Projeus: The Big War

di BebaTaylor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Primo Giorno ***
Capitolo 3: *** 2. Secondo Giorno ***
Capitolo 4: *** 3. Terzo Giorno -Prima Parte- ***
Capitolo 5: *** 3. Terzo Giorno - Seconda Parte - ***
Capitolo 6: *** 4. Quarto Giorno ***
Capitolo 7: *** 5. Quinto Giorno ***
Capitolo 8: *** 6.Sesto Giorno ***
Capitolo 9: *** 7. Sesto Giorno ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


Projeus:
The Big War

0. Prologo

Venerdì 4 Settembre, metà pomeriggio.

Crystal fissò il suo letto, i vesti e vari oggetti riposti ordinatamente. Sbuffò infastidita. Non voleva scappare, non voleva andarsene da casa sua, dalla sua città ma allo stesso tempo sapeva che era pericoloso restare lì. Da quando il presidente Erikson aveva detto a tutto il mondo che c'erano esseri umani dotati di poteri soprannaturali e che erano pericolosi — e lo aveva fatto in diretta nazionale — tutto era andato a rotoli. Alcune nazioni si erano uniti a lui in questa "guerra" — come amava chiamarla il presidente degli Stati Uniti —, altre non avevano aderito a quella specie di statuto che Erikson aveva stilato. Uno degli stati neutrali più vicini era il Canada. Sarebbe andata a piedi — aveva venduto la sua auto qualche giorno prima, voleva evitare che gli uomini di Erikson rintracciassero i suoi spostamenti.

Il viaggio sarebbe stato lungo. Molto lungo, lo sapeva. Abitava nella contea di Rockbridge, in Virgina, al confine con la West Virgina, che avrebbe dovuto attraversare, camminando verso nord, per poi attraversare l'Ohio, arrivando sulle rive del lago Erie e lì avrebbe pagato qualcuno con una barca per poter arrivare sulle sponde canadesi dal lago. Poi, una volta al sicuro da quei pazzoidi agli ordine di Erikosn, avrebbe affittato un auto, per dirigersi verso Québec, dove c'era un posto sicuro per gente come lei. Almeno così le raccontava il nonno. Sapeva che c'era una cosa del genere anche a New York, ma la città era sotto assedio, con militari che controllavano chiunque, con qualunque pretesto. Non che lì in Virginia le cose andassero meglio, per questo voleva scappare.

Crystal sistemò lo zaino da trekking sul letto e iniziò a riempirlo, maledicendo Erikosn. Se se lo fosse trovato davanti lo avrebbe azzannato alla gola. No, prima avrebbe dato un morso ai testicoli dell'uomo e poi lo avrebbe azzannato alla gola. Era stanca, esausta di stare sempre all'erta, di fissare i vicini domandandosi se l'avrebbero denunciata. Le mancava il nonno, morto qualche anno prima, quando lei aveva diciotto anni, per infarto. Era uscito per prendere il giornale e si era accasciato al suolo. Le mancava la nonna, morta sei mesi prima, poco dopo il suo ventesimo compleanno.

Le mancava avere una vita vera, dove la sua unica preoccupazione era sentire la sveglia al mattino, sperare che nel frigo ci fosse almeno mezzo bicchiere di latte e scegliere cosa mangiare nella mensa aziendale per pranzo. Invece doveva stare attenta a chiunque, doveva mentire e sbandierare ai quattro venti di essere d'accordo con Erikosn — e ciò le faceva venire la nausea ogni volta.

Riempì tutto lo zaino, nascondendo anche un piccolo portagioie dove aveva infilato dentro qualche rotolo di banconote, per un totale di duemila dollari. Millecinquecento dollari canadesi erano infilati in un calzino che aveva incastrato in un paio di scarpe, messe sul fondo dello zaino. Altri tremila dollari erano sparsi nello zaino, riposti in sacchetti di plastica, nascosti nelle varie tasche del grosso zaino. Quei soldi le sarebbero serviti una volta arrivata in Canada. Aveva altri soldi, quasi cinquantamila dollari, su un conto della Banca di Ginevra, in Svizzera, altro stato neutrale.

Fece un giro della casa, assicurandosi di non aver dimenticato nulla d'importante in giro. Fissò la porta della cucina su cui il nonno le segnava l'altezza ad ogni compleanno. Sfiorò lo stipite, passando il dito sulle incisioni e sorrise. Si avvicinò alla finestra più vicina e sbirciò fra le listarelle delle persiane chiuse: il sole stava tramontando. Aveva tutto il tempo per farsi una doccia e cambiarsi prima di lasciare per sempre casa sua.

❖.❖.❖

Benjamin infilò dentro lo zaino alcuni vestiti, spingendoli verso il fondo, non preoccupandosi se si fossero rovinati. Aveva altre cose di cui preoccuparsi, tipo che fine avesse fatto suo padre. Dieci giorni prima era uscito di casa per andare al lavoro ed era sparito nel nulla. La polizia si era limitata a trovare l'auto — le portiere erano spalancate, un paio di vetri erano rotti — e dire che l'uomo era fuggito, o ucciso da uno dei quei "mostri orribili".

Peccato che sia Benjamin che suo padre fossero quei "mostri" e che non avessero mai ucciso nessuno. Il venticinquenne era convinto che avessero scoperto la vera identità di suo padre e che lo avessero catturato. E ciò voleva dire che presto avrebbero trovato anche lui, anche se era sicuro che suo padre si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che ammettere una cosa del genere.

Infilò nello zaino un piccolo album di foto e lo coprì con altri vestiti. Voleva andare in Canada, perché era uno stato che accettava quelli come lui e perché c'era un posto dove avrebbero potuto aiutarlo a cercare il padre. Sarebbe stato un viaggio lungo, dalla Virgina sarebbe passato per la Pennsylvania, poi nello stato di New York e sarebbe arrivato in canada, passando per quella striscia di terra che divideva il lago Erie dal lago Ontario.

Se avesse potuto avrebbe preso a calci Erikson, gliene avrebbe dati così tanti da farlo sanguinare e gemere. E poi lo avrebbe ammazzato di botte. Ora, per colpa sua, tutti si guardavano in cagnesco, ed erano tutti pronti a denunciare i propri vicini alla prima stranezza, solo per avere i duemila dollari di ricompensa. Con un sospiro andò nel bagno, per riemergerne qualche minuto dopo, afferrò le chiavi di casa, quelle dell'auto, lo zaino e partì.

❖.❖.❖

Marie-Anne sobbalzò quando sentì il colpo, si accorse che era solo una portiera sbattuta con troppa forza e si impose di calmarsi. Aveva i nervi a fior di pelle e qualsiasi rumore la spaventava e lei doveva trattenersi dall'urlare e nascondersi dentro l'armadio.

Si raggomitolò sul divano e coprì le orecchie con le mani e scoppiò a piangere, invocando la mamma. Si sentiva sola, spaventata all'inverosimile e continuava a ripetere che non poteva succedere, che non stava accadendo sul serio, che lei era una persona normale.

La tv era accesa e un TG locale stava mandando in onda una delle varie interviste del presidente: «Quei mostri vanno catturati. I mutaforma uccidono i bambini! Li uccidono! Ammazzano quelle creature innocenti. E poi ci sono quelli che sanno creare il fuoco... bruceranno le nostre case, le nostre città! Ci carbonizzeranno vivi!» esclamò Erikson e Marie-Anne strizzò gli occhi, spingendo le mani contro le orecchie perché non voleva sentire tutte quelle cose, perché lei non era così cattiva. «Dovete denunciarli! Dovete farlo, è il vostro compito da bravi cittadini!»

La giovane singhiozzò più forte, desiderando avere i suoi genitori accanto a sé ma non era possibile: erano morti entrambi e lei si ritrovava orfana a venticinque anni. Sola, orfana e spaventata da quello che era. Era uno di quei mostri e presto o tardi l'avrebbero scoperto e l'avrebbero uccisa. Per questo aveva deciso di andarsene, di partire. Un giorno, mentre era in un bar, aveva sentito alcune persone parlare di un centro in Canada, a un centinaio di miglia a nord di Québec, Canada, dove i "mostri" potevano stare tranquilli. Il presidente aveva minacciato di attaccare il Canada, se non avesse dato il permesso di deportare tutti i fuggitivi. Il Canada aveva risposto di no. Marie-Anne aveva deciso di andare lì, così nessuno l'avrebbe uccisa.

Si rialzò, mettendosi seduta, asciugò le lacrime e fece un respiro profondo e si disse che doveva finire i bagagli e partire, anche se aveva molta paura.

Ma doveva farlo se voleva salvarsi.


Ecco qui il prologo della mia nuova storia!
Qui ci sono solo tre dei protagonisti, dal prossimo arriveranno anche gli altri e si capirà meglio la situazione.
E non pensate male del nome Crystal, non è una Mary Sue, è solo che è quello che, per me, si adatta meglio al pg. E non mi dispiace.
Spero che questo prologo vi sia piaciuto. Ricordate che le recensione sono sempre gradite e voi siete tutti dei pasticcini.
Ci vediamo con il capitolo uno più o meno settimana prossima.

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Capitolo 2
*** 1. Primo Giorno ***


Projeus:
The Big War

1.
Primo Giorno

Venerdì 4 Settembre, dieci e mezzo di sera.

Benjamin sbuffò e girò le chiavi dell'auto, rimanendo qualche secondo a fissare il fumo che usciva dal cofano. Quello non ci voleva, era in un bosco, su una vecchia strada battuta, lontano quasi un'ora dal più vicino centro abitato. E in più era buio pesto. Scese dall'auto, aprì il cofano e agitò la mano per disperdere il fumo: anche se non era un esperto di motori gli bastò un'occhiata per capire che il danno era grave, nulla che potesse riparare da solo. Sbatté il cofano con forza e decise di proseguire a piedi ed eventualmente chiedere un passaggio a qualcuno — certo, prima doveva superare la collina e sperare di beccare qualcuno che non chiamasse gli scagnozzi di Erikson —, afferrò lo zaino, recuperò i documenti dell'auto e iniziò a camminare dopo una breve occhiata all'orologio — erano quasi le dieci e mezzo di sera.

Aveva camminato per pochi minuti, forse quindici, quando sentì lo strillo, poi un ringhio e un altro strillo. Iniziò a correre, riconoscendo un urlo femminile, superò una curva e si bloccò alla vista di quella che sembrava una grossa scimmia che attaccava una ragazza che brandiva un bastone, cercando di allontanare l'animale da sé. La grossa scimmia allungò una zampa e Benjamin aprì la bocca quando vide i lunghi artigli al posto delle dita. Fece scivolare lo zaino dalle spalle e si spogliò velocemente, dicendosi che quella cosa non era reale, che non esistevano scimmie con dei falcetti a posto delle dita.

Crystal muoveva il bastone, sentendo l'impellente bisogno di trasformarsi e fuggire — quattro zampe erano meglio di due gambe.

Non sapeva da dove fosse uscito quello strano animale che aveva davanti — se lo era trovato davanti improvvisamente ed era caduta a terra per lo spavento —, ma sapeva che non era un vero animale e neppure un mutaforma, dato che animali del genere non esistevano. Calò il bastone sulla testa di quella specie di scimmia, il pezzo di legno si spezzò e la ragazza cercò di infilzarla ma la pelliccia dell'essere era troppo dura, con i peli così ispidi da ricordare il legno. Il bastone spezzato a metà le scivolò dalle mani e cadde a terra. Gridò, quando il grosso lupo bianco calò sulla scimmia, facendola rotolare a un paio di metri da lei.

La scimmia e il lupo si rialzarono e il secondo ringhiò contro l'altro, mostrando i denti. Crystal si piegò piano, pronta a prendere il coltello a serramanico da una delle tasche dello zaino quando sentì uno strillo che la immobilizzò. Un altro di quegli esseri era lì.

Stava aprendo la bocca per gridare al lupo — aveva capito che era un mutaforma — di stare attento quando la seconda scimmia apparì fra i cespugli alla sua destra, andando a scontrarsi con il lupo, che non aveva smesso di combattere. Crystal li fissò tutti e tre quasi incantata, mentre l'istinto le diceva di fuggire. Alla fine si spogliò velocemente, quasi strappandosi gli abiti di dosso, spiccò un salto e, quando atterrò, si era trasformata in una lupa dal pelo bianco e grigio. Afferrò fra i denti la gamba di una delle due strane scimmie e la trascinò indietro mentre scuoteva la testa, cercando di tenerla lontano dal lupo bianco. Quella si rivoltò contro di lei strillando e mosse un braccio, Crystal la lasciò andare, scartò di lato ed evitò per un soffio di essere ferita. Ringhiò, senza smettere di fissare l'essere, fissandolo nella semi-oscurità — la sua torcia era caduta per terra e illuminava il terreno — e guardò il pelo ispido e marrone scuro, la ferita che le aveva causato alla zampa posteriore sinistra e si piegò in avanti, pronta per saltare.

Benjamin ringhiò alla scimmia davanti a lui, ripetendosi che non poteva essere vera. Lanciò una brevissima occhiata alla lupa poco distate da lui, vedendo che l'altra scimmia le girava attorno, e temette che l'avrebbe attaccata di nuovo. Spiccò un balzo, centrando in pieno la scimmia davanti a lui, che cadde a terra. Il lupo non gli diede il tempo di rialzarsi e attaccò nuovamente: prima azzannò un braccio, staccando un grosso pezzo di carne che si affrettò a sputare, poi calò il muso sulla gola dell'essere che strillava e gemeva e gli morsicò la gola, sentendo sulla lingua il sapore dolciastro del sangue.

Si voltò fissando la lupa che indietreggiava, così si avvicinò alle spalle della scimmia, la colpì con le zampe anteriori sulla schiena e quella cadde in avanti e lui ne approfittò per azzannarla al collo. Mentre lui scuoteva la testa Crystal tornò umana, stringendo i denti e strizzando gli occhi, si accucciò a terra, accanto alle sue cose e afferrò la giacca, sistemandola contro il suo corpo mentre ansimava rumorosamente.

Anche Benjamin tornò umano. «Stai bene?» le domandò.

Crystal fissò le due scimmie che si stavano tramutando in due ragazzi: uno era basso e tarchiato con i capelli rasati, l'altro era magrissimo, così tanto che avrebbe potuto contargli ogni osso, «Sì.» rispose, «Tu?»

Benjamin annuì, «Sono solo graffi.» sospirò. «Io sono Benjamin.» si presentò avvicinandosi a lei e tendendo una mano.

«Crystal.» rispose lei stringendola, «Puoi girarti, per favore? Così mi rivesto.»

Il ragazzo annuì e si allontanò di un paio di metri per recuperare le sue cose.

«Cos'erano?» domandò Crystal allacciandosi le stringhe delle scarpe, «Non ho mai visto nulla del genere.» sospirò.

Benjamin tornò da lei, lo zaino in spalla e la fissò prendere il suo, «Non è un po' grande?» domandò indicandolo e Crystal scrollò le spalle. «Non so cosa siano.» rispose, «Ma so che non sono dei nostri.» disse, «Magari Erikson avrà convinto uno di noi a subire un esperimento del cazzo che li ha ridotti così.» aggiunse mentre riprendevano a camminare. «Sai da che parte dobbiamo andare, vero?» chiese, «Perché la mia auto ha il motore fuori uso e il navigatore ha la batteria rovinata, non funziona se non è collegato all'accendi sigari.»

Crystal annuì e accese la torcia elettrica — anche se erano lupi e ci vedevano al buio era meglio avere un qualcosa che illuminasse meglio il sentiero — «Sì.» disse, «Dobbiamo camminare per un paio d'ore, al massimo due e mezzo e poi prendere il sentiero di sinistra, proseguire per altre sette ore e supereremo la collina, arrivando al primo centro abitato.» spiegò, anche se “collina” non era il termine corretto: dovevano attraversare gli Appalachi.

Benjamin sbuffò, «Così tanto?» domandò, «E poi?»

«E poi proseguiremo fra boschi e campi, cercando di stare lontani dalle case.» disse Crystal. «Tu dove vai?» domandò fissandolo, giudicò che dovesse avere circa ventisei anni, era un bel ragazzo, con un fisico muscoloso.

«Mio padre mi ha parlato di un centro, il Projeus Institute.» rispose lui, «C'è anche a New York, ma si sono trasferiti in quello del Canada, almeno fino a quando 'sta follia non finirà.»

«È dalle parti di Québec.» annuì lei, «Me ne aveva parlato tanti anni fa mio nonno.» continuò, «Mio aveva detto di quello di New York, ma il Canada è il più vicino.» disse. «Nel senso che è lo stato più vicino che non è con quel cretino stronzo di Erikson.»

Benjamin annuì, «Già.» commentò. Continuarono a camminare, scambiando quattro chiacchiere superficiali: dissero entrambi da dove venivano e Crystal disse di essere arrivata lì a piedi. «Tu sei matta.» commentò lui.

«L'auto possono rintracciarla.» replicò lei, «E comunque l'ho venduta, mi servivano i soldi.»

Benjamin si limitò a scuotere la testa: per lui, farsi tutte quelle miglia a piedi era da folli. «Mezza lupa.» disse.

Crystal si fermò di botto e strinse gli spallacci dello zaino, «Cos'è, sei razzista?» sputò, «Se è così puoi anche andartene.» ringhiò, fissandolo, gli occhi verdi ridotti a due fessure.

«No!» rispose lui, quasi indignato, «La mia è solo una costatazione.» aggiunse, «Se ti ho offesa mi scuso.»

Lei lo guardò, «Okay.» disse, «È che tutta questa storia mi sta esasperando. Prima o poi salterò alla gola della persona sbagliata.»

Benjamin non rispose, dicendosi che aveva ragione: quella storia stava ammattendo tutti quanti. Il vento si alzò e una grossa nube coprì la mezza luna che brillava nel cielo. «Ci fermiamo?» domandò.

Crystal lo fissò poi annuì. «Va bene.» disse, «Dove?» domandò. Benjamin si guardò attorno e indicò una piccola caverna sulla sinistra. «Lì è perfetto.» esclamò.

«Lì?» fece lei, «Ci sarà dentro qualche animale.» replicò.

Benjamin rise, «Basterà un'annusata.»

«Sarà, ma quelle cose non le avevo sentite.» replicò lei e sospirò.

Benjamin tacque per un'istante, «Oh.» fece, «Vado avanti io.» disse e si disse che neppure lui aveva sentito l'odore di quelle due stupide scimmie e non l'aveva sentito nemmeno quando li aveva azzannati — e la cosa era strana, molto strana —, si accucciò davanti all'apertura della grotta, alta circa un'ottantina di centimetri e annusò con gli occhi chiusi. «È tutto a posto.» disse.

Crystal si avvicinò e annusò anche lei, «Hai ragione.» disse e tolse lo zaino, per poi spingerlo dentro la grotta.

«Non ti fidi di me?»

Crystal si voltò e illuminò il volto di Benjamin, gli occhi azzurri di lui talmente chiari da sembrare vetro trasparente. «Meglio controllare in due.» rispose e si voltò di nuovo verso lo zaino, liberando il sacco a pelo fermato da delle cinghie. Lo srotolò, rivelando anche un materassino rosa da yoga, mise quest'ultimo per terra e stese sopra il sacco a pelo con uno sbadiglio.

Anche Benjamin sistemò il suo sacco a pelo e ci si sedette sopra. La grotta era alta abbastanza da permettere loro di stare comodamente seduti, ma era così stretta che i loro sacchi a pelo si sfioravano. Benjamin fissò Crystal prendere un bottiglietta d'acqua e berne qualche sorso. «Mia madre è morta quando ero al liceo.» esclamò appoggiandosi alla parete fredda e umida della grotta, le mani sulle ginocchia piegate.

Crystal smise di bere e lo fissò, la bottiglietta di plastica in una mano, il tappo verde nell'altra. «Mi dispiace.» disse e inspirò, «Mi madre ha preferito seguire il suo uomo e così mi ha lasciato ai nonni.» confessò, «A parte mettermi al mondo è stata l'unica cosa giusta che ha fatto.»

Benjamin la fissò, «Dov'è?» chiese, «E tuo padre?»

Crystal richiuse la bottiglia e la sistemò nello zaino, «Mio padre è uccel di bosco.» rispose fissandosi le scarpe alla tenue luce della torcia, «Mia madre è... è... bho,» scrollò le spalle «da qualche parte con il suo terzo marito.» sospirò e iniziò a slacciarsi le scarpe, sapendo che Benjamin la stava ancora fissando. Si bloccò quando si sentì uno strano verso provenire fuori dalla grotta, ma era solo un gufo che lanciava il suo richiamo. «Non fare quella faccia.» disse alzando il viso e fissando il ragazzo davanti a lei, «Non sono l'unica con la madre che si è sposata così tante volte.»

«Scusa.» disse lui distogliendo lo sguardo e la fissò infilare le scarpe nel sacco a pelo e spingerle sul fondo con i piedi. «Buona notte.» disse.

«Buona notte.» mormorò lei e spense la torcia ma non smise di stringerla, come se volesse usarla come arma.

Benjamin sospirò, levò le scarpe e le infilò anche lui nel sacco a pelo, perché qualcosa gli diceva che Crystal era abituata a dormire nei boschi. "Forse ha fatto campeggio." fu il suo pensiero, "Magari con suo nonno." si disse. Si sdraiò anche lui, fissò il soffitto della grotta, annusò l'aria e tese l'orecchio: a parte il gufo, il bosco era silenzioso. Forse anche troppo

❖.❖.❖

Sabato 5 Settembre.

Lo svegliò l'odore del caffè. Benjamin aprì gli occhi e fissò Crystal, seduta a gambe incrociate davanti a un fornelletto da campeggio. «Caffè?» sbadigliò mettendosi seduto e per un attimo non ricordò quello che era successo qualche ore prima.

«Sì.» rispose lei, «Ne vuoi?» domandò, «Ho un tubetto di latte condensato.» aggiunse mostrandogli un tubetto bianco e blu, «Non è come un cappuccino vero, ma è accettabile.»

Benjamin la fissò sorpreso e annuì, recuperò le scarpe e le indossò, per poi scivolare accanto a lei. «Anche il fornelletto?» chiese, «Andavi in campeggio?» domandò.

Lei annuì, «Con mio nonno.» rispose, «Il caffè è solubile.» disse fissando Benjamin.

Lui scosse la testa, «Va bene lo stesso.» rispose e afferrò uno dei bicchierini di plastica, attese che Crystal lo riempisse di caffè — lo avrebbe fatto anche lui, ma lei lo aveva preceduto — e lo zuccherò: Crystal aveva un contenitore verde contenente una ventina di bustine di zucchero. Afferrò dal suo zaino una barretta energetica e vide che anche Crystal le aveva e ne aveva già mangiata una. Fecero colazione in silenzio, fino a quando non decisero di ripartire; mentre Crystal sistemava le sue cose, lui ne approfittò per appartarsi dietro un albero.

Camminarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri: Crystal si chiedeva se sarebbe mai arrivata in Canada, Benjamin si domandava se avrebbe rivisto suo padre. Ed era stupito dal fatto che Crystal fosse così giovane ma ben organizzata — e determinata.

«Tutto bene?» domandò lui ad un certo punto, ricordando una cosa che aveva notato la sera prima e che aveva dimenticato, troppo preso dalla stanchezza. «Ieri sera tremavi dopo che sei tornata umana.»

Crystal emise un lungo sospiro, «Sì.» ammise, «Capita.» aggiunse

«Non dovrebbe capitare.» replicò Benjamin, «Sei andata da un medico?» domandò, «Un medico per persone come noi.» specificò.

Crystal sospirò, «No.» rispose, «È una lunga storia.» disse e Benjamin capì che non voleva parlarne, così rimase in silenzio, chiedendosi cosa le fosse successo. Era sicuro che ci fosse sotto qualcosa.

«Tuo padre?»

Benjamin si fermò di botto, «Cosa?» domandò.

Crystal scrollò le spalle, «Bhe, mi hai detto di tua madre, ma tuo padre?» domandò fissandolo.

Lui inspirò a fondo, «Dieci giorni fa è uscito di casa e non è più rientrato.» rispose e fissò Crystal, ferma a un paio di metri da lui, che lo fissava, le mani che stringevano gli spallacci dello zaino. «È sparito nel nulla.» sospirò distogliendo lo sguardo, puntandolo sugli alberi che li circondavano. «Credo che l'abbiano preso.» ammise in un sussurro.

«Mi dispiace.» esclamò Crystal, «Proseguiamo?» chiese, «Fra mezzo miglio circa c'è una piccola radura, così ci fermiamo per pranzare.» sorrise, «Qui siamo in salita e sarebbe un po' complicato.»

Benjamin annuì, «Okay.» rispose e riprese a camminare, raggiungendo Crystal. «I tuoi nonni?» chiese quando si fermarono, dopo una ventina di minuti.

Crystal aprì lo zaino, prendendo una barretta energetica e una confezione di frutta disidratata, «Sono morti.» rispose, «Nonno due anni fa, nonna sei mesi fa.» mormorò, gli occhi bassi, domandandosi se quel dolore, quel pezzo di cuore che le mancava, sarebbe passato.

Benjamin allungò una mano e strinse quella di Crystal, che alzò il viso e lo fissò, sorpresa. «Mi dispiace.» disse lui. «Non deve essere facile.» aggiunse e ritrasse la mano, dicendosi che forse non era il caso, visto che si conoscevano da circa dodici ore. «Scusa.» soffiò, prendendo la bottiglia d'acqua e bevendo un paio di lunghe sorsate.

«Secondo te finirà, prima o poi?»

Benjamin fissò Crystal, non capendo se si riferisse al dolore per aver perso una persona cara oppure a tutta quell'assurda situazione. «Non lo so.» rispose scartando una delle sue barrette. «Non lo so.» ripeté, «Lo spero.»

Crystal infilò fra le labbra un pezzo di mela secca e annuì piano.


«Che strada facciamo?» domandò Benjamin quando ripresero a camminare.

«Se passiamo sull'altro versante siamo in West Virginia.» spiegò Crystal indicando la montagna alla loro sinistra, «Poi da lì proseguiamo verso l'Ohio, attraversiamo il lago e siamo in Canada.» disse, «Poi pensavo di affittare un auto.» scrollò le spalle.

Benjamin annuì, «Okay.» disse, «Sarà una lunga camminata.» sospirò.

«Circa trecentotrentatré miglia.» confermò lei.

«Dovremo trovare un mezzo di trasporto.» mormorò Benjamin, «Non arriveremo mai, altrimenti.» disse, «Camminando potremmo fare un miglio in un quarto d'ora, quindi quattro miglia all'ora.» calcolò, «Sarebbero ottantaquattro ore.» continuò, «Arrotondiamo ad novanta... anche camminando dodici ore al giorno impiegheremo...»

«Una settimana.» sospirò Crystal. «Lo so.» disse. «Anche attraversando la Pennsylvania impiegheremo troppo.» disse.

Benjamin si fermò e le prese il polso sinistro, «Dobbiamo trovare un'auto.» disse, «Anche a costo di rubarla.» mormorò, «Rischiamo che ci prendano, altrimenti.»

Crystal si limitò ad annuire, d'accordo con lui.

❖.❖.❖

Marie-Anne fissò l'auto, cercando di capire cosa non andasse. Fissò il cruscotto e gemette quando si accorse che la spia dell'olio era accesa e si domandò il perché, visto che lo aveva fatto controllare un paio di settimane prima. Tirò la leva per l'apertura del cofano e scese, alzò il cofano e, con lo straccio che teneva sempre in auto, svitò il tappo, per poi fissare l'asticella. Era praticamente pulita, escludendo quei due centimetri scarsi sul fondo.

«È rotta.» bisbigliò, sentendo che sarebbe scoppiata a piangere. E adesso? Era in mezzo al nulla, a qualche miglio dal confine con la West Virginia — la sera prima aveva guidato un paio d'ore, per poi fermarsi nel primo motel e dormire tutta la notte— e non sapeva cosa fare. Si raggomitolò per terra, piangendo e tenendo la testa fra le mani. Dopo qualche minuto si riscosse, dicendosi che era adulta e che non doveva piangere.

Non ci riuscì e abbassò il cofano, risalì in auto e strinse forte il volate, prima di urlare perché qualcuno aveva bussato al finestrino del passeggero.

«Cosa vuoi?» strillò fissando la ragazza con la pelle diafana, i capelli rossi e grandi occhi azzurri che la guardava.

«Hai bisogno di aiuto?» chiese l'altra, «Problemi con la macchina?» domandò, «È una di noi!» esclamò girando il viso e Marie-Anne si accorse di una macchina ferma a pochi metri di distanza.

«Si è rotta la coppa dell'olio.» pigolò asciugandosi gli occhi. «Non so cosa fare.» ammise.

«Dove stai andando?»

Marie-Anne girò il capo e fissò un ragazzo con i capelli neri, gli occhi azzurri e un sorriso da canaglia sul volto. «In Canada.» ammise, incantata dai suoi occhi così luminosi. «Io sono... io sono...»

«Uno di quei...» la ragazza alzò gli occhi al cielo, «Mostri,» esclamò tracciando delle virgolette con le dita «come ama dire quello stronzo?» domandò.

Marie-Anne annuì. «Sì.» confermò.

«Vieni con noi.» esclamò il ragazzo, «Io sono Erik.» si presentò e aprì la portiera.

Marie-Anne annuì, afferrò la borsa e scese, presentandosi a sua volta. La ragazza dai capelli rossi disse di chiamarsi Kathy e le presentò l'altro ragazzo, che fino a quel momento era rimasto appoggiato alla Lexus verde petrolio: «Si chiama Samuel, è il mio fidanzato.»

Il ragazzo alzò una mano e l'agitò in segno di saluto, prima di tornare a ricontrollare la cartina che aveva in mano.

Erik prese lo zaino di Marie-Anne e lo infilò nel bagagliaio, per poi salire al posto di guida, accanto a lui si sistemò Samuel, mentre lei e Kathy si sedettero sul sedile posteriore.

«Quanti anni hai?» le domandò la ragazza.

«Venticinque.» rispose Marie-Anne. «Voi?»

«Ventidue.» rispose Kathy, «Sam ventitré e Erik ventiquattro.» continuò, sorridendo dolcemente all'altra, mentre con una mano arrotolava una ciocca di capelli all'indice sinistro con fare distratto.

«Cosa siete?» mormorò Marie-Anne dopo qualche attimo di silenzio, fissando il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.

«Un Cercatore.» esclamò Erik, sollevando il viso e fissando la nuova arrivata dallo specchietto retrovisore. Quattro giorni prima era partito da Daytona Beach e due giorni prima aveva incontrato Kathy e Samuel.

«Un Cercatore?» domandò Marie-Anne, «Cosa sarebbe?»

Erik sorrise, «Trovo cose e persone.» rispose, «Cercavo uno di noi, uno dei Soldier e ho trovato loro due.» spiegò, «Adesso ho trovato te.»

«Noi siamo mutaforma.» esclamò Samuel, rimasto in silenzio fino a quel momento, «Pantere.» specificò.

Marie-Anne annuì, piano, e si tormentò le mani, sentendo l'angoscia opprimerle il petto. Tutta quella situazione era assurda e folle. Non era possibile, non poteva essere reale.

«Che tipo di mutaforma sei?»

Marie-Anne sospirò, «Io sono... io sono...» pigolò, accartocciandosi contro la portiera, «Un uccello.» soffiò, fissando il poggiatesta davanti a lei — era seduta dietro Erik — «Uno spatola rosa.»

Kathy spalancò gli occhi, «Uno spatola rosa?» domandò, «Sono rarissimi.» disse portandosi una mano sulle labbra, «Sei una specie rara.» sorrise.

Marie-Anne la fissò per un momento poi distolse lo sguardo e iniziò a mangiarsi le unghie.

«Sei sola?»

La mutaforma sobbalzò. «Cosa?»

Erik sorrise, «Ti ho chiesto se sei sola.» ripeté, «Ha lasciato qualcuno? I tuoi genitori, fratelli, sorelle, un fidanzato?»

Marie-Anne rimase in silenzio, non accorgendosi dell'occhiataccia che Samuel rivolgeva al ragazzo alla guida — non gli era sfuggito il tono da presa in giro, sopratutto sull'ultima parola.

«Nessuno.» rispose Marie-Anne, «Niente fidanzato e sono figlia unica.» mormorò, «I miei genitori sono morti.»

«Oh, povera piccola.» mormorò Kathy e l'abbracciò, cogliendola all'improvviso. Marie-Anne rimase rigida fra le sue braccia.

“Non sono piccola.” pensò, “Sono la più grande!”

«Kathy, evita di stritolarla.» borbottò Samuel togliendosi gli occhiali dalla spessa montatura nera, sospirò e si massaggiò la radice del naso prima di rimettersi gli occhiali.

«Oops.» Kathy si staccò dall'altra, «Scusa.» disse, «Ogni tanto mi lascio perdere dall'emotività.» sorrise ancora prima di allungare una mano e sfiorare i capelli del fidanzato.

Marie-Anne strinse le labbra, «Non importa.» disse scuotendo la testa, «E voi? Le vostre famiglie?»

«Mia madre è al sicuro, a Londra.» rispose Erik, «È la da mia zia, sua sorella.»

«Ah.» commentò Marie-Anne, «E voi?» guardò Kathy, che fissava il passaggio che scorreva fuori dal finestrino.

«Noi eravamo alla festa per il nostro fidanzamento.» rispose Kathy girando il viso verso l'altra, gli occhi tristi, «Degli uomini di quello stronzo hanno fatto irruzione perché qualcuno ancora più stronzo ha fatto la spia.» sputò.

«Siete scappati?» domandò Marie-Anne.

«Già.» rispose Samuel, «Sono stati i nostri genitori a dirci di scappare.»

«Siete scappati e li avete lasciati lì?» gridò Marie-Anne, «Io non l'avrei mai fatto!» esclamò, «È una cosa orribile.» piagnucolò.

«Marie,» sospirò Kathy, «Sono stati i nostri genitori a dirci di scappare. Non aveva senso rimanere lì, tutti quanti, a farsi uccidere o deportare chissà dove.»

Marie-Anne la fissò, sconvolta e si rannicchiò contro la portiera, domandandosi con chi fosse finita. “Degli stronzi egoisti.” pensò ed ebbe voglia di scappare. Però aveva bisogno di un passaggio. Ed era la più grande, fra di loro. Era la più vecchia e saggia. Avrebbe deciso lei cosa fare e dove andare. Inspirò a fondo, mentre si diceva che era la cosa giusta: non poteva lasciare le cose in mano a dei ragazzini che se ne erano andati lasciando la propria famiglia in mano a quelli.

Erik svoltò a sinistra, lasciando la route ottantuno alle loro spalle, «Ci fermiamo qui?» domandò imboccando il parcheggio di un dinner.

«Non dovremmo andare avanti?» chiese Marie-Anne.

«Abbiamo fame.» rispose Samuel fissandola, gli occhi castani farsi sempre più grandi. «Oh, scusa.» rise, «È la pantera che parla.»

«Tu hai sempre fame.» borbottò Kathy spalancando la portiera. Anche i due ragazzi uscirono e lo fece anche Marie-Anne, anche se avrebbe voluto proseguire. Però aveva fame anche lei, si rese conto mentre fissava la piccola insegna con scritto il menu del giorno.

Kathy osservò la nuova arrivata mentre avanzava verso la porta d'ingresso. Era più bassa di lei di almeno una decina di centimetri — e questo voleva dire che arrivava al metro e cinquantacinque — e se ne andava in giro con le spalle curve, sembrando ancora più bassa. Pensò che avrebbe dovuto assolutamente parlarle, perché se avesse continuato ad essere così spaventata sarebbe stata un bersaglio facile. Per tutti, non solo per gli uomini di Erikson: anche un semplice borseggiatore avrebbe potuto approfittare di lei.

Non dovevano sembrare quattro ragazzi in fuga, ma quattro ragazzi in gita di piacere. Mentre Erik apriva la porta d'ingresso e faceva passare le due, Kathy prese sottobraccio Marie-Anne, «Sorridi, tesoro.» le disse. «Non ti è morto il gatto.»

L'altra la fissò e la detestò. «Come fai a parlare così?» sibilò, «Noi siamo... noi... voi...»

Kathy rise, anche se avrebbe voluto piangere,, non sapere come stavano i suoi genitori, le sue sorelle e la nonna la uccideva ogni secondo che passava, «Marie, stai calma.» sospirò e la fece sedere, per poi scivolare accanto a lei sulla panca imbottita, «Non dobbiamo sembrare dei poveracci che scappano.» mormorò al suo orecchio, «Altrimenti è la fine.» disse, «Siamo semplicemente...» sorrise e scrollò le spalle, «In gita, ecco.»

Marie-Anne inspirò e fissò Erik, seduto davanti a lei, «Okay.» mugugnò. «E non chiamarmi Marie, per favore.» disse e afferrò il menu.

«Come vuoi.» sorrise Kathy e Marie-Anne si domandò se non fosse pazza: sembrava passare dall'allegria alla tristezza in un attimo.

Ordinarono da mangiare, «Che strada volete fare?» domandò, «Perché io avrei proseguito sull'ottantuno, poi per la settanta, andare a Pittsburg e da lì andare fino a...» si fermò, cercando di ricordare il nome della città, «Erie e da lì prendere un traghetto.»

«Non mi pare una buona idea.» esclamò Erik, «Sulle interstatali c'è un'alta probabilità di trovare posti di blocco.» mormorò e la fissò, facendola arrossire. «Strade secondarie, meglio se poco battute.»

Marie-Anne scosse la testa, «Ma così ci impiegheremo un'eternità.» protestò, «Facciamo come dico io.» esclamò. “Sono la più grande, so cosa fare.” pensò. Improvvisamente si sentì responsabile per quei ragazzi, anche se sembravano conoscere quel mondo meglio di lei.

«Macchina mia, regole mie.» sospirò Erik, sorrise alla cameriera che aveva portato le bibite e quella arrossì di botto, «Fine della questione.»


«Ritorniamo sull'ottantuno.» esclamò Marie-Anne una volta in macchina, dopo aver mangiato hamburger e hot-dog tutto sommato accettabili, «Io so cosa fare.»

«Tesoro,» sospirò Kathy prendendole la mano, «Fidati di noi.» disse guardandola, l'iride azzurra che sembrava voler inghiottire la pupilla, «Sappiamo cosa fare.» esclamò.

Marie-Anne scosse la testa e l'appoggiò al finestrino.

«Quanto ne sai dei Soldier?»

La domanda di Erik fece distogliere l'attenzione di Marie-Anne dal paesaggio, «Cosa sono?» domandò.

Erik rise, «Siamo noi, dolcezza.» rispose. «Chiunque dotato di un potere è un Soldier.» spiegò, «Non te l'hanno spiegato?» chiese.

Marie-Anne scosse la testa, «No.» rispose, «Ma questo che c'entra?» domandò.

«Non te l'hanno spiegato?» gracchiò Samuel girando il viso verso di lei, «E perché?» chiese, «È una cosa che ci spiegano subito.»

Marie-Anne alzò il viso. «Sono stata adottata.» confessò, «Quando avevo tre anni.»

«Oh, cucciola.» sussurrò Kathy e l'abbracciò, «Non sai nulla, allora?»

Marie-Anne scosse la testa, «Io... no.» rispose, «Mia madre e mio padre non sapevano... niente.» disse alzando la testa, anche se il ricordo dei suoi genitori le creava un groppo in gola ogni volta che ci pensavano.

«Marie-Anne.»

Lei si girò, trovando il viso di Kathy così vicino al suo che poteva sentire il rumore del suo respiro. Fissò i grandi occhi, la pelle che sembrava di porcellana, le lentiggini su guance e naso e pensò che fosse molto bella.

«Fidati di noi.» sorrise Kathy, «Sappiamo cosa fare.» ripeté.

Marie-Anne scosse la testa, incrociò le braccia al petto e fissò fuori dal finestrino. «Piove.» mormorò, fissando le gocce d'acqua che s'infrangevano sul vetro.

❖.❖.❖

«Merda.» squittì Crystal e passò una mano sul viso, asciugando la goccia d'acqua che l'aveva bagnata.

«Piove.» disse Benjamin.

«Ma dai?» sbuffò lei, «E sta peggiorando.» disse. «Dobbiamo trovare un riparo.» esclamò alzando il cappuccio della felpa, già zuppo d'acqua.

«Lo so.» disse Benjamin, guardandosi attorno, alla ricerca di una grotta o qualcosa di simile, «Non hai un ombrello, un impermeabile, qualcosa del genere nel tuo zaino da Mary Poppins?»

«No.» rispose Crystal, «Non ci ho pensato.» scrollò le spalle, «E poi non davano pioggia.»

«Lì.» esclamò Benjamin, le prese la mano destra e le indicò una casupola di lamiera a una ventina di metri da loro, sulla sinistra, nascosta dalla fitta vegetazione. In pochi secondi arrivarono davanti alla casupola e Benjamin imprecò quando vide il lucchetto. «Niente che possa tranciarlo?» sospirò.

«No.» rispose Crystal, spingendosi contro la parete di lamiera. «Sembra mezzo arrugginito.» notò, «Basterà strapazzarlo un po'.»

Benjamin raccolse un sasso da terra e la usò per colpire il lucchetto, che cedette dopo pochi colpi. La porta si aprì con un cigolio e Crystal si precipitò all'interno, lasciando le impronte dei suoi piedi sul pavimento di cemento. Il ragazzo la seguì, chiedendosi la porta alle spalle e notò che c'era un chiavistello, così lo usò per bloccare la porta.

Crystal accese la torcia, sistemandola in modo che illuminasse l'intero ambiente — non che ci volesse molto, era circa due metri per due — e fissò l'armadio a due ante, un piccolo sgabello molto basso e i ganci appesi alle pareti. Guardò Benjamin togliersi lo zaino, la giacca e la felpa, rimanendo con la maglia a maniche corte.

«Togliti quei vestiti.» disse lui appendendo i suoi ai ganci, dopo aver constatato che l'armadio non aveva grucce, «Altrimenti ti ammali.»

«Girati.» ribatté lei, recuperò una felpa asciutta e dei pantaloni dallo zaino e si tolse i vestiti bagnati, indossò quelli asciutti e si alzò in piedi per riporre quelli bagnati accanto a quelli di Benjamin. «Non ci voleva.» sbuffò sedendosi sul suo sacco a pelo. «Scombina i piani.»

Benjamin rimase in silenzio mentre recuperava una bottiglia d'acqua e si sedeva a sua volta, proprio davanti a Crystal C'era qualcosa in lei che gli sfuggiva, che non riusciva ad afferrare, ma che voleva scoprire a tutti i costi. La fissò togliere l'elastico che le chiudeva i capelli in una coda.

Crystal passò le mani fra i capelli, desiderando poter farsi una doccia. Sospirò e alzò il viso, fissando il vetro della finestrella, completamente ricoperto dalle gocce di pioggia. «Che ore sono?» domandò.

«Le quattro.» sospirò Benjamin. «Dovremo camminare con il buio.» mormorò.

«Non penso sia sicuro.» disse Crystal, allungò le gambe sul sacco a pelo e inspirò a fondo, sentendo la puzza di umidità entrarle violentemente nel naso. «Quelle cose...»

«Già.» sospirò Benjamin. «Allora rimaniamo qui fino all'alba.» disse, «A meno che non smetta prima.» fissò anche lui la finestrella, per poi tornare a guardare Crystal, che lo fissava, pensierosa. «Tutto bene?»

Crystal lo fissò e sospirò rumorosamente, «Secondo te?» domandò fissandosi i piedi nudi, «Non vedo l'ora di arrivare in Canada.» soffiò.

Benjamin si morse le labbra, «Anche io.» disse, «Per questo dobbiamo trovare un auto.» esclamò sporgendosi verso la ragazza.

«Lo so.» disse lei, «Ma rubarla non mi pare il caso, visto che denuncerebbero il furto e potremmo venire arrestati prima di raggiungere il confine dello stato.» notò.

«L'affittiamo.» Benjamin scrollò le spalle, sentendo tutta la stanchezza delle ultime ore scendere su di lui. «O compriamo un mezzo catorcio da qualcuno che vuole solo soldi.»

«E i documenti?» chiese Crystal, prendendo uno delle barrette, la scartò lentamente, «Io qualche soldo per pagare la mia metà d'auto ce l'ho.» disse staccando un pezzo della barretta cereali e cioccolato, «Ma se Erikson dovesse avere una lista con i nostri nomi... siamo fottuti.» concluse infilandosi in bocca il cibo.

«Pensi che abbia i nostri nomi?» domandò Benjamin.

Crystal alzò le spalle, «Forse.» rispose, «Probabile.» disse, «Se li catturano, se ci catturano così facilmente... non è di sicuro per colpa di quelli che fanno la spia.» piegò la testa di lato, osservando e chiedendosi come potesse esserne così sicura. Poi si ricordò che sua nonna aveva il dono della preveggenza.

«Se è così... siamo nella merda.» sospirò Benjamin passandosi una mano sul viso.

«Credi che una persona possa avere due poteri?»

Benjamin fissò Crystal, «In che senso?» domandò.

Lei sospirò. «Nonno era un lupo.» raccontò, «Nonna una veggente.» disse, «Mia madre una lupa...» continuò e si fermò per bere, «Posso avere due poteri?» chiese.

Benjamin la fissò, non sapendo cosa rispondere. «Non lo so, Crystal.» ammise. «Tuo padre era uno di noi?» chiese.

«No, lui era...» scrollò le spalle, «Normale.» disse, «Mio nonno era un lupo purosangue.» raccontò, «Mentre i genitori di mia nonna erano lei lupa e lui veggente.» disse e finì di mangiare la barretta, «Dio, non sono mai stata brava in biologia.» squittì, frustata. Inspirò a fondo, imponendosi di calmarsi, anche se non era facile ma, in una situazione come quella, calma e sangue freddo erano l'ideale. Benjamin rise e Crystal lo guardò, offesa. «Non ridere.» disse.

«Scusa.» disse lui, «È solo che... ti preoccupi della biologia, sul serio?» chiese sorridendo, «Hai finito il liceo, giusto?»

«Ovviamente.» rispose lei. «Volevo un anno sabbatico prima dell'università, poi nonna si è ammalata e quindi...» scrollò le spalle, «E quindi niente college.»

Benjamin smise di sorridere, «Scusa.» sospirò.

«Non preoccuparti.» mormorò lei, «Siamo stanchi.» disse.

«Perché ti interessa?» domandò lui osservandola, fissando gli occhi verdi di lei e i lunghi capelli biondi che le cadevano sulle spalle, le punte che cominciavano ad arricciarsi.

Crystal sospirò, «Così.» disse, «È solo una curiosità.» sospirò e scacciò quei pensieri che avevano iniziato ad affollarsi nella sua mente. «Niente di che.» disse e in quel momento la pioggia iniziò a battere violentemente contro il tetto e le pareti della casupola. «Cosa facciamo?» chiese.

Benjamin si sdraiò sul sacco a pelo e portò le mani alla testa, intrecciando le dita dietro di essa. «Aspettiamo.»

❖.❖.❖

Dawn trattenne l'impulso di urlare e di scaraventare per terra tutto quello che c'era sulla scrivania.

«Signorina Green?»

«Che c'è?» abbaiò lei verso il ragazzo magrissimo e con gli occhiali spessi.

«Sono... sono arrivati i documenti che ha chiesto.» balbettò lui, che si chiamava Thomas ed era il segretario di Dawn da un anno e aveva capito quasi subito che quando lei era arrabbiata — e in quel momento era davvero arrabbiata — bisognava solo dirle o darle quello che aveva chiesto senza ribattere.

Dawn fece un respiro profondo e si avvicinò a lui, gli strappò la cartelletta dalla mani e gli sbatté la porta in faccia.

Gettò il fascicolo sulla scrivania e sbuffò. Nulla stava andando bene. Anzi, stava andando decisamente di merda. Qualcuno aveva trafugato la lista di tutti i Soldier, lista che comprendeva dati personali, indirizzi, abitudini... e l'aveva data a quello stupido di Erikson, che la stava usando per i suoi scopi: catturare tutti quelli che avevano un potere, per ucciderli o farci chissà cosa.

«Idiota.» sibilò sedendosi, infilò la cuffia con l'auricolare e il microfono e compose un numero.

«Brennan.»

«George... dimmi che hai trovato Benjamin Carter.» esclamò Dawn.

«No.» rispose l'uomo dall'altra parte. «Un vicino ha detto che è partito l'altra sera, verso la West Virginia.» disse.

«Merda.» sbottò Dawn. «Non l'hanno preso loro, vero?» domandò.

«No.» sospirò George, «Non ci sono segni di lotta.» assicurò, «Aspetta, Philip ha trovato qualcosa.»

«Okay.» mormorò lei, fissò la tazza di caffè, aprì il secondo cassetto della scrivania, afferrò la bottiglietta di rum e ne versò metà nel caffè, guardò la tazza e versò il verso del liquore, per poi lanciare la bottiglia nel secchio dell'immondizia.

«Okay, Dawn... hanno trovato l'auto di Carter a quattro ore da qui, sugli Appalachi.» disse George, «Il motore è andato.»

«Okay.» ripeté Dawn e bevve un lungo sorso di caffè corretto, «Ci sono tracce? TI prego, dimmi che ci sono le sue impronte!»

George sospirò, «Dawn, qui viene giù a secchiate, anche se ci fossero delle tracce dubito che le troveremo quando smetterà di piovere.»

Dawn sospirò e trangugiò un paio di sorsi del caffè corretto, «Dio, quanto vorrei che avessimo un Cercatore.» sospirò.

«Anche io.» disse George, «Ma lo sai che sono rarissimi.» ansimò, «Il temporale.» gemette. «Dawn, noi rimaniamo qui per vedere se troviamo altro.»

«Va bene.» sospirò Dawn, «Chiamami quando ci sono novità, e state attenti.» disse, «Se ci sono problemi, tu e Philip tornate subito qui. Immediatamente.» aggiunse — riferendosi al potere di Philip: aveva il dono del teletrasporto — e riattaccò. Bevve un altro sorso e compose un altro numero.

«Nick Bennet.»

«Hai trovato Crystal?» chiese Dawn.

«No.»

«Maledizione!» strillò Dawn e inspirò a fondo. «Idee su dove sia?»

«Mancano i suoi effetti personali, la cassaforte è vuota, così come il frigo.» disse Nick, «Sulla porta c'è un biglietto per il lattaio, con scritto che starà via per qualche settimana, insieme ai soldi della settimana.»

«Quindi è andata via volontariamente.» borbottò Dawn.

«A quanto pare sì.» esclamò Nick.

«Speriamo che si ricordi della sede canadese...» sospirò Dawn.

«Già.» disse Nick, «Ti aggiorno più tardi.»

Dawn sospirò e mandò giù un altro sorso di caffè, poi compose un altro numero.

«Kat Brennan.»

«Marie-Anne?» domandò Dawn.

«Andata.» rispose la ragazza, la sorella minore di George. «La sua auto non c'è.» disse.

«Anche lei?» sbuffò Dawn e si passò una mano fra i capelli biondi e mossi. «Sicuri che se ne sia andata di sua volontà?»

«Certo.» rispose Kat, «Una vicina mi ha detto che andava verso nord.» disse, «È partita venerdì sera, al tramonto.» aggiunse, «La vecchia pensava che fossi una di Erikson e mi ha chiesto le duemila cocuzze.»

«E tu che le hai detto?» chiese Dawn.

«Che sono delle tasse e che ero qui per un controllo...» ridacchiò Kat, «Non ho mai visto una con il deambulatore correre più veloce di lei!»

Nonostante la stanchezza, la rabbia, le mille responsabilità, Dawn sorrise. «Okay,» esclamò «Aggiornami.» disse e chiuse la comunicazione. Sospirò e chiuse gli occhi, si toccò l'anello all'anulare sinistro e si domandò dove si fosse cacciato Steven, il suo fidanzato. Con un gemito si sfiorò la fronte, scostando i capelli biondi dal viso. Era una settimana che non dormiva decentemente, troppo presa da quell'assurda situazione. Sapeva di trattare male chiunque, sopratutto Thomas; si disse che avrebbe dovuto dargli un generoso bonus, una volta trovata la talpa.

Bevve ancora e si leccò le labbra, fissando le pareti del suo ufficio, ricoperti da attestati e premi. Era una delle Soldier migliori, un livello Cinque-B e ci era arrivata dopo aver combattuto e rischiato la vita diverse volte. Con un gemito si alzò, portò le mani ai reni ed espirò, gli occhi all'orologio. Erano quasi le sei del pomeriggio e doveva ancora fare un sacco di telefonate. Ma prima, prima doveva trovare Steven.

Arrivò all'ufficio dell'uomo, poco lontano dal suo e lo trovò lì. Era seduto sulla comodo e costosa poltrona della scrivania, parlottava al telefono con qualcuno. «Sto facendo il possibile...» mormorò Steven.

«Steve.» mormorò lei. In un altro momento avrebbe aspettato che Steven concludesse la telefonate ma in quel momento desiderava solo essere stretta fra le sue braccia. «Steve.» ripeté.

Lui si girò e la fissò, «Lo farò.» disse al telefono, «Ci sentiamo.» aggiunse e posò la cornetta sul corpo centrale del telefono. «Washington.» sorrise, «Tutto bene?»

Lei sospirò e si avvicinò a lui. «Non chiamarmi così.» squittì.

«E tu dimmi che cos'hai.» replicò lui e l'attrasse a sé, facendola sedere sulle sue gambe.

«Sono preoccupata.» ammise lei, «Stanca.» continuò, «Distrutta.» mormorò appoggiando la testa alla spalla di lui e inspirando il profumo del suo fidanzato. «Ho voglia di spaccare il culo a Erikson.»

Steven le sfiorò i capelli, «Andrà tutto bene, vedrai.» soffiò.

Dawn chiuse gli occhi mentre lui le massaggiava la schiena. «Lo spero.» disse, «Con chi parlavi?» domandò sfiorandogli le labbra con l'indice e il medio della mano sinistra.

«Con Carlson.» rispose lui, riferendosi a uno dei loro capi.

Dawn annuì, «Okay.» disse.

«Hai mangiato, Washington?» chiese Steven, facendo sbuffare Dawn. «Devi mangiare.» disse, «Dai,» le baciò la fronte «andiamo.»

Dawn sospirò, sapendo che Steven aveva ragione. Erano giorni che non faceva un pasto decente. «Andiamo.» disse e si alzò in piedi.

❖.❖.❖

Erano ormai due ore che viaggiavano sotto quella pioggia scrosciante, con Erik che non superava le venti miglia orarie e tutto perché aveva deciso di percorre una strada praticamente dissestata, dove l'asfalto aveva ceduto in più punti, creando buche più o meno profonde. Marie-Anne sbuffò, posando il capo sul poggia testa della Lexus IS EX30. Pensò che Erik fosse ricco, perché quell'auto aveva gli interni in acero e i sedili in pelle. Un auto molto costosa, differente dalla sua Volvo di quindici anni.

«Dove siamo?» domandò.

«Montery.» rispose Samuel levandosi gli occhiali per pulirli, piantando i suoi occhi castani in quelli di Marie-Anne, dello stesso colore. Solo che quelli del giovane sembravano schiarirsi e scurirsi senza una logica.

«E poi dove andiamo?» chiese, ripetendosi che lasciare la route ottantuno era stata una pessima idea.

«Siamo un una ventina di miglia dalla West Virginia.» rispose Erik, lo sguardo fisso sulla strada. «Poi andiamo verso Franklin.»

«Io penso che dovremo prendere un'interstatale.» borbottò Marie-Anne.

«E io penso che sono un Cercatore, una specie di navigatore umano, che trova quello che vuole. E la strada da fare è questa.» replicò Erik. «Scusa, è che questa situazione mi esaspera.» sospirò e tornò a concentrarsi alla guida. Non lo avrebbe mai detto — non ancora, almeno — ma una volta in West Virginia sarebbe andato verso sud, verso Lewisburg, dove era sicuro di trovare una persona — o erano due? — come lui, dei Soldier. Ma la cosa più importante era che lui, quella persona, la conosceva.

L'auto si fermò dolcemente e Kathy si riscosse dal suo torpore con uno sbadiglio. «Dove siamo?» chiese.

«In mezzo al nulla.» ringhiò Marie-Anne.

«Dieci miglia a ovest di Montery.» rispose Erik fissando il motel davanti a loro. Aveva l'aspetto squallido, uno di quei motel usati in particolare dalle prostitute e i loro clienti ma era pur sempre un riparo. «Scendiamo.» disse.

Marie-Anne sospirò, irritata. Non voleva fermarsi in quel posto, ma era stanca di stare seduta e doveva andare in bagno. Erik spostò l'auto, parcheggiandola sotto una tettoia. Scesero e presero le loro cose.

«Due camere.» esclamò Erik, recuperando una sigaretta dallo zaino, «Meglio se vicini e comunicanti.» disse e aspirò la prima boccata.

«Due camere?» squittì Marie-Anne, «Ma...»

«Di solito hanno due letti gemelli.» Erik scrollò le spalle, «Non attenterò alle tue virtù, tranquilla.» disse dopo essersi voltato, sorrise, con quel sorriso un po' sghembo che Marie-Anne aveva visto parecchie volte in quella manciata di ore.

«Va bene.» sospirò la mutaforma, osservando Samuel abbracciare Kathy e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene.

«Stiamo ritornando a casa da una gitarella al fiume, ma piove troppo forte per proseguire.» disse Erik guardandoli tutti quanti. Sapeva di essere carismatico — oltre che affascinate — e sapeva che lo avrebbero ascoltato. «Diremo questo.» aspirò un'altra boccata. «Senza obbiettare.» fissò Marie-Anne e le sorrise, facendola arrossire. Pensò che fosse adorabile, anche se leggermente petulante.

C'era solo una stanza libera, con tre letti. Marie-Anne sbuffò, infastidita dall'idea di condividere il letto e il bagno con altre tre persone, però seguì gli altri tre. La stanza era grande, i tre letti gemelli erano addossati alla parete alla sinistra della porta, intervallati dai comodini, di fronte a loro, contro la parete opposta, c'era un lungo mobile con sopra la tv, un asciugacapelli e una macchina per il caffè americano, con accanto tre bicchieri, tre tazze in ceramica bianca con il logo del motel e una ciotolina con caffè, alcuni tipi di tè e bustine di zucchero.

