Enemies

di Bakacchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 3.07 : Start. ***
Capitolo 2: *** Era una notte buia e tempestosa... ***
Capitolo 3: *** Disgusto; qui piove! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 in costruzione. ***



Capitolo 1
*** 3.07 : Start. ***


Enemies
(titolo provvisorio)

di Haciko; o meglio Hacch.



-         Haine-san!!!Svegliati!Sono tornati, ci attaccano di nuovo!!! –

Aprii gli occhi di scatto, bruscamente risvegliata dall’urlo di Aki, la mia migliore amica, nonché compagna di banda. Allungai la mano, tastando nel buio alla ricerca della sveglia, premetti il pulsantino centrale e subito il led della piccola macchinetta segna ora si accese, informandomi che erano soltanto le 3.07 del mattino. La pioggia batteva insistente sulla finestra e le gocce parevano sassi da quanto erano grandi.

Ottimo tempismo, pensai mentre mi mettevo a sedere sul letto. Mi alzai e cercai l’interruttore della luce. Lo premetti e la stanza venne illuminata di colpo dalla lampada, facendomi strizzare gli occhi.

Guardai Aki, in piedi sulla soglia, fradicia dalla testa ai piedi, con il fiatone e in attesa di ordini.

-         Ancora loro? – chiesi ancora assonnata, mentre sentivo la rabbia crescermi dentro..

-         Si, capo. E sta volta c’è anche…lui. – rispose Aki, esitando sull’ultima parola.

Sentii un brivido di pura follia scorrermi lungo la schiena e digrignai i denti all’idea della sua presenza.

Scattai fuori dal letto come se fossi appena stata morsa da un serpente e spalancai il piccolo armadio di legno, prendendo da una gruccia la divisa della banda, una camicetta bianca e una minigonna rossa a pieghe. Legai attorno al colletto della camicia il fiocco rosso, simbolo del nostro gruppo, presi la Coraline dalla custodia argentata appoggiata sulla scrivania e mi fiondai fuori dal dormitorio. Aki mi seguì lungo i corridoi, correndo insieme a me come una furia.

-         Aki, dove sono? – urlai mentre continuavo a correre su per le scale a perdifiato.

-         Sul tetto dell’edificio di fronte!Gli altri sono già lì! –

Salii le scale due gradini alla volta, fino a raggiungere la porta che dava sul tetto. La spalancai e mi fiondai fuori, sotto la pioggia battente. Stava per cominciare l’ennesima lotta.

 

- - -

 

Quando avevo solo due anni i miei genitori morirono durante uno scontro tra le due bande rivali dell’epoca. 

A Tokyo il governo, i politici e tutto il resto valevano ormai meno di zero, fatto che favorì la nascita delle cosiddette “band”, il cui unico obiettivo era quello di ottenere il controllo sulla città. 

L’odio profondo che scorreva tra le due derivava da scontri avvenuti secoli prima tra due famiglie che governavano la città e si era protratto negli anni fino ad oggi. I miei genitori facevano parte degli “Hanami”, il team dei fiori, la stessa band di cui ora io sono il capo.

Fino ai dodici anni ho vissuto in orfanotrofio con gli altri bambini che avevano subito il mio stesso crudele destino. Un giorno però, decisi di andarmene. Volevo dimostrare di essere indipendente, che potevo cavarmela da sola. 

Così lasciai l’orfanotrofio, portando con me l’unica cosa di valore che possedevo, la mia bacchetta Coraline, dotata di strani poteri e datami in dono come eredità dei miei genitori, e vagai alla ricerca di un posto dove dormire per giorni finchè non trovai “il dormitorio”, come lo chiamiamo noi Hanami, un vecchio palazzo abbandonato situato ai confini della città. 

