Tu, all'improvviso...

di Magica Emy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 (parte 1) ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 (parte 2) ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Parigi, la sua seconda casa. Finalmente era tornata, e solo per restare. Sembrava passato un secolo dall’ultima volta che ci era venuta in vacanza insieme alla sua numerosa famiglia, che proprio come tutti gli anni era solita inaugurare l’estate con quel magnifico viaggio che ormai per loro era diventato come una specie di tradizione. Sì, una tradizione da mantenere nel tempo. Johanna ricordò con nostalgia quei tempi felici dove tutto sembrava andare bene per loro, ma…era anche quella una copertura? Dove finiva la fantasia e dove iniziava la realtà? Non faceva che ripeterselo, e il ricordo di ciò a cui aveva involontariamente assistito appena pochi giorni prima tornò a colpirla come un fulmine a ciel sereno, facendole un male insopportabile. Per questo aveva deciso di allontanarsi, cambiare aria le avrebbe fatto di certo bene e l’avrebbe aiutata a chiarire tutta la terribile confusione che aveva in testa. Già, più si guardava intorno e più capiva di aver fatto bene a prendere la decisione di frequentare lì l’università. Sarebbe tornata a casa per le vacanze estive, e nel frattempo avrebbe pensato al modo migliore di affrontare quella difficile situazione.  Semmai un modo fosse davvero esistito. Con quei pensieri in testa si diresse verso il bar dell’aeroporto per prendere una bibita fresca con cui avrebbe finalmente potuto dissetarsi dopo il lungo viaggio. Tuttavia non si accorse quasi che il braccio che reggeva il bicchiere pieno aveva appena urtato violentemente contro qualcosa, provocando così l’immediata fuoriuscita del goloso liquido zuccherino che, com’era prevedibile si riversò addosso al malcapitato che le stava proprio di fianco e che, al colmo dell’ira, le lanciava ora strane occhiate sinistre. Accidenti, come poteva essere sempre così maldestra?

- Ehi, tu! Ma guarda dove vai, razza di stupida impedita che non sei altro, per colpa tua la mia giacca nuova è completamente rovinata!

Lo sentì urlarle contro con malo garbo, sussultando per la sorpresa.

Razza di stupida impedita? Aveva davvero sentito bene? Sbuffò nervosamente, sforzandosi di contare fino a dieci come le aveva insegnato a fare sua madre ogni volta che qualcosa non andava per il verso giusto. Non le ci era voluto molto a capire che quella pratica, oltre che ridicola risultava assolutamente inutile nel suo caso specifico, poiché quel silenzio forzato di solito serviva a lasciarle il tempo necessario per perfezionare l’insulto, che difatti non tardò ad arrivare. 

- Ma come ti permetti, cafone che non sei altro! Non vedi che è stato un incidente? Credi forse che avessi piacere a gettarmi su di te di proposito, sottospecie di zotico impomatato? E comunque non c’è bisogno di scaldarsi tanto, in fondo è solo aranciata!

Replicò, punta sul vivo. Di tipi come quello ne era pieno il mondo, e lei non era mai riuscita a farseli andare a genio. In fondo le era bastata una semplice occhiata per capire immediatamente di che pasta era fatto. Vestito e pettinato di tutto punto come un ridicolo manichino, con tanto di orecchino al lobo e un’insopportabile aria da sbruffone prepotente che avrebbe volentieri cancellato dal suo viso con un pugno ben assestato. Sicuro, non si meritava altro che questo dopo il modo tutt’altro che cortese con cui le si era appena rivolto. E dire che non le aveva nemmeno lasciato il tempo di parlare! La ragazza che lo accompagnava, poi, non era certo da meno. La classica, odiosa principessina bionda con la puzza sotto il naso che, dall’alto del suo tacco dodici, continuava a squadrarla dalla testa ai piedi con espressione sprezzante praticamente da quando avevano avuto la sfortuna di incrociarsi. 

- Solo aranciata? Solo aranciata? È tutto qui quello che sai dire, testa d’uovo?

Insistette lui, mettendo a dura prova il suo già vacillante sistema nervoso.

- Senti, mi dispiace, ok? E se vuoi puoi portarlo in lavanderia a mie spese, ma non ti permetto di continuare a insultarmi in questo modo!

- Senti chi parla! E tu, allora, che non hai fatto che offendere da quando mi sei venuta addosso?

- Ti ricordo che sei stato tu a cominciare, io ti sono solo venuta dietro! E poi…

- Lasciala stare amore, andiamo via. Non vorrai mica continuare a perdere tempo con certa gente, e poi non vedi come è strana? La maglietta che indossa sarà almeno di due taglie più grandi, e i suoi capelli sono così crespi che di sicuro non vedranno uno shampoo da chissà quanto tempo.

La interruppe la ragazza, rivolgendosi a quello che con molta probabilità era il fidanzato, con un’aria di finto compatimento assolutamente fuori luogo che non fece che gettare ancor più benzina sul fuoco. Accidenti a loro, quei due erano decisamente fatti della stessa pasta! Bene, era il momento di passare al contrattacco. Johanna respirò a fondo, stampandosi sulla faccia un fastidioso sorrisetto sardonico mentre si avvicinava  lentamente a lei, girandole intorno con aria assorta prima di rovesciarle sulla testa ciò che restava della sua bibita preferita e con un movimento talmente rapido da lasciarli entrambi a bocca aperta.

- Beh, ho paura che tra noi due quella ad aver bisogno di uno shampoo ora sia proprio tu, mia cara! E ti suggerisco di farlo alla svelta, se non vuoi che ti si attacchi tutto. Sai, con tutta quella roba appiccicaticcia addosso non hai più un’aria così sexy, anzi, non l’hai mai avuta. A dire la verità sembri una scimmia sui trampoli! E tu, bellimbusto! Sai che ti dico? Te la meriti proprio una come lei!

Gridò, voltando subito loro le spalle e fuggendo per la via più breve, guadagnando in fretta l’uscita mentre li sentiva imprecare strani epiteti che si ritrovò a soffocare in una prepotente risata, che già sentiva gorgogliarle in gola da troppo tempo. Forse aveva un tantino esagerato, doveva ammetterlo, ma stavolta ne era davvero valsa la pena. Cavolo, la faccia di quella gallina spelacchiata con i capelli tutti bagnati non l’avrebbe di certo dimenticata tanto facilmente! Se non altro quel turbolento incontro era servito a risollevarle un po’ il morale, facendole dimenticare, anche se per poco, ciò da cui stava cercando con tutte le forze di scappare. C’era però da dire che in mezzo a tutto quel trambusto non era riuscita nemmeno a bere, perciò, dopo un giro veloce a piedi in cerca di un taxi che però non aveva trovato si era finalmente decisa ad assecondare la sua gola bruciante, spingendo le porte a vetri di un minuscolo ma delizioso locale che portava un’insegna colorata con su scritto Da Alfredo. Si accomodò immediatamente al tavolo più vicino, abbandonando le valige che si era faticosamente trascinata dietro ai suoi piedi e lamentandosi a lungo della stanchezza accumulata, finchè non realizzò che l’unica cosa di cui avrebbe davvero avuto bisogno era una bella e sana dormita. Giusto. Subito dopo aver trovato l’università, però. Frugò nelle sue tasche, sbuffando seccata. Dannazione, chissà dove aveva messo la cartina, senza non sarebbe mai riuscita a orientarsi come voleva. Lasciò vagare lo sguardo intorno, in cerca di qualcuno che potesse aiutarla in qualche maniera e alla fine la sua scelta ricadde su due graziose ragazze che, vicine al suo tavolo, si divertivano a parlottare tra loro per poi scoppiare a ridere all’improvviso, ignare di essere osservate. Sembravano simpatiche, o almeno lo sperava. Dopo la pessima esperienza avuta quella mattina, non si poteva mai dire. Si avvicinò così lentamente, annullando la già breve distanza che le separava prima di allungare loro un piccolo biglietto bianco e spiegazzato.

- Ehm, scusate…mi spiace interrompervi, ma mi stavo chiedendo se almeno una di voi potesse darmi una mano a raggiungere questo posto.

Esordì con un sorriso che le due ricambiarono, cortesi, leggendo attentamente il foglietto.

- Ma certo, è  la stessa università che frequentiamo noi ed è proprio qui vicino.

Disse la giovane mora con i capelli corti, invitandola subito a sedersi con loro.

- Non sei di queste parti, vero?

Chiese l’altra, spostando la sua sedia per farle posto.

- In effetti no, e anche se sono venuta spesso qui in vacanza non conoscevo questa parte della città, essendo originaria del Texas.

- Sei del Texas? Abbiamo un’americana a Parigi, allora!

La ragazza bionda le sorrise di nuovo e le adorabili fossette sulle sue guance presero forma, conferendole un’aria ancora più carina e simpatica. Johanna scrollò le spalle, ridendo.

- Eppure non sembra affatto – aggiunse la mora, studiando con interesse la nuova arrivata – cioè, se non ti avessi vista con tutte quelle valige al seguito non avrei mai pensato che fossi una forestiera, considerando il fatto che parli molto bene il francese.

La giovane americana spiegò che aveva avuto modo di perfezionarlo durante i suoi numerosi viaggi e che quindi non sarebbe stato affatto un problema per lei relazionarsi alla gente del luogo, ma quando le domandarono il motivo del suo trasferimento assunse d’un tratto un’aria molto tesa e seria, preferendo tergiversare e spostare la conversazione verso altri binari che le avrebbero sicuramente provocato meno imbarazzo.

- Allora, ce l’hai già un posto dove alloggiare? Perché, se ti interessa, noi ne abbiamo uno libero. La nostra compagna di stanza si è appena trasferita in un’altra città, così siamo rimaste in due, inoltre è semplice raggiungere i dormitori. Sono praticamente vicini all’università.

Propose la bionda, posandole una mano sulla spalla in segno di benvenuto. Johanna emise subito un gridolino di pura gioia, stringendole poi entrambe in un abbraccio che le lasciò un po’ perplesse, poiché da quelle parti non erano di certo abituati a frequentare gente così…espansiva. Però andava bene così, in fondo aveva subito intuito che quella che si trovava di fronte non era certo una ragazza comune, e anche se il suo modo di fare e di vestire appariva un po’ stravagante la trovava comunque divertente, ed era sicura che quella nuova convivenza avrebbe riservato loro molte gradite sorprese.

- Il mio nome è Hèléne – si presentò – e questa ragazza vicino a me si chiama Cathy, ed entrambe siamo liete di fare la tua conoscenza…

Esitò, come si aspettasse qualcosa e Johanna si diede una manata sulla fronte, dandosi della stupida per aver dimenticato di presentarsi subito.

- Johanna – disse, spostando lo sguardo dall’una all’altra – sono Johanna, e non so davvero come ringraziarvi per essere state così gentili con me. Accetto volentieri di diventare la vostra nuova compagna di stanza, e per festeggiare vado immediatamente a prendere da bere, e anche da mangiare visto che sto morendo di fame!

E fece per rialzarsi velocemente dalla sedia, ma si accorse troppo tardi che la sua manovra, forse un po’ troppo azzardata rischiò quasi di mettere k.o il giovane che stava entrando e che proprio in quel momento si trovava dietro di lei. Sentendolo imprecare a denti stretti, ennesima vittima della sua maledetta sbadataggine gli si fece incontro per scusarsi, ma le parole le morirono in gola non appena si accorse di chi aveva di fronte.

- Ancora tu? Non posso crederci, oggi sei proprio una persecuzione! Quando imparerai a usare bene quei piedi ingombranti che ti ritrovi, si può sapere? E ringrazia pure il cielo di essere una donna, altrimenti a quest’ora ti avrei già picchiato come meritavi!

Esclamò lui, furioso, raggelandola con un’occhiata sinistra che anziché spaventarla la fece subito scoppiare a ridere, in ricordo di ciò che era accaduto all’aeroporto. L’evidente macchia di aranciata sulla manica della sua giacca e il suo sguardo  spiritato su un’espressione incredula contribuirono ad accrescere la sua ilarità, mentre lo guardava con gli occhi sgranati, indecisa se ribattere o no a quello che era uno dei tanti insulti che nell’arco di una sola giornata era riuscito a rivolgerle. Però, poteva davvero vantare un bel record, nessuno era mai arrivato a tanto.

- Oh, ma guarda chi si rivede, pensa un po’ come è piccolo il mondo! Mi sa proprio che chi deve ringraziare il cielo in realtà sei tu, perché a differenza di quello che pensi i miei piedi funzionano talmente bene che in questo momento potrei persino sollevarti da terra a suon di calci nel sedere, piccoletto come sei, e che se non lo faccio è perché sono troppo educata per abbassarmi al tuo livello! A proposito, come sta la tua dolce metà? Spero che il ricordino che le ho lasciato sia venuto via, alla fine!

Rispose senza smettere di ridere e lui, palesemente indignato si limitò a pestare un piede per terra in segno di protesta prima di girare sui tacchi e infilare la porta, desideroso d’un tratto di mettere quanta più distanza possibile tra lui e quel terremoto ambulante che sperò con tutto il cuore di non ritrovare mai più sulla propria strada.

- Accipicchia com’era arrabbiato, si può sapere che cosa gli hai fatto?

- Meglio non averci a che fare con quel tipo, è veramente insopportabile, oltre che parecchio inquietante.

Commentarono le sue nuove amiche, lasciandola di stucco.

- Volete dire che…voi lo conoscete?

- Certamente – rispose Hèléne, abbassando la voce con fare cospiratorio –  frequentiamo la stessa facoltà, purtroppo, e il suo nome è…

 

 

4 novembre 1993

 ore 23,30

Christian Roquier. Già, beh…non credo che ormai dimenticherò facilmente quel nome, né soprattutto chi lo porta. Hèléne mi ha raccontato che divide la stanza con due ragazzi molto carini e simpatici e che uno di questi piace molto a Cathy, il guaio è che lei non ha mai il coraggio di dichiararsi e questo le rende le cose un tantino difficili da portare avanti, specialmente perché a quanto pare frequenteremo tutti lo stesso posto. Cavolo, la sola idea di dover essere costretta a incrociare ogni giorno quella sottospecie di damerino da strapazzo mi fa letteralmente rabbrividire. Sul serio, giuro, non credo di aver mai incontrato un individuo più spregevole e maleducato di lui in tutta la mia vita, e quell’oca bionda che si portava dietro non era certo da meno. Comunque sia non ho alcuna intenzione di spendere una parola di più a riguardo, ragion per cui adesso mi concentrerò solo sulla mia nuova vita e sulle mie nuove, meravigliose amiche che adesso, dopo avermi pregata di raccontar loro i vari aneddoti più divertenti delle mie parti sono letteralmente crollate dal sonno, lasciandomi così libera di guardarmi intorno in questa stanza totalmente nuova per me. È carina, ben curata e il mio letto è molto accogliente, ma stasera faccio davvero fatica a prendere sonno. Sarà che domani è il mio primo giorno all’università, e sono tesa come una corda di violino. Quasi quasi mi preparo una camomilla e poi ascolto un po’ di musica, mi aiuta sempre a rilassare i nervi. Che poi…come accidenti si è permesso di insultarmi a quel modo? Avrei proprio voglia di stringergli le mani intorno al collo per strangolarlo a dovere. Sissignore, è proprio questo che si merita. Urlarmi contro che sono una stupida impedita…ma chi si crede di essere quell’idiota?è  solo un insopportabile pallone gonfiato senza un briciolo di educazione, ecco. Oh, si può sapere perché ne sto ancora parlando?Basta così ho detto, non merita un grammo della mia attenzione. Ecco perché, mio caro e fedele diario, da questo momento mi dedicherò solo ed esclusivamente alla descrizione dettagliata della meravigliosa Parigi e di tutto ciò che racchiudono le sue splendide vie piene di sole. Gli zotici, ad esempio. Proprio così, non si può più camminare tranquilli per i propri affari senza incappare in qualche odioso, lascivo, arrogante,disgustoso e impertinente zotico completamente privo di gusto estetico, tra le altre cose, perché a mio parere quell’insulsa giacca che indossava ha acquistato colore solo dopo che gli ho versato addosso l’aranciata, e comunque può ficcarsela dritta in quel posto insieme a tutti gli orribili appellativi che mi ha riservato. Per non parlare del suo sguardo, poi, così severo ma nello stesso tempo così sfuggente e misterioso, e quella detestabile aria da figo per eccellenza che mi dava letteralmente sui nervi e che lo rendeva così…così maledettamente attraente e irresistibile. Oddio, cos’è che ho appena detto?Beh, in realtà volevo dire…sì, decisamente, irrimediabilmente irresistibile. Accidenti a lui!

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Gettò la giacca sul letto con furia, togliendosi velocemente le scarpe e scaraventandole in un angolo lontano della parete, facendo così trasalire i suoi compagni di stanza che ora lo fissavano stupiti.

- Si può sapere che ti prende, Christian?

Esclamò uno di loro allargando le braccia, avido di risposte.

- Già, che significa? – gli fece eco l’altro – E poi che ci fai qui, scarmigliato e di malumore? Non che la cosa sia insolita trattandosi di te, intendiamoci, ma pensavamo che a quest’ora fossi già in viaggio con la tua bella a consumare il super week end focoso di cui non fai che parlarci da giorni!

- Già, e invece sono qui! La cosa vi disturba, per caso?

Ribattè rabbioso, fulminandolo con lo sguardo.

- Lascia perdere, Ethienne. Lo sai che con lui è inutile discutere, probabilmente hanno rotto e non vuole parlarne. Del resto, non è in grado di portare avanti una relazione per più di una settimana. Povere ragazze, le farà scappare tutte quante col caratteraccio che si ritrova!

Lo prese in giro il primo ed entrambi scoppiarono a ridere, facendolo andare su tutte le furie.

- Si dà il caso – disse, scandendo bene le parole come se parlasse a dei perfetti imbecilli – che io e soltanto io ho sempre lasciato una ragazza per primo, e che fino ad ora non mi risulta sia mai accaduto il contrario, caro Nicolas. Perciò adesso chiudete quello stupido becco parlante e lasciatemi in pace, voglio solo dormire e dimenticare in fretta questa assurda giornata, così come i vostri commenti idioti!

- Hai detto bene – rispose il ragazzo, facendo spallucce mentre si avvicinava a lui per sedergli accanto e ignorando completamente le sue proteste – fino ad ora non è mai successo, ma un giorno incontrerai anche tu la ragazza giusta e allora tutto ti sembrerà diverso. Il tuo cuore inizierà a battere all’impazzata ogni volta che la vedrai, e da quel momento non avrai occhi che per lei…

- Accidenti che romantico, se continui così mi farai commuovere! Ma sai che c’è, Nicolas? Io non sono te e non lo sarò mai. Cadere ai piedi di una ragazza...puah, non ci penso nemmeno! Le ragazze portano solo guai. Vanno bene per divertirsi un po’, questo non lo nego, ma poi hai bisogno di respirare. Di goderti la libertà, e a proposito di libertà, ora ho tutta l’intenzione di mettermi a dormire perciò vedi di sgombrare dal mio letto, intesi?

