I feel it in my bones

di MrsShepherd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una chiamata inaspettata ***
Capitolo 2: *** 2. L'Incontro che aspettavo ***
Capitolo 3: *** Comitato di benvenuto ***
Capitolo 4: *** Di nascosto ***
Capitolo 5: *** Dov'eravamo? ***
Capitolo 6: *** Un giorno particolarmente speciale ***
Capitolo 7: *** Barbablù ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni sotto l'albero ***
Capitolo 9: *** Intoppi ***
Capitolo 10: *** Calma prima della tempesta ***
Capitolo 11: *** Coincidenze ***
Capitolo 12: *** Colpi di testa ***
Capitolo 13: *** Bluff ***
Capitolo 14: *** Caleidoscopicamente ***
Capitolo 15: *** Resa dei conti ***
Capitolo 16: *** Promesse da mantenere ***
Capitolo 17: *** Un finale relativamente discutibile ***



Capitolo 1
*** Una chiamata inaspettata ***


CAPITOLO 1: Una chiamata inaspettata.
- Pronto?
- Sei Hazel Charlotte Booth?
Mille. Mille erano le raccomandazioni che suo padre le aveva fatto riguardo agli sconosciuti al telefono, mille andate in fumo.
- Sì Sono io. Chi parla?
- Ascolta. Può sembrarti molto strano e anche un po' folle. Mi chiamo Jasmine Brennan e sono...sono tua sorella. Mi rendo conto che è una notizia a dir poco sconvolgente, ma...
- No! Senti, non so chi sei, papà sta per arrivare e...
- Aspetta. Per favore. Sono cresciuta con una madre estremamente razionale, quindi credo che debba fornirti delle prove...guarda su facebook, vedrai la mia foto e capirai tutto.
- Non ho facebook! Ho dieci anni!
- Anche io.
- ...
- Ho trovato una foto di te, sul retro c'era scritto il tuo indirizzo e altre informazioni su mio, tuo padre, mia madre non lo sa quindi mi....
- CLIC.
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Tutta una pazzia. Papà, Parker e lei. Le bastava. Le era bastato, ma dopo l'incidente non più. Il profilo di Parker non era stato ancora chiuso, una guardatina non avrebbe fatto male. D'altra parte non riusciva a resistere davanti alle curiosità. Chissà da chi aveva preso.
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- Pronto?
- ...
- Sei Hazel?
- Sì. Ciao Jasmine. Non sapevo. Dovevo controllare. Scusa.
- Lo so. Sei lontana.
- Già. Arriva papà, devo lasciarti. Non voglio dirglielo, cioè sapevo che c'eri ma, è molto complicato da spiegare al telefono e papà ha gia le sue preoccupazioni, sarà una cosa nostra per ora ok?
- Approvo in pieno. Ho un sacco di cose da dirti anche io e dirle al telefono sarebbe un po' "riduttivo" non trovi? C'è un campeggio nella zona?
- Certo, ogni estate vado al Camping Wellness California, due mesi, ma è a Giugno e siamo solo ad Aprile!
- Ci sarò.
- Lo prometti?
- Lo prometto.

Fine Capitolo 1

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Capitolo 2
*** 2. L'Incontro che aspettavo ***


Jasmine profumava di sapone, Hazel la respirò a lungo prima di staccarsi dal suo abbraccio famigliare. Dopo la prima telefona ta si erano tenute in contatto ed avevano imparato a conoscersi: Jasmine le aveva parlato di sua madre, una scienziata spettacolare che studiava le ossa e catturava gli assassini insieme ad amici fantastici: zio Hodgins esperto insettologo, zia Angela abilissima pittrice e molti altri. Hazel altrettanto le aveva parlato di quanto grande e forte fosse il suo papà e di Parker, sì, di lui aveva accennato qualcosina. Oggi finalmente avevano la possibilità di parlarsi, abbracciarsi, unirsi senza una cornetta o più di mille miglia di mezzo. Finalmente avrebbero potuto mettere in atto il loro piano. Prima di tutto, però, una buona missione necessitava di un nome degno di nota; decisero quindi di chiamarla “Parent Trap”, entrambe avevano visto il film e il titolo riassumeva a pieno quello che avrebbero fatto a breve: si sarebbero scambiate per un anno, Hazel a Washington e Jasmine in California.
Semplice.
In fondo, tutto ciò sorgeva da un' esigenza comune: Jasmine voleva conoscere papà e “staccare” da una madre troppo razionale e disinteressata, Hazel analogamente voleva scappare da una casa troppo vuota per conoscere un mondo nuovo, una famiglia allargata, intraprendere una nuova vita. Un piano apparentemente perfetto; al campeggio si sarebbero riscambiate e ognuna sarebbe tornata alla vita di sempre, come se nulla fosse cambiato; era un'impresa un po' folle, ma valeva la pena tentare.
Ovviamente però, un buon piano deve comprendere anche una discreta dose di fatica.

- La fai facile, ma è impossibile che in cosi poco tempo impari a fare tutto quello che fai tu! E poi le gonne non le metto!

- Le metterai. Mamma ha una passione per i vestitini. Ogni anno me ne compra una dozzina di tutti i colori, per mettersi a posto la coscienza credo, sai è molto impegnata, ha una relazione stabile con il suo computer che non può assolutamente trascurare! - Ridacchiò Jasmine con ironia. Aveva sempre avuto un talento particolare per queste cose, a differenza della madre che le faceva gelare il sangue ogni volta che provava a fare battute o barzellette in pubblico.

- Che cosa fai tutto il giorno?- Disse Hazel infilandosi a fatica un paio di collant a fiori.

- Studio. Christine mi da una mano quando le va, sai i fratelli sono odiosi solo a fasi alterne...-  Ma si interruppe perchè notò un'espressione cupa sul volto della sorella, già segnato dalla fatica per la gonna infilatasi poco prima.

Si tagliarono i capelli o meglio, Jasmine dovette tagliarseli, molto corti. Studiarono senza sosta le proprie parti, perfezionarono il loro aspetto fisico e quello logistico: verso la fine del primo mese entrambe sapevano orientarsi in casa e muoversi all'interno delle rispettive città. Adesso toccava la parte più difficile: l'immedesimazione.

- Sai giocare a calcio? - Chiese Hazel mentre provava a palleggiare con una pigna.

- Spero tu stia scherzando. È uno sport maschile. Le femmine svolgono attività artistiche come il canto e il ballo.

- Cosa!? Non so ballare e non canterò mai in pubblico! Piuttosto, tu invece non hai mai giocato a baseball, corsa, nuoto, cose del genere bla bla bla vero?

- In casa Brennan si cura la mente, nutrire il corpo è un aspetto più marginale.

Hazel sospirò e alzò gli occhi al cielo. Doveva assolutamente imparare a parlare come la sorella se no l'avrebbero subito scoperta. Per ovviare a tutto ciò decisero che era meglio trovarsi un alleato, un amico che le coprisse e le aiutasse ad adattarsi o più che altro a non farsi beccare dagli adulti; proprio come nel film, con le dovute differenze.

Così passarono i giorni e le settimane, ogni minuto libero al campeggio era essenziale per imparare qualcosa in più, per provare ancora e ancora, incessantemente. Jasmine apprese la differenza tra puntata e rimessa, i ruoli del calcio e del baseball, le regole principali di molti sport, dovette anche impararsi a memoria un paio di ricette e "impratichirsi" in gran parte delle faccende di casa. Hazel riuscì finalmente a cantare senza paura, imparò a dire madre anziché mamma, denaro al posto di soldi, insomma, a parlare come i protagonisti dei suoi libri preferiti, che salvano il mondo armati solo di una spada. Dovette eliminare intercalari ed espressioni che rimandassero alla religiosità, così tanto amata dal papà ma non ammessa in casa Brennan.
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- Jasmine. È un nome strano. - Disse Hazel intenta a gustarsi un ghiacciolo alla ciliegia.

- Mia madre...MAMMA è un'antropologa forense. studia le abitudini delle civiltà che hanno popolato e che vivono nel mondo. Voleva un nome esotico che le ricordasse tutti i giorni quello che fa.

- Dev'essere una donna fantastica.

- ...a piccole dosi. - soggiunse Jasmine prima di dare un morso al ghiacciolo di Hazel, lei sorrise e le schioccò un bacio appiccicoso alla frutta sulla guancia. Era proprio bello avere una sorella.
 

Il 4 Settembre arrivò come un lampo, portandosi appresso un vento di cambiamento e un cielo velatamente malinconico. Jasmine era elettrizzata, ma anche un po' dispiaciuta; certo, avrebbe visto suo padre per la prima volta, ma per un intero anno non avrebbe più abbracciato, passeggiato, giocato con la sua nuova sorellina dal suo stesso sorriso sghembo e i capelli arruffati color del grano. La strinse più forte, non voleva lasciarla andare, non ancora.

