Peter Pan & Miss Rottermeier

di reggina
(/viewuser.php?uid=647)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** CINQUE ***
Capitolo 5: *** QUATTRO ***
Capitolo 6: *** SEI ***
Capitolo 7: *** SETTE ***
Capitolo 8: *** OTTO ***
Capitolo 9: *** NOVE ***
Capitolo 10: *** DIECI ***



Capitolo 1
*** UNO ***


Era stata una fortuna aver trovato in periferia, lontano dal cemento grezzo del Giappone moderno, una minka tradizionale da plasmare a proprio nido d'amore. Jun e Yayoi vi si erano trasferiti con lo slancio e l'entusiasmo di tutte le giovani coppie bramose di fare progetti insieme.

Quell'edificio in bambù, carta e paglia, semplice e minimalista, era il loro rifugio dalle brutture del mondo: erano diventati un'unica figura, che cammina a passi uguali, ed anche passare i weekend abbracciati a letto o le sere a coccolarsi sul divano all'occidentale, davanti alla tv, erano un modo legittimo e divertente per passare il loro tempo insieme.

Sentivano di star facendo qualcosa, anche quando non facevano niente, per il semplice fatto di avere qualcuno con cui condividerle.


Quella sera di fine estate, forti della loro intimità e confidenza decennale, se ne erano rimasti in silenzio sui tatami: Yayoi, con addosso una t-shirt di Jun che ne sformava le forme delicate, era intenta a sottolineare pagine e pagine di appunti, con una ruga di concentrazione e dinamismo che aveva provocato il ragazzo. Dopo aver condiviso tutto, anche le cose più imbarazzanti, era impossibile per lei non indovinare quello sguardo malizioso.

"Sei proprio un soffio di primavera, come dice il tuo nome!"

Subito dopo, mentre Yayoi arrossiva alla lusinga, Jun aveva smorzato quel contegno aulico iniziando a torturarla di solletico sotto i piedi. Conoscevano bene tutti i punti deboli uno dell'altra e, ben presto, si erano ritrovati a ridere a crepapelle.


Era stato il trillo del telefono a ristabilire un contatto con la realtà. Quella vera, quotidiana e a tratti dura.

Jun aveva percepito una nota stonata, quasi un brivido, mentre alzava la cornetta e al contempo cancellava i residui di quella serata festosa e tranquilla. Yayoi, nel loro legame metafisico, aveva registrato il suo cambio d'umore e aveva tenuto gli occhi incollati sulla sua figura elegante.

"Jun Misugi!"


Una brutta notizia arriva all'improvviso, squarcia il cielo di carta, e ti costringe a guardare quello che c'è fuori e dentro di te. Jun ci aveva convissuto fin da quando era bambino e, adesso, quella consapevolezza si era fatta più netta quando una voce inattesa e spezzata aveva parlato dall'altro capo.

"Misugi, sono Kojiro Hyuga. Sono in ospedale!"

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** DUE ***


Kojiro Hyuga, sfuggente e razionale, cercava di giostrarsi in quella zona d'ombra tra i sorrisi tirati, con cui rassicurare tre acerbi cuori, e il tendere occhi e orecchie, attento come un segugio, osservando l'andirivieni di medici per capire a chi dover fare le domande.

Il malore improvviso di sua madre, una vita costantemente all'ombra dei suoi figli, tra abnegazioni e sacrifici, lo aveva costretto a fermarsi e a mettersi in discussione.

Aveva pensato come la sua vita, negli ultimi anni, fosse consistita nel perdere il tempo per quell'ora di allenamento, a quando i problemi erano le scarpette che facevano male o una contusione muscolare. A tratti aveva rischiato di perdere la dimensione concreta delle cose. E adesso, innanzi a quel filo sottilissimo che rischiava di spezzarsi, portandosi via la persona che lo aveva reso un uomo, i fantasmi di un passato difficile riaffioravano.

Kojiro sapeva di dover riordinare le sue priorità, come una cassettiera invasa da una moltitudine di oggetti diversi.


"Hyuga, cos'è successo?"

Era stata la comparsa di quella figura elegante, fragile ma certa, a farlo sentire meno solo. Vincendo il suo orgoglio, Kojiro aveva composto istintivamente il numero di Jun: sapeva di aver bisogno di qualcuno che lo comprendesse, che comprendesse l'enorme fardello che gli era piovuto addosso. Qualcuno che fosse in grado di raccoglierlo anche solo per un attimo senza giudicare o indagare.

Gli era scappato un mezzo sorriso sbieco nell'accorgersi anche di Yayoi, con la mano stretta in quella di Jun, e la cautela di chi approccia una tigre: affasciante e spaventosa allo stesso tempo.

Aveva descritto in maniera lineare, con il suo tono ruvido ed essenziale, il mancamento della madre e aveva lasciato che il quasi amico gli si sedesse affianco.