Lo interruppe, sbuffando seccato. Tutte quelle stupidaggini cominciavano seriamente a stancarlo. Non gli sembrava di chiedere troppo in fondo, solo un po’ di silenzio per riuscire finalmente a togliersi dalla testa quella specie di squilibrata che con il suo comportamento da folle era riuscita a mandare completamente a monte i suoi piani. Già, per colpa sua era stato costretto a riaccompagnare Therese a casa, che per tutto il tragitto non aveva fatto altro che urlare e strepitare che non avrebbe avuto alcun senso partire se la sua elaborata acconciatura era ormai miseramente rovinata,  costringendolo a mordersi le labbra più volte per sfuggire alla tentazione di urlarle in faccia che non era certo stata l’unica vittima di quella sgallettata vestita da clown visto che, per sua informazione, la sua giacca nuova era andata completamente rovinata e che nemmeno la migliore delle lavanderie avrebbe più potuto riportarla come prima, ridotta com’era. Accidenti, se solo ci pensava gli andava il sangue alla testa. Ma il viaggio andato a rotoli non bastava…quante probabilità c’erano di incontrarla, o meglio di tornare a scontrarsi con la causa di tutti i suoi mali? Ma lei era lì, in agguato anche al bar che era solito frequentare, aspettandolo apposta per travolgerlo con la sua maledetta sedia e continuare così a rovinargli l’esistenza a tempo indeterminato. Gente così dovrebbe restarsene tappata in casa, invece lei se ne andava in giro a fare il diavolo sa cosa e per di più da Alfredo, luogo riservato solo ed esclusivamente agli studenti universitari…

Studenti universitari?

Per l’appunto, non avrebbe dovuto trovarsi lì. E se…no, si costrinse a scacciare con forza quell’atroce dubbio che lo aveva appena assalito, stendendosi sul letto per provare a chiudere gli occhi almeno per un paio d’ore, ma la voce dei suoi compagni lo distrasse nuovamente da quell’intento, facendolo imprecare a denti stretti.

- Su, togliti quel broncio ora, perché la notizia che stiamo per darti ti farà tornare il buonumore.

- E, trattandosi di te, l’impresa è davvero ardua. Perciò apri bene le orecchie amico, perché si tratta di una cosa davvero importante! Non crederai mai a ciò che…

- Oh, insomma voi due – li interruppe, ormai al limite della sopportazione – volete piantarla di continuare a girarci intorno? Sputate il rospo, e fatelo adesso!

A quel punto Nicolas si rialzò in piedi, mimando un simpatico rullo di tamburi mentre esclamava con un largo sorriso: - Ricordi il proprietario del garage a cui eravamo interessati? Ebbene, oggi l’ho finalmente convinto ad affittarcelo! È nostro ragazzi, ce l’abbiamo fatta!

- Che cosa? Vuoi dire che potremmo…potremmo davvero cominciare a suonare tutti insieme?

Gridò Christian improvvisamente euforico, saltando giù dal letto come una furia per stringere l’amico in un forte abbraccio che per un attimo lo colse di sorpresa, facendolo scoppiare a ridere. Aveva ragione, il suo umore era appena salito alle stelle. I tre amici passarono il resto del pomeriggio e almeno metà della serata a sistemare i loro strumenti musicali nel minuscolo ma già accogliente garage che da quel momento in poi sarebbe diventato la loro seconda casa, luogo di un sogno finalmente realizzato. Sapevano bene che la strada per sfondare nel mondo della musica era ancora lunga, ma quello rappresentava pur sempre un buon inizio. Christian rimirò soddisfatto la sua preziosa batteria tirata a lucido per l’occasione, pensando a quanto, da quando si erano conosciuti l’anno prima, avevano desiderato  rendere reale il comune, ardente desiderio di formare una band tutta loro. Ora erano a un passo dal farlo, e per lungo tempo nessuno di loro fu in grado di trattenere la gioia provata a una simile, nuova prospettiva. Quella notte il giovane non riuscì quasi a chiudere occhio, eccitato com’era, col risultato che la mattina dopo si ritrovò delle occhiaie talmente evidenti che se non avesse prestato abbastanza attenzione avrebbe finito di sicuro per pestarsele sotto le scarpe. Lanciò un’occhiata furtiva in direzione degli amici: nemmeno loro sembravano avere una bella cera. Ma era più che comprensibile, visto l’enorme e meraviglioso cambiamento che le loro banali esistenze avrebbero subìto di lì a poco. Fu con quei gioiosi pensieri in testa che fischiettando arrivò all’università, assolutamente ignaro dell’odiosa sorpresa che tra non molto avrebbe inevitabilmente spento il suo sorriso… 

 

5 novembre 1993

Ore 23:46

Ma cosa ho fatto di male per meritare tutto questo, cosa? Non riesco a crederci, porca miseria, sembra proprio che questa stupida sfiga che si diverte a tormentarmi non ne voglia proprio sapere di andare a dar fastidio a qualcun altro! Ebbene sì, i miei timori erano fondati. Non solo da adesso in poi frequenteremo la stessa università, ma anche lo stesso corso! Di chi sto parlando? Ma di colei che fin dal primo momento mi ha reso la vita impossibile, di chi altri sennò? Johanna McCormick, questo è il suo nome, ed è americana. Viene dal Texas, quello strano posto pieno di praterie e cavalli di cui non ha smesso di parlare un attimo da quando ci siamo incrociati in corridoio stamattina, e questa non è nemmeno la parte peggiore. Sicuro, perché per tutto il tempo delle lezioni non ha fatto altro che fissarmi insistentemente,ma chi si crede di essere quella? Se spera che dopo tutto quello che è successo le permetterò di avvicinarsi ancora a me si sbaglia di grosso, chi le dà il diritto di mettersi a fare conversazione a quel modo? Accidenti, neanche la conosco io, pensa forse che mi interessino tutti i suoi ridicoli discorsi sulle stravaganti usanze delle sue parti e altre sciocchezze simili? A un certo punto, poi, si è persino messa a parlare di organizzare una cena o roba del genere, ma a quel punto non la stavo più ascoltando perché il mio unico desiderio era quello di tornare al garage il prima possibile, e probabilmente lo avrei fatto se solo Nicolas ed Ethienne si fossero staccati un attimo da Hèléne e Cathy, con cui a quanto pare quella folle sgallettata divide la stanza. Non è che le conosca poi così bene, e non mi interessa nemmeno farlo visto che a malapena ricordo i loro nomi, ma il fatto è che Nicolas è praticamente perso dietro alla biondina e ogni occasione è buona per mettersi a fare conversazione sugli argomenti più banali al solo scopo di riuscire in qualche modo a conquistarla, impresa più che ardua visto che lei praticamente sembra non filarselo nemmeno. Per forza, è così imbranato da darmi sui nervi, se solo me lo chiedesse gliela darei volentieri io qualche lezione su come si rimorchia una ragazza. Sono circondato da un branco di impediti senza speranza, è questa la verità. Ma sarebbe così semplice in fondo, del resto le pollastre sono tutte uguali. Proprio così, non c’è alcuna differenza tra loro. Possono variare occhi, capelli e quant’altro, ma saranno sempre più che semplici da gestire, è questo che non entra in testa ai miei sfortunati amici, che invece se ne vanno sempre in giro a bocca asciutta. Cosa assolutamente ovvia,visto che non posseggono nemmeno un briciolo del mio sex appeal, ma non stavamo parlando di me, giusto? Parlavamo di ragazze, mio vecchio e fedele compagno di avventure, e anche se è vero che sono tutte uguali anche fra loro esiste l’eccezione che conferma la regola, e nel caso specifico questa ha anche un nome. Già, proprio così, quella ragazzina senza arte né parte manca completamente di femminilità, e quei maglioni troppo larghi la fanno assomigliare tanto a una specie di buffo spaventapasseri. Inoltre è rumorosa e irritante al punto giusto, non smette un attimo di parlare e quelle rare volte in cui lo fa ci pensano i suoi occhi a parlare per lei. Sì, i suoi occhi chiari e profondi, sono la prima cosa che ho notato di lei, a essere completamente sincero. Dalla prima volta che l’ho vista ho sempre evitato di incrociare il suo sguardo, non so perché, forse volevo solo proteggermi. Sono pericolosi, lei è pericolosa, e io…potrei anche rischiare di perdermici in quegli occhi. E questo no, non posso assolutamente permettermelo.    

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


- Come accidenti ti è venuto in mente di invitare i ragazzi alla cena del mio compleanno? Doveva essere una cosa intima, solo tra noi tre, invece guarda in che cosa l’hai trasformata! Oddio, mi domando cosa penserà di me Ethienne, adesso!

Esclamò Cathy, usando un tono insolitamente aspro mentre in preda all’angoscia passeggiava su e giù sotto gli occhi delle sue compagne di stanza, che ora la osservavano basite.

- Penserà che invece di continuare a crogiolarti nelle tue assurde paure, tu abbia finalmente deciso di uscire allo scoperto. Sai, non ci vedo proprio nulla di male in questo.

Replicò Johanna con un sorriso tirato, scuotendo lentamente la testa e pensando che la reazione dell’amica fosse oltremodo esagerata. Insomma, in fondo voleva solo aiutarla a prendere un po’ di coraggio!

- Invece no, te lo dico io cosa penserà. Penserà che sono solo una sfacciata e si ritroverà a rimpiangere di avermi mai conosciuta!

Piagnucolò l’altra, e senza nemmeno degnarla di uno sguardo corse a chiudersi in bagno nella speranza che un bella doccia rigenerante l’avrebbe finalmente aiutata a distendere i nervi tesi. A quel punto Hèléne fece spallucce, raccogliendosi sulle ginocchia in cerca di una posizione più comoda prima di lanciare a Johanna un’occhiata curiosa ma densa di significati.

- Non badare a quello che dice, vedrai che le passerà.

Le sussurrò e la vide voltarsi lentamente verso di lei, sbuffando seccata.

- Lo spero, manca solo una settimana al suo compleanno, e se ha intenzione di affrontarlo con un simile stato d’animo…

- Vedi, Cathy è molto timida e non è abituata a certi gesti di intraprendenza, ma non ce l’ha con te. Non te la prendere.

La interruppe la ragazza, sperando così di chiarire una volta per tutte quel tremendo equivoco. Anche se il suo modo di fare a volte lasciava un po’ a desiderare, Johanna era comunque molto simpatica e non avrebbe voluto che si allontanasse da loro per colpa di una discussione così banale. Sperò non dovesse mai succedere, poiché la sua compagnia era davvero piacevole, Quella ragazza era un uragano di sorprese, e con le sue idee strampalate riusciva sempre a strapparle un sorriso anche quando sembrava impossibile.

- Non me la prendo mica, davvero, è solo che…l’ho fatto per farle un favore, sta tutto il giorno a sbavare dietro a quel ragazzo! Così ho pensato che fosse una buona idea invitarlo a cena per festeggiare insieme a noi il suo compleanno. Tutto qui.

Chiarì, convinta che fosse la cosa più naturale del mondo tentare un approccio con la persona per la quale si comincia a provare qualcosa, o almeno così funzionava dalle sue parti. Lei stessa non aveva mai aspettato che un ragazzo che le piaceva le rivolgesse la parola per primo, e poi, diamine, perché avrebbe dovuto? Non c’era nulla di più bello che godersi i propri sentimenti fino in fondo, e comunque era l’unico modo che conosceva per capire se sarebbe stata ricambiata oppure no. Già, forse però le cose a Parigi funzionavano in modo completamente diverso.  

- Beh, passi pure per Ethienne, ma quello che non capisco è perché tu abbia per forza voluto estendere l’invito anche agli altri due.

La voce di Hèléne tornò a insinuarsi tra i suoi pensieri, costringendola a concentrarsi sulle sue parole.

- Ma scusa, che male c’è? – replicò infatti -  Non ho potuto fare a meno di notare che il biondino...

-  Nicolas, si chiama Nicolas.

La fissò con un sorriso furbetto stampato sul volto. Come mai ricordava così bene il suo nome?

- Bene, Nicolas ti fa una corte spietata, così ho pensato di fare un favore anche a lui.

L’amica scosse la testa, divertita.

- Ah, sì? E Christian, invece, lo hai invitato per fare un favore a te stessa, non è vero?

Johanna sgranò gli occhi, drizzando di colpo le spalle.

- Che intendi dire con questo?

Chiese curiosa.

- Andiamo Johanna, credi forse che non abbia gli occhi? Ho visto benissimo come lo guardavi.

La giovane americana scoppiò in una sonora risata.

- E come lo guardavo?

Hèléne incrociò le braccia al petto, alzando gli occhi al cielo.

- Come si guarda una fetta di torta al cioccolato! Lui ti piace, ammettilo.

La verità di quelle parole la colpì come uno schiaffo in pieno viso, costringendola a fare i conti con la realtà. Una realtà che in fondo non si sarebbe mai sognata di negare, anche se la situazione era più complicata di così. Lui era decisamente complicato.

- Ecco…a dire il vero non ho ancora deciso, ma adoro scoprire le persone e in lui c’è qualcosa che mi incuriosisce. Sono sicura che dietro a quella sua aria di sbruffone arrogante si nasconda molto di più.

Hèléne sospirò, sollevando le mani in segno di resa.

- Se lo dici tu.

Rispose, e avrebbe aggiunto dell’altro se Cathy, uscita improvvisamente dal bagno e avvolta da un candido asciugamano non le avesse nuovamente raggiunte, chinandosi sull’amica comune per stringerla in un forte abbraccio che la colse di sorpresa, lasciandola comunque piacevolmente colpita.

- Oh Johanna, mi dispiace di averti urlato contro. So che lo hai fatto per me. Scusami.

Disse dispiaciuta ma il suo largo sorriso dissipò ogni ombra tra loro, e non ci fu bisogno di altre parole. Il giorno successivo, dopo le lezioni e una breve e simpatica chiacchierata da Alfredo, i ragazzi invitarono le tre amiche a visitare il garage che avevano da poco preso in affitto. Avevano parlato loro della grande passione che li accomunava, quella della musica, e del sogno di formare un giorno una band che li avrebbe resi famosi. Senza rendersene conto Christian si era tanto infervorato sull’argomento che ora gli brillavano gli occhi, cosa che a Johanna, impegnata a seguire costantemente ogni suo movimento, non era certo sfuggita. Ma, all’invito esteso dai ragazzi parve reagire in modo del tutto inaspettato, rabbuiandosi all’istante e assumendo quell’espressione corrucciata che era ormai il suo carattere distintivo e che agli occhi altrui lo rendeva estremamente irritante.

- Scusate, ma…deve per forza venire anche lei?

Replicò senza mezzi termini, indicando l’americana che ora lo fissava sgomenta.

- E piantala di fare il maleducato – si affrettò a rispondere Nicolas, terribilmente imbarazzato per quelle sgradevoli parole – certo che viene anche lei, ovvio! Non vorrai mica che la piantiamo qui tutta sola, no? Una ragazza così carina, poi!

- Non vedo proprio per quale motivo debba venire insieme a noi, e il fatto che sia molto carina non è per niente una giustificazione…cioè, volevo dire…vi muovete, sì o no? Non voglio certo diventare vecchio aspettando che vi decidiate ad alzarvi da tavola!

Si riprese all’improvviso, tenendo lo sguardo basso per provare a non arrossire. Se solo avesse potuto cancellare le parole appena pronunciate…

Fu allora che Ethienne, rimettendosi in piedi lo colpì giocosamente sulla spalla, esclamando allegro: - Perdonate il suo innato talento nell’ essere scorbutico, voi non lo conoscete bene ma in fondo è molto meglio di quanto dimostri di essere.

- Già – gli fece eco Nicolas – molto in fondo. Così in fondo che non si vede per niente!

Tutti risero a quella battuta, tutti tranne il diretto interessato, che continuò a guardare in cagnesco l’amico finchè non lasciarono il locale…

 

 

7 novembre 1993

Ore 23.00

Ha detto che mi trova carina! Cioè, lo ha detto proprio. Non credo di averlo sognato…Oddio, è davvero possibile che lo abbia sognato? No, assolutamente no, ricordo ancora bene la sua espressione mentre cercava goffamente di rimangiarsi quelle parole. Oh, era così tenero quando abbassava lo sguardo per paura di incrociare il mio! Il guaio è che per tutto il tempo, in garage non mi ha praticamente considerata, e quando ho provato a usare la batteria sperando così di attirare la sua attenzione si è messo a urlare come un matto, e l’unico risultato che ho ottenuto è stato quello di farlo innervosire ancora di più. Ma cavolo, è così affascinante quando si arrabbia! Ecco, l’ho detto di nuovo. Mi sa tanto, mio caro diario, che a questo punto io sia assolutamente, irrimediabilmente cotta di lui. L’unico problema è che ho di fronte un osso duro, e riuscire a conquistarlo non sarà affatto un’impresa  semplice…

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nello stesso istante in cui l’aveva vista entrare da quella porta, la sua mente aveva smesso totalmente di pensare. Sì, si era chiesto parecchie volte in quei giorni come interpretare il silenzio di Therese e cosa fare della loro relazione, se davvero così si poteva definire, ma quella sera nulla importava. Nulla se non lei e lo splendido abito a fiori che con disinvoltura stava sfoggiando mentre prendeva lentamente posto vicino a lui, lanciandogli uno sguardo sornione che valeva più di mille parole. Uno sguardo che Christian però fece di tutto per provare a ignorare, voltando la testa dall’altra parte per non permettersi di fissare troppo a lungo quell’insolita scollatura che gli stava già mettendo strane idee in testa, e che non era proprio da lei. La sua vicinanza e il suo profumo inebriante lo stordivano, lasciandolo piacevolmente colpito, tanto che per un attimo aveva completamente dimenticato di aver quasi litigato con i suoi amici quando lo avevano praticamente costretto a seguirli a quella stupida festa di compleanno di una ragazza che nemmeno aveva voglia di conoscere. Per quale motivo avrebbe dovuto, in fondo? Solo perché piaceva al suo compagno di stanza? Avrebbe di certo potuto impiegare il tempo in maniera migliore, studiando ad esempio, o esercitandosi con la batteria ma, strano a dirsi, adesso era contento di aver accettato l’invito. Johanna era bella, eccome se era bella, e quel cambiamento non se lo aspettava di certo. Ma non lo diede a vedere, facendo ogni sforzo possibile per ignorare lo strano rimescolìo nello stomaco che la ragazza sembrava provocargli. Una sensazione mai provata prima e alla quale non seppe dare un nome, ma che per gran parte del tempo lo mise terribilmente in imbarazzo, spingendolo a tirar fuori la parte peggiore di sé. Se ne uscì così con una battuta infelice che spense in un attimo il radioso sorriso di chi gli stava accanto, trasformandolo ben presto in una triste smorfia di dolore che la giovane americana, invano, tentò in tutti i modi di nascondere per gran parte della serata. Già, quell’inutile considerazione su quanto apparisse goffa e ridicola in quella veste così elegante, lei che pareva avere il sex appeal di un surgelato la colpì nel profondo, costringendola ad ammettere con se stessa che forse aveva ragione lui. Mettersi in ghingheri a quel modo solo per una semplice serata come quella, e solo perché sapeva che sarebbe venuto anche lui…come le era venuto in mente? Cosa aveva sperato di ottenere, la sua approvazione, forse? Sperava che sarebbe bastato mettersi un paio di tacchi per conquistare il suo cuore? Bene, ora lo sapeva, non avrebbe mai avuto alcuna speranza con lui, poiché l’unica cosa che aveva ottenuto era stato mettersi in ridicolo di fronte a tutti. La sua smorfia di scherno era insopportabile, ma decise di stringere i denti e fingere indifferenza per tutto il resto della serata. L’ultima cosa che voleva era rovinare la festa a Cathy. Non poteva certo sapere che quella smorfia di scherno che tanto era riuscita a ferirla era anche l’unica che Christian conoscesse, e che era solito assumere ogni volta che qualcosa lo turbava. E quell’impertinente chiacchierona lo aveva turbato nel profondo, costringendolo a trincerarsi dietro a un odioso atteggiamento che ora, mentre la guardava di sottecchi, lo riempiva via via di un fastidioso malessere di cui si accorse, stavolta, di conoscere bene il nome. Senso di colpa. Puro e semplice. Era questo che stava provando. Sapeva che avrebbe dovuto scusarsi per quella frase spiacevole che l’aveva ammutolita di colpo, ma sapeva anche che il suo orgoglio sarebbe stato più forte di tutto. Il fanciullesco, insopportabile orgoglio maschile che da sempre gli bruciava dentro, manovrandolo a piacimento proprio come uno stupido burattino. Era a questo che stava pensando mentre, sentendosi addosso il suo sguardo, si sforzava ancora una volta di ignorarla…

 

14 novembre 1993

Ore 23.45

 

Non sono pronto per andare a dormire. Non so proprio come facciano Nicolas ed Ethienne a russare già da almeno dieci minuti buoni, ma forse è meglio così. Se si accorgessero che tengo un diario e che la sera non posso fare a meno di scrivere, credo che mi prenderebbero in giro per il resto della mia vita. E poi la mia reputazione da “cuore di ghiaccio” sarebbe distrutta per sempre, e non voglio certo che si arrivi a una cosa del genere. In questo mondo se non ti costruisci una reputazione non avrai mai il rispetto di nessuno, e io ho faticato molto per costruirmela. Sì, è proprio così, ed è per questa ragione che non posso permettere alla prima, sciocca ragazzina che passa di distruggerla come un palazzo di cartapesta. Nossignore, non esiste. Lei non esiste. Chi è in fondo, e perché mi fa sentire così? Ogni volta che la guardo, o che le sto vicino, tutto sembra cambiare colore. E quegli occhi…quegli occhi mi stordiscono, il suo profumo mi stordisce, facendomi sentire come se tutto fosse possibile. Facendomi completamente perdere il controllo. Ma che cosa vuole da me, che diritto ha di farmi questo? Maledetto il giorno in cui mi è capitata tra i piedi. Eppure…eppure c’è qualcosa in lei, nella sua risata,  qualcosa che mi fa dimenticare tutto ciò che mi circonda, confondendomi le idee.

