Morte al sapore di passione

di shira21
(/viewuser.php?uid=924743)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Era giunto il momento di liberare il terrazzo dalla neve, decise quel pomeriggio John Wilmont. Aprì cauto la porta del ripostiglio, preparandosi al peggio, e poco ci mancò che gli cascasse addosso la lucidatrice insieme a una moltitudine di altri oggetti che niente avrebbero dovuto avere a che fare con quello stanzino. Tali oggetti erano stati impilati in maniera tale che al minimo spostamento di corrente l’audace malcapitato si sarebbe trovato travolto da una valanga domestica.
Sua moglie era stata l’ultima a mettere a posto il ripostiglio. Ormai John era convinto che stesse facendo di tutto per uccidersi. Ogni giorno che passava la vedeva sempre più magra; gli occhi un tempo vivaci adesso passavano su di lui con indolenza, come se non lo vedesse davvero. Come se non vedesse più niente davvero, e fosse persa in un mondo di spiriti maligni che la logoravano lentamente giorno dopo giorno, togliendole ogni scintilla di vita.
Con un sospiro stanco rimise automaticamente tutto al suo posto. Erano mesi che continuavano ad accadere questi piccoli incidenti e la situazione lo stava logorando. Finora aveva sopportato tutto questo, convinto che con il tempo le cose si sarebbero risistemate da sole, ma adesso capì che la sua era stata una flebile illusione. Decise che era arrivato il momento di parlare con lei, su quello che si stava facendo. Sì, doveva parlarle prima che fosse troppo tardi.

La trovò seduta nella serra che dipingeva. I lunghi capelli setosi così simili a raggi di sole erano legati in una stretta coda di cavallo che faceva apparire la pelle del volto ancora più tesa. Guardandola con attenzione, si accorse che gli occhi grigio spento erano ancora più scavati di quanto ricordasse e si chiese preoccupato se prendeva ancora quelle pillole per riuscire a dormire la notte. Le labbra erano contratte, ma non capiva se per una sofferenza interiore o era solo concentrata sulla tavola su cui stava lavorando.
– Anna, devo parlarti – riuscì a dire con la bocca arida.
A quelle parole la donna sussultò come se fosse stata punta da un’ape e con la lentezza di un automa si girò verso di lui. John sentì lo stomaco contrarsi. Dio, perché? Perché ho aspettato tanto?
Il senso di colpa si sollevò strisciante dal suo petto e lo avvolse in spire tanto strette che la sentì appena sussurrare un tremante: – Cosa succede, tesoro?
John era paralizzato. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte con sguardo perso mentre la mente si rifiutava di collaborare. No, doveva smettere di scappare. Se finora non avesse voltato la testa da un’altra parte, facendo finta di non vedere quello che stava accadendo a sua moglie, forse non si sarebbe giunti a tutto questo. Era giunto il momento di parlare chiaro per il bene di tutti e due.
– Anna, ascoltami. È da qualche tempo che mi sono accorto che c’è qualcosa che non va. Credo… Anna, tu non stai bene – Signore, l’aveva detto! Oh, l’aveva detto, finalmente! – Ascoltami, ti prego. Hai bisogno d’aiuto. Devi parlarne con qualcuno. Sai che puoi confidarmi qualsiasi cosa. Oppure… ecco, io conosco una persona… un amico… che risolve i problemi. Potrebbe aiutarti a sentirti meglio se magari parlassi con lui di quello che ti affligge.
Per quanto si sforzasse, non riusciva in alcun modo a chiederle se stava tentando di mettere fine alla sua vita. Una sua risposta sarebbe stata troppo per lui da sopportare. Ma a quel punto notò l’espressione di Anna. Lo sguardo perso di chi si sforzava di comprendere una parte importante del discorso che le era sfuggito si tramutò, quando comprese, in un dolore tale che John si sentì stringere il cuore, e scoppiando in lacrime la vide fuggire con il volto coperto dalle mani, lasciandolo solo con l’eco dei suoi singhiozzi.
Sentendosi il peggior uomo sulla faccia della terra, John si lasciò cadere sulla sedia della moglie, osservando il dipinto lasciato incompleto. Raffigurava una rosa gialla in un campo erboso così perfetta da sembrare reale. Senza pensare, allungò una mano per toccarla, quasi aspettandosi di percepire la delicatezza vellutata dei petali sovrapposti in modo concentrico, raccolti in un bocciolo mai del tutto schiuso. Anna gli ricordava molto quella rosa: bellissima e al tempo stesso irraggiungibile. Si ricordò che sua moglie una volta gli aveva detto che tutti i fiori contengono un messaggio, e che la rosa era quella che nascondeva più significati. Per un momento gli venne in mente la voce di Anna che gli spiegava che una rosa gialla rappresentava un amore che si affievoliva… No, era stato tanto tempo fa. Sicuramente si ricordava male.
