Coperte color prugna e pessime figure

di FedeB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella volta sul portico ***
Capitolo 2: *** Quella volta sul divano ***
Capitolo 3: *** Quella volta sul pullman ***



Capitolo 1
*** Quella volta sul portico ***


Quella volta sul portico.
“One’s an incident…”

La prima volta che era successo, Stiles aveva dato la colpa alla scuola. Era sempre colpa della scuola.
Il carico delle cose da studiare, da scrivere, consegnare e memorizzare era stata una sfida anche per lui, noto proprio per le sue capacità di memorizzazione.

Senza contare che Derek praticamente lo costringeva a partecipare agli allenamenti del branco, nonostante la maggior parte delle volte se ne sesse seduto sul portico diroccato della vecchia villa Hale ad osservare i suoi amici andare k.o uno dopo l’altro proprio per mano dell’alfa.
Occasionalmente, kit di pronto soccorso sotto mano, Stiles cercava di riaggiustare qualche parte del corpo che faceva fatica a guarire. Colpa di Derek e della sua manina da fata, ovviamente.

A lui andava bene così, per carità. Il problema era un altro: perdeva tempo, sottraendolo dallo studio.
E soprattutto nel periodo degli esami finali proprio non se lo poteva permettere.

Era stato per questo motivo che aveva iniziato a portarsi i libri per studiare.
Sempre seduto sul portico, con le cuffie nelle orecchie – per coprire i ruggiti e gli ordini abbaiati da Derek – Stiles si circondava di libri, appunti e fogli e studiava, perdendosi in formule, date e concetti chiave.

Poi aveva iniziato a studiare anche di notte, spesso fino a tardi (o al mattino presto, dipende dai punti di vista), perché nemmeno la giornata intera gli bastava più.
Senza contare, poi, che Stiles aveva deliberatamente deciso di raddoppiare la quantità di Adderall che prendeva, perché aveva un disperato bisogno di restare concentrato e chi ha bisogno di dormire quando hai gli esami da preparare?

E insomma, in un modo o nell’altro, Stiles era riuscito ad addormentarsi sul portico, sbavando sugli appunti in posizione spacca – schiena.
Il tutto, a dieci minuti esatti dall’inizio dell’allenamento. Semplicemente era arrivato al limite di sopportazione, il suo corpo aveva ceduto prima della sua mente. E poi un po’ di riposo poteva concederselo anche lui.

Non sapeva dire esattamente quanto avesse dormito, ma quando si era svegliato si era ritrovato sdraiato su un divano, avvolto da una coperta dal discutibile color prugna, i libri e gli appunti ordinatamente riposti sul tavolino di fronte ai suoi occhi.
Era in casa Hale, aveva constatato con un’imprecazione sibilata tra i denti.

“Ben svegliato, l’allenamento è finito da cinque ore.” Derek lo aveva colto alla sprovvista, come al solito, facendolo sobbalzare e alzare di scatto dal divano.

“Cinque – Oh, Dio, è praticamente notte fonda, quanto cazzo ho dormito, mio padre mi uccide, dov’è Scott, perché non mi ha svegliato!”

“Stiles, calmati.” Derek gli aveva passato un bicchiere d’acqua fredda, che Stiles aveva apprezzato largamente, perché quantomeno era riuscito a schiarirgli il cervello e a svegliarlo del tutto. “Non è notte fonda, sono le due meno un quarto, hai dormito circa sei ore, tuo padre sa che sei qui, Scott lo ha chiamato e poi se n’è andato con Allison – le ha fatto una sorpresa alla fine dell’allenamento – ha provato a svegliarti, invano. Ora: da quanto tempo non dormivi?”

“Boh, quanto fa 48 meno 6?” aveva ribadito lui, buttando giù l’acqua fresca, un vero toccasana.

Derek aveva sospirato, passandosi una mano sul viso e solo allora Stiles aveva notato i pantaloni e la maglietta sfatti e quanto sembrasse stanco. Era forse stato sveglio aspettandolo? No, non era possibile. Era Derek, non il marito perfetto di qualche commedia.
“Stiles, capisco che la scuola sia importante e tutto quello che vuoi, ma la tua saluta lo è di più. Non puoi stare quasi due giorni senza dormire, è pericoloso non solo – e soprattutto – per te, ma anche per gli altri.”

