Moonshine

di Aivy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ero sbronzo marcio.
Completamente, fino al midollo. Avevo perso il conto degli short che mi ero sparato per tutta la serata e fino a quel momento, ma perlomeno avevo ottenuto il risultato che volevo: ero stordito a sufficienza da non sentire più niente. Ne l'umiliazione. Ne la rabbia. Ne il dolore.
La mia camera girava come un flipper sotto i miei occhi e nemmeno la porta voleva smetterla di ballare un fastidioso walzer. Ero perfettamente sicuro di quello che stavo guardando anche se si trattava solamente di uno stupido film che mi stavo girando da solo. Pelle d'ambra, occhi da gatta e una cascata di capelli ramati. Un bellissimo stupido film.
Non ero sicuro che fosse sano per me in quel momento varcare la soglia. Gli short non sembravano mai abbastanza per stordirmi. Niente ci era più riuscito da quando avevo messo le mani su quella gatta suadente ed incantatrice.
Dove diavolo era finita?!
Barcollai fino alla porta di fronte alla mia.
Incespicai in qualcosa che era stato abbandonato per terra e mi schiantai contro lo stipite di fronte. Forse ci battei pure la testa, ma non ne ero sicuro: ero abbastanza stordito per questo, ma non per dimenticarmi di lei. Con una spallata aprii del tutto la porta e guardai il letto di Dom.
Lui dormiva.
"Dom" biascicai, la voce rauca che mi grattava in gola.
Sentivo ancora la musica a palla ronzarmi nelle orecchie.
Entrai nella sua camera cercando di restare il più dritto possibile, ma con tutta probabilità feci una lunga S davanti al suo letto prima di riuscire a raggiungerlo. Dormiva fisso. A pancia in giù. Le spalle scoperte e un piede fuori dalle coperte.
Guardai il suo piede. Era piccolo e sottile.
Strizzai gli occhi.
Non era possibile.
Mi piegai nella penombra e presi abbastanza male le misure da ritrovarmi a barcollare con il naso a pochi millimetri dalla sua caviglia. Ma perlomeno ero abbastanza vicino da poter leggere bene quello che aveva tatuato sul interno della caviglia. Quando se l'era fatto? Non me ne aveva mai parlato. Strizzai forte gli occhi e cercai di mettere insieme le varie lettere nel giusto ordine.
"Ma g da l en" scandii in un sussurro.
Strano.
Mi sollevai di nuovo in piedi barcollando indietro e di qua e di la mentre cercavo di raggiungere le sue spalle per scrollarlo e chiedergli spiegazioni. Fanculo se stava dormendo! Perché aveva il nome della donna che mi stava distruggendo tatuato sulla caviglia?
"Dom!" lo chiamai di nuovo: mi parve di urlare ma probabilmente il mio era stato solo lo sbuffo inarticolato di un ubriaco.
Di nuovo strinsi gli occhi cercando di aguzzare la vista nella penombra mentre pilotavo la mia mano verso la sua spalla. Aveva un altro tatuaggio anche lì? Mi misi le mani sulle ginocchia e mi piegai di nuovo su di lui che continuava a dormire alla grossa sotto il mio esame.
Dovevo essere più sbronzo del solito per essermi dimenticato tutti quei tatuaggi su di lui, ma di questo avevo un vago ricordo. Molto vago. Di nuovo scandii le lettere faticando a metterle nell'ordine giusto.
"D omi ni c"
Rimasi a reggermi per le ginocchia mentre una campanella d'allarme prese a suonare come una pazza nella mia testa. Ricordavo cosa doveva avere tatuato sulla spalla e non era il suo nome. Ma che diavolo stava succedendo?
Sapevo chi aveva quel tatuaggio sulla spalla con quello stesso nome.
Lo avevo baciato una settimana prima.
Recuperai al quarto tentativo il mio cellulare dalla tasca dei pantaloni e solo al quinto riuscii a far partire quella maledetta telefonata che era da settimane che mi rifiutavo di fare. Rimasi a fissare il display illuminato mentre componeva il numero e cominciava a squillare.