Anna, mio povero amore! Cosa doveva fare con lei? Come si doveva comportare? Come poteva aiutarla se non gli confidava i suoi problemi? L’unica cosa che ora poteva fare era rimanerle il più vicino possibile, sperando di comprendere il suo problema e aiutarla prima che lei... Oh, Signore, no, non l’avrebbe permesso. Lei era tutta la sua vita, non avrebbe mai e poi mai sopportato di perderla. Andasse al diavolo il lavoro! Avrebbe preso delle ferie anticipate e le sarebbe stato il più vicino possibile, facendo di tutto per difenderla dai suoi demoni interiori. Per ora non avrebbe più fatto parola di “aiuti esterni”. Con questa decisione John uscì dalla serra e andò in cucina, con la fievole speranza che se le avesse preparato qualcosa le sarebbe aumentato l’appetito.

Delle settimane erano passate dall’ultimo incidente e John iniziò a sentirsi più tranquillo. Forse stava riuscendo veramente ad aiutare Anna. Quella sera sarebbero arrivati numerosi amici per cena e lei appariva più serena, come se fosse arrivata a patti con se stessa. John la osservò dall’altro capo del tavolo e le sorrise teneramente. Aveva lasciato i capelli sciolti che le cadevano in dolci boccoli sulle spalle, facendola sembrare ancora la dolce ventenne che aveva conosciuto. Era anche riuscita a nascondere le occhiaie con un velo di trucco e le labbra rosse distoglievano l’attenzione da quegli occhi tristi, simili a un cielo plumbeo che non conoscevano il calore del sole. Anche dal suo posto a fondo tavolo John riusciva a cogliere quel profumo di fiori così familiare, segno che aveva passato diverse ore nella serra prima di venire ad accogliere gli ospiti.
Era stranamente orgoglioso della bellezza della moglie, quasi fosse merito suo, forse perché lui non si era mai considerato niente di speciale. In quel momento John notò che il collo aggraziato, ultimamente sempre nascosto da sciarpe e maglioni, era adornato da sei giri di perle. Le riconobbe subito come quelle che lui gli aveva regalato per il loro primo anniversario, e per un momento venne preso da una profonda commozione.
Continuava a conversare con i loro ospiti ma non la perdeva mai di vista, prendendo nota, come ormai si era abituato a fare, che non aveva quasi toccato cibo e che ora era impegnata a sorseggiare un po’ di vino.
Il suo interlocutore doveva aver indovinato l’oggetto dei suoi pensieri perché d’un tratto sorrise e dandogli una sonora pacca sulla spalla, gli confidò: – Amico mio, tu sì che sei stato fortunato in materia di donne.
John sorrise, imbarazzato come sempre quando riceveva quel tipo di complimenti, anche perché non si poteva certo dire la stessa cosa di lui. Con poco meno di una decina d’anni di differenza, i suoi colori prematuramente ingrigiti creavano un netto contrasto con la dorata bellezza russa della moglie. In preda a un’ispirazione improvvisa John alzò il bicchiere, e guardando fisso negli occhi l’ambigua creatura che regnava incontrastata nei suoi pensieri, richiamò l’attenzione dei presenti.
– Vorrei fare un brindisi alla mia splendida moglie, immune al passare del tempo. Ad Anna!
– Ad Anna! – esclamarono tutti, e si levò uno scroscio d’applausi verso la coppia ancora così innamorata.
Lei però fece una piccola smorfia e bevve un altro sorso di vino senza riuscire a reggere il suo sguardo, cosa che lo turbò molto anche se fece del suo meglio per non darlo a vedere.
Dopo alcune ore gli amici se ne andarono, e la casa ritornò ad essere più simile ad un silenzioso mausoleo. Anna aveva messo tutto in ordine e si era rannicchiata sul divano davanti al camino. John si sentiva osservato, e girandosi di scatto trovò ad attenderlo un chiaro sorriso, l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di trovare. E le sorprese non erano ancora finite.
– Tesoro cosa ne dici di un brindisi per il successo della serata?
A John sembrava una magnifica idea, tanto più visto la fonte di tale iniziativa, e fece per versare il vino rimasto nei bicchieri ma questo era finito. Deciso a prendere un'altra bottiglia fece per incamminarsi verso la cucina ma la voce di lei lo fermò. Girandosi per chiederle cosa non andava, si accorse che il volto di Anna si era oscurato in una smorfia di delusione.
– No, ci vuole qualcosa di speciale per una serata così interessante. Era da tempo che non ne facevamo una, e l’occasione merita il meglio.
John sorrise entusiasta. Ecco, quella era la donna che conosceva! Anna si stava riferendo ai vini conservati in cantina, una piccola riserva molto pregiata che avevano collezionato nel corso degli anni. Se lei voleva festeggiare con qualcosa di speciale, lui l’avrebbe accontentata. Qualunque cosa pur di vedere quel suo adorabile sorriso.