Era il discorso più lungo che gli avesse mai sentito fare, ma questo Stiles non glielo aveva detto, fortunatamente. Si era limitato a sospirare, grattandosi il collo con aria imbarazzata e mortificata.
“Già, hai ragione. È solo che in questi giorni sono molto sotto stress, è quasi insopportabile; ho cercato di ignorarlo, ma il mio corpo ha fatto per me il lavoro sporco. Detto ciò, penso che me ne andrò a casa.”

Stiles aveva già mosso i primi passi verso la porta di casa, ma la voce di Derek lo aveva inchiodato sul posto, incredulo: “Aspetta, cosa…?”

Derek aveva sospirato, un’ altra volta: “Ho detto, perché non ti fermi qui, stanotte? Tuo padre ha pregato Scott di non farti fare delle stupidaggini e non credo che metterti a vagare di notte nella riserva sia una buona idea. Inoltre, ho un divano e un letto abbastanza grande per entrambi, puoi scegliere dove dormire e riposare, almeno per qualche ora. Tuo padre ha il turno di notte e si è sentito subito più sicuro sapendoti qui.”

“Credo che mio padre sia diventato pazzo.” Aveva risposto il giovane, evitando accuratamente di guardare l’alfa, improvvisamente a disagio. “Ma credo abbia ragione. Anzi, abbiate ragione. Quindi stasera Stiles passerà la notte nella spaventosa villa Hale, assieme allo spaventoso, grande lupo cattivo. Fair enough.”

“Non è – non sono – non siamo spaventosi! E smettila di citare Peter!”

Stiles si era messo a ridere, alzando le mani in segno di resa.

“Quindi? Letto o divano?”

Il figlio dello sceriffo aveva scosso le spalle: “Prenderò il letto, non ho nulla da perdere.”

“Bene.” E si erano diretti verso la camera da letto.

Steso nel grande letto matrimoniale, con Derek accanto, Stiles si era sentito estremamente consapevole. Della situazione, in generale, e di quanto fosse intima. E quindi aveva iniziato a parlare. Per placare la tensione.

“Sai, quel nichilismo che ho mostrato prima è tipico del filosofo – “

“Stiles! Spegni. Il. Cervello. E dormi, per l’amor del cielo.”

“Gesù. Ok, amico, ok… acido fino alla fine.”

E seriamente, sulla risata soffocata di Derek, Stiles si era addormentato per davvero.




Niji's corner~
Ed eccomi di nuovo qui, ovviamente con una Sterek, la mia fonte inesauribile di idee per fanfiction mai messe nero su bianco (letteralmente).
Voglio ringraziare chiunque sia arrivato alla fine di questo primo capitolo, sperando sia piaciuto. Sarebbe molto carino se mi faceste sapere cosa ne pensate, lo apprezzerei veramente tanto! <3
E soprattutto, perdonate se dovessero esserci degli errori: sto attualmente cercando qualcuno che abbia voglia di farmi da Beta Reader ogni volta che mi parte lo schizzo di scrivere qualcosa, quindi se ci siete battete un colpo, plz <3
Detto ciò, mi congelo (e congedo) e spero di vedervi tutti quanti al prossimo capitolo, anche se non so quando lo pubblicherò!
Ciao a tutti e grazie mille ancora!!! <3

 

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Capitolo 2
*** Quella volta sul divano ***


Quella volta sul divano.
“Two’s a coincidence…”


Era inverno e faceva freddo, la seconda volta che era successo.

Il branco si era riunito nel loft di Derek, probabilmente per discutere di qualcosa di molto importante, Stiles ne era certo, solo che proprio non ce la faceva a concentrarsi e partecipare.

Che poi, proprio non riusciva a capire per quale motivo ci fosse anche lui. Cioè, sapeva che ormai tutti lo ritenevano parte del branco, era una sorta di regola non scritta; si era silenziosamente fatto strada finendo per essere accettato da tutti.
Solo che davvero, lui era la mente! Era lì per discutere di strategie, di posizioni migliori e di evadere la legge, non per scegliere il modo migliore di sconfiggere – “senza uccidere!” aveva specificato Scott – l’ennesima creatura vagabonda sul territorio del branco.

