I Regni Perduti

di Ash Visconti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Due Fratelli ***
Capitolo 2: *** Il Regno Dorato ***
Capitolo 3: *** Taigeto ***
Capitolo 4: *** Un ladro nella notte ***
Capitolo 5: *** Il Regno Argentato ***
Capitolo 6: *** Riunioni e progetti ***
Capitolo 7: *** Sulle ali dell'avventura ***
Capitolo 8: *** Attacco alla Luna ***
Capitolo 9: *** La Regina Madre dell'Occidente ***
Capitolo 10: *** Prigioniera ***
Capitolo 11: *** Verso una nuova battaglia ***
Capitolo 12: *** La Battaglia del Regno Dorato - Prima Parte ***
Capitolo 13: *** La Battaglia del Regno Dorato - Seconda Parte ***
Capitolo 14: *** La Battaglia del Regno Dorato - Terza Parte ***
Capitolo 15: *** La Battaglia del Regno Dorato - Ultima Parte ***
Capitolo 16: *** Interrogatorio ***
Capitolo 17: *** Endymion e Serenity ***
Capitolo 18: *** Incontro al chiaro di Luna ***



Capitolo 1
*** I Due Fratelli ***


Benvenuti a tutti i nuovi lettori di questa storia!
Questa storia è un Crossover tra Saint Seiya - I Cavalieri dello Zodiaco e Sailor Moon. La storia si rifà come specificato, a idee originali di Suikotsu, autore qui su EFP, per una storia spin-off/prequel ambientata nel suo particolare universo in cui l'opera di Masami Kurumada e quella di Naoko Takenuchi non erano due universi separati che si incontravano ma proprio due universi che condividevano lo stesso universo. La storia è stata scritta col permesso dell'autore ed è da considerarsi in continuity con la sua fic principale. Non è necessario aver letto le sue fic per comprendere questa storia.
Detto questo auguro a tutti voi buona lettura!


 
Capitolo 1 - I due fratelli
 

Ad occhi chiusi Crysos respirava l’aria salmastra del mare Egeo, seduto sulla spiaggia.
La costa, non molto lontana dal Grande Tempio, possedeva una piccola spiaggia a ridosso delle scogliere, che dava al luogo l’aspetto d’una piccola oasi di pace e serenità.
Dopo la morte del suo maestro, Crysos, Cavaliere d’Oro della costellazione dei Pesci, veniva spesso lì, quando le questioni del suo rango lo permettevano per meditare in tutta tranquillità, isolandosi dal resto del mondo ed ascoltando solo la sua voce interiore. Suo fratello diceva bonariamente che il Cavaliere della Vergine lo stava contagiando coi suoi modi di fare, ma capiva il suo bisogno di solitudine che lo prendeva qualche volta e lo rispettava.
La tranquillità di quella bella giornata di maggio fu interrotta dai passi d’un cavaliere in armatura.
Crysos aprì lentamente gli occhi e si girò verso destra. Vide un cavaliere di bronzo che indossava l’armatura di Andromeda. Il cavaliere era una ragazza e portava, incastrata tra le pieghe dell’elmo, un maschera sul volto come tutti i Cavalieri di Atena di sesso femminile, le parti non coperte dall’armatura facevano vedere un pelle di carnagione scura.
Crysos sapeva che il giovane cavaliere donna era di origine etiope e si chiamava, se non andava errato, Tiya.
“Lord Crysos!” La ragazza lo salutò con un leggero inchino. “Vengo per ordine del Gran Sacerdote: ha richiesto la vostra presenza, e vi chiede di recarvi al più presto nelle sue sale”.
“Ehi, guai in arrivo?”
Il cavaliere d’oro e quello di bronzo volsero al testa verso il mare e videro la testa d’un giovane appena spuntata dalle acque azzurre: un giovane di venti anni con corti capelli giallo paglia arruffati e gocciolanti d’acqua.
“Non lo so signor Acubens,” disse il cavaliere di bronzo, “Ma comunque il Gran Sacerdote vorrebbe anche lei”.
“Bene, bene, ma fammi una cortesia ragazza: voltati e resta voltata finché, non esco dal mare, e… Anzi no, corri a riferire al Gran Sacerdote che arriviamo subito”.
“Ma perché dovrei…”
“Perché devo rivestirmi, ovviamente!” Acubens ghignò. “Cos’è devo nuotare con un quintale d’armatura addosso? Non sono così straordinario, eh!”
“Ah… beh… vado ad avvertire il Gran Sacerdote”.
La ragazza si voltò e cominciò a correre su per le rocce della scogliera, saltando agilmente, poco dopo Acubens uscì dall’acqua, mostrando il fisico snello e tonico e con indosso comode mutande di cuoio.
Crysos inarcò un sopracciglio. “Non c’era bisogno di fare tutta quella scena; dopotutto non sei proprio nudo come un verme”.
“Meglio essere prudenti fratellino” Disse con tranquillità Acubens asciugandosi con uno straccio. “Le signore sono obbligate ad uccidere od ad amare l’uomo che le guarda il volto senza maschera figuriamoci se beccano un uomo seminudo, meglio non scombussolarle troppo”.
Crysos scosse la testa e si alzò in piedi raccogliendo i lunghi capelli dietro le orecchie e spolverandosi la sabbia dall'armatura d’oro dei pesci. Acubens voleva farsi un bagno quel giorno e aveva seguito il fratellino promettendo di non disturbarlo nella meditazione.
“Comunque hai ragione fratello, se il Gran Sacerdote ci chiama vuol dire che ci sono problemi in arrivo”.
“Come se quelli dell’anno scorso non fossero abbastanza”
Con un gesto Acubens richiamò la sua armatura ed essa si dispose sul suo corpo: un'armatura d’oro con un casco a forma di zampe di granchio.
I due fratelli si misero in marcia ed in una rapida corsa tra le rocce giunsero in vista della valle nascosta intorno ad Atene in cui sorgeva il Grande Tempio, luogo principale delle schiere de Cavalieri di Atena.
Giunti rapidamente davanti alla Prima Casa dello Zodiaco, cominciarono a salire la scalinata che li avrebbe portati alle stanze del Grande Sacerdote del Grande Tempio, in cima al monte su cui v’erano arroccate le Dodici Case dello Zodiaco.
Quando camminavano a fianco od erano semplicemente insieme, i due fratelli costituivano una coppia abbastanza particolare; avevano solo due anni di differenza e Acubens era il maggiore, ma nessuno di loro due aveva ereditato i capelli neri o gli occhi scuri della madre; tutti e due portavano i capelli biondi e gli occhi azzurri del padre, una delle tante guardie variaghe che giunte dalla lontana Kiev prestavano servizio come guardie reali dell’imperatore di Miklagaard, ovvero di Costantinopoli.
Acubens sosteneva spesso che solo Crysos aveva ereditato la bellezza della loro defunta madre, ed in effetti Crysos era davvero un uomo molto bello, ed i lunghi capelli biondo oro li donavano parecchio.
Grazie alla loro velocità non ci misero molto ad arrivare in cima alla scalinata e davanti all’edificio principale sulla cima del monte anche se Acubens commentò: “Certo che tu sei fortunato fratellino: hai meno scalini da fare quando il Gran Sacerdote ti chiama”
Senza indugiare oltre i due cavalieri d’oro entrarono nella sala del trono del Gran Sacerdote, dove trovarono l’uomo seduto su trono avvolto nei suoi abiti suoi abiti cerimoniali e col particolare elmo dorato che gli celava quasi tutto il volto.
“Crysos dei Pesci e Acubens del Cancro! Benvenuti!”
Vicino al trono era seduto , su uno sgabello, un giovane di carnagione scura con corti capelli neri ed occhi scuri. Indossava una armatura d’argento composta da gambiere complete, cinturino, bracciali e un pettorale sormontato da un coprispalla arrotondato a destra ed allungato a sinistra, l’elmo era solo un diadema.
Si notava che attorno alla testa era avvolta un benda e si vedevano altre sotto il pettorale; l’armatura poi era crepata in certi punti e lo stesso guerriero esibiva un’aria sfinita.
Problemi grandi, si disse Crysos, ben sapendo che un Gran Sacerdote non chiamava mai a caso un cavaliere dorato.
“Ebbene?” domandò Acubens, “Ho ragione nel pensare guai in arrivo?”
“Temo di sì” aggiunse il Gran Sacerdote serio. “E questi guai fanno capo ai Rinnegati”.
I due fratelli si irrigidirono: “Ancora loro?” mormorò il cavaliere del Cancro.
Crysos  rimase in silenzio, l’espressione fredda, ma la mente andava ai giorni in cu i Rinnegati erano come loro, cavalieri come loro e tutti nello stesso gruppo.
“In che modo si sono fatti vivi?”domandò il Cancro.
“Sulla mia pelle!” sbottò il cavaliere d’argento lì seduto.
Il Gran Sacerdote aggiunse: “Costui è Jamal della Freccia, da poco nominato cavaliere d’argento”.
“Sei stato aggredito da loro?” domandò Acubens.
“Uno di loro”.
“Racconta a loro quello che ha raccontato a me” disse il Sacerdote.
Annuendo, Jamal Iniziò a spiegare.
 
 
Dopo aver preso una sufficiente rincorsa Jamal spiccò un balzo e caricata la gamba destra di Cosmo, atterrò su uno spuntone roccioso che andò in frantumi. Rimessosi in equilibrio Jamal sorrise: “Perfetto, con costante allenamento diventerò un cavaliere d’argento di valore!”
Gettò un sguardo intorno osservando l’arida e rocciosa zona ch circondava il Mar Morto, noto mare interno della Palestina. Poco dopo la nomina a cavaliere, Jamal era andato in quei vecchi luoghi del suo apprendistato per perfezionarsi.
Era ormai il tramonto ed il sole rosso tingeva le rocce di strani colori e varie sfumature rossastre.
Stava per concentrarsi su qualche altro esercizio quando il suo sguardo fu attratto da qualcosa: due figure si muovevano veloci a distanza, nella valle. Inizialmente pensò ad un scherzo della luce ma poi vide chiaramente due  uomini. Incuriosito si mise a seguirli a distanza, domandosi cosa li portava in quelle regioni desolate.
I due giunsero infine ad un parete rocciosa in una valle, un luogo costellato di grotte, che Jamal non aveva mai visto prima anche se non era lì da molto. Qui li vide bene: e notò subito che uno dei due era cavaliere d’argento: l’armatura argentata non lasciava spazio a dubbi: esso era un ragazzo dai capelli castani con indosso un armatura standard ch gli copriva polpacci, avambracci, petto e testa, ed accanto a lui vi era un giovane uomo alto e slanciato, vestito di semplici abiti da beduino con la pelle scura ed  i capelli bianchi.
“Sicuro ch sia qui? domandò il bianco.
“Certamente; grotta destra, cerca in fondo!” rispose il cavaliere d’argento indicando un grotta seminascosta dai massi.
“Vedremo se tu e gli altri siete in buona fede”.
“E a che pro mentire amico? Ti abbiamo detto la verità e vedrai che non mentiamo neanche su quegli oggetti nel Taigeto e nel Regno Dorato!”
Il bianco non rispose e si addentrò il quella grotta senza indugio.
Jamal, nascosto tra le rocce soprastanti osservava quell’individuo chiedendosi che fare, la testa avvolta da diverse domande, quando ricordò qualcosa ch aveva sentito al Grande Tempio: un anno fa alcuni cavalieri d’argento erano stati cacciati dal Gran Sacerdote perché…
BRANG!
Un fascio di Cosmo disintegrò la roccia dietro cui si nascondeva, sbalzandolo a terra.
“Credevi di sfuggire ai miei sensi, spia? Nessuno si nasconde facilmente a me!”
Jamal si rialzò e fronteggiò l’avversario: aveva occhi verdi con una luce crudele.
“Chi sei?”
“Sono Federico del Cane Maggiore, e tu?”
“Jamal della Freccia!” rispose fieramente. Federico sorrise in modo preoccupante. “Oh, scommetto che sei stato nominato da poco vero? L’anno scorso non c’era alcun cavaliere d’argento con quell’armatura”.
“Tu….. sei un quei cavalieri d’argento banditi, vero?”
“Ha indovinato pivello, e visto che se qui… prendi!”
Un altro fascio di cosmo colpi Jamal, che lo parò appena in tempo coll'avambraccio, ma venne scaraventato lontano, andando a sbattere contro un parete. Federico gli fu addosso in un e cominciò a riempirlo di pugni. Jamal cercò disperatamente di difendersi ma il tipo colpiva forte e preciso.
“Tutto qui pivello?” Lo afferrò per le giunture dell’armatura e lo scagliò verso le grotte, sbattendolo per terra, poi spiccò un salto per piombargli addosso col piede destro su torso, ma Jamal rotolò di lato e il colpo impatto al suolo sollevando detriti.
Jamal, ammaccato, imprecò sottovoce: quel maledetto era davvero forte. Rapidamente si rimise in piedi e si allontanò per evitare altri pugni.
“Forza pivello, fammi vedere se ti meriti quell’armatura!
“Certo! Phantom Arrow!”
Stendendo il braccio destro sparò l’avversario un salva di frecce dorate, ma con suou grande stupore questi le evitò tutte.
“Cosa? Ma quanto è veloce?”
“E questo schifo lento sarebbe un attacco? Guarda qua! Assalto frantumante!”
Un pungo destro lanciato a velocità sfruttando al velocità della rincorsa colpì in pieno petto Jamal, facendogli scavare un solco su terreno quando finì a terra. Prima che potesse rialzarsi Federico gli fu addosso riempiendolo di calci massacranti.
Poi stanco di malmenarlo lo afferrò per il bavero, alzandolo da terra per guardarlo negli occhi. “Sai che fine fanno le spie vero?”
“Non vi stavo spiando!” ringhiò Jamal, sentendosi male dappertutto.
“Davvero? Beh, senza volerlo l’hai fatto perciò…”
Alzò il pugno destro quando un voce risuonò nella valle.
 “Che succede ?”
Sulla soglia della grotta era apparso Naja, il volto serio.
“Saluti Naja” sorrise Federico, “Trovato ciò che cercavi?”
“Sì, le tue informazioni erano esatte” rispose quello mostrando un piccolo fagotto che teneva nella mano destra. “E quello?”
“Oh, un pivello appena entrato nei Cavalieri d’Atena”
“Ci stava spiando?”
“Nah… ha detto di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato”.
“Uccidilo” disse freddamente il bianco.
Federico ghignò e rivolgendosi a Jamal disse, “Sentito? Devo portarti al cospetto della morte a quanto pare…”
Jamal strinse i denti. D’istinto voleva lottare fino a che aveva un briciolo di forza…
“Ma non lo farò”.
“Eh?”
“Che vai blaterando? Ci ha visti”.
“No Naja, voglio che vada dagli altri servi di Atena e gli dica che presto i Rinnegati avvranno la loro rivalsa!”
“Secondo me…”
“Dai su! I Cavalieri di Atena sono affari nostri ricordi i patti? Voi avrete gli oggetti e noi i cadaveri di questi pezzi di sterco!”
Naja rimase a lungo in poi scrollando le spalle disse: “Fa come vuoi”.
Federico sorrise e avvicinando il viso ad un centimetro a quello di Jamal per guardarlo negli occhi li disse:“Dì al tuo Gran Sacerdote che sentirà presto parlare di noi e che avremo la nostra rivincita!”
Detto fatto lo getto a terra e lo lasciò lì dolorante mentre  lui ed il suo compagno, quest’ultimo dopo avergli gettato un’ultima occhiata, se ne andarono.
 
 
“ ..e questo è quanto. Appena ho potuto muovermi mi sono precipitato qui”.
I due fratelli rimasero un attimo silenziosi, poi a rompere il silenzio fu Acubens: “Gran Sacerdote, secondo che cosa stanno macchiando quei bastardi?”
“Piuttosto”, intervenne il fratello minore, “Come fa ad indossare ancora un’armatura d’argento? In teoria non ne ha più il dritto e la stessa corazza si rifiuterebbe di essere indossata da un simile cavaliere”.
“Giusta osservazione” disse il vecchio sacerdote, “ma presumo che quella sia solo un copia di forma simile alla precedente corazza, la domanda è: chi l’ha fabbricata?”
Nella sala seguì un attimo di silenzio, rotto dal cavaliere della freccia:
“Ed il compagno? Quel Naja?”
“Su ciò non saprei esprimermi…” Il vecchio Sacerdote scosse la testa. “Ritirati pure ragazzo e considerati fortunato: poteva finire molto male”
Spero solo di farmi valere su quel bastardo rinnegato!” Prima ch rispondesse, il Gran Sacerdote fu preceduto da Acubens: “Calma ragazzo, se vuoi sfogarti allenati intensamente”.
Jamal lo guardò per un attimo poi uscì, dopo un rispettoso inchino al Gran Sacerdote.
Dunque dal racconto di Jamal pare evidente che questi reietti hanno trovato l’aiuto di uno o più guerrieri ignoti attraverso il classico scambio di favori. Ho convocato voi due perché spetterà a voi fermarli e far luce su questo mistero”.
Sarà fatto, Gran Sacerdote” disse Acubens “Vediamo, sappiamo dove intendono agire in futuro: il Taigeto e questo Regno Dorato, qualunque cosa sia”.
“Ma cos’è?” disse Crysos.
Il Cancro lo guardò stranito.“Credevo fossi tu quello che sapeva tutto fratellino!”
“Io non ne ho mai sentito parlare”.
“Io sì”.
I due si voltarono verso il Gran Sacerdote si era alzato dal trono e stava passeggiando per la stanza. Si notava subito l’alta statura nonostante l’età non più giovane. I due fratelli sapevano che era un ex Cavaliere d’Oro del Toro.
“Ci dica Gran Sacerdote, cosa sa su questo “Regno Dorato?”
Alla domanda di Crysos l’uomo restò un attimo in silenzio poi si risedette sul trono.
“E’ una storia complessa, cercherò di riassumerla…”




Spero che continuerete a seguire la storia! E prima di chiudere:
SONG APERTUTA AI CAPITOLI: SOLDIER DREAM
SONG CHIUSURA AI CAPITOLI: ARCOLUNA / GEKKOU (Ending degli ONA di Sailor Moon Crystal)

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Capitolo 2
*** Il Regno Dorato ***


Capitolo 2 - Il Regno Dorato


Il Gran Sacerdote si apprestò a raccontare tutto quel che sapeva sul misterioso "Regno Dorato".
“Venni a conoscenza del Regno Dorato tanti anni fa, quando ero ancora giovane e portavo l’armatura d’oro del Toro”.
“Ai tempi venni mandato in missione in Mesopotamia, nella città nota come “Baghdad” e le circostanze mi spinsero fino a Samarcanda, città importante per il commercio della seta dalla Cina all’Europa. Lì ebbi modo di parlare con un mercante proveniente dalla Cina che mi raccontò una leggenda diffusa nella sua terra: oltre i confini del Celeste Impero, oltre le steppe attraversate dai nomadi, si estendeva lungo le sponde del Mar Caspio, un rigoglioso Regno Dorato”.
“Esso è abbastanza noto trai popoli dell’Europa, del Medio Oriente e della Cina, sebbene in modo assai vago e pare che le sue frontiere siano inaccessibili ai più”.
“Fu fondato dagli uomini in tempi remoti e mi raccontò in ogni modo come in quel regno gli uomini vivessero in un tale fasto ed in una tale felicità che gli altri comuni mortali se la sognano. “Le pietre preziose sono sassolini con cui giocano i bambini”*, così disse per indicare quanto era ricco questo regno. Gli era giunta inoltre voce che i sovrani di quel regno si proclamassero discendenti di sangue del mitico Endimione”.
“Questo cavalieri, è tutto ciò che so sul Regno Dorato”.
I due cavalieri rimasero zitti per qualche attimo, poi Acubens commentò: “Bene, a quanto pare sappiamo dove cercare questo bel posto: Mar Caspio. Ma... ehm, riva precisa?”
”Non so dirti”.
Acubens borbottò qualcosa ed il fratello aggiunse: "Ma non dimentichiamo che i Rinnegati vogliono agire anche nel Taigeto, la catena montuosa del Peloponneso".
“Ma esattamente chi è questo Endimione?”
“Endimione” spiegò Crysos alla domanda del fratello, “era, stando ad alcune fonti, un semidio figlio di Zeus, rinomato per la sua bellezza. Si unì in matrimonio con la dea delle fasi lunari, Selene, ed ebbero ben cinquanta figli”.
Acubens fischiò. "Accipicchia, cinquanta? Sapevano proprio come divertirsi quei due, eh. E sarebbe vero che i sovrani di questo regno sono i suoi discendenti, proprio come affermano di essere?”
“Così pare” rispose il vecchio sacerdote. “Ma Endimione è realmente esistito nell’epoca mitica, come attestano antichi documenti conservati in queste sale, e non è da escludere che i suoi discendenti abbiamo davvero fondato questo regno”.
Il Gran Sacerdote si alzò in piedi: “Ora basta parlare, cavalieri, vediamo di agire: sappiamo dove colpiranno i Rinnegati ed loro alleati: il Taigeto e il Regno Dorato. Crysos, tu andrai al Taigeto, mentre tu Acubens, viaggerai fino al Regno Dorato coi tuoi mezzi: lì prenderai contatti coi regnanti per trovare insieme un modo per gestire questa situazione”.
Alzò la mano destra. “Andate Cavalieri! E che Atena guidi le vostre azioni!”
 
 
Naja e Federico camminavano a passo svelto in una galleria sotterranea, preceduti dalla luce d’una torcia portata dall’ex cavaliere d’argento.
La luce delle fiamme proiettava i giochi di ombra più svariati sulle pareti formate da blocchi di pietra della galleria.
Silenziosi, proseguirono finché non giunsero in una grande sala dalle pareti e dal pavimento di pietra, spoglia d’ogni mobilio, dal soffitto a cupola, rischiarata quel tanto che bastava da vari bracieri sparsi regolarmente attorno alle pareti.
“Federico. Naja. Fatto buona caccia?”
“Direi proprio di sì, Artemisia” rispose Federico buttando la torcia in un dei bracieri e soffermandosi con lo sguardo sulla figura al centro della sala: un donna alta ed avvenente, dal fisico ben proporzionato e dal volto affascinante, con lunghi capelli neri che le cadevano sulle spalle ed occhi verde smeraldo che però trasmettevano un’aria crudele che ti impediva di fissarli troppo a lungo.
Su un corsetto in pelle sbracciato e pantaloni attillati con stivali, portava un’armatura abbastanza semplice: due ginocchiere che coprivano le rotule, un bracciale sull’avambraccio sinistro, un doppio coprispalla sinistro, un pettorale simile ad un reggiseno, ed un diadema trai capelli.
“L’oggetto che i nostri amici cercavano è stato recuperato senza incidenti” continuò Federico.
“Non ti allargare troppo” ribatté freddo Naja “ Noi non siamo amici siamo solo alleati; voi date una mano a noi per risolvere le nostre faccende e noi vi aiutiamo come meglio possiamo e poi ognuno va per la sua strada”.
“Va bene ho capito, l’avevate specificato sin dall’inizio”
“E comunque quel cavaliere di Atena…”
“Cavaliere?” Artemisia interruppe Naja. “C’era un cavaliere di Atena sul luogo?”
“Il cavaliere della freccia” spiegò Federico. “Un guerriero molto scarso debbo dire” aggiunse poi con un ghigno.
“Secondo me doveva morire” ribatté Naja.
“No” disse Artemisia. “Che sappiano che noi non ci siamo arresi quando ci hanno cacciati dal Grande Tempio”.
Naja rimase un attimo in silenzio, poi fece spallucce. “I Cavalieri di Atena sono faccende vostre, certo, ma se fermeranno anche noi, e non solo voi, - sottolineò fortemente i pronomi - sarà perché non mi avete fatto uccidere quel cavaliere”.
“Non sostieni sempre che tu ed il tuo amico Hyksos possedete una grande forza?” fece Federico.
“Sì, abbiamo un forza pari ai Cavalieri d’Oro, ma siamo solo due mentre ora come ora i cavalieri dorati sono otto: c’è un disparità un po’ forte di numeri”.
“Ed il vostro signore? Non li può annientare facilmente?”
“Non è nelle condizioni idonee, lo sapete” sollevò il fagotto che finora aveva tenuto  sottobraccio, rivelando una piccola cassetta di legno molto antica. “E’ per questo che ci serve la vostra collaborazione: col vostro aiuto e le vostre informazioni possiamo recuperare tutti gli oggetti che servono al nostro scopo”.
“Sta bene, allora come ci muoviamo adesso?”
A parlare era stato un giovane uomo basso e ben piazzato, con folti capelli neri ed occhi neri come la pece la pece. Indossava anch’egli un’armatura d’argento, somigliava abbastanza a quella di Federico, ma sul bracciale destro portava un piccolo scudo di forma triangolare.
“Ci siamo già mossi Georgios” rispose Artemisia al nuovo venuto.
“Ora ci concentreremo sugli oggetti situati nel Taigeto e nel Regno Dorato: in missione in quel lontano regno ci ho spedito Daniel. Sa nascondersi bene, quindi non avrà problemi ad intrufolarsi di nascosto al palazzo. Quanto al Taigeto c’ho mandato… beh c’ho mandato Arles”.
“Arles!?” Georgios sbarrò gli occhi. “Ma quello è completamente matto, e…”
“No, è peggio; è più che matto” aggiunse Federico. “Perché l’hai mandato…”
“Perché ha insistito, ecco perché! Sapete com’è quando si intestardisce su qualcosa: nessuno riesce a tenerlo!”
“Sì, è intenibile, però…”
“Fatemi capire!” intervenne Naja irritato interrompendo Georgios. “Avete mandato per un compito importante un folle?”
“Come t’ho detto Naja, Arles diventa intenibile e violento quando gli neghiamo qualcosa. Ma non preoccuparti: il tuo compare gli è andato dietro proprio per tenerlo d’occhio”.
Naja rimase un attimo silenzio, rimuginando tra sé: sapeva che Arles era un folle ma se c’era Hyksos al suo seguito poteva stare tranquillo, e poi… beh, se Arles ci lasciava le penne per qualche comportamento stupido, era sicuro che nemmeno i suoi compagni l’avrebbero pianto.
“D’accordo, si proceda così”.
“Attenderemo nuove dagli altri, per ora stiamo in guardia” concluse Artemisia.
I Rinnegati se ne andarono, lasciando Naja solo nella sala. Dopo un attimo in cui rimase fermo, aprì la casetta osservando il suo contenuto: una lunga striscia di cuoio intrecciata, parecchio logora ma abbastanza conservata.
“La Fionda di Re David. Il giovane la usò per vincere Golia, il campione dei Filistei noto per la sua stazza. In seguito alcuni ebrei presero l’oggetto e l nascosero in quella gotta reliquia preziosa della loro storia, ma l’oggetto venne quasi dimenticato forse come conseguenza dell’esilio a Babilonia. Ma non andò del tutto perduto l’oggetto: se non era per i nostri alleati io ed Hyksos non l’avremo di certo trovato”.
Richiusa la cassetta, Naja si augurò che in futuro non sarebbero emersi troppi intoppi, soprattutto per colpa dei Cavalieri di Atena. Ma… in fin dei conti i loro alleati servivano anche per distrarre i Cavalieri di Atena il tempo necessario.
Sì, non importava se i loro alleati ci avessero lasciato la pelle in tutta quella accenda: alla fine l’importante era che lui ed Hyksos avessero accolto il loro signore quando sarebbe tornato.
 
 
Sulle verdi colline attorno al Grande Tempio i due fratelli si salutarono prima di partire.
"Buona fortuna fratellino, e cerca di tornare tutto intero".
"E tu comportati bene, Acubens, sii gentile e rispettoso coi regnanti".
Il cavaliere del Cancro rise. "Tranquillo Crysos, sono greco per metà: ho ereditato anche le buone maniere, anche se (fortunatamente) non la voglia di fare sempre oratoria".
Crysos sorrise, poi lui ed il fratello presero strade diverse, pronti a svolgere i loro compiti e perché no, pronti per l'avventura.


Era un giorno di festa nel palazzo del regno: tutti i nobili e le persone che contavano, ma anche semplici curiosi, si erano radunati nella grande sala del trono.
Addobbata a festa, la sala appariva ancora più magnifica del solito: rose e splendidi arazzi decoravano le pareti, mentre un magnifico tappeto rosso conduceva dall’ingresso fino all’estremità in cui erano piazzati il trono del re e due sedie ai lati su cui sedevano la moglie e l’erede al trono.
Quattro figure sulla soglia del portone, si fecero avanti camminando fianco a fianco, il passo fiero e marziale.
Giunti davanti al trono si bloccarono, allineati sull’attenti.
Il re, alzatosi dal trono, dichiarò a gran voce affinché potessero udire tutti: “Giovani cavalieri! Oggi è il giorno che cambierà le vostre vite, oggi sarete tutti gli effetti le guardie del corpo del mio figlio ed erede! La sua vita, da ora in avanti, è affidata a voi, finché non ascenderà al trono del regno e non genererà degli eredi a sua volta. La sua vita è preziosa, e voi abbiatene cura più della vostra stessa vita”.
Detto questo si risedette, poi il principe si alzò ed avanzò mettendosi davanti a loro. Come da etichetta le future guardie del corpo pronunciarono il loro giuramento di fedeltà.
Uno d l’altro i quattro giovani, in un svolazzamento di mantelli, sguainarono le spade e le misero davanti al volto pronunciando i loro titoli.
“Jadeite, cavaliere di pazienza e armonia!”
Un giovane ragazzo con folti e corti capelli biondi ed occhi azzurri.
“Nephrite, cavaliere di intelligenza e conforto!”
Un bel giovane coi lunghi ed ondulati capelli castani che gli piovevano sulle spalle.
“Zoisite, cavaliere di purificazione e guarigione!”
Un giovane avvenente dai capelli biondi molto lunghi raccolti in un coda di cavallo che gli scendeva lungo la schiena.
"Kunzite, cavaliere di purezza e affetto!”
Un giovane altrettanto attraente con lunghi capelli lisci d’un colore bianco-argenteo che gli scendevano lungo le spalle.
“La nostra vita è vostra Principe Endymion!” Ripeterono in coro.
Il principe sguainò a sua volta la spada e tenendola alta dichiarò: “Ed io mi affido a voi affinché la pace e la prosperità non abbandonino mai il nostro regno”.
Seguirono applausi nella sala, a festeggiare i quattro giovani del Regno Dorato.

 
Seguì un piccola festa nel cortile del palazzo: era sera ed il cortile era illuminato a giorno dai lampioni. Al centro c’era una fontana che per l’occasione era stata modificata: anziché acqua gorgogliava vino. Il Principe Endymion aprì le bevute riempiendo un calice e facendo un brindisi.
In seguito mentre gli invitati chiacchieravano e mangiavano il cibo posto sui tavoli, il Re si avvicinò al figlio.
Erano molto simili: alti, dal portamento fiero ed aristocratico e di bell'aspetto. Entrambi avevano occhi azzurri e corti capelli neri. Il padre però aveva molti capelli grigi nella sua chioma che nascondeva tingendoli di nero con apposite tinture.
“Ebbene, figlio mi, oggi  ho rivisto me stesso, quando mi vennero affidati i miei protettori. Debbo dire che vedere Kunzite, m’ha messo addosso nostalgia”.
“Era davvero un valoroso guerriero suo padre?”
“Sì.” Il Re sospirò, negli occhi il rammarico. “Amici sin dall’infanzia. Almeno finché…”
“Sono sicuro che Kunzite si farà valere come suo padre, maestà!”
A parlare era stato un uomo dai capelli grigi e folti baffi dello stesso colore. Endymion sapeva chi era: Gabriel, fratello del padre di Kunzite ed anche lui guardia del corpo di suo padre ai vecchi tempi.
"Tuo nipote farà onore alla memoria del mio povero amico, non ne dubito!”
Endymion scoccò un’occhiata a Kunzite non molto lontano che gli sorrise leggermente, forse intuendo quello di cui parlava suo zio. Era cresciuto sentendo parlare lo zio del valoroso sacrifico di suo padre in nome dell’amicizia, e non pretendeva  di fare altrettanto, ma chissà.


La festa proseguì senza intoppi, tutti si divertirono, bevettero e ballarono. Le danze furono aperte da Kunzite, anche Nephrite e Jadeite scesero nella pista da ballo con dame al seguito. Zoisite non ballò ma si offrì di animare le danze suonando personalmente il pianoforte, alla fine tutti gli fecero un meritato applauso, in quanto aveva davvero un grande talento in quel campo.
Quando tutto fini, tutti si ritirarono nelle proprie dimore.
Il Principe, mentre andava verso le sue stanze fu chiamato da una voce femminile: “Sire!”
Riconoscendo la voce, l’erede al trono si girò verso destra e vide una donna dai lunghi capelli rossicci e gli occhi castani vestita con una lunga veste bianca. Sapeva già chi era dalla sua voce.
“Buonasera Beryl”.
“Altrettanto. Non abbiamo avuto occasione di parlare oggi; vi dispiace se vi accompagnò alle vostre stanze?"
La donna sorrideva gentilmente, ed il principe ricambiò il sorriso. “Nessun disturbo”.
Congedate con un cenno del capo le ancelle che la seguivano, Beryl si affiancò al principe e camminarono insieme.
Beryl faceva parte di una delle famiglie più in vista dell’aristocrazia del regno; ultima rappresentante della sua famiglia, era entrata nel consiglio del sovrano senza troppi problemi, date le sue doti diplomatiche.
I due camminarono fino alle stanze del Principe, parlando del più e del meno, e quando passarono davanti ad un vetrata che dava una magnifica vista sulla città con la luna piena sullo sfondo, il principe rallentò per ammirare la visuale, estraniandosi dalle parole di Beryl.
“Sire? Sire!”
Endymion si riscosse e tornò a fissare la donna, vedendo che lo stava fissando con aria curiosa.
“Oh, scusa guardavo la città”.
“Avevate lo sguardo rivolto verso la volta celeste, veramente”.
Endymion sorrise.
“Non sfugge niente ai tuoi occhi vero? Comunque sì, in realtà stavo guadando la Luna è strano, forse sarà un mio vezzo, ma ultimamente penso spesso al regno della Luna”.
Beryl fece spallucce.
“Oh beh, si raccontano tante storie su quel regno…”
Già molte erano le storie che circolavano…  ma Endimyon ora sapeva che molte cose che si dicevano sul Silver Millennium, il Regno Argentato, o sui suoi abitanti erano false o semplici dicerie.
Giunti alla camera salutò la donna ed entrò, ma mentre si coricava sul letto guardò nuovamente la Luna dalla finestra, la mente persa dietro i ricordi.

“Parlami del tuo regno, dimmi com’è.”
 
 
 
 
 
* Piccola citazione a Tolkien così era descritto il regno di regno di Gondor all’epoca del suo massimo splendore.
Nota: Molte cose sulla vita personale del Principe Endymion o dei quattro Shittenou sono di mia invenzione (la Takeuchi d’altronde non ha approfondito molto questo aspetto). L’idea che Beryl fosse un membro del consiglio è di Suikotsu.

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Capitolo 3
*** Taigeto ***


Capitolo 3 - Taigeto
 
 
Il Taigeto. La catena montuosa che percorreva il Peloponneso, e separa la Laconia dalla Messenia aveva un suo personale fascino, come tutti i posti selvaggi ed incontaminati dall’uomo. La montagna è ricoperta di neve anche in maggio e in giugno, e da essa scendevano una miriade di torrentelli che confluiscono nel fiume chiamato Eurota.
I monti che dominavano le rovine di Sparta avevano una triste fama nota a molti: nell’antica Sparta tutti i neonati deformi venivano abbandonati sui contrafforti dei monti, lasciati a morire in pasto alle fiere o per le intemperie.
Curioso come ciò che un tempo veniva considerato necessario per il benessere della patria ora era un peccato punibile all’Inferno.
Ma il cavaliere d’oro dei Pesci non era al Taigeto per riflettere sugli usi di  persone scomparse secoli fa ed aguzzò la vista per scorgere eventuali figure sospette che si muovevano furtive nella boscaglia, espandendo contemporaneamente suoi sensi così da percepire il Cosmo emanato da soggetti estranei ma per il momento non accadeva  nulla di strano.
Per ora.
Non si era ancora fatto vivo nessuno, ma sarebbero arrivati: Jamal aveva sentito bene i loro discorsi.
Crysos pensò che poco prima di partire, Jamal gli aveva chiesto il permesso di partire con lui, ma Crysos glielo aveva negato.
“Non ti sei ancora ripreso”. Gli aveva detto. “Non farti trascinare dalla vendetta e dall’ira o ti metterai allo stesso livello dei rinnegati!”
Era stata la rabbia a portare via i rinnegati, promettenti cavalieri, dal Grande Tempio, ed il Gran Sacerdote si rammaricava di non aver saputo porvi un adeguato rimedio.
D’un tratto percepì il movimento di qualcuno, ed accelerato il passo, si portò su un costone della montagna: una figura si muoveva in mezzo alla boscaglia, apparentemente verso un metà ben precisa e chiara in mente, vista la sicurezza con cui si muoveva.
Crysos decise di farsi avanti e sbucandogli alle spalle ordinò:
 “Fermo dove sei!”
Il Rinnegato si presentava come un guerriero alto e possente con braccia muscolosissime e  gambe grosse. Portava corti capelli neri ed una barba incolta dello stesso colore. Gli occhi nerissimi sprigionavano un’aria da pazzo che anche uno sciocco avrebbe colto.
L’armatura d’argento si componeva di busto, schinieri e bracciali assi metrici. Vi era un solo coprispalla sul lato sinistro, e l’elmo era a maschera e copriva fronte e lati del viso.
Impugnava una grande ascia bipenne dal manico lungo che poteva essere impugnato con due mani.
“Cavaliere di Atena” sorrise sadico voltandosi. “La sorte mi arride: ho l’occasione di abbattere i miei nemici!”
Il suo Cosmo cominciò ad avvampare, mentre si metteva in posizione da combattimento reggendo a due mani l’ascia.
Crysos non si scompose minimamente.
“Sai che succede a chi pecca di superbia?”
“Cadi!”
L’attacco con l’ascia fu evitato facilmente, ed anche i fendenti sferrati di seguito fecero cilecca: il cavaliere era troppo rapido e li schivava tutti.
Infine Crysos sferrò un calcio rotante sulla mascella dell’avversario che mandò a gambe all’aria l’omone, che cadde terra con un sonoro tonfo ma si rialzò subito.
“Non mi piegherò così facilmente!”
Bruciato il cosmo, il cavaliere ripartì all’attacco menando fendenti con l’ascia bipenne all’impazzata, ma di nuovo Crysos riuscì a schivarli.
“Reagisci bastardo! Piantala di schivare!”
“Subito!!”
Un nuovo calcio sferrato dal cavaliere dei pesci buttò a terra il rinnegato.
“Tu sei Arles di Eracle, giusto?” domandò poi. “La descrizione corrisponde”.
“Sì, sono io!!” Tuonò il bestione barbuto. “ IO SONO IL GRANDE …”
Un pungo allo stomaco sferrato con forza lo fece piegare in avanti.
“Risparmiamelo, e preparati a rispondere a diverse domande”.
Urlando di rabbia, Arles bruciò il Cosmo ancora di più, ma il cavaliere d’oro non si scompose minimamente.
“E’ inutile che bruci così tanto il cosmo…”
Un fendete caricato di energia spaccò il terreno, ma non colpì il cavaliere dorato.
“Grazie al settimo senso  un cavaliere d’oro ha forza e velocità molto superiori alle tue, dovresti saperlo…”
Un fendete lanciato in orizzontale fu evitato semplicemente piegandosi all’indietro e la lama passò innocua vicino al volto del cavaliere.
“Ma forse un pazzo come te fa fatica a comprenderlo un così semplice concetto. Royal Demon Rose!”
Un serie di rose rosse venne lanciata contro il guerriero d’argento che le prese in pieno, urlando: “Delle semplici rose non possono fermare… ugh!”
Improvvisamente si sentì girare la testa ed avvertì un senso di spossatezza. Pure il suo cosmo diminuì d’intensità
“Attento: le mie rose rosse sono letali; il loro profumo ti condurrà presto alla morte, in maniera indolore”.
“Gr… Lurido...” Arles bruciò il cosmo cercando di destarsi. "IO SONO L’INCARNAZIONE DI ARES, IL DIO DELLA GUERRA, NON MI FARO’ UMILIARE  IN QUESTO MODO”.
“Sei solo un povero pazzo”.
“NON MI PIEGHEROOOOOOOOOOO’!!”
Caricata l’ascia di cosmo l’alzò.
“AVVENTO DELLA GUERRA!”
Il colpo creò un fendente luminoso che spaccò il terreno dirigendosi verso Crysos, ma il cavaliere d’oro bruciò il cosmo dorato a sua volta ed alzò le mani.
Finito tutto, Arles fissò ghignando il punto in cui aveva colpito Crysos, per poi rimanere di stucco quando vide l’avversario ancora in piedi, soltanto con l’armatura leggermente ammaccata.
“Ti avevo avvertito sul destino dei superbi. Royal Demon Rose!”
Le rose rosse colpirono ancora il guerriero barbuto, che si sentì ancora più debole. Cercando di reagire alzò di nuovo l’ascia, ma un colpo gliela strappò dalle mani, poi un pungo allo stomaco lo fece piegare in due ed un pungo al mento lo spedì per terra a pancia in giù.
Frastornato, Arles cercò di rialzarsi, ma Crysos gli mise un piede sulla schiena bloccandolo.
“Parla: come hai ottenuto questa replica della tua armatura? E d dove arriva quell’ascia?”
“Vai a farti fottere!”
“Risposta chiara e semplice. Beh…”
Alzò la rosa per colpire il nemico e finirlo, ma aguzzando i sensi fece un salto all’indietro per evitare un fascio di energia lanciato contro di lui.
“Con calma cavaliere, siamo in due ora!” gridò un voce maschile.
L’uomo apparso era alto e forte, di carnagione medio orientale con una lunga barba intrecciata con fili colorati rossi. Indossava delle semplici vesti da beduino, ma si percepiva un cosmo da non sottovalutare.
Crysos si accigliò.
“E tu saresti...?”
“E tu che fai qui? Ho detto che ci pensavo io!” tuonò Arles.
“Infatti si vede: stavi per farti ammazzare” disse con palese ironia il nuovo venuto.
Ironia che mandò in bestia Arles. “Non osare insultare me, io che sono…”
“Piantala, non mi interessa chi sei o chi ti credi d’essere. Vediamo di completare la missione”.
Stavolta Arles si rialzò in piedi.
“La missione è mia!! E non metterti di mezzo, altrimenti…”
“Cosa?”
Con un ruggito, Arles lo caricò cercando di prenderlo a pugni, ma il cosmo dell’altro esplose forte e vigoroso come non mai. Nonostante fosse meno grosso  il nuovo venuto lo colpì prima al petto con un calcio poi con un’altra pedata al volto che lo spedì nel mondo dei sogni.
“Tsk patetico, sarà un superuomo ma ce ne vuole per competere con noi”.
Crysos lo fissò guardingo. Il suo cosmo… era pari a quello di un cavaliere d’oro.
“Chi sei?”
“Il mio nome è Hyksos, altro non ti dirò”.
Pareva un conoscente del Rinnegato, come quel tipo che accompagnava l'ex cavaliere del Cane Maggiore.
"Sei forse un amico di Naja?”
“Mh, come lo conosci il mio camerata?”
“Un cavaliere del nostro ordine vi ha visti prendere qualcosa dal Mar Morto”.
“Ah, ecco”.
“Cosa cercate qui? Qualche altro artefatto?”
“Indovinato”. Poi Hyksos scoppiò a ridere. “Buffo: chiacchieriamo su un campo di battaglia come se fossimo tranquillamente seduti al tavolo d’una taverna con un buono boccale tra le mani!”
“Beh, io voglio risposte!” ribatté il biondo sollevando un rosa. “Cosa cercate qui?”
“Come hai detto tu, un artefatto nascosto in una grotta di questa montagna. La spada di Licurgo!”
“Licurgo?”
“Sai chi è, o no?”
"Licurgo è stato, secondo la tradizione di Sparta, il suo principale legislatore. A lui la tradizione attribuisce l'ordinamento politico e sociale di Sparta, ma tutto quanto si conosce su di lui si può dire controverso. Avrebbe preso varie misure volte a intervenire sulla vita sociale degli spartani”.
“Bene, sei informato”.
“Ho letto le Vite di Plutarco”.
Steso a terra, Arles gemette. E Hyksos ghignò.
“Sai, avrei lasciato volentieri a te questo idiota, ma un’arma per quanto bizzarra può essere utile”.
“Dimmi: a te ed al tuo amico Naja che interessa dei cavalieri d’argento banditi dal Grande Tempio?”
“Niente” rispose tranquillamente Hyksos. “Beh, con permesso, ora me ne vado”.
“E la spada?”
Hyksos rise. “Non senti?”
Crysos non capì cosa volesse dirgli ma poi avvertì uno  bagliore di Cosmo a non molta distanza sui monti, breve ma intenso ma inteso. Po nulla.
Al suo sguardo confuso, il nuovo venuto spiegò: “Sapevamo che questo idiota si sarebbe messo nei guai, così i suoi compagni m’hanno chiesto di accompagnarlo di nascosto. E per sicurezza mi sono portato dietro uno dei cavalieri d’argento. Ottima strategia, vero?"
Una strana luce nera avvolse l'uomo ed Arles, mentre il cavaliere avvertì uno strano cosmo.
"Addio!"
Un rosa fu lanciata ma non trovo bersaglio.
La luce svanì, Hyksos, Arles e pure l'ascia erano spariti.
“Maledizione! Possono teletrasportarsi? Come il Cavaliere dell’Ariete? Che storia è questa?”
Crysos imprecò mentalmente, la missione era fallita,così di botto ed inaspettatamente, e non aveva capito cosa volevano i Rinnegati, chi erano gli alleati cosa centravano quei reperti. Scosse la testa, altro non poteva fare.
“Torniamo dal Gran Sacerdote, dobbiamo elaborare un piano”.

