The Prophecy Of Light ~ Le Cronache Del Lupo Nero

di Wolf_394
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the prophecy of light le cronache del lupo nero ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***



Capitolo 1
*** the prophecy of light le cronache del lupo nero ***


In un tempo eclissato dal sapere attuale, la Terra non era nient'altro che un vastissimo oceano sul quale giacevano tredici isole, in cui gli uomini vivevano in pace ed armonia; nessun uomo, però, aveva mai visitato un'isola all'infuori di quella in cui nacque, questo perché non ve ne era la possibilità, le isole erano irraggiungibili con qualunque mezzo, o, perlomeno, con i mezzi allora conosciuti.

Ad ogni modo, quello che gli uomini gradivano maggiormente erano i piccoli grani di magia che li circondavano, allietando ogni giorno ed ogni notte della loro vita. È per questo che ogni essere umano aveva un proprio talento, una capacità speciale che si presentava alla nascita e rendeva particolare ed unico ognuno di loro, quella era la magia che li circondava, la magia che la vita donava loro. C'era chi aveva una voce candida e melodiosa, chi era un ottimo artigiano, chi, invece, era un grande oratore capace di muovere enormi eserciti con degli ottimi discorsi e chi, di questi eserciti, era il picco più lucente, il guerriero migliore.
Agli uomini piaceva la magia, fin quando questa, da gentile e lieta, non si tramutò presto in malvagità, in oscurità.

Su una delle tredici isole, sorgeva un piccolo villaggio di nome Lucisis, che veniva mantenuto e protetto dagli uomini che ci abitavano; a questo punto vi starete domandando da cosa il piccolo villaggio dovesse esser protetto, ed è qui che la nostra storia comincia:

Un uomo, con il cuore coperto da un manto di tenebra, decise di oscurare il sole con il potere in suo pugno, l'egemonia sulle Ombre, portando così il terrore a Lucisis e nelle altre dodici isole.
Dopo ciò, non contento dei danni già inflitti, scagliò il suo mastodontico esercito di Draghi Neri sulle tredici isole, che portò il gelo con il suo fiato creatore di ghiaccio.

La Luce e l'Oscurità, a quei tempi, erano in un continuo conflitto, e gli uomini vivevano in un baratro oscuro e sinistro, chiamato Paura.
L'uomo, portatore di male, venne soprannominato "Uomo Ombra", anche se, in realtà, nessuno era a conoscenza del suo vero nome, o del suo volto.
Dopo cinque lunghi anni di buio e di gelo, il capo di Lucisis decise di eleggere cinque ragazzi del suo villaggio, i più forti, intelligenti e talentuosi, come coloro che dovranno riportare la Luce, i prescelti, così da far nuovamente risplendere Lucisis e le altre dodici isole sotto i caldi e luminosi raggi solari:

Helen Seclusion, dominatrice di animali, non c'era fiera che non la ascoltasse;

Frost Kemble, il miglior combattente di Lucisis;

Laegwen Teriber, arciera dotata di una precisione disumana

Pitcher Christer, miglior uccisore di Draghi di tutti i tempi, ma condivideva questo titolo e questo talento con sua sorella minore, Vivis Christer.

I cinque ragazzi, legati da un'amicizia indissolubile nata assieme a loro stessi, furono costretti ad affrontare un lungo viaggio pieno di ostacoli per poi affrontare l'Uomo Ombra ed il suo immenso esercito, con lo scopo di porre fine all'Oscurità una volta per tutte e riportare, finalmente, la Luce. 

Ricordate che le stelle non possono brillare senza l'Oscurità, e loro brillavano di speranza,

I cinque sconfissero l'Oscurità? Riportarono la Luce?

~

 

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Capitolo 2
*** I ***


28 Agosto 1450 A.a.C.
Ultimo Quarto

Il lupo corvino dagli occhi dorati si accucciò goffamente accanto a Helen, sbuffando per la stanchezza. Il resto del branco baloccava ancora attorno alla ragazza, ma lei, in quel momento, si stava dedicando solamente al lupo di fianco a sé, il quale era stremato dalla lunga e spassosa giocata.

Gli altri otto lupi quasi non riuscivano a fermarsi dal mordicchiarsi le zampe e la coda e dal rincorrersi furiosamente per tutto lo spiazzo dove i canidi e la ragazza si trovavano. Quest'ultima accarezzava il manto nero e lucente del lupo accucciato di fianco a lei con cura ed amore, affondando le dita nel suo pelo lungo e morbido, come se l'animale fosse stato un'antica reliquia d'inestimabile valore, e lui respirava affannosamente, riprendendo il fiato perso.

«Ti senti meglio adesso?» chiese lei dolcemente ed il lupo sbuffò ancora per annuire. Helen alzò lo sguardo ed intravide, attraverso il leggero e semovente fogliame scosso da una brezza algida e delicata, i Draghi Neri fare ritorno al castello del perfido Uomo Ombra;

«Era ora che se ne andassero, maledette bestie...» pensò la ragazza, la sua voce disprezzante riecheggiava nella sua mente ripetendo quella frase. 

Helen aveva diciannove anni, e viveva a Lucisis, appunto, da diciannove anni - dopotutto era la sua isola natale, anche se avesse voluto non avrebbe mai potuto abbandonarla, i mezzi allora conosciuti non permettevano alcuno spostamento al di fuori dell'isola - ma erano a mala pena cinque anni che il villaggio, il mondo era immerso nel buio e nel gelo, oramai ella si era abituata ad i continui attacchi degli uccisori, i Draghi Neri, ai continui scherzi delle Ombre ed anche alle figure nere e misteriose che strisciavano dietro di lei, che le facevano venire i brividi, e che lei poteva notare a mala pena con la coda dell'occhio; si poteva a stento accendere una candela senza che le Ombre distruggessero anche quella flebile fonte di luce. I raccolti crescevano a stento, la vegetazione era ancora viva probabilmente solo grazie ad un miracolo, non si poteva sapere quale sarebbe stato il futuro di Lucisis. Il ricordo di quell'orribile giorno in cui il sole venne oscurato le attanagliava le membra.

Lei aveva a mala pena quattordici anni quel dì e lo ricordava ancora perfettamente: negli occhi di qualunque abitante di Lucisis allora presente si poteva leggere il terrore e la disperazione nel vedere le Ombre sovrastare la luce del sole, sino ad occultarla totalmente; quasi tutto il villaggio venne distrutto quell'orrenda mattinata.

Dentro di lei, ogni volta che quel ricordo le riaffiorava alla mente, l'eco delle grida di terrore si espandeva sempre più e la rabbia le rapiva ogni goccia di sangue, i muscoli le si contraevano, sapendo di non poter fare nulla e di non aver mai potuto far nulla, sapendo che quello era solo un ricordo, e che non avrebbe mai potuto modificare o eliminare; l'istinto di vendetta la accecava, sino a che la sua mente non cedeva, cambiando velocemente pensiero. 

Helen, come qualunque altro abitante del villaggio d'altronde, si chiedeva chi potesse essere quella persona talmente spietata da esser capace di distruggere centinaia di vite senza alcuno scrupolo... tutti soprannominavano quest'ultima "Uomo Ombra", tuttavia nessuno realmente sapeva chi fosse a controllare quel caos, il loro dittatore rimase per sempre senza volto, voce e nome; oramai era quasi un'abitudine per Lucisis combattere contro i Draghi Neri e convivere con l'Oscurità era quasi diventato la loro normalità, anche se, in realtà, dentro di loro, non ne potevano più.

Helen era una ragazza come tutte, aveva dei lunghi capelli scuri, crespi e sbarazzini che teneva sempre raccolti in una treccia o in un largo e disordinato chignon; i suoi occhi erano blu e sembravano due luminosi zaffiri; il suo viso era ben definito ed aveva un piccolo naso al centro di esso, roseo, come le guance ai lati di questo; era una persona molto testarda, combattiva e, se necessario, vendicativa, i suoi amici erano la sua famiglia e sarebbero stati guai per chiunque avesse osato far loro del male.
Comunque, l'unica cosa che la distingueva da una ragazza qualunque era il suo talento. A Lucisis ognuno nasceva con un talento, una capacità unica che rendeva chiunque speciale, diverso. Il talento di Helen era forse uno dei più poetici: gli animali la ascoltavano. I talenti, a quei tempi, erano, più che una caratteristica, una capacità speciale, quasi un potere, per alcuni persino un vanto.
C'era chi riusciva ad ascoltare il sibilo del vento quasi come se fosse un sussurro, lo decifrava come fosse un messaggio in arrivo da molto lontano; c'era chi aveva una fantasia sconfinata ed era in grado di creare una fiaba partendo semplicemente da una parola, una qualsiasi; chi, invece, era un ottimo oratore, insomma, ognuno aveva una propria specialità ed era meraviglioso vedere tutti gli abitanti, o quasi, di quel rustico villaggio sfruttare il proprio talento per aiutare sé stessi e la propria famiglia, i propri amici, e, be', c'erano molti motivi per cui ci si dovesse aiutare a vicenda.