Con mio sommo orrore Bruno Mars prese a cantare dapprima in sordina dall'altra parte del letto di Dom. Il suo cellulare brillava, suonava e vibrava.
Era un caso?
Misi giù e ricomposi il numero di Magdalen: se mi avesse preso per pazzo poco me ne fotteva in quel momento. Avevo resistito fino a quel momento nel richiamarla, ora avevo bisogno di capire. Che fossi sbronzo o meno era l'ultimo dei miei pensieri!
Dom sollevò un braccio con un mugugno e agguantò il telefono che aveva ripreso a suonare sul suo comodino. Spiò il display e se lo portò all'orecchio.
"Pronto? Jason?" biascicò per metà nel cellulare e per metà sul cuscino.
"Che cazzo vuol dire?!"
Lo vidi trasalire mentre si voltava in un lampo verso di me, finalmente consapevole della mia presenza accucciata di fianco al suo letto con il mio telefono in mano. C'era il numero di Magdalen che brillava sul mio display. Quello di Dom lo conoscevo a memoria e non si somigliavano minimamente. Ma mi aveva risposto Dominic.
Incrociò il mio sguardo e ogni traccia di sonno era sparita dai suoi occhi.
"Che cazzo vuol dire questo, Dominic?!"

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Capitolo 2
*** 1. ***


Due settimane prima.
 
 
"Jason?"
Le feci segno con la mano di levarsi di torno senza alzare lo sguardo o anche solo la bocca dalla piccola creaturina lussuriosa che mi si era aggrappata addosso quella sera. Non era stata una brutta pesca per quella notte ed ero sicuro che una volta che la serata fosse finita sarei rimasto dello stesso identico avviso.
"Jason?" insistette lei appoggiandomi un paio di dita fredde su di un braccio.
Sciolsi il bacio con quel pesciolino languido e la incenerii.
Lei non fece una piega.
Degno di nota.
Le prestai un po' più di attenzione… probabilmente la meritava.
"Jason?" chiese di nuovo lei.
Non avevo la più pallida idea di chi diavolo lei fosse. Non era una delle solite ragazzine che Taylor raccoglieva di stagione in stagione per distribuire i beveraggi nel suo locale. La squadrai lentamente da testa a piedi: portava un completo gessato ed elegante, una camicetta bianca e una collana di perle al collo. Dieci centimetri era il meno che tenesse sotto i piedi. Occhiali neri e capelli neri raccolti sulla nuca completavano il tutto. Aveva un bel visino e due occhietti verdi risoluti.
Le feci un mezzo sorriso ignorando il pesciolino che mi stava rosicchiando il mento in quel momento.
Potevo resistere a tutto, ma non alla curiosità.
"Si?"
La mora tutta elegante non fece una piega: inarcò le sopracciglia con fare schizzinoso e mi porse un bigliettino.
Aveva polsi sottili. Mani curate. Non era abituata a lavori di fatica. Proprio per niente.
Inarcai le sopracciglia in risposta e guardai il foglietto che lei mi stava tendendo con un moto di impazienza. Sembrava pestare i piedi. Come se non fosse a suo agio in quel momento.
Effettivamente una discoteca di sabato sera non pareva propriamente il suo habitat naturale.
Una conferenza stampa molto di più.
"Cos'è?" chiesi con un cenno della testa in direzione del foglietto.
Lei lo sventolò sotto il mio naso stringendo le labbra in un moto di stizza.
L'avrei trattenuta lì ancora un po' solo per vedere quel ricciolo di labbra rosso stringersi ancora un po' per il fastidio.
Allora notai lo stampo di rossetto sul foglietto che mi sventolò sotto il naso. Anche la carta profumava il che era incredibile si riuscisse a distinguere nel marasma di odori del locale. Le guardai la bocca: non era lo stesso colore riportato sul foglietto, ma una tonalità più rosata del rosso carico che portava lei sulle labbra. Aveva una bella bocca, intrigante, non mi sarei di certo tirato indietro se mi avesse chiesto di assaggiarla.