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Capitolo 4
*** Un ladro nella notte ***


Capitolo 4 - Un ladro nella notte


Era una notte gradevole al Regno Dorato. In fin dei conti le notti di maggio sanno essere molto piacevoli: né fastidiosamente calde né fastidiosamente fredde, soprattutto quando c’è sereno. Ed il cielo era effettivamente sereno, punteggiato di stelle e con una Luna che stava entrando in fase di luna piena.
Sul Mar Caspio si rifletteva l’intreccio della volta celeste, e la città del Regno Dorato appariva splendente come sempre, sia di giorno che di notte.
Quella notte poche persone erano sveglie.
Tra queste vi era Beryl, membro del consiglio reale, di ritorno da un riunione del consiglio. Le circostanze l’avevano fatta svolgere assai tardi, ma in quell’ora erano terminate. Accompagnata da un’ancella, stava tornando verso le sue stanze.
“Le riunioni avvengono ad orari fuori luogo a volte ” borbottò l’ancella personale della nobildonna, sistemandosi colle dita alcune ciocche di capelli color acquamarina.
“Le strane vicissitudini della vita, Thetis” ribatté Beryl.
“E poi sono quasi inutili”.
“Perché? In fondo bisognava informare quei nomadi venuti dalle steppe che non siamo terra ospitale per genti ostili”.
“ Sì, ma è risaputo ch e il Re, il Principe, e le sue guardie insieme possono sconfiggere un intero esercito”.
“Si sa, alcuni pensano che siano solo storie”.
Svoltato l’angolo incrociarono una delle guardie del Principe: Nephrite.
Furono scambiati cortesi saluti e Beryl domandò: “Dove andate quest’ora?”
“Alla Torre di Osservatorio sull’ala Nord, stasera è la serata perfetta per osservare il cielo”.
La cosa non meravigliò Beryl: l’interesse di Nephrite per l’astronomia eguagliava quello di Zoisite per la musica.
“Come sono i giorni da guardie reali?” domandò Thetis.
“Non molto diversi dai  giorni di allenamento a dir la verità: la differenza è che ora ci addestriamo per tenerci in forma. Jadeite sostiene che ci vuole una grande avventura per dimostrare il nostro valore”.
“Meglio avere anni tranquilli; i problemi territoriali con nomadi li risolviamo con la diplomazia, mentre per le minacce più serie… beh alla larga!”
“Più che giusto Lady Beryl” sorrise Nephrite. “E tanto tra un anno o due Kunzite  avrà altro di cui pensare”.
“Ovvero?” chiese Beryl.
“Suo zio sta pensando di sistemarlo per il resto della sua vita con… un matrimonio”.
“Ohh…..” fece Thetis. “E con chi si sposerà?
“Lo zio ha deciso che sarà la giovane Ellen”.
Beryl rifletté un istante.
“La conosco: è la figlia d’un nobile di corte, praticamente è l’unica erede che ha”.
“Già” confermò il castano “Lord Gabriel è molto deciso su questo punto”.
Detto questo la guardia del corpo del Principe si congedò dalle due donne che ripresero a camminare perii corridoi del palazzo ed un attimo dopo Thetis commentò:
 “Ragazza fortunata quella Ellen, vero padrona?”
“Gabriel è uno avanti con gli occhi e con la mente” disse Beryl.  “Un matrimonio tra Kunzite ed Ellen porterà prestigio ad entrambe le famiglie”.
 “Sono un po’ invidiosa di Ellen, lo sa?”
“Dici?”
“Sarà la ragazza più fortunata di tutto il regno! Un tipo bello come il sole, figlio di un eroe…”
Beryl sorrise indulgente: le sue ancelle non erano carenti in fatto di pettegolezzi o argomenti frivoli.
Già dopo la nomina dei giovani a guardie del Principe, erano partiti commenti su chi fosse il più bello, ognuno sostenuto valide argomentazioni.
Le due giunsero presso il corridoio di destra che dava verso i loro appartamenti personali, ma Beryl non svoltò di là.
“Per ora non sono stanca, camminerò un poco”.
 “Volete che vi accompagni mia signora?”
“No, va pure Thetis, raggiungerò le mie stanze più tardi”.
Inchinatasi in segno di rispetto, la donna si congedò e la membra del consiglio rimase sola. Camminò per i corridoi deserti ed illuminati fiocamente dalla luce delle stelle che giungevano da grandi vetrate alla sua destra, persa nei suoi pensieri: tutti  quei discorsi su promesse di matrimonio e futuri progetti di vita in copia le mettevano addosso malinconia: aveva la vaga sensazione che sarebbe rimasta zitella. Non che le proposte non fossero arrivate, anzi ne aveva ricevute un paio, ma le aveva declinate in quanto gli uomini, per quanto ricchi ed onesti non le erano di gradimento.
Eppure se suo padre fosse stato ancora vivo avrebbe di sicuro voluto che si sposasse una buona volta, in fondo non era un ragazza, era una donna fatta e finita e doveva trovarsi un uomo se non voleva ritrovarsi come quelle vecchie zitelle che non si facevano vedere in giro.
La sua ritrosia aveva trovato un la seguente giustificazione: voleva sposarsi sì, ma voleva amare con tutto il cuore quell’uomo.
Questo sarà il mio matrimonio, si disse.
Un rumore che non riuscì ad identificare la fece voltare.
Il corridoio sembrava completamente deserto, quindi immaginò di aver sentito malel, e si avviò.
Un altro rumore più forte  più vicino la bloccò sul posto e si udì, accompagnato dal gracchiare d’un paio di corvi che passarono accanto alla finestra, la bloccò sul posto.
Beryl si voltò. Ora cominciava davvero ad inquietarsi, ma il corridoio era completamente deserto e non si sentiva a alcun rumore.
 “C’è qualcuno?”
Silenzio.
Rimasta a lungo immobile, Beryl scosse infine la testa, ma prima ch potesse proseguire, due mani sbucarono dall’oscurità d’un corridoio, e ghermendolo alla vita e tappandole la bocca.
Beryl si sentì sbattere contro il corpo d’un individuo maschio.
“Ciao Bellezza!”
Passato il momento di stupore, la donna cercò di divincolarsi dalla stretta, ma la mano che le stringeva la vita (quella sinistra) si strinse attorno al suo collo.
“Ora ascoltami bene: nel caso tu non l’abbia ancora capito, io sono un tipo molto pericoloso e tu, guarda caso, sei mia prigioniera. Se vuoi rimanere… intatta, ti consiglio di fare tutto quello che dico io. Chiaro?”
Beryl non seppe che dire: il tono dell’individuo non lasciava spazio a dubbi. Quell’evento era così improvviso che l’aveva come paralizzata nel corpo e nella mente. Per un attimo valutò pure la possibilità che fosse tutto uno scherzo di pessimo gusto.
D’un tratto mugolò di sorpresa ed indignazione: il tizio le aveva tolto la mano dalla gola per palparla sui seni.
“Ehi sei messa bene, sai?”
Quando l’uomo tolse la mano dalla bocca fece per urlare qualcosa, ma venne sbattuta con forza sulla parete dell’edificio con la schiena e bloccata con forza
L’uomo era davanti a lei e poteva vederlo in faccia: era magro e di media statura. su pantaloni e maglia aderenti di color nero indossava una corazza d’argento composta da schinieri, bracciali, cinturino e pettorale con spalliere a punta.
Quando lo fissò in faccia, trattenne il fiato: la parte destra era completamente sfigurata da rosse cicatrici di ustioni, solo l’occhio si era in qualche modo salvato. Indossava un elmo a casco con tre punte sul davanti rivolte verso l’alto.
Quando sorrise il volto assunse un aspetto ancora più inquietante.
“Chi… Chi a-accidenti sei?”
Beryl era certissima di non averlo mai visto da nessuna parte.
“Non sono affari tuoi, ma ti consiglio di non irritarmi o ti farai molto, ma molto male”.
“O-ora basta! Lasciami andare oppure…”
La mano destra si serrò attorno alla sua gola.
“Tesoro” sussurrò l’uomo minaccioso, “ti suggerisco caldamente di non urlare”.
Dopo un attimo di silenzio aggiunse: “Ora facciamo una bella cosa: se non vuoi che ti faccia qualcosa di molto brutto, devi portarmi alla stanza del tesoro reale. Chiaro?”
Beryl annuì, terrorizzata.
“Bene, e mi raccomando, guai a te se urli”.
 
 
“E’ quella?”
Beryl annuì, sempre spaventata. Purtroppo le speranze di incontrare delle guardie erano presto crollate; le due guardie che facevano la ronda in quella zona erano state uccise dall’estraneo con dei coltelli da lancio, appesi dietro al cinturino, ch avevano perforato la gola ai due sodati uccidendoli sul colpo.
L’uomo trascinandola per il braccio davanti al portone che dava alla stanza dei tesori commentò:
“Ovviamente è chiusa a chiave”.
“Sì, la chiave la possiede la famiglia reale e qualche servo fidato”
“Fa niente, entro a modo mio”.
Alzato il pungo destro lo avvolse di una strana energia emanata dal suo stesso corpo e lo abbatté sul portone, fracassandolo e facendolo uscire dai cardini.
Con grande fracasso il portone crollò all’interno della stanza producendo parecchio baccano.
“Meglio fare in fretta”.
Sempre trascinando una perplessa Beryl, che aveva notato come quell’energia usata dall’individuo fosse simile a quella che manipolavano la famiglia reale e le guardie scelte, l’uomo entrò nella stanza.
Nonostante il disordine, si riusciva a scorgere scaffali allineati alle pareti che contenevano preziosi cimeli più o meno preziosi provenienti da svariate località.
“Allora bellezza, sto cercando un oggetto proveniente dalla Cina, una statuetta d’oro per la precisione. Sapresti dirmi… no, fa niente eccola lì; la descrizione corrisponde alla perfezione”.
La statua in questione era piccola, d’oro e rappresentava una scimmia inginocchiata che impugnava a due mani un bastone.
“Ora che hai quello che vuoi lasciami andare!”
L’uomo fissò la donna. E ghignò.
“Perché?”
Beryl impallidì di fronte a quello sguardo.
 “N-no ti prego, hai promesso…”
“Promesso? Promesso cosa? Temo che mi sia sfuggito qualcosa, ho forse detto “ti prometto”? Non mi pare”.
Terrorizzata, la donna fece per scappare, ma l’uomo la tirò verso di sé.
“Sai un cosa?” sussurrò con un sorriso perfido. “Trovo che sia un peccato sprecare un così bel dono di madre natura…”
La donna sgranò gli occhi.
“N-non…..”
Trattene poi il respiro: l’uomo le aveva alzato al gonna, e stava allungando una mano verso le mutande di seta che indossava.
“Sì, sarebbe un vero spreco”.
Beryl chiuse gli occhi sperando che fosse solo un incubo, ma così non era…
“Allontanati subito!!”
Beryl aprì gli occhi, girando il capo.
Daniel si voltò inarcando un sopracciglio. Un giovane stava sulla soglia della stanza del tesoro con la spada sguainata in posizione di guardia e lo fissava con occhi di fuoco.
“E tu chi saresti?”
“Mi chiamo Zoisite e tu sei in arresto!”
“Ma davvero?”
Un’esplosione di energia emessa dall’uomo proiettò il giovane contro la parte davanti alla porta, ma questi si rialzò quasi subito.
“Già in piedi?”
Arrivato improvvisamente davanti a Zoisite, l’uomo tentò un calcio, che il biondo schivò replicando con un fendente della spada.
“Bene, bene, sembri un guerriero dotato, vediamo che altro sai fare!” commentò il cavaliere sfigurato.
I due cominciarono a lottare sotto gli occhi di Beryl senza dire una parola: non ve n’era bisogno tanto erano concetrati.
Spesso erano così rapidi che neanche Beryl riusciva a distinguere le loro mosse.
D’un tratto con rapidità, l’intruso gli tirò addosso uno dei suoi coltelli da lancio che Zoisite deviò con un fendente della sua compagna.
“Wow, che riflessi! Sembri pari a quelli come me in fatto di velocità!”
“Ora basta, tu chi accidenti saresti?”
L’uomo sorrise in un modo reso ancora più inquietante dalle cicatrici.
“Giusto, che maleducato che sono”. Ed in tono melodrammatico declamò: “Sono Daniel del Corvo, un  poveraccio dalla vita segnata da tragedie, orfano, senza amici, e..
“Basta, lurida feccia!”
“Lurida feccia? Io? Ehi, non sono così male, ho solo avuto un’infanzia difficile”.
“Piantala! Ho sentito cosa dicevi a Lady Beryl!” Fece una smorfia di disgusto. “Ma guardati! Sei un essere orribile sia fuori che dentro!”
“Tsk, disse quello che sembra una donna, con quei capelli e quella faccia!” Sbatté tra loro le nocche. “Ma non preoccuparti, adesso ti risistemo i connotati!”
I due ripresero a duellare, Daniel usando i pugni per difendersi ed attaccare, Zoisite usando per lo stesso scopo la spada.
Ad un certo punto il biondo tentò un affondo, ma Daniel bloccò la lama prendendola tra i palmi delle mani, e facendo pressione la spezzo in due di netto.
“Cosa?”
Mentre era in preda allo stupore, Zoisite fu centrato da un pugno che lo mandò a gambe l’aria.
Daniel gli fu subito addosso, ma aperta la mano destra, Zoisite generò un’ondata di energia verde alla massima potenza che produsse crepe nel muro e nel pavimento, e spedì indietro il cavaliere, crepandogli l’armatura.
Ansanti i due si rimisero in piedi e si fissarono.
 “Notevole” ammise Daniel. “Ma non pensare che le mie risorse siano limitate!”
Al suo schioccare le dita decine di corvi infransero il vetro della finestra del corridoio dove duellavano e cominciarono a girare in circolo vicino al soffitto, gracidando sonoramente.
Zoisite non aveva mai visto nulla del genere.
“Che…”
“Questi corvi sono al mio servizio e mi assistono in battaglia! All’attacco!”
II pennuti partirono alla carica contro il biondo, cercando di beccargli gli occhi, di graffiarlo cogli artigli e di stordirlo col battito delle ali o coi gracidii.
Alzate le mani per proteggersi la faccia, Zoisite, non si perse d’animo e generando di nuovo verde, allontanò gli uccelli uccidendone diversi.
Un calcio di Daniel lo buttò ancora a terra, ma parato il successivo calcio, replicò con un pugno sul mento che fece indietreggiare l’avversario.
Questi fece per fare qualcosa, quando…
“Ehi!”
Tutti si voltarono: un giovane moro vestito, d’un semplice completo nero ed armato di spada stava correndo verso di loro.
“Principe!”
Gridando questa parola, Beryl, che era rimasta ad osservare lo scontro, si buttò tra le braccia del giovane. Costui, la scostò quasi subito facendole cenno di mettersi dietro di lui, e fronteggiò Daniel con in mano la spada.
“Sire!” gridò Zoisite “Che fate qui?”
“Che domande! State svegliando tutto il palazzo!”
“Oh, bene è arrivata la cavalleria, eh? Attaccate!”
I corvi partirono contro il giovane moro, ma questi, dopo aver inarcato un sopracciglio per lo stupore fece un gesto con la mano generando un’ondata di energia che li face cadere a terra morti.
Daniel imprecò: quel principe pareva più forte dell’effeminato che stava riempiendo di botte.
“Arrenditi straniero!”
Daniel si guardò intorno: oltre al biondo ed al principe stavano arrivando altri soldati ed un castano vestito come Zoisite. Con una smorfia capì che la missione preso stava prendendo un brutta piega.
“Mh… qui c’è un po’troppa gente per i miei gusti…”
Con un’ondata di cosmo frantumò la finestra a cui era vicino, poi fece schioccare le dita.
“A me, mie fedeli bestiole!”
I corvi si disposero intorno al loro padrone, afferrandolo con le zampe per le braccia e per le spalle.
Daniel sorrise.
“Sentirete parlare di me ancora! In ogni caso, addio !”
E prima che potessero fermarlo, il cavaliere saltò dalla finestra e sparì nella notte, trasportato dai suoi corvi.
 
 
Il palazzo e la cittadina furono messe sottosopra, ma l’individuo non si trovò da nessuna parte; era sparito.
Re, Principe e guardie insieme alla povera Beryl si erano ritirati nella sala udienze. La donna
era ancora agitata.
“Aveva… aveva, davvero intenzione di…”
“Signora, è tutto posto, per fortuna…” cercò di rincorarla una delle sue ancelle.
“Non minacciava a vuoto, glielo si leggeva negli occhi!”
“Via, fatevi coraggio, Zoisite è giunto appena in tempo per fortuna!”
“Ma tu che facevi in giro a quell’ora?” domandò il re a Zoisite.
“Non avevo sonno così sono andato a sgranchirmi le gambe” Rispose quello. “Fortunatamente passavo vicino alla sala del tesoro e non appena ho sentito rumori strani mi sono precipitato lì”.
“Che accidenti voleva quell’individuo, in nome del cielo?” sbottò il Principe.
“Ha detto che cercava una statuetta d’oro, quella a forma di scimmia”.
Endymion aggrottò la fronte. Conosceva l’oggetto in questione ma perché fare tanti sforzi?
“Padre, perché mai uno straniero vorrebbe avere quella statuetta?”
“A parte il fatto che è d’oro? Non lo so figlio mio. Quella statuetta è molto antica e proviene dalla Cina ma non so dire con esattezza cos’ha di così importante o prezioso”.
Un soldato si avvicinò di corsa al re.
“Sire?”
“Avete trovato il fuggiasco?”
“No, sire, ma un forestiero in armatura dorata chiede di essere ammesso ad udienza: dice che ha un messaggio importante!”


 

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Capitolo 5
*** Il Regno Argentato ***


 
 Capitolo 5 - Il Regno Argentato


Di sicuro i popoli della Terra se la sognavano una visione come quella; la visione della loro stessa casa da una simile prospettiva che si godeva dalla Luna.
Era sempre una visione magnifica quell’enorme sfera sospesa nel nero cosmico e punteggiato di stelle. Un globo azzurro, su cui spiccavano le immense porzioni verdi o brune o gialle dei continenti, il ghiaccio alle estremità settentrionali e meridionali, ed il tutto velato da enormi banchi di nubi bianche che si spostavano regolarmente.
Nonostante tutto quello che si diceva sugli abitanti della Terra, non si poteva negare che molti luoghi in cui vivevano fossero un piccolo capolavoro d’arte della Natura.
“Principessa! Principessa!”
La Principessa Serenity, erede al trono del Silver Millennium, distolse dalla mente i pensieri del momento e si voltò verso la persona che l’aveva chiamata, ma non era esattamente un persona: si trattava di un gatto femmina dal pelo scuro e gli occhi viola, con una piccola mezzaluna gialla sulla fronte rivolta verso l’alto.
“Siete pronta? La cerimonia di encomio comincia tra poco”.
“Sì Luna, sto andando a preparami”.
La giovane, si avviò verso la boutique, accomodandosi sulla sedia, mentre un’altra ragazza apparentemente sua coetanea, dato l’aspetto, si metteva dietro di lei.
“Bene, bene, un minuto e sarai pronta!” commentò allegra brandendo un spazzola per capelli.
Serenity fissò la sua immagine allo specchio: una giovane donna dalla carnagione chiara, gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Dietro di lei lo specchio rifletteva l’immagine di una ragazza molto bella, anche lei coi capelli biondi, su cui era posato un fiocco rosso, e gli occhi azzurri.
A dispetto del lungo e prezioso abito bianco che indossava la principessa, questa portava una maglietta senza maniche bianca, una gonna arancione piuttosto corta e lunga lunga fino a mezza coscia, dei lunghi guanti bianchi che arrivavano fino ai gomiti ed un grosso fiocco blu appuntato sul petto da una spilla gialla. Scarpe col tacco arancioni completavano il vestiario.
Mentre sistemava con mani abili ed esperte la chioma della principessa, Luna dette un’occhiata alla finestra su cui era ferma Serenity prima di prepararsi: la finestra delle stanze della Principessa dava una vista della Terra.
“Il generale vedrà finalmente riconosciuti i suoi meriti ed era anche tempo”.
“Hai ragione, Sailor Venus” ribatté la gatta rivolta all’altra bionda.
“Quell’attacco di pochi giorni fa è stato davvero inaspettato” continuò Sailor Venus mentre dava gli ultimi ritocchi, “fortunatamente aveva preparato una risposta pronta per una simile eventualità”.
La mente di Serenity tornò indietro a quando era stata svegliata in piena notte, mentre dormiva, da palesi rumori di lotta. Aveva gridato per sapere che cosa stesse succedendo, e Sailor Venus insieme alle altre guerriere sailors preposte come sue guardiane erano entrate nella sua stanza per proteggerla. Dopo un poco era arrivata la Regina, informandoli che degli strani mostri mai visti prima erano spuntati all'improvviso da chissà dove ed avevano attaccato alla cieca, fortunatamente dopo un’accesa lotta erano stati messi in fuga dai soldati. Non vi erano stati morti per fortuna, solo diversi feriti non gravi ed i mostri non erano neanche tanti e non avevano esitato a darsela a gambe quando avevano visto che la resistenza era diventata massiccia. Il generale aveva inseguito i mostri superstiti fin sulla Terra dove gli aveva eliminati.
“A posto!” annunciò la bionda Sailor Venus riponendo la spazzola: i capelli di Serenity erano elegantemente acconciati in due odango sui lati della testa da cui partivano due lunghe code bionde.
Serenity si alzò e Luna non poté fare a meno di notare uno sguardo distratto rivolto alla finestra. O meglio alla Terra.
“A che pensate Principessa?”
“A niente Luna. Perché me lo chiedi?”
“Perché guardavate fuori dalla finestra?” Luna andò sul diretto.
“E allora? Non è vietato”.
“No, ma è vietato andare sulla Terra”.
Sailor Venus notò allora che fuori dalla finestra si vedeva la Terra ed inevitabilmente pensò a quel giorno in cui la Principessa era sparita nel nulla e poi si era scoperto che ara andata a farsi un “giretto turistico” sulla Terra.
La dura ramanzina della madre non era mancata.
“Non starai meditando altre gite spero” disse la gatta
“Sto solo guardando! Ho imparato la lezione Luna”.
“Tu madre era andata nel panico non trovandoti ed anche noi guardie” ribatté Sailor Venus.
“La Regina ci tiene alla tua sicurezza, Principessa. Non voglio ripetere le ramanzine di tua madre, ma…”
“Ho capito Luna, ho capito” liquidò la principessa, e lisciando il vestito con le mani si avviò all’uscita delle sue stanze, accompagnata dalla gatta e da Sailor Venus.
“Su andiamo, la Regina ci tiene che tu partecipi alla cerimonia” la spronò la guerriera protetta da Venere.
Le due donne e la gatta si diressero verso la sala del trono, passando per gli splendidi e decorati corridoi del palazzo reale, fino a giungere in una grande sala dove la corte e tutti i nobili del regno erano radunati nelle loro vesti sfarzose.
Seduta sul trono, sua madre, la Regina Serenity, la salutò con un sorriso ed un cenno del capo: era identica alla figlia sia nella forma del viso che nell’acconciatura dei capelli, l’unica differenza era che fisicamente la Regina appariva più matura ed i capelli erano di color bianco-argenteo.
Vestiva d’uno splendido abito bianco e portava la tiara che simboleggiava il suo status di regnante.
Presso il trono erano sistemate le altre guardie del corpo della principessa: Sailor Mercury, una dolce ragazza dai corti capelli blu e gli occhi dello stesso colore; Sailor Mars, una bella giovane dalla lunga chioma nera, e Sailor Jupiter, una fiera ragazza coi capelli castani raccolti in una coda e gli occhi verdi.
Indossavano tutte la divisa delle guerriere sailor, che si differenziava da quella di Sailor Venus solo per il colore della gonna e del fiocco: azzurri per Sailor Mercury, gonna rossa e fiocco blu scuro per Sailor Mars e gonna verde e fiocco rosa per Sailor Jupiter.
Serenity si sedette su una sedia alla destra del trono, ed al suono di trombe, le porte si spalancarono e il generale Tsukuyomi entrò a passo marziale nella sala del trono.
Era un giovane uomo all’apparenza, ma per un terrestre molto più vecchio di quanto il suo aspetto faceva pensare.
Di bell’aspetto e con gli occhi castani, aveva il viso incorniciato da lunghi capelli neri raccolti in un piccola coda sulla nuca.
La bianca divisa militare che indossava sembrava risplendere di luce propria e questo, unito all’elmo decorato che portava sottobraccio, la spada con l’elsa decorata da diamanti ed il mantello ricavato da una pelle di leone sulle spalle, gli davano l’aria di un dio o di un eroe degli antichi tempi tornato alla vita.
Non vi era donna sulla Luna che non sognasse il comandate supremo delle forze armate del Regno Argentato come compagno per la vita, ma, con delusione di molte, Tsukuyomi aveva già trovato l’anima gemella.
Il generale si avvicinò al trono e si inchinò di fronte alla sua sovrana.
“Generale Tsukuyomi” parlò la Regina, “Ti siamo grati per il doveroso servizio che hai sempre svolto per il Regno Argentato in tutti questi anni. La tua strategia, la tua tenacia e la tua forza sono impeccabili e vanto per il mio regno. Anche la tua recente azione per respingere i misteriosi mostri che di recente hanno assalito il regno. Perciò come giusto riconoscimento io ti conferisco l’Argento del Valore!”
Ad un cenno un valletto portò un piccolo scrigno aperto da cui la Regina tirò fuori una preziosa collana d’argento formata da tante mezzelune intrecciate ed alzatosi, andò a metterla al collo del generale, che si era alzato a sua volta.
Il pubblico in sala scoppiò in un sincero applauso, ed il generale, alzata la mano per chiedere silenzio parlò: “Ringrazio la mia Regina e tutti voi per il vostro sostegno ma non dimentichiamo il valore dei nostri soldati che tanto danno per difendere questa casa. Niente ci darà pensiero finché saremo vigili!”
Applausi da tutti gli spettatori nella sala, i soldati batterono il fondo delle lance sul pavimento per esprimere l’entusiasmo.
“Ben detto generale Tsukuyomi! Noi siamo un popolo che cerca la pace ma ciò non significa che non sappiamo difenderci da mostri, demoni o violenti terrestri che vogliono i beni del nostro regno”
Gli applausi ripresero ma quelle parole aspre verso i popoli della Terra avevano messo la Principessa Serenity a disagio.
Non nascondeva che fino a pochi mesi fa condivideva tali opinioni, ora però quei discorsi che facevano tutti, da sua madre ai nobili, dalle sue guardiane fino ai semplici soldati, le apparivano infondati…
Non sono tutti così i terrestri, madre, se solo potessi farti capire che almeno uno di loro è un’eccezione…
 
 
“Il generale gliel’ha fatta vedere a quei mostri, eh?”
“Siamo fortunati ad avere un uomo così!”
“Non dimentichiamoci la Regina, se non era il generale Tsukuyomi, sarebbe stata lei ad annichilire quegli sciocchi demoni”
“Ciò non toglie il valore del generale! Giusto, Adonis?”
“Più che giusto!” annuì Adonis.
In un luogo di ritrovo, Adonis, insieme ad alcuni suoi commilitoni si stava rilassando e bevendo dell’ottimo vino. Non avevano partecipato direttamente la viaggio sulla Terra per reprimere i mostri superstiti, ma ne avevano eliminato uno isoalto che aveva opposto una feroce resistenza. Ma con un ottimo gioco di squadra l’avevano ucciso senza troppi problemi.
Mentre gli altri parlavano Adonis lasciò vagare lo sguardo sul soffitto… Accidenti, pure nei momenti più rilassanti, certi pensieri lo martellavano…
“Adonis” lo riportò alla realtà domandò uno dei compagni osservandolo “sicuro che vada tutto bene?”
“Ma certo perché me lo chiedi?”
“Mah… ultimamente sei pensieroso ed assente…”
“Sono sempre stato così” mentì spudoratamente Adonis.
Quello seduto alla sua destra lo fissò qualche istante e poi aggiunse con un ghignò: “Ti sei innamorato, vero?”
Quasi il vino gli andò di traverso, e sentì le guance avvampare.
“Ma come ti vengono in mente queste sciocchezze?”
“Perché sei diventato rosso?” fece un altro.
“Non è vero!” sbottò, cercando di coprirsi le guance.
“Eh-eh scommetto che non dormi notte!”
“Piantala!”
“Su ammetti le tue colpe!”
Adonis diventò se possibile ancora più rosso in viso.
“Allora?”
“E va bene… sì, c’è una ragazza bella ed impossibile che mi piace, contenti?”
“Ah-ah! E chi è la fortunata? Ti sei già dichiarato?”
“N-no!”
“Pf! E cosa aspetti?”
“Adesso basta, le mie faccende non vi riguardano!”
“Ma se non ci hai ancora detto chi è!”
“Segreto”.
Quello seduto al suo fianco si chinò per sussurargli all’orecchio: “Non dirmi che è la Principessa”.
“No!” sussurrò secco di rimando Adonis. “E neanche la Regina, per la cronaca!”
Detto questo si chiuse in silenzio, ignorando gli altri e i loro discorsi sciocchi.
Era vero: una donna occupava da tempo i suoi pensieri e pensando a lei rivide mentalmente il suo volto.
Il volto d’una bella guerriera sailor dalla lunga chioma bionda…
Sospirò.
Sailor Venus,la bella ed intrepida guerriera a protezione della Principessa. Da tempo il suo cuore aveva perso forma del suo volto, ma non si era dichiarato per vari motivi; un rifiuto, quello faceva esitare sempre gli spasimanti d’una donna, ma anche ammettendo che si fossero uniti in coppia che aveva lui, il semplice Adonis da offrire a Sailor Venus? Il rango della sailor era uno dei più importanti, pari a quello del Generale.
Passandosi una mano trai capelli biondi, Adonis si fissò la semplice divisa militare.
Che ho io da offrirle, io semplice soldato, a  parte i miei sentimenti?
Ed eccolo lì a struggersi in pensieri malinconici mentre sicuramente altri giovani la corteggiavano. Ma la bionda non aveva risposto a nessuno. Per ora.
Sailor Venus, la più bella della Luna. Certo la bellezza della Regina e della figlia erano innegabili, ma nei pensieri di bellezza la bionda sailor occupava il primo posto.
Probabilmente non era imparziale e lo sapeva ma non gli importava.
E poi non era solo bella. Il viso o meglio lo sguardo trasmetteva una dolcezza che personalmente gli scioglieva il cuore.
Bevve un altro sorso di vino ed un piacevole calore gli pervase il corpo
Sailor Venus, ti dimostrerò che sono un compagno degno di te

Finita la cerimonia, Tsukuyomi si era ritirato nelle sue stanze private.
Spogliatosi di mantello, elmo e spada, si era tolto la giacca della divisa rimanendo con la camicia.
Seduto comodamente su un divano, sorseggiava una bevanda analcolica di color arancio. Come altre volte in passato si sentiva soddisfatto e felice della sua vita. Come suo padre aveva dedicato anima e corpo al Regno Argentato.
Sollevò lo sguardo su un ritratto di suo padre appeso al muro di fronte al divano. I suoi genitori erano morti ma sarebbero stati fieri di lui.
Sollevò il calice come per fare un brindisi.
“In nome tuo, padre, e di tuo padre prima di te, nessuno minaccerà il Silver Millennium finché gente come noi sosterà la famiglia reale!”
Qualcuno bussò alla porta.
“Sì?”
“Sono io”.
Sorridendo, Tsukuyomi posò il calice su un tavolino ed  ad aprire la porta.
“Entra cara, non aspettavo che te”.
Un attimo dopo la guerriera sailor protetta da Giove entrò nella stanza e gli gettò le braccia intorno al collo per baciarlo.
Tsukuyomi rispose con trasporto al bacio, non appena ebbe richiuso la porta.
I due si staccarono, permettendo all’uomo di osservare il viso luminoso della castana.
“Sei sempre bellissima!”
Sailor Jupiter rise. “Dai, smettila di fare il ruffiano”.
“E perché? Dico solo la verità”.
“E ti attiri le ire di quelli che ritengono Sailor Venus la più bella donna della Luna!”
“Beh, che si fottano!”
Baciatisi di nuovo, si sedettero fianco a fianco sul divano lei con la testa poggiata sulla spalla destra e lui col braccio destro intorno alle spalle di Sailor Jupiter, le accarezzava con tale mano i capelli.
“Di che mi parli? Imprese militari?”
“Ehi, non sia mai che annoi la mia donna con argomenti noiosi! No, no, ti parlerò delle bellezze della Terra… Vedi gli ultimi mostri fuggiti erano scappati su un territorio selvaggio e verde, e mentre riprendevamo fiato dallo scontro vedemmo un spettacolo magnifico: cascate!”
“Be, vi sono tante cascate sulla Terra”.
“Ah, ma qui la natura non ha lesinato in meraviglie: un unico immenso fiume azzurro sfocia in un complesso di tre cascate: due cascate sono  dritte ed un’isola verde le separa da altra di forma semicircolare. Dalle rupi scende una portata d’acqua immensa, bianca e che precipitando rombando nel fiume sottostante crea una nebbiolina di vapore che dà ulteriore spettacolo al tutto!”
Tsukuyomi continuò ad illustrare le meraviglie della natura mentre Sailor Jupiter ascoltava affascinata. La Luna era bella ma anche la Terra aveva le sue meraviglie.
“Non so per quanto tempo io e i miei uomini rimanemmo lì ad ammirarle. Uno spettacolo magnifico Jupiter, non ho altre parole per descriverlo! Da restare incantati!” Prese fiato.” Un giorno ti porterò a vederle!”
“Mi piacerebbe”.
“E’ un bel posto la Terra, Jupiter, se non ci fossero terrestri ovunque”.
La guerriera sailor sospirò e si strinse di più al suo uomo. “Lasciali perdere, pensa un po’ a me, piuttosto”.
Tsukuyomi sorrise. “Amore mio, non ti ho già dimostrato abbastanza di quanto tengo a te?”
Amava Sailor Jupiter, bella forte e determinata, e non avrebbe desiderato di meglio.
Questa felicità… nessuno me la porterà via.
 
 
Era notte sulla Terra.
I due individui camminavano a passo spedito, uno portandosi sulle spalle un nerboruto uomo privo di sensi.
Giunsero davanti ad una grande porta dagli stipiti e dall’architrave di pietra, situata sulla parete d’un edificio e vennero attirati dalla voce di qualcuno posizionato in alto rispetto a loro.
“Robert di Cerbero! Hyksos! Avete fatto un buon raccolto?”
Appollaiato sull’architrave sporgente della porta, c’era Federico del Cane Maggiore.
“Missione riuscita, nonostante la pessima esibizione del vostro amico” disse Hyksos scaraventando Arles a terra come se fosse un sacco. Quello gemette ma non si svegliò.
L’ex cavaliere d’argento del Cane Maggiore saltò a terra e fissò l’ex cavaliere d’argento di Cerbero: un maschio magro e molto giovane con corti capelli neri ed occhi dello stesso colore.
L’armatura d’argento che portava (o meglio la copia dell’originale), era abbastanza semplice: pettorale, cintura a gonnellino, schinieri e bracciali. L’elmo era a maschera ed aveva estensioni a forma di V rivolte verso l’alto.
“Ce l’hai?” chiese semplicemente.
“La spada di Licurgo eccola qui”. Rispose Robert mostrando un lungo fagotto che teneva tra le mani.
Federico si volto voltò verso lo svenuto cavaliere di Eracle. “E lui?”
“Beh, se non era per me ci lasciava la pelle” ridacchiò Hyksos lisciandosi la barbona. “Ma è stato un fantastico diversivo”.
“Prepariamoci alle sue sfuriate quando si sveglia” avvertì Robert.
“Non ci sono problemi: lo metto in riga io” aggiunse Hyksos.
“Stata bene. Forza, torniamo dentro, Daniel è tornato ma la sua missione non è andata tanto bene. Tra poco ci sarà una riunione generale per stabilire le future azioni”.
Federico entrò, seguito da Hyksos, che si era caricato nuovamente in spalla l’incosciente Arles, e poi da Robert.
Prima di entrare costui sollevò lo sguardo alla Luna che si stagliava in cielo. Il misterioso regno lì situato sarebbe stato trai futuri obbiettivi.
“Otterremo quello che ci spetta e nemmeno voi, abitanti della Luna, potrete opporvi”.





Note:
Il generale Tsukuyomi porta il nome dell'omonimo dio giapponese della Luna, fratello di Amaterasu, al dea del Sole.
Ringrazio Suikotsu per la dritta sul nome
Per chi se lo stesse chiedendo, le cascate di cui parla il generale sono quelle del Niagara.

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Capitolo 6
*** Riunioni e progetti ***


Capitolo 6 - Riunioni e progetti

 
 
“E purtroppo è stato un fallimento”.
Crysos aveva appena finito di raccontare al Gran Sacerdote il fallimento della missione al Taigeto. Seduto sul trono l’anziano rifletté.
“L’individuo con i Rinnegati… a chi appartiene?” disse senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“Non saprei, signore. La sua potenza lo rende pari ad un cavaliere d’oro (cosa rara) ma stranamente non sembrava il leader dei Rinnegati da come si comportava”.
L’anziano tamburellò con le dita sui  braccioli del trono.
“Ora come ora l’unico posto da cui abbiamo più probabilità per risalire al possibile nascondiglio di quei fuggiaschi è il Regno Dorato”.
“Notizie da mio fratello, signore?”
“Nessuna, ma date le distanze non c’è da preoccuparsi molto”.
Il Cavaliere dei Pesci rimase in silenzio per un attimo poi disse “Signore, col suo permesso vorrei recarmi al Regno Dorato per dare una mano ad Acubens”.
Il Gran Sacerdote rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo, poi aggiunse: “D’accordo, due Cavalieri d’Oro sono meglio di uno. E vorrei che con te venissero Jamal della Freccia e Tiya di Andromeda”.
“Ne siete sicuro signore? Non sarà un po’ rischioso?"
“Conosco i rischi a cui possono andare incontro" disse il vecchio con un sorriso. "Ma ritengo che hanno bisogno di perfezionarsi e penso che questa sia una buona occasione. Ovviamente confido nel buonsenso di tutti e nella tua saggezza”.
Crysos annuì e con un riverito inchino, mettendosi la mano sul petto, si avviò all’uscita della sala.
“Va bene, spero di risolvere il prima possibile la situazione dei Rinnegati”.
“Bada, Crysos” volle dirgli il Gran Sacerdote mentre stava per uscire. “E' palese che qualcuno stia sfruttando la pazzia e la rabbia di quegli sciocchi per i suoi fini. Questa faccenda non finirà bene per loro da nessun punto di vista”.
 
 
Una volta raggiunti i suoi venti anni di vita, Acubens affermava che aveva visto di tutto, ma spesso alcune affermazioni sbagliano, specie quando scopri qualcosa di nuovo come il Regno Dorato.
Ma ora il Cavaliere d’Oro del Cancro capiva che tutti quei discorsi sulla ricchezza e splendore del Regno Dorato rendevano giustizia in minima parte sul posto.
Lui e suo fratello erano nati e cresciuti nella grande e ricca città di Costantinopoli, la Città d’Oro, il luogo da cui si irradiava un potere che odorava di tenacia, benché i suoi eserciti retrocedevano dai Balcani e dall’Oriente. Una città che vantava la splendida cattedrale di Santa Sofia.
Ma nemmeno lo splendore della Nuova Roma poteva battere lo splendore della città che costituiva il Regno Dorato.
La grande città del regno era qualcosa di splendido ed indescrivibile, da lontano era stato colpito dallo splendore dei tetti d’oro, ma l’interno era ancora meglio: la povertà sembrava essere scomparsa. Tutto era bello ed armonioso. Il posto pareva uscito dalle fiabe, non dalla realtà. La povertà pareva non esistere, certo alcune famiglie erano più importanti di altre ma non vi erano mendicanti o poveri in abiti miseri.
Tutto era bello e ricco.
Ed anche le persone di questo posto sono molto ben fatte… pensò sbirciando il davanzale dell’unica donna che partecipava al consiglio. Beryl, gli pareva si chiamasse.
“Dunque il tizio che ha cercato di rubare qualcosa dalla Stanza del Tesoro è uno bandito dal vostro ordine di guerrieri?”
La domanda del Principe lo distolse da allegri pensieri.
“Sì, Principe, lui ed altri”.
C’era voluto un po’ per spiegare tutta la faccenda al diffidente (diffidenza comprensibile tra l'altro) consiglio di stato, formato in quel momento dal Re, dal Principe, da un nobile avanti con gli anni e dalla bella donna seduta davanti a lui.
Il Re tamburellò le dita tavolo.
“Tornerà per la statua?”
“Altamente probabile, Vostra Maestà”.
“Sire” intervenne Beryl, “cos’ha quella statua di così importante?”
“Già cos’ha di così importante?” insistette il Cancro.
Il Re scosse la testa.
“Non ne ho assolutamente idea credetemi, so solo che è nella nostra famiglia da secoli e proviene dalla Cina, ma…”
“Ma?” chiese il nobile.
Il Re sorrise. “Forse conosco qualcuno che può dirci perché quell’oggetto è così importante”.
Il nobile riflette un attimo poi, sbarrando gli occhi disse: “Aspetta, ti riferisci a Lei?”
“Sì amico mio, proprio Lei”.
“Ehm… Lei chi, padre?”
“Una vecchia amica che conobbi da giovane, quando avevo pressappoco la tua età”.
“Ed è affidabile?” chiese Acubens.
“Sì. Il problema è che ci vuole un mucchio di tempo per arrivare alla sua dimora. Troppo”.
“Quanto?” chiese il Principe.
“E’ ai confini con la Cina!”
Insomma un viaggio lunghissimo e dispendioso partendo dal Mar Caspio, tuttavia…
“E se vi dicessi che ho mezzo posso portarvi lì in poco tempo?” intervenne Acubens.
Tutti lo guardarono sbalorditi, come se fosse il più grande dei ciarlatani.
“Ne sei in grado?” chiese Beryl scettica.
“Sì” fu la sicura risposta.
Il Re lo fissò intensamente.
“Se in grado rendere il viaggio veloce?”
“Sì”.
“Ma com’è possibile?” fece Beryl.
Facendo un sorriso il più possibile accattivante il Cavaliere del Cancro dichiarò: “Se volete avere una piccola sorpresa ve lo svelerò quando partiamo. Però vi avverto: posso portare con me una persona soltanto”.
“Andrò io” decise subito il Re.
La sua uscita suscitò parecchie perplessità.
“Siete sicuro, padre?” chiese suo figlio.
“Sicurissimo. Come ho detto conosco la persona che ci può dare le risposte. Inoltre questa faccenda riguarda il mio regno. E la priorità per risolverla è soprattutto mia”.
“In tal caso permettetemi di venire con voi, maestà” intervenne il nobile. “C’ero anch’io quella volta, e vedere non una ma ben due facce famigliari è un’ottima cosa”.
“Impossibile” annuì Acubens. “Come ho detto posso portare con me una sola persona. Se il Re vuole venire non ci sono problemi”.
"Non lasceremo il Re solo nelle mani di un forestiero che..."
“Gabriel, so quel che faccio” tagli corto il re. "E poi il mio intinto mi dice che possiamo fidarci di costui".
Gabriel si azzittì probailmente imprecando sula cocciutaggine del re.
Acubens decise specificare un'ultima cosa:
“Preferirei partire domani, sapete il tempo è tiranno”.
“Sono d’accordo”.
Il Re sospirò. Ormai era notte tarda e tutti erano stanchi.
“Molto bene, Acubens, chiederò ai miei servitori di prepararti una camera” disse Re Endymion alzandosi. “Andiamo a riposare. Partiremo domani pomeriggio”.
 