La porta che conduceva al bagno era proprio di fronte a quella d'ingresso.

«Io e Kathy dividiamo un letto.» esclamò Samuel e scelse quello più lontano dalla porta.

Marie-Anne abbassò le spalle e posò il suo zaino sul letto centrale, mentre Erik si lasciava cadere sull'ultimo. Visto che nessun altro andò in bagno lo fece lei.

Quando tornò nella stanza, vide che Erik non c'era.

«È andato a prendere qualcosa da mangiare.» le rispose Samuel quando chiese dove fosse, «C'è un cinese qua davanti.»

Marie-Anne annuì e si lasciò cadere sul letto, fissando Samuel che sbirciava fuori dalla finestra. «Cosa fai?» gli domandò.

«Copro le spalle a Erik.» rispose Samuel senza voltarsi, scostando appena le tendine giallo chiaro. Marie-Anne non replicò e si voltò, decisa a parlare con Kathy ma la vide entrare in bagno, così si passò le mani fra i capelli, sentendosi improvvisamente stanca. Si stropicciò gli occhi e fissò Samuel, ancora davanti alla finestra. Pensò che fosse un ragazzino e neppure troppo carino con quegli enormi occhiali dalla grossa montatura e i capelli neri spettinati. Si domandò come facesse a piacere a Kathy. In quel momento, come se fosse stata richiamata, Kathy uscì dal bagno. «Tesoro, sostituiscimi.» esclamò Samuel voltandosi. «Devo cagare.» disse.

Marie-Anne arricciò il naso e pensò che avrebbe potuto fare a meno di rendere tutti partecipi di quello che doveva fare.

«C'è il deodorante.» esclamò Kathy, «Usalo!» strillò mentre Samuel chiudeva la porta alle sue spalle.

Kathy andò alla finestra e guardò fuori. «Erik è alla casse, sta pagando.» disse.

Marie-Anne si alzò in piedi e la raggiunse, guardò anche lei ma non vide nulla, a parte il ristorante illuminato, le auto nel parcheggio e quelle che sfrecciavano sulle strade. «Non vedo niente.» disse, «Come fai a dirlo?»

Kathy la osservò e sorrise, «Sono una pantera.» disse, «Lo vedo benissimo.» sorrise ancora mentre le sue pupille diventavano come quelle del felino e le iridi si facevano più chiare.

Marie-Anne annuì spaventata e tornò a sedersi.

«Sei a digiuno, eh?» domandò Kathy fissandola. Capiva che, per via del fatto che fosse stata adottata, sapesse così poco del “loro” mondo, ma non riusciva a comprende come mai non avesse approfondito la questione.

«Abbastanza.» ammise Marie-Anne.

«Direi molto.» Kathy distolse lo sguardo e lo puntò fuori dalla finestra. «Erik sta uscendo.» disse. «Quante volte ti sei trasformata?» domandò.

Marie-Anne si strinse nelle spalle, detestando quelle domande, quelle chiacchiere... voleva solo andare sotto le coperte e piangere fino ad addormentarsi. «Un paio.» sospirò.

Kathy spalancò gli occhi, «Un paio?» chiese e sospirò, «Hai bisogno di un corso accelerato.» constatò e, un attimo dopo, Erik aprì la porta, stringendo due sacchetti di carta fra le mani.

«Sam?» chiese il Cercatore.

«Al cesso.» rispose Kathy.

Erik scrollò le spalle e iniziò a dividere il cibo: risotto alla cantonese, involtini primavera e pollo alle mandorle. A Marie-Anne non piaceva molto ma accettò la sua porzione senza dire nulla, aveva fame.

❖.❖.❖

Benjamin fissò Crystal frugare nello zaino, prendere il fornelletto da campeggio, il pentolino e una busta. «Cos'è?» domandò.

«Zuppa.» rispose lei versando l'acqua nel pentolino per poi metterlo sul fornelletto acceso.

«Zuppa?»

Crystal alzò le spalle, «Bhe, mica possiamo andare avanti a barrette.» osservò. «Dovremmo trovare dell'acqua.» constatò fissando la bottiglia vuota.

«Basterà un fiume.» disse Benjamin sistemandosi meglio sul sacco a pelo, «Se ci sono pesci è potabile.» aggiunse. Ormai erano le sette di sera e continuava a piovere — meno di prima, però — «Che gusto è?» indicò la busta che Crystal stava aprendo.

«Asparagi.»

Lui fece una smorfia. «Non mi piace.»

«Ci sono le barrette.» Crystal versò il contenuto della busta nel pentolino e usò un cucchiaio di plastica dura per mescolare.

«No, la mangio, eh.» replicò Benjamin. «È che preferirei una bella lepre arrosto...»

Crystal lo guardò, «Bhe, se la catturi e accendi un falò io la scuoio.»

Benjamin si fermò dal bere l'acqua, «Sai scuoiare una lepre?» starnazzò.

Crystal alzò le spalle, «Sì.» disse, «Me lo ha insegnato mio nonno.» aggiunse girando la zuppa.

Benjamin la fissò, piegando la testa di lato e fissandola alla luce delle due torce — entrambe a dinamo — «Sai scuoiare solo lepri?» chiese, «Spiumi anche polli, galline» continuò «fagiani?» chiese, gli occhi di un azzurro chiarissimo, la pupilla diventata più grande.

Crystal alzò ancora le spalle. «Sì.» rispose, «Non è difficile, eh.» esclamò, «Faccio più fatica a sfilettare una trota.»

Benjamin rise, «Okay.» disse e incrociò le gambe, «Se catturo una lepre la scuoi.» esclamò, «Per il fuoco... hai l'accendino?» chiese.

Crystal annuì, «Ovviamente.» rispose e assaggiò la zuppa di asparagi — anche se era meglio definirla crema — «È pronta.» disse, due bicchieri di plastica, ne prese uno e lo avvolse in un tovagliolo di carta, lo riempì e lo passò a Benjamin, «Scotta.» lo avvertì, poi riempì un bicchiere per sé.

❖.❖.❖

«Sicuro di conoscerla?» bisbigliò Samuel fissando Erik. Erano ancora al motel, chini sull'unico tavolo e fissavano la cartina dello stato.

«Sì.» rispose Erik. «Non so chi sia, però la conosco.» disse, «Fidati.»

Samuel annuì. Conosceva Erik da pochi giorni ma si fidava completamente di lui. E in più era un Cercatore, e quelli erano più rari di una vergine in un bordello. Aveva aiutato lui e Kathy a scappare da quello che sembrava una grossa lince mutante. Non aveva mai visto una lince in North Carolina e, soprattutto, non aveva mai visto una lince come quella: denti che gli ricordavano sciabole affilate e artigli lunghi e spessi. «Okay.» espirò piano. «Basta che poi ce ne andiamo.»

Erik annuì, «Ovviamente.» disse. Sospirò e si stropicciò gli occhi, esausto. «Che te ne sembra?» domandò.

Samuel ci mise un secondo a capire a cosa — chi — si riferisse il suo nuovo amico. Lanciò una breve occhiata a Marie-Anne, che se ne stava sul suo letto, le ginocchia strette al petto e lo sguardo perso nel vuoto. «Petulante.» soffiò guardando Erik, «A tratti infantile.» continuò a bassa voce, «Isterica.» aggiunse, «Verginella casa e chiesa.»

Erik ghignò, «Tu dici?»

Samuel sorrise, «Ogni volta che la guardi diventa rossa come un pomodoro.» mormorò.

Erik alzò le spalle, «È il mio fascino, mio caro Sam.»

Samuel scosse la testa e fissò Kathy che cercava di parlare con Marie-Anne. «A digiuno di tutto.» continuò puntando i suoi occhi scuri in quelli chiari di Erik.

«Potrebbe essere un problema.» sospirò Erik. «Se diventa troppo isterica di' a Kathy di darle una sberla.» mormorò e Samuel annuì. «Esco a fumare.» disse ad alta voce prendendo il pacchetto di sigarette e l'accendino.

«Vengo anche io.» esclamò Samuel.

«Vuoi ricominciare?» sbottò Kathy.

Samuel rise, «Mi pare l'occasione adatta.» disse e seguì Samuel all'esterno della stanza.

Kathy scosse la testa, «Marie-Anne...» sospirò guardando la ragazza rannicchiato sul letto centrale. «Devi smetterla.» sospirò di nuovo.

«Ma perché non mi ascoltate?» pigolò l'altra. «Sono più grande, so cosa faccio.» disse alzando lo sguardo, gli occhi lucidi. Aveva un disperato bisogno di piangere.

«Erik è un Cercatore.» sbuffò Kathy, «Lui trova chiunque e qualsiasi cosa voglia o che abbia perso.» spiegò, «Se lo vuole, può sapere se e dove ci sono posti di blocco che controllano ogni auto.» continuò e si sedette sul letto dell'amica. «In giro si dice che ci sia una lista di tutti i Soldier.» sbottò. «Se ci fermano siamo nella merda.» ringhiò, «Capisci ora perché dobbiamo evitare le interstatali come la peste?»

Marie-Anne annuì, «Ma così arriveremo prima...» tentò.

«E ci ammazzeranno prima.» sospirò Kathy, tolse un elastico nero che aveva al polso e legò i capelli. Inspirò a fondo e guardò Marie-Anne, «Non sai proprio nulla, eh.» sorrise. «Non hai mai incontrato nessuno come noi?»

L'altra scosse la testa, «No.» soffiò. «Non l'ho mai detto a nessuno, neanche a mamma e papà.» confessò. «Credevo di essere un mostro.» pigolò.

Kathy le sorride dolcemente e l'abbracciò, «Andrà tutto bene.» le soffiò.

In quel momento gli altri due rientrarono nella stanza. «Andiamo a dormire.» esclamò Erik gettando sigarette e accendino sul tavolo, «Domani partiamo all'alba.»

❖.❖.❖

Crystal sbadigliò e aprì il sacco a pelo mentre un brivido le attraversava la schiena, si sistemò meglio la felpa, tirandola fino a coprire il sedere. Sentiva lo sguardo di Benjamin su di sé e si chiese quand'era successo che avessero deciso di proseguire quel viaggio insieme. Scivolò nel sacco a pelo e chiuse la cerniera, sospirò e guardò il soffitto.

«Freddo?» domandò Benjamin.

Crystal sospirò e annuì, «Un po'.» ammise, «Ci sono gli spifferi.» disse. «Buona notte.» sbadigliò.

Benjamin la fissò girarsi e dargli le spalle, puntò gli occhi al soffitto e rimase fermo, ad ascoltare la pioggia e gli animali del bosco. Non seppe quanto tempo passò ma a un certo a punto si mise seduto, si tolse la felpa e la stese sopra Crystal, tornò a sdraiarsi e si coprì con il sacco a pelo e si avvicinò ancora di più a lei.

❖.❖.❖

Erikson sorseggiò un bicchiere di vino Beringer Private Reserve Cabernet Sauvignon — il suo preferito, veniva direttamente dalla California — e guardò gli schermi davanti a sé. Nelle gabbie c'erano tutti i Soldier che aveva catturato negli ultimi cinque anni. All'inizio le cose erano andate lentamente, ne prendeva uno ogni tre o quattro mesi ma poi... poi aveva avuto la lista e tutto era andato sempre meglio. Ne aveva trovati a centinaia negli ultimi quattro mesi.

Alcuni li lasciava in vita per qualche settimana e poi li uccideva con un semplicissimo colpo calibro 9. in mezzo agli occhi, altri... altri li trasformava. Li metteva in mano ai suoi scienziati che lavoravano su di lui in tutti i modi possibili, rendendoli quasi invincibili — tranne per loro, potevano ammazzarli quando volevano perché sapevano come fare — per poi mandarli in mezzo alla gente, per convincerli che i Soldier — i mostri, come amava chiamarli — fossero pericolosi.

Il telefono squillò e lui alzò la cornetta. «Sì?»

«La talpa è in viaggio.» disse la voce dall'altra parte.

Erikson sorrise, «Bene.» commentò. «Sei sicuro che lo farà?» domandò. Se la talpa non avesse fatto quello che aveva in mente sarebbe stato inutile.

«Sì.» rispose l'altro, «Sono sicuro. Ne ha bisogno...» sogghignò, «Ha un bisogno disperato di essere qualcuno.»

«Perfetto.» sorrise Erikson e sorseggiò ancora il vino, «Quando lo farà? Quando la talpa lo farà?» chiese. Non avrebbe mai pronunciato il nome della talpa, non si fidava. Anche se aveva un disturbatore di frequenze, quelli dell'FBI, CIA e, sopratutto, quelli del Projeus Institute, potevano intrufolarsi nella sua dimora — anche se era sorvegliata e praticamente inespugnabile — ed era sempre meglio essere previdenti.

«Quando sarà necessario.» rispose l'altro, «Comunque prima del confine con il Canada.» disse.

«Bene.» esclamò Erikson. «Chiamami se ci sono novità.» disse e riattaccò per poi fissare il vecchio telefono — uno di quelli con la ruota per comporre il numero — e sospirò, soddisfatto. Alzò gli occhi mentre prendeva in mano il calice di cristallo e fissò la grossa pendola di legno. Mancavano sei minuti a mezzanotte.

Tutto stava andando secondo i piani.


Okay, ecco qui il primo capitolo, un po' lunghetto - sono più o meno 9k parole, secondo Open Office. Hanno fatto il loro ingresso altri personaggi, compreso il cattivone. Nel prossimo arrivaranno anche gli altri.
Specifico una cosuccia: le info sulle distanze le ho prese basandomi sulle cartine presenti su Wikipedia nelle pagine dei vari stati, usando anche un sito dove basta inserire il nome della città di partenza e quello in arrivo. Poi ho convertito tutto in miglia. Se sbaglio qualcosa non è colpa mia, ecco.
Scusate il ritardo ma mi sono dimenticata di postare. Il prossimo capitolo arrivarà settimana prossima o anche un po' prima, dipende se mi ricordo di postare ahahahah. Non fa ridere, lo so xD il terzo è a buon punto.
E niente, grazie a chi legge, a chi commenta, chi mette la storia in una delle liste.

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Capitolo 3
*** 2. Secondo Giorno ***


Projeus:
The Big War

2.
Secondo Giorno

Domenica 6 Settembre, all'alba.

Benjamin si riallacciò i jeans, prese la salvietta umidificata dalla tasca posteriore — l'aveva presa dalla confezione che Crystal aveva nello zaino — e si pulì velocemente le mani. Era appena l'alba e non pioveva più da qualche ora. Lasciò cadere la salvietta in mezzo ai cespugli e si voltò, pronto per tornare in quella baracca, svegliare Crystal e partire.

Superò un grosso cespuglio e si bloccò nel sentire le voci; lentamente si avvicinò al dirupo e fissò il sentiero sottostante: c'erano due militari e capì subito che fossero mandati da Erikson perché i due stavano parlando di mostri, di come li avrebbero uccisi e fatto altre cose, soprattutto alle donne. Benjamin rabbrividì nel sentirli, morsicò il labbro inferiore, strisciò i piedi sull'erba per eliminare il fango dalle scarpe e tornò indietro, calcolando che i due avrebbero impiegato almeno due minuti per raggiungerlo. Si precipitò nella baracca e iniziò ad ammassare le loro cose nell'armadio, sapendo che non c'era tempo per scappare, altrimenti i due militari li avrebbero visti. Ammassò gli zaini e il suo sacco a pelo, infilò i vestiti ancora umidi in un sacchetto preso dallo zaino di Crystal e lo posò sopra le altre cose. Mancava solo lei, che dormiva ancora. «Crystal.» la chiamò, «Crystal, svegliati, dannazione.»

«Piantala.» mormorò lei.

Lui la scosse, poi infilò un braccio sotto la sua schiena, deciso a sollevarla di peso, con la voglia di nascondersi nell'armadio. Crystal reagì, colpendolo allo sterno con una gomitata. «Dio, Crystal.» gemette mentre il fiato gli si mozzava in gola per un istante;«Sei forte.»

«Che c'è?» sbottò lei, ancora assonnata.

«C'è che ci sono due di Erikson sul sentiero.» bisbigliò lui in risposta, «Nell'armadio, subito.» ordinò.

Crystal sbiancò, sgattaiolò fuori dal sacco a pelo, lo afferrò insieme al tappeto da yoga ed entrò nell'armadio, appiattendosi contro la parete laterale.

Benjamin la raggiunse, chiuse l'anta e afferrò il vecchio blocco della serratura, stringendolo e tirandolo verso di sé con tutta la forza che aveva. Crystal, accanto a lui, lo sentì imprecare sottovoce.

«Sicuro che siano i suoi?» bisbigliò, aggrappandosi alla felpa che Benjamin aveva indossato appena sveglio — quella che la sera prima aveva steso su di lei.

«Sì.» soffiò lui, gli occhi che saettavano da una parte all'altra. «Shh.» fece, «Arrivano.» bisbigliò.

Crystal spalancò gli occhi: li aveva sentiti anche lei: erano a cinquanta metri da loro; chiuse gli occhi e strinse ancora di più la presa su Benjamin.

Gli uomini arrivarono e si fermarono proprio davanti alla porta. «Entriamo?» soffiò uno di loro e Crystal lo sentì chiaramente, come se fosse lì accanto a lei.

«Diamo un'occhiata.» rispose l'altro.

La porta si aprì con un cigolio sinistro, i passi pesanti dei due soldati rimbombavano nelle orecchie dei due mutaforma, mentre il loro istinto gridava di trasformarsi e fuggire.

«L'armadio?» chiese uno dei due militari.

«Ma no, non c'è nessuno.» fece l'altro. «Andiamocene, ne ho le palle piene.» disse. Altri passi, altro cigolio.

Benjamin lasciò andare l'anta solo dopo cinque minuti. Inspirò a fondo e lasciò uscire l'aria con uno sbuffo rumoroso. «Sono andati.» disse e guardò Crystal, che non aveva smesso di rimanere aggrappata a lui, il viso distorto dalla paura, «Andiamocene anche noi.» soffiò.

Crystal annuì piano, ancora spaventata. Aveva paura che notassero il fango per terra e che decidessero di controllare meglio, invece se ne erano andati via subito. Uscirono dall'armadio, sistemarono le loro cose in silenzio, indossarono gli zaini e Benjamin uscì per primo. «Non possiamo fare il sentiero.» pigolò lei stringendo spasmodicamente gli spallacci dello zaino, «Potremmo incontrarli.»

Benjamin la fissò e annuì. «Giusto.» disse, «Passiamo per il bosco.» sospirò pensando che avrebbero dovuto fare ancora più attenzione, dovendo fare attenzione sia ai soldati che alle scimmie mutanti. S'incamminarono lungo il pendio con i sensi all'erta.

«Speriamo di non perderci.» soffiò Crystal dopo interminabili minuti di silenzio. «Io conosco solo i sentieri.» mormorò.

«Non ci perderemo.» assicurò lui, anche se sapeva di mentire. Avevano un'altra probabilità di perdersi in mezzo a quei boschi.

«Speriamo.» mormorò lei guardandosi attorno, alla ricerca di un punto di riferimento. Guardò in basso, oltre agli alberi e i cespugli, e vide il marrone del sentiero e si tranquillizzò. «Andiamo dritti.» disse, «Rimaniamo paralleli al sentiero.» sospirò. «Se ci muoviamo, potremmo essere in West Virginia prima delle undici.»

Benjamin si voltò appena e la fissò, poi sorrise e annuì. «Perfetto.» disse, «Muoviamoci.» esclamò. «Non è che avresti una bussola?» domandò senza girarsi.

Lei scrollò le spalle. «Sì, ma è una robina semplice semplice.» rispose.

«Basta che segni il nord.» replicò Benjamin girando appena il viso, «Prendila.» disse e Crystal lo fece, recuperandola da una tasca laterale dello zaino.

❖.❖.❖

Marie-Anne sbuffò, contrariata. Ancora stradine secondarie che s'inerpicavano su per gli Appalachi. Erano in viaggio da quasi due ore ed erano ancora in Virginia, perché Erik si divertiva a girare in tondo, dicendo che c'erano gli uomini del presidente in giro, pronti a fare fuoco se ci fosse stato il minimo problema.

Era ancora convinta che percorrere le statali e interstatali fosse meglio ma gli altri non la pensavano come lei. Era stato inutile dire che lei era la più grande e che avrebbe dovuto decidere lei. Si era sentita rispondere che era la maggioranza che decideva, che erano tre contro uno e che sarebbero andati lungo stradine secondarie.

Kathy la fissò e sopirò, afferrò il piccolo brick di succo alla pesca che aveva preso al distributore del motel e ne bevve un sorso. «Dobbiamo stare in silenzio?» chiese, «È inquietante.» borbottò.

«Se vuoi canto, amore.» rispose Samuel senza staccare gli occhi dalla cartina. Anche se la Lexus aveva un navigatore, avevano preferito usare delle normali cartine, prima che qualcuno s'infiltrasse nel computer di bordo dell'auto e rintracciasse i loro movimenti.

«Dio, no.» esclamò Kathy aprendo gli occhi, «Vuoi rompere tutti i vetri nel raggio di dieci miglia?» rise, ignorando l'occhiataccia di Marie-Anne.

«Ho una voce melodiosa, eh.» replicò Samuel.

«Come un gesso che stride sulla lavagna.» rise Kathy.

«Se canti e rompi uno dei vetri ti do un cazzotto.» esclamò Erik.

Samuel alzò le spalle e riprese a osservare la cartina. «Siamo quasi al confine.» disse. «Circa cinque miglia.»

«Bene.» disse Erik.

«Prenderemo la statale?» domandò Marie-Anne sporgendosi fra i sedili anteriori.

«No.» rispose Erik, «Ne abbiamo già parlato.» disse.

Marie-Anne tornò a sedersi composta, fissando gli alberi che circondavano la strada, pensando che così sarebbero andati di sicuro a cacciarsi nei guai.

«Merda.» esclamò Erik fermandosi di botto.

«Che c'è?» domandò Kathy.

«C'è che c'è un posto di blocco, mezzo miglio più avanti.» rispose Erik, «Torniamo indietro.» rispose, stringendo la presa sul volante.

«L'avevo detto che dovevamo prendere la statale!» squittì Marie-Anne. «Dobbiamo andare sulla statale!» esclamò, arrabbiata con Erik che non voleva ascoltarla.

«No, dobbiamo trovare un'altra strada, possibilmente senza quegli stronzi.» replicò Erik facendo inversione. Andò avanti un centinaio di metri, poi svoltò bruscamente in una strada a sinistra, ancora più stretta della precedente.

Marie-Anne sbuffò, contrariata. Avrebbe voluto prendere Erik a sberle e scuotere Samuel e Kathy per fargli capire che stavano sbagliando tutto. Erik sterzò ancora, andando a infilarsi in una minuscola radura fra gli alberi, grande abbastanza per farci stare l'auto, ma i rami degli alberi la sfioravano, creando un'inquietante cupola che fece precipitare nella semi oscurità l'interno dell'auto.

«Perché ci siamo fermati?» domandò Kathy stringendo con forza il sedile di pelle sul quale era seduto il suo fidanzato.

«Perché siamo circondati.» soffiò Erik. «C'è un'altra pattuglia a tre miglia da qui, verso sud.» disse, «Un'altra a nord. Ancora una a ovest, proprio dopo il confine dello stato.»

Samuel afferrò la mano di Kathy e la strinse, «Cosa facciamo?»

Erik si morse il labbro inferiore, sospirò. «Aspettiamo.» disse.

Marie-Anne emise un urletto, si spinse contro la portiera, si raggomitolò e scoppiò a piangere.

❖.❖.❖

Crystal ansimò, «Guarda lì.» disse, «C'è una di quelle bacheche con le cartine.» esclamò, afferrando il braccio di Benjamin. Avevano camminato per quasi quattro ore senza fermarsi, avanzando fra la fitta vegetazione, ignorando i sentieri.

«Andiamo.» disse lui avvicinandosi al pendio, si levò lo zaino e lo posò ai suoi piedi, iniziò a scivolare piano fino al sentiero. «Passami lo zaino.» esclamò. Crystal lo prese, si aggrappò a un albero e si allungò il più possibile, Benjamin afferrò lo zaino e lo prese per poi lasciarlo cadere a terra.

«Dammi il tuo.»

Crystal annuì e glielo tese, per poi scendere anche lei lungo il pendio, rotolò a terra e imprecò. Benjamin le tese una mano che lei strinse e si rimise in piedi, «Grazie.» esclamò recuperando il suo zaino. «Su uno stupidissimo sasso dovevo inciampare.» borbottò fissando la pietra che sbucava dal terreno fangoso. «Per fortuna non mi sono ancora cambiata i pantaloni.» sospirò e s'incammino con Benjamin verso la costruzione di legno che ricordava una casetta. Fissarono la mappa e Crystal sospirò dal sollievo quando vide che c'era il pallino con la scritta “Voi siete qui”.

«Siamo nella Greenbrier State Forrest.» disse Benjamin. «La città più vicina è...» mormorò, «Tuckahoe.» esclamò.

«Saranno circa...» Crystal cercò dove fosse la scala per capire quanto fosse distante da loro.

«Sei miglia.» rispose Benjamin e fissò Crystal, «Ce l'abbiamo fatta.» disse, «Siamo in West Virginia.» esclamò mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso luminoso.

Anche lei sorrise, «Sì.» disse e distolse lo sguardo, «Uh, guarda,» esclamò puntando il dito sulla cartina «ci sono dei tavoli da pic nic.» disse, «Non sembrano lontani.» osservò.

«Bhe, sono sul sentiero.» Benjamin scrollò le spalle, «Ci fermiamo a mangiare lì.»

Ripresero a camminare, proseguendo sul sentiero, sentendosi più tranquilli. Benjamin pensò che avrebbe dovuto abbandonare l'auto in ogni caso: il sentiero in certi punti non era abbastanza grande da far passare una macchina, senza contare gli uomini di Erikson. Trovarono un piccolo ruscello dove una volpe si stava abbeverando prima di fuggire alla loro vista, così riempirono le bottiglie e ripartirono.

In una manciata di minuti arrivarono al tavolo e Crystal si sedette sulla panca di legno con un gemito. «Dio, adesso manca solo un cesso vero e sarei felice.» sospirò.

«Anche un letto.» rise Benjamin, sedendosi di fronte a lei.

«Già, anche quello.» confermò Crystal e sorrise, «Sono quasi le undici... mangiamo adesso?» chiese.

Lui annuì, «Direi di sì, visto che non abbiamo fatto colazione.» rispose. Pranzarono — barrette e frutta disidratata — e rimasero lì a riposarsi e cambiarsi i pantaloni sporchi di fango — erano scivolati più volte mentre erano nel bosco — si sdraiarono sulle panche e rimasero a godersi il sole.

«Dobbiamo andare.» esclamò Benjamin dopo un po', «È mezzogiorno e mezzo.» disse guardando l'orologio.

Crystal annuì e si mise seduta con uno sbadiglio. «Sì.» mormorò. Ripresero il cammino, guardandosi attorno.

«Ferma.» soffiò Benjamin dopo cinque minuti scarsi, «Arriva qualcuno.» disse e la trascinò dietro un masso.

Crystal chiuse gli occhi e si concentrò o cercò di farlo, escludendo il fruscio delle foglie e i rumori causati dagli animali del bosco, sentendo le voci portate dal vento. «Sono in due.» mormorò e aprì gli occhi, «Sono bambini!» esclamò sbirciando oltre il masso.

Anche Benjamin guardò, fissando il bambino che spingeva un passeggino con accanto una bambina. «Sono qui.» esclamò la piccola.

«Sicura?» domandò il bambino.

«Sì.» rispose la bambina al suo fianco.

Crystal uscì dal suo nascondiglio prima che Benjamin potesse dire o fare qualcosa. «Vi siete persi?» domandò.

«Vai via!» strillò il bambino, lasciando la presa del passeggino, allungò le mani davanti a sé e Crystal sobbalzò quando vide i fulmini scaturire dai palmi delle sue mani.

«Non voglio farvi del male.» esclamò la mutaforma inginocchiandosi, «Vi siete persi?» domandò dolcemente, «Dove sono i vostri genitori?» chiese mentre Benjamin li raggiungeva. Fu come se avesse schiacciato un pulsante: la bambina iniziò a singhiozzare e si buttò fra le braccia di Crystal, seguita dal fratello. La mutaforma si sbilanciò e cadde all'indietro, Benjamin fece per prenderla ma si accorse che il passeggino aveva incominciato a indietreggiare lentamente così lo afferrò, fermandolo, accorgendosi che dentro c'era una bambina piccola

«Bambini...» mormorò Crystal e riusci a sedersi, «Che succede?» domandò, «La vostra mamma dov'è?»

«L'hanno uccisa!» singhiozzò il bambino, «Un mostro orribile.» pianse.

Lei alzò lo sguardo, incontrando quello preoccupato di Benjamin. Aveva capito che il bambino aveva il dono dell'elettrocinesi e che il mostro orribile forse era una di quelle scimmie che avevano incontrato loro la sera che si erano conosciuti.

«Spostiamoci da qui.» disse Benjamin, notò una casetta a cui mancava una parete, con dentro un tavolo e due panche e pensò che l'avessero costruita per chi andava a camminare nei boschi, «Andiamo lì.» disse.

I bambini si spostarono da Crystal ma non smisero di piangere, afferrarono le sue mani, aggrappandosi a lei, stringendo con tutta la loro forza da bambini. Raggiunsero la casetta e Crystal si tolse lo zaino, fece sedere i bambini, guardò nel passeggino e fissò la neonata che la guardava, gli occhi verdi spalancati e le guance bagnate dalle lacrime. La prese in braccio e si sedette vicino ai bambini.

«Come vi chiamate?» domandò Benjamin.

Il bambino tirò su con il naso e Benjamin gli passò un fazzoletto di carta, «William Jackson.» pigolò, gli occhi sgranati dalla paura.

«Io sono Emily.» mormorò la bambina, stringendosi a Crystal, «Lei è Sarah.» indicò la neonata.

«Quanti anni avete?» chiese Crystal e i bambini pigolarono la loro risposta: William ne aveva nove, Emily sette e Sarah sei mesi e una settimana.

“E la loro mamma è morta.” pensò Crystal e rabbrividì. «Io mi chiamo Crystal e lui è Benjamin.» si presentò, «Avete detto che avete incontrato un mostro.» disse, la gola secca, «Che mostro?» chiese, «Cos'è successo?» domandò e sperò di non aver spaventato ancora di più i bambini.

«Era una scimmia strana.» mormorò il bambino prendendo il bicchiere d'acqua che Benjamin gli aveva dato, «Grossa, denti enormi e unghie lunghe.» pigolò, «Ha ucciso la mamma.» scoppiò a piangere.

«Dio mio.» soffiò Crystal e fissò Benjamin. Dovevano andare via da lì e dovevano farlo subito.

«Tu sei un elettrocinetico.» sorrise Benjamin, la voglia di fuggire che scorreva dentro di lui. William annuì. «E tu, piccola?» guardò Emily, ancora aggrappata al fianco di Crystal.

«Una Cercatrice.» mormorò lei e tirò su con il naso.

Benjamin spalancò gli occhi, «Una Cercatrice?» mormorò e la bimba annuì, «Ci hai trovato tu?» sorrise, sapendo quanto fossero rare le persone con quel potere.

La piccola annuì, «Sì.» rispose, «Ho cercato qualcuno che ci aiutasse e ci siete voi.» disse, «Ci aiuterete?» pigolò.

«Sì.» rispose Benjamin. «Vostro padre dov'è?» domandò.

«Papà è un sergente maggiore dell'esercito.» rispose William, «Adesso è in Af... Afo... Afata.»

«Afghanistan?» propose Crystal.

«Sì, lì!» esclamò e bevve l'acqua. «Possiamo andare da lui?»

Crystal sospirò, «Non possiamo, piccolo.» disse, «È troppo lontano.» sospirò e fece un sorriso triste, «C'è un oceano di mezzo.» spiegò, «È troppo lontano.» ripeté

I bambini piagnucolarono, «Voglio la mamma.» mormorò Emily e a Crystal si strinse il cuore, la circondò con un braccio e la strinse a sé.

«Avete i nonni?» chiese la lupa, «Zii, cugini che vivono qui vicino?»

«No.» singhiozzò William, «Non abbiamo nessuno.» soffiò. «Papà viene dall'Irlanda, la mamma era sola.»

Benjamin sospirò, «Crystal, vieni un secondo.» disse. La ragazza scosto Emily, che abbracciò il fratello e raggiunse il ragazzo, appoggiato alla parete. «Non possiamo lasciarli soli.» mormorò e lei annuì. «Sono piccoli, Cristo.» sbottò. «Magari la loro madre ha un auto.» disse.

Lei annuì. «Sì, proviamo.» disse e Sarah scoppiò a piangere. «Che cos'hai?» mormorò cullandola.

«Fame.» rispose Emily. «La mamma le aveva comprato il latte.» indicò la borsa di stoffa appesa ai manici del passeggino. Crystal l'aprì, fissando la confezione di latte in polvere e il biberon completo di tettarella.

«Benjamin, prendi il fornelletto e il pentolino, per favore.» disse, afferrò il barattolo e lesse le istruzioni. Era semplice: doveva solo scaldare l'acqua, riempire per tre quarti il biberon, versare la dose di latte in polvere, agitare, aggiungere altra acqua e agitare di nuovo.

Lui annuì e lo fece, sistemando il fornelletto sul tavolo. Riempì il pentolino d'acqua e fissò i bambini. «Avete fame?» domandò e li vide annuire, così allungò loro due barrette che i bambini mangiarono voracemente. In pochi minuti il latte fu pronto, Crystal controllò che fosse alla giusta temperatura e lo diede alla piccola, che iniziò a succhiare.

«Hai fame.» sorrise lei guardandola mentre allungava le manine verso il biberon.

«William.» esclamò Benjamin, «Siete andati al negozio a comprare il latte?» chiese.

Il bambino annuì, «Sì, dal signor Morris.» rispose.

«E... avete usato la macchina?» domandò Benjamin. Doveva assolutamente sapere se la loro madre avesse un auto. Non erano più solo lui e Crystal che avrebbero potuto camminare nei boschi, adesso c'erano anche tre bambini, di cui una di appena sei mesi.

«Sì.» rispose Emily.

Benjamin si trattene dall'emettere un sospiro, «Bene.» disse, «Dobbiamo andare via da qui.»

«Perché ci sono i mostri cattivi?» chiese William.

«Sì.» rispose Crystal e abbassò gli occhi, accorgendosi che Sarah aveva bevuto tutto il latte. «Oh, hai mangiato tutto.» commentò, posò il biberon vuoto sul tavolo e massaggiò piano la schiena della bimba in attesa che facesse il ruttino. La bambina, però, non lo fece.

«Ci sono delle persone che ci aiuteranno.» disse Benjamin, «Ma non sono qui, sono in Canada.» sospirò.

«Troveranno il nostro papà?» pigolò Emily.

«Sì.» rispose Benjamin, anche se non ne era sicuro, «Lo troveranno.» annuì, «Però ci serve una macchina, perché il Canada è molto lontano.» disse, «Dobbiamo usare quella della vostra mamma, piccoli.»

«Dobbiamo tornare dai mostri?» strillò Emily e pianse di nuovo, «Non voglio.» pigolò.

«Vi proteggo io.» disse Benjamin e fece il giro del tavolo per poi inginocchiarsi davanti ai bambini, «Dobbiamo trovare un auto e andare via da qui, e il più in fretta possibile.» spiegò, «Quei mostri... li abbiamo incontrati anche noi.» raccontò, «Ma li abbiamo uccisi.» continuò, «Per questo ci serve una macchina: per andare lontano da quei mostri.»

William singhiozzò e annuì, «Va bene.» disse. «Ma voi... cosa siete?» chiese.

«Mutaforma.» rispose Benjamin, «Siamo due lupi.» sorrise mentre i bambini spalancavano la bocca dalla sorpresa perché non avevano mai incontrato due mutaforma, «Dai, andiamo.»

Crystal sciacquò il biberon, sistemò la bambina nel passeggino e fissò i bambini e lo stomaco le si strinse in una morsa dolorosa nel pensare che avessero perso la madre così piccoli, che il loro padre fosse dall'altra parte del mondo, ignaro di cosa fosse accaduto alla sua famiglia.

Ripreso il cammino, con Crystal che spingeva il passeggino, mentre Benjamin teneva per mano i bambini.

«Di là.» esclamò William dopo un paio di minuti, allungò un braccio verso destra, «Lì c'è il signor Morris.»

Benjamin annuì, aveva visto anche lui la bassa costruzione con la grande insegna con scritto semplicemente “Da Morris”, notò anche le due pompe di benzina e pensò che avrebbero potuto anche fare il pieno e magari riempire un paio di taniche — sempre se le avessero trovate.

Il sentiero di terra battuta finì, lasciando il posto all'asfalto. Un muretto alto circa un metro e venti separava il parcheggio dal bosco. «Restate qui.» esclamò Benjamin, «Vado a...» deglutì, fissando la figura lontana riversa a terra, «Controllare.»

«La macchina della mamma è un SUV blu scuro.» disse Emily.

Benjamin sorrise e si tolse lo zaino, «Crystal, resta qui.» disse mentre lei si sedeva per terra, accanto ai bambini, «Se succede qualcosa... qualsiasi cosa, prendi i bambini e scappa senza voltarti, chiaro?» le mormorò, chinandosi verso la giovane. Lei spalancò gli occhi, spaventata, ma annuì. Il mutaforma inspirò a fondo, drizzò la schiena e aggirò il muretto, notando subilo il SUV a una trentina di metri di distanza, oltre le pompe di benzina, all'ombra di un grosso pino. Si avvicinò, i sensi all'erta e abbassò la zip della felpa — la giacca di jeans l'aveva infilata nello zaino mentre camminavano nei boschi — pronto a togliersela nel caso avesse dovuto tramutarsi.

Girò il viso verso la porta d'ingresso del piccolo negozio e lo vide subito. Fissò l'uomo, la faccia mangiata per metà. Deglutì e andò avanti, avvicinandosi piano alla donna stesa a terra.

Benjamin portò una mano alla bocca, sentendo lo stomaco ribellarsi alla vista della donna. I vestiti erano squarciati, aveva graffi profondi ovunque, mentre la pancia era... il ragazzo sentì la nausea assalirlo, mentre fissava gli intestini della donna. Con orrore, si accorse che qualcuno aveva iniziato a mangiarseli. Si chinò, raccogliendo la chiave del SUV da una pozza di sangue e andò avanti, fissando il mezzo con il quale sarebbe fuggito.

«No, no, no.» mormorò fissando le ruote — tutte e quattro — squarciate. «No.» gemette mentre si rendeva conto che il SUV, in quelle condizioni, era inutilizzabile, anche perché il cofano era aperto e il motore era mezzo distrutto. A occhio e croce giudicò che dovesse mancare la coppa dell'olio.

Lasciò cadere le chiavi e tornò indietro, lo sguardo inchiodato a terra, fissando le sottili bruciature sull'asfalto e capì che William aveva reagito e cercato di difendere la madre e le sorelline. Inspirò a fondo, gettò un'occhiata alla madre dei tre e si sentì morire. C'era una cosa che non aveva visto prima e che non avrebbe dovuto esserci. Una cosa che una scimmia — anche se mutante — non avrebbe potuto fare se non in un possesso di un'arma: in mezzo agli occhi grigi della donna c'era un foro causato da un proiettile.

Benjamin trattenne un urlo e iniziò a correre, giungendo da Crystal in pochi istanti, la superò e si gettò nell'erba, accanto al ruscello che scorreva quasi parallelo al sentiero. Vomitò, mentre le lacrime gli rigavano le guance.

«Benjamin!» strillò lei raggiungendolo insieme ai bambini. «Cosa c'è?» gli chiese.

«Niente.» soffiò lui, mise le mani a coppa nell'acqua e si sciacquò il viso per poi bere. «Il SUV è fuori gioco.» ansimò mettendosi seduto.

«Fuori gioco?» squittì Crystal stringendo la presa sul passeggino mentre i bambini si aggrappavano a lei.

«Ruote squarciate, coppa d'olio che manca.» mormorò Benjamin bevve ancora e si appoggiò al tronco di un albero lì vicino. «Non è uno bello spettacolo.» sospirò passandosi le mani umide sul volto.

«Hai visto se ci sono altre auto?» domandò Crystal.

Benjamin scosse la testa, «No.»

«Vado io.»

Lui la fissò, «Cosa?» gracchiò, «No, Crystal!» esclamò.

«Io voglio il mio pupazzo.» pigolò Emily, «Voglio Mr Pig.»

«È in macchina, tesoro?» domandò Crystal togliendosi lo zaino e controllando che il passeggino non andasse avanti o indietro, «Vado a prenderlo.» disse, «Torno subito.» aggiunse e si allontanò, stringendosi le braccia al petto. Lanciò appena un'occhiata all'uomo riverso sull'uscio, guardò la madre dei bambini e portò una mano alla bocca, terrorizzata e trattenne un gemito quando si accorse che le avevano sparato. Avrebbe potuto esserci lei al suo posto se non ci fosse stato Benjamin a salvarla. Fissò il SUV, notando le gomme squarciate. Se fosse stata una avrebbe potuto cambiarla, ma tutte e quattro... guardò nel cofano.

“L'hanno fatto di proposito.” pensò, fissando il motore inutilizzabile. La portiera posteriore sinistra era socchiusa, così la spalancò, notando tre pupazzi buttati sul sedile. Li afferrò e afferrò anche le due copertine e un grosso asciugamano accuratamente ripiegati e sistemati sulla cappelliera, dentro un sacchetto di plastica verde. Trovò due zainetti sul pavimento del SUV, fra il sedile del guidatore e quello posteriore. Li raccolse, pensando che fossero dei bambini. Stringendo tutto quanto al petto si guardò attorno, alla ricerca di una macchina, pensando che Morris ne avesse una con cui andare al lavoro. Girò l'angolo e si bloccò alla vista della vecchia bicicletta da uomo. Gemette frustata e si voltò, oltrepassò il SUV e la madre dei bambini e si bloccò nel sentire il fruscio. Girò la testa verso il bosco e fissò gli alberi, alla ricerca della fonte del rumore. Avrebbe potuto essere un uccello qualsiasi, o uno scoiattolo, un ghiro o uno degli animali che abitavano il bosco... oppure no.

Oppure poteva essere una di quelle scimmie mutanti.

Corse dagli altri e diede i pupazzi a Emily e William, infilò l'ultimo nel passeggino dove Sarah dormiva tranquilla, ignara di tutto.

«C'è?» domandò Benjamin.

«Solo una bicicletta.» sospirò lei. «Lo senti?» chiese.

«Cosa?» chiese il ragazzo e si zittì, girò di scatto la testa verso il bosco e sbiancò, «Potrebbe essere un animale qualsiasi.» mormorò.

«O forse no.» replicò Crystal alzandosi in piedi, «I soldati, Ben.» sospirò, «Noi abbiamo allungato la strada perché siamo passati nel bosco, ma loro hanno seguito il sentiero e sono arrivati prima di noi.» disse, «E se fossero ancora qui?»

Benjamin si morse le labbra, «Giusto.»

«La macchina di papà è ancora a casa. È bianca e grande.»

Benjamin e Crystal fissarono William, «Sai la strada per arrivarci?» domandò il lupo.

Il bambino annuì, «Sì.» rispose, «Si va di là.» indicò a sinistra.

Il gruppetto s'incamminò in silenzio, seguendo le indicazioni dei bambini. «Non è tutto troppo... silenzioso?» commentò Crystal guardandosi attorno. Aveva capito di essere in un piccolo quartiere, con villette singole dai giardini ben curati ma in giro non c'era nessuno e non si udivano né radio né tv né persone che parlavano.

«Già.» esclamò Benjamin, «Muoviamoci.» disse.

«Mi fa male il piede.» piagnucolò la bambina, «Qui.» indicò il tallone.

«È una vescica.» disse Crystal, «Ce l'ho anche io.» sbuffò.

Benjamin prese in braccio Emily e continuò a camminare, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno o qualcosa che non fosse quel silenzio

Erano quasi arrivati alla casa dei bambini quando udirono delle voci. Si appiattirono dietro un muro, Benjamin fece scendere Emily e sbirciò oltre l'angolo. Fissò la villetta bianca con un bel giardino davanti, aiuole di fiore ben curate e il numero appeso a una delle colonne del portico: centoventidue. Era la casa dei bambini, ne era sicuro perché aveva chiesto il numero a William. Benjamin deglutì alla vista di un grosso carro attrezzi che stava trainando una comunissima utilitaria bianca. Il ragazzo chiuse gli occhi e li riaprì, per essere sicuro di aver letto bene, di non aver visto male. Trattenne un gemito quando si accorse di aver letto bene. Sulle fiancate del carro attrezzi e sulle giacche dei sei uomini c'era scritto: L'Esercito di Erikson. Per la libertà degli Uomini.*

«Andiamo via.» bisbigliò Benjamin voltandosi.

«Perché?» chiese Emily.

«Ci sono uomini cattivi.» rispose Crystal, che aveva sentito le voci e capito che qualcosa non andava guardando il viso del ragazzo. Benjamin annuì, prese in braccio Emily mentre Crystal faceva salire William sulla pedana del passeggino.

«Torniamo nel bosco.» soffiò Benjamin, «Subito.» mormorò. Fecero dietro front con il rumore delle voci e del carro attrezzi nelle orecchie, arrivarono al limitare del bosco, «Lì.» esclamò, indicando un piccolo ponte, largo un paio di metri, che attraversava un ruscello. In quel tratto c'erano solo un paio di centimetri d'acqua, forse a causa del un tronco caduto qualche metro più a nord. Gli argini del ruscello erano ricoperti da una fitta vegetazione, creando così un luogo abbastanza riparato e nascosto. Benjamin e Crystal si sedettero su due massi sporgenti, la schiena contro la parete umida, William salì in braccio alla ragazza mentre lei sfiorava con una mano Sarah, sperando che non scoppiasse a piangere, attirando così l'attenzione dei militari.

Il carro attrezzi passò con un gran fracasso che svegliò Sarah: Benjamin afferrò William e Crystal slacciò in fretta le cinghie che tenevano al sicuro la bambina e la prese in braccio, la posò contro il suo sento e le accarezzò la schiena, supplicandola di smettere di piangere. Dopo interminabili secondi, la bimba si calmò, appena un attimo prima che il carro attrezzi si allontanasse e tornasse il silenzio, rotto solo dal vociare dei soldati.

«Signora!» gridò uno di loro, la cui voce sembrava provenire dalla destra dei cinque.

«Mi dica.» rispose la donna.

«Ha visto tre bambini?» esclamò il soldato.

«Bambini?» fece la donna, «No. Chi cerca?»

«I Jackson.»

Benjamin sentì le mani dei bambini aggrapparsi a lui ed Emily gli graffiò il collo.

«I Jackson?» continuò la donna, «Oh, sì, li conosco. Bravi bambini.» commentò, «Ma non li ho visti oggi.»

«Mi dica la verità, vecchia!» sbraitò un altro soldato, «Sono dei mostri, dobbiamo eliminarli, subito.»

I bambini emisero uno strillo, attutito dalle urla del soldato che continuava a minacciare la donna.

«Non li ho visti.» replicò quella, «Sono bambini!» esclamò, «Non potete fargli male!»

«Sono mostri.» ringhiò l'uomo, «Lo ha voluto lei.» disse. Poi si sentì un fruscio e un rumore sordo, come se qualcuno fosse caduto a terra.

Poi il soldato si allontanò, borbottando di quanto fosse stupida e cocciuta la gente, specialmente i vecchi.

Poi fu solo silenzio. Crystal e Benjamin attesero a lungo per essere sicuri che se ne fossero andati, che non ci fossero più soldati lì attorno.

«Sarah ha fatto la cacca.» mormorò Emily, «Puzza.»

Crystal la fissò e annuì, «Sì.» disse, posò la bambina nel passeggino e guardò nella borsa appesa ad esso: c'erano quattro pannolini. Strinse fra i denti il labbro inferiore prima di sospirare, «La cambio.» disse e si accorse di un fasciatoio arrotolato nella borsa, lo prese e lo stese sul passeggino, fissando gli orsetti che la guardavo dalla stoffa dallo sfondo giallo chiaro.

«Lo ha fatto la mamma.» pigolò Emily, infilò il pollice destro in bocca e si strinse a Benjamin.

«È brava.» commentò Crystal prendendo un pannolino pulito, le salviette umidificate e della crema allo zinco. Afferrò Sarah, l'adagiò sul fasciatoio e abbassò i pantaloni di un tessuto che ricordava il jeans, tolse il pannolino sporco e lo lasciò cadere per terra.

«Puzza.» commentò William.

«Sì.» esclamò Benjamin, «Hai ragione.» disse fissando Crystal che lavava la bambina con le salviette ma stando attento al minimo rumore, pronto a dire di scappare al minimo accenno di pericolo.

Pochi minuti dopo Sarah era di nuovo nel passeggino, «Fra poco avrà fame di nuovo.» disse Crystal, «Non possiamo stare qui.» alzò gli occhi da Sarah e li puntò su Benjamin, «Dobbiamo andarcene.» esclamò.

Lui annuì e si alzò in piedi, «Andiamo.» disse, «Dobbiamo trovare un riparo per la notte.» esclamò, «Lontano da qui, possibilmente.» sospirò e uscirono dal ruscello. Solo Crystal e Benjamin videro l'anziana dai capelli grigi riversa a terra, con un buco in fronte, proprio in mezzo agli occhi castani aperti.

Camminarono al limitare dal bosco, al riparo, protetti dagli alti alberi e dai cespugli. I militari erano ancora in giro e loro riuscivano a sentire le loro urla, le loro grida, gli inulti che rivolgevano alle persone che incontravano, quando loro rispondevano che non sapevano dove fossero i bambini.

Crystal pensò che fosse per quello che non c'era in giro nessuno. Forse alcuni erano in vacanza, forse alcune di quelle case venivano usate per le vacanze, ma il resto delle persone era rintanata in casa. Pensò che Erikson fosse sempre più pazzo perché sparare a sangue freddo a una donna che non sapeva dove fossero delle persone era folle.

«Giù.» disse Benjamin, «Stanno arrivando.» mormorò guardando Crystal.

Si acquattarono dietro un muretto di pietre dove, dall'altro lato, si trovava una fontanella pubblica. Dietro di loro il bosco era praticamente in silenzio. Si sedettero per terra e Crystal prese Sarah e la strinse contro di sé e sperò, supplicò che non piangesse. Emily rimase aggrappata a Benjamin, piangendo silenziosamente, mormorando ogni tanto che voleva la mamma. William si strinse a Crystal che lo abbracciò con il braccio destro — l'altro era impegnato a sorreggere la più piccola.

«Voi due!» gridò l'uomo di prima, quello che aveva sparato all'anziana, «Sono il Sergente Nelson, sono mandato qui dal nostro Presidente Erikson.» disse e Crystal voltò piano la testa, scoprendo una fessura abbastanza ampia da cui poteva sbirciare. Vide due anziani, un uomo e una donna, a una ventina di metri di distanza, intenti a sistemare un cespuglio di rose davanti alla loro casa. C'era quell'uomo, il sergente Nelson, accompagnato da due persone: uno era vestito da militare, l'altro indossava dei boxer rossi e Crystal si domandò perché fosse praticamente nudo.

«Sì?» esclamò la donna, «Cosa possiamo fare per voi?» domandò. Aveva una voce dolce e gentile a a Crystal venne in mente sua nonna.

«I Jackson» rispose Nelson, «I bambini.» disse, «Sono mostri, sono pericolosi e dobbiamo catturarli.»

Emily si strinse ancora di più a Benjamin, che l'abbracciò forte, fissando Crystal che continuava a spiare.

«No.» rispose l'anziano, «Non li abbiamo visti.» disse.

«Non mentite.» ringhiò Nelson.

«Non li abbiamo visti!» replicò l'anziano, «Siamo appena tornati da Dickson.» spiegò, «Siamo andati al vivaio.»

Crystal li fissò e trattenne un gemito quando vide Nelson portare una mano alla cintura ed estrarre una pistola, completa di silenziatore.

«Avete un'altra occasione.» ringhiò il sergente. «Ditemi dove sono.»

«Non lo sappiamo.» disse l'uomo facendo un passo avanti, coprendo la moglie — o almeno Crystal giudicò che fosse la moglie.

«Bhe, se è così...» Nelson scrollò le spalle, alzò il braccio e sparò, quasi a bruciapelo, all'uomo, che cadde a terra. La donna urlò e si buttò su di lui, piangendo e invocandone il nome: “Oscar”.

Nelson non perse un secondo, le posò la canna sulla nuca, fra i ricci bianchi e sparò.

Crystal respirò velocemente e fissò gli altri due. L'altro soldato era fermo, immobile, il fucile posato sul fianco, mentre il ragazzo in mutande spostava il peso del corpo da un piede all'altro, con impazienza, come se aspettasse quel momento, come un bambino la mattina di Natale, davanti a una montagna di regali.

«Chandler.» disse Nelson, «Sono tutti tuoi.» esclamò.

Anche Benjamin girò il viso, trovando anche lui un punto in cui spiare, fra i sassi che componevano il muretto. Quello che vide gli fece mancare il respiro: Chandler, il ragazzo in boxer rossi, si trasformò, diventando una grossa ed enorme volpe, con denti enormi, così lunghi che doveva tenere le fauci aperte per non ferirsi. La coda sembrava dotata di aghi o qualcosa di appuntito e affilato. Era alta, molto alta, almeno un metro al garrese, giudicò, con orrore, Crystal.

La bestia si mosse verso i due cadaveri, le zampe dai lunghi artigli che sollevavano brani di terra ed erba, stridendo quando incontravano sassi. Poi, la volpe mutate piegò la testa e iniziò a divorare il ventre dell'uomo, strappandone la camicia a scacchi, ingoiando pezzi di stoffa assieme a pelle, muscoli e carne.

Benjamin tornò a guardare avanti poi sentì qualcuno artigliargli il polso sinistro. Guardò: era Crystal che lo stava stringendo, infilzandogli le unghie nella pelle. Spostò piano la mano e gliela strinse, continuando a fissare il viso terreo della giovane.

«Signore!» esclamò un altro soldato. «Le altre case sono vuote.» disse.

«Le avete controllate tutte?» chiese Nelson, raggiunto dall'altro.

«Sì, signore.» annuì la recluta. «Abbiamo chiesto, ma nessuno sa dove siano i bambini.» disse, «C'è solo...»

«Solo cosa? Parla!» gridò Nelson, facendo sobbalzare sia la recluta sia Crystal, che strinse la mano di Benjamin con forza.

«Solo che una casa, la numero cinquanta, è una casa usata per le vacanze.» rispose l'altro, la voce quasi stridula, «Siamo entrati, abbiamo trovato le chiavi sul retro, sotto un vaso.» spiegò, «Non c'è nessuno nemmeno lì.»

«Come sai che è una casa per le vacanze? Magari sono solo via.» replicò Nelson.

«Me lo hanno detto i vicini quando bussavo e non mi apriva nessuno.» replicò la recluta. «Sono di New York.»

«Okay, andiamocene da 'sto buco.» sospirò Nelson. «Chandler!» gridò, «Smetti di mangiare quei vecchi e vieni subito qui!»

Crystal inspirò a fondo, trattenendo il fiato quando sentì i passi dei soldati avvicinarsi, poi il rombo di un auto fermarsi a pochi metri da loro. Strinse con ancora più forza la mano di Benjamin, cercando in lui quella sicurezza che non aveva.

Attesero a lungo, quasi un'ora, forse di più, prima di alzarsi. Crystal posò la bambina nel passeggino per poi legare le cinghie con mani tremanti.

«Andiamo in quella casa.» esclamò Benjamin.

«Quella dei tizi di New York?» domandò Crystal accorgendosi che la sua voce tremava. Benjamin sì limitò ad annuire. «Va bene.» sospirò Crystal stringendo i manici del passeggino, sentendo sotto le unghie la gomma che ricopriva le impugnature.

«Bambini, in fretta e in silenzio.» sibilò Ben, poi fissò Emily, ancora in braccio a lui e decise di non farla scendere. William scivolò fra Crystal e il passeggino e salì sulla pedana. Benjamin fissò l'orologio che aveva al polso destro — era destrimane ma lo aveva sempre portato lì, lo trovava più comodo — e vide che ormai erano le cinque e ventisette e si stupì di quanto tempo fosse passato da quando aveva incontrato i bambini.

Camminarono per una manciata di minuti quando un rumore proveniente dal sottobosco li fece bloccare: attesero una manciata di minuti e ripresero il cammino, visto che non successe niente. Crystal si guardò attorno, alla ricerca di un qualcosa che non sapeva nemmeno lei quando sentì quell'odore. Annusò e si bloccò.

«Benjamin.» mormorò, facendolo bloccare. «Annusa.»

Lui la guardò sorpreso poi annusò e Emily ridacchiò nel vederlo muovere il naso in un modo che le sembrava così buffo. Il mutaforma sentì quell'odore come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Acre, pungente, selvatico: un cinghiale. Per un attimo gli venne l'acquolina in bocca ma scosse la testa, cercando di scacciare quella parte animale che, in alcuni casi, emergeva prepotentemente. «Lo sento.» disse, «Cinghiale.» mormorò.

Crystal annuì e si udì di nuovo il fruscio: un attimo dopo il cinghiale sbucò dai cespugli e si bloccò alla vista degli umani, li fissò per qualche secondo poi avanzò, ignorandoli. La lupa lo osservò per qualche secondo, mentre lui attraversava la strada e deglutì. «Bambini, adesso chiudete gli occhi.» gracchiò.

«Perché?» domandò William, aggrappato saldamente alla struttura del passeggino.

«Perché.. perché se chiudiamo gli occhi il cinghiale ci lascia stare.» inventò, non volendo dire la verità. Sarebbe stato troppo per i bambini, dopo quello che avevano visto fare alla loro madre.

