The Antidote-La Scoperta

di Warlock_Vampire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa storia è dedicata a noi autori,
all'impegno che ci abbiamo messo nonostante
le difficoltà;
e a Ambra, per il suo aiuto semplice ma fondamentale.


PROLOGO
 
23, giugno
Era tardo pomeriggio quando Giulia e Rebecca si avviarono verso lo Stradone del Bosco, una via sterrata immersa nel verde che costeggiava le colline del Montello.
Si fermarono ad una panchina al margine della strada, restando un attimo in silenzio, ognuna preda dei propri pensieri.
«Allora» esordì Giulia dopo un po’, «la giornata a tema la potremmo fare qui, nel boschetto di fronte, no?».
«E chi viene?» domandò Rebecca, non del tutto convinta.
«Be’, i soliti!» esclamò Giulia in risposta. «Vittoria, Rachele, Marianna, Roberto… e poi anche Clara» snocciolò, contando con le dita man mano che procedeva con l’elenco.
Il cellulare di Giulia squillò e la ragazza sussultò per la sorpresa, prima di trafficare con le tasche della borsa tentando di recuperare l’apparecchio, finito in fondo ad un caos di quadernetti, penne, cartacce da buttare e qualche pennarello ormai secco.
Era sua madre.
«Sì!» sbraitò, «va bene! Adesso arrivo!, …e calmati!». Giulia riattaccò con stizza e disse a Rebecca che doveva tornare a casa. «Vieni con me?» le chiese.
«No, resto ancora un po’ qui» replicò l’altra.
«Come vuoi» ribatté Giulia con un sospiro, «vedi di non morire, eh!».
Rebecca rise della battuta stramba dell’amica e la guardò dileguarsi, i lunghi capelli dorati che le ondeggiavano sulla schiena.
 
Rebecca voltò lo sguardo verso il tramonto, senza pensare a qualcosa in particolare. I capelli castani erano scompigliati dalla brezza della sera e gli occhi marrone scuro riflettevano la luce aranciata del cielo. D’un tratto la pace e il silenzio di quel momento furono interrotti da un fruscio; Rebecca si guardò intorno senza però notare nulla di strano.
“Sarà un animale” pensò. Tuttavia tornò a voltarsi verso la strada ancora una volta. Dato che tutto sembrava tranquillo, si rivolse nuovamente al tramonto alle sue spalle e sussultò alla vista del ragazzo che era seduto, comparso quasi magicamente, al suo fianco.
Lui sorrise, divertito dalla sua sorpresa, e rise ancora di più quando notò l’espressione sempre più stupefatta della ragazza.
Aveva l’aspetto di un diciottenne, i capelli biondo cenere e gli occhi grigio ferro, che risaltavano sulla carnagione estremamente pallida. Il sorriso sulle labbra lasciava intravedere una dentatura perfetta. Era troppo bello, così disinvolto…
«Ehm… Ciao» esordì Rebecca, le sopracciglia arcuate in un’espressione stupita, il tono di voce incerto delle domande.
Il giovane rise e si morse il labbro inferiore, prima di dire: «ciao, Rebecca».
«Come sai il mio nome?» chiese lei immediatamente, mettendo su uno sguardo sospettoso. Impercettibilmente si spostò un po’ sulla panchina, in modo da allontanarsi dal ragazzo e essere pronta a scappare di corsa in qualsiasi momento.
«Io so tutto» rispose l’altro con semplicità, la bocca piegata in un sorriso bieco.
Rebecca lo fissò come se fosse pazzo.
«Sono sulla terra da molto tempo» spiegò lui in tono serio e Rebecca dovette ammettere con se stessa che il giovane era un ottimo attore.
Rebecca scoppiò a ridere, e quando riuscì a riprendersi, disse: «o-ok, tutto molto divertente, ma ora devo tornare a casa».
Il ragazzo però, proprio mentre Rebecca stava per alzarsi e andarsene, le prese la mano, invitandola a restare ferma dov’era. Per dare più forza al suo gesto ordinò:
«Resta ferma… e non urlare».
Si guardarono negli occhi e Rebecca non si spostò quando lui si protese verso di lei, stampandole qualche bacio sul collo. La ragazza era totalmente paralizzata, incapace di decidere il da farsi. Sapeva che sarebbe dovuta correre via, lontano da lui, lontano da quel luogo. Eppure non riusciva a muovere un dito perché nella sua testa risuonava forte l’ordine di lui. Fuggendo non avrebbe mai capito qualcosa che invece era proprio davanti a lei, un velo che pian piano si scostava e lasciava intravedere un nuovo mondo del quale lei, per il momento, non faceva ancora parte.
Fu quel desiderio di scoperta, misto a quel senso di obbedienza che sentiva prepotente verso il ragazzo, che la tennero ferma dov’era, anche quando lui le reclinò il collo all’indietro e affondò i canini nel suo collo.
Rebecca si scoprì sorpresa del fatto che non aveva sentito alcun dolore mentre il sangue fluiva via dalle sue vene, nessuna paura mentre la vita l’abbandonava. Poi il ragazzo la lasciò andare e Rebecca si sentì svenire. Lui però la sorresse.
«Rimarremo uniti per sempre, Rebecca» mormorò lui al suo orecchio.
«Chi sei?» chiese allora lei, in un filo di voce roca.
«Elia». Poi si morse il polso e fece cadere qualche goccia del suo sangue tra le labbra semi aperte di Rebecca. Le tappò il naso con due dita e premette l’altra mano sulla sua bocca, soffocandola.
La lasciò andare solo quando fu certo di averla uccisa.
 
 

Speriamo che il Prologo di questa storia vi piaccia!
LEGGETE, MI RACCOMANDO!!
al prossimo capitolo,
Kath&Norman




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



"The world is blinded by his fortune and consequence
or frightened by his high and imposing manners,
and sees him only as he chuses to be seen."
Pride and Prejudice, Jane Austen


1

L’estate era finita e la scuola stava per cominciare di nuovo. Tommaso era molto abbattuto per questo e, mentre aspettava la sua amica Nora per raggiungere assieme il liceo in bicicletta, ripensava a tutti i bei momenti che aveva vissuto durante l’estate.
Erano le sette e un quarto del mattino, nella zona in cui si trovava Tommaso era fresco e l’aria presagiva l’arrivo dell’autunno. Un crepitio di ruote annunciò l’arrivo di Nora, coi capelli al vento e lo sguardo ansioso.
«Buongiorno!» la salutò Tommaso.
«Oddio… ma come fai a ridere? OGGI INIZIA LA SCUOLA!» replicò lei.
«Sto cercando di non pensarci, perché sennò mi deprimo... e mi viene fame!».
Ripartirono, silenziosi, e raggiunsero in pochi minuti il centro di Montebelluna, una cittadina ai piedi del Montello, posteggiarono le bici vicino al bar della Loggia, un monumento storico, e si sedettero a uno dei tavoli.
«Allora» esordì Tommaso quando la cameriera si avvicinò, «per me cappuccino e croissant alla marmellata».
«Anche per me» aggiunse Nora.
Aspettarono in silenzio che arrivassero le ordinazioni, ognuno perso nei suoi pensieri. Nora gettò uno sguardo assorto alle boutique firmate ai lati della strada, alcune delle quali ancora chiuse, e al piazzale brulicante di vita.
«Elena è in ritardo» osservò.
«Arriva tra poco» predisse Tommaso con sicurezza, addentando il croissant che la cameriera gli aveva messo davanti.
Dopo qualche secondo, la figura alta e snella di Elena si stagliò tra la folla, e Nora si alzò dalla sedia sventolando un braccio in aria per farsi notare.
Elena si avvicinò con un sorriso a trentadue denti e gli occhi lucidi. Trascinò una sedia vicino al loro tavolo e prese posto, senza mai perdere il sorriso. La sua caratteristica principale era proprio quella di essere costantemente sprizzante di gioia. Gettò uno sguardo di divertito disappunto a Tommaso, che aveva richiamato la cameriera e stava ordinando un altro croissant.
«Ma guardalo…» disse, scuotendo la testa.
«Ma cosa dici? Lo stavo ordinando per te!» si difese Tommaso.
Nora scoppiò a ridere, mentre Elena sospirava. Quando la cameriera tornò, però, mise il croissant proprio davanti a Tommaso.
 
Dopo aver pagato il conto, Tommaso e Nora presero le bici e pedalarono alla volta del liceo, con Elena che li seguiva a piedi, camminando veloce per stare al passo.
La scuola era proprio dietro la biblioteca, separata solo da un’ampia strada trafficata. L’edificio era di nuova costruzione e già molti studenti erano riuniti sul cortile.
«Non sono pronta…» disse Nora, guardando con apprensione i cancelli aperti della scuola.
«Non ce la faccio» mugugnò Tommaso.
«Dai!» li esortò Elena, prendendoli per mano, «andiamo». Oltrepassarono i cancelli e la prima cosa che videro fu il gruppetto di Rebecca riunito vicino all’entrata.
«Non le posso soffrire! Mi danno i nervi!» imprecò Tommaso, guardando Rebecca e le sue amiche con sguardo truce. Rebecca se ne stava, come sempre, appoggiata al muro, mentre Giulia, un po’ più bassa e robusta di lei, la guardava dal basso verso l’alto e scherzava, gesticolando come una pazza su chissà quale aneddoto. Le altre, Vittoria, Rachele e Clara, la più piccola d’età, si limitavano ad ascoltare e a ridere di tanto in tanto.
«Meglio se passiamo oltre» disse Nora con un’espressione cupa.
Rebecca li degnò appena di un gelido sguardo quando i tre le passarono vicino, ma una volta entrati nella scuola, Nora non poté trattenersi dal dire: «sembra più stronza del solito».
«Si, infatti» convenne Tommaso.
Quando suonò la campanella i tre ragazzi si divisero per raggiungere le proprie classi: frequentavano tutti la quarta superiore, ma in indirizzi diversi; Nora e Tommaso facevano il liceo classico, mentre Elena il liceo delle scienze umane.
Arrivati alla loro classe, Tommaso e Nora presero posto nell’ultima fila e Nora disse: «oddio, spero che non ci sia Bertoli… non lo abbiamo oggi, vero?».
«Sì, purtroppo… alle prime due ore, tra l’altro!».
Il professore fece irruzione in classe con lo sguardo severo e gli occhi che guizzavano tra gli alunni e disse: «buongiorno! Allora, separate i banchi che facciamo compito! Scommetto che quest’estate avete passato il tempo a oziare come bradipi… ma adesso la vedrete… forza, separatevi!». Emise una risata sadica e si sfregò le mani con selvaggia soddisfazione.
«Che bastar…» mormorò Nora, prima che Tommaso le tappasse la bocca.
 
Quando la campanella suonò la fine delle lezioni, la scuola fu scossa da un boato e centinaia di studenti si riversarono nel cortile, uscendo in massa dai cancelli. Tommaso e Nora ritrovarono Elena tra il marasma di studenti e insieme uscirono dai cancelli, ma d’un tratto si bloccarono: una lussuosa BMW aveva accostato proprio davanti la scuola e un ragazzo non più grande di loro era sgusciato fuori dalla portiera posteriore con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
I capelli biondo cenere parevano quasi bianchi sotto la luce calda del sole e gli occhi grigi erano gocce di metallo colato sulla carnagione pallida. Vestiva semplicemente, un paio di jeans e una t-shirt bianca dalla quale si intravedevano muscoli scolpiti.
«Oddio… Ma chi è?!» sospirò Nora.
La loro sorpresa crebbe quando videro Rebecca staccarsi dal suo solito gruppetto per raggiungere il misterioso ragazzo. Lui la accolse tra le sue braccia e le stampò un bacio sulle labbra.
«Ma come fa un figo del genere a stare con quella befana?» commentò Nora, sdegnosa.
«Appunto! Perché uno così dovrebbe scegliere lei? Io sono alta almeno dieci centimetri in più… non dovrebbe nemmeno abbassarsi per baciarmi! Che ingiustizia!» osservò Elena. Si riavviò i capelli con un gesto di sdegno e gonfiò il petto con superiorità, volgendo alla coppietta uno sguardo altezzoso.
«Che amarezza!» disse Tommaso, scuotendo la testa.
Tommaso e Nora recuperarono le bici e si diressero con Elena verso il ristorante cinese non lontano dalla scuola; Nora pedalava in testa, mentre Tommaso e Elena, che camminava veloce per tenere l’andatura di Tommaso, ancora discutevano di Rebecca e del suo nuovo spasimante.
 
Arrivati al ristorante cinese a lato di una delle vie principali del centro, i tre amici furono accolti da un giovane cameriere con gli occhi a mandorla, che indicò loro tre alti sgabelli proprio all’inizio del rullo meccanico che serpeggiava per tutto il locale e dove passavano i piccoli piattini colorati delle vivande.
Tommaso si buttò a capofitto sulle chele di granchio fritte e in poco tempo erse un muro di piattini colorati vuoti tra lui e Nora, fino a quando il cameriere non sgusciò fra di loro per portarli via.
«Non vi ho ancora detto che sto organizzando una festa, per questo sabato!» esordì Elena, addentando un cubetto di pollo in salsa di noci.
«Ah, davvero?» disse Tommaso, distogliendo per un attimo l’attenzione dal cibo.
«E in occasione di…?» volle sapere Nora.
«…dell’inizio della scuola» completò Elena, «per salutare definitivamente le vacanze».
«E dove?» chiese Nora.
«Casa in affitto nei boschi» rispose Elena, dopo un momento di pausa ad effetto. Tommaso esultò quando sentì la risposta di Elena.
«E chi inviti?» chiese ancora Nora.
«Ma che domande!» rispose Tommaso anticipando Elena, «tutti, no?».
«Esatto!» miagolò Elena, battendo le mani per la gioia.
 
La macchina nera, una BMW 3281 sport wagon, si diresse verso Mercato Vecchio, un colle che sovrastava la cittadina di Montebelluna, e ad un certo punto svoltò in una stradina sterrata che conduceva ad un’enorme villa circondata da vigneti e con un grande parco.
«Grazie, Anselmo» disse Elia smontando dall’auto e correndo ad aprire la portiera di Rebecca.
«E’ stato un piacere mio signore».
Elia e Rebecca si accamparono sotto il grande salice, che con le sue maestose fronde creava un’ombra perfetta. Elia si sedette sull’erba con la schiena appoggiata al tronco dell’albero e Rebecca si distese a terra, poggiando la testa sulle sue gambe.
«Chi erano quei tre davanti alla scuola?» chiese Elia distrattamente, mentre accarezzava i capelli castani di Rebecca.
«Chi?».
«Quello robusto, riccio, e quelle altre due ragazze vicine a lui».
«Quelli sono i miei nemici d’infanzia; ci odiamo sin dai tempi dell’asilo… non è che per caso hai messo gli occhi su una di quelle due, vero?» chiese Rebecca a bruciapelo.
Elia scoppiò a ridere e replicò: «casomai è successo il contrario, cara Rebecca».
Elia abbassò lo sguardo sulla ragazza, con le labbra dischiuse dal desiderio; Rebecca si protese a sua volta verso di lui, prendendogli il volto tra le mani, e lo baciò con foga.



Ricordo che fatti e personaggi sono frutto della fantasia degli autori e che anche la trama deriva esclusivamente da idee degli autori.
Detto questo, buona lettura e arrivederci al prossimo capitolo!
Un grazie particolare a chi ha recensito il Prologo :)
Io e Norman aspettiamo le vostre prime impressioni sulla storia e sui personaggi!! <3
A presto,

Kath

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



"Sta come torre ferma che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti"
Dante
 
2

«Allora, cosa ne pensi?» chiese Nora a Tommaso, sbucando fuori dal camerino.
«Bello…» mormorò Tommaso, in piedi di fronte a lei, con espressione insofferente. Aveva a malapena gettato uno sguardo fugace al vestitino nero senza maniche che Nora stava provando.
«Non so… c’è qualcosa che non mi convince» commentò la ragazza guardandosi allo specchio, appeso lì vicino.
Elena tirò la tenda blu del suo camerino e disse: «secondo me, non ti convince perché non è quello giusto». Si mise a sua volta davanti allo specchio, osservando con occhio critico il suo vestitino azzurro, poi chiese anch’ella il parere di Tommaso.
«Ne provo un altro!» esclamò allora Nora, scomparendo tra gli scaffali del negozio, per fare poi ritorno dopo qualche minuto con una bracciata di altri vestiti dai colori più disparati. Elena la imitò ed entrambe tornarono a rifugiarsi dietro le tende blu dei rispettivi camerini.
Tommaso era sul punto di scoppiare a piangere.
«Ma quanto ci vuole a voi femmine per decidervi?» sbuffò, «siamo qui da almeno due ore!».
«Ti ricordo che sei stato tu a dire di voler venire con noi» ribatté Nora, urlando per farsi sentire.
«Ogni promessa è un debito, Tommaso» rincarò Elena.
«Va bene, ma adesso MUOVETEVI!».
 
Iniziava a imbrunire quando Nora montò sulla Renault di suo padre, indossando uno degli undici vestiti che quel pomeriggio aveva provato. Era di pizzo nero, con le maniche a tre quarti e una cerniera dorata sul davanti.
Percorsero le vie del paese e la strada in salita sul Montello, fino a casa di Tommaso. Quando anche lui fu salito in macchina, Fabiano –il padre di Nora- ripartì veloce verso la strada in mezzo ai boschi che portava dritta al luogo della festa. Il villino straripava già di studenti, quando i tre arrivarono a destinazione. Nora e Tommaso salutarono Fabiano e poi scesero dall’auto, mentre la musica a volume stratosferico li pervadeva, avvolgendoli in un abbraccio ovattato dove tutto si confondeva e perdeva nitidezza.
I due amici salutarono qua e là volti noti ed entrarono con passo sicuro nella casa. La prima cosa che notarono fu la testa riccia di Elena, che sovrastava la folla col suo metro e ottanta, intenta a discutere con uno dei barman che aveva ingaggiato per quella sera. La raggiunsero e lei rivolse loro immediatamente tutta la sua attenzione. Li salutò con un sorriso estatico ed esclamò: «finalmente siete arrivati! Cosa ve ne pare?».
Nora e Tommaso non ebbero modo di rispondere perché Elena aggiunse subito: «servitevi pure!», indicando loro il tavolo degli alcolici, prima di voltarsi e sparire tra la folla, mentre i due si prendevano uno spritz.
Tra il marasma di studenti che vagavano per la casa, Nora riconobbe la figura insolitamente alta di Rebecca. Il suo sguardo volò subito ai suoi piedi e rimase perplessa a fissare le lucenti décolleté tacco dodici che Rebecca sfoggiava con ostentata nonchalance.
«Guardala là!» osservò Tommaso, che aveva seguito lo sguardo di Nora, «oddio! Ma quello che Giulia ha indosso è veramente un vestito?» aggiunse il ragazzo un attimo dopo, squadrando Giulia con sorpresa. Da quando la conoscevano, infatti, né Nora né Tommaso avevano mai visto Giulia con una gonna, figuriamoci con un vestito!
«Strano ma vero» osservò Nora vagamente distratta.
«Be’, mi serve qualcosa di più forte» disse Tommaso prima di sparire tra la folla, lasciando sola l’amica. Il giovane raggiunse una seconda stanza, più piccola e meno caotica del grande salone in cui erano riuniti i più, e notò alcuni suoi amici intenti ad abbuffarsi a uno dei tavoli di stuzzichini che Elena aveva ordinato ad un catering. Tommaso si unì a loro, scherzando, gioviale. Senza rendersene conto fece un passo all’indietro ed urtò contro qualcosa… un’improvvisa e spiacevole sensazione si fece strada dentro di lui… era come un avvertimento, qualcosa che però lui non riusciva a decifrare… non ancora per lo meno…
«Tommaso, ma cosa fai!?» lo rimproverò Elena, schioccando le dita di fronte agli occhi del ragazzo per attirare la sua attenzione. Tommaso si riprese dalla trance balbettando qualche scusa, mentre Elena si massaggiava con una smorfia il piede destro che Tommaso le aveva pestato.
«La prossima volta che…» ma non terminò mai quella frase, perché il DJ cambiò canzone ed Elena si illuminò: «oh! Io adoro questa canzone!», cinguettò prima di correre via.
«E’ matta o cosa?» gli chiese Simone.
«Boh… è Elena» replicò Tommaso, facendo spallucce.
 
Nella sala principale era stata improvvisata una pista da ballo, stracolma di ragazzi e ragazze che ondeggiavano a ritmo di musica. Tra di loro vi era Elena.
Nora notò con crescente sorpresa il sorriso sprezzante che Rebecca aveva dipinto sul volto, mentre si dirigeva al centro della pista e iniziava ad ancheggiare. Il suo gruppo di amiche rimase in disparte a guardare per un po’, prima di rassegnarsi al fatto che Rebecca non le avrebbe quasi di certo più considerate per il resto della serata. La più preoccupata sembrava Rachele, il volto serio e gli occhi carichi d’ansia, mentre chiacchierava con le altre, fingendo normalità e gettando di tanto in tanto occhiate fugaci a Rebecca.
Nora chiese al barman un altro Scivolo e poi tornò a fissare il suo sguardo su Rebecca. Faticò per un momento ad individuarla, in mezzo a tutte quelle ragazze scatenate nelle danze, ma poi con un tuffo al cuore si rese conto che era proprio accanto a Elena, la quale continuava a ballare ignara della sua presenza.
“Ma cosa sta facendo?” si chiese Nora, che non era disposta a credere che la vicinanza delle due fosse solo un caso, dato che la guerra tra loro era dichiarata da tempi memorabili. Avvertiva da giorni un cambiamento decisivo ma non apparente per chi non avesse conosciuto affondo Rebecca, eppure cosa ci fosse di tanto diverso rispetto all’anno prima, Nora non avrebbe saputo dirlo. Era comunque determinata a scoprire la ragione, la fonte di quel mutamento radicale, ed era convinta che essa fosse collegata al misterioso ragazzo biondo che ogni giorno passava davanti la scuola con la sua BMW e caricava la ragazza, sgommando poi veloce come un siluro.
Una ragazza che non conosceva si piazzò davanti a lei, bloccandole la vista sulla pista da ballo e quando finalmente si spostò, Nora dovette faticare ancora per trovare Rebecca e Elena tra gli altri studenti. Mentre cercava di individuare le due, il cuore palpitante, avvertì un grido soffocato che sovrastò il frastuono della musica. Il volume fu impennato improvvisamente, come per coprire quanto stava accadendo, tanto che Nora poteva sentire la musica rimbombarle nella pancia. Finalmente le individuò: Rebecca teneva il volto di Elena tra le mani e la fissava dritta negli occhi, mormorando qualcosa.
Nora decise di entrare in azione: poggiò con decisione il bicchiere semivuoto sul tavolo e si avviò spedita verso le due. Scansò e spinse via quelli che non erano abbastanza veloci da spostarsi per farle largo e si frappose con decisione tra Elena e Rebecca.
«Cosa vuoi?» abbaiò a Rebecca.
«Levati» ordinò Rebecca con rabbia, asciugandosi qualcosa di rosso che le era colato sul mento…
Nora si voltò rapida verso Elena, ma lei sembrava quella di sempre, con lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione innocente. Lo sguardo di Nora scivolò sul suo collo e la ragazza notò con sgomento una ferita rossa e sanguinante.
«Vai a sederti!» le ordinò Rebecca rabbiosa, e Nora tornò a fronteggiarla mentre Elena si dileguò tra la gente, scomparendo alla vista.
«Ma», Nora boccheggiò in cerca di parole adatte al suo orrore, «tu… razza di… cannibale sanguisuga stronza!».
Rebecca la fissò per un istante con durezza, poi, inaspettatamente, fece un mezzo sorriso.
«Razza di bastarda!» continuò Nora, urlando per sovrastare la musica. Un lampo attraversò gli occhi di Rebecca e la sua mano, prima abbandonata lungo il fianco, si strinse improvvisamente sul collo di Nora.
«Adesso basta!» ringhiò.
Nora annaspava in cerca di ossigeno, ma nessuno venne in suo soccorso, né Rebecca diede segni di voler mollare la presa. La trascinò fuori, lontano da tutti, e si inoltrò nel folto del bosco, finché la musica fu solo un borbottio lontano.
 
Tommaso tossicchiò. Gli era andata di traverso una tartina al salmone e con un singulto sentì che qualcosa era successo. Avvertiva infatti nuovamente quella sensazione spiacevole che lo aveva assalito qualche minuto prima, quando aveva pestato il piede di Elena.
Abbandonò il bignè che aveva pescato da un cesto sul tavolo e quasi corse per raggiungere la sala principale. Il suo sguardo vagò con ansia finché i suoi occhi si poggiarono sulla figura solitaria di Elena, seduta con sguardo assente su una delle poltrone di pelle vicine al camino. La raggiunse e sussultò quando vide la ferita rossa che la ragazza aveva sul collo.
«Elena?» la chiamò con voce tremante, «cosa ti è successo al collo?».
La ragazza lo guardò con espressione assente e poi tornò ad abbassare lo sguardo, apparentemente interessatissima alle punte di strass delle sue ballerine. Tommaso le si sedette accanto estraendo dai jeans un fazzoletto di pezza e tamponandolo sulla ferita dell’amica. Levò come meglio poteva il sangue rappreso e scoprì solo dopo che in realtà il collo di Elena era perfettamente liscio e privo di qualsiasi ferita. Tommaso si chiese da dove fosse venuto quel sangue, eppure non si azzardò a chiederlo a Elena perché sapeva che lei non gli avrebbe risposto, non in quel momento, per lo meno.
 
«Che cosa sei?» urlò Nora, dopo che Rebecca ebbe mollato la presa sul suo collo. L’altra rimase a guardarla con durezza, ma non rispose.
«Sei diversa dall’anno scorso… cosa ti è successo? Non ti ho mai vista così, e per di più ti metti anche a mordere i colli della gente!» continuò Nora con rabbia.
«L’ho morsa… è vero» constatò Rebecca, più rivolta a se stessa che a qualcuno in particolare.
Poi scattò veloce verso Nora, la spinse via e la guardò con soddisfazione mentre il suo corpo cozzava contro il tronco di un albero poco lontano e ricadeva, inanimato come quello di una bambola, in mezzo ad un cespuglio di rovi. Rebecca si avvicinò lentamente al luogo dove Nora era abbandonata e fu colta alla sprovvista quando la giovane si alzò di scatto dai rovi che l’avevano graffiata in più punti e si gettò su di lei con un grido. Rebecca la lanciò di nuovo lontano e Nora cadde a terra, ferendosi i palmi delle mani nel terriccio misto a sassi del sottobosco. Rebecca la costrinse a rialzarsi, bloccandole il collo con un braccio e sfiatandole sull’orecchio. Nora approfittò di quel momento di pausa per giocare l’ultima carta che le restava: piantò con decisione i denti sull’avambraccio scoperto di Rebecca e strinse con quanta più forza riuscì a racimolare. Sentì Rebecca emettere un verso di sorpresa, prima che cominciasse a scuotere il braccio per staccarsi di dosso Nora; quest’ultima ebbe appena il tempo di rendersi conto del sapore metallico del sangue di Rebecca che aveva ingoiato, prima che Rebecca agisse e ponesse fine a quella battaglia.
“Prenderò l’AIDS” fu l’ultimo confuso pensiero di Nora, prima che Rebecca le spezzasse l’osso del collo con un sonoro crac.
 
Giulia borbottò che aveva bisogno d’aria e uscì in guardino, dove la musica era meno assordante e l’aria meno densa e opprimente. Lanciò uno sguardo al bosco di fronte e sentì il bisogno improvviso ed impellente di muoversi verso quella direzione.
La musica si fece distante e tutto il resto svanì, mentre il bosco diventava ai suoi occhi più nitido e delineato.
Si inoltrò nella foresta, schivando senza vederli alberi e arbusti vari. Camminò a lungo e poi d’un tratto si bloccò. Abbassando lo sguardo scorse un corpo abbandonato tra la vegetazione. Le labbra bluastre e la carnagione pallida non lasciavano dubbi, anche se il bosco era buio e la sola luce era quella del display del suo cellulare.
Giulia lanciò un urlo acuto, quasi isterico, che sembrò giungere fino ai confini della terra, dall’altra parte del mondo; scosse gli alberi del bosco e rimbombò a lungo nel silenzio della notte.
 