Stiles si era semplicemente distaccato dal gruppo, per guardarsi attorno.
il loft era ormai meta fissa da qualche mese, ma nessuno aveva mai effettivamente prestato attenzione all’ambiente generale: ci si era sempre fermati al grande divano del salone.

Poi l’aveva notato: il paradiso sceso in terra. Era un piccolo divano, di quelli a scomparsa, incastrati nella parete e a ridosso di una finestra che mostrava la riserva coperta di neve, silenziosa, avvolta dalla calma.
Il divanetto era invaso da cuscini di ogni forma e dimensione e – abbandonata sopra – vi era una coperta color prugna, la stessa – aveva notato – che Derek gli aveva dato qualche tempo prima, alla vecchia villa.

A sua discolpa, Stiles poteva dire che il divanetto lo aveva incantato e lui aveva semplicemente obbedito agli ordini che gli sussurrava nella mente.

Era per questo che si era fatto spazio tra i cuscini e si era lasciato avvolgere dal caldo abbraccio della coperta, con il pallido sole invernale che gli scaldava il viso.
Aveva chiuso gli occhi “solo un attimo,” si era detto cercando di concentrarsi sulle voci di Scott e Erika che discutevano su chi dei due avrebbe dovuto attaccare per
primo il nemico.

Ci stava seriamente provando a prestare attenzione, per davvero, ma lì… lì si stava così bene!
E proprio perché si stava concentrando troppo si era lasciato andare; le voci erano diventate un soffice brusio e il suo corpo si era perso nel sonno.

Quando aveva riaperto gli occhi non sapeva dire quanto tempo avesse dormito, ma il loft era inquietantemente silenzioso.
Stiles aveva imprecato e guardato fuori dalla finestra per constatare che era ancora giorno, nonostante il sole stesse tramontando.
“Oh, non di nuovo…” aveva detto a mezza voce.

“Sh, sveglierai gli altri.” Era stato Derek a parlare, seduto sulla poltrona della sala con un pesante libro sulle gambe.

“Gli – gli altri?”

Derek aveva annuito e aveva accennato con il mento verso il tappeto.

Stiles aveva abbandonato la sua postazione e la sua coperta, tremando impercettibilmente al cambio di temperatura. Si era avvicinato alla sala e aveva osservato il tappeto dove tutti i suoi amici erano accoccolati, stringendosi l’uno all’altro.
Sembrava una montagna di cuccioli.

Stiles aveva riso, dando voce a quel pensiero.

Derek aveva chiuso il libro scuotendo la testa, ma non era stato in grado di nascondere il sorriso che gli si era formato sul volto.
“Hanno pensato bene di seguire il tuo esempio. Un po’ di riposo non li ucciderà.”

“Non ucciderà nemmeno te, se è per questo.” Aveva ribadito l’altro, osservando come ogni componente del branco fosse in contatto fisico con gli altri, anche solo con un dito, come stava facendo Jackson, perché a lui il contatto non era mai piaciuto.

“Non sono fatto per queste cose.”

Gli occhi di Stiles si erano spalancati: “Amico, sei il loro alfa, sei decisamente adatto a queste cose!”

“Tu dici?”

“Certo, dovresti fidarti di Stiles.”

Derek si era alzato dalla poltrona, stiracchiandosi, e quel movimento aveva fatto sollevare la sua maglietta, scoprendogli una striscia di pelle che aveva causato la perdita di un battito del cuore del figlio dello sceriffo. “Mi fido già di te.” Aveva detto avviandosi verso il mucchio sul tappeto, valutando dove sdraiarsi.

“Allora salta dentro! Ma vedo che lo stai già facendo, quindi sì,” improvvisamente Stiles si era sentito inspiegabilmente di troppo e aveva mosso i primi passi verso l’uscita. “Io… allora me – me ne vado, già, sì –“

“E tu?”

“Io cosa?”

“Tu ti fidi di me?”

Non aveva avuto bisogno di pensare a quale fosse la risposta, perché la sapeva già e la cosa non lo aveva sconvolto minimamente: “Sì.”

Allora salta dentro. Manca un componente del branco, Stiles.”

Stiles era rimasto senza fiato per qualche secondo: sapeva di essere parte del branco, ma sentirselo dire era stata tutta un’altra storia.
E il fatto che fosse stato Derek a dirglielo aveva reso il tutto più magico e paradossalmente più reale, tangibile.