"I malori inaspettati sono diversi tra loro. L'importante è non farsi cogliere impreparati, riconoscerne i sintomi e non ignorarli per evitare conseguenze peggiori!"

Aveva cercato di essere incoraggiante Jun, enfatizzato da una lieve sfumatura professionale dovuta ai suoi studi di medicina.


Erano rimasti impigliati in quella ragnatela di silenzio denso, con il tempo che sembrava divertirsi a farsi beffa di loro. Yayoi si era avvicinata a Takeru e Masaru, impeccabili nella loro compostezza di piccoli uomini, e aveva afferrato la manina serrata di una Naoko frastornata che ondeggiava sulla sedia troppo grande per lei.

I due fidanzati si erano scambiati più di uno sguardo, carico di sottintesi, finché Kojiro non aveva focalizzato il grande orologio a muro.

"È tardi. I bambini dovrebbero già essere a letto."

Aveva sentenziato con la premura del fratello maggiore. Non aveva fatto in tempo a consumarsi tra due difficili decisioni: restare o andare a casa, la mano di Jun era stata più lesta a poggiarsi, incoraggiante, sulla sua spalla e, al contempo, Yayoi si era avvicinata con decisione.

"Resta con tua madre, Kojiro. Alle tre piccole pesti ci pensiamo noi."

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** TRE ***


Casa di Jun e Yayoi si era trasformata in un arcobaleno disordinato e colorato. I due ragazzi avevano apprezzato sin da subito la compagnia dei tre bimbi e si erano sforzati di coltivare una relazione con loro, perché fossero più ricettivi alle regole.

Indubbiamente Takeru e Masaru avevano preso subito in simpatia Jun: ricordavano bene un pomeriggio settembrino di diversi anni prima, quando un auto davvero bella si era fermata davanti l'ingresso di casa loro e quell'elegante signorino, venuto per parlare con Kojiro, non aveva avuto remore ad impolverarsi i pantaloni e a palleggiare con loro.

Per Jun era più facile farsi voler bene. Per Yayoi era diverso.


Dotata di tanta pazienza e comprensione, nei suoi modi c'era anche un pizzico di pianificazione che l'aveva portata a stilare un programma con orari stabiliti, benché sembrasse anacronistico, e più a tenerli d'occhio che ad interagire con loro attraverso il gioco.

Inoltre, benché Jun avesse preso in giro la sua eccessiva prudenza, lei aveva continuato a tenere a portata di mano una personale rubrica telefonica, con annotati i numero dell'ospedale, della stazione dei carabinieri, dei pompieri e, in cima alla lista, quello di Kojiro.

"Nel peggiore dei casi, saranno tutti indispensabili!"

A quel punto, il fidanzato l'aveva fatta sedere e, con movimenti lunghi e leggeri, aveva cominciato a massaggiarle il collo alla maniera svedese.

"Siamo due eccellenti babysitter, amore mio. Ce la caveremo alla grande!"


Ma se i due maschietti, arguti e consapevoli, capivano quello che stava succedendo e accettavano quella temporanea condizione di sbandati, per la piccola Naoko era tutto più difficile.

Non riusciva a dimenticare quella mamma spesso a letto negli ultimi tempi, era diffidente, faceva fatica ad addormentarsi e veniva svegliata dagli incubi.

Proprio dopo uno di questi sonni angosciosi e popolato da spirito maligni, aveva lasciato il suo futon e, prendendo sottobraccio il suo sdrucito orsacchiotto con un orecchio penzolante, aveva vagato a tentoni.

La luce tenue di una lampada da tavolo aveva attirato Naoko verso la stanza accanto, come un faro.

Jun aveva notato quella piccola creatura fiabesca, addossata alla parete, soltanto quando si era stiracchiato, tra uno sbadiglio e l'altro, per riposare gli occhi. Aveva richiuso il pesante tomo su cui stava studiando e, sorridente, si era accucciato alla sua altezza.

"In camera mia c'era un Yokai!

Jun non aveva riso di quell'immaginario spiritello maligno anzi, aveva preso Naoko per mano e l'aveva fatta sedere vicino a lui sul divano all'occidentale.

"Io so un segreto. So una parola magica che fa scappare tutti i mostri."

Lei era scettica e aveva rifiutato anche l'offerta del ragazzo di controllare armadi, tende e qualsiasi altro posto dove lo yokai potesse essersi nascosto.

"Alla mia mamma succederà qualcosa di brutto?"

Era una domanda schietta e diretta, di quelle che pongono i bambini. Di quelle a cui, spesso, i grandi non sanno rispondere per timore di spaventarli o farli confrontare con qualcosa di più grande di loro.

Jun, però, sapeva bene come la malattia fosse un momento delicato non soltanto per chi la viveva sulla propria pelle ma anche per le persone che gli volevano bene. Negare l'evidenza sarebbe stato inutile e dannoso.