- Sta arrivando il tuo pullman.- Disse lei con una voce soffocata e rotta.
Numero 8, sesta fermata, via Kennedy 12b. Lo aveva ripassato bene, lo sapeva. Non si sarebbe persa.

- Andrà tutto bene Jas.

- Lo prometti?

- Lo prometto.

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Capitolo 3
*** Comitato di benvenuto ***


COMITATO DI BENVENUTO

La casa di Hazel era l'ultima di una serie di villette a schiera. Era modesta, color pesca, a due piani circondata da un semplice giardino. Un' altalena e una casetta sull'albero di ciliegie circondate da una bassa staccionata in legno d'acero. A Jasmine quella dimora ricordò la casa di campagna del “sentiero Segreto” e la cosa la fece sorridere.

Al cancello l'attendeva un uomo alto, dalle spalle larghe e le braccia forti che agitava continuamente in segno di saluto. Si avvicinò per aiutarla con i bagagli. Portava una camicia a quadri color prugna non abbottonata e sotto di essa una canotta bianca che faceva risaltare il suo corpo prestante. Papà non era andato al lavoro oggi, come aveva previsto Hazel.

- Hey ragazza mia...- Aveva una voce bellissima.

-Ciao papà!- disse lei, mollando tutto ciò che aveva in mano e saltandogli al collo, lui ricambiò cingendola con entrambe le braccia.

- Heilà quante feste! Devo esserti mancato parecchio in quel buco eh!?-

- Ogni giorno – rispose Jasmine cercando di trattenere le lacrime, lacrime di gioia, finalmente.

Con un gesto repentino Booth se la mise sulle spalle, prese i bagagli ed entrò dentro casa, fingendo di essere un “nobile destriero” cavalcato da un' indomabile principessa.

La casa profumava di legno e cornetti caldi. La colazione era appoggiata su un vassoio in salotto, mentre nella cucina dalle pareti gialle e luminose vi era appesa una scritta fatta a mano: BENTORNATA HAZEL. Nella casa risuonava un sottofondo musicale, Beatles, i preferiti della sorella.

Jasmine si guardò intorno estasiata, nessuno le aveva mai fatto una cosa del genere, nemmeno il giorno del suo compleanno; sprizzava gioia da tutti i pori, avrebbe voluto gridare e saltare nelle braccia di suo padre, ma sapeva che Hazel era più contenuta, quindi si sedette sul divano, allungò le gambe, incrociò le braccia dietro la testa e si limitò a dire:

-Wow. Grazie Papà.-

Felice, ma non troppo. Booth le rispose con un sorriso e le porse una brioches alla crema. Mangiarono i cornetti chiacchierando spontaneamente del più e del meno, quando all'improvviso il campanello suonò.

-Vai ad aprire Hazy?- disse lui con tono civettuolo. Un'altra sorpresa: la nonna era alla porta, portava con sé lasagne e cheese cake, solo per lei, apposta per lei.

Posò le leccornie: -Fatemela salutare!- Disse lasciandole due indelebili impronte di rossetto alla fragola sulle guance.

-Dimmi tutto tesoro. – Si sedettero a tavola e finirono insieme la tarda colazione che divenne pranzo e poi merenda, rimasero seduti lì, a guardarsi l'un l'altro, conversando come se si conoscessero da sempre.

Jasmine pensò alla mamma. Cosa le avrebbe detto se l'avesse vista così, a parlare con un padre mai esistito, a fingere di essere qualcuno che non era? Si sarebbe sicuramente infuriata.

Per scacciare questi pensieri si strinse ancora di più nelle braccia di suo papà, chiedendosi come Lei avesse potuto lasciare un uomo così.

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- Signorina, si svegli, stiamo per atterrare.-

Oddio. Era crollata, si era persa i pezzi, no. Tutto tornava. Sarebbe scesa e poi all'uscita qualcuno sarebbe venuto a prenderla.

Hazel serrò i pugni e li strinse più forte che poteva, le serviva per controllare l'ansia o per comunicare al padre che qualcosa non andava, ma papà non c'era, non l'avrebbe aiutata, era sola.

Niente panico, si disse. Angela: alta, castana, bella; Hodgins: barba e ricciolino, Cam, caschetto.

Era Hodgins, la descrizione combaciava, ma qual era il suo nome? Decise di chiamarlo HEY.

- Hey.-

- Hey surfista!- fece eco lui. Come se tutti i californiani facessero surf. Jas direbbe: RIDUTTIVO. Lasciamo stare.

- Dove andiamo?- chese Hazel chiudendo la portiera della macchina; Hodgins la guardò con aria interrogativa: - Al lavoro Miss Jet lag – ridacchiò e mise in moto verso il centro.

Il Jeffersonian ricordava una navicella spaziale, una base aliena stracolma di gente stramba.

- Eccoci!- disse Hodgins passando i bagagli ad Arastoo che, dopo un lieve cenno di saluto sparì dietro una porta a vetri con tutta la sua roba. Cam le sfilò in corsa la giacca e gli occhiali da sole, la salutò accarezzandole la schiena e la spinse delicatamente in direzione dello studio della madre. Stava per entrare quando qualcuno le coprì gli occhi con le mani. Oddio, chi era? Procedette per esclusione: - Angi?-

- Sei un mostro! Non c'è gusto a giocare con te!- e l'abbracciò; Hazel la guardò in viso. Era davvero bella.

- Su su, tua madre ti aspetta, entra-.

La porta a vetri si aprì automaticamente senza far rumore e si chiuse con un leggero CLIC.

Lei era di spalle china su un corpo morto da giorni, forse mesi o anni, ma per lei pieno di vita. Hazel si voltò indietro in cerca di incoraggiamento, che arrivò da Angela, che con un cenno del capo la invitò a farsi avanti.

- Ehm ehm – tossicchiò timidamente per farsi notare.

E Temperance Brennan si voltò.

Era una donna alta, importante, con i capelli color del grano e gli occhi azzurro ghiaccio. Il suo viso regale e pallido si allargò in un'espressione di piacevole sorpresa.

- Jasmine tesoro, sei tornata! Com'è andato il viaggio?- Si spostò di lato, in modo che potesse ascoltare la figlia e contemporaneamente finire di esaminare il corpo. Hazel le raccontò tutt' a d'un fiato del campeggio senza smettere di guardarla, voleva conservare nella memoria ogni più piccolo particolare, la sua MAMMA, Mamma, Mamma. Quel nome risuonava all'infinito nella sua testa e avrebbe potuto ripeterlo ancora e ancora, ma lei la interruppe:

- Hai mangiato? -

Erano già le due e mezza.

Hazel scosse il capo e arrossì. Le sue gote diventarono rosso carminio e il cuoricino le martellò nel petto quando lei si avvicinò. Indossava i guanti in lattice, perciò, per non contaminarli appoggiò i polsi sulle spalle tremanti della figlia, si chinò e le diede un amorevole bacio sulla fronte.

- Angela ti porterà a casa sua e ti preparerà qualcosa. Ritornerò stasera. Comportati bene e sii educata mi raccomando.-

 

 

Hazel si adagiò sui sedili della macchina di Angela. Chiuse gli occhi e si tocco la fronte, delicatamente, per paura di contaminare quel bacio angelico. Nelle cuffie risuonava “Here comes the sun”; si abbandonò alla melodia dei Beatles sognando lei, i suoi polsi, il suo sguardo, la sua voce. Papà, Parker, i problemi a casa e a scuola...Ora nulla l'avrebbe più turbata.

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Capitolo 4
*** Di nascosto ***


DI NASCOSTO

 

21 ottobre: Lunedì

Jasmine con un colpo di reni si tirò a fatica su dal letto; come l'intervallo al cinema, il lunedì era piombato nel momento meno opportuno.

-Che palle!- Sbuffò dando un pestone alla sveglia. Aprì l'armadio e tirò fuori la divisa scolastica, modello maschile, seconda mano; la “prima” dev'essere stata indossata da Parker, ipotizzò.

All'inizio aveva odiato quella divisa, logora e tutta un prurito. Zio jack diceva che le uniformi erano uno dei tanti strumenti usati per manipolare le menti dei cittadini, rendendoli tutti uguali come robot. Papà però credeva nell'uguaglianza e nelle pari opportunità, questo non era sbagliato e in fondo il sistema non era poi così cattivo.

Si infilò le scarpe, un paio di All Star rosse ed andò in cucina. Sul tavolo un bigliettino:

Sono al lavoro. Torno per cena. Ti voglio bene.

P.S. Che si fa stasera? Pensaci su. Baci.

Papà.