Aveva annuito abbassando la testa per cercare di nascondere gli occhi lucidi e anche lui si era avviato verso la montagna di cuccioli.

Come magneti, i ragazzi si erano sistemati nel sonno per lasciare spazio a Derek, nel centro.

In qualche modo, Stiles si era ritrovato stretto tra Derek e Isaac, con la testa appoggiata sulla spalla dell’Alfa.

In qualche modo, Derek lo stringeva saldamente sulla vita, facendolo sentire al sicuro, protetto.
In qualche modo, cullato dai respiri regolari dei suoi amici e inebriato dal profumo agrodolce di Derek, si era addormentato nuovamente.



Niji's Corner~
Salve a tutti! Eccomi di nuovo qui, con il secondo capitolo!
Innanzitutto, vorrei ringraziare coloro che hanno recensito il primo capitolo, sono stata veramente felicissima!! <3 E poi vorrei ringraziare anche coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate: mi avete fatto un piacere immenso!
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, fatemelo sapere lasciandomi una recensione o un messaggino!
Detto ciò, vi lascio al capitolo e vi ringrazio ancora! Ci vediamo presto presto!
Niji

 

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Capitolo 3
*** Quella volta sul pullman ***


Quella volta sul pullman.
“Three’s a pattern.”


Non è che alla terza volta ci avesse fatto l’abitudine, solo che qualche dubbio era iniziato a sorgergli.

Fino a qualche tempo prima, se non aveva il suo cuscino preferiva stare sveglio e morire di sonno, poi… poi le cose erano cambiate, ma non sapeva dire se in peggio o in meglio.

Prima c’era stato il portico di casa Hale, poi il divano del loft di Derek e infine quello.

“Ragazzino…”

“Sì, sì, scendo!” il panico era stata la prima reazione naturale ed oltremodo giustificata di Stiles.

Del resto, chi non l’avrebbe scoprendo di essersi ritrovato dall’altra parte del Paese per uno stupido errore?

Ma riavvolgiamo il nastro a qualche ora prima. Precisamente, a quel mattino.
Quel giorno era il giorno. Il giorno dell’anniversario della morte di sua madre e Stiles si era già svegliato triste.
Aveva passato la mattinata con suo padre a ricordare i momenti felici di quando erano loro tre. Non avevano mai accennato alla malattia, ma il retrogusto amaro di quella perdita prematura si faceva sentire con tutto il suo peso ingombrante.
I primi tempi erano stati insopportabili; Stiles non riusciva a concepire l’idea di poter andare avanti senza sua madre, soprattutto durante quel giorno.

Da circa tre anni, però, aveva trovato il suo modo di riconcigliarsi con l’universo intero e quella volta non era stata diversa.
Prendeva il pullman – rinunciando alla sua amata Roscoe – sorbendosi circa un’ora di strada per scendere ai piedi di una collina, riserva naturale grande il doppio della
riserva di Beacon Hills.
Poi iniziava a camminare, ogni anno prendendo sentieri diversi, ma che portavano tutti alla cima della collina, ad attenderlo un panorama mozzafiato di tutta Beacon Hills, incastrata e protetta dai rilievi circostanti.
Spegneva il cellulare, si sdraiava sull’erba e guardando il cielo iniziava a parlare. Di tutto.

Era una cosa che gli aveva insegnato proprio sua madre: se vuoi parlare con qualcuno di caro, basta raggiungere la cima di una collina e parlare, là dove la terra e il cielo sembravano toccarsi.
Si sentiva più vicino a sua madre. E parlava, parlava per ore intere, spesso perdendo la voce, dicendo cose senza senso e ritrovandosi ad osservare le stelle che, silenziosamente, lo ascoltavano proprio come faceva Claudia quando da piccolo litigava con Scott.

Dopo il funerale non era più tornato al cimitero.
Non gli era mai piaciuta l’idea di vedere il volto di sua madre confinato in una lapide, l’intera sua vita confinata in due date.
Sua madre era molto più di tutto quello.

Il suo sorriso era una splendida giornata primaverile, con il cielo terso e il sole alto e la sua risata era lo scorrere cristallino di un fiume.
I suoi lunghi capelli ricci e scuri erano le fronde di un albero scosse da una leggera brezza e i suoi occhi si illuminavano come le stelle in un cielo notturno sgombro dalle nuvole.

