarr rabbrividì nell’udire parole pronunciate con così tanta rabbia e ferocia: il cambiamento nello sguardo della giovane donna era stato repentino, non c’era alcun dubbio che avrebbe fatto ciò che aveva promesso e, per la prima volta, l’uomo ebbe paura di lei e di quello che il suo passato nascondeva.
Decise così di non dire altro, lasciandole l’ultima parola e, scostatosi, le permise di raccattare i cocci in precedenza caduti e lasciare la stanza.
Che quella giovane fosse una punizione, l’ennesima, che Odino aveva inviato per ricordargli la sua potenza e fargli pagare il fio per essersi comportato come uno spergiuro? Qualsiasi fosse la verità per il suo dilemma interiore, Einarr non era sicuro di voler conoscere la risposta.  


 

**



Tornò a respirare solo quando uscì all’aria aperta. Per tutto il tempo trascorso faccia a faccia con Einarr aveva avuto la sensazione di non essere davvero se stessa, di essere in una strana dimensione fuori dal tempo, come se le parole da lei pronunciate non fossero davvero le sue, ma quelle di una giovane donna sconosciuta.
Era incredibile ciò che aveva fatto, il modo in cui aveva parlato senza mostrare il minimo riguardo verso lo jarl, verso l’uomo da cui dipendeva la sua vita.
La verità, si disse mentre camminava a passo svelto verso la foce del fiume poco lontano, lo stesso che era stato silenzioso testimone della conversazione tra lei e Gyda la sera prima, era che il sol pensiero di provare anche solo una lontana parvenza di ciò che aveva provato anni prima, quando Canut le aveva segnato e condannato per sempre la vita, era riuscito a terrorizzarla così tanto da farla attaccare come una belva messa in un angolo e senza scampo alcuno.
Ripensandoci adesso, però, tutto era più chiaro: Einarr si era sentito in pericolo, aveva temuto per la sua vita e aveva agito non per ferirla senza alcuna ragione, ma per proteggere se stesso.
Eppure lei lo aveva minacciato di morte, promesso una morte violenta e, tornando indietro, probabilmente lo avrebbe rifatto.
Ho promesso a me stessa che non avrei permesso a nessun uomo di toccarmi contro la mia volontà, non importa chi sia o quale posizione rivesta nella società.
La lealtà verso se stessa sarebbe sempre stata messa davanti a tutto e a tutti, il suo bene prima di tutto ciò che le era stato insegnato:
Sii sempre leale verso il tuo signore, verso tuo marito, poiché da lui dipende la tua sorte. — soleva ripeterle sua madre, una donna coraggiosa e forte, ma debole quando i sentimenti per un uomo venivano chiamati in causa — Non dimenticare mai il tuo posto, a chi devi la tua posizione e la tua stessa vita.

Si domandò se sua madre sarebbe stata fiera di lei oppure oltraggiata e delusa da ciò che era diventata, dalle decisioni che aveva preso: aveva imparato ad imbracciare un’ascia, aveva ucciso persone, accettato e imparato a convivere  con i suoi sogni e i suoi presagi come sua madre non aveva mai fatto, diventando padrona di se stessa e della sua vita.
Sono qui per compiere una missione, la missione che Odino mi ha assegnato; sono qui per condurre Guthrum alla vittoria, per rendere il suo nome immortale, essere il tramite per raggiungere un fine più grande di me o di qualsiasi altro. Questo è ciò che importa davvero, la sola cosa che importa e che rende insignificante tutto il resto.

Non doveva dimostrare niente a nessuno, i suoi presagi avrebbero parlato per lei; non aveva bisogno di qualcuno a proteggerla, a quello avrebbe pensato la sua ascia; non aveva bisogno dell’amore di un uomo, perché gli uomini erano esseri volubili, incapaci di amare incondizionatamente e per tutto l’arco di una vita.
Mio padre non mi ha mai amato, il mio promesso sposo non mi avrebbe mai amata nel modo in cui meritavo di essere amata, tantomeno lo farà un qualsiasi vichingo al servizio di Guthrum.

Arrivata al fiume si spogliò di ogni indumento, rimanendo nuda davanti alla natura e, senza temere il freddo o correnti, si immerse fino alle spalle: Hrafnhildr alzò il capo, osservando il cielo azzurro sopra di lei e, preso un respiro profondo, scomparve sotto il sottile filo dell’acqua.  

 

*
 


Angolo Autrice: Hello, folks! Come spiegare questo capitolo? Diciamo che è di passaggio, diciamo che non mi soddisfa come il precedente... diciamo pure che ho lasciato i personaggi liberi di muoversi come volevano e ho scritto ciò che in quel momento mi è balenato in testa. Insomma, diciamo pure che come capitolo è molto random, anche se si scopre qua e là qualcosa dei nostri protagonisti.
Nel prossimo succederà altro, qualcosa di più succulento sotto il punto di vista storico, sempre che questi due e la storia non mi sfugga di mano! lol ù.ù
Ringrazio, come sempre, tutti voi che leggete, quelle poche anime che seguono la storia e voi che recensite. Grazie, davvero, perchè senza i vostri pareri e le vostre belle parole probabilmente mi sarei arresa da un pezzo... *3*

Alla prossima,
V.

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Capitolo 6
*** 06. ***


 
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Il sole del terzo giorno stava iniziando la sua lenta discesa quando, da lontano, il vento dell’Ovest portò con se un rumore di zoccoli contro il bruno terreno, parole aspre pronunciate con fretta e nervosismo che solo un orecchio ben allenato e sempre attento come quello di Hrafnhildr avrebbe potuto cogliere tra il brusio del villaggio e il chiacchiericcio delle donne che, insieme a lei, stavano sbrigando le quotidiane faccende domestiche.
La giovane veggente mise da parte il suo minuzioso lavoro di intreccio, alzandosi in piedi e puntando il suo sguardo verso l’orizzonte ammantato di lunghe ombre del pomeriggio, pronta a scorgere in qualsiasi momento la cavalcatura spronata alla massima velocità farsi largo tra la folla e fermarsi davanti alla grande dimora in cui, impegnato con i suoi affari, si trovava Einarr.
Hrafnhildr aveva atteso quel momento dal primo istante in cui era giunta in quel villaggio di agricoltori e guerrieri, sicura delle sue parole e di ciò che queste avrebbero comportato per tutti loro eppure in quel momento, immobile e con il cuore che martellava veloce nel suo petto, la giovane ammise a se stessa di non essere pronta per ciò che Odino aveva in serbo per il suo futuro.

“Va tutto bene, cara?” chiese una delle donne con cui aveva lavorato tutta la mattina, accostandosi a lei e cercando di scrutare qualcosa di interessante tra la folla, nel punto in cui la giovane continuava a tenere puntati gli occhi.
“E’ giunto il momento. – sussurro la giovane dai capelli scuri, sospirando – Il messaggero è qui.”

Un passaggio si aprì tra la gente l’istante successivo, mostrando uno stremato ronzino dal manto marrone scuro cavalcato da un giovane dai capelli dello stesso colore e dal viso sporco di terra e polvere.
Il vichingo senza nome smontò di tutta fretta da cavallo e si incamminò a passo svelto e nervoso verso la dimora di Einarr, proprio come Hrafnhildr aveva preannunciato.

“È qui per me, — annunciò con voce grave — il momento tanto temuto e aspettato è finalmente giunto. Spero solo che Odino non mi abbia ingannato e che il Senz’Ossa abbia sconfitto gli eserciti della Northumbria com’è stato predetto.”

Ivar Ragnarsson era partito alla volta dei regni degli Angli e dei Sassoni mesi prima, persuaso da messaggeri che portavano notizie dai suoi fratelli minori impegnati in una cruenta guerra contro il signore della Northumbria, Ælle, l’uomo che aveva ucciso il loro padre e signore, Ragnar, quasi un anno prima. Otto drakkar erano salpate dallo stretto di Kattegat insieme a lui, vascelli da guerra portatori di morte, sulle cui prue era stato intagliato il drago vendicativo e spietato che avrebbe messo in ginocchio qualsiasi nemico.
Nessuno aveva avuto più notizie da quel giorno di quasi due mesi prima, tantomeno era loro nota la sorte di Bjorn, Hvitserk e Sigurd, figli minori di Ragnar Loðbrók, o quella di Gorm Knutsson, principe dello Jutland e figlio del sovrano della terra in cui Hrafnhildr era nata e cresciuta.