Mi sporsi appena verso di lei che raddrizzò la schiena e strinse le spalle fulminandomi. "Puoi darmelo di persona quel bacio, se vuoi…"
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, lei lo avrebbe fatto con me molto lentamente e dolorosamente. Ma non poteva e mi fece solo ridere di sottecchi.
"Lo vuoi prendere o no?" cercò di non scomporsi e, incredibilmente, la sua voce non lasciava trapelare nessun segno di nervosismo come invece stava facendo il suo corpo e i suoi occhi in particolar modo.
"Solo se me lo vuoi consegnare di persona."
La vidi fremere e trattenni a stento una risata. Continuava a spostare il peso da un piede all'altro imponendosi la calma. Chiudeva ed apriva il pugno libero mentre spostava la borsetta dalla mano al gomito, sollevando il braccio al petto.
Quanto ci avrebbe messo per perdere definitivamente le staffe: sapevo benissimo che moriva dalla voglia di prendermi a schiaffi.
In quel momento il piccolo pesciolino che tenevo tra le braccia mi mise un dito sul mento e mi obbligò ad abbassare gli occhi su di lei. Capì l'antifona all'istante. Non ero più tanto sicuro che sarei rimasto dello stesso avviso di cui ero solo qualche minuto prima sul suo conto. Lei si ritrasse e decise di restare buona e tranquilla per qualche altro minuto. Forse non avrei cambiato idea, allora.
Avevo di meglio da fare in quel momento e lei avrebbe aspettato.
Tornai a guardare l'elegantona impaziente e in tutta risposta lei mi schiaffò il foglietto che reggeva in mano sul petto senza riuscire a trattenere una smorfia di disgusto nel invadere il mio spazio vitale. Le trattenni la mano prima che riuscisse a ritrarsi: poteva piacermi quell'invasione del mio spazio.
"L'offerta è sempre valida." Le sorrisi piegandomi appena verso di lei.
Non ero sicuro che quel ricciolo rosso che era la sua bocca in quel momento potesse diventare più piccolo ed intrigante.
Sollevò il mento e divincolò la mano dalla mia. "Non sono io che te lo mando!" sibilò faticando a mantenere il controllo.
Mi accigliai. "Ah, si? L'offerta è valida comunque…"
"Neanche in un'altra vita." Sorrise lei in risposta.
Non aveva intenzione di cedere e questo mi intrigava. Molto.
"Vuoi darmi la possibilità di farti cambiare idea?"
"Anche questo neanche in un'altra vita." Sorrise lei decisa.
"Peccato…" mi strinsi nelle spalle fingendomi dispiaciuto e un po' probabilmente lo ero, "Allora se non sei tu che me lo mandi chi lo manda?"
L'elegantona sfoggiò un sorrisetto vittorioso che non capii, ma in quel momento si volse e fece per andarsene. "Scopritelo da solo, Jason." Ghignò prima di dileguarsi.
La seguii con lo sguardo mentre si allontanava tra la folla. Sembrava un palloncino in una coltivazione di cactus, completamente fuori posto, ma del tutto sicura di sé stessa. Non credo che avesse problemi di autostima, col fisichino che si ritrovava.
Allora vidi gli altri due palloncini fuoriposto.
Uno era un armadio altrettanto elegante nel suo completo nero, mascellosso e massiccio stava spostando un gruppetto di persone con un movimento deciso del braccio per farsi avvicinare più agevolmente dalla moretta che mi aveva appena congedato. Aveva tutta l'aria di essere un bodyguard, il che era inconcepibile quella sera nel locale di Taylor considerata la calca. L'altra era… era…
Beh, era!
Mi ci volle un momento per rimettere in moto le mie capacità cognitive.