Si era alzato, in silenzio, ed era tornato con tanto di kit da dottore. Naoko, entusiasta come innanzi ad uno scrigno di tesori nascosti, aveva avuto il consenso di svuotarlo.

Un camice bianco da laboratorio mezzo stropicciato, uno stetoscopio, un termometro, un abbassalingua...

"Queste sono alcune delle bacchette magiche che usano i dottori per far star bene le persone ammalate. Si prenderanno cura anche della tua mamma!"

Naoko aveva sorriso, per la prima volta, con fiducia e prendere confidenza con quegli strumenti medici aveva dipanato un po' delle sue paure.

Dopo averci giocato un po' era crollata, esausta, tra le braccia di Jun. E anche lui si era addormentato rapidamente respirando quel profumo buono, di latte e futuro.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CINQUE ***


Come la maggior parte dei bambini, Takeru e Masaru si erano cristallizzati dinnanzi all'urlo ben piazzato di Yayoi, quando aveva scoperto gli scarabocchi che sgorbiavano il suo libro di anatomia patologica. Naoko invece, la vera responsabile, era congelata davanti all'umiliazione di essere messa all'angolo.

Era stata una domenica da dimenticare. La ragazza aveva faticato a bilanciare pazienza, fermezza ed autorevolezza e si era rifiutata di portare i due più grandi allo stadio, a veder giocare Jun.

Non li aveva saputi conquistare ed era stato un insuccesso anche spiegare a Masaru, il maggiore, che anche gli adulti hanno tanto da fare e non possono assecondare i capricci dei più piccoli tutto il giorno.

I tre si erano dimostrati ubbidienti e rispettosi delle regole solo per poco. Appena Yayoi aveva girato lo sguardo, dimentichi dell'urlo e della minaccia, sembravano immuni ad ogni punizione.

I due maschietti si erano messi a giocare a pallone in casa, mentre la bambina aveva rovesciato quasi tutti i suoi colori per terra. Stanca di quell'iperattivismo incontrollato, dopo averle provate tutte e non saper più cosa fare, Yayoi era stata pervasa da una forza più grande di lei e non era riuscita a controllare un'infelice punizione.

"Adesso basta! Andate di la e non uscite finché non vi chiamo io!"


Quando Jun era rientrato, il loro nido d'amore non era più una di quelle case da copertina, che si affacciano sul paradiso. Era una casa vissuta, con dei bambini, con un disordine naturale e salutare che lo aveva reso felice.

"È passato uno tsunami da qui?"

La sua battuta, però, non aveva strappato nessun sorriso a Yayoi raggomitolata sul divano.

"Tre. Tre piccoli tsunami che, adesso, mi crederanno un mostro!"

Anche se dispiaciuta per essere stata costretta a fare il lavoro sporco si sentiva adesso alleggerita, liberata dalle emozioni negative.

Jun conosceva bene quella mania di Yayoi di voler tenere tutto sotto controllo così da soffocare e negare le vere emozioni sottostanti. L'aveva abbracciata, lasciando che si sfogasse.

"Non so gestire questi bambini. Ho disintegrato la loro fiducia nei miei confronti!"

Jun, che era stato un bambino tosto ricordava bene come quello fosse soltanto un atteggiamento difensivo, assunto in automatico per proteggersi, e come un animo sensibile, docile e aperto amasse le maniere dolci.

"Dobbiamo essere il loro riferimento ancora per un po' di giorni, amore mio. Devono sentirsi speciali insieme a noi e non cattivi, sbagliati o inadeguati!"


Come sempre, Jun era riuscito a riorganizzare quel percorso non semplice con complicità. E i bambini avevano del tutto scordato la severità di Yayoi quando Kojiro era venuto a prenderli per una visita in ospedale alla mamma.

Di nuovo da soli, alla ragazza non era sfuggita la venatura inquieta e malinconica che aveva indurito la mimica di Jun.

"Cosa ti turba?"

Era difficile da definire a parole ma, dietro i loro volti ormai distesi, dietro il loro vivere quotidiano, esisteva un mondo fatto di flash back ad intermittenza che tornavano continuamente alla mente, di strane sinfonie di pensieri che non avrebbero mai ammesso a nessuno.

Jun, in particolare, era fatto così: un po' misterioso e un po' geloso di tenersi dentro quelle angosce, quelle stranezze, quei sogni che avevano popolato la sua adolescenza. Era andato avanti, forse con troppa disinvoltura, e quello scambio di battute con Kojiro lo aveva mandato in confusione. Era guerra aperta adesso tra istinto e ragione, tra cuore e orgoglio.

Tuttavia aveva bisogno di spolverare quel vissuto, di ricordare con Yayoi. Insieme avevano fatto un pezzo di strada e, dopo aver sfiorato la sua vita, lei ne avrebbe fatto parte per sempre.

"Ti ricordi quando, al liceo, andavo agli appuntamenti con il cardiologo? Non volevo essere accompagnato da nessuno. Prendevo il treno, subito dopo l'ultima ora di lezione, mettevo le cuffie e mi guardavo i piedi."