 
Megaleìo amava i bagni caldi. Gli davano una sensazione di rilassamento e piacere. Stendendo le gambe respirò leggermente mentre l’acqua diventava pian piano più tiepida.
Una voce lo riscosse lo riscosse dal torpore “Megaleìo?”
Voltando la testa verso destra vide sulla soglia della stanza da bagno un donna con indosso l’armatura d’argento.
"Artemisia dell’Aquila. A che devo questa gradita visita?”
“Mi spiace disturbarti ma la riunione è imminente”.
“Mh, sì” mormorò. “Saranno presenti tutti i nostri simpatici amici vero?”
“Dal primo all’ultimo”.
Artemisia prese un telo per asciugarsi e glielo porse. Ringraziatala, Megaleìo uscì dalla vasca e preso il telo cominciò ad asciugarsi.
Il cuore di Artemisia accelerò leggermente i battiti quando posò gli occhi sul fisico dell’uomo che aveva davanti.
Vecchio di un solo anno di età rispetto a lei, Megaleìo era davvero bellissimo. Alto e col fisico perfetto, sfoggiava lucenti occhi azzurri e lunghi capellineri che gli piovevano sulle spalle.
Finito di asciugarsi raccolse un tunica bianca da un panca e la indossò.
Poi, sorridendo, si rivolse ad Artemisia. “Vieni cara”.
I due camminarono perii corridoi di pietra dell'edificio illuminata da torce fino ad arrivare alla sala adibita alle riunioni.
La grande sala in pietra ed illuminata dai bracieri era parecchio affollata: Hyksos ed Naja erano già presenti, insieme agli ex cavalieri d’argento cacciati dal Grande Tempio: Federico del Cane Maggiore, il basso e robusto Georgios della Balena, Arles di Eracle (parecchio imbronciato), lo sfigurato Daniel del Corvo e Robert di Cerbero.
In un angolo vi erano gli altri ospiti della riunione: tutti indossavano armature integrali di color nero, leggere ma resistenti. Per l’occasione si erano tolti l’elmo rivelando il loro particolare aspetto: tre maschi alti e dal viso pallido ed affilato, con lunghi capelli neri che gli piovevano sule spalle. Il viso era bello e nobile, gli occhi neri e lucenti.
Ad una prima occhiata li si sarebbero detti tutti uguali se non fosse stato per piccoli particolari: l’individuo al centro portava un lungo mantello nero ed attorno alla testa portava un diadema costituito da un cerchio composto da pietre nere e bianche, quello alla sua destra portava un lungo bastone con sopra una sfera bianca, quello alla sua sinistra era leggermente più alto degli altri due e con le spalle larghe.
“Bene” disse Naja. “Visto che ci siamo tutti possiamo iniziare. Come già saprete il nostro signore presenzierà alla riunione”.
Non che Megalaeìo e gli altri lo vedessero molto: erano Naja e Hyksos a parlare con lui in privato e poche volte si mostrava agli altri. Questa era una di quelle poche volte.
La percezione di un lieve cosmo li fece mettere tutti in campana.
Poco dopo su un trono di basalto nero, posto su un’estremità della sala circolare, si materializzò seduto lì, colui che era la mente dietro a tutto.
Un uomo alto ed atletico, vestito di una semplice tunica sbracciata rossa lunga fino ai piedi calzanti semplici sandali. Folti capelli neri gli piovevano sulla nuca. Sarebbe sembrato un uomo di bell’aspetto virile se non fosse stato per il viso brutto e sgradevole, come il viso d’un busto rozzamente modellato da uno scultore dilletante. Gli occhi, due pozzi neri e freddi, non lo miglioravano di certo. Era sbarbato, e Megaleìo, la prima volta che lo aveva visto in faccia, si era chiesto se la barba lo avrebbe reso meno brutto o più sgradevole.
Alla sua apparizione Hyksos e Naja si prostrarono a terra, toccando con la fronte il pavimento e gridando: “Lode a te, o Sommo!”
Megaleìo li imito inginocchiandosi sulla gamba sinistra. Il signore di Hyksos e di Naja non era il suo, e nemmeno era il signore dei suoi compagni, ma una piccola cortesia non guastava. Gli altri lo imitarono senza problemi. Arles fu lì lì per dire che l’incarnazione di Ares non si chinava davanti a nessuno ma un’occhiata di Megaleìo mise a tacere sul nascere ogni protesta.
Il “Sommo” li guardò in silenzio, poi il suo sguardo si posò sugli individui in armatura nera: costoro non avevano neanche chinato la testa.
Notandogli, Megaleìo si accigliò suppurando guai.
Anche Hyksos e Naja li notarono e non furono per niente contenti come si capì dalle loro facce.
“Che state facendo?” sibilò Hyksos. “Mostrate rispetto di fronte al Sommo!”
L’individuo al centro del terzetto rispose con voce calma: “Gli Elfi Oscuri non si inchinano di fronte a nessuno, tantomeno io che sono il loro re!”
Seguirono attimi di silenzio, in cui tutti pensarono che il Sommo gli avrebbe fulminati ma, inaspettatamente, sorrise.
“Re Erengal… Benché la vostra sia una maleducazione, mi trovo ad apprezzare lo spirito fiero dei Dokkalfar di Svartalfheim” disse citando il nome norreno degli elfi oscuri.
Il re degli elfi oscuri fece un lieve sorriso mentre tutti si rilassavano. Ad un cenno del Sommo Hyksos e Naja si rialzarono in piedi, seguiti da tutti gli altri.
Arles non si trattene dal borbottare rivolto a Megaleìo: “Perché se non mi inchino io, fate storie?”
Perché sei pazzo avrebbe voluto rispondergli, ma commentò: “Perché gli avresti offesi con la tua maleducazione”.
“Gli Elfi non sono stati scortesi?”
“Ma allo stesso tempo cortesi”.
“Ma…”
“Basta così!”
Arles sembrava intenzionato a ribattere, ma  in quel momento il Sommo si mise a parlare con la piccola folla riunita.
“Molto bene. Innanzitutto, voglio che sappiate vi sono grato per il vostro contributo che state dando ai miei sottoposti ed a me, e vi assicuro che la vostra dedizione sarà ben ripagata. Due dei cinque oggetti necessari a me sono stati già recuperati, ma tre ne mancano all’appello ed il loro recupero sarà un po’ più complicato”.
“Specie ora che si sono messi di mezzo i Cavalieri d’Atena” aggiunse Robert.
“Ah, sì… i guerrieri della Grecia di cui una volta facevate parte” mormorò il Sommo. “Hyksos mi ha riferito che vi sono stati dei problemi…”
“PER LA BARBA DI ZEUS! UNO HA OSATO UMILIARMI!...”
“Arles…”
“… MA GIURO CHE LA PAGHERA’!” continuò il cavaliere della costellazione di Eracle, ignorando Artemisia. “APPENA MI CAPITERA’ A TIRO IO…”
Prima che potessero dire cosa gli avrebbe fatto se gli fosse capitato tra le mani un emanazione di cosmo lo sbatté contro la parte.
“Finiscila bestione, il tuo sfogo è fuori luogo!”
Arles si alzò facendo bruciare il cosmo. “Osi mettermi le mani addosso, Megaleìo?”
“Oso perché sono il tuo capo!”
“IO SONO…”
“Ho capito che sei l’incarnazione del dio della guerra, non c’è bisogno di continuare a ripeterlo, ma visto che, aihmé, sei un’incarnazione che ha finito per trovarsi in un corpo umano debole, ed io sono più forte di te, suggerisco di darti un calmata!”
Arels fece bruciare ancora per un po’; il cosmo poi parve calmarsi ed il cosmo si quietò. L’uomo tornò composto, sebbene imbronciato e Megaleìo si rivolse al Sommo. “Mi scuso per la scena”.
Il Sommo decise di lasciar perdere. “Torniamo ad altre faccende più serie: Hyksos mi ha detto che un Cavaliere ha interferito col recupero della spada, ma grazie al teletrasporto dei nostri amici elfi non hanno potuto intralciarci più di tanto. Poi mi pare che anche il recupero della statua nel Regno Dorato non è andato a buon fine”.
“Purtroppo no, Sommo” disse Daniel. “Sono riusciti a beccarmi ed adesso la loro vigilanza sarà alta. Dovremo tentare un assalto diretto ma sappiate che fra loro vi sono guerrieri capaci di competere con cavalieri d’argento e forse ve ne sono di più forti”.
“Dobbiamo solo arrivare alla camera che custodisce la statua e filarcela col teletrasporto degli elfi. Allo stesso modo agiremo così per l’oggetto custodito nel Regno Argentato!” ribatté Naja.
“Anche l’attacco al Regno Argentato non sarà una passeggiata” intervenne l’elfo con lo scettro.
“Già” disse il Re. “La valutazione qual’è Generale Cardhan?”
“Sarà un assalto breve, ma bisognerà impegnarsi seriamente: l’esercito del Regno Lunare non è vasto ma è molto forte”.
“Parlate come se avete già constatato la loro forza” osservò il Sommo.
“Così è, o Sommo” rispose Cardhan. “Abbiamo preso un piccola iniziativa: inviare sulla Luna alcune creature al nostro servizio per testare le loro forze. Sono state tutte annientate senza troppe difficoltà, ergo dobbiamo pianificare l’assalto con più forza e più attenzione”.
“Creature?”
“Bestie semi-intelligenti che vivono su Svartalfheim. La mia gente li ha sottomessi da tempo” rispose il Re sorridendo. “Ovviamente non spreco i miei sudditi in missioni suicide”.
“Di che creature si tratta?” chiese Megaleìo curioso.
“Esseri umanoidi che chiamiamo “Grendel”. Ve ne sono parecchi sul nostro mondo”.
“E gli uomini sulla Terra conoscono queste creature?”
“Mh… solo in alcune zone. Sai, cinque secoli fa, un’elfa oscura con problemi di socialità fuggì da Svartalfheim ed andò sulla Terra, portandosi dietro un Grendel. Si stabilirono presso un insediamento della Danimarca di nome Heorot e per un anno intero fecero il bello ed il cattivo tempo. Erano il terrore degli umani, anche se l’elfa agiva poco. Il re locale non sapeva cosa fare, tutti i suoi guerrieri venivano scannanti dal Grendel, i suoi sudditi sacrificavano capre pregando Odino ed Heimdall di aiutarli, alcuni pregavano il Cristo Gesù, ma alla fine i due vennero annientati da un umano col potenziale”.
“Umano col potenziale?” chiese il Sommo.
“E’ un umano col Cosmo risvegliato da sé senza un allenamento specifico” spiegò Naja.
“Mh, com’è che si chiamava quel tizio?” fece pensieroso il Re.
“Beowulf, mi pare” disse Cardhan.
“Bene” disse il Sommo per attirare l’attenzione su sé. “Attaccheremo i Regni per impossessarci degli oggetti mancanti appena i piani d’attacco saranno pronti. Re Erengal, tu ed tuoi generali elaborerete con Megaleìo il piano d’attacco; poi deciderete chi portare e chi no, tra i cavalieri d’argento ed i miei uomini”.
“Sta bene” disse Megaleìo, mentre Re Erengal annuì.
Il Sommo si alzò in piedi.
“Che la vostra forza di spirito sia alta. Presto avremo raggiunto tutti i nostri obbiettivi: voi la rivincita che tanto agognate io... la libertà!”.
 

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Capitolo 7
*** Sulle ali dell'avventura ***


 Capitolo 7 - Sulle ali dell'avventura



Acubens si svegliò di buon mattino, nella camera per gli ospiti gentilmente fornitagli.
La stanza era spaziosa e dotata di ogni comodità. Niente di paragonabile ai castelli della Europa o al palazzo dell’imperatore di Costantinopoli.
“I ricchi questo lusso se lo sognano!” dichiarò il cavaliere del Cancro tutto contento.
Un servitore gli portò la colazione, costituita da pane e frutta. Lo avvertì inoltre che qualcuno sarebbe arrivato per portalo dal Principe il quale lo avrebbe accompagnato dal re.
Acubens annuì, mangiò con appetito e finito di sistemarsi, con un cenno ordinò all’armatura di disporsi sul suo corpo e poi uscì dalla camera.
Nel corridoio del palazzo ammirò gli stucchi alle pareti, quando un fruscio ai suoi piedi attirò la sua attenzione: un bel gattone grigio con qualche chilo di troppo lo stava osservando con gli occhi gialli.
“Ehi, ciao micio”. Inginocchiatosi gli tese la mano che il felino annusò. “Ti danno solo lardo e trippa qui?”
Un rumore di passi gli fece alzare lo sguardo. Due servette bionde erano arrivate sul posto e lo stavano guardando un po’ esitanti.
Acubens fece un sorriso accattivante pere sciogliere la tensione e chiese “Cercate qualcosa dolcezze?”
“Ehm, beh sì, signore. Cerchiamo quello” fece un timidamente ed indicando il gatto.
“Ah, cercavate un fuggiasco”.
Si spostò per consentire ad un loro di prenderlo in braccio.
“Come si chiama questo bel gattone?”
“Solaire”. Spiegò quella che lo aveva in braccio. “E’ il gatto della padrona Beryl”.
“Immagino che se la passi bene!”
“Oh sì, trova sempre ogni ben di Dio”.
Acubens pensò che quello era un gatto davvero fortunato: in Europa infatti non si allevavano gatti che vivevano allo stato selvatico.
Nessuno nell’Europa cristiana avrebbe mai allevato un gatto: i felini erano considerati simboli della sfortuna e del male. Non per niente i gatti erano i fidati compagni di maligne streghe o animali del diavolo. Se poi i gatti erano neri era anche peggio per i poveri felini.
Eppur sembravano essersi dimenticati che erano utilissimi per dare la caccia ai topi nei granai.
Acubens il mese scorso aveva visto coi suoi occhi che nella notte di San Giovanni, nelle piazze, venire bruciati vivi centinaia di gatti rinchiusi in ceste assieme alle donne accusate di stregoneria. 
Fortunatamente al Grande Tempio non si seguivano sciocche superstizioni.
Osservando attentamente le due biondine, notò che erano molto carine.
“Sentite dolcezze, ditemi una cosa: vi interessa un uomo come me?”
Le due lo guardarono perplesse.
“Mi scusi, signore, ma non è il caso…”
“Via, via, smettetela di darmi del “signore” e piantamola con tutta questa formalità, io ho calli sulle mani, ho origini umili. Non sono un nobile e non mi interessa esserlo, quindi lasciamo stare inutili formalità, d’accordo?”
“D’accordo” aggiunsero le due.
“Allora tornando a prima: ci stareste con uno come me?”
Le due si scambiarono un’occhiata poi una disse:
“Mi scusi, ma lei, a dir la verità, non è bello!”
“Giusto, sorella, è più bello Lord Kunzite!”
“Veramente pensavo a Nephrite”.
“Ma secondo me…”
“Va bene, va bene, ho capito!” tagliò corto il cavaliere. “Allora non doveva arrivare qualcuno che mi portava dal Principe?”
“Scusate!”
Un giovane biondo si avviava verso di loro.
“Mi chiamo Jadeite, sono una delle guardie del corpo del Principe, vi porterò da lui”.
“Bene, bene, andiamo”.
Avviandosi assieme al giovane lungo i corridoi, Acubens rifletteva stizzito.
Io brutto! Io! Ma se una tipa di Rodorio ha detto che avevo un sguardo da cucciolo che conquistava le ragazze, bah! Certo, non sono bello come il mio fratellino, ma brutto! Andiamo! Scommetto che se qui c’era Crysos le ragazzine di questo luogo stavano a miagolargli dietro! O cercavano di infilarsi nel suo letto mentre dormiva… A me questo non è mai successo. Beh, neanche a mio fratello è successo, a dir la verità…
I due, in silenzio, giunsero davanti alla porta d’una stanza dove vi era il Principe Endymion che parlava con una persona.
Si trattavate d’una donna di statura media, vestita con un lungo abito blu scuro. Non si capì che volto avesse in quanto esso per coperto da un lungo velo nero. Si distingueva la forma ovale del viso, i capelli neri raccolti in crocchia sulla testa e dalla voce il Cancro capì che era una donna matura.
“Principe” fece Jadeite.
“Ah, così è lui il famoso forestiero” disse la donna.
“Straniero ti presento mi madre” disse il Principe.
“Oh!” Acubens fece subito un riferito inchino. “I miei omaggi Regina!”
La Regina fissò il Cavaliere d’Oro. “Mio figlio m’ha detto che partirai quest’oggi verso Oriente con mio marito”.
“Così è, mia signora, ma non inquietatevi: vostro marito tornerà tutto intero entro pochi ” rispose Acubens con cortesia.
La donna annuì, poi si rivolse al figlio:
“Porta i miei saluti a tuo padre”.
E fece per avviarsi.
“Non andate a salutare di persona vostro marito?” chiese il Cancro.
Stranamente alla domanda calò un silenzio imbarazzante.
“Li porterà mio figlio. Ora se volete scusarmi…”
“Certo madre, andiamo”.
La donna entrò nelle sue stanze ed gli altri camminarono per il corridoio
Camminando al fianco del Principe in silenzio, Acubens rifletté sullo strano atteggiamento della donna, inoltre si chiese perché la madre del Principe nascondeva il viso dietro un velo. La curiosità era forte ma non voleva essere offensivo con commenti indiscreti.
Endymion parve intuire i suoi pensieri e per questo disse:
“Se ti stai chiedendo perché mia madre nasconde il volto è… per vergogna”.
“Vergogna?”
Cioè si vergognava così tanto della sua faccia?
Con un sospiro Endymion fu più chiaro: “Quando ero bambino vi fu un’epidemia di vaiolo nel regno, ma fortunatamente fu breve e circoscritta. Io non mi ammalai e nemmeno mio padre… Mia madre sì. Sopravisse, ma beh… non so se lo sai ma chi guarisce dal vaiolo ha la faccia sfigurata dalle pustole”.
Il Cavaliere del Cancro annuì.
“Era una bella donna mia madre, ma… ora è ridotta così”. Chinò la testa molto dispiaciuto. “E’ una vergogna per lei, mostrarsi conciata così in pubblico, e come potrebbe non esserlo? Per questo non si fa veder quasi mai fuori dai suoi appartamenti. Poverina! E probabilmente è per questo che i rapporti tra lei e mio padre sono così… freddi”.
Acubens provò un po’ di dispiacere per la donna, ma pensò che il marito della donna fosse abbastanza ingiusto a fare finta che la moglie non esistesse. Tuttavia un dubbio gli venne in mente: il vaiolo non era da prendere alla leggera: era un rovina per gli abitanti sia di un villaggio che di una città…
“Scusate, Principe, ma i vaiolosi sono tutti guariti? Non vi sono stati decessi?”
“Solo alcuni anziani di salute cagionevole”.
Tutto qui? Non era successa una strage?
Vedendo il suo stupore Endymion spiegò: “Vedi la nostra medicina è molto più evoluta di quella degli altri popoli. Non sappiamo come sia esattamente la civiltà ad occidente od ad oriente del nostro regno, ma quel poco visto non ci piace. Qualunque cosa buona vi sia là fuori, qui è dieci volte meglio!” dichiarò con orgoglio. “Ci sono famiglie meno di ricche di altre questo sì, ma nessuno mendica, tutti hanno di che sufficiente per sopravvivere. Siamo puliti ed in ottima salute. Abbiamo opere d’arte meravigliose, ed il nostro livello di intellettualità è eccellente. Siamo felici e soddisfatti della nostra esistenza”.
“Rinnovo i complimenti, principe, invero il vostro è un regno da sogno degno delle più belle fiabe!” sorrise il cavaliere. “Ed una volta sistemata questa sciocchezzuola, tornerete alla vita spensierata di prima!”
Avrebbe voluto dargli un pacca sulla spalla ma si trattenne per rispetto del rango sociale. Il Principe invece fu colto nell’animo da una riflessione: la vita lì era spensierata? Non proprio… In realtà un pensiero ogni tanto rattristava nell’animo molti abitanti…
Perché gli esseri umani sono così caduci?
 
 
“E’ una pessima idea”
“Conosco i rischi, amico mio”.
Al cortile del palazzo Re Endymion e Gabriel discutevano animatamente.
“Non possiamo fidarci di costui. E se fosse in realtà dalla parte di quel criminale e dei suoi complici? Forse è lui stesso un complice! Non possiamo saperlo!”
“Ovvio”ribatté il re. Indossava semplici abiti da viaggi e portava un borsa da viaggi a tracolla. “Ma che alternativa abbiamo? E poi costui dice di essere un guerriero appartenente ad un ordine guerriero fondato da Atena stessa. Atena è sempre stata una Dea giusta e saggia, non è mica una mela marcia dell’Olimpo! Ricordati che la famiglia reale del Regno Dorato discende da un semidio figlio del Re dell’Olimpo. Ed il Re dell’Olimpo non è forse il padre degli Dei di quel monte?”
“Escludendo i fratelli e le sorelle di Zeus”.
“Se Atena è figlia di Zeus, allora non vi è niente da temere: le leggende li descrivono come individui giusti e saggi”.
“Descrivono anche Zeus come uno spargi bastardi, sai?”
“Non li hanno descritti come perfetti. Ah, ecco il nostro cavaliere!”
Dalla grande porta del palazzo uscì dal per l’appunto il Cavaliere d’Oro del Cancro seguito dal Principe e dal quattro guardie.
“Saluti Maestà!” disse il cavaliere facendo un piccolo inchino. “Siete pronto alla partenza?”
“Sì. Allora questo tuo fantastico mezzo veloce?”
“Lo vedrete tra poco. Andiamo fuori dalla città”.
Il gruppo decise di seguirlo all’esterno ed una volta fuori, nella campagna che circondava la città, il Re ripeté: “Allora Cavaliere come viaggiamo?”
“Ora vedrete!” esclamò questo cono orgoglio. Nella mano destra mostrò di brandire un fischietto di legno. Lo portò alle labbra e trasse un lungo fischio lamentoso non particolarmente forte.
“Chi stai cercando di chiamare?”
“Pazienza, Vostrà Maestà, lo vedrete”.
Attesero per un po’ ma non accadde nulla.
Scrutando le nuvole Acubens borbottò: “Forse è un po’ lontano!”
Trasse un secondo lungo fischio ed attese.
Anche gli altri attesero un po’ spazientiti, finché Zoisite, dopo aver atteso a braccia incrociate, esclamò:
“Ehi amico, si può sapere cosa stiamo aspettando?”
Acubens non rispose, limitandosi a scrutare l’aria, poi con un sorriso gridò: “Eccolo!”
Tutti seguirono il suo sguardo e poterono vedere un puntino nero tra le nuvole scendere a grande velocità verso di loro.
Il puntino diventò sempre più grande permettendogli di distinguere zampe ed ali ma prima ancora che gli occhi lo potessero inquadrare perfettamente, esso atterrò con un forte tonfo davanti al cavaliere, impennandosi sulle zampe posteriori e producendo un forte vento col battito delle ali piumate.
La creatura tirò indietro il capo e gracchiò.
Tutti poterono vedere che si trattava di un grande quadrupede poco pi grande d’un cavallo. Il corpo era quello d’un cavallo, dalla pelle grigio-bianca, ed aveva un lunga coda da cavallo e forti zoccoli alle zampe posteriori. Ma per il resto non sembrava affatto un equino: le zampe anteriori erano grandi zampe da uccello, con lunghi e robusti artigli, mentre la testa era quella di una grande aquila dal becco affilato.
Due grandi ali bianche piumate spuntavano dalle spalle e completavano il quadro.
La creatura, atterrata al suolo gracchiò fieramente, scuotendo la testa.
Tutti rimasero sorpresi da quella visione.
Jadeite strabuzzò così tanto gli occhi per lo stupore che Zoisite credette che gli stessero per uscire veramente dal cranio.
“In nome di… Ma che cos’è quest’affare?” esclamò.
Acubens accarezzò il collo piumato della creatura.
“Questo “affare” è un ippogrifo, e ti consiglio caldamente di non insultarlo; è molto orgoglioso ed insultarlo potrebbe essere l’ultima cosa che fai nella vita”.
Passato lo stupore tutti lo fissarono con attenzione, cosa che fu ricambiata dalla creatura che puntò lo sguardo su di loro.
“Somiglia ad un grifone” disse Kunzite, “ma la parte del corpo che dovrebbe esser quella di un leone è sostituta da quella di un cavallo…”
“Infatti “ippogrifo” vuol dire “cavallo-grifone” in greco, più o meno” spiegò il Cancro.
“E’ tuo?” chiese Gabriel meravigliato facendo un domanda un po’ ovvia.
“Sì. Lo trovai sulle montagne intorno al Grande Tempio quando ero solo un’apprendista. E’ stato difficile all’inizio addomesticarlo, ma nel giro di qualche mese ho conquistato la sua fiducia.”
Lo fissò con orgoglio.
“Creature affascinanti, nevvero? Sono incredibilmente veloci quando viaggiano in volo, ecco perché c’ho messo poco tempo ad arrivare qui non appena ho saputo della possibile locazione di questo posto. Forse questo esemplare è l’ultimo della sua specie ma chissà, ne potremmo trovare altri!”
Batté le mani sfregandosele soddisfatto.
“Bene! Vostra Maestà siete pronto a volare?”
Non giunse inizialmente risposta dall’altra parte, ma alla fine il re annuì. “Sì, sono pronto”.
“Sire…” obbiettò Gabriel.
“Ho rischiato varie volte la vita e la mia buona stella non mi ha mai lasciato. So difendermi, ricordati di cosa possiedo”.
“Ehm, ehm, chiariamo una cosa signori!” Acubens attirò di nuovo l’attenzione su di sé. “So che non vi fidate di me, e sapete una cosa: fate bene a non fidarvi di me. Vorrei ripetere fino allo sfinimento che io sono bello bravo ed intelligente e che potete fidarvi assolutamente di me, ma nell’animo vostro avrete sempre riserve verso di me. Ma direi che non avete alternative no ?”
“Hai parlato bene uomo, ma io voglio darti fiducia. Se sei veramente un uomo d’onore non tradirla”.
“Possa Atena maledire la mia anima perr l’eternità, allora”.
“E bada anche alla nostra vendetta, cavaliere” lo avvertì Gabriel.
“Intesi, allora, andiamo?”
Ad un commando di Acubens l’ippogrifo si accovacciò in modo che fosse facile salirgli in groppa. Il Cancro salì per primo ed aiutò poi il Re.
“Non tirategli le piume non gli piace per niente” lo avvertì.
Un volta che si furono sistemati Acubens afferrò le briglie e dichiarò:
“Bene ed ora voliamo sulle ali di quell’intrigante cosa chiamata Avventura!”
Il Re rivolse un ultimo saluto al suo erede.
“Buona fortuna figliolo!”
Poi al grido del cavaliere d’oro il grande ippogrifo, cominciò a correre battendo le ali e dopo un paio di balzi si alzò nel cielo librandosi in aria.
Per il Re fu una sensazione straordinaria: provava paura ma anche eccitazione ma avrebbe rifatto un simile esperienza ed anche se il Cavaliere del Cancro era davvero un losco figuro gli stava comunque facendo provare qualcosa di straordinario.
A Terra il Principe del Regno Dorato mormorò: “Torna presto, padre!”




Nota:
Nel capitolo precedente avevo detto che col re sarebbe partito anche Gabriel, ma mentre scrivevo il capitolo mi sono accorto che tre su un ippogrifo era un po' troppo, così qui è partito solo il re.
Ovviamente ho modificato il testo del capitolo precedente per adattarlo a questa cosa.

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Capitolo 8
*** Attacco alla Luna ***


Capitolo 8 - Attacco alla Luna.


Nel Silver Millennium regnava la pace, e sotto il cielo stellato la piccola città sulla Luna scintillava come un prezioso insieme di blocchi d’argento.
Su un balcone di una ricca villa si trovava la guerriera nota come Sailor Jupiter, ad osservare tranquillamente quel bellissimo posto che era casa sua.
Dietro di lei arrivò l’uomo che amava: Tsukoyomi, generale delle forze armate del regno.
Lui le avvolse le braccia attorno alla vita dandole poi un bacio sulla guancia.
Il  balcone era appunto parte integrante della sua abitazione.
“Allora, Jupiter, che programmi hai per il futuro? Parteciperai alla gara di pattinaggio sul ghiaccio che si terrà la prossima settimana?”
“Certamente non mancherò”.
Sorridendo, Jupiter pensò alla precedente gara tenutasi l’anno scorso che si era svolta nientemeno che il giorno del suo compleanno, anche allora vi aveva partecipato e quel giorno Tsukoyomi le aveva regalato gli orecchini rosa a forma di rosa appunto, che portava sempre.
Si sentiva fortunata ad avere un fidanzato così e d’istinto sapeva che le altre sailors erano un po’ invidiose, anzi la Principessa le aveva riferito che una volta Sailor Mars si era lamentata chiedendosi perché che non riuscisse a trovare un fidanzato come il suo.
 “Non vedo l’ora di vedere la tua esibizione alla prossima gara di pattinaggio”.
“Per la gara pensavo di mettermi un vestito molto più…” Lasciò la frase in sospeso.
“Molto più?”
“Sai volevo mettere alla prova il tuo autocontrollo quando si tratta di grazie femminili” scherzò la castana.
Tsukoyomi ridacchiando le passò le mani sulla vita sussurrandole all’orecchio: “Attenta, non tentarmi troppo con le tue grazie dolcezza, o potresti scoprire che dentro di me ho cinquanta sfumature di perversione…”
Stringendola più forte a sé cercò di farle capire col linguaggio fisico che c’aveva voglia, ed ora che erano soli ed innamorati magari…
Un boato inaspettato li fece sussultare. Si staccarono e si sporsero dal balcone vedendo del fumo levarsi da alcuni edifici ai confini.
“Ma che…” fece la sailor, quando si sentì un allarme suonare. “Siamo sotto attacco!” urlò poi.
Tsukoyomi digrignò i denti. “Ancora? Ah no, stavolta non la passeranno liscia!”
“Raduna i soldati, io vado in avanscoperta!” gridò Jupiter saltando giù dal balcone.
Atterrata in ginocchio, schizzò verso la zona sotto attacco incontrando civili spaventati e soldati che accorrevano. Fermò un soldato e gli chiese che succedeva.
“Sono i mostri dell’ultima volta! E non sono soli!”
Corsa in avanti arrivò in una zona in cui vide chiaramente la situazione.
Da dei varchi oscuri sbucavano le creature che avevano attaccato il regno qualche giorno fa: esseri umanoidi alti due metri dalla pelliccia scura, le mani artigliate, gli occhi rossi e la bocca irta di zanne.
Vi erano anche altri guerrieri all’apparenza umani con addosso armature integrali nere.
La guerriera sailor si preparò alla lotta e dal suo corpo cominciarono a sprigionarsi scariche elettriche. Non avrebbe permesso a quegli invasori, chiunque fossero e da dove provenissero, di distruggere la sua casa!
“Avanti non vi temo! Protetta da Giove, il pianeta del tuono, sono la guerriera dell’amore e del coraggio, sono Sailor Jupiter! Preparatevi al peggio!”
Accanto a lei Tsukoyomi sguainò la spada, seguito dai soldati scelti che il generale steso aveva addestrato personalmente.
“Soldati! Facciamogliela vedere a questi bastardi! Jupiter, vuoi che ci mettiamo spalla a spalla?”
“Basta che non mi stai col fiato sul collo: so difendermi da sola! Fulmine, Azione!”
 
 
Un gruppo di soldati, correva per gli edifici della città, mentre attorno si sentivano ruggiti e rumori di battaglia e civili in fuga terrorizzati.
“Dai, dobbiamo raggiungere il generale Tsukoyomi!” gridò uno.
“Aspettate!” urlò un biondo armato di lancia.
“Adonis! Siamo le truppe scelte del generale, dobbiamo raggi…”
“GIU’!”
Un masso li mancò per poco, e l’aggressore si fece avanti ruggendo.
“Dannazione! E’ uno dei mostri che hanno attaccato il regno pochi giorni fa!”
Apparvero anche degli ignoti guerrieri in armatura nera armati di scudi lance e spade.
“Ed ha pure degli amichetti” commentò il capogruppo “Addosso!”
Impugnata saldamente la lancia, Adonis si gettò nella mischia, trovandosi subito davanti un avversario armato di due spade per mano.
I due combatterono mentre attorno scoppiavano un miriade di duelli trai lunari e gli invasori, ed il mostro cadeva quasi subita a terra ferito.
Adonis tentò un affondo che venne parato ed urlò: “Pagherete per questo assalto!”
L’invasore sorrise sotto l’elmo.
“Uh, sono molto spaventato”.
Adonis lo fissò.
“Parli la mia lingua?”
“Ma certo, è un problema essere poliglotti?”
“Chi siete? E che legame avete con quei mostri?”
“Noi siamo gli Elfi Oscuri, veniamo da un mondo chiamato Svartalfheim, quei mostri invece sono le nostre truppe ausiliarie, li chiamiamo Grendel”.
“E perché attaccate il nostro regno? Che vi abbiamo fatto?”
“Niente. Ma sai quanta gente attacca senza motivo altra gente? A volte non servono ragioni specifiche per menare le mani. Comunque una ragione dietro questo attacco c’è”.
“E qual è?”
“Mh... ora che ci penso… non sono venuto qui per chiacchierare!”
I due ricominciarono a combattere, l’elfo con le spade, il lunare con la lancia, scambiandosi vari colpi. Il guerriero di Svartalfheim cercava di farsi sotto con le lame ma Adonis, grazie alla lancia, riusciva a tenerlo a distanza.
Ad un certo punto l’elfo provò una finta e poi un attacco diretto ma Adonis, giratosi di lato per schivare lo colpì sul mento col manico della lancia facendolo vacillare.
Tentò di approfittarne, ma quello lo allontanò con un fendente.
Distanziatisi, si studiarono per qualche istante poi l’elfo sorrise sotto l’elmo.
“Ti batti davvero bene, umano!”
Adonis lo fissò con astio.
“Non paragonarmi ai terrestri, elfo!”
“Perché?”
“Perché sono un lunare, non un terrestre!”
 
 
“Forza di qua, dovremmo esserci!”
Un gruppo di elfi oscuri, composto da soldati e da una donna armata di due lunghi coltelli ricurvi appesi alla cintola, stava correndo per uno dei corridoi del grande palazzo.
“Allora è di qua?” fece la femmina rivolta ad un malcapitato soldato prigioniero che si trascinavano dietro.
“S-sì…”, balbettò quello. “La sala dei trofei è d-di qua. Sempre dritto”.
“Bene muoviamoci!”
“Fermi dove siete, invasori!”
Due figure o meglio due donne erano apparse davanti a loro, sbucando da un corridoio laterale, facendo arrestare bruscamente la corsa del gruppo.
“Ma chi sono queste?”
“Oh, signorine!” gridò il prigioniero, “Meno male che siete qui! Salvatemi per amor del cielo, salva…”
“Taci!” abbaiò un elfo dandogli un calcio negli stinchi.
“Invasori!” esclamò una delle due nuove arrivate, “Come osate assaltare questo bellissimo posto?”
“La vostra avventatezza verrà punita!”
“Protetta da Mercurio, il pianeta dell’acqua, sono la guerriera dell’amore e dell’intelligenza, sono Sailor Mercury! Pentiti subito o l’acqua ti purificherà!”
“Protetta da Marte, il pianeta del fuoco, sono la guerriera dell’amore e dell’azione, sono Sailor Mars! Pentiti subito o ti scaccerò col fuoco!”
Il gruppo di invasori rimase per qualche istante in silenzio, poi l’elfa oscura inarcò il sopracciglio.
“Dovrei essere impressionata dal discorso?”
“Ben detto!” fece un soldato andando contro le sailor a spade sguainate. “Vediamo se le signorine sanno combattere oltre che parlar… ARGH!”
Un attimo dopo cadde a terra lanciando urla di dolore: Sailor Mars gli aveva fatto assaggiare le sue fiamme.
“Lasciate andare quel poveretto all’istante!” intimò la guerriera protetta da Marte riferendosi al prigioniero.
Ignorandola, altri elfi partirono all’attacco, brandendo le spade e gli scudi.
“Bolle di nebbia!” gridò la guerriera dai capelli blu.
Un foschia si creò intorno agli attaccanti confondendoli, e dando tempo a Sailor Mars di scagliarli contro un altro attacco infuocato.
La confusione nel gruppo aumentò quando videro che nella confusione creata dall’attacco, la guerriera di Mercurio si era infilata tra di loro ed afferrato il prigioniero per il polso lo stava portando via.
“Ferma!”
L’elfo non fece in tempo a colpirla con la spada, che ad un gesto della sailor questa si ricoprì di ghiaccio per poi spezzarsi di netto.
“Eh?”
Ad un nuovo attacco infuocato di Mars lanciato per coprire la compagna, l’elfa pose il palmo destro in avanti generando una forte corrente d’aria.
Un vortice d’a disperse le fiamme, ma Mercury riuscì a mettersi al fianco della compagna insieme al soldato salvato.
“Andate verso la stanza dei trofei!” urlò l’elfa maga ai compagni sfoderando i pugnali. “Trattengo io queste due!”
Delle lunghe aste di ghiaccio furono create e scagliate contro le due sailor. Mars replicò con le fiamme, ma gli elfi superstiti ne approfittarono per correre verso la sala dei trofei.
“Fermi!”
Mercury provò a fermarli, ma la maga intensificò l’attacco costringendola a stare sulla difensiva, poi si posò dietro ai compagni scappati.
“Sono io la vostra avversaria!”
Le due indietreggiarono davanti al vortice d’aria.
“Va bene”, disse Sailor Mars “Se vuoi la guerra l’avrai!”
“Tu! Allontanati!” gridò Mercury al soldato salvato.
Quello non se lo fece ripetere e scappò in un corridoio laterale da cui le sailor erano uscite.
L’elfa caricò coi pugnali, sfiorando la guancia della sailor blu e cercando di pugnalare allo stomaco quella coi capelli neri.
Questa però, unendo gli indici, gridò: “Fuoco azione!”
La vampata prese in pieno la maga che urlò di dolore, ma tentò di ribattere generando del ghiaccio che contrastasse in qualche modo, tranne per il fatto che Mars replicò l’attacco e stavolta non vi fu scampo.
Mentre l’elfa crollava a terra morta, Sailor Mars la superò velocemente e corse verso la sala dei trofei.
“Forza Mercury prendiamo gli altri!”
Questa le corse dietro facendole notare una cosa.
“Sembravano molti interessati alla sala dei trofei, hai notato?”
“Bah, cosa vogliono non conta adesso; ce lo chiederemo un’altra volta!”
Correndo le due giunsero davanti alla sala trofei la cui porta era stata spalancata a forza. Cinque elfi oscuri, gli unici superstiti del gruppo erano appena usciti con in mano un arco finemente intagliato.
Sailor Mercury vedendolo, ricordò di averlo intravisto nella sala dei trofei, anche se non ci andava quasi mai. Era l’unico arco custodito lì. Perché lo volessero non importava, non ora almeno.
“Fermi là! Posate immediatamente quell’oggetto!”
All’intimidazione della blu, l’elfo con l’arco si lanciò contro la finestra alla sua destra e la sfondò lanciandosi di sotto.
I suoi compagni provarono ad imitarlo, ma Sailor Mercury li fermò.
“Bolle di Nebbia, Azione Congelante!”
I malcapitati caddero a terra morti assiderati, mentre Mars si sporse dalla finestra infranta e vide l’elfo che correva con l’arco rubato in pugno.
Fu tentata di saltare giù per inseguirlo, ma vide che nella direzione in cui scappava l’intruso c’era una figura famigliare.
Presa da un’idea afferrò il sailorofono, il sofisticato apparecchio che le guerriere sailor usavano per comunicare a distanza e che portava al polso, attivandolo e gridando “Ehi Sailor Jupiter, rispondi!”
“Sailor Mars?” fece la voce della donna all’altro capo.
“Ascolta: lo vedi, dietro di te quel invasore che scappa con un arco in mano? L’ha rubato dalla sala dei trofei, lo fermi tu?”
“D’accordo!”
 
 
Spento il sailorofono, Sailor Jupiter inquadrò il fuggiasco con l’arco e gli corse dietro, quello si accorse della sailor, solo quando quella saltò e lo colpì con un calcio volante in mezzo alla schiena gettandolo a terra.
Quello a terra sbraitò qualcosa nella sua lingua, ed un grendel accorse ruggendo, caricando la castana.
Le si gettò di lato e poi stese il mostro con un potente fulmine.
Voltato lo sguardo vide il guerriero che si era rimesso a scappare con l’arco, correndo urlava qualcosa nella sua lingua rivolto ad altri.
Jupiter rese la mira e…
“Fulmine Azione!”
Lo colpì in pieno con una scarica elettrica che lo fece cadere a terra morto fulminato.
Corse per prendere quell’arco ma un altro elfo lo raccolse e poi, steso il palmo destro davanti a sé evoco un varco oscuro grande quanto un uomo.
“Fermo!”
L’elfo generò una vampata di fuoco che distrasse la sailor in quanto dovette schivarla, poi gridò qualcosa in elfico ed entrò nel varco, portandosi dietro l’arco.
“Dannazione!”
Erano riusciti sfuggire con il maltolto, ed adesso?
Adesso gli invasori avevano cominciato quella che sembrava decisamente la ritirata: i maghi creavano dei varchi oscuri tramite cui i soldati si infilavano di corsa, svanendo e tornando da dove erano venuti.
Il generale del Regno Argentato però non intendeva dargli tregua.
“Se ne vanno? Non ora. Forza soldati, devono imparare sulla loro pelle cosa vuol dire assalire il nostro regno!”
Tsukoyomi si lanciò come una furia sui nemici. Molti cercarono di fermalo, ma il generale era troppo forte e li falciò senza difficoltà con la spada.
Le truppe scelte sembrarono inarrestabili, ed elfi e grendel cadevano davanti a loro.
Un mago provò a contrastarli bombardandoli di incantesimi elementali, ma il generale li deviò con la sua arma e gli fu addosso in un attimo.
“Muori bastardo!”
Con un solo fendente della spada taglio in due l’elfo.
Gli altri bene o male riuscirono ad attraversare i varchi oscuri che si richiusero dopo che furono tutti passati.
Tsukoyomi fissò irato la zona deserta di nemici e piena di soldati lunari che esultavano per la vittoria, dopo che i varchi si erano chiusi.
“Tsk, ma sì andatevene, non la passerete liscia in eterno!”
Preso un fazzoletto cominciò a pulire la spada sporca di sangue. Nel mentre la guerriera di Giove osservò la mattanza che aveva fatto.
“Non ci sei andato giù un po’ troppo pesante?”
“Mh, direi di no. Meglio che i nemici temano un regno per la sua forza e la sua durezza: è sempre un incentivo efficace a tenerli lontani”.
 
 
L’elfo oscuro tentò una combo di colpi con le spade, ma Adonis saltò indietro un paio di volte evitandole. Tuttavia ci mancò poco che i fendenti gli aprissero una ferita nel petto.
Concentrandosi, Adonis cercò un momento propizio per colpire l’avversario in un momento in cui aveva la guardia abbassata, e l individuò quando il guerriero aprì per un attimo la guardia.
Era l’occasione per un affondo, ma all’ultimo l’elfo lo deviò con una delle armi.
Maledizione! Imprecò mentalmente il sodato lunare. Come posso… ma certo! La mia specialità!
L’elfo partì in un affondo, ma prima che colpisse Adonis si acquattò e spiccò un salto che lo portò diversi metri sopra l’avversario.
“Cosa?”
Il lunare atterrò alle spalle dell’elfo, che si girò per portare un attacco od una difesa ma l’arma del biondo lunare era già pronta a colpire.
Un attimo dopo la lancia guizzò in avanti e si piantò in profondità nel petto dell’elfo trapassando il metallo della corazza.
Perplesso l’elfo osservò il suo avversario negli occhi prima di sputare sangue e crollare sul terreno di schiena.
Adonis trasse un respiro di sollievo; l’avversario sembrava un tipo tosto ma ce l’aveva fatta.
“L’attacco in salto è una specialità di mia invenzione” spiegò. Di solito la uso per attacchi frontali, ma mi stavi troppo vicino così ho improvvisato.”
A terra, moribondo, stingendosi la mano destra sulla ferita rigurgitante di sangue, elfo lo fissò con uno sguardo indecifrabile.
“B-bravo, u-umano…”
“Piantala di paragonarmi ai terrestri!” ribatté il biondo stizzito. “Noi siamo lunari, non terrestri, capito? Non abbiamo nulla da spartire con quei barbari violenti ed incivili!”
L’elfo sputò sangue.
“P-pateci… Voi… siete terrestri… Siete terrestri, che non invecchiano mai, ecco l-la veri… tà…”
E morì.
Adonis testa arretrò dal cadavere  e si guardò intorno: i combattimenti sembravano continuare a giudicare dai rumori, anche se nella sua zona non se ne vedevano. Poco dopo, fu raggiunto da due suoi commilitoni. Avevano l’aria stravolta, ed uno esibiva un taglio sanguinante sulla fronte.
“Qui è tutto a posto?” gli chiese uno.
“Sì. Meglio se ci spostiamo in qualche altra zona”.
Correndo tra le case giunsero in una piazzola dove videro un elfo oscuro che stava piantato lì, in piedi, senza fare alcunché di particolare. Forse tratti in inganno dalla immobilità ed apparente indifferenza del tizio, decisero di attaccarlo, ma quello, notandogli quasi di sfuggita, fece un rapido e noncurante gesto col bastone che impugnava, generando così un onda urto che gli scagliò contro la parete d’un edifico lì vicino.
“State al vostro posto sciocchi temerari! O state cercando una morte gloriosa in battaglia?”
Adonis imprecò, cercando di rialzarsi, sentiva un male cane alla spalla e sperò che l’osso non si fosse rotto, forse si era solo slogata.
Digrignando i denti, fissò l’elfo che squadrava imperturbabile lui ed i suoi compagni.
Un altro elfo con in mano un arco giunse di corsa dall’uomo e mettendosi sull’attenti scambiò brevi parole con lui in lingua elfica.
L’elfo con lo scettro annuì e con un gesto creò un varco oscuro dentro cui il soldato si infilò.
“Ehi!” esclamò uno dei suoi compagni. “Che state facendo??”
“Semplice, piccolo lunare, ce ne andiamo”.
“Come sarebbe che ve ne andate? Dopo quello che avete fatto…”
“Noi volevamo solo prendere una cosa custodita nella vostra stanza dei trofei, nient’altro”.
“Eh!?”
Tutto quell’attacco solo per prendere una cosa?
“E non potevate chiederla gentilmente?” chiese un altro dei compagni di Adonis.
L’elfo scoppiò in una grassa risata.
“Non è nel nostro stile, e comunque la vostra regina non avrebbe mai acconsentito, vista la nostra poco pulita reputazione”.
Ricomposto li guardò severamente.
“Ora ascoltatemi bene lunari, e riferite questo messaggio al vostro sovrano: noi abbiamo preso l’oggetto che ci interessava, ora ce ne andremo e non torneremo più qui. Vi lasceremo in pace. Chiaro? Ma se voi tenterete di inseguirci per rappresaglia allora sappiate che una persona del vostro regno ne farà le spese e non sto parlando di una persona qualunque, ma della Principessa!”
“C-cosa?”
“E’ nostra prigioniera, e ve la restituiremo quando avremo la garanzia che ci lascerete in pace per l’azione che abbiamo compiuto quest’oggi. Chiaro? Bene, riferite questo messaggio al vostro sovrano. Addio!”
L’elfo si voltò e fu tra gli ultimi ad entrare nel varco oscuro camminando tranquillamente. Subito dopo averlo varcato, il varco si richiuse e la calma sembrò tornare nel Silver Millennium.
Ma Adonis non era calmo: il pensiero che la figlia della regina, l’erede al trono fosse stata catturata era inquietante.
Uno dei suoi compagni lo guardò spaventato.
“Ma sarà vero che hanno…”
“Probabilmente non lancerebbero una  affermazione del genere a vuoto. Forza! Corriamo al palazzo, subito!”
 