Mentre la ragazza continuava ad osservare il cielo accarezzando meccanicamente il lupo affianco a sé, dei passi svelti e pesanti e delle risate la riportarono alla realtà:

«M'hai vista quando ho scoccato quella freccia e l'ho colpito sotto l'ala? Ha ruggito talmente tanto forte che probabilmente l'avranno sentito anche in tutte le altre isole, forse anche i morti!» esclamò, ridendo, una voce particolarmente familiare, avvicinandosi a Helen, che stava accennando ad un sorriso.

«Ehilà Helen, anche oggi non ti sei buttata nella mischia, vedo!» disse Pitcher allegro. 

Coloro che stavano allegramente conversando con Helen non erano, fortunatamente, né Draghi né Ombre, bensì erano i suoi più fidati amici. 

Il lupo accoccolato sul fianco di Helen, con uno scatto, si levò sulle magre ed agili zampe ed iniziò a ringhiare furiosamente contro i quattro amici della ragazza, arricciando il muso per mostrare i denti aguzzi, cercando di proteggerla da un pericolo che, in realtà, non c'era. Difatti, il lupo, fiutava l'odore dei Draghi Neri che i quattro avevano appena combattuto. Dopo che il canide dal manto corvino si piazzò in posizione d'attacco di fronte all'indifeso quartetto che aveva posato le armi, il resto del branco seguì l'ordine implicito d'unirsi all'alpha, interrompendo il divertimento; in pochissimo tempo, i migliori amici di Helen si ritrovarono circondati da nove lupi ringhianti ed arrabbiati, assetati di vendetta. I quattro subito fermarono le risa e ci fu un orribile silenzio spaccato solo dal ringhiare e l'abbaiare dei lupi. La voce dei ragazzi si bloccò in un sussulto ed, assieme, iniziarono lentamente ad indietreggiare, cercando di non fare movimenti bruschi. Laegwen fissava Helen, che aveva fatto scomparire il sorriso che stava abbozzando, dritto negli occhi, implorando il suo aiuto con uno sguardo terrorizzato impresso sul volto.

Quest'ultima, in meno d'un attimo, zompò in piedi e si posizionò prontamente dinanzi al branco. Con una mano protesa in avanti, ella intimò ai lupi di fermarsi.

«No!» gridò la ragazza, «non toccarli, non muoverti... sta calmo e cerca di riconoscerli, sono Frost, Laegwen, Pitcher e Vivis!» - l'alpha, durante la pronta esclamazione di Helen, ruotava la testa a destra ed a sinistra, tentando di capire cosa la ragazza stesse dicendo, poi smise di ringhiare, e gli altri otto lo seguirono. Il branco riprese la sua attività: il canide corvino si acciambellò nuovamente accanto ad un albero ed il resto del gruppo riprese il suo gioco. 

«La prossima volta che mi raggiungete nella foresta subito dopo aver combattuto con ancora la puzza di Drago addosso v'infilo un pugno nel naso e ve lo faccio uscire dall'orecchio! Poi vi lamentate che i lupi vi attaccano e dite che sono pericolosi, cosa vi aspettate? Vi scambiano per il nemico!» li rimproverò Helen, fissando ognuno di loro negli occhi con sguardo infuocato.

Come detto in precedenza, coloro che Helen stava rimproverando erano i suoi quattro migliori amici:

Frost, lui conosceva Helen da prima di chiunque altro, questo perché fu lui il primo del gruppo a vedere Helen da neonata, dopotutto lui aveva già due anni quando lei nacque; poi, quando Helen crebbe, non ci fu giorno in cui i due non s'incontrarono. Frost aveva i capelli color quercia ed erano perennemente arruffati, i suoi grandi occhi erano d'un verde smeraldino sgargiante ed erano perfettamente allineati con le sue guance biancastre quasi come il latte; fra di esse, un naso leggermente prorompente completava il suo viso ovale, pallido e definito. Il suo colore preferito era il verde, per lui era quasi una fissazione!
Il ragazzo, per quanto freddo, orgoglioso e meschinamente sarcastico potesse essere, non si sarebbe mai tirato indietro nel caso in cui uno dei suoi amici si fosse trovato in pericolo; era molto combattivo e, non a caso, lui era il miglior guerriero di Lucisis. 

Laegwen fu la seconda ad aggiungersi al gruppo, dopotutto nacque un anno dopo di Helen; aveva dei lunghi capelli color mogano che teneva sempre raccolti in una treccia cespugliosa; gli occhi che le illuminavano il viso erano neri come la pece e, al chiaro di luna, risplendevano come gemme preziose; essi erano grandi e languidi. L'occhio destro, suo malgrado, era mal ornato da una cicatrice che aveva origine poco al di sopra del sopracciglio e terminava al di sotto dell'occhio, ma fortunatamente la pupilla non subì alcun danno quando quel Drago Nero le graffiò il viso appena prima che lei scoccasse prontamente una freccia. Laegwen era la miglior arciera di tutta l'isola, forse di tutte e tredici le isole.
Al centro del viso minuto si erigeva un naso sottile e, al di sotto di esso, vi erano delle labbra purpuree né troppo carnose né troppo sottili. La ragazza, caratterialmente, era molto impicciona, difatti, ogni volta che vedeva Helen star da sola, voleva sempre essere a conoscenza del motivo; lei era una persona che si affezionava facilmente quasi a chiunque, molto affettuosa e sempre allegra.

Pitcher e Vivis erano fratelli; si aggiunsero per ultimi al gruppo poiché, in principio, adoravano giocare da soli. Pitcher era più grande della consanguinea solo di un anno; I suoi capelli cambiavano colore in conformità della luce: se erano esposti al sole divenivano biondi, invece, all'ombra, erano quasi castani. Il suo viso ovale e scolpito aveva, al centro, un naso rossiccio a forma di patata, e gli occhi al di sopra di esso era del colore del dolce miele, proprio come quelli di sua sorella. I due non si assomigliavano molto, lei aveva dei capelli biondissimi che sembravano quasi dei fili dorati e che acconciava sempre dividendoli in due lunghe trecce, il suo naso era piccolo, il viso era dolce e, da questo, sporgevano, non molto, degli incisivi da castoro che la rendevano piuttosto buffa. Di volto, come precedentemente affermato, non si rassomigliavano, ma avevano entrambi lo stesso identico carattere: erano molto scherzosi, adoravano far ridere le persone e non perdevano occasione per fare una battuta per alleggerire la tensione del momento. Assieme al carattere, condividevano anche il talento: erano i miglior uccisori di Draghi Neri dell'intera isola; insomma, i due erano una persona unica in due corpi separati. 

«Scusa», rispose sghignazzante Frost, schernendo l'arrabbiatura di Helen, «tornando a noi, volevamo raccontarti com'è andata la battaglia di questa sera» - Helen si mise un dito sulle labbra rosee e fece capire ai quattro amici che stava sarcasticamente immaginando la battaglia che gli ultimi avevano combattuto appena cinque minuti prima. 

«Vediamo un po', provo ad indovinare... avete ucciso almeno un centinaio di Draghi, avete combattuto come mai prima d'ora, per poco non siete morti congelati... c'ho azzeccato?» disse poi, camminando avanti ed indietro e roteando una mano in aria.
Laegwen, Vivis e Pitcher risero di gusto, tuttavia Frost, seccato, sbuffò, guardando storto Helen ed il suo sorriso soddisfatto.

«Avanti ragazzi, cambiate musica, questa la so a memoria!» esclamò Helen, facendo imbronciare ancor di più Frost e facendo aumentare le risate degli altri tre; anche lei si fece scappare una dolce risata. 