Era chilometri e chilometri di gambe che sparivano nel punto più sfizioso sotto ad un abitino nero. La gonna le fasciava i fianchi in maniera molto interessante lasciando quella giusta dose di carne all'immaginazione. Era voltata di spalle e nonostante questo lo spettacolo meritava: l'abito si apriva sulla schiena all'altezza delle reni per richiudersi poco sotto le spalle lasciando molta carne in bella mostra. Come se questo non fosse stato sufficientemente intrigante c'era una catenina d'oro a scenderle dal collo fino ai fianchi che ondeggiava e brillava allusiva mentre lei muoveva oziosamente i fianchi a ritmo di musica. Aveva capelli caramello, lunghi ma non avrei saputo dire quanto, legati in una morbida coda su una spalla e riportati sul davanti.
Non riuscivo a decidere se mi intrigassero più quei chilometri di gamba o il movimento incantatore di quei fianchetti.
L'elegantona la raggiunse e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Lei annuì e l'armadio fece loro strada senza aspettare qualche altra disposizione particolare. Erano una squadra quindi.
Continuando ad ondeggiare i fianchi la carpa d'oro e l'elegantona si dileguarono verso l'uscita senza voltarsi indietro. Pochi istanti dopo erano spariti alla mia vista.
Taylor incrociò il mio sguardo proprio in quel momento dall'altro lato del locale, mi studiò corrucciando la fronte ed esaminò il punto che stavo scrutando a mia volta. Si strinse nelle spalle e scosse lentamente la testa in un messaggio che conoscevo molto bene: chiunque avesse attirato la mia attenzione in quel momento, se ne era andato. Volatilizzato nel nulla.
Partendo dal presupposto che un bravo allevatore di ittici conosce dal primo all'ultimo i suoi pesciolini, quello non era decisamente un mio pesciolino. Quella carpa d'oro accompagnata dal barracuda e dal pesce palla non ero normali affittuari del mio vivaio.
Provai un moto di fastidio quando capii: ero io nel suo vivaio, quindi. Non ero il cacciatore per quella deliziosa creaturina tutta gambe che era apparsa e scomparsa magicamente nel mio territorio, ero la preda. Non ero sicuro di volermi presta alla parte, per quanti chilometri di gambe potesse mettere in mostra come esca.
La pesciolina tra le mie braccia mi chiamò proprio in quel momento. La guardai e lei in tutta risposta sporse il labbrino per intenerirmi e reclamare la mia completa attenzione. Le sorrisi in risposta mentre infilavo quel foglietto profumato nella tasca dei pantaloni e con l'altro braccio la stringevo contro di me.
Lei si illuminò all'istante e mi restituì un sorrisetto impaziente.
"Hai programmi per stanotte?" le sussurrai all'orecchio.
Al diavolo la carpa!

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Capitolo 3
*** 2. ***


Mi svegliai di soprassalto.
Non il migliore dei risvegli, ma non era colpa né della mezza sbronza dalle sera prima, né della serata piacevolmente insonne che ne era seguita la cui causa dormiva come un sasso al mio fianco, ne del cerchio stretto che mi sentivo all'altezza delle tempie.
Era qualcosa che veniva dal salotto.
Allora sentii di nuovo quel rumore: qualcosa che si fracassa in mille pezzettini.
Sgusciai fuori dalle coperte e mi precipitai in sala per cercare di capire che cosa stesse succedendo in casa mia. Se non ero io a fare baccano allora tutto quel fracasso poteva essere opera solamente di un'altra persona. Dominic.
Ed eccolo lì.
Provai un brivido quando lo vidi.
Nella sua morbida tuta grigia reggeva una mazza da baseball tra le mani e la stava maneggiando con energia contro il nostro televisore... o perlomeno su quello che restava del nostro televisore: un cumulo di circuiti e tante schegge disseminate ovunque.
Tremava di rabbia.
"Che cazzo succede, Dom?!"
Lui non diede segno di avermi sentito.