 
Destino volle che furono i primi ad arrivare al palazzo reale, e nella sala principale trovarono la Regina Serenity preoccupata con… la figlia proprio al suo fianco.
I tre fissarono le due donne sbalorditi: ma quello non aveva detto che avevano la Principessa? Che stava succedendo?
“Non sento più rumori di battaglia. I nemici sono in fuga?” domandò la Regina pensando che stessero recando notizie in merito.
“Ehm s-sì” fece uno dopo un attimo di esitazione.
Fu Adonis a chiedere: “Vostra Maestà, i nemici sono entrati fin qui?”
“No, perché lo chiedi?”
Adonis ed i suoi compagni si fissarono confusi, mentre la Regina intuendo che c’era qualcosa che non andava, chiese.: “Che c’è che non va?”
“Sì, i nemici non sono fuggiti?” aggiunse la Principessa.
In quel momento, prima che potessero rispondere entrò Tsukoyomi affiancato da Sailor Jupiter.
“Mia regina, i ne… Oh, avete già dato la notizia della fuga dei nemici?” fece il generale rivolto ai soldati.
“Ehm, sì generale, ma…”
Il discorso di Adonis fu interrotto dall’arrivo di Mars e Mercury.
“Principessa state bene?” chiese la mora.
“Perfettamente!” rispose quella sorridendo di sollievo; stava assistendo ad un po’ troppi attacchi.
“Ci fa piacere che la famiglia reale sia sana e salva” intervenne il generale, per poi tornare a rivolgersi ad Adonis, “ma credo che il nostro fiero giovane qui presente volesse dire qualcosa, giusto? Dunque soldato, “ma” cosa? Cosa volevi dire?”
“Ecco vedete, abbiamo incontrato quello che sembra essere il capo degli invasori e ci ha ammonito di non seguirli perché…” fissò la figlia della Regina. “Avevano preso come prigioniera la Principessa!”
“Eh?” Esclamò la citata. “Ma io sono sempre rimasta qui!”
“E gli invasori non sono mai arrivati fin qui!” aggiunse la Regina.
Adonis chinò la testa confuso.
“Ma allora… di chi parlavano?”
“Forse è un bluff” commentò Tsukoyomi, “Oppure…”
Qualcuno agitato irrompé di corsa nella sala. Quel qualcuno era un gatto maschio dal pelo bianco ed anche lui aveva una piccola mezzaluna gialla sulla fronte.
“R-regina, g-generale…” ansimò per la corsa a perdifiato che aveva fatto per arrivare lì.
“Artemis, che c’è?” gli chiese Luna.
“E’… è successo…” Il gatto era ancora sfiatato.
“Calma Artemis cosa c’è?” intervenne la Regina.
“Mia Regina, è successa una cosa terribile…” pian piano stava riprendo fiato. “Gli invasori… si sono portati dietro un prigioniero!”
Tutti sussultarono, maledizione ci mancava anche questa! Aspetta… aveva per caso a che fare con la “principessa” che sostenevano di avere catturato? Imprecando mentalmente, il generale pose l’ovvia domanda.
“Chi?”
Il gatto fece girare lo sguardo disperato su presenti e in quel momento tutti si accorsero che qualcuno che era sempre al fianco della Principessa mancava all’appello, e subito presagirono il peggio.
Le successive parole furono una botta nello stomaco per Adonis.
“Hanno rapito Sailor Venus! L’hanno scambiata per la Principessa!”

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Capitolo 9
*** La Regina Madre dell'Occidente ***


Capitolo 9 - La Regina Madre dell'Occidente
 
 
Era sera mentre le stelle brillavano nel firmamento notturno, un fuoco da campo scoppiettava allegro sulla Terra.
Attorno a quel fuoco da campo sedevano l’attuale sovrano del Regno Dorato insieme al Cavaliere di Atena partiti quella stessa mattina per raggiungere una “vecchia conoscenza” del re che gli avrebbe aiutati a decifrare il mistero di una statuetta.
Avevano appena finito di consumare una frugale cena a base di gallette e carne secca, mentre l’ippogrifo che li aveva portati in volo fin lì dormiva accovacciato lì vicino.
Re Endymion aveva tirato fuori una fiasca con del vino prodotto nel suo regno dicendo che “Mi piace portarmi un pezzo del mio paese  con me!” cosa che era risultata gradita ad Acubens, visto che il re si era gentilmente offerto di dividerlo.
Mentre si passavano la fiasca di mano per trarre sorsate ripresero la conversazione.
Ognuno aveva trovato piacere nel conversare con l’altro, inoltre il Cavaliere d’Oro aveva scoperto che il Re quando non si trattava di politica amava discutere senza problemi di argomenti leggeri.
“E’ indubbio che le nostre donne sono le più belle del mondo” stava dicendo il Re. “E sfido chiunque a trovare qualcuna più bella di loro, sia che abbia la pelle bianca come il marmo o scura come il legno”.
“Beh, un paio di ragazze della Sardegna non mi sembravano male”.
“Sappi che io sono un grande estimatore della bellezza e delle forme femminili. In gioventù ne ero un vero cultore”.
“Scommetto che in gioventù molte vi correvano dietro, eh sire?”
“Eheh, se sapessi quante passioni ho scatenato da giovane! I loro genitori mi urlavano dietro, dandomi ogni tipo di nomea, “sverginatore” era il termine più comune, ma che ci potevo fare? Le signorine volevano un affascinante principe che almeno per una notte le portasse lontano (nel senso figurato). Beh, perché lasciarle nella depressione, accontentiamole, mi dicevo.”
Il Cavaliere del Cancro rise di cuore; trovava quel sovrano sempre più simpatico.
“Eh, un vantaggio dell’essere il figlio del re è che ti perdonano le piccole marachelle. Beh, poi mi sono sposato, sono diventato re e molte cose sono cambiate. Certo ora il benessere del regno viene prima di tutto, su questo non si fa una piega”.
“Il vostro regno è davvero magnifico sire, non ha eguali sulla Terra”.
Re Endymion bevve un’altra sorsata dalla fiasca.
“Sì,  il nostro regno è l’Età d’Oro che è rinata tra noi poveri mortali. Ora è minacciata ma sono certo che sarà una cosa passeggera. E noi faremo il possibile per preservare questa nuova Età dell’Oro, dall’umile servitore fino a me!”
“Pronto a tutto per il benessere del vostro regno? Mi piace un sovrano così”.
“Ma certo che il benessere del mio regno viene prima di tutto! Devo forse giurare su qualcosa che mi impegnerò fino alla fine per risolvere questa minaccia?”
 “Non c’è né bisogno, vostra maestà. Ma vi do un consiglio, sire: qualunque cosa volete promettere con giuramento a voi stesso o al popolo non tirate mai in ballo lo Stige o Dio. Potreste pentirvene in seguito”.
“Davvero cavaliere? Sentiamo un po’, perché è sconveniente?”
“Bene, bene, parliamo”. Mettendosi comodo Acubens iniziò a spiegare. “Un giuramento sullo Stige è molto importante, ma molto ha livelli esagerati, eh! Violalo e, perdonate il francesismo, sei fotutto: le Furie verranno a prenderti la tua anima da fedifrago”.
“Ti sei espresso chiaramente, e non preoccuparti di “francesismi”; da giovane io ed i miei amici imprecavamo di gusto”.
“E sapete qual è la cosa più divertente? Una divinità può fare promesse sullo Stige, ma se le infrange per svista o per cos’altro non viene perseguitato dalle Furie!”
“Oh, e come mai?”
“Ma ve le immaginate le Furie che vanno a rompere i cosiddetti a qualche altolocato dell’Olimpo? Solo degli spiriti pazzi lo farebbero!”
“Bene, lo Stige è sconsigliato, ma una promessa fatta a Dio?”
“Beh qui è più complicato: non so come funziona se violi il giuramento, non me ne intendo con la fede dei cristiani, e voi a proposito?”
“Non seguiamo la loro religione, anzi non seguiamo una vera e propria religione con dogmi e sacerdoti, da noi è più... semplice, diciamo, ma torniamo al discorso: perché le promesse a Dio sono sconsigliate?”
“Mettiamolo così: un prete di Costantinopoli che ho incontrato da ragazzino, prima di unirmi ai Cavalieri di Atena, sosteneva che le promesse fatte all’Onnipotente siano le più importanti quindi non è giusto infrangerle, è inconcepibile infrangerle, e bla bla bla. E dalla sua predica ho capito solo che bisogna stare molto attenti a ciò che si promette, altrimenti sono guai. Nel suo sermone il prete aveva citato un episodio della Bibbia, dal Libro dei Giudici se non erro… uhm, ovviamente non leggete la Bibbia nel Regno Dorato, giusto?”
“Abbiamo solo sentito parlare del testo sacro della religione dei cristiani. Dunque non so di che episodio parlerai, ma dimmi pure, che esempio ha tratto il sacerdote per evidenziare le sue teorie?”
“Ebbene, un passo del Libro dei Giudici, parlava di un capo ebreo di nome Iefte che prima di intraprendere la guerra con dei nemici che minacciavano il suo popolo, promise a Dio che se lo avesse fatto vincere, quando sarebbe tornato a casa da vincitore, gli avrebbe sacrificato chiunque per primo fosse uscito di casa per venirgli incontro. Orbene Iefte combatté e vinse, ed al suo ritorno la prima della sua casa che gli si fece incontro, danzando con un tamburello per festeggiare il padre e la sua vittoria, fu la sua unica figlia. Benché disperato, Iefte non venne meno alla promessa.”
Acubens si interruppe un istante per bere una sorsata dalla fiasca.
“Morale? Questo episodio rimarcava il fatto che le promesse fatte a Dio sono le più importanti, qualunque esse siano, disse il prete, ma io ho solo capito che devi stare attento a cosa prometti”.
“Mh, certe cose sono un vero pasticcio. Beh, nel Regno Dorato non seguiamo una vera e propria religione, non abbiamo dogmi o sacerdoti a cui rendere conto, al massimo teniamo in considerazione il Primo Endimione come nostro fondatore ma niente più. Inoltre consideriamo il Sole come simbolo di vita, anche se c’è qualche sciocco che lo venera, ma niente più. Stiamo bene così”.
“Dunque le leggende sono vere? Siete i discendenti di un semidio figlio di Zeus?”
“Solo la famiglia reale. O almeno così sostengono le leggende” replicò il re con un sorriso misterioso.
“Direi che è ora di dormire” aggiunse poi stiracchiandosi. “Il viaggio è ancora lungo. Anche se abbiamo percorso una distanza notevole con quella meravigliosa cavalcatura”.
“Stando alle indicazioni che mi avete fornito, e la velocità dell’Ippogrifo, giungeremo a destinazione entro domani al tramonto” assicurò Acubens prima dia andare a coricarsi anche li
Prima di addormentarsi fissò un po’ la volta stellata. La sua costellazione dello Zodiaco splendeva rassicurante.
 
 
Quando salì il disco solare nel cielo i due viaggiatori si alzarono e ripresero il loro viaggio verso Oriente, sempre in groppa al fedele ippogrifo.
Viaggiare su nel cielo in groppa ad una creatura volante era davvero magnifico.
“E’ giusto che io abbia vissuto fino ad adesso per volare!” esclamò il Re.
“Vero ed è giusto che io abbia vissuto fino ad adesso per vivere quest’avventura, allora sempre per questa direzione, sire?”
“Sì”.
Le ore passavano, mentre le steppe verdi e le montagne brulle dell’Asia Centrale scorrevano davanti ai loro occhi e l’ippogrifo volava portato dalle correnti.
Fecero solo un breve sosta verso mezzogiorno per far riposare l’animale, per il resto viaggiavano a velocità costante.
All’imbrunire Acubens capì di esser giunto a destinazione quando il Re, seduto dietro di lui, gridò: “Laggiù, a destra, ci siamo!”
Voltato lo sguardo vide illuminati dalla luce del tramonto vi era una serie di catene di monti, ricoperti di bianca neve in cima, che si ergevano ai confini d’un paesaggio arido.
“E’ quello il luogo?” chiese il Cavaliere dirigendo l’ippogrifo verso i monti indicati.
“Sì. Quelli sono i monti Kunlun, la sua dimora è lì, ecco, punta verso la quella cresta”.
Il Cancro fece come indicato e la loro cavalcatura planò verso i monti brulli per poi atterrare in un luogo idoneo con un gran battito d’ali.
I due “passeggeri” scesero stiracchiandosi le membra indolenzite.
“Non vedo case. Dove dobbiamo andare?”
“Lei non vive in case, vive in grotte situate in questa zona”. Spiegò il re alla domanda del cavaliere.
“Una donna che vive in grotte? Cos’è, un qualche tipo di eremita locale?”
“No, lei… oh, ecco un suo emissario!”
Voltato lo sguardo Acubens vide un animale che si avvicinava a loro con grandi balzi. Era una possente tigre dal manto bianco stirato di righe nere.
“Tranquillo. Questo animale è al servizio della donna di cui ti parlavo”.
Non che Acubens fosse preoccupato, riteneva che anche un cavaliere di bronzo potesse eliminare quel felino senza problemi.
Endymion sia accostò al felino che li osservava senza segno di ostilità e gli disse: “Vogliamo vedere la tua padrona, certamente si ricorderà di me, Endymion”.
La tigre lo fissò con gli occhi color ghiaccio per qualche secondo poi, si voltò facendo cenno con la testa di seguirli.
Il Re si incamminò immediatamente facendo cenno al Cavaliere di seguirlo, cosa che fece seppure un po’ perplesso dalla piega ch stava prendendo quella situazione.
La tigre bianca li guidò lungo i contrafforti del monte fino a che non giunsero davanti ad una grotta che i apriva lungo il fianco del monte.
Il felino vi entrò senza esitazione, mentre il Re si fermò un attimo ad ammirare l’entrata.
“Quanto tempo è passato? Anni…”
“Ehm, sire? Non sarebbe ora che mi rivelaste chi è questa donna?”
Il Re si voltò verso di lui con un sorriso.
“Sarò schietto e diretto. Questa donna è una Dea”.
Il Cavaliere del Cancro spalancò la bocca in un Oh silenzioso.
“Una Dea? Sul serio?”
“Ho forse l’aria di uno che scherza?” chiese il re ironico. “Che c’è Cavaliere? Da quello che mi hai raccontato per voi è normale avere a che fare con divinità”.
“Beh… uhm, sì, ma il fatto è che non ho mai incontrato una divinità di persona…”
“No? E la tua Atena?”
“Lei si reincarna in un essere umano qualora una grande minaccia si prospetta sulla Terra. Ed in quest’epoca non si è reincarnata”.
“Ah, ho capito”.
Endymion si addentrò nella grotta, sempre preceduto dalla tigre e seguito dal cavaliere, che stava diventando abbastanza curioso.
“Allora chi è questa Dea? A che pantheon appartiene?”
“Come, non hai ancora capito a che pantheon appartiene? Eppure direi che è abbastanza scontato. Sai cosa c’è più ad oriente di qui?”
“Beh c’è la Cina… ehi, ma quindi lei… !”
“Il suo nome è Xi Wangmu. Nota anche come Regina-Madre dell’Occidente”.
“Come l’avete conosciuta?”
“Anni fa quando ero giovane e soltanto un principe ereditario. Ma non è  il tempo né il luogo per parlare delle mie avventure giovanili”.
I due mortali seguirono l’animale all’interno di alcuni tunnel bui, giungendo in una grotta nella montagna molto ampia, la cui vista meravigliò ancora una volta il Cavaliere mentre il Re si limitò a sorridere.
La gigantesca grotta aveva l’aspetto di un vero e proprio giardino con un prato d’erba, cespugli fioriti e alberi di pesco disposti ordinatamente.
Dei globi piazzati strategicamente per tutta la zona gettavano una luce uniforme che illuminava sufficientemente il luogo che altrimenti sarebbe stato completamente buio.
Acubens contò almeno cinque tigri bianche sdraiate tra i cespugli.
In fondo al giardino, seduta sotto un baldacchino, c’era la Dea dell’Oriente che erano venuti ad incontrare.
“Prego, avvicinatevi”.
I due fecero come detto e giunsero davanti alla Dea.
Xi Wangmu era una donna asiatica molto bella, con occhi castani e lunghi capelli neri raccolti secondo un’acconciatura in voga tra le donne della nobiltà cinese del tempo.
Vestiva un prezioso abito femminile di seta rossa con decorazioni floreali blu e rosa. Tra le mani reggeva un ventaglio.
Prima Re Endymion, poi il Cavaliere del Cancro si inchinarono in segno di rispetto davanti alla divinità.
“Mi fa piacere rivederti Endymion”disse la Dea rivolta all’uomo del Regno Dorato. “Ti trovo bene, nonostante gli anni passati. E so che sei diventato re del tuo regno, una grossa responsabilità”.
“Non poi così gravosa mia signora” rispose il Re. “Permettetemi di presentarvi il mio compagno di viaggio. Acubens dal Cancro, Cavaliere d’Oro di Atena”.
“Onorato”.
“Ah, un Cavaliere di Atena!” fece piacevolmente colpita la Dea. “Le gesta della figlia di Zeus e dei suoi Cavalieri, nonché della loro dedizione nel proteggere i mortali dalle forze oscure sono note anche tra noi. Ma lascia che mi presenti. Certo Endymion ti avrà detto chi sono, ma facciamo le dovute presntazioni. Sono Xi Wangmu, la Regina Madre dell’Occidente, sono la signora della fecondità”.
“Sono… molto colpito di trovarmi qui. Mai avrei immaginato di incontrare una divinità dell’Oriente” replicò il cavaliere d’oro. Non avvertiva alcun cosmo provenire dalla donna, ma era palese che lo stesse celando.
“Via, via, non esaltarti troppo Cavaliere, sono soltanto una divinità di rango minore, il mio potere non è paragonabile a quello dei Tre Augusti”.
Col ventaglio indicò alcune sedie.
“Sedetevi pure, per stasera siete miei ospiti a cena”.
I due ringraziarono caldamente l’offerta e si sedettero. Su un tavolo era disposta la cena: frutta di vario genere, tra cui pesche provenienti dal giardino ed una brocca d’acqua.
Mentre mangiavano e si dissetavano, il Cavaliere non poté fare a meno di domandare alla Regina Madre dell’Occidente informazioni sul suo Pantheon. Conosceva sufficientemente i numi della Grecia e per sentito dire gli altri pantheon adorati e venerati in tempi antichi, ma gli Dei di questa terra lontana lo interessavano parecchio.
Xi Wangmu non ebbe problemi a rispondere alle domande.
“I più importanti e potenti Dèi della nostra stirpe sono i cosiddetti Tre Augusti: Fu Xi signore del cielo, la sua sorella e sposa Nü Wa, la Grande Saggia e Shennong, Dio dell’agricoltura. In tempi antichi, quando ancora sulla tua Grecia regnava Urano, giunsero nelle terre dell’Oriente portando tra i mortali la civiltà; Fu Xi insegnò agli uomini della zona la pesca e l’allevamento. Shennong invece l'agricoltura, la medicina, l’agopuntura e la conta del calendario.
Per secoli regnarono in un lungo periodo di pace sulle genti del Fiume Giallo e del Fiume Azzurro, ad essi gli successero i Cinque Imperatori, re-saggi moralmente perfetti. Il più importante di questi Cinque fu il primo, Huang Di, noto come l’Imperatore Giallo o l’Imperatore di Giada, egli è il diretto successore dei Tre Augusti, ed è il fondatore della civiltà della Cina. Diventò un dio acquisendo il livello massimo del cosmo ed ora vive come me sui monti Kunlun, ma in una residenza in cima. Anche il regno dei Cinque Imperatori fu pacifico e fecondo ed a loro successe nel governo della Cina, Yu il Grande, il fondatore della dinastia Xia, seguita dalla dinastia Shang e poi dalla dinastia Zhou.
Tanti altri sono i numi di questa terra, alcuni di loro come Yi l’Arciere, sposo di Chang’e, o Zhong Kui, il soggiogatore di demoni, sono, o meglio erano, mortali poi diventati dèi, sebbene il potere di tutti loro singolarmente non è paragonabile a quello dei Tre Augusti”.
“E quanti altri Dei vi sono?”
“Beh, c’è He Bo che governa il Fiume Giallo, Dabo Gong, il Dio del Terreno, Chongli, divinità del fuoco e della guerra, o alcuni draghi che…”
“Chiedo venia, mia signora” intervenne il Re. “Potremmo stare qua a parlare delle imprese dei vostri venerabili tutta la notte, ma c’è una cosa in particolare che vorremmo sapere”.
“Lo intuivo: il vostro lungo viaggio non poteva essere dettato da semplice cortesia. Ditemi cosa vi angustia”.
I due spiegarono la faccenda della statua conservata nel Regno Dorato e che per qualche motivo ignoto alcuni rinnegati del Grande Tempio la volevano.
“Conosco quella statua, è molto nota tra noi Dèi della Cina” disse la Regina Madre dell’Occidente dopo aver ascoltato tutta la storia.
“Sapete perché la vogliono? A parte il fatto che è d’oro non riesco a capire perché”.
“La statua raffigura una scimmia accovacciata che impugna un bastone, giusto?”
“Rappresenta qualcuno di specifico?” domandò Acubens.
“Certo, rappresenta uno di Noi, Sun Wukong. O, come ama definirsi, ‘l’Affascinante Re delle Scimmie’. Ma ditemi come è giunta a voi?”.
“E’ il dono che un principe della dinastia Han fece ad uno mio antenato otto secoli fa per non mi ricordo quale aiuto”.
“Ci dica, Regina Madre dell’Occidente, che valore ha quella statua?”
“E’ un dono cavaliere, il dono di una Divinità”.
“La prima apparizione della statua risale ad uno dei periodi più bui della storia del “Celeste Impero” iniziò a raccontare la Dea. “Era quello che i cinesi chiamano “Periodo dei Regni Combattenti”, la Dinastia degli Zhou aveva perso il potere centrale sulla Cina e da due secoli e sette regni si combattevano tra feroci battaglie e precarie alleanze per la supremazia.
Armi di ferro e cavalleria sostituirono armi di bronzo e carri da guerra. La gente soffriva in quanto la guerra tra i regnanti pareva senza fine, e frequenti erano le battaglie cruenti.
Dopo due secoli di divisioni e conflitti, tutto cambiò quando un uomo, Ying Zheng,  salì al trono dello stato di Qin e riuscì a porre fine al conflitto ed a riunificare la Cina. Ci riuscì grazie anche a quell’oggetto”.
Certa di avere l’attenzione dei due la donna continuò dopo un attimo di pausa.
“Dopo l’ascesa al trono del regno di Qin, Ying Zheng ricevette di nascosto la visita di Sun Wukong. Costui gli disse che vedeva nel giovane sovrano colui che avrebbe posto fine al periodo di tribolazioni che stava attraversando il paese, e gli diede quella statua assicurandogli che gli avrebbe donato fortuna e buona sorte finché l’avesse avuta sempre con sé.
In preda all’euforia, il giovane re si mise all’opera. La statua donò effettivamente fortuna e gloria al giovane re: nel giro di nove anni il regno di Qin conquistò i regni Han, Wei, Chu, Zhao, Yan e Qi. Dopo decenni la Cina era finalmente riunita in un unico stato retto da un solido potere centrale ed i conflitti interni erano cessati. Ying Zheng, per celebrare il successo e per distinguere la sua posizione da quella dei precedenti re, cambiò nome in Qin Shi Huangdi, richiamandosi ai Tre Augusti e ai Cinque Imperatori del passato e fu così che diventò il Primo Imperatore della Cina”.
“E di ciò doveva effettivamente ringraziare gli Dei, o meglio Sun Wukong” commentò Re Endymion.
“E lo ringraziò, ma Sun Wukong si accorse in seguito che l’uomo che aveva aiutato stava usando in malo modo i suoi benefici. La Grande Muraglia fu edificata per scopi difensivi con lo sforzo di centinaia di uomini reclutati a forza e sottoposti a lavori massacranti, il popolo era oppresso da leggi severe, con un rogo dei libri distrusse qualunque traccia nella cultura potesse ostacolare il suo potere, centinaia di intellettuali confuciani furono giustiziati per aperta ribellione nei confronti del sovrano. Inoltre, in seguito a tre attentati sventati, l’Imperatore perse ogni fiducia nei propri cortigiani e sempre più terrorizzato da assassini mandò a morte centinaia di persone sospettate soltanto di aspirare ad ucciderlo, pensate che fece giustiziare tutti gli abitanti di un piccolo villaggio rei di aver scritto su un meteorite appena precipitato frasi ingiuriose su di lui! Una volta che l’età avanzava diventò anche ossessionato dall’ottenere l’immortalità, temeva che nell’aldilà gli spiriti di coloro che aveva ucciso si sarebbero accaniti su di lui. Chiese al Re delle Scimmie di farlo diventare immortale, ma Sun Wukong, profondamente deluso nel vedere che l’uomo che aveva beneficiato si era rivelato un tiranno brutale, superstizioso, paranoico e ossessionato dall’immortalità, lo ignorò lasciandolo nel suo brodo, come si suole dire.”
Presa una pesca cominciò a tagliarla con un coltello.
“Il Primo Imperatore morì in circostanze quasi comiche: i suoi dottori avevano confezionato pillole che dovevano renderlo finalmente immortale, peccato che contenevano una sostanza letale per l’uomo se ingerita: mercurio.
Gli successe il figlio Huhai, che secondo le indicazioni del genitore doveva essere il Secondo Imperatore della Cina, ma non era all’altezza del padre come carattere ed il regnò si sfaldò sotto un’ondata di odio per la Dinastia Qin.
Huhai invocò Sun Wukong, chiedendogli perché la statua non lo aiutava come aveva aiutato il padre, e quando il Re delle Scimmie venne da lui in segreto rimase sconcertato da quello che gli rivelò.
Sun Wukong gli spiegò che la statuetta in realtà non donava alcuna benedizione divina ai mortali; era soltanto un normalissimo dono che aveva fatto a suo padre per metterlo alla prova: voleva vedere come la convinzione della buona sorte avrebbe influenzato le sue azioni future. In parole povere Qin Shi Huangdi non aveva costruito la sua fortuna con la benedizione divina, quei doni li aveva già ma li usò in malo modo”.
Seguì un lungo silenzio al racconto, mentre la Dea concluse: “Il resto è storia: la Dinastia Qin non durò a lungo e si estinse col figlio del Primo Imperatore. A guida della Cina subentrarono gli Han, di cui uno di loro donò la statuetta ad un principe del Regno Dorato”.
“Dunque è solo un oggetto comune…” mormorò il sovrano del Regno Dorato dopo un lungo silenzio. “Ma allora perché la vogliono così tanto?”
“Forse credono davvero che contenga una benedizione divina?” azzardò il Cavaliere del Cancro.
“Ricordate questo: quell’oggetto ha una qualche forma di valore spirituale, badate spirituale, non materiale, ed è questo che conta. Forse per ora la vera risposta vi sfugge ma un giorno la scoprirete”.
Si alzò dal sedile su cui era seduta e sorridendo disse: “Fuori è notte ormai, se resterete come ospiti per questa notte mi farete piacere”.
“Vi ringraziamo per l’ospitalità, mia signora” disse Re Endymion alzandosi.
“Sì, grazie, ripartiremo domani mattina” aggiunse Acubens imitando il re.
“Vi suggerisco di esser cauti nei giorni avvenire” aggiunse la Dea. “Un’ombra oscura si addensa sopra il Regno Lunare”.
“Regno Lunare?” fece il Cancro perplesso.
“E allora?” chiese il Re.
“Non sono un’esperta di divinazione, ma la mia amica Chang’e, la Dea della Luna, avverte qualcosa di strano nell’aria. Sente che c’è qualcosa di oscuro che incombe sul Silver Millennium”.
“Il che?”
“E’ un altro nome con cui è noto il Regno Lunare, cavaliere”.
“Ripeto, e allora? Non abbiamo idea di come giungere al regno della Luna e comunque non sono affari nostri i suoi problemi”.
“Ma esattamente cos’è questo Regno Lunare, potreste spiegarmelo per favore?”
Xi Wangmu lo fissò. “Insolito. Non conoscete la storia del Silver Millennium? Eppure ha a che fare con una delle vostre divinità dell’Olimpo.”
“Chi? Atena?”
“No, Artemide, la signora della caccia, degli animali, della foresta, delle fanciulle e della Luna. Il Silver Millennium fu fondato nell’Epoca Mitica da alcuni seguaci della Dea Artemide (tutte donne per ovvi motivi) che vi fondarono un principato dipendente dalla Dea. In seguito, quando gli Olimpici si disinteressarono dei mortali, il Regno divenne indipendente, la neo regina decise di far entrare anche gli uomini in quel regno, e da allora il regno prosperò. Tute le divinità lunari sono le benvenute lì, Chang’e mi ha detto che è davvero bello e gli abitanti sono felici.”
“Certo che sono felici, sono tutti immortali perché dovrebbero essere infelici?” fece il Re sarcastico.
“Immortali? Come gli Dei?” chiese Acubens.
“Sì. Noi, Dei siamo immortali nel senso che non invecchiamo mai, ma possiamo essere uccisi in battaglia, sebbene i nostri corpi siano più forti di quelli dei mortali.”
“Davvero interessante, ma sire, voi nel Regno Dorato sapete dell’esistenza di questo luogo?”
“Sì, abbiamo avuto contatti in passato, secoli fa per essere precisi, ma non abbiamo alcun legame ora con quei degenerati”.
“Degenerati?” chiese Xi Wangmu, anticipando la domanda del Cavaliere.
“Sì degenerati, sapeste che storie si sentono… beh, non vale la pena tediarvi con queste sciocchezze, mia signora, la ringraziamo ancora per l’ospitalità. Ne faremo buon uso”.
I due decisero di ritirarsi per dormire, anche perché stanchi per il lungo viaggio. Il posto scelto per dormire fu un piacevole prato sotto un albero di pesco dove si coricarono avvolti in coperte (il Cancro si tolse l’armatura per dormire)
Prima di addormentarsi il Cavaliere di Atena volle fare un domanda.
“Ehi sire, stavo pensando…”
“A cosa?”
“Sono davvero così degenerati quelli del Regno Lunare?”
“Ma certo, lo sanno tutti!”
Detto questo il Re si girò sul fianco, dando al schiena al Cavaliere per dormire, mentre quest’ultimo rifletteva fissando le foglie dell’albero.
Davvero i discendenti dei seguaci di Artemide si erano corrotti nell’animo come sosteneva il re del Regno Dorato? Questo si chiedeva il cavaliere di Atena.
Mah, chi poteva dirlo… forse era davvero così, dopotutto se la loro Dea non si curava più di loro da secoli tutto poteva essere accaduto. Questo pensava. Poco importava tutto sommato, su una cosa il Re aveva ragione: le stranezze d’un regno lontano non erano un problema suo.
Almeno per ora.




FAQ: "Ma il titolo della fic è ispirato ai Forgotten Realms?"
"No, non avevo in testa i Forgotten Realms quando pensavo al titolo o scrivevo la fic, semplicemente è un riferimento al fatto che il Silver Millennium ed il Golden Kingdom sono due regni che ora non ci sono più".

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Capitolo 10
*** Prigioniera ***


Capitolo 10 - Prigioniera


Sailor Venus si guardò intorno.
Si trovava una radura ricoperta di arbusti e piccoli massi, in un luogo non identificabile. In alto le stelle brillavano nel cielo notturno e la mezzaluna calante le provocava un acuto senso di nostalgia per casa.
Era sulla Terra, sul mondo che spesso si ammirava dal Silver Millennium, ma in quale parte del mondo… beh, questa era una domanda a cui non poteva dare risposta.
E dire che era la prima volta nella sua vita che metteva piede sulla Terra! Ovviamente mai e poi mai aveva pensato che l’avrebbe fatto da prigioniera.
Prigioniera di quegli esseri, Elfi Oscuri, questo era il loro nome, razza che prima di allora non aveva mai sentito nominare.
 
Durante l’assalto si era precipitata senza indugio nella mischia, ed i primi avversari erano stati proprio i due che la sorvegliavano insieme ad altri.
“Tremate invasori, io sono…”
“E’ lei! L’abbiamo trovata!” gridò uno di loro.
“Sicuro?” fece un altro.
“Bionda, occhi azzurri, nobile, sì è lei!”
“Caspita che colpo di fortuna!”
“Ehm, mi cercavate?” aveva chiesto la guerriera di Venere perplessa. Per un attimo le vennero in mente gli spasimanti con cui aveva a che fare di solito: gente che correva in lungo ed in largo per trovarla.
“Ma certo!” gridò soddisfatto uno degli invasori. “Tu sei la Principessa di questo regno!”
“E abbiamo l’ordine di catturarla!”
“Scusate, ragazzi” obbiettò un altro. “Ma siamo sicuri che sia lei?”
“Ma certo che lei: corrisponde alla descrizione, e poi è l’unica bionda tra persone scure di capelli od argentati!”
“Ehi, tu! Sei la Principessa?”
Sailor Venus capì subito che quelli erano piombati a capofitto in un equivoco grande come la Luna stessa. Anche se non avevano del tutto torto: lei e Serenity erano le uniche donne in tutto il Silver Millennium ad essere bionde.
Per un attimo era decisa a dirgli che avevano preso lucciole per lanterne, ma poi le venne un dubbio: perché cercavano la Principessa? Volevano catturarla, ma qual era il loro vero fine? In ogni caso non avrebbe mai permesso a loro di mettere le mani sull’erede del Silver Millennium, e quindi decise di sfruttare quell’occasione.
“Ebbene, mi avete trovato!” dichiarò. “Sono io la Principessa Serenity!”
“Prendiamola!”
“Non così in fretta! Fascio di luce!”
Molti degli invasori caddero, ma nonostante la difesa disperata della sailor uno di loro le arrivò alle spalle e riuscì a metterle al collo un strano collare.
Non appena le fu addosso, delle rune si illuminarono e lei si sentì perdere le forze.
“C-che mi…”
“E’ finita, lunare, quel collare, incantato dal Generale Cardhan in persona, permette di bloccare i tuoi poteri finché lo avrai addosso. Ed adesso basta storie, vieni con noi!”
Afferratala sgarbatamente per le braccia la portarono via.
“E sta tranquilla: se i tuoi simili faranno i bravi ti lasceremo andare”.
Mentre la portavano via aveva intravisto tra gli edifici Artemis, il gatto bianco che insieme a Luna faceva da assistente alla Regina, che fissava la scena inorridito.
 
Ed eccola lì, solo, prigioniera e con poche aspettative per il futuro, poteva solo sperare che continuassero a crederla la Principessa della Luna.
A dai discorsi delle guardie che la custodivano capiva che credevano eccome a quella storiella.
“Ehi donna!” le disse uno, “Come minimo mi aspetto una promozione, per la tua cattura!”
“Sicuro… “ fece un’altra guardia dello stesso avviso. “Oh, ecco il Generale Cardhan ed il Generale Imor”.
Un elfo oscuro, alto ed armato di bastone con una gemma bianca in cima si avvicinò al luogo dove si trovava la prigioniera. Era seguito da un altro elfo più alto e con le spalle più larghe, che portava una mazza dal lungo manico appesa a tracolla sulla schiena.
I due elfi di guardia alla prigioniera si misero fieramente sull'attenti, al loro arrivo, ma quando il generale con lo scettro fissò la bionda, la sua faccia, da impassibile che era fu scossa da un viso prima perplesso e poi arrabbiato.
“Chi è questa qui?”
I due soldati lanciarono occhiate perplesse alla guerriera sailor ed ai generali.
“La… la Principessa del Regno Lunare, generale Cardhan” disse uno.
“Questa non è la Principessa!” sbraitò l’elfo.
“Ma se ha ammesso di esserlo!”
Con un gesto irritato della mano libera, Cardhan creò nell’aria un volto femminile che rappresentava la vera Principessa Serenity.
Questa è la ragazza!”
Gli elfi che sorvegliavano la prigioniera si scambiarono occhiate scioccate e terrorizzate.
L’altro generale li fulminò con lo sguardo.
“Avete preso la ragazza sbagliata?”
“Ehm… si somigliano”.
“DEFICIENTI!”
Una scarica di fulmini emanata dalla sfera sul bastone dissolse l’immagine e si scagliò contro gli elfi oscuri di guardia alla sailor, che chiuse d’istinto gli occhi temendo di venire colpita. Ma non accadde: la collera di Cardhan non era diretta a lei.
Urlando di dolore gli elfi vennero scagliati all'indietro mentre dolorose scariche elettriche attraversavano ogni fibra del loro corpo.
“Siete la vergogna di tutta Svarltalfheim!” sbraitò il generale. “Meritate di essere buttati nella pece bollente o dati in pasto ai Grendel mentre siete ancora vivi, oppure…”
“G-generale, n-oi…” gemette un elfo a terra.
“Taci! Non voglio sentire le tue patetiche scuse e tantomeno mi interessano!”
Un altro elfo sollevò la mano, supplicante.
“G-generale noi… abbiamo ricevuto descrizioni sommarie… una ragazza bionda con gli occhi azzurri…”
“E lei era l’unica bionda che abbiamo… ahi… trovato!”
“Ha… ha detto di essere la Principessa, quando glielo abbiamo domandato!”
I due generali, dopo quelle dichiarazioni posero la loro attenzione sulla giovane prigioniera. Il primo a parlare fu il Generale Imor, quello alto e robusto armato di mazza.
“Tu, donna, qual è il tuo nome?”
“Sono Sailor Venus, guardia reale della Principessa Serenity”. Rispose quella cercando di mostrare sicurezza. La copertura era saltata prima del previsto, ed ora che sarebbe accaduto?
“Perché hai detto a questi sciocchi di essere la Principessa della Luna quando te l’hanno chiesto?”
“Per proteggere un’amica. Non penso che voi capiate l’idea di protezione della famiglia reale che noi abbiamo nel Silver Millennium”.
“Ti sbagli” ribatté il generale robusto. “La fedeltà al proprio sovrano è una cosa condivisa anche da noi. Non giudicarci solo dalle apparenze, piccola lunare. Come tu doneresti la tua vita per la tua principessa io donerei la mia per il mio re”.
“Aspetta, Imor” disse Cardhan alzando la mano destra per interromperlo. Poi, facendosi più vicino alla prigioniera, la fissò attentamente.
“Amica? Hai definito la tua principessa un’amica?” Si chinò per fissarla negli occhi. “Quindi tra voi due esiste un legame più profondo di quello che dovrebbe esserci? Dimmi la verità”.
Venus abbassò  lo sguardo, distogliendolo dagli occhi neri dell’elfo “Ci conosciamo da quando eravamo bambine…”
“Ah… E lei tiene a te, dunque?”
Nessuna risposta dall’altra parte.
“Lo prendo come un sì”, commentò Cardhan alzandosi in piedi. “Bene, branco di sciocchi!” dichiarò poi rivolgendosi alle guardie della sailor prigioniera ancor a terra doloranti. “Siccome oggi sono generoso eviterete la punizione, visto che avete catturato un persona tutto sommato importante per quelli del Regno Lunare Principessa! In quanto a te, lunare, sei fortunata: a quanto pare come ostaggio sei molto più importante di quello che avevo inizialmente pensato”.
Dopo aver detto questo Cardhan, seguito da Imor si allontanò dalla zona, lasciando la prigioniera inquieta ed i secondini ancora doloranti e storditi.
Venus sospirò afflitta: la situazione non era innegabilmente delle migliori, si chiedeva se e quando gli elfi oscuri avrebbero rilasciato l’ostaggio, ma soprattutto se l’avessero rilasciato.
Sperò che qualcuno sarebbe intervenuto, dopotutto Serenity avrebbe fatto il possible affinché la Regina o Tsukoyomi facessero qualcosa
Se solo non avessi questo stupido collare fuggirei e tornerei sulla Luna, pensò.
Sentendo un movimento davanti a lei, alzò la testa e sussultò: davanti a lei era spuntato all'improvviso un tizio in armatura argentea con la faccia sfigurata da quella che sembrava un’ustione. Faccia un po’ troppo vicina alla sua.
“Buh!” fece lo sfregiato.
Venus  fece un minuscolo salto di paura, dovuto soprattutto alla sorpresa istantanea, ma poi cercò di mostrarsi impassibile.
“E tu chi sei?”
“Oh, sono un monellaccio. Sai, picchio, rubo ed altro” commentò quello con un ghigno rialzandosi.
Sailor Venus lo fissò attentamente.
“Tu sei un terrestre, vero?”
“Brava! Da cosa l’hai capito?”
“Che legami hai con questi elfi?”
“Mh, patti di alleanza, sai io faccio una cosa per te e tu poi fai una cosa per me…”
“Sembrate proprio della stessa risma tu e questi elfi!”
“Perché?”
“Si vede!”
Lo sfregiato inarcò un sopracciglio. “Ehi, mi giudichi dal mio aspetto per caso? Non sei molto educata, sai?”
“Non ti giudico dal tuo aspetto. E’ una cosa che sento a pelle”.
“Ma suvvia! Io ho soltanto dei problemi”.
“A pelle sento anche che tu non hai problemi” replicò acida la bionda.
“Ma mia cara, io ho dei problemi, io convivo con i folli, anzi due folli in realtà: Arles, un autentico esaltato, ed Artemisia, l’unica donna al mondo che vorrei evitare. Meno ho a che fare con quella lì meglio è. Lo sai che rischio di venire castrato se soltanto provo a sfiorarla?”
“Forse questa Artemisia non gradisce le tue avances”.
“No, no, quella è matta da legare, te lo dico io. Senti l’idiozia che ha detto una volta: ha detto che non devono essere gli uomini a violentare le donne ma deve essere il contrario. In pratica quella lì vuole che siano le donne a violentare gli uomini.”
Scoppiò a ridere. “Ma ci pensi a quanto è assurdo? Dai! Vedi con che razza di matti mi tocca convivere? Certo, potrei dirglielo che dice assurdità ma Artemisia mi ignorerebbe e basta.”
“Senti” quella conversazione con quell’uomo le stava piacendo sempre meno. “Vuoi ridere di me o che altro?”
“Nah, volevo solo conoscere la famosa Principessa della Luna, che in realtà è Sailor… uhm…”
“Venus. Sailor Venus, protetta dal pianeta Venere”.
“Ah, protetta dal pianeta che porta il nome romano della Dea greca dell’amore e della bellezza. Invero, non sfigureresti affatto trai seguaci della Dea. Bene, ti saluto bellezza, devo fare rapporto ed organizzarmi per future imprese”.
Detto questo, fece un ironico inchino si voltò e si allontanò.
Lasciando la guerriera protetta dal pianeta Venere mesta e sola, a domandarsi cosa le sarebbe successo in futuro. Certo, se non avesse detto che era lei la Principessa Serenity…
Ho solo fatto il mio dovere di guardiana della Principessa, ma, vi prego amiche mie, non lasciatemi qui…
 
 
Daniel si diresse tranquillamente verso un gruppetto composto dal suo capo Megaleìo e da alcuni elfi, tra cui il generale Imor.
Sicuramente stavano discutendo al prossima mossa, l’attacco al Regno Dorato, regno di cui in quel momento si trovavano ai confini.
L’umano moro distolse lo sguardo da Imor per fissare l’ex cavaliere d’argento.
“Allora, che notizie dagli esploratori?” gli chiese.
“Gli esploratori hanno avvistato tre guerrieri in avvicinamento al Regno Dorato” rispose l’elfo.
“Altri Cavalieri di Atena?”
“A giudicare dalla descrizione delle armature direi proprio di sì”.
Imor si accigliò.
“Mh… strano, sembra che sappiano che colpiremo qui…”
“Molto Strano. Chi sono?”
“Il cavaliere d’argento della freccia, un cavaliere di bronzo dall’armatura rosa, non ho ben capito il simbolo, ma aveva delle catene ai polsi…”
“Armatura rosa, catene…” rifletté Megaleìo, “Ah, dev’essere l’armatura di Andromeda; a quanto pare sono riusciti a trovare un possessore. Ma… hai detto che il cavaliere d’argento è della freccia?”
“Sì. Pensi anche tu che sicuramente è lo stesso che Federico ha incrociato quando recuperava uno degli oggetti insieme a Naja?”
“Già… Questo spiegherebbe molte cose… Beh, per ora questo non ha importanza. Ed il terzo cavaliere chi è?”
“Il terzo è nientemeno che un Cavaliere d’Oro; sottinteso è affar tuo”.
“E chi è il guerriero dorato?”
“Oh, Crysos”.
Il bel volto di Megaleìo fu incorniciato da un sorriso.
“Crysos… Sarà un piacere…”
 