«Crystal?» domandò Benjamin sorpreso, «Cosa...» mormorò e girò di scatto la testa, fissando il cinghiale che si avvicinava ai due anziani assassinati. «Oh,» fece, capendo quello che Crystal aveva intuito prima di lui, «Sì, bambini, chiudete gli occhi.» esclamò e fissò il cinghiale che cibarsi dei due cadaveri e riprese il cammino, fissando i sacchi di terriccio e le piante ancora nei vasi nel giardino dei due poveri anziani.

«Cammini con gli occhi chiusi?» domandò Emily, «La mamma dice che si cade.» mormorò e iniziò a piagnucolare.

«Io... sto attento.» disse, «Non ti faccio cadere.» esclamò, ignorando il disgusto che provava nel sentire i grugniti del cinghiale. Lui e Crystal avanzarono, aggirando il cinghiale. Camminarono per un minuto fissando le villette i cadaveri disseminati nei giardini, chiedendosi perché Erikson stesse facendo tutto quello. Perché uccidesse persone che non c'entravano nulla.

«Possiamo aprire gli occhi?» domandò Emily.

«Sì.» rispose Benjamin e la fece mettere in piedi su un basso muretto, «Tesoro, adesso devi trovare la casa con il numero cinquanta.» disse, «Cinquanta.» ripeté, «Sai come si scrive?» domandò.

La bambina annuì, «Sì.» rispose e alzò la mano sinistra, aprendo tutte le dita piccole, alzò la destra, la chiuse a pugno e formò uno zero con il pollice e l'indice. «Cinque e zero.»

«Puoi trovarla?» domandò Crystal e gettò un'occhiata alla casa più vicina, scoprendo che il numero civico era il settantacinque.

Emily scrollò le spalle, «Ci provo.» disse. Benjamin le sorride e la riprese in braccio.

«Andiamo, piccola.» esclamò. Meno di due minuti dopo erano sul retro della casa che cercavano. I bambini, troppo stanchi e spaventati, non si erano accorti del cadavere sulla veranda della casa di fronte.

Benjamin trovò la chiave sotto a un vaso e la strinse. «Speriamo che non ci sia l'antifurto.» mormorò.

«Non ce l'ha.» rispose Crystal, fissando Sarah che spalancava gli occhi, sapendo che da lì a poco avrebbe incominciato a piangere perché aveva fame.

«Come lo sai?» domandò Benjamin.

Lei scrollò le spalle, «Bhe, quello ha detto di essere entrato.» rispose, «Avrebbe dovuto suonare e noi lo avremmo sentito.» continuò, «E poi... insomma, se vivi a cinquecento miglia da qui e lasci la chiave sotto il vaso forse non sei così furbo.» disse, «E non metti un antifurto.»

Benjamin si morsicò il labbro, «Sì, giusto.» alzò le spalle, infilò la chiave nella serratura e girò, aprì la porta e attese: niente antifurto. A meno che non fosse uno di quelli silenziosi. «Dentro.» disse e Crystal spinse il passeggino nella cucina della casa. «Niente antifurto.» soffiò Benjamin fissando la parete accanto alla porta. «Avevi ragione.» sorrise a Crystal, nell'oscurità della casa, fissandone gli occhi verdi che brillavano nel buio.

«Accendiamo la luce?» esclamò William, «È buio.»

«No.» rispose Benjamin, «Usiamo le torce.» disse, recuperò quella nel suo zaino e l'accese.

«Devo andare in bagno.» pigolò Emily.

«Anche io.» disse William

Crystal tolse lo zaino, sentendo le spalle e la schiena urlare dal dolore. Posò lo zaino sul pavimento, prese la sua torcia e l'accese, «Andiamo.» disse alla bambina porgendole la mano.

«Io non vado in bagno con le femmine.» obbiettò William. Crystal alzò le spalle andò in cerca del bagno con Emily.

Mentre loro due erano in bagno, Benjamin si guardò attorno, trovò il frigo e lo trovo. Era spento, staccato dalla corrente. Aprì un paio di mobiletti, fino a trovare la dispensa e sorrise nel vedere scatolette di tonno, di mai, pane confezionato, biscotti... avrebbero potuto avere una cena decente e il giorno seguente avrebbero potuto mangiare biscotti a colazione. Afferrò un barattolo e lo illuminò, «Biscotto granulare.» lesse.

«È per i bambini piccoli.» disse William, «Mamma lo mette nel biberon di Sarah»

Benjamin gli sorrise, «Grazie.» disse e pensò che forse c'erano anche dei pannolini. «Mettili sul tavolo, per favore.» esclamò, porgendo a William le scatolette di tonno e quelle di mais. Il bambino trotterellò fino al tavolo e posò lo scatolame su di esso, per poi tornare da Benjamin che stava fissando degli omogenizzati. Li posò sul tavolo, sicuro che Crystal avrebbe saputo cucinarli per la bambina.

«Non credevo che si potesse provare così tanto piacere nel sedere su un gabinetto.» sospirò Crystal uscendo dal bagno, stringendo la mano di Emily. «Oh.» commentò, fissando il tavolo. «Cibo.» sorrise, «Ci sono anche gli omogenizzati!» esclamò.

«Sai come prepararli?» domandò Benjamin e Crystal annuì. «Direi che possiamo mangiare, poi andiamo a dormire.» disse, «È stata una lunga giornata.» sospirò e posò il pane confezionato sul tavolo. «William, andiamo? Devo andare in bagno anche io.»

Il bambino annuì e lo seguì in bagno, mentre Crystal scostava una sedia per far sedere Emily. Si avvicinò al fornello, scoprendo che non era collegato al tubo del gas. Funzionava con la bombola, posta nel mobile sottostante. Recuperò una scatola di fiammiferi dal cassetto delle posate, trovò un pentolino, lo riempì d'acqua del rubinetto e lo mise sul fuoco. Aprì altre antine, trovando succhi di frutta, bottiglie di acqua frizzante da una pinta e le posò sul tavolo. Trovò anche del latte parzialmente scremato a lunga conservazione che sarebbe scaduto a metà Novembre.

«Crystal.» pigolò Emily, «Voglio la mamma.» mormorò.

La mutaforma le si avvicinò, posò la torcia sul tavolo, illuminando la bambina e si inginocchiò accanto alla sedia, «Lo piccola.» disse e le scostò i capelli castani dal viso, «Mi dispiace, tesoro.» soffiò e la strinse a sé. Sarah pianse e Crystal si staccò da Emily e prese Sarah, «Adesso mangi.» le disse. «Emily, apri la confezione di biscotto granulare, per favore.»

La bambina si asciugò gli occhi con la manica della giacca e si allungò per prendere la confezione blu. «Aperta.» esclamò, la voce rotta dai singhiozzi trattenuti.

Crystal le sorrise e preparò il biberon per Sarah, aggiungendo il biscotto granulare. Si sedette accanto ad Emily e diede il biberon alla più piccola, che iniziò a succhiare con avidità. «Benjamin, prepara tu la cena.» esclamò senza alzare gli occhi.

«Okay.» disse lui, infilò la torcia fra i denti e aprì le antine sopra il lavello, recuperò quattro piatti e li posò sul tavolo. Velocemente scolò tre scatolette di tonno, — dicendosi che le altre le avrebbero portate con sé il mattino dopo, quando sarebbero ripartiti — ne aprì due di mais e le mischiò nei piatti che sistemò davanti ai bambini a Crystal e davanti a lui, prese anche posate e bicchieri, che riempì di succo, aprì il pane, dando un paio di fette a testa.

Mangiarono in silenzio, le torce al centro del tavolo che illuminava la stanza, Sarah ancora in braccio a Crystal. La bambina allungò una manina paffuta verso il pezzo di pane che Crystal stava portando alla bocca, emettendo urletti. «Lo vuoi?» domandò la ragazza e sorrise, per poi darne un pezzetto alla bambina, che iniziò a mangiarlo felice.

«Hai trovato i pannolini?» domandò Benjamin, lanciando uno sguardo a Jackson ed Emily.

«Sì.» rispose lei, sistemando meglio Sarah sulle sue gambe, «Sono solo cinque, però.» sospirò, «Ci sono tipo... quattro confezioni nuove di salviette per bambini, due tubetti ancora chiusi di pasta allo zinco ma solo quattro pannolini.» borbottò, «Dovremo prenderli.» disse.

Benjamin annuì, pensando che voleva trovare disperatamente un auto. Si disse che avrebbe potuto prenderla — rubarla — da uno dei vicini morti, caricare tutti quanti e andarsene il più velocemente possibile da lì.


Benjamin fissò l'orologio, guardando le lancette che segnavano l'ora: le nove e mezzo. I bambini erano già a letto, dopo essersi fatti un bagno veloce — Emily con Crystal, William con lui —, ci erano andati subito, senza protestare o fare i capricci. Il ragazzo mosse la torcia, spostandola dalla mensolina di vetro sotto allo specchio al ripiano che circondava il lavandino.

Aprì l'antina accanto allo specchio del lavandino del bagno, alla ricerca di un rasoio, magari usa e getta. Era da venerdì mattina che non si radeva. “Venerdì... oggi è domenica.” pensò. Sospirò, frustato, quando non lo trovò. Aprì un cassetto del mobile del lavandino e frugò li dentro, fra vecchie spazzole, pettini ed elastici vecchi di qualche anno. Trovò un paio di rasoio usa e getta nuovi e qualcos'altro. Afferrò la scatola già aperta e ne guardò il contenuto. Cinque su sei.

«I bambini dormono.»

Benjamin si girò verso la porta, illuminando Crystal. Aveva i capelli umidi, le punte che si stavano arricciando, un pigiama preso dall'armadio e un vecchio maglione con i bottoni, troppo grande per lei. Se lo stava stringendo addosso, tenendo i lembi con le mani. «Bene.» commentò e si accorse che Crystal aveva visto quello che aveva in mano. Fece per rimettere la scatoletta al suo posto ma Crystal non glielo permise: gli si avventò contro, prendendogli il viso fra le mani e lo baciò, premendo con forza le labbra sulle sue.

Benjamin ricambiò il bacio, sentendo la lingua di lei che gli sfiorava le labbra. Le dischiuse e la strinse a sé, lasciando cadere la confezione di preservativi a terra. La spinse contro il muro dopo aver fatto scivolare a terra il maglione. Sentiva contro di sé il seno di Crystal, lo sentiva contro la sua pelle, anche se lei indossava la maglia del pigiama — lui, dopo essersi lavato, aveva indossato solo i boxer che si era portato e un paio di pantaloni della tuta del padrone di casa. Si spinse contro di lei, bloccandola contro il muro, sentendo le sue gambe circondargli la vita, attirandolo ancora di più contro il suo corpo. Benjamin sentiva l'eccitazione crescere, crescere sempre di più e premere contro Crystal.

«Perché?» ansimò quando il bacio finì, la fissò negli occhi, guardando le iridi e le pupille ingrandirsi sempre di più, inghiottendo il bianco della sclera, il verde delle pupille diventare sempre più chiaro. Fissò quello sguardo da lupa e seppe che anche lui la stava guardando allo stesso modo.

«Perché no?» replicò lei.

Lui le tolse velocemente la maglia, fissando il seno sodo. La baciò di nuovo e finirono a terra, sul tappeto bianco posto fra la vasca e il lavandino. La baciò sulle labbra e scese sulla gola e ancor più giù mentre infilava una mano sotto le mutandine di lei. Dopo qualche secondo la denudò completamente e rimase a fissarla, in ginocchio accanto a lei. Si allungò per prendere uno dei preservativi usciti dalla scatola e Crystal fu svelta: gli abbassò velocemente pantaloni e boxer, gli strappò il preservativo dalle mani e glielo mise.

Si fissarono per qualche secondo, poi lui fu su di lei, dentro di lei e la baciò, smorzando il gemito che voleva uscire dalle labbra di lei. Le morse il collo con un basso ringhio — era la parte animale di lui che usciva prepotentemente — e lei gli graffiò la schiena, con forza, prima di mordergli la spalla.

Fu veloce e intenso, travolgente per entrambi. Benjamin rotolò via da Crystal ansimando e fissò il soffitto bianco, accorgendosi della macchia di muffa in un angolo.

«È meglio che vada a controllare i bambini.» soffiò Crystal, recuperò i suoi abiti, li indossò e fuggì dal bagno prima che Benjamin potesse fermala.

Il ragazzo si tirò su, mettendosi in ginocchio e appoggiandosi alla schiena, sentendo la ceramica fresca contro la pelle calda. Inspirò a fondo, imponendosi di calmarsi. Raccolse i preservativi restanti e li infilò nella scatola; si alzò in piedi, gettò il preservativo usato nel cestino sotto al lavandino e si pulì velocemente prima di vestirsi. Tornò in corridoio, la scatola ancora in mano, si accucciò accanto al suo zaino e la sistemò in una delle scatole.

«I bambini non hanno sentito nulla.» esclamò Crystal guardandolo, «Dormono.» soffiò, «Vado in bagno.»

Benjamin si limitò ad annuire, si alzò in piedi, entrò in cucina e bevve un lungo sorso d'acqua. Solo quando sentì Crystal uscire dal bagno e tornare in camera si girò lentamente, prese un respiro profondo e guardò fuori dalla finestra, scostando appena la tenda: pioveva. Si girò e andò in camera, fissò Crystal che abbracciava Emily, William al centro del letto, che stringeva un pupazzo a forma di cane. Gettò uno sguardo al lettino da campeggio ai piedi del letto e fissò Sarah che dormiva tranquilla, il ciuccio in bocca. Con un sospiro scostò le coperte, scivolò sotto di esse e si impose di dormire.

❖.❖.❖

«Cosa vuol vuol dire che non si trovano i bambini?» sbraitò Dawn, «Non possono essere andati sulla luna, cazzo! Nessuno di loro può teletrasportarsi!» continuò ad urlare uscendo dal suo ufficio, «Dove cazzo sono?» ringhiò, fissando il ragazzo davanti a lei, che avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì.

«Io... io non lo so.» mormorò Thomas indietreggiando di un paio di passi, «Non so dove sono.» disse e deglutì, fissando Dawn che lo guardava come se avesse voluto prendere una pistola e sparargli seduta stante, «Mi dispiace.» sospirò indietreggiando ancora.

Dawn sbuffò, «Sì, certo.» esclamò, «Informati!» gridò, «Chi c'è da loro?» chiese.

«Charles.» pigolò Thomas.

Dawn annuì, «Okay.» disse e rilassò le spalle, «Chiamalo e digli di setacciare ogni casa, ogni giardino, ogni cazzo di buca che incontra, okay?» sbraitò, «E cerca di rimetterti in contatto con il superiore del signor Jackson e digli che deve assolutamente tornare qui nel minor tempo possibile.» ordinò, «E se non lo fa... minaccialo.» disse, «Digli che gli verrà portata via la casa, la barca, l'elicottero e qualsiasi gingillo che abbia e che non ha dichiarato al fisco... sono stata chiara?» esclamò, avvicinandosi al ragazzo.

«Sì.» disse lui, «Subito!» esclamò e schizzò via, raggiungendo la sua scrivania e prendendo in mano il telefono ancora prima di sedersi.

Dawn sospirò e avanzò, aprì la porta dell'ufficio di Steven e lo guardò, fissando i capelli castani illuminati dalla luce dei neon, l'espressione concentrata mentre parlava al telefono. Lui si accorse di essere osservato, salutò il suo interlocutore e riattaccò. «Tesoro.» disse e Dawn si avvicinò a lui, «Che hai?» chiese.

«I Jackson» sospirò lei, «Non si trovano neppure loro.»

«Jackson?» domandò lui, non capendo a chi si riferisse Dawn.

«I Jackson, lui è un militare, adesso è in Afghanistan,» spiegò lei «la madre e i bambini di nove, sette e sei mesi non si trovano.» continuò, «Nessuno di loro può teletrasportarsi, la macchina non è passata per nessuno casello, non hanno preso né aerei né treni e non hanno oltrepassato il confine.»

«Sicura?» chiese lui e Dawn annuì, «Bhe, non saranno lontani... tranquilla, li troveremo.» disse.

«Io non resto tranquilla!» sbottò Dawn, «Quel pazzo di Erikson ha una lista con i nostri nomi e manda in giro i suoi soldati a uccidere quelli come noi!» sbraitò, «E quelli sono bambini!» gridò, «Bambini, per l'amor del Cielo! E tu mi dici di stare tranquilla? Ma sei cretino?»

«Dawn... calmati.» disse lui, «Stai tranquilla, li troveremo.» esclamò e si alzò, fece il giro della scrivania e la raggiunse, «Non ti fa bene arrabbiarti così.» mormorò e l'abbracciò. «Andrà tutto bene.» sussurrò.

Dawn sospirò, appoggiò la testa sulla spalla di even e si disse che doveva tranquillizzare ed evitare di sbraitare contro chiunque, perché non era colpa né sua, né di Thomas e neppure di Steven. La colpa era della talpa, se l'avesse avuta fra le mani l'avrebbe strozzata senza pensarci due volte. «Okay.» disse.

«Dawn?» pigolò Thomas affacciandosi, «Abbiamo novità.»

Dawn si staccò da Steven e gli sorrise, «Dimmi.» esclamò girandosi verso l'altro.

«Abbiamo trovato la signora Jackson.» disse lui e si torse le mani, non sapendo come continuare, «E...»

«E cosa?» fece lei avanzando verso di lui.

«La signora è stata uccisa, Charles ha trovato dei graffi profondi sul torace, sulla schiena e sulle braccia, dice che non è un bello spettacolo...» rispose e fece un passo indietro, pronto per fuggire nel caso che Dawn decidesse di prenderlo a calci, «E i bambini non ci sono.»

«Che cosa?» strillò lei, «Merda.» imprecò, uscì dall'ufficio per andare nel suo, lasciandosi dietro gli altri due. Una volta alla sua scrivania indossò l'auricolare, sistemò il microfono e compose il numero di Charles.

«Dimmi che è uno scherzo.» disse quando l'altro rispose.

«Purtroppo no.» sospirò l'altro. «Joey ha appena stordito una scimmia mutante.» disse, «Cazzo, non ha dita ma artigli grossi e affilati come falcetti appena usciti dalla fabbrica.» spiegò, «Stava... stava mangiando la signora Jackson.» disse. «Povera donna... le hanno anche sparato in testa.»

Dawn inspirò a fondo. «Merda.» disse, «Con che cosa l'avete fermata?» domandò.

«Teaser e una tripla dose di sonnifero.» disse l'altro, «È un tizio di quarant'anni, faccia da sfigato e pancia di chi ha bevuto troppe birre.» spiegò, «E c'è altro.»

«Cosa?» mormorò Dawn, sentendosi sempre peggio e pregò che non avessero trovato i corpi dei bambini.

«L'auto di lei ha le gomme squarciate.» rispose Thomas, «Da un coltello.» aggiunse, «Abbiamo trovato una di quelle insegne a libro piena di bruciature.»

«William ha cercato di difendere la madre.» disse Dawn sentendosi sempre peggio, «Merda.» sputò, «Speriamo che Emily usi il suo potere per cercare qualcuno che li aiuti.»

«Già.» fece Charles la voce piatta, «Noi stiamo cercando di setacciare la zona, ma gli uomini di Erikson passano ogni mezzora ed è un po'... complicato.»

«Fate il possibile.» ordinò lei, «Quei piccoli hanno visto morire la loro madre e saranno spaventati a morte.» sospirò, «Chiamami fra mezz'ora.» disse e riattaccò.

Chiuse gli occhi, posò e le mani sul viso e si sentì esausta, con la voglia di stendersi da qualche parte, raggomitolarsi su se stessa e piangere fino ad addormentarsi. Ma sapeva di non poterlo fare, non in quel momento, con i tre bambini in giro per i boschi, con delle scimmie mutaforma e chissà cos'altro partoriti dalla mente di quello stronzo del Presidente. Gli avrebbe sparato lei stessa, se ne avesse avuto occasione. In fondo sarebbe stato semplice: doveva solo prendere un fucile, caricarlo, trovare il Erikson, prendere la mira e fare fuoco. Le telecamere di sicurezza non l'avrebbero vista perché lei sarebbe diventata invisibile anche ai loro occhi. Un giochetto da ragazzi.

Peccato che Erikson non vivesse più alla Casa Bianca, ma che si fosse nascosto chi sa dove. "Probabilmente ha paura di qualche ritorsione." pensò Dawn. Ma avrebbe davvero voluto trovarlo e piantargli una pallottola in mezzo agli occhi, per poi fare lo stesso con la talpa.

Già, la talpa... chi poteva essere? Charles non di sicuro, visto che aveva due gemellini di tre anni e avrebbe ucciso chiunque facesse del male ai bambini. E neppure Nick, che conosceva da dieci anni, che era come un fratello per lei e si fidava ciecamente di lui. Stessa cosa per George e sua sorella, e i genitori dei tre ragazzi. Erano parte del consiglio dei Soldier e in quel momento si stavano dannando l'anima per risolvere la situazione con i vari governi. James... bhe, non era colpa sua se suo padre era uno stronzo e aveva cercato di ucciderla. James poteva essere pure un po' rompiballe, credere di essere il macho man della situazione ma era uno su cui si poteva contare.

Neppure Thomas era da prendere in considerazione, anche perché non aveva i requisiti per accedere alle liste. Quindi chi poteva essere? Senza ombra di dubbio escludeva Steven. Era il suo fidanzato, nella penultima missione avevano cercato di ucciderli entrambi, aveva una fiducia e una stima profonda per lui ed era più che sicura che non fosse lui la talpa. Ma c'era, ed era lì, in quell'imponente ed enorme villa vittoriana. In quel momento c'erano decine e decine di persone al lavoro per risalire alla talpa, uomini e donne che lavoravano giorno e notte per portare alla luce alla verità e lei era convinta che ci sarebbero riusciti. E allora lei avrebbe fatto confessare la talpa, le avrebbe chiesto il perché, il motivo per cui aveva fatto una cosa del genere e poi...

“E poi la ucciderò.” pensò.

❖.❖.❖

Marie-Anne sbuffò. Erano ore che erano in quell'auto, senza poter muoversi. Aveva avuto una mezza crisi isterica quando Erik le aveva detto che se le scappava, poteva andare a pisciare nei cespugli. All'inizio si era rifiutata, poi aveva ceduto.

Quando si erano fermati la prima volta erano rimasti lì per un'oretta, poi Erik era tornato indietro, aveva preso un'altra strada — sempre dissestata — e aveva proseguito, svoltando a caso, senza un senso logico. E Marie-Anne avrebbe voluto riempirlo di schiaffi e guidare lei, imboccare un'interstatale e guidare fino in Canada. Ma non era possibile, Erik non dava il cambio alla guida.

«Smettila di sbuffare.» borbottò Kathy, a metà strada dal voler sbattere giù dall'auto l'altra e il volerle ringhiare contro di tacere. «Siamo tutti stanchi.» soffiò posando il capo sul poggiatesta. Fissò il soffitto della Lexus, chiedendosi come stessero i suoi genitori e le sue sorelle e i genitori di Samuel, pregò un dio in cui non credeva di salvarli, anche se l'istinto le urlava che ormai non c'era più nulla da fare.

«Se mi aveste ascoltato...»

«Se lo avessimo fatto, a quest'ora saremmo nelle braccia di quello stronzo.» Erik interruppe Marie-Anne, che emise uno sbuffo stizzito e tornò a guardare fuori. Erano nel parcheggio di un altro motel, una bettola in cui lei non sarebbe mai entrata.

«Potremmo proseguire.» pigolò lei.

«Riposiamo un paio d'ore e ripartiamo.» sbuffò Erik prendendo sigaretta e accendino dalla tasca della giacca di pelle nera. «Te lo ha mai detto nessuno che ogni tanto sei... noiosa?» sbuffò con la sigaretta fra le labbra.

Marie-Anne girò di scatto la testa, stizzita. «Io lì non ci entro.» esclamò, «Resto qui.»

Erik alzò le spalle, «Come vuoi.» disse e si voltò, facendo due passi verso l'ingresso sgangherato del motel.

Marie-Anne spalancò occhi e bocca quando si rese conto che stava facendo sul serio, che l'avrebbe lasciata lì, così afferrò le sue cose e scese, sbattendo la portiera, «No, no, vengo.» esclamò, raggiungendo gli altri tre.

Erik sogghignò, divertito — Marie-Anne era insopportabile, ma si divertiva a vederla arrossire ogni singola volta che le sorrideva — e schiacciò il pulsante della chiusura centralizzata.

Samuel strinse la mano di Kathy, giurando a se stesso che l'avrebbe protetta, sempre e comunque, anche a costo della sua vita. Osservò Marie-Anne, il modo in cui stringeva lo zaino al petto e sospirò. Secondo lui era strana, con quella mania di voler comandare solo perché nata prima di loro, anche se non aveva il carisma di un leader. Quello era Erik. Era lui il carismatico e di conseguenza leader del gruppo.

Entrarono nel motel, scoprendo che anche quella volta c'era solo una stanza libera, con solo due letti. Marie-Anne sbuffò infastidita. «Uno è mio.» esclamò.

Erik alzò gli occhi al cielo e soffiò fuori il fumo — in quel motel nessuno faceva caso ai divieti e nessuno li faceva rispettare —, «Come vuoi, principessa.» disse. «Io dormo anche per terra.» alzò le spalle e passò a Kathy la carta magnetica.

Marie-Anne entrò per prima, scelse il letto più lontano dalla porta e ci posò sopra lo zaino. Non riusciva a comprendere perché ce l'avessero tutti con lei. Anche al liceo la trattavano così, come se fosse un peso da portarsi in giro. Non aveva chiesto lei di essere in quella situazione anzi, avrebbe voluto essere normale e non una mutaforma.

Andò in bagno, chiuse a chiave la porta e scoppiò a piangere.

❖.❖.❖

Erik aprì piano la porta e uscì, infilò la sigaretta fra le labbra — accorgendosi che era l'ultima del pacchetto — e l'accese. Fissò il fumo che saliva e sospirò. Niente stava andando come aveva previsto: c'erano troppi posti di blocco e lui aveva paura. Sapeva che se la sarebbe cavata con il suo dono che gli permetteva di cercare, trovare e, di conseguenza, evitare i pericoli. Sapeva che Samuel e Kathy se la sarebbero cavata, sia i forma umana che in forma di pantere. Era Marie-Anne che lo preoccupava, sembrava che non accettasse quello che era.

E non si fidava di lui, questo lo sapeva bene. Come sapeva che sarebbe stato un problema se avesse continuato a fare l'isterica Miss-So-Tutto-Io. Aspirò ancora e fissò il cielo nero e la pioggia che cadeva da diverse ore. Ecco, la pioggia era un'altra di quelle cose di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Sentì un rumore e girò la testa, fissando il gatto randagio che correva via, sotto la pioggia. Fu allora che lo vide. Il distributore di sigarette. Si avvicinò, continuando a fumare. Tirò un pugno leggero sul fianco della macchina, poi un altro sul davanti. Si udì un rumore e un pacchetto cadde nel cestello. Erik lo prese: Marlboro rosse. Non erano le sue preferite, ma sapeva accontentarsi. Infilò il pacchetto nella tasca della felpa e tornò alla porta della stanza, fece l'ultimo tiro, gettò il mozzicone in una pozzanghera e tornò in camera. Samuel e Kathy dormivano vicini, probabilmente abbracciati. Anche Marie-Anne dormiva.

Erik sospirò, gettò il pacchetto nuovo nel suo zaino e si sdraiò sul tappeto fra i due letti, si coprì, chiuse gli occhi e si addormentò.


Ed ecco qui il secondo capitolo, con l'arrivo dei bambini. Mancano solo Kyle e Jenna ma arriveranno presto. Molto presto.
E c'è pure la prima scena lime *fischietta*
Per il fatto che qualcuno lasci la chiave delle casa delle vacanze sotto lo zerbino... bhe, non mi pare che nelle serie tv/film americani i proprietari tengano molto alla sicurezza, visto che lasciano la chiave sotto lo zerbino, se non addiritura la porta aperta.
Oh, un tontolone ci deve essere, ogni tanto!
Il sergente Nelson non penso che tornerà. O forse sì, dipende da quello che decide ò.ò
Grazie a chi legge, mette la storia in una delle liste, a chi mi mette fra gli autori preferiti e chi commenta questa storia.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** 3. Terzo Giorno -Prima Parte- ***


Projeus:
The Big War

3.
Terzo Giorno -Prima Parte-

Lunedì 7 Settembre.

Benjamin aprì gli occhi e si guardò attorno, non capendo dove fosse. Mise a fuoco la stanza, non riconoscendola. Per un attimo si domandò se non fosse andato a casa di qualche ragazza conosciuta in un pub, magari dopo aver bevuto un po' troppo. Poi ricordò.

Fissò Crystal che dormiva prona, Emily accanto a lei, che stringeva una ciocca di capelli della mutaforma nel pugno sinistro, mentre il pollice destro poggiava sulle labbra. William dormiva su un fianco. Li coprì e fissò Sarah, nel lettino ai piedi del letto, la vide agitarsi nel sonno, il ciuccio accanto alla testa. Lo prese e sfiorò la bocca della bambina: lei schiuse le labbra e il ciuccio scivolò fra di esse. Benjamin uscì da quella camera e, una volta in corridoio, guardò l'orologio. Erano appena le tre di notte.

Andò in bagno, in fondo era per quello che si era svegliato: forse trangugiare una pinta di acqua prima di dormire non era stata una buona idea. Mentre si lavava le mani, la torcia appoggiata alla mensola sotto allo specchio, pensò a quello che era successo la sera prima. Aveva fatto sesso con Crystal. Ne aveva avuto il disperato bisogno. Tutto quello che era successo il giorno prima era stato semplicemente troppo. Veramente troppo. Voleva sentirsi vivo, almeno per un momento. E si era sentito vivo mentre stringeva fra le braccia Crystal o mentre le mordeva il collo, o quando lei lo aveva graffiato, gemendo così piano il suo nome che se non avesse avuto l'udito di un lupo non l'avrebbe mai sentito. Si lavò le mani, scacciando quei pensieri e tornò a letto, dicendosi che poteva dormire altre tre ore.

❖.❖.❖

Dawn scivolò dalle braccia di Steven stando attenta a non svegliarlo. Si mise seduta e sbadigliò, alzò le braccia sopra la testa e le stiracchiò. Si alzò in piedi e andò nel bagno della sua stanza. Con uno sbadiglio si guardò allo specchio, decidendo che i capelli erano ancora puliti, così prese la cuffia di plastica e la indossò, infilando sotto di essa tutte le ciocche bionde. Erano appena le quattro e lei non sarebbe più riuscita a dormire, quindi tanto valeva alzarsi e iniziare a lavorare.

Uscì dalla doccia e afferrò l'asciugamani giallo chiaro e, prima di avvolgerlo sul suo corpo, si guardò allo specchio: sopra il seno sinistro s'intravedeva una sottile bruciatura, che scendeva fino quasi al capezzolo, seguendo una linea a zig-zag immaginaria. Era stato Steven a fargliela, la sera prima. Il ragazzo era un elettrocinetico. A lui piaceva darle qualche scarica elettrica e a lei piaceva riceverle. Le piaceva quel piccolo brivido che le procurava, facendola eccitare ancora di più. Le piaceva quando lui la sfiorava, partendo dalle labbra e scendendo lungo la gola, per poi soffermarsi sui seni, scendere ancora più giù, sulla pancia e ancora più giù...

Dawn scosse la testa e si coprì, tolse la cuffia, afferrò la spazzola e iniziò a pettinarsi.

Un quarto d'ora dopo era nella caffetteria dell'istituto. Apriva alle sei e mezzo del mattino e chiudeva alle undici di sera, quindi non avrebbe trovato nessuno che le preparasse un cappuccino, però c'era la caffetteria americana, quella da bar, bollitori, fornelli elettrici per scaldarsi il latte, zucchero, panna da caffè in monoporzioni, bustine di tè e tisane. Dawn si preparò del caffè e ci aggiunse del latte caldo, infilò nella tasca dei pantaloni un paio di bustine di zucchero e un cucchiaio di plastica, afferrò un paio di panne e andò nel suo ufficio, dall'altra parte dell'edificio.

Una volta lì accese il computer, aggiunse panna e zucchero al caffè e fissò il sistema operativo che si caricava. Avviò il programma dell'istituto e fissò la colonna a destra, quella che indicava chi fosse collegato in quel momento.

Fissò i nomi — erano sei — e si accorse che erano tutti del Projeus Institute di Los Angels, al momento trasferito in Canada anche quello, a Edmonton. Daniel era in linea, così cliccò sulla sua faccia, facendo aprire una finestrella.

“Ancora sveglio?” gli scrisse.

“Già sveglia?” replicò lui e un attimo dopo la video chiamata fu avviata.

«Come va?» domandò Daniel, gli occhi azzurri cerchiati da profonde occhiaie.

«Come da voi.» sospirò lei e sorseggiò il caffè. «Una merda.» disse.

Daniel annuì. «Avete trovato la talpa?» domandò.

«Non ancora.» grugnì lei, «È stata capace di non lasciare tracce.»

Daniel fece una smorfia, «La troverete.» disse.

«Sì.» esclamò, certa che l'avrebbero trovata. Erano i migliori, dopotutto. «Senti... non è che avresti un Cercatore da prestarmi?» domandò.

Daniel scosse la testa e i capelli biondo scuro gli scivolarono sugli occhi, li scostò con una mano e sospirò, «Purtroppo no.» disse. «Abbiamo un quarantacinquenne ma al momento lo stanno operando: uno stronzo lo ha accoltellato.» sospirò, «Poi c'è Abram, ma ha quasi settantasei anni e la sindrome del viale al tramonto...» scosse la testa, «L'unico che potevo mandarti lo hanno ammazzato.» sputò.

«Merda.» sbuffò Dawn. «E i canadesi?» domandò, «Qui non ce li prestano, hanno troppa paura... anche se devono solo puntare il dito su una cazzo di cartina.» borbottò.

«Anche qui.» confermò lui. «Ce la faremo, Dawn.» disse dopo qualche attimo di silenzio.

Dawn sorrise, «Sì.» confermò, «Vai a dormire, Danny.» disse e ignorò la smorfia di lui, che odiava essere chiamato in quel modo. «Ci sentiamo.»

«Dormi anche tu.» replicò lui, soffocando uno sbadiglio, «Ciao.» disse e la comunicazione venne interrotta.

Dawn bevve un lungo sorso e reclinò il capo, posandolo contro il poggia testa. Fissò il soffitto, sentendosi stanca e svuotata. La situazione le stava sfuggendo di mano e lei si sentì inutile.

Inspirò a fondo e prese un altro sorso di caffè. Mosse il mouse, andando ad aprire l'elenco di tutti i Soldier di cui si occupava l'istituto di New York. Fissò le colonne: dati anagrafici, il loro stato attuale — morto, arrivato lì in Canada, disperso.

Quelli arrivati lì in Québec erano solo una piccola parte, circa il quindi percento sul totale. I Soldier erano lo 0,01777% di tutta la popolazione degli USA, 56700 persone, e la sede di New York si occupava della metà di loro. Di questi, solo duecentoquaranta erano già arrivati in Canada, sistemati in vari appartamenti o in hotel, in attesa che la situazione si sistemasse.

Dawn voleva disperatamente avere un Cercatore, così avrebbe potuto mettergli davanti la foto dei dispersi, una cartina degli USA e chiedergli di trovarli, poi avrebbe mandato uno dei ragazzi con il teletrasporto per prelevarli e portarli in Canada. Peccato che i Cercatori fossero lo 0,011% della popolazione Soldier, ossia appena sei, di cui una bambina, un ventiquattrenne e una novantacinquenne — una dei loro capi — attaccata a un respiratore. Nascevano ogni diciassette anni e mezzo e non erano ancora riusciti a capire perché il potere non si trasmettesse come gli altri.

Fissò la lista dei poteri dei Soldier, disposte in ordine, dal più numeroso al più raro: mutaforma, forzuto, elettrocinetico, pirocinetico, miratrice, preveggenza, calcolo dei sistemi complessi, calcolo probabilità, teletrasporto, corsa, apparizione oggetti, psicometria, invisibilità, Cercatore.

Sospirò, frustata, finì il caffè e si alzò in piedi per andare a prepararsene un altro.

❖.❖.❖

Benjamin sentì qualcosa che gli toccava la faccia. Sbadigliando, aprì gli occhi e intravide la faccia di William che lo fissava.

«Devo fare la pipì.» mormorò il bambino, «Ma è buio.»

Benjamin sbatté un paio di volte le palpebre e vide che mancavano dieci minuti alle sei, «Sì, sì.» borbottò, «Andiamo.» sospirò, afferrò la torcia e l'accese. Nel letto c'era solo Emily.

Quando uscì dalla camera, gettò uno sguardo in cucina: Crystal era seduta al tavolo e stava dando un biberon di latte a Sarah. «Buongiorno.» la salutò.

«Giorno.» sbadigliò lei, «Il caffè e pronto, se vuoi.»

Benjamin annuì e accompagnò William in bagno. Quando uscirono andarono in cucina, fece sedere il bambino e si versò una tazza di caffè. «Sei sveglia da tanto?» domandò sedendosi a sua volta.

«Una ventina di minuti.» rispose Crystal, «Aveva fame.» indicò con un cenno della testa la bambina.

«Mamma! Mamma!»

Il grido fece sobbalzare tutti quanti e Sarah scoppiò a piangere. Benjamin si alzò di scatto, corse in camera e sollevò Emily che singhiozzava, «Non piangere.» le sussurrò accarezzandole la schiena scossa dai singulti. Tornò in cucina e si sedette, tenendola in braccio. Passarono interi minuti prima che i singhiozzi cessassero e che la bambina smettesse di piangere.

«Vuoi fare colazione?» le chiese Benjamin e la bambina annuì, «Ci sono latte e biscotti.» disse e si alzò, fece sedere la bambina al suo posto e andò al fornello per scaldare il latte.

Fecero colazione in silenzio, sistemarono le loro cose e, alle sei e trentacinque, uscirono da quella casa.

Camminarono per poco e Benjamin si fermò. «Guarda.» disse a Crystal.

Lei fissò l'auto grigia con la portiera spalancata, il corpo di un uomo riverso accanto a lei. Deglutì, «Vuoi prenderla?» domandò.

Benjamin annuì, «Sì.» rispose, «State qui.» ordinò e si allontanò, attraversò la strada e si chinò sull'uomo: aveva una cinquantina di anni abbondati, forse sessanta. E un buco in fronte. Con un sospiro raccolse le chiavi accanto alla mano dell'uomo e le infilò in tasca poi trascinò l'uomo lontano dalla vista dei bambini, dietro una bassa siepe. Fece un cenno con la mano e Crystal e i bambini lo raggiunsero.

«Salite.» disse.

«Non ci sono i seggiolini.» protestò Emily, «Noi dobbiamo stare sui seggiolini.» disse.

«Ha ragione.» sospirò Crystal, «In particolare per Sarah.»

«Puoi tenerla in braccio.» disse Benjamin.

«È pericoloso.» borbottò lei, «Può farsi molto male.» disse, «Basta anche un minuscolo tamponamento.»

Benjamin si morsicò le labbra ed espirò. «Okay.» soffiò, «Per ora salite, adesso cerchiamo dei seggiolini, okay?» propose, «Ma salite, svelti.» disse e aprì la portiera posteriore e i bambini salirono di corsa, stringendosi al petto gli zainetti e i pupazzi. Benjamin caricò gli zaini nel bagagliaio e Crystal sollevò Sarah dal passeggino e prese anche la borsa. Se la bambina avesse avuto fame, avrebbe potuto darle un biscotto: lo aveva fatto anche quella mattina e la piccola aveva gradito.

«Le cinture.» esclamò, con una vocina quasi petulante, Emily.

«Ah, sì, giusto.» disse Benjamin e le allacciò a entrambi i bambini, notando che le cinghie passavano proprio sotto il loro collo. «Adesso troviamo dei seggiolini.» disse e salì in auto, si allungò e aprì la portiera del passeggero. Crystal salì, lasciò la borsa fra i suoi piedi e sistemò la bambina sulle sue gambe.

«Aiutami.» disse mentre con una mano sosteneva Sarah e con l'altra tirava la cintura di sicurezza.

Benjamin l'aiutò, allacciò anche la sua e strinse la chiave, la infilò nella serratura e sorrise. «Pronti per il Canada?» domandò mentre il rombo del motore risuonava nel mattino silenzioso.

Mentre avanzava fra le strade della piccola città si guardava attorno, alla ricerca di un auto con uno di quei cartelli “Bimbo a bordo”. «Crys, adesso freno.» disse, «Guarda a sinistra.»

«Non chiamarmi Crys.» replicò lei e guardò. Fissò il lunotto posteriore della Nissan blu. “Claire a bordo”, “Lucas a bordo”, “Charlie a bordo”. «È perfetto.» disse, «Speriamo che uno vada bene per Sarah.» sospirò.

Benjamin frenò piano e fermò l'auto, «Bambini, state qui.» disse, «Io e Crystal andiamo a prendervi i seggiolini.» spiegò e i bambini annuirono.

Crystal slacciò la cintura e aprì la portiera, uscì e spalancò quella dietro, «State attenti, non fatela cadere.» disse posando Sarah nello spazio fra i due bambini. Torniamo subito.» sorrise. Fu quando si voltò che sentì quell'odore: sangue. «Benjamin...» mormorò.

Lui si voltò e annuì. Quell'odore era troppo forte, troppo vicino e troppo familiare. Fu quello a colpirlo più di tutti. Quell'odore che conosceva così bene. Fece il giro dell'auto e portò le mani alla bocca, imponendo all'urlo che voleva uscire di restare lì.

«Dio mio.» soffiò Crystal, apparendo al suo fianco. «Li hanno... li hanno...»

«Uccisi.» soffiò lui, fissando i cinque cadaveri. Forse era stato Nelson a ucciderli. Un'intera famiglia distrutta. «Sono... erano lupi.» mormorò distogliendo lo sguardo. Deglutì a fatica, sentendo un groppo in gola, «Prendiamo i seggiolini.»

La macchina non era chiusa, così spalancarono le portiere e, con un po' di fatica, riuscirono a prendere i seggiolini. Velocemente e in silenzio li montarono sulla “loro” auto, ci sistemarono i bambini e ripartirono, sempre in silenzio.

«Dove sono?»

Crystal voltò la testa, fissando Emily che stringeva Mr Pig, Sarah con in bocca il ciuccio e William che aveva fatto quella domanda. «Chi?» chiese.

«I bambini di questi seggiolini.» rispose lui. «Dove sono?» ripeté «E la loro mamma?»

Crystal lo fissò, sapendo che non poteva dire loro la verità, «Non ci sono.» rispose, «Sono andati via.» sospirò tornando a guardare la strada.

«Sono morti?»

La domanda di William gelò Crystal e Benjamin, che si fissarono. «Sì.» soffiò Crystal.

«Come la mamma?» chiese il bambino.

«Sì.» rispose Crystal.

«Ah.» commentò il bambino e nell'auto tornò di nuovo il silenzio.

❖.❖.❖

Samuel strinse la cartina e sbuffò. Quel girare in tondo gli faceva venire l'ansia ma si fidava di Erik quando diceva che c'erano pattuglie e soldati mandati da Erikson. Quello che non sopportava più era il comportamento di Marie-Anne: se avesse detto un'altra volta che dovevano prendere l'interstatale non era sicuro di trattenersi dal buttarla giù dall'auto in corsa.

«Dove siamo?» domandò Kathy.

«A metà strada fra Luray e Harrisonburg.» rispose lui.

«Sei precisissimo.» borbottò Erik.

«Non è colpa mia se questa cartina non segna tutte le città e i paesini.» replicò Samuel.

«Dobbiamo prendere la sta-»

«La statale.» finì Erik per lei. «Sì, lo dici sempre.» disse, «Ma non sarà così.» la guardò dallo specchietto retrovisore e le sorrise, vedendola arrossire appena. «Prenderemo una statale solo quando varcheremo il confine.» esclamò, «Con il Canada.»

Marie-Anne tacque e incrociò le braccia, vagamente offesa. Non sopportava più Erik e il modo in cui la trattava, come se avesse sei anni e non ventisei. Guardò fuori dal finestrino, annoiata dal paesaggio tutto uguale. «Se continuiamo a girare in tondo non arriveremo mai.» si lamentò.

«Ha ragione.» disse Kathy, stupendo tutti quanti — e per poco Erik non inchiodò in mezzo alla strada quasi deserta.

«Cosa?» fece Marie-Anne, stupita, forse più degli altri.

Kathy scrollò le spalle, «Ha ragione.» disse, «Sono due giorni che giriamo in tondo, andiamo in West Virginia e poi torniamo qui, poi siamo di nuovo là e poi ancora qui...» esclamò e sospirò, abbassando le spalle, «Basta che ce ne andiamo.» disse.

Erik sospirò, «In West Virginia c'è una persona che conosco.» disse, «Ma non riesco a capire chi sia. E se provo a concentrarmi su tutte le persone che conosco mi scoppierà il cervello.»

«Vuoi andare da lei?» chiese Kathy, «Ma sai almeno se è maschio o femmina?» domandò.

Erik scosse la testa, «Non lo so.» rispose, «E sì, voglio trovarla.»

«Lasciamola lì!» squittì Marie-Anne, «Lasciala lì!» esclamò, «Cosa ce ne frega! Andiamo via!»

Erik frenò così bruscamente che gli occhiali scivolarono via dal naso di Samuel. Li trattene con due dita e li spinse al suo posto. «Lasciarla lì?» esclamò il Cercatore. «È una persona come noi, con un potere.» disse, «Se ho raccolto te non vedo perché non debba farlo con questa.» ringhiò, facendo appiattire Marie-Anne contro lo schienale del divanetto posteriore. Inspirò a fondo, calmandosi. «Andiamo.» disse, ingranò la marcia e partì.

Samuel si trattenne dallo scoppiare a ridere, dicendosi che non era né il momento né la situazione adatta. Si disse che doveva essere serio. Durò trenta secondi: le sue spalle furono scosse dalle risate trattenute mentre degli sbuffi uscivano dalle sue labbra.

«Che c'è?» chiese Erik? «Se devi vomitare dillo che mi fermo subito.»

Samuel scosse la testa, «No.» gracchiò, «È che... che...» non si trattenne più e scoppiò a ridere, «La sua faccia! La sua faccia!» rise fissando l'altro, «Sembrava che dovesse farsela addosso da un momento all'altro!»

Marie-Anne lo fissò non capendo a chi si riferisse, fece per aprire la bocca e chiederlo poi capì: la stava prendendo in giro. Emise uno sbuffo rumoroso, incrociò le braccia e puntò lo sguardo sul paesaggio pensando che se la sua auto non si fosse rotta a quell'ora probabilmente era già in Canada.

«Da che parte?» chiese Erik.

«Dimmi dove non devi andare e ti dirò dove bisogna girare.» sospirò Samuel.

Erik fermò l'auto, «Facciamo cambio.» disse uscendo, il motore ancora acceso.

«Eh?» esclamò Samuel, stupito che gli stesse dicendo proprio quello. Da quando lo aveva conosciuto Erik si era rifiutato di dargli il cambio alla guida.

«Non posso guidare, concentrarmi su dove siano quei figli di puttana e guardare la cartina.» spiegò Erik con una alzata di spalle.

Samuel annuì, ancora scioccato, scivolò al posto di guida, regolò il sedile e gli specchietti e attese che Erik chiudesse la portiera prima di partire. Guidò velocemente per una decina di minuti prima di incominciare a rallentare. Strizzò gli occhi, maledicendo la sua miopia, cercando di capire cosa facesse muovere in quel modo i cespugli alla sua sinistra. Avrebbe potuto alzarsi gli occhiali e usare la vista da pantera per vedere bene da lontano ogni singolo dettaglio di quelle foglie ma così non sarebbe più riuscito a vedere bene la strada, se ne avesse avuto bisogno — e ne avrebbe avuto bisogno visto che stava guidando.

«Kathy.» soffiò, «Fra ore nove e ore dieci, cinquecento piedi davanti a noi.»

La ragazza girò la testa e sgranò gli occhi mentre la macchina avanzava, «Accelera, accelera!» gridò battendo una mano sul sedile davanti a lei, «Muoviti!»

Samuel schiacciò il piede sul pedale e quasi urlò quando vide gli animale sbucare dal sottobosco, la macchina sbandò quando fu colpita sulla parte posteriore e il mutaforma perse per un'istante il controllo. Lo ritrovò, girò il volate dalla parte opposta e tornò nella giusta corsia. Poco più avanti accostò, il cuore che batteva nel petto, minacciando di esplodere da un momento all'altro.

Quattro teste si girarono, «Cinghiali?» fece Erik.

«Sì.» deglutì Kathy, «Stanno scappando.» disse fissando i sei animali — tre adulti e tre cuccioli — che finivano di attraversare la strada per fermarsi nel campo lì accanto, come se fossero stanchi per la corsa e dovessero riprendere fiato.

«Ma cosa?» borbottò Samuel fissando le foglie che si muovevano. Un attimo dopo quattro urla riempirono l'abitacolo. Quattro grosse, enormi e mutanti* scimmie apparvero in strada, ringhiando e agitando le zampe dotate di lunghi artigli. Una di loro raggiunse in due balzi uno dei cuccioli, gli strinse la coda e lo sollevò. Il cinghiale si agitò strillando così forte che Kathy sentì quelle urla nel cervello e pensò che non se ne sarebbero mai andate via. Un cinghiale si girò — e la pantera pensò che fosse la madre del cucciolo —, caricò la scimmia e le si avventò contro, ma quella scaraventò via il grosso animale semplicemente colpendo con una zampa. Alzò ancora di più il cucciolo, fino a ritrovarselo proprio sopra le fauci spalancante. Kathy chiuse gli occhi e fu un bene: un attimo dopo la scimmia chiuse le sue enormi fauci sulla testa del cucciolo.

Samuel partì, deciso ad andare lontano da quello spettacolo disgustoso, mentre Erik inspirava così velocemente che pensò di morire. «Fermati.» soffiò.

Samuel lo fece ed Erik spalancò la portiera, si piegò di lato e vomitò. Kathy premette le mani sulle orecchie, strizzando gli occhi, cercando di cancellare quell'immagine dalla sue mente. Marie-Anne fissava davanti a sé, lo sguardo puntato sul poggia testa e si ripeteva che non era possibile, che mostri del genere non esistevano. Kathy girò piano la testa, fissando uno dei cinghiali che colpiva da dietro la scimmia, mandandola a gambe all'aria e facendola cadere. Un attimo dopo al suo posto apparve una donna piccola e magra.

«Dio mio.» gemette, «È una di noi.»

«Cosa?» esclamò Samuel girandosi a sua volta mentre Erik prendeva dell'acqua per sciacquarsi la bocca.

«Vai.» disse il Cercatore prima di chiudere la portiera, «Ora!»

Samuel fissò le scimmie mutanti avanzare verso di loro e non se lo rifece ripetere due volte: partì immediatamente sgommando.

Fu solo quando furono lontani che si rilassarono, «Fermati.» disse Erik indicando un cartello che indicava un dinner a dodici miglia di distanza. «Tanto è quasi ora di pranzo.» sospirò chiudendo gli occhi e posando la fronte contro il finestrino.

«Sì.» si limitò a rispondere l'altro, le mani strette sul volante.


Entrarono nel locale qualche minuto dopo ed Erik disse di ordinargli un caffè mentre lui andava in bagno. Fu quando Erik tornò e ordinarono che Kathy prese un block notes dalla sua borsa e una biro.

«Che fai?» mormorò Erik, la tazza di caffè fumante fra le mani.

«Il punto della situazione.» replicò Kathy cercando una pagina vuota. «Io ho sentito solo i cinghiali.» soffiò e Samuel annuì.

«E quelle... cose?» chiese Erik, «Non... non le avete sentite?» domandò, «Perché?»

Kathy inspirò e fece uno scarabocchio nell'angolo del foglio, «Non ne ho idea.» disse, «Anche prima, quando abbiamo incontrato quella lince...» scosse la testa. «Niente.»

«Già.» confermò Samuel.

Erik posò la tazza sul tavolo, «Questa è una pessima notizia.» sospirò, «E tu?» guardò Marie-Anne, «Tu niente.» si rispose da solo, «Non hai sentito neppure i cinghiali, vero?»

Marie-Anne annuì e pensò che non avrebbe mai voluto sentire né cinghiali, né quelle cose o qualsiasi altro animale. «Ma loro... loro sono...»

«Come noi, già.» mugugnò Kathy, gli occhi fissi sul foglio.

«Non è possibile.» disse Erik, «Insomma voi...» si sporse in avanti e abbassò la voce: «Voi siete sì più grandi degli animali in cui vi tramutate, ma non siete dei cazzo di mutanti.»

Samuel annuì e lasciò andare un lungo sospiro, «Sì.» disse, «È...» scosse la testa, «Strano.»

«E se fosse per colpa di quello stronzo?» propose Kathy mentre Marie-Anne taceva, le mani strette attorno alla tazza, attenta alle loro parole: non aveva idea di quello di cui stessero parlando.

Erik annuì, «Sì, può essere.» rispose, «Ma chi è quello stronzo che decide di seguirlo, pur essendo...» lasciò cadere la domanda.

«Soldi.» disse Samuel, «Per i soldi si fa di tutto.»

«Lo pensate sul serio?» pigolò Marie-Anne, «Che qualcuno possa fare una cosa simile?» chiese alzando gli occhi dal tavolo. Deglutì, «E se fossero anche loro...» mormorò, «Mutaforma.» soffiò, «Magari loro sono... così, sono mostri già nati così.»

Erik fece per rispondere ma arrivò la cameriera con le loro ordinazioni. «No.» disse quando quella si fu allontanata. «Non nascono mutaforma così.» bisbigliò sporgendosi verso di lei, fissandola negli occhi castani spalancati. «Non sai proprio niente!» disse.

Marie-Anne annuì, troppo spaventata, «Non voglio sapere nulla.»

«Invece dei saperlo.» esclamò Samuel dividendo a metà il suo tramezzino. «Devi saperlo perché è importante.» disse, «Per te, perché è quello che sei. Per noi, perché devi sapere cosa devi fare.»

Marie-Anne lo fissò, sorpresa dal suo tono brusco, «Io non sono pronta.» pigolò.

«Hai ventisei anni, dovresti esserlo.» esclamò Samuel e lanciò un'occhiata a Kathy, che gli aveva appena dato un calcio sotto al tavolo.

«Ha ragione.» confermò Erik dopo aver bevuto del caffè, «Kathy, puoi spiegarle qualcosa?» domandò, «Per favore.»

Kathy prese un angolo del tramezzino e annuì, i capelli rossi le scivolarono davanti al viso e li scostò, «Certo.» rispose.


«Noi, quando ci trasformiamo, assumiamo l'aspetto di un determinato animale. È una roba genetica: se tua madre è un cavallo, tu sarai un cavallo, non potrai mai essere una pecora.» spiegò Kathy e Marie-Anne annuì.

«Quando siamo animali, nel mio caso una pantera, siamo più grande dell'animale che puoi vedere allo zoo.» continuò Kathy, «Anche tu sei più grande di uno spatola rosa.»

Marie-Anne s'irrigidì. Quando si era tramutata nel volatile si era guardata nello specchio: non sapeva se fosse più grande oppure no, l'unica cosa che sapeva era che si era spaventata a morte. Una volta tornata normale si era giurata che non l'avrebbe più fatto, nemmeno sotto tortura. «Okay.» soffiò.

Kathy sorrise, «Bene.» disse, «Quando siamo umani, abbiamo alcune qualità dell'animale in cui possiamo mutarci: vista, udito, olfatto...» esclamò, «Guariamo più in fretta degli altri, te ne sei accorta?»

L'altra annuì. Una volta si era sbucciata il ginocchio destro cadendo dalla bicicletta e l'enorme crosta era sparita in un paio di giorni, lasciando spazio alla pelle rosea, terrorizzandosi a morte, pensando di avere una qualche grave malattia.

«Se da pantera mi ferisco e sanguino, quando torno umana l'emorragia smette praticamente subito.» continuò Kathy fissando Marie-Anne, capendo che era terrorizzata ma non smise, perché era giusto che sapesse.

«Peccato che certe ferite non smettano di sanguinare per almeno quattro giorni.» sospirò Samuel, ancora alla guida.

«Uh?» esclamò Erik, «Che intendi?» domandò, «Ah, il ciclo.» sospirò.

«Già.» sbuffò Kathy.

«Ma lui ha gli occhiali.» disse Marie-Anne indicando Samuel.

«Certe cose non guariscono.» esclamò l'interessato. «Miopia, astigmatismo, tumori...» disse.

«Ah.» commentò Marie-Anne, «Capisco.» disse. «E... che mutaforma esistono?» domandò. Era curiosa, anche se non avrebbe voluto esserlo.

«Tutti i grandi felini.» rispose Kathy, «Rapaci, cavalli, lupi e molti altri.» elencò.

«Lupi?» Marie-Anne la guardò, «Mi piacciono i lupi.» disse, «Sono belli.»

«Non potresti mai riprodurti con un lupo.» disse Erik, staccando brevemente gli occhi dalla cartina, «E neppure con nessun altro mutaforma che sia diverso da quello che sei tu.»

«Perché?» domandò Marie-Anne.

«Genetica, tesoro.» rispose Erik, afferrò la bottiglietta d'acqua e l'aprì. «Altrimenti, se rimanessi incinta di... che so, un mutaforma tigre, potrebbe nascere un bambino che, quando si tramuta, avrebbe il corpo da tigre, le ali e il becco da uccello.» spiegò.

«Non ci sono problemi se un mutaforma va con uno che ha un potere tipo...» Kathy scrollò le spalle, recuperando una bottiglietta di succo dalla borsa, «Elettrocinetico, forzuto o roba del genere, » continuò «perché nascerebbe un bambino che è o un mutaforma o che ha il potere dell'altro genitore.»

Marie-Anne annuì, assimilando quelle informazioni, che erano comunque troppe. «Quindi da un Cercatore e un lupo potrebbe nascere uno o l'altro?» chiese.

«Al limite lupa.» sospirò Erik, «Sai, potremmo avere poteri che gli altri possono solo sognare ma sono le femmine quelle che rimangono incinte.» rise, «Comunque no.» disse, «Nascerebbe lupo.»