«Sentite, io avrei dei programmi sia per me che per voi per i prossimi undici anni, quindi, per favore, possiamo tornare al villaggio?» esclamò Frost. 
Pitcher fece come per asciugarsi le lacrime, fingendo d'aver riso talmente tanto da piangere. 

«Sì, sempre se saremo ancora tutti vivi fra undici anni, comunque d'accordo, torniamo prima che Mr. Ho-combattuto-come-mai-prima-d'ora s'arrabbi...» continuò a deriderlo Helen, e Pitcher, che aveva appena riacquistato fiato, riprese a ridere furiosamente, accompagnato dalla sorella. Frost lanciò un'occhiata irosa ai tre ragazzi, ma soprattutto a Laegwen, che aveva un sorriso smagliante stampato in volto; il ragazzo alzò gli occhi al cielo e riprese a parlare con tranquillità.

«Parlando di cose serie, Helen, potresti spiegarci una buona volta perché non vuoi combattere i Draghi Neri? Insomma, è-è-è la cosa più emozionante del mondo!» domandò, balbettando esaltato all'idea del combattimento, Frost alla ragazza, cambiando discorso, mentre i cinque s'incamminarono verso il tragitto per tornare al villaggio.

Lucisis era un villaggio piccolo e piuttosto rustico, così come i suoi abitanti d'altronde: le case di legno e pietra erano tutte al massimo di due piani, ognuna fornita d'un tetto spiovente e di numerose ed ampie finestre, almeno quattro a parete, due al piano inferiore, due a quello superiore. Al centro del villaggio c'era un grande e profondo pozzo e da lì partivano tutti i sentieri di pietrisco che raggiungevano tutte le case ed i servizi della piccola cittadella. 
Oltre alle abitazioni non c'era molto: vi era un fabbro, un artigiano, una sartoria, una drogheria, una piccola biblioteca ove vi era segregato uno scribano, vi era una piccola bottega, in cui un uomo grassottello e sbarbato vendeva cibi di ogni genere (carni, ortaggi, pani, cereali...), in una casetta di legno chiaro c'era persino un guaritore ed, infine, c'era un vasto, triste cimitero.
Per le stradine di Lucisis girava spesso un Cantastorie Pazzo, con cui Helen adorava trascorrere un po' di tempo e rilassarsi durante le sue interminabili e fantastiche narrazioni al costo di pochi pezzi di rame. 

«Ci risiamo...» sbuffò Laegwen, stufa dell'insistenza di Frost, effettivamente quella sarà stata, sì e no, almeno la sessantesima volta che il ragazzo le porgeva quella domanda, e, ogni volta, Helen replicava allo stesso modo.
Il primo fulminò Laegwen con un'occhiataccia, prima di posare nuovamente gli occhi su di Helen.

«Se me lo chiedi un'atra volta io giuro che ti stacco la testa e me l'appendo in casa come trofeo! Per l'ultima volta, e che questa sia finalmente l'ultima volta, ti ripeto che c'è qualcosa in loro che non mi convince, non sono davvero cattivi, lo so, lo sento! Dopotutto il mio talento...» e qui Helen si bloccò; 
Il viso sorridente dei cinque si trasformò, in un attimo, in una smorfia di preoccupazione.
Non appena fuoriusciti dalla selva, i cinque vennero bloccati da Viktor, il capo villaggio, fu lui a prendersi cura di Helen dopo che i suoi genitori, disgraziatamente, morirono poco dopo il compimento dei tre anni della ragazza, dopotutto era il loro migliore amico, per questo affidarono a lui la bambina, Helen; tuttavia, lei non seppe mai come i suoi genitori morirono, a differenza di Daniel, un ragazzo cresciuto assieme a lei, anche lui orfano, che vide i suoi genitori morire, dilaniati brutalmente da un Drago Nero.

Viktor era un omone pingue e robusto, con i capelli e la barba neri come la pece e folti come chiome d'albero d'estate, entrambi sempre raccolti in due grandi trecce, in modo che non dessero fastidio durante i combattimenti. Il labbro superiore era coperto da un importante ed ispido paio di baffi, anch'esso nerissimo. Dal suo viso paffuto e peloso si poteva scorgere solo il grosso naso adunco, i piccoli occhi grigi ed il carnoso e roseo labbro inferiore.

«Helen» disse lentamente con la sua voce orchesca e cavernosa, appena tutti quanti ebbero gli occhi fissi nei suoi, «nemmeno questa notte hai combattuto... cosa dovrei fare con te?».
Helen sbuffò seccata, stufa delle continue insistenze da parte dei suoi amici.

«Spiegami cosa cappero ti cambia se io non partecipo a quella cappero di festa di sangue. Tutto il villaggio combatte, tra poco persino i bambini, e proprio di me hai bisogno?» gli rispose la ragazza con tono stoico.
Viktor strinse i pugni, dove, in uno, brandiva la sua fidatissima e robustissima lancia che il padre gli regalò quando lui aveva solo sedici anni, e, ovviamente, dopo una quarantina d'anni di continuo utilizzo, la punta di ferro era estremamente smussata, ma eseguiva ancora quasi perfettamente la sua mansione di lancia. 

«Potresti, ad esempio, parlare ai Draghi, anche perché non credo che il tuo talento serva solo a giocare con quei cani spelacchiati! E menomale che avevi l'intelligenza e la strategia militare di tua madre! Cosa direbbe secondo te, eh? E tuo padre?! Cosa dir...» - Viktor, che alzava sempre di più il suo tono di voce roco e scuro, non fece in tempo a terminare la frase che Helen gli strappò la lancia dalla stretta presa della sua mano sporca di sangue di Drago e la picchiò violentemente prima sulla sua testa chiomata dell'uomo e, subito dopo, sul suolo, in modo da attirare l'attenzione di quest'ultimo e delle persone circostanti. 
Viktor guardava la ragazza negli occhi e si poggiò una mano sul capo, strofinandosi il bernoccolo che Helen gli aveva appena procurato.

«Ascoltami bene brutto... io mi sono stufata di questa storia! I Draghi non mi ascoltano, fattene una ragione, diamine!» Helen si bloccò per un secondo, il tempo necessario per puntare contro Viktor la sua stessa lancia, poi strinse i denti e lo fulminò con lo sguardo, con un'occhiataccia ricolma d'ira.

«Lasciami in pace, una volta per tutte. Non sono di certo io che posso fermare quest'eterna oscurità» continuò poi, con tono fermo, gelido. Restituì in modo rude la lancia a Viktor e quest'ultimo si voltò, dirigendosi verso la sua dimora, la più grande del villaggio, eretta su di un piccolo naturale rialzo del terreno.
Helen annuì con il capo, soddisfatta di sé stessa, ripetendosi che, forse, questa volta, Viktor aveva imparato la lezione. 

«È anche peggio delle Ombre... è avvertito, se parla, nomina, allude o pensa di parlare nuovamente dei miei genitori uso la sua lancia per fare uno spiedino con i suoi occhi e li arrostisco sul falò» pensò fra sé e sé la ragazza, infuriata. 

Un attimo prima di entrare in casa, Viktor, in lontananza, attirò l'attenzione dei cinque strepitando il nome della ragazza con la quale aveva appena discusso.

«Cosa?» gli rispose Vivis, con un tono acuto ed assordante, «cosa vuoi, palla di lardo?!»

«Avete per caso visto Daniel?» domandò Viktor, sforzandosi per alzare il più possibile la voce roca. I cinque si guardarono fra loro, chiedendosi se qualcuno avesse visto il ragazzo che il capo del villaggio cercava.
Quando tutti si furono confrontati, all'unisono replicarono con un sonoro "no", così Viktor fece spallucce ed entrò nella sua abitazione.

Helen, con le gote rosse di rabbia, si girò e si avviò a passi svelti verso la foresta, facendo sì che il suo chignon disordinato, ad ogni pedata, si afflosciasse di più.

«Ma dove vai?» chiese, stranito, Frost.

«Da qualcuno che sta zitto» rispose Helen, annoiata.

«A-aspetta... vorresti dormire con i lupi?!» dedusse lui, «ma è pe...» il ragazzo non fece in tempo a terminare la frase che Helen gli lanciò un'occhiataccia fulminea, facendogli intuire di non aver bisogno di altri rimproveri. Sapeva perfettamente che i lupi, una volta che lei si fosse addormentata, potevano ritorcersi contro di lei, dato che avrebbero potuto dar retta a loro stessi e non più alla ragazza. 