– Fortuna vuole che la cantina è fornita di tali vini nati solo a soddisfare un’intenditrice come te – disse facendole l’occhiolino.
A quelle parole Anna s’illuminò nuovamente e gli regalò uno di quei suoi sorrisi che erano cosa rara in quei giorni. John si sarebbe messo a ballare per la felicità.
Ebbro di allegria attraversò il corridoio che portava alle scale della cantina, cominciando a scenderle con sicurezza nonostante il buio tetro – doveva proprio far riparare quella lampadina –, ed era ancora in preda ai fumi della gioia quando mise il piede su uno skateboard che era sicuro non avrebbe dovuto trovarsi lì. Mentre ruzzolava giù per le scale, una parte lucida della sua mente fu folgorata dalla rivelazione che sua moglie in tutti questi mesi non stava affatto cercando di suicidarsi. Come aveva potuto essere così cieco da non capire che… La sua testa sbatté a terra e John morì, senza poter vedere sua moglie in cima alle scale che sorrideva e chiudeva piano la porta, andando a dormire serena dopo tanto tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte II ***


Alcuni mesi prima...

Era estate ed era in corso una festa. Anna era in terrazza che si godeva il calore del sole cullata dal silenzio. Chiuse gli occhi e pensò a quanto era fortunata e felice: possedeva una casa bellissima, non aveva bisogno di lavorare e questo significava che poteva dedicarsi a tempo pieno alla sua passione per il disegno e la pittura. A volte passava le intere giornate nella serra a disegnare fiori, per poi completarli con scenari immaginari. Come se già questo non bastasse, sulla soglia dei trent’anni non aveva difficoltà a farsi passare ancora come una giovane ventenne grazie alle sue origini russe che le avevano donato colori chiari e una pelle perfetta.
Anna sorrise pensando che più di tutte queste cose era stata fortunata incontrando John, suo marito e il suo unico amore, dopo l’arte. L’aveva incontrato mentre frequentava l’ultimo anno di liceo artistico ed era stato subito amore a prima vista. Nonostante la considerevole differenza di età, dieci anni erano tanti allora, lei rimase incantata da quell’uomo così sicuro di sé e così diverso dai ragazzi che conosceva, e dopo la maturità si sposarono. Lui ripeteva spesso che il suo unico scopo era di farla felice e dopo dieci anni dimostrava di amarla come fosse il primo giorno. La cosa non finiva mai sorprenderla. Se doveva essere sincera, almeno con se stessa, poteva ammettere che la rossa passione che l’aveva animata nei primi anni di matrimonio si era ormai affievolita da tempo. Nei confronti di John provava il tenero affetto di una presenza a cui si era ormai abituata e che a volte dava per scontata, ma gli voleva ancora bene e per questo continuava a considerarlo il più bel regalo che potesse farle la vita.
Era ancora assorta in questi pensieri quando sentì due mani coprirle gli occhi e una voce calda sussurrarle: – Indovina chi è?
Sentendo nascerle il sorriso, Anna si girò e butto le braccia al collo del marito. – Il mio amore! – rispose, per poi scoppiare in una risata simile ad acqua cristallina. – Riconoscerei la tua voce tra mille uomini.
Lui l’abbracciò stretta e girarono insieme per la terrazza, facendole staccare i piedi da terra. Quando l’euforia del momento si esaurì, John la posò a terra e le disse: – Ho un regalo per te.
Estrasse dalla giacca due biglietti.
– Oh mio… John! – esclamò Anna, portandosi le mani sulla bocca.
– Mia cara, io e te lasceremo i noiosi fumi della città e il rumore del traffico per rilassarci con l’aria salmastra di mare, cullati dalle tranquille onde dell’oceano. Anna, preparati, perché la crociera ci aspetta!
Lei gli si buttò fra le braccia ridendo; aveva sempre desiderato andare in crociera.
Fu così che si ritrovarono a bordo di una lussuosa nave alla fine della settimana. Al contrario di John che si alzava sempre tardi, ad Anna piaceva svegliarsi poco dopo l’alba. Amava ritrarre il sole che si affacciava sull’oceano, creando meravigliosi giochi di colore dai riflessi cangianti che poteva scorgere solo a quell’ora.
Una mattina era accoccolata su una sdraio, godendosi i venti caldi che soffiavano sempre più di frequente con l’avvicinarsi dei paesi arabi, e intanto cercava di disegnare il branco di delfini che giocava a rincorrersi sulla scia spumosa della nave. Era così concentrata che non si accorse dell’uomo che le si era fatto vicino finché questi non la salutò garbatamente con un: – Buon giorno, signorina.