L’unica certezza, adesso, è che il cuore di ghiaccio si sta miseramente sciogliendo…ed io non ho nessuna idea di come fare a impedirlo.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


- Tu pensi…che io sia davvero inadatta a indossare un vestito del genere?

Disse a testa bassa, la voce ridotta a un impercettibile sussurro che impensierì non poco Hèléne, poiché dimostrava quanto ancora pensasse a quelle parole velenose e insensate che di certo non meritava di sentire, e che forse erano riuscite a ferirla molto più di quanto desse a vedere.

- Ma no, Johanna – rispose con convinzione – assolutamente no. Non devi nemmeno pensarla una cosa del genere, sei bellissima e lo sei stata per tutta la serata. Non dar retta a quello che ti ha detto quel ragazzo, è solo un idiota e non devi mai più pensare a lui. Non te lo meriti proprio uno così.

- Concordo – si intromise Cathy, che era appena uscita dal bagno avvolta da un accappatoio colorato e che evidentemente non si era persa una parola di quello spiacevole dialogo – non badare a lui, è soltanto un cafone. Uno così è meglio perderlo che trovarlo.

L’americana si strinse nelle spalle, sbuffando un paio di volte. La sua mente, ormai annebbiata dai fumi dell’alcool che si era generosamente concessa quella sera tra una portata e l’altra, non era certo preparata ad affrontare un argomento del genere. Domani, più lucida ci avrebbe di certo riprovato. O forse no, non ne valeva la pena. Aveva solo bisogno di prendere un po’ d’aria, adesso.

- Io esco un po’. Torno tra poco, non aspettatemi sveglie.

Fu tutto ciò che disse, lasciando le amiche a bocca aperta.

- Ma scusa, dove vai tutta sola a quest’ora? E poi siamo appena rientrate, non è meglio mettersi a dormire?

Johanna la ignorò e di fronte alla sua espressione risoluta Cathy non potè far altro che assecondarla, osservandola basita mentre lasciava la stanza, richiudendosi  silenziosamente la porta alle spalle senza nemmeno voltarsi indietro.

- Quella ragazza mi preoccupa.

Sussurrò poi rivolta a Hèléne che, dal canto suo, non potè che trovarsi d’accordo con la ragazza.

- Su, andiamo a dormire ora, immagino sia meglio fare come ha detto lei. Credo che abbia bisogno di restare un po’ da sola.

 

Era già fuori da un po’ e forse sarebbe stato meglio rientrare, ma la verità era che non ne aveva affatto voglia. Il cielo si era però oscurato rapidamente e prima ancora che Johanna potesse rendersene conto un violento acquazzone si abbattè direttamente sulla sua testa, inzuppandola da capo a piedi e costringendola così a cercare in fretta un riparo. Durante il suo imprudente vagabondare senza meta si era resa conto di trovarsi vicino al garage, ragion per cui era stato quasi naturale per lei intrufolarsi in quel minuscolo ma accogliente angolo di paradiso di cui già tante volte aveva varcato la soglia, anche se non ricordava di certo di essere mai stata la benvenuta. Del resto,  Christian non aveva mai fatto mistero di quanto poco tollerasse la sua presenza durante le prove. Il ricordo delle sue sgradevoli parole tornò prepotentemente a farsi sentire, provocandole un intenso brivido lungo la schiena che tentò a lungo di mitigare massaggiandosi le braccia nude e infreddolite. Che stupida era stata a pensare di poterlo conquistare in qualche modo, col suo esuberante comportamento era solo riuscita a farsi umiliare. Nulla di più. Eppure non poteva farci niente, era fatta così e non aveva mai pensato prima di allora che il suo carattere potesse risultare inappropriato, così come il suo aspetto. Si rannicchiò sul divanetto, stringendosi nelle spalle e chiudendo lentamente gli occhi, provando così a rilassarsi. Non seppe per quanto tempo rimase così, abbandonata a se stessa e in balìa di quel ridicolo vestito che ora avrebbe voluto strapparsi di dosso, quando un rumore improvviso la fece sussultare. La luce si accese di colpo e lei trattenne il respiro, abbassando lo sguardo non appena si rese conto di chi aveva di fronte.

- Johanna? Si può sapere che diavolo ci fai qui a quest’ora? Ti ho cercata dappertutto accidenti, stavo quasi per gettare la spugna!

- Christian? Tu…tu mi stavi cercando? E perché mai?

Chiese, voltando la testa dall’altra parte quasi temesse la risposta.

- Stavo quasi per andarmene a dormire, quando le ragazze ci hanno chiamato in preda al panico dicendo che non avevano tue notizie ormai da ore. Così ho deciso di uscire per venire a cercarti. Si può sapere qual è il problema? Io…

Si interruppe di colpo, accorgendosi solo in quell’istante dello stato pietoso in cui si era ridotta. Le si avvicinò lentamente, cercando il suo sguardo sfuggente.

- Cavolo, sei bagnata fradicia. Ti prendo subito una coperta. Dovresti toglierti quei vestiti zuppi di dosso, o ti prenderai una polmonite.

Recuperò una coperta dallo scaffale più vicino e gliela porse, mentre la ragazza si decideva finalmente a incrociare il suo sguardo.

- Sì, però tu voltati.

Rispose e Christian lo fece immediatamente, di colpo imbarazzato, sollevando le mani in segno di resa. Dannazione, che stupido.

- Oh, sicuro, scusami. Non intendevo certo…

Non riuscì a terminare la frase ma deglutì nervosamente, strofinandosi a lungo il viso ormai chiazzato di rosso. Johanna si svestì in fretta, avvolgendosi in quella calda coperta e provando subito una sensazione di puro sollievo a contatto con quel morbido tessuto che servì a restituire un po’ di colore al suo corpo pallido.

- Ecco, ho fatto. Ti ringrazio.

Disse e lo vide voltarsi lentamente verso di lei, senza riuscire a smettere di fissarla.

- Dio, non mi ero mai accorto che fossi così bella.

Sussurrò senza quasi accorgersene e la giovane americana arrossì, tentando tuttavia di darsi un contegno mentre tornava a sedere sul divano, dove lui la raggiunse poco dopo.

- Credevo di averti sentito dire tutt’altro, appena poche ore fa.

Replicò piccata e il ragazzo scosse lentamente la testa, prendendole le mani e stringendole tra le sue. Quel solo, semplice contatto le provocò una violenta esplosione di emozioni difficili da contenere, ora che si trovavano così vicini.

- Mi dispiace per quello che ti ho detto, non volevo offenderti. È solo che…

- Cosa?

Christian non rispose ma le sue mani risalirono dolcemente lungo le sue spalle nude, facendola fremere prima di scivolarle lungo le braccia, avvolgendole poi a lungo in una tenera carezza che le tolse il respiro. Sembrava così diverso dal ragazzo irascibile e presuntuoso che aveva ormai imparato a conoscere e si chiese chi avesse davvero di fronte in quel momento. Ma poco importava, dopotutto, poiché si ritrovò a smettere totalmente di pensare quando le loro labbra si unirono in un bacio dolcissimo che di colpo annullò ogni sua volontà, tranne quella di sentirlo più vicino…

 

16 novembre 1993

Ore 22.00

E così è successo, siamo stati insieme. Ed è stato bellissimo. Non so proprio cosa mi prenda ormai ma ogni volta che lo guardo, o che gli sto vicino non riesco proprio a controllarmi. Farei qualsiasi cosa per lui, è così, e sono felice. Sono tanto felice. Stiamo insieme adesso, o almeno così dovrebbe essere. Giusto? Christian è stato così inaspettatamente dolce con me, ho quasi avuto difficoltà a riconoscerlo. Voglio dire, può una persona cambiare così radicalmente nel giro di poche ore ed essere comunque tremendamente adorabile?Sì, sì e ancora sì, se si stratta di lui. Chissà, magari ha una specie di doppia personalità o roba del genere e…Oddio, e se fosse un tipo pericoloso?Che ne so, uno di quelli che ti ammaliano con uno sguardo e poi magari ti fanno fuori nel sonno…

Ma no, non c’era nulla di pericoloso nel suo tocco delicato, nei suoi baci e nella sua pelle morbida. Ne sono sicura.

Caro diario, adesso è più di una certezza. Credo di essermi innamorata di lui.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Non era stato in grado di smettere di pensare a lei e alla serata che avevano trascorso  insieme per tutta la notte, ed era ciò che stava facendo anche adesso in garage perchè, anziché concentrarsi sulle prove la sua mente continuava a ripercorrere ogni morbida curva di quel corpo meraviglioso che tanto a lungo aveva stretto a sè, accogliendone  ogni gemito, ogni dolce sospiro ormai sopito tra le pieghe più remote del suo cuore. Per qualche strano e inspiegabile motivo, infatti, quell’adorabile uragano dagli occhi chiari e la risata contagiosa sembrava averlo colpito molto più di quanto egli stesso fosse disposto ad ammettere, una scheggia selvaggia che pian piano, molto lentamente pareva aver stravolto e infine domato la sua parte più profonda e  razionale, finendo per sgretolare completamente ogni sua certezza. Era proprio su questo che stava rimuginando quando l’aveva vista entrare, ridendo e spalancando la porta di colpo, tanto che per la sorpresa le bacchette gli erano cadute di mano. La giovane americana non gli aveva però lasciato neppure il tempo di chinarsi a raccoglierle visto che gli si era praticamente gettata addosso, avviluppandolo in un soffocante abbraccio che lo aveva fatto sbuffare seccato mentre cercava faticosamente di liberarsi da quella fastidiosa morsa che gli aveva già scomposto i capelli e la camicia. Odiava ritrovarsi con i capelli scompigliati e i vestiti spiegazzati così, di punto in bianco, senza neppure riuscire a difendersi.

A difendersi…

Era così, avrebbe davvero voluto difendersi da lei e da qualunque cosa stesse facendo al suo cuore, che adesso sentiva galoppare come impazzito? Cos’è che voleva veramente, ma soprattutto per quale motivo continuava a cambiare idea su di lei? Le era bastato solo vederla, infatti, perché la bramosa sensazione di fastidio tornasse a farsi sentire, più forte e prepotente che mai, incitandolo ad allontanarla da sé con un brusco movimento che le aveva quasi fatto perdere l’equilibrio. Ma Johanna non vi aveva neppure badato, impegnata com’era a ridacchiare divertita da quell’adorabile broncio che si era di colpo permessa di apostrofare in un modo che Christian non si sarebbe mai aspettato di sentire.

Mio Cri Cri adorato!

Aveva esclamato, allegra, facendolo sussultare. Mio Cri Cri adorato…questa poi! Con quale diritto si era presa la libertà di storpiare in maniera così ridicola il suo nome di battesimo? Accidenti a lei e alle sue insopportabili stupidaggini, cosa c’era che non andava nella sua testa? E glielo disse, a denti stretti, frustrato da quell’assurda situazione che di certo non si era andato a cercare, aggredendola a lungo con le parole prima che gli amici, imbarazzati da quell’atmosfera scaldatasi troppo presto decidessero silenziosamente di dileguarsi, lasciandoli soli.

-  Te lo ripeto, non provare mai più a chiamarmi a quel modo! E adesso via, aria, fuori dai piedi. Ho bisogno di respirare!

- Si può sapere che bisogno c’è di reagire in questo modo? Credevo fosse una cosa carina da dire, ora che stiamo insieme.

A quel punto gli ci volle qualche secondo per afferrare il senso di quelle parole.

- Ora che stiamo…cosa? Ma di che droghe ti fai, si può sapere? Come fanno a venirti in mente certe idee, non potrei stare con te nemmeno se fossi l’ultima donna su questa terra!

Sbottò, esasperato. Ci mancava solo questa, adesso. Era carina e a modo suo piacevole, certo, ma di qui a pensare che…

Cosa stai facendo, Christian? Perché la respingi con tanta forza…è davvero questo ciò che desideri?

Zittì la sua coscienza, rivolgendo poi un’occhiata gelida alla sua stupita interlocutrice, che scuoteva ora la testa senza smettere di fissarlo. 

Smettila, smetti di guardarmi così, come se non capissi…i tuoi occhi mi confondono…mi…

- Insomma, non è carino che mi parli in questo modo, specialmente dopo quello che c’è stato tra noi.

- Sei ancora più ingenua di quello che credevo, lo sai? Pensi sul serio che quello che è successo abbia importanza?

Lo gridò senza pensarci, realizzando di aver esagerato solo quando vide i suoi occhi riempirsi lentamente di lacrime. I suoi occhi splendidi e sinceri, sinceri come lui non riusciva  mai ad essere. Neppure con se stesso.

- Mi dispiace che per te non abbia significato nulla, perché per me invece è stato importante e credevo proprio che…credevo…non ha importanza, ormai. Sei solo uno stronzo!

 

 

17 novembre 1993

Ore: 23.30

Già, uno stronzo. Lo credevo anch’io Johanna, perché quando sei scappata via in lacrime non ti sono subito venuto dietro, cercando di fermarti. Uno stronzo per averti detto tutto quello che invece non pensavo affatto e che per l’ennesima volta avrei voluto cancellare per sempre, solo per riavvolgere il nastro. Solo per parlarti di ciò che sento davvero. Uno stronzo per averti ferita di nuovo, quando invece non lo meritavi. Ma sai che c’è, mia cara? Oggi mi sono finalmente  reso conto che tra noi due la stronza sei tu. Sì, è così, e anche della peggior specie, per avermi costretto a vedere ciò che oggi, da Alfredo non avrei mai voluto e che, colpendomi come un fulmine a ciel sereno, è riuscito a farmi più male di quanto credessi…

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Hèléne e Cathy erano andate al cinema ma lei non se l’era sentita di seguirle, preferendo invece rimanere a studiare per gran parte della serata. La sua mente era annebbiata da ciò che qualche ora prima aveva purtroppo appreso, il suo cuore gonfio di dolore. Da quel momento, tutto per loro… per lei, sarebbe cambiato. Niente sarebbe mai stato più come prima e, comunque fossero andate le cose, avrebbe inevitabilmente dovuto farci i conti. Contrariamente a qualche tempo fa ora sapeva esattamente cosa fare, ma aveva bisogno di potersi organizzare nel migliore dei modi per affrontarlo. Sbuffò un paio di volte e alla fine, esausta, decise di rimandare lo studio al giorno dopo, ma proprio quando stava per andare a dormire un insolito, improvviso rumore fuori dalla finestra aveva catturato la sua attenzione. Si costrinse quindi a scostare le tende per poter sbirciare attraverso i vetri, sussultando vistosamente non appena si accorse di chi aveva di fronte.

- Oh mio Dio, non posso crederci…cosa ci fai appeso alla grondaia come un salame? Sbrigati a entrare, svelto, non mi va di vederti spiaccicato in mezzo alla strada! Ma sei fuori di testa?

Esclamò aiutandolo a entrare, mentre lui la raggelava con un’occhiata.

- Sì, esatto, sono fuori di testa. E sono anche un idiota ad aver pensato che le tue lacrime fossero reali, che stessi soffrendo per come ti avevo trattata. Ma evidentemente avevi già trovato il modo di consolarti per bene, non è così?

Replicò, aspro, lasciandola letteralmente a bocca aperta.

- Si può sapere di che stai parlando? Io non…

- Ero venuto a cercarti per scusarmi con te – proseguì, interrompendola in malo modo – poi ti ho vista da Alfredo in compagnia di quel tipo, e tu gli stringevi la mano, e io…Dio, come puoi farmi questo dopo tutto quello che mi hai detto? Che diritto hai di trattarmi così…

Stavolta fu lui a interrompersi e il suo sguardo si fece più cupo mentre si passava stancamente una mano sul viso, come a rimettere in ordine i pensieri. Johanna scosse piano la testa, facendogli un breve sorriso.

- Christian, non è affatto come pensi…

Ma non le diede nemmeno il tempo di spiegare, incalzandola di nuovo, paonazzo, aggressivo come forse non lo aveva mai visto. Non trovò un filo logico in quel discorso strampalato che non potè far altro che subire in silenzio, ma che in un attimo le aveva donato una grande gioia, poiché tutto questo poteva voler dire una sola cosa: era geloso. Geloso marcio, e contrariamente a quello che le aveva sbattuto in faccia solo poche ore prima, lui ci stava soffrendo. Sì, ci soffriva. E anche tanto. Così tanto che avrebbe voluto abbracciarlo e stringerlo forte a sé per consoarlo, ma lui non glielo avrebbe mai permesso. Come non le permetteva di replicare, di insinuarsi in quella sfuriata senza senso che era comunque il più bel regalo che lui potesse farle in quel momento, e anche la più bella notizia in quella cupa giornata da dimenticare in fretta.

- Ti prego, smetti di agitarti così e prova ad ascoltarmi, posso spiegarti tutto.

- Non intendo neppure ascoltare le tue scuse patetiche…ti amo, maledizione, come fai a non capire?

La verità di quelle parole lo aveva investito come un fiume in piena, sconvolgendolo molto più di quanto si aspettasse. Quelle parole che, ormai pronunciate, non sembravano più così terribili come credeva, ma che lo imbarazzarono tanto da costringerlo a voltare la testa dall’altra parte per non vedere lo sguardo luminoso della ragazza che, forse ancor più sconvolta di lui, non riusciva proprio a capacitarsi di ciò che aveva sentito.

- Come, scusa? Tu hai detto…hai detto che…

Balbettò confusa, annullando di colpo la breve distanza che li separava per prendergli la mano.

- Ho detto che ti amo.

Ripetè lui, abbassando inaspettatamente il tono di voce. Fingere ancora non sarebbe servito a niente. Anche se si stava esponendo un po’ troppo, e non lo aveva mai fatto con nessuna. Mai. Con lei, però, era tutto diverso.

 Completamente sopraffatta dall’emozione, la giovane americana non potè che esprimergli a sua volta ciò che sentiva per lui, ma la sua mano a quel punto sgusciò via da quelle di lei prima di affrettarsi a voltarle le spalle, maledicendosi una volta di più per essere andato a cercarla.