«Perché?» chiese Marie-Anne.

«Perché nasce un Cercatore o una cercatrice una volta ogni...» Erik scrollò le spalle, «Quindici anni circa.» disse, «Dai quindici ai vent'anni, più o meno.»

«Perché?» chiese Marie-Anne, «Cos'è, sei una specie rara tipo panda?» domandò. «Non capisco. Se si tramanda dai genitori ai figli... perché ogni vent'anni?» chiese.

«Perché... in realtà non si sa con esattezza.» rispose Kathy, sorseggiò il succo e tenne stretta la bottiglietta fra le mani, «Nascono in tutto il mondo, da quello che so.» disse, «Papà... lui aveva incontrato un elettrocinetico che aveva un amico nel Projeus Institute che gli aveva detto che stavano cercando di capire come mai i Cercatori fossero così rari.» sospirò, «Non so altro.»

«Capisco.» disse Marie-Anne, anche se non capiva del tutto. «Quindi se tu...» guadò Erik.

«Se io e te facessimo sesso e tu rimanessi incinta...» Erik la interruppe e si fermò e guardò brevemente Samuel, che stringeva le labbra, impedendosi di scoppiare a ridere, «Nascerebbe uno spatola rosa.» finì Erik e guardò di nuovo Samuel, che si stava mordendo le labbra. 

«Ah.» commentò Marie-Anne e tornò nel suo mutismo, troppo spaventata, sotto shock per tutta quella valanga di informazioni ricevute. Lei non voleva essere così. Non voleva essere una mutaforma, non voleva essere un mostro orribile. Pensò che una volta in Canada avrebbe chiesto una cosa sola.

Di guarire.

❖.❖.❖

Benjamin fissò il grosso animale che bloccava la strada già stretta di suo. Erano da qualche parte a metà strada fra la White Sulphur Spring e Mapledale. «Levati, stupido!» esclamò e suonò il clacson, senza successo. Il maiale rimase fermo, strappando ciuffi d'erba ai lati della strada.

«Non si sposta.» disse Emily, sgranocchiando un biscotto.

«Già.» borbottò Benjamin, «Sto stro...» non finì d'insultarlo, dicendosi che non era il caso che i bambini sentissero certe parole.

«Bambini, vi ricordate che vi abbiamo detto che siamo mutaforma?» domandò Crystal voltandosi verso il sedile posteriore. «Non spaventatevi, va bene?» chiese e Benjamin non capì perché lo stesse facendo, poi la vide levarsi la felpa e capì.

«Vuoi spaventarlo?» domandò lui.

Crystal annuì, «Sì.» disse, «Giusto per mandarlo sul prato.» sospirò levandosi anche la maglia a maniche lunghe, rimanendo in reggiseno. Tolse scarpe e calze, alzò il sedere e abbassò i pantaloni insieme alle mutandine.

«Ma sei nuda!» squittì William coprendosi gli occhi e mentre le guance diventavano di un rosso acceso.

«Già.» rise Crystal e tolse il reggiseno, lasciando cadere sul mucchio di vestiti fra i suoi piedi. «Lasciala aperta.» disse spalancando la portiera e Benjamin le annuì in risposta.

Lei sorrise e posò le mani sull'asfalto: un attimo dopo la lupa sgattaiolò via, verso il maiale che se ne stava lì da almeno un'ora abbondante. E la strada era troppo stretta per fare manovra: da un lato il bosco, dall'altro il fossato che divideva la strada dal prato.

Benjamin fissò Crystal che correva in cerchio attorno al maiale, abbaiando e ringhiando, facendo dei balzi in avanti e poi indietro e poi ancora in avanti.

«Non si sposta.» fece Emily. «Posso avere l'acqua, per favore?» domandò. Benjamin annuì e le passò la bottiglietta già aperta.

«Devo andare in bagno.» disse la bambina dopo aver bevuto e passato la bottiglietta a suo fratello che bevve e la ridiede a Benjamin, che la chiuse e la tenne fra le mani.

«Aspetta che Crystal torni e vai con lei.» esclamò Benjamin fissando il maiale che non voleva muoversi.

«C'è un bagno, più avanti.» replicò la bambina. «Là.» puntò il dito verso una macchia di alberi, a circa un miglio e mezzo di distanza.

«Un bagno?» domandò Benjamin.

Emily annuì, «Sì, ho cercato un bagno di un negozio.» disse e riprese a mangiare il biscotto.

«Hai cercato un bagno?» Benjamin era sempre più sorpreso. La bambina annuì orgogliosa e lui le sorrise, «Bravissima.» si complimentò e tornò a guardare la strada.

Il maiale si spostò appena, guardando la lupa che gli correva attorno come se fosse matta. La lupa scosse la testa e ululò piano, prima di sfiorare con le zampe anteriori il posteriore dell'altro, che avanzò emettendo uno sbuffo quasi scocciato, come se rimanersene in mezzo alla strada fosse la cosa più bella del mondo. Crystal tornò indietro, ringhiando all'animale che continuava a ignorarla. Si avvicinò di nuovo, decisa a dargli una zampata e mandarlo via. Il maiale indietreggiò, schiacciandole una zampa: Crystal guaì e gli morsicò una coscia. Finalmente il maiale si spostò, andando nel prato, superando il fossato senza difficoltà.

La lupa tornò in auto, balzando agilmente sul sedile, anche se era troppo piccolo per lei. Guardò i bambini, che la fissavano con gli occhi sgranati. Si erano alzati, posando i piedi sul pavimento dell'auto fra i due sedili — si erano slacciati le cinture quando avevano capito che il maiale non si sarebbe spostato facilmente.

«Possiamo toccarti?» pigolò William, indeciso se allungare oppure no una mano verso Crystal e affondarla nel pelo lucido e folto. La lupa si sporse, con un po' di fatica, fra i sedili anteriori e i bambini iniziarono a toccarla sul collo, sul muso, le fecero i grattini dietro alle orecchie... e Crystal apprezzò tutto quanto: se fosse stata un gatto, avrebbe iniziato a fare le fusa.

Ritornò sul sedile, pronta per tornare umana quando Benjamin la toccò, posandole una mano sulla schiena. «Fammi vedere la zampa.» ordinò lui. La lupa fissò il mucchietto di vestiti e poi di nuovo Benjamin. «Adesso.» disse lui e Crystal alzò la zampa anteriore destra — quella calpestata dal maiale — e la posò sulla coscia del ragazzo. Lui la sollevò, controllando che non ci fosse nulla di rotto. «È tutto okay.» le sorrise.

La lupa sbuffò e si concentrò mentre Benjamin le prendeva la felpa, pronto a coprirla appena fosse tornata umana. La fissò mentre il pelo spariva, le ossa tornavano umane, lasciando il posto a Crystal. Aveva visto chiaramente il brivido che l'aveva scossa, che partiva dalla testa e arrivava ai piedi, come se fosse un piccolo terremoto.

Lei rimase qualche istante accucciata sul sedile, le braccia strette attorno alle gambe e strinse forte gli occhi mentre si morsicava le labbra. Espirò e si rivestì.

«Andiamo?» chiese Emily, «Devo fare pipì.» disse.

«Sì.» esclamò Crystal infilando la calza destra, «Metto le scarpe e arrivo.»

«Ma no!» sbuffò la bambina, «Là c'è un bagno.»

Crystal la fissò, sentendosi confusa, «Cosa?» chiese.

«Ha cercato il bagno di un negozio.» spiegò Benjamin, «Dice che è oltre quegli alberi.» disse e li indicò. «Allacciatevi le cinture, adesso ce ne andiamo.» esclamò.

Neanche cinque minuti dopo Benjamin frenò dolcemente davanti alla farmacia e si chiese cosa ci facesse una farmacia così grande in un paesino così piccolo e sconosciuto degli Appalachi. Si slacciò la cintura e sospirò. «Su, andiamo.» disse. Scesero tutti e il mutaforma prese il passeggino e lo aprì, permettendo così a Crystal di adagiarvi Sarah che, sveglia, si esprimeva a urletti quasi gioiosi.

Si stavano spostando verso l'ingresso — erano a cinque metri dalla porta — quando l'odore del sangue colpì Benjamin e Crystal come uno schiaffo. «State un attimo qui, voi.» disse lui e deglutì, «Io vado a... controllare.»

«Che non ci siano mostri?» chiese Emily e Benjamin annuì, abbassò la zip della felpa ed entrò nello stabile a un piano.

Crystal, a un paio di passi dall'auto, strinse con forza i manici del passeggino, inspirando lentamente. Sentì gli uccellini cinguettare e sorrise, per poi voltarsi di scatto quando un brivido le corse lungo la schiena. Fissò l'auto e attraverso i finestrini, senza vedere niente oltre il verde degli alberi e il grigio dell'asfalto. Tornò a guardare in avanti, mentre le sue mani artigliavano il passeggino. Quel brivido non voleva lasciarla.

«Andiamo?»

Crystal guardò Emily, «Aspettiamo che Benjamin venga a chiamarci.» disse, la gola che diventava improvvisamente arida. Sentì un rumore e poi un altro, come se qualcosa stesse graffiando l'asfalto. «Benjamin.» mormorò e guardò attraverso i finestrini dell'unica auto nel parcheggio — la loro.

«Bambini...» soffiò, «Correte, svelti.» disse.

«Perché?» chiese William.

«Correte e basta.» replicò Crystal e allora la bestia, uguale alla volpe deforme che aveva visto il giorno prima, balzò sul tettuccio dell'auto, gli artigli che cozzavano contro la lamiera, lasciando graffi così profondi da romperla. Il viso della giovane sbiancò mentre fissava la volpe che ringhiava piano verso di lei. «Adesso!» strillò, con una mano tenne il passeggino mentre con l'altra sollevava Emily — che strillò, spaventata — e la posava sulla pedana. Le urlò di tenersi forte. «Will, corri, corri più forte che puoi!» strillò, «Ben! Ben! Benjamin!» gridò fino a diventare rauca, «Benjamin!»

Il ragazzo apparve sulla soglia, «Che...» la domanda gli morì in gola, scattò in avanti e afferrò William un attimo prima che inciampasse e cadesse. Crystal spinse il passeggino nel negozio, oltre la porta e tirò forte le leve dei freni. Ansimò e si voltò, fissando Benjamin che rimetteva a terra il bambino prima di fiondarsi sulla porta e chiuderla.

«State bene?» domandò il ragazzo.

Gli altri annuirono e Sarah scoppiò a piangere, seguita da Emily. Crystal sollevò la più piccola e deglutì, fissando la volpe mutante che balzava giù dall'auto, scoperchiando metà tettuccio, le fauci spalancate con grosse gocce di saliva che colavano a terra.

«Dietro il bancone.» soffiò Benjamin e si avvicinò a Emily per prenderla in braccio quando si udì il botto e l'urlo strozzato di Crystal. Il ragazzo si girò, fissando la volpe che si buttava a peso morto contro la porta, fatta di acciaio e vetro spesso. L'animale continuava a cercare di buttare giù la porta., usando la propria testa come un ariete. «Andiamo.» fece Benjamin, posò una mano sulla spalla di William, costringendolo a voltarsi.

«Ce n'è un altro!» strillò Emily e Benjamin voltò appena la testa: un'altra grossa — e deforme — volpe arrivò in aiuto dell'altra. Iniziarono a dare testate alla porta, prima una poi l'altra, determinate, ignorando i lividi, le ferite, mandate avanti solo dalla voglia di sangue.

«Sono tre.» piagnucolò William, stringendosi alla gamba di Crystal così forte che lei sentì le dita del bambino pizzicarla.

«Muovetevi.» disse Benjamin e si sistemarono dietro al bancone, sapendo che non sarebbe stato sufficiente.

«Rompono il vetro.» soffiò Crystal, guardando la porta e, un attimo dopo, una testata di una delle due volpi causò una sottile crepa che andava ad allagarsi sempre di più a ogni colpo. La terza bestia si avvicinò piano, come se stesse studiando una strategia. «Perché lo fanno?» mormorò più a se stessa che agli altri.

Benjamin si spogliò della felpa e della maglietta a maniche corte, aiutandosi con i piedi levò le scarpe, affondò una mano nella tasca dei pantaloni e prese le chiavi dell'auto. «Io le distraggo.» disse, «Tu sali in auto con i bambini e parti.» continuò. «Non tornare indietro.» soffiò contro il viso di lei.

«Cosa?» squittì lei.

«Benjamin Micheal Carter, nato l'otto Giugno del novanta, a Roanoke, Virginia.» disse, «Mio padre si chiama Micheal.»

«Ma... Benjamin.» mormorò Crystal capendo cosa volesse fare lui, «Se ti lascio tu... loro...»

Lui chiuse gli occhi, le afferrò la mano e ci mise sopra le chiavi, per poi piegarle le dita a pugno. «Lo so.» disse fissandola, sapeva che sarebbe stato sopraffatto da quelle tre. Era grande e grosso quando era lupo ma loro erano in tre e determinate a uccidere. E lui sarebbe morto per permettere agli altri di salvarsi. «Ma tu vai, Crystal.» mormorò e, prima che lei se ne rendesse conto, Benjamin l'aveva baciata sulle labbra. «Salvali.» soffiò.

«Stanno entrando!» gridò Emily.

La terza volpe saltò sul cofano dell'auto e piegò gli artigli, distruggendo la lamiera. Benjamin si slacciò i pantaloni e stava per abbassarli quando lo sparò risuonò forte. Mentre la volpe che era arrivata per ultima rotolava giù dall'auto, Emily strillò e corse verso la porta più vicina, quella del bagno per i clienti.

Una mano apparve davanti agli occhi di una delle volpi e in un attimo cadde a terra, il collo rotto. Dietro di lei apparve un uomo che quasi spaventò Benjamin: era alto due metri e pieno di muscoli e l'aria di chi si era alzato con il piede sbagliato.

Una donna entrò nella farmacia, passando per la porta ormai rotta, schiacciò i vetri con gli stivali da cowboy e andò verso l'ultima volpe, che si era avvicinata con un solo balzo a Crystal, Sarah, Benjamin e William. «Orecchio sinistro.» disse prima di alzare il grosso fucile e sparare. Il proiettile attraversò l'aria, entrò nell'orecchio sinistro e la belva cadde a terra, morta. Un attimo dopo era una donna più larga che alta, dalla pelle bianchissima e i capelli biondicci.

«Tira dentro gli artigli, lupo.» esclamò l'uomo sconosciuto.

Benjamin si guardò le mani, fissando le zampe da lupo. In un secondo erano tornate umane. «Voi...» deglutì e allacciò i calzoni.

«Kyle.» si presentò l'uomo, «Lei è Jenna.» fecce un cenno alla donna che ricaricò il fucile. «Un avvertimento: non giocare con lei a una partita di biliardo.» disse, «Ti ritroveresti in mutande.» rise.

«Sei una miratrice.» squittì Crystal.

Jenna sorrise e annuì. «Sì.»

«Oh.» fece Benjamin, «Emily!» gridò andando verso la porta del bagno, «Emily, tesoro, vieni qui.» bussò alla porta, «Sono andati via.»

«Vai via!» strillò lei. «Voglio la mamma.» pianse mentre Jenna e Kyle fissavano Crystal.

Lei sospirò, «È una lunga storia.» disse.

«Delle scimmie mutanti hanno ucciso la mamma.» pigolò William.

Jenna strinse le labbra e annuì. «Vai da lei.» disse a Crystal, «Tengo io la bambina.» allungò le braccia dopo aver posato il fucile sul bancone.

«Lasciala stare!» gridò il bambino sprigionando dai suoi palmi tutta l'energia di cui era capace.

«Non voglio farle del male.» sorrise Jenna, piegandosi all'altezza del bambino. «Giuro.» disse posando una mano sul cuore.

Crystal allungò la bambina a Benjamin, che l'afferrò malamente, mentre Sarah continuava a piangere, agitando le braccia paffute; la lupa si accucciò davanti alla porta, desiderando potersi sdraiare lì, nell'anti bagno, rannicchiarsi e dormire. Invece bussò piano, «Emily, tesoro, sono io.» soffiò.

«Dai la bimba a Jenna.» esclamò Kyle, «Sa come si tengono.» sorrise, ricacciando in gola la risata. «Spostiamo questi, altrimenti... Emily si spaventa di nuovo.»

Benjamin annuì e lo fece, «Vai da Crystal.» disse a William. «Vengo.» sospirò guardando l'altro. Aveva rotto il collo a mani nude a una delle volpi mutanti, era un forzuto e avrebbe potuto spostarli facilmente anche tirando loro le orecchie.

Jenna cullò Sarah, avvicinandosi piano a Crystal, che alzò una mano e abbassò la maniglia, per poi spingere piano la porta.

Emily era rannicchiati nell'angolo fra la tazza e il muro, singhiozzava rumorosamente. Crystal gattonò fino a lei, «Tesoro.» disse, «Non ci sono più, vieni.» soffiò sedendosi sui talloni e allungando le braccia verso la bambina.

«Ho fatto la pipì.» mormorò la bambina strisciando fuori dal suo nascondiglio, si alzò in piedi e Crystal notò la macchia sui pantaloni di velluto rosa, “gentile omaggio” dei Newyorchesi.

«Oh.» commentò Crystal prendendole le mani. «Non importa.» le sorrise scostandole i capelli dalla fronte, «Adesso ti cambio, va bene?»

La bambina si limitò ad annuire e infilarsi il pollice in bocca.

«Anche lei va cambiata.» esclamò Jenna indicando Sarah.

«C'è... c'è il passeggino.» sospirò Crystal, «Nella borsa ci sono i pannolini.» disse sollevò Emily, facendola sedere sul marmo che circondava il marmo del lavandino.

Jenna annuì, «E il cambio?» domandò.

Crystal tolse la scarpa da tennis bianca e rosa e la fece cadere per terra, «Chiedi a Benjamin.» rispose, «C'è una borsa con il cambio, lui sa qual è.» disse, Jenna annuì e uscì.

«Posso andare in bagno?» domandò William.

Crystal tolse l'altra scarpa e annuì, «Certo, tesoro.» rispose, fissò il bambino entrare nel cubicolo con la tazza e chiudere la porta, «Non usare la chiave.» raccomandò. Il bambino annuì e chiuse la porta e Crystal sospirò quando non sentì il click della chiave. Si guardò attorno e fissò uno straccio per i pavimenti ancora chiuso nel cellophane, posato supra un mobiletto, lo prese lo scartò e lo stese accanto al lavandino.

«Perché?» pigolò Emily togliendosi per un attimo il pollice dalla bocca.

«Perché se ti spoglio per lavarti senti freddo se ti siedi sul marmo.» rispose Crystal, sollevò la bambina per le ascelle e le raccomandò di stare ferma mentre le toglieva i pantaloni e le mutandine. Fortunatamente le calzine non si erano bagnate ma gliele tolse ugualmente, posandole dall'altra parte del lavandino.

«Adesso Benjamin porta il cambio.» esclamò Jenna rientrando, spingendo il passeggino che fortunatamente non aveva subito danni.

«Nella borsa c'è anche uno fasciatoio portatile, di stoffa.» disse Crystal gettando i vestiti sporchi per terra.

Jenna lo tirò fuori, lo srotolò e prese Sarah.

«Sei brava.» commentò Crystal fissando Jenna che spogliava velocemente la bambina e aprì una confezione di salviette umidificate.

«Ogni tanto badavo a mia nipote.» disse Jenna e Crystal notò qualcosa di triste nella sua voce.

«Quanto ha?» domandò Crystal iniziando a pulire Emily.

Jenna fece un lungo sospiro mentre gettava il pannolino ripiegato nel cestino della pattumiera. «È morta.» disse, «Mia cognata l'ha uccisa.»

Crystal annaspò, «Morta?» mormorò, «Tua... cognata?»

Jenna afferrò un paio di salviette e iniziò a pulire Sarah. «La moglie di mio fratello.» disse, «Ha ucciso anche lui.» abbassò gli occhi, «Pensava che lui la tradisse.»

Crystal rimase in silenzio e fece sedere Emily sullo strofinaccio, le afferrò la mano sinistra e pulì anche quella. «Mi dispiace.» soffiò e Jenna si limitò a sorridere.

«Tutto bene?» esclamò Benjamin apparendo con la borsa rosa che avevano riempito di vestiti per bambini. «Emily?»

«Vai via!» strillò lei buttandosi su Crystal e stringendosi forte, «Via!» piagnucolò, Benjamin posò la borsa per terra e uscì.

«William?» domandò dallo spiraglio della porta.

«In bagno.» rispose Jenna sistemando Sarah nel passeggino, lavò il ciuccio che era caduto per terra e lo diede alla bambina, che lo strinse fra le labbra, felice. La donna — Crystal pensò che dovesse avere trent'anni — raccolse la borsa con i cambi dei bambini e l'agganciò ai manici del passeggino, insieme alla borsa con dentro i pochi pannolini rimasti.

Crystal inspirò a fondo, cercando di rilassare le spalle: per un momento aveva pensato che sarebbe morta. Che avrebbe lasciato Benjamin con quelle tre bestie, a morire da solo. E lei non ce l'avrebbe fatta da sola con tre bambini. Sospirò e finì di vestire Emily e la prese in braccio, stringendola forte, come se fosse un àncora di salvezza. Attesero William e uscirono da lì, raggiungendo Benjamin e Kyle.

«L'auto è andata.» sospirò il mutaforma.

«Cosa?» fece Crystal e si girò, fissando attraverso le vetrate la loro auto, il tettuccio che mancava, il cofano distrutto e... pezzi di motore sparsi sull'asfalto. «Merda.» sbottò.

«Andate in Canada?» domandò Kyle e Benjamin annuì, «Bhe, se pensate di passare per la Pennsylvania e attraversare uno dei laghi vi conviene cambiare idea.» disse, «Hanno tirato su un muro su tutto il lungo lago.» fece una smorfia, «Ma tanto venite con noi.» scrollò le spalle, come se fosse una cosa data per assodata.

«Davvero?» commentò Crystal, «Avete un auto abbastanza grande?»

«Abbiamo un camper, un Westfalia.» rispose Jenna «C'è posto anche per voi.» sorrise, «Staremo un po' stretti, ma ci adatteremo.» esclamò, tirando fuori un all'allegria che non aveva.

«Devo prendere alcune cose per Sarah» disse Crystal, «Pannolini, cibo, latte...» scrollò le spalle, «Adesso ti metto giù, okay?» mormorò a Emily

«No.» piagnucolò la bambina.

«La prendo io.» esclamò Benjamin, «Viene qui.» le disse. Emily staccò le braccia dal collo di Crystal e si aggrappò a Benjamin. Crystal si guardò attorno, alla ricerca di una borsa: trovò uno scatolone posto sotto il bancone. Un cartello recitava che, spendendo quindici dollari e aggiungendone uno, si poteva avere una delle borse in omaggio. Erano verde acido, arancione e giallo scuro.

Prese quella verde, «William, ti ricordi quali omogenizzati comprava tua madre per Sarah?» domandò fissando il bambino, ancora in piedi, la schiena rigida e le braccia lungo i fianchi. Quando il bambino le rispose di sì lei gli sorrise, gli prese una mano e andò con lui verso il reparto con il cibo per i bambini da zero a dodici mesi.

«Cos'è successo alla loro madre?» domandò Jenna osservando Crystal e il bambino.

Benjamin sospirò, «È una lunga storia.» mormorò, «Meglio parlarne dopo.» disse e alzò gli occhi su Crystal, intenta a prendere qualche pacco di pannolini. «È...» sospirò ancora e deglutì, «Brutto.» soffiò.

Crystal irrigidì la schiena, cercando di dimenticare la madre dei bambini, tornò indietro, fissando William che stringeva al petto ben tre pacchi di biscotti per bambini, come se fossero un piccolo tesoro. Passò accanto a uno scaffale e si fermò, mentre Kyle diceva che ne avrebbero parlato più tardi, dopo cena. «Sul camper ci sono le prese?» domandò, fissando uno scalda biberon elettrico.

Jenna annuì, «Sì.» rispose, «E c'è un generatore che le fa funzionare anche se non siamo collegati.»

«Ma i Westfalia non sono quei furgoni adattati a essere camper?» chiese Benjamin, «Non sono come i veri camper.» commentò, «Per dormire... non ci stiamo tutti su un letto.»

«È una versione deluxe.» replicò Kyle, «Ha due letti.» disse, «Ci stiamo tutti.» confermò mentre Crystal prendeva lo scalda biberon e un altro biberon, ricordandosi che quello che avevano aveva la tettarella un po' rovinata.

«C'è spazio per i seggiolini?» domandò Crystal tornando al bancone, posò tutto quanto e prese altre due borse: in una infilò il biberon e lo scalda biberon, si fece dare i biscotti da William e li aggiunse. Nell'altra infilò dentro i pannolini, cinque confezioni di salviette e un paio di tubetti di crema allo zinco.

«Ehm... no.» disse Jenna, «Oltre al posto di guida e quello del passeggero ci sono altri tre sedili.» spiegò, «In ogni caso due si dovrebbero sedere sul divano che poi diventa letto.» continuò, «In ogni caso lei» indicò Sarah «va nel seggiolino.»

Crystal si limitò ad annuire, «Allora... andiamo?» chiese, «Ma dobbiamo prendere le nostre cose.» indicò l'auto.

«Voglio Mr Pig.» mormorò Emily.

«Certo.» sorrise Benjamin e le toccò i capelli, «Vai da Crystal, così lo prendo.» disse. Crystal prese la bambina e due delle tre borse, mentre Benjamin l'ultima. Jenna recuperò il fucile e spinse il passeggino fuori dalla porta. La lupa vide subito il camper di colore nero, posteggiato di traverso, occupando quasi quattro posti.

«Vieni.» disse Jenna a Crystal, «Facciamo salire i bambini.» esclamò.

Crystal la seguì, dietro di lei William, che ogni tanto allungava una mano e la toccava. Un attimo dopo Crystal entrò nel camper con Emily, fissò il divanetto in fondo al camper e si diresse lì, «Resta qui un attimo.» soffiò facendo sedere la bambina. William le raggiunse e si sedette accanto alla sorella, Crystal posò le borse sul pavimento e fissò i segni che avevano iniziato a formarsi. Si voltò quando si sentì chiamare.

«Prendi Sarah.» esclamò Jenna, «Io sistemo il seggiolino.» disse, Crystal annuì, afferrò Sarah e si sedette sul pavimento a gambe incrociate, appoggiando la schiena contro il divanetto. Fissò Jenna scendere e la sentì scambiare due parole con Kyle. Crystal si guardò attorno, vedendo come fosse il camper. Il divano era blu scuro e sotto, nella base di legno, vide le maniglie dei cassetti. Pensò che si sarebbe trasformato in letto semplicemente abbassando lo schienale, distante un paio di piedi dal fondo del camper. Immaginò che lì dietro, sotto a quella parte del divano-letto, ci fosse dello spazio per mettere le valigie... “Se solo fosse una normale vacanza.” pensò, triste. Si alzò in piedi, fissando il blocco cucina alla sua destra, distante un piede e mezzo — o forse meno — dal divanetto. Era composto da un fornello a due fuochi, un lavello con una vasca rotonda e uno spazio per preparare i cibi. Sotto a quest'ultimo e al lavello c'erano dei cassetti, mentre sotto il fornello notò la maniglia del frigorifero. Davanti alla cucina c'era un cubicolo con la porta socchiusa e Crystal vide il minuscolo bagno con gabinetto, lavandino e un piatto doccia minuscolo. Dopo il bagno c'erano i tre sedili, posti l'uno accanto all'altro, davanti a loro un tavolino che sporgeva dalla parete del mezzo. Poi c'erano il posto guida e quello del passeggero, oltre a innumerevoli scomparti.

Jenna tornò nel camper, seguita da Kyle e Benjamin. La miratrice alzò i tre sedili, ribaltandoli, mostrando così un altro spazio, abbastanza grande da farci stare gli zaini dei due mutaforma. Benjamin andò a dare ai bambini i loro zainetti e i pupazzi, Emily strinse Mr Pig con la mano sinistra e infilò il pollice destro in bocca.

Jenna abbassò i sedili e Kyle le passò il seggiolino di Sarah, che la donna si affrettò a montare.

«Ma se dobbiamo prendere una cosa dagli zaini dobbiamo spostarla.» notò Crystal.

«Non serve.» disse Jenna mentre Crystal le passava Sarah, «È come nelle auto: puoi ribaltare solo due sedili.» spiegò. Crystal annuì e fissò le borse, ancora sul tavolo e chiese a Jenna dove potesse metterla. Jenna le prese, aprì uno dei grandi cassetti sotto al lavandino e le spinse dentro.

«Bambini, venite a sedervi qui.» esclamò Benjamin, indicò i sedili e sorrise.

«Io ho sonno.» pigolò Emily.

Jenna sospirò e si scostò una ciocca castana dalla fronte, «Abbassiamo lo schienale.» disse e si avvicinò al divanetto e in un attimo apparve il letto. Recuperò due cuscino da uno dei cassetti sottostanti e li diede ai bambini. Benjamin le porse le copertine. «Mi sa che non ci state tutti.» commentò, «Starete un po' stretti.»

«Ho il sacco a pelo.» disse Benjamin, «Dormirò per terra.»

Jenna lo guardò e scrollò le spalle, «Come vuoi.»

«E il vostro letto?» chiese Benjamin, «Dov'è?»

Jenna indicò verso l'alto, «Basta premere un pulsante e il tetto si alza.» spiegò, «C'è il letto.»

Crystal stava per dire di partire, che non voleva più stare lì quando Emily la chiamò. In due passi la raggiunse, «Dimmi.» fece sfiorandole la fronte.

«Voglio il latte.» mormorò la bambina.

«Tesoro, dobbiamo andare.» replicò Crystal e le sorrise, «Non possiamo cucinare mentre il camper va.»

«Voglio il biberon.» piagnucolò la bambina, «Quando Sarah avanza il latte lo finisco sempre io.» pigolò fissando Crystal, «Per favore.»

Crystal inspirò, «Va bene.» acconsentì, «Vuoi anche il biscotto granulare?» chiese ed Emily annuì, la ragazza tolse le scarpe ai bambini e posò sul letto il loro zainetti, William prese il suo e lo aprì, trasse un libretto dei Piccoli Brividi e lo aprì.

Crystal prese il latte in polvere, il biscotto granulare, il biberon e lo scalda biberon, che passò a Benjamin, chiedendogli di attaccarlo alla corrente, preparò il biberon, lo infilò nella base dello scalda biberon e attese che fosse pronto, per poi darlo a Emily. Inspirò a fondo e tornò al tavolino, dove Benjamin stava staccando lo scalda biberon dalla presa di corrente, posta qualche centimetro sopra l'inizio del tavolo, poco sotto la finestra.

«Possiamo partire.» esclamò Kyle, «Bambini, le vedete le maniglie?» domandò e William rispose di sì, «Se corro troppo veloce dovete stringere le maniglie, va bene?» disse e i bambini annuirono. L'uomo si sedette sul sedile di guida, girandolo completamente verso il voltante. Jenna si assicurò che la porta fosse chiusa e si sedette anche lei.

«Vuoi stare vicino a Sarah?» chiese Benjamin a Crystal che si limitò ad annuire prima di scivolare sul sedile di mezzo, si allacciò la cintura — era quella alla vita — e sentì Benjamin sedersi al suo fianco. Un attimo dopo Kyle mise in moto e il camper si spostò dal parcheggio della farmacia, immettendosi sulla strada.

Crystal fissò il paesaggio per qualche minuto, poi posò le braccia incrociate sul tavolino e abbassò la testa. Inspirò fondo, sentendo l'odore dal prodotto usato per pulire il tavolino che le solleticava il naso. Chiuse gli occhi, artigliando con le mani i gomiti.

Benjamin la fissò e pensò che non fosse nulla grave, che Crystal fosse solo stanca. Fu solo alla seconda occhiata che si accorse delle spalle di lei che sussultavano, le sfiorò la schiena, «Crystal.» soffiò.

«Sto bene.» pigolò lei.

 Fece per dire qualcosa ma Emily disse di aver finito il latte, così Benjamin recuperò il biberon e lo mise nel lavandino, dicendosi che lo avrebbe lavato dopo, tornò a sedersi e guardò Crystal, con la testa ancora scossa da singhiozzi silenziosi. «Vuoi dell'acqua?» le domandò.

«Sì.» fu la flebile risposta di lei, «Grazie.»

«Nel frigo.» disse Jenna, gli occhi fissi sulla strada. Non sapeva cosa fosse successo esattamente a quei due nei giorni precedenti ma, dopo quello che avevano passato lei e Kyle nei giorni precedenti, la capiva benissimo se voleva piangere. «È sotto il fornello.» continuò, «Ci sono dei bicchieri nel mobile sopra il lavandino.»

Benjamin annuì, afferrò una bottiglia e un paio di bicchieri, ne riempì uno e lo passò a Crystal, che lo sostenne con entrambe le mani mentre beveva. «Hai sete, William?» domandò.

«Sì, grazie.» rispose il bambino alzando gli occhi dal suo libro.

Benjamin sorrise, riempì un altro bicchiere e lo passò al bambino. Mentre lui beveva il mutaforma fissò Emily, che si era addormentata stringendo a sé Mr Pig. William ridiede il bicchiere a Benjamin, che finì il dito d'acqua al suo interno. Tornò a sedersi, dando un tovagliolo di carta a Crystal, che lo ringraziò con un bisbiglio.

Il mutaforma reclinò la testa, posandola contro lo schienale, sentendosi improvvisamente stanco. Fissò Crystal e le posò la mano sinistra sulla schiena, prima solo la punta delle dita e poi anche il palmo. Chiuse gli occhi e pensò che fosse un miracolo essere ancora vivo.

Che tutti loro fossero ancora vivi.


E il terzo capitolo è qui, molto più lungo dei precedenti, per questo lo dividerò in due. All'inizo la prima parte di Dawn non ci doveva essere. Poi c'è stata, come altre cose del resto.
Ed ecco che arrivano anche Kyle e Jenna. Ci sono tutti.
Apprezzate lo sforzo sulle percentuali, io e la matematica non siamo due pianeti opposti:siamo di più. La matematica fugge, quando mi vede.
Grazie a chi legge, chi commenta e chi mette la storia fra i preferiti.

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Capitolo 5
*** 3. Terzo Giorno - Seconda Parte - ***


Projeus:
The Big War

3.
Terzo Giorno -Seconda Parte-

«Senti qualcosa?» chiese Samuel.

«No.» rispose Erik, «Vai sempre dritto.» disse alzando appena gli occhi dalla cartina. «Mi preoccupa.» sospirò, «Voi non sentite il loro odore, io non ne percepisco la presenza...» borbottò, «Dio, se avessi qua Erikson lo sfiletterei come se fosse una cazzo di trota.» sputò e si voltò per fissare Kathy e Marie-Anne. La prima aveva la testa reclinata e gli occhi chiusi, l'altra fissava fuori dal finestrino, stringendo così forte le mani a pugno da sbiancare le nocche.

Erik sospirò e fissò di nuovo la strada, dicendosi che erano tutti stanchi, «La prossima a sinistra.» sospirò. Dovevano assolutamente andare in West Virginia, doveva trovare quella persona che conosceva. Aveva espanso il suo potere più che poteva, alla ricerca degli uomini di Erikson: erano praticamente ovunque. Doveva stare sempre con i sensi all'erta ed era sicuro che si sarebbe ritrovato con un mal di testa atroce.

«Kat, guarda.» esclamò Samuel.

Kathy sbadigliò e drizzò la schiena, «Sì? Dove?» fece sbattendo le palpebre, fissò nella direzione indicata dal suo fidanzato e guardò meglio. «Pecore.» disse.

«Ci bloccano la strada.» sbuffò Samuel.

«Ma dove?» borbottò Erik, guardandosi attorno.

«Là.» rispose Samuel, «A circa tre miglia.» sorrise sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando Erik.

«Ah.» commentò l'altro, «Merda.» sbuffò, «Speriamo che attraversino in fretta.»

Samuel non replicò e andò avanti, mentre Kathy tornava ad appoggiarsi allo schienale del sedile e Marie-Anne continuava a stringersi le dita. Una volta davanti a quella ventina di pecore Samuel rallentò fino a fermarsi, «Allora?» fece, «Ve ne andate?» esclamò, «In quel campo c'è tanta di quell'erba.» sbottò. «E quel cazzo di pastore, dove si è cacciato?»

«Magari sta pisciando.» rispose Kathy aprendo piano gli occhi. «Suona un po' il clacson, ma piano, così le spaventi un pochino.» disse, «Sono così carine.» sorrise, «Uh, c'è anche un agnellino!» cinguettò, attirandosi un'occhiataccia da parte delle ragazza seduta al suo fianco.

Marie-Anne sospirò e si guardò attorno, cercando di non soffermarsi su nulla di particolare, non voleva rischiare di vedere un uomo fare pipì contro un albero. Girò il viso verso il lunotto posteriore e strinse gli occhi, non capendo che animale si stesse avvicinando. Sembrava una volpe ma era diversa, troppo grande come se fosse... Marie-Anne aprì la bocca, ma non uscì nessun suono, spostò la mano destra, testò il sedile fino a trovare la mano di Kathy.

«Che c'è?» domandò la pantera e si voltò, sbiancò alla vista della volpe mutante. «Vai, Sam!» gridò, «Investi quelle cazzo di pecore!» urlò.

A Samuel bastò un'occhiata nello specchietto retrovisore per ingranare la prima. Sfiorò il pedale e fu allora che un altra volpe sbucò dalla loro sinistra e si schiantò contro la fiancata della Lexus, facendola alzare sulle ruote di destra, per poi precipitare con un tonfo.

Le pecore belarono spaventate e fuggirono nel prato, gli agnellini in mezzo a loro. Samuel partì, scansando le ultime pecore. L'auto avanzò solo per una manciata di secondi prima che la volpe che aveva visto Marie-Anne balzasse sul retro dell'auto, facendola sbandare, il ragazzo cercò di mantenere il controllo dell'auto mentre Erik si aggrappava al sedile e Kathy e Marie-Anne si abbracciavano, terrorizzate. Quindici lunghi secondi dopo, l'auto finì la sua corsa nel campo, contro un albero solitario.

La volpe scivolò in avanti, finendo su cofano, fissò i quattro attraverso il lunotto ed emise quello che sembrava un ruggito a tutti gli effetti.

«Fuori.» esclamò Erik e diede un pugno all'airbag, facendolo afflosciare, «E correte, veloci.» disse, slacciò la cintura, recuperò una Beretta semi automatica e un paio di caricatori dal cassetto porta oggetti, che infilò nella tasca della giacca di jeans. «Ora.» disse.

Corsero fuori dall'auto, la mano di Marie-Anne stretta a quella di Kathy, che la strattonava con forza. Attraversarono il prato, giungendo a un vecchio casolare abbandonato. Erik attese che entrassero tutti prima di chiudere la porta e sprangarla con l'aiuto di Samuel, infilando la trave di legno nei ganci di metallo. Indietreggiarono tutti quanti, sentendo i belati disperati delle pecore e i ringhi delle volpi mutanti. Fissarono il legno della porta che si muoveva sotto i colpi di quegli esseri.

«State bene?» domandò Erik, abbassando la sicura della pistola.

«Sì.» rispose Samuel, abbracciando Kathy, fissò Marie-Anne e le posò una mano sulla schiena — poteva essere insopportabile ma era spaventata come loro —, «Perché hai una pistola?» domandò fissando Erik che si spostava, alla ricerca di una finestra non troppo grande: non voleva rompere un vetro e rischiare che una di quelle cose entrasse nel casolare.

«Perché pensavo che mi sarebbe servita.» rispose il Cercatore.

Una delle volpi saltò contro la finestrella accanto alla porta, rompendo il vetro, agitò le zampe, cercando di issarsi ma non ci riuscì, perché la finestra era troppo piccola. Erik non perse tempo, ordinò agli altri di allontanarsi e sparò due colpi, i proiettili si conficcarono nella zampa destra della volpe.

La bestia guaì, balzò indietro e tornò alla carica, riuscendo a far passare la testa e le zampe anteriori dalla finestra, ignorando i frammenti di vetro che la graffiavano. Erik sparò ancora, riuscendo a centrare la bocca della volpe mutante, che strillò, prima di cadere a terra.

L'altra smise di colpire la porta e ruggì, prima di cercare di entrare la finestra.

Samuel strinse a sé le due ragazze e fissò Erik che attendeva il momento migliore per sparare e uccidere quella cosa. La volpe s'incastrò nel telaio della finestra, spalancò le fauci e ruggì, Erik alzò le braccia e premette il grilletto, facendo urlare la bestia dal dolore: il proiettile si era conficcato poco sopra l'occhio sinistro. La volpe indietreggiò, portando con sé una parte del legno del telaio.

«Merda.» sbottò il Cercatore e si voltò a fissare gli altri, «Niente odore?» chiese.

«Niente odore.» confermò Samuel.

Erik inspirò e gonfiò le guance, per poi fa uscire l'aria con un sbuffo rumoroso.«Merda.» ripeté e abbassò lo sguardo, puntandolo sulla pistola e deglutì quando vide le mani tremare. Alzò lo sguardo, fissando gli altri tre. «Adesso ammazzo quella cosa e ce ne andiamo, recuperiamo le nostre cose e filiamo via.» disse.

«Tu le senti?» domandò Kathy.

Erik scosse la testa, «No.» rispose, «Merda.» imprecò e andò davanti alla finestra, «Ehi, Foxy... vieni qui.» ringhiò. Un attimo dopo la testa della volpe apparve nel riquadro della finestra e il Cercatore fece fuoco, finendo i proiettili. Ricaricò velocemente l'arma, ringraziando mentalmente sua madre che lo aveva trascinato al poligono quando aveva compiuto diciotto anni. Sparò tre colpi: uno entrò nell'enorme occhio spiritato, il secondo gli staccò l'orecchio e il terzo entrò nella gola. La volpe mutante crollò a terra. Erik, la pistola tesa in avanti, spiò dalla finestra; al posto della volpe c'era una ragazza molto giovane, con lunghi capelli neri.

«Sono morte tutte?» pigolò Marie-Anne, così terrorizza che si era pentita di essersene andata.

Erik la fissò e fece una paio di passi indietro, allontanandosi dalla finestra, «Sì.» disse, «Credo.» sospirò.

«Come credi?» strillò Marie-Anne, «Controlla!» gridò e scoppiò a piangere, si allontanò da Kathy e Samuel e si nascose in un angolino, proprio sotto la grossa scala di legno che conduceva al primo piano.

Erik la guardò appena e abbassò l'arma, fissò la scala e sospirò, «Tu resta qui.» disse a Samuel, «Io vado di sopra.» esclamò e salì le scale con il cuore n gola. Il primo piano era un unico ambiente aperto, con una finestrella per lato. Erik deglutì, afferrò una scopa di saggina caduta sul pavimento e la usò per togliere le ragnatele dalle finestre.

Cinque minuti dopo era di nuovo dagli altri, «Non ci sono più.» annunciò. «Adesso usciamo, andiamo all'auto, vediamo se parte...» sospirò di nuovo, «Se l'auto non parte prendiamo le nostre cose e ce ne andiamo.»

Kathy andò da Marie-Anne e le prese la mano, «Andiamo, tesoro.» mormorò e le fece un sorriso tirato. L'altra si asciugò gli occhi e si alzò in piedi mentre i due ragazzi aprivano la porta.

Uscirono tutti quanti, Erik che stringeva ancora la pistola; «Ehi, c'è qualcuno!» esclamò Marie-Anne, dopo aver fatto un paio di passi.

Erik alzò la pistola, fregandosene di aver davanti una persona: un ragazzo con i capelli corti e la pelle scura, dal fisico magro. «Chi sei?» domandò.

L'altro sorrise e avanzò, «Chi, io?» fece, le mani affondate nelle tasche dei jeans, «Uno.» rispose scrollando le spalle.

«Uno di noi?» replicò il Cercatore alzando le braccia, la pistola stretta nella mano destra. Dietro di lui c'erano gli altri, Samuel davanti alle ragazze.

«Può darsi.» rispose lo sconosciuto e tolse le mani dalle tasche: bastarono un paio di secondi e le sue mani presero fuoco. Marie-Anne premette le mani sulle labbra, per trattenere il grido di puro terrore che minacciava di esplodere da un momento all'altro.

Erik si leccò le labbra. «Pirocinetico.» disse, «Il tuo nome?» domandò, evitando di abbassare la pistola perché non si fidava del tutto. C'era un qualcosa nel ragazzo di colore che non riusciva a identificare, come se...

«Paul.» sorrise l'altro, «Ehi, ci conosciamo?» domandò fissando Marie-Anne, che squittì spaventata.

«No.» pigolò lei.

Paul fece spallucce, «Mi ricordi una che mi sono sbattuto tre settimane fa.» esclamò, «Le verginelle si assomigliano tutte.» sorrise, «Salutate le vostre chiappe, perché fra poco bruceranno.» piegò la testa di lato e allungò le braccia in avanti. Zampilli di fuoco caddero a terra, bruciando l'erba circostante.

«Ti sei fatto corrompere?» domandò Erik facendo un passo indietro e stringendo di più la pistola.

Paul sorrise, «Perché, voi no?» fece di rimando, «Dovevate farlo.» disse e le fiamme attorno a lui si alzarono.

«Dio mio.» soffiò Samuel, «Andiamo.» mormorò.

Erik annuì, «Spegni il fuoco, amico.» ordinò, «Altrimenti giuro che t'ammazzo.»

Paul rise e il fuoco divampò, alzando grosse lingue di fuoco. Samuel prese le due ragazze per mano e le portò lontano, verse un canale di scolo che attraversava i campi. Erik fece un paio di passi indietro.

«Abbassa quelle cazzo di fiamme.» gridò per superare il crepitio del fuoco, «È stato Erikson, vero?» domandò, «Ti ha pagato? Cosa cazzo ti ha promesso?» chiese. «Non ti darà nulla, lo sai?»

Il pirocinetico rise ancora, le fiamme che seguivano i suoi movimenti, «Mi ha dato più potere.» esclamò e avanzò fra le fiamme, «So gestirle.» disse, «L'ho sempre fatto.» rise, «Vi ucciderò.» esclamò e oltrepassò il muro di fuoco. Urlò quando le fiamme lo avvolsero, ribellandosi al loro padrone.

«Non lo gestisce più!» urlò Samuel mentre Erik correva verso di lui, «Dobbiamo fermarlo.» ansimò, sentendo il calore delle fiamme arrivare fino a lì.

Erik annuì, inspirò a fondo e alzò la pistola, fissando Paul che si contorceva sull'erba, cercando di fermare le fiamme, senza riuscirci, però: continuò a urlare e gridare e piangere, mentre le fiamme scioglievano la suola di plastica delle sue scarpe e gli bruciavano la pelle. «Lo fermo.» disse alzando la pistola.

«Vuoi sparargli?» gridò Marie-Anne

Erik non la guardò, «Vuoi che mandi a fuoco ogni cosa?» replicò, inspirò a fondo, prese la mira e sparò. Paul gridò dal dolore quando la pallottola gli perforò l'aorta femorale. Erik sparò di nuovo, mirando a caso fra le fiamme alte ormai due metri, che formavano un cerchio attorno a Paul. Il pirocinetico emise un urlo strozzato e smise di gridare. Meno di un secondo dopo le fiamme cessarono, lasciando al loro posto erba bruciata e un cadavere carbonizzato.

Erik soffiò tutta l'aria trattenuta nei polmoni e tossì, si avvicinò al corpo steso a terra e trattenne un conato. Si girò e tornò dagli altri. «Muoviamo il culo.» disse.

❖.❖.❖

Dawn si sedette e trattenne un sospiro: quelle riunioni non le piacevano per nulla. Alla sua destra c'era George e sua sorella Katelynn, alla sua sinistra Steven, Nick e James. Gli altri diciotto posti dell'enorme tavolo ovale erano occupati dai gradi più alti dell'organizzazione, quelli che ormai non andavano più in missione e passavano il loro tempo in ufficio. Si erano riuniti per tracciare il punto della situazione e lei non capiva perché dovesse essere lei ad avere quell'enorme responsabilità di organizzare e coordinare quattrocentocinquanta persone.

«A che punto siamo?» domandò Jack Bennet, il padre di Nick.

«In alto mare, signore.» rispose George, “Anche se sarebbe meglio dire che siamo nella merda.” pensò, «Gli abitanti di Tuckahoe sono stati tutti uccisi.» sospirò, «Dagli uomini di Erikson, pensiamo.» disse. «Abbiamo catturato una delle scimmie mutanti.» esclamò e bevve un sorso di caffè, forte e senza zucchero. «La stanno analizzando.» continuò, «Entro le quattro di domani mattina avremo i risultati.»

Gli altri annuirono.

«La lista?» domandò Edmund Ross, il più vecchio fra di loro: aveva quasi novantasei anni, protesi a entrambe le anche, girava in sedia a rotelle e, per concludere, si portava dietro la bombola d'ossigeno per l'enfisema. Però ci teneva a essere lì, anche se era esausto e avrebbe preferito andare a dormire dopo aver cenato con la solita minestrina con un formaggino.

«La lista...» soffiò Dawn fissando il tavolo, alzò gli occhi e inspirò a fondo. «I Soldier di cui ci occupiamo sono 27410 e siamo riusciti a salvarne, fino a ora, 3950» disse, e deglutì rendendosi conto che erano troppe poche. «Abbiamo contato centosedici perdite.» deglutì, «Al momento i dispersi risultano essere 23344.» disse.

«Fra quelli dobbiamo contare anche quelli che sono passati dalla parte di Erikson.» Katelynn pronunciò il nome del presidente come se le costasse enorme fatica. «Crediamo che siano un cinque percento.» disse, «Siamo stati un po' larghi... ma c'è gente che si fa corrompere facilmente.»

I capi annuirono. «E la talpa?» domandò Carl, il padre di George e Katelynn.

«Ce la stiamo mettendo tutta.» rispose Steven con un sorriso tirato, «Ci sono circa duecento persone che stanno facendo il possibile per scoprire chi ha venduto la lista.» disse.

«Lo troveremo.» esclamò James fissando le persone davanti a lui, la paura che potessero considerarlo la talpa gli attanagliava lo stomaco. Suo padre aveva tradito il Projeus Institute e tutto ciò che significa. Aveva cercato di uccidere Dawn e Steven e in quel momento era rinchiuso in una delle celle del sotteraneo. Lui andava a trovarlo una volta a settimana, solo per rimanere lì davanti a lui per cinque minuti, in completo silenzio, per poi andarsene.

Gli altri annuirono, «Stanno analizzando tutti i computer, cellulari, telefoni, tablet e tutti i gingilli dell'istituto?» domandò Gregory Amaro, il figlio dell'uomo che creò il Projeus Institute quasi settantanni prima.

«Sì.» rispose Dawn. «Ogni telefonata, ogni messaggio, ogni parola digitata viene controllata e analizzata.» disse, «Controlliamo anche le immagini, cercando di scoprire se qualcuna nasconde dei messaggi criptati al suo interno.» continuò. «Al momento non abbiamo scoperto ancora nulla, ma non ci arrendiamo.» esclamò, sempre più decisa a pestare a sangue la talpa, chiunque fosse.

Un'ora dopo si alzarono tutti quanti, la riunione era finita. «Venite a mangiare?» domandò George e sbadigliò.

«Arrivo.» rispose Dawn, «Steve?» domandò al suo fidanzato.

«Dammi cinque minuti, vado a mettere in carica il telefono.» rispose lui. Dawn annuì, gli baciò la guancia e si allontanò con gli altri. Steven andò a destra, Nick, James, George, Katelynn e Dawn a sinistra, verso la mensa.

❖.❖.❖

Ormai era un'ora e mezza che camminavano e il sole stava tramontando. La Lexus era distrutta e avevano dovuto proseguire a piedi. Marie-Anne si era lamentata per metà del tempo e continuava a pensare che prendere la stata sarebbe stato meglio: avrebbero evitato di incontrare cinghiali, pecore e orribili mostri mutanti. “Io non sono una di loro.” pensò, “Non sono un mostro.” Era stanca di camminare, se ne era lamentata più volte e ogni volta le rispondevano la stessa cosa: “Taci e cammina.”

«Ehi, guardate là.» esclamò Samuel, indicando una costruzione a meno di mezzo miglio di distanza.

«È una stalla.» storse il naso Marie-Anne.

«È un riparo.» replicò Erik e accelerò il passo, pensando che avrebbe voluto volentieri abbandonare Marie-Anne al suo destino, ma non lo avrebbe fatto. Non era quello che gli avevano insegnato i suoi genitori. Pensò a sua madre, dotata del potere della psicometria, che se ne stava tranquilla a Londra. Se avesse saputo che suo figlio aveva abbandonato una ragazza come minimo gli avrebbe dato un ceffone anche se ormai era un adulto.

Una manciata di minuti dopo entrarono nella stalla, Erik accese la torcia e illuminò l'interno, rivelando l'ambiente: una parte era destinata agli animali — che, però, non c'erano — mentre l'altra, a sinistra era adibita a casa.

«Chi vivrebbe qui?» domandò Samuel fissando il divano a due posti.

«Uno troppo povero per avere una casa.» rispose Erik e si tolse lo zaino, lasciandolo accanto al divano, «Controlla quella porta.» disse a Samuel.

Il mutaforma annuì e aprì la porta. «È il bagno.» disse, «C'è il cesso, una doccia e il lavandino.» 

«Bene.» sospirò Erik e illuminò la semplice cucina: un fornello con la bombola, un lavandino con una vasca e lo sgocciolatoio, un mobiletto e un paio di pensili. Ne aprì uno e rivelò una lampada a cherosene. L'accese e sorrise quando la stanza si illuminò. Sistemò la lampada sul tavolo e guardò gli altri. «Rimaniamo qui e domani mattina all'alba partiamo.»

«Restiamo qui!?» squittì Marie-Anne, «Ma è una stalla!» protestò.

«È un riparo.» borbottò Kathy. «Sono le sei e mezza.» disse, «Mangiamo e ci riposiamo, è stata una lunga giornata.» sospirò.

Marie-Anne sbuffò, tolse lo zaino e si sedette sul divano, alzando una nuvola di polvere. «E come facciamo per dormire?» domandò dopo aver starnutito.

«Dormiamo per terra.» replicò Erik, «Tutti quanti.» disse, «Io ho il sacco a pelo.»

«Anche noi.» disse Samuel.

«Sacco a pelo?» piagnucolò Marie-Anne, «Io non ce l'ho.» disse.

Erik sorrise e scostò la sedia dal tavolo. «Dormirai dove capita.» disse, «Guarda, c'è una copertina.» le indicò la coperta ripiegata sullo schienale del divano.

«Ma avrà le pulci.» protestò Marie-Anne e si asciugò le lacrime.

«E allora rimani senza.» disse Erik e scrollò le spalle. «Mangiamo.» disse.

Marie-Anne sbuffò e si alzò in piedi, fissò lo sgabello con una smorfia e si sedette. Non voleva stare lì, in una stalla. Era vecchia, sporca, puzzava di letame... afferrò uno dei tramezzini che avevano comprato quel pomeriggio e lo scartò, odiando Erik, che si era auto eletto capo. Era lei la più grande, doveva essere lei a prendere le decisioni, non lui che era più piccolo di lei. Lo sapeva, lo sapeva che era lei a dover prendere le decisioni più importanti, come quella di percorrere le statali e le interstatali, evitando stradine; oppure evitare di fermarsi a dormire in una stalla fatiscente.

“Glielo farò capire.” pensò “Sono io che decido.” si disse. “Io li salverò.”

❖.❖.❖

Kyle frenò fino a fermarsi in un vecchio casale. «Direi di fermarci qui.» disse girando la chiave. Voltò il sedile e alzò le braccia sopra la testa con uno sbadiglio.

Jenna chiuse le porte e ritornò sul camper, «Potremo iniziare a preparare la cena.» disse. Voleva saperne di più su Benjamin, Crystal e i bambini. Voleva sapere cosa fosse successo per evitare che accadesse di nuovo.

Crystal inspirò a fondo, «Penso che Sarah abbia già fame.» disse guardando la bambina che cominciava ad agitarsi nel seggiolino. Sbuffò, «Meglio che prepari qualcosa per lei.» disse, aspettò che Benjamin si alzasse e scivolò sui sedili, si mise in piedi.

Dieci minuti dopo aveva preparato una semplice minestra a cui aveva aggiunto un vasetto di omogeneizzato al vitello. Si sedette accanto a Sarah, posò la ciotola — l'avevano presa quella mattina in quella casa — sul tavolo e iniziò a imboccare la bambina, che sembrava gradire molto. «Le piace!» commentò Crystal con un sorriso, «È la prima volta che faccio una cosa del genere.»

Benjamin la osservò, sentendosi più tranquillo nel vederla sorridere. «Aveva proprio fame.» commentò nel vedere Sarah che spalancava le labbra per poi chiuderle attorno al cucchiaino. Se Crystal tardava solo un attimo, la piccola strillava e agitava le braccia finché il cucchiaino pieno di cibo non le sfiorava le labbra.

«La piccola è a posto.» esclamò Kyle passandosi una mano sul viso, cercando di allontanare la stanchezza accumulata in quei giorni. «Noi?» domandò, «Che si mangia?»

Jenna si chinò e aprì il frigorifero, «Allora... abbiamo una confezione di lattuga, due pomodori, e...» prese tre confezioni e le mostrò ai bambini, che stavano litigando su chi dovesse lanciare i dadi per primo per iniziare il “Gioco dell'oca”, «Vi piacciono?» domandò.

«Sì!» strillò William, «Tanto.» disse.

«Bene.» sorrise Jenna, «Quindi insalata e pomodori e un cordon bleu a testa.» disse posando le confezioni sul tavolo.

«Noi abbiamo una decina di scatolette di tonno, poi c'è lo sgombro e del mais.» esclamò Crystal, piegando la ciotola per poter raccogliere l'ultimo cucchiaio. «Ah, abbiamo anche del pane a fette.» aggiunse, «Non ce n'è molto, ma una fetta a testa va bene.»

Jenna annuì, «Perfetto.» disse, «Benjamin, prepara l'insalata.» esclamò mentre cercava una padella.