Con un sussulto Anna fece cadere il carboncino e si voltò, sbattendo scioccamente gli occhi. Quello che le si presentò circondato da luce divina era l’immagine di un Apollo, una bellezza scultorea degna più di rimanere immolata nel marmo che dalla semplice carne e sangue. Seguì con sguardo attonito lo sconosciuto dal profilo greco abbassarsi prontamente per prendere qualcosa.
– Mi deve scusare, non era nelle mie intenzioni spaventarla. Credo che le sia caduto questo – disse l’uomo misterioso porgendole il pezzo di carboncino. Lei gli mostrò tutti i denti davanti a quella piccola gentilezza, una cosa da niente, davvero.
–No, la prego, non c’è alcun bisogno di scusarsi. Ero solo molto concentrata e mi ha colto di sorpresa, tutto qua. Mi capita spesso quando sono presa da una creazione.
Anna si accorse di stare arrossendo come una adolescente e la cosa la fece arrossire ancora di più. Per spezzare l’imbarazzo che le creavano sempre quei momenti di vuoto silenzio, e soprattutto per evitare l’intensità di quegli occhi verdi, disse la prima cosa che le venne in mente.
– Mi chiamo Anna Wilmont.
D’accordo, questa non era stata una delle sue migliori uscite. Per come stavano andando le cose, fra poco si sarebbe messa a cianciare del tempo come una vecchia oca.
– Fabrizio Dufert. Se non sono troppo indiscreto, cosa ci fa una bella ragazza come lei qui tutta sola?
A quelle parole Anna scoppiò a ridere. Quell’uomo così indecentemente bello cercava di fare l’affascinante, e in effetti ci stava riuscendo. Va bene, vediamo come se la cava con questo. – Sono qui sola perché mio marito è ancora a letto – disse lentamente calcando sulla parola “marito” come si farebbe per dire “il Papa”, e inclinò di lato la testa per studiare la sua reazione.
Non rimase delusa. Notò che Fabrizio era rimasto sconcertato e la stava d’un tratto soppesando incerto come se stesse cercando d’indovinare l’età. Per qualche ragione decise di venirgli incontro.
– Vi vedo sorpreso. Lasciatemi allora dire che ho alle spalle dieci anni di matrimonio. Mi sono sposata poco meno che ventenne.
Fabrizio scosse la testa con una certa affettazione. – Suvvia, voi certo vi state prendendo gioco di me. La vostra pelle ha una freschezza tale che farebbe certo invidia a una qualsiasi adolescente.
– Ora siete voi che mi prendete in giro.
– Giuro che non è così affatto!
E continuarono a parlare finché il ponte non iniziò a riempirsi di gente. Anna rimase così piacevolmente colpita dall’intesa che aveva con quell’uomo tanto affascinate, dalla naturalezza con cui si scambiavano lievi punzecchiature come se fossero amici di vecchia data e non si fossero incontrati quella mattina per la prima volta, che perse completamente la concezione del tempo. Quando Fabrizio la lasciò per degli impegni che non poteva proprio rimandare, ringraziandola per la piacevole mattinata, Anna, rimasta di nuovo sola, si accorse con orrore che non aveva pensato neanche una volta al suo John che dormiva beatamente in cabina. Nonostante non avesse fatto niente di male per meritarlo, non riuscì a frenare il senso di colpa.
Di solito, quando aveva a che fare con un uomo, tendeva a paragonarlo inconsciamente al marito o pensare “questo devo assolutamente dirglielo”. Ma con Fabrizio non era successo.
Al pensiero di quell’uomo attraente Anna si sentì pervadere dal calore; chiuse di scatto il blocco di disegno e si alzò veloce per vedere se John dormiva ancora.
Con il passare dei giorni il senso di colpa divenne sempre più pesante man mano che i suoi incontri con Fabrizio andavano avanti. Non è che lo cercasse davvero. Semplicemente capitava che la mattina, sotto l’astro nascente, accompagnati dal pianto dei gabbiani, i due s’incontrassero casualmente e passeggiassero per la nave. Cosa c’era di male ad avere un po’ di compagnia mentre il marito riposava?
Nel giro di poco Anna si fece un’idea della storia del suo attraente accompagnatore. Trent’anni, giovane medico di successo, orfano. In realtà, con quelle tre semplici frasi riusciva a riassumere tutto quello che aveva scoperto. Visto che in una nave lo spazio è poco e la gente tende a incrociarsi continuamente, capitò che durante diverse cene anche John conobbe Fabrizio, traendone un’impressione molto positiva grazie ai suoi modi garbati e al carisma irresistibile, e certo mai avrebbe sospettato che la natura del rapporto con la moglie fosse tutt’altro che innocente. La stessa Anna non riusciva a capire cosa le stesse accadendo e perché quando Fabrizio era nei paraggi arrossiva e il cuore prendeva a battere come una locomotiva a vapore. Tutto ciò era ridicolo per lei, una donna della sua età e nella sua posizione che si comportava come una ragazzina alle prese con cotta adolescenziale. Ma chi voleva prendere in giro con le sue scuse? La verità è che si era innamorata di un uomo che non era suo marito.