 
Quella mattina Jadeite, la più giovane guardia personale del Principe Endymion fu svegliato da una lieve e piacevole illuminazione che aleggiava nella sua stanza. Questo perché la finestra della sua camera da letto era orientata proprio verso Est.
Nello stato dl dormiveglia il biondo pensò che quella sarebbe stata un bella giornata e non sarebbe stato affatto male, dopotutto ieri e l’altro ieri c’erano stati nuvoloni grigi che mettevano la malinconia.
A poco a poco si stava destando, quando udì gli schiamazzi. Sulle prime non capì se venivano da fuori o da dentro (le stanze delle guardie personali del Principe si trovavano nel Palazzo Reale).
Poi gli parve di sentire un baccano direttamente da fuori che gli fece inarcare le sopracciglia.
Che siano… No, dai.
Si Mise a sedere sul letto, ora completamente desto. Gli schiamazzi esplosero un’altra volta, aguzzò l’udito, già intuendo di chi si trattava, e provò ad ascoltare cosa dicevano quelle voci.
Il baccano esplose di nuovo, probabilmente gli individui che facevano tutto questo chiasso erano sotto la sua finestra. E stavolta si sentivano chiaramente.
“IL SOLEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!”
"SIA LODE AL SOLE!!"
“SI', IL SOLE!!”
Jadeite gemette. “Porco Zeus, ancora loro, no!”
Alzatosi dal letto ed infilata una vestaglia, andò alle tapparelle della finestra, le aprì e guardo in basso, incurante della luce solare che illuminava la stanza.
Un gruppo di individui vestiti di rosso e giallo, stava nell’ampio cortile sotto la sua finestra con lo sguardo rivolto verso il sole nascente e le braccia alzate al cielo.
“Lode al sole!” intonarono mentre i raggi dell’astro gli baciavano la faccia.
E poi dicono che il sole bacia i belli… Beh, bacia anche gli imbecilli, pensò il biondo.
Afferrati i vestiti riposti su un appendiabiti lì a fianco si rivestì velocemente, si legò alla vita il fodero con la spada e poi uscì dalla stanza, per il momento preferiva non fare colazione, non prima che i tizi che lodavano il sole avessero finito.
Passando per un corridoio del palazzo vide un individuo dai lunghi capelli biondi uscire da una stanza.
“Zoisite!”
Quello si voltò di scatto.
“Ah, Jadeite. Dove vai?”
“Fuori, vado a tenere d’occhio la Setta dl Sole”.
Una smorfia apparve sul bel volto del biondo. “Ci stavo giusto andando io a controllarli, ma mi sta bene anche cacciarli dal palazzo”.
“Sono liberi di fare le loro celebrazioni, la legge non lo vieta, ma ci sono molti esagitati tra di loro, ve ne sono sempre stati, meglio quindi andare a tenerli d’occhio, con discrezione”.
“Io li caccerei dal Palazzo: stanno svegliando tutti”.
“Sì, sono molto fastidiosi”.
“Ed anche pericolosi: te li ricordi gli atti vandalici che hanno fatto due mesi fa? Vetri rotti, frasi ingiuriose scritte sui muri d’una villa perché un nobile aveva “insultato il sole”. Se ne avessero avuto l’occasione l’avrebbero aggredito. Bah, allora vai tu giù a tenerli d’occhio?”
“Tranquillo amico, se quei deficienti ne stanno combinano un’altra delle loro li metto in riga io”.
“E non essere troppo gentile nel metterli in riga!”
Salutato il compagno d’armi, Jadeite chiamò un paio di soldati di ronda e si diresse all'esterno dell’edificio a controllare la Setta del Sole.
Da diversi anni quel singolare culto dedicato al Sole aveva preso nel Regno Dorato, diffondendosi sopratutto tra i giovani. E di seguaci ne aveva.
Personalmente Jadeite (e molti altri) li trovavano degli sciocchi che cercavano di riportare in vita antichi riti primitivi. Il Sole era un astro della volta celeste, simbolo di calore e pienezza vitale, molte divinità si identificavano con esso, ma agli occhi della setta l’astro sembrava una vera e propria divinità.
La Setta del Sole era libera di celebrare il suo culto, sarebbe stato ingiusto vietarlo, ma in quegli anni si erano verificati episodi di vandalismo e violenza: alcuni esaltati della Setta avevano minacciato ed in alcuni casi aggredito persone che li avevano mancati di rispetto o che ritenevano degenerati. Fortunatamente non ci era mai scappato il morto. Per ora…
Cinque mesi fa era stato ritrovato un cane sgozzato in un vicolo e molti avevano cominciato a pensare che il cane fosse stato “offerto in sacrifico” al sole. Qualche emissario del Re era andato a chiedere conto al Sommo Sacerdote Delo, il capo della Setta, ma quest’ultimo aveva obbiettato di non saperne nulla dicendo che sicuramente quel cane era diventato insopportabile a qualcuno e di non venire sempre a prendersela con loro se succedeva qualcosa d’insolito.
Quegli atteggiamenti del tipo “Noi siamo brava gente; ma no, non immaginavo che quelli non ci stavano con la testa…” facevano irritare più di tutti Zoisite. Molta gente non li sopportava ma nessuno come Zoisite.
All'esterno dl palazzo, Jadeite dette ordine alle guardie ai soldati. “Pattugliamo l’area; eviteremo i membri della Setta, tenendoli d’occhio a distanza”. Tanto non ci avrebbero messo molto a finire. Quindi sarebbe andato tutto bene.
Ma le rosee previsioni di tranquillità naufragarono come una barca nel Mar Caspio, quando da un viale a fianco del palazzo udì un urlo femminile terrorizzato.
Subito lui ed i due soldati si fiondarono in quella direzione, mentre un’altra voce, questa volta maschile, gridava:
“Loda il sole o muori! Loda il sole, puttana!”
In un vicolo, una donna era a terra, circondata da un quartetto di membri della Setta. Uno brandiva minaccioso un randello, mentre un altro teneva ferma per le spalle la malcapitata.
La poveretta si divincolò disperatamente.
“Lasciatemi! Aiuto, AIUTO!”
“Hai mai lodato il sole… PUTTANA?”
L’uomo che teneva ferma la donna la lasciò andar all'improvviso lanciando un grido misto di dolore e sorpresa: un ago di ghiaccio gli si era piantato nel dorso della mano destra.
Voltatosi tutti, videro Jadeite con la spada sguainata ed i due soldati con le lance abbassate, tutti con un’aria minacciosa.
“Adesso venite con noi” dichiarò il biondo. “Siete in arresto per disturbo della quiete pubblica ed aggressione”.
“Oh, grazie! Meno male che siete arrivati!” gridò la donna, e Jadeite riconobbe in lei Thetìs, una delle ancelle di Beryl.
“Dietro di me Thetìs. E voi adesso sarete sbattuti nelle celle, poi il Principe, in assenza del Re, deciderà la vostra sorte!” aggiunse poi mentre la donna si rifugiava immediatamente dietro di lui.
“Quella lì se l’è andata a cercare: c’ha mancato di rispetto!” esclamò uno di loro.
“Non è vero! Mi hanno aggredito senza motivo!”
“Taci, brutta…”
“Basta così! Voi quattro adesso venite con noi senza fare storie, e tu metti giù quel bastone!”
Il tizio col randello lo guardò storto. “Osi dare ordini ai prediletti del Sole?”
“Sì, bellimbusto, vi do ordini, ma vorrei tanto mandare in un certo posto voi ed il vostro Sole”.
Un lampo d’ira passò sui volti dei quattro, ma, disarmati e consci della potenza di Jadeite non reagirono. Quello col randello non era dello stesso avviso.
“Non provarci”.
Ma il tizio doveva essere proprio partito, perché incurante del dislivello che lo separava dal biondo,  gli si scagliò addosso brandendo il randello ed urlando il motto della setta.
“Sol Invictus!”
Un secondo dopo un pugno alla mascella datogli dalla guardia del Principe lo mandò a gambe all’aria e poi svenuto per Terra.
“Ripeto, siete in arresto per disturbo delle quiete pubblica ed aggressione”.
 
 
“La ringrazio tanto signor Jadeite! Se non fosse stato per lei…”
“Va bene, va bene Thetis, e comunque non sentirti in debito; ho solo fatto la cosa giusta”.
L’ancella di Beryl non aveva cessato di esibirsi in ringraziamenti da quando erano tornati a palazzo con i settari prigionieri.
Nell’ampio atrio vennero raggiunti da Zoisite e Kunzite.
“Tsk, come volevasi dimostrare…”
“Calma Zoisite” intervenne Kunzite. “Ora è tutto risolto, e sarà il Principe a dargli la giusta punizione”.
“Thetis!”
Sul posto era arrivata una donna molto bella con lunghi capelli biondi mossi ed un vestito blu.
“Ho sentito che quei settari ti hanno aggredita, è vero?” chiese poi.
“Tranquilla Celestia, tu e la padrona non avete di che preoccuparvi” ribatté Thetis con un sorriso.
“Nessuna minaccia turberà quest luogo finché saremo vigili, giusto?”
“Certamente Lord Kunzite, io e le mie sorelle avviseremo sempre in caso di problemi”
“E non scordatevi di me solo perché non sono della famiglia” aggiunse Thetis.
A parte Thetis, tutte le altre cinque ancelle di Beryl erano sorelle, e Celestia era la maggiore di quelle cinque.
Kunzite fissò le grandi vetrate della sala che davano verso l’esterno.
“Purché il Re torni presto; non vorrei altri problemi”
“Ehi Kunzite,” replicò Zoisite “Dimentichi che noi siamo le imbattibili guardie del Principe, ed insieme ai nostri regnanti possiamo sbaragliare interi eserciti!”
 
 
Crysos socchiuse gli occhi fissando i tetti d’oro della città in lontananza, su cui si riflettevano i raggi del sole creando un abbagliante gioco di luci.
“Siamo arrivati”.




Note:
Il nome di Celestia mi è stato suggerito da Suikotsu e deriva da un certo cartone. Grazie a Suikotsu per avermi dato l'idea della Setta del Sole, le cui battute dei suoi membri che trovate in questo chap (es: "Hai mai lodato il sole, puttana?") vengono da parodie di Dark Souls che trovate su YouTube.

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Capitolo 11
*** Verso una nuova battaglia ***


Scusate se c'ho messo molto tempo, ma prima ho avuto la febbre e poi ho una vita fuori da EFP.




Capitolo 11 - Verso una nuova battaglia.


“Per avere aggredito senza motivo un’ancella del palazzo reale e per avere resistito con violenza all’arresto vi condanno alla gogna, nella speranza che ciò vi inculchi un poco di buonsenso”.
Questa fu la dichiarazione del Principe Endymion, che, seduto sul trono, pronunciò la sentenza a cui condannava i quattro membri della Setta del Sole arrestati quella mattina che avevano aggredito Thetis, una delle ancelle di Beryl.
Mentre le guardie li portavano in piazza dove li avrebbero messi alla gogna, preparata apposta, Endymion si allungò sul trono.
“E questa è solo una delle mie tante giornate da futuro re ma confido che il mio sarà un Regno pacifico”.
“Ve lo meritereste davvero, principe” disse Crysos, sbucando da dietro un angolo.
Il Cavaliere era giunto quella mattina al lontano e misterioso Regno Dorato coi suoi due compagni, restando meravigliato come loro dalle meraviglie che aveva visto in quell'angolo sperduto del mondo. Su permesso del Principe aveva assistito al giudizio.
“Infatti. Oh, abbiamo visite”.
Nella sala entrò passo rapido Kunzite, scuro in volto.
“Principe, c’è un problema”.
“L’avevo intuito dalla tua faccia, cosa succede?”
“I solariani. Non sono affatto contenti dell’arresto dei loro confratelli. Meglio se vai in piazza a vedere”.
Accigliato, Endymion si alzò e si diresse a passo svelto verso l’uscita del palazzo. Kunzite lo seguì e poco dopo Crysos fece la stessa cosa.
“Chi sono questi solariani?” domandò al Principe.
“Sono i membri della Setta del Sole, un gruppo religioso dedito alla venerazione del Sole stesso”.
“Venerazione del Sole? Quindi sono seguaci di Apollo?”
“Non lo so, ma… no, non ho mai sento nominare Apollo nelle loro orazioni o discussioni private, quindi direi propri che non c’entrano nulla col Dio greco del Sole.”
“In ogni caso sono spesso e volentieri una seccatura, non so proprio come fanno ad avere così tanti affiliati” borbottò Kunzite.
A passo svelto i tre uomini giunsero nella piazza antistante al palazzo.
Lì una piccola folla rumoreggiava, davanti alle gogne in cui erano piazzati i solariani condannati dal principe.
“Liberateli!”
“In nome del Sole non potete tenerli prigionieri!”
“Libertà!”
“Lasciateli andare o ci penseremo noi!”
“Sol Invictus!”
La folla agitava i pugni ed i randelli ed urlava insulti alle guardie , che tesissime, tenevano le lance puntate contro la gente.
Crysos notò che la folla di solariani indossava le vesti più svariate: la maggior parte di loro vestiva di rosso, mentre alcuni vestivano di arancione oppure erano in abiti civili ma con una sciarpa di seta rossa attorno al collo.
Le guardie tuttavia si rasserenarono vendendo il Principe e Kunzite arrivare, ed anche la folla si zittì, anche se non mancò di osservare incuriosita quello straniero bello come solo un Dio può esserlo, vestito d’una splendida armatura d’oro.
“Voi! Tornate nelle vostre case!” urlò il Principe del Regno Dorato. “Ve lo ordina il vostro futuro re!”
Ma tra la folla nessuno sembrò ascoltarlo, anzi urlarono più forte, sbraitando che volevano i loro confratelli liberi, e subito.
D’un tratto Endymion notò uno dei solariani, uno vestito di rosso, alzare un randello, ma prima che potesse fare qualcosa, il tizio cadde a terra di schiena come un albero tagliato e la folla si ammutolì di nuovo.
“Calma gente, tenete giù le armi e vediamo di non farci male” disse forte e chiaro Crysos ancora col braccio destro teso in avanti come se dovesse lanciare qualcosa.
“Che hai fatto?” chiese Endymion.
“L’ho neutralizzato”.
“E come?”
“Oh, con quella”. Ed indicò una rosa rossa in faccia al solariano. “Tranquilli, il vostro compare è solo svenuto; si riprenderà tra qualche ora” gridò poi alla folla. “Ma vi avverto: le mie rose sono anche armi micidiali!”
“Da quando le rose sono armi micidiali?” chiese Kunzite alzando un sopracciglio.
“Le mie lo sono” rispose semplicemente il guerriero dorato.
In quel mentre un uomo si fece largo tra la folla per portarsi avanti a tutti.
“Fermi, fermi! Lasciate fare a me!”
L’individuo era un uomo alto e magro, avanti con gli anni, con corti capelli grigi ed occhi chiari.
Indossava la stessa veste degli altri solariani, ma era di colore giallo, l’unica di quel colore tra i membri della Setta del Sole.
“Principe”, salutò con deferenza.
“Sommo Sacerdote Delo, è un piacere rivederla” replicò freddamente Ednymion.
“Anch’io vorrei chiacchierare con voi in circostanze più tranquille, sire. I miei fratelli e sorelle si sono piuttosto alterati quando hanno saputo dell’arresto di questi quattro”.
“Lo vedo bene”, commentò acido Endymion.
“Mi scuso per il loro... ehm, elevato senso di comunità e frattellanza, ma forse possiamo trattare…”
“Certamente: voi tornate alle vostre case ed aspettate pazientemente che i vostri “cari” confratelli scontino una pena che si sono meritati”.
“Ma…”
“Niente ma, Delo,” replicò duro il Principe, in certi casi bisognava fare gli inflessibili. “O devo prendere questa folla agitata per una rivolta alla corona?”
Il Sommo Sacerdote arrossì. “Ma, principe, la nostra fedeltà alla corona è salda, gli animi si sono scaldati per amore dei loro confratelli tutto qui”.
“Allora chiuderò un occhio se sgombrate la piazza”.
“D’accordo, arrivederci principe, che il Sole v’illumini. Tornate a casa!” gridò poi con autorità Delo alla folla di solariani.
Qualcuno protestò ma nessuno disobbedì apertamente.
 “Avete sentito il Sommo Sacerdote, no? Andiamo!” gridò un uomo giovane vestito di arancione alle proteste di alcuni.
I tre aspettarono che la folla si disperse, poi dopo che il principe ebbe scambiato alcune parole con le guardie tornarono verso il palazzo.
Kunzite sospirò.
“Porco di quel so io chi, ‘sti tizi sono bravi a far saltare i nervi.”
“Vi causano problemi molto spesso?” chiese Crysos.
“A volte sì, a volte se ne stanno tranquilli” rispose l’argentato.
“Non avete preso provvedimenti contro la Setta del Sole?”
Il Principe sospirò.
“Non hanno il divieto di celebrare la loro religione, sarebbe davvero ingiusto vietarlo,  violeremo i principi questo regno; ma lo vedi anche tu: spesso costoro esagerano quando sono in preda all’esaltazione”.
“Zoisite ti direbbe di bandirli, se fosse qui” fece notare Kunzite.
“E sarò ricordato con nomignoli poco carini e molto indesiderati”.
“Ed io, Zoisite, Nephrite e Jadeite, e tutti i membri del consiglio reale ti diremo di fregartene”.
Endymion sorrise. “Che farei senza di voi?”
Proseguirono in silenzio fino alle porte dl palazzo, dove il Cavaliere d’Oro fece un osservazione.
“Hanno osservato molto attentamente la mia armatura quei solariani…”
“Beh, logico: è d’oro!” commentò Kunzite. “Chissà quanto vale”.
“In realtà è fatta di altri materiali oltre all’oro, e non è così semplice fonderla per ricavare delle barre d’oro, ma lasciamo perdere. Ho notato che questi solariani indossano vesti uguali ma di colore diverso, ha qualche significato tutto ciò?”
“Sì, i colori rappresentano il grado all’interno del gruppo: giallo per il sommo sacerdote, arancione per gli alto sacerdoti, casta d’elité all’interno del gruppo, e rosso per i semplici sacerdoti. I novizi vestono abiti normali ma portano una sciarpa di seta rossa attorno al collo”.
“Speriamo che ora quelli ci diano un po’ di pace, abbiamo già abbastanza problemi con questi rinnegati che vengono dalla Grecia e vogliono per qualche oscuro motivo una statuetta, e non sappiamo se e quando si faranno vivi”.
“Io ed i miei compagni siamo qui per questo” assicurò Crysos alle parole di Kunzite.
Endymion sospirò: la piega che stavano prendendo gli ultimi giorni non piaceva né a lui né a nessun’altro.
 “Ho dei gran brutti presentimenti per il futuro”.
Crysos rimase un attimo in silenzio.
“Sì, anch’io” ammise.
 
 
Serenity camminava su e giù per la sua stanza, con l’animo in preda a grandi dubbi.
La sorte di Sailor Venus, la impensieriva. Sailor Venus, la sua guardia del corpo, la leader delle sue guardie del corpo, l’amica che conosceva sin dall’infanzia, con cui giocava da bambina, con cui da grande scherzava sugli spasimanti della guerriera di Venere e fantasticava sul principe azzurro che l’avrebbe portato all’altare. Ed ora dov’era? Prigioniera chissà dove, chissà se stava bene…
Osservò Artemis: il gatto bianco era seduto su una sedia, mogio mogio, anche lui in pensiero.
La porta si aprì e la gatta Luna entrò nella stanza.
“Buone notizie! La Regina ha trovato Sailor Venus grazie allo Specchio Magico!”
Serenity sapeva che sua madre aveva con sé uno specchio magico vecchio di generazioni che usava, come i suoi antenati per rintracciare i lunari dispersi.
“Allora, dov’è?” chiese ansiosa.
“Sulla Terra!”
La Terra?
“La Terra?” fece Artemis. “Ma vengono da lì gli aggressori?”
“Non si sa con certezza, comunque  è lì che si trova attualmente, e l’esercito si mobiliterà immediatamente per recuperarla.”
“Bene, almeno c’è possibilità di salvarla.
Serenity però non era tranquilla: il fatto che l’avevano rapita scambiandola per lei la faceva preoccupare moltissimo: che le avrebbero fatto quando si fossero accorti che non era la Principessa della Luna?
Di scatto si avviò verso la porta della sua stanza.
“Uh? Dov’è che vai?” chiese Artemis.
“Da Sailor Venus!”
Luna inarcò un sopracciglio.
“In che senso scusa?”
“Nel senso che accompagno il generale Tsukoyomi a salvarla!”
“Eh?” gridò Artemis. “Ma non sei una combattente, e poi tua madre ti ha vietato di uscire dal regno!”
“Non m’importa!” dichiarò la Principessa avviandosi alla porta. “Non starò qui ad aspettare!”
Prima che raggiungesse la porta Luna si piazzò tra lei e l’uscita della stanza, osservandola severamente.
“Perché vuoi andare?”
“Perché una mia amica è stata catturata da gente che l’ha scambiata per me! Luna, spostati per piacere”.
“Principessa” intervenne la gatta guardandola con serietà negli occhi. “Non è che volete fare un altro giro sulla Terra?”
Serenity arrossì. “Non è vero!” strillò indignata. “Non centra niente con questo, sono solo preoccupata a morte per Sailor Venus!”
“Anch’io e le altre guerriere sailors siamo preoccupate, cosa credi! Ma dobbiamo avere fiducia in… Ehi!”
Serenity aveva praticamente scavalcato Luna per aprire la porta; la spalancò e si fiondò a passo svelto nel corridoio.
Nel corridoio c’era già Sailor Mars che si stava avviando verso la stanza della Principessa.
“Oh, Principessa! Stavo giusto cercando te! Dov’è che vai?”
“Mia madre dov’è? Devo parlarle. E’… urgente”.
“Oh beh, è nella sala del trono col Generale Tsukoyomi, Mercury e Jupiter. Ti ci accompagno”.
“Sì, grazie”.
“Ehi aspetta!” esclamò Luna correndo dietro alle due, seguita da Artemis.
Nella sala del trono c’erano sua madre, seduta sul solito trono, il generale, intento a parlare con lei in piedi, e, un po’ in disparte, Jupiter e Mercury.
All’arrivo delle due e dei gatti, tutti si voltarono nella loro direzione.
“Ah, Serenity!” salutò la madre, “Stavamo giusto discutendo sugli ultimi dettagli per l’operazione per salvare la tua impavida guardia”.
“Nonché recuperare il maltolto” aggiunse Tsukoyomi.
“Partirete presto?”
“Sì, Principessa. Grazie a vostra madre che ha individuato Sailor Venus possiamo agire senza indugio. Il piano è semplice ma è efficace: prima la liberiamo e poi diamo una lezione memorabile ai rapitori. Stavamo decidendo chi delle vostre guardiane verrà nella missione; ovviamente hanno tutti e tre gli interessi per venire, ma ho deciso che mi avrebbero accompagnato Jupiter per la sua forza e Mercury che ci aiuterà nei piani strategici”.
“Sì, è una buona idea” commentò Artemis.
Vendendo l’erede al trono di animo cupo, Tsukoyomi decise di rassicurarla.
“Non preoccupatevi Principessa; Sailor Venus, sarà salvata, un gran numero di giovani volontari freme dalla voglia di salvare la donna più bella della Luna”. Rise. “Senza togliere merito alle altre donne in fatto di bellezza, sia chiaro”.
La risatina del Generale trovò eco tra le donne presenti, ed anche la Regina sorrise leggermente.
“Ehm, Madre, Generale, c’è una richiesta che voglio fare” cominciò la Principessa, decisa a chiudere la faccenda immediatamente.
 “Cosa, cara?” fece la madre.
Serenity stette per un momento in silenzio, sentendo gli sguardi curiosi degli altri, e quello serio di Luna su di lei. Era una richiesta forte la sua e sua madre non avrebbe approvato, lo sapeva, ma ci avrebbe provato  comunque.
Prendendo fiato, Serenity buttò fuori in un colpo quel che pensava.
“Voglio accompagnarvi nella missione di salvataggio!”
Tutte le persone presenti fissarono la bionda principessa della Luna come se avesse appena detto la più grande sciocchezza dell’universo. Serenity però si sentì poco a disagio, sicura della sua decisione.
“Accompagnarci?” fece Jupiter perplessa.
“Sì, venire con voi” rimarcò la principessa evitando di guardare la madre, che la fissava severamente.
“E’ fuori discussione, Serenity, tu non ti muovi da qui!”
“Madre…”
“Non hai sentito quel che ho detto?”
“La Regina ha ragione, Principessa” intervenne più gentilmente Sailor Mercury. “Sei preoccupata per Sailor Venus e ti capisco, anch’io, tutte noi lo siamo, ma non c’è bisogno che venga anche tu”.
“La nostra parola di riportarla indietro non vi basta?” chiese Tsukoyomi accigliato.
“No”, ammise Serenity dopo un attimo di silenzio. “Non del tutto. Voglio essere là quando sarà libera. Chiedo solo questo”.
“Scordatelo! Prima sparisci sulla Terra per ore, ed ora vuoi lanciarti in una battaglia? Tu hai una tendenza a cercare la morte!” aggiunse la Regina puntandole un indice accusatore.
“Ma non intendo combattere, madre, starò a guardare, sarò fuori dal conflitto”.
“No”.
Serenity scosse “Lo faccio per Venus”.
“Aspettala qui”.
La bionda Serenity scosse la testa.
“No. Non ce la faccio ad aspettare qui”.
“Ah, ma tu vuoi farmi morire di crepacuore, figlia sconsiderata!”
Le sailors e Tsukoyomi si scambiarono sguardi perplessi ed indecisi: oltre all’aspetto fisico, la Principessa del Silver Millennium aveva ereditato anche un bel po’ di testardaggine dalla madre su certe decisioni.
Personalmente, il generale era molto critico sull'interesse mostrato più volte dalla Principessa per un mondo sì bello, ma abitato da esseri violenti ed inferiori, e si chiese se la Principessa in ciò non vedesse un occasione per visitare “legalmente” la Terra…
Avrebbe volentieri rifiutato di portarsi dietro la Principessa, però in quelle situazioni di attrito tra lunari aveva imparato dal padre che in quelle situazioni era meglio fare da mediatori e cercare di trovare una soluzione accettabile.
E forse ne aveva una.
“Calma, calma, forse si può trovare un compromesso che soddisfi entrambe…”
“Ne dubito, generale!”
“Via, via maestà, lasciatemi proporre, se voi e vostra figlia andate avanti a discutere non ce la caveremo più. Se la facessimo venire?”
“COSA?” sbraitò la sovrana. “Mia figlia non va da nessuna parte!”
Le sailors, Luna ed Artemis si guardarono a disagio: l’ultima volta che avevano sentito la loro sovrana sbraitare così era stato quando aveva scoperto che la figlia si era fatta un giretto di nascosto sulla Terra, in barba ai divieti.
“Non sto dicendo che dovrebbe stare trai combattenti sia chiaro, ma potrebbe stare lontana dalla battaglia, e quando tutto sarà finito potrà finalmente abbracciare la sua cara amica”.
“Esatto, generale, questa era la mia idea, grazie!” esclamò la Principessa esibendo il miglior sorriso scalda-cuore del suo repertorio.
“Lo faccio per risolvere questa disputa; in realtà anch’io ritengo che voi dovreste restare qui”. Il Generale raffreddò la felicità della Principessa.
La Regina non rispose, e Tsukoyomi tornò alla carica.
“Starà nelle retrovie. Le darò una scorta di uomini scelti che la riporteranno sulla Luna se le cose dovessero prendere una piega inaspettata. Che ne dite? Mi sembra un buon compromesso che soddisferà entrambe”.
“D’accordo” concesse con riluttanza la Regina, come se qualcuno cavasse fuori di bocca quella concessione con le tenaglie.
“Generale, guardiane, a voi affido la cura e la salvaguardia di  questa mia sconsiderata figlia. Guai a voi se quando torna ha anche un solo graffio”.
“Sì, Regina!”
Tsukoyomi aggiunse mettendosi una mano sul cuore:
“Mia Regina, Principessa, vi prometto questo: quegli sporchi invasori la pagheranno. Subiranno sulla loro pelle la nostra ira e la nostra forza. E quando giaceranno a terra morenti, umiliati e sconfitti capiranno la portata della loro follia e si pentiranno amaramente di aver attaccato il nostro splendido regno! Ma allora sarà troppo tardi per i ripensamenti”.
 
 
“Allora siamo pronti o no?” chiese Daniel del Corvo giocherellando coi suoi coltelli da lancio.
“Calma, il gran capo sta prendendo le ultime decisioni con gli Elfi Oscuri” gli rispose Georgios della Balena.
“Uff!” l’ex Cavaliere di Atena fissò la città dl Regno Dorato immersa nel tramonto. Dovette ammettere a sé stesso che i riflessi del Sole sui tetti e le cupole d’oro producevano un grandioso effetto d’occhio.
“Sai che detesto? L’attesa prima della battaglia. Specie quando rimandano l’attacco per chissà quale motivo. E’ snervante”.
“Almeno ti sfoghi quando danno finalmente l’ordine d’attacco”.
“Giusto”.
Osservando nuovamente i tetti dalle tegole d’oro, si chiese dove avessero trovato tutto quel ben di Dio con cui decorare la sommità delle case. Invero, quel luogo aveva il suo fascino e non aveva apri sulla Terra, chissà poi com’era il Regno Lunare.
“Sai, dovrebbero chiamarla “La Città dove l’oro scorre a fiumi”, attirerebbe un mucchio di visitatori”.
“Che vorrebbero rimpinguare il proprio borsello”.
“Giusto anche questo”.
Gettò uno guardo attorno: i guerrieri di Svartalfheim erano allineati in attesa dell’ordine di marciare e di passare all’azione.
Di rinnegati dl Grande Tempio, solo lui, Georgios ed il loro leader Megaleìo avrebbero preso parte all’assalto per mettere le mani sulla statuetta. Gli altri sarebbero rimasti nascosti al loro rifugio.
Forse Francesco dl Cane Maggiore non sarebbe stato male come aiuto, ed anche Roberto di Cerbero. Quanto ad Arles ed Artemisia… beh, meno aveva a che fare con quegli squilibranti meglio era. Ma il loro capo Megaleìo era un’ottima aggiunta: sarebbe stato l’uomo più bello della Grecia (o del mondo intero, perché no) ad occuparsi di Crysos dei Pesci.
“Il Re degli Elfi Oscuri non parteciperà alla battaglia, ci penseranno i suoi due generali, Cardham ed Imor” disse tra sé l’ex Cavaliere della Balena.
“Furbo: manda avanti i lacchè, così non rischia. Ma è il re dopotutto, non un soldato qualunque, perché dovrebbe rischiare?”
Lanciò per aria un coltello, per poi riafferrarlo al volo.
“Ma il nostro capo è diverso, eh? Megaleìo combatterà con noi”.
Georgios annuì. “Megaleìo è sempre stato il nostro lume, ed ora ci guiderà alla rivincita contro i Cavalieri di Atena ed ad un nuovo futuro”.
Improvvisamente tra le truppe ci fu movimento, e poco dopo, Megaleìo, avvolto in un ampio mantello, bello come sempre, la fluente chioma nera che gli danzava sulle spalle, raggiunse i due cavalieri d’argento.
“E’ ora” disse semplicemente.
Gli Elfi Oscuri cominciarono a muoversi, seguiti dalle sagome gigantesche, pelose e grugnenti dei Grendel. Nel mondo là fuori il sole era ormai calato, lasciando posto alla notte, ambiente più ideale per un abitante di Svartalfheim.
Daniel studiò la punta del suo coltello da lancio prima di rimetterlo nel fodero.
“Finalmente inizia il divertimento”.

 

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Capitolo 12
*** La Battaglia del Regno Dorato - Prima Parte ***


Capitolo 12 - La battaglia del Regno Dorato - Prima Parte



Kunzite era solo nelle sue stanze private, quando udì qualcuno bussare alla porta.
“Chi è?”
“Son io, Zoisite”.
“Entra”.
Il biondo fece capolino dalla porta.
“Disturbo? Vorrei parlarti di una cosa”.
“Nessun problema”.
Zoisite entrò chiudendo alle spalle la porta.
“Dunque? Dalla tua faccia non è qualcosa di allegro”.
“Mh, no”.
“Nervoso per gli ultimi eventi”.
“Anche, ma… ecco e per una notizia che hanno saputo Jadeite e Nephrite”.
“Cioè?”
“E’ vero che tuo zio ha organizzato un matrimonio tra te e Lucis, la figlia di uno del consiglio?”
Kunzite annuì serio.
“Lo zio è molto deciso. Mi spiace che la cosa ti turbi”.
“E-era inevitabile. L’idillio prima o poi finisce specie per lo scapolo di una famiglia importate”.
Kunzite sospirò, lui e Zoisite agli occhi di tutti erano camerati, amici, guardie del principe ereditario, ma nascosti dagli occhi di tutti erano anche amanti.
Nascosti perché si sarebbe creato uno scandalo non indifferente, ma da un anno i loro sentimenti erano sinceri.
“Amare un uomo od una donna, oggettivamente parlando per me non fa differenza”.
Zoisite abbassò lo sguardo. Per Kunzite non era un problema avere rapporti sessuali con donne od uomini, ma lui non sarebbe riuscito ad andare a letto con persone di sesso opposto al suo.
Sapeva che molte ragazze lo guardavano sognando di averlo come l’amore per la vita, ma, anche se un po’ gli spiaceva per loro, non si sarebbe mai interessato a loro.
Anche perché in pochi in tutto il regno sapevano dei suoi gusti sessuali. Ufficialmente Zoisite era uno per nulla interessato alla sfera sessuale.
Kunzite gli mise la mano destra sulla spalla.
“Sai come vanno queste cose: Gabriel mi ha fatto da tutore da bambino, e ci tiene che la nostra prestigiosa famiglia continui il suo retaggio, quindi…”
“Ti sposi e sforni eredi, certo. Tanto… una volta finito tutto io sarò solo di contorno?”
Avrebbe voluto dire “un piacevole ricordo”.
Kunzite gli si avvicinò.
“Zoisite, temi forse che una volta che sarò bello che maritato, tu finirai da parte?”
“Ecco…”
Un semplice svolazzo della mano destra di Kunzite ed ecco che tra le dita di tale mano era apparsa una rosa. Sorpreso, il biondo alzò gli occhi e vide un sincero sorriso sul volto di Kunzite.
“Mio caro, ti dico in tondo e chiaro che i tuoi timori non hanno senso di esistere. Non potrei mai e poi mai fare a meno di te. Noi, in un modo o nell’altro, resteremo sempre insieme”.
Felice, il biondo gli gettò le braccia al collo e baciò sulle labbra l’uomo che amava.
D’improvviso un suono forte e chiaro li scosse. Era un suono di campana frenetico e regolare.
“Che..?” esclamò Kunzite staccandosi.
“L’allarme?” fece perplesso Zoisite. “Ma… oh no, e adesso cosa c’è?”
Kunzite indurì il volto, pronto a combattere.
“Prendi la tua spada e vieni con me!”
 
 
I varchi di tenebra degli elfi oscuri erano molto efficaci per spostarsi rapidamente da un posto all’altro, ed Imor e Daniel ne avevano approfittato per sbucare direttamente nel palazzo.
“Ti ricordi dov’è?” chiese l’elfo.
“Certamente” rispose l’ex cavaliere d’argento. “Seguimi!”
I due si misero a correre per le sale e di corridoi del palazzo, in cerca della stanza del tesoro onde recuperare la statua che rappresentava Sun Wukong.
Uccisi un paio di soldati, svoltarono l’angolo, ed arrivarono al luogo in cui si apriva la porta della Stanza del Tesoro, ma qualcuno era già lì di guardia.
Erano Zoisite e Kunzite, ed il primo non appena vide l’ex cavaliere d’argento sgranò gli occhi.
“Tu!?”
Daniel scoppiò a ridere.
“Ma guarda chi c’è: il mio amico transessuale!”
Kunzite inarcò un sopracciglio.
“Lui è quello che ha cercato di rubare la statua?”
“Sì” confermò Zoisite con una smorfia.
“E sono tornato a ritentare” ribatté quello allegro. “D’altronde ve l’ho detto che avreste sentito di nuovo parlare di me, no?”
Imor brandì la mazza.
“Basta parlare: non abbiamo tempo da perdere, quindi voi due fuori dai piedi o preparatevi a morire”.
“Morire male, per essere precisi” intervenne Daniel.
“Ecco la nostra risposta!” gridò Kunzite dopo aver scambiato una breve occhiata con Zoisite.
Si lanciò contro Imor, schivando il colpo di mazza e replicando con un fendente, parato però dallo scudo.
Zoisite si concentrò sullo sfregiato, puntandogli contro la spada.
“Bene, ti te mi occupo io!”
“Ma quella spada non te l’avevo distrutta?”
“Ricostruita”.
“E tra poco sarà di nuovo in frantumi!”
Daniel gli si gettò addosso, cercando di colpirlo con un pugno, ma Zoisite lo evitò spostando il capo e tentando un affondo.
Anch’esso non andò a segno, e Daniel, distanziatosi, replicò lanciando altri coltelli, deviati dalla spada di Zoisite.
Lo sfregiato approfittò della breve distrazione per colpirlo con un calcio che fece volar via la spada, conficcandola nel muro, poi mollò al biondo un pugno che lo sbatté contro al parete.
Gli fu di nuovo addosso, ma il successivo pugno fu evitato spostando il capo ed a finire crepato fu il muro.
Zoisite riuscì a colpire l’avversario in faccia con un pugno poi, distanziatosi, emanò un’ondata di energia verde dalla mano, ma lo sfregiato la evitò con un balzo e lo colpì in faccia con un calcio.
“Ritenta e sarai più fortunato!”
“Ma come hai fatto a…”
“Lo stesso attacco non funziona due volte sullo stesso cavaliere!”
Zoisite era finito a terra, e Daniel cercò di colpirlo col piede, ma il biondo rotolo di lato e si rialzò.
Nell’attimo di pausa Daniel né approfitto per fare altre battute.
“Sai ho pensato spesso a te e mi chiedevo se non fossi un novello Tiresia”.
“Un che?”
“Un novello Tiresia, sai l’antico indovino greco che cambiò sesso in non so che circostanze… non è che tu sei una donna trasformata in un uomo? Oppure è il contrario?”
 “Non starò qui ad ascoltarti!”
I due cominciarono a scambiarsi calci e pugni, finché il biondo con una finta sbilanciò l’avversario, ed unite le mani a doppio pugno lo colpì con tutte le forze sul mento.
Un attimo dopo Daniel fu colpito in pieno e cadde all’indietro, sbattendo contro il muro.
“Se lo stesso attacco non funziona due volte sullo stesso cavaliere, eccoti qualcosa di diverso!”
Avvicinando i palmi delle mani, generò tra di esse un globo formato di luce e frammenti di cristalli che si ingrandì rapidamente fino a raggiungere le dimensioni di un cranio umano, poi lo scagliò addosso allo sfregiato.
L’attacco però non fece effetto, non contro il cavaliere d’argento: esso impatto contro una massa di piccoli esseri che si posizionarono davanti allo sfregiato prendendosi il colpo al posto suo.
“Ma che diav…”
“Capperi, meno male che ci sono i miei piccoli amici”.
Dalla finestra sfondata era entrato uno stormo di corvi che si stava piazzando attorno a Daniel, prendendo posto dei loro compagni appena morti per l’attacco di Zoisite. Gracchiarono all’unisono pronti a sostenere il loro padrone.
Per nulla intimorito, Zoisite recuperò la spada e strettala saldamente con due mani, fissò Daniel con uno sguardo più combattivo che mai.
“L’ultima volta mi sei sfuggito, ma stavolta andrà diversamente!”
“Uh… Sto tremando di… paura!”
 
 
Jamal e Tuya stavano nelle stanze a loro assegnate, vicine a quella di Crysos, quando percepirono i cosmi di nemici ostili all’esterno.
Subito uscirono, armature indosso, ed unitisi corsero fuori.
In un piazzale, videro i soldati del Regno Dorato combattere un gruppo di guerrieri dalle armature nere, ma i primi stavano palesemente avendo la peggio.
“Cos’è questo attacco? Chi sono questi guerrieri? Dal cosmo non sembrano umani!” esclamò Tuya.
“Poco importa, quei soldati non ce la faranno!” replicò il cavaliere della freccia
Con un calcio che spezzò il collo al nemico, Jamal salvò un povero soldato del regno che, a terra, stava per essere finito dall’avversario.
“G-graz…”
“Pensa a metterti in salvo!” gridò Jamal, scostandolo.
Tuya, cavaliere di Andromeda, si fece avanti.
“Catena di Andromeda!” gridò.
La catena sbaragliò alcuni nemici, ma altri riuscirono a resistere e caricarono.
Un nemico scagliò una lancia.
“Catena, Difesa!”
La spirale generata dalla catena attorno al cavaliere respinse la lancia.
Mentre i soldati del regno ripiegavano, Jamal partì all’attacco, sbaragliando i nemici assieme a Tuya.
“Qualcun altro vuol farsi avanti?” gridò poi il cavaliere della freccia quando non ne rimase nessuno.
“Perché non vi cimentate con me?”
Un nuovo guerriero si fece avanti, un guerriero umano con indosso un’armatura argentea.
Tuya fece un’espressione di stupore, che si sarebbe notata se non avesse avuto addosso la maschera.
“Tu sei…”
“Georgios della Balena, ragazza. Un tempo Cavaliere d’Argento”.
“Tu e questi guerrieri siete qui per la statua?”
“Sì. Ma non sarò io a recuperarla, saranno altri a farlo io devo solo dare tempo a questi altri. Sarò io il vostro avversario anche se i miei alleati alla lunga riuscirebbero ad annientarvi, cadrete per mano mia. A meno che non preferiate ritirarvi”.
Poco intimorito dalla sicurezza del guerriero, Jamal gli puntò contro l’indice.
“Ti affronteremo, certo! Tu e gli altri rinnegati avete tradito Atena e per questo pagherete!”
Il volto di Georgios non batté ciglio.
“Tradito? Credetemi non abbiamo tradito noi Atena ed il Grande Tempio, è lei che ci ha traditi!”
 