Pochi giorni più tardi trovai Aki e alcuni degli altri bambini con cui avevo condiviso l’orfanotrofio sulla soglia dell’edificio, intenzionati a seguirmi e a stare con me. Mentre sistemavamo alla bell’e meglio il palazzo, decidemmo di riformare gli Hanami e io venni eletta capobanda. La nostra tranquillità, però, durò troppo poco. 

Non avevamo rimesso in piedi la band  con gli stessi scopi dei nostri predecessori, ma solo perché eravamo un gruppo di ragazzini accomunati da storie simili, cresciuti insieme senza genitori. Ma ben presto scoprimmo di non essere gli unici orfani a essersi riuniti.

Un giorno d’estate ricevemmo la visita di un ragazzino biondo, che con aria strafottente disse di chiamarsi Chiaki Takamura, il famoso "lui", e che la sua band, la “DanFlame”, ci avrebbe sconfitti e cacciati dalla città. Poco dopo realizzai che il team del fuoco, quello di Chiaki, era il perenne rivale di quello dei fiori e capii che i miei genitori dovevano essere stati uccisi da qualche ex componente di quella band, forse gli stessi genitori di quel Chiaki. 
Cominciai a provare un odio profondo nei suoi confronti e in quelli della sua banda, desiderando con tutta me stessa di farli fuori. 

Tempo un mese e cominciarono gli scontri tra le nostre band. Inizialmente si trattò di semplici scaramucce tra bambini ma con il tempo ci rafforzammo e i nostri combattimenti cominciarono a farsi più duri e intensi fino ad arrivare ad avere dei feriti. 

Nessuna delle due parti, però, ha mai prevalso totalmente sull’altra. Ormai sono cinque anni che continuiamo a farci guerra e quel che resta della polizia si ostina a darci la caccia, considerandoci “elementi pericolosi per il paese”. 

Ma ora basta. 
Stanotte la faremo finita una volta per tutte.

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Capitolo 2
*** Era una notte buia e tempestosa... ***


 

La pioggia batteva impetuosa sulle lamine del tetto malandato, provocando un rumore assordante. La notte, di un nero assoluto, era illuminata solo dai pochi lampioni che fiancheggiavano le strade e dalla pallida luce della luna, resa ancora più opaca dalle grosse nuvole grigio piombo che coprivano il cerchio candido .

Il tetto piatto si protraeva per quindici metri davanti a me e in quello spazio erano disposti, in formazione, i miei compagni. Taiki, il più grande tra noi nonché mio vice, stava in testa, impugnando la sua spada Kuroi saldamente. Dietro di lui, Myu, la più piccola, fissava il tetto del palazzo di fronte nervosamente. Itsuki e Shinji, i fratelli Makuya, le stavano accanto. Correndo raggiunsi Taiki, mentre Aki si posizionava alle nostre spalle con gli altri.

-    Ce ne hai messo di tempo, eh capo? – mi canzonò lui.
- Sta zitto, Taiki. – risposi accennando un sorriso. - Piuttosto, dove sono quei bastardi?-
- Proprio lì. – disse, indicando il tetto del palazzo di fronte.

Aveva ragione: nel punto da lui indicato si stagliavano contro la luce dei lampioni, cinque figure scure, anche loro in formazione.
      - Buonasera, Sagami. - disse uno di loro, con un sorrisetto beffardo stagliato sul volto.

Mi voltai verso l’ombra che aveva parlato, fissandola con disgusto. Avevo riconosciuto all’istante quella voce fredda e dal tono perennemente ironico.

      - Qual buon vento ti porta qui tra noi, Takamura? Di solito, lasci che siano i tuoi carissimi compagni a onorarci della loro presenza, mentre tu...te ne vai a spasso chissà dove - risposi acidamente.

Con un balzo l’alta figura nera saltò sul nostro tetto, arrivando a pochi centimetri dal mio viso, lasciandomi disorientata dalla velocità con cui aveva compiuto quelle azioni.

      - Avevo voglia di vederti, piccola – mi disse con aria strafottente, guardandomi dritta negli occhi.