Presto anche il Danese si unirà a loro. È Odino che lo comanda. —


 


**
 



“Mio Signore? – una voce rauca e timorosa parlò – Mio Signore, cosa credete sia giusto fare?”

Einarr si riscosse dal torpore dei suoi pensieri e guardò l'anziano dalla folta barba grigia e nera giunto quella mattina al suo cospetto. Come ogni settimana, era consuetudine dello jarl ricevere la gente che viveva nel villaggio e in quelli limitrofi, ascoltare le loro lamentele e prendere decisioni importanti circa delicate questioni.
Quella mattina in particolare erano stati molti quelli accorsi alla sua presenza, uomini e donne che lamentavano faide con i vicini circa il bestiame o il raccolto, contadini che avevano perso i frutti della terra a causa di una pioggia troppo violenta o del caldo improvviso, artigiani non pagati per il loro minuzioso lavoro e che avevano deciso di portare il mal pagatore davanti al loro comune signore, sperando in una punizione esemplare.
L’allevatore che se ne stava immobile in piedi davanti alla sua imponente sedia intagliata e ricoperta di pellicce continuò a fissarlo accigliato, domandandosi se quel giovane uomo della stessa età del maggiore dei suoi figli avesse ascoltato anche solo una parola del suo racconto, se fosse davvero interessato ai problemi dei suoi sudditi o semplicemente fingesse.
“Perdonatemi, mi devo essere assorto senza volerlo. — rispose con vergogna Einarr — In questi giorni la mia mente è colma di pensieri e oneri che gravano sulle mie spalle.”
L’allevatore grugnì, nient’affetto soddisfatto da quella giustificazione per lui sciocca e puerile; un signore che non riusciva a mettere da parte le preoccupazioni era uno jarl debole, che ben presto sarebbe stato scalzato da un guerriero più forte, più meritevole di tale compito.
“Le mie pecore, Minn Herra1 – ricordò piccato — I lupi hanno attaccato il mio gregge, uccidendone almeno cinque, di cui tre appena nati e per questo vorrei essere ricompensato.”
“Non posso ricompensarvi per tale costo, ma posso darvi qualche pezzo d’argento2, un calice magari, così da poter ripopolare il vostro gregge.”
L’allevatore si strinse nelle spalle leggermente ricurve, annuendo e accennando un lieve inchino in segno di rispetto: sapeva che non avrebbe potuto chiedere altro e, contento, permise ad alcuni soldati di scortarlo fuori, dove avrebbe avuto il suo lauto risarcimento.

Einarr si lasciò cadere all’indietro, spalle a braccia contro la seduta, sospirando: quella giornata sembrava non finire mai, ogni ora era lunga come un anno e la parte più difficile doveva ancora arrivare. Era il terzo giorno, il sole stava per tramontare e lui si stava preparando mentalmente a ciò che presto avrebbe dovuto fare: condannare a morte la Veggente, come il suo signore Guthrum aveva ordinato.
Nessuna notizia era giunta da Odense, nessun messaggero con notizie da Est, dalle terre in cui i figli di Ragnar stavano combattendo una decisiva guerra che, se vinta, avrebbe per sempre cambiato le sorti del loro popolo.
Una parte di lui sperava di non dover affrontare anni incerti, guerre e saccheggi che avrebbero lordato le sue mani eppure un’altra parte sapeva che la guerra era ciò che più importava nella vita di un vichingo; la guerra lo avrebbe condotto nel Valhalla, dove avrebbe banchettato nelle immense sale dai tetti di scudo insieme ai suoi amici e ai suoi antenati, al cospetto di Odino.

Lo stesso Odino che mi ha tolto ogni cosa, che ha permesso a Hel, Signora degli Inferi, di strapparmi tra le braccia la mia amata moglie e il mio neonato bambino. —


Allo stesso modo, la guerra avrebbe risparmiato la vita della Veggente, a lui una condanna a morte ingiusta: la fanciulla dello Jutland si era dimostrata diversa dai soliti indovini giunti nella sua dimora, dal vecchio cieco, morto anni prima per sua mano, la cui anima era avvizzita e le cui parole erano state portatrici di morte e sciagura per lui e la sua famiglia.
Hrafnhildr era gentile con tutti, si impegnava molto nelle faccende domestiche e, nonostante il suo carattere controverso e i segreti che, Einarr ne era sicuro, custodiva nel suo animo tormentato, faceva del suo meglio per non dare nell’occhio e non inimicarsi la popolazione poco incline a simpatie verso stranieri o persone come lei.
Mi ha minacciato, promesso morte eppure io non ho alcun desiderio di privarla della vita. —
C’era qualcosa in lei, qualcosa di misterioso e indecifrabile che Einarr trovava affascinante, qualcosa che lo attirava e allo stesso tempo lo teneva lontano: lo jarl non avrebbe permesso alla sua curiosità di trasformarsi in debolezza, farlo avvicinare più del dovuto a Hrafnhildr, renderla una piacevole compagnia, una possibile alleata e amica. Lei era sua prigioniera e, proprio per questa ragione, Einarr si era tenuto alla larga da lei, evitando qualsiasi contatto, sia verbale che fisico.

La grande porta lignea si aprì dall’altro lato della sala, permettendo al vento della prima sera e a un messaggero mai visto prima di fare il loro frettoloso ingresso.
Einarr si raddrizzò sul suo scranno, riconoscendo immediatamente lo stemma di Guthrum cucito sulla mantella consunta del giovane, pronto a ricevere qualsiasi notizia, scoprire la sorte di Hrafnhildr e la propria. Neanche per un istante aveva dubitato della memoria del suo signore, mai aveva messo in dubbio le sue parole, poiché il Danese non diceva mai nulla con leggerezza e mai dimenticava le promesse fatte.
“Minn Herra. – il messaggero si inginocchiò al suo cospetto — Porto notizie dal Danese, un messaggio importante.”
Einarr deglutì rumorosamente e trattenne il fiato: ancora pochi istanti e avrebbe scoperto il suo destino. Sarebbe stata guerra o morte? Guerra contro gli adoratori dell’unico dio o morte per la bella veggente venuta da lontano? Il suo animo era spaccato in due.
“Il Senz’Ossa ha mandato messaggeri da Jorvik3, dove egli banchetta insieme ai suoi fratelli e festeggia la vendetta per suo padre Ragnar e il proprio nome. – annunciò — Ælle è stato sconfitto, attende la morte in una fredda cella e ben presto l’ira dei figli di Ragnar si abbatterà sui restanti regni degli Angli e dei Sassoni. La Mercia sarà il loro prossimo obbiettivo o l’Anglia dell’Est.”
“E così le parole della Veggente si sono dimostrate vere. — sussurrò, più a se stesso che al giovane — Ditemi, Messaggero, quali ordini da Odense?”
“Guthrum richiede quanto prima la vostra presenza. La vostra e quella della Veggente, poiché ritiene che ella sarà una presenza preziosa nella guerra che incombe. Inoltre, il Danese vi chiede di radunare i vessilli, riempire la sua flotta con le vostre migliori drakkar e prepararvi a salpare entro due settimane.”
“Una promessa per entrare nel Valhalla. – Einarr sorrise, percependo il suo lato vichingo risvegliarsi nel profondo del suo animo — Torna dal tuo signore, Messaggero e comunicagli questo: tra cinque giorni, Einarr Þórvaldsson giungerà ad Odense con i suoi più leali e forti uomini, pronto a solcare i mari e portare morte e distruzione agli adoratori dell’unico dio. Ditegli, inoltre, che tra le mie fila ci sarà anche Hrafnhildr la Veggente, la nostra più preziosa arma.”
 