 
Quando iniziò l’attacco, Crysos si trovava con Endymion seduto assieme a lui su una terrazza a chiacchierare.
“Non penso che tu abbia vissuto molte avventure, specie considerando la tua età” stava dicendo il principe al cavaliere.
“In effetti no” spiegò il cavaliere. “Ho solo venti anni, ed ho preso quest’armatura due mesi fa, da allora non ho vissuto avventure o missioni per conto del mio gruppo; questa è la prima praticamente. Stesso discorso vale per mio fratello Acubens”.
“Nervoso?”
“So gestire la cosa. Ma vi confesserò una cosa, principe” il biondo usava un tono di cortesia di fronte ad un membro della famiglia reale “Preferiamo non andare in missione a sventare minacce, anche se è il nostro compito; questo perché noi vogliamo la pace, non la guerra e lottiamo per mantenerla”.
Endymion doveva ammettere di essere affascinato dal mondo di questi Cavalieri di Atena.
“Anche noi cerchiamo la pace e non la guerra, sebbene c’è molta gente tra noi che si crede superiore verso le persone esterne al Regno Dorato ed alcuni anche nei confronti dei loro stessi connazionali”.
Lo sguardo dl principe cadde sul vaso appoggiato sul tavolino tra di loro. In esso erano sistemate un alcune rose prese direttamente dal giardino del palazzo reale.
“Dimmi, come puoi rendere delle rose come queste delle armi micidiali?”
Il biondo prese una rosa rossa dal vaso e la fissò.
“Le mie rose sono molto particolari, di un tipo coltivato con attenzione solo al Grande Tempio da tempi immemori. Questa qui è solo una rosa normale, non otterrei mai e poi mai gli stessi risultati con le mie rose… ma qualcosa posso fare”.
Con un semplice e rapido gioco di polso Crysos lanciò la rosa contro la balaustra della terrazza, ed essa si piantò col gambo nella pietra.
Endymion sussultò alla vista della meraviglia appena compiuta.
“Ma come…”
“Avete presente il lancio dei coltelli? Ecco, stesso principio base, bisogna solo concentrare il proprio cosmo”.
“Il… Cosmo?”
“Tutti gli esseri senzienti siano essi uomini o divinità od oscure creature, hanno dentro di sé un’enorme energia, il cosmo. Essa è un’energia che permane l’intero universo dalla sua creazione e soltanto imparando ad usare quest’energia si possono trascendere i propri limiti. Noi, guerrieri della Dea Atena, abbiamo allenato il nostro cosmo per farlo diventare forte abbastanza da vincere anche gli ostacoli più insormontabili”.
Endymion rifletté un istante.
“Sembra… l’energia spirituale che usiamo noi della famiglia reale e le guardie scelte, anche noi la sfruttiamo per trascendere i limiti fisici umani. Io stesso grazie ad essa potrei essere in grado di sconfiggere un intero esercito, secondo mio padre.”
“Anche un cavaliere d’oro è potenzialmente in grado di sconfiggere da solo un intero esercito di comuni umani. Sì, quella che voi chiamate energia spirituale è sempre il cosmo. Qualcuno dice che sono le costellazioni che simboleggiano le nostre armature a darci la forza. Ogni cavaliere di Atena ha la propria costellazione guida, la mia è Pesci, una della dodici costellazioni dello Zodiaco”.
All’improvviso si udì il suono di una campana che si mise suonare incessantemente, che suscitò attenzione in Crysos ed allarmò Endymion.
“Che vuole dire questo suono?”
“L’allarme!?” gridò il principe.
“C’è un…?”
Si sentì un esplosione e un edificio non molto lontano dal palazzo fu avvolto dalle fiamme.
“Questo è un attacco, siamo assaliti!” gridò Endymion saltando in piedi ed afferrando una spada, mentre all’esterno e dall’interno del palazzo reale si sentivano delle grida.
Il Principe corse all’esterno del palazzo, seguito da un cavaliere d’oro, che benché sorpreso cercava di mantenere il sangue freddo. Quest’ultimo inoltre aveva cominciato a percepire un serie di cosmi ostili ed oscuri apparsi quasi all’improvviso.
Usciti da palazzo, scostando cittadini in fuga e soldati che correvano alle loro postazioni, i due giunsero alla villa in fiamme, dove videro un gruppo, non molto grande, di persone chiuse in corazze nere ed armato fino ai denti di armi bianche stava quasi in attesa del loro arrivo.
“E questi chi sono? Che diamine sta succedendo in questa città?”
Gli avversari si limitarono a sguainare le spade, pronti alla lotta. Il Principe fece lo stesso.
“Non li lascerò impuniti ora…”
Crysos mise il braccio destro in mezzo.
“Questo non è l’unico quartiere della città sotto attacco: sento altri cosmi ostili un po’ ovunque; andate dove c’è più bisogno di voi! Voi siete forte, molto, forse al mio livello, andate dove le truppe sono in difficoltà”.
“Sei sicuro?”
Il biondo tirò fuori delle rose dai petali rossi. “Qui, basto io. Royal Demon Rose!”
Le rose rosse lanciate come pugnali colpirono gli invasori, facendoli stramazzare a terra avvelenati a morte dal letale profumo di quei fiori.
Endymion gettò una breve occhiata al cavaliere mentre costui bruciava un cosmo dorato, rivelandolo alto e maestoso, quasi quanto il suo. Sì, se la sarebbe cavata, specie considerando che era come aveva effettivamente detto lui ed il biondo erano molto simili in fatto di potenza.
“D’accordo, buona fortuna!”
E corse verso un altro punto della Città d’Oro.
Il biondo cavaliere d’oro si concentrò nuovamente sugli avversari, non erano molto numerosi, e non percepiva una grande minaccia da loro. Solo un’oscurità insita nei loro cuori.
Uno di loro, forse un ufficiale, urlò qualcosa in una lingua che Crysos non capì, puntando la spada contro di lui.
Alcuni li si scagliarono addosso, ma per nulla intimorito il biondo urlò: “Che l’oscurità del vostro cosmo sia abbattuta! Piranha Rose!”
Stavolta vennero lanciate rose dai petali neri, che come pugnali colpirono gli invasori, spaccando le armature ed aprendo dolorose ferite che li rallentarono o li fecero stramazzare a terra morenti.
“Fareste meglio a fuggire od arrendervi finché siete in tempo!”
“Giammai!” urlò quello che sembrava l’ufficiale parlando in una lingua che il cavaliere capì. “Noi siamo gli Elfi Oscuri, la resa non è contemplata e non fuggiamo una battaglia!”
“Elfi Oscuri?”
Mentre prese mentalmente nota della razza, continuò a combattere, con calci e pugni, lanciando le rose rosse o quelle nere. I nemici non riuscivano a colpirlo, le lame slittavano sull’armatura d’oro, i guerrieri cadevano morti per il veleno od altri effetti devastanti delle rose, e nessuno pareva riuscire a contrastarlo: il corpo rafforzato dal cosmo generava pugni e calci che spaccavano gli scudi e sfondavano le corazze, che avrebbero resistito se fossero state composte degli stessi materiali di cui erano composte materiali quelle dei cavalieri di Atena.
Il cavaliere emise un’ondata di cosmo che sbilanciò i guerrieri, e poi ne colpì uno con un pugno.
“Per ora non ci sono problemi” si disse “Per quanto forti il loro livello di forza è pari a quello cavalieri di bronzo di bassa lega, alcuni sono appena più forti dei soldati semplici del Grande Tempio”.
Altri due caddero per le rose nere, e a quel punto uno di loro, probabilmente un ufficiale, urlò qualcosa nella loro lingua, guardando si attorno come in cerca di qualcosa.
Un ruggito fu la risposta ed una possente e pelosa creatura umanoide alta due metri buoni avanzò passo di carica cercando di mollargli un zampata con gli artigli, che Crysos evitò con un balzo all’indietro.
“Vedremo come te la caverai contro un Grendel!” urlò l’ufficiale.
Crysos però, non fu troppo impressionato dal nuovo avversario.
“Un avversario forte, ma comunque sforzi inutili. White Rose!”.
Mentre il Grendel cercava di ghermirlo, il cavaliere d’oro lanciò una col braccio destro una rosa dai petali bianchi che si piantò col gambo nel petto della creatura. In poco tempo si colorò di rosso, assorbendo il sangue della possente bestia.
Essa barcollò e si inginocchio a terra, ed un attimo dopo Crysos la finì con un calcio che le spezzò il collo.
Gli ultimi elfi riamasti, per quanto scioccati dalla fine della loro creatura, provarono ad attaccarlo, ma il cavaliere gli sbaragliò senza bisogno delle sue tecniche.
L’ultimo a cadere fu l’ufficiale che si scagliò sul biondo cercando di decapitarlo con le sue due scimitarre.
“Tu sei forte quanto un cavaliere d’argento…”
L’elfo indietreggiò: piantata in un punto scoperto della corazza spiccava una rosa bianca.
“… ma anche tu non sei un problema per me”.
L’ufficiale cadde a terra, la rosa ora diventata rossa.
Quello scontro era concluso, a parte Crysos in quel quartiere vi era solo il crepitio delle fiamme che avvolgevano l’edificio e i cadaveri dei nemici.
“Notevole, nonostante la loro evidente inferiorità non hanno ceduto, coraggio o follia? Ma anche mo fratello per orgoglio non si ritirerebbe, semmai starebbe indietro a coprire la ritirata degli altri” rifletté tra sé e poi ad alta voce, con tono freddo esclamò: “C’è nessun altro?”.
Qualcuno rise.
“Non cambi mai vero? Un pilastro dorato che si erge nella tempesta, fermo sulle sue posizioni”.
Il cavaliere dei pesci sussultò. Quella voce… Per Atena, l’aveva già sentita…
“Chi…?”
“Qui”.
Una figura si fece avanti. Alto e fiero, con alle spalle le fiamme dell’edificio che incorniciavo la sua figura, Crysos vide un uomo molto bello, con lunghi capelli neri mossi dal vento ed un sorriso sulle labbra.
“Salve Crysos, è bello rivederti!”
“M-Megaleìo!?”

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Capitolo 13
*** La Battaglia del Regno Dorato - Seconda Parte ***


Capitolo 13 - La Battaglia del Regno Dorato - Seconda Parte





Serenity si guardò intorno, strusciando le scarpe sull’erba del terreno, mentre i riflessi della luce stellare strappavano pallidi bagliori nel cielo notturno.
Grazie allo Specchio, la Regina aveva localizzato Venus sulla Terra, su quale zona della Terra la principessa non lo sapeva, in ogni caso era andata con la squadra di recupero del Generale Tsukoyomi. Erano giunti lì, a non molta distanza da dove stava la sailor rapita, col teletrasporto di gruppo: i più dotati con quel tipo di incantesimo avevano trasportato i gruppi di quelli che non sapevano usarlo. Lei aveva provato soltanto un leggero senso di disagio per il teletrasporto, disagio che era svanito in un attimo.
Si erano poi consultati su come agire: avrebbero lasciato nelle retrovie i soldati lunari specializzati nel teletrasporto, mentre il grosso della truppa, preceduta da un paio di esploratori, sarebbe andata a liberare la prigioniera.
Nella decisione di scegliere quale sailor portare si era deciso che ne sarebbe venuta solo una. Siccome qualcuno si aspettava che venisse Sailor Jupiter, data la sua relazione col Generale, quest’ultimo aveva optato di tirare a sorte per mostrare che non faceva favoritismi ed allo stesso tempo non offendere la sua donna.
Dal sorteggio improvvisato ne era uscita “vincitrice” la guerriera di Marte e poco dopo e erano partiti immediatamente.
“Leggeri e veloci come ombre dobbiamo essere” aveva dichiarato Tsukoyomi prima della partenza.
Serenity era così rimasta lì nelle retrovie, su solerte invito del Generale a cui non aveva intenzione di replicare, con le sailor guardiane restanti e qualche soldato. Volse lo sguardo attorno, mentre tutti gli altri erano silenziosi e tesi. Nonostante fosse ancora preoccupata per Sailor Venus, dovette ammettere che non le dispiaceva l’idea di rivedere la Terra; non era passato poi molto tempo dalla sua ultima visita (quella in cui la madre l’aveva beccata nella sua assenza), e nei giorni scorsi stava meditando su un modo per sgattaiolare via senza che nessuno se ne accorgesse, dopotutto poteva chiedere aiuti alle guardiane, ma sapeva per istinto che non avrebbero collaborato ed avrebbero di contro avvisato sua madre.
Quando volse lo sguardo verso un punto dell’orizzonte spalancò gli occhi per lo stupore. Si intravedeva la sagoma di una vasta città dalle alte torri. Una città che aveva già visto in passato.
“Ma quella città…”
Un soldato che era vicino a lei, notando la direzione del suo sguardo e sentendo la sua domanda le spiegò: “E’ la capitale del Regno Dorato, mia signora, quel famoso regno dei terrestri”.
Non notò la reazione della Principessa o non ci fecen caso più di tanto.
“I-il Regno Dorato?”
“Esatto vostra grazia, l’unico posto avanzato della Terra, ma nulla di paragonabile a noi”.
A distanza si vedevano delle luci ma si capiva subito che non erano le luci delle lampade o di qualche altra illuminazione artificiale: erano luci di incedi.
“Gli Elfi Oscuri stanno attaccando il Regno Dorato della Terra? Ma perché?”
“Eh, vallo a sapere! Ma in tutta onestà non me ne stupisco. Quegli esseri bramano guerra e distruzione, lo si capisce all’istante”.
La Principessa fissò intensamente la città dai tetti dorata in lontananza, si vedeva  il bagliore delle fiamme ed era ovvio che vi fosse in corso una battaglia furibonda.
Il suo pensiero correva verso una persona che era sicuramente coinvolta nella battaglia, persona che rischiava la vita, ed il cui esito vi era incertezza.
Una persona molto cara alla lunare.
“Endymion…” sussurrò.


Sailor Venus guardava la città del Regno Dorato, sotto attacco da parte degli Elfi Oscuri per ignoti motivi. A dir la verità i motivi per cui attaccavano la città non la interessavano minimamente, non soltanto perché ora era prigioniera, ma proprio perché il fatto che una città terrestre fosse sotto attacco non la interessavano affatto.
Sperava solo che le sue amiche e la sua gente si spicciassero a venirla e recuperare; la situazione non le piaceva neanche lontanamente, e quella poi era un’ottima occasione per liberarla: quasi tutti gli elfi erano andati ad assaltare la città, lasciandola lì con un piccolo gruppo di soldati.
Una delle due guardie che la custodivano si voltò.
“Chi va là? Urgh!”
Un attimo dopo cadde di schiena trafitto al petto da una lancia.
“Che diavolo succede?” esclamò l’altra guardia.
Vide delle figure avvicinarsi rapidamente.
 “Dannazione, allarme!”
Un attimo dopo, l’elfo cadde a terra per un attacco di fiamme roventi.
Gli altri soldati lì radunati si misero in allerta, gridando allarmi quando notanrono figure armate in avvicinamento.
Sailor Venus si buttò a terra, cercando di farsi il più piccola possibile, per evitare di essere coinvolta, sapendo di non poter fare molto a causa del collare che le bloccava i poteri.
“Ehi!” esclamò una voce femminile vicino a lei.
Girando la testa, Venus sorrise nel vedere Sailor Mars.
“Sailor Venus!” gridò un giovane lunare biondo recuperando la lancia dal corpo della guardia. “Siamo qui per salvarti, tranquilla!” Un attimo dopo lanciò la lancia come un giavellotto beccando un altro elfo.
“Bel colpo Adonis!” gridò un altro soldato rivolto al biondo.
Poco dopo entrò in scena anche Tsukoyomi che spazzò via soldati nemici ogni volta che calava la spada.
Mentre gli Elfi Oscuri indietreggiavano sotto il massiccio attacco, gli altri guidati da Tsukoyomi facevano fronte compatto e due liberavano la prigioniera.
“Il collare!” gridò essa ricordandosi che gli impediva di usare i suoi poteri. “Toglietemi il collare!”
Quelli eseguirono ed un attimo dopo la guerriera di Venere era libera.
 “Sapevo che mi avreste trovata e liberata, grazie!” esclamò abbracciando Mars.
“E far tristi i maschi del Silver Millennium?” rise Mars facendole l’occhiolino. “La mia coscienza ne risentiva”.
“Bene, e adesso, se volete scusarmi un attimo…”
La bionda si voltò verso gli Elfi Oscuri rimasti in zona, che avevano l’aria di gente che non sapeva che pesci pigliare, vista anche la palese situazione di svantaggio in cui si trovavano.
“Ed adesso cosa facciamo?”
“Noi non fuggiamo! Forza, tenete strette quelle spade!”
“Ed ora” dichiarò la sailor di Venere attirando l’attenzione di tutti, specie dei nemici, su di sé. “Permettetemi di presentarmi per bene!” concluse rivolgendosi ai nemici restanti.
Si mise in posa.
“Protetta da Venere, il pianeta della beltà, sono la guardiana dell’amore, sono Sailor Venus! E vi punirò in nome dell’amore! Spirale dell’amore di Venere!”
Afferrata una specie di cordicella  composta da perline la illuminò di luce e poi la scagliò contro le guardie. L’“arma” si allungò a dismisura e si scagliò contro i nemici con una forza incredibile.
“Oh, merda!” gridò uno degli elfi oscuri prima di venire travolto assieme a compagni.
Tutti poi esultarono in grida di festa: il nemico era stato battuto con grande facilità e senza danni, anche se non tanto per merito loro.
Serenity arrivò subito dopo la vittoria e corse ad abbracciare l’amica sailor.
“Sia lode alla Dea, stai bene!”
“Per la Dea, Principessa, ma che fate qui?”
“Ehi, è il modo di salutare un’amica che stata in pena per te?” replicò facendo la finta offesa.
Con una risata, Venus replicò con un altro abbraccio, era felicissima di rivedere Serenity e di essere libera ed al sicuro.
“Va bene, missione compiuta, quelli hanno imparato la lezione ed abbiamo recuperato la nostra dispersa facendogliela sotto il naso!” gridò il Generale, salutato da un’altra ovazione delle truppe.
“Adesso” proseguì, “riportiamo la nostra amata sailor a casa e poi decideremo la prossima mossa”.
Tutti annuirono e si misero vicini agli addetti al teletrasporto, pronti a tornare a casa.
“Torniamo a casa, avanti” disse Venus sorridendo e prendendo l’amica per il braccio destro, ma quella non si mosse.
“Ehi, cos’hai?” domandò a Serenity fissandola.
Quest’ultima stava fissando con un’espressione indecifrabile la città del Regno Dorato.
Nella sua mente un’infinità di pensieri la turbavano. Non se la sentiva di andarsene così, senza fare nulla mentre una persona rischiava la vita.
Endymion è laggiù, sta combattendo laggiù, e rischia la vita…
“Principessa…?”
Ignorando la bionda sailor, Serenity si rivolse a Tsukoyomi.
“Generale, aspetti un momento!”
Quello, notando il tono preoccupato della principessa si fermò e si voltò verso di lei.
“Che succede, mia signora?”
“Ha visto cosa sta succedo? Gli Elfi Oscuri stanno attaccando una città”.
Tsukoyomi inarcò un sopracciglio.
“E allora?”
“E allora lì c’è della gente in pericolo di vita!”
“Ripeto: e allora?”
Serenity rimase un attimo in silenzio, esitante, ma poi, con sicurezza, affermò: “Le vostre truppe sono forti e fresche, usatele per aiutare quella gente contro i nemici!”
Tsukoyomi rimase un attimo in silenzio, poi scoppiò a ridere, atto che lasciò Serenity di sasso.
“Ma che sciocchezza!” commentò il generale una volta ripresosi. “E perché mai dovremmo?”
“Perché…” Serenity esitò nuovamente sentendo su di sé sguardi confusi e perplessi dei lunari. D’un tratto non sapeva che altro dire, forse era meglio se stava zitta. “Perché… è giusto!”
“Giusto? Avete battuto la testa, vostra altezza?”
“Generale…” rincarò la dose la Principessa cercando di essere convincente. “Laggiù” ed indicò la Città Dorata “ci sono degli Elfi Oscuri, gli stessi che hanno attaccato il nostro regno, che stanno attaccando delle persone, e…”
“Avranno i loro buoni motivi per avercela coi terrestri” liquidò Tsukoyomi.
“Quella laggiù è una città, dei civili staranno morendo, non soltanto dei soldati”.
“Stanno morendo terrestri, principessa. E la cosa mi lascia completamente indifferente”.
La freddezza con cui il Generale disse quella frase lasciò interdetta Serenity.
“Dite sul serio?”
Con una smorfia Tsukoyomi si voltò e fece per tornare dov’erano gli addetti al teletrasporto.
“Per me possono anche crepare tutti francamente, e non capisco cosa avete voi da preoccuparvi così tanto della loro sorte. Andiamo su, torniamo a casa e che quelli se la cavino da soli”.
“Ma…”
“Ho detto di no!”
“Generale!”
Quello fissò l’erede al trono esasperato.
“Cos’è questa ossessione?”
“Generale Tsukoyomi!” strillò la Principessa. “Come tua futura regina ti ordino di andare ad aiutarli!”
Tutti si ammutolirono, Serenity aveva imitato alla perfezione il tono autoritario della madre. Ma Tsukoyomi, impassibile, si limitò ad incrociare le braccia sul petto con deliberata lentezza.
“Voi non siete ancora la mia regina, principessa, e non vi obbedirei nemmeno se lo foste!” dichiarò.
Un silenzio calò sullo scenario. Sailor e soldati fissavano i due litiganti, una arrabbiata e l’altro solo un po’ irritato ma fermo nelle sue convinzioni, come la bionda. Nessuno capiva cosa era preso tutto d’un tratto all’erede del regno, ma molti, ovvero i soldati, condividevano l’idea del generale: perché aiutare dei terrestri? Neanche Venus e le altre guardiane della Principessa riuscivano a spiegarsi lo strano comportamento della loro protetta.
“Generale, laggiù!”
All’improvviso grido di Adonis, Tsukoyomi e Serenity distolsero lo sguardo l’uno dall’altra per volgerlo nella direzione indicata dal lanciere: un elfo in armatura armato di bastone con sopra una sfera bianca, avanzava verso di loro a passi tranquilli, il volto serio e calmo, fino fermarsi a breve distanza dai lunari.
Sailor Mars inarcò un sopracciglio.
“E quello chi è?”
“E’ uno dei generali di questo esercito di Elfi Oscuri!” esclamò Venus riconoscendolo subito.
“Esattamente” fece quello esibendosi in un leggero inchino. “Generale Cardhan, al vostro servizio!”
“Quindi lui è uno dei più rilevanti del gruppo?” disse Tsukoyomi “Molto Bene”.
Il Generale del Regno Argentato si fece avanti, confrontandosi con Cardhan. Erano della stessa altezza, ma se l’elfo aveva uno sguardo indecifrabile, il lunare aveva uno sguardo di fuoco
“Dov’è l’arco che avete rubato?”
“Non è qui”.
“E perché avete messo sottosopra la nostra casa per averlo? No, anzi, la sai una cosa? Il perché lo trovo irrilevante; ciò che più mi importa è il vostro gesto di per sé! Credevate davvero che noi fossimo uno stupido popolo pacifico e per questo adatto a subire ogni genere di angheria senza reagire? In tal caso vi siete sbagliati di grosso! Per quanto noi non cerchiamo la guerra con gli altri regni e gli altri popoli, non eleviamo a virtù la mansuetudine e non porgiamo l’altra guancia a chi ci schiaffeggia.”
Puntò l’indice destro contro il guerriero di Svartalfheim.
“Voi che ci avete attaccato per rapina e avete preso come ostaggio una di noi non sareste impuniti, ed in un modo o nell’altro giustizia sarà fatta!”
L’elfo non sembrò colpito dal discorso.
“Voi Lunari vi credete molto forti vero? Ma ignorate completamente, poveri sciocchi, che là fuori, fuori dai confini dl vostro regno, esistono cose molto più pericolose di voi”.
Tsukoyomi si fece avanti a fronteggiarlo, sicuro di sé. Avrebbe insito rispetto e timore in chiunque non lo conoscesse con quell’aria, ma l’elfo oscuro non sembrava preoccupato più di tanto.
“Non cercare di terrorizzarci, bastardo. Li vedi questi?” Con un gesto indicò i soldati dl Silver Millennium “Sono il meglio che il nostro regno offre dal punto di vista militare. Le tue minacce non ci fanno ne caldo ne freddo e sappi che siamo pronti ad devastare il tuo mondo d’origine se è necessario!”
Ancora una volta l’elfo non batté ciglio. Difficile dire cosa gli stesse passando per la testa.
“Voi invadere la nostra casa? Questa vorrei proprio vederla… Ma per ora…”
Improvvisamente l’elfo allargò le braccia, mentre la sfera sul bastone brillò di luce bianca.
“Vediamo se coloro che sono morti sapranno infondervi terrore! Sorgete dai campi della morte e combattete per me, Draugr!”
Improvvisamente il terreno sotto i loro piedi si spaccò, in innumerevoli crepe da cui usci del fumo nero. Indietreggiando, i lunari videro quelle crepe allargarsi sempre di più, mentre delle mani scheletriche uscivano dal terreno e cercavano dia farsi strada nell’afferrare il terreno ed issarsi fuori.
Uno dopo l’altro, dal suolo emersero degli scheletri putridi, armati di spade od asce, con sulla testa elmi arrugginiti dotati di piccole corna.
All’interno degli occhi e della bocca brillava una strana luce arancione.
Ben presto i Draugr circondarono il gruppo di lunari che si erano disposti d’istinto a cerchio per coprire tutti i lati.
“Proteggiamo la Principessa!” urlò Sailor Venus e tutte le sailor presenti fecero cerchio attorno a Serenity.
Ora i lunari erano circondati da quella marea di non-morti, i draugr evocati dall’elfo oscuro, ma pur provando ribrezzo per l’aspetto degli avversari, non erano spaventati più di tanto.
Stretta saldamente la spada, Tsukoyomi ringhiò:
“Non vi temiamo; fatevi sotto tutti insieme bastardi!”
“Attaccate!”
Con un sibilo i draugr si lanciarono contro il piccolo cerchio di lunari, quest’ultimi pronti al grosso assalto.
Ma ecco che accade qualcosa d’inaspettato: i draugr caddero a terra uno dopo l’altro, senza nemmeno avvicinarsi ai lunari.
“Eh?”
Tuskoyomi, le sailor e tutti i lunari presenti ammutolirono di fronte a quello spettacolo. I draugr cadevano a terra, come marionette prive di fili, improvvisamente spompati e privi di vitalità. Una volta che cadevano sul terreno svanivano dissolvendosi in polvere, mentre la luce azzurra che brillava negli occhi svaniva verso l’alto.
Cardhan li guardò scioccati.
“Che avete fatto?”
“Noi? Niente!”esclamò Mars guardandosi intorno.
Cardhan fu ancora più confuso: cosa stava succedendo? Se non erano stati i lunari…
“Ma chi…?”
“Sai perché non mi piacciono i negromanti?” dichiarò una voce.
Tutti si voltarono od alzarono la testa. E videro appollaiato sui rami di un grande albero, alle spalle dell’elfo, un uomo dalla corazza d’oro che, sorridendo beffardo, teneva sollevato l’indice della mano destra.
“Perché detesto profondamente quelli che disturbano il riposo di coloro che sono morti!”





Nota: i draugr sono creature non morte della mitologia norrena, che appaiono in diversi giochi di ruolo a tema fantasy.

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Capitolo 14
*** La Battaglia del Regno Dorato - Terza Parte ***


Capitolo 14 - La Battaglia del Regno Dorato - Terza Parte



“Bene, Crysos, come va? Come sempre sei bello come solo un dio può esserlo. E vedo che godi di ottima salute”.
Megaleìo, il capo dei cavalieri d’argento esiliati dal Grande Tempio dopo aver perso le armature. Si trovava in quel momento di fronte ad una sua vecchia conoscenza: Crysos dei Pesci.
Quest’ultimo era rimasto a dir poco scioccato nel vederlo, mentre una fila di ricordi belli e brutti gli tornavano in mente.
“C-credevo che…” balbettò.
“Fossi morto?” concluse l’altro. “Suvvia, non è facile uccidere un cavaliere d’oro, sebbene io non abbia mai ricevuto l’investitura e la corazza, a differenza tua”.
Gli occhi del moro si posarono sull’armatura d’oro dei pesci.
“Debbo dire che ti dona quella corazza, si intona coi tuoi capelli…” disse prima di fissare il biondo con sguardo serio.
“E’ morto vero? Il nostro maestro. Altrimenti non indosseresti la sua armatura”.
“Due mesi fa…” mormorò Crysos ancora scosso.
Megaleìo annuì, serio.
“Pace all’anima sua”.
Il moro non parlò per un po’ e Crysos, decidendo di parlare lui infine.
“Allora, i Rinnegati li comandi tu”.
“Invero, rispondono a me. Ma suvvia! “Rinnegati”… Che brutta parola, solo perché non facciamo più parte del Grande Tempio”.
“E che cosa sareste invece?”
“Cosa siamo?” Megaleìo incrociò le dita delle mani. Non indossava alcuna armatura, solo  semplici vesti ed un mantello sulle spalle.
“Siamo coloro che cambieranno il mondo, coloro che rovesceranno il mondo così come la maggior parte degli uomini lo conosce. Ecco chi siamo!”
Il biondo scosse la testa, continuando a fissare sconvolto l’ex cavaliere.
“Perché, perché fai tutto questo? Cos’è che vuoi?”
Megaleìo fece un verso sarcastico.
“Non lo immagini? Eppure è ovvio, per te che mi conoscevi così bene. Dopotutto sai che è successo l’anno scorso, no?”
Il biondo rifletté un attimo, poi scosse di nuovo la testa.
“No. Quello che vuoi fare è una follia… va contro i nostri valori…”
“Ma davvero? E sei quei valori sbagliano? Te lo sei mai chiesto amico mio?”
 
 
All’interno del palazzo reale il duello tra Zoisite, guardia del Principe Ednymion, e Daniel del Corvo, ex Cavaliere di Atena, era ancora in corso.
Quest’ultimo aveva bombardato il guerrieri del Regno Dorato con coltelli e corvi per poi cercare di colpirlo con un pugno tirato con tutte le sue forze.
Zoisite, benché distratto dai corvi, vide in tempo il colpo e si sposò così che il colpo si limitò a piantarsi nel muro dietro di lui.
Daniel sfilò il braccio con un grugnito, e vedendo l’avversario ansante, ne approfittò per sbeffeggiarlo.
“Sei già stanco? Ti facevo più grintoso!”
“Non preoccuparti” commentò Zoisite puntandogli contro la spada. “Tra poco laverò il mondo dalla tua presenza!”
Quello sbuffò.
“Che paroloni! Mamma mia, come sei monotono. Come ti dissi l’ultima volta che ci siamo incontrati, ho avuto un’infanzia difficile”.
“Oh, vedi piantarla con le tue scuse!”
Daniel ghignò.
“Giusto, perché te ne dovrebbe importare qualcosa dei miei problemi?”
“I tuoi problemi non ti danno il permesso di violentare delle donne!”
“Tipo quella che ho preso come ostaggio la prima volta che sono stato qui?”
“Esatto!”
L’uomo rimase un attimo in silenzio per poi dire: “A dir la verità abusare di lei non è mai stata la mia intenzione, nemmeno lontanamente”.
“Come?”
“Gliel’ho fatto intendere soltanto per terrorizzarla, tutto qui” prosegui quello con un espressione assai seria sul volto.
Sul volto di Zoisite apparve invece un’espressione perplessa, benché non abbassasse la guardia.
“Ma… sei serio?”
“Ti sto dicendo la verità, non sono perfetto, questo non lo nego, ma almeno sono onesto quando parlo. Non era mai stata mia intenzione violentare quella donna, volevo solo guardare il terrore nei suoi occhi, bearmi della sua paura ed al culmine ucciderla spezzandole il collo. E basta. Non era mai stata mia intenzione soddisfare le mie voglie con lei. D’altronde dovevo rubare qualcosa senza perdere troppo tempo, no? E comunque se voglio soddisfare  i miei gusti personali… beh, le prostitute esistono per questo,  no?” concluse scoppiando in una piccola risata.
“Tu sei pazzo!”
“Dici? E’ vero, ultimamente ho questa abitudine, ma che ci posso fare?”
Rimase un attimo in silenzio poi disse: “Sai, poco dopo aver ricevuto la mia armatura ed essere stato nominato cavaliere, ho ucciso in Tessaglia un gruppo di banditi che terrorizzava la regione. Il loro capo era uno che amava fare collane con le orecchie delle persone che uccideva. Era pazzo? Lo faceva per puro sadismo? Oppure era solo un freddo calcolo per incutere paura? Chi lo sa; quello non mi diede mai una risposta sulle sue azioni, anche perché lo uccisi prima che mi sorgessero nella testa queste domande. Ma ora dimmi, tra me e quell’uomo chi è peggio?”
Zoisite rimase in silenzio, parecchio perplesso. In sé non pensava che quell’uomo davanti a lui stesse mentendo con quanto appena detto. In ogni caso le riflessioni le avrebbe lasciate per dopo.
“Che ne dici se la risposta la formulo quando tu sarai morto?”
Daniel sorrise e sfoderò altri coltelli.
“Son qui che ti aspetto, avanti!”
 
 
Nel frattempo il duello tra Kunzite ed Imor proseguiva senza che nessuno dei due avesse la meglio sull’altro: l’elfo oscuro si impegnava al massimo per superare l’avversario, ma questi in fatto di potenza non era da meno.
Non avevano ancora usato nessun colpo basato sul cosmo o sulla magia: il combattimento si svolgeva meramente su armi bianche. Kunzite usava la spada, Imor la grande mazza che impugnava nella mano destra e l’imponente scudo che imbracciava con la mano sinistra.
Imor indietreggiò, e, dopo aver tirato indietro il braccio destro, tirò una mazzata tanto forte che avrebbe staccato di netto la testa di Kunzite dal corpo se quest’ultimo non si fosse abbassato in tempo. Il colpo di mazza si limitò a spaccare il muro interno del corridoio.
“Però, sei forte!” fu quello che seppe dire l’uomo.
“E non hai ancora visto niente, umano!”
Allontanatosi con un balzo e concentrato il cosmo sul grande scudo caricò l’avversario come un ariete vivente, ma questi fece una scivolata sul pavimento del corridoio passando a lato all’attacco.
L’elfo si fermò quando sfondò qualcosa.
Rialzatosi, Kunzite vide che la porta della sala dei trofei era in frantumi e capì che l’elfo non voleva tanto travolgere , ma arrivare subito alla porta.
“Mi piace combattere contro di te, umano, ma la missione viene prima. Ehi, Corvo!”.
“Arrivo!” gridò quello, e corse verso la sala trofei mentre i corvi trattenevano Zoisite. Anche Kunzite si precipitò sul posto.
“Non te lo permetterò!”
L’elfo sbatté il suo avversario contro il muro usando lo scudo, poi, individuata la statuetta che cercavano (Daniel gli aveva fornito descrizioni dettagliate) e si lanciò per afferrarla.
“Ferm… !”
Il cavaliere del corvo saltò sulle spalle di Kunzite atterrandolo.
“Giù, bello!”
Un attimo dopo, la statuetta d’oro fu tra le mani dell’elfo.
“Ce l’hai? Dai forza, scappiamo!”
Imor si lanciò contro una finestra, la sfondò e cadde all’esterno del palazzo.
“Fuga dalle finestre, un classico!” esclamò Daniel correndogli dietro.
“Non facciamoli scappare!”
Kunzite si lanciò dietro ai due, seguito a ruota dal compagno. Tuttavia due corvi gli furono addosso.
“Fermi dove sie… Ah, dannazione!”
Daniel scagliò anche dei coltelli verso Zoisite che li deviò con la spada, mentre il suo compagno eliminava a spadate i pennuti.
“Li trattengo io, tu vattene, presto!” gridò rivolto all’elfo.
Gettando solo un rapido sguardo, Imor strinse la presa sulle armi e sull’oggetto e corse cominciò a correre il più lontano possibile dal palazzo e dalla città stessa.
Le due guardie del Principe non poterono seguirlo finché davanti a loro c’era Daniel.
“Se volete arrivare a lui, dovete prima superare me!”
“Ed è  quello che faremo!” dichiarò Kunzite.
“Provateci!” replicò quello, per poi puntare l’indice destro verso di loro. “Avanti miei piccoli amici!”
I corvi, gracchiando, attaccarono i due guerrieri che però si liberarono facilmente, uccidendo le bestiole.
“Ci fai solo perdere tempo!” ringhiò Zoisite.
“Ma è proprio questa l’idea!”
Caricato il pugno di cosmo si lanciò contro Kunzite, che aveva intuito essere il più pericoloso dei due, gridando: “Ala Nera!”
Il colpo preso Kunzite in pieno petto: non fu molto potente, ma l’onda d’urto fu sufficiente a far cadere centinaia di piume dai corvi che si appiccicano al corpo del guerriero.
“Che diamine…” fece Kunzite e subito si rese conto che le piume (solo gli déi sapevano perché) erano diventate molto pesanti e difficili da staccare, ora era incapace di muoversi, inerme a subire i colpi del Cavaliere del Corvo. Ma costui ne approfittò per concentrarsi su Zoisite.
“Bene adesso siamo di nuovo uno contro uno!”
I due si scambiarono attacchi e contrattacchi, ma d’un tratto, una forte esplosione di cosmo li fece voltare: il guerriero del regno dorato si era liberato dalle piume bruciando quello che lui chiamava “spirito combattivo”.
Daniel sbarrò la bocca per lo stupore.
“Eh?”
“Bel trucco, ma ho molte risorse!”
“Fanculo!”
Lo scontro proseguì: ma apparve subito chiaro che, Daniel, in netta inferiorità, non avrebbe letto a lungo.
Caricata di cosmo la spada, Zoisite riuscì a menare un fendete che spaccò il coprispalla sinistro del cavaliere.
“Merda!” imprecò quello facendo un balzo indietro. “Ma che ha combinato il fabbro?”
“Chiudiamo questa storia! Forza Zoisite!”
Zoisite plasmò rapidamente tra le mani una palla di fuoco abbastanza grande.
“FLAME GLOBE!”*
Daniel sbarrò gli occhi e, non riuscendo ad evitarla, si protesse la faccia incrociando le braccia.
“Argh! Merda!” gridò dopo il colpo. “Io odio il fuo…”
Non finì la frase, che Kunzite agì.
“LIGHT SCYTHES!”
Generate dal guerriero delle falci dorate si scagliarono contro Daniel investendolo da ogni parte.
Kunzite aveva messo tutta la sua energia spirituale nell’attacco ed ecco che le lame spaccarono la corazza e colpirono il nemico come nessun altro avversario aveva fatto finora.
Quando tutto si chetò videro che il cavaliere d’argento era ridotto in condizioni spaventose: l’armatura incrinata e spaccata in più punti, una gravissima ferita all’addome da cui uscivano ettolitri di sangue; era palese che sarebbe presto morto dissanguato.
Sputando sangue, cadde in ginocchio davanti ai due.
“Idiota, che credevi di fare affrontandoci da solo?” esclamò Kunzite. “Adesso morirai di certo e chissà se ai tuoi compagni ne importerà qualcosa!”
 “N-non… non mi importa di morire…”
Si chinò in avanti, stringendosi il busto grondante di sangue.
“I-l Capo… S-se il mio sforzo… il mio sacrificio… a-aiuterà i-il Capo nel suo scopo…”
Posò la mano destra a terra per sostenersi, mentre con la sinistra si stringeva inutilmente la ferita.
“Mi… mi sta bene, lo faccio p-per Me…”, poi con un’ultima smorfia di dolore sul volto deturpato dalle ustioni, cadde a terra in avanti, morto.
 
 
“Catena di Andromeda!”
Era in corso anche lo scontro tra Georgios della Balena, un altro cavaliere rinnegato, con Jamal della Freccia e Tiya di Andromeda, i cavalieri che avevano accompagnato Crysos nel Regno Dorato.
Tiya aveva lanciato il suo colpo segreto contro Georgios, che però lo parò senza difficoltà col piccolo scudo che aveva al braccio sinistro. L’arma impattò sulla piastra senza arrecare troppo danno.
Muovendosi a velocità supersonica superiore a quella del cavaliere di bronzo la colpì con un calcio che la mandò a gambe l’aria.
“Cosa credi di fare, ragazzina? Non è mai accaduto che il bronzo abbia battuto l’argento!”
“Che ne dici se ci pensa un altro argento?”
Jamal si fece avanti tentando un pugno, ma Georgios si fece indietro, afferrò per il polso Jamal e lo lanciò in aria.
Prima aveva adocchiato in quel cortile una fontana piena d’acqua che capitava giusto a buon momento.
“Getto d’acqua devastante!”
Aprendo entrambe le braccia, creò un getto d’acqua ascensionale simile al soffio dello sfiatatoio di una balena. Con un gridò, Jamal si rese conto che l’enorme pressione del getto l’aveva immobilizzato. Ricadde verso il suolo, ma ancora immobilizzato non riuscì a far nulla, e Georgios concluse l’attacco colpendolo sulla testa con un potente pugno.
Jamal finì a terra stordito e l cavaliere della balena si concentrò su Tiya.
Questa lo fissava guardinga, ma l’avversario non si mosse.
“Vattene ragazza, con me non puoi vincere e questo è un fatto”.
Tiya non si mosse ancora, la maschera che indossava non faceva trasparire le eventuali emozioni che provava.
“No” rispose semplicemente.
“Mpf, d’accordo allora, come preferisci”.
Prima che avanzasse l’ex cavaliere della balena fu scosso da un’ondata di energia. Voltandosi vide che nel cortile era giunto un giovane moro armato di spada.
“E tu chi sei?” disse al nuovo venuto.
“Sono il Principe Endymion, figlio di Re Endymion ed erede al trono del Regno Dorato, e ti garantisco invasore, che se non ti arrenderai immediatamente la tua vita terminerà qui ed ora!”
Georgios imprecò mentalmente: Daniel aveva raccontato che quel tizio era più forte di un cavaliere d’argento, inoltre avvertiva che era davvero molto forte. La faccenda si faceva molto difficile… Però non poteva fuggire, non prima di avere la certezza che il furto della statuetta fosse riuscito.
Approfittando della distrazione, Tiya lanciò contro ancora una volta la Catena, ma Georgios la deviò con un semplice colpo dello scudo.
“Stupida, hai dimenticato che lo stesso colpo non funziona due volte sullo stesso cavaliere? Figuriamoci poi un colpo così debole!”
“Ahi… non scordarti di me!”
Il cavaliere della freccia si era rialzato, pronto a combattere.
“Hai la pelle dura, vedo” commentò Georgios serio. “Bene due contro uno”.
“Tre contro uno, vorrai dire”.
“Il cavaliere di bronzo non sarà mai al livello di un cavaliere d’argento come me”.
“Perché è una donna?”
“Nient’affatto. Semplicemente perché, di fatto, un cavaliere di bronzo non sarà mai al livello di un cavaliere d’argento. O almeno non oggi e non domani, semmai tra un anno, con costante allenamento. Ed ora in guardia!”
Lo scontro riprese. Il cavaliere rinnegato generò una forte emanazione di cosmo per tenere lontano Tiya e fece barcollare Jamal.
Endymion però resistette bene e contrattaccò con una potenza tale che fece sbalzare molto indietro l’avversario.
Georgios imprecò mentalmente, il principe pareva avere un cosmo molto superiore ad un normale cavaliere d’argento.
“Ti do un consiglio cavaliere, mi sembri un uomo migliore del ladro che ha cercato di rubare la statua alcun giorni fa, quindi ti offro ancora la possibilità della resa”.
Georgios digrignò i denti e gridò: “Resa? Neanche per sogno! E non fuggirò. Non deluderò Megaleìo!”
“Megaleìo? Chi è?”
“Non ti riguarda, principe! Sappi solo che è un uomo migliore di te! Combatti!”
Il Cavaliere della Balena si scagliò contro il Principe, tentando vari pugni, ma Endymion riuscì a pararli od evitarli senza troppi problemi. Un pugno colpì il Principe sulla spalla, facendolo indietreggiare.
Jamal si fece avanti e fu respinto da un pugno, Tiya tentò un attacco e Georgios provò a toglierla di mezzo col suo colpo segreto: La afferrò e la lanciò in aria.
“Getto d’acqua devastan… che?!”
Tiya era in qualche modo riuscito a riguadagnare l’equilibrio e, prima che il getto d’acqua arrivasse, era ritornata a terra lanciando la catena che fu però evitata.
“Non avevi detto che lo stesso colpo non funziona due volte con lo stesso cavaliere?”
Jamal saltò e piombò a terra colpendo con un calcio fortissimo l’avversario sul coprispalla destro, incrinandolo.
“Sei finito!” commentò il cavaliere della freccia tornato a terra.
Fu il momento del Principe, che sferrò vari colpì con la spada, riuscendo a danneggiare lo scudo e l’altro bracciale.
“Sei in disparità, non puoi vincere!”
“Non mi importa!” gridò il cavaliere rinnegato bruciando al massimo il cosmo e cercando di resistere.
Quando Endymion indietreggiò fu il turno di Tiya.
“Onde del Tuono!” urlò, bruciando anche lei al massimo il cosmo.
La catena dalla punta piramidale fu lanciata in un attacco a forma di zig zag che colpì il nemico al centro del pettorale, crepandolo.
Georgios barcollò, poi fu sbalzato indietro da un colpo di Endymion.
“Addosso!” urlò Jamal, e prima che l’avversario potesse reagire, lui e Tiya lo colpirono con un doppio calcio simultaneamente, sbattendolo contro un muro.
A questo punto Endymion si fece avanti.
“Ed ora tocca a me! Indietro voi, prima di essere coinvolti!”
Ringhiando per il dolore, Georgios si rialzò, la situazione era critica, vincere era diventato un’opzione impossibile, ma per orgoglio non intendeva scappare. Ma prima che potesse reagire in qualunque modo, si fece avanti il principe, che concentrò il cosmo sul palmo della mano sinistra creando una sfera bianca dalle dimensioni di una testa umana.
“Che…”
“SKY’S RAGE!”**
Il colpo modellato dal principe fu scagliato a velocità inumana contro Georgios, che non riuscì ad evitarlo e lo prese in pieno.
Il Cavaliere provò a pararlo mettendo gli avambracci davanti al viso, ma non servì a niente, il colpo fu lo stesso devastante: il Principe ci aveva messo tutta la sua forza, superiore a quella di un cavaliere d’argento normale.
Il nemico urlò di dolore mentre il colpo esplodeva con grande forza, danneggiando anche l’area intorno a lui.
Quando la polvere si diradò dal cortile un altro dei cavalieri rinnegati del Grande Tempio era morto.
 
 
“Dici che il mio piano è folle. Che i miei valori sono sbagliati” Megaleìo scosse la testa. “Ah, Crysos, lo sai che per me sono quelli del Grande Tempio a non avermi compreso?”
“I tuoi lacché…”
“Compagni di battaglia, Crysos, compagni di battaglia, non lacché!” lo corresse il moro.
“I tuoi compagni di battaglia” riprese il biondo, “hanno perso ogni diritto a portare le armature originali, e per un buon motivo!”
Megaleìo inarcò un sopracciglio.
“Mi consideri sempre nel torto?”
“Non proprio, ma…”
“Ehi, ehi, aspetta! Hai detto “non proprio”?”
“Dannazione!” gridò Crysos, “La tua rabbia è giustificata, ma le tue azioni ci fanno andare contro i valori che Atena ci ha insegnato dai tempi del mito! Eri uno di noi una volta! Avevamo lo stesso maestro! Siamo cresciuti e ci siamo allenati insieme!” Si batté un pugno sul petto. “Questa armatura poteva essere tua se non avessi tradito Atena ed il Grande Tempio!”
Lo sguardo di Megaleìo si indurì.
“Tradito? Attento con gli insulti, Crysos. Chi avrei tradito a conti fatti? Una Dea che si reincarna quando gli pare, lasciando i suoi fedeli alle prese con la stupidità del mondo e soprattutto degli uomini?
Sai perché siamo così pochi? Sai perché le poche reclute sono reclutate a Rodorio oppure tra orfani e derelitti sparsi per il mondo? Perché quale genitore affiderebbe a noi i suoi figli? Una volta eravamo eroi, ogni famiglia greca ci offriva i suoi figli affinché li addestrassimo, ogni giovane era entusiasta all’idea di unirsi a noi, ma questo accadeva secoli fa, quando Clistene cacciò da Atene il tiranno Ippia e fondò la democrazia.
Ora cosa siamo noi Cavalieri? Idolatri, pagani, seguaci di “una divinità falsa e bugiarda” oppure i servi di “uno dei tanti demoni venuti per traviare gli uomini e per distoglierli dalla Buona Novella”. Le cose sono cominciate ad andare a puttane sin da quando l’imperatore Teodosio chiuse i templi e dichiarò la fede in Cristo la sola ed unica vera fede! Quando la fede di questi cristiani si diffondeva dalla Palestina, come abbiamo fatto a non cogliere i presagi di quanto sarebbe accaduto? Noi, protettori della giustizia, ora proteggiamo un mondo che non ci ama e non ci vuole!”
Crysos rimase in silenzio di fronte allo sfogo dell’ex compagno di battaglie. Aveva già sentito, purtroppo, quei discorsi l’anno scorso, sapeva che erano originati dal dolore, ma sapeva che spingevano verso altro dolore.
“Megaleìo, ascolta. So che questa non è più l’epoca di Leonida e di Temistocle, ma…”
“Allora mi perdonerai se sono stufo del mondo e desideroso di cambiarlo. Oh sì, è proprio quello che faremo: cambieremo il mondo! Insegneremo a tutti quelli sciocchi là fuori chi sono i veri Dei!”
“Li sprofonderai nella paura! Vi temeranno come se foste dei demoni! Volete proprio questo?”
“Che abbiano paura, allora! Forse se la meritano! Ho lavorato molto per questo Crysos, e non intendo mollare proprio ora! O realizzerò il mio obiettivo o cadrò combattendo, e stesso discorso vale per tutti gli altri! E chi non è con me è contro di me! Tu che vuoi fare davvero, Cavaliere dei Pesci?”
Crysos per un po’ non rispose, evitando di incrociare gli occhi scuri del compagno. Poi gli fece un altra domanda.
“E gli Elfi Oscuri? E i due tizi visti al Mar Rosso ed al Taigeto? Che c’entrano loro?”
“Alleati occasionali”.
Il silenzio che seguì fu rotto da un suono di corno che si propagò ovunque. Megaleìo alzò lo sguardo con tranquillità.
“Missione compiuta. Credo. Direi che è ora che me ne vada”.
Fece per andarsene, ma il Cavaliere dei Pesci, riscuotendosi dal sentimenti che l’avevano colto gridò: “Fermo! Sono un Cavaliere leale al Grande Tempio a differenza tua, e non ti permetterò di andartene!”
L’ex compagno di addestramento lo fissò per nulla intimorito.
“Vuoi combattere contro di me? Davvero?”
Allargò le braccia.
“Avanti, allora, togli di mezzo la mente di questo “maligno” progetto!”.
Crysos impugnò un rosa bianca ma benché il moro si fosse messo in posa per invitare il biondo a colpirlo, e non avesse alzato alcuna guardia, esitò. Il suo corpo era bloccato, in preda della lotta interna: Megaleìo era un rinnegato, un nemico dl Grande Tempio. Eppure non riusciva ad alzare la mano conto di lui, non dopo tutto quello che avevano passato, quando erano ancora nello stesso gruppo, dalla stessa parte. Aveva davanti quella che era stata la persona più importante della sua vita, dopo sua madre e suo fratello maggiore Acubens, la persona con cui aveva condiviso molti anni al Grande Tempio. Inoltre capiva il suo punto di vista, pur non approvandolo.
Abbassò la testa, il corpo scosso da un tremito, il cuore preda dell’incertezza.
Megaleìo fece un sorrisetto sarcastico.
“Come immaginavo” commentò abbassando le braccia. “Tu mi comprendi vero? Me e gli altri. Perché, allora non passare dalla nostra parte?”
Crysos scosse il capo.“No”.
“Ancora fissato con l’idea dei valori?”
“Il nostro maestro avrebbe approvato tutto questo?”
Quell’esclamazione fece indurire il bel viso del moro.
“Il nostro maestro è morto. Il giudizio di un morto conta meno di zero”.
Si voltò e prese a camminare.
“Non so se ti convincerò, Crysos, ma chiediti: val la pena combatterci?” disse prima di andarsene dalla zona, lasciando lì il Cavaliere dei Pesci, solo e titubante.