La stretta calda della mano di Yayoi gli aveva infuso coraggio per proseguire.

"E quando ho avuto l'ultima crisi? Non volevo mi venisse a trovare nessuno. Mi sentivo che avevo già fatto pena abbastanza. Stavo sdraiato su quel letto d'ospedale, leggevo Dostoevskij e pensavo di dover cambiare facoltà. Probabilmente è allora che sono diventato immune agli ospedali!Non mi sono più aspettata di stare bene per più di un certo periodo, non ho più avuto ottimismo riguardo alla mia salute, capivo e pensavo che l’ospedale e io saremmo stati, per sempre, una cosa comune "

Yayoi aveva capito che quello specchiarsi in un passato doloroso significava costruire un futuro diverso da quello che avevano programmato. E ne aveva avuto paura.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** QUATTRO ***


Quando era arrivato in ospedale, Kojiro si era sentito perduto: i tanti ingressi, le scale, i lunghi corridoi, quel via vai di camici bianchi dove non sapeva distinguere i medici dalle infermiere o dagli studenti di medicina.

Tutto era sembrato confuso, disordinato e rumoroso finché non c'era stata una diagnosi per sua madre. Nei giorni successivi c'era stato il silenzio e un correre leggero, da una stanza all'altra, di giovani ragazze in camice con i lunghi capelli raccolti e un largo sorriso.

Per kojiro era diventato familiare il bianco e azzurro delle pareti, delle coperte, del reparto. Ma, soprattutto, quel parlare sottovoce e il sorriso discreto e rassicurante di sua madre, che lo avvolgeva in un'atmosfera di pace.


Non sapeva più quale fosse il mondo lì fuori, fino a quella domenica pomeriggio in cui il tempo andava al rallentatore. Aveva annaspato in un'oscurità che profumava di bagnoschiuma e disinfettante, tra cori e colori che riecheggiavano di momenti gloriosi, in quel corridoio incolore.

Jun, nella sua bellezza apollinea e nell'inconfondibile effluvio di olio di mandorle e neroli, cozzava con la puzza di stanchezza, sentina e sudore stantio appiccicato addosso a lui.

Tuttavia niente era stonato nel mezzo sorriso di Jun, reduce dalla prima partita di campionato. Reduce dal post-partita dominato da sudore, dal vapore acqueo delle docce misto alla polvere d'estate.

"Complimenti Misugi. Un buon pareggio: avete iniziato la stagione con la giusta determinazione e voglia di fare..."

L'altro si era stretto nelle spalle, deviando il discorso. Sapeva bene quanto a Hyuga mancasse lo spogliatoio.

"Come sta tua madre?"

"Nel suo caso sembra che diabete e tiroide vadano a braccetto. Non sapevo nemmeno fosse malata!"

Aveva serrato forte i pugni in quell'autoaccusa, nell'aver peccato di superficialità, ma i due colpetti che Jun gli aveva battuto sulla spalla lo avevano fatto sentire protetto, compreso. Bisognoso di sfogarsi.

"Io li odio gli ospedali!"

"Lo so. Nosocomefobia!"

Non lo aveva infastidito nemmeno il parlare erudito di Misugi.

"Cos'è?"

"La paura degli ospedali!"

Contro sé stesso, a Kojiro era scappato da sorridere.

"Non sapevo esistesse una parola per descriverla."

Jun gli si era seduto, stancamente accanto. Si era massaggiato una gamba, non tanto per lo sforzo fisico della partita, quanto per quel cassetto di umanità, inquietudini e occasioni perdute che si accingeva a scoperchiare.


" Esiste una parola per tutto. A me, invece, non hanno mai fatto paura o tristezza gli ospedali. Forse perché, come dice mio padre, ci sono abituato. Mi ricordo i giorni in cui mi visitavano fino a mezzogiorno, i periodo in cui ero da tener d'occhio. Prelievi, ecografie, sale d'attesa erano routine. Quando andavo alle superiori si sono aggiunge macchinette del caffè, barelle, day hospital, settimane d'assenza a scuola. Mi ci sono quasi giocato un anno di promozione..."

Kojiro, adesso, lo ammirava più di quanto avesse mai fatto. Stava scoprendo una potenza infinita, senza confini e senza paure. Toccava a lui lasciargli un pensiero positivo, un senso di fiducia.

"Hai carattere da vendere Jun. Nonostante tutto, vuoi fare il medico e passare la tua vita qui dove il dolore è di casa!"

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** SEI ***


Quando al liceo era stata una ragazzina timida e ansiosa, Yayoi si era aggrappata a quelle tre persone della classe con cui era più in sintonia e, intanto, sognava l'università: il luogo dove tutto sarebbe cambiato, dove sarebbe diventata una persona felice.