**
 


Hrafnhildr fu scortata all’interno della sala grande non appena il messaggero si rimise in sella, diretto verso Odense dopo un frugale pasto a base di zuppa di patate e pane appena sfornato.
Einarr la osservò avvicinarsi lentamente, lo sguardo basso e il viso pallido, domandandosi cosa le passasse per la testa: Odino era tornato nei suoi sogni, avvisandola dell’arrivo del messaggero e di ciò che sarebbe accaduto oppure anche lei brancolava nel buio, non più certa del futuro?
I disegni degli dei erano spesso nebulosi, le interpretazioni dei mortali ancor più fallaci: lui per primo lo sapeva bene, aveva pagato a caro prezzo la sua tracotanza, forte delle parole che per mesi il dannato vecchio gli aveva ripetuto, promesse vacue di un erede sano e forte, di una dinastia che avrebbe portato avanti il suo nome per decenni.

Tutto ciò che ho avuto è stato un bambino morto pochi mesi dopo il parto, troppo gracile per sopravvivere all’inverno, e una moglie morta nel suo stesso sangue. —  


“Notizie sono giunte da Odense! – esclamò a voce alta Einarr, ghignando — Guthrum ha mandato un messaggero per comunicarmi importanti decisioni, decisioni che riguardano il nostro imminente futuro.”
Einarr continuò ad osservarla attentamente, cercando una qualche reazione da parte della fanciulla: il suo volto era una maschera indecifrabile, persino i suoi occhi non lasciavano trasparire alcuna emozione. Attorno ai suoi fianchi sinuosi era legato un sacchetto contenente delle rune, dalle quali non si separava mai, e Einarr si domandò se anche quella mattina, come tutte le altre, la Veggente le avesse consultate. Cosa mai le avevano detto i messaggeri degli Æsir? Che lei conoscesse più di quanto lui stesso o anche Guthrum sapevano, piani divini ancora da svelare?
“Il Senz’Ossa ha diffuso preziose notizie, informazioni circa una preziosa vittoria a Jorvik, nella terra chiamata Northumbria. – proseguì solenne – Egli ci chiede di unirci a lui nella conquista dei restanti regni, dividere con lui la grandezza dei Figli del Nord, rendere immortale i nostri nomi. Una Grande Armata sorgerà, portatrice di morte per chiunque la incontri sul suo cammino e tutti noi siamo chiamati a unirci. Anche voi, Veggente, che prima di tutti gli altri avete previsto attraverso le rune e i sogni ciò che è il volere di Odino e degli Æsir.”
Hrafnhildr si lasciò scappare un lieve sorriso: “Cosa ordinate, dunque?”
“Guthrum vuole tenervi stretta, poiché le vostre parole sono preziose e, sebbene la mia opinione riguardo quelli come voi non sia cambiata, sarò più che felice di esaudire la sua richiesta. — fece schioccare la lingua sul palato e, facendo leva sulle braccia possenti, si alzò — Partiremo entro quattro giorni alla volta di Odense, quindi tenetevi pronta e non scomparite nell’oscurità della foresta, perché in quel caso vi inseguirei e la punizione non sarebbe piacevole.”
“Non temete, non fuggirò: ora la mia vita ha finalmente un senso; adesso posso mettermi al servizio di qualcuno che conosce il mio potere, che mi rispetta e mi renderà grande. Entrambi lo diventeremo e di noi e delle nostre gesta si parlerà per dieci, cento anni, fino a quando l’uomo tramanderà la sua storia e la sua mente saprà ricordare.”
 

*




1. In norreno significa: "Mio Signore"
2. Anticamente nella società norrena il valore di argento e di oro non era necessariamente legato al conio, che all'epoca era poco noto. Per questo motivo, il conio, quel poco che arrivava, era valutato esclusivamente per il suo peso e non per il suo singolo valore. Esso, infatti, circolava insieme ad altri oggetti dello stesso metallo - argento e oro - come per esempio i gioielli o i bottini delle razzie. Questa tipologia di economia veniva chiamata "Economia della massa/metallo" (in inglese Bullion Economy), in cui è appunto il peso e la purezza del metallo ciò che più importa e non la forma che esso prende. 
3. Antico nome della città di York.




Angolo Autrice: Hello, Folks! Posso dire con certezza che un primo, importante capitolo di questa storia si è chiuso. Da adesso in avanti il tono cambierà, entreremo più nel vivo della Storia, degli avvenimenti degni di nota e delle battaglie. Le parole della nostra Veggente si sono concretizzate, ognuno dei personaggi adesso si deve preparare alla guerra e al proprio destino. In questo capitolo, inoltre, si sono accennate brevemente le vicende narrate nella mia principale storia, Figli del Nord, che appunto vede Ivar Ragnarsson, il Senz'Ossa, e i suoi fratelli impegnati nella conquista di York e nella sconfitta dell'esercito della Northumbria. Non mi sono volutamente soffermata molto, poichè più avanti farò chiarezza sulle vicende per chi non segue l'altra storia, andando a presentare, per pochi capitoli, i protagonisti dell'altra. Insomma, se avete domande fatele pure, ma sappiate che tutto avrà una risposta a breve. Per tutto il resto c'è Mastercard  potete consultare le fonti citate nel prologo o semplicemente Wikipedia.

Alla prossima,
V.


P.s. Cosa ne pensate del nuovo banner? Meglio questo o il precedente? :3

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Capitolo 7
*** 07. ***


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Hrafnhildr chiuse gli occhi e si riempì i polmoni di aria salmastra. Il mare, vasta distesa blu all’orizzonte, circondava la possente drakkar da ogni parte, rivelando la sua presenza e il suo soave canto infrangendosi sulla chiglia, sulla lignea prua sulla quale era stata posizionata una testa di drago intagliata appositamente per quell’occasione.
Alle sue spalle, anche l’ultimo pezzo di terra era scomparso, inghiottito dal blu cobalto e dal turchese che paravano fondersi in una sola cosa.
Riaprì gli occhi, osservando incantata il mare divenuto schiuma a contatto con la drakkar, le piccole gocce che, inondati di luce, le ricordarono le lucciole che popolavano il bosco adiacente alla sua dimora d’infanzia.
Senza proferire parola, ritornò a mirare la linea infinita dell’orizzonte, filo della vita sospeso tra cielo e terra a cui tutti loro, come burattini, erano legati.
Il suo destino era legato a quello della nave, a quello degli uomini e delle donne guerriere che condividevano con lei l’acqua e il cibo; la sua vita era legata a Guthrum, il sovrano dall’aspetto minaccioso e cupo, e a Einarr, lo jarl silenzioso che costudiva nel suo animo tristi segreti.
Tornò indietro con la mente di una settimana, al giorno in cui era arrivata, insieme allo jarl e agli uomini che egli aveva reclutato personalmente, a Odense: la dimora in cui Guthrum viveva era una delle più grandi e maestose che avesse mai visto, seconda solo a quella abitata da Knut, il sovrano dello Jutland, della terra in cui era nata quasi vent’anni prima.
Qui, impaziente, il sovrano dell’isola di Fyn gli stava attendendo con notizie giunte dalle terre a Ovest, da quel regno chiamato Northumbria che Hrafnhildr aveva conosciuto soltanto attraverso le avventurose storie degli uomini che, decenni prima, avevano combattuto ferocemente contro quel popolo adorante di un unico dio e di suo figlio morto su una croce.