Tommaso sussultò. Aveva sentito un grido lontano, ma nella stanza sembrava l’unico ad essersene accorto. Lasciò Elena in balia dei suoi pensieri e corse in giardino, inoltrandosi poi nel folto del bosco.
Per quanto tempo corse, lui non avrebbe saputo dirlo; ma c’era qualcosa che lo spingeva a non fermarsi, a continuare la sua folle impresa nel buio denso della foresta, piena di rumori sinistri. Se qualcuno gli avesse chiesto in quel momento come avrebbe descritto l’atmosfera da brivido e il groppo in gola che avvertiva sempre più forte, avrebbe risposto: “soprannaturale”.
Tommaso si fermò quando ebbe la certezza, anche se si trovava nella quasi completa oscurità, di non essere più solo.
«Nora?» azzardò, affannato per via della corsa.
Nessuna risposta.
Tommaso accese il display del cellulare e illuminò l’area di fronte a lui. Sussultò per la sorpresa quando vide Giulia accovacciata a terra, con qualche graffio qua e là e i lunghi capelli dorati tutti scarmigliati.
Quello che vide dopo però lo scioccò molto di più: gli cedettero le ginocchia e finì a terra accanto a Giulia, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, di fronte al corpo apparentemente senza vita di Nora.
Quando finalmente trovò il coraggio di muoversi, si voltò verso Giulia. Le sue labbra tremanti erano screpolate e le guance pallide rigate di lacrime.
«Nora…» balbettò Tommaso. Allungò una mano per sfiorare il viso dell’amica ma Giulia lo intercettò, afferrando con decisione il suo polso e allontanandolo dal corpo senza vita di Nora.
«Lei…», Tommaso non poteva e non voleva accettare il fatto che ormai la sua migliore amica fosse morta. Ripensò a tutto quello che avevano fatto insieme; i pomeriggi d’estate passati a correre in bici sullo Stradone del Bosco, le feste, il grande aiuto che si davano l’un l’altra… ora era tutto finito.
Tommaso singhiozzò e scoppiò in un pianto addolorato, cingendo le braccia di Giulia in cerca di conforto. Passò quasi un’ora prima che il pianto del ragazzo si calmasse. Giulia non aveva ancora detto una parola da quando aveva cacciato quell’urlo impressionante; dentro di sé si chiedeva come fosse finita in quel posto e per quale ragione Nora giacesse riversa tra il fogliame del sottobosco e Tommaso stesse piangendo sulla sua spalla.
Improvvisamente, Nora si mosse, e fu questo a bloccare il pianto disperato di Tommaso.
Sbatté le palpebre un paio di volte e si risollevò da terra poggiando la schiena contro il tronco possente di un castagno. Si massaggiò il collo intorpidito con una smorfia e sussultò quando Tommaso urlò: «Nora!». Si gettò su di lei, schiacciandola in un abbraccio e in un soffio esclamò: «pensavo fossi morta».
Giulia si alzò di scatto, girò sui tacchi e procedette spedita di nuovo verso la festa.
«Non sono morta» ribatté Nora. Ma non ne era tanto convinta.
 


Ecco un nuovo capitolo! Buona lettura ;)
baci,

Kath&Norman

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


"Se non cambiasse mai nulla, non ci sarebbero le farfalle."
(Anonimo)

"Voglio quello che voglio, Stefan. E non mi importa ciò che devo fare per ottenerlo.
La mia lista di vittime è lunga e non ho alcun problema ad aggiungere un altro nome a quella lista."
Katherine Pierce, The Vampire Diaries

 

 3

Doveva ancora sorgere il sole quando Tommaso si alzò dal letto. Aveva avuto un incubo in cui il ragazzo biondo che usciva con Rebecca era in una sala buia assieme ad altre persone, inquietanti e misteriose.
D’un tratto il cane di Tommaso, Rolly, prese ad abbaiare con insistenza. Tommaso si precipitò di fuori e dal terrazzo vide Nora che, in mezzo alla strada, gesticolava e urlava il suo nome a gran voce.
«Ma che cazz... vuoi svegliare tutto il vicinato?» sbraitò Tommaso correndo giù per le scale esterne della casa. Inciampò sull’ultimo gradino e cadde lungo disteso sulle piastrelle in un fiume di imprecazioni. Rolly si fiondò su di lui e prese a leccargli tutta la faccia, ma Tommaso lo spinse via e gli ordinò di allontanarsi. Il cane ubbidì.
«Cosa ci fai qua a quest’ora?».
«Tutto a posto?» chiese di rimando Nora, sghignazzando.
«Smettila di ridere» sbottò il ragazzo, seccamente.
«Porta via quel cane sennò non entro» ordinò Nora, guardando Rolly, che scodinzolava al fianco di Tommaso, con diffidenza.
«Sei sempre la solita!» sbuffò Tommaso. Prese il suo cane per il collare e lo condusse nel garage, faticando non poco per costringerlo a restarci dentro, cosa a cui Rolly non era intenzionato ad arrendersi senza prima combattere.
Quando finalmente Tommaso ebbe la meglio, Nora superò il cancello e seguì l’amico su per le scale che conducevano al secondo piano della casa, dove Tommaso abitava con i suoi genitori. Arrivati in cucina, Tommaso prese subito ad armeggiare con le cialde del caffè, e mentre questo si preparava, chiese nuovamente a Nora per quale motivo fosse lì a quell’ora.
«Mi sento strana da ieri sera» confessò Nora, prendendo posto ad una delle sei sedie attorno al tavolo rettangolare della cucina. I suoi occhi color nocciola erano insistentemente poggiati su Tommaso e seguivano con apprensione quasi maniacale ogni suo movimento.
«Perché mi guardi come se fossi un hamburger?» chiese quest’ultimo, notando la strana espressione della ragazza.
«Ho fame in effetti… e mi fanno anche male i denti» replicò Nora, massaggiandosi le mandibole con una smorfia di dolore.
«… e devi anche andare in bagno, scommetto!» continuò Tommaso, memore di tutte le volte che uscivano e Nora chiedeva di fermarsi per andare in bagno in ogni posto dove ce ne fosse uno.
«Veramente no» lo sorprese Nora.
«Ora sì che sono preoccupato».
Tommaso passò una tazza di caffè all’amica e sorseggiò la sua con fare pensieroso.
«Da quant’è che ti senti così strana, di preciso?».
«Da quando mi avete trovata nel bosco, tu e Giulia» rispose Nora dopo averci pensato per qualche secondo.
 «Mi spieghi cosa è successo prima che io arrivassi e ti trovassi distesa in mezzo ai rovi?» chiese ancora Tommaso.
Nora raccontò di come Rebecca l’aveva presa e trascinata nel bosco, di come l’aveva scaraventata contro un albero e lei avesse sentito il fiato mozzarsi e un paio di costole andare in frantumi, della sorpresa per la forza bruta di Rebecca e della sua incredibile velocità. Con una sorta di orgoglio, Nora raccontò di come aveva morso il braccio dell’avversaria e del sapore metallico del suo sangue. Infine, rammentò l’ultima cosa: il sonoro crac di qualcosa che si rompeva irrimediabilmente. Poi il buio.
Tommaso rimase immobile per qualche secondo, con lo sguardo fisso, come se si stesse figurando la scena mentalmente, e Nora poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello al lavoro, sotto la chioma di ricci castani del ragazzo. Poi, come se gli si fosse accesa una lampadina, Tommaso fece un respiro profondo e corse verso le tende bianche di una delle finestre del soggiorno. La scostò con un movimento deciso e si voltò rapido verso Nora.
La ragazza fu per un attimo inondata dalla luce, poi, come se si fosse scottata, si ritrasse contro la parete, schivando il raggio di sole che inondava la stanza.
«Puoi chiudere? Mi da la nausea» disse Nora con una smorfia.
«’Sti cazzi!» sbottò Tommaso, «quella stronza!», imprecò di nuovo, prima di precipitarsi in corridoio e poi in camera sua. In un battibaleno fu di ritorno, sotto lo sguardo confuso e interdetto di Nora che non aveva il coraggio di parlare.
Tommaso sbatté un pesante volume sopra il tavolo e prese a sfogliarlo febbrilmente.
«E quello cos’è?» domandò Nora, sopraffatta dalla curiosità.
«E’ un Bestiario che ho comprato tempo fa per documentarmi sulle creature soprannaturali» spiegò lui. Tommaso si arrestò ad un paragrafo promettente e Nora poté leggere, scritto a caratteri cubitali, il titolo in grassetto: SUI VAMPIRI E SUL LORO POTENZIALE.
«…prima di entrare nella fase di transizione occorre morire con il sangue di un Vampiro in circolo…» lesse Tommaso a voce alta, «ecco! Capisci in che guaio sei? Giuro che quando la vedo la uccido!».
«Ma chi? Cosa? Non sto capendo niente» si lamentò Nora.
«Ma come, non capisci? Rebecca ti ha trasformata in un Vampiro!».
 
Quell’affermazione rimase sospesa tra di loro per un tempo che parve infinito, poi Nora, con voce tremante, arrischiò un diniego. Disse che non era possibile, che lei non era morta e che, soprattutto, Rebecca non era un Vampiro. I Vampiri esistevano solo nelle serie tv e nei libri.
«Ti dico che è così! Anzi, prima ha bevuto il sangue di Elena e poi, visto che tu l’hai provocata, ti ha presa di mira e ti ha portata nel bosco per ucciderti. Mordendole il braccio, un po’ del suo sangue è entrato nel tuo organismo e così, anziché morire, ti sei trasformata!» ragionò Tommaso a voce alta.
Nora voleva sinceramente credere che fosse tutta una fantasia malata dell’amico e protestò: «forse non ha bevuto il sangue di Elena, dopotutto. Hai detto che non aveva il collo ferito… e poi non ho proprio ingerito il sangue di Rebecca, forse l’ho solo immaginato, forse era il mio stesso sangue e non il suo… e poi, mi spieghi perché hai questi libri da scienziato pazzo in casa!?».
«Non mi credi? Adesso ti provo che ho ragione» concluse Tommaso seccamente. Si volse risoluto verso la credenza e tirò fuori da un cassetto un coltello da cucina. Nora lo guardò a bocca aperta mentre lui si tagliava con decisione il palmo della mano.
«Cosa vuoi fa..» Nora voleva fermarlo, d’un tratto quasi la spaventava quel gesto risoluto che Tommaso aveva compiuto nella più completa volontà di avere ragione. Nora mosse un passo verso di lui, ma una zaffata di sangue arrivò alle sue narici. Aspirò quel profumo magnifico, una fragranza dolce, pregustandone il sapore deciso, carico… 
La gola riarsa parve bruciare e con un ringhio la ragazza si gettò sull’amico, affondando i canini nel suo palmo scoperto e sanguinante. Tommaso gemette per la sorpresa e il dolore e prese a scrollare le spalle di Nora, nel tentativo di allontanarla.
Quel tocco forte sulla sua spalla fece sussultare Nora, che con urlo di dolore si ritrasse da Tommaso. Restarono immobili a guardarsi, entrambi ansanti per il dolore e lo sforzo. Nora si portò una mano tremante alla bocca e quando la ritrasse fissò con stupore le dita macchiate di sangue… del sangue del suo migliore amico.
Sentiva la spalla pulsare e con movimento repentino scostò la manica della maglietta, scoprendo la pelle arrossata e ustionata.
Tommaso si fece vicino in un istante e furono entrambi testimoni di quella ferita che pian piano si rimarginò. Neanche un minuto dopo la spalla di Nora era tornata normale, come se nulla fosse successo.
Tommaso si bendò la mano ancora sanguinante. L’atmosfera tra di loro si era fatta di ghiaccio, ognuno pensava a quanto era appena accaduto e quanto ancora doveva succedere, a come avrebbero affrontato la loro vita da quel momento in poi.
«Quindi avevi ragione» mormorò Nora con la voce rotta dall’emozione.
«Hai superato la fase di transizione» disse Tommaso, «sei un Vampiro a tutti gli effetti».
«E tu?» chiese Nora dubbiosa, «nessuna persona normale ti riduce in carne alla brace con un tocco della mano».
«Non lo so, ma abbiamo tutto il giorno per scoprirlo dato che i miei sono via e tu non puoi uscire da casa mia senza trasformarti in una torcia» concluse Tommaso senza riuscire a celare una certa soddisfazione.
 
Giulia si era alzata presto quella domenica. Si vestì senza fare rumore, velocemente, con una sorta di fretta urgente che le mozzava il fiato. Uscì nella brezza fresca dell’alba e corse, corse senza una meta precisa ma allo stesso tempo sicura di ciò che stava facendo.
Se qualcuno l’avesse vista, scarmigliata e pallida come non mai, avrebbe pensato che fosse matta. Arrivò al supermercato del paese, attraversò il parcheggio deserto e procedette verso i sotterranei. Una sola macchina occupava i box. Giulia si avvicinò all’auto, dalla cui portiera spalancata si scorgeva il corpo senza vita di un uomo. La ragazza parve rianimarsi da quello stato di trance in cui si trovava; puntò i suoi occhi dritti in quelli ormai inespressivi dell’uomo e urlò con quanto fiato aveva in gola.
 
«Perché diamine dovrei trasformarmi in una torcia?» domandò Nora, incrociando le braccia sul petto sulla difensiva.
«Adesso ti leggo» replicò Tommaso, scorrendo col dito il paragrafo sui Vampiri del Bestiario, «ecco qua: “superata la fase di transizione, fase in cui la persona è ancora da considerarsi umana e che conclude solo con l’ingerimento di una dose, anche piccola, di sangue umano, è bene ricordare che il neonato Vampiro non può sottostare alla luce del sole senza bruciare.”».
Nora fissò l’amico orripilata.
«Dovrò vivere tutta la mia vita di notte? Oddio, no! Deve esserci pur un altro modo!».
«Allora, calmati, Nora. C’è di sicuro una soluzione, altrimenti Rebecca non verrebbe nemmeno a scuola e non avrebbe messo su Facebook le foto di lei al mare, quest’estate». Le parole di Tommaso rassicurano molto Nora, che si abbandonò su una sedia, sconsolata.
«Su quel Bestiario non ci sono creature che scottano le persone con le mani?» chiese Nora, tentando di non pensare a come la sua vita da quel giorno sarebbe cambiata e focalizzandosi sull’amico.
«Conosco bene questo libro e non ci sono cose del genere qui» ribatté Tommaso. Lo richiuse e se lo mise sottobraccio, uscendo dalla cucina per riportarlo nella libreria.
Dopo un po’ che non tornava, Nora lo raggiunse. La camera dei genitori di Tommaso non era molto grande e giaceva nell’ombra, dato che le persiane alle finestre erano abbassate. La libreria era sul fondo della stanza, addossata ad una parete.
«Che fai?» domandò Nora, muovendosi con sicurezza nel stanza semibuia, sebbene non ci fosse quasi mai entrata prima. I suoi sensi amplificati riconoscevano il mobilio e i soprammobili, senza mai averli visti prima, ma soprattutto individuavano perfettamente la fisionomia di Tommaso, avvolto nell’ombra.
«Ho abbassato le persiane così non ti dà fastidio la luce. Sto guardando i libri che ci sono, alcuni di questi sono recenti, non li ho mai visti prima». Tommaso scorreva col dito i dorsi rilegati dei volumi, bisbigliandone i titoli. Nora gli si fece vicino e guardò anche lei quei libri strani, che parlavano tutti di miti e leggende, di creature fantastiche e di stregonerie.
L’attenzione di Nora si spostò dai libri al tappeto persiano che ricopriva il parquet della stanza.
«Tommaso, cosa c’è qui sotto?» domandò, molleggiando sulle ginocchia, facendo scricchiolare il pavimento.
«Il salotto dei miei nonni» replicò lui distrattamente.
«Intendo sotto il tappeto».
«Il pavimento?» ipotizzò ironicamente Tommaso, distogliendo lo sguardo dai libri per guardare l’amica.
«No, non credo proprio» ribatté Nora, «sento un vuoto qui sotto».
Tommaso non voleva credere a Nora. In fondo, era lui che viveva in quella casa, non lei. Nora non poteva credere di sapere cose sulla sua casa che lui non sapesse già, visto che ci abitava da sempre. Ma ammutolì quando Nora scostò un lembo del tappeto, scoprendo quella che di sicuro era una botola.
Tirarono l’anello e quando si sollevò, videro che dentro c’era solo un libro, impolverato e dall’aspetto antico.
«Cos’è?» domandò Nora.
Tommaso lo estrasse dal suo nascondiglio, soffiò via la polvere dalla copertina e trattenne il fiato quando capì di cosa si trattasse.
«Un Grimorio!» esclamò.
«Un libro di incantesimi? Qui?!» disse Nora, stupefatta.
«Sono uno Stregone» biascicò Tommaso. Ripeté quella frase come un mantra, alzando sempre di più il tono della voce. Nora si tappò le orecchie, mentre la voce dell’amico gli rimbombava nella testa e lo pregò di smetterla.
«Ora capisco perché avevo sempre quelle strane sensazioni, come delle visioni, e perché sapevo le cose prima che accadessero!». Tommaso era al colmo della gioia.
«Io un Vampiro e tu uno Stregone, che coppia vincente!» replicò Nora, scuotendo la testa, incredula.
 
Elia era seduto a capo della grande tavola al centro della sala da pranzo della sua villa. Le tende di velluto pesante erano tirate, di modo che la luce non penetrasse la stanza, illuminata solo da qualche braciere. Alcuni membri del suo clan erano seduti attorno al tavolo con lui, e lo fissavano in attesa di delucidazioni in merito a quella riunione. 
«Vi ho fatti chiamare, amici miei, perché avrò bisogno del vostro aiuto nella missione che ho da compiere». Elia attese un secondo prima di continuare, unendo le punte delle dita davanti a sé e fissandosi le mani traslucide, pensando al suo discorso.
«Come sapete, mia sorella giace come morta da moltissimi anni e io ho il desiderio, nonché il dovere, di riportarla alla vita. Trent’anni fa una Strega di nome Maura prese dello Strozzalupo e del veleno di Licantropo e li unì con vari incantesimi creando un potente Antidoto contro il morso di Licantropo. Fui io a domandarle di creare quell’elisir in grado di sconfiggere l’unica minaccia per un Vampiro oltre al paletto di legno. Mia sorella era stata morsa da un Licantropo durante uno scontro e io feci di tutto per tentare di salvarla. Ma le Streghe, si sa, mirano solo a ciò che le può avvantaggiare e quell’Antidoto che mi era stato promesso non mi fu mai dato. Se siamo qui è perché la Strega Maura abita in questa cittadina e l’Antidoto deve essere qui, con lei» Elia tacque, lasciando che i suoi compari assorbissero il senso delle sue parole.
«Sono venuto qui per riprendermi ciò che mi spetta da quasi trent’anni, ormai. Ho bisogno del vostro aiuto, oltre che della vostra più completa obbedienza». Concluse il suo monologo fissando gli altri Vampiri negli occhi, uno ad uno, e cercando di individuare qualche increspatura nelle maschere di risolutezza dei loro volti. Non trovandone, si alzò dalla sedia, subito imitato dagli altri, e dichiarò che la riunione era conclusa.
Aveva una gran voglia di vedere Rebecca e di allontanarsi da tutti gli altri, dimenticare il corpo apparentemente morto di sua sorella e il volto trionfante di Maura, il giorno in cui aveva capito che lei lo aveva fregato.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***



"Mai gli uomini indietreggiano davanti ad un ostacolo
se saranno proposti grandi premi a chi tenta grandi imprese."
Tito Livio

"I misteri illuminano le tenebre che ci circondano
mantenendo il segreto di se stessi, come una lampada
che ci dà luce anche se non capiamo il suo funzionamento."
Paul Claudel

4
 
Tommaso e Nora parlarono per tutto il pranzo di quanto era loro successo in quelle poche ore. L’apprensione, comunque, non impedì a Tommaso di ingozzarsi, mentre Nora restò a guardarlo per tutto il tempo con una faccia preoccupata, così diversa dal volto disteso e sereno di Tommaso. Certo, lui si chiedeva come la sua vita sarebbe cambiata da quel giorno, ma dopotutto sentiva di essere nato per essere uno Stregone e quella rivelazione non lo aveva sconvolto più di tanto, se non si considerava l’iniziale sorpresa. Si preoccupava piuttosto per l’amica, la cui esistenza era stata sconvolta veramente; lui era nato così, Nora invece era stata trasformata. C’era una differenza notevole tra le due cose.
Dopo pranzo, i due si lasciarono sprofondare tra i cuscini del divano e presero a sfogliare il Grimorio. Tommaso girava le pagine del libro con timore reverenziale, conscio dell’enorme potere che esso conteneva.
«Ma non sarebbe meglio andare a casa di Rebecca e chiederglielo personalmente?» domandò Nora contrariata. Lei sperava in quel libro, ma non era poi così fiduciosa, dato che era tutto scritto in latino, oltre che molto antico e consunto. Tommaso stava cercando un incantesimo che gli avrebbe permesso di capire come Rebecca riuscisse a stare liberamente al sole senza bruciare. Era l’unico appiglio che gli era venuto in mente e vi si aggrappava con determinazione, benché il ragazzo sapesse di non essere esperto di magia e di avere davanti a sé molti mesi, se non anni, di pratica da dover fare.
«No, stupida idiota!» sbottò Tommaso senza staccare gli occhi dalle parole del libro, «potrebbe ucciderci tutti e due!».
Nora sbuffò d’impazienza, incrociò le braccia al petto e ribatté: «allora come facciamo?».
«Io sto cercando un incantesimo e tu non mi stai aiutando!» la rimbeccò Tommaso, stizzito. Voleva bene a Nora ma certe volte era esasperante.  
Dopo un po’ di silenzio, in cui Nora fissò il soffitto contrariata e Tommaso continuò a sfogliare pagine, leggendo qualche passaggio che gli sembrava interessante, il giovane esclamò: «Ah! Ho trovato, forse…».
Nora si avvicinò immediatamente a lui, dimenticando qualsiasi nervosismo e riempiendosi nuovamente di speranza, e insieme tentarono di decifrare gli appunti di Maura, la madre di Tommaso, scritti fitti fitti in piccolo ai margini della pagina sopra il titolo quasi illeggibile di un incantesimo.
«Sembra si tratti di un incantesimo di Legilimanzia» osservò Tommaso, che aveva finito di leggere prima di Nora, conoscendo bene la calligrafia della madre.
«Intendi leggere nella mente di Rebecca? Non ti sembra un po’ azzardato?» domandò scettica Nora, che ancora non sapeva del piano dell’amico.
«Parla quella che voleva andare a casa sua!» ribatté Tommaso alzando gli occhi al cielo.
«Ok, allora proviamoci» si arrese Nora con un sospiro.
Tommaso prese il suo Iphone. Nora di rimando lo guardò interrogativa: «non dobbiamo fare l’incantesimo?».
«Si! Infatti sto cercando una foto di Rebecca, perché nel Grimorio c’è scritto che bisogna creare un collegamento e occorre un qualcosa che identifichi la persona… e io ho pensato ad una foto» spiegò Tommaso senza riuscire a nascondere una certa fretta.
Trovata la foto, Tommaso la fissò intensamente e recitò l’incantesimo riportato sul Grimorio.
Non accadde nulla.
I due amici si guardarono l’un l’altra senza sapere cosa fare.
«Ti avevo detto che era troppo azzardato!» saltò su Nora.
«Aspetta… facciamo come nei film, creiamo un’atmosfera» disse Tommaso respirando lentamente per calmare il suo nervosismo. Corse in cucina e recuperò dalla credenza delle candele e un accendino e tornò da Nora.
Accese le candele e le posizionò attorno a loro, poi, dopo un attimo di raccoglimento, recitò nuovamente l’incantesimo. Di nuovo, non accadde nulla.
Nora era sempre più sconsolata, mentre Tommaso esplose di rabbia e, perso ogni controllo, fece avvampare le candele, minacciando di bruciare la maglietta di Nora, che si alzò di corsa dal divano per scampare alle fiamme. Ripresisi dallo spavento e ritrovato un equilibrio, tutto tornò alla normalità e Tommaso ritentò l’incantesimo.
Sentì che qualcosa sarebbe successo.
 
Rebecca, distesa sul suo letto, ascoltava musica senza pensare a niente. Non voleva infatti ritornare agli eventi della notte precedente e provare ancora quello schiacciante rimorso, ogni volta che davanti agli occhi le ricompariva il corpo di Nora che sbatteva contro il tronco di un albero. Chissà se l’aveva uccisa…
D’un tratto ebbe la sensazione di avere un capogiro, ma non poteva essere perché lei era un Vampiro e i Vampiri non stanno mai male.
Il malessere si fece più forte finché non sentì quasi la testa esploderle. Si alzò di scatto dal letto e si tolse le cuffiette, tenendosi la testa tra le mani. Gemette per il dolore, pensò di star morendo, poi il buio.
Era svenuta.  
 
«Sta funzionando!» esultò Tommaso, con gli occhi chiusi, concentrato. Nella sua mente, Tommaso vide Rebecca com’era l’estate precedente. Come in un film, vide passare di fronte a lui la vita della ragazza, fino al suo incontro con Elia e la trasformazione; poi vide i bei momenti che lei aveva passato col Vampiro e infine, vide Elia nel suo sontuoso salotto con Rebecca. Lui le infilava un anello con una piccola pietra azzurra al dito e successivamente andava alla finestra, scostando la pesante tenda di velluto. Rebecca fu inondata dalla luce del sole ma non le accadde nulla, il suo corpo rimase integro.
Tommaso aprì gli occhi e guardò Nora trionfante per un secondo. Aveva scoperto come aiutare la sua migliore amica.
«E’ un anello…» mormorò allora. Sentì lo sforzo per quell’incantesimo mozzargli il fiato e cadde tra i cuscini, privo di sensi.
 
Quella sera,  Vittoria andò a letto presto.
Il suo sonno fu interrotto poco dopo, però: si svegliò nel cuore della notte a causa di un forte trambusto che proveniva dal corridoio. Socchiuse la porta della sua camera per vedere cosa stesse succedendo e vide sua madre vestita di tutto punto, in jeans, camicetta e anfibi ai piedi, in mezzo al corridoio. Vittoria voleva uscire per chiederle dove stesse andando, ma si bloccò quando vide suo padre uscire dalla sua camera con un mitra tra le mani.
I suoi genitori, che non si erano accorti di lei, scesero le scale che portavano al garage sotterraneo borbottando frasi che la ragazza non poteva comprendere, e Vittoria li seguì, camminando piano, in punta di piedi, per non essere scoperta.  
«Hai preso i proiettili con lo Strozzalupo?» domandò ad alta voce Mirco alla moglie, serio e incredibilmente determinato. Lei rispose di sì e aggiunse: «ho preso anche quelli con la Verbena, nel caso ci fossero Vampiri in giro».
Caricarono sul cassone del pick-up Toyota Tundra un borsone pieno di armi e proiettili, poi partirono sgommando veloci nella notte, senza guardarsi indietro e senza curarsi di chiudere il garage. Evidentemente non pensavano che Vittoria li potesse scoprire.
Invece la ragazza era là, in piedi in mezzo al garage male illuminato, allibita. Fece qualche passo incerto prima di sentirsi svenire. Si tenne al muro per non cadere e procedette verso il grande armadio dal quale i suoi genitori avevano preso le armi. Aprì con mani tremanti le due ante e fissò a bocca aperta l’arsenale che aveva di fronte. Mitra, fucili, carabine, pistole, proiettili di ogni forma e tipo e persino bombe a mano…
«Mio padre ha sempre detto che qui dentro c’erano attrezzi da giardinaggio…» mormorò Vittoria a sé stessa.
Perché c’erano tutte quelle armi in casa loro? E cosa voleva dire Strozzalupo? Perché sua madre aveva nominato i Vampiri? Quante domande le nascevano in cuore. Vittoria chiuse di scatto l’armadio e tornò in camera, riflettendo velocemente.
Da sempre aveva fatto sport come ginnastica artistica, kick-boxing, judo e poi tiro con l’arco. Quante volte era andata al poligono con suo padre e aveva imparato a sparare… non poteva essere casuale!
Quell’arsenale era la chiave per scoprire verità sulla sua famiglia che ancora non conosceva, per rispondere a domande che spesso si poneva, sulla stranezza dei suoi genitori, su quell’armadio che non le avevano mai lasciato avvicinare e sul perché spesso se ne andavano, nel cuore della notte, senza mai fare ritorno prima dell’alba. 
Dove vanno?, si chiese con rabbia Vittoria.
Doveva scoprirlo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


"Chi ha un perché per vivere,
può sopportare quasi ogni come."
Friedrich Nietzsche

5
 
Lunedì Nora rimase a casa da scuola. Si barricò in camera, sperando che i suoi genitori non le domandassero per quale ragione tenesse gli infissi sbarrati e le tende tirate. Con suo padre fu abbastanza semplice trovare una scusa per non andare a scuola; sua madre fece invece molte più domande.
Nora disse di non stare bene, di avere mal di testa e anche un po’ di mal di gola. Suo padre si limitò a dirle di riposare e guarire al più presto, sua madre insistette per misurarle la febbre. Quando uscì dalla camera lasciando Nora da sola, la ragazza tentò in tutti i modi di riscaldare il termometro per fingere una malattia che non c’era e che non ci sarebbe stata mai. Quando Chiara tornò dalla figlia, si convinse dell’effettiva indisposizione di Nora e la lasciò stare, raccomandandole di telefonarle più tardi per aggiornarla sulla sua situazione.
Quando fu finalmente sola in casa, Nora trasse un sospiro di sollievo e si lasciò ricadere sul letto, pensando, sconsolata, che quella situazione non potesse durare ancora per molto. Doveva ottenere un anello come quello di Rebecca al più presto, perché non avrebbe potuto fingere di essere malata per sempre.
 