Il ragazzo la fissò a bocca aperta mentre Kyle usciva da camper ridendo. «Da quanto ce l'avete?» domandò Benjamin afferrando l'insalatiera che Jenna gli stava porgendo, «Il camper.» specificò.

«Da stamattina.» rispose Jenna, prendendo una padella con il manico che si divideva in due — le due parti si ripiegavano, occupando così meno spazio.

«Stamattina?» commentò lui leggendo l'etichetta della confezione. «Lo avete comprato?» chiese.

«No.» rispose Jenna aprendo uno dei mobiletti per recuperare le provviste portate da Benjamin e gli altri. «La nostra auto è stata distrutta da una stupida scimmia mutante.» disse e si accorse che Crystal aveva irrigidito le spalle, «Abbiamo trovato questo.» continuò e guardò i bambini che stavano giocando, «Ne parliamo dopo.» mormorò.

Crystal annuì e si alzò in piedi, sciacquò la ciotola e il cucchiaino e li asciugò per poi rimetterli a posto. «Anche noi avevamo trovato l'auto.» disse. «E poi i seggiolini.»

Benjamin finì di preparare l'insalata, «Bambini, andate a lavarvi le mani.» ordinò.

«Ma stiamo giocando!» protestò Emily.

«Finite dopo.» replicò Benjamin.

«Guardate che cos'ho.» sorrise Jenna e prese dal frigo due lattine rosse.

«Coca Cola!» trillò William, si alzò in piedi e andò in bagno, seguito dalla sorella. Benjamin li raggiunse, controllando che non allagassero il minuscolo bagno mentre le due ragazze preparavano la tavola.

«Per noi c'è questa.» esclamò Jenna prendendo quattro lattine di birra.

«Tu sei minorenne, Crystal.» ridacchiò Benjamin, «Non puoi bere alcolici.»

Crystal lo fissò, si accertò che i bambini fossero ancora nel bagno e mostrò il dito medio a Benjamin, facendo ridere Kyle, che era salito nel camper con due sgabelli pieghevoli recuperati dal bagagliaio.

«Quanti anni hai?» chiese l'uomo.

«Venti.» rispose Crystal, «E mezzo.» specificò, «Benjamin ne ha venticinque.» disse, «Voi?»

«Io trentaquattro lei trentadue.» esclamò Kyle, afferrò l'accendino da un pensile accanto alla porta e lo porse a Jenna, «Siamo sposati da due anni.»

Poco dopo erano a tavola, i bambini seduti accanto alla sorellina, Crystal si sedette sul sedile di guida dopo averlo girato di centoottanta gradi, trovandolo comodo; Benjamin si sistemò sul sedile del passeggero mentre Kyle e Jenna si accomodarono sugli sgabelli e iniziarono a cenare.

❖.❖.❖

Erik afferrò un paio di sigarette e l'accendino, «Vieni?» domandò a Samuel, che annuì e lo seguì fuori dalla stalla. Chiusero il pesante portone alle loro spalle e si sedettero su una sgangherata panca di legno.

«Cosa pensi di fare?» chiese Samuel, accese la sigaretta e passò l'accendino a Erik.

«Domani dobbiamo trovare un mezzo.» rispose Erik, «Uno grosso.» aggiunse e soffiò il fumo, «Che resista agli attacchi di quelle stronze.» 

Samuel annuì, «Sì.» disse, «Non sono solo i mutaforma.» sospirò, «Anche gli altri si sono fatti corrompere.» sputò. «Quanti saranno?»

«Anche se ce n'è solo uno è uno di troppo.» mormorò Erik fissando davanti a sé l'oscurità che aveva circondato la stalla. «Come avranno fatto?» domandò fissando le nuvole di fumo che salivano.

«Dici a farli diventare così?» chiese Samuel ed Erik annuì, «Non lo so.» sospirò, «Probabilmente Erikoson ha un cazzo di laboratorio dove usa quelli di noi che si fanno corrompere come cavie da laboratorio.» disse e aspirò. «Se lo facesse apposta?» chiese, «Se pagasse alcuni di noi per farli diventare mostri, confermando la sua teoria che siamo dei fottuti mostri mangia bambini?»

Erik annuì e fissò a terra, «Lo penso anche io.» disse. «Marie-Anne?» chiese.

«Sta perdendo pezzi per strada.» rispose Samuel, «Non capisce che dobbiamo stare uniti.» continuò. «Potrebbe fare una stronzata.» 

Erik annuì. «Sì.» 

«E in più non si è organizzata.» continuò Samuel, «Noi abbiamo avuto poco tempo ma abbiamo preso l'indispensabile.» disse, «Lei invece ha riempito lo zaino di foto e chincaglierie inutili.» borbottò, «Ha anche una bambola!» rise.

«È ingenua.» sorrise Erik.

«Molto.» confermò Samuel. «Sarà più grande di noi, ma ha la maturità di una quindicenne.»


Kathy si accucciò accanto al divano dove Marie-Anne era sdraiata, «Chi sono?» domandò indicando le foto.

«I miei genitori.» rispose Marie-Anne, la voce rotta dalle lacrime.

Kathy si limitò a un sorriso, «Quanti anni avevano quando ti hanno adottato?» chiese. A lei sembravano più dei nonni, che dei genitori.

«Mamma quarantacinque e papà cinquanta.» rispose Marie-Anne.

«Okay.» soffiò Kathy e pensò che avessero l'età dei suoi nonni. «Marie-Anne, ascolta: non puoi ...» si fermò, cercando le parole giuste da usare. «So che sei spaventata, lo siamo tutti. Ma dobbiamo rimanere uniti.» disse.

«Ho paura.» pigolò Marie-Anne e sfiorò il volto di sua madre.

«Anche io.» Kathy posò il mento sul bracciolo del divano. «Ma se scappiamo, se ci dividiamo... ci esponiamo al pericolo.» disse, «Dobbiamo stare uniti.» sospirò, «Capisci?»

Marie-Anne annuì, «Sì.» mormorò, ingoiò il groppo che aveva in gola e strinse più forte l'album di foto. «Cosa facciamo domani?» domandò dopo qualche istante di silenzio.

Kathy scrollò le spalle, «Non ne ho idea.» rispose e si abbracciò le ginocchia, «Penso che cercheremo un'altra auto, poi proseguiremo il viaggio.»

«Niente interstatali, vero?» chiese Marie-Anne.

«Sì.» rispose Kathy. «Rassegnati.» scherzò.

Marie-Anne se la prese, «Dovremo decidere insieme.» borbottò. «Sono la più grande, dovrei decidere io.»

Kathy la fissò, il sopracciglio destro sollevato. «Qui decidiamo tutti quanti, insieme.» replicò, «Vince la maggioranza.»

«Non è giusto.»

Kathy espirò, «Siamo in democrazia.» replicò. 

«Non è giusto.» ripeté Marie-Anne.

Kathy sospirò e si alzò in piedi, recuperò la bottiglietta d'acqua e bevve. Fissò la figura rannicchiata sul piccolo divano e pensò che, se voleva dimostrare di avere ragione perché era la più grande, doveva comportarsi da persona matura. Anche lei avrebbe voluto piangere ma non lo faceva, perché sapeva che le lacrime non avrebbero risolto la situazione. «Andrà tutto bene, vedrai.» disse.

Marie-Anne la ignorò, si voltò sul fianco, dando la schiena a Kathy, che scrollò le spalle e andò in bagno. Non c'era acqua calda e usò quella fredda per lavarsi le mani.

I ragazzi rientrarono e guardarono appena Marie-Anne che singhiozzava sotto la vecchia coperta. «Io faccio il primo turno.» esclamò Erik. «Sono le nove.» disse guardando l'orologio, «Ti chiamo all'una e mezza.» fissò Samuel che si limitò ad annuire. «Domani mattina riprendiamo a camminare, cerchiamo un macchina e ce ne andiamo.» spiegò, «Buonanotte.» aggiunse, stese il suo sacco a pelo per terra e si sedette su di esso, la schiena che poggiava sulla parete divisoria, la pistola davanti a lui.

Samuel e Kathy sistemarono i loro sacchi a pelo e si sdraiarono.

❖.❖.❖

Crystal seguì Kyle fuori dal camper e si sedette sullo sgabello che l'uomo aveva portato fuori. Benjamin si sedette sull'altro sgabello, accanto a lei. Kyle si lasciò cadere per terra, la schiena appoggiata alla parete del camper mentre Jenna distribuiva una lattina di birra a testa. Quando finì si sedette sulla soglia della porta.

«Sono partita venerdì sera.» cominciò Crystal, «Abito vicino a Covington. Sono partita a piedi e mentre ero in mezzo a un bosco mi sono fermata per bere e sono stata attaccata da delle scimmie mutanti.» continuò e rabbrividì nel ricordare quando si era ritrovata davanti quella cosa che l'aveva terrorizzata. «È arrivato Benjamin e mi ha salvato.»

Lui annuì, «Sì.» disse, «Io vivo... a sud di South Hill.» continuò, «La mia auto si è rotta e così ho proseguito a piedi.» si morsicò le labbra, «Ho visto quelle cose che ha attaccato Crystal, mi sono trasformato, poi ne è apparsa un'altra e le ho uccise.» disse e sorseggiò la birra, «Da allora abbiamo proseguito a piedi.» sospirò, «Sabato è stato tranquillo, a parte la pioggia, ma ci siamo sistemati in un vecchio capanno di lamiera dove abbiamo passato la notte.» continuò, «Domenica... domenica c'erano due dell'esercito di Erikson in giro, così ci siamo nascosti nell'armadio del capanno, abbiamo atteso che se ne andassero e abbiamo proseguito a piedi, evitando il sentiero.»

Crystal bevve un lungo sorso, «Poco dopo mezzogiorno abbiamo incontrato William, Emily e Sarah. Ci hanno detto che un mostro aveva ucciso la loro mamma.» la voce si incrinò ma proseguì: «Siamo andati al negozio dove si erano fermati e abbiamo visto la loro madre.»

«Qualcuno le aveva squarciato l'addome.» sospirò Benjamin mentre Jenna e Kyle li guardavano in silenzio, «E sparato un colpo in testa.»

«Dio mio.» commentò Jenna.

«Già.» grugnì Benjamin, «E avevano squarciato le gomme del SUV della donna e distrutto il motore.» proseguì, «Quel pomeriggio è stato il delirio: a Lewisburg c'era un tale Nelson che uccideva chiunque non sapesse dove fossero i bambini.»

«Uno dei suoi uomini era una cazzo di volpe mutante.» rabbrividì Crystal, «Poi abbiamo sentito che c'era una casa usata per le vacanze da dei tizi di New York, così ci siamo sistemati lì.» continuò dopo aver bevuto ancora, «Al mattino siamo partiti e poi abbiamo incontrato voi.»

Benjamin inspirò a fondo, «Abbiamo preso l'auto a un uomo assassinato, mentre i seggiolini...» bevve un lungo sorso, «I seggiolini da un'altra auto.» disse, «Era una famiglia. Una famiglia di lupi.» pigolò sentendo la rabbia montare, «Uccisi con un colpo di pistola.» soffiò, «Da quello.»

«Nelson?» fece Jenna e bevve anche lei, «È uno stronzo.» disse, «Abbiamo sentito cose su di lui e nessuna è piacevole.» sputò e osservò i due: erano in fuga da novantasei ore e avevano subìto delle esperienze terribili. «Il padre dei bambini?» chiese.

«È di istanza in Afganistan.» rispose Benjamin, «Hanno detto di non avere parenti qui, ma che il loro padre è Irlandese.» spiegò.

Kyle annuì, «E voi?» chiese. «Le vostre famiglie?»

«Mia madre è morta quando ero al liceo.» rispose Benjamin, «Mio padre è scomparso da tredici giorni e la polizia non fa un cazzo per ritrovarlo.» sbottò.

«Mio padre è evaporato prima che nascessi, mia madre è con il terzo marito e non so dove sia.» disse Crystal e guardò la lattina, bevve ancora. «Ho vissuto con i miei nonni materni. Sono morti entrambi.»

«Mi dispiace.» Jenna abbozzò un sorriso.

«Voi?» domandò Benjamin.

«Veniamo da Springfield, Missouri.» rispose Kyle, «Siamo partiti il trentuno Agosto.» disse, «Stamattina abbiamo incontrato una di quelle scimmie mutanti...» inspirò e incrociò le braccia, fece roteare piano la lattina stretta nella mano destra e sospirò, «Hanno distrutto la nostra auto, abbiamo visto il camper abbandonato e lo abbiamo preso.» alzò le spalle, «Niente strade principali, hanno posti di blocco ogni dieci miglia.» sbuffò.

«Lo immaginavamo.» esclamò Benjamin, «Per questo oggi abbiamo preso strade secondarie.»

Kyle annuì, «Che potere hai?» domandò a Crystal, «E i bambini? William è un elettrocinetico, ma la sorella?» chiese.

«Mutaforma.» rispose lei, «Lupo.» spiegò, evitando di dire che era una mezza lupa, «William è elettrocinetico come hai detto, Emily è una Cercatrice.»

La lattina sfuggì dalle mani di Jenna e cadde, rimanendo in piedi, «Cercatrice?» squittì e recuperò la lattina, «Non ne avevo mai vista una.»

«Già.» commentò Crystal, «Io conoscevo un Cercatore, quando ero piccola, veniva in estate nella casa accanto a quella dei miei nonni.» disse, «Chissà dove è finito...» mormorò.

«Il figlio di un amico di mio padre è un Cercatore, ma non lo vedo da anni e non so che fine abbia fatto.» sospirò Benjamin. «Ci farebbe comodo un Cercatore più grande, che sappia dove andare. Emily è troppo piccola.»

Jenna annuì e finì la birra in un paio di sorsi, «È stata una lunga giornata, meglio andare a dormire.» disse.

Rientrarono, lasciando le lattine vuote sul tavolo e andarono uno alla volta in bagno. Kyle e Jenna salirono sul letto superiore, mentre Crystal scivolò accanto ai bambini, che dormivano tranquilli. Benjamin stese il materassino da yoga di Crystal, sistemò sopra di esso il suo sacco a pelo ed entrò. Un attimo dopo le luci si spensero del tutto e nell'abitacolo cadde il buio e il silenzio.

❖.❖.❖

Dawn strinse le labbra, tolse il cappuccio al pennarello e fissò l'enorme lavagna davanti a lei.

“Ci sono sei Cercatori in ogni nazione.” scrisse in un corsivo un po' infantile, “Ne nasce uno o una in un arco di tempo che va dai quindici ai vent'anni.” continuò a scrivere accanto a un nuovo pallino rosso della lista che voleva scrivere per chiare un po' la situazione.

“La media è di diciassette anni e mezzo.”

Fissò quello che aveva scritto e sospirò. Quello era chiaro da anni, ormai.

“Il Cercatore nasce da due genitori Soldier, entrambi con poteri.” scrisse.

“I genitori hanno un gene recessivo a testa. I due, uniti, causano la mutazione del DNA, che bypassa la normale genetica e, invece di trasmettere uno dei poteri dei genitori — o entrambi — fa nascere un Cercatore.”

Dawn inspirò a fondo e non si accorse che Steven la stava osservando dalla soglia, “Perché non ne nascono di più? Perché sono così rari? Perché non hanno altri poteri?”

«Ti evaporerà il cervello se continui così.»

Dawn si voltò e fissò Steven, «Lo so.» sorrise e chiuse il pennarello, «Voglio solo capire.» sospirò.

Steven l'abbracciò, stringendola forte, «Lo so.» disse e le baciò i capelli, «Lo scopriremo.» disse, «Ci sono scienziati che sono al lavoro.»

Dawn annuì fra le sue braccia e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle sue carezze. «Lo so.» pigolò, «È che...» sospirò, sentendosi esausta.

«Andiamo?» lui le baciò la testa, preoccupato per lei. Erano settimane che dormiva poco, mangiava in modo sballato. «Hai bisogno di dormire.»

Dawn annuì, «Sì.» disse, «Spengo tutto e arrivo.» sorrise e baciò le labbra di Steven.

Lui le sorrise e le sfiorò la fronte, scostandole un ciuffo di capelli ribelli, «Ti aspetto.» soffiò.

Dawn sorrise, «Sì.» disse e lo guardò andare alla porta, «Steve?» lo chiamò.

«Dimmi.» fece lui girandosi, la mano sullo stipite.

«Con chi eri al telefono?» domandò Dawn.

Lui la fissò per un lungo istante, «Nessuno di importante.» rispose, «Un vecchio amico di Los Angeles.» disse, «Fa' in fretta.»

Dawn sorrise e annuì, sistemò il pennarello sulla mensola della lavagna, agitò il mouse per far scomparire lo screensaver, chiuse tutti i programmi e spense il pc. Recuperò il cellulare, spense le luci, chiuse la parta e raggiunse Steven in corridoio.

❖.❖.❖

Crystal si rigirò nel letto, dando le spalle ai bambini e aprì gli occhi, abbassò la testa e fissò il sacco a pelo di Benjamin. Era vuoto. Puntò lo sguardo sulla porta del bagno, vedendola socchiusa. Non c'era nessuna luce accesa, per cui non era lì.  Si sedette e fissò il passeggino incastrato fra il letto e il lavandino. Aveva pensato di tenere Sarah nel letto, ma i bambini continuavano a muoversi così aveva deciso di lasciarla ne passeggino, incastrandolo in quel punto, l'unico in cui non fosse d'intralcio.

Sarah dormiva tranquilla, il ciuccio era scivolato fuori dalle sue labbra, finendo accanto al suo viso.

Crystal scavalcò il sacco a pelo, aprì il frigo e prese una bottiglietta d'acqua e si accorse che la porta era socchiusa. L'aprì e fissò Benjamin seduto per terra, appoggiato alla parete del casale.

«Ehi.» gli disse, «Non riesci a dormire?» domandò e lo raggiunse, sedendosi al suo fianco, sopra del fieno asciutto e pulito.

«No.» rispose lui. «Troppi pensieri.» ammise.

Crystal lo fissò, «Sì.» mormorò e aprì la bottiglietta, bevve un lungo sorso e sospirò. «So chi è mio padre.» confessò.

«Cosa?» domandò lui, sorpreso, «Credevo che...»

«Mio padre era un lupo purosangue.» disse Crystal, «Ma i suoi genitori non accettavano la cosa.» abbassò lo sguardo e lo rialzò, incontrando gli occhi azzurri di lui, «Non volevano essere lupi, non volevano che il loro figlio fosse un lupo.»

«Oh.» commentò Benjamin, non capendo perché ci fosse gente che si comportasse così. Lui era orgoglioso di essere un lupo.

«Ovviamente non volevano che mio padre frequentasse una mezza lupa.» continuò Crystal e bevve ancora, «Poteva essere una pirocinetica, una elettrocinetica... ma loro volevano avere un figlio normale.» disse e sospirò. «Hanno convinto mia madre, le hanno detto che dovevano guarirmi.»

Benjamin annuì e si bloccò di colpo, «Cosa?» gracchiò, «Davvero?»

«Sì.» rispose lei. «Mio padre scomparve quando avevo un anno.» continuò, «Credo che lo abbiano ucciso i suoi genitori.» deglutì, «Perché i miei nonni, » disse l'ultima parola come se le facesse schifo solo pensarla «volevano darmi dei medicinali che avrebbero bloccato i miei poteri.»

«Dio mio.» sospirò Benjamin e fissò Crystal, «Ma credevo che avessi vissuto con i nonni materni.» disse, «Hai il cognome di tuo nonno.»

Crystal si leccò le labbra e desiderò avere con sé il burro cacao, ricordo che era nel suo zaino e sospirò. «Fino ai dieci anni ho vissuto con i miei nonni paterni. Ogni giorno prendevo una pillola.» disse, «Era gialla, grossa e odorava a come un formaggio stagionato.» deglutì e bevve, «Ogni due mesi mi facevano un'iniezione.» continuò, fissando la paglia sotto i suoi piedi. «Poi i miei nonni si sono ammalati. I reni sono andati a puttane e sono morti.» sospirò. «Da lì sono andata a vivere dai miei nonni materni. Li vedevo solo durante l'estate e li non prendevo le pillole. Non dicevo ai miei nonni che dovevo prenderle, le buttavo nel gabinetto e tiravo l'acqua.» mormorò. «Quando sono andata a vivere da loro mia madre si stava risposando con il suo secondo marito. Un giorno ho detto delle pillole ai nonni, che mi hanno portato da diversi medici.»

Benjamin la fissò, sconvolto, domandandosi come potessero delle persone comportarsi così con la propria nipote. Come una madre potesse accettare tutto ciò. «E tu? Stavi bene?»

Lei sorrise, «Sì.» disse, «Avevo solo una piccola infezione renale, nulla che non si possa risolvere con qualche medicinale normale.»

Lui sospirò, le prese la bottiglietta e bevve due lunghi sorsi. «Meno male.» soffiò. «È per questo che ti senti male quando ti trasformi.» disse.

«Credo di sì.» mormorò lei. «Ho ancora un barattolo di pillole una delle fiale.» confessò, «Quando saremo in Canada chiederò se possono analizzarle.»

Benjamin annuì, «Lei hai conservate?» chiese. «Hai fatto bene.» le sorrise anche se era buio e ci vedeva appena.

Rimasero in silenzio qualche minuto, ad ascoltare il lieve russare di Kyle. «Lo avresti fatto sul serio? Ti saresti... sacrificato?» domandò Crystal.

Benjamin annuì. «Sì.» ammise, «Lo avrei fatto, altrimenti saremo morti tutti quanti.»

Crystal inspirò a fondo. «Perché mi hai baciato?» domandò.

«Perché se dovevo morire volevo avere un bel ricordo.» rispose lui.

Crystal sorrise, «Oh.» commentò, «È meglio se rientriamo.» disse e si alzò in piedi. Rientrarono nel camper e Crystal rimise nel frigo la bottiglietta e andò a letto, si coprì e fissò Benjamin sdraiarsi nel sacco a pelo. «Buona notte.» mormorò.

«Buona notte.» soffiò lui. 


Seconda parte del terzo capitolo. Scusate il ritardo, ma mi sono dimenticata di postare! Grazie a chi legge, chi commenta e chi mette la storia fra i preferiti.

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Capitolo 6
*** 4. Quarto Giorno ***


Projeus:
The Big War

4.
Quarto Giorno

Martedì 8 Settembre.

James inspirò a fondo e aprì gli occhi, fissando il soffitto della sua camera. Sospirò, sentendosi sempre più stanco, anche se si era appena svegliato. Era tutta quella situazione che lo stancava. Avrebbe voluto fare di più, invece di starsene lì e organizzare squadre di ricerca. Avrebbe voluto scendere in campo, andare a cercare i dispersi, muovere le mani e spaccare qualche naso, invece preferivano averlo lì.

Avrebbe voluto che gli altri smettessero di fissarlo come se fosse lui la talpa, come se lui fosse colpevole di quello che aveva fatto suo padre, troppo invidioso di Dawn e Steven, così invidioso da volerli morti, dal volere incastrare i genitori di Nick, George e Katelynn.

Il ragazzo sospirò nel ricordare la rivalità, durata qualche anno, fra lui e Dawn, ma era un qualcosa di cameratesco, e lui non avrebbe mai immaginato che suo padre facesse tutto ciò.

«James?»

«Sei sveglia.»

Katelynn sorrise, «Sì.» disse accoccolandosi contro di lui. «Brutti pensieri?» domandò sfiorandogli il torace nudo.

James sospirò e le toccò i capelli rossi, «Sì.» rispose, «Non farci caso.» sospirò.

Katelynn inspirò piano e lo guardò, «Sicuro?» domandò sfiorandogli il torace.

«Sì.» rispose lui guardandola appena, sapendo che stava mentendo. Non era sicuro di niente. Katelynn sorrise appena e si accoccolò contro di lui, sfiorando il cotone pesante delle lenzuola.

«Okay.» mormorò lei e chiuse gli occhi, «È presto, dormi un altro po'» soffiò.

«Anche tu.» mormorò James baciandole la testa.

Katelynn sorrise e annuì, gli baciò una guancia e posò la testa sul torace del ragazzo e chiuse gli occhi.

James inspirò a fondo e continuò a guardare il soffitto. Rimase così per diversi minuti, fino a quando non sentì il respiro lento e regolare di Katelynn. Solo allora la scostò con delicatezza, scivolò fuori da letto, afferrò i sui vestiti e andò in bagno.

Mezzora dopo era al piano terra, diretto alla caffetteria ancora chiusa. Inspirò a fondo mentre versava il caffè in una tazza.

«Già sveglio?»

James si voltò e sorrise a Dawn, «Sì.» rispose, «Non riuscivo a dormire.» sospirò.

Anche Dawn si versò un caffè, «Ti capisco.» disse, «Hai lasciato un biglietto a Katelynn?» domandò e ridacchiò nel vedere James sussultare.

«Ma che...» borbottò il ragazzo.

«Guarda che lo sanno tutti.» sorrise Dawn e zuccherò il caffè, «Bhe, quasi tutti.» scrollò le spalle, «George ne è all'oscuro.»

James deglutì il sorso di caffè, «Bhe... non è niente.» disse, «Solo sesso.» mugugnò, «Ci vediamo.» aggiunse e si allontanò.

Dawn lo fissò, scosse la testa e andò nel suo ufficio, proprio davanti a quello di James. Si disse che avrebbe parlato con lui più tardi, ricordandogli che a George la spiegazione “Solo sesso” non avrebbe convinto per nulla e che, se avesse voluto, avrebbe potuto infilarlo in una scatoletta di tonno con una mano sola.

Scosse la testa e si accomodò sulla sua poltrona con un sospiro, posò la tazza del caffè accanto al tappetino del mouse e fissò lo schermo nero del computer, lo accese e attese che il sistema operativo si caricasse. Aprì un programma fissando dei puntini rossi oltre il confine con il Canada. Erano un gruppo di licantropi.

I licantropi non erano dei Soldier, erano solo... licantropi, che il più delle volte causavano problemi agli allevatori di bestiame, che fossero piccoli o grandi non importava: se avevano fame per loro rubare galline da un pollaio grande quanto uno sgabuzzino o da un allevamento non importava.

Il Projeus Institute li cercava, li trovava, li stordiva e iniettava loro un chip GPS sottopelle, per tenerli sotto controllo. I più pericolosi venivano rinchiusi nelle prigioni sotterranee.

Dawn cliccò sui pallini rossi, scoprendo che il piccolo branco — erano in sei — proveniva dall'Illinois.

In un certo senso era felice che si fossero messi in salvo, leggendo velocemente i loro fascicoli aveva capito che erano una famiglia — genitori e figli — che non aveva mai causato troppi problemi se non qualche razzia di galli e galline. Controllò ancora, sperando che nessun demone si fosse risvegliato, che nessun ragazzino e invasato si mettesse a giocare con la tavola Ouija, richiamando demoni in cerca di sangue, vendetta o chissà cosa.

Inspirò a fondo, cercando di capire dove potevano essere i Soldier che stava ancora cercando. Erano tanti, troppi, sparasi in un territorio troppo grande per loro. E in più c'era in giro quello stronzo di Nelson, sbattuto fuori con disonore dall'esercito per le sue manie, non troppo ortodosse, con cui trattava i prigionieri di guerra: al primo “No” o “Non rispondo” sparava loro in testa.

Evidentemente a Erikson quei metodi piacevano, se l'aveva arruolato di nuovo.

Dawn si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione, si premette le mani sugli occhi e trattenne un urlo, la voglia di buttare tutto quanto giù dalla scrivania era molto forte. E tutto per colpa della talpa.

«Ti ucciderò, stronza.» mormorò.

Sospirò e finì il caffè, si alzò in piedi e andò alla porta, fissando quella di fronte e la raggiunse dopo averci pensato una manciata di secondi. Spalancò la porta di legno scuro e fissò James seduto al pc.

«Cosa fai?» domandò.

«Gioco a Freecell.» rispose l'altro, «Dovresti bussare.» aggiunse senza alzare il viso.

Dawn scrollò le spalle e si avvicinò, «Sei innamorato di Katelynn?» domandò.

James la fissò, puntando i suoi occhi verde scuro in quelli chiari di lei, «È solo sesso.» rispose, tornando a fissare lo schermo LCD, «Te l'ho già detto.»

«Lo so.» rispose lei appoggiando le mani sul ripiano della scrivania, «Ma lo sai che se George lo scoprisse ti ridurrebbe a fettine?»

«Kat ha ventitré anni.» disse lui, senza spostare lo sguardo, «È maggiorenne e può darmi fuoco con un dito.»

«Per George è la sua adorata sorellina.» Dawn sorrise, «È normale.» disse, «Tu non lo faresti?» chiese, «Se avessi una sorella minore non ti preoccuperesti per lei?»

James sospirò, «Perché mi fai tutte queste domande?» domandò, «Kat non è la tua migliore amica.»

Dawn inspirò a fondo, «No, però è mia amica.» replicò, «Come lo è George.» disse, «Come lo sei tu.»

James la fissò, «E quindi?» domandò, chiedendosi dove volesse andare a parare, erano troppe domande, soprattutto se fatte all'alba.

«E quindi niente, stai solo attento.» sospirò lei, «Con tutti i casini che abbiamo l'ultima cosa che ci vorrebbe è una rissa.»

«Nessuno ti ha chiesto niente.»

«Come siamo acidi.» commentò Dawn, «Il mio è solo un consiglio.» disse.

James la guardò appena, «Bhe, grazie.» disse, «Ma ne faccio a meno.»

Dawn sospirò, sapendo che sarebbe stato inutile continuare quel discorso, James sapeva essere più testardo di un mulo. Sbuffò, «Le tue squadre?»

«Altri tre morti.» rispose James, «Un elettrocinetico e due pirocinetici.» spiegò, «Va sempre peggio.» aggiunse.

Dawn si limitò ad annuire. «Se sposti il sette di quadri liberi il due di picche, così puoi spostare anche il tre e il quattro...»

«Dawn!» esclamò James, «Smettila, ho il mio metodo.»

«Il tuo metodo ti farà perdere.» disse lei.

«Dawn.» ringhiò lui.

Lei rise, «Okay.» disse, «Ci vediamo.» aggiunse e se ne andò, capendo che era meglio lasciare James da solo.

Lui la fissò chiudere la porta e sospirò, spostò il sette su una casella libera, mise il due sopra l'asso, ci aggiunse il tre e il quattro e bevve un sorso di caffè.

❖.❖.❖

Erikson fissò i suoi sottoposti, le persone migliori che potesse trovare: erano fedeli, facevano poche domande e, soprattutto, ubbidivano ai suoi ordini senza fiatare.

Osservò l'enorme schermo che occupava un'intera parete, e guardò la cartina degli Stati Uniti, quei mostri stavano diminuendo sempre di più, anche se alcuni gli erano scappati.

«Ne abbiamo presi altri quattro, signore.» esclamò un ragazzo alto e magro, con la pelle segnata dalle cicatrice dell'acne.

Erikson lo guardò appena, «Bene.» commentò, «Portateli qui.» disse, «Cosa sono?»

«Due mutaforma: un orso e un alce e gli altri due hanno il potere della corsa.» rispose il ragazzo mentre gli occhiali tondi gli scivolavano sul naso.

«Un orso?» commentò il Presidente, «Bruno?» chiese e l'altro annuì, «Perfetto.» sorrise, «Ho in mente una cosa per lui.» aggiunse mentre il sorriso si allargava sempre di più, inquietando il giovane sottoposto.

«Sì, signore.» disse il ragazzo.

«Io vado nel mio ufficio.» esclamò Erikson, «Fammi sapere quando sarà qui.» ordinò, «E voglio la colazione.» aggiunse.

Il sottoposto annuì, «Sì, signore.» disse, «Subito, signore.» e si allontanò sotto lo sguardo del presidente.

Pochi minuti dopo l'uomo era nel suo ufficio, dove si sedette sulla sua comoda poltrona.

Essere a capo degli Stati Uniti era sempre stato il suo sogno e la morte del precedente presidente, Oscar Simpson, per infarto era stata una manna dal cielo. Lui era salito al potere, spodestando gli altri, prima come Senatore dell'Ohio, poi come Leader della Maggioranza del Senato per poi diventare Vice Presidente e, infine, presidente.

Quella data, il 18 Luglio 2012, era importante, se non di più, del suo compleanno. Quella era la data in cui Simpson era spirato e lui aveva giurato sulla Bibbia, a quarant'anni, come più giovane Presidente degli Stati Uniti D'America.

All'inizio era stato bravo e generoso, promettendo di tutto e di più, per poi dare ciò che aveva promesso, salvo poi iniziare a mettere in pratica il suo piano: catturare quei mostri, trasformandoli nei suoi giocattolini privati. Lo divertiva vederli legati ai tavoli di acciaio — gli stessi tavoli che si potevano trovare in un obitorio ben attrezzato — e urlare per i trattamenti. Alcuni si sottoponevano di propria iniziativa, pensando di guarire, non sapendo che invece sarebbero diventati ancora più mostruosi, dei giocattolini mandanti in giro per creare scompiglio, paura e terrore.

«La sua colazione.»

La cameriera entrò nella stanza, strappando il presidente dai suoi pensieri. «Grazie, Lisa.» disse e osservò l'anziana signora posare il vassoio sul tavolo tondo. Una volta la settantenne era stata la sua tata e lui l'aveva voluta con sé, dopo essersi accertato che non fosse pericolosa.

«Di niente, signore.» esclamò Lisa, «I gemelli si sono svegliati.»

Erikson annuì, «Bene.» disse, «Fagli fare i compiti.» ordinò, «Dopo passo a controllare.»

Lisa annuì, salutò l'uomo e uscì.

Erikson si sedette al tavolino e iniziò a mangiare, in solitudine, come era abituato a fare. Aveva una moglie e due figli solo perché era una delle cose da fare, una cosa che, secondo lui, rendeva un uomo di potere più affidabile. A lui di sua moglie non importava molto, era solo una delle tante pedine nelle sue mani. Di Josh e Tim invece sì. Erano ancora piccoli, avevano otto anni ma li stava crescendo come voleva lui, insegnando loro che i mostri andavano combattuti, uccisi, analizzati, portarti dalla loro parte, usando le buone o le cattive maniere. Meglio se cattive.

Mentre tagliava il bacon pensò che la Casa Bianca gli mancava ma starsene lì, in mezzo al nulla era più sicuro. C'erano quelli, quelli del Projeus Institute che lo cercavano ed era sicuro che lo avrebbero ucciso se solo ne avessero avuto l'occasione. E lui non voleva dargliela; poi la C.I.A e l'F.B.I, che lo braccavano, che volevano catturarlo e gli altri membri del Gabinetto che volevano farlo fuori.

Quindi meglio starsene lontano da tutti e vivere in pace. Aveva portato con sé i suoi uomini migliori, soldati addestrati e gente che per qualche centone avrebbe venduto la propria madre.

Mentre masticava la carne, pulendosi di tanto in tanto le labbra sottili, pensò che tutto stava procedendo secondo i piani. Certo, quei tre marmocchi erano sfuggiti da sotto il naso di Nelson — e avrebbe voluto prenderlo a cinghiate solo per quello — ma erano bambini, si disse che forse erano già morti, magari caduti in qualche dirupo.

Scrollò le spalle e sorseggiò il succo d'arancia. Aveva cose più importanti a cui pensare, come quell'orso che sarebbe arrivato presto.

❖.❖.❖

Kyle fissò il letto in fondo al piccolo camper, guardando la bambina che dormiva sulla schiena di Crystal, e si domandò se non fosse scomoda la più piccola e se la ragazza non si fosse accorta di nulla.

«Puoi spostarla?»

Kyle sussultò nel vedere Crystal aprire gli occhi, annuì e si avvicinò con un solo passo, sollevò Emily e la spostò accanto alla giovane, che si mise seduta e stiracchiò la schiena e le braccia, facendo scrocchiare le ossa.

«Grazie.» disse lei, «Benjamin?» domandò.

«Credo sia fuori.» rispose.

Crystal annuì e gettò uno sguardo nel passeggino, fissando Sarah che dormiva tranquilla, «Jenna?» domandò.

«Sono sveglia.» mormorò la donna scendendo dal letto a soppalco.

Mentre la donna si passava le mani fra i capelli castani arruffati Crystal la osservò, domandandosi da dove potesse provenire: dalla carnagione avrebbe detto Sud America, ma non ne era sicura, era come se avesse diverse origini, come se ognuno dei suoi nonni provenisse da un Paese diverso. Ma era davvero bella con gli occhi castani dal taglio allungato, la pelle leggermente scura e i capelli castani tagliati in modo asimmetrico.

Decise di non pensarci e si infilò in bagno, uscendone cinque minuti dopo con i capelli legati in una coda alta.

Benjamin rientrò in quel momento. «È tutto libero.» disse, «Non ci sono persone nel raggio di...» scrollò le spalle «cinque isolati.»

Kyle annuì e fissò Jenna chiudersi in bagno, «Bene.» commentò, «È un inizio.» sospirò, guardò Crystal prendere il suo zaino, aprirlo e tirare fuori il barattolo con il caffè solubile. «Caffè!» esclamò.

«È quello solubile.» disse Crystal, «Niente di che.»

«E quindi? È il mio preferito!» esclamò Kyle.

«Prepara quel caffè.» sbadigliò Jenna uscendo dal bagno, «Altrimenti ti seguirà come un cagnolino.»

«Non è vero.» replicò Kyle, vagamente indispettito, «È solo che voglio il caffè.»

Jenna alzò gli occhi al cielo, «Certo.» borbottò, «Svegliamo i bambini, facciamo colazione e andiamocene.» disse.

Crystal annuì, posò il barattolo sul ripiano e tolse il coperchio in plastica, spostò il sguardo verso destra, fissando il torace ampio e muscoloso di Kyle. Alzò il viso e lo guardò, «Se ti sposti prendo il pentolino per scaldare l'acqua.» esclamò, leggermente divertita. «Sembri un bambino la sera della Vigilia.» commentò mentre l'uomo indietreggiava. Prese il pentolino, lo riempì d'acqua e lo mise sul fornello acceso.

«Non è vero.» replicò Kyle mentre Benjamin alzava Sarah dal passeggino.

«Va cambiata.» esclamò il mutaforma, per poi passare la bambina a Jenna, che ritornò in bagno.

Dieci minuti dopo Sarah era nel seggiolino auto, che mangiucchiava un biscotto dopo aver bevuto un intero biberon di latte in un paio di minuti. Gli altri erano seduti a fare colazione, con Kyle che sospirava dal piacere a ogni sorso di caffè.

«È caffè, Kyle.» borbottò Jenna.

«Ma mi piace.» replicò lui e Jenna non disse nulla, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo.

Fecero colazione parlando appena, decidendo solo di proseguire verso nord. Alle otto e mezza Benjamin spalancò le porte del casolare e Kyle guidò il camper all'aperto, il mutaforma salì sul mezzo e partirono.

❖.❖.❖

Marie-Anne sbuffò mentre arrancava fra l'erba alta dei campi. Continuava a pensare che se l'avessero ascoltata non sarebbero finiti in quella situazione. «Dove stiamo andando?» domandò.

Erik sbuffò, «Verso il Canada.» rispose.

«A piedi!?» esclamò Marie-Anne, «Non arriveremo mai.» piagnucolò, «Ci uccideranno.» mormorò.

«E allora muoviti.» sbottò Erik senza voltarsi, iniziando a sopportare sempre di meno la ragazza e i suoi piagnistei. «Vediamo di trovare un auto abbandonata, di farla ripartire e di allontanarci in fretta.» disse.

Marie-Anne ingoiò il groppo che aveva in gola e proseguì, stringendo forte gli spallacci dello zaino, dicendosi che dovevano ascoltarla, che avrebbero dovuto prendere una statale o un'interstatale.

«Vuoi ancora cercare quella persona?» domandò Kathy, che camminava al fianco di Samuel.

«Certo.» rispose Erik, «Più siamo meglio è.» disse.

«Magari sa da che parte dobbiamo andare una volta oltrepassato il confine.» esclamò Samuel togliendosi gli occhiali, e pulì le lenti con l'orlo della maglietta.

«Bhe, sarebbe fantastico.» disse Erik e si fermò, fissò davanti a sé e inspirò a fondo. Poi si voltò, fissando gli altri tre. «Là c'è un bar.» esclamò, «Adesso ci calmiamo e andiamo lì, entriamo, facciamo quelli che hanno fatto del campeggio un po' troppo estremo, facciamo colazione e ce ne andiamo.» disse, «Niente piagnistei, sono stato chiaro?»

Samuel e Kathy annuirono mentre Marie-Anne si bloccò, rimanendo a bocca aperta per un'istante. Alla fine annuì anche lei, anche se il pensiero di proseguire a piedi fino al Canada la terrorizzava, pensò che ci avrebbero messo molto tempo, che avrebbero impiegato mesi, che sarebbero morti prima, che era lei a dover decidere. Per un momento pensò di lasciarli lì e chiedere un passaggio a qualcuno, preferibilmente una donna. Però, alla fine, seguì Erik e gli altri perché era sempre meglio che starsene da sola. E perché, forse, gli altri avrebbero cambiato idea.

❖.❖.❖

Crystal guardò fuori dal finestrino, fissando il paesaggio che scorreva senza vederlo veramente.

«Dove siamo?» esclamò Emily, seduta sul divano letto.

«Nei pressi di Moorefield.» rispose Kyle, «Fra un paio d'ore saremo in Pennsylvania.» disse, «Ma prima dobbiamo fermarci a fare benzina.» sospirò.

«C'è un benzinaio a una decina di miglia a nord ovest da qui.» esclamò Jenna fissando la cartina.

«E poi?» chiese Benjamin. «E poi da che parte proseguiamo?» domandò, «Cerchiamo di attraversare uno dei grandi laghi oppure andiamo verso il Vermont, il New Hampshire o il Maine, così, magari abbiamo un po' di possibilità in più?»

Kyle strinse le mani sul volante mentre Jenna di girava verso il mutaforma, «Non ne ho idea.» rispose l'uomo, «Se passiamo dai laghi arriviamo prima in Canada, ma se hanno costruito dei muri lungo gli argini dei fiumi e dei laghi siamo fottuti.» disse. «Proseguire verso nord e sperare di passare da un bosco o una cosa del genere sarebbe meglio, ma anche lì va a culo.» continuò.

«Eh, lo so.» sospirò Benjamin e guardò Crystal, che lo osservò con gli occhi sgranati, «Ma dobbiamo scegliere.» esclamò, dicendosi che, qualunque strada avrebbero preso, non sarebbe stato facile raggiungere il Canada

Crystal fissò Sarah mangiare un biscotto e le pulì la bocca con l'angolo di un fazzoletto, «Non sarà facile.» sospirò.

«Già.» sospirò Kyle. «Sarà complicato, qualunque strada prendiamo.»

E poi calò il silenzio.

❖.❖.❖

Samuel lasciò la mano di Kathy e toccò la spalla di Erik. «Sangue.» soffiò.

«Umano?» chiese l'altro fermandosi così improvvisamente che Marie-Anne rischiò di finirgli addosso.

Samuel annuì. «Sì.» disse. «Davanti a noi, a circa...» scrollò le spalle «mezzo miglio.» disse. «Più o meno.»

Erik prese un respiro profondo, «Sentite altro?» domandò fissando Samuel e Kathy.

«No.» rispose la ragazza.

«Bene.» mugugnò il Cercatore. «Non sento nulla neppure io.» sospirò. «Andiamo.» disse, «Vediamo se qualcosa può tornarci utile.» disse.

Marie-Anne sgranò gli occhi, domandandosi come potesse essere così insensibile. Se c'era sangue c'erano dei feriti, magari anche gravi, e lui voleva approfittarne? “Sciacallo.” pensò. Ma seguì gli altri tre senza dire una parola.

Una decina di minuti dopo arrivarono ai margini di un grande prato. Erik, sottovoce, ordinò a tutti di nascondersi dietro dei cespugli. Sì concentrò, espandendo il proprio potere. Niente. L'unico essere vivente — oltre a loro quattro — era una lepre poco lontana. «Non c'è nessuno.» disse alzandosi, recuperò lo zaino e lo mise in spalla. «Prendiamoci il camper.» disse e lo indicò, indicando l'enorme motorhome bianco con una grossa striscia blu che correva lungo la fiancata.

«Vuoi rubargli il camper?» squittì Marie-Anne, «Ma è un reato!»

«Vuoi andare a piedi?» ringhiò Erik avvicinandosi a lei e piegando la testa per poterla fissare negli occhi, «Accomodati.»

«Sono tutti morti.» commento Kathy e portò le mani al viso, si coprì le labbra per reprimere l'urlo e la nausea che l'aveva travolta alla vista dei sei corpi stesi sull'erba.

«Hanno incontrato uno di quei cazzo di mutanti.» sputò Samuel fissando una bambina con due lunghe trecce bionde sporche di sangue e l'addome squarciato. Deglutì e distolse lo sguardo. Era una famiglia. Probabilmente in fuga o forse in vacanza. Era sicuro che non fossero mutaforma ma ciò non voleva dire che non fossero altro.

Erik spalancò la porta del camper e sorrise quando vide le chiavi buttate sul sedile del conducente.

Salì, afferrò le chiavi e si sedette dopo aver abbandonato lo zaino sulla panca a ferro di cavallo. Inserì la chiave e la girò, sorridendo nel sentire il motore avviarsi. Sorrise ancora di più quando il computer di bordo rivelò che il serbatoio era pieno per tre quarti. «Salite!» esclamò.

Samuel, Kathy e Marie-Anne non se lo fecero ripetere due volte: Samuel salì per ultimo, chiuse la porta e si accomodò accanto a Erik, mentre le due ragazze si sedettero sulla panca. Trenta secondi dopo, il camper era sulla strada principale.

Kathy inspirò a fondo, cercando di scacciare l'immagine di quei corpi martoriati e l'odore del sangue. Dopo un paio di minuti si alzò e aprì ogni pensile e mobiletto che trovò. «Abbiamo del cibo.» disse. «Non tanto, ma per un paio di giorni basterà.» commentò.

«In un paio di giorni voglio essere in Canada.» commentò Erik.

Marie-Anne afferrò il bicchiere di acqua che Kathy le aveva messo davanti e lo bevve in un sorso. Voleva dimenticare quello che aveva appena visto, l'odore che aveva sentito. Voleva solo scappare e fuggire lontano.

Voleva solo salvarsi.

❖.❖.❖

Kyle fermò il Westfalia nel parcheggio di una stazione di servizio. Jenna si alzò dal suo sedile e si avvicinò ai bambini. «Dovete fare una cosa, ora.» disse sedendosi sul letto.

«Cosa?» chiese Emily.

«Io e Kyle facciamo benzina, mentre Benjamin, Crystal e Sarah vanno dentro e comprano qualcosa da mangiare.» spiegò Jenna, «Voi dovete chiudervi nel bagno.»

«Perché?» domandò William.

«Perché questo è un camper da cinque persone, non da sette.» rispose la donna, «Se vi vedono rischiamo che la polizia ci fermi e noi non lo vogliamo.» continuò e sorrise dolcemente mentre accarezzava i capelli della bambina. «Avete capito?» domandò e i bambini annuirono. «Non ci starete tanto, solo una decina di minuti.» disse; si alzò in piedi, aprì la porta del bagno, controllò che la tavoletta del wc fosse abbassata e ci fece sedere al bambina, recuperò lo sgabello e William si sedette. Jenna chiuse la porta e fissò Crystal con in braccio la bambina e Benjamin che portava fuori il passaggio dal camper. Quando i due mutaforma si furono allontanati, Kyle guidò fino alle pompe di benzina.

Crystal sistemò Sarah nel passeggino e inspirò a fondo, si guardò attorno e sospirò. Non si sentiva tranquilla.

«Crystal?» la chiamò Benjamin, «Tutto bene?»

Lei scrollò le spalle e strinse i manici del passeggino, «Un po' d'ansia.» rispose.

«Siamo tutti ansiosi.» fece lui e le strinse brevemente una spalla. Entrarono nel mini-market e il ragazzo afferrò uno dei cestini, che riempirono con pane a fette confezionato, barrette energetiche, scatolette di tonno, mais e carne in gelatina, un paio di pacchi di biscotti, confezioni di caffè solubile, un pacco da dodici di lattine di birra, quattro bottiglie di latte e una decina di tavolette di cioccolato.

«Danno energia.» replicò Crystal quando Benjamin la osservò con curiosità. Presero anche della frutta sciroppata e disidratata, oltre a confezioni di diversi succhi — arancia, pesca e ace.

Alla cassa Benjamin prese anche un paio di casse di acqua e tre bottiglie di acqua frizzante. «Ci starà tutto?» commentò lui mentre Crystal spiegava la borsa di tela e iniziava a riporvi il cibo in modo ordinato.

«Spero di sì.» rispose lei, «Altrimenti metto qualcosa nel porta oggetti.» esclamò e continuò a riempire la borsa, lasciando fuori solo le due casse d'acqua e le tre bottiglie, che sistemò nel porta oggetti sotto al passeggino. In quel momento Sarah lanciò il ciuccio, che cadde vicino ai piedi di Crystal. La lupa lo raccolse, lo sfregò sui vestiti, lo infilò un attimo in bocca prima di ridarlo alla bambina. Fu quando alzò il viso da quello della piccola che si accorse dei fogli appesi accanto alla porta, con scritto: “- Ricercati - Vivi - Ricompensa 2'000$ a testa -” e sotto delle foto. Crystal deglutì, afferrò la borsa e agganciò i manici alle impugnature del passeggino. Guardò Benjamin, in attesa che il proprietari del mini market gli desse il resto.

«Guarda vicino alla porta.» soffiò la mutaforma all'orecchio di lui, lo disse così piano che solo Benjamin sentì.

Il ragazzo voltò appena il viso, vide quelle foto — la sua, quella di Crystal, di William, di Emily, di Jenna, di Kyle e di tanti altri che non conosceva — e sentì la testa girargli. Afferrò il resto, lo infilò nella tasca dei pantaloni, prese le casse d'acqua e seguì Crystal fuori dal negozio

«Quel bastardo.» sibilò Benjamin.

«Ci avrà riconosciuto?» mormorò Crystal.

Benjamin aprì la bocca per rispondere quando sentì il commesso chiamarli: «Voi due! Fermatevi, subito!»

I due mutaforma non si fermarono ma girarono appena la testa per guardare: l'uomo aveva in mano un fucile e li stava seguendo.

«Corri.» disse Benjamin, Crystal annuì e strinse di più le mani sul passaggio, aumentò il passo, la borsa che picchiava contro il telaio del passeggino.

Fecero solo pochi passi quando si udì lo sparo. «Fermatevi!» gridò l'uomo mentre la gente urlava.

Kyle si sporse oltre l'angolo e sgranò gli occhi a quella vista: Benjamin e Crystal che scappavano, inseguiti da un uomo che cercava di sparare loro.

Crystal scartò un uomo che correva verso di lei e Sarah scoppiò a piangere. Due secondi dopo raggiunse Kyle, tolse la bambina dal passeggino e la strinse al petto, mentre Kyle sollevava il passeggino e la borsa come se fossero leggerissimi. Crystal entrò nel camper e arrivò al letto sul fondo, un attimo dopo Kyle spinse il passeggino, che si incastrò fra il tavolino e il sedile del guidatore, ribaltandosi sul lato sinistro, minacciando di rivoltarsi da un momento all'altro a causa del peso eccessivo della borsa. Fece salire Jenna e Benjamin, chiuse la porta, si sedette al posto di guida, infilò la chiave nell'accensione e avviò il motore.

Crystal afferrò meglio la bambina e guardò fuori attraverso il grande lunotto posteriore, fissò il commesso che urlava contro il ragazzo addetto alla pompa di benzina, lo guardò stringere meglio il fucile e si ritrovò a urlare: «Tutti giù!»

«Adesso!» strillò l'attimo dopo e si accucciò a terra, imitata da Benjamin mentre Kyle sterzava per uscire dal parcheggio e Jenna recuperava una pistola automatica dal cassetto porta oggetti del cruscotto.

L'attimo dopo un proiettile perforò il lunotto e si conficcò nella sottile parete che divideva il bagno. «I bambini!» gridò Jenna, spaventata. La porta del bagno si spalancò e i bambini ne uscirono fuori, strillando e piangendo, videro Crystal rannicchiata a terra e si buttarono su di lei mentre un altro proiettile attraversava il lunotto per poi conficcarsi nel mobiletto sopra il lavandino. Benjamin si buttò sopra Crystal e i bambini, proteggendoli.

Kyle accelerò, spingendo a fondo il pedale dell'acceleratore, rischiando di causare un'incidente a catena. Si fermò solo quando mise una quindicina di miglia fra loro e la stazione di servizio; prese una stradina di terra battuta e s'infilò in mezzo a una macchia d'alberi. Si voltò e guardò gli altri.

Jenna rimise la sicura alla pistola e la gettò sul cruscotto, «Che diavolo è successo?» domandò alzandosi in piedi.

«Avevano le nostre foto.» spiegò Benjamin sedendosi, controllò che i bambini stessero bene e sospirò, «C'è una taglia su di noi e su tutti quelli che sono come noi.» aggiunse e fissò Crystal. «Stai bene?» le chiese e lei annuì.

«Per fortuna che ci vogliono vivi.» commentò la giovane e osservò Sarah che piagnucolava. Non aveva ferite.

«State tutti bene?» commentò Kyle, ricevendo un coro di “Sì”. Benjamin afferrò Sarah, si alzò in piedi e andò a sistemare la bambina nel seggiolino.

«Sanguini.» esclamò Emily indicando il polpaccio sinistro di Crystal.

La mutaforma, seduta sul letto, abbassò lo sguardo, fissando i pantaloni sporchi di sangue. «Oh.» commentò, «Non me ne sono accorta.» disse.

Jenna la raggiunse e alzò la gamba del pantalone, «È solo un graffio.» constatò, «Ti ha preso di striscio.»

«Non è niente.» replicò Crystal, «Fra due ore non ci sarà più il segno.»

«Va disinfettato.» replicò Emily, «La mamma lo diceva sempre.» mormorò e scoppiò piangere. Crystal l'abbracciò, stringendola forte e baciandole la testa.

«Va bene, lo disinfetto.» soffiò la lupa sfiorandole la schiena. «Ho il kit del pronto soccorso nel mio zaino.»

«Prendo quello che c'era nel camper.» esclamò Jenna e si rialzò, afferrò il piccolo kit da uno degli sportelli e tornò da Crystal. «William, tieni su.» disse rialzando la gamba dei pantaloni. Il bambino annuì e lo fece, contento di essere d'aiuto. Jenna pulì il sangue usando una garza e del disinfettante.

«E il cerotto?» pigolò Emily infilandosi il pollice in bocca.

Jenna fissò Crystal che annuì così la donna coprì la piccola ferita — il proiettile si era portato via un pezzo di stoffa dei pantaloni e un poco di pelle — con un cerotto. «Fatto.» esclamò e si rialzò in piedi, gettò la garza e i resti del cerotto nel cestino sotto al lavandino e si lavò le mani. Poi si chinò, aprì il piccolo frigo, prese una lattina di birra, l'aprì e ne bevve un lungo sorso.

«Jenna!» squittì Kyle.

«Fottiti.» replicò la donna asciugandosi le labbra con il dorso della mano.

Kyle rise, «Intendevo dire che potevi aspettarci!» disse e afferrò tre lattine di birra.

Crystal spostò Emily dalle sue gambe al letto ma la bambina piagnucolò e si strinse più forte a lei, così sospirò, la sistemò meglio e si alzò in piedi, sedendosi accanto a Benjamin, che si era spostato accanto al seggiolino di Sarah, afferrò la lattina che il ragazzo aveva aperto per lei e bevve un sorso. Jenna versò del succo in due bicchieri e li diede ai bambini — William aveva preso lo sgabello dal tavolo e lo aveva portato vicino al tavolo.

«E adesso?» chiese Benjamin, «Se hanno le nostre foto, con una taglia su di noi...» scosse la testa.

«Dovremo stare più attenti.» esclamò Kyle. «Evitare di fermarci, la prossima volta che ci fermeremo a fare benzina sceglieremo un self-service.» disse e bevve un sorso di birra. «Sono quasi le undici.» commentò. «Pranziamo e ripartiamo.» disse e gli altri annuirono, troppo stanchi e spaventati per ribattere. I bambini, invece, erano terrorizzati ma non capivano perché qualcuno avesse sparato contro di loro. Quando avevano sentito le urla William aveva abbracciato forte la sorella, poi c'era stato lo sparo ed erano usciti dal bagno.

Crystal bevve un altro sorso e sospirò. «Emily?» chiamò, «Tesoro? Puoi scendere?» chiese, «Devo andare in bagno.» disse. La bambina scosse la testa e si strinse di più a lei.

«Vieni qui.» esclamò Benjamin posando la lattina sul tavolino, allungò la mano destra e sfiorò il viso della bambina, che lo fissò, annuì piano e si rifugiò fra le sue braccia. Crystal gli sorrise e si alzò in piedi.

Una volta in bagno raccolse l'asciugamani caduto, rimise a posto il rotolo di carta igienica e si guardò allo specchio, fissando il viso pallido segnato dalle occhiaie. Usò il bagno, si lavò le mani e il viso. Fu quando alzò il viso verso l'alto che si accorse di dove si fosse conficcato il proiettile: a due dita di distanza dallo specchio. Deglutì, pensando che se lo avesse preso i bambini avrebbero potuto farsi molto male.

«Ha quasi preso lo specchio.» esclamò uscendo dal bagno. «Poco più in là e...» scrollò le spalle e tornò a sedersi, fissando Emily aggrappata a Benjamin, come se non volesse più staccarsi da lui.

Jenna chiuse gli occhi per un'istante, «Dio mio.» soffiò, «Sarebbe stato terribile.» commentò e bevve ancora.

«Benjamin, vieni.» esclamò Kyle, «Ho visto che c'è un telone di plastica, usiamolo per coprire il finestrino.»

Il ragazzo annuì e si alzò, passò Emily a Crystal e seguì Kyle fuori da camper. Mentre prendevano un paio di grossi fogli di plastica, il mutaforma ripensò a quello appena accaduto. Una volta saliti sul camper, anche lui aveva visto il commesso sbraitare contro il benzinaio e stringere il fucile con due mani. Solo che Crystal aveva urlato un attimo prima che lui lo sollevasse, come se...