- Christian, io… - provò così ad attirare la sua attenzione – ascoltami, il tipo che hai visto al bar insieme a me è mio fratello.

- Tuo… fratello?

Fu tutto ciò che si sentì rispondere mentre tornava a guardarla negli occhi.

Johanna annuì.

- È rimasto a Parigi solo per qualche ora, il tempo necessario per convincermi a tornare a casa con lui. Vedi, la mia famiglia non sta attraversando un momento felice, e ora le cose si sono addirittura complicate. In fondo però me lo aspettavo, è per questo che sono scappata.

- Sei scappata? Vuoi dire che sei venuta a studiare qui solo per fuggire dai tuoi problemi?

- In un certo senso è così. Anche se non è stato semplice per me.

Poi prese posto sul suo letto, subito imitata da Christian, e per la prima volta gli parlò di quel segreto così a lungo custodito nel cuore, quel segreto che ora pareva fare ancora più male. Gli raccontò di quando un pomeriggio aveva sorpreso suo padre in compagnia di un’altra donna e di come avesse fatto veramente di tutto affinchè nulla trapelasse in casa, e solo per non ferire la madre. La prova però era stata talmente difficile per lei da costringerla a prendere le distanze per un po’ da tutto quel dolore, forse solo per provare a respirare di nuovo e tornare ad affrontare la cosa un po’ più padrona di se stessa. Magari con più coraggio.

- Ora le cose sono precipitate, mia madre ha scoperto tutto e vuole il divorzio, è per questo che mio fratello è venuto qui. Vuole che torni a casa.

Concluse e il ragazzo abbassò lentamente lo sguardo, l’aria improvvisamente afflitta.

- E tu lo farai?

Chiese, quasi timoroso della risposta. Johanna gli accarezzò i capelli, tornando a stringere le sue mani.

- Sì, ma solo per qualche tempo. Prima ero più che decisa ad andarmene per sempre, ma dopo quello che mi hai detto, io…io desidero tornare da te al più presto. Mi aspetterai, non è vero?

Christian annuì, facendola sorridere.

- Tornerò, te lo prometto.

- Non mi basta. Giuramelo.

La ragazza gli sfiorò le labbra con un bacio.

- Ma sì, te lo giuro amore mio. Non sai quanto ti amo.

Fu allora che lui l’attirò a sé, catturando le sue labbra in un lungo bacio che le tolse il respiro e stringendola forte tra le sue braccia per provare a non sentire la nostalgia che già aveva di lei, e che senza preavviso gli aveva rapito il cuore.

- Ascolta, riguardo a quel nomignolo, quello che hai usato oggi – mormorò poi, con le labbra ancora incollate alle sue – è assolutamente orribile, oltre che ridicolo, ma se vuoi qualche volta puoi usarlo, magari solo quando siamo soli…

- Oh ma guarda un po’, adesso siamo soli, mio Cri Cri adorato!

- Davvero? Quindi vuoi dire che posso…approfittare di te quanto mi pare?

Johanna scoppiò a ridere.

- Non chiedo di meglio.

Disse mentre si stendeva sul letto, attirandolo dolcemente a sé per tornare a baciarlo con trasporto.

 

 

20 novembre 1993

Ore 9.30

Ho appena il tempo di scrivere queste poche righe. Sto tornando a casa. Tra poche ore un aereo mi porterà lontano dai miei amici e dal ragazzo che amo più di me stessa, e che già mi manca da morire. Sapevo che sarebbe successo prima o poi, ma anche se sarà per poco tempo fa comunque un male incalcolabile, specialmente adesso che ho la certezza che i miei sentimenti siano ricambiati. Ha detto che mi ama. Christian mi ha detto che mi ama e che aspetterà con ansia il mio ritorno, e io non posso far altro che fidarmi di lui e che aggrapparmi a questo per provare a superare tuttto ciò che mi aspetta. Fino al momento in cui potrò finalmente riabbracciarlo…

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


- Si può sapere dove stai andando, Christian?

Gli chiese Nicolas, osservandolo di sottecchi da un angolo della stanza sistemarsi il bavero della giacca davanti allo specchio. Una giacca molto elegante, come del resto  il completo che indossava. Il ragazzo si voltò verso l’amico, sorridendo compiaciuto.

- Dove vado? – disse – A riprendere in mano la mia vita, finalmente!

Ed era vero, o almeno questo era ciò che desiderava in quel momento. Rimanere ancorati al passato non sarebbe servito a niente, esattamente come rimanere fedele a qualcuno di cui riusciva a malapena a ricordare il viso. Ma il suo nome, eccome se lo ricordava, e ogni volta che lo sentiva pronunciare gli faceva sempre uno strano effetto. Sentì il cuore stringersi in una morsa dolorosa non appena Nicolas riprese a parlargli di lei, ma non avrebbe ceduto. Non questa volta.

- Non vedo per quale strano motivo dovrei restarmene qui buono ad aspettare il suo ritorno – replicò così, maledettamente punto sul vivo – del resto non si è neppure presa la briga di farsi sentire almeno una volta in questi due mesi, di darmi notizie di sé, ragion per cui da questo momento mi comporterò come se non fosse mai esistita! Sono libero, mio caro amico, libero di fare tutto quello che mi pare!

- Ah, sì? E con questo vorresti dire che sei libero di cambiare una ragazza a settimana solo per il gusto di fargliela pagare? Non è così che ci si comporta, Christian! Ascolta, so che stai soffrendo per questi suoi continui silenzi, ma soffocare in questo modo ciò che provi per lei solo perché sei arrabbiato e ferito non ti aiuterà a dimenticarla più in fretta. Lo capisci questo?

Christian scosse la testa mentre il suo sorrisetto sghembo rimaneva immutato. Cosa poteva saperne di ciò che provava, di come si sentiva da quando Johanna era improvvisamente scomparsa dalla sua vita? Lui ed Ethienne potevano passare tutto il tempo che volevano con le loro fidanzate, poiché loro erano sempre lì vicino e non certo lontane mille miglia in un luogo praticamente sconosciuto e a fare chissà cosa. Non aveva alcun diritto di parlargli a quel modo, nessuno lo aveva e, per quanto lo riguardava, per la primissima volta nella sua vita aveva completamente aperto il suo cuore a una ragazza, e lei lo aveva abbandonato. Era questa l’unica cosa che riusciva a ricordare adesso, e anche l’unica che desiderasse davvero dimenticare. Non l’avrebbe mai perdonata per quella voragine nell’anima che in quei mesi non aveva fatto che crescere, crescere a dismisura fin quasi a soffocare la sua mente, impedendogli persino di ragionare. Di respirare. No, non avrebbe mai più permesso a nessuna di usarlo in un modo così ignobile per poi gettarlo via come una scarpa vecchia, senza neppure pensarci due volte.

Qualche giorno più tardi, dopo essersi a lungo intrattenuto con la ragazza di turno e averla infine riaccompagnata a casa, sentì il bisogno di tornare in garage per restare un po’ da solo con i suoi pensieri. Si accasciò così sul divano, sospirando rumorosamente e chiedendosi fino a che punto Nicolas avesse davvero ragione sui  sentimenti che provava, quando un rumore improvviso aveva catturato la sua attenzione. La porta si era aperta di colpo, rivelando la figura alta ed esile di colei che in quel momento non si sarebbe mai più aspettato di vedere.

- Oh mio Cri Cri adorato, sapevo che ti avrei trovato qui! Perdonami per non essermi più fatta sentire, ma ho davvero così tante cose da raccontarti che…

Si interruppe di colpo, gettandogli le braccia al collo e tempestandolo di baci in un turbine di emozioni a cui il ragazzo mise però subito fine, scostandola da sé con malo garbo e allontanandosi da lei fino a darle le spalle, lasciandola confusa.

- Christian, si può sapere cosa ti prende?

Biascicò, senza capire.

- Che cosa mi prende? Hai veramente un bel coraggio a chiedermelo, lo sai? Come ti permetti di prenderti certe libertà con me dopo tutto questo tempo! Chi sei, ci conosciamo per caso?

Replicò sarcastico facendo leva sul senso di colpa della giovane americana, che in quell’attimo tornò a farsi sentire, riprendendo a tormentarla senza pietà.

- Mi dispiace, le cose non sono state facili per me e avrei davvero voluto chiamarti, ma avevo paura.

- Non essere ridicola, di che cosa avresti mai potuto avere paura? Di un mio rifiuto, per caso? Avrei solo voluto sentire la tua voce, non c’era nulla che desiderassi più di questo.

Rispose, la voce ridotta a un sussurro.

- Oh Christian, anch’io, non sai quanto ho desiderato di poterti parlare. Ma sapevo anche che, se lo avessi fatto, non sarei riuscita a nascondertelo ancora a lungo, e io invece volevo dirtelo di persona.

Disse, afflitta, costringendolo a voltarsi verso di lei solo per incontrare di nuovo i suoi occhi chiari, ora inspiegabilmente sfuggenti.

- Dirmi che cosa, si può sapere di che stai parlando?

- Sto aspettando un figlio.

La sentì annunciargli finalmente, giocherellando a lungo con i lembi della sua maglietta troppo larga prima di decidersi a incrociare il suo sguardo, sussultando quando vi lesse ciò che mai avrebbe voluto vedere.

- Stai scherzando, spero!

Esclamò Christian dopo un lungo momento di silenzio, passandosi nervosamente una mano fra i capelli.

- Niente affatto. Sono incinta di nostro figlio e so che può essere sconvolgente, voglio dire, lo è stato anche per me quando me ne sono accorta, ma…

- Con che coraggio torni a Parigi a dirmi una cosa del genere dopo essere stata lontana per tutto questo tempo a fare il diavolo sa cosa?

Esplose di nuovo, incalzandola con rabbia.

- Non parlarmi in questo modo, per favore, sai benissimo perché sono stata costretta a partire!

- Certo, come so benissimo che devi essertela spassata di brutto prima di tornare qui a supplicarmi di starti a sentire, e solo per potermi incastrare!

- Che cosa vorresti dire con questo?

- Che se vuoi darmi a bere che il bambino che aspetti sia mio sei totalmente fuori strada, mia cara, perché non credo a una parola di quello che dici! Mi hai forse preso per uno stupido, per caso? Come se non conoscessi come siete fatti voi americani, liberi e spregiudicati oltre ogni dire, così diversi da noi! Cos’è, il belloccio di turno ha deciso di scappare dalle sue responsabilità e così eccoti qui, a cercare di riversare su di me i tuoi sporchi  divertimenti sessuali? Dio, come ho fatto a credere che fossi diversa dalle altre, che con te avrei potuto…

- Christian, non sai nemmeno quello che dici. Così mi stai offendendo, non te ne rendi conto? Non c’è stato nessun altro nella mia vita in questi mesi, e questo perché io amo te, soltanto te. Ti prego di credermi.

I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre parlava ma lui non vi badò nemmeno. Niente importava più, a quel punto.

- Senti, lasciamo perdere.

Fu tutto ciò che disse, richiudendosi infine la porta alle spalle senza neppure guardarsi indietro.

 

 

5 febbraio 1994

Ore 22.00

Rivederla è stato un colpo al cuore, come lo è stata la verità. Questa scomoda verità di cui mai l’avrei creduta capace e che con tutta la naturalezza del mondo ha cercato di riversare su di me, facendomi così male che adesso non riesco quasi a non pensare a lei senza sentirmi sopraffatto da tutto questo. Aspetta un figlio da un altro, e per di più si prende gioco di me e dei miei sentimenti per la seconda volta, senza neppure chiedersi cosa possa aver passato in sua assenza. No, no Johanna, non posso perdonarti per quello che hai cercato di fare oggi, ma forse…sì, forse una cosa posso ancora farla…

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


- Non lo hai detto nemmeno ai tuoi?

Le sussurrò Hèléne, stringendole la mano. La lunga conversazione che Johanna aveva avuto con l’amica le aveva chiarito tutto sulla sua ormai vacillante posizione, e tutto ciò che poteva fare in quel momento era restarle vicina. Qualunque fosse stata la sua decisione. L’americana scosse tristemente la testa, lasciandosi andare a un lungo sospiro rassegnato.

- Hanno già abbastanza problemi da affrontare. Purtroppo non c’è stato verso di rimettere insieme la famiglia e sono decisi a divorziare, rivelare loro anche questo renderebbe di certo le cose più difficili. No, voglio cavarmela da sola e ho tutta l’intenzione di riuscirci, specie ora che Christian…

Si interruppe bruscamente, stringendo più forte la mano che le veniva gentilmente offerta mentre una lacrima solitava scivolava indisturbata sul suo bel viso, riempiendole il cuore di angoscia.

- Non dare peso a quello che ti ha detto – riprese Hèléne, comprensiva – lo sai come sono fatti i ragazzi, no? Di fronte a una cosa del genere si spaventano e reagiscono male, ma vedrai che non appena avrà incassato il colpo tornerà immediatamente a chiederti scusa. Vedrai, tutto si aggiusterà.

Johanna incrociò il suo sguardo sincero, grata dell’affetto dimostratole fino a quel momento.

- Vorrei tanto poterti credere, amica mia, ma tu non hai sentito quello che mi ha detto. Sembrava così…arrabbiato, e deluso. Lui non mi ha creduta, Hèléne, pensa soltanto che quello che gli ho raccontato siano un mucchio di bugie. Come se potessi davvero…

Un improvviso, inequivocabile rumore alla finestra catturò di colpo la sua attenzione, costringendola a lasciare in sospeso qualunque cosa stesse per dire prima di seguire l’amica con lo sguardo precipitarsi ad aprire le tende con un sorriso dipinto sulle labbra.

- Visto? – disse, compiaciuta – Che ti avevo detto?

- Mi dispiace piombare qui così all’improvviso – sussurrò Christian subito dopo essere entrato – ma ho assolutamente bisogno di parlare con Johanna. Non ti dispiace, vero Hèléne?

Annuì poi in direzione della ragazza che, pronta, lasciò la stanza con un breve cenno del capo mentre continuava a sorridere, sicura che le cose si sarebbero presto sistemate. Ed era quello che credeva anche Johanna quando rivolse al ragazzo che amava uno sguardo speranzoso che valeva più di qualunque parola, uno sguardo che lui si impegnò però a fuggire con tutte le forze, conscio solo di ciò che stava per dire e che, ne era sicuro, avrebbe aggiustato le cose una volta per tutte.

- Ecco, io – cominciò, esitante – credo di avere esagerato nei tuoi confronti, prima, e mi rendo conto di non aver affrontato la cosa razionalmente, perciò… quanto vuoi? 

- Come, scusa?

Gli chiese lei, presa in contropiede. Christian si schiarì la voce, incrociando stavolta i suoi occhi inquieti prima di riprendere a parlare con tutta la calma che gli riuscì di trovare.

- Ma sì, quanto ti serve per interrompere questa gravidanza e sparire dalla mia vita il più in fretta possibile?  La mia famiglia non ha problemi economici e possiamo darti tutto ciò che desideri. Basta solo che tu…sia disposta a collaborare per fare quanto ti ho chiesto.

L’improvvisa risata di Johanna echeggiò nell’aria, sorprendendolo più di quanto si aspettasse. Ma era una risata amara.

- No, aspetta, fammi capire…mi stai offrendo del denaro per sbarazzarmi di tuo figlio? È così che sistemate le cose, dalle tue parti? Ok, adesso apri le orecchie e ascoltami bene, non ho intenzione di ripeterlo di nuovo. Non mi interessa quanto è ricca la tua famiglia, non so proprio che farmene dei vostri sporchi soldi. Anzi, per quanto mi riguarda spero proprio che tu possa marcire all’inferno insieme a loro, e adesso fuori di qui!

Gridò quelle ultime parole afferrando d’un tratto uno dei fermacarte sulla scrivania, brandendolo per aria e nella sua direzione fino a costringerlo a indietreggiare.

- Ferma, cosa fai? Metti subito giù quel coso!

- Vattene via, sparisci dalla mia vista o giuro che ti infilzo come uno spiedino ripieno! Come osi venire a cercarmi per farmi una richiesta del genere? Mi fai solo schifo!

- Johanna, sto solo cercando di…

- Christian, vattene immediatamente da qui!

Si intromise a quel punto Hèléne, che fuori della porta era riuscita a sentire gran parte della conversazione e ora tentava di limitare i danni per quanto possibile, anche se sapeva quanto fosse difficile a quel punto. Gli intimò quindi più volte di lasciare la stanza, osservandolo disgustata mentre si calava in tutta fretta dalla finestra prima di correre da Johanna che, nel frattempo, crollata in ginocchio, si lasciava andare a un lungo pianto liberatorio.

- Come ha potuto chiedermi di abortire?

Mormorò addolorata e l’amica l’abbracciò stretta, soffocando così le sue lacrime.

- Mi dispiace tesoro, mi dispiace tanto, credimi, ma tu non arrenderti. Non devi rinunciare a questo bambino e so che sarà difficile d’ora in avanti, ma non sei sola. Io e Cathy faremo tutto il possibile per aiutarti. Andrà tutto bene, te lo prometto.

 

6 febbraio 1994

Ore 20.00

No, rinunciare al mio bambino è l’ultima cosa a cui ho pensato. Non posso, non posso farlo e non lo farò mai, non importa ciò che dovrò affrontare da adesso in poi. E Christian…come ha potuto guardarmi negli occhi e chiedermi di sbarazzarmi di quello che è anche suo figlio? Crede forse che sia stato facile per me incassare un colpo del genere? Non sono pronta per questo e l’idea di avere un bambino non era certo nei miei piani, ma lui c’è, è qui con me adesso, e niente potrà cambiare questa cosa. Nemmeno i soldi che mi ha offerto. Non so proprio che farmene dei suoi sporchi, maledetti soldi, io volevo solo che accettasse la cosa come ho fatto io, che mi giurasse che ci sarebbe sempre stato d’ora in avanti. Per me. Per noi. Per questo piccolo miracolo che è anche una parte di lui, anche se si è impegnato a rinnegarlo con tutte le sue forze. Ma non mi importa, non mi importa se dovrò crescerti da sola piccolo mio, perché ti prometto che finchè vivrò non ti mancherà mai nulla per essere felice. Nemmeno il tuo papà, che non vuole saperne di te. Noi però non sappiamo che farcene di lui, non è vero? Noi possiamo farcela da soli, perché siamo già una famiglia…

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


La vedeva tutti i giorni all’università e tutti i giorni, sistematicamente, cambiava strada per non essere costretto a incrociarla. Lei e i suoi occhi ridenti e sinceri, forse troppo sinceri. Lei e la sua pancia che cresceva ogni giorno di più, ma che, non sapeva per quale strano motivo, pareva renderla ancor più bella di quanto ricordasse. Accidenti, che stupida. Se solo quel giorno avesse accettato l’offerta che le era stata fatta, se quel giorno nemmeno troppo lontano avesse acconsentito a fare ciò che lui le aveva chiesto, probabilmente ora non si troverebbe in questa situazione. Già, stupida e testarda oltre ogni immaginazione, esattamente come lui che non riusciva a smettere di pensarla nemmeno durante le prove, quando, con la testa fra le nuvole e le mani tremanti non era nemmeno in grado di tenere il tempo, finendo così per innervosire i suoi amici.

- Christian, tutto bene? È la terza volta che sbagli!

Esclamò Ethienne, strappandolo bruscamente ai suoi cupi pensieri e facendolo trasalire.

- Già, si può sapere che problemi hai? Di solito sei così pignolo.

Aggiunse Nicolas, rivolgendogli un’occhiata curiosa.