«Uhm... c-credo che dormirò con te» balbettò poi Frost. 
Pitcher e Vivis si fecero scappare un sonoro "uh-uh", così egli diede una forte gomitata al maggiore dei due, per poi seguire Helen nella fitta selva. 

I due arrivarono nel piccolo spiazzo dove il branco di Aghen, il lupo corvino, solitamente, dormiva.
Era un piccolo prato libero dagli alberi dalla forma piuttosto tondeggiante, ed era anche uno dei pochi luoghi in cui si potesse riposare tranquillamente, senza il pericolo che un ramo cadesse o che qualche insetto s'intrufolasse negli abiti di qualcuno.
Helen, stanca ed innervosita, si sdraiò accanto ad una lupa dal manto bianco come la luce della luna piena e si addormentò quasi immediatamente. Frost appoggiò le spalle ad un grosso tronco di un albero caduto tempo prima ed anche lui, in pochissimo tempo, si assopì. 
L'erba li solleticava un po' ovunque e il vento accarezzava la loro pelle, facendo venir loro i brividi ad ogni algida folata.

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Capitolo 3
*** II ***


29 Agosto 1450 A.a.C. 
Luna Calante

«Tranquilla, non piangere piccola mia, non piangere... ti vogliamo bene...»

Le ore diurne erano, oramai, sopraggiunte. Il silenzio veniva rotto solo dai pesanti respiri dei due ragazzi ancora assopiti e da un gufo dalle piume beige che bubolava ritmicamente. I nove lupi erano già desti e si erano già allontanati per cacciare, ed il nero e buio sole era già quasi del tutto albeggiato; Helen aprì improvvisamente gli occhi, svegliandosi di soprassalto. La sua mente era tartassata da un ricordo, un ricordo che aveva rivissuto in un sogno, ma nell'attimo in cui si svegliò l'unica cosa a cui riusciva a pensare era il pianto di un neonato, ed una voce, una voce di una donna in lacrime, preoccupata, terrorizzata, che cercava di tranquillizzarlo. 
La ragazza si levò velocemente, facendo sì che quello che era uno chignon le ricadesse sulla spalla, mostrando tutti i rametti, le foglie secche ed i fili d'erba accumulatisi nella sua chioma bruna. Helen sorrise, vedendo Frost abbracciare un grosso ramo d'albero e farfugliando frasi senza capo né coda. Dopo essersi tolta qualche ramo e qualche fogliolina dai capelli, la ragazza dalla capigliatura cespugliosa si allontanò velocemente con passi furtivi, cercando di non svegliare il bruno assopito che aveva appena iniziato a russare rumorosamente.
Lei si addentrò nella foresta, scomparendo nel nulla fra gli scuri alberi accalcati come nuvole in un grande temporale.

Non molto tempo dopo, Frost si svegliò; frastornato e disorientato, scostò il ramo che stava abbracciando in sogno dal suo amplesso, si eresse, facendosi leva con gli avambracci, e si guardò attorno, cercando Helen.

«Helen...?» borbottò assonnato, con ancora un occhio aperto ed uno chiuso. Si alzò lentamente dal morbido giaciglio erboso. Qualche filo d'erba impigliato nei suoi capelli gli cadde davanti agli occhi e lui, per terminare il lavoro, si passò un paio di volte una mano nel ciuffo scompigliato per togliere tutte le erbacce che aveva accumulato nel sonno. Si voltò e notò dei passi stampati nel fango, che velocemente seguì, doveva raggiungere Helen il prima possibile. 
Girare nella foresta era molto, molto pericoloso, le Ombre si aggiravano ovunque, anche negli angoli più insidiosi, le loro risate malefiche facevano rabbrividire; alle Ombre piaceva giocare scherzi, scherzi mortali.

Frost seguiva le impronte impresse nella fanghiglia bruna e viscida, chiamando a gran voce la ragazza scomparsa. Era preoccupato per lei, aveva paura che un'Ombra le si presentasse, che la uccidesse, come successe in precedenza a tante altre persone del villaggio.

«HELEN!», urlava lui, «HELEN!», ma la ragazza non si faceva né sentire, né vedere.

Il bruno continuava a camminare a passi larghi e svelti, girandosi continuamente per gli assidui suoni causati da animali selvatici, come il rumore d'un rametto secco che viene calpestato o il brusio delle foglie quando un volatile vi ci vola attraverso. I mormorii alternati ad attimi di silenzio continuavano a distrarre il ragazzo ed a confonderlo, a farlo sussultare, e tutto ciò lo portò ad una forte emicrania. In tutto questo, Helen non si faceva viva.

Un corvo gracchiò, e dopo di lui tanti altri, così Frost accelerò il passo, allontanandosi velocemente da quel punto che, probabilmente, era pieno di nidi colmi di uova e di madri dalle piume nere.

Un grido si spanse per l'intera selva, e quelli che prima gracchiavano infastiditi dalla presenza del bruno, spiegarono le ali e volarono via, continuando ad emettere ritmicamente il loro verso assordante.

«Lèn!» - Frost non perse un attimo: corse il più veloce possibile, fino a dove i suoi polmoni permettevano, per raggiungere il luogo dal quale quell'urlo straziato ebbe origine. Continuava a pompare; il vento che gli si riversava addosso gli fece socchiudere gli occhi e gli scompigliò i capelli più di quel che già erano; il suo cuore gli martellava in petto ed un dolore al fianco destro comparso per via della corsa lo martoriava, ma doveva sapere cos'era successo alla sua migliore amica, a qualsiasi costo.

Frost era sconcertato. Quel che aveva davanti era semplicemente orribile: un ragazzo dai capelli color carota era sdraiato a terra, esanime. I vestiti erano distrutti, i suoi occhi avevano la stessa sfumatura del ghiaccio, anche la pupilla, e la sua pelle, oltre che bianchissima, era macchiata di rosso, era macchiata del suo stesso sangue. La bocca era aperta leggermente, le labbra erano d'un color porpora spento ed erano secche e molto screpolate; le gambe erano piene di lesioni provocate da artigli e da denti aguzzi; un braccio mancava, mozzato da appena sotto la spalla, ed ancora dei piccoli schizzi di sangue sgorgavano, unendosi alla scura pozza rossa appena sotto al taglio; l'altro braccio era anch'esso, come le gambe, martoriato dalle ferite, difatti sembrava che il ragazzo avesse provato a difendersi con quello.  

«D-Daniel...?!» mormorò il ragazzo con un filo di voce. Deglutì. Molte lacrime salate inumidivano il viso di Helen, inginocchiata accanto al corpo. Lo fissava intristita negli occhi vitrei e gli teneva la mano, accarezzandogliela delicatamente. 

«Era mio amico... era cresciuto assieme a me...» ripeteva Helen, con voce mozzata dal pianto, dalla sofferenza.
Riprese fiato, si asciugò le lacrime, poi si alzò, facendo sì che il suo bliaut bianco sfiorasse il cadavere.
Si voltò verso Frost e prese nuovamente fiato.

«C'è ghiaccio ovunque, è...»

«È stato un Drago» completò il ragazzo.
Helen annuì, poi volse lo sguardo a terra.

Frost ebbe un attimo di mancamento: la paura e la rabbia gli stavano strappando l'anima.
Dopo la morte dei suoi genitori, dopo la perdita dei genitori di Helen ed in seguito alla morte della madre di Laegwen perdere anche un amico era troppo. I Draghi, per lui, erano una minaccia, un'enorme minaccia da eliminare, un pericolo troppo grande da correre. 

«Che cosa facciamo adesso?» chiese Helen con un filo di voce.

«Dimmelo tu, che sei tanto convinta che i Draghi non siano cattivi» replicò egli con voce gelida, «i Draghi non sono cattivi, c'è qualcosa in loro, me lo sento! - a questo modo le fece il verso e lei abbassò lo sguardo - sì, ho visto quanto sono buoni e gentili i tuoi Draghi. Ma svegliati! Non ti accorgi di quel che ti circonda?! Razza di... stupida...»
Il ragazzo si voltò e si avviò verso il villaggio, seguito da Helen, offesa ed infuriata per via delle sue parole colme d'ingiurie.