Sorrise e accarezzò il bigliettino con un dito pensando a tutto ciò che avrebbero potuto fare insieme. Il BIP del suo orologio da polso la ridestò come da un grande sonno: erano le otto, la scuola stava per iniziare e doveva sbrigarsi.

Come tutte le mattine prese i soldi vicino al biglietto, salì sulla sua bici, anche essa rossa fiammante, e pedalò fino al “Jumbo Meal” il bar all'inizio della via. Ritirò la colazione e conversò un poco con il proprietario, era simpatico, si chiamava Frank, sulla cinquantina, vedovo, con due figli maschi e un cane di nome GGG, un alano. Un giorno gliel'avrebbe fatto conoscere.

Jasmine salutò il barista e rimontò in sella, pedalando verso la scuola.

Era soddisfatta della sua nuova vita, si era assestata discretamente. La sorella aveva avuto problemi l'anno precedente, con i compagni, il rendimento, gli insegnanti e questo aveva complicato un po' le cose; ma Jasmine era una bambina intelligente e con un po' di impegno e cortesia era riuscita a migliorare su più fronti.

" Buoni voti, affidabile, cortese...è una bambina molto dolce e altruista."  Così avrebbero detto le sue insegnanti al colloquio con il padre, ne era certa.

Era contenta della sua nuova vita, delle serate con papà Booth, della California e tutto sommato anche dei Lunedì e non avrebbe desiderato nulla di meglio.

Intanto era giunta nei pressi della scuola, sorrise ai compagni che incrociò lungo la strada, poso la bici tra il fogliame, si appartò dietro ad un' enorme quercia secolare e aspettò. Nascosta, ma con lo sguardo fisso allentrata aspettò che i cugini Walsh oltrepassassero il portone.

Era soddisfatta della sua vita, pensò. Anche se l'avevano picchiata, presa a calci e derubata, quei bulletti erano solo un problema momentaneo, anzi a vederli da lì non facevano poi così tanta paura. Erano solo un po' più grandi, e alti, molto alti, ma era un dettaglio trascurabile, un'inezia.

Una volta entrati , Jasmine uscì timidamente dal suo riparo, mosse qualche passo incero e attraversò la strada. Si fermò all'entrata e mentre si sistemava la giacca dell'uniforme sussurrò:

- Si va in scena. -

 

Jasmine è tornata a casa.

Nell'ombra l'ho vista crescere, muovere con grazia i primi passi, pronunciare le prime parole e dio, anno dopo anno assomiglia sempre di più a sua madre; tutto mi ricorda lei: gli stessi occhi profondi, il suo modo di fare impulsivo e risoluto, la sua sete di competizione.

Diventerà una grande mente, magari un' antropologa forense oppure seguirà le orme di suo padre diventando un'agente dell'FBI; anche se sarebbe sprecata. Qualcuno le sparerebbe e rovinerebbe il suo delicato corpicino.

L'altro giorno l'ho sognata.

Camminava in equilibrio su di un filo, con una leggiadria divina, coperta da veli bianchi e in testa indossava una ghirlanda di gelsomini. Il suo viso rivolto verso di ME, mi sorrideva e agitava la sua manina pallida, salutando ME. Come poteva vedermi? Io sono nell'ombra.

In circostanze diverse saremmo diventati amici, avremmo passeggiato e magari fatto colazione insieme.

È un peccato che debba ucciderla.

Un'opera così ben fatta, ma per me è solo un' oggetto, un tassello per completare il puzzle, per completare la vendetta, in parte anche un po' mia; perciò dovrò porre fine alla sua innocente e dannatamente breve vita.

Ucciderò una bambina, la cosa dovrebbe sconvolgermi, ma non mi preoccupo di cosa penserà la gente, non sono una persona morale. Mai stata. Buonanotte dolce Jasmine.

Sogni d'oro.

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Hazel si svegliò di soprassalto. Si era addormentata, di nuovo, con le cuffie nelle orecchie e “American Idiot” dei Green Day l'aveva spaventata. Non era una bambina pigra, in California non si riposava mai, ma a Washington era tutta un' altra storia.

Il dover controllare tutto, la scuola, il modo di parlare, vestire, le telefonate incognite con la vera Jasmine...tutto ciò la stremava e prima o poi sarebbe crollata. Per fortuna c'era Christine; lei sapeva e dirglielo era stata una tale liberazione. Avevano fatto un patto: lei l'avrebbe aiutata con i compiti e tutto il resto, Hazel in cambio non avrebbe detto niente su di lei e Michael Vincent che passava a trovarla spesso di nascosto, passavano ore in camera a fare cose che Hazel non voleva neanche immaginare.

Così con il suo aiuto era riuscita a mantenere buoni voti in tutte le materie e ora...ora era in ritardo per la lezione di danza. Angela sarebbe venuta a prenderla a momenti; prese la borsa, si sciacquò il viso e con lo spazzolino tra i denti aprì ad Angi che nel frattempo aveva suonato il campanello.

- Sei pronta? Ti aspetto all'ingresso!-

 

Salì in macchina canticchiando i motivetti che davano alla radio, doveva tirarsi giù un po' d titoli, alcune canzoni non erano male.

Chiuse la portiera e salutò Angela che non mancò di farle le solite raccomandazioni: - Tua mamma arriverà tra due ore, aspettala qui, non seguire e non dare confidenza agli sconosciuti, ok? -

OK. annuì Hazel.

Aspettò che la macchina di Angela sparisse nella nebbia, poi si nascose dietro un cespuglio e aprì la borsa: si infilò la tuta e le scarpe da tennis, con agilità scavalcò il cancello che delimitava la scuola di ballo e si mise a correre lungo il viale alberato adiacente, con la musica a palla e la testa altrove.

Come tutti i Lunedì.

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Capitolo 5
*** Dov'eravamo? ***


DOV'ERAVAMO?

 

21 Marzo

Hazel aprì gli occhi, ma non vide nulla.

Il panico si impossessò di lei, il cuore le martellò impazzito nel petto, le mani sudate. Aveva sete.

Non sapeva dov'era, ma certo non in uno spazio molto grande. Era supina, adagiata su di un pavimento freddo e polveroso; cercò di allungare le mani, ma tastò qualcosa di duro, quasi sicuramente legno, una scheggia le si conficcò nel dito. Inspirò di colpo gemendo dal dolore; instintivamente si portò la mano ferita alla bocca, ma quella parete le impedì di compiere il movimento, la schacciava, era compressa, immobile e con poca aria da vivere.

In preda all'angoscia Hazel provò a scalfire il muro d'ebano con le ginocchia, diede un colpo secco con entrambe le rotule, ma cacciò un urlo straziante, qualcosa non andava.

Probabilmente colui che l'aveva rapita l'aveva anche torturata, spezzandole entrambe le gambe, per impedire che scappasse, magari.

Ansimava.

Persino il suo petto voleva liberarsi da quella prigione, gonfiandosi in modo disumano, quasi per sollevare quella macchina mortale che le tarpava le ali.

Freneticamente sondò con i polpastrelli la parete, in cerca di una sporgenza, una falla che le avrebbe permesso di uscire, ma inutilmente. Con la punta del nasino che cozzava contro il legno trovò una fessura e impulsivamente vi accostò la bocca, almeno poteva respirare.

Ma non prendiamoci in giro, stava per morire.

Sarebbe morta, sola, distesa, con i polmoni vuoti, stremati e l'ultima cosa che aveva detto a sua madre era stata TI ODIO.

Odiava lei, odiava papà, odiava Parker e odiava le bugie; quelle bugie che gli adulti dicono per nascondere chi sono veramente; quelle bugie che aveva detto anche lei per un anno, spacciandosi per Jasmine; sì, in fondo odiava anche se stessa e forse meritava di morire.

Stava per richudere gli occhi, convinta che tanto non avrebbe fatto differenza, ma poi penso alla sorella: alla loro prima telefonata, alle loro conversazioni, alla storia di Parker. Jasmine era sempre stata sincera, fin dall'inizio.

E cos'avrebbe ottenuto in cambio? Il freddo cadavere della sorella, un assassino a piede libero e non uno, ma due genitori in lutto da sopportare.

Hazel ci era già passata e no, non l'avrebbe permesso.

Fece un respiro profondo attraverso quel minuscolo buco tarlato.

Doveva respirare. Doveva vivere.

 

 

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Capitolo 6
*** Un giorno particolarmente speciale ***


UN GIORNO PARTICOLARMENTE SPECIALE

 

13 Novembre. Ore 23.56

Jasmine non riusciva a prendere sonno.

Tra quattro minuti sarebbe stato un giorno importante: il suo compleanno, della grande e famosa Temperance Brennan.