* Mi sono preso qualche libertà con le tecniche dei quattro Shittenou.
** Questo è il Tuxedo Smoking Bomber che Tuxedo Mask usa nel manga.

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Capitolo 15
*** La Battaglia del Regno Dorato - Ultima Parte ***


Capitolo 15 - La Battaglia del Regno Dorato - Ultima Parte


 
Le stelle splendevano allegre in cielo quando Nephrite era salito sulla torre più alta del palazzo.
Appassionato di Astronomia sin dalla giovane età, la guardia del corpo del principe della terra amava trascorrere le serate libere lassù per ammirare la volta stellata.
Si era portata dietro, un libro d’astronomia, un cannocchiale e vari strumenti per lo studio delle stelle, strumenti che di sicuro non trovavano in nessuna zona del mondo.
“Come ti è nato tutto questo interesse per le stelle del cielo?”
Nephrite voltò la testa dietro di sé, verso chi aveva parlato.
Una ragazzina di dodici anni, coi capelli rossi e gli occhi verdi, lo stava osservando poco lontano.
“Mah, difficile dirlo con precisione, credo di averla avuta da sempre”.
“Già, la sua passione è un mistero persino per noi!” aggiunse scherzosamente Jadeite, appoggiato alla balaustra della torre  assieme alla ragazzina.
“Oh, anche molte cose dei miei compagni sono un bel mistero”.
Risero tutti e tre, poi la ragazzina osservò il cielo stellato e privo di nuvole.
“E’ sempre uno spettacolo incredibile!” disse.
“E la sai una cosa Arianna?” disse Jadeite. “Alcuni popoli fuori dal Regno Dorato pensano che le stelle siano fuochi da campo che accendono di notte le anime dei morti salite in cielo”.
La ragazzina rise, e Nephrite commentò: “La solita semplice mentalità dei barbari là fuori, anche se altri popoli là fuori sanno che quei puntini lassù sono soltanto corpi celesti”.
Arianna non staccò gli occhi dal cielo: aveva chiesto a Jadeite di portarla lì ed ora, era molto curiosa della disciplina scientifica di cui la guardia era appassionata.
“E’ vero che si può leggere nelle stelle il futuro?”
“Questa, Arianna, è una faccenda più complicata del studiare le stelle, che già di per sé è una cosa abbastanza complessa” rispose il castano mentre sfogliava un paio di pagine del libro.
“E tu ci riesci?”
“Un po’. Sto affinando la tecnica”.
“Ti consulterò per il mio futuro” aggiunse in tono scherzoso Jadeite.
“Le stelle possono decidere il tuo destino è vero?” chiese Arianna.
“In che senso?”
“Nel senso che se decidono che ti capiterà una tal cosa allora ti capiterà”.
Nephrite scosse la testa.
“Questo lo pensano le persone semplici che conosco poco la materia (senza offesa Arianna). Ma di fatto le cose non stanno esattamente così. Le stelle possono dirti come andranno certe cose, se sai consultarle, ma queste cose sono una possibilità, non una certezza. In parole povere: gli astri influenzano, ma non costringono”.*
Conclusa questa precisazione, il castano si posizionò al cannocchiale per scrutare più attentamente le costellazioni.
I due rimasero a guardare il giovane per un po’, poi Arianna tirò la manica della divisa di Jadeite.
“Ehi”.
“Mh?”
“Secondo te ci saranno altri problemi per il futuro?”
“Mah,  a parte tentare di rubare quella stupida statua non vedo cos’altro può accadere”.
“Ma…” obiettò Arianna. “Molti membri della corte, sono inquieti per il futuro, non gli piacciono tutti questi strani stranieri che giungono qui, dicono che il re non avrebbe dovuto allontanarsi, temono che si ripeta…”
“Quello che è successo trent’anni fa? Hanno solo paura, Arianna, ed è normale, no dimenticare che noi siamo il regno terrestre più sviluppato, possiamo affrontare ogni genere di minaccia rappresentata da uomini o  demoni”.
“E se succederà qualcosa di brutto in futuro?”
Jadeite mise un braccio attorno alle spalle della ragazzina: Arianna era come lui, orfana, cresciuta sola ma pronta ad affrontare a testa alta i problemi della vita. Lui e lei erano cresciuti insieme per un po’ e per lei la guardia del corpo del principe era diventata una sorta di fratello maggiore.
“Tranquilla” disse con un sorriso. “Finché prodi guerrieri come il sottoscritto saranno sempre pronti a proteggere il regno!”
Intanto Nephrite stava continuando ad osservare la volta stellata tramite il cannocchiale. Per un po’ aveva avuto un’espressione rapita poi, d’un tratto essa era passata a  perplessa ed infine abbastanza sconvolta.
Staccò lo sguardo dal cannocchiale alzando lo sguardo alle stelle, sempre con la stessa espressione di prima.
Jadeite notò la cosa, rimanendo parecchio stupito.
“Nephrite?”
“Eh? Cosa?”
Il suo amico si girò a fissarlo con uno sguardo indecifrabile.
“Nephrite, che c’è?” ripeté il biondo.
In quel mentre si sentì un suono di campane.
“Che è?” fece Arianna.
I due giovani uomini però si scambiarono occhiate molto preoccupate nel sentire i suono.
“L’allarme!?”
All’esclamazione di Jadeite, Arianna lo fissò preoccupata.
“L’allarme?” ripeté stavolta preoccupata anche lei.
“Dannazione, questo è un attacco!” gridò spaventato Nephrite.
“Andiamo subito di sotto!” ribatté deciso Jadeite. “Arianna, tu vieni con me!”
I due corsero di sotto, poco dopo, nel palazzo, si separarono: il biondo per portare al sicuro Arianna, il castano si precipitò subito fuori.
All’esterno del palazzo era scoppiato il pandemonio: soldati e civili spaventati correvano chi da una parte e chi dall’altra alcuni edifici all’esterno della città erano in fiamme, si udivano grida e cozzare di spade.
Senza perdere tempo Nephrite corse dove udiva più vicino i rumori di battaglia e vide soldati del regno che lottavano contro alti guerrieri chiusi in armature nere come l’inchiostro, con indosso inquietanti elmi neri.
Nephrite li fissò un attimo perplesso.
“Chi diavolo sono questi?”
Il dubbio svanì un attimo do si lanciò nella mischia dando una mano ai soldati a combattere contro gli invasori.
Nei minuti seguenti la faccenda fu sempre la stessa: armato di spada, Nephrite combatteva contro i guerrieri neri, incrociando la sua spada con le loro.
Gli scontri continuavano e la guardia del principe si diede da fare a difendere la città.
Dopo un po’ giunse in una piazzetta eliminò due guerrieri, e nel momento di pausa seguente ripensò a ciò che aveva visto sulla torre del palazzo.
“Non ho visto questi guerrieri, ma ciò non toglie che stanno attaccando il regno, ed io li fermerò!”
Un’altra squadra di guerrieri si fece avanti ma caddero tutti come fuscelli.
“Non sono poi così pericolosi, almeno non per me” si disse.
Ritornato in posizione di guardia, si preparò a fronteggiare i prossimi avversari. Questi si lanciarono in avanti, armi in pugno, quando per le vie riecheggiò con insistenza un suono di corno.
A sentire il suono di corno, i nemici si bloccarono, fissarono un attimo il terrestre, poi gli voltarono le spalle e presero a correre.
“Ehi, dove… ?”
Nephrite li segui e vide che si buttavano in un varco oscuro creato da uno di loro, che si buttò per ultimo, facendo svanire il varco.
“Si sono ritirati?” rifletté guardandosi intorno.
Inevitabilmente in quel momento di tregua ripensò a quello che aveva visto sulla torre.
Una visione del futuro. Sì, era una visione del futuro, ne era certo, per un attimo aveva visto uno sprazzo del futuro, non quello che era appena accaduto, no, no. Ne era certo, ma non sapeva ancora fare totale chiarezza su quanto aveva visto.
Dato che in zona non sembravano esserci altri nemici, si spostò, spada in pugno in un’altra via.
Qui vide due uomini: uno era un soldato del regno, sdraiato a terra, l’altro era inginocchiato vicino lui e dava le spalle al castano.
La tunica arancione lo identificava come uno dei sacerdoti della Setta del Sole.
“Ehi, che gli stai facendo?”
“Chiama un medico, presto!”
“Cosa?”
Avvicinandosi, Nephrite vide che la guardia presentava una brutta ferita sul fianco destro. Il solariano cercava di tamponare il sangue usando un pezzo della sua veste che si era strappato.
Voltatosi e osservando Nephrite ribatté: “Gli serve un medico, e subito!”
Nephrite lo fissò; era un semplice giovane, biondo e con gli occhi verdi, non particolarmente bello né particolarmente brutto.
“Il medico” ripeté.
Il castano si scrollò di dosso la perplessità e, guardandosi attorno, individuò due medici che si muovevano nella zona in cerca di superstiti.
Gridando ed alzando il braccio destro, li chiamò ed essi giunsero sul luogo, dove poterono assistere il ferito.
Mentre i due medici si occupavano del soldato debilitato, Nephrite si avvicinò al giovane che si era allontanato un poco non appena i medici erano arrivati.
“Come ti chiami?”
“Febo” rispose quello dopo un istante.
“Perché hai soccorso quel soldato?”
Il giovane sospirò.
“Deve proprio esserci sempre un motivo valido per aiutare qualcuno?”
“Sì, se il salvatore fa parte della Setta del Sole”.
Febo scosse la testa.
“Ti prego, so che molti ci vedono come i reietti del regno, ma non fare di tutta l’erba un fascio. So bene che i miei confratelli e consorelle in alcuni casi si lasciano andare a comportamenti violenti ed esagerati, io stesso non mi capacito dei loro atteggiamenti e del perché il Sommo Sacerdote Delo non rimproveri o punisca più seriamente queste eccedenze.
Credimi, personalmente vorrei che tutto questo non esista, che noi fossimo soltanto un pacifico movimento religioso, ma il più delle volte mi sembra di essere l’unica voce discordante del coro, se capsici la metafora. Uno m’ha detto una volta che sono troppo buono”.
Mentre Nephrite rimaneva lì a riflettere su quello che aveva detto, Febo si allontanò ma prima si rivolse un’ultima volta al castano.
“Un ultima cosa: alcuni di noi si sono messi in testa una strana idea: ovvero che le armature d’oro di quei guerrieri stranieri abbiano una parte del potere del sole. Non chiedermi perché è nata questa idea balzana, non lo so neanch’io. Comunque gli stranieri farebbero bene a partire dalla città, prima di ricevere aggressioni”.
Detto questo si avviò per la sua strada.
Nephrite lo seguì con lo sguardo per un po’, poi vide con la coda dell’occhio Jadeite che si dirigeva nella piazzola, trascinando per il piede qualcuno.
Guardando bene, vide che era uno degli invasori.
“Ehi Jadeite, cosa… ?” fece andando verso di lui.
Jadeite mollò il piede dell’invasore e con sorriso soddisfatto dichiarò: “Ho preso un prigioniero!”
Nephrte osservò il nemico: presentava ferite leggere ed era svenuto. L’elmo l’aveva perso e mostrava un volto identico a quello d’un essere umano, tutto sommato gradevole da vedere, e con lunghi capelli neri. L’unica differenza erano i tratti del viso, più “affilati” del normale e spiccavano delle orecchie appuntite.
“Non è umano” commentò il castano. “Anche se mi aspettavo qualcosa di più brutto sotto quegli elmi”.
“Già, anch’io. E debbo dire che mi ha fatto sudare parecchio per catturarlo. Ha un’aura spirituale pari alla mia.”
“Pensi che abbia informazioni importanti?”
“Credo che sia un ufficiale di rango medio, a giudicare da come dava ordini ai soldati. Magari ci aiuterà a capire qualcosa in più in questa faccenda”.
 
 
Cardhan ed i lunari fissavano l’individuo che stava appollaiato sui rami più bassi del grande albero.
Notando l’armatura d’oro l’elfo si chiese se non fosse il Cavaliere d’Oro che gli esploratori avevano avvistato giungere nella Città Dorata, però c’era una cosa che non tornava: avrebbe dovuto essere in città durante l’attacco, che si fosse allontanato?
Quello continuava ad osservarlo con un sorriso sornione sul volto.
“Dunque, vediamo di ricapitolare, torno da un lungo viaggio assieme ad una persona importante, giungo alla casa di tal persona di notte, stanco morto, sperando di riposarmi ed invece la trovo a soqquadro. Quindi addio riposo: anziché buttarmi su un giaciglio devo combattere dei brutti musi che non rispettano i morti”.
Detto questo, scese con un balzo dal ramo, atterrando con agilità sul terreno.
Il generale degli elfi oscuri lo fissava guardingo.
“Come hai fatto a far scomparire i miei Draugr?”
“Ho usato la mia tecnica Strati di Spirito, una bazzecola per sbarazzarsi dei non-morti. Vuoi sapere che effetto fa sui vivi questa tecnica?”
Mentre i due discutevano, quasi ignoravano che la scena aveva un piccolo pubblico.
“Chi accidenti è quel terrestre?” borbottò tra sé il Generale dell’esercito lunare.
In effetti la presenza di quell’individuo aveva suscitato la curiosità di ogni lunare che assisteva alla scena, pur comprendendo che il guerriero dall’armatura dorata era sicuramente un terrestre.
“Speri di impressionarmi?” continuò l’elfo. “Allora speri male!”
“Sicuro? Se io fossi al tuo posto proverei timore. Un grande timore”.
“E chi dovrei temere, umano? Te?”
“Oh, oh, trema: hai davanti a te uno di quei mostri di potenza che rispondono alla nomea di “cavaliere d’oro”!”
La battuta detta con tono parecchio sbruffone irritò il generale elfico.
“Noi siamo gli Elfi Oscuri: non temiamo niente e nessuno, né siamo così lesti a ritirarci!”
“Al contrario, fareste bene a ritirarvi prima di finire tutti distrutti!” dichiarò un secondo individuo facendosi avanti.
Serenity sussultò: l’uomo appena arrivato al fianco del guerriero dorato era molto simile, nel viso, ad Endymion. Ma pareva più sciupato, mostrava di più i segni del decadimento del tempo di cui i terrestri errano afflitti, a differenza dei lunari.
“E tu sei?” fece l’elfo.
“Hai davanti a te Re Endymion, sovrano di questa terra!”
Serenity lo fissò perplessa: dunque era quello il genitore di Endymion? Caspita, si assomigliavano tantissimo!
“Dunque sei tu il sovrano di queste terre…” commentò Cardhan in tono neutro. “Perdonami se non sono impressionato, ma i popoli di Midgard mi sono totalmente indifferenti”.
“Midgard?” disse il Re.
“La Terra, è così che la chiamiamo noi” precisò l’elfo.
“Va bene, basta, non mi interessa chi sei o da dove vieni, sta di fatto che questo attacco è opera tua e dei tuoi simili, e non tollererò ulteriori spargimenti di sangue nel mio regno!”
Il tutto l’aveva detto sfoderando la spada.
L’elfo strinse più forte lo scettro, stava cominciando preoccuparsi: aveva davanti due avversari con un cosmo non indifferente, mentre dietro c’era un piccolo gruppo di forti guerrieri. Abbastanza da preoccuparsi: benché avessero fama di temerari, i feroci guerrieri di Svartalfheim non erano stupidi e sapevano quando una battaglia era persa in partenza. Si chiese se gli altri avevano portato a termine la loro missione, perché non avrebbe tenuto a bada tutta quella gente a parole ancora per molto.
In quel mentre, si udì, lontano, un suono di corno.
“Cos’è?” fece il Re alzando la testa accigliato, mentre all’elfo tornava il sorriso sul volto.
“Il segnale della ritirata, ecco cos’è!” ribatté.
E, sempre sorridendo, generò un varco oscuro proprio alle sue spalle, in cui vi entrò semplicemente cadendo all’indietro.
Acubens allungò la mano per afferrarlo, ma il varco si richiuse all’istante e le sue dita strinsero solo l’aria. L’elfo si era dileguato.
“Dannazione ci è scappato!”
La cosa non piacque nemmeno al generale lunare.
“Ed adesso figuriamoci di sapere dov’è l’arco che hanno rubato!”
Solo allora i due terrestri parvero notare il piccolo gruppo di lunari.
“E quelli chi cavolo sono?” fece il Cavaliere del Cancro inarcando un sopracciglio.
Il Re, già di pessimo umore nel trovare il proprio regno sotto attacco non mostrò alcuna gentilezza verso quegli strani individui.
“Chi siete voi? Spero che non stiate con i bastardi che stanno attaccando il mio regno!”
“Come osi?” tuonò Tsukoyomi punto sul vivo. “Già ci consideri da subito dei selvaggi guerrafondai? Avete sentito che razza di faccia tosta ha questo terrestre, uomini?”
“Terrestre?” fece perplesso Acubens. “Perché ci definisci così? Tu non lo sei forse?”
“Ah, allora siete arguti voi abitanti della Terra, non l’avrei mai detto”.
“Ora basta!” sbottò Re Endymion. “Mostra rispetto quando ti rivolgi a me: come ho detto sono il re di questo regno, che, per la cronaca, è il più avanzato della Terra!”
“Tu non sei la mia Regina e non ti devo alcun rispetto, terrestre!”
“Ehi, ehi, basta, vediamo di calmarci!” intervenne il Cancro notando che il Re era sul punto di urlargli cose pesanti. Neanche lui piaceva quell’uomo tronfio ed antipatico, ma cercò di tenere i nervi saldi.
“Siamo tutti nervosi, quindi adesso facciamo un bel respiro e parliamo più civilmente. Tanto per cominciare, è evidente che voi non avete nulla a che fare con quel tizio ed i suoi uomini”.
“Esatto”.
“Bene ora ci dici gentilmente chi siete?”
“Tsk, non vedo perché!”
Mentalmente, Acubens si impose calma e pazienza, anche se gli stava venendo voglia di investire il tizio con gli Starti di Spirito.
Irritante… “Senti buon’uomo, sto cercando di essere gentile, poteresti gentilmente ricambiare e fare lo stesso”.
Prima che il Generale rispondesse con i suoi modi, Serenity si fece avanti, uscendo da dietro gli altri e posizionandosi al fianco di Tuskoyomi.
“Vi prego perdonate le maniere di quest’uomo!” esclamò con i palmi alzati in segno di pace. “Noi non volevamo fare niente di male qui, stavamo solo cercando quegli esseri che ci hanno rubato un oggetto e rapito una di noi!”
L’improvvisa apparizione di quella bella ragazza lasciò basiti i due terrestri, mentre Tuskoyomi non gradì l’intervento.
“Principessa, vi proibisco di parlare con questi terrestri!”
Principessa? Pensò Acubens.
“Tu non mi proibisci niente, Tsukoyomi!” strillò lei. “Non sei mia madre, e voglio parlare con loro due, visto che tu sei un pessimo diplomatico!”
“Non possiamo fidarci di costoro!”
“Io sì!”
E prima che il generale replicasse parlò di nuovo ai due uomini in tono più tranquillo.
“Sono la Principessa Serenity, ed io e questa gente proveniamo dal Silver Millennium, meglio noto da voi come Regno Lunare”.
Re Endymion sbarrò gli occhi. Lunari? Quelli erano Lunari? In un attimo ripensò alle storie più o meno assurde che aveva sentito sin da bambino sul popolo della Luna. Ed ora eccoli lì davanti a lui.
Acubens, che aveva sentito parlare solo di recente del popolo della Luna, rimase ugualmente perplesso.
“Vi assicuro che non abbiamo intenzioni ostili, come ho detto cercavamo quegli esseri perché avevano rapito una mia amica e rubato un oggetto” continuò la bella principessa lunare.
“Che oggetto?” chiese Acubens recuperando la voce.
“Un arco. Non sappiamo perché l’abbiano rubato, e purtroppo non sappiamo dove sia ora. La mia amica invece è stata salvata”.
“Va bene, basta così” tagliò corto Tuskoyomi. “Non abbiamo altro da fare qui. E dubito che loro ci saranno d’aiuto!”
“Voglio sentire cos’altro ha da dire” affermò il Cancro.
“Come osi darmi ordini, sporco…”
“Basta!!” lo zittì Serenity, facendolo arrossire per la rabbia.
Vi chiedo scusa, ma il Generale Tuskoyomi non ha molta stima per i terrestri”.
“E con buone ragioni” borbottò quello.
“Tuttavia… Non credo che sia un caso che abbiano attaccato anche voi, dopo il mio regno. Forse questa è una faccenda che coinvolge entrambi i nostri regni…”
Il Re della Terra prese finalmente la parola. “Forse non è un caso come dici… anche se ho qualche dubbio”.
Serenity rifletté un po’ sulla sua intuizione: per istinto era sicura che non fosse un caso. E sulla spinta di quelle sensazioni ebbe un’idea. “Che ne dite se collaborassimo per venire a capo della faccenda?”
I soldati lunari rumoreggiarono.
“Collaborare coi Terrestri?”
“Ma che assurdità!”
“Non abbiamo bisogno di aiuto per risolvere la faccenda!”
“Però forse non è un caso se hanno attaccato prima la Luna e poi la Terra…” mormorò tra sé Sailor Mercury.
Infine il Re della Terra accigliato, dichiarò: “Collaborare? Per ora sono più sul no”.
“Oh…” fece Serenity.
Ma che ha nella testa la principessa?, pensò Tuskoyomi.
Acubens era un po’ confuso sull’improvvisa proposta ed aveva bisogno di tempo per rifletterci su.
“Ed ora, devo tornare alla mia città!”
Serenity fissò le fiamme che ardevano da alcuni edifici della città all’orizzonte.
“Capsico…”
Senza una parola, il Re si voltò e marciò verso la sua casa con mille pensieri per la testa a causa di quell’incontro inatteso.
Il Cavaliere del Cancro lo seguì un attimo dopo.
“Va bene, allora addio suppongo… Ehm, saluti Principessa” aggiunse facendo un inchino.
“Sì, andate!” commentò Tuskoyomi.
Dietro di lui, Sailor Jupiter gli mise una mano sul braccio.
“Tsukoyomi, lascia stare, torniamo sulla Luna”.
“Oh, al diavolo!” Sbottò con vari pensieri in testa. Voltatosi, alzò la mano destra per dare un ordine. “Forza uomini, torniamo a casa!”
A quell’ultima affermazione, il gruppo di lunari si allontanò per la sua strada verso il luogo dove avevano lasciato gli addetti al teletrasporto.
Mentre camminava, Serenity voltò per un’ultima volta lo sguardo verso la città dorata per poi proseguire assieme agli altri.
L’attacco era sicuramente cessato ed ora si chiese se il suo Principe stava bene.
 
 
“Dannazione! Hanno preso la statua!?”
“Purtroppo sì, sire, e non siamo riusciti ad impedirlo” spiegò contrito Kunzite.
Erano in una piazzola della città, oltre al Re e al Cavaliere del Cancro, vi erano anche il Principe e le sue guardie Kunzite e Jadeite.
“Ma cos’ha di tanto importante quella statua?” domandò il Principe esasperato.
“E’ questo l’assurdo figliolo: da quanto ho scoperto non ha proprio poteri o particolarità speciali quella dannata statua! Dunque perché la vogliono?”
“Mh…” fece Acubens. “Potremmo fare lo stesso discorso su gli altri oggetti recuperati”.
“Magari il prigioniero sa dirci di più!” asserì Jadeite.
“Un prigioniero?” chiese il Principe.
“Sì, l’ho preso io!”
“Bravo” commentò piacevolmente colpito Kunzite. “Pensi che sappia qualcosa di importante su tutta questa faccenda?”
“Sì, credo che sia ufficiale di medio rango, qualcosa saprà”.
“Padre, lo interroghiamo, ora?” chiese il Principe.
“Domani”, decise il re. “Ora siamo tutti sfiniti, pensiamo ai feriti ed a riposarci. Imprigionate quell’invasore nelle celle in attesa dell’interrogatorio”.
“Un momento sire”, obiettò Jadeite, “quell’essere è forte quanto me, ed una volta sveglio non esiterà a tentare di scappare!”
“Allora dite ai medici di iniettargli costantemente il Sìro”.
“Il… ?” chiese Acubens.
“Sìro” spiegò il principe. “E’ un preparato inventato anni fa dai nostri alchemici, blocca l’uso dell’aura spirituale, o cosmo, come lo chiamate voi cavalieri. L’unica pecca è che ha una breve durata, e bisogna somministrarlo costantemente, se te ne dimentichi di somministrarla il tuo prigioniero scappa”.
“Inoltre, non funziona su aure o cosmi troppo forti. Per esempio su di me e sul principe non avrebbe effetto, su Jadeite sì” precisò Kunzite.
“Mh, interessante” commentò il Cancro. “Bene, allora domani mattina vedremo cosa può dirci di utile il nostro prigioniero. Ora mi ritirerei nelle mie stanze”.
“Buona idea, tra poco lo farò anch’io” commentò il Re.
Prima che Acubens se ne potesse andare, Jadeite ebbe un’ultima cosa da comunicargli.
“Ah, una cosa Cavaliere: tuo fratello è qui”.
“Mio fratello?” fece stupito il Cancro.
“Sì, è giunto qui assieme ad altri due guerrieri del tuo ordine”.
“Dov’è adesso?”
“Là dietro” rispose Jadeite indicando una svolta a destra. “Sta bene, ma mi sembra un po’ turbato”.
Salutati i reali e le due guardie del corpo, il cavaliere si diresse a passo svelto nella direzione indicata.
E, seduto su un marciapiede, trovo il fratello minore, assorto nei suoi pensieri.
“Crysos!”
“Mh? Oh, Acubens!” esclamò quello alzandosi in piedi.
I due fratelli si strinsero la mano.
“Mi venga un colpo, che fai qui, fratellino? Il Gran Sacerdote è preoccupato per me?”
Nonostante tutto, al Cancro faceva piacere vederlo.
“Non sono riuscito ad impedire il furto dell’oggetto custodito al Taigeto”.
“Accidenti, ma che è successo?”
“I compagni del rinnegato mi hanno distratto, così non sono riuscito a fermarli. In seguito il Gran Sacerdote mi ha mandato qui a darti supporto”.
“E ti sei beccato una bella battaglia con gli Elfi Oscuri”.
“Sono loro i nuovi compagni dei Rinnegati”.
“Una bella squadra di cattivi. I Rinnegati si sono visti?”
“Quelli del Corvo e della Balena. Sono morti” rispose il biondo.
“Quindi quanti ne rimangono adesso? Quattro? Ed ho sentito che sono riusciti a rubare la statuetta d’oro”.
“Purtroppo non ero lì”.
“Cos’è, ti hanno distratto ancora?”
Crysos abbassò lo sguardo ed il fratello notò una cosa strana in lui: come aveva accennato Jadeite, sembrava molto turbato.
“Che c’è?”
“I Rinnegati, il loro capo… l’ho incontrato”.
“E?”
“E’ Megaleìo”.
Acubens sbarrò gli occhi per lo stupore.
“Megaleìo?” esclamò stupito. “Ma non era morto?”
“Così credevamo”.
Crysos distolse lo sguardo, mentre il fratello maggiore lo fissava pensieroso, riflettendo sulle implicazioni della faccenda.
A rigor di logica era indubbio che Megaleìo fosse davvero il leader che serviva ai Rinnegati per organizzarsi e compattarsi come gruppo, ma il vero problema erano i trascorsi tra quell’uomo e suo fratello, trascorsi che potevano presentare difficoltà per il futuro. Sapeva che Crysos provava solo tristezza e compassione per il suo vecchio compagno di allenamenti e si chiese se volesse continuare la missione.
“Quindi…”
“Cosa?”
“Quindi che cosa vuoi fare? Voglio dire… se non te la senti di proseguire questa battaglia e vuoi passare il testimone a me…”
Il Cavaliere scosse la testa.
“Non rinuncio a niente, Acubens. Ormai questa è la mia battaglia a tutti gli effetti” ribatté quello, serio.
“Quindi cosa farai?”
“Per ora non lo so. Ma ho bisogno di riflettere.”
Il Cancro rimase per un po’ in silenzio, indeciso su cosa dire, ma Crysos aveva ragione: quella era anche la sua battaglia, ed il Fato avrebbe deciso la parte finale di quella storia.
Posò la mano destra sulla spalla del fratello.
“Forza, andiamo a dormire, le guardie del principe hanno catturato un prigioniero, e domani mattina vedremo che ha da dirci”.
 
 
 
* Cit. a Tommaso d’Aquino.

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Capitolo 16
*** Interrogatorio ***


Capitolo 16 - Interrogatorio
 


Seduto su una sedia davanti a loro si trovava l’elfo oscuro catturato, strettamente legato coi polsi dietro alla schiena.
Erano tutti nella cella, Re Endymion, Acubens, Crysos, Jadeite, Kunzite ed un ospite speciale, tutti pronti a sentire cosa sapeva quel prigioniero sui piani dei nemici.
Jadeite prese una siringa piena di quel liquido grigio chiamato Sìro e lo iniettò dopo aver piantato l’ago nella nuca del prigioniero.
Questi si dimenò, imprecando qualcosa nella sua lingua. Cercò di bruciare il cosmo per liberarsi ma a parte una debole luce non produsse nient’altro.
“Sembra davvero efficace questa roba” commentò Crysos, parecchio meravigliato da ciò che quel regno aveva prodotto.
“La più grande invenzione della nostra città!” disse il Re con una piccola punta d’orgoglio. “Va detto che il Sìro non è infallibile: più il cosmo di un individuo è forte meno è efficace, come se cercassi di usare una goccia d'acqua contro grande fiamma”.
“Mi auguro che questa mio viaggio dia risultati, non voglio essere venuto qui per niente” commentò acido l’ospite speciale: Tsukoyomi, generale del Regno Lunare.
A quanto pareva la Regina del Regno Lunare aveva scoperto, tramite uno specchio magico, a quanto aveva voluto dire, che loro avevano catturato un ufficiale medio degli Elfi Oscuri, indi per cui aveva mandato il suo soldato più forte e fidato ad assistere all’interrogatorio.
Dalla faccia che faceva, era palese che il Generale avrebbe evitato di mettere piede in una città di uomini a meno che non glielo avesse ordinato la sua sovrana.
Una pattuglia lo aveva trovato davanti alle porte della città di mattino presto, e il Lunare, fornendo soltanto il suo nome, aveva preteso di parlare col Re.
Quando le guardie avevano iniziato a minacciare quello straniero arrogante, ci era mancato poco che la faccenda finisse in rissa.
Fortunatamente Gabriel passava di lì, ed aveva deciso di scortarlo in segreto al palazzo reale, dove il Re lo aveva riconosciuto, e saputo del suo compito aveva acconsentito a farlo assistere all’interrogatorio.
Peccato che il lunare Tsukoyomi si era rivelato un ospite sgradevole: trattava tutti dall’alto in basso, Re del Regno Dorato compreso.
“Condurrò l’interrogatorio, dopotutto è stato catturato nel mio regno” disse il Re.
“Fa come vuoi!” fece bruscò il lunare come se quello che aveva parlato fosse un servitore qualsiasi.
“Mostra rispetto davanti al nostro Re!” sbottò Kunzite irritato dall’uscita.
“Primo: non è il mio sovrano, secondo: è un terrestre”.
“E che c’entra il fatto che è un terrestre? Sentiamo un po’!”
“Signori vi ricordo che siamo qui per interrogare costui” si intromise Crysos per calmare le acque.
Re Endymion annuì è si avvicinò lentamente al prigioniero, ergendosi in tutta al sua regale statura, e lo fissò con durezza.
“Dunque, elfo, sei pronto a rispondere alle nostre domande?”
Quello lo squadrò con disprezzo, e gli disse qualcosa nella sua lingua natale che nessuno capiva.
“Se tanto mi da tanto, credo che vi abbia insultato, maestà” commentò il Cavaliere del Cancro.
Il Re, corrugando la fronte, continuò l’interrogatorio.
“Vedi di rispondere alla svelta! Perché avete preso la statuetta? Cos’ha di così importante per voi o per i vostri complici?”
L’elfo scosse la testa mormorando qualcos’altro nella sua lingua.
“E’ inutile che fingi di non capire: ti ho sentito insultarmi nella mia lingua, quindi la sai parlare” esclamò Jadeite puntandogli il dito contro.
“Vuoi parlare o devo subito cavarti informazioni con le cattive?” insistette arrabbiato il Re.
Di nuovo silenzio. Tsukoyomi emise uno sbuffo di impazienza e si fece avanti.
“Allora parli o no?”
“Marcite in Hel, dannati mortali, non vi dirò nulla!”
Un pugno di Tsukoyomi in pieno volto lo mandò disteso a terra e gli fece volare via un dente.
Mentre l’elfo imprecava, il lunare gli si avvicinò torreggiando su di lui.
“Primo non paragonarmi ai terrestri, secondo non insultarmi un’altra volta, terzo il pugno è solo un assaggio, indi per cui spicciati a rispondere con sincerità alle mie domande”.
Alzato il piede lo posò sul collo del prigioniero, cominciando a premere.
“Dov’è l’arco?”
Il prigioniero mugugnò.
“Dove?”
“N-non lo… so!”
“Bugiardo!”
“Gh… N-non ho niente da… dirvi!”
Gemette di dolore quando il lunare aumentò la pressione.
Crysos a quel punto intervenne affermando: “Se lo uccidi non ci dirà niente”.
Tsukoyomi non detto segno di averlo sentito, ma tolse il piede dal collo dell’elfo, che ansimò e tossì, cercando di riprendere fiato.
“Preferisco morire… piuttosto che tradire il mio re!” ringhiò il prigioniero.
Tsukoyomi sembrava sul punto di colpirlo con più forza di prima, ma il Cavaliere dei Pesci intervenne di nuovo per fermarlo.
“Basta! Costui non parlerà, non così!”
“Non darmi ordini, terrestre” sibilò quello.
“La sua volontà è incrollabile, questo è parecchio palese!” proseguì il cavaliere. “Non parlerà nemmeno se lo picchiamo fino a domattina, proseguendo con la violenza non otterremo niente!”
“Dunque che suggerisci?” chiese Kunzite. “Dubito fortemente che parlerà col solo dialogo: di sicuro farà il muto in tal caso”.
“Forse c’è un modo per ottenere informazioni, ma dovete lasciarmi mano libera”
Tuskoyomi inarcò un sopracciglio.
“E come vorresti fare?”
Il cavaliere di tutta risposta allungò il braccio destro per mostrare qualcosa che teneva nel palmo della mano.
“Un seme?” fece il Re, perplesso.
“Che razza di follia da terrestri è mai questa?” sbottò il lunare. “Come pensi di farlo parlare con un seme?”
“Questo non è un seme qualunque è il seme dei fiori di rosa. Delle mie rose per la precisione”.
“E quindi?” obiettò Endymion.
“Sire, mio fratello sa fare cose straordinarie con le rose, l’ho visto personalmente e se dice che può usare un loro seme per ottenere informazioni allora è possibile!”
Tale affermazioni lasciò un po’ dubbiosi il lunare ed i terrestri, sicché Kunzite intervenne con un osservazione: “Io ed il Principe abbiamo visto che le tue rose sono armi efficaci, ma come speri di usarle per ottenere informazioni dal prigioniero?”
“Lo vedrete immediatamente, col vostro permesso sire”.
Re Endymion lo fissò un attimo poi annuì.
Crysos si inginocchiò vicino al prigioniero, lo rialzò in piedi e gli accostò il seme alla fronte, tenendolo tra il pollice e l’indice della mano destra.
L’elfo oscuro cercò di scostarsi, quando vide il seme brillare perché l’uomo vi sta infondendo il suo cosmo, ma Crysos gli tenne ferma la testa con l’altra mano e gli premette  il seme sulla fronte.
Esso fu letteralmente assorbito dalla pelle e sparì all’interno della fronte dell’elfo.
A quel punto il Cavaliere si scostò e, mentre tutti si stavano chiedendo cosa gli avesse fatto, ecco che accadde qualcosa di mai visto prima.
L’elfo si irrigidì di colpo, col viso rivolto verso l’alto, la bocca spalancata e gli completamente occhi bianchi.
Sotto gli occhi stupiti di tutti, dal mezzo della fronte, spuntò un bozzolo di luce che assunse poi la forma di una rosa dai petali color magenta.
“Questa è la Mind Rose, una variante delle Rose Rosse. Tramite essa posso leggere i ricordi di un soggetto per trovare le informazioni che cerco” spiegò Crysos, per poi allungare la amano destra ed afferrare il fiore.
A quel punto anche gli altri videro che anche gli occhi del cavaliere divennero opachi, ed Acubens
Capì che il fratello stava sondando i ricordi dell’elfo in cerca delle informazioni che cercavano.
Dopo un po’ Crysos si riscosse e staccò la mano dalla rosa color magenta, che si sbriciolò rapidamente, mentre l’elfo crollava a terra in preda alle convulsioni.
Il Cavaliere prese dei respiri profondi per concentrarsi, mentre il Cancro gli si avvicinò.
“Allora, fratellino?”
“So”.
“Mi venga un colpo, questa roba che hai fatto è straordinaria!”
“L’ultimo lascito del mio maestro, fratello…”
“Ebbene? Cos’hai scoperto? Dov’è l’arco?” intervenne impaziente Tsukoyomi.
Concentrandosi un attimo con gli occhi chiusi, rispose alla domanda del Lunare.
“Ce l’hanno il Re degli Elfi ed i suoi ufficiali più stretti. O almeno li avrebbero, non ho capito altro. Anche… il capo dei Rinnegati è coinvolto in qualche modo questa faccenda, ma non ho potuto approfondire oltre”.
“Come, tutto qui? Nient’altro?”
“E la statuetta e gli altri oggetti?” intervenne il Re.
“Purtroppo vi posso rispondere ripetendo quel che ho già detto: il Re degli Elfi Oscuri ed i suoi collaboratori più stretti ne saprebbero di più”.
“Fagli di nuovo quella tecnica mentale per saperne di più!” lo esortò Tsukoyomi.
“Sarebbe inutile”.
Riaprì gli occhi fissando il prigioniero.
“Costui è soltanto un ufficiale medio: non sa molto, i superiori non si confidano mai coi sottoposti, gli dicono solo lo stretto indispensabile”.
“Ah, dannazione, è stata solo una perdita di tempo tutta questa faccenda, che sono venuto a fare qui, in questo buco?”
“Spero che col termine “buco” tu ti riferisca alle segrete del mio palazzo…” commentò gelido Re Endymion.
“Tuttavia, qualcosa di rilevante l’ho scoperto” esclamò il Cavaliere dei Pesci riportando l’attenzione su di sé.
“Non ho compreso bene i piani di questi Elfi e dei Rinnegati, però entro breve punteranno verso altri bersagli…”
“Parla!” lo esortò Endymion, attento come gli altri a ciò che stava per dire.
“Colpiranno due località della Terra in cerca di qualcos’altro di importante. Uno dei luoghi sono i boschi di quella terra chiamata “Galles”, le memorie del soggetto non erano chiare, ma pare che gli Elfi siano interessati a un qualche segreto magico custodito dai Druidi”,
“I Druidi…” fece Jadeite.
“Sono gli antichi sacerdoti degli Dei del Pantheon Celtico”.
“Non erano tutti scomparsi?” domandò Acubens.
“Qualcuno di loro deve essere sopravvissuto, e si tramandano in segreto il culto e le conoscenze degli Antichi Dei. L’altro obiettivo è una città situata tra i gelidi climi settentrionali dell’Europa, si chiama “Asgard”.
“E perché la vogliono attaccare?” chiese Kunzite.
“Per un altro oggetto che sarebbe custodito lì”.
“La solita storia insomma” commentò con sarcasmo il Cancro.
“Molto bene” dichiarò Endymion, non sappiamo dove sono gli oggetti rubati ma almeno sappiamo dove potremo trovare i nostri nemici”.
“E li colpiremo insieme in quei posti che attaccheranno” decise il Cancro.
“Fate come volete, io devo informare subito la mia Regina” disse Tuskoyomi.
“Sai, Generale, “colpiremo insieme” era riferito anche a voi Lunari: tutti insieme potremo…”
“Noi Lunari agiremo per conto nostro, e voi non stateci tra i piedi!”
“Non ti hanno mia detto che l’unione fa la forza?” gli fece notare il Cancro.
“Non con voi!”
Acubens alzò gli occhi al cielo: quel lunare più lo conosceva  e meno gli piaceva.
Anche Kunzite lo trovava  a dir poco insopportabile. I suoi atteggiamenti da superiore che rivolgeva senza rimorso persino al Re del Regno Dorato gli davano sui nervi.
“Oh, a me sta bene non lavorare insieme te, sai? Chi ha bisogno di un lunare arrogante e degenerato come compagno di battaglia?”
“Come osi darmi dell’arrogante e del degenerato, tu, miserabile omuncolo ipocrita? Semmai voi siete i selvaggi arrogan…”
“Per Atena, adesso basta!”
L’intervento di Acubens mise fine agli sproloqui del lunare ed ad una possibile rissa.
“Stiamo cercando di risolvere una situazione che coinvolge sia noi Cavalieri di Atena, che entrambi i Regni, e sarebbe più facile se collaborassimo per risolverla!”
“Tsk, non contate su di me!”
Crysos ci provò un’ultima volta.
“Dì alla tua Regina che un aiuto reciproco può solo giovare ad entrambi!”
“Sciocchezze! I Lunari non sono mai stati debitori dei Terrestri, e mai lo saranno! Ed ora lasciatemi informare la mia Regina su ciò che ho scoperto, poi vedremo”.
In un svolazzare del mantello bianco, uscì dalla segreta e, concentrandosi ed  espandendo in parte il cosmo, fu avvolto da una luce bianca sempre più intensa che lo inglobò totalmente.
Quando con un lampo la luce si spense del lunare non vi era più traccia. Si era teletrasportato nel suo regno lontano.
“Mavvaffanculo, figlio di puttana”.
“Jadeite, sei di nobili natali, non usare questo linguaggio da strada!” lo rimproverò il re.
“Chiedo perdono, maestà! Ma quello ci ha trattato tutti come se fossimo feccia!”
“Sì, era parecchio irritante” commentò il Cancro.
“Se tutti i Lunari sono così, io il loro regno lo evito come la peste!” rimarcò Kunzite.
“Bah, ci scommetto che sono veramente degenerati come si dice!”
L’ultima battuta la disse il Re, suscitando curiosità nei due Cavalieri sul perché gli abitanti della Luna sarebbero dei degenerati, ma in quel momento un lamento proveniente dal prigioniero li riscosse e li fece tornare al problema più importante.
“Comunque… il Galles e questa Asgard sono i prossimi obiettivi dei nemici” riassunse il Re.
“A quanto pare sì. Come agiamo?” domandò il Cavaliere del Cancro.
“Prima devo riflettere e consultarmi con i miei consiglieri più fidati, poi in base a cosa deciderò, stabiliremo come agire. Non preoccupatevi non ci metterò tutta la giornata, entrò stasera avrete la mia decisione ed il piano d’azione”.
“Molto bene, sire" disse Crysos.
“Ed il prigioniero?” domandò Kunzite.
Il Re fissò l’elfo sul pavimento della cella.
“Non ci è più utile, e non possiamo sprecare Sìro per tenerci un prigioniero così potente. Uccidetelo”.
Una fredda logica che nessuno penso di contestare.
“Ci pensi tu, Kunzite?”
“Sire” intervenne  Crysos. “Col vostro permesso, lo farò io”.
Il Re lo guardò un attimo in silenzio, poi annuì ed uscì dalla cella. Le due guardie del corpo del Principe lo seguirono, e poco dopo uscì anche Acubens.
Rimasero solo il Cavaliere dei Pesci e l’Elfo Oscuro.
Quest’ultimo si stava riprendendo poco a poco dal trattamento mentale, Crysos non sapeva con certezza perché aveva deciso di occuparsene lui stesso dell’esecuzione, quell’affermazione gli era salita in bocca istintivamente. Forse preferiva per istinto che un prigioniero senza alcuna possibilità di difendersi se ne andasse senza soffrire troppo. E lui era quello più indicato per questo.
Prese alcune rose rosse, le avvicinò al viso del prigioniero.
“Che la morte giunga leggera e senza sofferenze per te”.
 