- Lascialo stare, probabilmente la sua coscienza lo distrae…

Continuò il primo, pungolandolo apposta e solo per scrutare di sottecchi la sua reazione. Erano giorni ormai che andavano avanti così e la miccia rischiava di accendersi di nuovo, sfociando nell’ennesima lite che a quel punto Nicolas non sarebbe stato in grado di sopportare. Mise così fine a quei commenti sarcastici prima che gli amici venissero alle mani, cosa molto probabile visto l’atteggiamento ostile di Christian, dichiarando una breve pausa per tutti.

- Perché non andiamo a prenderci qualcosa al bar e la smettiamo con queste inutili chiacchiere?

Propose quindi, placando di colpo gli animi. Anche se solo per poco tempo. L’insopportabile tensione in quella stanza fu però di colpo dissipata dall’arrivo delle ragazze, che allegre ed eleganti come sempre presero subito posto vicino ai rispettivi fidanzati, parlottando a lungo della faticosa mattinata appena trascorsa all’università.

- E Johanna?

Chiese a quel punto Nicolas mentre Christian, dal suo angolino prediletto non poteva fare a meno di sussultare. Gli bastava solo sentir pronunciare il suo nome, infatti, per tornare schiavo della struggente malinconia che ormai da qualche tempo gli stringeva il cuore, impedendogli categoricamente di ignorarla, come invece avrebbe tanto desiderato fare.

- Oh, lei sta benissimo – rispose Hèléne – ha persino trovato un lavoro come commessa in un negozio del centro. È un po’ stanca, poverina, questo sì, ma capita quando uno deve dividersi tra lavoro e università…

- Già – intervenne Cathy, assumendo d’un tratto un tono velatamente ostile – una nel suo stato, poi, non ha molta scelta, specialmente se si trova a dover affrontare la cosa da sola. Ma Johanna è una in gamba e non scappa certo dalle proprie responsabilità, come invece continua a fare qualcuno di mia conoscenza…

Lasciò apposta la frase in sospeso, guardando con intenzione Christian che, accortosi di essere stato indirettamente interpellato scattò in piedi come una molla, i pugni stretti e lo sguardo truce di chi è appena stato pesantemente offeso.

- Bene, vedo che anche tu muori dalla voglia di prendertela con me quindi coraggio, spara pure la tua velenosa sentenza, tanto qui ormai non sapete far altro che darmi addosso!

Esclamò, fuori di sé dalla rabbia mentre Nicolas cercava inutilmente di rabbonirlo.

- Non ne avremmo alcun motivo – continuò Cathy, impietosa – se tu avessi dimostrato di avere un po’ di sale in zucca. Ti sembra forse corretto il modo in cui ti stai comportando? Il tuo menefreghismo di fronte a ciò che sta succedendo è intollerabile!

- Che cosa pretendi che faccia, si può sapere? Se quell’idiota si è fatta mettere incinta dal primo che passa non è certo un mio problema, e non lo è neanche quel bambino che, tra parentesi, lei sta cercando in tutti i modi di far passare per mio, dando così l’idea che il mostro della situazione sia io e mettendovi tutti contro di me!

- Che cosa hai detto? Non provare mai più a chiamarla idiota, o giuro che oggi faccio uno sproposito! Hai davvero un bel coraggio a parlare in questo modo, lo sai? Sei solo un…

- Va bene, ora basta – la interruppe Nicolas, stanco di tutta quella assurda e insostenibile  situazione – chiudiamola qui, tanto discutere con lui è inutile.  

- Bravo – sibilò a denti stretti Christian – vedo che finalmente qualcuno qui ha capito l’antifona. Proprio così, con me discutere è del tutto inutile, e sapete perché? Perché non c’è assolutamente nulla di cui discutere, e mentre voi continuate a crogiolarvi sulla triste sorte toccata alla povera, piccola, innocente Johanna, io me ne vado da un’altra parte! Fatemi sapere quando avete finito, così possiamo finalmente riprendere queste stramaledette prove!

Poi lasciò il garage, richiudendosi violentemente la porta alle spalle e mandandoli tutti al diavolo mentre come una furia si dirigeva verso la sua auto, mettendo in fretta in moto e partendo a gran velocità. Vagò a lungo per la città senza una meta precisa, finchè d’un tratto non seppe esattamente dove voleva andare…

 

3 aprile 1994

Ore 23.45

L’ho aspettata. Ho passato tutto il pomeriggio in un angolo solitario e nascosto ma abbastanza vicino al negozio da permettermi di sbirciarla attraverso le porte a vetri, mentre con un sorriso instancabile serviva un cliente dietro l’altro, fino alla chiusura. L’ho vista infine sospirare e togliersi di dosso l’uniforme per indossare lo stesso cardigan colorato di questa mattina, abbondante ma non abbastanza da  riuscire a nascondere le sue forme, sempre più arrotondate. Perché, perché lo fai, Johanna? Dove trovi la forza di portare avanti tutto questo, pur sapendo cosa ti aspetta…ne vale davvero la pena? Eri pallida stasera alla luce della luna, mentre ti stringevi nelle spalle per proteggerti da quella fredda folata di vento che io, chiuso in macchina, al caldo, non ho neppure sentito. Il tuo orribile catorcio fa sempre uno strano rumore ogni volta che metti in moto, e mi viene da pensare che un giorno o l’altro potrebbe anche lasciarti a piedi, se non ti decidi a fare qualcosa per rimetterlo in sesto. Ma tu hai ben altri piani, adesso. Precisi, scontati. Piani dei quali ti stai coraggiosamente occupando da sola, facendomi sentire improvvisamente  piccolo e insignificante di fronte a tutto questo. Avrei voluto fermarti, Johanna, solo per poterti parlare. Ma non ne ho avuto il coraggio. Così, come un vigliacco ho lasciato che ti allontanassi lentamente, probabilmente esausta per la lunga giornata che hai appena trascorso. Sola, in balìa degli eventi. Eventi che tu stessa hai scelto, eventi di cui non faccio parte. Eppure…eppure, ogni volta che ti guardo credo di sapere esattamente a cosa stai pensando. Perché, Johanna, è la stessa cosa a cui nemmeno io, nonostante tutto, riesco a smettere di pensare…

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


3 settembre 1994

Ore 15.00

Caro diario, non so se sono pronta per questo. In tutti questi mesi ho provato a non pensarci, ma ora mille domande affiorano prepotentemente, impedendomi di pensare a qualsiasi altra cosa che non sia la nuova vita che sta crescendo dentro di me. Anzi, che è già abbondantemente cresciuta a giudicare dalle dimensioni della mia pancia, voglio dire, non riesco nemmeno più a vedermi i piedi! E poi, la cosa più strana è sentirlo scalciare praticamente a tutte le ore del giorno. Non so come esprimermi al meglio, ma è una sensazione talmente coinvolgente, e dolorosa a volte, questo sì, ma così meravigliosa che ogni volta che lo avverto non posso fare a meno di emozionarmi fino alle lacrime. A proposito, sono così fastidiosamente emotiva da risultare quasi ridicola persino a me stessa. Qui mi parlano di ormoni e altra roba simile, lo abbiamo letto su una rivista a cui mi sono abbonata da mesi ormai e che dovrebbe dare utili consigli per affrontare la gravidanza, ma non è mica colpa mia se quella pubblicità con il cucciolo  che cammina sulla carta igienica è così commovente. Per non parlare del film che abbiamo visto ieri sera in televisione che…comunque, non voglio essere costretta a ripensarci e passare il resto del pomeriggio a soffiarmi il naso come una stupida, perciò  penso proprio che adesso mi godrò un po’ di meritata solitudine. Proprio così, sono da sola in stanza, perché Hèléne è uscita con Nicolas e Cathy ha deciso di andare a fare un po’ di shopping ma va benissimo, perché oggi mi sento talmente  stanca che ho preferito prendermi una pausa dal lavoro per riposare un pochino e rimettermi in forze. Questo bambino da un po’ di tempo sembra essere diventato così grosso che ho difficoltà a camminare, e ogni volta che faccio un passo mi sembra di assomigliare a una papera. È tutto così strano per me, così nuovo e  maledettamente difficile, e anche se non mi sento certo da sola perché le mie meravigliose compagne di stanza fanno a gara per offrirmi tutto il loro sostegno, non posso continuare ad approfittare spudoratamente della loro gentilezza. In fondo, non sono certo state loro a scegliersi di vivere in una situazione del genere. A pensarci bene però non l’ho scelto neanch’io, è solo successo, e ora non posso che continuare a portare avanti la mia decisione nel miglior modo possibile.

- Cucù, sei sveglia mammina?

Cinguettò Cathy poco prima di comparire sulla porta piena di pacchi e pacchetti colorati di ogni genere e Johanna le sorrise, mettendo via il diario in tutta fretta per andare incontro all’amica.

- Ma che hai combinato, hai svaligiato un negozio per caso?

Le chiese ridendo e Cathy annuì, trionfante.

- Ho fatto di meglio – disse – ho comprato delle tutine davvero deliziose per il nostro bambino! Ecco qui, ti faccio vedere.

E gliele mostrò euforica, avvolgendola poi in un caloroso abbraccio che di nuovo  rischiò di bagnare di lacrime la sua camicetta ricamata e che l’americana ricambiò con slancio, tenendo goffamente a freno l’ennesimo attacco di pianto.  Ringraziò di cuore l’amica per tutto quello che stava facendo per lei e per il piccolo che presto sarebbe venuto al mondo, e che tutte non vedevano già l’ora di conoscere. 

- Sono fantastiche, Cathy, ma sai che non avresti dovuto.

La ragazza fece una smorfia.

- Sciocchezze, desidero che questo piccolino abbia tutto ciò che è necessario e anche di più, quando comincerà ad allietare le nostre giornate.

- Voglio proprio vedere se riuscirai a ripeterlo ancora, non appena inizierà a non farci chiudere occhio per tutta la notte!

Precisò Johanna, allegra, e fu in quel momento che una fitta improvvisa la fece sussultare, lasciandola senza fiato.

- Oddio, cos’era?

Gemette in preda all’ansia.

- Che cosa?

- Ahi, eccone un’altra! Io credo di…avere le contrazioni.

- Vuoi dire che il bambino è già pronto per nascere?

- Cavolo, è già la scadenza? Pensavo che avessimo ancora qualche giorno!

Esclamò Hèléne rientrando all’improvviso, il viso scavato dalla preoccupazione.

- Oh mamma, che facciamo adesso? Ci sono, prendiamo la macchina!

Disse con decisione, esortando Cathy a prendere le chiavi.

- Ma io non posso guidare così.

Chiarì Johanna a denti stretti, accoccolandosi sul letto mentre cominciava già a sudare freddo.

- Non essere ridicola, sarà Cathy a portarci in ospedale.

La ragazza annuì, perplessa.

- Ecco, io…

- Cathy, tu non sai guidare!

La interruppe l’americana, cercando di non urlare troppo forte quando sentì arrivare l’ennesima contrazione.

- Beh, ho la patente.

- Non credo che questo significhi molto!

- Oh mio Dio Johanna, come ti senti? Coraggio, respira.

Le sussurrava intanto l’ultima arrivata, sedendole vicino e stringendole forte la mano. Si voltò tuttavia attonita quando si acorse che Cathy si stava intanto esibendo in una serie di respiri profondi che la lasciarono a bocca aperta.

- Ma cosa fai? Io mi riferivo a Johanna. Ora vuoi andare a prendere quella dannata macchina?

- Un’ambulanza. Vi prego, chiamate un’ambulanza, non so quanto a lungo riuscirò a resistere ancora!

Esclamò a quel punto Johanna e al limite della sopportazione finì per scoppiare in un pianto dirotto. L’eccitazione, il dolore e la paura per ciò che l’attendeva avevano preso il sopravvento, impedendole di calmarsi e ragionare lucidamente, tanto che per un attimo strinse così forte la mano di Hèléne che rischiò quasi di stritolarla.

- Avrei dovuto parlarne ai miei genitori, avrei dovuto dir loro che stanno per diventare nonni!

Balbettò con un filo di voce mentre le amiche la consolavano.

- Su, vedrai che l’ambulanza sarà qui a breve.

- Calmati ora, pensa solo che…

- Non voglio calmarmi – le interruppe, rialzando di colpo la voce – io ho così tanta paura, vorrei solo che Christian fosse qui con me.

Aveva deciso che non avrebbe mai più parlato di lui, aveva deciso di sepellirlo per sempre in un angolo remoto della sua memoria. Eppure adesso il suo nome le era  prepotentemente tornato alle labbra senza che neppure se ne accorgesse, facendole così ricordare quanto avesse invece bisogno di lui ora che il suo bambino stava finalmente per nascere. Sì, quella piccola creatura a cui insieme avevano dato la vita. Anche se ora a lui non importava…

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


3 settembre 1994

Ore 18.15

Non riesco a muovermi. Non ne ho la forza, e non so nemmeno il perché. O forse lo so benissimo e sto solo cercando di ignorarlo. Ma non serve a niente perché, che mi piaccia oppure no, sta succedendo. Sta succedendo davvero. E questo cambierà tutto. Hèlène ha chiamato qualche ora fa e ora è reale, più che reale: Johanna sta per avere il bambino, e anziché correre da lei come anche i miei amici mi hanno suggerito di fare prima di gettare la spugna e lasciarmi qui, l’unica cosa che riesco a fare è restarmene fermo, nella penombra della mia stanza, solo. Completamente solo, proprio come volevo essere in questo momento. La notizia rende tutto così vero che  ancora una volta non posso fare a meno di chiedermelo. Perché Johanna, perché mi fai questo? Con che coraggio hai deciso di portare a termine la gravidanza pur sapendo che il figlio che aspetti, quello che in questo preciso istante si prepara a  venire al mondo…non è mio. Cosa ti aspetti da me, adesso? Che mi precipiti da te per assistere a questo piccolo miracolo? Un piccolo, meraviglioso miracolo che hai fatto con qualcuno che non sono io e che da questo momento crescerai senza l’aiuto di nessuno. A meno che il padre di tuo figlio non si presenti all’improvviso al tuo capezzale per supplicarti di perdonarlo per averti abbandonata quando avevi più bisogno di lui, stringendo tra le braccia quel minuscolo batuffolo attraverso il quale tutto comincerà a girare di nuovo, e ti sembrerà di non aver mai sofferto in vita tua. Sì, è così, tutto quanto sparirà non appena lo terrai in braccio per la prima volta. Compreso il mio ricordo, perché è questo che sono. Un doloroso ricordo che non farai alcuna fatica a cancellare per sempre dalla tua esistenza. Ma te lo chiedo di nuovo, Johanna, come puoi farmi questo? Come hai potuto coinvolgermi in questo modo, che cosa ti aspetti da me? Che riesca a riprendere la mia vita di sempre, sapendo che una parte del mio cuore è in mano tua? Perché è così, stupida texana dalla testa dura, tu mi hai rapito il cuore e anche l’anima. Che cos’è, un sortilegio questo? Che cosa mi hai fatto, perché non ho la forza di venirti a cercare per urlarti in faccia tutto ciò che sento in questo momento? Tu mi hai rovinato la vita, avvelenandola come nessuno era mai stato in grado di fare prima d’ora. Perché è così, stai per avere un figlio da un altro e questo mi fa andare fuori di testa. Ma non potrai costringermi a guardarti mentre con la tua famigliola felice farai il tuo ingresso da Alfredo tutti i giorni dopo l’università, non te lo permetterò. Chi è lui, e per quanto tempo le sue braccia ti hanno tenuta stretta prima che tornassi da me, raccontandomi solo un cumulo di bugie? Ma vorrei esserci amore mio, non puoi immaginare quanto in questo momento, nonostante tutto, vorrei essere al tuo fianco. Ma servirebbe soltanto a farmi del male e, credimi, ho già sofferto abbastanza.

Sospirò con forza, richiudendo il diario con un colpo secco mentre provava a rialzarsi lentamente in piedi, barcollando come se portasse su di sé tutto il peso del mondo. Dentro quella stanza cominciava a sentirsi soffocare, avrebbe fatto meglio a cambiare aria e anche in fretta, prima di finire per cedere all’orribile, irrefrenabile istinto di sbattere la testa contro il muro fino a perdere i sensi. Fino a non sentire più niente. Ma lo sapeva, sapeva che sarebbe stata la soluzione migliore e si sarebbe anche sforzato di lottare contro se stesso, mettendola finalmente in pratica, se solo un rumore improvviso alle sue spalle non lo avesse distratto di colpo, facendolo trasalire. La tensione che si portava addosso era più che palpabile e gli amici, appena rientrati non avevano potuto fare a meno di accorgersene.

- Johanna ha avuto il bambino. È un maschio.

Annunciò Nicolas, lento e staccato, spiando di sottecchi la sua reazione. Una reazione che Christian preferì però non condividere, lasciandola implodere dolorosamente dentro fino a soffocarla con tutte le sue forze.

- Già, ed è sano e forte proprio come tutti ci auguravamo.

Gli fece eco Ethienne, ma ancora una volta non ottennero risposta se non dai pugni chiusi dell’amico, che con lo sguardo basso si chiedeva fino a quando sarebbe stato costretto ad apprendere informazioni che neppure aveva chiesto gli venissero date.

- Si può sapere perché non dici niente?

Esplose a quel punto Nicolas, stanco di quell’impenetrabile silenzio che pareva  rendere Christian ancora peggiore di quanto già apparisse ai suoi occhi.

- Cosa vi aspettate che dica, a questo punto?

Sussurrò finalmente, imponendosi di tenere ancora gli occhi bassi.

- Non lo so, Christian, credevamo solo che ti avrebbe fatto piacere avere notizie di tuo figlio. Devo dedurre che ci sbagliavamo ancora una volta?

- Non dirlo. Non ti azzardare mai più a ripeterlo, capito? Quello non è mio figlio, non è mio figlio! Quante volte dovrò ancora ripetervelo perché vi entri in testa?

Gridò a quel punto, stanco di continuare a fingere mentre, senza neppure aspettarsi una risposta lasciava velocemente la stanza pensando che l’unica cosa di cui avesse bisogno in quel momento era saltare in sella alla sua moto e correre. Correre senza meta, fin dove il suo cuore lo avrebbe portato. Fu solo dopo qualche ora che, ansante e col respiro corto raggiunse l’ospedale, sfiorando con mani tremanti il vetro freddo che lo separava da quel luogo dolce e pieno di tepore che sembrava accogliere molti più neonati di quanto avesse mai immaginato. Era la prima volta che vedeva una nursery in vita sua, e la cosa gli fece uno strano effetto. Erano tutti così piccoli e pacifici avvolti nelle loro tutine colorate, beh, non tutti pacifici a dire il vero, visto che alcuni strillavano come matti, ma era ugualmente tutto molto bello da ammirare.

- Sei venuto, finalmente. Sai, non mi aspettavo che lo avresti fatto.

La voce di Hèléne dietro di lui lo costrinse di colpo a tornare alla realtà prima di voltarsi verso di lei che, a braccia conserte, lo osservava ora con rinnovato interesse.

- Nemmeno io.

Si scoprì a dire Christian, ricambiando il suo sguardo, improvvisamente nervoso.

- Come…come sta Johanna?

Chiese dopo un attimo di esitazione, stringendosi nelle spalle con aria imbarazzata quando la vide sorridergli con dolcezza.

- Abbastanza bene, direi, e…nel caso te lo stessi chiedendo, è l’ultimo alla tua sinistra.

Rispose, prendendolo in contropiede.

- Cosa? Io non…

- Ha i tuoi stessi occhi.

Continuò, interrompendo qualunque cosa stesse per dire mentre così come era arrivata si allontanava all’improvviso, lasciandolo solo con i suoi pensieri. Christian schiacciò il viso contro il vetro per riuscire a vedere meglio mentre, lentamente, questo si riempiva di calde lacrime. Era vero. Il tenero visino paffuto che ormai, vinto dalla commozione non riusciva a smettere di osservare, aveva proprio i suoi occhi…

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


- Su, lascialo tenere un po’ anche a me, non hai mica l’esclusiva!