Sarebbe stato un giorno speciale, ma non per lei. Ormai la madre era diventata un'estranea. Se avesse dovuto scrivere un tema su di lei a scuola avrebbe riportato il suo aspetto, il suo lavoro, i suoi irraggiungibili traguardi, ma nulla di più; non conosceva sua madre e da molto tempo aveva smesso di preoccuparsene. E così i suoi compleanni erano diventate solo pompose e anonime cerimonie alle quali era costretta a partecipare.

Però alla sorella non aveva detto nulla, era stata egoista, lo sapeva, ma in fondo, il miglior apprendimento deriva dalla pratica, perchè no...perchè non toccare con mano e scoprire chi si cela veramente dietro alla Grande Dottoressa Temperance Brennan?

A dirla tutta quella non era neanche più la sua vita e a lei non doveva importare.

Mezzanotte. Solo un giorno qualunque; si festeggia, si ride, si piange, si muore.

Jasmine sbuffò, serrò gli occhi e si inabissò nel piumone.

 

Oggi è il tuo compleanno, 14 Novembre.

Come dimenticare il giorno in cui la mia musa ha aperto gli occhi al mondo. Sei la mia ispirazione e faccio tutto questo solo per poterti un giorno respirare, mettere le mani tra i tuoi capelli, assaporare la tua pelle e farti diventare mia. Solo mia.

Aspetto pazientemente, ti vedo uscire dalla porta di casa, bella come il sole dopo una tempesta, accompagnata da una bimbetta saltellante, tua figlia. Hai lo sguardo assente, la ascolti pazientemente, ma so che la tua testa è altrove. Già mi pregusto lo stupore sul tuo volto, quando aprirai il mio regalo; ecco ci sei vicina, è quasi tuo, ancora un passo. Jasmine indica un pacco sul vialetto piastrellato, stai facendo tardi alla festa, ma è il tuo compleanno e tua figlia quest'anno ha deciso d farti un regalo. Ti chini dolcemente ad aprirlo, arricci il naso come se...riesci a percepirlo, puoi sentirne l'odore?

Il regalo di Jasmine non dev'essere bello quanto il mio, abbassi lo sguardo, scuoti la testa contrariata e le restituisci il pacco. Le stampi un bacio sfuggente sulla fronte e torni a ciò che ami, che amiamo di più: morte, marciume, putrefazione e io sto per donarti la mia arte così nel bene e nel male mi vorrai. E se le cose si metteranno male e ancora non vorrai concederti a me mi accontenterò di tua figlia, che hai lasciato tutta sola all'ingresso.

Ti assomiglia.

 

14 Novembre. Ore 10.03

Hazel optò per un paio di collant scure sotto la gonna rossa a balze, per nascondere le ginocchia graffiate e vissute. Sembrava una bambolina e mai avrebbe pensato di diventarlo, ma oggi era un giorno particolarmente speciale e la protagonista indiscussa della giornata sarebbe stata sua madre, perciò si disse che poteva permettersi di andare alla cerimonia vestita come una bomboniera; si allacciò le scarpe e raggiunse la lavanderia.

Christine era già seduta in macchina con le cuffie nelle orecchie e gli One direction sparati ad un volume esorbitante, ignara del regalo che Hazel stava per fare alla madre.

Temperance Brennan scese dalle scale già vestita e truccata, intenta ad infilarsi un paio di orecchini pendenti di smeraldo. Portava un vestito di seta verde scuro senza spalline che scendeva lungo i fianchi risaltandone le forme ormai mature, ma sempre belle. Le spalle nude erano coperte da un mongomery nero dagli alamari d'ebano ancora slacciati.

Come ogni anno il Jeffersonian organizzava una festa d'elite per il compleanno della dottoressa alla quale erano invitate le più alte cariche della città; era una donna ambiziosa e in questi anni aveva fatto carriera.

Hazel usci all'ingresso posò il suo regalo per terra e raggiunse correndo la madre, voleva mostrarle il suo regalo a tutti i costi.

- Jasmine, tesoro, faremo tardi alla festa! - le disse sua madre con un fare sconsolato, ma anche un po' sorpreso, tutta questa allegria non era da lei.

Ma la piccola non ne voleva sapere, se Jasmine non aveva saputo conquistare il cuore di Brennan allora lo avrebbe fatto lei e ciò che c'era nel pacco sarebbe sicuramente stato un punto a suo favore; trascinò la madre per un braccio verso l'ingresso e le mostrò il suo regalo.

La donna scostò delicatamente i lembi del cartone e guardò all'interno.

Certo, Hazel si sarebbe immaginata una risposta un po' diversa alla vista di quel musino che guardava Brennan incuriosito.

A scuola il maestro di scienze le aveva spiegato che le persone provano simpatia verso i cuccioli di tutte le specie, anche dei cani; forse la madre non l'aveva guardato abbastanza, perchè la sua reazione era totalmente diversa da quella immaginata.

- Te ne ho già parlato, non possiamo permetterci un cane, non avrei tempo di curarlo. Però apprezzoo il pensiero. Abbiamo ufficialmente fatto tardi alla festa, l'ospite d'onore che si fa attendere, che maleducazione. Ti aspetto alla macchina -. e le schioccò un bacio sulla fronte.

Brennan si avviò verso la macchina lasciando Hazel attonita, inerme, sola.

Di nuovo.

 

 

 

Un altro giorno è passato, nell'ombra di quella che adesso è la mia triste e patetica vita.

È strano quanto la gente dia importanza al tempo; da qui le ore si confondono, i minuti, i secondi, si sciolgono tutti in un' amalgama densa chiamata Eternità. Conosco persone che non sanno neanche che giorno o che momento della giornata sia, questo perche non hanno più niente per cui lottare. Io invece conto tutto. I mesi, i giorni, i minuti che mi separano dal poter vivere di nuovo. Sono come un uccello in gabbia che non può più volare, ma ponetevi questo quesito: un uccello seppur in gabbia non vivrebbe più tranquillo sapendo che il gatto che anela ad assaporarlo tutti i giorni è morto?

Per tutto c'è un tempo, per vivere, per nascere, per morire; perciò non mi sento di dire che oggi sia un giorno come tanti altri, oggi è un giorno speciale, un altro giorno in meno.

Buon compleanno Temperance Brennan, ti auguro che non sia l'ultimo.

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Capitolo 7
*** Barbablù ***


BARBABLU'

 

21 Dicembre

Barbablù fu un uomo ricco e crudele, che ha avuto sei donne come mogli, ma queste improvvisamente scomparvero. La gente mormorava: dove sono finite? Che le abbia mangiate, o spedite ognuna in uno stato diverso?

Le leggende e i pettegolezzi popolari alimentarono le ombre del suo passato già arcano, ma nonostante ciò ecco che egli riuscì a conquistare la mano di Anna, un' altra donna, un'altro pasto, un altra vittima. I due convolarono a nozze, fu un matrimono apparentemente felice all'insegna di ricchezze e abbondanza.

Non passò molto tempo che Barbablù annunciò alla moglie di doversi assentare per questioni di lavoro.

Prima di partire egli le consegnò il mazzo con tutte le chiavi della dimora. Ella era libera di usare tutto, di aprire tutto, di andare dappertutto tranne che oltre la porta aperta da una particolare piccola chiave che Barbablù si curò di mostrarle.

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– Dai per favore, solo una sbirciatina!

- Ti ho detto no!

- Guarda metto solo il naso per vedere com'è e poi esco...giuro.

- No, è la stanza di Parker. Da quando è morto io non ho il permesso di andarci e quindi neanche tu. E poi serve la chiave.

- L'ho trovata la chiave...

- Ma come cacchio...lascia stare, no, non ti riguarda.

- Scusa!? Era anche mio fratello...ma poi non sei neanche un po' curiosa? Insomma com'è morto? Papà non ne parla, non vuoi saperne di più?

- Parker ha avuto un incidente, questo mi basta.

- Come può bastarti?!

- Smettila. Questo non è un film, non puoi mettere in pausa, mandare avanti direttamente al finale e se non ti piace cambiarlo...è la mia vita, era mio fratello, tu non c'eri, non ci sei mai stata e non osare aprire quella porta o verrò direttamente a prenderti, siamo intese!!??

- Ho capito che non ne vuoi parlare e io non voglio litigare, non mi sembra il caso sotto Natale, parliamo di altro: come va con la mamma?

Click.


 

“Non vuole litigare e poi mi chiede della mamma!? Che faccia tosta. Già fremo alla voglia di passare il natale con quella strega”. Pensò Hazel.

Forse era il caso di tornare alla festa, sì un' altra barbosa e rumorosa festa in casa sua per festeggiare l'inizio delle vacanze di Natale, con Hodgins, Angela, Cam, e tutti quanti e ovviamente Bones, padrona di casa e anima del party. Anima, chissà se la possiede.