 
“Voglio incontrarti dopo il tramonto in quel giardino del palazzo di cui mi hai parlato. Ti prego, voglio sapere se stai bene”.
Endymion fissò a lungo quel piccolo biglietto su cui erano vergate in una grafia elegante quelle parole.
Era firmato con un simbolo: un piccolo coniglio stilizzato.
Endymion aveva avuto quel massaggio appena prima di essere entrato nella stanza: non appena messo piede lì dentro aveva sentito il rumore di colpetti alla finestra e voltatosi in quella direzione aveva visto una colomba bianca appollaiata sul davanzale della finestra.
Becchettava sul vetro per attirare la sua attenzione, ed alla zampa portava legato un piccolo rotolo.
Non appena recuperato il rotolo, il pennuto era volato via, e lui si era ritrovato turbato.
“Serenity…”
Il solo pensare a lei gli provocava un’emozione non facile da definire, conturbante ma dolce.
Ed ora poteva rivederla! Dopo tanto tempo!
La cosa lo riempiva di euforia, ma era frenata da un dubbio: e se li avessero scoperti? Non era una cosa da prendere alla leggera: nessuno nel Regno Dorato apprezzava molto i lunari, e sapere che l’erede al trono frequentava una lunare avrebbe suscitato uno scandalo oltre ogni dire. Preferiva inoltre non pensare a come avrebbero reagito i suoi genitori.
Ma voleva vederla, voleva parlarle!
Tuttavia ecco subentrare un problema: come portarla al luogo dell’incontro segreto senza generare sospetti?
Riflettendo si accorse che poteva riuscirci solo chiedendo l’aiuto di una persona, una persona fidata, ovvio. Ma su chi poteva fare totale affidamento?
Per istinto pensò subito alle sue quattro guardie del corpo. Poteva fidarsi di loro? Avrebbero mantenuto il segreto? E come l’avrebbero presa, soprattutto?
Passeggiando avanti indietro per la stanza, giunse ad una conclusione: meno persone sapevano della faccenda, meglio era, una sola bastava.
Uscito dalle stanze si mise in cerca della guardia prescelta: sapeva che era andata ad interrogare il prigioniero, quindi si diresse verso le segrete del palazzo.
Neanche a metà strada che incontrò chi cercava.
“Kunzite!”
“Principe! Stavo venendo a cercarla per informarla del prigioniero”.
“Oh, notizie interessanti?”
“Direi di sì, è complicato da spiegare, ma…”
“Me lo dirai dopo” tagliò corto Endymion.
“Qualcosa non va?” chiese la guardia.
Endymion voltò i tacchi.
“Andiamo nelle mie stanze, devo parlarti di una cosa urgente”.
“Uh? Ehm, va bene”.
I due entrarono nelle stanze private del principe, e quest’ultimo chiudendo la porta dopo essere entrato per ultimo dichiarò:
 “Qualunque cosa verrà detta qui, rimarrà tra noi”.
“Accipicchia, quanto segretezza, deve essere qualcosa di molto grosso!”
Benché avesse usato un tono scherzoso, a Kunzite non era sfuggito il tono insolitamente serio del principe, e questo lo aveva messo un poco in allarme: dacché ricordasse, Endymion non aveva mai usato un espressione del genere.
Che stava succedendo?
Endymion rimase un attimo in silenzio, apparentemente indeciso su cosa dire per spiegare la faccenda. Poi prese a parlare in modo ambiguo.
“Kunzite, tu mi conosci sin da quando eravamo bambini che imparavano a camminare, ci siamo sempre protetti le spalle da prima che tu venissi nominato mia guardia personale”.
“Certo, ma…”
“Ascoltami attentamente: ho deciso di confidarmi con te, ma nessun altro deve sapere questa faccenda, chiaro?”
“Ma…”
“E’ chiaro?”
“Va bene, principe, va bene. Manterrò il segreto”.
“E’ davvero importante Kunzite, giuri?”
Santo cielo, ma che aveva Endymion? Non lo aveva mai e poi mai visto così. Kunzite si stava veramente preoccupando, ma decise di aiutare come poteva il suo principe, magari così poteva capire meglio come risolvere il problema che lo angustiava.
“Le mie labbra sono cucite”.
“Grazie”.
Soddisfatto, il principe si mise a fissare un biglietto posto su un mobile delle sue stanze. Sembrò avesse quasi dimenticato la presenza della guardia.
“Ebbene? Vuoi spiegarmi cos’è tutta questa segretezza?”
Endymion si riscosse dai suoi pensieri, tornando a concentrarsi sull’amico, ed accennò con la mano ad una sedia.
 “Siediti amico mio, ho una bella storia da raccontarti…”
 
 
Sola nelle sue stanze private, la Principessa Serenity rifletteva tra sé. Era certa che il messaggio fosse arrivato tra le mani di Endymion, tuttavia ora sorgeva un grosso dilemma: come tornare sulla Terra?
In teoria non era difficile: già in passato aveva eluso la sorveglianza delle guardie per farsi un giro sul pianeta che si vedeva dalla Luna.
Ma da quando sua madre aveva scoperto la marachella della figlia era diventata più attenta affinché non facesse più scampagnate sulla Terra, aumentando al sorveglianza.
Un’idea le era sorta nella testa per eludere la nuova sorveglianza, andare e tornare senza essere notata: aveva bisogno di aiuto.
Ma anche qui la cosa era molto difficile: a chi chiedere aiuto? A parte convincere tale persona ad aiutarla doveva anche, per dolorosa necessità, dirle il motivo per cui voleva andare ed era certa che tale persona non avrebbe reagito bene se avesse saputo il motivo.
A chi chiedere aiuto quindi?
D’un tratto il viso le si illuminò.
“Ma certo, Sailor Venus!” esclamò.
Tuttavia… avrebbe accettato?
Rimase a riflettere, indecisa, ma rigor di logica l’unica palpabile per aiutarla in quella faccenda era propria la sailor protetta da Venere. Scartati a priori ogni tipo di servo, nobile e soldato, e considerando che meno Tsukoyomi e la Regina Serenity sospettavano le intenzioni della figlia, meglio era, rimanevano solo le sailor preposte a guardie personali.
E tra loro sentiva per istinto di fidarsi della guerriera di Venere. Con lei era diverso: se era in ottimi rapporti con le altre, Venus era l’unica a cui avrebbe dato totale fiducia.
“Beh, non ho molte alternative…”
Presa la decisione, uscì dalla stanza e chiamò una serva chiedendole di trovare Sailor Venus e di dirle che voleva parlarle.
Qualche minuto dopo la sailor chiamata entrò in stanza.
“Principessa, mi volevi?” chiese con un sorriso.
“Sì” rispose esitante quella.
Chiusa la porta della stanza, mormorò con lo sguardo abbassato: “Ho… un grosso problema, diciamo. E mi serve il tuo aiuto”.
“Va bene, principessa, qual è il problema?”
“Sailor Venus, tu mi vuoi bene, vero?”
La sailor scoppiò a ridere.
“Cos’è una dichiarazione d’amore? Lusingata, ma con tutti i ragazzi che mi corrono dietro sarei già abbastanza indaffarata…”
“Venus! E’ una cosa seria! Voglio sapere se posso fidarmi di te!” strillò Serenity di rimando.
“D’accordo, d’accordo, calmatevi. Sai benissimo che puoi fidarti di me? Sono la tua guardia del corpo, ed anche per Mercury, Mars e Jupiter vale lo stesso discorso”.
“Sì, ma voglio confidarmi con te per questa faccenda”.
“Solo con me? E le altre?”
“Solo te”.
“Oh, lusingata. Ma di che si tratta di così importante?”
Serenity chinò al testa mordendosi il labbro. Sapeva di stare per rivelare qualcosa di veramente scioccante che avrebbe messo a soqquadro l’intero regno lunare se fosse stato reso pubblico.
A Venus non sfuggì l’aria incerta della sua principessa e rimase perplessa: che c’era sotto?
Infine Serenity, fattasi forza, decise di preparare il campo e prese le mani della sailor.
“Ascoltami, ascoltami bene. Questa è una cosa veramente importante. Ma anche… come dire… insomma è meglio se non sia pubblica. Posso fidarmi di te?”
“Ma…”
“TI prego” aggiunse guardandola con occhioni imploranti.
Sailor Venus rimase un attimo impietrita, poi, non seppe neanche lei perché decise di acconsentire.
“D’a… D’accordo”.
“Grazie!”
Serenity fece un largo sorriso, mentre Venus si morse il labbro. Non aveva un buon presentimento, ma decise di assecondare le Principessa perché era sua amica e, forse, come aveva detto lei un attimo prima, meglio che nessuno sapesse di questa faccenda. Tantomeno al Regina, figuriamoci come avrebbe reagito di fronte all’ennesima bravata o quel cavolo che era della figlia. Certo non era neanche tanto corretto questo sotterfugio, però.
La sailor si sedette su una sedia con un sospiro.
“Allora di che si tratta?” disse, presagendo grossi guai in arrivo.
Serenity fissò la Terra che si vedeva fuori dalla finestra e sorrise.
“Di una bella storia…”
 

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Capitolo 17
*** Endymion e Serenity ***


Capitolo 17 - Endymion e Serenity



Un giorno la Principessa Serenity, vinta da una grande curiosità, decise di andare sulla Terra.
Sapeva che nessuno nel Regno Lunare avrebbe mai permesso una simile azione, nemmeno le sailor guardiane né tantomeno sua madre, così decise di andarsene di nascosto, fare un breve giro e poi tornare.
Nessuno si aspettava una tale azione dall’erede del Regno Lunare, benché avesse in precedenza fatto commenti curiosi su quel pianeta azzurro-verde che si vedeva dal satellite, quindi fu facile per lei eludere ogni sorveglianza ed usare il teletrasporto per andare sul mondo degli umani.
Prima di partire promise a sé stessa che sarebbe stata poco sul pianeta, poi sarebbe tornata a casa.
Quando la luce bianca della magia di teletrasporto svanì, agli occhi della Principessa apparve un paesaggio verde ed alberato, in lontananza si scorgeva la spiaggia di un mare.
Era una giornata mite ed il sole  era alto nel cielo, e Serenity guardava ammirata le bellezze della natura.
In lontananza, verso occidente, scorse una grande città dai tetti d’oro e rimase a fissarla con curiosità: che luogo era e quali uomini ci abitavano?
Mentre stava a riflettere, udì in ritardo il galoppo di un cavallo.
D’istinto provò a nascondersi e d’un tratto si trovò davanti il proprietario del cavallo, che frenò bruscamente l’animale per non investirla.
Serenity si trovò per la prima volta davanti a un terrestre: un giovane alto e di bell’aspetto, ben vestito, con il mantello ed armato di spada.
Senza saperlo aveva davanti il Principe Endymion, erede del Regno Dorato, che era solito cavalcare da solo a quell’ora del giorno nei dintorni della sua città natale.
Rimasero a fissarsi a lungo, lei stupita nel trovarsi inaspettatamente faccia a faccia con un terrestre, lui stupito da quell’incontro inatteso con una bella giovane riccamente vestita ed inspiegabilmente sola lì all’aperto.
Ma poi il momento di stupore passò in parte, tanto che Endymion chiese a quella strana sconosciuta:
“E voi chi siete? Come mai una nobile come voi gira completamente da sola? Soprattutto fuori dalla città?”
Data la fattura dell’abito che indossava, i gioielli, e l’aspetto curato che presentava, Endymion aveva dato per scontato che la sconosciuta fosse di sicuro una nobile.
“Io…” Serenity era indecisa. Che dire? Che fare?
“Ebbene? Che fate qui fuori da sola?”
Endymion scese da cavallo e guardò la giovane con più attenzione: non gli pareva affatto familiare e non ricordava di aver visto il suo volto tra i nobili del regno.
“A quale famiglia appartenete? Non mi sembra di avervi mai visto prima d’ora”.
Serenity restò muta. Non sapeva proprio che fare. Stava già cominciando a pensare di andarsene via col teletrasporto, quando quello insistette:
“Ebbene? Avete perso la parola? Si può sapere chi siete?”
“Io… mi chiamo Serenity”. Disse alla fine.
“Serenity?” Endymion corrugò la fronte. “Non mi suona familiare questo nome, a quale famiglia appartenete?”
“Io… Ecco, non sono di qui”.
“Come sarebbe?”
Endymion fece un passo avanti. Ma Serenity fece due passi indietro, con inquietudine nello sguardo verso quello sconosciuto.
Notandolo, Endymion tirò fuori un sorriso rassicurante.
“Non abbiate paura. Siete una straniera, avete detto? Io sono Endymion, Principe del Regno Dorato” ed accennò alla città sullo sfondo.
“E’ qui che siete diretta? Dov’è il vostro gruppo?”
“Sono… da sola”.
Il principe lo guardò ancora più confuso.
“Come “da sola”? Ma chi siete?”
“Sono… Una straniera” disse Serenity preferendo tacere sulla sua vera identità.
“Risposta vaga”.
“E non posso dire altro”.
Endymion inarcò un sopracciglio, sempre più confuso, mentre Serenity decise di levare i tacchi; l’escursione sulla Terra poteva anche concludersi lì.
“Perdonatemi, Principe, ma devo andare!”
In un attimo fu avvolta da una luce bianca.
“Aspetta! Ma chi… ”
E svanì in un lampo di luce.
“… sei?”
 
 
Endymion pensò spesso a quell’incontro nei giorni seguenti. Chi era mai quella misteriosa donna? Non disse nulla a suo padre, a sua madre od ai suoi amici, per qualche motivo che non capiva nemmeno lui, preferì tenerlo per sé quell’evento.
Nei giorni seguenti quando usciva da solo dalla città, si recava a cavallo al boschetto quasi volesse ritrovare quella giovane dai capelli biondi.
Tuttavia non trovava nessuno.
“Bah, probabilmente non la rivedrò mai più, inutile tormentarsi”, fu quello che si disse.
E fu con grande sorpresa che, il giorno dopo aver pensato questo, ed essersi convinto di questo, ritrovò quella giovane nello stesso boschetto.
“Tu? Perché sei tornata qui?”
Serenity ricambiò il suo sguardo stupito con uno identico.
“Ecco… Questa città mi incuriosiva… E, quindi ne volevo sapere di più”.
“Mh, immagino che ora mi chiederai di farti da guida?”
“Oh, mi farebbe piacere!” Esclamò lei con un timido sorriso. “Tuttavia, ti sarei grata, se non entrassimo in città e restassimo qui”.
Endymion scese da cavallo.
“Hai modi cortesi, sicura di non essere una nobile?”
“Vengo da una famiglia elevata.”
“Ancora una risposta vaga”, le fece notare Endymion, senza particolare rimprovero nella voce, per poi osservarla attentamente. “Serenity giusto? Cosa ti fa credere che io, un perfetto sconosciuto, non sia pericoloso?”
Serenity rimase un attimo in silenzio prima di rispondere.
“Non lo sei”.
“E cosa te lo fa pensare?”
“So che sei una brava persona. Lo sento dal cuore”.
Il Principe la osservò a lungo prima di sorridere.
“Sei una donna piena di sorprese, Serenity…”
 
 
I due si frequentarono per molti giorni, sempre di pomeriggio, nei momenti in cui Endymion cavalcava da solo, fuori dalle mura, ritagliandosi del tempo in quei momenti in cui il Principe era fuori dalla città, al riparo da sguardi indiscreti.
Passeggiando nel boschetto parlavano tranquillamente: dopo l’iniziale diffidenza, avevano visto l’uno nell’altra delle brave persone, oneste e gentili.
Endymion aveva parlato molto di sé e del regno, ma in sé desiderava scoprire il segreto di quella misteriosa straniera che appariva e spariva in un lampo di luce per tornare alla sua presunta casa.
“Ho fatto una scommessa con me stesso, sai? Scoprire cosa mi stai nascondendo su di te”.
Serenity lo guardò pensierosa.
“Oh… Pensi forse che io sia… pericolosa?”
“La verità? Voglio solo capire chi sei tu”.
“Temo che non porterai a termine ciò che hai scommesso”.
“Andiamo, io ti ho detto tutto quello che c’è da sapere su di me, eppure tu, a parte il tuo nome, non mi hai detto niente di te”.
“Vorrei mantenere il segreto, se non ti dispiace. Sappi solo che vengo da molto lontano”.
“Me l’hai già detto”.
“Lo so, e per il momento non aggiungerò altro”.
Il Principe sospirò.
“Ma chi sei, Serenity? Una maga? Uno spirito della foresta?”
Ancora una volta la donna preferì non rispondere, ed ancora una volta, alla fine della giornata, si salutarono, ma Lei disse: “A presto”.
“A presto”.
E quando tornò a casa, Endymion ammise tra sé che si sentiva irresistibilmente attratto da quella misteriosa giovane che frequentava da giorni: pensava spesso a lei nei momenti in cui non la vedeva, e quando la rivedeva provava una felicità insolita.
 
 
Più il tempo passava, più ognuno provava piacere nel stare in compagnia dell’altro, al punto che, una volta, in un momento in cui erano entrambi rilassati ed allegri, Endymion mosso da un impulso che non riuscì a frenare, baciò sulla bocca la donna.
Serenity rimase sorpresa da un simile gesto, ma, quasi d’istinto, chiuse gli occhi e rispose.
Fu una sensazione così nuova e strana che vi si perdette beatamente… finché non tornò pian piano in sé e, sbarrando gli occhi, lo allontanò con una spinta, staccandosi da lui.
Serenity lo fissava scioccata, mentre lui, prima perplesso, cominciò a provare ben presto vergogna per il gesto.
“Oddei… Serenity, mi dispiace, io non…”
Per un po’ lei non rispose, tanto che Lui riprese:
“Serenity… io mi spiace molto per il mio gesto, ti giuro che non so cosa mi è preso…”
“E’… E’ tutto a posto”, affermò Lei ritrovando la voce.
“A posto? Ma sono stato estremamente scortese! T-ti prego di accettare le mie più sentite scuse, e…”
“Le accetto, non agitarti” disse lei.
“M-ma... Resta comunque il fatto che io…”
“Endymion, ho detto che accetto le tue scuse. Era solo un bacio, non agitarti. Non parliamone più d’accordo?” propose la donna alzando una mano per interromperlo.
Quando si rividero di nuovo, Endymion fu intimamente molto felice: nei giorni precedenti aveva temuto che la donna non lo volesse più vedere a causa del suo gesto.
“Ma che mi prende? Nessuna donna nel Regno mi fa sentire così…"
Invece Serenity ammise tra sé di sentirsi sempre più attratta da quel giovane. Eppure… un terrestre? Un terrestre suscitava il suo interesse? Certo, era assurdo: non c’erano giovani migliori nel Silver Millennium? Eppure, era un terrestre, non un lunare, l’uomo che suscitava i suoi interessi!
 
 
Infine, un giorno di quegli appuntamenti, Serenity decise di rivelare al Principe la sua vera origine.
Come si aspettava Lui rimase molto sorpreso nel sapere che quella bella giovane era un abitante della Luna, di quel regno misterioso di cui si parlava spesso nel regno. Inoltre apparteneva ad una famiglia reale come lui, alla faccia delle coincidenze!
A Serenity fece piacere nel vedere che, per quanto stupito, Endymion accettò senza troppi problemi la cosa.
“Sai…” disse, “Sono molto colpito nell’aver potuto conoscere una lunare…”
“Anch’io potrei dire lo stesso sai? Non circolano belle voci sulla Luna riguardo i terrestri”.
“Oh. Anche qui…”
Serenity lo fissò colpita.
“Anche qui?”
“Già, girano un sacco di storie sul Regno della Luna e… beh, non sono carine”.
“Cosa dicono di noi?”
“Che… No, meglio che tu non lo sappia” affermò con imbarazzo il Principe.
“Ed invece voglio saperlo” replicò lei, testarda.
“Ma…”
“Insisto. Cosa si dice su noi?”
“Che…” Endymion si morse il labbro. “Che siete dei folli ubriaconi che si danno continuamente alle orge”.
Serenity emise un gridolino indignato ed alzò la mano destra come se volesse schiaffeggiare qualcuno.
“Come osano dire certe cose di noi?”
“Non lo so, davvero.” Esclamò mettendo le mani avanti. “ Questa è una voce che gira da tempo, ma ignoro da cosa abbia avuto origine. Ma credimi, rifiuto queste chiacchiere: mi basta guardarti per capire che non sei assolutamente quel tipo di persona!”
“Lo credo bene perché sono tutte menzogne!”
E Serenity parlò a lungo del suo regno, di come fosse bellissimo e di tutte le meraviglie che lì vi si trovavano. Ed Endymion ascoltava affascinato.
“E sono vere le voci sulla vostra presunta immortalità che possedete?” chiese il Principe ad un certo punto.
“Oh, certo!” rispose tranquillamente la Principessa. “Tutti noi siamo eternamente giovani grazie ai poteri del Cristallo d’Argento Illusorio; io, per esempio, sono nata ben duecento anni fa!”
“Duecento!? Accidenti!”
Endymion faceva fatica a mettere in relazione quell’età così assurdamente lunga con l’aspetto giovanile della donna, che, apparentemente, mostrava la sua stessa età.
Non chiese altro, ma in sé era un poco turbato: non poche voci nel Regno Dorato avevano lamentato il fatto che i Lunari godessero di immortalità nelle loro vite e fossero eternamente giovani. E tali voci erano cariche di invidia e desideravano l’immortalità per sé stessi.
 
 
Vengono momenti in cui qualcuno deve fare delle confessioni importanti e nel loro ultimo appuntamento Serenity confessò ad Endymion, con molta timidezza, di essere innamorata di lui.
Quest’ultimo, sorpreso dalla confessione, ammise che da tempo meditava di fare una confessione identica alla sua genere.
Felice come non mai Serenity abbracciò con calore l’uomo che ormai amava, ricambiata con altrettanto calore.
Rimasero abbracciati a lungo, finché lei non mormorò:
“Endymion?”
“Sì?”
“Secondo te… In quel che proviamo l’una per l’altro, c’è qualcosa di… sbagliato?”
“No. Non vedo cosa c’è di male in tutto questo… Mi ami, vero?”
“Sì, sì! Ma…”
“Cosa?”
“Sono una principessa…”
“Ed io sono il principe ereditario del Regno Dorato, direi che qualcosa in comune l’abbiamo”.
Lei chinò un attimo il capo per poi fissare l’uomo che amava nei suoi occhi blu.
“Il punto è: tu cosa vedi in noi due? Una lunare ed un terrestre?”
“Solo un uomo ed una donna innamorati”.
Serenity tornò a guardarlo con dolcezza. Non avevano bisogno di altre parole, solo di sguardi e di sorrisi e si baciarono di nuovo con tanto amore.
Era bello passare un po’ di tempo come se fossero una coppia di innamorati.
Ma il tempo pareva contro di loro: il sole stava volgendo al tramonto.
“Devo tornare.” Mormorò lui. “La mia assenza potrebbe venire notata, e sai bene quanto me che tutto questo deve rimanere segreto”.
“Certo, lo so”.
“Ora che ci penso, forse è  meglio fissarci date specifiche per i nostri incontri. Non date fisse, ma più irregolari, affinché non vi siano sospetti eccessivi”.
“Capisco. Anche se mi dispiace doverci vedere poco”.
“Come ti posso contattare?”
“Mh, temo che non ci riuscirai a contattarmi… Ma io posso invece! Manderò io un messaggio per farti sapere che sono pronta per un incontro!”
“D’accordo, facciamo così allora! Ma come capirò che il messaggio è stato mandato da te?”
“Metterò il mio nome naturalmente!”
“Ecco, questo potrebbe essere sa un problema! E se il messaggio venisse intercettato? Non si può mai sapere!”
“Oh, hai ragione” rifletté Serenity. “Dunque se il mio nome no… L’iniziale del mio nome, forse?”
“No, potrebbe far nascere dei sospetti. Forse sarebbe meglio un simbolo, una Luna, o qualcos’altro. No, anche la Luna susciterebbe sospetti”.
“Avete conigli qui sulla Terra? Sapete cosa sono?”esclamò Serenity dopo un attimo di riflessione.
“Beh, certo, li abbiamo. E sappiamo anche cosa sono. Ma cos’è questa stor… Ah, aspetta vuoi usare come simbolo un coniglio?”
“Esatto!”
“Beh, perché no?”
“Quindi, se vedrai un messaggio con il disegno di un coniglio capirai che te lo mando io. Che ne dici?”
Endymion annuì convinto. “Sta bene. Facciamo così, allora. Una domanda: su cosa è basata quest’idea del coniglio?”
“Su… vecchi ricordi”.
Serenity arrossì.
“Ecco… Vedi, quando ero una bambina, le mie amiche mi chiamavano ‘coniglietto’…”
“Coniglietto?”
“Per i codini che portavo all’epoca, sai… sembravano le orecchie di un coniglio a detta loro”.
Endymion rise e lei distolse lo sguardo imbarazzata. Ma in ogni caso, si disse, aveva avuto una buona idea a proporre il suo soprannome d’infanzia: tanto le sailor non lo usavano più da un paio di secoli.
Era il momento di salutarsi, e con un sorriso la Principessa della Luna attivò la magia di teletrasporto.
“A presto, Endymion, spero di rivederti il prima possibile. Ti amo!”
“Anch’io!”
Un ultimo sorriso, e poi la Principessa della Luna svanì in un lampo di luce, diretta verso casa.
Endymion rimase per un attimo lì, in estasi, poi rimontò in sella e galoppò verso la sua città.
In quel momento della sua vita si sentiva l’uomo più felice del mondo. E scusate se è poco!
Prima di tornare in città però, dovette calmarsi e cercare di sbollire l’euforia: era meglio non far sapere a nessuno di quegli incontri segreti, perciò prima di entrare in città cercò di calmarsi ed acquisire un’aria il più normale possibile.
“Siete stato via parecchio, sire.” Gli disse Nephrite quando lo vide rientrare a palazzo.
“E’ stata una lunga cavalcata”.
“Va tutto bene?”
“Uh? Sì, perché?”
“Mi sembrate un po’ strano. E’ successo qualcosa?”.
“Sì, ho incontrato una driade” concluse cercando di buttarla sull’ironico. Vedendo che quello aveva inarcato un sopracciglio, aggiunse: “Davvero, non c’è niente di grave, non preoccuparti”.
“Va bene”.
Poi Endymion corse nelle sue stanze, mentre Nephrite lo fissava perplesso.
Ah, come avrebbe voluto non continuare a fingere, come avrebbe voluto che Serenity fosse soltanto una nobile del suo regno e non dover nascondere niente!
Osservando la città fuori dalla finestra della sua camera in preda ad un tumulto di emozioni, rifeltté su come fosse di fatto rimasto invischiato in qualcosa di più grande di lui a partire da quell’incontro inaspettato che avrebbe potuto tranquillamente dimenticare. Ma il Fato aveva deciso un altro corso.
Eppure ciò che provava era sincero.
“Chissà cosa accadrà per noi in futuro… Forse mi sono innamorato della donna sbagliata? Eppure mi basta pensare a te, ed a questa domanda mi rispondo di no”.
 
 
Alla Principessa, invece, il ritorno a casa fu molto meno tranquillo di quello Principe, questo perché la sua assenza era stata notata.
L’avevano cercata dappertutto, ma sembrava svanita dal Silver Millennium, e quando essa tornò finalmente a casa, aveva trovato le sailor che la cercavano con ansia.
Non vi era scusa che potesse reggere, così alla fine la Principessa ammise di essere andata di nascosto sulla Terra, facendo però intendere che vi era andata solo quella volta.
La Regina Serenity non prese bene il gesto della figlia sconsiderata: urlò così forte che la sentirono da un capo all’altro della Luna, mentre la figlia, davanti a lei con la testa china, ascoltava i suoi rimproveri.
“Hai idea di che pericoli avresti corso, andando in quel posto tutta da sola? No, ovvio che non lo sai, altrimenti non ci saresti andata, razza di stupida!”
Insomma la futura regina della Luna non diede una bella impressione di sé ai suoi futuri sudditi, tutt’altro.
Eppure, pur dispiacendosi davvero di aver fatto preoccupare sua madre, Serenity si dispiaceva anche perché conscia che di sicuro non sarebbe potuta tornare mai più sulla Terra, dal suo Endymion.
Ma guardando la Terra dalla finestra della sua stanza, la Principessa della Luna era decisa su una cosa.
“Endymion… non mi terranno lontana da te, te lo prometto!”
 
 
Concluso il racconto della sua storia d’amore, Serenity attese la reazione di Sailor Venus, pronta ad intervenire: era certa che avrebbe reagito male.
Infatti dopo essere stata per parecchi secondi muta ed allibita, la sailor si era messa ad urlare tirandosi i capelli.
“IN CHE RAZZA DI SITUAZIONE TI SEI… !?”
Immediatamente la Principessa le tappò la bocca con le mani.
“Shh! Vuoi che lo sappia tutto il palazzo?”
“Mh-mhhh!”
“Cosa?” fece, togliendole le mani dalla bocca.
“Se tua madre lo viene a sapere come minimo le verrà un infarto, collasserà, morirà sul posto e...”
“E via, che esagerata che sei!”
“Esagerata, esagerata? Tu e quel terrestre vi siete… Vi siete solo baciati, vero?”
“Sì, che altro dovevamo fare?”
Venus si trattenne dal rimettersi ad urlare. Non si stupiva che Serenity avesse voluto tacere: lo scandalo sarebbe stato assai vasto se la cosa fosse stata resa pubblica. Una lunare ed un terrestre! Nessuno avrebbe apprezzato. Pensò alla Regina: sarebbe rimasta scossa senza alcun dubbio, ma forse era meglio non nasconderle la cosa.
Fece per alzarsi.
“Lo devo dire…”
Ma venne bloccata dalla principessa che le strinse il polso destro con la mano.
“Venus, vuoi fare la spia? Offendere una tua amica?”
“Q-questo è un ricatto! Stai abusando della mia…!”
“Venus, per favore ascoltami!” esclamò attirando la sua attenzione.
“Mi sono voluta fidare di te perché tra tutte le mie sailor guardiane, te sei quella di cui più mi fido. Mi serve il tuo aiuto per incontrare l’uomo che amo. So che la nostra relazione ti sembra innaturale, ma dentro di me sento che il Fato abbia voluto che ci conoscessimo e ci innamorassimo!”
“IL FATO?" gridò Venus, che dovette essere zittita nuovamente. "Ti rendi conto dei guai in cui mi stai infilando? La Regina e gli altri se la prenderanno anche con me per averti aiutato e per aver taciuto della cosa”.
Un’ombra passò per un attimo sul viso di Serenity, ma poi dimostrò di nuovo sicurezza.
“Andiamo, torniamo e nessuno se ne accorge. Che ne dici?”.
Venus però non era affatto entusiasta.
“Perché mi hai voluta coinvolgere in questo casino?” piagnucolò.
“Allora mi aiuti?”
“I-io…”
“Ti prego, conto su di te!”
Venus la fissò esasperata: niente, non sapeva che pesci pigliare con quella donna. Impossibile smuoverla dalla sua decisione. Alla fine capì che non aveva altra scelta che aiutarla, sperando che andasse tutto liscio.
“Sì… Va… Va bene. Ti aiuterò”.
Anche se bene non andava.
 
 
Come Endymion si aspettava, Kunzite non prese bene quella rivelazione sulla sua storia d’amore con una lunare, ma ebbe una reazione assai contenuta, sebbene era rimasto scioccato da una storia che se resa pubblica, avrebbe messo a soqquadro l’intero Regno Dorato.
“P-Principe… Vi rendete conto, che…”
“Ne sono consapevole Kunzite, tuttavia, se vuoi incolpare qualcuno, dovrai prendertela con l’Amore in persona, perché io la amo con tutto il mio cuore quella donna!”
Kunzite lo fissò in silenzio, non sapendo che dire o pensare, ed Endymion approfittò della pausa per dire:
“Ascolta, mi sono confidato solo con te, perché in te ripongo totale fiducia. Ed ora voglio che tu mi aiuti ad incontrare Serenity. Oltre mantenere segreta la faccenda, s’itende”:
“Ma è una follia!”
“Kunzite, come guardia del corpo dell’erede del Regno Dorato, non mi hai forse giurato fedeltà?”
Kunzite sospirò.
“Sì, mio signore”.
“Ebbene, sarò anche il tuo principe, ma prima di tutto sono un tuo amico”.
“E come vostro consigliere e amico, dovrei impedirvi di compiere questa pazzia”.
“In tal caso dovresti fermarmi con la forza. Sei certo di volerlo fare?” ribatté il Principe, con tono molto serio.
Kunzite chinò il capo, stringendo i pugni sulle ginocchia.
“No, non potrei fermarvi, in nessun senso. Ascolterò la vostra richiesta... in memoria dei vecchi tempi”.
Endymion si rilassò.
“Grazie”.
“No, principe, non mi ringrazi”.

 

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Capitolo 18
*** Incontro al chiaro di Luna ***


Capitolo 18 - Incontro al chiaro di Luna


Il giardino annesso al palazzo reale del Regno Dorato aveva un passaggio segreto, noto come “Budello”, da chi lo conosceva, che lo collegava con l’esterno della città.
Esso era niente di più, niente di meno che una scappatoia d’emergenza dei membri della famiglia reale costruita tanto tempo fa ed utilizzabile qualora all’interno della città fosse sorto un pericolo troppo grande per i difensori e si dovesse mettere in salvo almeno la maggior parte dei sangue reale.
La locazione di tale passaggio era nota solo ai membri della famiglia reale più qualche membro fidato, ovvero le guardie del corpo di un principe ereditario.
A quell’ora della sera, il passaggio avrebbe visto nuove persone entrare, ma stavolta dall’esterno della città all’interno del palazzo, e le persone sarebbero stati nientemeno che degli abitanti del regno lunare.
Presso l’entrata esterna del passaggio, in attesa dei particolari ospiti, stavano in un’attesa silenziosa Endymion e Kunzite. Mentre il primo era sostanzialmente di buon umore, forse solo un po’ teso, il secondo, tutto tranne che allegro, rimuginava su cupi pensieri.
Come tutti gli abitanti del Regno Dorato, sapeva dell’esistenza del misterioso regno sulla Luna, e come tutti non si fidava degli abitanti di quel posto.
Ed Endymion si era innamorato di una delle loro donne! Cosa avevano di meglio delle donne della Terra? Ma si rendeva conto che la loro unione era impossibile? Sperava davvero di sposarla e vivere felice e contento fino alla fine dei suoi giorni? Impossibile! Il Re non l’avrebbe mai permesso, anzi! Se l’avesse saputo, avrebbe disconosciuto il figlio, nonostante fosse l’unico erede al trono esistente.
E dire che Endymion continuava a ripetere che quella Serenity era la creatura più bella, buona e pura dell’universo, che il loro era Vero Amore…
Vero Amore i miei stivali! Chi mi assicura che quella lunare non gli ha fatto un incantesimo?
Si ripeté per la millesima volta che tutta la faccenda non gli piaceva e sperò di non dover pagare il prezzo per le bizze del Principe, vero che era suo amico, però, dannazione!
Attesero vicino all’albero a cui sbucava la botola dell’uscita, ed a cui avevano legato un nastro bianco ai rami più bassi come segnale di riconoscimento, finché non video agitarsi qualcosa tra gli altri alberi.
Kunzite scattò subito in guardia, ma il suo capo gli mise una mano sul braccio.
“Calma, aspetta” mormorò.
Una figura bianca che spiccava nella crescente oscurità fece capolino tra le piante.
“Serenity!”
Una bella e giovane donna dallo splendido abito bianco e due code di capelli biondi corse loro incontro con un gran sorriso.
“Endymion! E’ stupendo rivederti!”
“Anche per me!”
Kunzite notò che Endymion guardava la Principessa della Luna nello stesso modo in cui Zoisite di solito guardava lui: ovvero come se avesse davanti la cosa più bella e meravigliosa del mondo.
Poi notò che la lunare non era sola: dietro di lei veniva un’altra donna dai lunghi capelli biondi ed un vestito che Kunzite non avrebbe nemmeno sognato.
“E tu chi sei?” esclamò guardingo, attirando l’attenzione di Endymion.
 “Sono Sailor Venus, la sua scorta!” rispose con freddezza la bionda, fissando i due con occhioni blu in cui si specchiava la stessa espressione a di Kunzite: diffidenza ed un’aria del tipo “ma che ci faccio io qui?”
Kunzite si accigliò: la bionda non gli dava l’idea di una guerriera, e la gonna corta che indossava era una roba che non avrebbe sfigurato addosso ad una baldracca.
“Dunque hai portato dietro una tua guardia del corpo. Molto saggio. Anch’io ho avuto lo stesso pensiero: lui è Kunzite la mia guardia personale”.
Serenity lo salutò educatamente e Kunzite rispose con un cenno del capo senza guardarla negli occhi.
“Andiamo”, esortò il Principe. “Meglio non perdere tempo!”
Condusse le due donne all’entrata del passaggio (che poi era l’uscita del passaggio) ed entrò per primo, seguito da Serenity, poi da una diffidente Venus e da un altrettanto diffidente Kunzite.
Proseguirono in silenzio ed in fila indiana attraverso il Budello camminando a passo svelto tra le pareti di pietra, illuminati solo dalla lanterna che si era procurato il Principe.
Infine giunsero all’altra estremità e sbucarono nel giardino avvolto dalla sera.
“Eccoci qua!” disse Endymion porgendo la mano alla sua Serenity per aiutarla ad uscire.
Dopo che uscirono Venus e Kunzite, il Principe prese cavallerescamente per mano la sua Principessa con un sorriso.
“Andremo alla fontana al centro, lì saremo soli”.
Serenity annuì, ed il suo amato si rivolse a Kunzite.
“Tu e l’altra aspettate qui, finché non avremo finito”.
“Certamente” ribatté quello in tono asciutto.
“Tranquillo saremo brevi” assicurò prima di allontanarsi con lei.
Queste battute suonano molto ambigue, si disse mentalmente Kunzite mentre osservava i due che si allontanavano e sparivano dietro un’alta siepe.
Dopodiché si piazzò ad un lato dell’entrata del passaggio.
Né lui né la sailor avevano voglia di chiacchierare e stettero muti.
Appoggiato al muro e con le braccia conserte, Kunzite guardò di sottecchi la sailor lì vicina.
“Ma tu guarda come vanno conciate in giro le donne della Luna!” si disse mentalmente. “Di sicuro si mettono quelle gonne dal taglio così corto per far eccitare i maschi!”


Sailor Venus attendeva depressa che quell’incontro segreto finisse il più in fretta possibile.
Appena finito sarebbero tornate di volata sulla Luna; la Regina si sarebbe infuriata con la figlia se avesse saputo della sua ennesima scampagnata, ed anche lei sarebbe finita nei guai. O forse no? Dopotutto era una delle guardie del corpo della Principessa, in fin dei conti aveva fatto il suo dovere scortandola e proteggendola dalle minacce.
Dovere… certo. La Principessa aveva preteso di rimanere sola con quell’Endymion, cosa che a Venus non era piaciuta: non si fidava a lasciarla sola con un terrestre.
Vero che quando l’aveva visto, Endymion non le aveva fatto una cattiva impressione, ma come aveva detto una volta Artemis a volte le apparenze ingannano.
Tutte le sue lamentele, o meglio, i tentativi di fare lamentele, erano stati zittiti all’istante.
Aveva anche proposto quella che le sembrava una buona idea: andare da questo Endymion spacciandosi per la Principessa, onde prevenire qualche trappola, ma Serenity aveva rifiutato categoricamente, in quanto non voleva fare sotterfugi con l’uomo che amava, sostenendo che non sarebbe stato corretto nei suoi confronti.
Mordicchiandosi il labbro per il nervosismo, si domandò se non dovesse essere felice per Serenity in quanto lei aveva trovato la felicità e si rispose che non poteva riuscirci, la cosa sarebbe stata totalmente diversa se invece lo spasimante fosse stato un lunare, sì.
Squadrò di sottecchi il terrestre a poca distanza da lei.
Tra sé ammise che non aveva affatto un aspetto sgradevole, ma in ogni caso, difficilmente gli avrebbe dato fiducia.
Chissà cosa aveva trovato la Principessa di speciale in un terrestre… Forse perché erano entrambi di stirpe reale? L’aspetto? O qualcosa che a lei sfuggiva?
Per un istante ritenne di avere ricevuto un segreto troppo grande e si chiese se in realtà non fosse meglio raccontare tutto alla Regina…
Scosse la testa disgustata di sé. No, aveva promesso ad una donna che era sia la sua futura sovrana che la sua amica di mantenere il segreto e così avrebbe fatto!
Poteva augurarsi tra sé che prima o poi Serenity rinsavisse e capisse che quella storia tra una lunare ed un terrestre non poteva durare in eterno e che era una follia per di più.
Appoggiandosi al muro, pregò mentalmente che tutta quella faccenda non andasse a finire male.


Quella sera una persona stava entrando nei giardini del palazzo reale, quella persona si chiamava Beryl ed aveva deciso di dare una svolta alla sua vita in mezzo a tutto quel marasma di eventi.
La donna aveva saputo da Nephrite che quest’ultimo aveva visto Endymion e Kunzite avviarsi verso i giardini reali, quindi si era diretta lì, sperando di trovarli ancora in loco.
Sperava che Endymion fosse lì, così avrebbe fatto la confessione dei sentimenti  che provava da anni.
Doveva uscire dall’ombra, basta essere solo una buona compagnia per quattro chiacchiere. Basta accontentarsi di sorrisi, o piccole attenzioni, la vita era breve, a volte effimera come la luce di una candela, da quella notte tutto sarebbe cambiato.
La timidezza e la sensazione di non essere degna di un principe, pur essendo lei stessa di famiglia nobile aveva dominato in passato, ma ora basta. Ogni cosa se la sarebbe lasciata alle spalle.
Mentre sia avventurava nel giardino in cerca del suo principe, udì d’un tratto delle voci.
Fermandosi un attimo ad ascoltare, le parve di riconoscere la voce di Endymion insieme ad un’altra.
Con chi parlava? Kunzite, forse? Ma non pareva la sua.
Le voci provenivano da dietro l’alta siepe a cui Beryl era vicina, perciò decise di sbirciare per vedere chi ci fosse lì dietro, onde assicurarsi che ci fosse Endymion e poter restare sola con lui.
Camminando piano e rasente alla siepe, raggiunse il bordo dove si sporse leggermente per vedere la scena e sbarrò gli occhi.
Presso la fontana c’era il suo Endymion che parlava con una fanciulla da lunghi capelli biondi raccolti in due code e vestita in con uno splendido abito bianco.
Aggrottò la fronte.
Ma… chi è?
Questo si chiese: chi era quella?
Beryl era certa di non averla mia vista prima d’ora, e dire che conosceva tutte le nobildonne del regno, ed ad occhio quella non poteva essere una popolana.
“Ho temuto per la tua incolumità quando ho saputo che quegli Elfi Oscuri hanno attaccato anche il Regno Dorato”.
“Tranquilla, so cavarmela perfettamente in combattimento, mio padre dice che ormai valgo quanto lui in battaglia, ed insieme siamo gli uomini più forti del regno!”
“Spero davvero che non ti accada niente. Mi chiedo cosa ci sai dietro tutta questa storia…”
“Già, ci vorrebbe un indovino per capirlo. E a quanto pare i nostri regni sono tornati in contatto”.
“Con il generale Tsukuyomi come intermediario”.
Endymion fece un sorrisetto.
“Già…”
“Tranquillo, persuaderò mia madre a mandare qualcuno più diplomatico. Ci sono stati problemi?”.
“Niente di serio, anche se quel Tsukuyomi è stato un… pessimo ospite. Seriamente, che problemi ha? Perché non gli piacciono quelli come me?”
“Non preoccuparti, anch’io sono una lunare, ma non la penso come lui”.
Cosa?
Una Lunare?
Quella giovane veniva dal misterioso Regno della Luna?
“Parlando d’altro…” cambiò discorso Endymion. “Vorrei riflettere più seriamente su tutto quel che c’è tra noi. Non pensi che sia tutto troppo complicato?”
“Perché ci vediamo poco?”
“Non solo per questo”.
Lei sospirò.
“Ti prego, non dirmi che vorresti negare quel che c’è tra noi…”
“Ma assolutamente no! Mai. Neanche se dovessi morire e risorgere cento volte! Ammetto che forse questa storia in cui siamo invischiati è più grande di noi due”.
Si avvicinò alla donna.
“Vedi, Serenity, noi siamo su due mondi diversi e lontani, letteralmente. Non nego affatto i sentimenti che provo per te, ma ti sarai resa conto anche tu, che questa non è una storia facile”.
Dopo essere rimasta ad ascoltarlo, Serenity chinò la testa.
“E’ vero, ultimamente ci ho pensato su un paio di volte. Che ci siamo infilati, forse senza saperlo, in una storia più grande di noi”.
Rialzò la testa.
“Però, sai che mi ripeto? Che nonostante tutto io ti amo, e non voglio altri che te!”
Lei gli prese le sue mani tra le sue.
“Ad ogni modo, anche se vicini come ora o lontani, noi saremo sempre uniti, non è vero?”
“Esatto, amore mio, per sempre!”
Felice, Serenity si gettò tra le braccia dell’altro per baciarlo, bacio che venne ricambiato.
Beryl non restò a guardare il resto del colloquio: pensò solo a scappare via e ad allontanarsi da lì.

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