Aveva idealizzato quelle aule dispersive, con trecento persone sedute ogni giorno in posti diversi. Il primo mese lo aveva passato a piangere nei bagni, ad essere un pesce fuor d'acqua, a difendersi con l'indifferenza, a sedersi all'ultimo posto e fuggire via all'ultima parola del professore.

Le cose erano migliorate quando Jun aveva deciso di seguire i suoi stessi corsi. Con lui accanto non aveva mollato, era rimasta concentrata fissa sull'obiettivo fregandosene del contesto, cercando di vincere il disagio e la solitudine.

Adesso le rimbombavano in testa le parole con cui, una volta, l'aveva descritta la sua professoressa di letteratura del liceo.

Tu sei uno specchio, Yayoi! Tendi a riflettere gli altri, quindi non appari veramente.

Più si è specchi, più si è empatici e meno si lega con gli altri.

Paradossalmente era vero: per socializzare bisogna capire chi si è, non smarrirsi mai.


Fuori dall'auditorium, immersa nel giardino botanico dell'ateneo, si godeva l'espressione meravigliata e guardinga di Naoko. Dopo l'ultima settima di fuoco, in cui era stato un po' come passare in un frullatore, portare con sé la bambina all'università le aveva fatto fare un tuffo nel passato, ma anche uno nel futuro.

Yayoi si rivedeva matricola, con lo stesso spaesamento che spalancava gli occhi di Naoko.

"Non la immaginavo così la scuola dei grandi ma, alla fine, non è tanto brutta. Anche se mancano i palloncini e i banchi colorati."

La studentessa di medicina aveva sospirato piano, sentendosi inconsciamente a proprio agio adesso, dopo quell'approvazione. La domanda spontanea ed ingenua che era piovuta, immediatamente dopo, invece l'aveva spiazzata.

"Tu sei mai stata bambina?"


C'era voluto uno scricciolo di sette anni appena e dal sorriso a finestrella per porla difronte a quello specchio dove era doloroso riflettersi. Avrebbe potuto rispondere nel modo più semplice e sbrigativo, con un secco non me lo ricordo, , ma era stato il suo cuore ad aprirsi ai ricordi.

"Certo che lo sono stata! Io, da bambina, viaggiavo continuamente: viaggiavo per conto mio, nella mia testa, e incontravo una città identica all'altra, con le stesse strade, le stesse case e le stesse persone. Non sapevo ancora che il mondo fosse ovunque diverso!"

Aveva rigirato tra le mani il sacchetto con le fotocopie acquistate quella mattina, mentre Naoko si disinteressava del suo lecca lecca sempre più incuriosita dalla ragazza grande.

"Giocavi e ridevi anche?"

"Assolutamente. Sono stata una bambina felice."

Aveva puntualizzato Yayoi, un po' risentita.

"Quand'è che hai smesso di divertirti?"


La ragazza si era raddrizzata di colpo, tramortita dal ricordo di quel momento preciso che aveva chiuso le porte, definitivamente, alla spensieratezza dell'infanzia e l'aveva fatta diventare grande a dodici anni appena.

"Quando è accaduta una cosa brutta a Jun. Per molto tempo siamo stati tristi entrambi, abbiamo lottato tanto per tornare a ridere di nuovo."

Naoko aveva leccato la sua grossa caramella colorata e si era stretta nelle spalle, ondeggiando con i piedini incrociati.

"Jun ha una risata molto bella! La tua, invece, non l'ho mai sentita. Io credo che tu e Jun siete come l'acqua e l'olio!"

Era un paragone che, ancora una volta, aveva fatto riflettere Yayoi: loro due si amavano, stavano bene insieme ma dovevano imparare ad essere orgogliosi delle loro diversità.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** SETTE ***


Yayoi si era arrestata, di colpo, sul ballatoio esterno rischiando di far cascare le mele che ballavano precarie nel sacchetto della spesa. Naoko aveva levato i suoi occhi curiosi sulla giovane donna che, per nulla infastidita di essere osservata, aveva messo un dito sul naso facendo segno alla bambina di fare silenzio.

Voleva restare in ascolto di quel suono antico, di quella traccia di passato che proveniva dall'interno e le scaldava il cuore incrudito: la risata di cui era sempre stata innamorata.

In realtà per lei e Jun imparare a ridere era stato un vero e proprio esercizio: ancora troppo spesso l'espressione di riposo del viso di Jun somigliava ad un cipiglio e lei temeva il giudizio della gente, preoccupata del suono della sua.

E tanti erano stati i giorni il cui lui le aveva sorriso chiudendo gli occhi. Era una risata forte e finta: Yayoi aveva sempre creduto che Jun ridesse così rumorosamente per non farle sentire il silenzio che si portava dentro.


Quando aveva aperto la porta di casa, però, non si era minimamente preoccupata che la loro cucina sembrasse il decalogo del perfetto disordinato. Aveva sentito uno sfarfallio nella pancia nell'incrociare gli occhi lucidi del suo amore, residuo di una risata infantile, gioviale ed intelligente.