Tommaso si avviò da solo verso il liceo. Incontrò Elena ai cancelli d’entrata e lei subito gli domandò dove fosse Nora. Il ragazzo mormorò qualche scusa affrettata e si guardò intorno alla ricerca di Rebecca. Il giorno prima aveva letto nella sua mente, come minimo Rebecca doveva aver sentito qualcosa e Tommaso voleva vedere se la Vampira fosse per caso turbata.
Non la vide da nessuna parte, così come non vide Giulia.
Elena continuava a parlare senza sosta e Tommaso si costrinse ad ascoltarla.
«…insomma, domenica sera se ne sono andati tutti ad un certo punto e io sono rimasta là da sola! Anche tu, Tommaso, sei andato via senza neanche salutarmi!» stava dicendo Elena. Senza lasciare a Tommaso il tempo di intervenire, continuò a lamentarsi: «ieri sono dovuta andare là e ho pulito tutta la casa da sola! Ti pare? Tutti amici quando si fa festa e poi, quando c’è bisogno non c’è mai nessuno che…».
«Elena, la festa l’avevi organizzata tu, cosa pretendi?» la interruppe Tommaso stizzito, «comunque, scusa se non ti ho salutata, è che sono andato via di corsa».
Elena rispose con un gesto sbrigativo della mano a Tommaso, segno che lo perdonava e non voleva più parlarne.
«Senti, ma ti ricordi tutto quello che è successo alla festa?» le domandò Tommaso, cogliendo nuovamente l’occasione per fare una domanda che le aveva già posto molte altre volte.
«Ancora?!» sbuffò Elena, «non ero poi così ubriaca, sai? Certo che mi ricordo!».
«Cosa, esattamente?» la incalzò subito Tommaso.
«Cosa, secondo te? La festa, la musica, la gente».
«E Rebecca? Non ti ricordi di lei?».
«Cosa dovrei ricordarmi di lei? Era là con le sue amiche, poi si è messa a ballare vicino a dove ero io, poi io mi sono stancata e sono andata a sedermi e non so lei dove sia andata… ma perché ti interessa tanto?» rispose Elena, sempre più esasperata.
Tommaso non rispose, perso nei suoi pensieri com’era. Elena dava sempre la stessa risposta a quella domanda, sempre le stesse parole uscivano dalla sua bocca con la convinzione forte che fossero veritiere, benché Tommaso sapesse che non lo erano. Dunque Elena non ricordava nulla di quel morso. Tommaso si chiese se era per lo shock o perché c’era sotto qualcos’altro.
 
Se Rebecca non era andata a scuola perché era a casa di Elia, Giulia vagava per il paese con un’espressione vuota, quasi fosse in catalessi.
Senza rendersene conto, metteva un piede davanti all’altro e procedeva per lo Stradone del Bosco. Non incontrò anima viva e per questo non si arrestò fino a quando non raggiunse la sua meta.
Vide il corpo senza vita di una donna riverso a terra, metà nell’acqua del torrente e metà fuori, tra l’erba. La pelle biancastra, quasi blu, della donna risaltava in modo raccapricciante. I capelli scomposti e pieni di fango e foglie, gli occhi rivolti al cielo senza alcuna espressione, le labbra socchiuse e una profonda ferita al collo. Il sangue rappreso macchiava i vestiti, già sporchi di terra e strappati in più punti. Giulia capì che non c’era più nulla da fare per quella donna… quella donna che lei aveva riconosciuto.
La professoressa Greco.
Giulia prese fiato e urlò, urlò con forza sovrumana, così che quel grido potesse raggiungere i confini della terra con  la sua potenza.
 
La sera, i genitori di Tommaso andarono a casa di Nora con la scusa di riconsegnare ai suoi genitori il sacco a pelo che avevano dimenticato. La domenica, infatti, mentre Nora e Tommaso scoprivano di essere creature soprannaturali, i loro genitori erano partiti per il campeggio e avevano fatto rientro solo molto tardi.
Tommaso e Nora si rifugiarono subito nella camera della ragazza per raccontarsi le novità di quel giorno. Tommaso ancora non aveva parlato ai suoi genitori, ma Nora lo convinse di farlo al più presto. Se lui era uno Stregone, voleva dire che anche i suoi genitori lo erano e Tommaso non aveva proprio nulla di cui preoccuparsi. Molto più in apprensione era lei, invece, che era fermamente convinta di dover mantenere il segreto sulla sua trasformazione. Non aveva idea di come avrebbe fatto a spiegare ai suoi genitori una cosa simile, e ancora di più temeva quello che sarebbe successo in futuro, quando tutti sarebbero invecchiati e lei invece no.
Preferiva non pensarci.
Tommaso spiegò a Nora la conversazione avuta con Elena quella mattina, esprimendo il suo sospetto che ci fosse qualcosa di più sotto, oltre allo shock per il gesto di Rebecca.
«Abbiamo un altro problema» disse Nora, digrignando i denti.
«Cioè?» saltò su Tommaso, subito in allarme.
«Sai, è da ieri mattina che non mi nutro… e non sto parlando di cibo normale».
 Tommaso si alzò subito dalla sedia in cui era seduto e indietreggiò cautamente, avendo compreso le necessità di Nora. Lei, d’altro canto, tentava in tutti i modi di controllare la sete improvvisa, destatasi dall’arrivo di Tommaso, così umano, così…
«Esci da qui» lo pregò Nora, «non voglio farti del male».
Tommaso rifletteva febbrilmente, in cerca di una soluzione.
«Allora, aspetta un secondo» disse, «respira, respira profondamente. Dobbiamo trovare una soluzione anche a questo, il prima possibile».
Nora respirò, ma quello che le arrivò fu il fragrante profumo del sangue di Tommaso. Sentì il cuore di lui che batteva all’impazzata, agitato, e si tappò le orecchie, perché era un richiamo più forte di qualsiasi volontà di resistere.
«Vattene» ringhiò.
Tommaso, invece, sollevò la manica del maglioncino e si avvicinò a Nora, tendendole il polso. Nora rimase a fissare a bocca aperta l’invito dell’amico, la pelle bianca del suo polso esposta ai suoi canini. Affondò i denti nella carne di Tommaso e succhiò con gusto il suo sangue caldo e allo stesso tempo freschissimo, sentendosi rigenerata nel profondo, viva come non mai.
Si staccò dall’amico d’improvviso, temendo di avergli fatto del male e si passò velocemente una mano sulla bocca, asciugando qualche goccia di sangue che colava sul mento.
Si guardarono per qualche secondo senza osare muoversi. Alla fine Tommaso abbassò lo sguardo sulla ferita aperta, il sangue che ancora fuoriusciva da due fori netti e profondi nella carne.
«Il sangue dei Vampiri ha proprietà curative, lo hai detto tu» mormorò Nora, mordendo il proprio polso e tendendolo a Tommaso. Il ragazzo si protese su di lei e ingoiò qualche goccia del suo sangue, senza poter nascondere un certo disgusto.
Immediatamente, però, la ferita sul polso si rimarginò, così come quella del giorno prima, che lui aveva coperta con un cerotto.
«Finché non avremo trovato una soluzione berrai il mio sangue» sentenziò Tommaso, asciutto. Sentì sua madre che lo chiamava dall’altra stanza e uscì, lasciando l’amica sola e scossa
.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



"Il maggior piacere nel fare qualcosa di nuovo
sta nel pensiero di poterlo dire ad un amico."
Linda MacFarlane


"Spesso ci indebitiamo con il futuro
per pagare i debiti con il passato."
Khalil Gibran

6
 
«Mamma, papà, vi devo parlare» esordì Tommaso, in piedi davanti ai suoi genitori, i quali si erano seduti intorno al tavolo della cucina dopo le numerose preghiere di Tommaso di ubbidirgli. Ora lo guardavano perplessi, senza sapere cosa aspettarsi.
«Non sarà che…» mormorò Gianfranco, il padre di Tommaso.
«Cosa?» esclamò Tommaso, stizzito per essere stato interrotto.
«Che tu sei… ehm… che… che ti piacciono i ma…».
«Non sono gay!» ribatté Tommaso.
Suo padre trasse visibilmente un sospiro di sollievo.
«Non ci sarebbe niente di male, sai, se fossi gay» disse Maura, sorridendo a Tommaso e lanciando un’occhiata ammonitrice al marito.
«Non si tratta di questo!» esplose Tommaso, «piuttosto, si tratta del fatto che sono uno Stregone e voi non me lo avete mai detto!». Ecco, era fatta. Respirò profondamente, sentendosi alleggerito dell’enorme peso che portava sul cuore da domenica.
Maura strabuzzò gli occhi per la sorpresa e Gianfranco si alzò di scatto dalla sedia, colpito e incredulo.
«Ok, questa conversazione non mi riguarda» disse Gianfranco dopo essersi ripreso dallo shock. Alzò le braccia in segno di resa e uscì dalla stanza, sotto le proteste di Tommaso che lo richiamava, urlando, arrabbiato.
«Lascialo andare, lui ha ragione» ordinò Maura a bassa voce, senza dover urlare a sua volta per farsi sentire dal figlio. Lei aveva lo strano dono di farsi ubbidire all’istante da chiunque e Tommaso smise immediatamente di sbraitare, prendendo posto di fronte alla madre, in attesa.
«Tuo padre non è uno Stregone. Lui è umano e sa a malapena che esiste il mondo soprannaturale» spiegò Maura, senza guardare in faccia Tommaso.
«Ho scoperto il Grimorio» disse Tommaso, asciutto.
«Come?» chiese sua madre all’improvviso, alzando la testa per guardare Tommaso.
«In che senso?» sbottò Tommaso, «era là e io l’ho trovato».
«Ma come?» domandò ancora Maura, «è sempre stato nascosto lì e non lo hai mai trovato prima, eppure in camera nostra entri spesso, dato che c’è la libreria proprio lì».
«Lo ha trovato Nora, se proprio vuoi saperlo!» ribatté Tommaso, incrociando le braccia al petto e abbandonandosi sullo schienale della sedia.
«Nora?».
«Domenica, mentre eravate in campeggio, è venuta da me e lo ha trovato. Sai com’è, lei è un Vampiro» spiegò Tommaso, ma si bloccò di scatto, rendendosi conto di aver rivelato molto più di quanto consigliava la prudenza. Si morse il labbro, colpevole, mentre l’espressione di Maura si faceva più incredula che mai.
«Lei è un Vampiro? Come è possibile!?» sbottò Maura, alzando la voce, al limite dell’isteria.
«Perché invece non parliamo di noi?!» urlò Tommaso.
«Io sono la capo congrega delle Streghe di questa città, tuo padre è umano e tu… hai tutto il diritto di essere arrabbiato. Noi volevano solo proteggerti, Tommaso» snocciolò Maura.
«E adesso che so tutto?».
«Decidi» esclamò Maura, «vuoi questa vita o no? Ti lascio libero di scegliere. Pensaci».
«Voglio essere uno Stregone» disse subito Tommaso.
Maura rimase un po’ sconcertata dalla risposta pronta del figlio, quasi sperasse che lui fosse come Gianfranco, che non voleva saperne di magie e creature soprannaturali.
«Allora ti insegnerò ad esserlo» si arrese, sospirando.
 
«Raccontami di Nora» chiese Maura al figlio, mentre sfogliavano insieme il Grimorio.
«Rebecca, quella stronza…» attaccò a dire Tommaso.
«Tommaso!» lo redarguì Maura.
«Beh quella… quella… Rebecca, insomma, è un Vampiro e sabato sera, alla festa, ha aggredito Elena. Nora si è messa in mezzo e Rebecca l’ha uccisa! Menomale che Nora aveva morso Rebecca, mentre lottavano, e un po’ del sangue di quella è finito nell’organismo di Nora».
«Quindi è un Vampiro da poco…» osservò Maura, pensierosa, «non va bene».
«Perché?».
«Non sa controllare i suoi impulsi! Potrebbe uccidere qualcuno, dissanguare i suoi stessi genitori in un attimo d’ira, o peggio, di sete».
Tommaso non ebbe cuore di dire a sua madre che era lui stesso a soddisfare la sete di Nora.
Per deviare il discorso, disse a Maura di aver letto nella mente di Rebecca, nel tentativo di trovare un modo per aiutare Nora contro la luce del sole.
Maura rimase molto impressionata dal racconto del figlio. L’incantesimo che lui aveva eseguito non era dei più semplici e il fatto che l’unica conseguenza fosse stato uno svenimento, dimostrava l’incredibile talento di Tommaso. Si convinse così che forse avrebbe fatto meglio ad educare suo figlio fin da piccolo ad essere uno Stregone, piuttosto che tenerlo all’oscuro della verità.
Forse avrebbe potuto fare qualcosa per lui, però…
«E allora, cosa hai scoperto da Rebecca?».
«Che lei ha un anello che la protegge!» esclamò subito Tommaso, senza nascondere una certa soddisfazione.
Maura sorrise, compiaciuta e disse: «e se ne facessi uno per la tua amica?».
 
«Spiegami una cosa» disse Maura, «Rebecca ha trasformato Nora, ma chi ha trasformato Rebecca?».
«Elia» replicò subito Tommaso, pieno di disgusto.
Maura rimase paralizzata sul posto, col Grimorio aperto in grembo, quando sentì quel nome. Smise di respirare per lo shock, il cuore le batteva all’impazzata. Tommaso la scosse e Maura tornò in sé, continuando però a pensare a Elia; quel nome identificava la persona che più odiava sulla faccia della terra.
«Lo conosci!?» capì Tommaso.
“Certo che sì” pensò Maura, mentre nella sua mente ripassavano, come in un film, tempi passati in cui lei era solo una giovane Strega e lui un Vampiro bellissimo e affascinante anche se crudele.
«Lui ha trasformato Rebecca? Quando? E come lo sai? Lo hai visto?» iniziò a tartassarlo Maura.
«Ok, basta!» esclamò Tommaso, «sì, lui ha trasformato Rebecca. Viene ogni giorno a prenderla a scuola, col suo BMW odiosamente nuovo e fiammante». Arricciò il naso disgustato e continuò a studiare l’incantesimo con cui avrebbero creato un anello solare per Nora.
 
Il campanello di casa di Nora suonò. Erano le nove di sera, nessuno si aspettava che arrivassero ospiti a quell’ora. La madre di Nora andò ad aprire la porta e fu sorpresa –ma non troppo- di vedere Tommaso appostato sull’uscio.
«Posso vedere Nora?» domandò.
Chiara lo fece entrare e il ragazzo andò diretto alla camera dell’amica, senza aspettare ulteriori inviti o permessi.
Nora era sdraiata sul letto con un libro in grembo e fu sorpresa di vedere Tommaso, raggiante di felicità.
«Cosa succede?» domandò.
«Ho un piccolo grande regalo per te» disse lui, incapace di trattenersi ulteriormente. Tirò fuori dalla tasca un pacchettino blu e lo passò all’amica con mani tremanti.
«Cos’è?» domandò Nora mentre scioglieva il nastro di raso blu e apriva la scatoletta.
La ragazza fissò a bocca aperta l’anello in oro bianco, adagiato placidamente su un cuscinetto blu notte. La piccola rosellina blu che costituiva l’unica decorazione dell’anello, brillava di luce riflessa della lampada sul comodino di Nora.
«E’ bellissimo» mormorò.
«Mettitelo e preparati lo zaino, domani torni a scuola» commentò Tommaso soddisfatto.
Nora scoppiò a ridere per la contentezza quando capì di cosa si trattava.
Tommaso le raccontò gli avvenimenti di quel pomeriggio, il discorso con sua madre, le tante cose che aveva appreso e poi quell’incantesimo per creare l’anello solare.
Parlò anche di Elia e della reazione di Maura quando lui le aveva detto che Elia era il creatore di Rebecca. Chissà cosa c’era sotto, quali intrighi lo avevano visto protagonista nel passato di Maura… Tommaso e Nora, comunque, erano troppo impegnati a festeggiare il nuovo anello solare per preoccuparsi di Maura ed Elia.
 
 
 

Un grazie particolare a chi continua a seguire la nostra storia <3
Aspettiamo le vostre recensioni per sapere cosa ne pensate!!
Al prossimo capitolo,

Kath&Norman

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


"Aveva sentito dire spesso che con gli anni arriva la saggezza,
e aveva aspettato, fiducioso, che questa saggezza gli desse quello che più desiderava:
la capacità di guidare la direzione dei ricordi
per non cadere nelle trappole che questi spesso gli tendevano."
Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, Luis Sepùlveda


"Non c'è fuoco né gelo
tale da sfidare ciò che un uomo
può accumulare nel proprio cuore."
Il Grande Gatsby, F. Scott Fitzgerald


7
 
Devo riunire la congrega domani» disse Maura, stringendosi nel golf, scossa da un brivido. Gianfranco le si fece vicino, poggiandole le mani sulle spalle. Insieme guardavano fuori dalla finestra la notte chiara. Tommaso era già a letto da un pezzo, mentre loro due –specialmente Maura- erano travolti da risme di pensieri e ricordi che non li lasciavano chiudere occhio.
«Devi metterli al corrente di Tommaso?» domandò Gianfranco, stringendo un po’ di più la presa sulle spalle magre della moglie.
«Anche… ma mi preme di più parlare di Elia» mormorò Maura, «l’Antidoto deve essere protetto».
Si voltò a guardare il marito, posando una mano sulla sua guancia. Certe volte avrebbe voluto essere come lui, libera da qualsiasi obbligo e responsabilità per la protezione di un mondo inaccessibile per i più. Invece era a capo di una congrega di Streghe e aveva tra le mani il destino della città.
«Andiamo a dormire» suggerì Gianfranco. Maura annuì, scoccò un rapido bacio sulle labbra del marito e lo seguì in camera, mentre la sua mente affollata di idee e congetture cercava di placarsi.

Il mattino dopo, Maura aspettò che il figlio andasse a scuola per allontanarsi. Si diresse verso il bosco, nel ritrovo stabilito con la congrega e poco dopo fu raggiunta dalle altre Streghe della città. La brezza fresca del mattino muoveva le chiome folte degli alberi, le cui foglie dovevano ancora tingersi del tipico colore aranciato dell’autunno.
Maura si dispose di fronte alle Streghe, trasse un profondo sospiro e cominciò a parlare. Per prima cosa mise tutti al corrente di Tommaso, assicurando che si sarebbe presto unito alla congrega. In realtà, di questo non aveva ancora parlato al figlio, e in cuor suo sperava che Tommaso entrasse a far parte della congrega senza porre troppe domande.
«La ragione maggiore che mi ha spinta a convocare la congrega con così scarso preavviso, comunque, non è questa» dichiarò Maura, «i Vampiri sono tornati in città».
Questa rivelazione provocò un immediato vociferare tra le Streghe e Stregoni riuniti lì, che mormoravano tra loro, preoccupati.
Maura alzò la mano e quel piccolo gesto quasi causale ebbe l’effetto di riportare tutti di nuovo all’ordine. L’attenzione fu ristabilita completamente e Maura percorse uno sguardo gelido sulla folla di Streghe che aveva davanti.
«In questi mesi abbiamo assistito ad una rapida successione di morti, che non può essere opera di un serial killer o di un solo Vampiro isolato. Stiamo parlando di un clan, e più precisamente di uno dei clan più pericolosi al mondo, quello di Elia».
Un silenzio di tomba accolse quelle parole. Elia era un Vampiro conosciuto per le sue gesta crudeli e spietate, ma soprattutto, per la leggendaria storia dell’Antidoto contro il sangue di Licantropo. La congrega di Maura, però, sapeva perfettamente che quella dell’Antidoto era tutt’altro che leggenda e alcuni di loro avrebbero potuto anche vantarsi di conoscere il suo nascondiglio, benché avessero tutti giurato di tacerlo.
«Come può il Consiglio non essere ancora intervenuto?» domandò qualcuno.
Maura rispose: «non lo so. Evidentemente non se ne è ancora accorto o non ha interesse ad indagare».
A quelle parole, la congrega esplose in esclamazioni di vivo stupore e malcontento per l’operato del Consiglio, l’organo che controllava e amministrava le diverse specie soprannaturali presenti in città: Vampiri, Streghe e Licantropi; e gestiva l’efficiente corpo armato dei Cacciatori.
«Dobbiamo occuparci ora di rinforzare le protezioni sull’Antidoto. Capirete bene che né Elia né nessun altro deve impossessarsene. Nostro compito è quello di difenderlo! Un’arma come quella potrebbe sconvolgere gli equilibri già precari del nostro mondo, se venisse utilizzata» esclamò Maura.
«Ci stai dicendo di ritirarci? Sappiamo tutti che la miglior difesa è l’attacco, Maura!» protestò uno Stregone.
«Io dico che per ora il nostro compito è quello di proteggere l’arma che abbiamo in affido…» ribatté Maura con voce vagamente incerta.
Fu però interrotta nel suo discorso.
«Proteggerla da me?» esclamò una voce squillante dal folto della foresta. Un istante dopo, Elia si fece avanti, camminando tranquillamente tra le Streghe riunite, che si spostarono rapidamente per lasciarlo passare, pronte a scattare al primo segnale di Maura.
«Elia…» mormorò Maura, sospirando, tradita dall’emozione. Il suo cuore ebbe un tuffo quando incontrò gli occhi grigi del Vampiro per la prima volta dopo trent’anni. La sorpresa lasciò presto il posto alla fredda rabbia che provava nei suoi confronti e lo spirito combattivo che era in lei prevalse su qualsiasi ricordo ed emozione passata.
«Maura… il tempo ha disperso la tua bellezza, ma hai mantenuto il fascino di quand’eri ragazza» la elogiò Elia, una mano in tasca e l’altra lungo il fianco, un sorriso misterioso che gli tingeva il volto e la nonchalance di chi cammina vincitore tra i vinti.
«Cosa ci fai qui?» domandò Maura, seccamente.
«Sono venuto a riprendermi ciò che è mio di diritto» sbottò Elia, «dopotutto, mi dai del cattivo, ma chi non ha rispettato i patti? Tu!».
«Come potevi pensare che ti avrei dato un’arma come l’Antidoto? Solo uno sciocco avrebbe creduto possibile che una Strega come me scendesse a patti con un Vampiro» replicò Maura piena di sprezzo, canzonandolo.
Elia sospirò rabbiosamente e urlò: «dammi l’Antidoto, Maura!».
«Con quale coraggio interrompi una riunione di Streghe e avanzi pretese!?» sbraitò Maura. Poi tese la mano verso Elia e in un impeto di rabbia scagliò un incantesimo che costrinse il Vampiro in ginocchio, contorto dal dolore. Mantenendo il contatto visivo con Elia, Maura gli inflisse tutta la sua rabbia, in fustigate di dolore che facevano urlare Elia. Poi gli voltò le spalle, sospirando per riprendere il controllo di sé, mentre Elia, finalmente libero dalla presa della Strega, riprendeva fiato a sua volta, ancora piegato in due tra il fogliame del sottobosco.
«Non avrai quell’Antidoto né ora né mai, Elia» concluse Maura, di nuovo voltatasi verso di lui. Strinse la mano a pugno e il silenzio del bosco fu interrotto dal sonoro crac del collo del Vampiro, spezzato.

Ma quella della congrega non fu l’unica riunione di quel giorno. La notte, anche i Licantropi si ritrovarono per parlare, nascosti dal buio fitto del bosco del Montello, lontani dalla confusione della città e da orecchie indiscrete.
L’Alpha del branco, Kevin, presiedeva l’incontro. Era un giovane alto, rosso di capelli, dai lineamenti duri e i muscoli scolpiti. Non era noto di certo per la sua magnanimità, ma per il suo disprezzo per il Consiglio e la severità con cui puniva i trasgressori delle regole del branco. Aveva conquistato il potere sugli altri Licantropi dopo una sanguinosa battaglia, durata quasi tre giorni, che si era conclusa con la morte del precedente Alpha.
«Mi ha informato oggi Maura, la Strega capo congrega, che i Vampiri sono stati avvistati in città» esordì, camminando nervoso tra i membri del suo branco, tra i quali si riconoscevano non solo adulti ma anche molti ragazzini e bambini, figli di Licantropi che non erano stati morsi ma erano nati col gene della Licantropia. Tra di essi si poteva riconoscere Rachele, una delle amiche di Rebecca, seduta tra il fogliame de sottobosco accanto a sua madre.
«Questo significa che dobbiamo intervenire. Il Consiglio non ne sa nulla, secondo quanto detto dalla Strega, e non possiamo davvero contare sul suo intervento. Del resto, quando mai ha fatto ciò che doveva per proteggere questa città?» proseguì Kevin, concludendo con una battuta sarcastica che destò qualche risolino sprezzante tra i Licantropi.
«Sono tornati perché vogliono l’Antidoto ed è nostro dovere fare in modo che non lo abbiano. Per questo combatteremo al fianco delle Streghe» concluse Kevin.
«Le Streghe hanno sempre un secondo fine, un prezzo da pagare… e tu lo sai Kevin! Non possiamo fidarci di loro» azzardò Carla, la madre di Rachele. Kevin la incenerì con lo sguardo, stizzito per essere stato contraddetto. Si irritò ancora di più quando vide che le parole di Carla aveva destato i dubbi degli altri Licantropi, i quali mormoravano a bassa voce il loro dissenso per il volere del loro Alpha.
«Ovviamente…» sibilò Kevin, le narici che tremavano di rabbia, «al momento opportuno ci rivolteremo e ruberemo l’Antidoto. È ora che torni di proprietà dei Licantropi e che venga distrutto».
Ancora molti dubbi funestavano le menti dei Licantropi, ma nessuno aveva coraggio di contraddire nuovamente Kevin, già profondamente irritato per l’azzardo di Carla.
«Quel che ora dobbiamo fare è capire chi sono questi Vampiri…» tuonò Kevin, percorrendo uno sguardo furente sul branco.
Rachele tremava, seduta al suo posto, il cuore le batteva a mille, ma alzò comunque la mano. Tutti si voltarono subito verso di lei, primo fra tutti Kevin, che la trafisse coi suoi occhi verdi, guardandola dall’alto in basso.
«Sì?» la invitò a parlare.
«Io ne conosco uno. Conosco un Vampiro» disse, la voce incrinata per l’emozione.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***



"Spetta a noi decidere come usare la piccola forza creatrice che abbiamo in dote.
Più prosaicamente, si trattava di salvare il salvabile e di riscattare un'amicizia."
Stella del Mattino, Wu Ming 4


"Sembra surreale, come se noi non fossimo destinati
a vivere in modo normale."
Elena, The Vampire Diaries

 

8
 
Il mercoledì Nora poté finalmente smettere di fingere di essere ammalata e si diresse a scuola con un impensabile sorriso stampato sul volto.
Furono tutti contenti di vederla… tutti, meno uno. Rebecca.
La ragazza si interruppe a metà di quello che stava dicendo e fissò Nora inorridita, quando la vide varcare i cancelli della scuola, più raggiante che mai, attorniata dai suoi amici. Tutte le sue amiche si voltarono, seguendo la direzione del suo sguardo paralizzato e assistettero all’abbraccio pieno di affetto tra Nora e Elena, che le saltellava intorno sprizzando gioia da tutti i pori.
 