Scosse la testa, scacciando quei pensieri e afferrò un rotolo di nastro adesivo di colore nero, dall'aspetto resistente.

«Resisterà il vetro?» domandò Benjamin.

Kyle scosse le spalle, «Non lo so.» disse, «Se vediamo che inizia a cedere lo rompiamo del tutto.» esclamò voltando appena la testa, «Non vorrei che cascasse sopra Crystal e i bambini durante la notte.»

Benjamin annuì appena, terrorizzato da quell'eventualità. «Okay.» soffiò e salì sul camper, fissando Emily aggrappata a Crystal e William che sedeva accanto alla ragazza; insieme a Kyle sistemò due pezzi di plastica — uno sopra l'altro — sul finestrino, usando abbondanti quantità di nastro adesivo.

Nel frattempo Jenna stava preparando un pranzo veloce, la voglia di prendere la pistola e infilarla nei pantaloni che diventava sempre più grande. Se avesse visto un'altra persona con in mano un'arma gli avrebbe sparato senza lasciargli il tempo di dire una parola.

❖.❖.❖

Kyle e gli altri erano ripartiti subito dopo aver mangiato, decidendo di prendere strade poco battute, sperando di non fare brutti incontri.

I bambini dormivano sul letto, esausti da quella lunga e turbolenta mattinata.

Crystal e Benjamin se ne stavano seduti, in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, Jenna controllava ogni quarto d'ora che la pistola fosse carica e pulita — voleva evitare che si inceppasse nel momento meno opportuno.

Avevano mangiato velocemente e in silenzio — ed Emily aveva voluto restare in braccio a Crystal, rifiutando l'offerta di Benjamin di prenderla un po' in braccio.

Crystal controllò Sarah, che ciucciava un sonaglino di gomma, ignara di quello accaduto poche ore prima.

Girò la testa e accadde tutto velocemente: la fitta arrivò improvvisa e dolorosa. Si portò le mani al viso, posò i palmi sulle tempie e gemette.

«Crystal!» esclamò Benjamin girandosi verso di lei, «Che succede?» domandò preoccupato. Anche Jenna si voltò e la fissò, poi si alzò in piedi e raggiunse il tavolino con un unico passo.

«La mia testa.» pigolò la mutaforma, «Mi scoppia.» disse e chinò il capo, schiacciando forte le mani, mentre immagini le si affollavano nella mente, istantanee così veloci che non riuscì a coglierne un senso. Un animale nero, un vetro rotto, una spranga di ferro, qualcosa di rosa che si muoveva. Gridò ancora, forte e i bambini si svegliarono, terrorizzati.

«Crystal!» esclamò Benjamin toccandole la testa, mentre lei posava la fronte sul tavolo e gridava, rauca. «Crys...»

«Crystal.» la chiamò Jenna, sporgendosi sul tavolino, «Tesoro, che cosa...»

Si bloccò quando Crystal alzò la testa di scatto, i palmi ancora premuti sulle tempie, come se volesse spremere via quelle immagini. «Arrivano.» disse, gli occhi spalancati e le pupille ridotte a una punta di spillo.

«Chi?» chiese Jenna, nervosa. «Chi arriva?»

«Arrivano.» ripeté la lupa e si girò verso Benjamin che sussultò nel vedere il sangue scivolarle dal naso alle labbra. «Arrivano.»

Mentre Jenna e Benjamin cercavano spiegazioni e i bambini si abbracciavano impauriti, Kyle cambiò marcia e premette un po' di più l'acceleratore. Aveva già visto una volta una cosa simile e se Crystal diceva che stavano arrivando, lui le credeva.

Crystal reclinò di scatto la testa, emettendo un urlo strozzato. Le immagini si affollavo nella sua mente, sempre più veloci e confuse. Cose mostruose, che saltavo e ringhiavano e sputavano saliva dall'aspetto disgustoso.

«Da dove arrivano?» domandò Benjamin pulendo il viso di Crystal con un tovagliolo di carta pulito rimasto lì dopo il pranzo.

Crystal lo fissò, le mani ancora sulla testa, strizzò gli occhi e annaspò, alla ricerca d'aria — le sembrò che qualcuno le stesse stringendo con violenza i polmoni, come se volesse farli scoppiare —, «Ovunque.» soffiò spalancando gli occhi verdi.

«Quando? Quando arrivano?» chiese Jenna.

Crystal si voltò verso di lei, lentamente, «Ora.» mormorò.

Jenna si rialzò, confusa, e si girò verso Kyle, lo vide scalare la marcia e accelerare, così pensò di afferrare la pistola. Le sue dita avevano appena sfiorato il metallo lucido e freddo quando i bambini gridarono, terrorizzati e fuggirono verso i mutaforma, salendo loro in braccio.

Un'enorme e mutante lince spaccò il lunotto posteriore, distruggendolo e rompendo la plastica. Una cascata di pezzi di vetro finì sul materasso. La bestia ruggì e si issò, cercando di entrare nel veicolo, mentre Kyle cercava di non far sbandare il camper.

Jenna tirò indietro il caricatore, puntò i piedi a terra, alzò le braccia e fece fuoco, colpendo la bestia in mezzo agli occhi, uccidendola e facendola trasformare in un ragazzo dai lunghi capelli castani, che ricadevano sul materasso, impigliandosi nei pezzi di vetro. «Dio mio.» commentò la Miratrice e osservò i bambini, stretti a Benjamin e Crystal — il cui viso era di un biancore spettrale, su cui spiccavano gli occhi verdi e il rosso sbiadito del sangue.

Urlarono tutti quanti quando udirono il tonfo e Jenna rialzò di nuovo la pistola e sparò, ma era solo il cadavere che scivolava via, fuori dal camper. «State bene?» domandò.

«Sì.» mormorò Benjamin ma si tolse lo stesso la felpa, pronto a trasformarsi e attaccare chiunque fosso entrato lì dentro.

«Sì.» pigolò Crystal, sentendo l'impellente bisogno di fuggire da lì. I bambini non risposero, e Kyle mugugnò un sì poco convinto.

Jenna inspirò a fondo e urlò quando un'altra lince sbatté la testa contro il finestrino alla sua destra — proprio quello accanto a Sarah —, sì girò, la pistola alta, pronta a fare fuoco ma con la paura che le schegge di vetro avrebbero potuto ferire i bambini o Crystal e Benjamin.

Il mutaforma gettò la sua felpa sul seggiolino, coprendo Sarah, e sistemò meglio William, pronto a scattare in caso di pericolo — si sarebbe trasformato, anche se avrebbe travolto ogni cosa lì nel piccolo camper.

E la lince fece un altro salto, spaccando il vetro, mandando schegge ovunque. Jenna sparò, mirando alla testa, ma la lince scartò, finendo con le zampe sul tavolo, mentre Emily si sdraiava sul grembo di Crystal, lanciando urla di puro terrore. Benjamin ringhiò, un suono che non aveva nulla di umano e si chinò su Crystal e William, proteggendoli e impedendo a William di guardare.

Jenna sparò di nuovo, e questa volta prese in pieno in mostro che emise un urlo strozzato prima di morire. La miratrice fissò la ragazza che prima era quella lince e sospirò rumorosamente.

«State bene?» domandò Kyle. Nessuno ebbe tempo di rispondere perché qualcosa si schiantò contro il fianco destro del mezzo, facendolo sbandare. Kyle perse il controllo, il camper fece un testa-coda — Jenna si aggrappò al lavandino per non cadere — e si fermò dentro un campo.

Ci fu un attimo di silenzio, rotto solo dai singhiozzi soffocati di Sarah, Crystal si affrettò a spostare la felpa, facendo attenzione perché i vetri non cadessero nel seggiolino. Fissò la bambina, le toccò il viso, sussurrandole di smettere di piangere, che andava tutto bene. Avrebbe voluto prenderla in braccio, ma aveva paura — e in più Emily le si era seduto sul braccio — lo sentiva bloccato — e non voleva spostarla finché non avesse avuto la certezza che quelle bestie se ne fossero andate.

Jenna si girò di scatto quando sentì lo scricchiolio, nell'esatto istante in cui Kyle colpiva l'air-bag per poi slacciarsi la cintura e alzarsi in piedi. La Miratrice alzò la pistola e, un momento dopo, la porta del camper fu spalancata con così tanta forza che rimase appesa a un cardine solo. Un'altra lince entrò, passando per la stretta apertura, ringhiando e graffiando il pavimento con gli artigli lunghi e acuminati, affilati come lame di rasoi.

Benjamin fissò la bestia e sbiancò, vedendola così vicina. Quasi tremò quando quella lo osservò, «Spara!» gridò, «Jenna, spara!»

La donna alzò la pistola, ancora sconvolta e il dito sfiorò il grilletto ma non fece in tempo a premerlo: una pantera nera apparve, saltò sul dorso della bestia con un ruggito e morsicò il collo della bestia, che guaì. La pantera — un mutaforma, intuì Benjamin — trascinò l'altra fuori dal camper e si udì uno sparo. Un attimo dopo un ragazzo dai capelli neri e gli occhi blu entrò nel camper, fissò la pistola che Jenna gli puntava contro e sorrise. «Vi salviamo le chiappe e volete spararci?» domandò, sarcastico. Inspirò a fondo, fissando i presenti, «State bene?» chiese mentre accanto a lui comparì una ragazza.

«Chi sei?» esclamò Jenna, abbassando di poco la pistola.

«Erik.» rispose lui e fissò i presenti. «Siamo arrivati in tempo, a quanto vedo.» disse.

«Cosa sei?» domandò di nuovo Jenna — la pistola ancora in mano.

«Un Cercatore.» rispose lui scrollando le spalle, sentendo i singhiozzi dei bambini.

«Un Cercatore!» esclamò Kyle mentre Benjamin si alzava. Il lupo afferrò William e lo rimise in piedi, e il bambino si aggrappò alla gamba di Jenna come se da quello dipendesse la sua vita. La donna gli sfiorò la testa con una mano, l'altra ancora impegnata a stringere la pistola.

Benjamin afferrò Emily che strillò, «Crystal, alzati.» disse. La ragazza annuì e mosse il braccio sinistro. Urlò, quando si accorse che era rimasto incastrato fra il sedile e lo schienale del seggiolino.

«È incastrato.» pigolò.

«Incastrato?» esclamò Erik e si avvicinò, schiacciando pezzi di vetro. Non arrivò a Sarah, la ragazza che prima era vicino a lui fu più veloce.

«Sono Kathy.» si presentò la sconosciuta, sganciò la bambina mentre Crystal mormorava il suo nome, la sollevò e sorrise. «È tutta intera.» disse.

Erik si riscosse, sganciò il seggiolino — mormorando qualche imprecazione — e lo posò sul tavolino. Benjamin passò Emily a Kyle — la bambina piagnucolava e si succhiava il pollice destro — e aiutò Crystal ad alzarsi.

«Credo sia slogata.» disse lei portando il braccio al petto e sostenendolo con la mano destra, «Un'altra volta.» borbottò. Uscirono dal camper — Jenna prese in braccio William che non voleva muoversi — e la lupa vide un ragazzo con i capelli neri — immaginò che fosse la pantera di prima — che si stava allacciando la felpa e una ragazza, rannicchiata per terra, la testa fra le mani.

«Vieni, sistemiamo quella spalla.» esclamò Erik. Crystal annuì e si aggrappò con la mano destra a Benjamin, lui la strinse ed Erik rimise in sede la spalla. La ragazza soffocò un grido contro la spalla del lupo ma si sentì subito meglio.

Soffiò un grazie e fissò gli altri, «Voi chi siete?» domandò.

«Kathy Brown.» rispose la ragazza e diede Sarah a Crystal, che la cullò e le accarezzò la schiena.

«Samuel Forrest.» rispose il ragazzo dai capelli neri, «Il suo f danzato.» accennò con la testa a Kathy. Anche gli altri si presentarono — non lo fece la ragazza rannicchiata a terra.

Crystal osservò Erik, «Erik?» domandò, «Erik Stabler?»

Il ragazzo la fissò, sorpreso che conoscesse il suo nome. Ma era lei che cercava, ne era sicuro. «Crystal White.» sorrise.

«È lei quella che conosci?» domandò Kathy.

«Lo conosci?» chiese Benjamin avvicinandosi a Crystal come se volesse proteggerla.

La mutaforma annuì, «Sì, sua nonna abitava vicino alla mia.» raccontò.

Anche Erik sorrise, «Esatto.» disse, «E tu andavi sempre da mia nonna a lamentarti!»

Crystal fece una smorfia,«Per forza, giocavamo a nascondino e tu mi trovavi sempre.» si lamentò.

«Giocare a nascondino con un Cercatore non è la cosa più intelligente da fare.» rise Samuel. «Voi siete lupi.» indicò Benjamin e Crystal, «Voi due?» chiese indicando Jenna e Kyle, «Sono i vostri figli?» accennò ai bambini

«Miratrice.» disse Jenna, «Lui è un Forzuto.» indicò il marito, «Non sono nostri.» sospirò, «È una lunga storia...» scrollò le spalle.

Tacquero per un'istante, poi Kyle fissò la sconosciuta. «E lei? Chi è?» domandò puntandole l'indice destro.

La ragazza se ne accorse, spalancò gli occhi e si immobilizzò. Kathy la raggiunse e la strattonò, rimettendola in piedi, per poi spingerla verso gli altri. «Lei è Marie-Anne.» la presentò.

«Cosa sei?» chiese Crystal, «Non capisco.» disse.

«Uno... uno spatola rosa.» mormorò. Non voleva stare con quelli, voleva scappare, fuggire, guarire. Poi i suoi occhi castani si posarono su Benjamin. Lo trovò bellissimo e affascinate. Gli sorrise quando lui la guardò, ma il ragazzo distolse subito lo sguardo, facendola rimanere delusa.

Crystal annuì e inspirò a fondo. «Okay.» si limitò a dire.

«Tuo nonno, Crystal?» domandò.

«È morto.» rispose lei.

«Nonna?»

«Anche lei.»

«Tua madre?»

«È in giro con il suo terzo marito.» rispose Crystal, «Non so dove sia e non me ne frega nulla.» disse e un attimo dopo Erik l'abbracciò, facendo attenzione a non schiacciare la bambina.

A Kathy non sfuggì l'occhiata di Benjamin — quasi gelosa — mentre Samuel trattene un sorriso nel vedere Marie-Anne fissare Benjamin come se fosse un'apparizione mariana: aveva la bocca spalancata e gli occhi sgranati.

«Non sapevo che avessi una figlia.» commentò Erik indicando Sarah, che non piangeva più, ma si guardava attorno, incuriosita da tutta quella gente.

«Non è mia figlia.» disse lei, «È la loro sorellina.» indicò i bambini.

Erik sorrise appena. «Bhe, visto che andiamo tutti dalla stessa parte...» indicò il motorhome, «Andiamoci insieme.» esclamò.

«È enorme.» commentò Benjamin, «È vostro?» chiese.

«No, l'hanno rubato!» squittì Marie-Anne fissando Benjamin. Lui le sorrise e lei arrossì. Quel ragazzo le piaceva e lui le aveva sorriso in un modo così dolce che la mente di lei immaginò come fosse stare con lui, farsi abbracciare da lui...

«Anche noi.» disse Jenna, «Direi che è una proposta accettabile.» scrollò le spalle.

Decisero che, mentre le ragazze sarebbero andate sul camper, i ragazzi avrebbero prese le cose dal piccolo camper.

Kathy afferrò il seggiolino di Sarah che Kyle le stava porgendo e condusse le altre nel camper.

«È grandissimo.» mormorò Crystal fissando il divanetto a ferro di cavallo, al cui centro svettava un tavolino di legno chiaro.

Kathy sorrise e agganciò il seggiolino al divanetto, mentre Marie-Anne le osservava, «Dammi la bambina.» esclamò e quasi strappò Sarah dalle mani di Crystal.

La lupa la fissò sorpresa mentre la piccola piangeva a pieni polmoni, «La stai tenendo male.» commentò e, con delicatezza, la riprese, la cullò e ignorò le proteste dell'altra. Posò la bambina sul seggiolino e le sfiorò la fronte.

I ragazzi iniziarono a portare i bagagli nel camper, Crystal e Jenna sistemarono i seggiolini dei bambini e li invitarono a sedersi. In meno di una quindicina di minuti il Westfalia fu svuotato e le cose riposte in maniera abbastanza ordinata nel motorhome.

«Bene, leviamoci dai coglioni.» esclamò Erik sedendosi al posto di guida. Accanto a lui si accomodò Kyle, mentre gli altri si strinsero sul divanetto. Crystal aveva alla sua destra Benjamin, alla sua sinistra Sarah, Emily, Jenna, William, Kathy, Samuel e Marie-Anne — che era proprio davanti a Benjamin, e lo fissava ma lui la guardava appena, troppo preso dai suoi pensieri.

«Quanti anni avete?» domandò Kathy, «Io ventitré, lui» indicò Samuel «ventiquattro.»

«Venti.» sbadigliò Crystal.

«Trentadue.» disse Jenna e non vide la smorfia di Marie-Anne, che sperava di essere la più grande. «Kyle è il più vecchio, mi sa.» ridacchiò.

«Ne ho trentaquattro, non sono mica Matusalemme!» protestò l'interessato.

«Venticinque.» sospirò Benjamin.

«Ventiquattro.» sbuffò Erik, «Marie-Anne, non puoi più dire di essere la più grande.» aggiunse sotto voce. Kyle lo fissò e l'altro sorrise e scrollò le spalle.


❖.❖.❖

Si fermarono solo quando il sole stava tramontando. Ormai erano in Pennsylvania, non molto lontano da Uniontown. Erik posteggiò il grosso mezzo in una macchia di alberi.

«Posso avere un biscotto?» domandò Emily.

Crystal annuì, «Certo, tesoro.» disse e attese che Benjamin si alzasse per poter prendere la confezione dal pensile sopra il lavandino.

«No, non puoi.» sentenziò Marie-Anne, «Ti rovini la cena.» disse. Crystal la ignorò e porse un biscotto a Emily e uno a William. «Ho detto no.» esclamò.

«Rovinarsi la cena è l'ultimo dei loro problemi.» esclamò Crystal e fissò Samuel che si copriva le labbra con le mani.

«Non si mangia prima di cena.» replicò Marie-Anne. «Tu hai vent'anni, non sai come si fa con i bambini.» sentenziò.

«Almeno io non prendo in braccio una bambina come se fosse un sacco di patate.» esclamò Crystal, sorrise a Erik che le aveva porso una bottiglietta d'acqua, ne bevve un sorso e la posò sul tavolino, per poi prendere il biberon dalla borsa. «Mi sa che Sarah ha fame.» commentò, osservando la bambina che faceva delle smorfie.

Marie-Anne spalancò gli occhi e le strappò il biberon dalle mani, «Faccio io.» esclamò, afferrò la tettarella e la tirò, «L'hai rotto, non si apre.» disse, «Sei una stupida.»

Crystal trattenne una risata — e la voglia di prenderla a sberle —, riprese il biberon, girò la ghiera e l'aprì. «Non hai mai fatto la baby sitter, vero?» commentò mentre svuotava una bottiglietta d'acqua nel recipiente di plastica. «Non fare la mammina se non ne sei capace.» commentò. «E comunque non ci vuole una laurea per aprire un biberon.» borbottò.

Un attimo dopo la porta del camper si spalancò e Samuel uscì di corsa, dopo una manciata di secondi scoppiò a ridere. «Che ha?» domandò Crystal richiudendo il biberon.

«Nah, niente.» rispose Kathy, «Ha un pessimo senso dell'umorismo.» disse. Crystal scrollò le spalle, infilò il biberon nella base dello scalda biberon e si sedette.

Marie-Anne li fissò, incrociò le braccia e si sedette, offesa per il modo in cui Crystal l'aveva trattata. Fissò Benjamin, sperando di trovare un aiuto da lui, ma il ragazzo stava parlando con Erik e Kyle. Odiò Samuel, che rideva di lei. Fissò Crystal dare il biberon alla bambina e si sentì ancora più arrabbiata: doveva darglielo lei, non Crystal, o tantomeno Jenna. Non le importava che fosse più grande, in quel momento, mentre la Miratrice rideva a una battuta di Kyle, le sembrò infantile.

«Ti sei dato una calmata, Sam?» esclamò Erik quando Samuel rientrò nel camper.

«Sì.» rispose l'altro, «Scusatemi, è che certe cose sono...» scrollò le spalle, «Così divertenti.» esclamò.

Kathy si limitò ad alzare gli occhi al cielo. «Cosa mangiamo?» domandò.


Avevano appena finito di cenare e lavare le posate — avevano usato piatti e bicchieri di plastica — quando Erik afferrò le lattine di birra.

«Cristal non può bere!» esclamò Marie-Anne, «È minorenne!»

L'altra alzò gli occhi al cielo, afferrò la lattina e la stappò, «Ma taci.» borbottò, «Non è il momento per pensare all'età.»

Marie-Anne spalancò la bocca e fece per rispondere, poi vide Samuel che si tratteneva dal ridere e tacque, non volendo dargli un motivo per prenderla in giro. Afferrò l'anello di metallo e strappò la linguetta, per poi berne un soffio, cercando di trattenere una smorfia di disgusto.

«Come ci sistemiamo per dormire?» domandò Erik, «Assodato che ci sono due coppie,» guardò brevemente Samuel «chi dorme con chi e dove?» chiese.

«Io lassù non ci dormo.» Samuel indicò il letto sopra la cabina, «Rischierei di ammazzarmi ogni volta che ci salgo o scendo.» disse.

«Stiamo noi lì.» disse Kyle.

«Ma sei un mutaforma!» esclamò Erik, «Come fai a essere così impedito?» sbottò e scosse la testa, «I bambini dormono nella camera.» continuò, «Con Crystal, Kathy e Marie-Anne.» disse, «Noi dormiremo qui.» batté una mano sul tavolo.

«Sul tavolo?» pigolò Emily, «Non è scomodo?»

«È un tavolo magico, principessa.» Erik le sorrise e la bambina arrossì, «Diventa un letto.»

«Oh.» la bambina ridacchiò. «Ma io con lei» agitò la mano verso Marie-Anne «non dormo, puzza.»

«Emily!» squittì Crystal, «Non si dicono queste cose.» esclamò, imbarazzata.

«Ma è vero!» ribatté Emily, «Io con lei non ci dormo.» disse e incrociò le braccia.

Erik trattenne un risolino nel vedere il viso imbarazzato di Marie-Anne. «Quindi? Che si fa?» chiese.

«Io dormo per terra.» Benjamin scrollò le spalle e sorseggiò la birra, «Non è un problema. Si accorse che Marie-Anne lo stava guardando e le sorrise, facendola arrossire.

La ragazza pensò che fosse bellissimo e che non le importava se lui fosse di un anno più piccolo.

«Okay.» sospirò Erik. «Quindi?»

«Quindi io e Samuel dormiamo qui.» Kathy indicò il tavolino, «Con Marie-Anne.» aggiunse e strinse la coscia di Samuel mentre lo fissava, «Se ci stringiamo ci sta anche Erik.» disse.

«Cosa? No!» esclamò Marie-Anne, «Io non dormo con due ragazzi!» disse, «La prendo io la camera e dormo con i bambini e con Benjamin.» aggiunse.

«No.» protestò Emily, «Io dormo con Jenna, allora.»

«Anche io.» si intromise William.

Erik chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie per qualche istante. «Jenna e Kyle sul letto in cabina, Crystal e i bambini nella camera, io e Benjamin per terra, Kathy, Samuel e Marie-Anne sull'altro letto.» disse. «Non si discute, chiaro?» domandò fissando Marie-Anne, seduta alla sua sinistra. La ragazza si ritrovò ad annuire, arrabbiata perché avrebbe voluto tanto dormire con Benjamin e perché nessuno prendeva in considerazione la sua opinione, preferendo dare ascolto a una bambina.

«Per me va bene.» esclamò Crystal.

«Cosa siete?» domandò Kathy lasciando la gamba di Samuel e fissando i bambini.

«Elettrocinetico.» rispose William con un sorriso.

«Cercatrice.» rispose Emily, «Trovo le cose.» aggiunse orgogliosa.

Erik, Samuel e Kathy la osservarono sorpresi, «Sei una Cercatrice, principessa?» domandò il primo e la bambina annuì, «Anche io.» sorrise.

«Due Cercatori in pochi metri quadri... è una cosa epica.» esclamò Kathy.

«Due lupi, due pantere, una Miratrice, un forzuto, due Cercatori e un elettrocinetico...» sospirò Erik, «Siamo messi bene, dopotutto.» sorrise.

«E io?» squittì Marie-Anne.

«Tu sei una spatola rosa.» replicò il Cercatore, «E in più lo hai appena scoperto.» disse, «Oltre ad avere paura della tua ombra.»

Marie-Anne lo fissò offesa, «Io non lo sapevo, sono stata adottata e nessuno me lo ha detto.» piagnucolò. «E la mia mamma è morta, non ho più nessuno.» mormorò.

«Se lo ha appena scoperto è normale che sia spaventata.» disse Benjamin — non rivelando che anche sua madre fosse morta — e Marie-Anne gli sorrise, grata che qualcuno la capisse e prendesse le sue difese.

Erik scrollò le spalle, «Abbiamo tutti paura.» esclamò, «Solo che fare l'isterica non è di aiuto.» sospirò, «Abbiamo già tre bambini, averne anche una quarta di ventisei anni è troppo.»

«Come hai fatto a non saperlo?» domandò Crystal, «Mai avuto l'impellente bisogno di trasformarti?» chiese. «Comunque potrebbe essere utile: in volo potrebbe far cadere una pietra in testa a quelle bestie e ammazzarli.»

Marie-Anne la fissò con orrore. «Io non voglio, ho paura.» pigolò.

«Eh, bhe, allora così sei inutile.» commentò l'altra scrollando le spalle, fissò i bambini che iniziavano ad avere sonno e sospirò.

«Erik, hai una sigaretta?» domandò Samuel trattenendo una risata che minacciava di uscire prepotente.

«Certo.» rispose l'altro.

«Oh, se fumate voi lo faccio anche io.» disse Kyle.

«Avevi smesso.» replicò Jenna.

«Tesoro mio, non è questa che mi ucciderà.» esclamò ridendo l'interessato e uscì anche lui, seguendo Samuel.

«Vieni?» domandò Erik a Benjamin che annuì e si alzò in piedi e uscirono anche loro due. Samuel dava le schiena agli altri, le spalle scosse da risate silenziose. Erik alzò gli occhi al cielo a quella vista, «Sam, capisco che certe reazioni di Marie-Anne siano esilaranti, ma cerca di contenerti!» esclamò, recuperò il pacchetto di sigarette e l'accendino dalla tasca della giacca di jeans e li porse a Kyle che si accese una sigaretta, sputò la mano verso Benjamin, che lo fissò per un paio di secondi per poi scrollare le spalle e recuperare una sigaretta.

«Non posso fare a meno di ridere.» gracchiò Samuel voltandosi, «Non è colpa mia se è così divertente!» rise e prese una sigaretta, ringraziò Benjamin per l'accendino, inspirò la prima boccata e fece un risolino. «Dai, insomma... lo vedete anche voi come reagisce!» squittì.

«Ma ridere davanti a lei non è carino.» osservò Benjamin.

Erik sbuffò, «È stupida.» disse, «Se fa l'isterica rischia di farci ammazzare tutti.» disse, «Inoltre ha questa convinzione che lei è la più grande e deve decidere lei.»

Kyle aggrottò le sopracciglia, «Che assurdità.» commentò, «E comunque ora non è la più grande.» osservò. «E si decide insieme.»

Erik scrollò le spalle, «Altra birra?» domandò e gli altri annuirono, così tornò al camper, «Mi passi quattro birre?» domandò a Jenna, «Per favore.» le sorrise e lei annuì. Mentre aspettava, fissò Marie-Anne che cercava di cambiare il pannolino a Sarah.

«Che hai fatto?» domandò la ragazza, «Non riesco a trovare i bottoni del body!» si lamentò fissando Crystal, che se ne stava appoggiata alla parete del bagno.

«Sono pantaloni, non è un body.» esclamò Emily, «Sei stupida?»

Erik trattenne una risata, ringraziò Jenna per le lattine e tornò dagli altri.

«Perché ridi?» domandò Samuel prendendo una delle lattine.

«Perché è stupida.» rispose Erik.

«Chi?» domandò Kyle.

«Marie-Anne.» rispose Erik e aprì la sua lattina, «Voleva cambiare Sarah ma non si è accorta che la bambina indossa i pantaloni e non il body.» spiegò, «Emily glielo ha fatto notare e le ha chiesto se è stupida.» disse e scoppiò a ridere.

Samuel lo fissò e rise, «L'avevo detto che era scema!» gracchiò fra una risata e l'altra. Finirono di fumare e ritornarono nel camper, trovando Marie-Anne che diceva che i bambini non potevano bere del latte perché avevano avanzato la cena — ma la loro parte l'aveva finita Kyle — e che Emily non poteva usare il biberon, perché troppo grande.

«Stai zitta, che sei stupida.» replicò Emily. Samuel scoppiò a ridere di nuovo, Marie-Anne lo fissò offesa e andò a sedersi mentre Jenna scaldava del latte. In breve i bambini ebbero il loro latte. Dopo che lo finirono, Crystal controllò che si lavassero i denti, li aiutò a mettersi il pigiama e rimboccò loro le coperte, poi socchiuse la porta scorrevole. Tornò a sedersi con uno sbuffo e bevve un altro sorso di birra.

«Crystal.» chiamò Kyle, «Per prima... ecco...» si tormentò le mani, «Non è semplice...» sospirò.

«Cosa?» pigolò lei.

«Sei anche una preveggente.» sbottò Kyle.

«Ho due poteri?» gracchiò la lupa.

«Possibile.» disse Kyle. «Quel figlio di puttana di mio padre ne aveva due.» disse.

Crystal inspirò a fondo, sentendosi scossa. Non avrebbe mai immaginato una cosa del genere. «Ah.» commentò, «E farà sempre così?» chiese, «Cioè... nonna non perdeva sangue dal naso, non aveva mal di testa...»

Kyle scosse la testa, «Perché è appena... come dire, esploso.» disse, «Andrà sempre meglio.» le sorrise.

Crystal annuì, metabolizzando — o cercando di farlo — la nuova notizia.

«Bhe, questo spiega quello che è successo prima.» disse Benjamin.

«Cosa?» chiese Crystal fissandolo.

Il lupo scrollò le spalle, «Prima hai gridato un attimo prima che ci sparasse, ancora prima che quello alzasse il fucile.»

Crystal spalancò gli occhi, «Oh.» fece. «Io credevo che fosse solo una sensazione, una cosa logica da fare non pensavo che... che...» deglutì e buttò giù un sorso di birra.

«Ma ci hai salvato.» le sorrise Benjamin, scatenando un'ondata di gelosia e invidia in Marie-Anne. Anche Crystal gli sorrise.

«Bene, adesso abbiamo anche una preveggente.» esclamò Samuel bevendo la birra, «Ora dobbiamo portare le chiappe in Canada.»

«Cose gli è successo?» domandò Erik indicando la camera con un cenno della testa.

«Li abbiamo trovati noi.» disse Benjamin, «Parlavano di mostri che avevano ucciso la loro mamma.» scosse la testa, «Abbiamo controllato.» continuò, «Ed era vero.» sospirò, «Aveva l'addome squarciato e un proiettile in fronte.»

«Dio mio.» soffiò Kathy, sconvolta. Gettò un'occhiata a Sarah, che mangiucchiava un biscotto, e deglutì.

«Già.» fece Crystal, «E poi è stato il delirio: l'auto della donna era stata manomessa, c'era 'sto stronzo di Nelson che domandava dove fossero i bambini e sparava a chiunque non gli rispondesse. Anche se non lo sapevano, lui sparava.» rabbrividì e Benjamin le strinse una mano. Samuel sarebbe scoppiato a ridere nel vedere l'espressione furiosa di Marie-Anne, ma non era il momento adatto.

«C'era anche una volpe mutante.» continuò Benjamin, «Ci siamo nascosti in una casa, i soldati di Nelson avevano detto che i proprietari non c'erano e vivevano a New York.» inspirò a fondo, «Il giorno dopo, cioè ieri, abbiamo incontrato loro.» indicò Jenna e Kyle. «Ci eravamo fermati in una farmacia perché Emily doveva andare in bagno e aveva trovato quella e...» scrollò le spalle, «Abbiamo trovato tre di quelle cazzo di bestie.» sputò, «CI hanno salvato.» disse.

Jenna annuì. «Ci sono le nostre foto in giro.» disse, «C'è una taglia su di noi.»

«Una taglia?» gracchiò Kathy e si affrettò a stringere la mano del fidanzato.

«Sì.» rispose Crystal, «C'eravamo fermati perché dovevamo fare benzina e comprare qualcosa da mangiare. Noi,» indicò se stessa, Benjamin e Sarah, «siamo entrati nel minimarket e prima di uscire mi sono accorta di questi fogli, con le nostre foto. Valiamo duemila dollari da vivi.» soffiò. «Il vecchio del negozio ci ha riconosciuto e voleva spararci addosso.»

Erik si passò le mani sul viso, «Merda.» sbottò, «Merda, merda.» ripeté, «Una taglia?» commentò, «Cristo, questa ci mancava.» disse.

«C'erano anche le nostre foto?» chiese Samuel.

Benjamin e Crystal si fissarono e scossero la testa, «Non lo ricordiamo. Abbiamo notato solo le nostre.» disse.

Samuel annuì, «Va bene.» sospirò. «Siamo nella merda.» commentò, «Che si fa?»

«Niente strade primarie, solo secondarie, meglio se poche battute.» disse Erik, «Ci fermeremo solo se sarà strettamente necessario.»

«Sarebbe meglio prendere le interstatali.» squittì Marie-Anne, «Arriveremo prima!»

«Ma sei scema?» sbottò Crystal, «Non hai sentito la radio, prima?» domandò, «Hai sentito dei posti di blocco ogni dieci miglia?» chiese, «Non ci arriveremo mai, in Canada, se le prendiamo, è solo la strada più breve per finire nelle mani di Erikson.»

«Sì, ma...» pigolò Marie-Anne.

«Ma un corno.» continuò Cristal, «I bambini vivevano in paesino in culo all'universo eppure Nelson e la sua cricca hanno fatto una mattanza, la farmacia dove abbiamo conosciuto Jenna e Kyle non era neppure segnalata da nessun cartello e il benzinaio e il mini market erano quasi in mezzo a un bosco.» ricordò, «Qualsiasi strada prenderemo saremo nella merda, ma è sempre meglio che finire direttamente in bocca all'orco cattivo.»

«Giusto.» annuì Erik, «Ma chi è Nelson?» domandò.

«Un soldato.» disse Jenna, «Uno che ha evidenti problemi al cervello, violento, misogino, stronzo fino al midollo ma a Erikson evidentemente piacciono 'ste cose, visto che lo ha preso con sé.»

«Uno da cui stare alla larga.» commentò Samuel e soffocò uno sbadiglio contro la mano.

Erik finì la birra, «Andiamo a dormire, domani mattina partiamo all'alba.» disse, «Senza storie.» esclamò osservando Marie-Anne, che lo fissò con una smorfia offesa — l'ennesima di quella giornata.

Si preparano per la notte e Crystal straccò il passeggino dalla sua intelaiatura, lo posò sul letto, dalla parte dei bambini e vi adagiò Sarah, che si stava addormentando mentre succhiava il ciuccio e stringeva uno strofinaccio in micro fibra che non aveva voluto lasciare andare.

Jenna e Kyle salirono sul letto in cabina, Erik e Samuel preparano il letto, abbassando il tavolo e piegando una delle spalliere, per poi sistemare un materassino sul ripiano del tavolo. Kathy e il suo fidanzato fecero. il letto mentre Erik buttava per terra un sacco a pelo trovato nel camper. Anche Benjamin sistemò i sacchi a pelo — il suo e quello di Crystal — posizionandoli sopra il materassino da yoga; aveva deciso di sdraiarsi accanto al letto matrimoniale della stanza da letto.

«Se vuoi ci stai.» disse Crystal a bassa voce.

«No, mi va bene anche qui.» replicò Benjamin, «Non preoccuparti, starò bene.» le sorrise mentre si sedeva. «Tranquilla.» esclamò e si sdraiò, fissandola alla flebile luce prodotta dalle luci di cortesia, «Buona notte.»

«Buone notte.» sbadigliò Crystal sdraiandosi.

Marie-Anne fissò la porta della camera socchiusa e sospirò. Voleva — doveva — essere lei quella che dormiva con i bambini e con Benjamin, non quella ragazzina insolente. Avrebbe voluto prendere i bambini e andare via insieme a Benjamin. Sbadigliò e si raggomitolò dicendosi che lo avrebbe fatto sul serio, magari una volta raggiunto il Canada. Allora avrebbe lasciato quello stronzo di Erik, quell'oca di Kathy che non la difendeva mai quando quello stupido di Samuel la prendeva in giro, avrebbe detto addio a quella pazza di Jenna che girava armata di pistole e fucile, avrebbe ignorato quel Kyle che la spaventava appena posava lo sguardo su di lui e avrebbe preso a schiaffi quella smorfiosa di Crystal che faceva la super figa solo perché aveva due poteri.

Sì, lo avrebbe fatto.



Scusate l'enorme ritardo, ma sono stata bloccata :(
'Sto capitolo è stato praticamente un parto: molte scene le ho scritte almeno quattro volte, perché non riuscivo a scriverle come avevo immaginato. E in più sabato scorso mi si è rotto il cavo caricabatteria del portatile e per una settimana non ho potutuo fare nulla, odio scrivere con il cellulare!
E bhe, niente, i nostri si sono ritrovati! Ed ora sono pronti a dirigersi verso il Canada, anche se non sarà facile *risata sadica e isterica*
Grazie a chi legge/mette la storia in una delle liste/commenta.

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Capitolo 7
*** 5. Quinto Giorno ***


Projeus:
The Big War

5.
Quinto Giorno

Mercoledì 9 Settembre.

Kyle, Samuel, Erik e Benjamin osservarono con curiosità Jenna, Kathy e Crystal che si muovevano per il camper con una certa sincronia, evitando di intralciarsi a vicenda. Stavano preparando la colazione per tutti, tranne che per Emily e William che dormivano ancora. Marie-Anne era seduta, le braccia strette al corpo, lo sguardo fisso sulle tre; Sarah era nel seggiolino, che agitava un pupazzetto, emettendo di tanto in tanto qualche strillo.

«Ma il caffè?» sbadigliò Kyle, «Ne ho bisogno.» borbottò passandosi le mani fra i capelli corti.

«L'acqua deve scaldarsi.» sospirò Jenna, «E non stare lì come se aspettassi la venuta della Regina Elisabetta.» sbuffò, «Siediti.» ordinò.

Dieci minuti dopo la colazione fu pronta. Anche i bambini si erano svegliati, così poterono mangiare.

«Che strada prendiamo?» domandò Benjamin.

«Hanno eretto un muro lungo le sponde dei laghi.» sospirò Kyle.

Kathy sgranò gli occhi, «Dalla nostra parte o dal lato canadese?» domandò.

«Dalla nostra.» rispose Kyle.

«Merda.» sbottò Samuel, «E ora?» chiese, «Se lo hanno fatto lì non vedo perché non dovrebbero averlo fatto anche lungo i normali confini.»

«Che palle.» sbuffò Erik e si massaggiò le tempie, «Direi che prima dobbiamo attraversare la Pennsylvania.» disse, «Una volta arrivati a New York vedremo.» sospirò. «Se non ci fermiamo potremmo arrivare per questo pomeriggio.»

Gli altri annuirono.

«Chi guida?» esclamò Samuel.

«Per me non ci sono problemi.» Kyle alzò le spalle.

Erik sospirò, «Bene.» disse, «Direi che possiamo partire.» esclamò e si alzò in piedi.

Anche Kyle lo fece e andò al posto di guida, Erik si sedette sul sedile del passeggero e partirono.

❖.❖.❖

Nick alzò le braccia sopra la testa e sbadigliò, erano giorni che dormiva un paio di ore per notte e iniziava a risentirne. Passò le mani sul viso e guardò lo schermo davanti a lui, la sera prima avevano trovato una famiglia composta da madre, padre e un bambino di tre anni, nascosti in cantina, dietro ad alcuni scaffali. In quel momento si trovavano nell'ala nord dell'edificio, in una delle stanze del dormitorio, insieme al gatto di famiglia.

Si alzò in piedi ed uscì dal suo ufficio, accanto a quello di Dawn. Anche se la porta era chiusa riusciva a sentirla sbraitare. Sorrise nel ricordare la prima volta che l'aveva vista sedici anni prima, quando lui aveva appena diciannove anni e lei quattordici; Dawn era uno scricciolo di un metro e sessanta scarso, con grandi occhi azzurri e un passato non troppo facile.

Scosse la testa e tornò dentro, si sedette alla scrivania e guardò lo schermo davanti a sé, fissando il lungo elenco di nomi di persone come lui: nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza, indirizzo di lavoro o scuola, potere, gruppo sanguigno.

Era grazie a quell'ultima casella della tabella se riuscivano a riempire la loro lista con i nomi di tutti i Projeus: ogni due anni spedivano degli avvisi a tutta la popolazione americana in cui li si invitava a fare degli esami del sangue gratuiti, eseguiti in dei camper attrezzati che viaggiavano in lungo e largo per tutta la nazione. Grazie a quelle analisi — facevano una mappatura completa del DNA, ricercando i cromosomi che determinavano se una persona fosse un Soldier o meno — riuscivano a scoprire chi era uno di loro e che potere aveva. Però c'erano sempre delle incognite: alcuni non si presentavano, c'erano gli immigrati clandestini che non partecipavano, persone che avevano paura degli aghi... così la lista non era mai completa, ma se lo facevano bastare.

E qualcuno aveva sottratto quella lista, a cui avevano accesso una manciata di persone e che era protetta da una password di quindici caratteri alfanumerici e dal proprio codice personale.

Inspirò e afferrò la tazza di caffè nero senza zucchero, lo sorseggiò piano e sospirò.  Posò la tazza e uscì di nuovo dall'ufficio ed entrò in quello di Dawn.

«Che c'è?» sbottò lei.

«Che problema c'è?» domandò Nick.

Dawn sbuffò e fece girare la sedia, incrociò le braccia e sbuffò ancora, «Il superiore di Jackson ha qualche remora nel mandarlo qua.» disse e alzò gli occhi al cielo, «'Sto stronzo ha paura di quel figlio di puttana di Erikson.» sputò, sentendo ancora la rabbia scorrerle nelle vene.

Nick le si avvicinò, «Hai detto di sua moglie?» domandò.

«Ho detto che sta molto male.» rispose lei, «E che i bambini sono con i servizi sociali.» continuò e afferrò la sua tazza di caffè e bevve. «Non vuole sentire ragioni, neppure sotto minaccia. O non ha paura del fisco o ha le tasse in regola.»

Nick si appoggiò alla scrivania, «E chiamare Andrews?» propose, «I federali ci daranno una mano.» disse, «È quello che devono fare.»

Dawn sospirò rumorosamente, «Era la mia ultima spiaggia.» disse e fece vagare lo sguardo per la stanza, fissando i vari diplomi e gli attestati, elegantemente esposti in cornici a giorno, appesi alle pareti. Il diploma del liceo, la laurea, le pergamene che attestavano i suoi superamenti di livello alla Projeus. Inspirò, «È difficile.» commentò.

Nick le sorrise e sfiorò il tappetino del mouse, «Bhe, tu prova.» esclamò. «Al limite ti dice di no.» scrollò le spalle, «Oppure potresti uscire con lui a bere una birra.»

Dawn alzò gli occhi al cielo, «E Steven?» disse, «Siamo fidanzati.» gli ricordò e alzò la mano sinistra su cui brillava l'anello.

«È una birra!» ribatté Nick, «Mica devi andarci a letto.» disse. «Magari si è trovato una donna e non serve neppure.» esclamò.

Dawn annuì, afferrò il cellulare, scorse la rubrica e avviò la chiamata.

«Agente Ryan Andrews.»

«Sono Dawn Green.» disse lei. «Ho un favore da chiederti.» esordì e spiegò che voleva che chiamasse il superiore di Jackson e che lo costringesse a mandare l'uomo in Canada; spiegò che la moglie era stata uccisa e che i bambini erano dispersi.

L'agente dell'F.B.I sospirò, «Che situazione terribile.» disse, «Mandami una mail con tutti i dettagli, farò il possibile.»

Dawn sorrise, «Subito.» disse, «Grazie, a presto.» lo salutò e riattaccò. «Farà il possibile.» disse a Nick.

«Vedi? Non era difficile.» replicò lui. «Bhe, torno a lavorare.» scrollò le spalle, «Fammi sapere.» disse e se ne andò.

Dawn rigirò la sedia e iniziò a scrivere la mail, sperando che il federale riuscisse a fare qualcosa per Jackson.

❖.❖.❖

Kyle fermò il camper nel primo spiazzo disponibile. William continuava a ripetere di avere un po' di nausea e l'uomo aveva deciso di fermarsi qualche minuto, anche perché il bambino era in effetti un po' pallido. Kathy aveva trovato, in uno dei tanti scompartimenti del motorhome, dei braccialetti nati-nausea per bambini.

Scesero tutti quanti dal mezzo, ignorando Marie-Anne che borbottava sottovoce, dicendo che avrebbero dovuto proseguire.

Crystal fece sedere William sull'asfalto mentre Jenna teneva in braccio Sarah, che si guardava attorno curiosa.

Dove si erano fermati erano presenti anche tre distributori automatici: uno di acqua e bibite, uno di spuntini vari e uno di sigarette, che era quello che attrasse l'attenzione di Erik.

«Qualcuno può cambiarmi un venti?» domandò lui, «Non dà resto.»

«Io.» esclamò Crystal alzandosi in piedi — Kathy l'aveva raggiunta, sedendosi accanto al bambino.

«Nah, non serve.» la bloccò Kyle, si guardò attorno, fissando l'unica telecamera che riprendeva la bassa costruzione, che comprendeva anche il bagno, che penzolava mezza distrutta, fischiettò e diede un pugno sulla plastica dura che ricopriva metà della parte anteriore del distributore.

La copertura si frantumò, Erik sorrise e iniziò a riempire le tasche di pacchetti di sigarette e accendini, con accanto Kyle che lo aiutava. Benjamin ruppe il vetro degli altri due distributori, riempendo un sacchetto di plastica che aveva trovato lì di viveri.

«Io vado al cesso.» annunciò Samuel.

«Ruba la carta igienica.» esclamò Kathy, «E anche il sapone per le mani!» alzò la voce per farsi sentire dal ragazzo appena entrato nella struttura a un piano.

«Stai meglio?» domandò Crystal a William.

«Sì.» rispose lui e Crystal sorrise, sollevata. L'ultima cosa che ci voleva era che qualcuno stesse male mentre viaggiavano.

Samuel tornò dal bagno, «Questo va bene?» domandò stringendo l'enorme rotolo di carta igienica. «Il sapone è ancorato al muro.» disse. «Ho anche questi.» mostrò un paio di pacchi ancora incartati di salviette di carta.

«Vanno benissimo.» esclamò Kyle e gli allungò una sigaretta, Samuel la infilò in bocca e  mise le tre cose che aveva rubato, accanto al sacchetto che aveva riempito Benjamin.

Marie-Anne li fissò sentendosi gelosa: da una parte i ragazzi, dall'altra le ragazze e i bambini. Lei se ne stava in mezzo, ignorata da tutti. Si sedette, le braccia incrociate, lo sguardo che saettava da un gruppo all'altro, invidiosa del loro affiatamento, del modo in cui avevano legato immediatamente.

“È colpa di Crystal.” pensò guardandola. Spostò lo sguardo su Benjamin, molto più interessante di tutto il resto. Quando lui incrociò per un breve istante lo sguardo di lei, Marie-Anne arrossì e sentì lo stomaco stringersi in una piacevole morsa. Era così... bello, alto, muscoloso, il sorriso sulle labbra... Marie-Anne sospirò abbracciandosi le ginocchia.

«Ho voglia di una sigaretta.» sospirò Crystal e si alzò e raggiunse i ragazzi, distanti una trentina di passi, «Chi me ne dà una?» domandò.

«Da quando la piccola Crissy fuma?» domandò Erik allungandole il pacchetto aperto.

Lei fece una smorfia, accese la sigaretta e inspirò la prima boccata. «Ogni tanto capita.» rispose, «E lo sai che odio essere chiamata così.» disse fissandolo con gli occhi socchiusi.

«Eddai, Crissy.» rise lui.

«L'ultima volta ti ho preso a calci.» ricordò, Samuel scoppiò a ridere e Benjamin sorrise.

«Sul serio?» gracchiò Samuel, «Oh, quanto avrei voluto vederlo!» rise ancora.

Marie-Anne li osservò, gelosa e invidiosa. Crystal era troppo, troppo vicina a Benjamin. Sospirando spostò lo sguardo, fissando Kathy, Jenna e i bambini — stavano bevendo del succo di frutta — e sospirò ancora.

Crystal finì di fumare e spense la sigaretta e tornò dalle altre, Sarah si sporse verso di lei, emettendo urletti di gioia. La sollevò dalle braccia di Jenna e la strinse a sé e le solleticò la pancia mentre la bambina emetteva piccoli strilli.

«Andiamo?» domandò Jenna.

«Sì.» rispose Kyle.

I bambini gettarono i brick dei succhi di frutta per terra — e Marie-Anne ebbe voglia di sgridarli ma si trattene —  e si alzarono, seguendo le altre. «No.» soffiò Crystal e chiuse gli occhi, piegando in avanti la testa, come se avesse ricevuto un colpo sulla nuca.

«No cosa?» chiese Kathy, «Crystal?» chiamò, «Che hai?»

Jenna si voltò e sgranò gli occhi, le si avvicinò e la guardò in viso, «Merda.» disse, «Kyle!» urlò, «Kyle.»

Il marito si voltò ridendo e le fissò, guardò Jenna e poi fissò Crystal, il sorriso sparì dal suo volto, «Forza, tutti sul camper!» sbraitò, «Ora!»

Crystal alzò piano la testa, stringendo le labbra per impedirsi di gridare, deglutì e si guardò attorno. «Arrivano.» soffiò fissando Jenna.

L'attimo dopo, tre grossi puma spuntarono dai cespugli che circondavano su due lati la piccola piazzola di servizio. Kyle diede uno spintone a Samuel, facendolo indietreggiare, la pantera si spogliò velocemente, infilò gli occhiali nella fagotto di vestiti e spinse il tutto sotto al camper, saltò e, quando toccò terra, era diventato una maestosa pantera, dal pelo nero lucido, gli occhi color ambra. Ruggì e si avventò sul puma che stava girando attorno a Kyle.

Anche Benjamin si era trasformato e corse ad attaccare gli altri due puma che giravano attorno a Jenna, Kathy e le altre. Erik entrò nel camper — era il più vicino alla porta — arraffò una pistola e un fucile, prese anche delle cartucce e tornò di fuori e quasi gridò quando vide che si erano aggiunti altri quattro puma, grandi, grossi, dal pelo ispido, i grandi artigli che sollevano brani della gettata di cemento di cui era ricoperto lo spiazzo. Sparò contro uno di essi che si girò e ruggì.

Crystal inspirò a fondo, sentendo i bambini stringerle le gambe, fissò uno dei puma che si preparava a saltare contro Kathy — ma la ragazza scivolò di lato, si spogliò velocemente, e si trasformò in pantera —, la lupa vide una piccola apertura sul muro della casupola, troppo piccola perché una di quelle bestie mutanti potesse entrare. «Lì dentro.» gridò ai bambini, «Presto!» disse, poi fissò Marie-Anne, che se ne stava immobile, la strattonò e la spinse, «Anche tu, lì dentro.» disse ed entrò anche lei, scoprendo che quel buco era fatto a “T”, i bambini erano in uno dei bracci corti, Marie-Anne nell'altro. Il soffitto era basso e Crystal dovette scivolare in avanti con il sedere per stare comoda, anche se doveva tenere le ginocchia piegate e i piedi contro il muro.

I bambini si aggrapparono a lei, piangendo e invocando la mamma, «Marie-Anne.» chiamò lei, «Marie-Anne.» ripeté ma non ottenne risposta: l'altra era rannicchiata, la testa fra le braccia e singhiozzava rumorosamente.

Crystal si mosse e sentì qualcosa premere contro il sedere, lo tastò con un mano e capì che era un tubo di metallo. Lo prese e lo lo sollevò, tenendolo nella mano sinistra — l'altra era impegnata a stringere Sarah.

E un puma cercò di insinuarsi nel loro piccolo e angusto rifugio. Crystal reagì d'istinto e calò il tubo sulla testa della bestia che guaì e si ritirò. La giovane inspirò a fondo e trattene un urlo quando sentì il muro dietro di lei vibrare, come se...

«Si butta contro.» pigolò William.

Crystal lasciò cadere il tubo e tastò attorno a lei: il pavimento, le pareti e il soffitto erano di cemento, ma il braccio lungo della “T” e il relativo soffitto erano fatti di lamiera. «Merda.» imprecò, capendo che il puma l'avrebbe distrutta in poco tempo. Passò Sarah a William, «Ecco, tienila.» disse, «Così.» la sistemò meglio fra le braccia del bambino.

«Perché?» pigolò lui.

«Devo mandare via i mostri.» disse lei e rabbrividì nel sentire il ruggito, seguito da un guaito: Benjamin. Inspirò a fondo e si girò verso Marie-Anne, «Bada ai bambini.» esclamò senza ricevere risposta, afferrò il tubo e allungò il braccio, pronta a scattare in caso di pericolo, e toccò la ragazza, «Riprenditi, per la miseria.» ringhiò e Marie-Anne la guardò, «Bada ai bambini.» ripeté e si udì un altro guaito. Levò scarpe e calze, tolse la felpa e la maglia a maniche lunghe contorcendosi nel piccolo spazio, abbassò le spalline della canottiera elasticizzata e la face scivolare via dalle gambe, sganciò il reggiseno, tolse pantaloni e mutande in una sola mossa. Si accucciò a terra, il torace premuto sulle cosce, le mani accanto alle ginocchia e la fronte posata a terra.

Marie-Anne ebbe voglia di fuggire quando la vide diventare lupo ma la paura la inchiodò sul posto. La lupa sgusciò fuori dal piccolo rifugio e ringhiò al puma che le si parò davanti e gli girò attorno prima di balzare su di lui, graffiandogli il fianco e salendo sulla schiena.

L'essere ruggì e ringhiò, cercando di divincolarsi, però Crystal l'azzannò alla gola, strappando un brano di pelle e carne, sentendo i peli ispidi e il sangue dal sapore acido invaderle la gola. La lupa saltò a terra un attimo prima che il puma si tramutasse in un uomo ossuto.

Benjamin azzannò alla gola una delle tre volpi mutanti spuntate da chissà dove e si concentrò su quella che stava per colpire Erik alle spalle, la fece ruzzolare e balzò via prima che Erik le sparasse in fronte.

Jenna si gettò sul fucile e puntò l'arma contro uno dei due puma che circondavano Kathy — e Samuel sentiva il suo richiamo ma era circondato da una volpe e due puma e non riusciva a liberarsi — e gli sparò, uccidendolo.

Crystal si buttò contro un puma grande il doppio di lei e lottarono, in un groviglio di zampe, artigli e zanne. Riuscì a morsicarlo su una zampa, scrollandoselo di dosso. Ringhiò contro di lui, le orecchie appiattite contro la testa, il corpo teso fino allo spasmo. Il puma le girò attorno soffiando e si preparò ad attaccare, ma Jenna fu più veloce e gli sparò alla testa.

Samuel emise un miagolio e graffiò la volpe che lo stava morsicando, la fece cadere e l'azzannò alla gola, per poi buttarsi contro uno dei puma, atterrandolo, gli ringhiò contro, pronto ad azzannarlo alla gola, ma quello si divincolò, ribaltando la situazione. Gli occhi d'ambra della pantera si spalancarono nel vedere i grandi canini dell'altro. Kyle si buttò su di esso, passò il braccio destro sotto la gola del puma in una presa d'acciaio, facendo miagolare il mutante, poi con la mano sinistra spinse sulla testa dell'animale, rompendole il collo e lo scostò dal corpo di Samuel, che si rimise in piedi e partì di nuovo all'attacco.

Crystal soffiò forte e scosse la testa, chiedendosi da dove fossero spuntate quelle cose, udiva i pianti dei bambini e i singhiozzi di Marie-Anne, voltò il capo per guardare il buco e fu in quel momento che una delle volpi mutanti, rimasta nascosta fino a quel momento, attaccò. La lupa guaì dal dolore quando fu morsa alla coda e sentì la fitta correre lungo la colonna vertebrale e invaderle il cervello. Si rigirò, pronta per difendersi, ma la volpe serrò le mascelle con ancora più forza, strappandole un guaito più forte e facendola crollare a terra.

Benjamin udì i suoi richiami come se fosse accanto a lei, diede una zampata al puma che aveva davanti, mandandolo a sbattere contro uno dei distributori e facendolo svenire — ed Erik ne approfittò per sparargli in testa — poi corse, non badando al puma che stava per attaccare Jenna, impegnata ricaricare il fucile, e lo atterrò, balzò davanti alla volpe e le ringhiò in faccia, poi la morsicò al collo. Smise subito quando si accorse che quella aveva stretto ancora di più le fauci, mollò la presa e ringhiò di nuovo, pronto ad uccidere.

La volpe spostò di poco la presa, arrivando all'attaccatura della coda, mosse le zampe graffiandole i fianchi e si dimenò. Benjamin soffiò e attaccò di nuovo, con forza. La volpe perse la presa e lui l'atterrò, ululò e abbassò il muso, azzannandola ancora e ancora, fino a quando i denti non sbatterono contro le vertebre cervicali. Solo allora la lasciò perdere, scrollò il muso e represse un conato nel sentire la lingua impastata dal sapore acido del sangue delle volpe mutante. Si avvicinò a Crystal, ancora accucciata a terra, il respiro pesante, e fissò le ferite: non erano gravi. La toccò con il muso e lei lo fissò, poi si alzò in piedi e scrollò la testa.