Ælle di Northumbria è stato sconfitto — aveva detto non appena Einarr era giunto alla sua presenza e aveva porto i propri omaggi — Presto vendetta sarà fatta, ma il Senz’Ossa non si limiterà a questo: la sua mente è acuta, la sua brama non conosce fini ed è sua intenzione mettere in ginocchio tutti i regni dell’isola chiamata Inghilterra.
Hrafnhildr aveva fatto fatica a nascondere un sorriso soddisfatto nell’ascoltare quelle parole, le stesse che, mesi prima, Odino le aveva preannunciato in sogno: la vittoria dei figli di Ragnar si era finalmente compiuta, primo tassello che avrebbe portato tutti loro a raggiungere l’immortalità, il Valhalla tanto desiderato, dato alla loro vita una sfumatura nuova ed emozionante.
Le tue parole si sono dimostrate veritiere, Veggente — le aveva detto, quasi a leggerle nella mente — La Mercia sarà la prossima a cadere, proprio come voi mi avevate detto, ma Ivar Ragnarsson avrà bisogno di noi per conquistarla. Io, invece, avrò bisogno di voi al mio fianco.
Gli occhi di Hrafnhildr si sgranarono, mentre Einarr puntò i suoi su di lei: lo jarl non aveva mai preso seriamente in considerazione le possibilità di affrontare il viaggio verso la Northumbria insieme a lei, insieme a quella veggente che, nello stesso modo, l’attirava e lo repelleva; neanche per un istante aveva creduto di poter sentire tali parole, eppure Guthum aveva dichiarato con forza la sua volontà, una volontà che nessuno di loro, neanche la stessa Hrafnhildr, avrebbe messo in discussione.
Voi mi onorate, Signore. — gli aveva detto Hrafnhildr, compiaciuta — Già durante il nostro primo incontro ho espresso il mio profondo desiderio di servirvi e adesso che ho la vostra fiducia non mi tirerò certo indietro: verrò con voi, vi servirò come meritate, e combatterò i nemici senza risparmiarmi.
Una veggente e anche una skjaldmær! – esclamò il danese ridendo – Odino mi sorride, questo è certo. Ebbene così sia, Veggente: raccogli il tuo scudo e la tua ascia e preparati a partire. Ma prima, tutti voi preparatevi a banchettare, perché questa sera, in questa stessa sala, verranno servite le pietanze più pregiate e molti saranno i brindisi in onore degli Æsir e dei Vanir.


E così, come aveva annunciato Guthrum, quella sera avevano banchettato abbondantemente, bevuto la birra più buona che la giovane avesse mai assaporato, non prima però di aver sacrificato robuste bestie a Odino e Thor: sette capre e sette maiali erano stati sacrificati, come da tradizione, al padre degli déi ed era stata la giovane veggente a prendersi le loro vite e marchiare la terra e i volti degli uomini con il loro sangue.
Le loro teste, secondo tradizione, erano state impalate ed esposte agli elementi naturali mentre i tamburi ancora rimbombavano nell'aria fresca della sera; i loro occhi, divenuti vitree ombre proiettate sull'orizzonte infinito, sarebbero stati gli occhi degli Aesir e dei Vanir e avrebbero protetto la dimora in assenza del suo legittimo padrone.
Solo e soltanto dopo i riti il banchetto era iniziato, dando così inizio a festeggiamenti che si erano conclusi solo due giorni dopo.
In verità, quei festeggiamenti erano stati per Hrafnhildr i più fastosi a cui avesse preso parte, di gran lunga superiori anche a quelli del suo stesso matrimonio non solo per la qualità del cibo, ma anche per la musica suonata magistralmente da cantori provetti e per l’atmosfera imperiosa e grandiosa che si respirava; Guthrum stava dimostrando ai suoi uomini il suo potere, aveva persino concesso ad alcuni di loro le sue schiave, così che i commensali saziassero non solo l’appetito della gola, ma anche quello della lussuria.
Hrafnildr aveva preso posto tra i commensali più illustri, in un’ampia sedia di legno sormontata da calde pellicce situata sulla pedana riservata al signore e ai suoi più stretti parenti e amici: era stato un modo, quello, di mostrarle la sua più completa fiducia e rispetto. Lo stesso rispetto che, da quel giorno in avanti, ogni norreno le avrebbe dimostrato.


“È la prima volta che vi allontanate così tanto da casa, vero?”
Una voce la colse alla spalle: Einarr si piazzò accanto a lei, braccia conserte strette contro il petto, e mirò il mare mentre il vento gli scompigliava i biondi capelli.
“Non ho più una casa da tempo…” rispose ed era la verità: erano passati molti anni dall’ultima volta che si era sentita a casa, benché anche là non fosse completamente la benvenuta.
Per tutta la vita, Hrafnhildr si era sempre sentita fuori luogo, di troppo: i suoi fratellastri non l’avevano mai accolta in famiglia, lei che era figlia di una donna da sempre accusata di aver sedotto, attraverso la magia, il signore di quelle terre; nessuno, in quel villaggio pieno di lingue velenose, aveva pianto per lei quando, alla soglia dei quindici anni, aveva abbandonato la materna dimora per sposare un uomo più grande, un uomo che, sperava, l’avrebbe fatta sentire a casa.
Le cose, però, non erano andate secondo il suo volere, poiché gli Æsir avevano ordinato altro per lei, anni di solitudine e infelicità, trascorsi ad allenarsi senza sosta in un villaggio di sole donne guerriere che le avevano insegnato l’arte della spada, perfezionato il suo dono della divinazione.
“E voi, nobile Einarr, vi siete mai allontanato così tanto da casa?”
“Ho razziato in passato, certo, ma mai a Ovest. – rispose con altrettanta sincerità – Guthrum, come suo padre prima di lui, ha sempre preferito le gelide steppe dell’Est, le vaste lande desolate abitate da popoli costretti spesso allo stremo per la fame e per il freddo.”
“Che razza di popolo pensate saranno questi inglesi?” chiese curiosa.
“Sicuramente non degli sprovveduti. È un popolo fiero, legato alla propria fede, con un esercito ben preparato e mura cinte di pietra. I loro uomini non sono stolti, ma soldati ben addestrati e per questo motivo temo che sarà molto il sangue versato. – la guardò con la coda dell’occhio, inaspettatamente preoccupato per l’incolumità della giovane – Avete già ucciso in passato, vero?”
Hrafnhildr trattenne il fiato nell’udire quella domanda, ma non si scompose. Certo che aveva già ucciso, aveva ucciso molti uomini e anche due donne guerriere, ma era stata la sua prima vittima quella che le aveva cambiato per sempre la vita: aveva per la prima volta privato qualcuno della vita lo stesso giorno in cui era scappata – scappata o lasciata andare? – dalle grinfie di Canut, l’uomo che l’aveva privata di un futuro felice e della sua innocenza; era accaduto poco lontano in cui la morte, sotto forma di veleno e patricidio, si era insidiata nella sua vita ed era stato proprio uno degli uomini fedeli a Canut, un fetido omuncolo dai denti marci e l’alito pesante, a saggiare per la prima volta la rabbia e la forza della giovane veggente.
Hrafnhildr ricordava di come, non visto, l’uomo dal nome a lei ignaro l’aveva seguita nel bosco e di come, di sorpresa, le era saltato addosso e aveva cercato di abusare di lei come il suo signore aveva fatto per una notte e un giorno.
Ricordava il suo fiato su di lei, si come l’olezzo del suo corpo ancora sporco di sangue le avesse provocato un conato e di come, improvvisamente, al centro del suo petto la paura aveva lasciato il posto alla rabbia e alla sete di sangue: raccolta una forza che neanche lei pensava di avere, Hrafnhildr era riuscita a divincolarsi e, afferrata una pieta abbastanza appuntita, aveva colpito con questa la testa dell’uomo, il quale era caduto all’indietro, stordito e ferito. Con la stessa forza, una forza che si andò a mescolare a una rabbia cieca, quella che era stata una pura fanciulla aveva continuato ad infierire sull’uomo, colpendolo più e più volte sul capo, urlando a pieni polmoni il suo odio, continuandolo a colpire fino a quando il suo cranio non diventò una poltiglia informe di ossa, sangue e qualcosa che assomigliava ad un cervello umano. Solo allora, sporca sul viso e sulle braccia del sangue della sua prima vittima, Hrafnhildr si fermò, lasciò cadere la pietra con cui aveva strappato alla vita l’uomo e, imperturbabile, si rimise in piedi e riprese il suo cammino verso una destinazione ancora ignota.
“Certo che ho ucciso degli uomini, - rispose piccata – ne ho uccisi più di quanti voi crediate. Il primo, che cercò di violarmi, l’ho ucciso a mani nude, con una pietra appuntita che gli ha aperto la testa come una mela troppo matura.”
Einarr sorrise, non con l’intenzione di schernirla, tuttalpiù ammirato: poche volte aveva incontrato una fanciulla come quella, una giovane donna che continuava sempre a stupirlo e a riservargli piacevoli sorprese.
“Freya avrà sicuramente apprezzato quella morte, il sangue dell’uomo che ha nutrito la sua terra e l’ha resa fertile. – le disse, guardandola negli occhi – Uomini del genere non sono degni della vita che gli dei hanno donato loro, meritano una morte atroce, essere privati dell’onore del Valhalla.”
“Lo credete davvero?” chiese, piacevolmente sorpresa.
“Certo, io non scherzo mai quando si parla del Valhalla. – rispose con sicurezza – Ora, però, è tempo di metterci al lavoro: il viaggio è appena iniziato e non si può mai sapere cosa il mare riserva per coloro che navigano le sue misteriose e impietose acque. Inoltre, questa drakkar non arriverà in Northumbria senza questo equipaggio. Grandi avventure ci aspettano nella terra degli angli, di questo oramai ne sono certo, ma prima di tutto il mio compito è assicurarmi che tutti i miei uomini arrivino sani e salvi.”
Einarr si zittì per un istante, tentennando, ma poi gentile aggiunse: “I miei uomini, certo, e anche ogni maledettissimo indovino."
La giovane donna dello Jutland aggrottò la fronte, solo falsamente offesa, in realtà divertita da quella strana complicità che si stava creando tra loro due, dai loro sguardi dai colori opposti - chiaro quello del conte, scuro il suo - che si studiavano affascinati.
“In questo caso, pregherò Odino affinché il viaggio sia tranquillo, per chiedere la sua clemenza.”
“Siete una strana donna, indovino, una di quelle che poche volte si incontra sulla strada della vita e, dopo tutto, credo fermamente che gli Æsir vi abbiano in simpatia. – confessò, rivelando un pensiero che, da giorni, gli ronzava fastidioso nella mente – Pregate anche per me, dunque, poiché io non ho ancora trovato il coraggio per farlo.”
Hrafnhildr annuì, nascondendo l’ombra di un sorriso: quelle parole, tanto inaspettate quanto ben gradite, erano giunte inaspettate alle sue orecchie. Forse, pensò mentre osservava Einarr affiancare uno di suoi uomini e dargli degli ordini ben precisi, c’era molto di più dietro quell’aria impassibile e quello sguardo cupo in apparenza impenetrabile, ancora speranza per loro due; forse, con il tempo e con il favore del destino, il conte sarebbe potuto persino diventare un prezioso alleato, un buon amico, qualcuno su cui fare affidamento. Forse…