Il suo messaggio era chiaro: non aveva ancora finito. Per la mia sicurezza era il caso che gli stessi al largo ancora per qualche minuto o due e comunque di salvabile, del televisore, non c'era più niente quindi perché intervenire a mio rischio e pericolo? Lui sollevò di nuovo le braccia e lasciò cadere con tutta la forza di cui disponeva la mazza sull'ultimo pezzo intatto della nostra tv. Ripeté la manovra un altro paio di volte finché del televisore non rimase più nulla. Solo un lontano ricordo. Allora si rilassò e lasciò cadere a terra la mazza.
"Meglio? Ora mi spieghi che cazzo succede?" sbottai incrociando le braccia sul petto e appoggiandomi alla parte mentre lui si voltava a mezzo a guardarmi da sotto in su.
Fumava ancora di rabbia.
"Niente." Tagliò corto.
"Vuoi dirmi che hai distrutto il televisore solo per sport?" lo punzecchiai.
"Te lo ricomprerò." Sibilò stringendosi nelle spalle: oh, era ben lungi dal calmarsi questa volta.
"Sai che non me ne frega niente del televisore!" sbottai staccandomi dalla parete per andare ad intercettare la mazza da baseball che aveva appena abbandonato prima che decidesse di farle fare conoscenza con qualche altro affezionato componente del mio appartamento. Bagno, divano e cucina l'avevano conosciuta solamente l'anno prima e la loro era stata una relazione rapida e devastante. E non erano stati i soli. Ero stato costretto a riarredare l'appartamento praticamente da cima a fondo da quando Dominic era diventato il mio coinquilino.
Quindi cinque anni prima di oggi.
E in quei cinque anni avevo imparato a capire che c'era solamente una persona in grado di mandarlo in bestia a quel modo. E no, non era la sua ragazza. Era sua madre.
Katherine.
La madre di Dominic aveva la grande fortuna di non avermi conosciuto ancora, almeno fino ad ora, e la sua incolumità dipendeva essenzialmente dal piccolo particolare che io di lei, aldilà del nome e del carattere discutibile, non conoscessi altro. Dominic non teneva foto della sua famiglia da nessuna parte, nemmeno nel portafoglio. Sapevo che aveva un padre e una sorella. Il primo appoggiava la madre su tutta la linea, ma con più discrezione, la seconda adorava alla follia la sua altrettanto misteriosa fidanzata. Elys, era tatuata sulla sua spalla da quando ci eravamo conosciuti e in questi cinque anni nemmeno lei, come la madre, si era mai fatta vedere. Stavano insieme da molto tempo prima che io e Dom ci conoscessimo.
Avevo fatto notare a Dom più di una volta che era ingiusto verso il suo migliore amico non presentargli la sua ragazza e la sua risposta era sempre stata la stessa: non aveva la minima intenzione di farmi conoscere la sua amata (per quanto cornificata all'infinito almeno in quegli ultimi cinque anni) Elys. Sosteneva che il suo fosse puro e semplice spirito di conservazione: lei era la mia versione al femminile fatta e finita. Una mangiatrice di uomini, in parole povere. Lo faceva per la mia sicurezza.
Come surplus per avvalorare la sua tesi per il quale non era il caso che io la conoscessi sosteneva che la sua amata lavorava e viveva in Europa e, anche se non avevo capito che cosa facesse per mantenersi, era molto impegnata. Sospettavo fosse una diplomatica o giù di lì. Guadagnava bene, molto bene visto che ad ogni occasione possibile lei gli pagava biglietti ed alloggio perché la raggiungesse nel vecchio continente.
Era appena tornato dall'Europa quando ci eravamo conosciuti, cinque anni prima.
Io ero in cerca di un coinquilino perché, beh… per le mie ragioni, sono sempre stato alla ricerca di calore umano fresco. Il pesciolino dormiente nel mio letto ne era una testimonianza non occasionale. Non avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a coprire le spese del mio appartamento. Era mio e non ci passavo dentro abbastanza tempo da sperperare un patrimonio in acqua, luce e gas. Vivevo di rendita e non me ne vantavo.