In un secondo estrassi dalla divisa la Coraline, e gliela puntai al collo, senza muovermi di un centimetro.

      - Bè, io no, anzi, gradirei se...ecco, come dire...sparissi - dissi digrignando i denti.
      - Uh uh, siamo nervosette stasera, eh?Mmm...mi sa che qui ci vuole un calmante –

Chiaki portò la mano dietro la schiena e, lentamente, estrasse una lunga katana dalla custodia che portava al fianco. La lama scintillò di rosso sotto il riflesso delle luci e venne subito avvolta da un'aura fiammeggiante. Prima che me ne potessi accorgere, la punta della spada era appoggiata al mio fianco, e Chiaki la stava facendo scorrere sulla mia pelle, provocandomi un taglio.
Urlai di dolore e mi scostai da lui con un salto.

Shinji, o meglio Shin, mi corse incontro e si inginocchiò accanto a me.
      - Haine-san, stai bene? – mi chiese, sorreggendomi.
      - Il taglio...brucia da morire Shin! - mi lamentai, tenendo una mano sulla ferita.
Il ragazzo fissò con aria preoccupata il taglio sanguinante che si stagliava scarlatto oltre la maglietta strappata.
      - Ragazzi, ritirata!!Haine è ferita! - urlò poi prendendomi in braccio.

Takamura, però, non era d’accordo. Si avvicinò lentamente ed emise una risatina lugubre.
      - Ritirata?Oh non credo proprio, il divertimento è appen...-

Il monotono suono di una sirena interruppe Chiaki. Lo vidi guardare giù dal tetto, il viso in tensione, la katana stretta tra le mani.

- E’ la polizia!!!Ragazzi, VIA! – gridò ai compagni, raggiungendoli sul tetto opposto.

Nel frattempo un gruppo di poliziotti era salito sul tetto del dormitorio degli Hanami, mentre un altro si era lanciato all’inseguimento dei DanFlame.
Shin prese a correre più che poteva quando si accorse che uno degli sbirri puntava verso di noi. Tentò in ogni modo di seminarlo, saltando di tetto in tetto, ma scivolò sulle lamine bagnate. Cademmo insieme ma nell’impatto io finii qualche metro dietro di lui. Mi rialzai a fatica, indebolita dal dolore al fianco, e frugai nelle tasche della gonna, alla ricerca della Coraline.

Quando finalmente la trovai, la estrassi e cominciai a tracciare grandi quadrati nell’aria, borbottando formule magiche. Qualche istante più tardi vidi formarsi davanti ai miei occhi una barriera luminescente. Oltre, c’era Shin, che mi fissava scandalizzato. 

Ormai l’uomo era troppo vicino a me, sarebbe stato impossibile sfuggirgli, ma Shin, lui sì, poteva farcela. 
Il ragazzo si rialzò e cominciò a sbattere i pugni sulla barriera come una furia.

- Haine, cosa diavolo stai facendo??Vieni via! - urlò furioso.
- Scappa Shin!Metti in salvo gli altri!QUESTO E' UN ORDINE! - dissi voltandomi verso di lui e lanciandogli uno sguardo che non ammetteva repliche.

Mi fissò ancora un istante, scuotendo lievemente la testa, per poi dileguarsi nel buio della notte.
Il poliziotto intanto mi aveva raggiunta e, senza alcuno sforzo, mi aveva messo ai polsi due pesanti manette.

- Ma guarda cos'abbiamo qui...proprio la capobanda di quel gruppo di bastardini eh? -

Strattonandomi e spingendomi, mi condusse fino alla macchina e mi sbattè sul sedile posteriore, dove caddi priva di forze. Tentai di mettermi a sedere, sul viso una maschera di rabbia, dolore e odio.

- Oh, ma guarda. Il destino allora ci vuole insieme, piccola - disse una voce accanto a me.

Fu l’unica cosa che sentii prima di perdere i sensi.