"Noi ragazzi siamo diversamente ordinati!"

Aveva cercato di giustificare quel campo di battaglia il padrone di casa, facendo l'occhiolino a Yayoi, mentre Takeru e Masaru se la ridevano sotto i baffi.

"Jun ci ha promesso di insegnarci a preparare i dorayaki!"

Tutti e quattro avevano trattenuto il fiato al cambiamento della mimica facciale di Yayoi: mentre passava un dito sul piano lavoro infarinato, aveva curvato la bocca verso il basso in un'espressione di disappunto.

In un sorriso al contrario avrebbe detto Naoko.

Con le sopracciglia aggrottate aveva fissato intensamente Jun, con un'espressione impetuosa ed intensa che lo aveva fatto sudare, finché si era avvicinata a lui fino a sfiorarlo e gli aveva incipriato il naso con il suo dito infarinato.

"Ogni cuoco che si rispetti deve sporcarsi un po' le mani, il viso ed il grembiule!"


I tre bambini avevano accolto con un hurrà entusiasta la metamorfosi della rigida Yayoi e niente era stato più divertente di mettere mano a cioccolatini, yogurt, farina e caramelle. Alla fine si erano ritrovati a giocare tutti e cinque con il cibo, scavando montagne di farina con gli stuzzicadenti e tirando i dadi fino a totalizzare il numero quattordici. Yayoi era stata la fortunata: aveva vinto un bacio al cioccolato da mangiare ma aveva protestato tanto per convertirlo in un bacio vero.

E mentre Jun l'accontentava, Naoko aveva coperto pudicamente gli occhi mentre i suoi fratelli approvavano con due fischi.


Non c'erano state storie nemmeno quando era arrivata l'ora della nanna: i piccoli Hyuga, stanchi e appagati, dopo quella giornata così speciale si erano addormentati presto con un sorriso stampato sui visi paffuti e con qualche residuo di cioccolato, e sogni di campi da calcio e aule colorate dove correre o disegnare.

Finalmente Jun e Yayoi si erano seduti sul loro divano all'occidentale, riappropriandosi di quella tranquillità silenziosa da cui erano stati sradicati da quando si erano ritrovati a fare le prove di genitori.

"Sei stata fantastica oggi con i diavoletti, amore mio!"

Yayoi si era stretta al petto ampio di Jun, lasciando che le accarezzasse i capelli in un massaggio tutto loro.

"Forse anche se siamo adulti e molto impegnati, dovremmo ritagliarci dello spazio per continuare a giocare. Io ho quasi dimenticato come si fa. Ma oggi ho dato ascolto alla bambina interiore che vive in me, che desidera sempre sorridere, essere felice e divertirsi!"

"A volte è importate riportare un tocco di leggerezza nelle nostre giornate!"

Yayoi gli aveva sfiorato la mano, mettendosi ginocchioni sul divano, decisa a chiarirsi fino in fondo.

"Ho l'impressione che quella leggerezza sia svanita dalle tue giornate, Jun. Come se per amor mio tu avessi annullato chi sei veramente. È così?"

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** OTTO ***


Dire arrivederci ai tre bambini aveva significato per Yayoi scarnificarsi, accettare quel buco nero che le abitava sotto alle viscere e oltre il confine del cuore.

Quel campanello d'allarme così intimo e scomodo, che spesso aveva finto non esistesse, la portava finalmente a ragionare su quanto le stesse accadendo, a desiderare di togliersi per un attimo dal palcoscenico della sua vita.

Appena Jun e i bambini si erano avviati verso casa Hyuga ridendo forte, Yayoi aveva appoggiato l'armatura sorridente e si era stesa sul letto con quel malessere ingombrante. Aveva accolto Madama Tristezza non come un nemico ma come un messaggero.

Non era un vuoto da colmare ma un silenzio da sostenere. Doveva accettarla, ascoltarla e poi tornare in sé.


Jun aveva ritenuto giusto restare in disparte per non intromettersi in quell'abbraccio tra una mamma e i suoi figli, tela sottile tessuta a fatica dove amore, gioia e qualche lacrima si erano intrecciate fino a renderla più forte.

Le braccia della signora Hyuga erano un universo fatto di cure minuziose, d'infinite carezze e silenzi sospesi, un porto sicuro dove tornare sempre, e un po' gli aveva fatto venire nostalgia di quell'abbraccio cambiato tra lui e sua madre, che da piccolo e stretto si era fatto sempre più ampio fino ad adesso che le braccia ricadevano lungo i fianchi.


Era stato Kojiro a fare un passo verso di lui, ingoiando l'orgoglio.

"Non potrò mai ringraziarti abbastanza per quanto hai fatto per la mia famiglia, Misugi!"