Lo avevo incrociato alla bacheca del convitto maschile e, mi dispiace per lui, con quelle bermuda cachi e la maglietta bianca, visto di schiena, aveva tutto fuorché del ragazzo. Era magro e minuto, castano dorato di capelli, un culetto interessante e con due stecchini al posto delle gambe che mai avrei attribuito al nuovo playmaker della nostra squadra di basket. Cercava una camera e io gliel'avevo offerta più che volentieri sicuro che mi stesse prendendo in giro quando sosteneva di non potermi dare quello che volevo stando al modo in cui, a suo avviso, lo stavo mangiando con gli occhi.
Beh, aveva ragione lui.
Madre natura era stata molto indecisa con Dominic.
Ne avevo avuto la prova in un paio di occasioni solamente il giorno dopo il suo trasferimento in casa mia. La prima era stata vederlo gironzolare svogliatamente per casa in pantaloni della tuta troppo grandi per lui, a petto nudo e… di tette nemmeno l'ombra. Anzi, ero rimasto sconvolto da quel sentiero di riccioli caramellati che gli scendevano dall'ombelico fin sotto i pantaloni della tuta.
Aveva ghignato di me, quando mi aveva beccato a guardarlo sconvolto.
Ma aveva riso di tutta la squadra il giorno dopo sotto la doccia dello spogliatoio, non contento di averci asfaltati con l'agilità che il suo figurino minuto gli consentiva di adoperare contro gli armadi che erano il resto della squadra. Beh, almeno sotto l'elastico della tuta madre natura non era stata tanto indecisa con lui.
Avvantaggiato dal fatto di sapere perfettamente che non c'era una donna sotto tutta quella poca carne dorata, tra noi si era innescato quel genere di legame che si crea naturalmente tra creature affini.
Dominic amava la sua ragazza, ma non si faceva il minimo problema a consolare qualche pesciolino solitario di tanto in tanto. Sosteneva che lui e la sua dolce metà erano una coppia aperta, ma lo avevo sentito molte volte urlarle al telefono in una pura e semplice scenata di gelosia.
Dopo i primi sfottò aveva imparato a moderare la voce in mia presenza.
E poco dopo io e la sua camera avevamo imparato gli effetti che le telefonate di sua madre avevano su di lui: io, tutto sommato, me l'ero cavata con un cazzotto imprendibile sul mento, la sua camera era finita direttamente in discarica con il letto e la scrivania sfondati a suon di calci. Avevo capito un paio di mesi dopo che la combinazione Katherine-Elys nella stessa conversazione era in grado di scatenare la furia di un uragano impazzito e senza freni, dentro di lui. Mi era servito solamente un altro cazzotto per guardarmi bene dall'avvicinarmi a lui finché non era sbollito del tutto. Tendenzialmente cinque minuti di furia omicida bastavano a calmarlo, poi tornava ragionevole.
Questo non era il classico caso.
Significava che questa volta Katherine aveva decisamente calcato la mano nelle sue richieste.
"Vuole sempre che tu la lasci?"
Dominic rise nervoso, era quel genere di sorriso che non raggiunge mai gli occhi. "Credo che tu non possa capire."
"Dici bene: credi." Rimbrottai piccato: non mi piaceva il modo in cui Dom si divertiva a ferire la mia intelligenza. Ero uno stronzo e sapevo perfettamente di comportarmi come tale, ma la mia era una scelta, non una deficienza dal punto di vista emotivo. "Ma ti sbagli."
Lo avevo visto star male molte volte e avevo imparato, malauguratamente, che il modo migliore per distendere i suoi nervi era fare quello che sua madre voleva da lui: solitamente lo obbligavo ad uscire a pesca nel mio vivaio a cercare qualche bocconcino succulento per lui. Nella stragrande maggioranza delle occasioni funzionava bene.
Aveva il suo fascino, per essere un po' troppo donna a prima vista, quindi tendenzialmente non aveva bisogno del mio aiuto per trovare compagnia.