Una sera, dopo un ricevimento tenuto in una grande sala, Anna rimase sul ponte a osservare le stelle. Entro pochi giorni la crociera sarebbe finita e lei non avrebbe più rivisto Fabrizio. Già provava una profonda malinconia al solo pensiero e il cuore era diviso a metà tra questo nuovo amore e la fedeltà per suo marito. Pensare che non avrebbe più rivisto Fabrizio le straziava il cuore ma succedeva anche al pensiero di tradire John. Era salita su un’altalena di emozioni e non sapeva come comportarsi.
Una mano calda si posò sulla sua spalla e voltandosi Anna si ritrovò a pochi centimetri da lui. Forse le stelle e il fato avevano scelto per lei. Ridusse quella distanza e lo bacio con ardore. Aveva deciso.
Quando rientrò in cabina, il povero, ignaro John dormiva tranquillamente senza il minimo sospetto di quello che era successo. Anna gli scostò un ciuffo di capelli dal volto e gli sussurrò piano due sole parole: – Mi dispiace.
Come tutti i sogni durati troppo a lungo anche la crociera giunse al termine. Anna e John ritornarono a casa ma lei non era più la stessa donna che l’aveva lasciata. Una nuova Anna aveva nel frattempo preso il suo posto. Stesso volto, sì, certo, stessi occhi e anche stessa voce, ma il cuore… Oh, il cuore…
Adesso passava ogni momento fuori casa per incontrarsi in segreto con il suo Fabrizio, e quando non riusciva a vederlo, si sentivano per lunghe ore al telefono. Con l’arrivo dell’autunno il loro sentimento si era consolidato più che mai in una relazione costante. Non riusciva più nemmeno a sopportare il tocco del marito quando tutto quello che il suo corpo agognava erano le carezze di Fabrizio. La verità era che quella nuova fiamma aveva consumato quella del marito. La verità era che aveva smesso di amarlo.
Per questo una domenica si decise a farlo.
– Dobbiamo parlare, John.
Essendo questo frase un segnale universalmente riconosciuto da ogni uomo come una campanella di pericolo imminente, lui smise immediatamente di mangiare e la guardo spaventato, forse notando per la prima volta in due mesi che qualcosa che non andava.
Anna proseguì risoluta. Così non si poteva più andare avanti. Lei non ce la faceva e non voleva più mentirgli, così gli racconto tutta la verità. E man mano che le parole venivano fuori, scoprì la rabbia, l’incredulità e il dolore cambiare i lineamenti dell’uomo che una volta aveva amato. Alla fine Anna gli chiese il divorzio. Era sicura che dopo aver scoperto come l’aveva ingannato e tradito lui sarebbe stato felice di concederglielo. E invece…
– Mai, hai capito? Mai! Non ti permetterò di correre libera dalle braccia di quel seduttore di mogli! Tu sei mia! Mia e solo mia, e finché io sarò tuo marito tu mi devi obbedire!
Anna era sconvolta. Non le avrebbe mai concesso di essere felice con Fabrizio. Lui iniziò a impedirle di uscire e a controllarle il telefono. L’assurdo era che l’aveva subito assolta da ogni peccato condannando solo il suo amato. Per ogni più piccolo gesto o frase le veniva da piangere. Non riusciva a capacitarsi di quello che le stava capitando e cominciò a sentire le mura domestiche come quelle di una gabbia. Immensa e con ogni confort, ma pur sempre una gabbia.
Passò un mese in quello stato finché John non si accorse del suo dolore, e preso dalla pietà allora incominciò a ridarle delle piccole libertà. L’amava troppo per vederla soffrire. Le fece solo promettere che non si sarebbe più vista né sentita con Fabrizio e lei acconsentì mentre il suo cuore sanguinava silenziosamente.
Nei mesi che seguirono finse di essere caduta in depressione per il suo amore perduto ma la realtà è che lo incontrava ancora. Chi l’avesse vista prima a casa e poi con Fabrizio non avrebbe riconosciuto la stessa persona. Fu così che i due insieme decisero che se John non le avesse concesso la libertà di scegliere con chi stare, la libertà se la sarebbe dovuta prendere da sola. Così iniziarono quei piccoli tentativi di sbarazzarsi del marito che, da povero sciocco qual era, credeva davvero fossero tentativi di suicidio. La sera in cui collocò lo skateboard sulle scale della cantina, Anna non sentì nessun rimorso ma solo un profondo senso di sollievo. Finalmente avrebbe riavuto indietro il suo cognome russo, Rubliov, e la sua libertà.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte III ***


La mattina seguente Anna scese le scale. Fece colazione con calma e poi andò dai vicini chiedendogli se avessero visto John. Dopo i mesi trascorsi a recitare la parte della moglie sconvolta e infelice, era divenuta per lei una seconda natura. Il suo vicino le chiese se avesse controllato bene in tutta la casa. Magari si era sentito male e lei non se n’era accorta. A quelle parole spalancò gli occhioni e gridò: – La cantina!