Rachele aveva la mente altrove, si chiese distrattamente perché Rebecca guardasse Nora in quel modo, ma in realtà il suo pensiero fisso era quello che aveva detto alla riunione del branco, la sera prima. Aveva smascherato Rebecca, dicendo a tutti gli altri Licantropi che lei era un Vampiro; era già un grande risultato che sua madre non l’avesse costretta a cambiare scuola e ad allontanarsi definitivamente da lei. Si sentiva in colpa per aver tradito la sua amica, ma la verità è che non sarebbe riuscita a tacere a lungo la sua amicizia con una Vampira. Kevin l’avrebbe scoperto, lui teneva d’occhio tutti, e l’avrebbe uccisa per aver tradito il branco.
Vittoria tentava di mostrarsi partecipe, ma in realtà anche la sua mente era funestata da pensieri oscuri. Era intenzionata ad indagare sui suoi genitori, o meglio, su ciò che facevano la notte, quando sgattaiolavano fuori casa, il cofano della macchina imbottito di armi.
Quella che più di tutti avrebbe dovuto essere sconvolta era Giulia, invece lei pareva del tutto normale, come se i due omicidi avvenuti, di cui lei era stata la scopritrice, non l’avessero turbata affatto. Anzi, pareva quasi che lei non li ricordasse
 
Nora si districò dalla presa di Elena e si apprestò a raggiungere Tommaso, in piedi sui gradini di fronte alla scuola. Rebecca le sbarrò la strada all’improvviso, guardandola con un misto di incredulità e odio.
«Come puoi essere viva?» abbaiò.
«Ehm… cosa?» rispose Nora, fingendo di non capire.
Rebecca le afferrò la mano e studiò per un istante l’anello di Nora, prima che la ragazza si ritraesse dalla sua presa.
«C-come…? Co-cosa vuol dire? Ehi, tu… tu…» farfugliò Rebecca, incredula.
«Lasciami in pace, Rebecca» tagliò corto Nora, scontrosa, superandola per raggiungere Tommaso.
«L’hai stesa» scherzò lui, entrando nell’atrio della scuola accanto all’amica, pienamente soddisfatto dell’effetto che lei aveva suscitato sulla loro nemica.
«Probabilmente credeva di avermi tolta dalla circolazione per sempre» replicò Nora, «credo abbia capito che sono un Vampiro, comunque».
Andarono in classe e tutto filò liscio fino alla terza ora. Pochi minuti prima che suonasse la campanella della ricreazione, Nora avvertì qualcuno che bisbigliava fuori dalla classe. I suoi sensi amplificati capirono all’istante che era Rebecca.
Alzò la mano e chiese di uscire; Tommaso la guardava interrogativo, ma lei non si voltò verso di lui né gli parlò. La professoressa le gettò un’occhiata contrariata, obiettando che la campanella sarebbe suonata di lì a poco, ma Nora si alzò comunque dal suo posto e corse fuori dalla classe, dicendo di avere un’urgenza.
Rebecca era là, in mezzo al corridoio. Sembrò soddisfatta di vederla e incrociò le braccia sul petto, fissandola con alterigia.
«Come sei pallida» disse, ridendo della sua battuta.
«Io direi che tu sei imbalsamata, invece» replicò Nora.
«Tu dovevi essere morta» disse ancora Rebecca, abbandonando la precedente ilarità, «invece sei qui e cammini».
«Ti ha trasformata Elia, vero? Avevo notato che eri diversa dal solito» la ignorò Nora.
«Ero diversa dal solito?» ripeté Rebecca, «ovvio. Non sono più umana… e nemmeno tu, adesso».
Nora camminò lentamente verso di lei. Per tutta risposta Rebecca partì a velocità vampiro, piazzandosi di fronte a Nora e fissandola con odio e superiorità.
«Ops, fine della corsa» sussurrò Nora, prendendo il collo di Rebecca e scaraventandola contro la porta del bagno delle ragazze alla sua destra. La porta cedette e si staccò dai cardini e Rebecca volò dentro il bagno, sbattendo contro il lavandino.
«Questo è per aver aggredito Elena» disse Nora, piena di rabbia.
Rebecca si rialzò da terra, si riavviò i capelli e rassettò gli abiti e guardò Nora con un sorriso famelico.
«Non credi che qualcuno ci senta?» domandò con tono teatralmente dubbioso.
«Sono certa che hai fatto in modo che non sia così» replicò Nora, benché non avesse idea di cosa Rebecca potesse aver fatto.
Rebecca partì alla carica e sferrò un calcio dritto allo stomaco di Nora che sbatté contro la parete del corridoio. Il muro fu percorso da una crepa e Nora sentì qualche costola andare in frantumi. Si stiracchiò un istante per affrettare la guarigione e poi sferrò il contrattacco. Bloccò Rebecca con le spalle al muro, contro la parete di mattonelle bianche e azzurre del bagno.
«E adesso che cosa vuoi fare?» la sbeffeggiò Rebecca.
Nora strinse di più la presa sui polsi della sua avversaria e Rebecca gemette quando uno dei due si sgretolò. Le tirò una ginocchiata proprio dove Rebecca prima l’aveva colpita, appena sotto la cassa toracica e Rebecca si piegò in avanti, respirando affannosamente.
«Questo è per aver fatto in modo che Elena dimenticasse quanto sei stata stronza con lei» sussurrò Nora all’orecchio di Rebecca, «in qualsiasi modo tu abbia fatto».
A quelle parole Rebecca rise, piano perché le faceva male dappertutto, ma rise. Nora ancora non sapeva tante cose di quel mondo, era inesperta, debole perché sola. Lei non aveva un mentore come Elia dalla sua parte.
«E dimmi, di chi ti sei nutrita?» le chiese Rebecca, per la prima volta davvero curiosa.
«Di certo non di Elena» ribatté Nora.
Si guardarono per un momento ed entrambe pensarono la stessa cosa. Di lì a sessanta o settant’anni sarebbero rimaste solo loro due, ancora giovani e belle, e tutte quelle litigate e quei rancori passati non sarebbero stati che un ricordo, il più caro dei ricordi, perché le avrebbe riportate indietro nel tempo e aiutate a ricordare la vita che avevano avuto e poi perso.
«Se ti spezzo il collo, poi si riaggiusta?» domandò Nora tranquillamente, mollando la presa sui polsi di Rebecca e allontanandosi un poco da lei. La guardò con vivo interesse, mentre si massaggiava i polsi rotti e si produceva in smorfie di sofferenza.
«Devi romperli di nuovo» disse Rebecca senza alzare gli occhi sulla sua avversaria. Le porse i polsi e Nora capì cosa intendeva. Nora li aveva rotti e poi aveva continuato a stringerli. La guarigione veloce dei Vampiri aveva aggiustato i polsi ma il fatto che Nora avesse continuato a tenerli saldamente in una posa innaturale, aveva comportato che erano guariti nel modo sbagliato e ora erano storti, quasi avvitati.
«Potrei lasciarli così, sono originali» la sbeffeggiò Nora. Ma un attimo dopo li prese tra le mani e con un’unica forte stretta li sbriciolò di nuovo sotto le sue dita. Rebecca non proferì parola né  diede segni di dolore.
Quando furono aggiustati nel modo corretto, la lotta riprese.
«Non hai risposto alla mia domanda» sibilò Nora, mentre Rebecca la bloccava a terra con un ginocchio sul suo collo.
«Sì, il collo si riaggiusta se lo rompi» rispose Rebecca, controvoglia.
«Vorrei fare una prova col tuo» rantolò Nora, ormai incapace di respirare.
Rebecca rise senza gioia e si rialzò da terra. Aspettò che anche Nora si rialzasse, poi le prese il collo e la risbatté per terra. Qualche mattonella andò in pezzi.
«Attenta, non vorrai dover ripagare il bagno alla scuola» replicò Nora dopo essersi ripresa.
«Adesso ti uccido, poi me ne vado. Quando ti risveglierai troveranno te qui e sarai tu a dover ripagare questo bagno» ribatté Rebecca stringendola ancora di più a terra.
«Non credo proprio».
Nora alzò velocemente una gamba e colpì la testa di Rebecca, accucciata sopra di lei per tenerle bloccate le braccia e il collo. Non aveva pensato però alle gambe della sua avversaria e Nora ebbe così modo di contrattaccare.
Rebecca cadde a terra e sbatté la testa contro il pavimento. Un rivolo di sangue le colò lungo la tempia, ma lei non si diede per vinta.
Si riempirono di calci e pugni, rotolando sul pavimento freddo del bagno. Sobbalzarono entrambe quando la campanella della ricreazione suonò. Rebecca si rialzò immediatamente da terra e se la svignò a velocità vampiro, scomparendo alla vista.
Nora si rassettò velocemente i vestiti, prese la porta del bagno e con due pugni ben assestati la risistemò al suo posto. Corse di nuovo in classe prima che qualcuno potesse vederla uscire dalla toilette ormai in frantumi.
 
«Elia!» urlò Rebecca. Camminava veloce lungo il viale della villa, in cerca del Vampiro. Lo trovò seduto sul sofà in veranda, a sorseggiare un bicchiere di sangue fresco e a leggere il giornale.
Rebecca fu immediatamente servita da una cameriera e si sedette accanto ad Elia, trangugiando il bicchiere di sangue che la cameriera le aveva posto tra le mani.
Elia non aveva ancora parlato né aveva guardato la sua protetta.
Dopo minuti di silenzio, però, disse: «ti pare il modo di annunciarti? Entrare in casa mia e urlare come una pazza». Il suo tono era calmo, eppure tradiva la sua irritazione.
«Mi dispiace» si scusò Rebecca.
«Che cosa è successo?» domandò Elia, alzando finalmente gli occhi sulla ragazza, ogni traccia di rabbia svanita.
«Nora» prese a dire Rebecca, «sabato sera alla festa abbiamo litigato. L’ho trascinata nel bosco e…».
Elia sgranò gli occhi e si rizzò a sedere, sgomento.
«E?» la incalzò.
«Abbiamo lottato. Pensavo di averla uccisa! L’ho lanciata contro un albero e non si è più rialzata. Il suo cuore non batteva più, era morta. Poi questa mattina me la sono trovata davanti, più sana che mai, e ho scoperto che è diventata un Vampiro» snocciolò Rebecca, terrorizzata dalla reazione che Elia avrebbe potuto avere.
Il Vampiro tacque. Guardò Rebecca con fredda superiorità, i suoi occhi più neri che mai.
«Mi stai dicendo che l’hai trasformata e che adesso c’è un novello Vampiro a piede libero in città?».
«No!» protestò Rebecca, «Io non l’ho trasformata! Non so come sia potuto accadere».
«Lo so io!» sbraitò Elia alzandosi in piedi e camminando rabbiosamente avanti e indietro per la veranda, «sei una stupida! E non sai controllarti!».
Rebecca tremava, timorosa di quello che Elia avrebbe potuto farle.
«Dovrei ucciderti per questo» sibilò Elia, fissandola con rabbia, «sono io che trasformo le persone, non tu!». Continuò a sgridarla ancora per un po’, poi la congedò e Rebecca sparì.
Elia si passò una mano tra i capelli biondo cenere, pensando al da farsi.
Aveva ottime ragioni di credere che il Consiglio ancora non sospettasse il suo ritorno in città (benché gli omicidi fossero una prova più che sufficiente per decretare il contrario) e non poteva permettere che una bravata di Rebecca rovinasse il suo piano.
L’unica cosa che restava da fare era reclutare questa nuova Vampira.
 
Nora era a casa da sola quella sera. I suoi genitori e sua sorella erano a cena con degli amici e lei era riuscita a convincerli di voler rimanere a casa, fingendosi stanca.
Stava per andare a dormire quando avvertì la presenza di qualcuno in giardino. Scostò la tenda della finestra della camera, ma non vide nulla.
Allora scese le scale con passo felpato, attenta a non fare rumore, e pian piano socchiuse il portone di casa. Ancora nessuno.
Uscì definitivamente in giardino, completamente disarmata e allora lo vide. Elia.
Lei era sul gradino di entrata, lui in fondo al giardino, fasciato in un elegante completo scuro, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, i capelli scarmigliati.
Elia la fissava con un mezzo sorriso, studiandola. Osservava i suoi capelli lunghi e ricci, sciolti sulle spalle che si scompigliavano al vento della sera, la vestaglia di raso blu che le arrivava a metà coscia, gli occhi grandi e scuri spalancati, i piedi nudi.
Era così diversa da Rebecca. Lei trasudava sicurezza, ma sotto sotto era debole. Nora invece pareva indifesa, ma Rebecca aveva raccontato a Elia della lotta che avevano ingaggiato quella mattina a scuola, e lui era abbastanza certo che dietro quella maschera di fragilità si celasse uno spirito forte.
«Ciao» la salutò Elia. Nora non rispose e continuò a guardarlo impassibile, le braccia strette al petto.
Elia allora si decise a farsi avanti. Prima però si curvò a terra e dall’ombra trasse una valigetta nera, una ventiquattrore come quelle che si vedono nei film e che di solito sono imbottite di denaro. Ma Nora, man mano che Elia si avvicinava, capì che quella valigetta era piena di qualcos’altro.
Sangue. Sangue fresco.
Elia la pose di fronte a lei e poi tornò ad indietreggiare, arrestandosi a meno di un metro e mezzo di distanza dalla ragazza.
«Che cosa vuoi?» sbottò Nora.
Il volto di Elia si distese in un sorriso e Nora poté vedere il bianco dei suoi denti perfetti brillare alla luce della mezza luna in cielo.
«Voglio farti un’offerta» disse lui.
Nora non disse nulla, in attesa com’era di ulteriori informazioni.
«Ti offro di entrare nel mio clan, Nora» aggiunse Elia, pronunciando per la prima volta il suo nome.
«Ti offro protezione e nutrimento; ti offro anche un alloggio, se mai volessi lasciare questa casa» si bloccò un attimo per lanciare uno sguardo un po’ schifato alla bifamigliare in cui Nora abitava da quando era nata.
«E in cambio di cosa?» ribatté Nora dopo essersi ripresa dalla sorpresa.
«Oh, salti subito alla parte termini e condizioni» osservò Elia e il suo sorriso si allargò, «sei intelligente».
«Rispondi» ordinò Nora.
«In cambio di obbedienza e rispetto» disse Elia, d’improvviso serio.
Dopo una pausa il Vampiro aggiunse: «in questa valigetta ci sono sei sacche di sangue. Una al giorno. Tra sei giorni tornerò a riprendermela e vorrò una risposta».
«Non serve aspettare. Ecco la mia risposta: no!» esclamò Nora, alzando un sopracciglio.
«Come sarebbe a dire no?».
«Vuol dire no! Protezione me la offrono già i miei genitori e comunque, francamente, non ne ho bisogno. Per nutrirmi posso fare anche da sola, non mi servi tu. Un alloggio già ce l’ho e tu lo hai violato, potrei denunciarti per questo. E non mi piace l’idea di obbedirti e portarti rispetto visto che tu non obbedisci o porti rispetto a nessuno» esclamò Nora, «quindi riprenditi questa valigetta e non tornare mai più qui, non rivolgermi mai più la parola e non farti più vedere».
Tirò un calcio alla valigetta e quella finì dritta tra le braccia del suo possessore.
Le narici di Elia fremettero di rabbia, ma seppe controllarsi. Mise la valigetta a terra e si voltò per andarsene. Un istante prima di sparire, si voltò verso Nora e disse, imperterrito:
«Ci vediamo tra sei giorni».
Poi la notte ebbe un fremito ed Elia scomparve nell’oscurità.




Un grazie speciale a chi continua a seguire la nostra storia!
Al prossimo capitolo,

Kath&Norman

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


"La cultura del sospetto contagiava l'anima fino ad allontanarla
dalle vecchie passioni,
per potersi sentire dalla parte 'giusta'".
Stella del Mattino, Wu Ming 4


"Nelle imprese la grandezza sta nell'avere in mente tutt'altro".
Il peso della farfalla, Erri De Luca


9

L’incontro con il Consiglio cittadino era fissato per le quattro del pomeriggio. Maura si diresse da sola al luogo della riunione, la villa seicentesca che dominava il paese e che era la sede centrale dell’organo di controllo del mondo soprannaturale della città. Quando arrivò nel parco della villa c’erano già alcuni Licantropi raggruppati in attesa, poco lontano stavano sei o sette Cacciatori, mentre le Streghe della sua congrega erano riunite a qualche passo di distanza da essi. Maura le raggiunse.
Kevin arrivò alcuni minuti dopo, salutato da qualche cenno nervoso del suo branco e dagli sguardi diffidenti delle Streghe e dei Cacciatori.
Maura gli andò incontro con un sorriso diplomatico stampato sul volto, gli tese la mano e lui la strinse saldamente, più serio che mai.
Qualcuno avvisò la folla di entrare e tutti si diressero in silenzio verso i portoni di entrata della villa. Furono accompagnati in un’ampia sala conferenze e presero posto.
Infine arrivarono i capi del Consiglio: il sindaco, il capo della polizia e quello dei Cacciatori e il prete. Kevin e Maura erano accomodati in due poltrone ai lati del tavolo dei capi del Consiglio, l’uno di fronte all’altra.
«Hai voluto convocare il Consiglio, Maura. Prego» la invitò il sindaco.
Maura si alzò dalla poltrona e fissò la platea e poi il tavolo dei capi.
«Secondo fonti sicure, i Vampiri sono tornati in città. Ho voluto convocare questa riunione per sapere per quale motivo il Consiglio non è ancora intervenuto… ci deve essere un motivo valido. Perché è impensabile che il Consiglio non ne sapesse nulla, giusto?» li provocò Maura.
Il capo dei Cacciatori domandò: «quali sono le tue fonti, Maura? E sono poi così sicure come sostieni? Se il Consiglio non è intervenuto è perché non lo riteneva necessario».
«Ritorna in città uno dei clan più pericolosi che si conoscano e il Consiglio non ritiene necessario intervenire?» ribatté Maura, fremente.
«I tuoi problemi personali con Elia non sono affari del Consiglio» sbottò il prete.
«Ci sono stati omicidi e sparizioni negli ultimi mesi. Molte più del normale, per essere opera di qualche serial killer isolato» intervenne Kevin.
«Questo è vero» convenne il capo della polizia.
«Questi sono affari del Consiglio, prete» ribatté Maura, fissando il chierico con odio.
«Elia è tornato per l’Antidoto, devo supporre» disse il sindaco.
«Precisamente» rispose Maura, «il Consiglio deve intervenire per bloccare le morti e le sparizioni. Le Streghe si occuperanno di rinforzare le difese attorno all’Antidoto».
«E’ sicuro lasciare un’arma di quella portata nelle mani di una congrega di Streghe? Siamo tutti a conoscenza dei tuoi trascorsi col Vampiro Elia, Maura. Forse sei troppo coinvolta emotivamente per intervenire con lucidità» obiettò il prete.
«Suvvia, don! Sono certo che se Maura avesse di fronte Elia adesso, lo ucciderebbe senza troppe storie» la difese il sindaco.
«Questa è una delle cose di cui il Consiglio non dovrebbe mai dubitare» replicò Maura gettando uno sguardo di fuoco al prete.
«Se i Cacciatori saranno occupati contro i Vampiri, quale sarà il ruolo dei Licantropi?» domandò col suo tono altalenante e strascicato il capo dei Cacciatori.
«I Licantropi sono pronti a intervenire in qualsiasi operazione il Consiglio ordini» replicò Kevin.
«Anche al fianco dei Cacciatori?» lo punzecchiò il prete con un sorriso malvagio.
«Sì, se necessario» convenne Kevin, scrollando le spalle, sconfitto.
«Molto bene, allora! Organizzeremo delle battute di caccia e i Licantropi avranno l’ordine di affiancarsi ai Cacciatori ed eseguire le loro consegne…».
«Con tutto il rispetto, capo, i suoi Cacciatori sono umani. Noi siamo Licantropi. Il nostro morso uccide un Vampiro in meno di due giorni! Se permette, vorrei che i miei Licantropi avessero potere decisionale e non fossero sottomessi» interruppe Kevin.
Dopo uno sguardo impassibile, il capo dei Cacciatori concesse: «selezionerà i migliori lottatori del suo branco e a questi verrà permesso di combattere al fianco dei Cacciatori e di agire autonomamente, purché con lo scopo di eliminare quanti più Vampiri possibile».
«Molto bene, io…».
«Le ricordo, Kevin, che un paletto di legno o un proiettile imbevuto di Verbena uccidono istantaneamente un Vampiro».
«Così è deciso, allora» concluse il sindaco, ponendo fine ai battibecchi, «ognuno ha un compito da portare a termine. Fatelo con la consapevolezza di star aiutando e proteggendo la nostra città».
Ci fu uno scroscio di applausi e lo scambio di alcuni convenevoli prima che la folla si disperdesse e tutti tornassero alle loro vite.
 
Nel frattempo, a scuola, Tommaso e Nora chiacchieravano sommessamente ad un angolo della classe. La professoressa Greco era morta e la scuola non l’aveva ancora sostituita, per cui durante le sue ore gli studenti potevano considerarsi relativamente liberi di fare quel che volevano.
Nora stava raccontando all’amico la visita di Elia della sera precedente.
«Quindi ti ha detto che tra sei giorni tornerà?» domandò Tommaso per l’ennesima volta.
Nora ripeté di nuovo tutta la vicenda, sperando che Tommaso avesse una soluzione.
«Be’ non devi preoccuparti. Quando tornerà gli darai indietro la sua bella valigetta e lo manderai via».
«E col sangue cosa faccio?» bisbigliò Nora per non farsi sentire dalla professoressa di supplenza che passeggiava tra i banchi a braccia conserte, vigilandoli.
«Bevilo!» disse subito Tommaso, «te lo ha regalato, quindi sfruttalo».
Nora annuì, anche se non era tanto convinta.
«Credi che sia una brutta idea unirmi a lui?». Lei aveva rifiutato l’offerta di Elia, ma più ci pensava più credeva di aver sbagliato. Elia era un Vampiro da secoli, lui avrebbe saputo aiutarla a scoprire tutto il suo potere e, soprattutto, a controllarlo.
«Sì, certo che è una brutta idea! Vuoi diventare come Rebecca?».
«No, certo che no» replicò Nora.
«Mia madre mi ha detto che probabilmente è stato Elia a uccidere la prof. Greco e anche l’uomo che hanno ritrovato nel parcheggio del supermercato» disse Tommaso, «vuoi unirti ad un assassino?».
«No, certo che no» ripeté Nora a testa bassa.
«Ecco, allora smettila di farti problemi. Quando verrà da te gli dirai di no e basta» concluse Tommaso, autoritario.
Nora sapeva che Tommaso aveva ragione, ma lui non aveva visto Elia così da vicino come lei, non ci aveva parlato, non aveva subito il suo fascino misterioso né il suo sorriso perfetto.
«E tu? Ti unirai alla congrega?» chiese Nora a Tommaso, tanto per non pensare a Elia.
«Penso proprio di sì, è quello che mia madre vorrebbe» disse Tommaso.
«Non sarà pericoloso?» domandò Nora dubbiosa.
«Molto probabilmente sì» convenne Tommaso con tranquillità. Infilò la mano sotto il banco e pescò dal sacchetto qualche patatina.
«Ma?».
«Ma mi fido di mia madre» rispose Tommaso, guardando l’amica negli occhi.
Abbandonarono quei discorsi e Nora raccontò ancora a Tommaso della lotta nel bagno con Rebecca. Risero a lungo, piano per non farsi sentire dalla professoressa di supplenza, e così passò l’ora di mancata lezione, insolitamente tranquilla.
 
Nel pomeriggio, Giulia fu convocata alla centrale di polizia. Sua madre si fermò fuori dall’ufficio della comandante quando chiamarono sua figlia.
L’ufficio della comandante non era molto grande e straripava di carte e documenti vari. La scrivania era sommersa da pile di cartelle ammucchiate in un angolo e il cestino sotto il tavolo era pieno di fogli di carta appallottolati.
Giulia si accomodò sull’unica sedia di fronte alla scrivania e attese pazientemente che l’interrogatorio cominciasse. Non si sentiva nervosa ma solo curiosa; non aveva ancora ben capito per quale motivo avessero chiamato proprio lei.
Oltre alla comandante, in piedi contro la finestra dell’ufficio, vi erano due uomini. Uno piantonava la porta alle spalle di Giulia, l’altro era seduto di fronte a lei, sulla sedia che normalmente sarebbe spettata alla comandante.
Fu lui a parlare e a condurre l’interrogatorio.
«Allora, Giulia, come stai?» le domandò, parlando in tono amichevole.
«Abbastanza bene» rispose.
«A scuola come va?».
«Bene» rispose Giulia, senza capire dove volesse andare a parare.
«Andrò dritto al dunque, Giulia» disse l’uomo, serio, come se avesse indovinato i pensieri della ragazza, «dov’eri lunedì mattina?».
«A scuola» rispose Giulia, incerta.
«E domenica mattina presto?» domandò ancora l’uomo.
«A casa, sicuramente a casa» disse Giulia, improvvisamente agitata.
L’uomo si passò una mano sul mento ispido di barba non fatta, chiaramente nervoso.
«Di’ la verità, Giulia».
La ragazza non replicò e per tutta risposta abbassò la testa, fissandosi le mani intrecciate sul grembo.
L’uomo allora le pose di fronte due fotografie. Si trattava dei volti dei due cadaveri che Giulia aveva ritrovato. Lei fissò le foto con gli spalancati, le labbra socchiuse, il respiro breve.
«Li riconosci, non è vero?» disse l’uomo, che era un membro del Consiglio.
«Io… non li ho mai visti» disse Giulia veloce, staccando lo sguardo dalle due foto.
«Non mentire!» sbottò il suo interlocutore, «domenica mattina ti abbiamo trovata accanto a quest’uomo e lunedì eri sullo Stradone del Bosco, proprio dove stava la professoressa Greco, morta». L’uomo indicò le foto mentre parlava, faticando a contenere la rabbia.
Giulia tacque.
«Dov’eri domenica mattina presto?» ripeté il membro del Consiglio.
«Io... non lo so» ammise Giulia, scrollando le spalle.
«E lunedì mattina?» chiese ancora l’uomo.
«Non lo so» disse Giulia con voce rotta di pianto.
«Te lo dico io, dov’eri!» sbottò l’uomo, ormai incapace di trattenere la rabbia, «eri nel bosco a urlare di fronte al corpo senza vita della tua insegnante!».
«Lei non è la mia insegnante, lei insegna al classico. Io non faccio il classico» lo corresse Giulia a bassa voce.
«Perché eri lì? Perché non eri a scuola? E perché diamine domenica mattina non eri a casa?» l’assalì l’uomo. Giulia trasalì e la comandante si fece avanti, poggiando una mano sulla spalla del membro del Consiglio, invitandolo a calmarsi.
«Io non lo so» ripeté Giulia dopo una pausa di silenzio.
«Stavi urlando».
«Urlavo?» chiese Giulia, alzando la testa verso l’uomo, le sopracciglia corrugate, come se non credesse alle sue parole.
«Sì. Non te lo ricordi?».
Giulia scosse la testa.
«Sei la nostra unica testimone» disse l’uomo con voce calma, «forse non ti ricordi perché sei scioccata da quello che hai visto…».
«No, io sono perfettamente normale!» protestò Giulia alzando la voce.
«Va bene, basta così» si arrese il membro del Consiglio. Con un cenno della mano invitò la comandante ad accompagnare Giulia fuori e la ragazza raggiunse sua madre senza riuscire a nascondere il suo turbamento.




Una buona lettura e un grazie speciale a chi continua a seguire questa storia <3
al prossimo capitolo!

Kath&Norman

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


"Uno dei grandi piaceri della vita sta nel fare quello che la gente dice che non riuscirai a fare."
Walter Bagehot


"Le cose di cui nessuno sa e che non lasciano tracce, non esistono."
La coscienza di Zeno, Italo Svevo


10

Passati i sei giorni Elia tornò a fare visita a Nora. Era una notte fresca, il cielo era sereno, la brezza muoveva le chiome scure degli alberi.
Elia aveva passato un pomeriggio piuttosto tranquillo in compagnia di Rebecca, eppure la sera, quando l’aveva riaccompagnata a casa, si era sentito sollevato e incredibilmente impaziente di incontrare Nora e chiarire una volta per tutte la sua posizione nella città.
Certo, lei gli aveva detto di no, ma sarebbe stato opportuno metterla in guardia.
Se non era con lui, era contro di lui.
 