Era più di quanto ci si potesse aspettare da un tipo come lui e Jun, empatico e divertito per vederlo così in difficoltà, gli aveva fornito un assist con disinvoltura.

"Potresti offrirmi un buon caffè!"


Si erano seduti sotto la tettoia in legno, vanto di Kojiro, senza sapere bene cosa dirsi. Avevano personalità molto diverse e usare il calcio, quello che conoscevano meglio, sembrava ad entrambi troppo scontato.

Il padrone di casa aveva incrociato braccia e gambe e allora Jun aveva posto la domanda più insospettabile.

"Secondo te cosa vogliono le ragazze?"

Si era pentito immediatamente, sicuro di aver fatto una gaffe mentre Kojiro inarcava un sopracciglio e lo fissava perplesso, sicuro che fosse diventato matto.

Inaspettatamente, invece, era arrivata una risposta stringata.

"Scarpe!"

"E cos'altro?"

Kojiro aveva smanacciato infastidito.

"Oh insomma Misugi che ne so io? Non sono mica la tua posta del cuore...E poi alle donne basta il tuo acume e il tuo fascino maschile!"


Jun aveva chinato la testa, imbarazzato per essere stato tanto audace, cercando un modo per svicolare da lì.

A salvarlo era stato il tintinnio dei bicchieri sul vassoio che la signora Hyuga aveva poggiato sul tavolino in vimini, con un sorriso dolce e materno.

Si era chinata e aveva fatto una carezza a Jun prima di iniziare a parlare.

"Quello che vogliamo noi donne è complicato e tu potresti passare il resto della tua vita a cercare di scoprirlo. Alla tua lei piace essere rispettata, ascoltata, compresa, vuole dei fiori e poi vuole ridere. Lei vuole credere in te e non vuole leggerti nel pensiero. Vuole essere considerata per ciò che è e a volte, invece, vuole che tu non apra la bocca e la smetta di voler sistemare le cose."

Jun si era sentito compreso, leggero adesso che qualcuno aveva dato voce a quei dubbi che sembravano solo suoi e, invece, erano universali.

"Questo mi sembra molto difficile!"

Aveva obiettato, con un sorriso complice e determinato, rimestando il caffè ormai freddo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** NOVE ***


Da quando aveva deciso di prendere la sua vita in mano, Yayoi aveva sempre temuto il ritorno in quel pancione sicuro, nel regno rosa tenue dov'era stata adolescente.

E anche questa volta aveva avvertito quella cameretta, dall'inconfondibile stile femminile, non più sua. Ormai la sua casa e la sua vita erano altrove, con Jun, come rimarcava ogni vano in perfetto ordine; senza il vissuto e il disordinato dei tempi del liceo.

Adesso che, istintivamente aveva ceduto a quel desiderio innato di tornare all'ovile, si sentiva diversa, a disagio. Le era successo così anche la prima settimana di convivenza, come se stesse osservando con distacco dal di fuori e non riconoscesse più lei e Jun nel loro rapporto d'amore: al sabato si erano fatti una bella risata insieme e da lì aveva cominciato a sentire il nuovo nido davvero suo.


C'erano delle cose però di cui avrebbe avuto nostalgia per sempre, come il canticchiare allegro di sua madre mentre preparava la cena e la faceva tornare bambina mentre ripiegava i suoi vestiti e li metteva nell’armadio come chi li posa in una camera d'albergo.

In fondo tutto era provvisorio ma, tra cose belle e brutte, Yayoi aveva sentito di essere tornata davvero a casa quando, dopo una giornata di frasi di circostanza, aveva finalmente potuto confidarsi con sua madre.

Si erano chiuse nella camera che era stata della ragazza, rincuorate da quel codice madre-figlia e da quel rapporto di fiducia che le aveva unite da sempre.

"Allora qual è il problema tra te e Jun?"

Yayoi non era stata sorpresa da quella franchezza. I suoi genitori non erano mai stati un ostacolo alla sua libertà, non l'avevano contagiata con le loro paure o cercato di imporle la loro scala di valori.

"Il problema sono io, mamma. Ti sembrerà assurdo ma, mai come adesso, ho la sensazione netta di trovarmi nel posto sbagliato, di essere entrata nella rotella del criceto destinata a correre per sempre senza andare da nessuna parte!"

La signora Aoba aveva colto un campanello d'allarme in quella fase temporanea, che si sarebbe potuta trasformare in un preludio di declino, tuttavia aveva esibito un sorriso dolce.

"Hai bisogno di un cambiamento. Anzi avete bisogno...Io non ho mai avuto dubbi che Jun fosse quello giusto per te!"

"E se io non fossi quella giusta per lui?"


Era un ragionamento da ti lascio perché ti amo troppo , scaturito da quel senso di inadeguatezza e dal silenzio di Jun a quella domanda così chiara. Toccava a sua madre ricordarle come la verità sia l'unica amica dell'amore.