Serrò i pugni e ritornò in salotto.

Jasmine avrebbe sicuramente aperto quella porta, maledetta, ostinata, cocciuta, insistente. Avrebbe aperto quella porta e...avrebbe fatto bene. Hazel sapeva dov'era la chiave, l'aveva trovata da un pezzo ed era stata sul punto di aprire quella porta molte volte, ma ogni volta la paura la paralizzava. La paura di una verità troppo difficile da accettare le impediva digirare quella dannata chiave nella porta e riportare alla luce un passato che voleva a tutti costi seppellire. Perciò aveva fatto finta di infuriarsi con la sorella per orgoglio, ma quella rabbia nascondeva in realtà ammirazione, gratitudine perchè lei con il suo innato coraggio le avrebbe svelato ciò che lei avrebbe dovuto sapere da tempo.

Solo che non era ancora pronta, Dio..., non si è mai pronti per questo genere di cose...

Assorta nei suoi pensieri si sedette a gambe incrociate sul divano, ignorando i festeggiamenti intorno, non curante di Cam, che appostata casualmente dietro alla porta della cucina, aveva ascoltato tutta la sua conversazione ed ora la guardava con un' aria perplessa.

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La ragazza, promette e rimasta sola, invita delle amiche e fa bisboccia, divertendosi a curiosare tra le stanze della villa.


 

Non aveva promesso nulla. La sorella le aveva attaccato il telefono in faccia senza darle ordini precisi, insomma aveva detto di non aprire quella porta, ma...in fondo le avrebbe fatto un favore le avrebbe raccontato la verità, brucia, ma è pur sempre la realtà dei fatti...o forse era solo un gesto egoistico ed avrebbe fatto un favore a se stessa.


 

Tuttavia, più passa il tempo, più la curiosità nei confronti della stanza proibita cresce, finché la giovane donna non riesce più a resistere e decide di disobbedire a quanto promesso e di aprire la porta proibita.

Beh, questa storia era diventata un chiodo fisso e sicuramente non avrebbe resistito ancora per molto; la curiosità prese il sopravvento, tirò fuor le chiavi dalla tasca e si diresse verso la camera di Parker.

Si fermò sulla soglia.

Avrebbe dovuto? Chi era lei per indagare sulla vita del fratello, un perfetto sconosciuto. Era una curiosità morbosa, malata e non avrebbe portato a nulla di buono. Mentre pensava a ciò non si accorse che con la mano destra aveva già inserito la chiave nella toppa.

Era ancora in tempo per fermarsi, ma no.

- Facciamolo - disse ad alta voce, girò la chiave con due colpi netti e aprì.

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Girò la chiave nella toppa. All'inizio era tutto buio intorno a lei, ma poi quando gli occhi si abituarono all'oscurità si rese conto con sommo orrore che la stanza altro non era che un vero e proprio cimitero di sangue, gambe, braccia, teste delle precedenti mogli popolavano inermi la stanza che pullulava di sangue e odorava di marciume. Per l'orrore, il mazzo di chiavi le sfuggì di mano e cadde su una pozza di sangue. Pur essendo stata lesta a raccoglierlo e ad allontanarsi da quel luogo spaventoso, la ragazza si accorse con sgomento che non c'è modo di togliere le macchie di sangue dalla piccola chiave che il marito le aveva proibito di usare: si trattava infatti di una chiave magica e ogni volta che la macchia scompariva da un lato, appariva poi dall'altro.

Mentre è ancora alle prese coi tentativi di pulire la chiave, la carrozza di Barbablù rientrò inaspettatamente in anticipo. La prima cosa che l'uomo chiese alla moglie fu di riavere indietro il mazzo di chiavi. Tremante, la giovane gliele porse e inevitabilmente Barbablù si accorse del tradimento.


 

A questo punto, la sorte della ragazza era segnata.


 

Ecco. Questo è l'ultimo addobbo. Sono in ritardo con le decorazioni natalizie, ma quest' anno ho avuto da fare.

Mi gusto “Baby it's cold outside” sorseggiando un po' di the al limone.

I've got to go away...but baby it's cold outside”. Ella Fitzgerald, Dio che voce e parole sante: la fuori ci saranno sicuramente, una madre, una sorella preoccupate per una ragazza scomparsa improvvisamente sotto Natale, che non mancherà a nessuno, a me non mancherà.

Alzo un po' il volume. La stronza si è tolta la benda e strilla a squarciagola rovinando la mia canzone...

The neighbourds might think...” battuta finale: “Oh baby it's cold outside” ecco, me l'ha rovinata, con un urlo. Pure stonato.

Guardo l'orologio sono già le 18. alle 18 e 1 minuto precise compirò il mio piano, adesso la lascio strillare ancora un po'.

Can't we be friends?” sempre lei Ella, accompagnata da Louis Armstrong.

I thought i found i man i could trust...” canticchio mentre mi dirigo danzando in ripostiglio, ecco che inizia l'assolo di Louis Armstrong, con la sua voce graffiante come unghie su ardesia nera...prosegue con il Solo di tromba.

Prendo con movimenti teatrali l'ascia e la sega e immagino che sia Bones. Danziamo dolcemente su note gentili e con passi leggeri scendo le scale e mi dirigo dalla mia prossima vittima.

Can't we be, can't we be, can't we be, frieeeeeeeeends?”

Ha smesso di urlare.

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Capitolo 8
*** Rivelazioni sotto l'albero ***


Rivelazioni sotto l'albero

 

25 Dicembre

Mi chiamo Talia, ho 27 anni e faccio la commessa. Non sono particolarmente bella, ho gli occhiali, gli occhi neri e una fastidiosissima zeppola; il mio è un lavoro temporaneo, perchè vorrei diventare una pasticcera, purtroppo però aprire una pasticceria in mezzo a Washington costa, parecchio, così metto da parte quello che posso e tiro avanti. Il mio nome esteso sarebbe Natalia che in italiano significa Natale, oggi infatti avrei compiuto 28 anni. Mia madre era italiana; è approdata in America in cerca di lavoro ed invece ha trovato Stuart Hemmert, mio padre: dalla loro relazione siamo nate mia sorella Susanna e tre anni dopo io. Probabilmente vi sarete già annoiati dopo due righe, sapete, è risaputo che della vittima non importa mai niente a nessuno; la sua unica utilità è di dimenarsi implorando pietà al suo carnefice, troppo sordo per ascoltare un po' di umanità. Viene smembrata, sezionata, dimenticata. Sta di fatto che però io abbia visto in faccia l'assassino, l'antagonista della storia, quindi vi conviene starmi a sentire.

Aveva bisogno di una cuccia per cani di taglia grande, ne avevo un modello nel retro così come di consueto gli dissi di pagare e di presentarsi dietro con la macchina per caricarla. Invece ha caricato me. Mi ha stordita con qualche droga, Roipnol, Chetamina, non so che merda ha usato, faccio la commessa, non la chimica. La cosa più assurda è che ha anche pagato per la cuccia, cinuanta bigliettoni! È questo il prezzo per la mia vita, un pugno di dollari sul bancone.

Di lui ricordo poco; la morte agisce come un'istantanea all'inverso: tutto comincia a sfuocarsi, svanire, finche ti ritrovi...non lo so ancora, vi riferirò. Aveva spalle strette, non troppo alto, fisico esile, ma abbastanza forte per sottomettermi, sulla cinquantina. Mi ha preso, mi ha imprigionato e si è allontanato. Poi è successo: prima il lato destro, dopo l'opposto, lasciandomi agonizzante e nuda, ma il colpo di grazia è stato la testa: un colpo secco, vorrei poter dire indolore. Era in estasi, godeva e pronunciava sottovoce << Bones bones...>> sì, mi aveva privato proprio di quelle.

Ogni parte del mio corpo è stata lavata ed adagiata all'interno di una scatola, su ognuna allegò una lettera di auguri per ANGELA & HODGINS, DR.SAROYAN ed infine Bones, il petto.

- Questo è per noi mamma. - Non saprò mai a chi si riferì. Ogni parte giunse a destinazione, la mia testa fu aperta sotto l'albero di Natale suscitando reazioni troppo ovvie per poter essere riportate. Insomma, un Natale da urlo.

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Hazel trotterellava per la cucina, braccia incrociate, senza una meta. I suoi occhi celesti si soffermavano incessantemente sul telefono...ma quando cavolo pensava di richiamare Jasmine? Quattro giorni prima le aveva promesso che le avrebbe fatto sapere e avrebbe aspettato tranquillamente se l'argomento in questione fosse stato un film, un nuovo gioco, persino il vicino di casa, ma Parker no. Era suo fratello, era stata la sua ancora.