- Uffa, quanto sei noiosa. Oh, eccolo qui il bambino più bello del mondo!

- E sarà anche il più viziato del mondo, se continuate così.

Si intromise Johanna, sorridendo divertita. Avevano lasciato l’ospedale da appena cinque giorni e le sue compagne di stanza parevano proprio intenzionate a non dargli tregua. Per fortuna sembrava un bambino molto tranquillo, perciò nonostante si divertissero a strapazzarlo di coccole continuava beatamente a dormire per gran parte della giornata, rendendolo così facilmente gestibile. Del resto, si era immaginata di peggio, anche se la cosa peggiore in assoluto restava sempre il cambio del pannolino. Per fortuna Hèléne, avendo fatto pratica con le due sorelle più piccole se la cavava piuttosto bene con quello, e la giovane americana non aveva avuto paura di chiederle aiuto. Lei, a differenza delle sue amiche non aveva avuto fratelli o sorelle minori ma era sempre stata la piccola di casa, e ora non sapeva proprio come sentirsi. Più volte in quei pochi giorni trascorsi si era data dell’incapace, piangendo tutte le sue lacrime perché non riusciva nemmeno a prenderlo correttamente in braccio, ma poi aveva capito che era solo questione di pratica. Col tempo avrebbe imparato a prendersi cura del suo piccolo nel migliore dei modi, e intanto ad aiutarla c’erano Cathy ed Hèléne. Le sue migliori amiche. Già, non ce l’avrebbe mai fatta a superare tutto senza di loro, ne era assolutamente convinta, ragion per cui lasciava che lo tempestassero di baci e carezze tutte le volte che ne avevano voglia. Anche se adesso per loro si era fatto tardi.

- Se non vi sbrigate ad andare vi perderete la lezione.

Intimò, avvicinandosi per riprendere suo figlio tra le braccia e lasciarle così libere di sistemarsi per raggiungere l’università.

- Ti passeremo tutti gli appunti necessari, così non rimarrai indietro.

Le assicurò Hèléne, posando un ultimo bacio sulla fronte del bimbo prima di prendere la borsa.

- Oh, accidenti, come faccio ad allontanarmi da lui? È così delizioso che non vorrei mai separarmene! E poi hai visto come è pacifico? Roba da non credere.

Aggiunse Cathy, guardandolo con tenerezza.

- Io ero totalmente diversa da bambina, altro che pacifica. Mia madre dice sempre che non facevo che strillare come una matta, mandando praticamente tutti fuori di testa.

Considerò Johanna con un’alzata di spalle mentre riprendeva a cullarlo dolcemente.

- Chissà, magari ha preso da suo padre.

Quella frase, pronunciata con leggerezza da Cathy assunse però la consistenza di un terribile macigno agli occhi di Johanna, risvegliando d’un tratto tutta la rabbia che fino a quel momento aveva cercato faticosamente di reprimere.

- Lui non ha un padre. Tutto ciò che ha è me, solo e soltanto me, e non voglio sentire una parola di più su questo argomento!

Esplose così, agitandosi senza controllo e ricordandosi del bambino solo quando lo sentì scoppiare a piangere tra le sue braccia, pentendosi immediatamente di quell’inutile sfuriata che era servita solo a spaventarlo.

- Oh tesoro, mi dispiace tanto, la tua stupida mamma non voleva alzare la voce. Ti prometto che non succederà più.

Sussurrò prima di stringerselo al petto nel disperato tentativo di calmare le sue lacrime. Cosa che avvenne abbastanza presto, e molto prima di quanto si aspettasse era già di nuovo profondamente addormentato. Sospirò, finalmente sollevata, baciandolo poi sulla guancia paffuta senza smettere di cullarlo. Chissà, forse stava migliorando con lui.

Cathy la fissò, mordendosi le labbra con aria afflitta.

- Senti, mi dispiace Johanna, magari non dovevo dirlo, ma non puoi reagire in questo modo ogni volta che si parla di Christian. Non è mica un argomento tabù, insomma…che ti piaccia o no è il padre del bambino, e…

- Ti prego, non nominarmelo – la zittì, risoluta – non voglio parlare di lui, né sentire mai più pronunciare il suo nome.

Si accigliò e le amiche annuirono lentamente nella sua direzione, intuendo quando avesse bisogno di rimanere tranquilla il più possibile. In fondo aveva appena partorito  e la sua fragilità emotiva era ancora ben palpabile. Esattamente come il suo umore ballerino.

- Bene, noi andiamo – tagliò corto Hèléne, sorridendole appena per spezzare la tensione poco prima di richiudersi la porta alle spalle insieme all’amica – tu prendi le cose con calma finchè puoi, e facci sapere se ti è già venuto in mente qualcosa. Riguardo al nome, intendo.

Giusto. Il nome. Nonostante avesse avuto tutto il tempo del mondo per pensarci, non riusciva proprio a decidersi sulla questione. Beh, ora avrebbe dovuto fare in fretta, quel docile fagottino aveva proprio bisogno di un’identità tutta sua. Sfiorò a lungo le sue manine strette a pugno, sorridendo quando lo vide riaprire lentamente gli occhi.

- Lo sai, piccolo mio, sarebbe tutto molto più semplice se tu non gli somigliassi così tanto.

Mormorò, soffocando un singhiozzo disperato.

 

 

8 settembre 1994

Ore 22.00

Si è addormentato di nuovo, quel gran mangione. Non fa che mangiare e dormire come un sasso, beato lui, e so che almeno per qualche ora prima della sua prossima poppata dovrei seguire il suo esempio, ma la verità è che non ci riesco proprio. Come non riesco mai a posarlo sulla sua culla, preferendo invece tenerlo in braccio. Non posso farci niente, è più forte di me e so che magari sto sbagliando ma, fosse per me, starei tutto il giorno a cullarlo e a osservare il suo adorabile visino. Questo piccolo gnomo mi ha praticamente rapita sin dal primo istante, e non so come ci sia riuscito ma adesso sono completamente alla sua mercè. Non avrei mai creduto di poter provare sensazioni simili un giorno, e mi sento così felice che a volte non riesco proprio a trattenere le lacrime. Forse però fa parte del gioco, e va bene così.

Lista dei nomi:

- Eustache (no, proprio no, e non mi interessa cosa dice Cathy!)

- Adrien

- Gaspard (troppo complicato per un bambino)

- Texas…………………………….

- Hercules??

Non scherziamo!!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


- Per favore Christian, non farmi pentire di averti lasciato entrare. Johanna tornerà a momenti e se ti trova qui non oso immaginare cosa potrebbe succedere!

Sibilò Hèléne mentre Cathy, seduta sul suo letto lo osservava accigliata. Avevano ragione ad avercela con lui, ma non voleva che la sua presenza diventasse un problema per nessuno. Non aveva alcuna intenzione di causare guai, l’unica cosa che desiderava in quel momento era poter trascorrere qualche minuto con suo figlio, nulla di più, e se questo voleva dire arrampicarsi sulla grondaia almeno 2 volte al giorno col rischio di perdere l’equilibrio e sfracellarsi al suolo da quell’altezza, non si sarebbe certo tirato indietro. Si chinò sulla piccola culla dove il bambino lo fissava ora con gli occhi sgranati, sfiorando appena la sua morbida pelle e sorridendo intenerito.

- Me ne vado subito, non preoccupatevi. Volevo solo sapere come stava e…lasciargli un regalino. Tutto qui.

Chiarì precipitosamente, rigirandosi tra le mani il minuscolo involucro con un fiocco colorato che lui stesso aveva confezionato, non appena deciso il dono da portargli. Non sapeva se e a cosa sarebbe servito, poiché aveva un unico desiderio: poter incontrare ancora una volta quegli occhietti così deliziosamente già attenti e così somiglianti ai suoi. Aveva passato giorni a crogiolarsi su quell’idea, finendo poi per cedergli definitivamente. Sì, nessuno avrebbe potuto distoglierlo da quel pensiero e così eccolo lì, a commuoversi ancora una volta di fronte a quel piccolo miracolo a cui  lui stesso aveva dato vita, anche se per gran parte del tempo lo aveva rinnegato con tutte le forze.

- Ciao, piccolino – mormorò poi rivolto al bambino – morivo dalla voglia di conoscerti, lo sai?  

- Che diavolo ci fai tu qui?

La voce stentorea di Johanna, appena rientrata lo fece sussultare vistosamente mentre si affrettava a rimettersi in piedi, l’aria improvvisamente colpevole.

- Ecco, io…sono passato a vedere come stava…

- Sta benissimo, come puoi vedere. Ora sparisci.

Lo incalzò, rabbiosa.

- So che non hai ancora trovato un nome per lui – continuò, come se non l’avesse neppure sentita – e beh, sai, se può esserti di aiuto stavo pensando a qualcosa come Douglas.

La ragazza mosse qualche passo verso di lui, raggelandolo con un’occhiata.

- Che cosa? Non posso crederci, hai davvero una bella faccia tosta a piombare qui all’improvviso e pretendere che accetti consigli da te su quale nome dare a mio figlio!

-  Questo bambino è anche mio!

- Ah, ma davvero? Nel caso in cui lo avessi completamente rimosso, ti ricordo che mi hai offerto dei soldi per sbarazzarmi di lui e che mi hai anche dato della bugiarda!

- Ragazzi, per favore, non litigate…

Si intromisero le amiche per provare a placare gli animi, ma con scarsi risultati, poiché pareva che i due non le stessero nemmeno ad ascoltare.

- Senti, mi dispiace per quello.

Ribattè Christian a testa bassa, non sapendo cos’altro aggiungere.

- Ti dispiace? È questo ciò che sai dire dopo aver rovinato tutto? Ora allontanati immediatamente, mio figlio non ha bisogno di te né dei tuoi patetici regalini da quattro soldi! Sai dove puoi ficcartelo questo?

La sentì esplodere e senza dargli il tempo di replicare gli strappò dalle mani il pacchetto per scaraventarlo a terra al centro della stanza, sotto gli occhi di tutti. Il ragazzo rimase senza parole, il sordo rumore che aveva appena sentito era inequivocabile. Lo aveva rotto, e a giudicare dalla sua aria sprezzante pareva non importarle nemmeno un po’.

- Perché lo hai fatto?

Disse dopo un lungo momento di silenzio mentre sentiva su di sé il peso di quegli sguardi attoniti, sguardi che probabilmente anelavano tutti alla stessa cosa.

- Vattene.

Si sentì ripetere e sospirò, scuotendo la testa.

- Non puoi tenermi lontano da mio figlio.

- Lui non è tuo figlio. Lo hai ripetuto tu stesso almeno mille volte, no? E ora fuori! Vattene, non voglio più vederti e se oserai ancora una volta avvicinarti al bambino giuro che ti ammazzo, chiaro?

Non volle sentire oltre, né ebbe il coraggio di continuare a tenerle testa. Il senso di colpa lo divorava dall’interno, procurandogli un dolore insopportabile così come lo sguardo e le parole di Johanna, che taglienti e velenose come forse non lo erano mai state prima gli intimavano per l’ennesima volta di sparire dalla sua vita. Deglutì con forza, chinandosi a raccogliere ciò che restava del suo regalo, ormai miseramente ridotto in pezzi e lanciando un ultimo sguardo al piccolo, che lo fissava ora con occhietti pieni di curiosità. Un estraneo, ecco come lo vedeva, ed ecco ciò che era stato per tutto quel tempo. Meritava un simile trattamento, non vi era alcun dubbio. Era questo che pensava mentre voltava loro le spalle e si calava lentamente giù dalla finestra, ed era a questo che continuò a pensare quando tornò a casa dove, non riuscendo più a reggere le incalzanti e fastidiose domande di Nicolas non vide altra soluzione che accasciarsi tristemente sul letto, scoppiando all’improvviso in un pianto dirotto che anziché placarle, servì ad accrescere tutte le frustrazioni accumulate fino a quel momento.

- Christian, che ti prende amico?

Gli sussurrò Nicolas, sfiorandogli una spalla in segno di conforto. Il ragazzo si voltò verso di lui senza neppure preoccuparsi di asciugare le lacrime che, copiose, gli inondavano ora il viso. Tutta la sicurezza, la fierezza che così orgogliosamente aveva  ostentato in quei lunghi mesi sembrava completamente sparita. Quel pianto inconsolabile aveva spudoratamente svelato ciò che lui si era sempre preoccupato di negare, nascondendolo persino a se stesso. La sua anima veniva ora messa a nudo, e faceva male. Più male di quanto fosse mai riuscito a immaginare. Gli mostrò il pacchetto ancora sigillato, scuotendolo sotto i suoi occhi per poi abbandonarlo sul pavimento prima di decidersi finalmente a parlare, e quando lo fece la sua voce fu poco più che un sussurro appena udibile.

- Quando avevo 3 anni mio padre mi regalò questo cavallino di legno, e da allora l’ho sempre custodito gelosamente. È sempre stato il mio giocattolo preferito, per questo ci tenevo che fosse lui ad averlo. Volevo regalarlo a mio figlio, capisci? Ma lei lo ha distrutto, e ora non ne rimane che questo stupido, insignificante pacchetto che con tanta premura avevo cercato di confezionare.

Gli sfuggì un singhiozzo che non seppe trattenere, oppure non volle farlo. Sarebbe stato del tutto inutile a quel punto.

Nicolas sospirò, spiazzato.

- Hai litigato con Johanna, non è così? Sai, ho la sensazione che quel cavallino di legno non sia stato l’unico a finire in pezzi, oggi.

Disse, poi lo abbracciò, offrendogli così una spalla su cui continuare a piangere ancora per un po’ prima di provare a scuoterlo dal suo torpore, proponendogli di andare a bere qualcosa al bar. Lì, con grande sorpresa incontrarono le ragazze intente a cullare il bambino che avevano deciso di portare con loro per lasciare un po’ da sola Johanna,  permettendole così di calmarsi e provare a studiare un po’ in solitudine. Christian tornò a chinarsi sul passeggino, felice di poterlo finalmente rivedere quando ormai non ci sperava più.

- Ehi, ometto. A quanto pare ci si rivede oggi, come stai?

Gli sussurrò, timoroso persino di tornare a sfiorarlo ed Hèléne, indovinando il suo stato d’animo provò a incoraggiarlo a prenderlo in braccio, guidando le sue mani nella giusta direzione per poterlo sostenere al meglio. A dispetto di ciò che pensava Johanna lei credeva fosse giusto lasciarlo avvicinare al piccolo di tanto in tanto, in fondo era pur sempre suo padre.

- Non devi arrenderti con lei, Christian – gli disse – Johanna è arrabbiata, questo non si può negare, e ha anche ragione di esserlo ma vedrai che col tempo le passerà. Vedi, quando stava per partorire era spaventata, e non ha smesso un attimo di ripetere quanto avesse bisogno di te in quel momento. Era il giorno più bello e anche il più difficile di tutta la sua vita, e lei voleva che ci fossi tu al suo fianco. Capisci? Nonostante tutte le cose spiacevoli successe tra voi, sono convinta che non abbia mai smesso di amarti, perciò dalle un po’ di tempo. Immagino che ne abbia bisogno anche tu.

Christian sorrise al bambino che non riusciva a smettere di stringere a sé, cullandolo dolcemente e rilassandosi pian piano.

- Non hai visto il modo in cui mi ha aggredito? No, non posso continuare a insistere.

Rispose afflitto.  

Hèléne scosse lentamente la testa, facendogli un sorriso furbetto.

- E chi ha detto che devi insistere? Non preoccuparti, presto sarà proprio lei a venire a cercarti. Magari ha solo bisogno di un piccolo aiuto…

 

 

 

 

13 settembre 1994

Ore 23.00

Mi manchi mio piccolo angelo, mi manchi come se non ti avessi stretto tra le braccia solo poche ore fa, come se per noi non ci fosse mai più un’altra possibilità. Ma no, non può essere, non ora che ho finalmente capito chi sei e cosa rappresenti per me, non ora che ho così bisogno di te. Di sentirti vicino, di annusare il tuo delicato profumo di pesca e accarezzare il tuo dolce visetto rotondo, tornando bambino insieme a te. Insieme al tuo mondo di fragole e canditi e a ogni tuo piccolo sorriso, che anche stavolta non sarà tutto per me. Ma tu dormi piccolo angelo, dormi tranquillo, veglierò io sul tuo sonno e anche se distante correrò ad abbracciarti nei tuoi sogni ancora sconosciuti, trasformandoli pian piano in realtà. Riposa piccolino e perdonami, perdonami se puoi affinchè ogni mia mancanza, ogni mia assenza possa, da questo momento essere solo un lontano ricordo. Ti amo.

Il tuo papà

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Lista dei nomi n°2:

Alexander (troppo evocativo)

Douglas

Cooper

Jesse (no, mio fratello basta e avanza!)

Douglas

Henry

 Douglas

Douglas McCormick

Douglas…

Douglas

Dougl

Dou

 

No maledizione, ho detto di no!

 

 

- Come sarebbe a dire che non puoi? Sapevi che oggi sarei tornata al lavoro e mi avevi detto che non c’era alcun problema!

Esclamò Johanna, fissando l’amica senza capire.

- Lo so – rispose Hèléne, facendo schioccare la lingua in segno di scuse – e mi dispiace, ma vedi, ogni tanto vengo colta da improvvisi attacchi di shopping compulsivo e se non li assecondo subito poi rischio di sentirmi male, perché, sai…quelle scarpe che ho visto mi piacciono veramente tanto e non vorrei che qualcuno arrivasse prima di me e me le soffiasse da sotto il…

- Va bene, ho capito – tagliò corto la ragazza, spostando poi lo sguardo su Cathy che, imbarazzata spostava ora il peso da un piede all’altro senza sosta – e tu, invece? Vai a fare shopping tutti i sabati, mi pare, giusto? Perciò oggi sei libera.

- Ecco, in realtà…mia madre mi vuole a casa questo pomeriggio, per…sai, il…compleanno del mio cuginetto, sì, e guai se dovessi sottrarmi a una festa di famiglia. Sai come sono i genitori, no? C’è il rischio che mi tenga il broncio per settimane!

Johanna sospirò, affranta.

- Non mi avevi detto di questo compleanno, e io pensavo proprio che…uffa, e adesso come faccio con il bambino?

Le amiche si scambiarono un’occhiata complice che però non sfuggì all’attenzione della giovane americana, anche se non le lasciarono il tempo di replicare ulteriormente perché in men che non si dica sparirono dalla sua vista, lasciandola completamente sola e immersa nei suoi complicati pensieri.

- Bene, fantastico! E adesso che le tue care ziette ci hanno così gentilmente piantato in asso, chi si occuperà di te? Non posso certo perdere il lavoro, né portarti con me. Che cosa facciamo? Tu hai per caso qualche idea, piccolino?

Si chinò sulla sua culla, osservandolo a lungo mentre lui avvolto nella sua calda copertina sembrava fare esattamente la stessa cosa. Era sempre così attento e curioso verso tutto ciò che lo circondava, e che pian piano avrebbe imparato bene a conoscere e amare.

- Douglas…

Ripetè tra sé per l’ennesima volta, scuotendo poi energicamente la testa come a voler cancellare quel nome dalla sua memoria. Anche se ormai era troppo tardi.

- Cavolo, come suona bene. Vorrei averci pensato io! Invece è venuto in mente a quello…

Si interruppe di colpo, coprendosi la bocca con la mano mentre con l’altra accarezzava il viso di suo figlio, che intanto si esibiva in una serie di buffe  espressioni che parevano assomigliare tanto a degli adorabili sorrisi sdentati.