Nora era già a letto, anche se non riusciva ad addormentarsi sapendo che Elia sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro. Temeva la sua ira più di qualsiasi altra cosa perché sapeva con certezza che lui non era come Rebecca e che non sarebbe bastato un calcio ben assestato a metterlo KO. Lo aveva visto, sei giorni prima, trattenere a stento la rabbia, le narici frementi, i muscoli contratti.
Elia si appostò fuori dal cancello della casa, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni dal taglio elegante. Sapeva che l’attesa non sarebbe stata lunga.
Difatti Nora captò la sua presenza e si alzò immediatamente dal letto. Rabbrividì e infilò la vestaglia blu appoggiata sulla sedia della scrivania, pensando al da farsi. Aprì piano i balconi della porta chiusa che dava sul terrazzino della sua camera e uscì dopo aver recuperato da sotto il letto la valigetta ormai vuota che Elia le aveva lasciato sei giorni prima. Il vento le scompigliò i ricci, ma non le impedì di vedere Elia, bellissimo e misterioso come sempre, appostato fuori dal cancello di casa sua.
Con un balzo Nora si lanciò dalla terrazza e atterrò agilmente sul giardino. Si fermò un attimo per rassettarsi gli abiti e poi si avviò verso Elia, lo sguardo fiero, la testa alta, la maniglia della valigetta nera stretta nel pugno.
«Non ho violato il tuo domicilio, stavolta» la salutò Elia, sorridendole accattivante. Il suo sguardo percorse il corpo di Nora soffermandosi un istante di più sulle sue gambe nude.
«Ti avevo detto di non farti più vedere» esclamò Nora, guardandolo freddamente, insensibile all’ironia del Vampiro.
«E io ti avevo detto che sarei tornato» replicò Elia.
«Andiamo lontano da qui, non voglio che qualcuno ci veda» disse Nora. Lanciò la valigetta vuota a Elia e con un movimento veloce saltò il cancello che la separava da lui e lo superò, avviandosi per la via chiusa al traffico che tagliava il quartiere in cui viveva. Un unico lampione illuminava la strada, bordata di villette borghesi che negli anni avevano preso il posto dei campi coltivati.
«Cosa fai ancora lì? Seguimi» ordinò Nora, voltandosi verso Elia, ancora fermo sul cancello con la valigetta in grembo.
Lui obbedì, il solito sorriso da vincitore sul volto.
Nora lo portò fino al parcheggio male illuminato in fondo alla via, di solito riservato agli inquilini degli appartamenti fatti costruire qualche anno prima lì vicino, ma solitamente vuoto.
«Allora?» chiese Elia.
«Dovrei essere io a chiedertelo. Cosa vuoi ancora?» domandò Nora.
«Una risposta» rispose Elia, lasciando cadere a terra la valigetta e infilandosi di nuovo una mano nella tasca dei pantaloni. Nora non poté non notare quanto fosse affascinante nel suo completo di alta sartoria blu scuro, la giacca abbottonata sullo stomaco, la camicia bianca sotto. I capelli erano più biondi che mai, acconcianti in un look sbarazzino che dava ad Elia un’aria spigliata e giovanile al tempo stesso.
«Ti ho già detto che non voglio entrare nel tuo clan» disse Nora, abbandonando per un attimo l’atteggiamento freddo e distaccato di prima e assumendo un’aria esasperata.
«Speravo avessi cambiato idea» ribatté Elia con una smorfia di disappunto, muovendo qualche passo verso Nora, avvicinandosi a lei.
Nora non disse nulla.
«Pensi che io sia un assassino?» domandò Elia serio, ormai giunto a pochi passi dalla ragazza.
«Non lo sei?» replicò Nora amaramente.
«Faccio solo quello che tutti i Vampiri fanno… è nella nostra natura nutrirsi degli umani, Nora! Non combattere quello che sei, non essere un semplice e mediocre Vampiro che finge di essere umano e si nutre in segreto di sangue scadente!» sbottò Elia, in quella che pareva quasi una preghiera.
«Io non voglio uccidere le persone!» esclamò Nora, avvicinandosi ad Elia fino a trovarsi faccia a faccia con lui.
«Stai facendo un grosso errore» la mise in guardia Elia.
«Adesso basta!» urlò Nora, improvvisamente arrabbiata. Si gettò contro il petto di Elia e lo spinse lontano. Negli occhi del Vampiro si lesse la sorpresa per quel gesto avventato ed egli volò indietro, atterrando a qualche metro di distanza.
«Non sai controllare la tua rabbia» osservò Elia rialzandosi in piedi e camminando lentamente verso la Vampira.
«Ho detto basta, Elia! Va’ via, non voglio entrare nel tuo stupido clan, né oggi né mai!» urlò Nora, preparandosi ad un altro scontro.
Ma Elia non stava soppesando il contrattacco. Si passò una mano sulla manica della giacca, sporca di polvere, e poi sollevò lo sguardo triste su Nora.
«Mi dispiace che tu non abbia accettato» concluse il Vampiro, «immagino che dovrò cercare delle reclute altrove». Sorprendentemente sorrise, misterioso, raccolse la valigetta nera da terra, fece un ultimo occhiolino a Nora e scomparve nella notte.
 
L’incontro con Elia l’aveva scossa parecchio, soprattutto perché aveva avvertito l’implicita minaccia nel suo saluto finale. Nora raccontò tutto a Tommaso la mattina dopo, quando insieme si fermarono al solito bar del centro per fare colazione.
Lui pareva altrettanto dubbioso e insieme fecero congetture sul significato delle parole di Elia.
Che volesse trasformare nuovi Vampiri? E se sì, chi? Sia Nora che Tommaso, comunque, pensavano che Elia avrebbe ottenuto nuove reclute solamente se i neonati Vampiri avessero accettato di entrare nel suo clan e la cosa era piuttosto improbabile, perché nessun Vampiro avrebbe mai acconsentito a diventare schiavo delle manie di magnificenza di Elia.
I pochi elementi che avevano su cui basarsi deviarono presto i loro discorsi e il tema della chiacchierata divenne Tommaso.
Era ufficialmente entrato nella congrega di sua madre, che lo aveva messo al corrente della riunione avuta con il Consiglio cittadino e i Licantropi sulla protezione della città. Maura non aveva nominato, però, la presenza di un Antidoto contro il veleno di Licantropo.  
Tommaso spiegò all’amica tutto quello che aveva scoperto sul Consiglio e sul governo del mondo soprannaturale della città. Il Consiglio era guidato dal sindaco, il prete, il capo della polizia e il capo dei Cacciatori, il corpo armato specializzato nella cattura ed eliminazione delle creature soprannaturali pericolose, ed era formato dalla congrega di Maura, dal branco di Licantropi di Kevin e ovviamente dalla polizia e dalle squadre di Cacciatori. I Vampiri erano stati esclusi dal Consiglio circa trent’anni prima, dopo aver violato il Trattato di Convivenza tra le specie soprannaturali. Maura non aveva spiegato a Tommaso cosa era accaduto in particolare, ma Tommaso aveva appreso che i Vampiri erano stati banditi dalla città. Per questo ora il Consiglio avrebbe dispiegato le sue forze in difesa di quest’ultima, per cacciare i Vampiri da un territorio in cui non avevano più il diritto di risiedere.
Quando terminò il suo racconto era così tardi che i due dovettero correre per raggiungere in tempo la scuola, prima che suonasse la campanella di inizio delle lezioni.
 
Dopo la scuola Elena si diresse solitaria verso la canonica dietro la chiesa. Suonò il campanello sperando di non disturbare troppo il prete, probabilmente intento a pranzare.
Venne ad aprirle la perpetua, perché il don era in chiesa.
Allora la ragazza si avviò verso quella direzione. Voleva parlare al don di qualche idea nuova per l’oratorio del paese, da poco riaperto dopo un periodo di restauri che lo avevano modificato radicalmente e che erano solo l’inizio di un progetto che mirava all’accoglienza dei giovani in parrocchia, al riavvicinamento alla fede.
Elena lo trovò che passeggiava lungo la navata principale della grande chiesa novecentesca, un breviario tra le mani, la schiena curva per l’età avanzata. Quasi non sembrava lo stesso prete che aveva provocato Maura durante la riunione del Consiglio, eppure era proprio lui.
Parlarono per un po’ e il don parve contento e piuttosto disponibile a mettere a punto le idee di Elena, purché la ragazza trovasse qualcun altro disposto ad assecondarla. Elena aveva già in mente Tommaso e Nora e sorrise, rassicurante, mentre il don commentava le sue idee.
Quando il prete la lasciò andare, Elena decise di uscire dalla porta sul retro della chiesa, la più vicina, che di solito era sempre aperta. 
Il portone si aprì con un cigolio di cardini arrugginiti ed Elena uscì nel sole tiepido di quel mercoledì di fine settembre. Un SUV nero era l’unica auto appostata nel grande parcheggio dietro la chiesa.
Un giovane, che Elena riconobbe subito, smontò dall’auto e le venne incontro con un sorriso misterioso, una mano placidamente immersa nella tasca dei pantaloni scuri.
«Elena» la salutò quando le fu vicino, «Rebecca dice che la tua mente è piuttosto malleabile».
Con uno scatto a velocità vampiro Elia raggiunse la ragazza, le bloccò la testa con le mani e fissandola negli occhi la soggiogò perché gli obbedisse senza fiatare.
Elena fu condotta verso il SUV, caricata nella macchina in mezzo a due robusti Vampiri e portata via, senza che nessuno se ne accorgesse.


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


"Niente aveva capito di quel presente che era già perduto."
Il peso della Farfalla, Erri de Luca

11
 
Dopo la scuola Tommaso e Nora si incontrarono per andare insieme in biblioteca a studiare. Avevano chiamato almeno una decina di volte Elena, ma lei non aveva mai risposto. I due, comunque, non si erano preoccupati troppo per lei, pensando che la ragazza semplicemente non avesse il telefono a portata di mano.
Tommaso precedette Nora mentre attraversavano la strada e superavano il ponte sospeso sul laghetto artificiale fatto costruire davanti alla biblioteca. Entrarono dalle porte scorrevoli e si immersero nell’atmosfera ovattata, avvolti dal profumo dei libri e dal bisbiglio sommesso dei visitatori.
Raggiunsero in silenzio la sala arredata da numerosi tavoli, molti dei quali già occupati, posizionati a gruppetti tra gli scaffali stipati di enciclopedie e altri testi scolastici. Scelsero un tavolo solitario, circondato da testi di letteratura e storia, e tirarono fuori dagli zaini i loro libri di scuola. Proprio mentre Nora stava per chiedere a Tommaso con cosa cominciare il loro pomeriggio di studio, il cellulare della ragazza vibrò nella tasca dello zaino. Con un sussulto Nora lo prese tra le mani e imprecando mentalmente contro il tempismo perfetto di chi aveva scelto proprio quel momento per chiamarla, rispose. Si alzò un po’ troppo rumorosamente dalla sedia e incrociò gli occhi infastiditi degli altri studenti raccolti nella sala. Uscì dalla porta socchiusa e raggiunse il terrazzino riservato ai fumatori. Lì avrebbe potuto parlare tranquillamente.
Tommaso la raggiunse qualche momento dopo.
«Roberta, ciao» disse Nora, corrugando le sopracciglia per la sorpresa. Si trattava infatti della mamma di Elena. Tommaso gesticolò, chiedendo silenziosamente all’amica cosa volesse Roberta.
«Elena? No, non è con noi» rispose Nora alla domanda della donna.
«Non è venuta a casa per pranzo e non mi ha nemmeno scritto un messaggio per dirmi dov’è… e non risponde al telefono quando la chiamo per giunta!» spiegò Roberta con voce angosciata.
«Non saprei proprio» replicò Nora, «io e Tommaso siamo in biblioteca. L’avevamo chiamata per sapere se volesse venire con noi, ma non ha risposto nemmeno a noi».
«Davvero?» domandò Roberta, sempre più preoccupata, «io non so proprio dove potrebbe essere! Sai se dovesse vedere qualcuno oggi pomeriggio?».
«No» rispose Nora, anche lei improvvisamente preoccupata, «doveva andare in canonica per parlare con il don… non so altro».
Tommaso e Nora chiamarono tutti gli amici che avevano in comune con Elena per scoprire se loro sapessero che fine avesse fatto, ma nessuno di loro aveva una risposta. Quindi richiamarono Roberta e la donna, sull’orlo delle lacrime, disse che avrebbe aspettato ancora qualche ora e poi sarebbe andata dalla polizia per denunciarne la scomparsa.
I due amici, ormai incapaci di studiare, ripresero i loro zaini, recuperarono le biciclette e passarono il resto del pomeriggio vagando per il centro, scrutando le vie affollate in cerca di Elena.
 
I genitori di Elena si decisero ad andare dalla polizia due ore dopo aver chiamato Nora. Parcheggiarono di fronte alla centrale, due posti a destra rispetto a dove aveva parcheggiato la madre di Giulia qualche giorno prima, quando la giovane era stata convocata per essere interrogata.
Fecero la denuncia e poi furono anche chiamati nell’ufficio del capitano. Alla scrivania era seduto lo stesso membro del Consiglio che aveva interrogato Giulia, mentre la capitana era stata relegata in un angolo. Ormai anche le forze di polizia erano di proprietà del Consiglio, una misura necessaria vista la particolare situazione in cui versava la città, “infettata” dalla presenza dei Vampiri, come aveva detto il sindaco durante una riunione con le forze armate.
L’uomo si fece spiegare bene tutta la faccenda e Roberta, con voce rotta dal pianto, raccontò la giornata che Elena doveva aver avuto, fino all’uscita da scuola, momento oltre il quale nessuno sapeva dove fosse finita.
Congedati i genitori, l’uomo si voltò verso la capitana, scuro in volto. Lei pareva altrettanto preoccupata.
«Chiama il Consiglio» le disse l’uomo con voce roca.
 
Erano quasi le sei di sera quando Tommaso e Nora furono chiamati dalla centrale di polizia. Il Consiglio, indagando sulla vita di Elena, aveva scoperto la sua amicizia con i due e voleva interrogarli per conoscere meglio il carattere della ragazza, le sue abitudini fuori di casa e altre cose.
I due amici parcheggiarono la bici dove l’avevano lasciata prima di andare in biblioteca e si avviarono a piedi fino alla centrale, non lontano da lì.
Furono portati direttamente nell’ufficio del capitano e sedettero di fronte al membro del Consiglio. Nella stanza, oltre a lui e alla capitana, c’erano altri due poliziotti, appostati dietro le sedie di Tommaso e Nora, ai lati della porta.
«Allora, quando è stata l’ultima volta che avete visto Elena?» domandò con voce asciutta l’uomo.
I due ragazzi attaccarono a spiegare la loro mattinata di scuola, fino al momento in cui avevano salutato Elena ai cancelli dell’istituto.
Non seppero rispondere alle ulteriori domande del membro del Consiglio, troppo dettagliate.
Alla fine, i consiglieri erano spazientiti e Nora e Tommaso, mortificati.
Ad un tratto, la capitana emerse dall’ombra, fremente di nervosismo, ed esclamò, rivolta a Tommaso: «adesso basta con le chiacchiere! Sappiamo cosa sei, ragazzo».
Tommaso trasalì e non rispose.
«Tua madre è la capo congrega della città» aggiunse il membro del Consiglio seduto di fronte a loro, «tu devi sapere qualcosa in più di queste sciocchezze sulla vostra vita scolastica».
Tommaso negò e la capitana lo attaccò di nuovo: «andiamo al sodo, c’entrano i Vampiri?».
Fu Nora a trasalire, questa volta, ma Tommaso le gettò uno sguardo di avvertimento. Voleva essere lui a parlare. Se avessero scoperto che Nora era un Vampiro, chissà cosa le avrebbero fatto.
Lei nascose le mani sotto le gambe per impedire che qualcuno potesse notare il suo anello e insospettirsi.
«Non lo so» rispose Tommaso esasperato.
«Stiamo controllando Elia e sappiamo che si apposta ogni giorno fuori da scuola».
«Be’ non c’entra con Elena. Noi non abbiamo mai parlato con Elia».
«E allora perché viene a scuola ogni santo giorno?» urlò il consigliere.
«Non lo so!» gridò Tommaso di rimando.
«Cerca nuove reclute?» insistette la capitana.
Tommaso non rispose.
 
La stanza buia odorava di polvere, un’unica flebile luce, proveniente da uno spiffero tra le tende tirate di pesante velluto, illuminava un tratto del pavimento in legno antico, polveroso e ammaccato in più punti.
Elena alzò la testa e stiracchiò come meglio poteva il collo dolorante. Spalancò gli occhi più che poteva, nel vano tentativo di vedere nel buio ed ebbe la strana sensazione di essere in una stanza del tutto vuota, ad accezione della sedia a cui era legata.
Le mani erano strette dietro lo schienale, i polsi legati con una corda. Anche le caviglie erano legate una all’altra, di modo che la ragazza non potesse muoversi. Un bavaglio le chiudeva la bocca.
Saggia precauzione, pensò amaramente Elena, che in quanto a urlare era una campionessa.
D’un tratto l’oscurità fu sostituita dalla luce prepotente del sole che entrava dalla finestra. Qualcuno aveva aperto di scatto le tende e ora Elena era immersa nella luce, gli occhi socchiusi, le retine doloranti.
Quando i suoi occhi si abituarono alla luce, Elena mise a fuoco davanti a lei la presenza di Elia.
Ripercorse con la mente gli eventi di quel pomeriggio e ricordò come lui l’avesse costretta a salire in macchina, la sua voce suadente mentre la comandava e il suo spirito di sottomissione nell’obbedirgli. Nel SUV erano in quattro, tutti vestiti di nero: due erano seduti davanti, uno dietro, poi c’era Elia. Lui l’aveva fatta sedere dietro, nel mezzo e, dopo essersi scostato la manica della giacca elegante, aveva affondato i canini nel polso lasciando il sangue libero di sgorgare.
L’altro ceffo l’aveva tenuta stretta e ferma mentre Elia avvicinava alla sua bocca il sangue zampillante del suo polso, costringendola a berlo.
A nulla erano servite le proteste di Elena e le sue urla disperate. L’auto aveva continuato per la sua strada, gli uomini erano rimasti impassibili e silenziosi per tutto il viaggio e l’unico a parlare era stato Elia, con la sua voce calma e quasi rassicurante. Ma Elena non si era lasciata convincere da lui e aveva continuato a urlare anche dopo, quando il sangue del Vampiro era ormai in circolo dentro di lei. Alla fine era crollata, sfinita dal tanto agitarsi, ed era svenuta.
«Chissà se adesso avremo la possibilità di parlare come due persone civili, finalmente» esordì Elia, ancora profondamente stupito dalla tenacia di Elena nel resistergli, nella sua testa ancora vivo il ricordo delle sue urla perforanti.
Elia si appoggiò serenamente al davanzale della finestra e pareva un modello in posa per una foto, metà nella luce e metà nell’ombra, i capelli dorati che rilucevano al sole, una mano mollemente riposta nelle tasche dei pantaloni eleganti.
Elena si chiese se indossasse mai abiti normali e soprattutto, si chiese come si potesse essere così belli. Un tale fascino avrebbe dovuto essere considerato un reato.
Dopo aver scrutato il giardino di fuori per qualche istante, Elia tornò a rivolgersi ad Elena.
«Allora, Elena» disse, assaporando il gusto del suo nome sulle sue labbra, «sei amica di Nora, non è vero?».
Elena non avrebbe potuto rispondere, anche se avrebbe voluto. Era imbavagliata troppo stretta anche solo per gemere.
«Come ti batte forte il cuore, ragazza!» esclamò Elia e d’un tratto parve molto più vecchio di come sembrava solitamente.
«Certo, che sei amica di Nora» si rispose Elia dopo un po’, staccandosi dalla finestra e facendosi più vicino ad Elena. Il suo cuore prese a palpitare ancora più forte, mentre si chiedeva come potesse sapere quelle cose su di lei e soprattutto, come potesse sentire il battito accelerato nel suo petto.
«Strano però… è tua amica ma non ti ha parlato di quello che le è accaduto proprio alla festa che tu hai organizzato, Elena». Ora Elia camminava avanti e indietro davanti a lei, l’atteggiamento teatralmente pensieroso, il volto corrucciato nella concentrazione.
«Strano» aggiunse dopo essersi fermato proprio di fronte a lei, «che amica poco fidata che hai».
Elena mugugnò dietro al bavaglio, una lacrima lucida le oscurò per un attimo la vista prima che lei sbattesse le palpebre per scacciarla.
Elia si curvò fino ad avere la faccia alla sua altezza e con un movimento agile e veloce le slacciò il bavaglio dalla bocca. Elena assaporò per un momento il sollievo di poter respirare di nuovo normalmente, poi guardò Elia negli occhi e con voce perentoria esclamò:
«Cosa ne sai tu di Nora e della festa? Non eri invitato».
«Ah, ne so molto più di quanto credi, cara Elena» rispose Elia, sempre accucciato a terra, un sorriso accattivante disegnato sulle labbra. Si mise a braccia conserte e, piegando il braccio, lasciò scoperti per un attimo i polsi. Elena poté vedere la pelle liscia del polso che quel pomeriggio Elia si era morso, la ferita zampillante di sangue ora era dimenticata, come se non fosse mai successo nulla.
«Cosa vuoi dire?» insistette Elena, incapace, nella sua avversione, di trattenere la curiosità.
«Potrei mostrartelo, sei vuoi» suggerì Elia, guardandola con uno sguardo rovente che mozzò il respiro di Elena.
Poi, con uno scatto a velocità vampiro, Elia si posizionò dietro la ragazza e, messe le mani intorno al suo collo, lo spezzò con un sonoro crac.
Il corpo senza vita di Elena ricadde sulla sedia, sorretto solamente dalle corde, ancora legate ai polsi e alle caviglie della giovane. Elia assaporò per un attimo la soddisfazione per il suo operato, poi fece chiamare uno dei suoi scagnozzi perché si occupasse del cadavere.
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


"Si tratta della vita. Si tratta di assai di più: dell'onore!"
Schiller

 
12
 
Durante la riunione del Consiglio era stato deciso di organizzare una battuta di caccia che coinvolgesse non soltanto i Cacciatori, ma anche i Licantropi. Fu così che, a tre giorni dalla scomparsa di Elena, le forze armate soprannaturali della città si mobilitarono.
Era una notte placida di inizio ottobre, le nuvole coprivano parzialmente il cielo stellato e la luna non era che uno spicchio luminescente.
Una decina di vetture, tra auto, jeep e furgoni, si incontrò nel parcheggio dietro la chiesa del paese, a pochi metri dalla villa dove il Consiglio aveva instaurato la sua sede principale.
Erano quasi le due di mattina.
Il prete non uscì dalla canonica ma osservò la scena da dietro la finestra della sua stanza dopo aver scostato un lembo della tenda, con un’espressione severa e soddisfatta al tempo stesso.
Ci fu un rapido consulto fra Mirko, padre di Vittoria, e gli altri Cacciatori e poi tutti sgommarono via, diretti verso i boschi, i petti corazzati e i giubbotti imbottiti di armi e proiettili alla Verbena.
I Licantropi erano già sul posto dove sarebbe cominciata la battuta, in una radura tra il folto del bosco, poco lontano da uno dei centri abitati sul Montello dove il Consiglio sapeva di avere buone probabilità di trovare Elia, dato che la sua antica dimora era proprio lì.
Si fiancheggiarono, Licantropi e Cacciatori, per natura opposti ma ora uniti nella necessità, e la battuta cominciò. Cercando tra le vie buie del paese, frugando tra i boschi, spiando nelle case, scovarono Vampiri privi di anello solare vagare qua e là in cerca di umani da mordere. Erano vere e proprie creature della notte perché Elia, pur avendoli accolti nel clan, non li aveva dotati dell’anello solare, l’unico elemento che avrebbe loro permesso di continuare a vivere una vita più o meno normale, nascosti tra gli umani. E così erano costretti a rimanere nell’ombra durante il giorno e ad essere liberi solamente di notte.
Iniziarono i primi combattimenti; Vampiri colpivano e venivano colpiti, Cacciatori sparavano senza riserve i loro colpi, Licantropi ringhiavano e ululavano nella notte attaccando i Vampiri e spesso subendo i loro contrattacchi.
Morirono in tutto sei Vampiri, mentre alcuni Cacciatori furono feriti. I corpi dei Vampiri furono caricati nel cofano del furgone di Mirko, il capo della spedizione, e così come erano apparsi, i Cacciatori scomparirono e lo stesso accadde per i Licantropi.
 
Giulia si svegliò di soprassalto e boccheggiò nell’oscurità della sua camera, armeggiando con l’interruttore della lampada sopra il comodino. Quando finalmente riuscì ad accendere la luce, il respiro si era fatto più regolare e il cuore pian piano tornava a pulsare a una velocità normale.
Scostò le coperte e scese dal letto, poi abbassò lentamente la maniglia della porta e uscì dalla sua camera. La casa era buia e silenziosa. I suoi genitori dormivano, suo fratello anche.
Attraversò il corridoio e raggiunse la sala da pranzo. Pur essendo totalmente al buio, Giulia sapeva come muoversi in casa sua. Prese le chiavi dal portachiavi sul muro e aprì il portone.
Fu così che si trovò fuori, nella notte fredda, scalza e solo con una camicia da notte indosso. Camminò cautamente fino al cancello, lo superò agilmente e si incamminò per la via deserta, bordata di case in stile Anni Sessanta, raggiungendo silenziosamente la via principale.
Tentennò un momento, guardandosi attorno. Incamminandosi verso sinistra avrebbe raggiunto il cimitero, andando a destra, il centro del paese.
Procedette verso destra, incurante dei sassolini dell’asfalto che si conficcavano dolorosamente nella pianta del piede e raggiunse, quasi senza essersene resa conto, il piazzale dietro la chiesa. Si arrestò a pochi passi da dove Elia aveva parcheggiato il suo SUV il giorno in cui aveva rapito Elena, nel posto esatto in cui, poche ore prima, Mirko e gli altri Cacciatori si erano ritrovati per cominciare la loro caccia.
Giulia prese fiato e urlò a squarciagola, come già aveva fatto altre volte in precedenza. Urlò e urlò fin quasi a svenire e il suo grido avrebbe potuto quasi perforare i timpani dell’universo.
 
Mirko e Monia, i genitori di Vittoria, procedevano spediti per lo Stradone del Bosco quando sentirono il grido assordante di Giulia. Mirko quasi uscì di strada per lo stupore. Dopo essersi scambiato uno sguardo eloquente con la moglie, virò tragitto e, con un’accelerata, raggiunse in breve tempo il parcheggio dietro la chiesa.
I due coniugi guardarono stupiti Giulia, riconoscendola subito dopo tutte le volte in cui Vittoria l’aveva invitata a casa loro per pranzo, e rimasero a bocca aperta di fronte alla raccapricciante scena di cui erano testimoni.
Giulia, dolorosamente a piedi nudi sui sassi del piazzale sterrato, la camicia da notte bianca lunga fino alle ginocchia, i lunghi capelli ondulati, sciolti e scompigliati ai lati del volto, che arrivavano fino alla vita della ragazza. Smise di urlare quando Mirko frenò e spense il motore del suo furgone.
Monia rimase in macchina, mentre Mirko aprì la portiera e scese, andando incontro a Giulia.
La ragazza pareva scossa e sull’orlo delle lacrime. Mirko le fece qualche domanda, ma lei non rispose e non diede nemmeno segno di averlo riconosciuto. Si lasciò condurre nella vettura e montò sul sedile posteriore, sul posto che di solito era proprio di Vittoria.
Dopo un breve e sbigottito dialogo, Mirko e Monia decisero di riportare Giulia a casa sua. La scaricarono di fronte al cancello e aspettarono finché la ragazza non fu entrata in casa prima di ripartire.
Giulia non aveva avuto modo di vederli, ma aveva percepito i corpi rinsecchiti e grigi dei Vampiri morti nel cofano del furgone.
 
La mattina dopo, a scuola, tutto sembrava perfettamente normale, non fosse stato per il fatto che ormai la notizia della scomparsa di Elena si era diffusa a macchia d’olio. Per i corridoi non si parlava d’altro e Tommaso e Nora erano al centro dell’attenzione di studenti e professori, dato che tutti sapevano della profonda amicizia che li legava a Elena.
Rebecca era riunita con le sue amiche al solito posto, sul cortile a lato dell’entrata a scuola, e squadrò dall’alto in basso Tommaso e Nora percorrere il cortile verso l’entrata a scuola, entrambi desiderosi di arrivare in classe e barricarvisi dentro.
Con Rebecca c’erano anche Giulia, Vittoria, Rachele e altre ragazze. Giulia pareva sempre tranquilla, anche se delle profonde occhiaie le solcavano la pelle sotto gli occhi, uniche testimoni della sua recente scorribanda nella notte; Vittoria sembrava scossa ed era di poche parole: la notte precedente, infatti, aveva sentito i suoi genitori partire con il furgone e arrivare qualche ora dopo. Durante la loro assenza era tornata ad esaminare l’arsenale, scoprendo proiettili di tutti i tipi, identificati da piccoli disegni intagliati sugli astucci di legno e cuoio che li contenevano.
Suo padre poi, era ripartito con il furgone, mentre Monia si era coricata. Vittoria si chiedeva dove fosse andato suo padre e cosa significasse tutto quello che stava accadendo.
Rachele era serena. La scorsa notte non aveva partecipato alla battuta di caccia; Kevin aveva scelto solo i Licantropi più forti tra cui non rientravano nessun membro della sua famiglia, così aveva dormito un sonno più o meno tranquillo, privo da preoccupazioni sull’incolumità dei suoi cari.
 