Una volta le maestre le chiesero cosa sarebbe voluta diventare da grande, semplice, Parker. Perchè? Perchè era il più buono del mondo; avrebbe potuto pensarci per ore ed ore, ma non avrebbe mai cavato un difetto dal suo cavaliere senza macchia e senza paura. Parker era Parker, aveva risposto. La sua morte era arrivata come un fulmine a ciel sereno: - Parker se n'è andato, mi dispiace tesoro. - aveva sussurrato al suo orecchio il padre quel fatidico giorno. Andato dove? Parker è ancora tra noi. È uscito con l'auto, come sempre, tornerà. Hazel sapeva che non sarebbe mai tornato, ma non aveva realizzato a pieno la situazione: quando qualcuno muore non capisci che non ci sarà più finchè non lo vedi, non lo tocchi, non lo respiri. Hazel l'aveva visto prima del funerale: livido, inerme, assopito, freddo. Aveva capito. Il suo cavaliere non era semplicemente partito per una missione impellente, era morto e non sarebbe più tornato.

La casa divenne tutta d'un tratto silenziosa, sinistramente vuota. La camera del fratello venne chiusa e tutte le sue cose sparirono dalla circolazione. Il cavaliere divenne leggenda e le sue eroiche imprese solo uno sfuggevole ricordo. Nessuno ne parlò mai più.

- Ciao sono ancora io che ti auguro buon Natale, di nuovo. Mamma quest'anno è in stile eritreo, quindi il pranzo natalizio sara superpiccantissimo. Christine mi ha raccontato di quel natale che si è presentata mezza nuda in cucina dicendo che la nudità era un fatto puramente culturale, avrei voluto vederla con le chiappe al vento e...senti, ma ci sono novità? Se ce ne sono, qualsiasi, fammi sapere. Ora vado perche non so quanto tempo dura questo coso, il messaggio, quindi ciao...buon Natale di nuovo-nuovo. Ciao.-

Terminò la chiamata appena in tempo, sentì dei passi in corridoio.

Dalla cucina fece capolino Bones, portava un vestito africano, pieno di colori sgargianti, una specie di pareo le cingeva i fianchi. Aveva un'aria visibilmente preoccupata: le sue nocche gialle sporgevano da mani contratte che stringevano il cellulare ancora acceso e Christine verso di sé, anche lei scossa come la madre.

Era sangue quella macchia rossa sulla manica di Christine?

La sorella scuoteva la testa come un malato di Parkinson, cercando di farsi piccola si aggrappava alla madre poco più alta di lei.

-Posa quel telefono tesoro- sussultò Bones: - Cambio di programma - .

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3 Gennaio

Jasmine aprì la porta, spalancò le finestre, la stanza si illumino, le pareti gialle riflettevano i raggi di un sole invernale che faceva timidamente capolino tra le nuvole.

La bambina i diresse verso l'armadio del fratello. Scartò dal Cellophane una grossa felpa sportiva e se la mise addosso, poi prese dalla libreria l'album di foto e si mise a sfogliarlo.

Quando 15 giorni prima aveva aperto per la prima volta quella porta aveva provato paura: l'unica cosa che le si mostrò davanti fu il buio ed un odore di chiuso che le penetrò nelle narici. All'inizio si era mossa in punta di piedi, armata di pila aveva sondato gli armadi, gli scaffali la scrivania, per paura di disturbare troppo forse; poi con il trascorrere dei giorni i passi si fecero meno incerti finche si decise ad aprire le imposte e far finalmente luce su questo mistero che tanto tormentava lei e Hazel.

Ed eccola qui, dopo due settimane ad indossare i caldi vestiti del fratello sfogliando pagine di un album fotografico che neanche le apparteneva. Le foto ritraevano una famiglia felice, serena; chiuse gli occhi immortalando ogni momento: Parker e il suo primo giorno di scuola, Parker e Hazel sull'altalena, Parker in cucina con la nonna, la sua prima auto, Parker dimenticato. In realtà si scoprì di provare invidia per loro. Ogni scatto le ricordava una quotidianità mancata e mai avuta.

“Quando tornerò a casa scatterò un sacco di foto, perchè non voglio perdermi più neanche un attimo” pensò Jasmine. Se sarebbe tornata; in fondo, le piaceva restare lì. Avrebbe potuto chiedere alla sorella di prolungare la permanenza o di scambiarsi l'anno seguente, per poi riscambiarsi di nuovo. Si sarebbero scambiate per tutta la vita senza destare il minimo sospetto, o quasi.

Si diresse verso lo stereo e scelse un disco “American Rejects”, poi con l'album in mano si accoccolò sul tappeto.

- Vedo che ti calza a pennello. Jasmine.-

Jasmine si svegliò in fretta; quella voce...era appena saltata la sua copertura. Mannaggia a lei.

- Da...da quanto tempo sei qui?- balbettò lei senza voltarsi, fissando un punto fuori dalla finestra. Il suo piano elaborato poco fa si dissolse in quel cielo blu come la notte. Mannaggia a lei.

-Abbastanza- soggiunse: - Da quanto tempo lo so? Abbastanza.-

- Sei arrabbiato?- chiese Jasmine voltandosi lentamente per paura di incontrare quei profondi occhi color caffè.

- Un po', ma non per ciò che avete fatto; perchè non me l'hai detto subito? Avremmo trovato una soluzione, avrei chiamato tua madre e insieme avremmo trovato un modo per...-

- Ecco appunto. Lo diceva Hazel, tu vuoi sempre sistemare le cose, è per questo che hai creato questa stanza, questo museo...tutto in ordine e messo a posto e...hai sistemato le cose, ma hai lasciato un pezzo fuori posto: Hazel. Lei non la sa la verità, ma ha il diritto di sapere e gliela dirò!-

Forse era stata una reazione un po' esagerata, ma era stata presa totalmente alla sprovvista. Quelle parole le uscirono di getto, quasi come se non fossero sue. Le prese il panico, si tolse la felpa e si diresse verso l'uscita.

Seeley Booth la prese per un braccio: - Che le hai detto?-

Jasmine si divincolò spazientita: - Le ho solo scritto di questo posto, niente,...perchè non so niente! Papà io devo sapere,...-

- E' complicato – disse l'uomo evasivamente con gli occhi bassi verso il pavimento.

- Sì certo.- concluse lei delusa. Porse la felpa e la chiave della stanza al padre e si avviò verso le scale.

- Aspetta- sussurrò lui. E finalmente raccontò.

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Capitolo 9
*** Intoppi ***


INTOPPI
18 Gennaio
Jasmine tirò su con il naso, svelta si asciugò lacrime con la manica della felpa; “Che cosa rozza” pensò. Un retaggio della vita precedente. Pensare che all’inizio era quasi tentata di mollare tutto, “Puoi smettere” si diceva, ma ormai quella frase era sepolta da mesi. Quell’esperienza l’aveva cambiata fin nel profondo, o forse aveva risvegliato in lei la sua vera natura e lo aveva saputo solo ora. Aveva cominciato ad apprezzare la brezza marina invernale, gelida e pungente, le onde potenti come cento cavalli infrangersi sugli scogli. Persino la divisa ora non le sembrava tanto male, era anche un po’ sua in fondo.
Ancora per poco. Quattordici giorni e quella pantomima sarebbe finita per sempre, erano questi gli accordi con papà: lui avrebbe “retto il gioco” ancora per un mese, poi insieme sarebbero tornati a Washington e lui e la mamma avrebbero fatto una lunga chiacchierata sulla gestione delle figlie, magari sarebbero state insieme a Pasqua e a Natale, un accordo molto stupido.
Così in questi ultimi giorni di permanenza Jasmine cercava di non perdersi neanche un minuto di quella calda quotidianità che presto sarebbe divenuta fuori dall’ordinario. Le piaceva guardare il padre preparare il caffè, con la lingua tra i denti e l’espressione concentrata Booth eseguiva ritualmente questa operazione curandone ogni singolo dettaglio. A lei neanche piaceva il caffè, ma lo beveva lo stesso, per poter condividere un po’ di tempo con suo papà, il più forte di sempre.
In quanto a Parker, Jasmine non avrebbe mai dimenticato la confessione di quella sera. Aveva pianto tanto e in cuor suo sapeva che questo dolore l’avrebbe accompagnata come un’ombra per tutta la vita, anche se in maniera diversa rispetto a Booth e Hazel, non aveva vissuto con lui, ma era pur sempre suo fratello. Un’altra clausola dell’accordo era di non rivelare nulla di quanto era successo alla sorella, non per fare gioco sporco (si sa, tra sorelle non ci sono segreti), ma Booth aveva espressamente promesso che le avrebbe detto lui stesso la verità, ed era giusto così: era ora che padre e figlia si chiarissero una volta per tutte.
Certo, però non poteva piombare al Jeffersonian con il padre, così, senza neanche avvisare: “We ciao, papà mi ha scoperta così e venuto a riprenderti e a prendere un tè con mamma che non vede da circa 10-11 anni, spero non ti dispiaccia”.
 Decisamente no.
 A Bones sarebbe venuto un colpo. Doveva assolutamente avvisare; ci aveva anche provato, ma Hazel da Natale era praticamente irraggiungibile. L’ultima volta che aveva sentito la sorella era stata per messaggio, una lettera senza risposta. Avrebbe dovuto preoccuparsi?
 