 


*


Angolo Autrice: Hello, folks! Lo so, questo capitolo è breve, di passaggio e arriva anche dopo tanto tempo. Purtroppo, questo è un periodo incasinato per me, e non avendo molto tempo libero mi è difficile stare dietro a delle storie così accurate e che necessitano di ricerche come questa. Spero, tuttavia, che questo settimo capitolo via sia piaciuto e di leggere qualche opinione.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 8
*** 08. ***


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Non era stato un viaggio facile quello intrapreso. Le drakkar avevano navigato su di un mare clemente, le vele erano state gonfiate da un vento forte e impetuoso, eppure non era mancati il freddo e le onde che, con la loro spuma bianca, avevano continuato a bagnare giorno e notte i visi e i corpi dei norreni, far rabbrividire le loro pelli e i loro corpi già provati dalle basse temperature del crepuscolo e della buia notte.
Benché la stagione del nóttleysi fosse iniziata da alcune settimane, le temperature erano ancora rigide, lontano da quelle calde e miti che caratterizzavano quella seconda parte dell’anno; inoltre, la vita in mare non si era dimostrata propriamente semplice, specialmente per una come Hrafnhildr, che mai prima d’ora si era imbarcata in una traversata così lunga o era stata per tanti giorni a così stretto contatto con uomini e donne guerrieri.
La veggente e il conte non avevano più parlato dopo l’ultima volta. Si erano tenuti a debita distanza anche se non erano mancati gli ordini, i consigli e i pasti consumati l’uno vicino all’altra: il loro rapporto, il loro strano e complesso rapporto, si poteva considerare ufficialmente basato sulla reciproca tolleranza, sulla reciproca stima e, soprattutto, sul reciproco aiuto in caso di necessità.
Quella mattina, la mattina del diciottesimo giorno, il sole era sorto silenzioso come sempre ad Est, coperto da delle nubi biancastre che facevano filtrare solo in parte i suoi tiepidi raggi obliqui: il mare era calmo, il suo colore di un verde così profondo da coprire il fondale, e benché alcuni dormissero ancora gran parte dell’equipaggio era già all’opera, impegnato nel dare ordini o nel remare senza sosta.
Hrafnhildr era tra quelli che riposavano, se na stava in un angolo raggomitolata e coperta dal grande mantello blu dal quale non si separava mai.
Il suo sonno, in quella notte appena trascorsa più di ogni altra passata, era stato turbolento, colmo di ombre, sangue, morte: un’aquila insanguinata era stata intagliata da un figlio maggiore in un cortile di pietra, aveva spiccato il volo alla presenza di Odino, compiacendo il signore di Asgard e tutti gli Æsir; i figli minori avevano assistito al rituale, brindato e cantato mentre le urla di una principessa giungevano sorde alle loro orecchie. Ombre scure si muovevano oltre il mare, eserciti le cui fila erano ingrossate da spiriti silenziosi in cerca di onore e gloria; corvi gracchiavano appollaiati sugli alberi spogli, i loro becchi erano affilati e i loro occhi brillavano nell’oscurità; infine c’era stato il vagito di un neonato, così forte e intenso da sovrastare il rumore della battaglia, da prevalere su ogni cosa.
Era stato il suono della vita che prevale sulla morte.
L’acuto garrito di un gabbiano la destò dal suo sonno: il volatile dalle ampie ali bianche volava alto nel cielo, il suo manto si confondeva tra le nubi, ma la sua presenza era reale, profetica, il segnale che da giorni stavano aspettando con impazienza.
La terra ferma era vicina, ancora poco e la flotta sarebbe sbarcata nelle terre degli angli e dei sassoni, avrebbe raggiunto la sua destinazione ultima.