Durante il cambio dell’ora Tommaso e Nora si appartarono ad un angolo della classe e il ragazzo spiegò all’amica quanto aveva dedotto.
«Ieri pomeriggio ho pensato a tutto quello che sta succedendo…».
«Anche io!» mugolò Nora, passandosi una mano tra i capelli e sbuffando, frustrata.
«Ecco, io credo che sia stato Elia».
Nora tacque per un momento, presa dai pensieri.
«Quindi, indirettamente, mi stai dicendo che è colpa mia» esclamò, incrociando le braccia sul petto.
«Perché?».
«Perché io ho rifiutato di entrare nel clan di Elia e quindi lui ha reclutato Elena!».
«Avrebbe comunque reclutato qualcun altro» ribatté Tommaso, alzando gli occhi al cielo.
«Ma forse non Elena!» insistette Nora, caparbia.
«Ormai quel che è fatto, è fatto» disse Tommaso, troncando la discussione, «comunque, ho un’idea».
 
Durante il secondo cambio dell’ora, Tommaso e Nora si barricarono nel bagno dei maschi. Nora aveva con sé un elastico per i capelli che Elena le aveva prestato tempo prima e che non le aveva mai restituito. Tommaso preparò tutto l’occorrente per l’incantesimo di localizzazione mentre Nora, con l’ausilio dei suoi sensi da Vampiro, controllava che nessuno fosse nei paraggi.
L’incantesimo non servì a nulla.
Frustrato, Tommaso ripeté la formula che aveva da poco imparato, ma di nuovo non ottenne nulla ed Elena rimaneva dunque un grande punto di domanda a cui non sapevano trovare una risposta.
Fu così che durante la ricreazione agirono. Raggiunsero a passo sostenuto il cortile della scuola e individuarono immediatamente Rebecca, attorniata come al solito da Vittoria, Rachele e Giulia.
Tommaso si scrocchiò le nocche in un gesto eloquente e Nora piegò il collo a destra e a sinistra un paio di volte mentre camminavano verso la Vampira. Rebecca li aveva già notati tra la folla.
«Levatevi di torno!» sbottò Tommaso a un gruppo di primini che gli occludevano la vista di Rebecca, appoggiata mollemente alla rete di confine in fondo al cortile.
Finalmente Rebecca fu davanti a loro.
«Tu!» l’apostrofo Nora, puntandole un dito contro, «eccoti qua, traditrice».
Rebecca li fissò senza parlare, interdetta.
«Loro lo sanno?» le chiese Tommaso, fissando Rebecca intensamente negli occhi. Non aveva specificato, ma sapeva che Rebecca avrebbe capito. Non potevano di certo mettersi a sfoderare zanne e incantesimi di fronte a Giulia, Vittoria e Rachele, se queste non avevano idea di cosa loro fossero diventati.
«Ti stupiresti, Tommaso, di quello che sanno» ribatté Rebecca, accettando la sfida.
Quel commento non piacque a Tommaso, ma egli si mise ugualmente in posizione di attacco.
«L’altra volta ti ho rotto i polsi, questa volta intendo staccarti le braccia, stronza!» esclamò Nora prendendo la rincorsa. In un attimo raggiunse Rebecca a velocità vampiro e le saltò addosso, buttandola a terra.
«Due contro uno? Molto poco sportivo da parte vostra» disse Rachele. Puntò gli occhi su Tommaso e ringhiò. Tommaso rimase un secondo di troppo immobile per la sorpresa.
«E tu che cazzo sei?» gemette, prima di cadere a terra sotto il peso di Rachele.
«Un Licantropo» rispose lei con voce suadente.
«Motus!» urlò Tommaso di rimando e mandò Rachele a sbattere contro la rete di confine a pochi metri da loro.
Vittoria e Giulia fissavano la scena in disparte, entrambe a bocca aperta. Uno scontro tra Vampiri, Licantropi e Stregoni non era qualcosa che si vede ogni giorno.
Nel frattempo, Nora aveva assestato con successo un paio di pugni nel ventre di Rebecca, che di rimando le aveva infilato un dito nell’occhio. Ora erano entrambe piegate a terra, aspettando di guarire, una dalle costole rotte, l’altra dall’occhio cieco. Quando si ripresero, ricominciarono a combattere.
«Dove cazzo è Elena?» domandò Nora a Rebecca un attimo prima di tirarle un calcio sugli stinchi.
«E io come faccio a saperlo?!» urlò Rebecca di rimando, tirando una gomitata sulle costole ad Nora.
«Non far finta di non sapere che Elia l’ha rapita» soggiunse Tommaso, puntando la mano contro Rebecca e mormorando un incantesimo. Questa si piegò a terra, gemendo di dolore, mentre il dolore le trafiggeva la testa.
Rachele, però, sopraggiunse in difesa dell’amica e con un ringhio animalesco si buttò su Tommaso e lo prese a pugni in faccia. Interrotto il contatto visivo, l’incantesimo di Tommaso si fermò e Rebecca poté rialzarsi. Nora nel frattempo si era buttata su Rachele per proteggere Tommaso e, dopo averla presa per le spalle, con un grido l’aveva alzata di peso da lui e l’aveva buttata di nuovo lontano. Giulia e Vittoria accorsero per aiutarla a rialzarsi, mentre Rebecca si buttò su Tommaso e gli immobilizzò le braccia.
«Io non so dove sia» disse, fissando il ragazzo negli occhi.
«Bugiarda!» l’accusò Nora, buttandosi sopra di lei. Tommaso reggeva il peso di entrambe.
La loro lotta fu interrotta dall’arrivo di due professori. Furono portati dal preside tra gli sguardi increduli e forse anche un po’ ammirati di tutti gli altri studenti.
«Sono sorpreso e molto amareggiato dal vostro comportamento» disse il preside, camminando su e giù per l’ufficio e gettando di tanto in tanto qualche sguardo pensieroso agli studenti allineati di fronte a lui.
«Non vi chiedo di essere amici, ma almeno di rispettarvi!» esclamò, esasperato.
Nessuno disse nulla e così il preside chiese: «perché lo avete fatto?».
Di nuovo, nessuno rispose.
«Si tratta di Elena?» indovinò il preside con incredibile perspicacia, guardando Tommaso e Nora «siete disperati per la sua perdita?».
«Quale perdita, scusi? Non è mica morta!» ribatté Nora, fissandolo torva.
Il preside la guardò con uno sguardo rammaricato, come se ne sapesse molto più di loro, ma sia Nora che Tommaso erano certo che lui non sapesse proprio niente.
«Dovrò scrivere alle vostre famiglie per informarli della vostra deplorevole condotta. Per il resto, cercate di andare d’accordo».
Con gesto della mano li congedò e Tommaso, Nora, Rebecca, Giulia, Rachele e Vittoria uscirono dall’ufficio del preside senza degnarsi di uno sguardo e prendendo ciascuno una strada diversa.
 
Quello stesso pomeriggio Rebecca si recò da Elia. Raggiunti gli imponenti cancelli della sua villa, suonò il campanello, si annunciò al citofono e aspettò che le dessero il via libera per passare.
Percorse a passo spedito il lungo viale immerso nel verde che conduceva alla villa e quando arrivò all’entrata, un paio di cameriere le vennero incontro, servizievoli come sempre.
Le porsero un calice di sangue e le domandarono cosa desiderasse.
«Voglio vedere Elia» rispose lei senza riuscire a nascondere una certa impazienza.
«Il padrone non è in casa» disse una delle due cameriere.
Quel giorno, lui non era nemmeno andato a prenderla a scuola. Rebecca si chiese con lieve apprensione dove fosse finito.
«Quando tornerà?» domandò.
«Forse tra un’ora. Non più tardi».
La fecero accomodare nel salotto d’entrata, riccamente arredato. Il silenzio nella casa era totale e sebbene fosse piena di servitori, nessuno di essi era nei paraggi. Ben presto, Rebecca si stancò di aspettare e girovagò per la casa in cerca di qualcuno o qualcosa per passare il tempo.
Doveva sapere. Se Elia aveva davvero preso Elena senza dirle niente si sarebbe arrabbiata parecchio.
Un mugolio lontano catturò la sua attenzione e procedette tra i corridoi della casa fino alle stanze libere e quasi tutte vuote che nessuno usava mai.
Era lì, qualcosa era proprio lì.
Aprì la porta che aveva davanti e quando fu entrata nella stanza, il mobilio ridottissimo e un unico grande letto a baldacchino al centro, rimase a bocca aperta: Elena era lì di fronte a lei, rannicchiata sul letto polveroso, mani e piedi legati e un bavaglio sulla bocca.
Tommaso e Nora avevano ragione, dunque.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


"Aveva una maniera di parlare che gli serviva
più per nascondere che per chiarire."
Gabriel Garcia Marquez


 
"Three things can not be hidden:
the Sun, the Moon, the Truth"
Buddha

13
 
Tommaso fu bloccato da sua madre in cucina, due giorni dopo il litigio avuto a scuola con Rebecca e le altre.
Maura era pallida in volto e fissava il figlio con delusione e rabbia.
«Ho ricevuto una strana e-mail dal preside…» cominciò a dire, muovendosi per la cucina con crescente nervosismo. Tommaso deglutì sonoramente, prevedendo la sfuriata di sua madre, e si aggrappò un po’ più forte con le mani allo schienale della sedia dietro la quale stava ritto in piedi.
«…dice che sei stato sorpreso a picchiare un paio di ragazze sul cortile della scuola».
Maura fissò Tommaso stringendo severamente le labbra, in attesa di spiegazioni.
«Non è come pensi, posso spiegare» mormorò Tommaso, incapace di guardare sua madre negli occhi.
«Allora spiega!» sbottò Maura, senza riuscire a trattenere la rabbia.
«Dunque, io e Nora abbiamo dedotto che sia stato Elia a rapire Elena e abbiamo fatto un incantesimo di localizzazione per trovarla…».
«A scuola?!» lo interruppe Maura, le narici frementi, «ma sei impazzito!? E se qualcuno vi avesse visto? E poi, credi davvero che con un inutile incantesimo di localizzazione l’avreste trovata?».
«Abbiamo provato» mugolò Tommaso, passandosi una mano tra i ricci.
Maura tacque e Tommaso continuò il racconto.
«Eravamo arrabbiati… abbiamo pensato che Rebecca sapesse dove fosse Elena, così in ricreazione siamo andati da lei».
«E chi era l’altra ragazza che hai picchiato?».
«Io non ho picchiato nessuno! Ho fatto qualche incantesimo e basta! Casomai sono state Rachele e Rebecca ad attaccarmi» protestò Tommaso, indicandosi col dito i lividi neri che aveva sul volto.
«Hai fatto incantesimi nel cortile della scuola!?» ululò Maura, incredula e arrabbiatissima.
«Dovevo pur aiutare Nora!» si difese Tommaso.
«Vi hanno visti? E cosa ti ha detto Rebecca?».
«Non ci hanno visti» disse Tommaso, «e Rebecca ha detto di non saperne niente».
«Un attimo…» disse Maura, alzando il dito verso il figlio, pensierosa, «Rachele è intervenuta con Rebecca?».
«Sì» confermò Tommaso, «lei è un Licantropo».
Maura non aggiunse nient’altro.
 
«Quindi l’hai rapita tu!» urlò Rebecca, puntando il dito accusatorio verso Elia.
Erano sotto il salice piangente del parco della villa di Elia e Rebecca stava sfogando la sua rabbia incredula verso il Vampiro. Elia taceva e subiva i rimbrotti di Rebecca, una vena quasi divertita nel suo sguardo grigio.
«Io non posso crederci! Mi sono fatta rompere tre costole da quella stronza di Nora per poi scoprire che aveva ragione!?».
«Tre costole rotte?» disse Elia senza rivolgersi a nessuno in particolare e passandosi una mano sul mento, pensieroso.
«Hai sentito cosa ti ho detto?» sbraitò Rebecca.
«Rebecca, io ho bisogno di seguaci. Più ne trasformo e più il mio clan diventa potente» spiegò Elia con voce esasperata.
«Ma potevi dirmelo!».
«Ho perso sei Vampiri per colpa della battuta di caccia del Consiglio, ho cose più importanti da fare che metterti al corrente di tutte le mie mosse» esclamò Elia seccato, troncando definitivamente le lamentele di Rebecca.
«E adesso cosa farai con lei?».
«Devo educarla» rispose subito il Vampiro, «sarà un Vampiro eccezionale una volta che le avrò insegnato come comportarsi».
Rebecca non disse niente, ma in cuor suo nutriva parecchi dubbi.
Elena si aggirava per la casa come se fosse impazzita ed Elia aveva predisposto che due cameriere la seguissero a vista, di giorno e di notte. No, Rebecca non credeva che Elena sarebbe diventata un buon Vampiro.
 
Tommaso e Nora scoprirono dove abitava Elia qualche giorno dopo e, a quasi due settimane dalla scomparsa di Elena, idearono il piano per salvarla.
Si ritrovarono sullo Stradone del Bosco, alla stessa panchina dove mesi prima Rebecca aveva incontrato Elia per la prima volta, e Tommaso mise in pratica gli insegnamenti di sua madre, aprendo un portale.
Attraverso il portale raggiunsero Mercato Vecchio, il paese dove si trovava la villa di Elia e dove, settimane prima, i Cacciatori avevano ucciso sei Vampiri del suo clan.
 
Nel frattempo, il Consiglio stava interrogando alcuni Vampiri catturati durante un’incursione notturna. La stanza buia dove si tenevano gli interrogatori si trovava al secondo piano della villa sede del Consiglio, ed era piccola e maleodorante. Puzzava di muffa e di chiuso; infatti, non aveva finestre.
I quattro Vampiri catturati sedevano sulle proprie sedie, incatenati e sedati con della Verbena. Due Cacciatori sorvegliavano l’unica porta di accesso, mentre altri due Cacciatori più un poliziotto si occupavano dell’interrogatorio. Volevano estorcere loro delle informazioni su Elia, delle prove o qualsiasi cosa di irregolare che avrebbe dato alla polizia e al Consiglio il giusto pretesto per richiedere un mandato di perquisizione della villa del magnate Vampiro.
Se Elena era tenuta nella casa, perquisendola sarebbero riusciti a trovarla.
Ma i quattro Vampiri erano irremovibili. Né minacce né torture servirono e alla fine i consiglieri decisero di richiedere l’aiuto di Maura, sebbene sapessero che ciò avrebbe comportato un prezzo da pagare. Le Streghe non facevano favori senza richiedere un pagamento, tanto meno l’avrebbe fatto una capo congrega.
Maura si fece attendere quasi un’ora prima di arrivare, con tutta la calma e la freddezza del mondo. Prima di agire, però, chiarì con i consiglieri i termini del suo “servizio”, per così dire.
«Sapete bene che il mio aiuto ha un prezzo» disse, gelida.
«Cosa vuoi, Maura?» ribatté altrettanto freddamente il capo dei Cacciatori, appostato fuori dalla stanza dove i quattro Vampiri venivano interrogati.
«Come se non lo sapessi» lo canzonò Maura, ridendo senza gioia, «lasciate che sia io a uccidere Elia e farò qualsiasi cosa mi chiederete di fare».
La sua richiesta piombò nel vuoto mentre il Cacciatore rifletteva –o meglio, fingeva di riflettere- alle possibilità.
«Il tempo non ha intaccato il tuo odio verso di lui, vedo».
«Il tempo smorza l’amore, ma l’odio non è incline a subire cambiamenti» ribatté Maura con una smorfia disgustata.
La fecero entrare nella stanza e con un incantesimo sciolse le lingue dei quattro Vampiri e il Consiglio ottenne il pretesto per un mandato di perquisizione. Maura fissò con soddisfazione i quattro Vampiri privi di sensi dopo tante torture e stava per dire “ecco fatto” quando un inaspettato colpo alla testa la mandò KO a terra.
«Mi dispiace, Maura, ma sarà il Consiglio a uccidere Elia» concluse il capo dei Cacciatori, guardando il corpo esangue di Maura accasciato a terra. Chiuse a chiave la stanza e Maura e i quattro Vampiri rimasero soli.
 
Tommaso e Nora arrivarono di corsa alla villa di Elia. Tommaso con un incantesimo fece esplodere i cancelli e i due giovani entrarono nel parco, nascondendosi tra gli alberi. Erano certi che Elia avrebbe sguinzagliato qualche robusto Vampiro perché li cercasse.
Raggiunsero invece quasi indisturbati il retro della villa, dove si trovavano la piscina e il campo da tennis.
«Maledetto riccone» bisbigliò Nora, incredula di fronte a tanto lusso.
La villa era silenziosa e buia, quasi come se dentro non ci fosse nessuno. Poi, in un attimo fugace, videro Elena che passeggiava all’interno della casa, seguita da due cameriere. Era scarmigliata e pallida e girovagava per le stanze della casa come se non avesse una meta.
Tommaso e Nora potevano vederla bene grazie alle immense vetrate senza tende, pur rimanendo nascosti dietro una coppia di cespugli perfettamente potati.
«Dobbiamo riuscire a entrare» soffiò Tommaso all’orecchio di Nora.
Prima che potessero agire, però, Elena si voltò inaspettatamente proprio verso di loro. Nora si arrischiò ad alzare le braccia sopra la testa per farsi notare e con sollievo vide Elena aprire la maniglia della vetrata e uscire in giardino. Le cameriere erano proprio dietro di lei.
Nora tornò a nascondersi dietro il cespuglio, temendo che potessero vederla. Delle urla però la costrinsero nuovamente allo scoperto e così vide Elena rompere il collo di una delle due, mentre l’altra inserviente era già a terra, morta.
«Ma è pazza!?» mugolò Tommaso, anch’egli alzatosi in piedi per vedere la scena.
Nora chiamò Elena dicendole di raggiungerli, ma Elena, dopo averli guardati per un istante, si mise a correre a velocità vampiro e nessuno la vide più.
«E’ scappata!?» strillò Tommaso, mettendosi le mani tra i capelli.
«Io penso di sì» disse Nora, «e se non ha l’anello solare?». Lei e Tommaso si scambiarono un’occhiata orripilata e scattarono quasi all’unisono, correndo verso la direzione che aveva preso Elena, incuranti del pericolo di essere scoperti.
Quel giorno era nuvoloso, ma cosa sarebbe successo se le nubi si fossero diradate e il sole fosse uscito allo scoperto? Se Elena non aveva un anello solare, sarebbe arsa viva senza che nessuno potesse salvarla.
Il Consiglio arrivò poco dopo con il mandato di perquisizione. Trovò i cancelli della villa sfondati ed entrò indisturbato nella proprietà di Elia. Il Vampiro li aspettava all’entrata, un sorriso che era quasi una smorfia di odio.
«Salve» li salutò, diplomatico come sempre.
«Abbiamo un mandato di perquisizione».
«Devo dedurre quindi che non siete stati voi a sfondare i costosissimi cancelli in ferro battuto della mia villa…» replicò Elia, leggendo con finto interesse il mandato che un Cacciatore gli aveva porto.
«Prego» disse. I consiglieri si fecero avanti e perquisirono la casa da cima a fondo.
Non trovarono i corpi morti delle due cameriere uccise da Elena; se ne erano già occupati alcuni Vampiri, senza però che Elia lo sapesse. Non avevano avuto il tempo di parlargli della fuga di Elena perché il Consiglio era arrivato proprio in quel momento.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


"Ecco cos'era la verità. Bellezza universale."
La signora Dalloway, V. Woolf


"Terreno sconvolto, dentro di noi e fuori di noi.
Tutti siamo a questo modo, non soltanto noi qui; ciò che fummo un tempo non conta,
quasi non lo sappiamo più."
Niente di nuovo sul Fronte Occidentale, E. M. Remarque


14
 
Quando suonò la campanella una fiumana di studenti vocianti defluì per i corridoi della scuola, dirigendosi verso le porte d’uscita. Giulia si attardò un momento, armeggiando con la cerniera dello zaino gonfio di libri che non si voleva chiudere.
Fu l’ultima a lasciare la classe; spense le luci e uscì nel corridoio semivuoto. Si guardò intorno in cerca di Vittoria o di Rachele, ma le ragazze erano probabilmente già andate a casa. Di Rebecca non si preoccupava più di tanto; usciva sempre di corsa da scuola senza guardare in faccia nessuno, il pensiero rivolto al suo bel Vampiro, quasi sempre appostato fuori dai cancelli dell’istituto con le mani affondate nelle tasche dei jeans. Quel giorno però lui non si era fatto vedere e Rebecca era ancora nel cortile della scuola ad aspettarlo, ben sapendo in cuor suo che non sarebbe venuto.
Elia aveva così tanto da fare e da pensare in quei giorni, da trascurare tutto e tutti, lei compresa. Giulia non l’aveva vista e procedette per la sua strada.
 
Uscì da sola dalla scuola, attraversò il cortile e raggiunse i cancelli. Si fece largo tra un gruppo di studenti che chiacchieravano animatamente, parlando degli esami e di alcuni test sostenuti quel giorno.
Giulia si incamminò verso casa e non si accorse dell’auto nera che la seguiva. Procedeva lentamente e aveva creato una lunga coda. Qualche autista spazientito aveva già cominciato a pigiare le dita sul clacson e a inveire contro quel SUV nero che andava così piano. Ma Giulia non si accorgeva di nulla, la testa presa da altri pensieri, lo sguardo rivolto verso il vuoto.
Si issò meglio lo zaino pesante sulle spalle e continuò a camminare mentre pescava dalla tasca della giacca un paio di cuffiette e le collegava al cellulare.
Fece partire la musica e si infilò velocemente le cuffie nelle orecchie. Fu colpa del volume alto della musica se si rese conto di ciò che stava accadendo solo quando ormai era troppo tardi.
L’auto nera si era fermata di colpo in mezzo alla strada, a pochi metri dalla rotonda. Giulia continuava a camminare, la lunga coda di cavallo che ondeggiava ad ogni suo passo, le labbra che si muovevano imitando le parole della canzone che stava ascoltando.
Un uomo sgusciò fuori dalla macchina, in un unico, lungo passo raggiunse la ragazza, strinse la sua mano possente sul suo braccio e la strattonò di nuovo verso la vettura.
Giulia avrebbe voluto reagire o anche solo proteggersi in qualche modo, ma la sorpresa le mozzò il respiro e le mancò così la capacità di urlare o fare qualsiasi altra cosa.
Qualcuno aprì il portellone posteriore e l’uomo che l’aveva presa la lanciò dentro l’auto senza troppi complimenti. Il forte strattone che lo sconosciuto le aveva dato fece scivolare le cuffie fuori dalle sue orecchie e quelle caddero a terra, trascinando anche il cellulare fuori dalla tasca della giacca. Giulia lo fissò impotente mentre cadeva sull’asfalto della strada e si rompeva irrimediabilmente. Un istante dopo qualcuno chiuse il portellone e la ragazza piombò nell’oscurità dell’auto dai finestrini oscurati.
Nessuno parlava e gli unici rumori erano il traffico di fuori e il respiro affannoso di Giulia. Senza che quasi se ne rendesse conto qualcuno le mise uno straccio in bocca, così che non potesse parlare o urlare, poi le infilarono un sacco di stoffa nera sulla testa e le legarono le mani.
Prima che la più totale oscurità piombasse su di lei, Giulia riuscì a indovinare che nell’auto erano in tre: l’autista, l’uomo che l’aveva afferrata e quello che ora era seduto affianco a lei.
 
Elena correva per il parco della villa di Elia, trovando riparo tra le fronde basse dei boschetti. Il parco le pareva così immenso e tranquillo da sembrare un’oasi di pace e si chiese distrattamente come sarebbe stato vivere lì per sempre. Uscì dal confine della villa, varcando i cancelli che Tommaso aveva fatto esplodere e che ancora fumavano, e raggiunse rapidamente il paese.
Nuvole grigie preannunciavano pioggia e un vento freddo sferzava le vie deserte di Mercato Vecchio. Elena camminava senza sapere dove andare o cosa fare, il fiato corto e la gola riarsa.
Avvertì un rumore di passi, non troppo lontano da dove lei si trovava e istintivamente corse dalla parte opposta, nascondendosi dietro un’auto parcheggiata in doppia fila.
Rabbrividì, ripensando al sonoro crac del collo rotto delle due cameriere e, chiudendo gli occhi, rivisse il momento in cui le aveva uccise.
Si sentiva confusa, abbandonata e sola. Dal giorno in cui era stata rapita da Elia, le pareva fosse passata un’eternità; già da giorni aveva smesso di sperare che qualcuno accorresse in suo aiuto.
D’altro canto, Elia era stato incredibilmente cordiale con lei, a dispetto delle maniere brute che aveva avuto all’inizio. Le aveva messo a disposizione una riserva illimitata di sangue e le due cameriere che la seguivano ovunque erano servizievoli e disponibili. Ogni giorno Elia parlava con lei, si preoccupava di come stesse, le insegnava come controllare il suo nuovo potere, che a lei  sembrava pressoché invincibile. Eppure non aveva ancora superato lo shock di essere diventata un Vampiro; lei che era una maniaca del controllo, improvvisamente si vedeva preda dei suoi istinti, senza la forza necessaria a reprimerli. L’idea di dover bere sangue per il resto dei suoi giorni –e il fatto che ciò equivalesse all’eternità non era proprio consolatorio- la sbigottiva. Oltretutto, i suoi sensi si erano sviluppati incredibilmente e riusciva a percepire cose che prima appartenevano solamente al mondo fantastico dei libri e delle serie tv.
Ma poi aveva visto Tommaso e Nora in fondo al giardino, nascosti dietro alcuni cespugli e aveva capito che erano lì per salvarla. Si era sentita colta in fallo, si era sentita per un attimo colpevole e un terrore cieco l’aveva assalita, prima di ricordare che i veri responsabili di tutto erano proprio loro due.
Tommaso era uno Stregone e Nora una Vampira e lei, Elena, non ne sapeva niente perché quelli che credeva fossero i suoi due migliori amici l’avevano tenuta all’oscuro di tutto. Adesso capiva molte cose che prima erano solamente un punto di domanda; perché Tommaso e Nora fossero diventati così strani ultimamente, perché aveva la sensazione che le mentissero e perché Tommaso insisteva a chiederle cosa fosse successo la notte della festa.
La trasformazione aveva annullato la Compulsione esercitata da Rebecca su di lei e adesso Elena sapeva cosa era successo quella notte. Ricordava nei minimi dettagli l’aggressione di Rebecca e l’intervento di Nora, accorsa in suo aiuto.
Avrebbe potuto perdonare a ciascuno di loro i propri errori? Ancora non lo sapeva. Fino a quel momento, l’unico che aveva dimostrato di preoccuparsi per lei era Elia.
 
Tommaso e Nora avevano raggiunto il paese di corsa. Erano quasi stati sorpresi dal Consiglio all’entrata della villa di Elia, ma erano riusciti a scappare, arrampicandosi sull’edera che aveva assalito il muro che circondava i possedimenti di Elia. Nora era atterrata con un balzo agile al di là del muro, Tommaso l’aveva imitata e ora correvano tra le vie di Mercato Vecchio urlando il nome di Elena a squarciagola.
Nora, spazientita, abbandonò Tommaso e partì a velocità vampiro, correndo per le vie del paese, i sensi amplificati tesi al massimo per percepire la presenza di Elena. Alla fine riuscì a sentirla, lì nascosta dietro l’automobile dove aveva trovato riparo, e la raggiunse.
«Elena» mormorò Nora, camminando lentamente verso di lei. Elena le rivolse uno sguardo indecifrabile e si ritrasse dall’amica come se fosse stata scottata.
Dunque adesso è un Vampiro come me, pensò Nora. Deglutì e si sedette sul marciapiede della strada, a un paio di metri da Elena, tentando di assorbire la novità. Si sentì tremendamente in colpa, pensò che avrebbe potuto fare molto di più e invece aveva lasciato che le cose facessero il loro corso ed era intervenuta troppo tardi. Adesso ormai ciò che era fatto, era fatto, e non avrebbero potuto tornare indietro. Le rimaneva il rimorso per non essere riuscita a intervenire tempestivamente per evitare all’amica un eterno futuro a caccia di sangue.
Elena imitò Nora, sedendosi sul marciapiede. Qualche minuto dopo le raggiunse anche Tommaso.
«Ehi, siete qui» le salutò, col fiatone, sedendosi accanto a Nora per riprendere fiato e guardando Elena senza riuscire a nascondere la sua apprensione per lei. Tutto sommato comunque, Tommaso non vedeva la trasformazione dell’amica come una cosa negativa. Loro tre insieme erano speciali e avrebbero vissuto moltissime avventure insieme, sperimentando il loro potere e accrescendolo. Non avrebbero mai più dovuto mentirsi a vicenda.
 