Suo madre era quello e molto altro ancora.

A volte piangeva.

Quella volta non era stata diversa.

Era tornato a valle appena in tempo per prendere l’ultimo pullman, dopo essersi reso conto delle basse temperature e soprattutto del buio.

A parte lui, il pullman era completamente deserto. Stiles si era seduto su un sedile, appoggiando la testa contro il finestrino e sospirando aveva chiuso gli occhi.

Forse era stata la stanchezza di quella giornata, tutto lo stress che sembrava essersene andato, perché Stiles si era inconsciamente addormentato.

Quando si era risvegliato, davanti a lui c’era il conducente – un uomo paffuto e baffuto – che lo guardava.

“Dove… dove siamo?”

“Al capolinea, ragazzino.”

Per poco Stiles non si strozzava con la sua stessa saliva: “Ca – capolinea? Merda!”

“Hai mancato la fermata?”

“Dovevo scendere a Beacon Hills!” la disperazione nella sua voce.

“Già, hai mancato la fermata.” Il conducente si era sistemato la cintura dei pantaloni. “Senti, ragazzino, mi spiace tanto per te, ma io vorrei tornare a casa, quindi per favore scendi dal pullman.”

E una volta sceso, abbandonato a sé stesso a chissà quanta distanza da Beacon Hills, Stiles si era lasciato prendere dal panico.

Aveva riacceso il cellulare con mani tremanti, osservando il messaggio di suo padre che lo avvertiva che era stato chiamato in centrale per un turno di notte e si era accasciato sul marciapiede con un sonoro lamento.

Aveva passato i successivi cinque minuti in uno stato di completa catalessi, poi aveva riafferrato il cellulare e aveva composto il numero dell’unica persona a cui riusciva a pensare.

“è mezzanotte e mezza.” Gli aveva risposto Derek dopo soli due squilli.

“Lo so e mi dispiace, moltissimo, te lo giuro, ma ho un problema e non so come risolverlo e ho pensato che fossi l’unico a potermi aiutare e – “
“Stiles.”

“Ok, ok, scusa.” Aveva preso fiato, riempiendo i polmoni per cercare di calmarsi e poi aveva continuato. “Vedi, il problema è che ho mancato la fermata del pullman e mi sono ritrovato al capolinea e non so più come tornare perché non ci sono più corse.”

Dall’altro lato del telefono Stiles era riuscito a cogliere il rumore di un sospiro di Derek, seguito da un clangore metallico, segno che si stava già avviando verso la macchina. Per un attimo a Stiles si era ristretto il cuore.
“Dove sei, ora?” Stiles aveva risposto, leggendo il cartello sbiadito e Derek, sconcertato, aveva ribadito con un “Lì?! È tipo un’ora di macchina da Beacon Hills! Come diavolo hai fatto?”

Per poco Stiles non si era messo a piangere mentre – colpevole – gli rispondeva: “Mi sono addormentato!”

“Avrei dovuto aspettarmelo. Ok, rimani lì e stai fermo, ok? Cercherò di fare il più in fretta possibile.”

Stiles non aveva fatto in tempo a rispondere, perché Derek gli aveva sbattuto il telefono in faccia.

Si era stretto nel suo maglione, forse un po’ troppo leggero, e tremando ogni tanto si era messo ad aspettare.

Non voleva sapere quante regole del codice della strada avesse infranto, perché Derek lo aveva raggiunto in quarantacinque minuti.

Si era seduto sul sedile del passeggero a testa bassa e aveva mormorato un “grazie” tra i denti, poi era calato il silenzio.

L’abitacolo era piacevolmente caldo e Stiles poteva quasi sentire i suoi occhi chiudersi nuovamente, se non fosse stato per Derek: “Soffri di narcolessia, Stiles?”

“Co – cosa? No! Cioè, almeno credo.”

“Non ti ho mai visto addormentarti così frequentemente durante il giorno. Sei sicuro di star bene?”

Derek Hale era preoccupato per lui. Preoccupato. Per lui. Derek Hale.
Per pochissimo Stiles non si era messo a piangere.

“Sì, sto bene. Sono solo… stanco, ultimamente.”

“Non ho bisogno dell’udito da lupo per capire che stai mentendo, Stiles. Non insisterò, se non vuoi parlare, ma per favore, dimmi cosa non va.”