«Cosa... dove stai... fermati diamine! - e così il ragazzo si fermò, per poi voltarsi verso di lei - io mi sarò sbagliata sui Draghi, ma nessuno ti concede d'insultarmi a questo modo!»

«Ti sarai sbagliata? Tu ti sei sbagliata! E ho il pieno diritto d'insultarti, dato che i miei genitori sono morti congelati da, indovina un po'? Un Drago! Ora metterò un punto a questa storia una volta per tutte e tu non mi fermerai» asserì egli con la furia che gli divorava le membra. 

«Che intendi fare?» questionò lei con voce tremolante.

«Parlare con Viktor, magari quel grassone trova una soluzione»

Così i due ragazzi si avviarono al villaggio. Helen rimase in silenzio per tutto il tragitto, con sguardo basso, versando qualche lacrima, che gli scivolava sul viso per poi toccare il terreno. Anche Frost stette zitto e, ogni tanto, guardava leggermente dietro di sé per dare un'occhiata a Helen. I loro passi erano lenti e rumorosi, spenti, sembrava di assistere al cammino d'un funerale. 
Una volta giunti alla piccola cittadina, Frost depose la spada a terra, dinanzi la porta malmessa della sua casa, poi si avvicinò alla magione di Viktor, e Helen lo seguì.

«Viktor!» lo chiamava, «vieni fuori, grassone! Viktor!»

Si sentì un sonoro sbuffo dall'altro lato del grande portone di legno rossiccio. Questo si aprì cigolando.

«Ah! - sospirò l'uomo, seccato di vedere i due - che volete? Stavo riposando»
Frost a mala pena aprì bocca per parlare che subito Viktor lo fermò, prendendo lui la parola:

«Aspetta, prima che inizi, ditemi, avete visto Daniel? È da ieri che lo cerco» - Frost e Helen si guardarono, sconsolati, negli occhi, poi il ragazzo volse lo sguardo all'uomo pingue dinanzi a loro.

«Ecco... è di questo che dovevamo parlarti... Daniel è morto - il volto di Viktor si storse in una smorfia di terrore - Un Drago lo ha dilaniato, il suo corpo è nella foresta...» 

«E quindi da me cosa volete?» chiese turbato. 

«Noi vorremmo che tu faccia qualcosa! Diamine, sono cinque an...» - egli venne interrotto da Helen:

«Aspetta, rallenta un po'... sei tu quello che vuole che Viktor faccia qualcosa, non mettere in mezzo anche me!»

«Ma perché dici questo?! Non è sempre stato uno dei tuoi più grandi desideri far cessare le morti ingiuste degli abitanti di questo cavolo di villaggio?!» Frost perse totalmente la pazienza. 

«Sì, ma... che diamine! Le persone muoiono tutti i giorni, oramai sono anni che continua così, è come una malattia, un'epidemia d'un virus mortale, e tu non puoi fermare un virus solo perché lo desideri! Quindi perché fai tutto questo?!»

«Perché non voglio che sia tu a morire, un giorno! Né voglio lasciarti da sola nei tuoi momenti più belli. Quando ti sposerai voglio esserci, e voglio esserci tutto intero! E voglio che ci sia anche Laegwen, che ci siano anche Pitcher e Vivis, e non voglio che uno stupido Drago ti dilani la faccia o ti congeli mentre accudisci i tuoi figli! Questo non è un virus incurabile, questo è l'inizio di un'apocalisse e noi abbiamo la possibilità di fermarla! Quindi ti prego, ti prego assumiti questa responsabilità e risolvi con me questo problema, risolviamo questo problema insieme» asserì Frost. Ella rifletté qualche attimo su quello che il ragazzo ebbe appena detto, poi annuì, consapevole che quella era la cosa migliore da fare.

«Sì, tutto molto toccante, ma, in tutto questo, io cosa c'entro?» domandò alienato Viktor ai due.

«Oh, sì, giusto... - rimembrò Frost - vorremmo che tu ci dicessi come far definitivamente andar via i Draghi e le Ombre, sai no... una delle tue misure drastiche»

«Cosa?» esclamò il grasso, «ed io come dovrei fare? Mi avete preso per un dio?» 
Ci fu un silenzio fra i tre, poiché Viktor dovette riflettere qualche minuto.

«Ci sono!» gridò, «eureka! Eureka!» 
Il volto dei due ragazzi s'illuminò e fissarono Viktor con curiosità, attendendo che il suo piano venisse spiegato loro.

«Andrete al castello dell'Uomo Ombra e lo ucciderete, così non solo scaccerete i Draghi e le Ombre da quest'isola, ma farete tornare la luce, ovunque!» l'enorme sorriso stampato sul viso dei due svanì, ed entrambi chiesero a sé stessi se Viktor avesse perso quel poco di buon senso che gli rimaneva.
L'uomo era molto esaltato per l'idea che gli balenò in mente, come se già sapesse come sarebbe andata a finire. 

«C-come scusa?» esclamarono i due in coro, «con "misure drastiche" non intendevo que...» continuò il ragazzo, ma venne subito interrotto da Viktor.

«Oh, andiamo! Frost, tu sei uno dei migliori combattenti di Draghi Neri di tutta l'isola, assieme a Vivis e Pitcher, senza contare il talento di Helen e quello di Laegwen, voi cinque insieme siete imbattibili! Sentite, non m'interessa se non vi sta bene, voi andrete a quel castello e combatterete contro l'Uomo Ombra, siete cinque contro uno diamine!» il moro rientrò nella sua massiccia dimora sbattendo rumorosamente la porta. 

«Sì, cinque contro uno, ovviamente senza contare i Draghi e le Ombre - rifletté Frost a voce alta - siamo spacciati, vero?» domandò volgendo lo sguardo a Helen. Lei annuì.

«Siamo spacciati, ed è colpa tua» replicò lei gelida, «avverti gli altri!» gli gridò la ragazza, inoltrandosi nella fitta selva. 

Proprio nel momento in cui Frost stava per distogliere lo sguardo dalla figura di Helen che si allontanava, sopraggiunsero Vivis, Laegwen e Pitcher, allegri poiché avevano appena terminato una battuta di Caccia alle Ombre (che consisteva principalmente nel cercare le Ombre ed inseguirle, per poi colpirle con una spada o un pugnale; le Ombre non subivano, purtroppo, alcun danno, ma era divertente contare le Ombre colpite: ogni Ombra un punto, quello con più punti era il vincitore del gioco).

«Frost, tutto bene?» gli chiese Laegwen, notando il suo sguardo preoccupato e pensieroso. 

«No, non va affatto bene ragazzi... Daniel è morto probabilmente solo qualche ora fa e...» - i tre ragazzi si portarono una mano alla bocca, rimasti sconcertati per la notizia.

«Continua...» disse Pitcher, quasi sussurrando. 

«Be'... Viktor ci ha assegnato una missione assurda... - i ragazzi lo fissarono con sguardo estremamente incuriosito e, con un gesto della mano, lo incitavano a terminare la frase - vuole che compiamo un viaggio assurdo, del quale non siamo neanche a conoscenza del percorso da seguire, per arrivare al... al castello dell'Uomo Ombra, con lo scopo di sconfiggerlo una volta per tutte...» la sua voce quasi singhiozzava. 
Frost si aspettava, da parte degli amici, una reazione sconcertata, quasi di terrore al solo pensiero di compiere quest'assurdo compito, tuttavia rimase interdetto nel vedere i tre festeggiare. 
I ragazzi ringraziarono Frost per la "magnifica" notizia e si allontanarono, saltellando a braccetto per tutto il villaggio. 
Il bruno rimase lì, immobile, per più d'un'ora, immaginandosi d'incorrere, durate il viaggio, negli ostacoli più impensabili. La sua mente era martellata da un'unica domanda: e se li perdessi?
L'idea di rimanere solo lo terrorizzava. 
A farlo rinsavire dalla sua marea di pensieri fu Helen, che lo chiamò più volte per attirare la sua attenzione, anche schioccandogli le dita dinanzi agli occhi.

«Frost!»

«Che c'è?!» esclamò lui, quasi spaventatosi dai richiami della ragazza. 

«Ma buongiorno! Sono almeno dieci minuti che cerco, invano, di svegliarti!» esclamò lei ridacchiando, prendendolo in giro.

«Uffa, Lupa, cos'è che vuoi?»