Maura si rialzò dal pavimento freddo e percorse uno sguardo indignato sulla stanza buia. I quattro Vampiri che erano stati torturati dal Consiglio erano ancora seduti e imbavagliati sulle sedie, privi di sensi.
In un attimo la Strega realizzò quanto era accaduto e la rabbia le montò in cuore, cieca e pura.
Il Consiglio aveva ottenuto i suoi servigi e aggirato il suo prezzo per essi e così lei aveva perso la dignità e la sua unica occasione di eliminare Elia per sempre.
Si rassettò gli abiti e riavviò i capelli poi, con un gesto quasi casuale delle mani, fece esplodere i cuori nei petti dei Vampiri, uccidendoli definitivamente. I loro corpi si afflosciarono sulle sedie e la pelle divenne presto grigia, come se fossero fatti di pietra.
Quello era solo l’inizio. Adesso avrebbe escogitato un nuovo piano, un piano che nessuno avrebbe potuto sabotare e avrebbe ottenuto ciò che la congrega da tempo voleva: ribaltare il potere cittadino, sciogliere il Consiglio e organizzare un nuovo governo di sole Streghe, libere di esercitare tutto il loro potere.
Uscì dalla stanza a passo spedito e lasciò la villa.
 
«Pronto, mamma?».
«Sì?» rispose Maura con voce stanca e un po’ scocciata per essere stata interrotta proprio nel bel mezzo delle sue pianificazioni.
«Io e Nora abbiamo trovato Elena» rivelò Tommaso con voce tremante. Spiegò a sua madre quanto era accaduto e Maura diede disposizioni perché Elena fosse sorvegliata e trattenuta, in modo da evitare che scappasse di nuovo.
«Arrivo subito» concluse, prima di riattaccare.
Il silenzio si dilatò fra i tre amici, prima che Nora, incapace di sostenere la tensione, parlasse.
«Allora, Elena, come stai?» le chiese a bruciapelo.
Elena la guardò, gli occhi lucidi come di pianto, e disse seccamente: «sono diventata un Vampiro e sono rimasta segregata in casa di un altro Vampiro assassino per due settimane. Oltre a questo ho scoperto un sacco di cose interessanti su di te, Tommaso e altre persone… ti pare una domanda da farmi, come sto?».
Nora boccheggiò, senza sapere cosa dire, ma Tommaso venne in suo aiuto e disse:
«Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per trovarti. E alla fine ti abbiamo trovata».
«Sai, Tommaso, Elia mi ha raccontato un bel po’ di cose su di te» ripeté Elena, ignorando quello che lui aveva detto e lanciandogli un’occhiata velenosa.
«Ci dispiace di non averti detto niente su di noi, ma il fatto è che anche noi abbiamo scoperto solo da poco quello che siamo diventati» disse Nora.
Elena fece un mezzo sorriso privo di gioia e scosse il capo, incredula.
Quando Maura arrivò, Nora le spiegò angosciosamente –a bassa voce perché non voleva che Elena le sentisse- che per Elena il rischio era molto alto, dato che non aveva un anello solare. Maura rispose sbrigativamente alla Vampira e, dopo aver caricato Elena sui sedili posteriori della sua auto, accanto a Nora e Tommaso, partirono tutti alla volta di casa sua.
Per prima cosa, Maura creò un anello solare per Elena, placando così i rimbrotti ansiosi di Nora, e poi ordinò a una delle Streghe della congrega di recuperare alcune sacche di sangue.
Non era passata nemmeno un’ora quando la Strega tornò con una borsetta di carta. Nora avvertì che dentro vi erano cinque sacche di sangue fresco, zero positivo, probabilmente trafugate dalla banca del sangue della città. La Strega le tirò fuori e le posizionò in fila ordinata sopra il tavolo della cucina; Nora le fissò con desiderio e piacevole sorpresa, rendendosi conto di aver indovinato tutto ciò che prima aveva solo supposto.
Maura ne stappò una e la porse con decisione a Elena, la quale fissò la sacca con sguardo incerto prima di prenderla tra le mani.
«Prendine una anche tu, mostrale come deve fare» ordinò Maura a Nora. La ragazza non se lo fece ripetere due volte e, stappata un’altra sacca di sangue, si portò il beccuccio alle labbra e bevve con avidità il sangue fresco. Elena la guardò per un momento con uno sguardo indecifrabile poi la imitò.
 
«Rebecca, dove sei?» ringhiò Elia, non appena Rebecca rispose al telefono.
«A casa» replicò lei incerta e spiazzata dal tono urgente del Vampiro.
«Vieni immediatamente qui, devo vederti» ordinò lui.
Solo un quarto d’ora dopo Rebecca era già all’entrata della villa. Si arrestò un momento, guardando con stupore i preziosi cancelli divelti e inutilizzabili. Non avrebbe mai potuto immaginare che era stato proprio Tommaso a compiere quello scempio, nel tentativo di salvare Elena.
Quando arrivò alla villa Elia passeggiava per il soggiorno con sguardo cupo. Rebecca poteva quasi scorgere gli ingranaggi del suo cervello in azione, tesi alla ricerca di una soluzione a un qualche problema.
«Ah, eccoti» la salutò lui, degnandola a mala pena di uno sguardo sbrigativo.
«Che cosa è successo?».
«Il Consiglio è entrato in casa mia per cercare non so cosa… nel frattempo Elena è riuscita a liberarsi e a scappare» spiegò Elia in tono amaro.
Rebecca gli andò incontro e gli posò una mano sulla spalla, sperando di riuscire a placarlo. Elia si arrestò e fissò Rebecca per un attimo interminabile prima di stringerla a sé. Rebecca lo abbracciò e rimasero così per un po’, allacciati l’uno all’altra.
«E tu che cosa devi dirmi?» chiese Elia, la voce un po’ più rilassata di prima. Rebecca ammirò ancora una volta la sua incredibile perspicacia e prima di rispondergli si chiese distrattamente se lui sapesse leggere il pensiero.
«Si tratta di Giulia… credo che il Consiglio l’abbia rapita oggi, fuori da scuola».
«Davvero? E perché?» chiese ancora Elia.
«Non lo so con certezza» ribatté Rebecca, esasperata, «sarei voluta intervenire per aiutarla ma…»
«No, hai fatto bene a restarne fuori» la interruppe Elia.
«Credo abbia a che fare col fatto che è stata lei a trovare tutti i corpi degli umani che i tuoi Vampiri hanno fatto fuori e che in tutte quelle occasioni, lei urlava come una pazza».
Elia e Rebecca si scambiarono una lunga occhiata, poi Elia concluse: «l’avranno di certo portata in Villa Pisani, la loro sede. La riporteremo a casa, vedrai».
Rebecca si sentì rassicurata da quelle parole e si protese verso Elia quando questi si abbassò su di lei, stampandole un tenero bacio sulle labbra.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


"Come è accaduto ad altri grandi uomini nelle avversità,
bisognerà che mi sforzi di adattarmi al mio destino."
Persuasione, Jane Austen


 
15

Erano ormai i primi di novembre. Elena viveva ora in casa di Tommaso; ai suoi genitori non era stato detto ancora nulla sul suo ritrovamento. D’altro canto, la ragazza era ancora fragile e del tutto incapace di apparire normale tra la gente.
Nora pensava che per alcuni fosse più facile e per altri più difficile. Lei era morta ed era tornata a vivere; essere un Vampiro la spaventava, ma riusciva a nasconderlo bene perfino a se stessa. Si comportava con normalità e quando aveva sete cercava di resistere il più possibile perché si sentiva in colpa ogni volta che chiedeva a Tommaso il suo polso.
Ma per Elena non era stato così; lei era una vera maniaca del controllo e Nora aveva capito che la nuova situazione, così fuori dalla sua razionale metodicità, la spaventava a morte. Prima o poi avrebbe accettato il cambiamento e sarebbe riuscita a schiarirsi le idee e ad applicare il controllo e le regole che le erano fondamentali. Fino a quel momento, Nora appoggiava il piano di Maura per lei: restare segregata in casa, nutrirsi nel momento del bisogno e comportarsi il più normalmente possibile.
 
Si era ora anche diffusa la notizia della sparizione di Giulia e tutti a scuola si convinsero che la colpa fosse di un maniaco seriale. Tutti meno Rebecca, Rachele e Vittoria, la quale si era fatta raccontare tutta la vicenda da Rebecca.
Il rapimento di Giulia fu la spinta di cui Vittoria necessitava. Quel pomeriggio di inizio novembre, uscita da scuola, salì in corriera e tornò a casa. Fu tutto normale fino a quando varcò la soglia di casa.
Sua madre notò subito l’espressione risoluta della figlia, la quale non la salutò nemmeno, passando oltre la cucina e dirigendosi verso la sua camera. Vittoria lasciò cadere a terra lo zaino di scuola e poi tornò in soggiorno e si sedette al tavolo della cucina, apparecchiato per il pranzo.
«E’ successo qualcosa di brutto a scuola?» le domandò Monia, guardandola con apprensione mentre le porgeva un piatto di pasta.
Vittoria la guardò per un momento, indecisa se quello fosse il momento giusto per parlare dell’arsenale scoperto in garage quasi un mese prima. Poi pensò a Giulia e a tutto quello che le avevano raccontato Rebecca e Rachele e si decise a parlare.
«No, niente di brutto a scuola» attaccò a dire, «ma volevo parlare con te e papà di un’altra cosa». Si interruppe per un momento, lasciando che sua madre assorbisse a poco a poco le sue parole. D’altro canto, Monia aveva già intuito dove sarebbe andato a parare il discorso di Vittoria, ma la sorpresa non le diede modo di troncarlo prima che fosse troppo tardi e la figlia ebbe tutto il tempo di preparare ciò che aveva da dire.
Monia avrebbe tanto voluto che Mirko fosse con lei in quel momento.
«Ho scoperto delle cose, mentre voi andavate in giro chissà dove con la macchina carica di armi di ogni genere alle due di mattina» riprese Vittoria con più forza, incoraggiata dall’espressione attonita di sua madre.
Il piatto di pasta era ancora fumante e intatto in mezzo a loro.
«Armi di ogni sorta; balestre, archi e frecce, proiettili e non so cos’altro… tutto rinchiuso nel nostro garage chissà da quanto tempo e né io né i miei fratelli ne sappiamo nulla».
«Hai parlato di questo ai tuoi fratelli?» domandò Monia a bruciapelo, temendo la risposta di Vittoria molto più delle sue accuse.
«Ovviamente no» ribatté seccamente Vittoria, «ma voglio una spiegazione».
«Vorrei che ne parlassimo insieme a tuo padre, Vittoria» rispose Monia a bassa voce.
Vittoria acconsentì alla richiesta di sua madre, mangiò il piatto di pasta ormai freddo e poi si ritirò in camera e lì rimase finché suo padre non fu tornato a casa dal lavoro. Quando lo sentì arrivare, Vittoria si rizzò in piedi e fece per uscire dalla camera, ma sentì sua madre bisbigliare qualche parola per lei incomprensibile. Aspettò un minuto e poi uscì, la stessa espressione risoluta in volto che aveva avuto quel pomeriggio, di ritorno da scuola.
«Quindi hai scoperto le armi in garage?» la interrogò suo padre una volta che furono tutti e tre riuniti in cucina; Vittoria da un lato del tavolo e i suoi genitori di fronte a lei dall’altro lato.
«Le armi, i proiettili… tutto quello che c’è» replicò Vittoria, incrociando le braccia sul petto in atteggiamento difensivo.
«E cosa hai pensato?» le chiese ancora Mirco.
«Che ho dei genitori pazzi furiosi? O che siete in mezzo a qualche setta o associazione segreta? Dimmelo tu, cosa dovrei pensare».
«Be’ non siamo né pazzi né facciamo parte di una setta» rispose Mirco, «noi siamo Cacciatori, Vittoria».
Quell’affermazione cadde nel silenzio.
Dopo un po’ che nessuno parlava, Vittoria disse: «Cacciatori? E di cosa?, cervi, faine, lepri?».
«Cacciatori del soprannaturale: Vampiri e Licantropi soprattutto».
Vittoria tacque, sbigottita. Sapeva cosa erano sia Rebecca che Rachele e immaginò i suoi genitori scorrazzare per i boschi alla ricerca di creature come loro. Significava che i Cacciatori erano nemici naturali di Vampiri e Licantropi? Eppure, lei e le altre andavano così d’accordo…
«E io?» domandò Vittoria con voce tremante. Forse lei non era destinata ad uccidere le sue amiche, forse lei non era una Cacciatrice dopotutto.
«Anche tu lo sei» rispose sua madre a bassa voce, spazzando qualsiasi speranza dalla mente di Vittoria.
«E perché non ne sapevo niente? E i miei fratelli?» esclamò.
«Io e tuo padre ti avremmo informata di tutto a tempo debito, e lo stesso per i tuoi fratelli… ma tu hai scoperto tutto da sola».
«Chissà perché non ti vedo molto sorpresa di sentir parlare di esseri soprannaturali» osservò Mirco, storcendo le labbra, pensieroso.
Vittoria ebbe un tuffo al cuore e per non rispondere a suo padre, fece una nuova domanda: «dunque mi avete fatto fare kick-boxing e tiro a segno perché sono una Cacciatrice?».
«Anche ginnastica artistica» aggiunse Mirco, il quale studiava sua figlia, sospettoso. Non capiva come potesse mostrarsi così calma al sentir parlare di Vampiri e altre creature. Fu in quel momento che nacque in lui il sospetto che Vittoria ne avesse già sentito parlare, o addirittura, che fosse a conoscenza di molte altre cose.
 
Maura si era data appuntamento con l’Alpha Kevin e ora passeggiava per la cucina in attesa di Tommaso, gettando occhiate nervose all’orologio affisso sul muro. Avrebbe aspettato il suo ritorno prima di andare via, in modo che Elena non rimanesse sola in casa. Dalla camera degli ospiti, dove era alloggiata la Vampira, non giungeva alcun rumore.
Finalmente Tommaso arrivò e, dopo uno sguardo di rimprovero, Maura si infilò il cappotto. Fece per uscire, ma poi ci ripensò, si voltò nuovamente verso la camera di Elena e, dopo aver bussato, disse: «io esco, c’è Tommaso con te». Aspettò che Elena rispondesse, ma lei non lo fece.
Uscì di casa, le chiome di ricci biondi scompigliate dal vento di novembre, ogni passo accompagnato dal ticchettio dei tacchi sul marciapiede.
Salì in macchina e partì alla volta dei boschi, verso il luogo dove Kevin aveva stabilito il loro incontro. L’idea di entrare nel territorio dei Licantropi non la intimidiva, sebbene sapesse che fosse stato proprio quello lo scopo di Kevin; ben presto raggiunse il limitare della foresta, parcheggiò la macchina e si addentrò, per nulla ostacolata dai tacchi alti, nel folto della vegetazione, dove la forza del vento era smorzata dalle chiome fitte degli alberi, la luce cupa e la temperatura ancora più bassa che in città.
Maura si strinse nel cappotto, rabbrividendo per il freddo. Si guardò intorno corrucciata, ma di Kevin non vi era nemmeno l’ombra e lei era perfettamente sola, tra i tronchi alti dei pini.
Aspettò a lungo, sempre più spazientita, finché un fruscio di foglie secche annunciò l’arrivo dell’Alpha. Kevin apparve, protetto dal gelido freddo di novembre solo da una giacchetta sottile, lo sguardo serio puntato sulla capo congrega delle Streghe.
«Maura» la salutò formale e circospetto al tempo stesso.
«Kevin» replicò Maura molto meno cortesemente, «ti ho aspettato un po’ troppo per i miei gusti».
Strinse severamente le labbra e fissò Kevin dritto negli occhi, aspettando che lui abbassasse lo sguardo. Kevin strinse gli occhi e volse lo sguardo verso la foresta che li circondava, senza sapere bene come rispondere.
«Veniamo al dunque, Alpha» lo facilitò Maura sbrigativamente, «ho offerto i miei servigi al Consiglio e, come ogni Strega degna del suo nome, ho richiesto un prezzo. Uccidere Elia. Una cosa semplice, scontata dopotutto… invece il Consiglio si è permesso di aggirare le mie consegne».
Le narici di Maura fremettero al ricordo di quanto era successo alla Villa, sede del Consiglio.
«Risparmiami i tuoi drammi personali, Strega» ribatté Kevin con un mezzo sorriso, incapace di rimanere serio di fronte all’orgoglio ferito della Strega più potente che avesse mai conosciuto.
«Be’ ho ideato un nuovo piano e sai cosa ti dico, Kevin?, questo è di gran lunga migliore del precedente». Maura fissò Kevin con sguardo fiero, gli occhi luccicanti di selvaggia gioia.
Spiegò quanto aveva in mente al Licantropo e subì senza battere ciglio i suoi rimbrotti dubbiosi e le sue espressioni scettiche.
«E quale sarebbe il vantaggio dei Licantropi in tutto questo?» chiese Kevin alla fine.
«Molto semplice. Quando tutto questo sarà finito, avrai l’Antidoto e sarai libero di farne ciò che vuoi».
Maura dubitava seriamente che il giorno in cui lei avrebbe ceduto ad un Alpha mediocre come Kevin il suo più grande e potente incantesimo, sarebbe mai arrivato. Tuttavia, fu convincente. Kevin annuì, soddisfatto e pensieroso al tempo stesso.
In tutto questo, lui avrebbe dovuto incastrare il piano dei Licantropi. Non aveva la minima intenzione, del resto, di rinunciare all’attuale Consiglio –dove una minima parte decisionale era riservata anche a lui- per assoggettarsi spontaneamente ad una dittatura di sole Streghe.
 
Il giorno dopo, a scuola, Vittoria raggiunse Rebecca e le altre con uno sguardo di viva apprensione. Rebecca se ne accorse e la tirò da parte per chiederle cosa non andasse. Vittoria prese con loro anche Rachele e spiegò brevemente alle amiche di aver parlato con i suoi genitori e di aver scoperto di essere una Cacciatrice. Rebecca ne rimase interdetta, ma lo nascose bene e assicurò a Vittoria che la loro diversa natura non avrebbe ostacolato la loro amicizia, così come quella con Rachele.
«C’è un’altra cosa che devo dirvi» mormorò Vittoria con voce tremante, «mio padre mi farà partecipare alla prossima battuta di caccia organizzata dal Consiglio».
«E quando sarà?» chiese Rachele precipitosamente.
«Stasera».
 
Nora aveva sentito tutto, dalla prima all’ultima parola di Vittoria, appostata con Tommaso all’altro lato del cortile. I suoi sensi sviluppati percepivano le parole di Vittoria come se la ragazza fosse proprio di fronte a lei.
«Questo non piacerà a mia madre» osservò Tommaso, bisbigliando per non farsi sentire da Rebecca. Sia lui che Nora erano a conoscenza del piano di Maura, e Tommaso, preoccupato che questo potesse andare a monte, si affrettò a mandare un messaggio a sua madre, informandola di quanto avevano appreso dalle parole di Vittoria.
 
«Questa sera ci sarà un’altra battuta di caccia?» chiese Elia a Rebecca, passeggiando a lunghe falcate per il soggiorno, una mano a grattarsi il mento, l’altra affondata nella tasca dei pantaloni.
«Così ha detto Vittoria» replicò Rebecca, appoggiata contro il muro. Pensava a quanto Elia fosse bello anche quando era frustrato e stanco come in quel momento.
«Dio, ancora!» sbottò alla fine, «hanno ucciso sei dei miei uomini non più di due settimane fa, hanno interrogato e poi ucciso altri quattro Vampiri, non è abbastanza?».
«Credo che loro vogliano che tu vada via» suggerì Rebecca timidamente.
«Certo, che lo vogliono! Ma io no! Io voglio l’Antidoto! È così difficile da capire?» urlò, rivolgendo a Rebecca un’occhiata velenosa.
«Sarà lì che agirò, Rebecca» concluse dopo un po’ con voce più calma, «mentre il Consiglio sarà impegnato nella battuta, io sarò in Villa Pisani e libererò la tua amica Giulia, come ti avevo promesso».
Sorrise debolmente e accolse Rebecca tra le sue braccia, quando questa si gettò su di lui con un gridolino di gioia a quelle parole.
«Grazie» mormorò la ragazza, guardando Elia con occhi carichi di riconoscenza.




Grazie di cuore a chi continua a leggere la nostra storia <3
Buone feste!!

xoxo
Norman&Kat


 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


"Gli sembrava che la vita fosse un poderoso meccanismo a orologeria,
che lui stesso aveva assemblato, pezzo dopo pezzo, nel corso degli anni,
e gli pareva che il meccanismo avesse il solo scopo di chiudersi su di lui,
come una bara fatta di gesti passati."

L'armata dei sonnambuli, Wu Ming


16
 
Quello stesso pomeriggio Maura raggiunse la villa di Elia. Varcò i cancelli con freddezza, guardando dritto davanti a sé, camminando con decisione per il viale sterrato.
Elia la vide arrivare da lontano e si precipitò fuori casa, incapace di nascondere il proprio stupore.
Maura arrestò il suo passo deciso a qualche metro dal Vampiro e aspettò che fosse lui il primo a parlare. Elia però era troppo sorpreso per proferire verbo.
«Be’ sei alquanto scortese, Elia, a lasciare fuori al freddo una Strega del mio calibro» esordì Maura con un ghigno trionfante sul volto.
Elia strinse le mascelle e, fatto un passo indietro, allungò il braccio dietro di sé, indicando la porta aperta della casa. Maura lo precedette e varcò la soglia della villa, gettando uno sguardo distratto agli arredi pregiati che aveva davanti.
«Che cosa ci fai qui?» domandò duramente il Vampiro, parlando per la prima volta.
«Ho un’offerta da proporti, Elia» replicò Maura con un mezzo sorriso, la voce sicura e squillante.
«Vuoi fregarmi di nuovo?» la canzonò Elia, ridendo senza gioia e accomodandosi sul divano in pelle del soggiorno. Maura lo imitò, sedendosi sulla pregiata poltrona a lato del divano.
«Valuta tu stesso» ribatté Maura, sbottonandosi il cappotto. Immerse una mano  nella tasca interna e ne estrasse una piccola ampolla, piuttosto impolverata. La rimirò per un attimo, soppesandola con lo sguardo, prima di appoggiarla sul piccolo tavolino di vetro e cristalli che la divideva da Elia.
Lui fissò la piccola ampolla come scottato. Socchiuse le labbra, sempre più sorpreso. Deglutì un paio di volte e poi fissò Maura dritto negli occhi, alla ricerca di una qualsiasi increspatura di menzogna.
Ma Maura era imperturbabile. Sostenne lo sguardo insistente di Elia e non abbassò mai gli occhi. Così Elia vi lesse la verità e quando i suoi occhi grigi tornarono a posarsi sull’Antidoto, Maura seppe di averlo in pugno.
«Perché?» domandò con voce rotta il Vampiro.
«Non mi fido del Consiglio» disse Maura, parlando per la prima volta con sincerità, «sta perdendo la sua autorità, pretende i miei servigi e non vuole pagarli… in poche parole, non rappresenta più la volontà di questa città».
«E quindi mi dai l’Antidoto?» domandò ancora Elia, a bruciapelo.
«Il Consiglio non accetterebbe mai un simile compromesso; ma sì, Elia, prendi questo Antidoto, dallo a tua sorella e sparisci per sempre».
 
Un uomo correva a perdifiato per i boschi. Era un Licantropo.
Raggiunse la villa del Consiglio e, boccheggiando per riprendere fiato, chiese di parlare con uno qualunque dei Consiglieri.
Fu ricevuto frettolosamente dal primo impiegato che passava per il corridoio, ma ben presto fu indetta una vera e propria riunione, quando il giovane spiegò cosa lo portasse da quelle parti con così tanta urgenza.
Fu ascoltato, interrogato e poi rispedito a casa con il giuramento di non parlare a nessuno di quanto aveva visto.
Dopodiché i Consiglieri riunirono d’urgenza i capi del Consiglio e spiegarono quanto la spia aveva loro riferito: Maura era andata da Elia e molto alte erano le probabilità che la Strega avesse ceduto al Vampiro nientemeno che l’Antidoto.
 
Maura lasciò la villa di Elia meno di un’ora dopo esserci entrata. Camminava spedita per il viale immerso nel verde, le mani gelide per il freddo affondate nelle tasche del cappotto, il passo ritmato dal crepitio dei tacchi sullo sterrato.
Salì in macchina senza fretta, la mente che lavorava frenetica. Se quel piano non avesse funzionato sarebbe stata la fine per lei. Il Consiglio avrebbe perso definitivamente fiducia nelle Streghe e i loro diritti sarebbero stati ancor più repressi. D’altro canto, era abbastanza sicura che tutto sarebbe filato per il verso giusto.
Arrivata a casa, sfilò il cappotto e lo appese all’attaccapanni in corridoio. Il silenzio nell’abitazione era totale. Suo marito era al lavoro, Elena era con Tommaso e Nora.
Pian piano Elena si stava riprendendo. Accettava di uscire di casa, anche se non per troppo tempo, e aveva perdonato a Tommaso e Nora le loro omissioni.
Maura prese il cellulare e scorse i numeri della rubrica, arrestandosi al nome “Kevin”.
«Avete fatto tutto?» domandò, imperiosa, quando lui rispose, all’altro capo del ricevitore.
«Uno dei miei Licantropi è appena tornato da una riunione con il Consiglio» replicò Kevin con evidente soddisfazione.
Maura sorrise, trionfante, e riattaccò il telefono.
Erano a metà dell’opera, dunque…
Fece un’altra telefonata, stavolta a una delle sue Streghe più fidate.
«Inizia a radunare le Streghe. Ci siamo quasi» le ordinò, senza riuscire a nascondere la sua eccitazione.
 
Elia era ancora seduto sul divano del suo salotto e fissava senza parlare la piccola fiala contenente l’Antidoto. Questa volta Maura non lo aveva fregato. Come avrebbe potuto?
Quella fiala era identica a quella che Maura aveva fabbricato per lui trent’anni prima, forse solo più impolverata. E così, la Strega non si fidava più del Consiglio e si alleava col nemico… Elia non riusciva a capacitarsene, eppure conosceva Maura molto bene –o almeno, così pensava- e sapeva quanto fosse assetata di vittoria e assolutamente incapace di accettare la sconfitta. Maura virava al vento favorevole, non aveva scrupoli per niente e per nessuno.
Elia si alzò finalmente dal divano, prese l’Antidoto e lasciò il soggiorno.
La villa era silenziosa nel grigio pomeriggio di novembre e nessuno lo avrebbe disturbato. Sempre con l’Antidoto stretto in pugno, percorse i corridoi deserti fino ad una porta, chiusa con un dispositivo di cui lui soltanto conosceva il codice d’accesso. Elia si guardò intorno assicurandosi di essere completamente solo, digitò il codice e si infilò, non visto, nella camera buia.
Accese l’unica fonte di luce della stanza, una lampada posta nell’angolo, vicino alla finestra sbarrata. La luce si diffuse, tenue, illuminando di bagliori rossastri prodotti dai riflessi sulle tende di velluto rosso scuro, una grande teca posta al centro della camera.
Elia vi si avvicinò lentamente e, gli occhi offuscati dalle lacrime, fissò il volto terreo di sua sorella. Giaceva come morta, la pelle chiarissima come quella del fratello, i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino parevano fili d’oro estremamente fragili. Vestiva semplicemente, un vestito nero con le maniche a tre quarti. Le lunghe dita affusolate delle mani erano intrecciate in grembo. I piedi erano nudi e bianchi.
Elia premette un pulsante nascosto e il vetro superiore della teca si sollevò con un leggero cigolio. Elia si ritrasse per un istante, poi allungò un braccio e strinse forte la mano di sua sorella. Era fredda eppure morbida, fragile e delicata al tempo stesso. Il volto della ragazza rimase impassibile.
Era un volto aperto, rilassato, ma i suoi occhi azzurro cielo un tempo avevano rivelato la stessa indole misteriosa del fratello. I demoni che offuscavano la vita di Elia erano gli stessi che avevano afflitto la sua, secoli prima.
Una lacrima sfuggì al controllo di Elia e cadde, silenziosa, tra le pieghe del vestito della giovane. Elia allungò una mano verso il volto della sorella e le accarezzò una guancia, prima di socchiuderle le labbra secche. Stappò con i denti la fiala contenente l’Antidoto e ne lasciò defluire il contenuto tra le labbra della sorella.
Non sapeva quanto avrebbe dovuto attendere perché ella si risvegliasse e un’improvvisa paura gli strinse il cuore. E se non si fosse risvegliata? Se Maura avesse mentito?
Lui, Elia, che era stato ed era tutt’ora uno degli esseri più spietati del mondo, non avrebbe potuto credere Maura capace di una cattiveria simile. Dopotutto, lei non aveva conosciuto sua sorella, non l’aveva vista crescere, diventare un Vampiro e poi finire in quella teca di vetro in una stanza buia, sola. Maura non aveva conosciuto l’allegra e fresca giovinezza di quella ragazza che ora giaceva come morta.
Ma Elia sì; Elia amava sua sorella come non aveva mai amato nessuno ed era suo dovere aggiustare ciò che la vita e il corso degli eventi, i numerosi nemici, avevano rotto.
D’un tratto il corpo della ragazza si fece ancora più freddo e grigio. Vene nere emersero dalla pelle biancastra e poi scomparvero, lasciando la pelle dura come il marmo. Un ultimo, lieve, alito di vita spirò dalle labbra semichiuse della Vampira e rimase pietrificato nell’aria a lungo, unico resto di una vita che non era più viva, ma che era morta. Irrimediabilmente.
Elia fissò inorridito il corpo della sorella, pietrificato per sempre in quella teca, incapace di realizzare la meschina crudeltà di Maura e il destino funesto che l’aveva intrappolato di nuovo.
Capì che non aveva possibilità. Capì che l’Antidoto era ancora al sicuro tra le mani di Maura e che lui, ancora una volta, aveva perso.
Sua sorella non si sarebbe mai più risvegliata. Lei era morta. Per sempre.