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Capitolo 3
*** Disgusto; qui piove! ***


Ah, salve! Dunque dunque ho riscritto interamente la storia fino a questo capitolo, quindi per chi l'avesse già letta nella forma precedente consiglio di ridarci un'occhiata perchè ho cambiato un po' di cosette.
Mi scuso poi per aver lasciato la storia al secondo capitolo. Torno solo ora con il "terzo", che non si potrebbe proprio definire tale, ma va bè XD.
Ora ho intenzione di continuarla, quindi se vi va seguitela (:
Lo dico fin da subito: i miei capitoli saranno piuttosto corti. Non è perchè non ho voglia di scrivere, giuro, è che mi trovo meglio così e credo che renda anche la storia più chiara.
Ecco, ora sparisco e spero di tornare presto con la fine del terzo capitolo e il quarto.

Hacch.

- - -


 

Mi risvegliai con le ossa doloranti e la puzza di umidità sotto il naso.

Avevo totalmente perso la concezione del tempo: quante ore erano passate dalla lotta sul tetto?

A svegliarmi fu un pulsante dolore al fianco destro: sotto la camicetta squarciata e tinta di rosso si estendeva un lungo, ma fortunatamente superficiale, taglio scarlatto. La ferita si era già semi rimarginata ma il dolore era ancora intenso e mi impediva di muovermi liberamente.

Sbattei più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’ambiente che mi circondava.

Era una minuscola cella di circa tre metri per tre, circondata da mura  color piombo alte almeno sette metri, scrostate ed ammuffite a causa della forte umidità percebile in quel luogo: numerose goccioline percorrevano le pareti e formavano una piccola pozzanghera sul pavimento. L’unica fonte di luce era costituita da una piccolissima finestrella coperta da una grata, posta a circa quattro metri d’altezza. Sembrava essere una torre.

La luce che entrava nella celletta era davvero pochissima e arrivava ad illuminare solo metà della stanzetta, lasciando il resto nella penombra.

Ed era proprio lì che giaceva una figura scura, la schiena appoggiata contro il muro umido e freddo e la testa bassa, ciondolante su un collo troppo esausto per sostenerla.

Studiai la figura silenziosa, cercando di riconoscerne i tratti, ma quando tentai di avvicinarmi notai con orrore che la mia caviglia sinistra era imprigionata da una pesante catena legata ad un gancio nel muro. Arrivai a pochi centimetri da quel corpo, quando sentii un grande strattone al piede e persi l’equilibrio, cadendo in avanti.

Mi rialzai sbuffando, infastidita da quella situazione assurda.

-         Tsk, Sagami…ti sei appena svegliata e già fai danni? – esalò con un sussurro il ragazzo, che riconobbi immediatamente come Takamura.

Mi scostai di colpo da lui come se mi fossi scottata o fosse stato un animale pericoloso.

Era il peggiore degli incubi. Già l’essermi risvegliata in una cella fredda e decisamente scomoda non era certo divertente, ma il fatto che lì, a pochi centimetri da me ci fosse la persona che più odiavo al mondo rendeva la situazione insostenibile.

Mi ritirai in un angolo, appoggiai la schiena al muro opposto a quello di Chiaki e mi rannicchiai su me stessa il più possibile, prendendo le massime distanze da quel ragazzo disgustoso.

Gli lanciai uno sguardo schifato, mentre lui mi guardava ghignando, con quel suo sorrisetto idiota che si allargava sul suo viso.
Con mio enorme piacere notai che era ridotto piuttosto male: 
e labbra gli si incurvavano spesso in una smorfia di dolore che andava a sostituire il suo sorrisetto beota e sembrava davvero esausto. Per di più aveva graffi e tagli sparsi per tutto il viso e un rigolo di sangue scendeva, simile ad una lacrima, da una lunga ferita sullo zigomo sinistro. Il suo corpo era coperto da grossi ematomi violacei e aveva i vestiti strappati in più punti.
Ridacchiai, crudelmente divertita da quella splendida visione.