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- Sono in prigione. Qui in queste quattro mura! Ma ti rendi conto? Un pazzo assassino con la passione per i regali macabri ci da la caccia e IO, dico, IO, la vittima, devo stare rinchiusa qua dentro!?-
- Noi,…- Sbuffò Hazel: - Noi siamo chiuse qua dentro.- Christine aveva nuovamente fatto la solita scenata “drammatica-autocentrata”.
 Sarebbe andata molto volentieri a fare un giro al parco piuttosto che sorbirsi le crisi di nervi della sorella, ma questo voleva dire più guardie del corpo, più rinforzi a casa, un sacco di casini, quindi no. Effettivamente la sorella non aveva tutti i torti. Bodyguard alla porta, telefoni e computer sotto controllo, da quanto ormai? Due settimane? L’aria si era fatta un po’ soffocante e Hazel desiderava come non mai ritornare alla sua tranquilla vita precedente.
La madre dopo Natale era praticamente sparita dalla circolazione; partiva presto al mattino e tornava tardi la sera, per poi girovagare ansiosa per la cucina fino a notte inoltrata. Hazel la sentiva sbuffare e mormorare davanti ad una tazza di caffè notturno, mattutino. Questo avrebbe dovuto far nascere in lei un sentimento di ammirazione verso Bones, così “devota” alla famiglia e alle cose che più ama, ma no. L’indifferenza che sanciva il rapporto madre-figlia si stava trasformando poco a poco in insanabili risentimenti carichi di  irritazione. Hazel lo percepiva, ma non poteva, non riusciva a farci nulla. Chiuse gli occhi e serrò i pugni, cullandosi dolcemente sulla voce pulita di Michael Bublè, ritornò nel suo mondo fatato.
“Still feel all alone
I just wanna go home”
 
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- Di Nuovo.
Cosa sappiamo di questa ragazza?-
Cam sbuffò rassegnata: -Natalia Hemmert. 27 anni. Nata a Boston,  trasferita a Washington nel…-
- Temo che la sua vita privata mi sia del tutto irrilevante dottoressa Saroyan- la interruppe Bones.
- Sotto le unghie della vittima sono stati trovati resti di acari, comuni in tutti i tappeti di Washington, ma grazie a ciò sappiamo che l’assassino probabilmente possiede un tappeto. Quindi si può presumere che la vittima sia stata trascinata per un breve tratto e si sia aggrappata ad esso.- Aggiunse Hodgins.
- Non basta. Dobbiamo fare di più. Vi ho chiesto di più dannazione. Quest’uomo lo voglio dietro le sbarre!
- Sempre che sia un lui e non una lei-  sentenziò Hodgins.
- Dottoressa Brennan, forse dovremmo chiamare…-
- No Camille, lo escludo.-  la interruppe acidamente Bones: - lo faccio per le mie figlie. Sono già abbastanza sotto pressione.-
- Per le tue figlie!?- Ribattè alterata Cam: - Scusami ma io ritengo sia la persona più adatta. Al nostro serial killer serve un profilo, un’identità e chi meglio di…
- Calme, calme ragazze, agitarsi non serve a nulla. E poi ho delle novità per te tesoro: vi dico solo una parola: DERMOGRAFISMO.
- Il disturnbo alla pelle? Come può essere utile al caso?- chiese dubbiosa Bones. Il suo tono di voce si era fatto più sereno… si diresse verso la brocca del caffè, ma Angela la allontanò amorevolmente prendendola per i polsi.
- Per oggi può bastare tesoro.- continuò: -La vittima era di carnagione chiara e quando…sì insomma, è arrivato il pacco non ho potuto far a meno di notare come dei piccoli rilievi, quasi impercettibili, per questo ho voluto subito tutte le parti del corpo. Ho fatto dei calchi, li ho studiati un po’ e finalmente l’ho trovato.-
Tutti la guardarono con un’espressione da punto interrogativo.
La donna euforica annunciò: - Su ogni parte del corpo vi erano dei numeri perciò non ho dovuto fare altro che metterli in ordine. Coordinate. Il computer mi da un posto più o meno fuori Washington. Vi mando l’esatta ubicazione per messaggio, non perdete tempo.- si voltò verso il marito e ammiccò: -Regina del laboratorio!-
Cam sfrecciò ancheggiando versò l’uscita, Bones la stava per seguire quando Angela la bloccò per un braccio.
- Il messaggio diceva altro…-  e le porse un bigliettino: <<Dove tutto è cominciato>> Bones fisso il foglio perplessa: - Mi sfugge il significato. Immagino lo scoprirò presto.- e sparì dietro la porta a vetri.
Avrebbe dovuto capirlo prima; quelle coordinate. Il posto le era più che mai familiare; ricordo indelebile che per anni aveva cercato di cancellare. Invece era rimasto tutto come prima: gli alberi, l’atmosfera cupa, la “Navicella Spaziale”, così l’avevano chiamata i ragazzi del posto.
Di alieno però non aveva proprio nulla.
Di fronte ad essa era piantata una mano bene aperta, sul palmo vi era inciso: “Who is the cat?”
- E’ tornato?- Bisbiglio Cam fissando spaventata la mano pallida.
- E’ tornato.-
 
<< Apprestati lentamenteal lavoro,
ma ciò che cominci portalo a termine. >>

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Capitolo 10
*** Calma prima della tempesta ***


Capitolo 10

Calma prima della tempesta

 

1 Febbraio

- Chi gestisce il caso? Voglio parlare con l'agente responsabile! -

- Lo gestisco io -.

L'agente Emily Bratt le si piantò davanti.

Sulla trentina, alta pressapoco un metro e sessanta, potava i capelli lunghi e lisci come spaghetti color nero corvino, raccolti in una coda di cavallo. L'espressione cupa e la matita nera sugli occhi non aiutavano a dare in lei quel senso di credibilità e immediata sicurezza che un agente dell'FBI dovebbe possedere. Chiunque le avebbe dato della “emo” troppo cresciuta, ma decisamente troppo acerba per essere una piedi piatti.

Forse, proprio per questo era stata la migliore del suo corso. Voleva dimostrare ai suoi colleghi misogeni dell'accademia quanta grinta e determinazione racchiudesse una così piccola persona. Perciò chi era nell'ambiente da un po' aveva imparato a portarle riguardo e nonostante l'inferiorità di grado era molto rispettata anche dai piani alti, lei d'altro canto non era disposta a fasi mettere i piedi in testa da chiunque.

Gli occhi fiammeggianti di Bones si posarono sul piercing ad anello che penzolava dall'orecchio destro dell'agente.

- Mi scusi, ma temo che lei non possieda l'esperienza necessaria per questo caso. - disse la dottoressa squadrandola dalla testa ai piedi.

La miccia era stata innescata. Con tutta la calma possibile Bratt rispose:

- “Mi scusi”- ripetè provocandola: - E lei sarebbe? -

- Si da il caso che io sia la dottoressa Temperance Brennan, esperta antropologa forense. Ritengo che gli omicidi sui quali mi auguro stia indagando siano opera di una nota criminale conosciuta come “Il Becchino”-

- Mh mh – annuì incuriosita Emily, invitando la donna ad accomodarsi nel suo ufficio: - Sulla base di che? -

- Come dovrebbe già sapere, io e i miei colleghi del Jeffersonian abbiamo giocato un ruolo chiave nella sua cattura. Inoltre alcuni dei miei colleghi siamo...ehm sono stati oggetto dei suoi attacchi in passato. È probabile che abbia deciso di vendicarsi -.

- Non capisco, il modus operandi del killer non risponde interamente a quello del becchino. Dai fascicoli leggo che la donna seppelliva vive le sue vittime e chiedeva alle famiglie una richiesta di riscatto. Il nostro S.I. (Soggetto Ignoto) uccide a sangue feddo, invia regali, non sotterra, non chiama, senza contare il fatto che Heather Taffet è in prigione da ormai una dozzina d'anni e più -.