Passate bene le vacanze? Noi siamo tornati!
Buona lettura!!

xoxo
Norman&Kat

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


"Non gli parve mai giustificato che la vita si servisse di tante casualità [...],
perché si compisse senza ostacoli una morte tanto annunciata."
G. G. Marquez, Cronaca di una morte annunciata


"La sua anima fredda e altera era trasportata
per la prima volta da un sentimento appassionato."
Stendhal, Il rosso e il nero

17
 
Un’improvvisa, cieca rabbia lo pervase. Elia uscì dalla stanza dove giaceva il corpo morto di sua sorella sbattendo la porta e percorse in lunghe falcate il corridoio deserto e silenzioso. Camminò per il soggiorno cercando di contenere l’odio profondo che gli scorreva nelle vene, gli occhi offuscati dal pianto, il respiro affannoso.
Si passò le mani tra i capelli, frustrato e arrabbiato al tempo stesso. L’unica cosa che in quel momento desiderava era vendetta. Squartare il collo di Maura e prosciugarla fino all’ultima goccia di sangue.
Immaginare la scena nella sua mente non fece che alimentare il suo odio e, in uno scatto risoluto, si decise a raggiungere immediatamente Maura per compiere il suo folle piano.
Ma ancora una volta non aveva fatto i conti con l’incredibile intuito e la calcolata precisione della Strega. Ella aveva lanciato un incantesimo sulla villa di Elia, bloccando il Vampiro all’interno, negandogli qualsiasi possibilità di fuga.
Elia urlò di rabbia, vedendosi costretto in casa propria. Eppure non era ancora tutto; non aveva visto infatti i Cacciatori del Consiglio appostati sul confine della sua proprietà, in attesa di attaccarlo.
 
Maura nel frattempo si stava preparando a scendere in piazza con le sue Streghe. Stava indossando il cappotto quando qualcuno bussò alla porta. Infastidita, pensò si trattasse di Tommaso e andò ad aprire con un cipiglio contrariato dipinto sul volto.
La sua sorpresa fu grande vedendo che non si trattava di lui ma di alcuni consiglieri. Li guardò interdetta per un attimo, i meccanismi della sua mente già proiettati al futuro, al suo piano che minacciava di saltare se quegli uomini l’avessero fatta tardare un minuto di più.
Chiesero bruscamente di poter entrare e a Maura non restò che assecondarli, lasciandoli varcare l’uscio di casa e guidandoli fino in soggiorno.
«Una spia ci ha informati di uno strano scambio, Maura» attaccò uno dei consiglieri.
Maura non ne fu affatto sorpresa. Faceva ancora tutto parte del suo piano, sebbene avesse immaginato che il Consiglio si sarebbe diretto per prima cosa da Elia, visto che, per quanto ne sapeva il Consiglio, lei quel pomeriggio gli aveva fatto dono dell’Antidoto.
Maura si finse sorpresa, sollevò, altera, un sopracciglio e percorse uno sguardo indagatore sugli uomini che la fronteggiavano.
«Non capisco» disse, a labbra strette.
«Hai dato l’Antidoto a Elia?» intervenne un altro, piuttosto spazientito.
Maura intanto guardava l’orologio. Era tardi.
 
«Ma dov’è finita quella Strega maledetta?» sbottò Kevin, spazientito dal ritardo di Maura. Il suo branco e gran parte della congrega erano già in piazza, in attesa. Kevin iniziava a sospettare che fosse tutta una beffa e che Maura avesse un piano B; temeva che ella volesse ergersi a dittatrice della città, scavalcando il Patto di Convivenza tra le specie e la sua intera congrega. Del resto, tutti sapevano che Maura non era solita farsi scrupoli di alcun genere, nemmeno per le persone a lei vicine.
Kevin, sull’orlo di un crollo di nervi, prese con sé alcuni Licantropi e si diresse rapidamente verso la casa della Strega. Il piano non poteva saltare, non dopo tutto quello che aveva messo in campo per ottenere l’Antidoto.
 
Suonò il campanello, di nuovo.
Maura, questa volta, ne fu immensamente felice. Superò con nonchalance i consiglieri e andò ad aprire, sorvegliata dal loro sguardo vigile. Di nuovo, fu sorpresa nel vedere di chi si trattasse.
«Kevin!» esclamò, sollevata. Forse non era ancora tutto perduto…
Kevin entrò rabbiosamente in casa senza essere invitato a farlo, ma si bloccò, trovandosi di fronte gli occhi gelidi dei quattro consiglieri.
Rivolse un’occhiata eloquente a Maura e ai suoi e la Strega gli restituì uno sguardo penetrante, pieno di significati.
Kevin allora capì che Maura era intrappolata. Partì all’attacco senza bisogno di dare ordini ai suoi Licantropi, che già da qualche minuto aspettavano il momento giusto per intervenire e si avventarono tutti e tre sui consiglieri. Maura si fece da parte, indecisa sul da farsi.
Sarebbe potuta fuggire in quel momento, lasciando che Kevin se la sbrigasse da solo, oppure avrebbe potuto aiutarlo. Da quella scelta immediata dipendeva il futuro del suo regno su Montebelluna. Pensò febbrilmente, il più rapidamente possibile, alle possibilità che le si aprivano davanti. Se fuggiva e arrivava in città, avrebbe proclamato la sua presa di potere… del resto, le sue Streghe erano pronte da giorni a quel momento… ma poi? Kevin sarebbe stato il suo nemico giurato e così il suo branco, e Maura sapeva bene che un branco così numeroso, con un Alpha così dispotico e testardo, erano nemici da evitare.
Ma se restava, il suo piano sarebbe fallito completamente. Certo, Kevin avrebbe riconosciuto la sua apparente lealtà, ma sarebbe stato tutto inutile e, una volta esaurito l’incantesimo sulla villa di Elia, avrebbe avuto il Vampiro come nemico… Maura non sapeva decidersi e intanto il tempo passava e lei rimaneva impalata sull’uscio di casa sua, mentre tre Licantropi assetati di potere attaccavano quattro consiglieri determinati a difendere il loro, di potere.
 
«Adesso basta!» urlò d’improvviso uno dei consiglieri, sollevando le braccia e mormorando un incantesimo che piegò a terra i tre Licantropi, facendoli contorcere dal dolore.
«Ti ho fatto una domanda, Maura. Voglio una risposta» sibilò, tra i gemiti sommessi dei Licantropi torturati, il consigliere che le aveva prima chiesto una spiegazione in merito al suo incontro con Elia. Maura sollevò il mento, tornando ad assumere la sua solita espressione fiera e altera.
«E’ tutto un tranello, non è vero?» intervenne un altro, «un abile colpo per prendere il potere».
Maura prese tempo. Il piano era saltato, non aveva più senso tentare di accelerare le procedure, e nemmeno fuggire. L’avrebbero trovata.
«Ti sbagli» replicò, gelida.
«Davvero?» sghignazzò il consigliere, ironico.
Maura ebbe un’idea. Mentire non aveva più senso, ormai, eppure anche la verità poteva avere piccole ma significative sfumature nella visione d’insieme. Ed era a quelle che lei si aggrappò.
«Tutto quello che ho fatto è stato per il bene della città. I fatti lo dimostrano. Se ho dato l’Antidoto a Elia? Certo che sì. Ma chiedetegli che genere di Antidoto gli ho rifilato, sono certa che in questo momento lui non sia troppo contento…».
«Che intendi dire?» l’assalì il consigliere.
«E’ un falso. L’Antidoto è un falso» disse Maura, un sorriso trionfante stampato in viso.
«Per quale ragione, se non quella di farci intervenire, tenerci occupati e prendere il potere che non ti spetta?» ribatté l’uomo, corrugando le sopracciglia.
«Il falso Antidoto ha sprigionato un incantesimo che ora tiene bloccato Elia nella sua villa. Avrete così l’occasione di catturarlo e farne quello che volete. Il mio unico scopo è quello di spostare l’Antidoto vero dal suo attuale nascondiglio perché non è al sicuro, lì dov’è adesso» concluse gelidamente Maura.
I consiglieri fecero alcune telefonate e Maura seppe, senza sentire cosa si dicevano, che stavano mandando pattuglie di sorveglianza alla villa di Elia.



Eccoci di ritorno! Perdonate questo imperdonabile ritardo.....

xoxo
Warlock&Vampire

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


"Ma al mondo non importa a chi andrà la vittoria.
Continuerà a girare, a prescindere da quanti moriranno domani,
fossimo anche tu ed io a perdere la vita."
Fire, K. Cashore


"Io sono come un uomo che alzandosi da tavola grida:
'Domani non mangerò e questo non mi impedirà di essere forte e allegro come lo sono oggi'.
Chi può immaginare che cosa si prova a metà strada di una grande azione?"
Il rosso e il nero, Stendhal


18

Il piano di Maura era saltato definitivamente; nonostante tutto, la Strega non ne era poi così dispiaciuta; aveva ottenuto, in parte, quello che voleva.
Elia era sconfitto per sempre. Sua sorella era morta e il Vampiro non aveva ormai più ragioni concrete che giustificassero la sua ossessione per l’Antidoto.
Che Maura sentisse, anche solo vagamente, i rimorsi per aver ucciso una donna che non aveva mai conosciuto e che già dormiva da molto tempo quando Elia l’aveva supplicata di trovare un modo per riportarla in vita? No. Maura non conosceva sensi di colpa e la sua costante preoccupazione era tenere l’Antidoto fuori dalla portata dei Licantropi e del Consiglio.
Per questo fu piuttosto scocciata quando una squadra di Consiglieri fu mandata a scortarla per sorvegliare lo spostamento dell’Antidoto.
Maura rifletteva febbrilmente, mentre saliva la collina fino a Santa Lucia, piccola località situata appena sopra Montebelluna, assieme alle sue Streghe più fidate. Passo dopo passo ideava una nuova strategia di attacco. Era un piano disperato, ma quando arrivò finalmente sull’altura dominante la vallata, nel cupo silenzio del bosco si sentì fiduciosa come non mai.
 
Il furgoncino blindato del Consiglio era parcheggiato appena fuori il territorio di dominio della Congrega di Maura. Mentre i Consiglieri aspettavano, Maura e le Streghe varcarono il confine invisibile al di là del quale si trovava la piccola chiesetta di Santa Lucia, circondata da un boschetto rigoglioso dal quale si intravedevano le luci delle case, piccoli puntini luminosi della città sottostante.
Maura e le Streghe entrarono nella chiesa e, seguendo una procedura piuttosto breve, rimossero gli incantesimi che occultavano e proteggevano il vero Antidoto, all’interno della sua urna antica, nella cripta della chiesa.
Con estrema cautela, in un’atmosfera carica di tensione, Maura portò l’Antidoto fino al furgone del Consiglio e lo depose lei stessa al suo interno, reprimendo il forte impulso di pronunciare l’incantesimo che avrebbe distrutto tutto nel raggio di parecchi metri, la cui formula le solleticava la punta della lingua già da qualche ora.
I membri del Consiglio salirono nel furgone, chiusero le portiere e partirono nel silenzio generale, alla volta di Villa Pisani.
 
I Licantropi guidati da Kevin era appostati tra gli alberi del bosco che delimitava la stretta stradina che il furgone blindato del Consiglio stava percorrendo. Il loro udito sopraffino lo percepì da lontano, come avvertì l’incredibile forza di ciò che si celava al suo interno.
Quando il furgone arrivò a portata dei Licantropi, iniziò la battaglia vera e propria.
Ma credete che il Consiglio fosse impreparato? Squadre di Cacciatori si stavano distribuendo a ventaglio tra i boschi, setacciandoli alla ricerca di Licantropi e Vampiri da eliminare.
Il Patto di Convivenza era stato dimenticato, ognuno combatteva per se stesso, per la stessa ragione: ottenere l’Antidoto, conquistare il potere.
 
Nel buio della sera iniziarono a risuonare le urla e i tonfi del combattimento. Tommaso, Nora e Elena raggiunsero il luogo della battaglia assieme a Maura e alle altre Streghe, solo per scoprire che alcuni dei loro coetanei erano già presenti; Rachele e Vittoria, infatti, stavano combattendo fianco a fianco contro chiunque ostacolasse il loro passaggio, benché le regole della natura suggerissero il contrario.
Nora e Elena si precipitarono contro un gruppo di Cacciatori e ingaggiarono una lotta selvaggia, aiutate dagli incantesimi di Tommaso.
Maura seguì per un istante, con vera apprensione, i movimenti del figlio, poi si lanciò essa stessa nella mischia.
 
Fu un momento, ma bastò per spezzare l’ultima grande convinzione che era rimasta a Maura; si voltò di scatto quando avvertì l’urlo della sua Strega più fidata, quella che aveva creato il falso Antidoto che intrappolava Elia nella sua villa. La donna cadde a terra, trafitta da una freccia, le braccia spalancate, le labbra semichiuse, l’espressione ancora corrucciata dalle parole dell’incantesimo che non avrebbe mai pronunciato.
Maura seppe che in quello stesso momento Elia si stava scoprendo libero di uscire dalla sua villa. Un terrore cieco, per la prima volta da molto tempo, la invase. Doveva prepararsi, radunare le forze… quando Elia sarebbe arrivato, lei doveva essere pronta al tutto per tutto.
 
Elia capì subito di essere libero. Non si soffermò troppo a chiedersi il perché e si affrettò a prepararsi per uscire. Chiamò Rebecca e i membri più fidati del suo clan perché radunassero tutti i Vampiri e si unissero alla battaglia che infuriava all’altro lato della città.
Si infilò la giacca e uscì nella sera fredda. Salì in macchina e partì alla volta di Villa Pisani.
Quando arrivò, trovo la sede del Consiglio deserta. Fu facile per lui entrare nella villa, raggiungere le segrete e liberare Giulia, la quale già urlava a squarciagola la voce dei morti della battaglia.
La caricò di peso nella sua auto e partì verso lo Stradone, seguendo le indicazioni che la ragazza, apparentemente in trance, gli forniva.
 
Arrivato sul luogo degli scontri, Elia ebbe modo di capire subito che i suoi Vampiri erano in netta inferiorità. Giulia lo lasciò subito solo, scorrazzando per il bosco e urlando con quanto fiato aveva in gola. La rabbia iniziale di Elia si era mitigata e ora il Vampiro poteva ragionare più lucidamente, osservando, non visto, le sorti del suo clan.
Avvistò Rebecca e la vide avvinghiata a un Cacciatore. Qualche istante dopo, di lui non rimase che qualche brandello.
Elia ne fu soddisfatto.
Poco lontano, Nora stava avendo la peggio contro un Licantropo piuttosto corpulento…
Elia distolse lo sguardo da lei, radunò i Vampiri più vicini a lui -in tutto non erano più di dieci- e fuggì dallo scontro, incurante della sorte di tutti gli altri suoi affiliati, dimentico perfino di Rebecca. Maura credeva che lui avrebbe combattuto, perlomeno per vendicare la sorella morta, eppure si sbagliava. A Elia importava solo di salvare se stesso e alcuni membri del suo clan, così da poterlo ricostituire lontano da lì e fondare un nuovo impero su cui regnare.
 
Nora finì sbattuta contro il tronco possente di un faggio e impiegò qualche istante di troppo a rialzarsi. Tommaso e Elena l’avevano abbandonata per concentrarsi su altri Licantropi, e ora poteva contare solo su se stessa. Si gettò nuovamente sul Licantropo, radunando le ultime forze a sua disposizione, ma venne presto battuta. Sbatté la testa sull’umido sottobosco, le braccia tese indietro, bloccate dalla presa possente del Licantropo, il corpo schiacciato sotto di lui.
Avvertì il suo alito caldo prima che i canini avvelenati del Lupo affondassero nella carne tenera del suo collo e il buio prendesse possesso di tutto il suo mondo.
Non sentì Tommaso urlare il suo nome e Elena accorrere verso di lei. Con un incantesimo Tommaso spinse via il Licantropo, Elena si gettò su Nora, la prese in braccio e a velocità vampiro si allontanò dal capo di battaglia, rifugiandosi tra un gruppo di bassi cespugli.
Tommaso le raggiunse qualche minuto dopo e insieme vegliarono il corpo privo di sensi dell’amica, studiando con apprensione la ferità profonda che si apriva sul collo di Nora.
Non sarebbe guarita come qualsiasi altra contusione, questo lo sapevano bene.
 
Kevin prese il controllo del furgoncino e si preparò a fuggire nella notte, quasi non visto, improvviso padrone dell’Antidoto. L’Alpha non poteva credere a ciò che era successo. Tutti combattevano gli uni contro gli altri e l’Antidoto era rimasto in disparte, incustodito, dimenticato. In un attimo lui lo aveva individuato ed era corso verso il furgone.
Purtroppo per lui, il mezzo non sembrava intenzionato a partire. Per quanto girasse la chiave, il motore non si accendeva. Alzando gli occhi, capì anche il perché.
Tre o quattro Licantropi, cappeggiati da Carla, bloccavano il passaggio, uno di loro aveva un pezzo del motore del furgone tra le mani.
Kevin corrugò la fronte, incredulo. Era proprio un oltraggio alla sua autorità di Alpha quello che aveva di fronte?
«Scendi, Kevin» gli ordinò Carla con un tono di voce calmo ma determinato. Kevin scese dal mezzo, senza ancora capire cosa stesse accadendo.
Gli furono addosso in un baleno e Kevin non poté che soccombere.
Carla rimase in disparte a guardare alcuni dei suoi amici più fidati fare a pezzi l’Alpha più dispotico che il loro branco avesse mai conosciuto.
Fine della dittatura, si disse, senza riuscire a provare pietà per Kevin.
 



Buona lettura! xx

Warlock&Vampire

ps. ci farebbe piacere avere qualche vostra impressione, quindi.. fatevi sotto!

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


"L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte"
Harry Potter e i Doni della Morte, JK Rowling

19

 
«Kevin è morto» esordì Carla senza girarci troppo intorno, «ieri notte, mentre tutti noi eravamo impegnati nella lotta al Consiglio, alle Streghe e ai Vampiri per la difesa dell’Antidoto, Kevin è morto, come molti altri nostri compagni».
Il branco riunito ascoltava in un teso silenzio le parole di Carla. Lei non sembrava preoccupata, sebbene la sua aria grave esprimesse la solennità e drammaticità del momento. Si fermò per una pausa ad effetto ed ebbe il tempo di decidere rapidamente se dire o meno la verità sulla morte del loro Alpha.
Decise temporaneamente di mentire.
Tutti loro avevano motivo di odiarlo, sebbene Kevin avesse avuto i suoi sostenitori. Carla pensava che non sarebbe stato d’aiuto a nessuno in quel momento sapere che era stata lei, assieme ad alcuni amici fidati, a rivoltarsi e ad uccidere Kevin.
«Vi annuncio anche che l’Antidoto è finalmente nelle nostre mani!» esclamò, alzando le braccia in segno di vittoria e mostrando una piccola ampolla alla folla che la circondava, acclamata da urla di giubilo.
«Sta per sorgere un nuovo regno su questa città; i Licantropi hanno ottenuto ciò gli era stato portato via e l’ordine delle cose verrà finalmente ristabilito. Le Streghe hanno perso tutto, il Consiglio è ormai privo del suo potere e i Vampiri sono stati scacciati!» urlò ancora Carla, gli occhi che brillavano di eccitazione, «oggi pomeriggio ci saranno i funerali per Kevin e per gli altri nostri compagni, e questa sera procederemo con l’elezione del nuovo Alpha» concluse, chinando il capo in segno di saluto, cullata dall’emozione di avere il suo branco riunito lì, in quel momento, mentre una nuova era sorgeva all’orizzonte dei loro cuori.
 
Tommaso ed Elena vegliavano ancora Nora, stesa sul divano del salotto di Carla. Dopo essersi allontanati dalla battaglia, Tommaso aveva chiamato Rachele e la giovane Licantropa li aveva subito ospitati a casa sua, in attesa dell’aiuto di sua madre. Non pensavano, infatti, che la loro diversità fosse un ostacolo, e credevano fiduciosamente che Carla li avrebbe aiutati, ora che l’Antidoto era nelle sue mani.
Nora dormiva un sonno inquieto. Sudava copiosamente e ogni tanto si agitava tra le coperte, in guerra con i suoi stessi sogni, mugolando frasi sconnesse. La ferita al collo si era aggravata e sembrava pulsare sotto lo sguardo vigile e preoccupato di Elena e Tommaso.
«Eccomi, ho fatto il più in fretta possibile» disse Carla, appena rientrata dalla riunione col branco. Si tolse rapidamente il cappotto, abbandonandolo su una cassapanca in entrata e quasi corse verso i tre amici, gli occhi fissi su Nora.
Esaminò la sua ferita con occhio critico e dopo qualche minuto sentenziò:
«Non le resta molto tempo, sarà fortunata se vedrà l’alba di domani».
Tommaso strabuzzò gli occhi per l’incredulità, Elena scoppiò a piangere e soffocò il volto tra le pieghe della felpa di Tommaso, abbracciandolo stretto.
Carla li fissò, imperturbabile.
«Quando si sveglierà, inizierà ad avere delle allucinazioni. Vi consiglio di andarvene per allora, potrebbe diventare pericolosa».
«E chi rimarrà con lei?» insorse Tommaso.
Carla non rispose.
«No, noi restiamo» concluse Elena determinata.
 
Vittoria, Rachele e Rebecca scavavano la terra umida del bosco, silenziose ed efficienti. Avevano già seppellito oltre venti cadaveri tra Streghe, Consiglieri e Vampiri. I Licantropi erano stati tutti prelevati da alcuni membri superstiti del branco, cappeggiati da Carla, e portati chissà dove per essere sepolti secondo i rituali della loro specie.
Rebecca pensava ad Elia mentre affondava il badile nella terra. La notizia della sua vigliaccheria si era sparsa a macchia d’olio, ma lei ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che lui se ne fosse andato senza di lei. Pensava di contare qualcosa per lui, di essere più di una semplice neo Vampira invaghita del suo Creatore.
Ma Elia era a leghe di distanza da lei e da chiunque altro. Il sole basso sull’orizzonte gettava riflessi rosso sangue sulla piana sconfinata e deserta. Un gruppo di Vampiri, la famiglia di Elia e qualche altro amico fidato, erano riuniti attorno alla bara color mogano che avrebbe ospitato nel suo sonno eterno la sorella di Elia. Delle parole erano incise su una piccola targhetta affissa al coperchio della bara:
 
LA MORTE CI SEPARA, MA L’ANIMA CI UNISCE.
 
Era stato Elia a volerle, perenne ricordo per l’unica persona a cui avesse mai voluto veramente bene.
 
Dopo i riti funebri, i Licantropi si riunirono per discutere delle sorti del branco. Carla decise di raccontare la verità sulla morte di Kevin. Infatti, se un Beta uccide l’Alpha, automaticamente prende il suo posto. Quindi, avendo ucciso Kevin, Carla era diventata il nuovo Alpha.
Il branco non sembrò troppo contrariato alla notizia e accettò Carla come nuovo capo. La donna decise di discutere subito dell’Antidoto e della sua destinazione.
Opinioni contrastanti dilagavano tra i membri del branco, tra chi avrebbe voluto distruggerlo e chi invece conservarlo e proteggerlo dalle altre creature soprannaturali.
La proposta di Carla, tuttavia, era ben diversa.
«Ciò che vi propongo, in qualità di Alpha di questo branco, è di usare l’Antidoto…» a queste parole si diffuse un mormorio di dissenso nei confronti di Carla.
«Ma cosa stai dicendo, Carla?» asserì un Licantropo con voce scettica, «usare l’Antidoto? Tutto quello che abbiamo fatto è stato per preservare l’equilibrio soprannaturale».
«La questione è molto delicata» replicò fredda Carla, «Nora, una Vampira e amica di mia figlia Rachele, è stata morsa ieri sera e la sua vita dipende dall’Antidoto».
«Ma è una Vampira e noi non aiutiamo i Vampiri!» ribatté una Licantropa.
«Non è stata una sua scelta far parte del nostro mondo, ci è stata trascinata da Elia. Per questo è nostro dovere aiutarla, visto che abbiamo il potere di farlo» disse subito Carla.
La discussione si protrasse a lungo, mentre il tempo per Nora si stava esaurendo.
Alla fine il branco appoggiò Carla.
Nel frattempo, Tommaso e Elena non se la stavano passando molto bene. Come aveva predetto Carla, Nora era in preda alle allucinazioni. Tommaso e Elena stavano vegliando l’amica quando questa agguantò di colpo Elena, rompendole il collo con una stretta decisa. Tommaso, spaventato a morte, balzò in piedi di scatto e si smaterializzò nel bagno, chiudendosi dentro a chiave.
Ma Nora era determinata a prosciugarlo.
«Tommasinooo» lo chiamò con voce suadente, «dove ti nascondi? Sai che ti posso fiutare». A velocità vampiro raggiunse il bagno e tentò di aprire la porta, sapendo già che Tommaso l’aveva chiusa a chiave.
«Hai chiuso a chiave, davvero?» esclamò schifata Nora e con un pugno sfondò la porta.
Tommaso cacciò un acuto.
«Il pulsare del tuo cuore inizia a infastidirmi, femminuccia» disse gelida Nora. Con un balzo Nora raggiunse Tommaso, con l’intento di bloccarlo contro la parete e squartarlo, ma Tommaso si smaterializzò di nuovo, ricomparendo sulla soglia del bagno. Mormorò velocemente un incantesimo e confinò così Nora all’interno.
Con un ringhio Nora si avventò su Tommaso ma sbatté contro la barriera invisibile creata dall’incantesimo.
«Fregata!» esultò Tommaso.
«Non finisce qui, grassone» esclamò Nora adirata.
In quel mentre Carla entrò in casa. La prima cosa che vide fu Elena a terra inerte e il soggiorno a soqquadro.
«Sapevo che sarebbe successo» mormorò.
«Carla, sono qui!» esclamò Tommaso, ancora fermo davanti al bagno semidistrutto.
Carla lo raggiunse, l’ampolla dell’Antidoto stretta in mano.
«Qualcuno dovrà pagarmi i danni» disse l’Alpha contrariata. Intanto Nora urlava con quanto fiato aveva in gola, tentando di superare la barriera magica creata da Tommaso.
«Tramortiscila, Tommaso, o non riusciremo a darle l’Antidoto».
Tommaso la guardò con disappunto per un momento, non del tutto sicuro di voler far del male alla sua amica già in fin di vita, ma poi senza pensarci di nuovo, con un incantesimo tramortì Nora. Le urla della Vampira cessarono, Tommaso rimosse la barriera e Carla poté finalmente darle l’Antidoto.
Adagiarono il corpo di Nora affianco a quello di Elena.
«Resteranno così ancora per un po’ di tempo, ma dovrebbero risvegliarsi tra poco» commentò Carla pratica.




Buona lettura!
xxx
Warlock&Vampire

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Capitolo 21
*** Epilogo ***



EPILOGO

 
Le cose tornarono alla normalità. I nostri personaggi ripresero ad essere dei normali adolescenti, la vita divisa tra scuola e divertimento. L’appartenere a specie diverse non impedì a Nora, Tommaso ed Elena di legarsi a Vittoria, Rachele e Giulia, diventando ottimi amici.
Rebecca, ancora avvilita per l’abbandono di Elia, nonostante i ripetuti tentativi degli amici di risollevarle il morale, concluso l’anno scolastico partì per un viaggio-studio negli Stati Uniti e per un anno nessuno ebbe più notizie di lei.
Maura mise da parte il suo piano di prendere la città, rimandandolo ad un prossimo futuro, e il Consiglio riprese a governare le questioni soprannaturali indisturbato.
Sembrava proprio che la pace fosse tornata a Montebelluna.
Sembrava.
 
 
 


Un grazie speciale a chi ha seguito questa storia fino alla fine. Non è stato facile, ma ce l'abbiamo fatta, come si dice!
Un arrivederci alla prossima storia!
xxx

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