"E sulla base di cosa dovrei sbagliarmi?" sbottò Dominic inacidito, "Le tue durature relazioni da una botta e via? La più lunga che ricordo è iniziata sabato sera ed è durata fino all'ora di pranzo della domenica mattina. Un record non da poco…"
Mi innervosii: se c'era un bottone che Dominic aveva imparato a non premere in mia presenza era proprio quello. Quando lo faceva era solamente perché era ancora troppo incazzato per restare ragionevole. In sostanza, cercava rogne.
In sostanza? Io ero di rogna facile.
Buttai alle spalle la mazza da baseball prima di essere tentato di farne un uso improprio contro il mio migliore amico. Quando provava a tirare fuori il bastardo che stava dentro di me era meglio non avere nulla di pericoloso tra le mani, che non fossero semplicemente i miei pugni. L'ultima scazzottata era finita con qualche costola reciprocamente incrinata solo l'anno prima.
Il coach Brodlyn si era incazzato parecchio in quell'occasione.
Avevamo promesso di trattenerci, ma Dominic non perdeva occasione per arrivare alle mani con il sottoscritto e sapeva bene quali fili muovere per arrivare dove voleva lui.
"Non stiamo parlando della mia vita sentimentale, ma della tua, stronzo!" sbottai faticando a tenere a freno la lingua, "Lo sai perfettamente che quello che faccio ha le sue ragioni e non ho intenzione di cambiare le cose. A me vanno più che bene così, se per te non è così non è un problema mio! Il punto non sono io, il punto sei tu! Hai appena fatto a pezzi la tv, se non te lo ricordassi!"
"Te la ripago!"
Prese a pulsarmi una tempia e il cerchio attorno alla fronte si strinse dolorosamente.
"Vedi di non provarci nemmeno a trincerarti dietro a tutto questo menefreghismo del cazzo! Dominic: non puoi permettere a tua madre di distruggerti quella che tu stesso definisci la cosa più bella che ti sia mai capitata. Ammesso e non concesso che tu non lo abbia già fatto. Non riesco a capacitarmi di come tu possa dare a quella stronza un potere così grande su di te! E ringraziamo Dio che abita in Alaska e non qui o sovvertirebbe le leggi della natura!"
Ero riuscito a scalfirlo: era trasalito e ora mi guardava stralunato come non credesse alle mie parole. Aveva una strana luce negli occhi grigi e un fremito in tutto il corpo. Ma non era quel segnale d'allarme che avevo imparato a leggere nei suoi modi: era qualcosa di nuovo. L'importante era riuscire ad impedirgli di trincerarsi nel suo menefreghismo o avrei passato le settimane successive a sperticarmi a casa e a scuola perché non facesse a pezzi qualcosa o, peggio ancora, non ammazzasse qualcuno.
"Fanculo, Jason!" sbottò ridestandosi e girando su se stesso mentre puntava la porta.
"Dove vai?!" lo bloccai per un braccio.
Lui restituì il mio sguardo, stranamente tranquillo.
"A correre."
Adorava prendermi per il culo, eh?
"A correre? Il medico ti ha dato il nulla osta?" mi accigliai.
Dominic aveva avuto un incidente in macchina durante le vacanze pasquali. Non aveva voluto spiegarmi cosa fosse successo precisamente: sapevo solamente che un tir aveva mancato una precedenza perché smaniava dalla voglia di dare un bacio alla sua macchina. Il risultato era stata la lesione di entrambe le sue ginocchia e qualche ecchimosi qua e là. Era stato operato un mese dopo ad entrambe e ora era in riabilitazione. Esonerato dalla squadra, per sommo dispiacere del coach Brodlyn che aveva ben pensato di sobbarcare il sottoscritto di tutte le responsabilità che ci eravamo tolti a vicenda in tutti quegli anni. Morale? Io sgobbavo in campo e lui se ne stava bello comodo ad urlare stronzate dalla panchina.
Non urlava più di tanto da dopo l'operazione quindi non ero sicuro che fosse filato tutto liscio come l'olio, nonostante lui sostenesse di essere ok.
Mi mostrò i denti in un sorriso strafottente: quello che detestavo di più.