“Remate, remate! – la voce squillante di Einarr ruppe il silenzio, i suoi comandi erano decisi – La terra è oramai vicina, amici, manca poco. Remate, forza!”
C’era impazienza nella sua voce, una sfumatura di euforia che lasciava intravedere la sua voglia di toccare le sponde di quelle terre protagoniste di avvincenti racconti che per anni aveva udito narrare alla corte di Guthrum e nella propria; per anni aveva immaginato le sue scogliere spioventi, i suoi fiumi, i villaggi, le città abitate da sovrani i cui volti erano stati impressi su delle monete di argento e oro, i loro palazzi e i loro ricchi tesori nascosti.
L’orizzonte si aprì in lontananza, il blu cedette il posto al verde e al marrone e al garrito dei gabbiani si accompagnò quello delle onde che si infrangono sugli scogli: l’Inghilterra si ergeva maestosa davanti a loro, bramosa di essere conquistata non senza fatica e morte, era ciò che di più bello Einarr avesse mai visto in tutta la sua vita.
Una nuova speranza, un nuovo futuro, una nuova vita.
“È bellissima… — sussurrò Hrafnhildr al suo fianco, stringendosi nel mantello del colore del mare — È la risposta a tutte le nostre domande, ai sogni enigmatici. Il nostro futuro.”
“Il futuro di tutti noi, sì. – concordò Einarr, continuando a osservare la costa sempre più vicina — Nonostante questo dovremo combattere strenuamente per conquistarci questo nostro futuro, poiché sono certo che i signori di queste terre lotteranno fino alla fine per difendere ciò che è loro, sacrificheranno anche l’ultimo dei loro uomini per mantenere il loro dominio.”
“Potete biasimarli?”
Einarr la guardò con la coda dell’occhio, distogliendo per la prima volta lo sguardo dall’orizzonte: “No, affatto. – rispose – Fossi in loro anche io combatterei fino al mio ultimo respiro per difendere dai miei nemici ciò che mi appartiene, coloro che amo.”
Hrafnhildr si domandò se lo jarl avesse mai amato davvero qualcosa o qualcuno, se il suo cuore fosse ancora in grado di amare: un tempo aveva amato la sua sposa, tutti nel villaggio erano stati testimone di quell’amore di cui adesso era proibito parlare, ma sarebbe mai stato in grado di amare nuovamente qualcosa o qualcuno? A questo, Hrafnhildr non aveva risposte.
“Sono stati i vostri nemici a privarvi di ciò che amavate di più al mondo, della vostra giovane sposa?” chiese, pentendosene immediatamente.
Gli occhi di Einarr si sgranarono, il suo corpo divenne teso, la sua mascella coperta da una bionda barba si contrasse e lo sguardo che la rivolse le fece raggelare il sangue nelle vene: “Cosa ne sapete voi della mia sposa? Chi vi ha detto di lei?”
“Io… — Hrafnhildr tentennò, cercando le parole giuste – Ne ho sentito parlare nel villaggio e…”
“Nel villaggio, dite? – Einarr sorrise algido, un sorriso amaro e nervoso – Dovrei tagliare la lingua ai miei sudditi, forse così impareranno a tacere una volta per tutte.”
“Mi dispiace, non avevo idea…”
“No, infatti, voi stupidi veggenti non potete capire. Voi vi divertite a giocare con il futuro della gente, a sussurrare al loro orecchio parole velenose, menzognere, che portano solo morte e tragedia. – la prese per un braccio e strinse forte – È per colpa di quelli come voi se mia moglie è morta, se tutto ciò che amavo mi è stato strappato via con l’inganno.”
La strattonò più forte, lasciando la presa sul suo braccio, facendola cadere rovinosamente sulle assi di legno della drakkar sempre più vicina alla spiaggia.
Anche quella volta, si disse, aveva rovinato tutto. Non sarebbero mai stati amici, loro due, e lei non sarebbe mai stata vista di buon occhio dello jarl, solo disprezzata per ciò che era.
Nessuno l’avrebbe mai amata, nessuno avrebbe mai voluto la sua amicizia ed era proprio questa la sua condanna: solitudine. Sarebbe per sempre stata sola, vista esclusivamente come un mezzo per avere risposte, per vaticinare i desideri e i voleri degli déi, il labile e sempre incerto destino dei mortali.
Niente amicizia, niente affetto, niente amore. Non per lei, mai per una come lei.


 

**




Percepire la terra sotto i piedi, la sabbia scura resa friabile dall’acqua salmastra fu come ritrovare l’equilibrio.
La drakkar erano state ormeggiate in un’insenatura naturale circondata da alte scogliere raggiungibili attraverso un unico sentiero roccioso e impervio immerso in una folta e vivida vegetazione: qui, i norreni avevano iniziato a mettere insieme un improvvisato e temporaneo accampamento, mandato mezza dozzina di volontari a perlustrare la zona in cerca di qualche segno di vita, di una possibile minaccia da parte degli abitanti di quelle terre.
Hrafnhildr si accomodò sotto una tenda che lei stessa aveva aiutato ad erigere insieme ad altri due uomini e una moglie di lancia, stando ben attenta a restare il più lontano possibile da Einarr che, in quel momento, se ne stava sul bagnasciuga a impartire ordini ai suoi uomini.
Anche Guthrum, l’imperturbabile e severo sovrano dell’isola di Fyn, era impegnato a urlare ordini ai suoi, in un andirivieni nervoso che lasciava percepire la sua impazienza, sensi sempre all’erta, pronti a captare qualsiasi suono o movimento.
Prima di partire il norreno della scura chioma le aveva chiesto un vaticino, di leggere per l’ennesima volta le rune, scrutare nell’immediato futuro: solo quando Hrafnhildr aveva nuovamente profetizzato il loro sicuro arrivo sulle coste inglesi, la loro vittoria e la grandezza che là stava aspettando tutti loro, Guthrum aveva dato ordini di salpare, lasciare la propria terra natia che, con il volere degli Æsir, nessuno di loro avrebbe rivisto tanto presto.
Ben presto la luce lasciò il posto al buio e Máni, insieme ai suoi inseparabili servitori Bil e Hjúki, face la sua comparsa sul suo argenteo carro lunare.
Piccoli fuochi vennero accesi qua e là sulla spiaggia, pallide fiammelle che rischiaravano l’oscurità attorno alle quali i norreni trovarono calore e riparo dei freddi venti notturni: Hrafnhildr sbocconcellò della carne sotto sale, ascoltando con attenzione i discorsi di chi le stava accanto, i piani d’attacco che Guthrum, seduto a gambe incrociate dall’altra parte del fuoco, stava condividendo con i suoi fidati jarl.
“Lasceremo questa spiaggia poco prima dell’alba, così da avere dalla nostra parte le ultime ombre della sera. - stava dicendo con la sua solita voce cavernosa, mentre i suoi occhi resi scuri dalla luce delle fiammelle si spostavano da uno jarl all’altro – Le drakkar veleggeranno a Nord, verso la foce del fiume Humber che risaliremo come hanno fatto i nostri alleati che in questo momento stanno festeggiando nella maestosa città di Jorvìk.”
“La Mercia non ci lascerà risalire il fiume tanto facilmente. – si intromise uno jarl, il volto segnato da rughe e lo sguardo severo di chi aveva combattuto molte battaglie – Ci saranno delle imboscate, frecce saranno scoccate e ora che la Northumbria è senza una guida e in fermento anche le loro terre saranno popolate da briganti, rabbiosi cristiani che tenteranno di attaccarci.”
“Che vengano pure! – esclamò Guthrum, sputando per terra – Non mi farò certo fermare da un branco di cristiani qualsiasi, tantomeno dalle frecce della Mercia e dalle loro minacce. Re Burgred e il suo esercito presto assaggeranno le nostre lame, le loro carni saranno dilaniate dalle punte delle nostre frecce e tutti loro verranno schiacciati dalla nostra forza.”

In silenzio, ombra tra le ombre, Hrafnhildr lasciò la piccola tenda, incamminandosi verso il bagnasciuga deserto, in direzione delle onde di cui percepiva soltanto il rumore del loro andirivieni perenne. Si sedette poco lontano, beandosi della freschezza della sabbia umida tra le dita dei piedi nudi, e alzò lo sguardo verso il cielo: le stelle brillavano, erano una vasta distesa infinita, misteriosa e affascinante allo stesso tempo; il vento era una lieve brezza notturna, freddo ma rigenerante, accarezzava le sue guance arrossate dal fuoco attorno al quale si era riscaldata e aveva trovato ristoro.
Con grazia slacciò il sacchetto contenente le rune che portava sempre con lei, suo unico contatto diretto con gli Æsir, con il loro creatore e dominatore Odino, il quale per primo le aveva permeate di potere e sapienza: ne estrasse una, poi un’altra, poi un’altra ancora, questa volta non per volontà di altri, ma per la propria, per scoprire cosa il signore di Asgard aveva in serbo per lei, per il suo futuro.
Attraverso loro, Hrafnhildr vide sangue, lotte furiose, conquiste; vide gioia, glorificazione, ma anche amore e, soprattutto, vita.
Nuove vite, nuove generazioni che avrebbero preso il posto di quelle vecchie, ma soprattutto vide chiaramente una vita nata dal suo ventre. Un bambino.
Sussultò, terrorizzata da ciò che aveva visto e con un brusco gesto insabbiò i piccoli sassi colorati sui quali le sue antenate avevano inciso quei segni misteriosi e magici, cercando di dimenticare ciò che aveva visto e dichiarando a sé stessa che il responso chiesto ad Odino non era altro che una burla dello stesso signore degli dèi, il quale si divertiva a giocare con il destino dei mortali, specialmente quelli che lo servivano con devozione.
Per la prima volta dopo anni sentì realmente la mancanza di sua madre. Avrebbe voluto chiederle cosa davvero significavano quei messaggi, cosa avessero davvero in serbo gli Æsir e i Vanir per lei; avrebbe voluto tornare al villaggio di donne guerriere in cui la sua arte della spada era nata e dove il suo dono della preveggenza era stato affinato solo per chiedere consiglio alle anziane, a coloro che le hanno insegnato a non aver paura di ciò che le rune mostrano, che tutto accade per una ragione e che, in un modo o nell’altro, otterrà limpide risposte a suo tempo.