- Wow, Takamura, chi ti ha ridotto così? Sai vorrei fargli i miei complimenti  - sibilai sarcasticamente.

Chiaki sollevò lentamente lo sguardo e puntò i suoi occhi gelati nei miei, rivolgendomi un altro dei suoi detestabili sorrisetti.

- Faresti meglio a darti un'occhiata prima di giudicare me, Haine - disse, pronunciando più lentamente l'ultima parola.

Infastidita da quell'ultima affermazione, diedi un'occhiata fugace alle mie gambe. L'idiota aveva ragione, purtroppo.
Sulla mia pelle chiara apparivano grossi ematomi e numerosi tagli, e mi accorsi solo al momento del sangue che colava lento da una decina di ferite.
Solo allora cominciai a sentire dolori ovunque. Era come se il mio corpo si fosse improvvisamente risvegliato da un lungo sonno.
Spalle, braccia, gambe, tutto il corpo chiedeva di essere medicato.
Le ferite bruciavano, i tagli non smettevano più di sanguinare e le botte pulsavano di dolore.
Distolsi lo sguardo dal mio corpo, sperando che questo mi aiutasse a provare meno dolore, e tentai di trattenere le smorfie che mi si delineavano automaticamente sul volto. Non volevo che quel ragazzo mi vedesse così vulnerabile.
Puntai gli occhi nei suoi, cercando di ucciderlo con un semplice sguardo.

- Tu... - sussurrai, arrabbiata e incerta su come proseguire - perchè ti hanno messo in questa cella?Eh?Lo sanno tutti che ci detestiamo! -

Ero furiosa. In realtà avevo capito benissimo qual' era l'astuto e crudele piano degli agenti. Autodistruzione, di questo si trattava.
Speravano di trovarci morti, un giorno, per mano dell'altro. Disgustoso. Avrei preferito uccidermi, che essere ammazzata da Chiaki.
Dal canto suo, il ragazzo rimase in silenzio. Con le poche forze che gli rimanevano, si aggrappò al muro retrostante e si mise in piedi barcollando.
Mosse qualche passo incerto e tremolante verso di me.
Sembrava assolutamente instabile e io mi feci ancora più piccola nel mio angolo, per timore che mi crollasse addosso.
Si fermò davanti a me fissandomi seriamente e poi si lasciò cadere al mio fianco.
D'istinto, tentai di scostarmi ma lui fu più veloce di me e mi prese per il braccio, impedendomi di allontanarmi.
Ridotto com'era, mi sembrò impossibile che fosse riuscito a muoversi così agilmente, eppure il mio braccio era chiuso saldamente tra le sue dita e lui non dava il minimo segno di cedimento.
Lo guardai furiosa, dimenando il braccio nel tentativo di liberarmi, ma l'unica cosa che ottenni fu una serie di fitte dolorose ovunque.
Chiaki strinse di più la presa, fino a farmi male, mentre con la mano libera mi sollevava il mento e mi costringeva a fissarlo negli occhi.
Insensibile alla mia ribellione, il ragazzo continuò a guardarmi con quell'aria seria che non gli avevo mai visto, uno sguardo che non ammetteva repliche.
Colpita e sorpresa da tanta serietà, rilassai momentaneamente i muscoli e mi limitai a restituire uno sguardo infuriato, ma al tempo stesso incuriosito, a Chiaki.
Il ragazzo sospirò lentamente e finalmente si decise a parlare.

- E' proprio per questo che io e te siamo qui...insieme, stupida ragazzina. Quei bastardi vogliono che ci massacriamo a vicenda e, devo ammeterlo, tu eri partita davvero bene. Ma io non voglio dargliela vinta. Quindi, per favore, collabora. -

Sembrava che si stesse rivolgendo ad una stupida bambina testarda. Il tono era strafottente e sicuro di sè come sempre, ma percepii anche una nota di assoluta e irreplicabile decisione nella sua voce.
Ero esterrefatta e sconcertata. Lo fissai a bocca aperta. Che razza di idiozie erano mai quelle?Collaborare?Io e lui?