- Mio Dio, sei così dolce che ti mangerei di baci, lo sai? Che fai, sorridi adesso? Mi sembra giusto, del resto il nome è molto importante nella vita di una persona, perciò immagino che su questo tu voglia avere voce in capitolo. In fondo sei tu che devi portarlo e, credimi, lo capisco bene ed è una cosa per la quale ho il massimo rispetto, ma… Douglas, sul serio?

Lo sentì gorgogliare di gioia e scoppiò in una sonora risata.

- Hai ragione, piace tanto anche a me.

Disse prendendolo in braccio e ravviando delicatamente il suo morbido ciuffo di capelli neri.

- E va bene, Douglas, credo proprio che a questo punto io non abbia altra scelta. Preparati, perché io e te adesso ce ne andiamo in un posticino. E speriamo davvero di non dovermene pentire…

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 (parte 1) ***


Non possiamo continuare così, abbiamo bisogno di un tastierista!

Esplose Christian, accasciandosi sullo sgabello con aria seccata mentre gli amici sbuffavano nervosi.

- Lo sappiamo benissimo – replicò Nicolas – è proprio per questo che abbiamo messo un annuncio sul giornale e dato il via alle selezioni, ma a te sembra non andarne bene neppure uno! Di questo passo non lo troveremo mai!

- Non è certo colpa mia se si sono presentati solo un branco di idioti che non sanno neppure mettere due note in fila!

Si lamentò, accigliato. Cosa avrebbe dovuto fare per trovare finalmente un tastierista degno di questo nome, andare sulla luna forse? Eppure non gli sembrava di chiedere tanto, solo un po’ di professionalità e anche un certo portamento, che non poteva fare a meno di notare quanto purtroppo scarseggiasse tra i possibili candidati con cui fino a quel momento avevano avuto a che fare. Il guaio era che i suoi amici non ne volevano proprio sapere di capire, per loro sarebbe andato bene chiunque, ed era questo che lo mandava fuori di testa. Certe volte sembravano ignoranti quanto quegli strani tipi là fuori che si augurò di non dover più incontrare, almeno per quel pomeriggio visto che la stanchezza cominciava già a farsi sentire. Ma proprio quando affranti e demotivati stavano per riporre gli strumenti, un giovane alto e atletico dai  lunghi capelli si presentò improvvisamente al loro cospetto, prendendoli totalmente  alla sprovvista. Bene, ci mancava solo un capellone che sembrava uscito direttamente dai Bee-Hive, adesso! Come se non avessero già visto abbastanza.

- Ma chiudere quella cazzo di porta ogni tanto no, eh?

Si lamentò Christian mettendo così il nuovo arrivato in seria difficoltà, tanto che più di una volta si scusò per il disturbo, proponendo loro di ripassare il giorno successivo prima che i ragazzi lo trattenessero con un sorriso cordiale, scusando il caratteraccio del loro amico che, purtroppo, quel giorno appariva più nervoso e insofferente del solito.

- Io non sono affatto nervoso!

Gridò, facendoli trasalire mentre si sporgeva per stringere la mano al nuovo arrivato, senza sforzarsi di cambiare la sua espressione ostile.

- Christian.

Si presentò in tono incolore, afferrando saldamente le bacchette e fissandolo con aria interrogativa.

- Allora? Sai suonare, almeno? Non mi va di continuare a perdere tempo!

- Il mio nome è Josè – replicò l’altro senza perdere un colpo – e grazie tante, anch’io sono felice di conoscerti!

- Non fare caso a ciò che dice – intervenne Nicolas, lanciando intanto un’occhiataccia in direzione di Christian che lui però finse di non cogliere – il nostro amico qui è un po’ fuori di testa. Ti va di farci sentire qualcosa?

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e provò subito la tastiera, dimostrando un talento tale da lasciarli tutti a bocca aperta.

- Ehi, sei davvero bravo, lo sai?

Si complimentò quindi Ethienne, guardando intanto di sottecchi Christian che, in silenzio, non gli toglieva gli occhi di dosso.

- Sì, non c’è male, ma sono sicuro che si può fare di meglio.

- Se ti va torna domani, così proviamo tutti insieme e decidiamo il da farsi.

Josè annuì soddisfatto, stringendo con calore la mano che Nicolas gli stava offrendo e di nuovo nel giro di pochi minuti la porta si spalancò di colpo, rivelando una figura graziosa e minuta che con aria timorosa si avvicinava lentamente a loro.

- Josè, ecco dov’eri finito! Oh, scusate se mi presento così ma fuori comincia a fare decisamente freddo, così spero non vi dispiaccia se continuo ad aspettare qui il mio ragazzo.

Disse, illuminandosi in volto quando il fidanzato le cinse le spalle con un braccio per attirarla a sé.

- No, ma prego, figurati, tanto questo garage ormai è diventato un porto di mare! Cosa ti porto già che ci siamo, un frappè alla frutta oppure desideri un caffè?

Replicò Christian, sarcastico.

- Un caffè, grazie mille.

Mormorò la ragazza, dimostrando così di non cogliere quell’amara ironia.

La guardò fisso per un lungo momento, imbarazzandola non poco.

- Questo non è un bar e qui stiamo cercando di produrre qualcosa di serio, porca miseria! Perché sono circondato da un branco di…

- Christian, per favore! Non sei affatto gentile!

Lo riprese Ethienne, ottenendo in risposta un’occhiata raggelante.

- Io non voglio essere gentile, voglio solo che qui si prendano le cose seriamente!

Poi congedò i nuovi arrivati con un brusco cenno del capo, e questo gli costò l’ennesima ramanzina da parte dei ragazzi. Una ramanzina che però non aveva alcuna voglia di sorbirsi di nuovo, così quando la porta tornò ad aprirsi ancora una volta e senza preavviso colse subito la palla al balzo, precipitandosi rabbioso verso chiunque, in quell’orribile giornata da dimenticare avesse ancora il coraggio di disturbarli ulteriormente.

- Adesso basta, siete duri d’orecchi? Non accettiamo più nessuno per oggi, vi ho detto di andare fuori dalle… Jo…Johanna?

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 (parte 2) ***


Non appena posò lo sguardo sulla piccola cesta che Johanna stava trattenendo tra le mani tutta la frustrazione provata fino a quel momento parve sciogliersi come per incanto, lasciando il posto a un tenero tepore che lentamente avvolse il suo cuore afflitto, riempiendolo di nuova speranza mentre i suoi occhi indugiavano ancora un po’ su quel delicato fagottino, ora profondamente addormentato che era suo figlio.

- Allora, mi fai entrare o cosa?

Ci pensò la voce di Johanna a riportarlo bruscamente alla realtà, così si scansò immediatamente per lasciarla passare senza tuttavia riuscire a smettere di sorridere.

- Io non…non mi aspettavo di vederti, cosa ci fai qui?

Chiese, timoroso di una sua qualunque risposta che però non tardò ad arrivare.

- Volevi la tua occasione con lui, giusto? Bene, adesso ce l’hai. Vedi di non sprecarla e, soprattutto, non farmene pentire.

- Scusami, non credo di riuscire a seguirti.

- Ho bisogno che ti occupi del bambino per qualche ora.

Tagliò corto, brusca, senza mai sollevare lo sguardo verso di lui, che intanto continuava a scuotere la testa come se non credesse alle proprie orecchie.

- Stai dicendo sul serio?

Disse confuso e lei sbuffò, chiaramente infastidita da tutta quella titubanza. Ma non poteva farci niente, doveva essere sicuro di aver capito bene.

- Ti sembra che abbia la faccia di una che scherza? Devo andare al lavoro e non posso certo portarlo con me, ma se non te la senti…

- No, no, io non ho detto questo, certo che me la sento. Puoi scommetterci. Sono solo un po’ sorpreso, ecco tutto.

- Beh, sappi che questo era sicuramente l’ultimo posto in cui mi sarebbe venuto in mente di portare mio figlio, purtroppo però non ho avuto scelta.

Ribattè, mantenendo quell’aria fissa e ostile che tanto lo agitava, perché non gli permetteva di leggerle dentro, di riuscire a comprendere qualunque cosa provasse. Forse però tutto ciò che provava ce lo aveva semplicemente scritto in faccia, e non poteva certo essere altrimenti, ma Hèléne aveva ragione: doveva solo aspettare. Anche se quell’attesa lunga e snervante aveva ridotto in pezzi i suoi nervi già provati. Ma ne era valsa la pena perché ora il bambino era lì con lui, e questa volta non si sarebbe accontentato di pochi, sporadici abbracci rubati di nascosto e solo durante le brevi passeggiate delle ragazze. No, questa volta sarebbe stato del tutto diverso. 

- Lui è molto tranquillo di solito e non necessita di particolari attenzioni, ma, mi raccomando, occhi aperti. E non tenerlo vicino alle casse, non voglio che la musica finisca per intontirlo.

Continuò la ragazza prima di chinarsi sul piccolo e posargli un leggero bacio sulla piccola fronte.

- Mi mancherai amore della mamma, ma non preoccuparti, perché non starò via molto. Torno a riprenderti presto.

Poi si rialzò incrociando per la prima volta lo sguardo di Christian, che a tutte le sue raccomandazioni si era limitato ad annuire senza proferire parola. Il suo atteggiamento fin troppo scostante lo metteva in difficoltà, poiché non sapeva proprio come comportarsi con lei, tanto che non riuscì neppure a dirle quanto le fosse grato per essersi finalmente decisa a concedergli quell’opportunità che no, per nulla al mondo avrebbe mai sprecato.

Johanna si affrettò a voltargli le spalle quasi avesse paura di pentirsi della decisione appena presa, ma a metà strada sembrò ripensarci e per un attimo rimase immobile, la mano sulla maniglia della porta già socchiusa.

- A proposito, si chiama Douglas e, tanto perché ti sia chiaro, non l’ho certo fatto per te. Il nome mi piaceva, tutto qui, così l’ho scelto.

Disse gelida, poi lasciò il garage sotto lo sguardo attonito e felice del ragazzo, che di certo tutto si aspettava, tranne che seguisse il suo consiglio. Non appena si fu allontanata da loro Nicolas esplose in una risata che riecheggiò per tutta la stanza, contagiando ben presto anche Ethienne mentre entrambi si lanciavano in una serie di ovvie considerazioni che più volte fecero storcere il naso a Christian, anche se dovette ammettere di trovarsi perfettamente d’accordo con loro.

- Sapevo che ci sarebbe riuscita, la mia Hèléne è proprio un genio. Il suo piano è perfettamente riuscito!

- Ma vogliamo parlare della mia Cathy, allora? Anche lei è stata fantastica!

- Sì, ma a chi è venuta in mente l’idea meravigliosa di dar buca a Johanna solo per costringerla a venire fin qui? Ma alla mia ragazza, ovviamente!

- Ah, finitela una buona volta. Siete ridicoli!

Sentenziò Christian scuotendo la testa un paio di volte e cercando tuttavia di nascondere il largo sorriso che ora distendeva i suoi lineamenti, prima corrucciati da un malumore troppo a lungo trattenuto.

- Ehi Nicolas, non posso crederci. Guarda, sta sorridendo!

- Già, da quando è arrivato il bambino ha cambiato completamente umore. Non sembra neppure più lui, faccio quasi fatica a riconoscerlo!

- Volete smetterla di prendermi in giro, adesso? E poi abbassate la voce, non voglio che Douglas finisca per svegliarsi di soprassalto. Dorme così bene. Ciao angioletto, lo sai chi sono io? Sono il tuo papà, e oggi io e te staremo insieme per un po’. Allora, sei contento?

Sussurrò accarezzandolo a lungo e provando a occuparsi di lui in maniera attenta e scrupolosa non appena gli amici, stanchi di continuare a suonare li lasciarono soli per tornare a casa. Non aveva alcuna intenzione di deludere Johanna ed era sicuro che presto, magari con un po’ di fortuna, tutte le sue remore sarebbero svanite. Fu un pomeriggio tranquillo e molto più sereno di quanto si aspettasse, tranne quando il bambino cominciò improvvisamente e senza apparente motivo a dimenarsi e a piangere disperato, così lo aveva preso in braccio, cullandolo dolcemente per conciliargli il sonno e sussurrandogli una delle canzoni che già da un po’ gli girava in testa e che sperava un giorno di poter incidere in qualche modo.

- Su, non piangere piccolo mio, va tutto bene. Bravo, così, è tutto a posto. Sai, sono così felice che la mamma abbia finalmente acconsentito a farci passare un po’ di tempo insieme, io non chiedevo veramente altro che poterti stare vicino, potermi prendere cura di te. Ma ha ragione ad avercela con me, perché non mi sono comportato bene con lei. Tu non lo sai, tesoro, ma prima ancora che tu nascessi le ho detto delle cose orribili e spero solo…spero che un giorno possa perdonarmi per il male che le ho fatto, lo spero davvero con tutto il cuore, perché non ho mai provato per nessuna quello che adesso provo per lei. Forse però è già troppo tardi, e anche se il solo pensiero che possa odiarmi mi fa stare malissimo devo provare ad accettarlo. Ma tu, almeno tu non avercela con me angelo mio, perché solo ora mi rendo conto di quanto sia stato terribilmente crudele da parte mia rinnegarti a quel modo, quando invece mi è bastato un solo sguardo per innamorarmi perdutamente di te. È così, ti amo più di ogni altra cosa al mondo Douglas, e voglio che tu sappia che potrai sempre contare su di me. Qualunque cosa accada…

Si interruppe di colpo non appena si accorse che Johanna, ferma sulla soglia li stava osservando con curiosità, così si affrettò a rialzarsi in piedi, tossicchiando imbarazzato. Non sapeva da quanto tempo si trovasse lì né cosa avesse sentito, ma non era importante. Non ora che il suo tempo con Douglas era scaduto. Il solo pensiero di doversi di nuovo separare da suo figlio gli provocò una violenta stretta al cuore che a stento riuscì a mitigare con un sorriso, mentre lasciava che Johanna lo prendesse dalle sue braccia stringendolo al petto.

- Eccomi qui, cucciolo, sono tornata da te. Hai visto? Come stai, hai fatto il bravo?

- È stato un vero angelo.

Rispose lui, cercando ancora una volta il suo sguardo sfuggente.

- Ha il pannolino un po’ stretto.

Considerò poi rivolta a Christian, che alzò le spalle in segno di scuse.

- Ecco, io…non ho ancora avuto la possibilità di fare un po’ di pratica, ma spero che d’ora in poi vorrai concedermela. Io lavoro come barman da Alfredo nel fine settimana, ma il mio turno comincia sempre piuttosto tardi e il resto dei giorni sono praticamente libero, a parte l’università e il resto, lo sai, ma se ci organizziamo bene tra noi potremmo riuscire a gestire la cosa nel migliore dei modi. Insomma, voglio che tu sappia che puoi lasciarmelo ogni volta che lo desideri, sarei davvero felice se provassi a considerare quest’idea.

Azzardò a voce bassa e la giovane americana increspò le labbra in un’espressione apparentemente indecifrabile prima di annuire impercettibilmente nella sua direzione, strappandogli un sorriso sollevato.

- Ci penserò.

Fu tutto ciò che disse e dopo avergli lasciato il tempo per salutarlo e stringerlo a sé un’ultima volta fece per andarsene con il bambino, ma Christian la trattenne stringendo delicatamente una mano attorno al suo polso e facendola così sussultare.

- Johanna, darei davvero qualunque cosa per poter cancellare tutte le cose orribili che ti ho detto.

Sussurrò, sfiorando piano la sua pelle morbida e prendendole la mano poco prima che le dita di lei sgusciassero via dalle sue dopo un breve, interminabile attimo di esitazione che lo colse di sorpresa, spingendolo però a desistere. Almeno per il momento.

- Non si torna indietro, Christian.

Rispose con fermezza, senza voltare la testa.

 

7 novembre 1994

Ore 3,00

Sono davvero grato alle ragazze per ciò che hanno fatto per me, spingendo Johanna a prendere questa decisione. Potermi occupare di Douglas, anche se solo per qualche ora è stato il regalo più bello che abbia mai ricevuto in vita mia, perché da quando l’ho visto per la prima volta non sono più riuscito a smettere di pensare a quel bambino meraviglioso e ai suoi teneri sorrisi. Lui è mio figlio. Mio figlio. Suona così strano persino pronunciarlo, figuriamoci scriverlo. Mio figlio. Douglas. Alla fine ha scelto il nome che le avevo suggerito, anche se non ha perso occasione per precisare che non lo aveva certo fatto per me. Già, come se potessi crederci. Quando le ho preso la mano ha avuto un lieve sussulto, non posso essermi sbagliato, e questo vuol dire una sola cosa. Ancora una volta Hèléne aveva ragione, non posso arrendermi con lei, anche se questo significa dover rimboccarsi le maniche e impegnarsi a lungo per riconquistare la sua fiducia. E forse, un giorno, il suo amore. Perché se c’è una cosa di cui sono assolutamente sicuro in questa vita è che non voglio, non posso rinunciare a noi e a quello che potremmo essere insieme, e questo lei prima o poi lo capirà. O almeno lo spero…

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


- Allora, è andato tutto bene oggi?

Chiese Hèléne dopo aver appreso con gioia che il suo piano aveva avuto successo, e che Christian era finalmente riuscito a passare qualche ora con suo figlio. Johanna fece spallucce, sorridendo appena e lanciando uno sguardo alla culla ai piedi del suo letto, dove Douglas si era appena addormentato.

- Beh, il bambino è ancora vivo.

Scherzò, facendo scoppiare a ridere le amiche.

- Ma scusa, che ti aspettavi? – rispose Cathy, divertita – Che desse fuoco al garage nel tentativo di scaldargli il biberon?

- Qualcosa del genere.

Ammise la ragazza, sprofondando sui cuscini. A dire la verità non sapeva neppure lei cosa aspettarsi. Forse, per tutto il tempo aveva solo cercato un pretesto, uno qualsiasi al quale potersi aggrappare per impedire a Christian di vedere il bambino, ma nonostante l’impegno non lo aveva trovato. Al suo posto infatti c’era solo tanto amore e questo l’aveva fatta sciogliere all’istante, anche se aveva cercato in tutti i modi di non darglielo a vedere. Adorava il modo in cui lo aveva stretto contro di sé, come se volesse proteggerlo dal resto del mondo, come se si stesse disperatamente aggrappando a suo figlio per poter dimostrare qualcosa a se stesso e, forse, anche a lei che, intenerita, non si era persa una parola di tutto ciò che il ragazzo si era lasciato sfuggire credendo di essere solo.  

- Ma parliamo di voi – continuò poi, guardandole di sottecchi – come è andata la tua giornata all’insegna dello shopping compulsivo, e la tua festa in famiglia? Spero ve la siate goduta, mentre vi divertivate alle mie spalle!

Le ragazze la fissarono a bocca aperta, fingendosi stupite.

- Guarda che non è come pensi!

Esclamarono all’unisono, strappandole una risata che in un momento servì a smascherarle definitivamente.

- Siete proprio pessime a dire le bugie! Pensavate veramente che non avrei capito nulla di tutta questa storiella che avete messo in piedi solo per spingermi a lasciare il bambino a Christian? Non preoccupatevi però, non ce l’ho mica con voi, anzi, credo proprio che dovrei ringraziarvi. Senza il vostro aiuto non so se avrei mai avuto il coraggio di compiere un passo del genere.

- Significa che lo farai di nuovo?

Chiese Hèléne, speranzosa. Johanna abbassò lo sguardo, pensosa.

- Non lo so – disse infine – forse.