Hrafnhildr si prese il viso tra le mani, affondando le dita nei neri capelli, respirando a fondo. Chiuse gli occhi, cercando di scacciare le immagini che i corvi di Odino le avevano inviato, l’immagine delle coperte macchiate di sangue e di un bambino che veniva messo tra le sue braccia tremanti. Un bambino, un bambino sano, che la fissava con i suoi occhi quasi del tutto ciechi. Il suo bambino.

“State bene?” una voce nel silenzio, nel caos della sua mente.
Hrafnhildr si lasciò scappare un lieve grido, spalancò gli occhi e indietreggiò quando riuscì a mettere a fuoco l’imponente figura di Einarr, inviato là da Guthrum per assincerarsi delle sue condizioni, che la sovrastava. La veggente non rispose, richiuse gli occhi e prese a scuotere la testa come una folle, come uno dei tanti saggi che erano soliti perdere la ragione con il passare degli anni e dei vaticini fatti per loro stessi e per gli altri.
Einarr continuò ad osservarla senza sapere cosa fare, come alleviare il suo dolore o capirne la causa; non l’aveva mai vista in quello stato, così lontana dalla razionalità, lei che era sempre stata imperturbabile e distaccata, lontana nello spirito da tutti loro. Poi, come un bagliore, una runa spuntò dalla sabbia e tutto gli fu chiaro:  erano state le rune a farla cadere in quello stato delirante, lo stesso Odino a creare nella sua mente immagini troppo più grandi di lei.
“C’è così tanto sangue. – sussurrò dopo un tempo che sembrò infinito, con un soffio di voce simile ad un rantolo – Sangue nei campi, sangue tra i villaggi e sulle lenzuola. Morte, vita, morte e ancora vita e… il mio corpo trema mentre la vita viene estratta dal mio corpo.”
Lo jarl si inginocchiò accanto a lei, abbastanza vicino da farle percepire la sua vicinanza, non abbastanza per farla sentire oppressa. Le sue parole non avevano alcun senso per lui, non dopo tutte quelle che le hanno precedute, profezie di vittoria, gloria, immortalità.
“Avete detto che giorni gloriosi ci attendono davanti a noi eppure adesso parlate di morte, sangue, disperazione. – disse, non potendosi più trattenere – Ci avete mentito, Veggente?”
Hrafnhildr sorrise algida, guardandolo come solitamente si guardavano gli stolti: “Non capite, vero? Non è il futuro del nostro popolo che ho visto, ma il mio. Le profezie erano destinate a me, solo ed esclusivamente a me.”
“Odino si prende gioco di me, - proseguì – lo ha sempre fatto e continuerà sempre a farlo. Io sono il suo strumento, la mia vita non vale nulla ed è proprio per questo che mi tormenta con immagini colme di morte, dolore; mi inganna facendomi vedere una felicità che non sarà mai, giorni che non arriveranno mai, uomini che non mi ameranno mai e figli che non darò mai alla luce. Presto la mia missione sarà conclusa, la mia mente andrà in pezzi e io sarò solo un involucro vuoto senza alcun valore.”
“Perché lo permettete? – chiese Einarr, avvicinandosi di più a lei – Perché permettete ai capricciosi Æsir di farvi questo, di giocare con la vostra vita?”
“Non ho scelta. – il sorriso che si dipinse sul suo volto fu il sorriso più triste che Einarr avesse mai visto – Ho provato, tentato di combattere ciò che sono, ma è inutile: Odino, Freya, Thor, tutti loro mi parlano attraverso i sogni e i vaticini, che io lo voglia o no. Nulla possiamo noi contro di loro, contro la loro volontà e i loro capricci.”
“Siamo troppo egoisti e avidi per farlo. – sussurrò Einarr, distogliendo lo sguardo – È stato proprio il mio orgoglio e la mia ambizione a condurmi alla miseria.”
Sospirò, prendendo coraggio: “Astrid… — disse, pronunciando quel nome che, per anni, aveva bandito dalle sue labbra – È così che si chiamava. Astrid, la mia bella e giovane moglie che io stesso ho ucciso.”
 

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Capitolo 9
*** 09. ***



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Quando, quella sera, Einarr si era seduto accanto al fuoco e agli altri jarl al servizio del Danese aveva sperato di parlare per lungo tempo di piani di battaglia e rotte marittime; quando, invece, Guthrum gli aveva ordinato di seguire la Veggente fuori la tenda che lui stesso aveva aiutato a costruire, la sorpresa e il disappunto dell’uomo erano stati grandi.
Nonostante questo, però, il biondo norreno aveva eseguito gli ordini con un cenno del capo e, in silenzio, aveva iniziato a seguire le orme lasciate dalla Veggente sulla spiaggia, raggiungendola poco dopo: Hrafnhildr era palesemente scossa, i suoi occhi erano sgranati nell’oscurità circostante e le sue parole erano state colme di sangue e morte.
Einarr aveva ascoltato, seppur confuso, ogni singola parola che la giovane donna gli aveva confessato e, per la prima volta da quando si erano incontrati, il norreno si chiese cosa la spingesse a continuare a servire quegli déi che, era chiaro, godevano nel tormentarla e burlarsi di lei.
Proprio come avevano fatto tanti anni prima con lui.

“Perché lo permettete? – le aveva chiesto, provando una genuina pena per lei, avvicinandosi di qualche passo alla figura in penombra dell’altra – Perché permettete ai capricciosi Æsir di farvi questo, di giocare con la vostra vita?”
“Non ho scelta. – il sorriso che le si dipinse sul suo volto fu il sorriso più triste che Einarr avesse mai visto – Ho provato, tentato di combattere ciò che sono, ma è inutile: Odino, Freya, Thor, tutti loro mi parlano attraverso i sogni e i vaticini, che io lo voglia o no. Nulla possiamo noi contro di loro, contro la loro volontà e i loro capricci.”
“Siamo troppo egoisti e avidi per farlo.”
 Sussurrò Einarr, distogliendo lo sguardo: in quel momento, nella mente del norreno, tornarono a prendere forma ricordi da troppo tempo tenuti lontani, memorie di un tempo in cui era stato felice, in cui quella stessa felicità si era trasformata in tragedia e cenere tra le sue sesse mani.  
 “È stato proprio il mio orgoglio e la mia ambizione a portarmi alla miseria. - sospirò, prendendo coraggio — Astrid…”
Einarr sapeva che Hrafnhildr aveva già udito quel nome, che aveva saputo del suo passato, della sua defunta moglie, lo capì dallo sguardo che gli riservò. Senza poterlo impedire, iniziò a parlare e raccontare, bisognoso di dire ciò che non aveva mai detto a nessuno.
“È così che si chiamava. Astrid, la mia bella e giovane moglie che io stesso ho ucciso.”


 
**



Aveva quindici anni la prima volta che la conobbi. Era la figlia di un nobile da sempre alleato della nostra famiglia, la sua primogenita ed io ero un uomo già fatto e finito, un vichingo che aveva viaggiato a Est e ucciso i suoi nemici.
L’amai immediatamente, fu facile per me farlo e ben presto le donai il mio cuore.
Ci sposammo in una notte di luna piena, mite, attorno a dei fuochi che squarciavano con le loro lingue rossastre l’oscurità della sera; ci sposammo alla presenza degli dei, davanti ad un goði che intrecciò le nostre mani e le nostre vite per sempre.
Astrid era dolce, gentile, in poco tempo conquistò l’affetto di tutti i suoi sudditi, ma il suo ventre non germogliava. Dopo più di due anni dalla nostra unione, il suo ventre continuava ad essere arido come un terreno dopo mesi di siccità.
Più il tempo passava, più la mia giovane moglie si sentiva inutile, indegna di sedere accanto ad uno jarl tanto famoso quanto rispettato; più il tempo passava, più le voci di una sua infertilità aumentavano, così come le voci che chiedevano lo scioglimento di quei voti fatti alla presenza di Odino e di tutti gli Æsir affinché io potessi essere libero di risposarmi.
Nonostante ciò, io continuavo ad amare Astrid incondizionatamente, fiducioso che un giorno non troppo lontano il figlio tanto desiderato sarebbe giunto.
Altre due lune arrivarono e passarono e con esse arrivò nuovamente il sangue che bagnò le cosce e la lunga tunica di lino della mia sposa. Astrid sembrava l’ombra della ragazza solare che un tempo era stata, non si dava pace, così decisi di fare ciò che non avevo avuto il coraggio di fare fino a quel momento: chiedere consiglio al Veggente, domandare un suo vaticino circa il mio futuro, il futuro della mia famiglia.