Lì trovarono John con la testa spaccata e accanto a lui lo skateboard. Nel giro di un’ora la casa si riempì di poliziotti. Anna non smetteva di piangere, ancora scioccata dall’immagine del marito morto, e forse una parte di quelle lacrime versate potevano essere sincere. Un poliziotto la interrogò a lungo, scoprendo che la sera prima Anna e il consorte avevano avuto ospiti a cena e che quando se ne erano tutti andati, lei era salita in camera da letto; la lunga serata l’aveva provata. Tra un singhiozzo e l’altro Anna spiegò che aveva lasciato John a guardare la tivù mentre finiva il vino. Quando il poliziotto le chiese se non avesse sentito rumori, lei ricominciò a piangere.
– Se non avessi preso le gocce per dormire forse adesso mio marito sarebbe vivo! Mi sarei accorta che non tornava o forse avrei sentito quando è caduto! Avrei potuto fare qualcosa... ed è tutta colpa mia!
Gli agenti tentarono subito di calmarla, ignari di aver appena ricevuto una confessione dalla colpevole. Le dissero che si era trattato di uno sfortunato incidente e che non si poteva incolpare nessuno per quanto successo. In breve la polizia completò la ricostruzione dei fatti: John aveva finito il vino ma era così ubriaco che si era dimenticato di averne un'altra bottiglia, quindi si era diretto in cantina dove era scivolato e morto. Solo la presenza di quello skateboard destava qualche perplessità, ma in fondo chi li capiva questi ricchi?
Anna ringraziò gli agenti e li salutò.
Passarono tre mesi e le sue amiche continuavano a ripeterle che doveva farsi una nuova vita e che John non avrebbe voluto vederla infelice. Inoltre lei aveva ereditato sia il patrimonio sia la casa, diventando un partito molto appetibile per numerosi lupi famelici. Ma Anna continuava a fingersi la ricca vedova in lutto. Questo finché, in estate, Fabrizio fu trasferito nella clinica della stessa città dove abitava lei. Far credere a tutti che l’aveva incontrato per la prima volta fu molto facile. Chi le era stato vicino durante quei finti periodi bui era contento che avesse ripreso a sorridere e a uscire. Da lì al matrimonio il passo fu breve.

Con il suo nuovo marito Anna era felice. Fabrizio la portava in giro, facendole visitare città straniere e partecipando insieme a ricevimenti e congressi. In quello stesso periodo Anna aprì una galleria dove espose i suoi quadri.
Anna e Fabrizio erano fra le coppie più in vista dell’alta borghesia. Erano spesso invitati a cene a casa di amici. In breve tempo John finì nel dimenticatoio come tutte le cose scomode e nessuno pensò mai male di Anna. Lei era l’unica che a volte, in quelle sere dove rimaneva a casa da sola, lo pensava. Non che provasse rimorsi o sensi di colpa, ma lo ricordava come un uomo che l’aveva adorata e che nel suo profondo, e forse anche egoistico, amore non aveva voluto accorgersi di nulla.
Passarono così due magnifici anni prima che qualcosa spezzasse quella tranquilla e perfetta felicità idilliaca. Anna, fasciata nel suo vestito color ghiaccio, era elettrizzata alla notizia che doveva dare al marito e per questo non riusciva a restare ferma. Stava aspettando che quel ricevimento finisse e intanto volteggiava da un cavaliere all’altro affascinata dalla musica. Dopo alcune ore la stanchezza si fece sentire, e scusandosi si diresse a prendere un po’ d’aria in terrazza. Si appoggiò al cornicione e guardò giù. Ringraziò di non soffrire di vertigini perché la vista della scogliera in basso era da togliere il fiato. Senti dei passi dietro di lei e dal profumo riconobbe il marito. Voleva che lui fosse il primo a ricevere la bella notizia, ma quando si girò per annunciargli di essere incinta, Fabrizio la fissava con freddezza. Per la prima volta Anna sentì il gelido tocco della paura in presenza del suo secondo marito.
– Allora, hai finito di fare la sgualdrina con tutti gli uomini presenti in sala? – sibilò questi, e in un moto d’ira la sollevò da terra afferrandola per il collo. Un movimento di pochi centimetri e lei sarebbe volata giù. Terrorizzata, Anna scalciò sentendo l’aria e le forze venirle meno. Riuscì a mollargli un calcio all’altezza dello stomaco e caddero entrambi sul freddo pavimento. Ansimando pesantemente, si guardarono capendo nello stesso istante quello che lui stava per fare. Fabrizio si rialzò per primo e sconvolto dal suo stesso gesto, fece per aiutarla. Anna lo guardo con uno sguardo misto tra la paura e il disprezzo, e mentre si rialzava da sola, gli sibilo a denti stretti: – Toccami un'altra volta e sarò vedova di due mariti.