«Benjamin!» chiamò Erik, «Torna qui.»

Il lupo guardò Crystal che annuì, così tornò indietro, saltando sulla schiena di un puma e spingendolo a terra e Erik le sparò prima che potesse rialzarsi.

Crystal si guardò attorno: erano tutti morti. A terra c'erano almeno una decina di corpi nudi, di uomini, donne, dai venti ai cinquant'anni.

Morse per un braccio quello che l'aveva morsa alla coda e lo trascinò oltre l'angolo, per impedire ai bambini di vederlo, trotterellò fino all'altro cadavere e spostò anche quello. Fece per sporgersi nel buco quando un puma, rimasto nascosto fino a quel momento,  sbucò dai cespugli e si gettò sulla parete di lamiera, facendola cedere e crollare sopra la lupa, che guaì.

Il puma mutante si insinuò nel buco e ruggì, tornò indietro e ruggì di nuovo mentre Crystal si liberava e partiva all'attacco. Morse il posteriore dell'animale, usando tutta la forza che aveva, i peli ispidi che graffiavano la lingua.

Marie-Anne urlò, fissò i bambini che scappavano e gattonò dietro di loro per uscire, udì Crystal ringhiare, il puma rispondere al ruggito e si spaventò ancora di più: diede uno spintone a William e Sarah, facendoli cadere — e William strinse forte Sarah e cadde di fianco per non fare del male alla sorellina — e si alzò in piedi, scappando verso i distributori, dove si accucciò e pianse di nuovo.

William si rialzò, fissò Crystal che combatteva con il grosso puma e si spaventò, udì un fruscio e vide una piccola volpe — mutante anche lei — avvicinarsi di corsa e reagì: posò Sarah per terra, allungò le braccia davanti a sé, i palmi rivolti davanti a lui e si concentrò, facendo partire dei raggi blu che si schiantarono contro la volpe, avvolgendola e facendola tremare e guaire. La bestia crollò a terra in preda agli spasmi, con la bava che colava dagli angoli della bocca. 

«Chiudete gli occhi.» esclamò Jenna avvicinandosi a loro, il fucile puntato. «Prendi Sarah.» continuò, «Allontanatevi e chiudete gli occhi.» disse e piegò le labbra in un sorriso tirato.

William prese la sorellina, afferrò la mano di Emily e corse da Crystal e l'abbracciarono, affondando le mani nel pelo folto, Jenna li fissò e sparò, ponendo fine all'agonia della bestia. Crystal tornò umana, rimase accucciata e abbracciò i bambini. Benjamin — tornato umano anche lui, così come Kathy e Samuel — corse da lei, le scarpe slacciate. «Stai bene?» le chiese mentre le posava la felpa sulle spalle.

«Sì.» fece lei e attese che Kyle spostasse gli ultimi due cadaveri. «Mi andate a prendere i vestiti, per favore?» domandò ai bambini stringendo Sarah a sé. Benjamin le prese la bambina delle mani e Crystal infilò le braccia nelle maniche della felpa.

«Da dove cazzo sono spuntati?» sbottò Samuel sistemando gli occhiali sul naso, «Cazzo c'è, un fottuto raduno di mutaforma mutanti?»

«Tutti sul camper.» disse Kyle e abbracciò Jenna, stringendola così forte che lei dovette dirgli di allentare la presa. «Andiamo via.»

Crystal finì di rivestirsi e ridiede la felpa a Benjamin.

«Crissy, la prossima volta cerca di farti venire una visione un paio di minuti prima, non due secondi prima.» cercò di scherzare Erik, la pistola ancora in mano. Inserì la sicura e sospirò, sentendosi stanco, dicendosi che se fosse stato solo sarebbe morto di sicuro.

«Come veggente fai pena.» esclamò Marie-Anne asciugandosi le lacrime, «Sei inutile.» le disse e un attimo dopo si ritrovò scaraventata contro la parete laterale del distributore, il braccio sinistro di Crystal che le premeva sullo sterno, il destro che schiacciava la gola.

«Almeno io non sono rimasta nascosta a piangere.» ringhiò Crystal, gli occhi di un verde chiarissimo, «Io non ho spintonato dei bambini per salvarmi le chiappe.» continuò spingendo ancora mentre l'altra si dibatteva cercando di liberarsi — ma Crystal era più forte — e annaspava alla ricerca d'aria.

«Basta, Crystal.» esclamò Benjamin prendendola — aveva dato Sarah a Kathy — e allontanandola da Marie-Anne. «È spaventata.» disse. Crystal grugnì e si allontanò, mentre Marie-Anne si buttò fra le braccia di lui, singhiozzando un grazie. Il ragazzo la strinse brevemente e le batté un paio di volte la mano sulla schiena, imbarazzato dal gesto di lei.

Salirono sul camper e i bambini vollero andare a dormire, così Crystal li aiutò a togliere le scarpe. «Dovrebbero stare sui seggiolini.» protestò Marie-Anne sedendosi di fronte a Benjamin, anche se avrebbe voluto sedersi accanto a lui, ma c'era Erik, Crystal si limitò a lanciarle un'occhiataccia.

«Resti qui?» domandò Emily, il pollice in bocca.

«Sì.» rispose Crystal.

«Vengo io.» esclamò Marie-Anne alzandosi in piedi.

«Vaffanculo stronza! Io voglio Crystal!»

Nel camper calò il silenzio dopo lo strillo della bambina. Crystal lo ignorò e si sdraiò accanto a lei dopo aver socchiuso la porta.

«Dovrei darle due schiaffi.» sibilò Marie-Anne.

«Lasciala stare.» esclamò Benjamin prendendole una mano e Marie-Anne la fissò e si aggrappò a quella, mentre lui la fissava a disagio — ma lei non se ne accorse, troppo presa ad osservarlo — e  Benjamin tolse la mano da quella di lei e le posò in grembo.

Dieci minuti dopo i bambini dormivano profondamente, così Crystal si alzò, rimboccò loro le coperte e tornò dagli altri. Erik si alzò e le cedette il posto, con disappunto di Marie-Anne, che sperava di poter sedere lei vicino a Benjamin.

Il Cercatore frugò nei mobiletti mentre il caffè incominciava a scendere nella brocca di vetro trasparente. «Bingo.» esclamò, gli occhi azzurri sulla bottiglia di grappa.

«Grappa?» fece Samuel, «Avevano della grappa? L'hanno nascosta?»

Erik scrollò le spalle e tolse l'etichetta dal tappo, «C'è.» disse, «E ne ho proprio bisogno.»

«Ne abbiamo tutti bisogno.» esclamò Kyle, seduto al posto di guida. Il caffè fu pronto ed Erik lo versò nei bicchieri di plastica, aggiunse la grappa e ne portò due a Kyle e Samuel, poi si sedette accanto a Marie-Anne — lei non aveva voluto correggere il caffè —, la tazza fra le mani.

«Dobbiamo trovare una soluzione.» sospirò il Cercatore, «Perché la prossima volta non saremo così fortunati.» disse. Rimasero in silenzio per qualche minuto.

«E quindi?» domandò Benjamin, «Cosa facciamo?»

«Bhe, la Miss Veggente qui dovrebbe imparare a farsi venire le visioni un po' prima, altrimenti è inutile.» esclamò Marie-Anne.

Crystal posò il bicchiere, «Io non mi nascondo.» replicò fissando l'altra. «Io sono utile, tu no.» disse, «Sei come Sarah.» continuò, «Anzi, lei non rompe le palle.» disse. «Pensaci, prima di dare dell'inutile a qualcuno.»

Marie-Anne si ritirò sul sedile, spaventata. «Tu...»

«Smettetela, tutte e due.» disse Erik. «Le premonizioni non si controllano.» esclamò, «Anche chi è esperto non riesce a farsele venire, quindi non rompere.» disse guardando la ragazza al suo fianco.

Marie-Anne lo fissò, grugnì un insulto e incrociò le braccia al petto, domandandosi perché nessuno la capisse, perché ce l'avessero tutti con lei e preferissero una ragazzina insolente, maleducata e violenta. Si disse che quella notte avrebbe dormito lei con i  bambini perché se fossero rimasti con Crystal sarebbero diventati come lei.

❖.❖.❖

Erikson entrò nella stanza con una tuta sterile sopra l'abito di alta sartoria. «Come sta andando?» domandò fissando l'uomo dal fisico massiccio che se ne stava sdraiato sul letto.

«Procede bene.» rispose il dottor Sutton.

Erikson annuì e fissò i cavi e i tubicini che uscivano da corpo dell'uomo. «A che punto siete del trattamento?» domandò ancora.

«Abbiamo appena inserito un catetere venoso centrale e quello peridurale per la terza dose del trattamento, questa volta durerà quattro ore, poi ci sarà una pausa di novanta minuti e poi l'ultima parte da cinque ore.» rispose il medico, «Stiamo continuando a somministrare i farmici per endovena, oltre alla fisiologica e alla glucosata.» continuò muovendo la cartella clinica, «L'ossimetria è perfetta, così come la pressione e il battito cardiaco.» disse, ripetendo le stesse cose che diceva ogni volta, ma sapeva che al Presidente piaceva sentire ogni minimo dettaglio.

Erikson sorrise, «Perfetto.» disse. «E... quanto manca?» domandò, «Fra quanto sarà operativo?» si spiegò.

Il medico controllò la cartella, «Domani sera il trattamento finirà e il mattino seguente sarà operativo.» disse.

Erikson annuì soddisfatto, «Bene.» commentò e proseguì nel suo giro, gli piaceva controllare come andavano le cose, come stessero i pazienti. Adorava quel momento in cui si trasformavano in mostri pronti ad uccidere per una manciata di banconote da cento. 

Arrivò nella sala “Pazienti Speciali”, una di quelle che gli piacevano di più. Manipolare il DNA di chi già non aveva un normale DNA era meraviglioso ma trasformare semplici esseri umani in macchine di morte e distruzione era qualcosa di appagante, che esaltava il suo ego. Fissò i quattro puma che giravano in tondo nelle loro gabbie, gli artigli che graffiavano il pavimento, ogni passo, ogni movimento dimostrava tutta la loro irrequietezza e la voglia di uccidere. Erikson sorrise, uscì da quell'ala dell'edificio, gettò la tuta e tornò nel suo ufficio.

«Domani pomeriggio liberate Maurice.» disse al segretario che annuì, «La talpa si è attivata?» domandò.

«Non ancora.» rispose il segretario.

Erikson annuì e guardò lo schermo alla sua destra, fissando la cartina degli U.S.A, «Grazie.» disse, «Fammi portare del vino.» ordinò. L'altro annuì e uscì dalla stanza, lasciando il Presidente da solo con i pensieri proiettati sulla futura vittoria.

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George pensò che fosse il caso di parlarne. Non è che gli desse fastidio ma non sopportava che le cose fossero fatte dietro le sue spalle. Afferrò il vassoio con la sua cena e andò a sedersi al tavolo con gli altri, sistemandosi a capotavola, alla sua sinistra c'era sua sorella Katelynn — e accanto a lei si trovava James — alla sua destra era seduto Nick, vicino a lui Dawn, mentre all'altro capotavola si trovava Steven.

«Allora, Kat.» disse, «Pensi di andare da James anche questa notte?» chiese, “E addio alla prendila da lontano.” pensò mentre osservava il viso della sorella diventato improvvisamente rosso. Guardò James che aveva gli occhi fissi sul piatto di purè.

«Io... io...» balbettò Katelynn.

«L'avevo detto che l'avrebbe scoperto.» cinguettò Dawn agitando il grissino.

«Lo sapevi?» le domandò George vagamente offeso.

«Veramente l'unico che lo ha appena scoperto sei tu.» rise Nick ma smise quando si accorse dell'occhiataccia dell'altro.

«Allora, sorellina?» chiese, «Non mi hai risposto.» disse tagliando il petto di pollo.

«Ecco è che io... io...» sospirò Katelynn, «Io... io...» continuò incassando il collo nelle spalle, i capelli che scendevano sul viso sempre più rosso.

George ebbe voglia di ridere ma si contenne, «James?»

Il ragazzo lo fissò imbarazzato, guardò Dawn che lo fissava con un sorriso vittorioso stampato sul volto. Sospirò, «È maggiorenne.» disse e sperò che ciò bastasse per calmare l'altro, «Non è reato.» disse.

«Giusto.» esclamò Dawn, il grissino mezzo mangiato ancora in mano, «Sono maggiorenni.» annuì. James la fissò e si chiese se avesse sbattuto la testa.

George la fulminò con un'occhiataccia a cui Dawn rispose con un risolino.

«Ha ragione.» esclamò Steven, «È maggiorenne.»

«Esatto.» disse Nick, divertito da quella situazione.

«Ma la piantate?» sbottò George, «So quanti anni ha mia sorella, non sono mica scemo!» borbottò, «Mi  dà fastidio essere trattato come uno scemo.» esclamò affondando il coltello nella carne e facendolo stridere contro la ceramica del piatto e James sussultò, immaginando che George volesse conficcarglielo direttamente nel cuore.

«Io... io... mi dispiace George.» pigolò Katelynn alzando gli occhi dal piatto. «Scusa.» gli toccò la mano.

Lui la fissò. «Okay.» disse, «Solo vedi di fare meno casino o di mettere l'olio ai cardini, perché la tua porta cigola e la sento quando la apri.» sorrise divertito nel vedere il viso della sorella farsi rosso.

«Bhe, mi sembra tutto a posto.» esclamò Dawn versandosi un po' d'acqua. George non replicò e cambiarono argomento, anche se Katelynn e James rimasero praticamente in silenzio.

Quando finirono di cenare, George si alzò, andò dietro James e chinò la testa vicino all'orecchio dell'altro, «Se la fai soffrire ti infilo in una scatoletta di sardine.» soffiò, «Chiaro?» mormorò e l'altro annuì, rimanendo inchiodato sulla sedia. George gli posò le mani sulle spalle e le strinse brevemente, «Io vado.» disse, «Ci si vede dopo.» esclamò, afferrò il vassoio e si allontanò.

«È andata bene.» cinguettò Dawn.

«Ma stai zitta.» replicò James e l'altra rise.

Dawn alzò gli occhi, «Era solo una costatazione.» sbuffò.

«Perché non scopi un po', almeno mi lasci in pace?» sbottò James, «Da quand'è che non glielo dai?» domandò a Steven.

Lui alzò le spalle e finì di ripulire il contenitore di plastica dove fino a poco prima c'era il budino al cioccolato, «Stamattina.» rispose e infilò il cucchiaino in bocca.

James sbuffò e tirò indietro la sedia, facendola stridere. «Ci vediamo.» ringhiò offeso, prese il vassoio e se ne andò.

«Quanta acidità.» commentò Dawn osservandolo andarsene e ricordando quando l'aveva conosciuto, quando litigavano per qualsiasi sciocchezza.

Era convinta che le cose fossero cambiate fra loro due, con un sospiro si disse che forse non era del tutto vero.

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Era ormai quasi buio quando Kyle fermò il motorhome accanto a un macchia di alberi.

William ed Emily avevano dormito fino a un'ora prima, poi erano rimasti seduti sul letto a giocare a ruba mazzetto — ignorando le proteste di Marie-Anne, che aveva continuato a ripetere che non dovevano stare lì.

Uscirono dal camper per sgranchirsi le gambe, dopo ore di immobilità quasi completa. Appena Emily balzò giù dal motorhome, Marie-Anne le afferrò il polso sinistro, la fece voltare e la sculacciò due volte, con forza. «Così impari l'educazione.» disse.

Emily la fissò con odio, spinse in fuori le labbra e le diede un calcio su uno stinco prima di scoppiare a piangere. Con gli occhi velati dalla lacrime, si aggrappò alla prima persona che trovò: Benjamin. Lui la sollevò e la prese in braccio, massaggiandole la schiena e fissando Marie-Anne, domandandosi perché l'avesse fatto.

«Tu sei fuori.» commentò Crystal stringendo i pugni con forza, sentendo le unghie graffiarle la palle ma pensò che fosse meglio così, altrimenti avrebbe graffiato il collo di Marie-Anne fino a squarciarle la gola. Non aveva dimenticato quello che aveva fatto ai bambini, al loro sguardo terrorizzato, e avrebbe voluto farle del male perché era stata codarda: anche lei si era spaventata ma non si era nascosta, aveva agito.

Mentre gli altri guardavano Marie-Anne ed Emily, Kathy si riscosse: le afferrò il polso e la trascinò davanti al muso del camper, per poi spintonarla con forza contro di esso.

«Ahi.» si lamentò Marie-Anne, «Ma sei scema?» sbottò, «Mi hai fatto male!» pigolò.

Kathy strinse le labbra, gli occhi inchiodati sull'altra e desiderò di poterla incenerire all'istante. «Hai picchiato una bambina.» sibilò, la voce gelida, il blu degli occhi che si schiariva sempre di più.

«Lei mi ha offeso!» squittì l'altra mettendo le mani avanti, sperando che Kathy non la colpisse.

«Tu sei scappata.» replicò l'altra avanzando di un passo, «Hai spintonato due bambini per metterti in salvo.» soffiò e per un momento distolse lo sguardo. «Potevano farsi male.» disse riportando l'attenzione su Marie-Anne e la vide tremare appena. «Potevano morire, razza d'idiota!» sbraitò e la spintonò ancora, «Non t'azzardare mai più, hai capito?» ringhiò avvicinando ancora di più il viso all'altra, «Altrimenti la prossima volta ti spintono io davanti a uno di quei cosi.» disse, la fissò un'ultima volta e tornò dagli altri, il mento alto e il portamento fiero.

«Tu sei pazza!» squittì Marie-Anne seguendola, «È pazza! Mi ha spinto!» disse agli altri.

Kathy si voltò di scatto, «Oh, ma smettila di fare la santarellina che non ha colpe.» sbottò.

Marie-Anne sussultò, deglutì la saliva e si avvicinò a Benjamin, pronta a farsi consolare di nuovo, ma si accorse che teneva in braccio Emily e un fitta di gelosia la percorse. «Mi ha insultato!» disse indicando la bambina. «Non può farlo.»

«Ma smettila.» borbottò Kyle, recuperò un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca e ne accese una, «Cosa si mangia?» domandò.

«Pasta.» rispose Jenna, «Con panna e tonno.» continuò. Aveva trovato due piccoli brick di panna da cucina in un mobile che sarebbero scaduti dopo due giorni, «Carne in scatola con mais e fagiolini in scatola.»

Kyle regalò un sorriso alla moglie, «Bene.» disse e passò il pacchetto a Samuel ed Erik.

Marie-Anne sbuffò infastidita e arrabbiata perché nessuno le prestava attenzione, ritornò sul camper e si sedette, decisa a non aiutare a preparare la cena, incrociò le braccia e fissò Jenna, Kathy e Crystal iniziare a cucinare.

«Sposti le braccia, per favore?» domandò Crystal fissando la ragazza seduta, «Devo apparecchiare.» spiegò.

Marie-Anne sbuffò ancora e tolse i gomiti dal tavolo, la fissò con odio e la detestò perché Crystal sembrava ignorarla.

Mentre le due pentole piene d'acqua — non ne avevano una abbastanza grande per tutti —  erano sul fornello acceso, uscirono dal motorhome. Crystal scroccò una sigaretta a Kyle e si appoggiò a un albero mentre la fumava, e puntò lo sguardo sulla porta aperta del camper, fissando Marie-Anne, ancora seduta con le braccia incrociate. Pensò che fosse una bambina capricciosa e che se fosse stata sola, si sarebbe fatta ammazzare in meno di due secondi.

«A cosa pensi, Crissy?»

Crystal soffiò il fumo, «Non chiamarmi così.» disse fissando Erik. «Penso che Miss Acidità si farà ammazzare presto se non reagisce.» sospirò.

Erik annuì, «Già.» disse, «È quello che penso anche io.» esclamò, «Credo che lo pensino un po' tutti.» scrollò le spalle, «Mentre ti cercavo continuava a ripetere che dovevamo prendere le interstatali o le statali, che dovevamo ascoltarla, che doveva decidere lei perché era la più grande.»

«Adesso non lo è.» ridacchiò lei e scostò i capelli dalla fronte. «Spero che si dia presto una svegliata.»

«Ma io non lo sapevo.» esclamò in falsetto Erik, le mani sul cuore e gli occhi rivolti al cielo, «Io non mi trasformo, ho paura!» squittì tremando e Crystal scoppiò a ridere, «Io non so niente di queste cose,» continuò Erik sempre in falsetto agitando le braccia e spostando il peso del corpo da un piede all'altro «però dovete ascoltarmi perché sono più grande!»

Crystal continuò a ridere, alzò il viso e fissò Samuel a due passi da loro, guardò il viso del ragazzo, le guance gonfie dalle risate trattenute e rise ancora di più, pensando che il ragazzo assomigliasse a uno scoiattolo con la bocca piena di ghiande. Anche Samuel rise.

«Che c'è di divertente?» domandò Kyle.

«Avrei dovuto fare l'imitatore.» sospirò Erik mentre Crystal gettava il mozzicone della sigaretta per terra, lontano da foglie cadute ed erba.

«Ah.» commentò Kyle, guardò dietro, verso il camper e sorrise anche lui.

Crystal fissò Benjamin posare a terra Emily — William l'aveva chiamata per giocare un'altra partita a ruba mazzetto — e gli si avvicinò. Voleva ringraziarlo ancora per averla salvata quando quel mutante le aveva morso la coda ma non sapeva cosa dire oltre a “Grazie” — cosa che aveva già fatto — così si limitò a guardarlo, le mani affondate nelle tasche della felpa.

«Stavate prendendo in giro Marie-Anne?» domandò il lupo a bassa voce e lei si limitò ad annuire per poi scrollare le spalle. «Poverina, è sola e spaventata.» continuò il ragazzo.

«Si farà ammazzare se continua così.» replicò lei.

Benjamin sospirò e si morsicò il labbro inferiore. «Nessuno le ha detto nulla.» disse, «È normale essere spaventati.» esclamò.

«Ma non puoi spintonare dei bambini.» replicò ancora lei, «Ci farà ammazzare.» sospirò sentendosi improvvisamente stanca.

Lui la guardò, il labbro ancora fra i denti. Inspirò a fondo e buttò fuori l'aria, «Lo so.» ammise, lo sguardo fisso su quello di lei, «È che...» scrollò le spalle. «Mi dispiace per lei, è da sola.» disse.

«Siamo tutti da soli.» gli fece notare Crystal. «Nessuno di noi ha la famiglia al seguito.» disse.

«Lo so, però...» 

Crystal non lo fece finire: si voltò e se ne andò. Rientrò nel camper e domandò se dovesse fare qualcosa, ma non c'era nulla da fare, così andò a sedersi sul letto, osservando i bambini giocare. Le dava fastidio che Benjamin prendesse le difese di Marie-Anne, che non capisse quanto il comportamento di lei fosse pericoloso. Gettò una rapida occhiata alla ragazza, trovandola nella stessa posizione di prima. Sospirò e Emily le chiese di mischiare le carte e lei lo fece.

❖.❖.❖

Avevano cenato, lavato e sistemato le posate e le pentole. Erik spiegò una cartina sul tavolo. «Noi siamo qui.» indicò un punto con l'indice destro. «Se hanno veramente tirato su dei muri lungo le rive dei laghi dovremo proseguire.» disse tracciando una linea che seguiva le coste dei grandi laghi, «Possiamo provare a vedere, ma credo che siano pattugliate.» fissò gli altri.

«Lo credo anche io.» disse Kyle. «L'unica sarebbe proseguire e tentare di attraversare il confine dallo stato di New York o nel Vermont.»continuò. «Arrivare vicini al confine, mollare il camper e proseguire a piedi.»

«A piedi?!» squittì Marie-Anne, «Ma se non sapete neppure dov'è quel posto!» disse.

«Una volta in Canada possiamo affittare un camper.» replicò Jenna, «O due, dipende da quali hanno.» disse.

«Ma non sappiamo dov'è!» ripeté Marie-Anne.

«Erik può trovarlo.» sospirò Crystal. «Altrimenti che Cercatore è?»

Erik le sorrise e ridacchiò. «Il problema non è trovare la sede, il problema, attualmente, è riuscire a portare le chiappe intere oltreconfine.» esclamò puntando un dito sul Canada.

«Che nessuno faccia l'eroe che non ci daranno medaglie,» esclamò Kyle «e la sicurezza dei bambini viene prima di tutto.» lanciò una breve occhiata a Marie-Anne, «Niente isterismi, non siamo all'asilo.»

Marie-Anne sbuffò, offesa: aveva capito che ce l'aveva con lei. Solo Benjamin era gentile con lei — aveva sentito il discorso fra lui e Crystal ed era contenta che ora si parlassero appena, anche se erano ancora seduti vicini.

Immaginò e sperò che Benjamin urlasse a Crystal di levarsi, di far sedere lei al suo posto, sognò ad occhi aperti che lei e Benjamin facevano scendere tutti dal camper, tenendo solo i bambini, che sarebbero stati felici, insieme. Immaginò che lui la proteggesse e la salvasse come un prode principe azzurro sul cavallo bianco, sognò di formare una famiglia con lui, pensò che avrebbe educato meglio i bambini, perché, secondo lei, erano troppo maleducati e insolenti.

«Dormi? Marie-Anne?»

La ragazza fissò Kathy che le schioccava le dita davanti alla faccia e la guardò. «No.» rispose, «Stavo pensando.» disse.

«Dobbiamo aprire il letto.» disse Kathy domandandosi a cosa stesse pensando. La osservò spostarsi e uscire dal camper, avvicinandosi a Benjamin, Erik e Kyle che fumavano. Fissò lo sguardo perso di Marie-Anne nei confronti del lupo e ridacchiò, pensando che fosse proprio cotta. Poi l'altra si accorse di Crystal e le lanciò un'occhiataccia che la lupa si limitò ad ignorare.

«A che pensi?»

Kathy fissò Samuel, «A Marie-Anne.» rispose, «E al fatto che quando guarda Benjamin ha la faccia da pesce lesso.» ridacchio prendendo le lenzuola.

Samuel sorrise, trattenendo una risata. «Credo che l'unico che non si sia accorto della cotta di Marie-Anne sia proprio il diretto interessato.»

«Io credo che la stia ignorando.» replicò Jenna uscendo dal bagno. 

«Dici?» chiese Kathy.

Jenna annuì e guardò fuori, «Sì.» rispose, «Non è un idiota.»

Kathy annuì, «Speriamo che lei si dia una svegliata, altrimenti saranno guai.» disse, guardò Samuel montare il letto e iniziò a farlo, sperando che Marie-Anne non si nascondesse più dietro le sue paure e che combattesse anche lei se ce ne fosse stato bisogno. O che non mettesse in pericolo i bambini per salvarsi.

❖.❖.❖

Crystal si rigirò piano nel letto e fissò, attraverso la porta socchiusa, Erik alzarsi e prendere il pacchetto di sigarette dal mobile accanto ai fornelli. Anche Samuel si alzò, gli bisbigliò che gli avrebbe fatto compagnia e i due uscirono dal motorhome.

La giovane sospirò. Quel pomeriggio aveva avuto paura: per se stessa, per gli altri, per i bambini... per Benjamin.

Si sporse con il busto oltre il letto, fissando il ragazzo nel buio della stanza, ne osservò il profilo, si piegò un po' di più, «Ben.» soffiò, «Benjamin.» bisbigliò.

Lui aprì gli occhi che brillarono nel buio, «Tutto bene?» domandò a bassissima voce.

Lei annuì, «Sì.» rispose, «È che io...» inspirò a fondo e si chinò ancora di più, posò la mano sinistra per terra, vicino alla testa di lui, la mano destra stringeva il cuscino. «Io...» soffiò senza smettere di guardarlo.

Benjamin capì fissando gli occhi verdi di lei, si sollevò sulle braccia e la baciò, la mano destra affondata nei capelli di lei. La spinse e si mise seduto senza smettere di baciarla, fece scendere la mano dalla testa di lei al seno.

«Non qui.» soffiò lei sulle sue labbra.

Lui la fissò e annuì, si tolse la maglia, rimanendo a torso nudo, infilò le scarpe e lo fece anche lei, usando le sneakers di tela come se fossero ciabatte, spingendo il tallone sulla parte posteriore, mentre Benjamin frugava nel suo zaino, posato ai piedi del letto, alla ricerca della scatola dei preservativi.

Lui le prese il polso destro e la condusse fuori, fissarono appena Samuel ed Erik che fumavano e si appartarono contro un albero. Benjamin aprì la maglia del pigiama di lei — si chiudeva con dei bottoncini automatici, che partivano dal basso e arrivavano fino all collo, e le sfiorò i seni coperti dalla canottiera rosa elasticizzata e la baciò ancora per zittire il gemito di lei.

Lei si aggrappò a lui, sentendo le labbra di Benjamin che le solleticavano il collo, e le mani che scivolavano nei pantaloni e nelle mutandine; reclinò la testa e gra0ffiò la schiena del ragazzo, fece scendere le mani verso il basso, afferrò l'elastico dei pantaloni e dei boxer e lo abbassò quel tanto che le permise di poterlo toccare.

Crystal pensò che ne avesse bisogno, che era una cosa giusta da fare — e si dimenticò di Erik e Samuel, che li avevano guardati appena, per poi scambiarsi un'occhiata e un sorriso.

Benjamin baciò ancora Crystal, premendo con forza le labbra sulle sue, accarezzandole la lingua con la propria, sentendo il bisogno di averla, di possederla immediatamente. Recuperò il preservativo dalla tasca, lo aprì e lo indossò, per poi spingere a terra gli abiti di lei che lo intralciavano. Crystal liberò la gamba destra e si avvinghiò a lui, circondandogli la vita con le gambe mentre lo sentiva entrare dentro di sé.

Lui le morsicò la spalla, facendola gemere contro il suo collo. Crystal strinse la presa su di lui, sentendo l'eccitazione crescere sempre di più, fino ad arrivare al limite. Cercò le labbra del lupo e le trovò, lo baciò continuando a muoversi e a stringersi contro di lui, non pensando più a nulla, se non al piacere che stava provando. Abbassò il viso, posando le labbra sulla spalla di lui, trattenendo l'urlo dell'orgasmo.

Benjamin emise un verso basso e gutturale contro il suo collo e strinse la presa sui fianchi di lei. Inspirò a fondo, cercando di calmarsi; scivolò fuori da lei e continuò a sostenerla con le braccia finché Crystal non rimise i piedi per terra. «Ci sei?» soffiò gettando il preservativo usato dietro l'albero. Lei rispose di sì e si rivestì, lo fece anche lui. Tornarono dentro senza dirsi una parola.

«Bhe, almeno qualcuno che si diverte c'è.» commentò Erik guardando la porta del camper chiudersi.

«Già.» confermò Samuel.

Erik si girò e lo fissò, guardando gli occhi che brillavano nella notte, rischiarata solo dalle luci delle stelle, «Tu hai Kathy.» disse, «Puoi fare sesso con lei.» esclamò.

L'altro si strinse nelle spalle, «È timida.» disse. «Chissà se si sono accorti di noi.» sospirò lasciando uscire una nuvola di fumo.

«O di Marie-Anne .» ridacchiò Erik.

Samuel alzò gli occhi al cielo. «Almeno noi non abbiamo fatto i guardoni.» disse.

Erik non replicò, spense la sigaretta e rientrò nel camper, seguito dall'altro.

Marie-Anne si rannicchiò sotto le coperte, le guance bagnate dalle lacrime. Aveva visto ogni cosa: aveva sentito Samuel ed Erik uscire, poi aveva udito un rumore, si era seduta sul letto e aveva udito un suono soffocato, così si era alzata in piedi ed era andata verso la camera, pensando che uno dei bambini stesse male e che quella stupida di Crystal non se ne fosse accorta. Ma, dopo appena due passi, il suo cuore si era spezzato alla vista di Benjamin e Crystal che si baciavano. Poi loro due erano usciti e lei li aveva seguiti, rimanendo a qualche passo da loro. Aveva visto che si baciavano, lui che la spogliava, che la toccava,  che facevano sesso contro un albero...

Per un momento aveva sperato che Benjamin avesse trascinato fuori Crystal solo per dirle che non doveva baciarlo, che a lui piaceva un'altra ragazza... ma tutti i suoi sogni si erano infranti una manciata di secondi dopo, quando li aveva visti avvinghiati contro quell'albero. Nella fioca luce bluastra della piccola lampada notturna a batterie che si era portata con sé aveva visto quello che non avrebbe mai voluto vedere. Era rimasta bloccata, i piedi come se fossero inchiodati al terreno, e non si era accorta che Erik e Samuel la stavano fissando con curiosità.

Poi era rientrata e si era raggomitolata sotto le coperte, il cuore a pezzi. Odiava Crystal, odiava tutti quanti. Desiderò essere normale, non essere quello che era. Se fosse stata una ragazza comune, senza nessun strano potere o capacità, tutto ciò non sarebbe accaduto. Non sarebbe fuggita, non avrebbe visto quei mostri... avrebbe continuato la sua vita come sempre.

Poi il pensiero che così non avrebbe mai conosciuto Benjamin le attraversò il cervello, premette i pugni sulla bocca e pianse ancora.

❖.❖.❖

«Dawn?» chiamò Steven entrando nell'alloggio che divideva con la fidanzata, «Washington?» chiamò ancora, usando quel soprannome con cui la chiamava quando si erano conosciuti. Entrò nel bagno e la vide accucciata a terra, sul piatto della doccia, l'acqua che le scorreva sulla pelle, i capelli appiccicati al viso e alla schiena. «Ma è ghiacciata!» esclamò girando il rubinetto e spegnendo lo flusso d'acqua.

«Lo so.» replicò lei, il mento posato sulle ginocchia, le braccia strette attorno alle gambe.

«Perché?» domandò lui e afferrò un accappatoio. «Ti prenderai un polmonite.» esclamò e la coprì.

«Non mi importa. replicò lei mentre Steven la prendeva in braccio. Aveva appena scoperto che due persone, un Pirocinetico e una ragazza comune, senza nessun potere, erano stati uccisi nel Vermont, a meno di due miglia dal confine con il Canada. I loro corpi erano stati dilaniati in modo orribile. Erano riusciti — Jim e John, i due gemelli con il potere della telecinesi — a mettere K.O una mostruosa lince che, una volta addormentata dal potente sonnifero, si era tramutata in un ragazzo. E quello era uno dei problemi, pensò Dawn mentre Steven le sfregava la morbida stoffa dell'accappatoio sulla pelle gelida, quel tizio non era uno di loro. Non era un Soldier. Era un ragazzo normale, che studiava alla Chelsea a New York, il portafoglio pieno di banconote da cento dollari.

Erikson, mentre giocava ad essere Dio con i suoi esperimenti, si stava spingendo sempre più in là. Si domandò cosa avrebbe fatto la prossima volta. E sperò di fermarlo prima che facesse altro.

«Stai pensando alla coppia?» domandò Steven mentre l'aiutava a vestirsi.

«Sì.» disse lei sospirando, «Erano così vicini, Steve.» soffiò fissandolo, «E quel ragazzo...» scosse la testa e sistemò la maglia del pigiama, gettò una rapida occhiata all'orologio, scoprendo che era la una e mezza di notte. «Erikson lo ha pagato per giocare con il suo DNA e lo ha rovinato per sempre.»

Lui abbassò lo sguardo e inspirò a fondo. «È un bastardo.» sibilò, sollevò le coperte e fissò Dawn sgusciare sotto di esse. «Lo prenderemo.» soffiò coprendo la ragazza. «Ti amo.» mormorò dopo averle baciato la fronte. Sistemò l'accappatoio nel cesto della biancheria da lavare, spense tutte le luci e andò a letto anche lui.

Dawn si addormentò stretta fra le braccia di lui e cullata dal suo respiro.


Scusate l'enorme ritardo, ma ho avuto qualche difficoltà nel scrivere questo capitolo.
Ho riscritto la parte del combattimento quattro volte perchè non ero mai soddisfatta, non mi piaceva come veniva. Tutto era chiaro e linearenella mia mente, ma non riuscivo a scriverlo. E in più un giorno lo schermo del portatile ha deciso di non funzionare e ho impiegato una settimana per recuperare un cavo hdmi per collegarlo alla tv(speravo in un miracolo!).
Grazie a chi legge :)
A presto!

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Capitolo 8
*** 6.Sesto Giorno ***


Projeus:
The Big War

5.
Quinto Giorno

Giovedì 10 Settembre.

L'istituto era avvolto nel silenzio, mentre la luce dell'alba entrava dalle finestre, avvolgendo ogni cosa, le poche persone sveglie non facevano rumore, muovendosi piano, sussurrando. John, il padre di Nick e mentore di Dawn e George, entrò in uno degli uffici, si sedette alla scrivania, di fronte a un ragazzo dalla pelle scura e i capelli neri e ricci, che scendevano lungo le guance dagli zigomi alti. «Passiamo al piano b.» disse, la voce bassa e calma.

«Sicuro?» domandò l'altro.

John annuì, «È l'unica cosa da fare.» sospirò. «Non possiamo perdere altre persone.» disse. «Fallo.» ordinò, «Un po' per volta, ma voglio che entro domenica tu abbia controllato ogni fottuto elettrodomestico qui presente.»

Il ragazzo annuì. «Sì.» disse, «Lo farò.»

John trasse un minuscolo pacchetto dalla tasca della giacca e lo fece scorrere sulla superficie di legno chiaro e laccato della scrivania. «Sono i passepartout.» spiegò, «Aprono ogni stanza.» disse e si alzò. «Conto su di te, Mike.» esclamò e se ne andò.

Mike fissò le tessere bianche con la banda magnetica nera e le mise nella tasca della felpa, poi chiuse la zip. Si alzò anche lui, uscì dal suo piccolo ufficio e andò nella direzione opposta a quella presa da John.

Lui era uno psicometrico, uno degli duecentottantatré della costa orientale, uno degli otto di tutto l'Istituto e uno dei cinque operativi. Il suo compito era tutto sommato semplice: doveva solo toccare un oggetto per capire chi fosse stata l'ultima persona ad averlo usarlo, se lo avesse fatto in maniera consona e corretta o meno, poteva scoprire anche altre informazioni. Nel caso di computer, notebook, cellulari e tablet, poteva anche capire quali siti fossero stati visitati, le mail ricevute e spedite, i video visti, quali canzoni fossero stati ascoltate... anche se la talpa avesse provato a nascondere le sue traccie — cosa facile, con i programmi giusti, e loro li avevano — lui l'avrebbe scoperta. Gli sarebbe bastato posare due dita sullo schermo di un qualsiasi pc per carpirne anche il minimo segreto, anche se era stato cancellato.

Anche lui voleva trovare la talpa. Era quello che volevano tutti, in fondo.

Mentre passeggiava in corridoio, diretto alle scale che portavano ai dormitori, incrociò Dawn, che lo fissò per un'istante prima di sorridergli incoraggiante, come se sapesse. Mike immaginò che fosse logico, che John ne avesse parlato con lei, George e Nick. Di sicuro non ne aveva fatto parola con James e Steven, non perché non si fidasse di loro, immaginò Mike, semplicemente perché James era una testa calda e Steven non era uno di “loro”: si era trasferito lì dalla sede di Los Angels quando aveva iniziato a frequentare Dawn.

Una volta al primo piano entrò nella stanza di Carlos, un ragazzo di ventidue anni, con la capacità di far apparire oggetti nelle sue mani. Era sicuro che non ci fosse perché l'aveva visto entrare nella palestra qualche minuto prima. Quando fu nella stanza si avvicinò al portatile che se ne stava sulla scrivania, il coperchio abbassato, il mouse posato su un tappetino con disegnati dei grappoli d'uva. Toccò il computer personale del ragazzo, posando due dita sulla superficie liscia e fredda.  Le immagini arrivarono subito, semplici fotogrammi apparvero ai suoi occhi, istantanee e spaccati di vita quotidiana. Per lui non era stato semplice gestire il suo potere, gli bastava toccare qualcosa o qualcuno per essere invaso da immagini. Ricordò, quasi con disgusto, quando al liceo aveva urtato il suo professore di storia: nella sua mente era apparso un brevissimo video dell'uomo mentre faceva sesso con una ragazza che aveva la metà dei suoi anni. 

Scosse la testa e si concentrò sul suo obbiettivo: normalissime email, un paio di video porno amatoriali, qualche giretto su Amazon — e la wishlist di Carlos era piena di action figures di supereroi — ma niente di grave. Passò allo smartphone e anche lì non trovò nulla di sospetto. Uscì dalla stanza ed entrò due camere più a sinistra. 

❖.❖.❖

«Devo fare pipì.» pigolò William.

«Aspetta, in bagno c'è Jenna.» esclamò Crystal mentre aiutava Emily a vestirsi.

«Ma mi scappa.» pigolò il bambino.

«Vieni con me.» disse  Erik allungando una mano verso il bambino, «Andiamo fuori.» sorrise. Il bambino gli prese la mano e uscì con lui dal camper, per poi correre verso il cespuglio più vicino.

Crystal li guardò appena a aiutò Kathy a sistemare il letto: posò i cuscini nello scomparto sopra il tavolino che si trasformava in un letto, aiutò l'altra a ripiegare coperte e lenzuola che sistemarono accanto ai cuscini e osservò Samuel che sistemava il tavolo, alzandolo e risistemando la grossa vite che lo bloccava, le due ragazze sollevarono lo schienale della seduta — dalla parte dove si sedevano Benjamin, Crystal e Sarah — e si assicurarono che fosse bloccato.

Benjamin e Kyle erano fuori anche loro, mentre Marie-Anne se ne stava seduta sul sedile del passeggero, le mani strette a pugno posate sulle ginocchia, negli occhi quello che aveva visto la sera prima.

«Tutto bene?» le domandò Samuel assicurandosi che il tavolo fosse stabile.

«Sì.» rispose Marie-Anne, «Sono stanca, ho dormito poco.» sospirò e guardò di traverso Crystal, ma la lupa si era girata verso Emily che la chiamava per farsi aiutare a legare i capelli.

«Brutto sogno?» continuò a chiedere Samuel. Lui lo sapeva perché Marie-Anne avesse dormito poco ma non lo avrebbe mai detto: non voleva imbarazzare Crystal o scatenare domande imbarazzanti da parte dei bambini.

«Il mio caffè?» esclamò Kyle mentre le ragazze sistemavano i seggiolini.

«Un attimo.» sospirò Jenna, «Prepara la tavola.» ordinò.

Una ventina di minuti dopo erano di nuovo in viaggio, ormai erano a una trentina di miglia  a nord  di Johnstown, rimanendo  sempre lontani dai centri abitati. Avevano deciso di  proseguire verso il lago Eire, giusto per vedere se i muri che delimitavo il lungo lago ci fossero davvero oppure no, anche se il confine ufficiale fra gli USA e il Canada si trovava nel mezzo del lago, per farlo, però, avrebbero dovuto attraversare l'interstatale Ottanta e la Novanta, che si trovava a una manciata di miglia dal lago. Se ci fossero stati sul serio quei muri, avrebbero proseguito lungo lo stato di New York, cercando di attraversare il confine in quel punto.

L'unica contenta di quella situazione era Marie-Anne, che non aveva rinunciato all'idea di percorrere strade trafficate. La ragazza osservò Benjamin, seduto davanti a lei, e trattene a stento un moto di gelosia nel vederlo così vicino a Crystal: dopo quello che era successo la sera prima detestava ancora di più la giovane lupa  e avrebbe tanto voluto prenderla a schiaffi. Fissò le braccia dei due che si sfioravano, e sentì la gelosia salire dentro di lei, gorgogliare nello stomaco, come se fosse lava pronta a esplodere. E il fatto che fossero così vicini perché il divanetto a ferro di cavallo fosse omologato per sette persone e loro invece fossero in dieci — di cui tre bambini sui rispettivi seggiolini — non la sfiorava nemmeno.

Odiava Crystal semplicemente perché era Crystal.

❖.❖.❖

Dawn detestava quelle riunioni dove si parlava troppo e non si faceva nulla, tutte quelle chiacchiere le facevano venire il mal di testa, e avrebbe preferito essere sul campo a dare qualche calcio e salvare qualche vita, invece era bloccata lì, in quella riunione da almeno un paio d'ore, ad annoiarsi.

«Potete andare.» esclamò John e Dawn trattene un sospiro di sollievo. Recuperò le sue cose, si alzò e uscì dalla stanza.

«Mi stavo per addormentare.» sbadigliò lei, coprendosi la bocca con la mano. «Stanno diventando noiose.» sospirò e sorrise quando Steve l'affiancò.

«È che ripetono sempre le stesse cose.» disse lui, «Ormai le sappiamo a memoria.»

«Bhe... io vado a fare uno spuntino.» esclamò George e andò verso gli ascensori, «A dopo.» li salutò con la mano.

«Che fai?» domandò Steve posando un braccio sulle spalle della fidanzata.

«Credo che andrò nel mio ufficio a controllare un paio di cose.» rispose lei, «E vedere se rispediscono  Jackson a casa.» mormorò.

Steven la strinse più forte e le baciò la testa, «Ce la faremo, vedrai.» le disse, le baciò le labbra prima che lei entrasse nel su ufficio e andò nel suo.

Non c'era nessun messaggio e Thomas non l'aveva fermata, quindi niente novità, né belle né brutte. Ed era questo che la terrorizzava: quelle ore di totale calma prima che scoppiasse qualcosa, la classica calma prima della tempesta; anche se notizie delle agenzie stampa non promettevano nulla di buono, con i centinaia di tafferugli che scoppiavano ogni ora, in qualsiasi parte del Paese, soprattutto alle Hawaii, così isolate in mezzo all'oceano. Era anche vero che lì i Soldier fossero veramente pochi, circa un centinaio, anche se con i turisti di tutto il mondo potevano raggiungere anche un paio di migliaia.

Dawn sospirò e si sedette davanti alla scrivania, fissando lo schermo spento del computer.  

Sospirò e si mise al lavoro.

❖.❖.❖

Il camper si fermò poco dopo mezzo giorno a qualche miglia a sud est di Titusville. Il gruppo, qualche ora prima, si era dovuto fermare in un vecchio fienile fatiscente, a causa di alcuni uomini del presidente che erano in giro per rastrellamenti.

«Dovremo fermarci a prendere qualcosa da mangiare.» annunciò Kathy, accucciata davanti a uno dei mobiletti. «Abbiamo qualcosa giusto per il pranzo.»

«Merda.» commentò Erik, «Dobbiamo proprio.»

Kathy lo fissò, «Vuoi digiunare?» domandò, le sopracciglie rossastre alzate.

L'altro sospirò, «No.» disse. «Ci fermeremo, allora.» disse, «Prenderemo più cose possibili, così da non doverci fermare fino a quando non avremo superato il confine.» sospirò piano. «Saremo veloci e svelti.» disse fissando gli altri, «Non voglio rimanere in  giro troppo tempo in mezzo a gente che potrebbe perdere la testa da un momento all'altro.»

Gli altri furono d'accordo con lui. Pranzarono con il poco cibo rimasto, lavarono le posate e le stoviglie usate e ripartirono.

Kathy afferrò uno dei fogli del block notes a quadretti che avevano trovato nel motorhome e una biro blu, «Allora, cosa prendiamo?» domandò, pronta a scrivere la lista della spesa.

«Pane, tanto.» disse Jenna. «Meglio quello in cassetta, così non rischia di seccare.» aggiunse, «E magari un pacco di grissini per Sarah.» esclamò, Kathy annuì e iniziò a scrivere, la grafia tonda, piccola e ordinata.

«Cibo in scatola.» aggiunse Crystal, «Tonno, carne, mais e verdure varie.»

«Fagioli?» si intromise Marie-Anne.

«I fagioli no.» esclamò Erik, seduto accanto a Kyle, che guidava.

«I fagioli sono proteine!» protestò Marie-Anne.

«I fagioli sono aria puzzolente.» sbuffò Erik.

Samuel sospirò, «Potremmo prendere un paio di barattoli e mangiarli insieme ad altre cose.» disse, «Un cucchiaio a testa non ci farà male.»

Erik sbuffò e brontolò sottovoce, «E va bene.» concesse, «Ma io voglio qualche cosa di dolce.»

«Vogliamo tutti qualcosa di dolce.» rise Crystal.

«Il latte per Sarah c'è?» domandò Kathy.

«Un paio di barattoli.» rispose Jenna, «E una decina di omogenizzati.»

Kathy annuì, pensierosa. «Quindi almeno un altro paio di confezioni di latte ci servono.» disse e scrisse, «Pannolini?» domandò.

Crystal e Jenna si fissarono, «Se non la cambiamo ogni volta che si sporca dovrebbero durarci per una settimana.» disse la seconda.

«Potremmo farlo.» annuì Marie-Anne.

«Però così le si irriterà la pelle.» ribatté Cristal, «E sarebbe peggio.» sospirò.

Kathy chinò la testa, “Pannolini” scrisse, «E poi?» domandò.

«Acqua.» esclamò Samuel.

«Birra.» disse Benjamin.

«Vodka.» esclamò Kyle.

«Porto.» aggiunse Erik.

«Sei serio?» domandò Kathy voltandosi verso di lui e Erik le sorrise e annuì. «Non è meglio del rum?»

«Coca-Cola!» esclamò William.

«Quella fa male.» disse Marie-Anne.

«Potremmo fare del Cuba Libre.» ridacchiò Crystal.

«E Coca sia.» sorrise Kathy mentre scriveva.

«Io vorrei il latte al cioccolato.» pigolò Emily tirando la manica della maglia di Jenna, «Per favore.»

«No.» ribatté Marie-Anne, «Il latte al cioccolato fa male.»disse, ignorando l'occhiataccia della piccola

«Ci sono i brick, quelli piccoli.» esclamò Benjamin, «Li tengono sugli scaffali, quindi non vanno in frigo.»

«Okay,» esclamò Kathy «prendiamo anche quelli.» disse trattenendo un risolino alla vista del viso di Marie-Anne, che li guardava arrabbiata perché nessuno ascoltava i suoi suggerimenti. Alcol, bibite gassate, dolci... erano cose inutili, per lei. Se avessero preso le strade statali o interstatali avrebbero potuto fermarsi in un diner qualsiasi e pranzare e cenare, invece di stipare il motorhome di cibo. Incrociò le braccia, offesa e guardò Benjamin che fissava Kathy, la spalla di lui così vicino al corpo di Crystal... avrebbe voluto dividerli e buttare fuori la lupa dal mezzo in movimento.

Marie-Anne si limitò a sospirare e a posare i gomiti sul tavolo, lo sguardo fisso su Benjamin.

#

«Cos'è quell'icona?» domandò Erik indicando il computer di bordo del motorhome.

«Quale?» chiese Kyle.

«Quella.» Erik gliela indicò. «E anche quella.» indicò l'icona accanto alla prima.

Kyle spalancò gli occhi, «Merda.» sbottò, «Erik, per favore, controlla il libretto di istruzioni.»

Il cercatore annuì, afferrò il libretto — lui e Sam gli avevano dato solo una breve occhiata —  e controllò l'indice, sfogliò velocemente le pagine e lesse. «Merda.» imprecò, «Che nessuno usi il bagno.» esclamò voltandosi verso gli altri.

«Perché?» domandò Kathy.

«Perché il serbatoio è pieno.» sospirò Kyle sistemando il libretto nel cassetto porta oggetti del cruscotto. «E anche l'acqua sta finendo.» disse.

«Dovremo trovare una stazione di servizio, allora.» sospirò Benjamin, ricordando quello che era successo un paio di giorni prima, quando quell'uomo aveva cercato di sparare a lui e a Crystal.

La lupa lo fissò e deglutì. «Dovremo fare in fretta.» commentò.

Erik girò il sedile e li fissò, «Ovviamente.» disse.

«Riempiamo prima il cassone dell'acqua.» esclamò Kyle, «È il più semplice.» disse.

«Ma non ci sono le fogne?» domandò Emily.

«Stupida.» sbuffò sottovoce Marie-Anne.

Jenna la guardò male, poi rivolse la sua attenzione alla bambina, «No, non ci sono le fogne come in una casa vera.» spiegò, «C'è un serbatoio d'acqua per i rubinetti e la doccia, un altro che raccoglie gli scarichi.» le sorrise.

«Oh.» fece la bambina, «Ho capito.» annuì la bambina.

«Non era complicato.» sbuffò sottovoce Marie-Anne e Samuel si coprì la bocca con entrambe le mani, nascondendo una risatina. Lei lo fissò sentendosi sempre più offesa. «Vado io a fare la spesa.» disse.

«Ci andiamo io e Crystal.» commentò Benjamin bevendo un sorso d'acqua, «Conviene che rimani qui sul camper, se...» espirò piano «Se ci fosse qualche problema non sapresti come reagire.» le sorrise appena mentre lei spalancava la bocca.

«Direi che si può fare.» s'intromise Erik, «Magari vengo con voi così posso stare attento ed  evitare che qualcuno ci riempia il culo di pallini.»

«Io e Sam sistemeremo l'acqua e la fogna del camper.» esclamò Kyle. «Così Jenna, Kathy e Marie-Anne restano qui a guardare i bambini.» disse, pensando che non avrebbe mai lasciato i bambini soli con Marie-Anne.

«Portate Sarah con voi.» esclamò Jenna. «Tu e Crystal,» guardò Benjamin «potete passare come i suoi genitori, mentre Erik come un amico.» aggiunse, «Io posso fare il palo, mentre Kathy pensa ai bambini.»

I tre si scambiarono una breve occhiata, poi scrollarono le spalle. «Per me va bene.» disse Crystal.

Marie-Anne incrociò le braccia, offesa e irritata per essere stata messa da parte. Si disse che non avrebbe fatto più nulla, visto che la ritenevano incapace e inutile. Lei aveva solo paura.

❖.❖.❖

Un'ora più tardi, dopo aver percorso una stradina così stretta che il motorhome ci passava a filo, dovendo procedere così a circa cinque miglia orarie, si fermarono in una minuscola stazione di servizio, dopo aver fatto andare Kathy, Marie-Anne e i bambini più grandi nella camera da letto, con la giovane pantera accucciata sul letto, accanto al finestrino posteriore, gli occhi fissi su Erik, Benjamin e Crystal che spingeva il passeggino.

I due ragazzi recuperarono un carrello ed entrarono nel piccolo supermercato attiguo alla pompa di benzina con servizi per i camper. Benjamin e Erik riempirono il carrello con le cose segnate sulla lista scritta da Kathy, gettandole quasi alla rinfusa sopra un paio di casse d'acqua, bottiglie di Coca-Cola e aranciata; presero diversi pacchi di pane in cassetta, scatolame, merendine, pannolini, salviette umidificate, latte in polvere e omogeneizzati per Sarah. Presero anche dei bicchieri di carta adatti a contenere bevande calde, oltre a dei comunissimi bicchieri di plastica.

Crystal si fermò davanti a un piccolo espositore di vestiti per bambini. «Tutto bene?» le domandò Benjamin

Lei annuì. «Sì.» rispose, «È che...» respirò profondamente, «I bambini hanno solo due cose a testa.» esclamò, prese una gruccia di plastica rosa a cui era appeso una tuta da bambina, guardò il prezzo e la taglia e ne prese tre di colori diversi, ne prese altre tre per William, prese del vestiario anche per Sarah, afferrò mutandine e calze per i bambini; «Ho un paio di cinquantoni extra.» si rivolse a Erik, cinque bottiglie di alcolici strette fra le braccia.

«Uhm, okay.» commentò il Cercatore sistemando le bottiglie nel carrello. Proseguirono il loro giro, prendendo quello che mancava. Crystal fissò alcune confezioni di shampoo secco.

«Ci servono?» le domandò Benjamin.

Lei lo fissò, «Ho i capelli che fanno schifo.» replicò, «E visto che non posso lavarli...» scrollò le spalle.

«Giusto.» annuì Erik e prese tre confezioni, per poi sistemarle sopra le altre cose. Si diressero alla cassa, dove un giovane di circa ventisei anni stava ascoltando musica da un piccolo stereo.

«Di chi è il pupo?» commentò il cassiere, iniziando a passare la pistola scanner sui codici a barre dei vestitini, «Li metto in un sacchetto?» domandò.

«Eh, sì.» rispose Crystal, «Grazie.» disse notando che il ragazzo puntava la pistola scanner sui codici ma non succedeva nulla: la luce rossa non appariva, non c'era nessun suono e i prezzi non apparivano sul piccolo schermo collegato alla cassa.

«È leggermente strafatto.» commentò Erik notando le pupille dilatate.

«Allora, di chi è il bambino?» domandò di nuovo il cassiere.

«Di tutti e tre.» rispose Erik sistemando le bottiglie in modo ordinato in una piccola scatola di cartone.

«Oh.» commentò il ragazzo. «Davvero? Figo!» rise.

Pochi attimi dopo tutti gli articoli erano di nuovo nel carrello, tranne il sacchetto con i vestiti, che Crystal aveva appeso al manico del passeggino, la giovane osservò il razzo al di là del bancone mentre Erik finiva di sistemare le ultime cose. Crystal si bloccò, mosse piano la mano e afferrò il polso di Erik, «Guarda.» soffiò e mosse piano la testa, indicando il muro di fronte a loro. Anche se era nascosto da altri volantini, si capiva cosa ci fosse su quel foglio: le loro foto. Era uguale a quello che lei e Benjamin avevano visto un paio di giorni prima, quando quell'uomo cercò di sparare loro.

«Andiamo?» esclamò Erik guardandosi attorno. Al momento non c'era nessun pericolo, e il cassiere era così fuori di testa che non si sarebbe accorto delle loro facce impresse sul foglio appeso alla bacheca alle sue spalle.

«Subito.»  rispose Benjamin, accortosi anche lui di quello che Crystal e Benjamin stavano osservando. «Quant'è?» domandò.

«Uhm... sessanta dollari?» fece il cassiere. «Sì sessanta.» annuì e afferrò le banconote che Benjamin gli stava porgendo. «Buona giornata.» li salutò mentre gli altri quattro uscivano.