"Non vado a correre una maratona, tatina."
Indugiai sforzandomi di non appoggiare delicatamente il pugno al suo mento: non giocava dopotutto, potevo saccagnarlo di botte se mi istigava. Il coach non avrebbe avuto nulla da ridire. "Non ammazzerai nessuno sulla strada?"
Si strinse nelle spalle con l'aria di uno che prende seriamente la domanda che gli hanno appena posto. "Potrei riuscire a non fare danni."
"Vuoi che venga con te?"
Rise, velato di una certa ironia che di nuovo non capii nella sua voce. "No, tatina, sono in grado di cavarmela da solo." Ghignò, "E credo che la tua quasi più duratura relazione ti stia chiamando dalla camera da letto…"
Non resistetti: gli assestai uno sberlotto sulla nuca e lui rise accusando il colpo.
"La tua è tutta invidia: se madre natura non fosse stata tanto indecisa con te, sono sicuro che con un tipino come te la mia relazione più duratura sarebbe durata almeno fino alle mattina di lunedì."
"Grazie a Dio, madre natura mi ha reso di poco interesse per te!" sbuffò lui divincolandosi dalla mia morsa.
Risi mentre mi voltavo per tornare in camera dal pesciolino. Era ora dei saluti.
"A proposito!" mi fermò Dominic sulla porta, "Hai intenzione di metterti in fila anche tu?"
Mi accigliai studiandolo da sopra una spalla.
Ghignava con la porta di casa già aperta ma poca intenzione di uscire al più presto. Scampato pericolo! Inventario dei danni: come al solito Dom non faceva prigionieri… la televisione era morta, il resto sembrava ancora tutto illeso.
"Partendo dal presupposto che io non ho mai bisogno di fare la fila, a cosa ti riferisci?" indagai appoggiandomi al muro con una spalla.
Ghignò. "Allora non ti è ancora arrivata la voce…"
"Quale voce?"
Cominciavo ad innervosirmi.
"Se vuoi chiamarla voce c'è una nuova voce nel campus. Pare che sia una deliziosa voce calda e dorata, molto alta a vellutata… credo sia al terzo anno. Matricola della Teta Beta."
Mi rannuvolai.
"Cos'è questa fissa che avete tutti per le confraternite?!"
Dominic rise di nuovo. "Cerchiamo calore umano a lungo termine, Jason, hai la vaga idea di che cosa io stia parlando?"
"Fanculo!"
"Come immaginavo…" chiosò scuotendo la testa, "Allora, la nuova Teta Beta ti interessa?" e mosse allusivamente le sopraciglia, come ce ne fosse bisogno.
"Sai che sono di poche pretese, io: basta che respiri…" sbottai. "Respira?"
"Respira! Respira!" confermò Dominic trattenendo a stento un'altra risata, "Ma fossi in te starei attento… fa molto di più che limitarsi a muovere aria dentro e fuori dai polmoni."
Il messaggio era chiaro.
Lo fulminai.
"Prenderò in considerazione l'idea di innamorarmi in un'altra vita!" sibilai scattando sulla difensiva, "E comunque sono troppo altruista per non dividere il mio amore con tutto il genere femminile…io!"
Come prova a favore della mia tesi il pesciolino si fece nuovamente sentire dalla mia camera. Mi staccai dal muro e feci per raggiungerla: era decisamente ora che levasse le tende… o forse potevo aspettare a congedarla ancora un oretta o due.
"Adesso si chiama così…"
"Ma tu non dovevi andare a correre?!"
Dominic alzò le mani in segno di resa e con un'altra sonora risata in bocca si dileguò. Quel ragazzo sapeva essere oltremodo molesto quando voleva… forse era proprio per il suo essere molesto con me che lo apprezzavo ancora di più.
Tornai in camera deciso a concedere a quel pesciolino ancora un po' di compagnia, prima di rigettarlo nel mio vivaio.
Avevo uno scatafascio da ripulire in salotto e una televisione nuova da comprare.

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