 

 

7 novembre 1994

Ore 2.00

Douglas ha appena finito di mangiare e io, seppure molto stanca, non so per quale motivo ma sento il bisogno di scrivere. Forse perché ciò a cui ho assistito oggi mi ha colpito molto più di quanto pensassi, risvegliando qualcosa dentro di me che credevo sopito per sempre. Christian ama suo figlio e questo pomeriggio ha dimostrato di avere tutte le carte di regola per diventare il padre che ho sempre sognato per il mio bambino, ma che fino a questo momento non avevo mai riconosciuto in lui. Non posso continuare a tenerli lontani…

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


- Sfoderare tutte le tue armi seduttive non ti servirà, Christian. Sai benissimo che con me non attacca!

- Questo lo dicono le tue labbra, il tuo corpo in realtà dice ben altro.

Continuò a sussurrarle dopo averla bloccata contro la parete con il proprio corpo, cingendole la vita con le braccia e costringendola a rimanere in quella posizione, sorridendo sotto i baffi quando la vide sbuffare con aria seccata. Poteva fare la difficile quanto voleva, tanto lo sapeva bene che non sarebbe riuscita a resistergli ancora a lungo. Poi fece per baciarla ma lei, pronta voltò il viso dall’altra parte, cercando con entrambe le mani di spingerlo via da sé ma con scarsi risultati. No, non si sarebbe mai arreso così facilmente.

- Credi davvero che provare a rubarmi un bacio tutte le volte che vengo a portarti il bambino possa servire a qualcosa?

Chiese Johanna, sorridendo divertita e lui la strinse più forte, avvicinandosi fino a premere la fronte contro la sua.

- Anche due, tre, quattro, non sarebbero una cattiva idea in fondo.

- Ah, sì? E cosa ti fa pensare che te lo permetterei?

- Ho forse bisogno di chiederti il permesso per farlo? Sei mia, ricordatelo.

Mormorò con voce suadente e le sue mani si mossero lente sui suoi fianchi, facendola sussultare. Sapeva che quella vicinanza, seppur forzata le provocava ancora delle emozioni, riusciva chiaramente a percepirlo, e questo era il suo più grande punto di forza. Non importava cosa continuasse a ripetere, sapeva bene quanto lui avesse ragione.  

- Basta adesso con queste stupidaggini – la sentì dire all’improvviso, irrigidendosi tra le sue braccia – togliti di dosso, non riesco a pensare lucidamente quando sei così vicino.

- Allora lo ammetti che ti faccio ancora un certo effetto? Lasciati andare, smetti di pensare…

- L’ultima volta che ho smesso di pensare mi sono ritrovata incinta! E comunque non illuderti, lo dicevo solo perché non fai altro che stordirmi di chiacchiere.

Lo interruppe, facendolo scoppiare a ridere. La ragazza lo spinse di nuovo e stavolta lui non oppose resistenza ma sospirò a lungo, fingendosi mortalmente offeso prima di avvicinarsi al piccolo Douglas che intanto, nel comodo passeggino, giocava pacifico con la sua pecorella di pelouches parlante. Christian non faceva che riempirlo di regali praticamente tutte le volte che si vedevano e il risultato intorno a loro era un gran caos di giocattoli sparsi negli angoli più disparati del garage. Adorava farlo felice, voleva che non gli mancasse niente e ogni volta che Johanna provava a protestare per il modo in cui si divertiva a viziarlo la discussione sfociava inevitabilmente in una grossa lite, e tutto finiva per complicarsi. Ragion per cui con lui era meglio arrendersi. In tutti i sensi.

- Accidenti a quell’ammasso di ferraglia arruginita che ha deciso di nuovo di lasciarmi a piedi, è un miracolo che si sia fermata proprio qui vicino, almeno mi ha permesso di portarti il bambino!

Si lamentò l’americana, guardando l’orologio per l’ennesima volta e saltellando da un piee all’altro con aria nervosa. Christian scosse la testa, incrociando le braccia e muovendo qualche passo verso di lei.

- Il fatto che abbia deciso di tirare le cuoia proprio qui, nei pressi del garage rappresenta un segno del destino, non ci hai pensato? Quindi potevi prendere la mia auto per andare al lavoro, invece che chiedere passaggio a uno sconosciuto.

 

- Non è uno sconosciuto – replicò – è un collega, ed è stato molto gentile e disponibile ad accettare di venirmi a prendere fin qui. E poi la mia macchina non ha tirato le cuoia, dopo una bella messa a punto tornerà come nuova!

- Lo hai detto anche la settimana scorsa.

Le fece notare con noncuranza e lei gli diede uno spintone, rischiando quasi di fargli perdere l’equilibrio mentre scoppiava a ridere divertita. Anche se non era esattamente ciò che si era aspettato, era felice di come le cose si erano evolute fra loro in quei mesi. Se non altro erano tornati a parlare e a scherzare tra loro, e questo significava tanto per lui, anche se… anche se ogni volta che tentava un approccio di altro tipo lei finiva sempre per buttarla sul ridere, rifiutandosi di prenderlo sul serio. Maledizione. Come faceva a non capire che continuando su quella strada lo avrebbe mandato dritto al manicomio? La amava, la amava disperatamente e forse ancor più di prima, cos’altro avrebbe dovuto fare per farglielo capire? Adesso, l’idea che se ne andasse in giro con un altro lo disturbava parecchio, anche se stava veramente facendo di tutto per trattenersi dal dirglielo. Il suono improvviso di un clacson lo riportò bruscamente al presente e prima ancora che potesse accorgersene Johanna era già uscita, lasciandolo solo con il bambino. A quel punto Christian fece una smorfia infastidita, prendendolo delicatamente fra le braccia e stampandogli un bacio sulla guancia.

- Ehi giovanotto, lo sai tenere un segreto? Non mi piace che la mamma se ne vada in giro con qualcuno che non conosco affatto, soprattutto se invece lei lo conosce così bene visto che praticamente lavorano fianco a fianco. Sì, lo so che non piace neanche a te e dovremmo fare qualcosa a riguardo, ma mi sa che ho le mani legate. Ho provato veramente di tutto con lei, ma continua a rifiutarmi. Eppure lo so che mi vuole ancora bene, il problema è che non riesco a farglielo ammettere, e…

Si interruppe di colpo quando la porta del garage si spalancò per lasciare entrare i suoi amici, pronti per un altro pomeriggio da trascorrere tutti insieme. Prese quindi possesso della batteria, rifiutandosi però di separarsi da Douglas che intanto, con le braccine tese, provava in tutti i modi ad appropriarsi delle sue bacchette.

- Sai, sarebbe molto più semplice se lo mettessi giù. Almeno potremmo finalmente cominciare.

Gli fece notare Josè, stanco di tutte quelle perdite di tempo.

- Piantala di lamentarti – ribattè Christian, rivolgendogli un’occhiataccia – sono un professionista, e poi Douglas deve imparare a suonare e seguire da vicino il suo papà lo aiuterà ad apprendere più velocemente.

- Se lo dici tu.

Considerò Nicolas, stringendosi nelle spalle mentre rideva sotto i baffi. Le ore sembrarono trascorrere più velocemente del solito quel giorno e ben presto Johanna si presentò tra loro, pronta a riprendere il bambino, ma…non era sola stavolta. Al suo fianco c’era un ragazzo alto e dalle spalle larghe che, dopo essersi presentato come Alain, il tanto temuto e fino a quel momento sconosciuto collega di lavoro, si avvicinò al bambino guidando velocemente il passeggino verso l’uscita in un gesto brusco e sbrigativo che a Christian non piacque per niente. Johanna però sembrò non notarlo neppure, impegnata com’era a sorridergli mentre, diretti verso la sua spaziosa auto, gli permetteva di cingerle le spalle con un braccio in un gesto così confidenziale da fargli di colpo perdere la testa. Fu allora che in preda a una rabbia cieca si precipitò verso di loro per colpirlo con violenza con un pugno ben assestato sulla mascella, e in quel momento accadde tutto in un attimo. Le urla di Johanna che sconvolta gli intimava di fermarsi e quelle parole che, dure come pietra gli avevano di colpo scavato dentro, colpendolo dritto al cuore…

 

 

21 aprile 1995

Ore 23.35

Mi ha detto che non mi farà più vedere il bambino perché mi reputa un tipo pericoloso. Già, violento e fuori di testa, ha aggiunto. Ha osato minacciarmi in questo modo, urlandomelo in faccia con tutta la sua forza solo perché stavo cercando di difendere ciò che è mio e che amo più della mia vita. Come ha potuto permettere a quello stronzo di prendersi certe libertà con lei e con Douglas, con mio figlio, portandoselo via come se gli appartenesse? Come se lei stessa gli appartenesse…come può trattarmi come uno sconosciuto, come uno che non conta niente dopo quello che c’è stato tra noi e dopo il modo in cui continuo a parlarle di ciò che provo? Si prende gioco di me e dei miei sentimenti, ma se crede di poter continuare su questa strada senza sentirmi replicare si sbaglia di grosso, perché adesso le farò capire io chi comanda. Non proverai a tenermi di nuovo lontano dal mio bambino, per nulla la mondo te lo permetterò più. Adesso, mia cara Johanna, si farà come dico io!

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


27 aprile 1995

Ore 9,30

Il professore continua a spiegare la lezione ma sembra quasi che oggi stia parlando un’altra lingua. Non c’è niente da fare, per quanto mi sforzi di seguirlo non riesco proprio a concentrarmi, né a prendere appunti come faccio di solito. L’unica cosa a cui non faccio che pensare è il comportamento da pazzo di Christian, che francamente avrebbe anche potuto risparmiarsi. È passata una settimana da quanto ha quasi rischiato di rompere la mascella al mio collega di lavoro, come se ci fosse stato un motivo valido per farlo. Non c’è niente tra noi e non capisco proprio perché si sia ostinato a pensare il contrario visto che non stavamo facendo nulla di compromettente. Comunque sia ho tutta l’intenzione di tener fede alla parola data e se questo è l’atteggiamento che intende assumere mi dispiace ma non vedrà più il bambino. Non ho intenzione di mettere Douglas in pericolo in qualche modo, pur sapendo che Christian non farebbe mai del male a suo figlio. Ma è una testa calda, un idiota senza il minimo controllo, e non posso permettergli di continuare a fare il bello e il cattivo tempo quando gli pare. Anche se il suo strano silenzio mi preoccupa  perché in questa settimana, dopo quella terribile sfuriata non si è più fatto vivo in alcun modo. Non una chiamata, non una visita inaspettata, assolutamente nulla e questo sì, mi inquieta parecchio. Non vorrei che stesse macchinando qualcosa.

 

Richiuse il diario, affrettandosi a riporlo sotto il banco prima che qualcuno se ne accorgesse e prendendo a giocherellare con la sua penna, l’aria perplessa e confusa. Il resto delle lezioni trascorse poi così velocemente che prima ancora che potesse accorgersene era già arrivata l’ora di tornare al lavoro.

- Sei sicura di voler lasciare Douglas con me, e non con suo padre? È già da un po’ che non lo vede e, so che non sono affari miei, ma secondo me così facendo stai solo peggiorando le cose.

Considerò Hèléne, pensosa mentre Johanna scuoteva la testa con decisione, sospirando poi con forza, proprio come a voler rafforzare la sua decisione.

- Non sono stata certo io a combinare un casino – ribattè risentita – e sai bene che non ho avuto altra scelta, perciò non mi interessa affatto ciò che pensa o come si comporterà d’ora in avanti perché non è affar mio. Non ho paura di lui!

- Io non dico certo che dovresti averne, ma Christian è pur sempre…

- La decisione è presa e la questione chiusa, e per quanto mi riguarda non desidero parlarne mai più.

Furono le sue ultime parole prima di dare un bacio frettoloso al bambino e correre subito al lavoro, dove la giornata fu tutto sommato tranquilla. Già, troppo tranquilla, tanto da non riuscire a impedirle di pensare a ciò che non avrebbe voluto, a ciò che si sforzava il più possibile di tenere a distanza ma che, prepotente tornava a farsi sentire, scavandole dentro fino a farle male. Era davvero giusto il modo in cui si stava comportando? Che cosa avrebbe ottenuto continuando a tenerlo lontano da quello che era anche suo figlio? Era su questo che per l’intero pomeriggio aveva continuato a rimuginare senza sosta, anche quando, verso sera decise di raggiungere i suoi amici da Alfredo, sicura che li avrebbe trovati lì. O almeno era ciò che Hèléne le aveva detto. Aveva proprio bisogno di bere qualcosa di fresco, qualcosa che potesse aiutarla a calmarsi un po’, anche se quando era arrivata l’unica cosa su cui si era imbattuta era il passeggino vuoto di Douglas. Alzò quindi le spalle con noncuranza, immaginando che le amiche si fossero allontanate insieme al bambino e che solo per un attimo avessero lasciato il passeggino incustodito, ma quando vide Hèléne tornare a mani vuote cominciò lentamente a farsi prendere dal panico.

- Sei sola, dov’è il bambino?

Chiese, sperando che la ragazza l’avrebbe presto tranquillizzata chiarendo tutto, ma non appena la vide lanciare un’occhiata al passeggino vuoto la sua espressione mutò radicalmente, facendosi via via allarmata.

- Era proprio qui un attimo fa, come è possibile? Mi sono allontanata solo per poco tempo per lavarmi le mani!

- Che diavolo significa, ti sei allontanata lasciando Douglas da solo?

Esplose Johanna, gesticolando furiosamente.

- Ma no, certo che no, ho detto a Christian di tenerlo d’occhio per un secondo…

- Christian era qui? Oh mio Dio!

- Credi che…

- No, non lo credo. Ne sono sicura. Lo ha portato via, non c’è altra spiegazione, ma non può essere andato lontano! Se mi sbrigo posso ancora raggiungerlo.

Si catapultò fuori dal locale come una scheggia, raggiungendo la sua auto e intimando intanto all’amica di correre al garage, nel caso avesse deciso di andare lì con il bambino, anche se non lo credeva affatto. Del resto gli aveva impedito di vederlo e stare con lui per tutto quel tempo, e adesso stava sicuramente fuggendo da lei. Ma non ci sarebbe riuscito, per nulla al mondo gli avrebbe mai permesso di portarglielo via…

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


- Non le permetterò di separarci di nuovo, piccolo, te lo prometto. È con me che devi restare.

Gli sussurrò guardandolo con tenerezza attraverso lo specchietto retrovisore mentre ingranava la marcia, continuando ad avanzare senza sapere bene dove andare. Ma non importava, qualunque posto sarebbe andato bene per loro, e se erano insieme nient’altro avrebbe avuto importanza. La testa però cominciava fastidiosamente a ronzargli e le mani, sudate e tremanti, che ormai stentava a tenere ben salde sul volante non gli facilitavano certo le cose. Perché permetteva ai suoi nervi di prendere il sopravvento su di lui? Doveva restare calmo e lucido, era questo ciò che non faceva che ripetersi, ma chissà perché la cosa pareva non funzionare più. Non adesso che si stava allontanando. Oh, ma lo sapeva, conosceva bene il motivo di tanta agitazione. Solo che non lo avrebbe mai ammesso neppure a se stesso. No, non lo avrebbe mai fatto, perché ciò che stava portando avanti non era un rapimento. Non avrebbe mai rapito Douglas, si stava solo riprendendo quello che era suo. Quello che mai nessuno avrebbe più potuto strappargli ormai, tantomeno lei. Ma stavano fuggendo, sì, stavano fuggendo, e comunque la mettesse niente sarebbe servito a cambiare quella sconcertante verità. Fu allora che se ne accorse. Un’auto bianca lo raggiunse ben presto e arrancando lo marcò stretto, affiancandolo con decisione. Un’auto che purtroppo conosceva fin troppo bene.

- Christian, fermati immediatamente! Che cosa credi di fare?

Gli gridò Johanna dal finestrino ma lui scosse la testa con un sorriso beffardo, gli occhi ancora incollati sulla strada.

- Non cercare di fermarmi, tanto non ti servirà a niente!

Replicò, mostrando una calma che di certo era ben lontano dal provare.  

- Accosta ho detto e, bada, non ho alcuna intenzione di ripeterlo un’altra volta! Non puoi portare via il bambino, ti rendi conto che non ha assolutamente senso? Per l’amor del cielo, sei forse uscito di senno?

- Non mi terrai lontano da lui, non più, non te lo permetterò stavolta!

- Ti prego Christian, cerca di ragionare!

- No, sono fuori di testa e le persone come me sono incapaci di ragionare! Lo hai detto tu stessa, ricordi? E hai anche detto un mucchio di altre cose…

Qualunque cosa stesse per aggiungere fu costretto a interrompersi poiché, con un unico balzo deciso la macchina si arrestò di colpo in mezzo al nulla, lasciandolo basito per un attimo prima che si rendesse conto di ciò che era realmente successo.

- Non è possibile cazzo, è finita la benzina!

Esclamò furioso, picchiando forte le mani sul volante fin quasi a farsi male. Si voltò verso suo figlio che visibilmente agitato si guardava ora intorno con aria spaesata, e quando tornò a sbirciare il finestrino vide l’americana correre verso di loro mentre con le lacrime agli occhi si affrettava a spalancare la portiera per stringere a sé il bambino.

- Grazie al cielo stai bene, tesoro, ero così in ansia! Ora sei al sicuro, la tua mamma è qui con te piccolo mio, e non ti lascerà mai più.

Ormai completamente arreso e pronto, suo malgrado a fare marcia indietro, a Christian non restò altro da fare che continuare a guardarli in religioso silenzio per un tempo che gli parve interminabile. Almeno finchè non accade qualcosa di inaspettato, qualcosa che li lasciò entrambi a bocca aperta.

- Papà!

La voce di Douglas, così chiara e forte si insinuò all’improvviso tra loro, facendoli sobbalzare per lo stupore e il ragazzo, sopraffatto da un’incontenibile emozione non seppe far altro che scoppiare in un pianto dirotto prima che Johanna, totalmente presa alla sprovvista si avvicinasse lentamente a lui, sedendogli vicino e mettendogli il bambino tra le braccia.

- Sì amore mio, sono qui. Sono qui con te.

Mormorò singhiozzando e stringendolo a sé per cullarlo dolcemente, poi sollevò lo sguardo, specchiandosi in quegli occhi chiari che ora non potevano far altro che  guardare entrambi con orgoglio e commozione.

- Mi dispiace. Per tutto quanto, e…

- È a me che dispiace – lo interruppe, sfiorando la sua mano con una breve carezza – e mi sento così stupida per essere arrivata a tanto, anche se ho sempre saputo che con te nostro figlio sarebbe stato al sicuro. Lui ti adora e tu gli vuoi bene esattamente quanto gliene voglio io, non ho mai avuto dubbi su questo. Volevo solo punirti, farti del male perché…tu lo avevi fatto a me.

Si sporse verso di lui per asciugargli le lacrime che gli rigavano le guance e lui le accarezzò il viso mentre le sue labbra, finalmente, si increspavano in un sorriso.

- Allora adesso siamo pari.

Disse piano, poi le sfiorò le labbra con un bacio lieve e lei non si ritrasse, anzi, la vide sorridere per baciarlo poi a sua volta, indugiando a lungo sulla sua bocca prima che il bambino tra loro attirasse su di sé tutta l’attenzione, continuando a ripetere l’unica parola che aveva imparato e che ben presto sarebbe stata seguita da tante altre.

- Su, stai buono Douglas, il tuo papà e la tua mamma hanno da fare adesso, non vedi?

Scherzò, incrociando nuovamente lo sguardo di Johanna per strizzarle l’occhio con fare giocoso, facendola scoppiare a ridere.

- Ti amo. Non ho mai smesso di farlo.

Disse poi tornando serio e lei gli strinse le mani, chinandosi a baciare la testa del loro  bambino e poi di nuovo le sue labbra, più a lungo stavolta, fin quasi a togliergli il respiro.

- Anch’io ti amo, mio Cri Cri adorato.

Rispose, stringendoli entrambi in un forte abbraccio.

 

Fine.

 

 

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