"Bambina mia, tu e Jun avete scoperto troppo presto che l'amore non è soltanto quello fatto di baci e carezze. Ci siete sempre stati l'uno per l'altra, pur tra mille problemi. Vi siete sempre capiti e sostenuti. Sai che sei stata tu il motivo per cui lui non ha mai mollato. Gli hai dato tutta la forza del mondo quando ne aveva bisogno!"

Quell'inno al coraggio aveva spazzato via i dubbi di Yayoi, il timore che non avrebbe saputo fare la mamma un giorno, il cruccio di accontentarsi di una vita di cauta sopportazione.

C'erano delle cose di sé stessa, di quei momenti trascorsi con i piccoli Hyuga che non voleva condividere con nessuno. Aveva abbracciato sua madre, lasciandosi cullare a lungo, finché i fari anabbaglianti di un auto non si erano riflessi sul vetro della finestra.

Non c'era stato bisogno di scostare le tendine. Prima di correre giù per le scale, in giardino da Jun, Yayoi aveva un'ultima domanda per sua madre.

"Tu e papà l'avete poi raggiunta la felicità?"

"Sì. E ci arriverete anche tu e Jun percorrendo una strada diversa dalla nostra!"

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** DIECI ***


Si era innamorata di Jun per quel suo equilibrio da danzatore silenzioso, per quel suo carattere adamantino, saldo e inalterabile, in qualsiasi circostanza.

Ma, soprattutto, lo amava perché non aveva paura di cadere e, anzi, ogni volta si rialzava più forte di prima.

Perciò Yayoi era arrossita come un'adolescente alla prima cotta difronte a quel sorriso malinconico che nascondeva una pienezza di vita e al bouquet di fiori di campo che lui le porgeva.

"Dobbiamo parlare!"


Era stato automatico raggiungere la panchina appena riverniciata, nel piccolo giardino sul retro di casa Aoba, al lato del grande vaso coperto da un'ampia bordura di ortensie azzurre. Da sempre era stato il loro posto speciale, dell'età dell'innocenza e del tempo che invecchia in fretta.

C'erano tanti ricordi che spaziavano dai pomeriggi fatti di granite al limone e di libri che li avvicinavano un po' di più ai loro sogni ai giorni uggiosi e surreali, di sconforto vero, in cui Yayoi si limitava a tener stretto a sé il suo Jun ferito e spaventato.

"Sai come si dice? Chi scappa vuole essere fermato da qualcuno!"

Yayoi aveva posto lo sguardo sui fiori, ancor più imbarazzata, pentita per quel colpo di testa impulsivo e fortunata, incredibilmente fortunata, ad aver lui nella sua vita.

"Mi sentivo così triste e infelice, quando dovrebbe essere il contrario, che andarmene, cercare di pensare a mente lucida, mi è sembrata l'unica soluzione per entrambi. Mi dispiace di averti fatto preoccupare!"


Jun non si era scomposto, mantenendo il suo proverbiale aplomb. Sapeva che quel dobbiamo parlare era l'incipit più temuto nei discorsi di ogni coppia, ma sapeva anche che era un passo fondamentale per ritrovare sé stessi.

"Tu stai ancora aspettando una risposta da me, Yayoi. Pensi di essere tu la causa dei miei sorrisi mutati ma non è così. Mi ci sono volute quelle tre piccole pesti per far chiarezza dentro di me e confrontarmi con quello che più temo."

La ragazza si era raddrizzata, cercando di decifrare il linguaggio del viso di Jun, lo sguardo basso e gli occhi fissi sul prato di cerca di nascondere le proprie emozioni.

"Tu vuoi giocare a pallone, vero?"

Lui non era sorpreso che Yayoi lo conoscesse così bene.

"Sì è così. Non voglio abbandonare gli studi di medicina, voglio soltanto rallentare un po'. La carriera di un calciatore è breve e la mia, lo sappiamo entrambi, sarà ancora meno lunga di qualsiasi altra. Voglio dare il massimo e trarre il massimo da questi ultimi anni che mi restano da giocare a livello agonistico, puoi capirlo?"

Yayoi si era stretta nelle spalle, cercando di metabolizzare quell'altro minuscolo cambiamento, quell'altro passo da compiere senza la salda stampella che era il sostegno di Jun.

"Devo dirti ancora una cosa, amore mio. Smettila di ingannarti, di perderti, di sorridere di facciata. Smettila di accontentarti e di non rispettarti ma, soprattutto, smettila di punirti. Piangi se ti va ma dopo perdonati e continua ad amarti. La tristezza tornerà, tutte le volte che avrai bisogno di lei."

Erano le parole giuste. Le uniche di cui Yayoi aveva bisogno in quel momento.

Aveva sorriso, leggera, ed aveva cercato la mano del suo Jun.

"Torniamo a casa nostra, adesso. Domenica giocate il posticipo e ho promesso a Takeru e Masaru che saremo allo stadio a fare il tifo per te!"

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3507885