- Che cosa?Io dovrei stare ai tuoi giochetti? - gli urlai contro, ricominciando a dimenarmi furiosamente.

Chiaki sbuffò spazientito e rinforzò la presa ferrea sui miei polsi.

- Ascoltami bene, Sagami. Le opzioni sono tre: la prima prevede che io e te veniamo uccisi dal governo, la seconda, estremamente allettante ma poco divertente, è che io ti uccida qui e subito, come desiderano i bastardi. La terza invece mi sembra più ragionevole. Scappiamo di qui, insieme, torniamo dai nostri compagni e riprendiamo la nostra vita di sempre. - spiegò sussurrando per paura di essere sentito dalla polizia.

Fece una pausa.

- In sostanza ti sto solo concedendo qualche giorno di vita in più, perchè alla fine ti ucciderò comunque - aggiunse ridacchiando e alzando le spalle.

Avevo il corpo in fiamme per la rabbia; avrei voluto ucciderlo con le mie mani in quello stesso istante eppure rimasi immobile, a fissarlo imbambolata.
Ero d'accordo con la terza opzione, e sapevo che avrei dovuto dare la mia opinione, anche solo per contrastare le parole di Chiaki.
Ma non ce la feci. Ero stanca, dolorante, avevo fame, sete e sonno, ero chiusa in una cella minuscola con Chiaki Takamura, non sapevo che ora fosse, ero lontana da casa e dalle persone che amavo e mi sentivo incredibilmente vulnerabile. Non avevo nemmeno più la mia preziosa Coraline, unico oggetto in grado di darmi sicurezza. Mi sentivo spogliata da tutto ciò che mi rendeva felice e mi proteggeva.
Svuotata completamente e priva di ogni minimo appiglio. Senza che me ne accorgessi, presa com'ero dalle mie sensazioni, cominciarono a scendermi le lacrime, salate e amare, e poco dopo mi ritrovai a singhiozzare sonoramente addossata al muro, il mio unico conforto.
Un'altra frustrante sensazione andò a mischiarsi con le altre: Chiaki mi stava fissando, ne ero sicura, e probabilmente il suo orgoglio stava ruggendo di gioia nel vedermi così. Non sopportavo dargliela vinta, odiavo l'immagine del suo odioso sorrisetto vittorioso e non avevo il coraggio di sollevare lo sguardo per osservare la sua reazione.
Rimasi ancora un po' nell'incertezza e nello sconforto, finchè non sollevai lentamente lo sguardo, mi asciugai gli occhi con il dorso della mano e lanciai uno sguardo furtivo in direzione di Chiaki.
Era fermo accanto a me, la testa appoggiata al muro, nessuna espressione cinica.
Il ragazzo girò appena il viso nella mia direzione e allungò il braccio, sfiorando il mio.
Abbassai lo sguardo sul suo pugno chiuso. Tra le dita teneva un brandello di stoffa bianca, strappata dalla sua camicia già sbrindellata.
Rimasi a fissare la sua mano, stupita e confusa.
Poi sentii altre lacrime pungermi gli occhi, afferrai quel piccolo pezzo di stoffa candida e mi ritrassi nuovamente su me stessa, chiudendomi come un riccio e stringendo forte quel tessuto che tanto odiavo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 in costruzione. ***


Scrivo per avvisare che il terzo capitolo è finito e per scusarmi per il ritardo.
Mi dispiace molto, ma purtroppo non ho molto tempo per scrivere .__.
Bè, spero che continuiate a seguire la storia, ora che sta entrando nel vivo e mi auguro di riuscire ad aggiungere il quarto al capitolo al più presto.
Intanto tornate al numero 3 e leggete il finale XD
Baci, Hacch.

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