«Ti ho già detto di non chiamarmi così. Comunque, devo dirti una cosa, ma forse è meglio se te la dico a casa mia mentre mangiamo qualche biscotto di marzapane, sei letteralmente bianco»
Helen cinse i fianchi di Frost con un braccio e quasi lo trascinò nella sua piccola dimora, come se egli avesse perso la capacità di camminare.
Una volta entrati nel monolocale di Helen, lei gli porse un grande vassoio di metallo ricolmo di grandi biscotti che emanavano un delizioso profumo di marzapane. 
La sua abitazione non era nulla di speciale: c'era un letto, un piccolo tavolo e cinque sedie di legno, entrambi logori, poiché rovinati dai buchi dei tarli; ad un angolo della stanza v'era un grande camino, che Helen usava soprattutto per cucinare dolci o carne; accanto ad esso, un tavolo usato come tagliere ed un grande pentolone d'ottone.

«Ascoltami bene, perché se fossimo in un contesto differente salteresti dalla gioia, ma adesso non credo proprio che lo farai... ho deciso di voler combattere i Draghi con voi» Frost sputò le briciole del biscotto che stava masticando con foga, quasi strozzandosi.

«Ecco, appunto...» pensò Helen fra sé e sé, dando delle pacche sulla schiena del ragazzo seduto sul letto accanto a lei per evitare che egli morisse soffocato. 

«Ci mancavi solo tu a dare pessime notizie!» 
Helen abbozzò un sorriso, poi riprese a parlare, con l'intento di spiegare a Frost il motivo della sua improvvisa decisione:

«Sinceramente... tu e Viktor avete ragione, così non si può continuare. I tuoi genitori, i miei, la madre di Laegwen, Shane, Christian, Daniel... potremmo continuare all'infinito nell'elencare tutti i morti di questo villaggio. Eri tanto convinto a fermare tutto ed ora, solo perché Viktor ha preso una delle sue maledette decisioni, ti sei ammosciato così? Certo che cambi idea in fretta sai? Va bene, ascolta, quello che sto cercando di dirti è che il prossimo a morire potresti essere tu, o potrebbe essere uno di noi, quindi perché non rischiare? Abbiamo le stesse probabilità di morire rimanendo fermi che compiendo questo viaggio, quindi perché no?»

«Perché è un suicidio, Helen! L'ultima volta che hai combattuto contro qualcosa è stato quando avevi cinque anni ed era contro una coccinella! E tra parentesi ha vinto la coccinella. Noi sopravviviamo per miracolo agli attacchi dei Draghi!» 

«Frost, Dio santo, ci alleneremo! Non dobbiamo partire domani, sai?» il bruno la guardò con disappunto. 

«Forse ti sei scordato qual è il mio talento... forse ti sei scordato qual è il tuo, o quello dei gemelli o di Laegwen... sono tutti talenti predisposti a combattere! - lo sguardo di disappunto del ragazzo si intensificò - senti, ti ricordi quando quell'albero nella foresta si era sradicato e ti stava per travolgere? Eri spacciato. Ma cosa accadde? Te lo ricordi?» Frost annuì.

«Pitcher, Laegwen e Vivis si misero accanto a me e con tutta la forza che avevano in corpo sostennero il tronco, mentre tu trascinasti via il mio corpo paralizzato dalla paura... avevo tredici anni» completò egli il racconto, con un dolce sorriso sulle labbra. 

«Esatto! Noi cinque insieme possiamo fare tutto! Io ho preso una decisione, e dopotutto questa è la mia vita, decido io cosa farci... ora, però, sta a te decidere se compiremo questo viaggio o meno...» 
Ci furono alcuni minuti di silenzio fra i due, interminabili e strazianti minuti di silenzio, nei quali Frost teneva la veduta bassa e Helen fissava il suo profilo, con ancora la mano sulla sua schiena.
Frost annuì, entrambi alzarono lo sguardo e si guardarono negli occhi, poi si sorrisero. 

Il tempo passò velocemente, le ore notturne sopraggiunsero, e con esse anche i Draghi Neri. Helen si sorprese nel vedere così tante persone raggruppate nel centro del villaggio, e, a loro volta, anche tutti gli abitanti di Lucisis rimasero sorpresi notando che la ragazza, per la prima volta, era armata di spada e pronta a combattere.

«AGHEN!» gridò ella ed il branco di lupi arrivò correndo in pochi minuti, capitanato dal canide corvino. 
Frost era munito d'una spada argentea e lucente, di cui l'elsa era ornata da un meraviglioso topazio. 
Laegwen, ovviamente, stringeva in pugno il suo arco e, sulla schiena, v'era la sua faretra colma di frecce. 
Vivis brandiva una semplice rete e Pitcher un piccolo pugnale dalla lama ondulata, che risplendeva alla luce di quel sottile spicchio di luna che spiccava nel nero cielo, questo fece dedurre a Helen che i due avrebbero lavorato in coppia. 
Un ruggito si udì e, dopo di esso, altri continuarono in coro. I ringhi dei Draghi Neri sembravano quasi gridi straziati di anime perdute in un limbo, e si avvicinavano sempre di più. 

«Eccoli, tenetevi pronti» li avvertì Viktor. 

Helen alzò, curiosa, il capo e vide uno stormo di Draghi sorvolare il villaggio, superandolo, in seguito tutti virarono, atterrando poi al centro del villaggio, circondati dagli abitanti, armati sino ai denti. L'esercito di Draghi formava come una nube corvina, e Helen riusciva a distinguere le sagome di quei lucertoloni delineandone la testa, prendendo come riferimento gli occhi: ogni Drago aveva gli occhi d'un colore diverso e tutti erano tagliati da una nera e sottile pupilla.
Quello che sembrava essere il rettile più grande aveva dei luminosi occhi rossi, che si muovevano velocemente mentre l'animale squadrava ogni abitante con sguardo attento, poi spalancò la bocca, rivelando dei grandi denti bianchissimi ed aguzzi, e ruggì con tutto il fiato che aveva in corpo, spiegando le ali che, dal nero, sfumavano in un rosso fuoco: era il momento. 
Viktor, che brandiva la sua fidatissima lancia in una mano e nell'altra stringeva una grande Labrys, gridò, seguito da tutto il villaggio, che si scagliò contro l'esercito di rettili; la ragazza era in grado d'udire solo una sinfonia di grida e ruggiti. Rimase ferma, a differenza dei suoi lupi che partirono all'attacco. Si guardava intorno e notò che era circondata da un incubo: persone, donne, ragazzi, uomini, uccisi senza pietà, congelati o dilaniati; case distrutte, carcasse di Drago che ancora sgorgavano sangue sparse ovunque, e Helen non poteva fare altro che guardare, immobile. 

«Lèn, cazzo, no!» gridò Frost, tirandola per un braccio e salvandola da un tozzo Drago dagli occhi blu alle sue spalle. 

«Eh? Cosa cavolo...?» 

«Eh? Cosa? - la imitò, schernendola - Se vuoi stare qui devi combattere, lo sapevo io che era una pessima idea...» il bruno fece come per allontanarsi, ma Helen lo tirò a sé, per poi colpire con l'elsa della sua spada un Drago dagli occhi gialli, intenzionato a congelarlo. 

«Vattene, lucertola abbrustolita! - gridò al Drago che, stordito, si allontanò - Ritira tutto. Adesso» si rivolse poi a lui, fredda, ma subito dopo sorrise e lui ricambiò il gesto.

Dopo qualche ora di combattimento i moltissimi Draghi superstiti spiccarono il volo, tornando al castello dal quale provennero. Molto ghiaccio era sparso per le strade, così come cadaveri di Draghi, reti strappate ed armi a terra, assieme al loro portatore, disgraziatamente senza vita.
Helen ed i lupi, miracolosamente, sopravvissero senza gravi lesioni; Vivis, Pitcher, Frost e Laegwen si erano raggruppati per conversare delle loro uccisioni e, quando Helen si appropinquò ad avvicinarsi, Viktor la bloccò, piazzandosi dinanzi a lei con un enorme sorriso stampato in volto, apparentemente fiero di lei.

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Capitolo 4
*** III ***


30 Agosto 1450 A.a.C.
Luna Calante

L'uomo pingue dai capelli corvini e lucenti si piazzò dinanzi a Helen. La fissava sorridente, fiero di lei. 

«Helen» iniziò lui, con la sua voce roca, «sono davvero contento che ti sia unita a noi, finalmente ti sei decisa!» - rise di gusto, dentro di sé esplodeva di gioia.