— Vedo un figlio, un giovane robusto e forte con occhi simili ai tuoi e lunghi capelli corvini che svolazzano nel vento; vedo il vostro viso compiaciuto mentre l’osservate crescere giorno dopo giorno, allenarsi in un cortile con i suoi coetanei, portare onore al vostro nome. Questo, Einarr Þórvaldsson, io vedo chiaramente. —


Dopo quella rivelazione, quella profezia piena di speranza fatta dal Veggente, mi unii ad Astrid ogni notte per i successivi due mesi. Nonostante le sue proteste, le sue lacrime, i suoi tentativi di tenermi lontano, la presi con prepotenza ogni notte fino a quando…
Tre mesi dopo mi annunciò con le lacrime agli occhi di portare in grembo il nostro bambino, riempiendomi il cuore di gioia e felicità come mai mi era capitato prima. I mesi che seguirono furono tranquilli, felici e ai miei occhi Astrid non era mai stata più raggiante: il suo viso era roseo, il suo corpo sempre più morbido e il suo ventre prominente era guardato con ammirazione da tutti nel villaggio. Presto, continuavo a ripetermi ancora e ancora, avrei conosciuto il figlio di cui il Veggente mi aveva profetizzato la grandezza.

I dolori iniziarono di notte e durarono per quasi due giorni. Astrid urlava, il ricordo del dolore e della disperazione di quelle urla ha continuato e continua ancora oggi a perseguitarmi di notte; molte donne dedite alla nascita dei bambini erano al suo capezzale, ma neanche quello bastò…
Astrid partorì un bambino nato morto, probabilmente soffocato dal suo stesso cordone e una settimana dopo morì anche lei a causa del troppo sangue perso e di una infezione che, le donne mi dissero, era comune tra le partorienti.

Bruciai il suo corpo insieme a quello di nostro figlio. Preparai per loro una maestosa pira funebre e guardai con le lacrime agli occhi il loro corpo diventare cenere e sparire per sempre. Il giorno successivo sgozzai il Veggente con le mie stesse mani, accecato dal dolore della perdita e bandii dalle mie terre ogni uomo o donna della sua razza.
Nessun veggente ha mai più messo piede nelle mie terre, non fino al giorno in cui la marea è mutata e siete giunta voi…

 



**



Rimasero in silenzio, cercando parole giuste da pronunciare, qualcosa da dire dopo quel triste racconto d’amore e morte.
Hrafnhildr conosceva la crudeltà delle divinità, l’aveva sperimentata sulla sua stessa pelle quando il suo sposo era stato avvelenato durante il loro banchetto di nozze e lei era stata violata contro la sua volontà, più e più volte per giorni, dal figlio bastardo dell’uomo.

«Non è colpa vostra. – disse, posando delicatamente la propria mano su quella di lui — So che lo credete, so che vi biasimate per ciò che è capitato, ma non l’avete uccisa voi.»
«Sì, invece! — ruggì con voce tremante — Io ho chiesto una profezia al Veggente; io ho continuato ad unirmi alla mia sposa anche quando lei mi pregava di non farlo, di lasciare le cose com’erano ed essere contenti con quello che avevamo. Io e solo io ho creduto alla profezia, a quel figlio che non avrò mai, alla falsa illusione di una famiglia.»
«Non è ciò che facciamo tutti noi? Sperare, pregare, illuderci… siamo esseri mortali, vogliamo ciò che non è nostro diritto avere, una felicità che non ci è concessa.»
«Parlate per esperienza…»
Hrafnhildr annuì: «Anni fa ho creduto di poterlo essere, mi sono illusa di poter trovare un briciolo di serenità nella mia vita e in un uomo buono, ma così non è stato.»
«Che fine ha fatto il vostro uomo?»
«Morto. — rispose algida — Ucciso dal suo stesso sangue durante un banchetto, avvelenato con i suoi uomini sotto i miei stessi occhi.»
«Veleno: l’arma dei codardi. Mi dispiace per ciò che vi è accaduto, nessuno dovrebbe mai assistere ad una cosa del genere, tantomeno una giovane fanciulla.»
«Mi piacerebbe asserire che è tutto dimenticato, che non sono tormentata da quei ricordi di tanto in tanto, ma non è così. — confessò la ragazza — Tuttavia, se non fosse stato per quella tragedia non avrei mai scoperto il villaggio di donne guerriere che mi ha insegnato l’arte della spada e dello scudo, aiutato a usare al meglio il mio dono e diventare ciò che sono.»
«La forza di volontà non vi manca, Veggente. — Einarr abbozzò un sorriso — Vi ammiro per questo, sapete? Siete impavida, non avete paura di sfidare la sorte, tantomeno vi lasciate intimorire da coloro che si mettono sulla vostra strada.»
Anche Hrafnhildr si concesse un fugace sorriso. Quello che Einarr le aveva detto era vero, la descriveva alla perfezione, ma a quale prezzo era arrivata quella sicurezza.
«Ho dovuto imparare ad esserlo. — confessò – In caso contrario sarei già morta da un pezzo, probabilmente non sarei mai uscita viva da…»
In un istante nella sua mente si delineò la figura di Cnut, il suo corpo lordo di sangue sopra di lei, lo stesso sangue ferroso che impregnava l’aria della dimora; per un istante, nelle sue orecchie riecheggiarono le proprie urlava che imploravano pietà e una misericordia che non era arrivata.

«Il passato è passato, dobbiamo imparare ad accettarlo e andare avanti. — asserì con voce fredda e distante — Vivere nel passato può solo portare alla follia; è il presente ciò che importa, un presente che serve per costruire un futuro migliore, un tempo da cui poter imparare dai nostri errori.»
«Credo abbiate ragione… — Einarr sospirò — Il passato è passato, ma è così difficile dimenticarlo, rinunciare a ciò che sarebbe potuto essere. Sapete, alle volte immagino ancora una vita insieme ad Astrid, al nostro bambino nato morto; alle volte mi chiedo, egoisticamente, se mai avrò un figlio, se quel bambino visto dal Veggente non sia solo una burla degli Æsir, ma qualcosa di più, qualcosa…»
«Non dovete biasimare voi stesso per questi desideri. — Hrafnhildr posò una mano sul quella di Einarr, cercando di dargli conforto — Non è sbagliato desiderare un futuro, una famiglia, un briciolo di felicità dopo tanta sofferenza.»
Einarr la guardò negli occhi per quanto quell’oscurità lo consentisse: le parole della giovane erano vere, ma lui non era ancora pronto a lasciare andare, a voltare pagina. Il senso di colpa era ancora troppo forte e lui ancora troppo debole.
«Dobbiamo tornare all’accampamento. — ordinò — Guthrum non è un uomo paziente, avrà iniziato a farsi domande, quindi è meglio se torniamo. Domani ci aspetta una lunga giornata ed entrambi abbiamo bisogno di riposo.»

Hrafnhildr acconsentì e quando lui le porse una mano per aiutarla ad alzarla l’afferrò senza timori. Era stato così strano parlare con lui, conoscere il suo passato e raccontargli parte del proprio; era così strano camminare al suo fianco, in silenzio, ben sapendo che da quel giorno niente sarebbe stato come prima tra di loro e che qualcosa, qualcosa che ancora non aveva nome, era appena nato al centro dell’animo di entrambi.



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