Si fissarono con occhi carichi d’odio. Nessun altro si era accorto di quello che stava succedendo né quando rientrarono, capirono che tra i coniugi Dufert era guerra aperta. Entrambi divennero attori superbi davanti agli altri ma bastava che la porta di casa si chiudesse dietro di loro per vedere i loro volti trasformarsi in maschere di disprezzo.

Con il passare dei giorni la casa assunse un silenzio mortale. Durante i pasti che erano costretti a fare allo stesso tavolo per mantenere le apparenze, aspettavano che l’altro assaggiasse per primo il cibo. La notte difficilmente uno voleva addormentarsi prima dell’altro. Nelle scale che portavano alla cantina venne riparata la luce. Questo continuo guardarsi le spalle era dovuto al fatto che entrambi progettavano di uccidere il coniuge. Un fatto che si stava dimostrando molto arduo.
Avvantaggiato, inconsapevolmente, dal fatto che Anna dovesse anche cercare di tenere segreta la gravidanza, Fabrizio fu il primo a trovare una trappola mortale per la moglie. Era solo in casa e, avendo deciso di mangiare carne, scese in cantina. Qui infatti non si trovavano solo i vini migliori della casa ma anche la ghiacciaia dove erano conservate verdure e soprattutto carne. Questa stanza aveva varie particolarità adatte allo scopo che Fabrizio aveva in mente: era insonorizzata anche grazie allo spesso strato di ghiaccio che ricopriva le pareti, la temperatura interna era di molti gradi sotto lo zero e la porta non si apriva dall’interno, per questo doveva essere fermata con un gancio. Non era una cosa impossibile far saltare quel vecchio gancio arrugginito magari con l’ausilio di qualche filo.
Con il passare dei giorni mise appunto la trappola che stava diventando una perfetta arma del delitto. In compenso Anna era molto preoccupata per il figlio e sapeva di dover agire in fretta, prima che lui lo scoprisse.
Un pomeriggio piuttosto soleggiato Anna si addormentò sul divanetto nella serra, l’unico posto dove riusciva a dormire tranquilla essendo l’unica a possedere la sola chiave di accesso. Fabrizio, rientrando dal lavoro all’ospedale, vide dalla finestra sulla serra che la moglie dormiva tranquilla e decise di provare per l’ultima volta il tranello ai danni della consorte. Inserì il filo nel gancio e lo fisso a un pezzo di carne dall’altra parte della stanza. Contando sul fatto che era consapevole di quello che stava facendo e che era molto veloce, fece scattare la trappola. Ma ingenuamente non aveva tenuto conto né del freddo né della sua stanchezza, e mentre stava per uscire, con suo orrore la porta gli si chiuse davanti, imprigionandolo. Fabrizio iniziò a urlare a pieni polmoni, battendo le mani sul vetro mentre una vocina maligna dentro la sua testa lo derideva per l’inutilità di quel gesto.

Anna si svegliò dal suo pisolino, e inconsapevole di quello che stava succedendo a pochi metri sotto di lei, continuò con la sua vita di sempre. Non considerò strano che il marito non tornasse per cena perché era successo già altre volte. Iniziò a insospettirsi solo il mattino seguente quando, chiamando l’ospedale dove lavorava, le dissero che quel giorno il dottor Dufert non si era presentato a lavoro. Piano piano Anna iniziò a ispezionare la casa non trovando segni della presenza di Fabrizio. Poteva trattarsi di un inganno architettato per prenderla di sorpresa e per questo si muoveva con circospezione. Arrivata alle scale della cantina accese la luce, e solo dopo essersi assicurata che erano ben libere, scese. Non trovò il marito da nessuna parte finché un leggero movimento nella ghiacciaia attirò la sua attenzione. Simile a una scena da incubo, il volto del marito sbucò all’improvviso dalla piccola finestrella. Era congelato, e quando la vide iniziò a picchiare i pugni sul vetro come un ossesso. Lei lo guardò e scoppiò a ridere. Si era intrappolato da solo, senza che lei facesse nessuno sforzo. Se pensava che l’avrebbe liberato si sbagliava, e di grosso anche. Ancora con il sorriso sulle labbra tornò di sopra e spense la luce.