«L'Uomo Ombra non ha alcuna possibilità contro voi cinque!» - detto questo, il grasso si allontanò, continuando a festeggiare con sé stesso.
La ragazza quasi sorrise ai complimenti di Viktor, poi, con tutte le articolazioni del suo corpo doloranti, si gettò a terra, esausta, facendo sì che i suoi capelli bruni si annodassero, inglobando qualsiasi cosa a terra si trovasse. Il resto del gruppo, accorgendosene, rise, schernendola, in seguito i quattro si avvicinarono a lei e la circondarono, inginocchiandosi per avvicinarsi al suo viso.

«Davvero brava, Helen» esclamò Vivis, sorridendo.

«Sì, a fare la bella statuina» rise il consanguineo, «a quanto pare un Drago l'aveva congelata con i suoi occhi ammalianti» - dopo la squallida battuta i due fratelli esplosero in una sonora risata. Helen sorrise.
Laegwen porse la mano all'amica per farla alzare, e anche lei si complimentò, seguita poi da Frost. Helen si grattò la nuca, imbarazzata, poi sorrise dolcemente. 

Tutti rincasarono, stremati.
La lunga e frenetica serata di Helen terminò con un tuffo fra le morbide, calde coperte di tessuto bianco del comodo letto. 
Helen non ci mise molto a cadere fra le braccia di Morfeo, dopotutto aveva appena affrontato una delle sue più grandi paure, aveva appena superato il suo limite, ed aveva fatto in modo che questo venisse definitivamente distrutto, poiché i limiti non esistono realmente, l'unica cosa che può fermarci è il nostro pensiero e la nostra volontà.

«Non ti lascerò mai, non ti lasceremo mai... oh, bambina mia...»

Dopo qualche ora di riposo la luna bianco latte tramontò e lo scuro sole sorse. 
Helen, ancora profondamente addormentata ed assuefatta nel suo strano sogno, si rigirò più e più volte fra le candide lenzuola, cercando una posizione per non udire il frastuono che proveniva dall'esterno della sua modesta dimora. Alla fine si destò, non riuscendo ad evitare di ascoltare il continuo e martellante vocio degli abitanti di Lucisis, che sembravano estremamente preoccupati e confusi. La ragazza, ancora stordita dall'improvviso risveglio, non riuscì a distinguere parola alcuna dal continuo parlottare delle persone ammucchiate davanti alla sua finestra, così, di mala voglia, decise di alzarsi ed uscire per capire cosa stesse succedendo. Si avvicinò a passi pesanti alla porta e la aprì, venendo colpita da un'algida brezza che la fece rinfrancare.

«Che succede qui...?» farfugliò ella.
La ragazza non ricevette alcuna risposta, così decise d'intrufolarsi nella bolgia per vedere cosa tutti stessero fissando con tanta curiosità e confusione. 
Helen passò tra le persone come un gatto fra le strette grate di un cancello e, agilmente, dopo qualche gomitata data e ricevuta, riuscì a raggiungere il pezzo di strada che tutti circondavano. 
A prima occhiata Helen non notò nulla di strano, poi si accorse di una grande pozza di liquido nero, apparentemente viscido, subito seguita da una scia di gocce e piccole pozzanghere dello stesso.
Lucisisiani continuavano a parlare fra loro, ponendosi svariate domande come, ad esempio:

«Cos'è quella melma?»

«Da dove proviene?»

O persino:

«Sarà commestibile?» 

La ragazza si avvicinò alla sostanza e, dubbiosa, la fissava, notandone la lucentezza, difatti, il liquido corvino rifletteva la fiammella delle candele e delle lanterne che gli abitanti tenevano per illuminare il pezzo di strada dove tutti si trovavano. In quel momento, Viktor s'introdusse bruscamente nella confusa conversazione. 

«NESSUNO LO TOCCHI!» tuonò con voce altisonante, «nessuno lo tocchi...»
Helen sussultò al suo arrivo, allontanandosi dalla melma color pece. Si alzò scattante in piedi e si mise sull'attenti.
La folla si divise in due, di modo che si creasse uno spazio nel quale Viktor potesse passare; solo Helen non si mosse, si girò e volse lo sguardo all'uomo corpulento, chiedendosi cosa volesse. 
Viktor si spostava lentamente ed in modo molto goffo, poiché la strada che gli abitanti avevano creato scansandosi non era larga abbastanza per permettergli il passaggio.

«Oh Dio mio, ma tu sei proprio ovunque! - esclamò lei, infastidita - cosa c'è ora?»
Viktor raggiunse Helen e si mise di fronte a lei, la guardò con occhi truci e lei ricambiò lo sguardo. 

«Questo che avete davanti e che osservate con tanta curiosità è sangue di Ombra!» annunciò egli. 
Il silenzio venne rotto bruscamente dal forte vociare degli abitanti, straniti.

«Qualcuno è riuscito a ferire un'Ombra! Ma come?» si domandavano tutti, perplessi.

«E tu come fai a saperlo, di grazia?» gli chiese ella con un sorriso scettico, «E perché non dovremmo toccarlo? È sangue, mica magma!» continuò poi. 

«Perché ti trasformeresti in un mostro...» le rispose egli con tono smorzato.
Tutti fissavano il capo villaggio, incuriositi, altri, invece, abbassarono lo sguardo, come se già sapessero di cosa lui stesse parlando.
Helen non ebbe il coraggio di chiedere, ma Viktor intuì dalle sue sopracciglia corrucciate che la ragazza era molto curiosa, come tutti gli altri d'altronde.

«Anni fa, quando avevo circa quindici anni, persi un mio caro amico. A quei tempi il sole splendeva ancora, non v'era l'Oscurità, né si conosceva qualcosa riguardo Ombre o Draghi Neri. Mi stavo tranquillamente facendo i fatti miei, passeggiando per le strade del villaggio, quando qualcosa d'invisibile mi colpì, gettandomi a terra. Non capii cosa fosse e non riuscii a difendermi, tant'è che quest'essere mi procurò gravi lesioni. Sanguinavo copiosamente, probabilmente sarei morto in poco tempo, se non fosse accorso un coraggioso ragazzo della mia età, che mi salvò la vita. Col senno di poi realizzai che quello che mi attaccò con tanta brutalità era un'Ombra. Lo intuii soprattutto da un fatto molto curioso: quando mi rialzai dolorante, a terra notai della melma corvina e lucente, identica a quella che tutti voi osservate con tanti dubbi. Be', io persi sangue, giusto? E, dato che l'Ombra attaccò la mia ombra, anche quest'ultima, ovviamente, ne perdette.
Il coraggioso ragazzo, dopo avermi salvato fermando l'attacco, svanì, così sopraggiunse un mio caro amico ad aiutarmi. Ebbene, entrambi notammo lo strano liquido; io gli ripetei più e più volte di non toccarlo, ma lui, testardo com'era, non mi diede ascolto: con la punta d'un dito a malapena sfiorò il sangue, e quella minima quantità bastò per dare inizio all'orrenda, misteriosa trasformazione. 
Non ci volle più di qualche attimo: sulla sua pallida pelle si allargò a vista d'occhio una macchia nera come la notte; gli coprì le mani, le braccia, il volto, sino a che non ne fu ricoperto del tutto, sino a che anche nei suoi occhi, per un secondo vitrei, dalla pupilla non si espanse un nero pece, fino a foderare del tutto anche la sclera. 
Tentai di parlargli, tentai di capire se colui che era il mio migliore amico era ancora lì dentro, sotto a quella nera corazza, ma come risposta ricevetti solo una forte spinta che mi catapultò al suolo.
Con la vista offuscata, stordito dalla caduta, vidi la nera figura alzarsi in volo, infine svenni per le ferite riportate.
Il nome di quell'essere? Oh, vorrei conoscerlo anch'io, per ora il suo appellativo è "Thèmet"»
Helen guardò Viktor negli occhi, nei suoi piccoli occhi grigi, e non ci volle molto a farle notare lo sguardo abbattuto dell'uomo.
A poco a poco, la quantità delle persone in strada scemò, tutti rincasarono, compreso Viktor. 
Helen rimase lì, al buio, da sola, a riflettere su quanto potesse essere struggente vedere il proprio migliore amico scomparire, tramutandosi in una macchia nera volante. 