“Ehi, sono veramente stanco. Oh, mio Dio, mi sento così violato certe volte. Quando mi sono addormentato sul portico ero esausto per colpa della scuola. Ancora mi chiedo come Scott sia riuscito ad organizzarsi meglio di me. Cioè, ti rendi conto?”

“Quando si tratta di organizzazione sono tutti meglio di te, Stiles.”

“Ok, quello? Quello era ciò che io definisco rude. Non c’era bisogno di infierire sulla mia dignità. Ma questa volta lascio passare, sono troppo stanco persino per lamentarmi, ritieniti fortunato.”

“Non mi sembri molto stanco per non parlare, però.”

“Amico, rude. Ancora. Al loft ero stanco, ma era un altro tipo di sensazione. Mi sono sentito sicuro, a casa. Quel divanetto è comodissimo, ottima scelta.”

“E oggi?” gli aveva chiesto Derek, senza staccare nemmeno per un attimo gli occhi dalla strada. Non c’era nessuno, a quell’ora, e viaggiavano nella notte a velocità moderata, rispettando tutte le regole stradali. Fortunatamente.

Stiles aveva sentito chiaramente il tonfo del suo cuore nell’udire quella domanda, quindi non c’erano dubbi che anche Derek lo avesse sentito, tuttavia il lupo era stato abbastanza magnanimo da non dire niente.

“Oggi è stato diverso. È un giorno diverso. Dovevo allontanarmi e parlare.”

“C’era Scott.”

“Non capirebbe. Per favore, non farmelo dire ad alta voce. Mi sono addormentato perché ero oltremodo esausto, provato psicologicamente.”

Derek non aveva risposto immediatamente, ma aveva fatto due più due e aveva capito.

“Io avrei capito.”

Stiles si era passato una mano sugli occhi, che minacciavano di rigargli il volto da un momento all’altro, poi si era voltato verso l’altro rivolgendogli un sorriso grato.

“Già, forse hai ragione.”

“La prossima volta vai in macchina, però.”

“Quando guido penso. Non mi piace pensare. Se mi concentro sul paesaggio, invece, stacco il cervello.”

La Camaro aveva intanto accostato di fronte a casa Stilinski ed entrambi erano scesi.

Derek gli si era piazzato davanti, tenendo tra le mani qualcosa.
Nell’oscurità, Stiles non era stato in grado di riconoscere cosa fosse, poi Derek aveva fatto un movimento con le braccia e allora aveva capito: ad avvolgergli le spalle c’era una coperta, calda e tremendamente morbida.

Prima che Stiles fosse stato in grado di ringraziarlo, però, Derek lo aveva attirato a sé, chiudendolo in un abbraccio che il ragazzo aveva apprezzato, infossando la testa nell’incavo della spalla di Derek e stringendosi a lui.

“La prossima volta,” gli aveva detto Derek, il naso affondato nei capelli del figlio dello sceriffo, “Vieni da me.”

Il cuore di Stiles aveva mancato un battito e, tremando, aveva annuito. “Lo farò, sì. Grazie, Derek.”

Era stato proprio Derek ad allontanarsi, lasciandogli un’ultima carezza sui capelli. “Buonanotte, Stiles.”

Stiles aveva risposto rientrando: “Buonanotte, Derek.”

Solamente alla luce della sua camera aveva constatato che l’alfa gli aveva lasciato la coperta color prugna.

E avvolto dall’odore di Derek, Stiles si era di nuovo addormentato.

Questa volta, fortunatamente, nel suo letto.




Niji’s corner~
Ciao a tutti! Eccoci finalmente giunti alla fine di questo terzo capitolo!
Innanzitutto, come al solito, ringrazio le persone che hanno recensito il capitolo precedente, chi ha aggiunto la storia tra i seguiti, i preferiti e i ricordati e chi ha anche solamente letto.
Per quanto riguarda questo capitolo, spero vi sia piaciuto: è leggermente emotivo rispetto a tutti gli altri (sia precedenti, ma anche i successivi), ma detto sinceramente ne vado abbastanza fiera, perché l’ho scritto esattamente come lo avevo immaginato nella mia testa.
Quindi sì, spero piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo!
Ci vediamo molto molto presto con il quarto e penultimo capitolo di questa mini raccolta!
Un abbraccio strettissimo!!
Niji <3

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