Passò una settimana e Anna aveva avvisato l’ospedale che il marito stava male. Ogni giorno di quella settimana l’aveva vissuto con un’angoscia segreta ma non ci voleva un genio per capire che nei piani di Fabrizio avrebbe dovuto esserci lei lì dentro. Dopo quei sette giorni Anna arrivò alla conclusione che doveva essere bello che morto ormai. Scese le scale e guardò nella ghiacciaia. Fabrizio era steso sul pavimento, immobile, girato di schiena. Era morto, vero?
Lentamente aprì la porta ed entrò, senza notare la mancanza del gancio sulla porta presa com’era dal timore. Si avvicino al marito e prendendo dei profondi respiri per calmarsi, allungò tramante il braccio. Alle sue spalle risuonò un tonfo che la fece gridare e ritrarre di scatto, e voltandosi vide la porta ormai chiusa. Prima che potesse capire cosa era successo, trasecolò e quasi svenne dal terrore quando una mano le afferrò la caviglia, e quella mano poteva solo appartenere a…
– Ci siamo dentro tutti e due adesso, mogliettina cara.
Lei si scrollò con un calcio la mano di dosso e si fece velocemente indietro mentre lui le parlava in un sussurro appena percettibile. – Moriremo entrambi in questa catacomba ghiacciata, lo sai, vero? Avresti dovuto liberarmi. Ho aspettato pazientemente di vederti entrare e adesso almeno morirò soddisfatto pensando che mi raggiungerai presto.
Anna stava scuotendo il capo con una luce divertita negli occhi grigi, cosa che fece fermare Fabrizio nel suo momento di trionfo.
– Ho capito subito che non eri a conoscenza del segreto di questo posto quando mi hai supplicato di aprirti. Vedi, mio caro, io non morirò qui dentro, al contrario tuo!
Anna si diresse al fondo della stanza e iniziò a grattare il ghiaccio sotto lo sguardo morente del marito. Pochi minuti dopo un oggetto metallico cadde a terra: la chiave della porta. Anna sorpassò quel corpo che fra poco sarebbe stato abbandonato anche dall’ultima scintilla di vita, e aprì la porta per richiudersela dietro le spalle.
– Hai perso, Fabrizio.
Anna salì le scale lentamente, ancora frastornata dalla ghiacciaia, e ringraziò mentalmente il suo primo marito John per aver nascosto una chiave nel ghiaccio per i casi d’emergenza. Aveva avuto paura che lei si dimenticasse il gancio e rimanesse chiusa dentro.
In quel momento il telefono suonò. Era la sua migliore amica e quando le chiese se voleva partire con lei, Anna accettò immediatamente. Tre mesi o più lontani da casa sarebbero stati un alibi perfetto.

Passò un intero anno a viaggiare e quando atterò in città fu subito convocata al commissariato. – Buon giorno signorina! Abbiamo cercata di contattarla spesso in questo periodo ma senza successo.
Anna lo guardò con la sua espressione più innocente.
– Dice davvero, commissario? Mi deve scusare, non lo potevo sapere. Nell’ultimo anno ho fatto volontariato presso i villaggi poveri. Ma cos’è successo? Come può vedere dalle valigie non sono ancora tornata a casa e non vedo l’ora di riabbracciare mio marito dopo tutto questo tempo che siamo stai separati.
Lo sguardo del poliziotto si fece triste mentre le annunciava: – Signora, sia forte e mi ascolti con molta attenzione, perché purtroppo devo riferirle una cattiva notizia: presumiamo che durante il suo periodo d’assenza suo marito si sia tolto la vita. Sì, lo so, è una tragedia per lei. Per favore signora, si calmi. Prenda questo fazzoletto.
Anna era scoppiata in lacrime alla notizia e a stento riuscì a chiedergli com’era potuto succedere una tale disgrazia.
– Si è chiuso nella ghiacciaia. Per via del freddo il corpo era ancora intatto quando l’abbiamo trovato ed è impossibile risalire al giorno esatto del decesso. Mi dispiace, signora.
Anna continuò a piangere anche quando fu informata che era l’unica erede dei beni materiali del marito. Alla fine uscì dal commissariato e andò a riprendere la piccola Alexandra dalla casa dell’amica. Mentre fermava la macchina davanti al grande edificio che non vedeva da un anno, sorrise a quell’angioletto per cui aveva rischiato tutto e che avrebbe difeso per sempre. Con un bacio le sussurrò: – Benvenuta a casa, tesoro mio!
FINE


~Ho scritto questo racconto molti anni fa ripensando a un testo che avevo letto sul mio libro di antologia alle medie. Quindi vorrei specificare che l'idea di base non è mia. Frutto della mia fantasia, invece, sono Anna, John e Fabrizio così come il flash back della crociera o il fatto che Anna fosse incinta.
Spero vi sia piaciuto leggerlo quanto a me scriverlo.
Se volete spendere pochi minuti del vosto tempo per lasciarmi una recensione, buona o brutta che sia, ve ne sarei grata.
Grazie e buone vacanze estive~

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3508387