In tarda mattinata e nel pomeriggio, Helen, Frost Laegwen, Vivis e Pitcher si allenarono nello spiazzo nel bosco per ore ed ore, combattendo fra loro, ovviamente però, cercando di non farsi del male. 
Laegwen prese bene la mira con il suo arco, scoccò e, con una precisione estrema, centrò l'esatto punto centrale del bersaglio di legno e cuoio; prese fiato, poi, con uno scatto, afferrò una seconda freccia dalla sua faretra e si ritrovò subito a mirare.
Scoccò e quest'ultimo dardo divise perfettamente in due l'asta di legno chiaro del primo; 
Pitcher e Frost combattevano fra loro con la spada;
entrambi erano molto abili, ma Frost riuscì a disarmare più volte l'avversario, a differenza di Pitcher, più bravo a tirar fendenti e tondi.
Le due spade s'incontravano spesso, producendo assiduamente il suono dei due metalli che sfregavano fra loro.
Frost tirò uno sgualembro dopo una finta, cogliendo di sorpresa Pitcher, ma lui già da prima meditava uno scherzo, come soleva fare. 

«Oh Dio! Mi hai tagliato una mano!» esclamò il castano, ritraendo nella manica l'arto che stringeva con forza la spada. 
La sua lama cadde a terra ed il fogliame attutì la caduta, facendo sì che si udisse solo un rumore sordo. 
Frost s'inginocchiò, mettendosi le mani fra i capelli.

«Mi dispiace, amico! Mi dispiace!» urlò egli, implorando perdono.

Poi però, volgendo lo sguardo a terra, si accorse della mancanza di sangue e, soprattutto, della mano tagliata.
Il bruno capì subito, si alzò e diede un forte spintone all'amico, gridando:

«Non è divertente, idiota! Mi hai fatto venire un colpo al cuore!» - Pitcher esplose in una fragorosa risata.

«Ti saresti dovuto vedere!» gridò lui, «Eri così disperato, neanche m'avessi ucciso!»
Persino Helen e Vivis, che si stavano allenando anche loro con la spada, alla vista dei due, si fecero sfuggire una risata - ottenendo così un'occhiata fulminea da parte di Frost - a differenza di Laegwen, che continuava a scoccare frecce su frecce, senza perdere la concentrazione; 

Dopo un paio d'ore, forse tre, l'allenamento terminò.
I cinque erano sfiniti; appoggiarono le armi a terra e, accanto ad esse, si sdraiarono, sospirando sollevati.
Il morbido fogliame umido sul quale erano distesi li fece rinfrancare in poco tempo, restituendogli le forze. 
Non mancava molto all'arrivo dei Draghi, i cinque ragazzi avevano ancora poche ore per rilassarsi dopo il duro allenamento. 

«Ragazzi, se andassimo alla Grotta delle Lucciole Azzurre? È da quando eravamo bambini che non ci andiamo» propose Pitcher. 

«Bah, io con te non parlo...» gli rispose Frost, ancora seccato per il brutto scherzo del castano. 
Pitcher, sorrise, ripensando alla burla, poi guardò le ragazze, in cerca di approvazione alla proposta fatta pochi attimi prima.

«Secondo me una passeggiata ci farebbe bene, poi la Grotta delle Lucciole Azzurre è così bella...» annunciò Laegwen con tono assorto.
Helen e Vivis annuirono, sorridenti. Il castano, sua sorella, Laegwen e Helen si alzarono, impazienti di mettersi in cammino verso la tanto agognata Grotta, poi guardarono Frost, ancora disteso a terra, attendendo che questo si alzasse. 
Il bruno sbuffò, poi, di malavoglia, si sollevò.
Una volta in piedi si scrollò le foglie secche dagli abiti, guardò gli altri, prese la sua spada e s'incamminò in direzione della caverna; 
Il resto del gruppo sorrise, poi prese le proprie armi e seguì Frost nella fitta selva.

Mentre camminava, Helen si ricordò com'era bella la Grotta quel giorno che ci andò per la prima volta: era davvero molto ampia ed, all'interno, l'aria era fresca; 
la Grotta non era buia, bensì era illuminata da piccole lucciole azzurre, dalle quali la caverna derivava il nome, e da enormi quarzi che splendevano d'un celeste acceso. Era davvero meravigliosa.

Il tragitto percorso dallo spiazzo alla Grotta delle Lucciole Azzurre non fu molto lungo né stancante.
Quando i cinque arrivarono erano impazienti di entrare e godersi quel meraviglioso spettacolo di luci dalle sfumature bluastre, ma quando entrarono...

Nulla. Il buio più totale. Una volta entrati i cinque rabbrividirono, venendo colpiti da un'improvvisa brezza algida. 
Si guardarono intorno, sconcertati, ed invece di vedere piccole e meravigliose luci azzurre svolazzare qua e là, mimetizzandosi con la luce azzurra degli enormi quarzi, videro solo il nero più scuro che si sia mai visto. 
Mentre camminavano, i ragazzi sentivano sotto i piedi i piccoli frammenti dei quarzi spezzati distruggersi sotto ai loro piedi, producendo un suono simile a quello del vetro frantumato.

«Ma... cos'è successo qui? Era così bella questa caverna... ed ora...» si chiese Laegwen, malinconica. 

«Be', mi sembra piuttosto ovvio quello che è successo: l'Uomo Ombra ha distrutto un'altra nostra fonte di luce» le rispose Frost, freddamente, «è stato un viaggio a vuoto. Torniamo al villaggio, fra poco arriveranno i Draghi» disse poi.
Laegwen abbassò lo sguardo, sconsolata.
Pitcher le avvolse un braccio dietro le spalle, poi i cinque tornarono al villaggio, stanchi per l'allenamento, per il viaggio compiuto invano e delusi per un'altra parte della loro infanzia perduta per sempre.

Non passò molto tempo dal ritorno dei cinque al villaggio che i Draghi Neri sopraggiunsero.
I ruggiti di quest'ultimi riecheggiavano per tutta l'isola.
Viktor brandiva la sua fidatissima lancia e la sua adorata ascia bipenne; Helen e Frost stringevano in pugno la loro argentea, lucente ed affilata spada; Pitcher e Vivis, invece, brandivano rispettivamente un semplice pugnale ed una rete, facendo presupporre che, anche quella notte, avrebbero lavorato in coppia, mentre Laegwen, ovviamente, brandiva il suo arco in mogano. Era infuriata. In un attimo quest'ultima sfilò una freccia dalla sua faretra di cuoio e si mise in posizione, pronta ad uccidere il primo Drago Nero che le fosse apparso dinanzi agli occhi.
Aghen ed il suo branco arrivarono appena sentirono i forti ruggiti dei Draghi, posizionandosi dietro alla bruna, ringhianti come non mai
Con dei forti tonfi, i Draghi atterrarono.
Questa volta sembrava che il loro comandante fosse un Drago snello, alto e sicuramente molto agile: aveva dei grandi occhi giallo ocra ed essi inquietavano alquanto.
Laegwen non perse un attimo che subito scoccò, colpendo in pieno il Drago in questione.
Le grida degli abitanti del piccolo villaggio si mescolarono ai forti ringhi dei Draghi ed agli abbai dei canidi di Helen.
In pochissimo tempo a terra già giacevano corpi esanimi di Lucisisiani e di Draghi. Già molto ghiaccio era sparso per le strade.
Viktor si lanciò prontamente verso un tozzo Drago dagli occhi color vescovo, colpendolo più volte con la punta della sua lancia, come a stuzzicarlo, e lanciando roversi e rovesci, ma, ad un certo punto, il Drago, con una zampata, spezzò la sottile lancia di legno, e, con un'altra, disarmò il capo villaggio e lo scaraventò a terra.
Viktor tentò di spostarsi e riprendere la sua Labrys, ma fu tutto inutile: in pochi attimi l'enorme lucertola nera gli congelò le gambe, impedendogli la fuga.
Spiegò le ali che, dal nero, sfumavano ad un rosso sangue, e ruggì con potenza, e questo attirò l'attenzione di Helen.
Il muso del Drago quasi sfiorava il naso adunco di Viktor; gli occhi grigiastri di quest'ultimo si chiusero. Era pronto ad accogliere la Morte a braccia aperte. 
L'enorme rettile era pronto a congelare l'uomo e ad ucciderlo.

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