«Dobbiamo andarcene.» mormorò Benjamin spingendo il carrello, «E subito.» disse e guardò gli altri, soffermandosi un attimo in più su Crystal.

Gli altri annuirono e aumentarono la velocità. «Merda.» sbottò Erik quando erano a una cinquantina di passi dal camper, dove Kyle e Samuel stavano sistemando il serbatoio pieno d'acqua al proprio posto.

Crystal lo fissò, poi spalancò gli occhi quando, per un breve istante, le apparve nella mente un'immagine di una mano maschile che afferrava un fucile a canne mozze. «Vogliono spararci.» soffiò.

«Cosa?» esclamò Benjamin, «Sicura?» domandò.

«Sì.» rispose lei.

«Esatto.» confermò Erik

«Oh, siete arrivati.» esclamò Kyle, «Ci serve una mano.» disse.

«Più tardi.» disse Erik sistemando meglio la scatola con le bottiglie di vetro fra le braccia, «Ci stanno per sparare.»

L'altro spalancò gli occhi mentre Crystal saliva con il passeggino sul camper. Sollevò la bambina, «Sistemalo da qualche parte.» ordinò a Kathy.

«Che succede?» domandò l'altra spingendo il passeggino nella stanza da letto.

«Ci vogliono sparare addosso.» esclamò Crystal legando Sarah al suo seggiolino. «Bambini, sedetevi.» esclamò e andò ad aiutare Jenna a prendere le cose dal carrello, per poi accatastarle nel piccolo spazio fra il mobile della cucina e la parete della camera.

«Che succede?» domandò Marie-Anne, ancora seduta sul letto, «Che succede?» pigolò spaventata e quasi arrabbiata con Crystal, era sicura che fosse colpa sua, qualsiasi cosa stesse accadendo.

«Siediti.» disse Crystal.

«Che succede?» ripeté l'altra mentre i ragazzi salivano a bordo e Jenna si assicurava che le cinture dei bambini fossero allacciate bene.

«Ho detto siediti.» ringhiò Crystal afferrando il gomito di Marie-Anne, spingendola verso il tavolo, dove gli altri — tranne Kyle, seduto a posto di guida, ed Erik, seduto accanto all'altro — erano già seduti. «Muoviti.» sibilò Crystal.

«No!» gridò Marie-Anne, «Voglio sapere quello che succede!» disse.

«Succede che devi sederti.» esclamò Crystal, «Ora.» sibilò e si bloccò, voltò piano la testa verso la parte posteriore del motorhome e sentì un brivido corre lungo la spina dorsale. «Giù!» strillò e si gettò a terra, trascinando Marie-Anne con sé. Vide un proiettile volare in aria, colpire un qualcosa di blu che si macchiò immediatamente di rosso. «Erik! Via da lì!» disse afferrando Marie-Anne che si dibatteva, decisa a rimettersi in piedi. Il Cercatore l'ascoltò e si gettò a terra, proteggendosi la testa con le braccia.

Un attimo dopo un proiettile ruppe il vetro, attraversò il camper, trapassò lo schienale del sedile su cui fino a un secondo prima si trovava Erik e finì la sua corsa conficcandosi nello sportello del porta oggetti del cruscotto.

Nel camper risuonarono le urla mentre Kyle partiva, schiacciando con forza il pedale dell'acceleratore.

«Lasciami!» strillò Marie-Anne divincolandosi dalla presa di Crystal, «Che stai facendo?» esclamò, «Idiota.»

«Ti salvo il culo e mi insulti?» commentò Crystal alzandosi in piedi e raggiungendo in due passi il tavolo, si sedette e controllò Sarah, che si guardava attorno impaurita e spaventata da tutto quel trambusto. «Ringraziami.» sospirò osservando Marie-Anne sedersi accanto a Samuel.

La ragazza sbuffò, dicendosi che non l'avrebbe ringraziata.  Anche Erik si alzò in piedi, le mani posate sullo schienale, lo sguardo fisso sul foro causato dal proiettile. Ansimò pesantemente, voltò piano la testa, il viso di un bianco quasi spettrale, messo ancora più in risalto dai capelli neri e la barba di due giorni. «Mi hai salvato.» soffiò verso Crystal, «Grazie.»

Lei scrollò le spalle. «Dovere.» si limitò a dire.

«Dovremo fare qualcosa per quello.» Benjamin indicò il finestrino posteriore. «Potrebbe rompersi.»

«Dopo.» disse Kyle, «Quando ci saremo allontanati da qua.» esclamò, «Cazzo, pensavo che non ci avrebbero più sparato addosso.».

#

Si fermarono a qualche miglia dal confine con il Canada, lungo le sponde del fiume, in una zona tranquilla. C'era solo un vecchio furgone senza i copertoni e mezzo arrugginito che spiccava nel verde della vegetazione. Scesero dal campo e Kyle prese le targhe del furgone per sostituire quelle del camper. Ne avevano parlato poco prima, concordando che, al 90% qualcuno avesse preso il numero di targa.

Mentre Kyle sostituiva le targhe gli altri scesero dal camper. Avevano deciso che avrebbero approfittato del grande prato verde per svuotare il contenitore con le acque nere del camper e dargli una pulita con l'acqua del fiume Allengheny.

«Non vorrai lasciare quella montagna di merda in giro?» esclamò Jenna fissando Kyle che apriva lo sportello posto sul fianco del mezzo.

«Perché no?» replicò lui.

«Perché puzza.» sbuffò Jenna.

«Bisognerebbe scavare una buca.» esclamò Crystal. «Non siamo animali.»

«Alcuni animali la coprono.» disse Kathy.

Kyle sbuffò, «E con cosa scavo la buca?» sbottò, «Non abbiamo nulla.» disse e incrociò le braccia muscolose al petto. 

«Faccio io.» s'intromise Samuel togliendosi gli occhiali. «Adoro scavare buche.» disse con un sorriso sul volto, poi rientrò nel camper e si spogliò velocemente, uscì e Crystal coprì gli occhi di Emily, che se ne stava aggrappata a lei. Un attimo dopo la pantera trotterellò dietro Kyle, fermandosi in un punto in cui mancava l'erba.

Con le grandi zampe anteriori iniziò a scavare, formando in un paio di minuti una buca larga e profonda. Intanto Kyle e Benjamin avevano portato il grosso contenitore da Samuel, che balzò fuori dalla buca e li osservò svitare il tappo e rovesciare il contenuto nella buca.

«Puzza da morire.» biascicò Benjamin e tirò il bordo della felpa oltre il mento, coprendosi bocca e naso.

«È merda, non profuma come dei fiorellini di campo.» replicò Kyle piegano in avanti il contenitore bianco.

«La sentiamo anche da qui!» esclamò Kathy facendo un passo indietro, «Datevi una mossa.»

Kyle sbuffò e non le rispose, lui e Benjamin finirono di svuotare il contenitore e si avvicinarono alla riva del fiume mentre Samuel copriva la buca, sollevando terra e erba con le grosse zampe.

Le ragazze erano poco lontano, ma sempre a pochi passi dalla riva del fiume; Jenna teneva in braccio Sarah e guardava William che calciava dei sassi ed Emily che raccoglieva margherite; Kathy era seduta sul prato, accanto a Crystal ed Erik che fumavano una sigaretta. Marie-Anne, invece, se ne stava in piedi, le braccia conserte, ancora arrabbiata perché nessuno prestava attenzione alle suo proposte. Aveva detto che non era prudente fermarsi in mezzo al nulla, che fosse meglio scegliere un'altra stazione di servizio, ma l'avevano ignorata completamente. Per un momento sperò che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, così poi avrebbe potuto dire: “Ve l'avevo detto!”.

Samuel entrò in acqua, bagnandosi le zampe per poi agitarle nell'acqua, eliminando tracce di terra, erba e foglie.

Crystal spense la sigaretta contro un sasso e si guardò attorno, leggermente confusa. «Lo senti?» domandò a Kathy, «Il silenzio.»

L'altra la guardò, poi voltò la testa, fissando la vegetazione davanti a lei. Spostò per un attimo lo sguardo su Emily, intenta a raccogliere margherite a pochi passi dalla riva. «Il sottobosco.» mormorò, «Non sento nulla.» disse.

«Eh?» commentò Erik spegnendo la sigaretta. «Cosa?»

«C'è qualcosa.» spiegò Crystal alzandosi in piedi. «È meglio se ce ne andiamo.»

«Bambini, salite sul camper.» esclamò Jenna sistemando meglio la bambina fra le sue braccia.

«Che succede?» domandò Kyle. 

«Il sottobosco è in completo silenzio.» disse Crystal. «Ci deve essere un predatore, bello grosso, suppongo.»

«Io non sento il suo odore, quindi o è sottovento oppure...» Kathy lasciò cadere la frase.

«Oppure sono quelle bestiacce.» concluse Erik. «Sam!» esclamò, «Smettila di giocare con l'acqua e vieni qui!»

La pantera trotterellò verso di loro, non capendo perché fossero così agitati — non aveva sentito i loro discorsi.

E all'improvviso un'alce mutante sbucò da un folto cespuglio, e travolse Samuel, spintonò Emily che cadde nel fiume e puntò Jenna. Kyle si mise in mezzo e colpì la bestia con un pugno, stordendola per qualche attimo — e Jenna ne approfittò per salire sul camper, sistemare Sarah sul seggiolino e afferrare il fucile.

«Emily! Emily!» gridò Crystal scrutando l'acqua del fiume che in quel punto scorreva velocemente, creando piccoli mulinelli d'acqua.

Erik sollevò William e lo fece salire sul camper, fissò Marie-Anne che se ne stava immobile a fissare l'animale. La strattonò, portandola al sicuro sul camper e prese la pistola.

Kyle girò attorno alla bestia, alta quasi quanto lui — anche se le grandi corna lo superano di un bel pezzo.

L'animale sbuffò e si girò, fissando Benjamin, che sgranò gli occhi alla vista delle grosse zampe dell'animale che si muovevano sul terreno, quasi come se volesse caricarlo. L'istinto gli suggerì di spostarsi e di farlo velocemente: lo fece appena in tempo. La bestia abbassò il capo e caricò, sfiorandolo con le corna affilate come rasoi, che lasciarono un grosso graffio sul bicipite del giovane. Benjamin portò la mano sulla ferita, il sangue che impregnava la maglia e gli sporcava le dita. Fissò Crystal, vedendola intenta a togliersi le scarpe. Gridò il suo nome e la raggiunse in pochi passi, ignorando il bruciore al braccio mentre Jenna cercava una linea di tiro libera.

«Crystal.» esclamò il lupo afferrandole la vita.

«È caduta in acqua!» ribatté Crystal e si liberò, «Emily!» gridò, sovrastando le urla e i versi della bestia, si avvicinò alla riva ed entrò, rabbrividendo per l'acqua fredda e avanzando mentre l'acqua iniziava a lambirle i fianchi.

Kathy si avvicinò a Benjamin. «Sei ferito.» commentò.

«Non è niente.» replicò lui, lo sguardo su Crystal, poi si voltò quando sentì lo sparo. L'alce mutante crollò a terra, diventando un cinquantenne dai capelli neri e leggermente sovrappeso.

«Emily!» chiamò ancora Crystal avanzando nell'acqua e poi la vide. Le si avvicinò, sentendo qualcosa passarle fra le gambe e rabbrividì. SI avvicinò alla bambina, aggrappata a una pietra, la testa che veniva sommersa dalla forza del fiume. La sollevò, «Sono io.» esclamò abbracciandola forte, sentendo il corpicino della bambina scosso dai singhiozzi e dai brividi causati dall'acqua fredda. 

«State bene?» esclamò Jenna.

«Sì.» rispose Crystal e avanzò, sentendo sotto i piedi i sassi lisci e levigati del letto del fiume. Sentiva le mani di Emily stringerla — una le artigliava la felpa, l'altra era aggrappata ai suoi capelli, legati in un alto e disordinato chignon. Fece un paio di passi quando incappò in un mulinello sotto il pelo dell'acqua che la scaraventò di schiena contro il masso più vicino. Crystal soffocò un urlo e chiuse gli occhi mentre il respiro le si mozzava in gola e  il dolore le invadeva la schiena.

«Crystal!» la chiamò Jenna, le braccia piene di asciugamani.

«Sto bene.» rispose la lupa e si avvicinò lentamente alla riva. Kyle le prese la bambina dalle braccia e Jenna si affrettò ad avvolgerla in un asciugamani. Kyle e Benjamin aiutarono la ragazza a uscire dal fiume, poi lei si ritrovò avvolta da almeno tre asciugamani.

«Sto bene.» ripeté mentre Kyle la prendeva in braccio, sollevandola senza fatica, come se pesasse quanto un gattino appena nato. «Non è necessario.» esclamò lei, asciugandosi il viso con un lembo di uno degli asciugamani, «So camminare da sola.» aggiunse. Kyle non le badò e camminò verso il camper, per poi farla sedere sul letto, accanto a Jenna che stringeva Emily.

Kathy fu accanto a loro e frugò nel sacchetto dei vestiti che Crystal aveva preso poche ore prima.

Marie-Anne, ancora immobile a due passi dalla soglia si ridestò,  pensando che avrebbe potuto sedersi accanto a Sarah, così poi Benjamin si sarebbe accomodato accanto a lei...

«Merda.» sbottò Samuel lasciandosi cadere pesantemente sui sogni di Marie-Anne, occupando il posto accanto al seggiolino di Sarah, i calzini neri in una mano e le scarpe nell'altra.

«Puoi dirlo.» sospirò Kyle, si guardò attorno e andò al posto di guida. «Andiamocene.» disse.

«Vuoi del latte caldo, principessa?» domandò Erik, appoggiato con il sedere al piccolo blocco della cucina. La bambina si limitò ad annuire. «Crissy?» domandò prendendo il pentolino.

«Buttaci dentro un po' d'alcol.» rispose lei e fissò Benjamin sedersi accanto a Kyle, mentre Marie-Anne se ne andava al suo posto con un'espressione delusa dipinta sul viso. Lentamente si levò la felpa bagnata e la gettò nel catino, sopra i vestiti della bambina.

«Hai un bel livido.» commentò Kathy piegandosi su di lei e fissandole la schiena.

«Non è niente.» sospirò Crystal. «Le mie scarpe?!» esclamò.

«Lì.» sospirò Samuel indicando sotto il tavolo.

Crystal si limitò ad annuire, mentre Kathy curiosava nella scatola del pronto soccorso, trovando una pomata contro gli ematomi; attese che l'altra si levasse il reggiseno e si coprisse il petto con l'asciugamano prima di spalmarle il medicinale sulla schiena.

«Hai le mani d'oro, Kat.» sospirò Crystal, gli occhi chiusi, «Lo sai?»

«Oh, lo sa, lo sa.» sorrise Samuel, poi fissò Erik che versava un po' di cognac in una tazza, «Dammene un po'.» esclamò.

Erik gli allungò la bottiglia e i bicchieri di plastica; la pantera ne riempì uno e lo bevve in due sorsi. «Merda, non possiamo stare tranquilli neppure per dieci minuti.» esclamò Samuel, la rabbia nella voce, la mano che stringeva il bicchiere.

Jenna lasciò la bambina sul letto, avvolta dalle coperte e andò a sedersi, sgusciò sotto il tavolo per riapparire accanto a William

«Io l'avevo detto!» strillò Marie-Anne, «L'avevo detto che non dovevamo fermarci!» esclamò e William si ritrasse sul seggiolino, allungando una mano verso Jenna, che gliela strinse.

«Oh, ma smettila.» sbottò Erik riempiendo il biberon di latte, «Che tu non sai nulla di questo questo.» aggiunse avvitando la ghiera con la tettarella. «Saresti già evaporata se noi non ti avessimo preso.» disse versando il latte nella tazza dove si trovava già un dito abbondante di cognac, afferrò un pacchetto di biscotti già aperto e portò il tutto nella camera. Emily afferrò il biberon e iniziò a succhiare, appoggiata al fianco di Crystal. Un attimo dopo portò una tazza di latte e cognac anche a Kathy

Marie-Anne inspirò un paio di volte, il viso rosso dalla rabbia e dall'umiliazione: Erik le aveva sempre dato le spalle mentre le parlava, dando sfoggio a tutta la maleducazione che aveva. «Maleducato.» bofonchiò, irritata. Si sporse oltre il sedile, spiando Kathy, Crystal ed Emily.

Girò il viso, sperando di incrociare lo sguardo di Benjamin ma il lupo aveva gli occhi fissi sulla strada, fissò Samuel, che non la degnava di uno sguardo. «Imbecilli.» sputò la giovane.

Nessuno le badò.

«Non ci fermeremo più.» esclamò Erik, ancora appoggiato al lavandino, i sensi all'erta, un bicchiere pieno a metà di cognac in mano, «A meno che non sia strettamente necessario.» continuò, spostando lo sguardo sulle ragazze sedute sul letto.

«E per la guida?» domandò Benjamin.

Erik sospirò, «Ci daremo il cambio.» disse, «Sei ore a testa.» continuò.

«Posso guidare anche io.» esclamò Jenna, «Ho già guidato camper, certo non così grandi...» scosse la testa, «Posso farcela.»

Erik annuì, «Bene.» commentò, «Chi altro?» domandò ignorando la mano alzata di Marie-Anne —  e lei si offese ancora di più.

«Bha, io non credo di riuscire a portare questo bestione per più di un paio di miglia senza uscire di strada.» sospirò Kathy, finì di bere e si alzò in piedi.

«Io ho guidato un trattore.» esclamò Crystal afferrando il biberon ormai vuoto.

«E mi hai schiacciato un pallone.» ricordò Erik.

«Quanti anni avevi?» domandò Samuel fissando Crystal sistemare le stoviglie sporche nel lavello.

«Dieci.» rispose lei. «Ed è stato un incidete.» si rivolse a Erik, in piedi accanto a lei. «Certo, se avessi evitato di rapare a zero la mia Barbie...» scrollò le spalle, fissò Samuel alzarsi per cederle il posto e si sedette. «Forse avrei sterzato un po' prima.» ridacchiò sottovoce.

Benjamin scoppiò a ridere, «Sei pericolosa, Crissy.» la prese in giro.

«Dai, gli hai rotto un pallone solo perché ha tagliato i capelli a una bambola?» commentò Kyle divertito. «Però... un trattore? A dieci anni?» commentò, lo sguardo fisso sulla strada, la mani strette sul volante.

Lei sospirò, «Bhe, era stato nonno a dirmi di provare a guidare.» rispose, «Certo, avrei potuto rallentare o sterzare quando ho visto la palla ma ero troppo arrabbiata.»

commentò con un sorriso.

«Tutto questo per una Barbie?» domandò Samuel, «È un giocattolo!» sbuffò.

«Non c'è cosa peggiore della propria Barbie con i capelli tagliati.» esclamò Jenna mentre Kathy annuiva.

«Donne.» sospirò Erik, «Vai dalla tua donna.» disse a Samuel, che si alzò, fece fare lo stesso a Marie-Anne e si sedette accanto alla fidanzata.

«Dobbiamo parlare di cose stupide ancora per molto?» sbottò Marie-Anne.

«Sì.» rispose Jenna, «Ci distenderà i nervi.» sospirò stanca.

Marie-Anne strinse i pugni e respirò rumorosamente, odiando tutti quanti, a partire da Emily, che se ne stava raggomitolata nel letto, il pupazzo a forma di maiale stretto fra le braccia, passando per Samuel, Kathy, Jenna, Sarah e William, Kyle ed Erik, che detestava quasi quanto Crystal. L'unico che non odiava era Benjamin. Si voltò per fissarlo, scorgendone il profilo, il naso dritto, le labbra socchiuse.

«Come saranno i turni?» domandò Samuel fissando Erik. «Dopo Kyle a chi tocca?» domandò.

Erik sorseggiò un po' d'acqua. «Chi fa il prossimo turno?» domandò e afferrò uno dei block notes che i bambini usavano per i loro disegni, prese un foglio bianco e uno dei pennarelli che avevano trovato in uno dei cassetti.

Dal sedile del passeggero apparve una mano, «Lo faccio io.» esclamò Benjamin.

«Perfetto.» esclamò Erik, «Sono le» guardò l'orologio «quattro e mezza.» disse, «Direi che Kyle smette alle dieci e mezza e gli dai il cambio.» disse e gli altri due risposero che andava bene, Erik scrisse i loro nomi con una grafia piccola e spigolosa, «Ora tocca alle signore.» esclamò fissando Crystal e Jenna.

«Faccio io.» rispose la Miratrice.

Erik annuì, «Bene.» disse. «Quindi tu guidi dalle quattro e mezza alle otto e mezza.»

«Perché solo quattro ore?» domandò Jenna, vagamente offesa.

«Volevo essere gentile.» replicò Erik, «Però se vuoi guidare sei ore fa' pure.» disse.

Jenna annuì, «Faccio sei ore.» esclamò, le braccia conserte.

«Bene.» sospirò Erik, «Io o te?» chiese a Samuel che rispose che per lui era uguale. «Allora tu.» ridacchiò Erik.

«Te la sei cercata.» rise Kathy alla vista della bocca spalancata del ragazzo al suo fianco.

Erik finì di scrivere i turni alla guida. «Quindi Kyle, Benjamin, Jenna, Samuel, io e Crystal.»

«E io?» domandò Marie-Anne, stanca di tutti quei teatrini.

«Tu nulla, non ti affiderei neppure un monopattino.» esclamò Erik, spostò lo sguardo su Samuel e lo vide trattenersi dallo scoppiare a ridere. Inspirò a fondo e rilasciò l'aria lentamente.

Marie-Anne ingoiò la saliva, incrociò le braccia e si chiuse in un ostinato mutismo.

❖.❖.❖

Dawn bevve l'ultimo sorso di caffè e posò la tazza accanto al tappetino del mouse. Inspirò a fondo, cercando di rilassare le spalle, ancora indolenzite dopo l'allenamento di kickboxing di un paio di ore prima. Infilò in bocca una caramella gommosa all'arancia e fissò lo schermo del computer, quasi sperando che quello gli desse la soluzione a tutti i suoi problemi.

Lo schermo da trenta pollici rimase sulla stessa schermata di prima, quella del desktop, con una foto di Battery Park al tramonto, con The Sphere in primo piano.

La giovane sbuffò infastidita e annoiata. La cose continuavano ad andare di male in peggio, con quei muri innalzati sulle sponde di laghi e fiumi posti sul confine fra USA e Canada, i militari che pattugliavano i confini giorno e notte, lasciando agli statunitensi poche possibilità di fuga.

Tutto ciò la rendeva inquieta. Il non sapere, l'essere impotenti la destabilizzava, minacciando di farla crollare da un momento all'altro. E lei non voleva, non poteva* crollare. Aveva la sua squadra da guidare, non poteva rischiare un esaurimento.

E aveva centinaia di vite da mettere in salvo.

Alzò appena la testa quando sentì la porta aprirsi lentamente. «Che vuoi?» domandò infastidita.

«Siamo nervose.» commentò James entrando, finendo di aprire la porta spingendola con la spalla destra. Fra le mani reggeva un vassoio.

«Che cosa vuoi?» domandò lei, «Quello?» chiese indicando il vassoio.

«Rita ha preparato della zuppa inglese.» rispose James posando il vassoio sul tavolo. «E a te piace, lei lo sa e mi ha chiesto di portartene un po'.» aggiunse alzando il copri vivande giallo.

Dawn inspirò a fondo, il sapore del dolce al cucchiaio che le invadeva la gola. «Ehm... grazie.» disse. «Cioccolata calda?» domandò fissando il bicchiere di carta.

«No, latte caldo.» rispose James. «Ma c'è il cacao in polvere...» scrollò le spalle. «Bhe, io vado.» aggiunse. «Dopo riporta il vassoio in cucina.» aggiunse prima di lasciare l'ufficio.

Lei non ci badò più di tanto, spostò la tazza vuota e avvicinò il vassoio, afferrò il cucchiaino e iniziò a mangiare, gustando ogni boccone e sorseggiando il latte.

Quando finì la zuppa inglese, sollevò la ciotolina, una di quelle in alluminio usa e getta e iniziò a leccarne i bordi.

«Sembri un gatto.»

Dawn abbassò la ciotolina, «Steve.» sorrise fissando il fidanzato entrare nella stanza.

Lui rise, «Hai il naso sporco.» commentò.

Dawn scrollò le spalle, afferrò un fazzoletto di carta dalla scatola e si pulì.

«Scommetto che è la zuppa inglese di Rita.» disse Steven sedendosi di fronte alla scrivania.

«Sì.» rispose lei, «È sempre una delizia.» commentò, posò la ciotolina e il cucchiaino sul vassoio e afferrò la tazza con il latte, stringendola con entrambe le mani, sentendo sulla pelle il debole calore della ceramica. Lui le sorrise, poi sospirò pesantemente. «Problemi?» domandò lei.

Steven scosse la testa, «No.» rispose trattenendo un sbadiglio, «A parte quelli che conosci.» aggiunse, «Prima ho visto Mike girare per i dormitori.» 

Dawn scrollò le spalla, «E allora?» domandò, «Magari cercava qualcuno.» disse. Avrebbe voluto dirgli del piano di Jhon, ma era un segreto e lei li manteneva, anche se ciò le costava omettere qualcosa all'uomo che amava.

«Quando l'ho salutato ha fatto un salto.» replicò lui.

«L'avrai spaventato.» rise Dawn e sorseggiò il latte.

«Probabile.» sospirò lui per poi alzarsi, fece il giro della scrivania e baciò le labbra di Dawn, «Torno a lavorare.» soffiò, «Ci vediamo dopo.»

Lei gli sorrise, felice. «Perfetto.» mormorò e lo fissò uscire dalla stanza. Fece un profondo respiro e rilassò la schiena contro lo schienale della sedia, sentendosi più tranquilla e rilassata.

❖.❖.❖

Kathy portò un piatto con un paio di tramezzini a Kyle, che ne afferrò uno e iniziò a mangiarlo, stringendo il volante con una mano sola, «Solo due?» domandò ad un certo punto, «Ho fame!» si lamentò.

Jenna sbuffò, «Se stai zitto te ne preparo un altro.» sbuffò sedendosi a tavola, accanto a Marie-Anne.

Cenarono velocemente, anche perché non era facile con il mezzo in movimento. Da un'ora e mezza era nello stato di New York, avevano superato Jamestown, l'interstatale Ottantasei, entrando e uscendo subito dopo, ignorando le lamentele di Marie-Anne, che avrebbe volentieri proseguito su quella strada. Volevano avvicinarsi al Lago Ontario, per poi proseguire. Erano certi che se avessero provato ad avvicinarsi alle Cascate del Niagara, sarebbero stati fermati immediatamente: quella era una zona turistica, e di certo Erikson aveva mandato i suoi uomini a controllare chiunque osasse avvicinarsi a quel punto.

Alle nove e mezza Crystal rimboccò le coperte ai bambini, augurandogli loro la buona notte, tornò a sedersi accanto al seggiolino vuoto di Sarah.

«Ho bisogno di un caffè.» sbadigliò Benjamin alzandosi dal sedile del passeggero, «Di una cisterna.» si corresse mentre riempiva il pentolino con dell'acqua.

«Qualcuno dovrebbe fargli compagnia.» esclamò Kathy, «Così, per evitare problemi.»

«Giusto.» gli fece eco Samuel, «Chi si offre?» domandò e guardò Erik.

«I-» 

«Resto io.» esclamò Erik, interrompendo sul nascere l'offerta di Marie-Anne, che abbassò la mano stizzita e offesa.

«Bene.» commentò Benjamin girandosi verso gli altri.

«Tu dove dormi?» chiese Kathy, «Visto che Sam sta sul sedile puoi unirti a noi.» indicò se stessa e Marie-Anne, che avvampò.

«Sembra una proposta equivocabile.» borbottò Samuel togliendosi gli occhiali  e controllando se le lenti fossero pulite. Kathy ridacchiò e gli soffiò un bacio.

«No, credo che dormirò per terra.» disse. «Al limite quando è il turno di Jenna prendo il suo posto.» aggiunse.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, fino a quando il caffè non fu pronto. «Lo vuoi?» domandò Benjamin a Samuel, che annuì. Il lupo versò la bevanda in due bicchieri, li zuccherò e ne porse uno alla pantera.

«Ne hai fatto un bel po'.» commentò Erik.

Benjamin soffiò sul bicchiere e alzò le spalle, «Così se ne ho voglia posso mandare il Samuel a prenderlo.» sorrise prima di bere un sorso.

«Ehi!» protestò l'interessato, «Prima la mia fidanzata fa' proposte quasi indecenti ad un altro, adesso tu mi tratti come un tirapiedi porta caffè.» brontolò prima di sorseggiare lentamente il caffè.

Poco dopo Kyle accostò, dando il cambio a Benjamin, che infilò il bicchiere pieno per metà nell'apposito vano e ripartì, mentre Kyle raggiungeva Jenna nel letto sopra la cabina e  Erik si sdraiava sul sacco a pelo.

Poi, nel motorhome piombò il silenzio.

Scusate l'enorme, stratosferico ritardo. Ma ho avuto un blocco da paura :(
Grazie a tutti!
P.S: sono anche su Wattpad seguitemi (vi ricambio) e leggetemi e stellinatemi. Grazie!

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Capitolo 9
*** 7. Sesto Giorno ***


Projeus:
The Big War

7.
Sesto Giorno

Venerdì Settembre.

Jenna si svegliò e controllò l'ora, afferrando il polso di Kyle e spostando l'orologio, per poi schiacciare il piccolo pulsante che faceva illuminare il quadrante. Le quattro e dieci. Ancora venti minuti e sarebbe stato il suo turno alla guida.

Sbadigliò e scese dal letto a soppalco, scavalcò Erik, che alzò la testa e la fissò con gli occhi socchiusi, «Prendi il mio posto.» sussurrò lei piegandosi su di lui.

Erik annuì, si alzò in piedi, afferrò l'asciugamani ripiegato che usava come cuscino e andò al posto della ragazza, addormentandosi immediatamente.

Jenna si preparò del caffè, facendo meno rumore possibile per non svegliare gli altri e andò a sedersi accanto a Benjamin, porgendogli il bicchiere d'acqua che lui le aveva chiesto poco prima.

«Ci sono stati problemi?» domandò.

«Niente di che.» rispose lui, «A parte la strada stretta.» aggiunse, «Un paio di volte mi sono dovuto fermare per far passare dei camion che provenivano dalla direzione opposta.»

Jenna annuì e sorseggiò il caffè. «Dove siamo?» domandò.

«A metà strada fra Le Roy e Victor.» rispose lui. «Alla radio hanno detto che stanno intensificando i controlli lungo i confini con il Canada.»

Jenna lo fissò e sospirò, temendo che non sarebbero mai riusciti a superare il confine. Pensò che avrebbero potuto abbandonare il motorhome a poche miglia dal confine e proseguire a piedi, tenendo i bambini in braccio, per poi comprare un paio di auto usate o un altro camper una volta oltreconfine.

«Sarà complicato.» mormorò lui.

Lei inspirò a fondo, «Già.» commentò.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, fino a quando Benjamin non sospirò pesantemente. «Devi seguire la linea tracciata a matita.» disse e staccò per un istante la mano destra dal volante, indicò la cartina piegata posta sul cruscotto.

«Va bene.» pronunciò Jenna.

Rimasero in silenzio, poi Benjamin accostò e cedette il posto a Jenna, che ripartì immediatamente. Il ragazzo fissò il sacco a pelo gettato a terra, spostò lo sguardo su Crystal che dormiva sdraiata sul fianco sinistro, ed Emily che le si era rannicchiata contro. Sfiorò la fronte della bambina, sentendola calda. William dormiva dando la schiena alle altre due, il pupazzo stretto fra le braccia. Sarah se ne stava nella vaschetta imbottita ai piedi del letto e dormiva tranquillamente, il ciuccio in bocca, rilasciando di tanto in tanto respiri profondi.

Benjamin alzò il sacco a pelo e lo stese sui bambini, poi alzò le coperte e si sdraiò accanto a Crystal, abbracciandola da dietro. Pochi minuti dopo si addormentò.

❖.❖.❖

Dawn entrò nel suo ufficio e fissò il cielo che si schiariva ogni secondo che passava. Si avvicinò alla finestra, posando distrattamente lo sguardo sui diplomi appesi alle pareti. Appena avevano capito che la situazione si stava facendo brutta, avevano smontato i loro uffici di New York, portando via ogni cosa, compresi gli estintori. Immaginò il grande edificio di dodici piani, compresi i due sotterranei, vuoto e le si serrò la gola. Le gradi vetrate sulla città, l'arredamento semplice e sobrio, i vari dipartimenti, i dormitori, le aule, le palestre e la cucina... le mancava ogni singola cosa della sua vita di prima, comprese quelle che un tempo avrebbe considerato sciocchezze.

La ragazza si scostò dalla finestra e andò alla scrivania, la tazza di caffè stretta fra le mani. Guardò le cornici d'argento poste in modo ordinato sulla scrivania. Ne afferrò una, che la ritraeva sedicenne, in piedi accanto a un ventunenne Nick.

La posò e ne prese un'altra, forse la prima foto di lei, a sei anni, con un vestitino blu, davanti all'ingresso della scuola elementare. Era stata scattata da una delle suore della casa famiglia dove era cresciuta e dove era ritornata ogni volta che una delle famiglie affidatarie si stancava di lei e del suo carattere ribelle e la riportava indietro.

Non sapeva nulla dei suoi genitori, solo che era nata al Queen Hospital Center e che era stata abbandonata subito dopo la nascita; aveva fatto molte ricerche per scoprire chi fossero i suoi genitori, ma erano state tutte vane, anche con il DNA. Alla fine aveva rinunciato a quella parte della sua storia dicendosi che lei una famiglia ce l'aveva e che non era stata abbandonata vicino a un cassonetto come se fosse stata un sacco dell'immondizia.

Decise di non pensarci più e di dedicarsi a cose più serie. Accese il computer e mentre il sistema operativo si caricava finì di bere il caffè. Controllò i messaggi ma non c'era nulla di importante. Sì lasciò prendere dai ricordi ancora una volta, andando con la memoria al giorno in cui aveva conosciuto Daniel e Steven, scambiando il primo per un facchino — lui l'aveva aiutata a portare le valige in camera — per poi scoprire che anche lui era sotto copertura e che il suo ruolo in quella missione era di vicepreside. Quella volta c'erano anche George, James e Isobel — e Dawn fece una smorfia al pensiero di lei —, solo che né James, né Isobel sapevano della presenza degli altri.

Dawn avrebbe tanto voluto avere una macchina fotografica per immortalare l'esatto momento in cui James si era accorto dalla sua presa.

La donna sospirò e scrollò la testa, per poi decidere di rimettersi al lavoro: doveva coordinare alcune squadre da mandare nel New Hampshire.

❖.❖.❖

L'urlo riecheggiò nel camper.

«Mi hai toccato il culo!» strillò Erik scendendo velocemente dal letto a soppalco.

«Che succede?» domandò Jenna mentre gli altri si svegliavano.

«Succede che tuo marito mi ha molestato!» squittì Erik passandosi una mano fra i capelli, scostandoli dalla fronte leggermente sudata.

«Kyle ha fatto cosa?» biascicò Benjamin sollevando il busto, si accorse che Marie-Anne lo stava fissando e spostò lo sguardo su Erik, ancora mezzo nudo — indossava solo dei boxer neri — e si sdraiò di nuovo.

«Mi ha toccato il culo!» esclamò Erik girandosi verso il lupo, «Mi ha strizzato una chiappa!» ansimò, offeso.

Kathy ridacchiò, «E la devi fare così tragica?» domandò alzandosi dal sedile del passeggero.

Erik annuì, «Sì!»

«Pensavo fossi Jenna.» sbadigliò Kyle raggiungendo Erik, «Hai il culo sodo, lo sai?»

«Grazie.» borbottò Erik, «Ma no!» esclamò scuotendo la testa, «Come hai fatto a scambiarmi per Jenna?» sbottò, «Ti sembra che le assomigli?» sbottò agitando le mani.

«Ma la piantate!?» borbottò Crystal, si accorse che Benjamin aveva una mano sul suo fianco e sospirò, stanca, «Sveglierete i bambini.»

Marie-Anne era l'unica che non rideva, aveva lo sguardo fissò su Benjamin e Crystal. Quella notte si era svegliata per andare in bagno e li aveva visti, sdraiati così vicini che fra i loro corpi sarebbe potuto passare a malapena uno spillo. Li aveva osservati, gelosa e invidiosa, mentre l'odio per Crystal cresceva sempre di più.

«Io non ci dormo più con te!» sbottò Erik afferrando un paio di jeans, «Chissà cosa farai la prossima volta.»

«Ti toccherà le tette.» rise Samuel alzandosi dal letto e recuperò gli occhiali.

«Nah, impossibile.» disse Kyle agitando le mani, «Jenna le tette le ha.» esclamò, «Lui» indicò Erik «no.» rise, «Ha solo il culo sodo.»

«Il culo sodo è cosa buona e giusta.» sbadigliò Crystal facendo ridere Kathy.

Si alzarono tutti quanti, tranne Emily che dormiva ancora. Smontarono il letto centrale, facendolo diventare di nuovo un tavolo. Fecero colazione chiacchierando allegramente, anche Erik alla fine trovò la cosa divertente. L'unica che non partecipava era Marie-Anne, che fissava con odio Crystal, detestandola ogni secondo di più.

Benjamin tornò subito a dormire sdraiandosi al centro del letto, Emily che dormiva rannicchiata vicino a lui.

«Credo che abbia un po' di febbre.» sospirò Crystal fissando la bambina.

«Dici?» commentò Kathy.

Crystal annuì, «Sì, è calda.» rispose e sorseggiò il caffè.

Kathy sospirò, «Questa non ci voleva.» commentò. «Mi sembra di aver visto della tachipirina nella scatola del pronto soccorso.» disse e si alzò in piedi, andò a prendere la scatola dal bagno e l'aprì. «C'è.» commentò, «Quella da mille.» aggiunse.

«Quando si sveglia falla mangiare e dagliene metà.» disse Jenna, ancora alla guida.

«Sì.» esclamò l'altra, «Uh, c'è anche il termometro!» disse, «Quello a mercurio!» cinguettò afferrando il cilindro di plastica trasparente con il coperchio verde scuro.

La bambina si svegliò in quel momento e Crystal corse a prenderla, stando attenta a non dare fastidio a Benjamin; afferrò anche uno dei plaid e l'avvolse attorno alla bambina dopo averla accompagnata al bagno.

Emily piagnucolò quando Crystal cercò di metterla nel seggiolino, così la tenne in braccio e, mentre Kathy scaldava il latte alla bambina, Crystal le misurò la febbre.  «Trentotto e tre.» sospirò dopo qualche minuto e baciò la fronte della bambina per poi sistemarla meglio sulle proprie gambe e la guardò bere il latte e piluccare un paio di biscotti.

Kathy tagliò la pasticca in quattro parti uguali, poi ne porse due alla bambina, «Prendi, tesoro.» le disse allungandole un bicchiere d'acqua, «Dopo ti sentirai meglio.» le sorrise.

La bambina piagnucolò per qualche secondo, dicendo che non voleva prendere la medicina e Marie-Anne era pronta a sgridarla ma bastò che Crystal la fissasse per farla rimanere in silenzio. La bambina inghiottì i pezzi di pillole e si accoccolò contro Crystal, il pollice sinistro in bocca.

La lupa le accarezzò la schiena fino a quando la bambina non si addormentò di nuovo, il respiro pesante e il pollice destro in bocca. Crystal si alzò stringendo Emily e la portò a letto, sistemandola accanto a Benjamin, che aprì per un momento gli occhi. «Ha la febbre.» sussurrò la ragazza coprendo la bambina, lui annuì e si riaddormentò.

Il viaggio trascorse tranquillamente, alle dieci e mezza Jenna diede il cambio a Samuel alla guida del motorhome, fece colazione andò a riposarsi un po'.

❖.❖.❖

Erikson mosse il mouse, fissando la lista di nomi che scorrevano davanti ai suoi occhi. Ne aveva catturati tanti, uccisi ancora di più ma quelli ancora in libertà erano ancora troppi. Senza contare quelli che magari non erano su quella lista.

Bevve un sorso di vino rosso e mangiò un pezzo di grissino, il suo aperitivo prima del sontuoso pranzo.

La talpa che gli aveva procurato la lista gli aveva dato solo un fascio di fogli rilegati da una spirale arancione fluo, ed erano stati i suoi tecnici a creare quel programma: in una parte comprendeva la lista di tutti i Soldier — ma lui si rifiutava di chiamarli o pensare a loro in quel modo — e bastava cliccare su uno dei nomi per avere tutti i dettagli delle persone in questione, come nome completo, data e luogo di nascita, che potere avevano, scuole frequentate, lavori svolti, la fedina penale, gruppo sanguigno, malattie, quante volte erano stati in ospedale e perché, la seconda scheda era suddivisa in due, da una parte i mostri uccisi — di solito quelli vecchi o con disabilità così gravi da essere inutili ai suoi scopi, mentre l'altra riguardava quelli catturati, con l'aggiunta nelle informazioni dei trattamenti subiti. La terza parte era quella che odiava di più: erano quelli ancora in fuga.

Erano ancora tanti, troppi. Troppa gente che era sfuggita ai suoi uomini, troppe persone che ormai erano oltre confine o nascosti chissà dove. Ma aveva fiducia nella talpa e nella persona che gliela aveva proposta. Certo, il fatto che la talpa fosse ignara di essere una talpa non gli importava affatto, anzi, così non avrebbe avuto problemi ad unirsi ad altre persone come lei; e poi lui li avrebbe catturati.

Sorridendo a quello che reputava un pensiero piacevole, bevve un sorso di vino.

❖.❖.❖

Dawn mandò giù gli ultimi sorsi di caffè. Un 'altra riunione sarebbe iniziata da lì a poco e ce ne sarebbe stata una quella sera dopo cena. Da una riunione ogni  giorno erano passati a due riunioni quotidiane che lei reputava inutili perché non aggiungevano nulla a quello che sapevano già. Gettò il bicchiere di carta nel cestino e avanzò nel corridoio, incontrando Nick che usciva dall'ufficio di suo padre.

«Tutto bene?» domandò lui.

Lei si limitò ad alzare le spalle, «Andrebbe meglio se non ci fossero riunioni.» borbottò, «Tanto non servono a nulla.» sospirò.

Nick non disse nulla, limitandosi semplicemente ad annuire: anche per lui tutte quelle riunioni erano inutili, piuttosto avrebbe preferito scendere in campo e dare fuoco a qualche sedere.

Una volta entrati si sedettero al grande tavolo ovale, insieme a George, Steven, James e tutti gli altri. Dopo aver discusso sulle persone in fuga e aver scoperto che due famiglie erano state salvate al confine con il Maine, uno di quelli che Dawn chiamava “vecchi bacucchi”, accese l'enorme tv, sintonizzandosi sul canale che trasmetteva notizie in diretta da tutto il mondo ventiquattr'ore su ventiquattro. La donna fissò lo schermo, i vari Premier dell'Unione Europea che parlavano, dicendo per lo più idiozie, raccontando storie che non stavano né in cielo né in terra. Il Presidente della Confederazione Svizzera si trincerò dietro svariati “no comment”,  prima di dire che, secondo lui, quelle persone — i Soldier, o mostri come li definiva il giornalista — potevano essere o buoni o cattivi, come tutte le altre persone del pianeta, e che lui non avrebbe fatto nessuna legge, non avrebbe acconsentito che venissero catturati o uccisi solo perché diversi.

Poi toccò all'Italia. Il primo ad apparire fu il Papa, che disse, con voce calma e bassa, di pregare per estirpare il male, di pregare Dio — quello cristiano, si ritrovò a pensare Nick, gli altri ovviamente non andavano bene — per salvare l'anima di quei poveri sfortunati, di pregare affinché il male venisse cacciato dal loro corpo.

«Idiota.» borbottò il ragazzo.

Il Presidente del consiglio italiano apparve sullo schermo, il viso con la barba di due giorni fissava la telecamera con uno sguardo fiero, «Italiani.» esordì, la sua voce coperta dalla traduttrice americana, «Mantenete la calma, per favore.» continuò, «Stiamo facendo il possibile per aiutare in nostro popolo in questa delicata situazione.» disse, «Le forze dell'ordine sono qui per aiutarvi, abbiate fiducia. Si sistemerà tutto.» sorrise, «Se avete paura denunciate e, solo in caso di estrema necessità, agite.»

«Un modo velato per dire di ammazzarli.» sospirò Dawn. Lo schermo 4K si riempì di gente comune e la giovane riconobbe il Colosseo dietro le spalle dalla giornalista

 «Passiamo la parola al popolo italiano.» esclamò la donna dai capelli neri e ricci.

«Oh, Gesù.» commentò Dawn coprendosi gli occhi con una mano.

«Sono i vaccini!» la donna sullo schermo sembrava agitata, anche se la voce della traduttrice non tradiva nessuna emozione, «La colpa è dei vaccini!» gridò l'intervista, «Vogliono ammazzarci!»

John spense la tv. «Che idioti.» esclamò posando il telecomando sul tavolo. «Come possono pensare una cosa del genere?» sbottò.

«Hanno paura.» disse George.

John scosse la testa, «Sarà.» disse, «Passiamo ad altro.» esclamò. «Dobbiamo muoverci.» esclamò, «Il tempo stringe sempre di più.»

❖.❖.❖

Samuel sbuffò. Erano ore che erano bloccati lì, su quella stretta strada, a poche miglia dal confine con il Vermont. Quel gregge di almeno duecento pecore non aveva la minima voglia di spostarsi, e non c'era traccia dei pastori.

«Se non si spostano le faccio arrosto.» borbottò Erik, seduto accanto a Samuel.

«Sarebbe una bella idea.» commentò l'altro, schiacciando piano il clacson, facendo spaventare un paio di ovini, che si spostarono. Il ragazzo avanzò di poco, per ritrovarsi immediatamente accerchiato dal bestiame.

«Chi va giù a dare una bella ringhiata a quelle stupide pecore?» sbottò Kyle.

«Io.» esclamò Kathy alzandosi, aprì la porta del motorhome e saltò sulla strada, ignorando il gradino apparso all'apertura della porta; si avvicinò al gregge fissando gli agnelli che brucavano l'erba circondati dalle madri e ruggì piano: non voleva spaventarle, rischiando che corressero in tutte le direzioni, ma solo far capire loro che si dovevano spostare sul prato. 

Funzionò. Le pecore si divisero, una parte nel prato a destra della strada, l'altro a sinistra. La giovane tornò in auto e chiuse la porta mentre Samuel ripartiva.

«Di questo passo ci metteremo una vita.» sospirò Crystal.

«Già.» sospirò Erik, «E più restiamo qui, più rischiamo che...» lasciò cadere la frase, tanto sapeva che gli altri avevano compreso pienamente cosa volesse dire. Superarono il confine e proseguirono ancora, in silenzio.

❖.❖.❖

Erano ormai quasi le quattro del pomeriggio, mancavano ancora una manciata di minuti ed Erik, ancora seduto accanto a Samuel, avrebbe preso il posto del ragazzo. Stavano percorrendo una strada stretta e dritta, circondata da campi e piccoli boschi, il cielo era limpido e sgombro da nuvole.

Erik se ne stava con la testa reclinata contro il poggia testa, gli occhi chiusi. Li spalancò di colpo, «Fermati.» disse, «Subito.» ordinò.

Sam frenò, «Ma che ti prende?» domandò, «Che succede?»

Erik indicò una macchia di alberi lontana svariate miglia, «Lì la strada curva.» spiegò, «E c'è un posto di blocco.» continuò, «Se andiamo avanti siamo fregati.» esclamò.

«Sicuro?» domandò Samuel, anche se sapeva che Erik era certo di ciò. 

L'altro annuì, «Ovvio.» disse, «E...» si bloccò e deglutì, per poi colpire il cruscotto con un pugno, «Adesso abbiamo un posto di blocco anche dietro, a una decina di miglia.»

«E non ci sono strade in cui svoltare.» sospirò Kyle, «Merda.» sibilò.

«E quella?» chiese Kathy indicando quella che sembrava una fattoria, composta da una bassa costruzione di un rosso ormai sbiadito, collegata a un fienile dello stesso colore, «Sembra disabitata.»

«È vuota.» disse Erik, «Da umani.» specificò, «Potrebbero esserci quelle bestiac-»

«Zitto, non portare rogna.» lo interruppe Samuel, «Andiamo lì e aspettiamo che la strada si liberi.» disse.

Alla fine spedirono Marie-Anne, i bambini, Kathy e Crystal nel piccolo bagno. Kyle avrebbe guidato il camper mentre Samuel, Erik e Benjamin sarebbero scesi a controllare. Jenna li avrebbe coperti.

Kathy era davanti alle altre ragazze e ai bambini, la piccola Sarah in braccio. Mordendosi le labbra fissò Marie-Anne, che se ne stava schiacciata contro la parete del bagno, le mani strette al petto e lo sguardo terrorizzato. Fissò il bambino, seduto sul gabinetto. «Tieni tua sorella.» gli disse sistemandogli la bambina fra le braccia, «Sei un ometto coraggioso.» commentò sfiorandogli i capelli.

Benjamin e Samuel aprirono le porte del fienile, i cardini cigolarono. Il grande spazio era vuoto, fatta eccezione per un mobile poggiato alla parte di fronte alla porta. Kyle entrò piano, mentre Erik apriva la porta che collegava il fienile all'abitazione principale. Si ritrovò un una grande cucina dall'aspetto vecchio, con un fornello a bombola, un grande lavandino in ceramica posto sopra una piccola scaffalatura ricoperta da una stoffa a scacchi blu e bianchi.

Un grande tavolo rettangolare con sei sedie era al centro della stanza. C'era anche un divanetto e una poltrona.

Il Cercatore fu raggiunto dagli altri due, che avevano chiuso le pesanti porte di legno una volta che il motorhome fu dentro. I tre proseguirono nell'esplorazione della casa, trovando al piano terra un piccolo bagno con doccia, un salotto con un divano con le sedute sfondate e un mobile tv vuoto. Sempre in salotto, ma dalla parte opposta alla cucina, si trovava la zona pranzo: un grosso tavolo giaceva spezzato in due, alcune delle dodici sedie erano rovesciate, altre ancora in piedi.

Benjamin osservò le scale di legno che conducevano al piano superiore, posò il piede sul primo gradino e premette con forza, come se volesse assicurarsi che avrebbe resistito sotto al suo peso. Salì piano i gradini, un po' perché aveva paura che potessero cedere da un momento all'altro, un po' perché voleva evitare di farsi scoprire in caso ci fosse stato qualcuno. Entrò nelle due camere con i letti sfondati e i materassi marcescenti, fissò il bagno ricoperto di polvere, con la tendina della vasca ricoperta dalla muffa. «Libero.» disse scendendo le scale.

Entrarono tutti in cucina, Crystal stringeva ancora Emily fra le braccia, fissò il divano e si sedette, «Emily... mettiti meglio.» sussurrò accarezzando la schiena della piccola, che si sedette in una posizione diversa, ma sempre vicino alla lupa.

Kathy fece sedere William accanto a Crystal e gli mise fra le braccia la sorellina minore. 

«Il bagno sembra abbastanza decente.» esclamò Jenna. «È lurido, ma nell'armadietto ci sono i detersivi, carta da cucina, carta igienica e un  paio di spugne.» continuò, «Basterà farle bollire un attimo e saranno disinfettate.»

Trovò una pentola nel mobile sotto al lavello, girò la manopola dell'acqua e la fece scorrere finché non fu completamente trasparente.

«Ho freddo.» pigolò Emily.

«Aspetta, vado a prenderti la coperta.» disse Crystal e cercò di staccare le mani della bimba dalla sua felpa, ma la piccola non aveva intenzione di mollare la presa. «Emily...»

«No!» piagnucolò la bambina, aggrappandosi ancora di più alla lupa, stringendole anche i capelli.

«Vado io.» disse Benjamin.

Marie-Anne fissò gli altri, tutti stavano facendo qualcosa: Erik stava controllando cosa ci fosse nei mobili della cucina, Samuel era andato a fare la stessa cosa nel salotto, Kathy stava portando il cibo, l'acqua e le pentole dal camper alla cucina e Benjamin era andato a prendere la coperta per Emily - e pensò cha la bambina fosse viziata.

Benjamin tornò con un paio di coperte e i pupazzi dei bambini, coprì Emily dopo aver posato l'altra coperta accanto a William. 

«Prendi il passeggino, così ci mettiamo Sarah.» disse Crystal e il ragazzo annuì.

In meno di venti minuti Kathy aveva pulito il bagno, Jenna il ripiano del tavolo. In casa non c'era nulla di utile, a parte una lampada a kerosene e una scorta di semplici candele bianche, più una decina di candele profumate.

«Facciamo che manteniamo gli stessi turni di guida, solo che faremo da guardia.» esordì Erik, «Vi va bene?» domandò, ottenendo un coro di consensi.

Marie-Anne incrociò le braccia, offesa: l'avevano esclusa di nuovo. Anche lei avrebbe potuto fare i turni di guardia, non ci sarebbe voluto nulla, bastava stare svegli e vigili. Rimanendo ferma vicino a una parete, osservò gli altri: Crystal se ne stava sul divano, con la bambina fra le braccia, avvolta da una coperta; William era seduto al tavolo con un blocco da disegno, pastelli e matite che Kyle aveva trovato al piano di sopra, Kathy e Jenna stavano decidendo cosa fare per cena, il marito della Miratrice stava preparando del caffè mentre Erik spiegava a Samuel e Benjamin come pulire e ricaricare la pistola. Infine c'era Sarah, nel suo passeggino, che si ciucciava una mano.

Lì odiò, tutti quanti, persino Benjamin che non l'aveva degnata di uno sguardo, tranne quando le aveva ordinato di spostarsi quando aveva portato lì il passeggino.

«Emily, tesoro, puoi spostarti?» domandò Crystal.

La bambina scosse la testa e si ficcò il pollice destro in bocca. «No.» biascicò.

«Per favore, tesoro.» sopirò la lupa, «Devo andare in bagno.» esclamò.

«La prendo io.» disse Marie-Anne avvicinandosi, le braccia protese in avanti. La bambina piagnucolò e si strinse di più a Crystal.

«Vieni da me?» si offrì Benjamin, superando l'altra. Si sedette sul divano, la plastica che lo ricopriva gracchiò sotto il suo peso, guardò la bambina e sorrise, «Crystal torna subito.»

La bambina annuì e si lasciò prendere in braccio. lasciando la possibilità a Crystal di andare in bagno.

Marie-Anne sbuffò e incrociò le braccia, poi si sedette accanto a Benjamin e fissò la bambina, che la guardò per un breve istante e poi nascose il viso nel collo del lupo.

«Mi fa paura.» la bambina lo aveva sussurrato così piano che solo lui riuscì a sentirlo, la strinse più forte e le accarezzò la schiena. Benjamin alzò lo sguardo e incrociò quello di Samuel che sorrise e scosse la testa, il lupo intuì che anche lui dovesse aver sentito le parole della bambina.

Crystal tornò poco dopo, fissando Marie-Anne dall'aria arrabbiata e si sedette dove era prima. «La prendo io.» disse allungandosi verso la bambina, ma Benjamin la fermò.

«Si sta addormentando.» disse lui.

Crystal annuì e lasciò la bambina fra le braccia del ragazzo, per poi prendere la tazza di caffè che Kyle le stava porgendo. Lo ringraziò e sorseggiò la bevanda calda, capendo perché Marie-Anne fosse così scontrosa: era stata rifiutata da Emily e Benjamin la stava completamente ignorando.

❖.❖.❖

Crystal sbuffò e fissò fuori dalla finestra con le persiane chiuse, sbirciando fra le listarelle di legno. Arricciò il naso nel sentire l'odore di lepre, pensò che lì vicino ci fosse una tana.

Tornò sulla poltrona e si avvolse nella coperta. Era piena notte ed era il suo turno di guardia, mentre gli altri dormivano. Samuel era sull'altra poltrona, la bocca leggermente aperta, Erik sul divano, sdraiato a prono. William dormiva con Jenna e Kyle, Marie-Anne e Kathy erano nel solito letto, Benjiamin dormiva con Emily - che aveva ancora un po' di febbre - e Sarah.

La giovane sospirò e bevve un altro sorso di caffè. Avrebbe preferito essere alla guida del motorhome che starsene lì, seduta su quella poltrona, a non fare nulla. Non poteva leggere perché c'era solo una candela accesa, che gettava qua e là delle ombre quasi spettrali, ma anche perché non c'era nulla da leggere. Si stava annoiando. Cambiò posizione, piegando le ginocchia e infilando i piedi sotto al sedere e sospirò.

Era passata appena un'ora scarsa da quando era iniziato il suo turno, ne aveva davanti ancora cinque.

Cinque lunghe ore in cui si sarebbe annoiata. Sospirò ancora e bevve altro caffè. Pensò che le sarebbe scoppiato il cuore se fosse andata avanti a berlo.

Pensò agli altri. Marie-Anne era quella che la preoccupava di più, ancora più dei bambini. Andava bene essere spaventati, ma Marie-Anne era capace di mettere in pericolo le vite degli altri per salvarsi e non era detto che ci riuscisse, visto che, accecata dal panico, avrebbe potuto finire direttamente in bocca una di quelle creature infernali. Senza contare la sua mania di voler fare tutto, con la convinzione di esserne capace. Pensò a quando aveva cercato di prender in braccio Emily, che si era ritratta spaventata. Neppure lì aveva capito che era stato il modo in cui l'aveva fatto che aveva spaventato la piccola, e non era stato un capriccio come credeva lei.

Crystal sospirò e si alzò in piedi, guardando attraverso le listarelle delle persiane. Non c'era nessuno là fuori, e non sentiva neppure rumori di auto. Da quella strada non passava praticamente nessuno e non sapeva se fosse un bene o un male. Però i posti di blocco c'erano, quindi qualcuno da lì ci passava, a meno che non li mettessero un po' ovunque - e questo pensiero la spaventò, perché voleva dire che dovevano stare ancora più attenti. 

Si sedette di nuovo e bevve altro caffè. 

Scusate l'assenza. Capitolo corto e di transizione. Grazie a tutti!

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