- E' corretto, ma il killer mi ha lasciato un messaggio.- E le porse il bigliettino di Angela. L'agente lo lesse perplessa. Bones non si diede per vinta e continuò: - Ritengo che la cosa giusta da fare sia parlare con il Becchino. Lei potrebbe nascondere qualcosa, inoltre è evidente che tra il nostro assassino e il Becchino ci sia un legame.-

Bratt si alzò e si infilò il cappotto nero, lungo e con le spalle rigide, in dotazione dell'Fbi.

- Mi ha convinta, vado a fare un paio di telefonate per affrettare la cosa.

Mi ascolti bene però, avrà anche avuto un' intuizione giusta Dottoressa Brennan, ma si ricordi che il caso è sotto la MIA supervisione e ho le capacità per cavar fuori qualcosa di buono. Perciò lei starà buonina e farà esattamente quello che le dirò IO. Ora si metta il cappotto e mi aspetti in macchina.- Le lanciò le chiavi del Suv: - Fuori si gela.-

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I cancelli del carcere si chiusero ermeticamente. Bratt e Brennan raggiunsero fradice e tremanti l'ingresso. Vennero accolte dal direttore, che si offrì di mettere sul calorifero i cappotti bagnati dalla pioggia scrosciante.

- C'è una tempesta in corso eh?!- disse il direttore per sdrammatizzare.

- Non ne ha idea.- rispose secca Bones, raggelando la stanza.

- Ehm ehm...comprenderà che abbiamo fatto il diavolo a quattro per poter organizzare questo incontro signorina.- disse il direttore rivolgendosi all'agente Bratt.

- Signora prego, non porto la fede al lavoro.- Preferiva essere lei a condurre il gioco. Continuò: - Come la trova?-.

Se non avesse l'ergastolo avrei scommesso che sarebbe uscita nel giro di un paio d'anni per buona condotta: non un richiamo, ne un' insubordinazione. Se ne sta sempre nella sua cella, a leggere e a scrivere. Sembra felice, dice che sta bene.-

- Mente.- lo interruppè freddamente Bones: - E' molto intelligente e riuscirebbe ad ingannare chiunque. Persino me. Non credete a nessuna parola di quel che dice. È una bugiarda.-

Intanto erano giunte alla cella dell'assassina.

- Ok. Da qui deve lasciarci direttore.-

- Dieci minuti. Un secondino starà alla porta. Se ci sono problemi mi avvertirà.- concluse l'uomo prima di sparire dietro l'angolo. Bratt frenò Bones per la manica di tweed: - Niente colpi di testa. Tu sei qui per aiutarmi e nient'altro. Osserva tutto e non tralasciare nulla. Voglio esaminare la sua reazione vedendoti con me. Le domande le faccio io e NIENTE indagini personali o la allontanerò all'istante. Siamo intese?-

- Entriamo - annuì spiccia Temperance.

Le due donne entrarono nella cella, un odore di stantio penetrò nelle narici facendole storcere il naso. Heather Taffet, spietata assassina le aspettava seduta sul letto perfettamente rifatto. La cella era piccola. Con una sola finestra e la muffa sul soffitto, ma comunque ben tenuta. Alle pareti erano infissi crocifissi e santini, segno di una devozione sviluppatasi in questi anni di penitenza forzata. Nell'angolo della cella c'era una scrivania, su di essa vi erano appoggiate penne, matite e diversi libri: L'idiota, Il conte di Montecristo, Guerra e Pace, Jane Eyre, che dimostravano la versione fornita dal direttore della struttura.

Heather Taffet era d'altro canto un'amorevole vecchietta: portava la divisa della prigione femminile, che su di lei pareva un insulto, sopra di essa un maglioncino panna fatto a mano; i capelli un tempo fulvi ora erano divenuti fili argentati raccolti in un umile chignon.

- Benvenute.- disse lei alzandosi dal letto; gli anni in carcere l'avevano ingobbita: - Prego, sedetevi. Posso esservi d'aiuto?-

Emily scrutò il Becchino, poi Bones, poi guardò nuovamente la vecchietta. Nessuna reazione. O era innocente o più probabilmente dannatamente brava.

Si schiarì la voce: - Riteniamo che lei sia implicata nell'omicidio di Natalia Hemmert e di Jodi Garland.-

- Sono accuse molto pesanti quelle che rivolge a me agente, ma in questo caso credo di avere un alibi.- Disse Heather accarezzando pacatamente il letto della sua cella.

Bratt si rese improvvisamente conto di quanto stupida fosse stata ad accettare la proposta dell'interrogatorio. Quella donna non avrebbe mai ceduto; inoltre c'erano troppe poche prove per farla parlare, ammesso che parlasse.

Era LEI a condurre il gioco ora.

Non avrebbe cavato un ragno dal buco. Fissò Brennan. La dottoressa seduta al tavolo studiava la sua nemica negli occhi, sottobanco le mani erano serrate, pronte a colpire la donna con un pugno.

- Sospettiamo ci sia un emulatore in circolazione che la conosce abbastanza bene per imitarla-. Disse secca l'agente, con gli occhi neri accesi per la competizione, aveva fatto la sua mossa.

- Un emulatore?- disse Il Becchino sorpresa: - E seppellisce le sue vittime?-

- No.- rispose Emily.

- Chiede un riscatto? -

- No.-

- Allora temo che abbia fatto un viaggio a vuoto agente.- Rispose il becchino, ignorando completamente Bones, ribollente di rabbia. Bratt poteva sentire il calore esagitato emanato da Temperance anche a pochi centimetri di distanza. Decise che il colloquio sarebbe finito da lì a breve. Aveva un presentimento, un brutto presentimento.

- Signora, di recente qualcuno a cercato di contattarla?-

- Se l'avessero fatto vi avrei avvertito subito-.

La miccia era finita.

- Adesso basta.- Furibonda Bones prese la vecchia per il colletto e la sbattè contro il muro della cella.

- Chi è il tuo emulatore!?-

- Dottoressa Brennan lasci immediatamente la detenuta! -

- Parla! Chi è il tuo emulatore!? -

- Dottoressa Brennan! -

Partì un pugno. Il Becchino caddè al suolo stremata, Bones venne trascinata dalla giovane agente fuori dalla cella.

- Mi hai colpito!? -

- L'avresti mai lasciata andare? -

________________________________________________________________

 

Temperance Brennan era tornata a casa. Stesa sul divano cercava di fermarsi il sangue che ancora non aveva smesso di colare.

Maledetta donna. Ancora una volta l'aveva fregata ed era totalmente impotente. Nella sua vita solo due persone erano riuscite a farla sentire vulnerabile, inferiore. Il Becchino era una di queste. Conosceva tutte le sue debolezze, sapeva esattamente dove colpirla e come farla soffrire. La sua vendetta sarebbe stata molto più spietata di quello che si possa immaginare e l'Fbi non aveva le risorse necessarie per contrastarla.

Nessuno era al sicuro.

- Stai...stai bene? -

Due piedini nudi fecero timidamente capolino in cucina. Hazel indossava un pigiama blu notte, stellato, che si uniformava al il colore del cielo.

- Non riesci a dormire tesoro? - chiese interessata Bones.

Hazel scosse la testa ed indicò fuori con il nasino: - La pioggia. È rumorosa...vuoi compagnia?-

Bones guardò l'orologio, le 2.27: - No grazie tesoro. È molto tardi, fai uno sforzo e prova a dormire. Credò che dormirò un po' anche io. Sono molto stanca.-

- Ok.- rispose Hazel calma e torno nella sua stanza.

- Buonanotte - sussurrò Bones. Quanto era cresciuta in un anno e quanto crescerà. Non ha idea di quello che sta succedendo, viene trascinata di qua e di là senza sapere il perchè. È una cosa che Bones aveva provato sulla sua pelle, molto tempo prima e mai avrebbe permesso che la cosa si ripetesse di nuovo, ma in questo caso era necessaria, per preservarla dal pericolo, siamo tutti in pericolo. I suoi occhi si fecero improvvisamente pesanti. Stava per addormentarsi, probabilmente un altro sonno agitato, quando il cellulare suonò.

SCONOSCIUTO.

Prese immediatamente un registratore e lo portò all'imboccatura del microfono: - Parla la Dottoressa Temperance Brennan, chi è in linea?-

Una voce metallica rispose: - So benissimo chi è lei. C'è stato un omicidio. Nella vecchia tenuta dei Crawford. Si sbrighi.-

- Perchè a me? Perchè non lo dici all'Fbi?-

Ansimava.

- Che cosa vuoi? Che cosa vuoi?-

Riattaccò.

Bones non perse tempo e fece l'unica cosa sensata che poteva fare.

Prese il telefono e compose il numero:

- Vuole farmi causa per il naso?-

- Non esattamente.-

 

 

La tenuta dei Crawford era una scuderia abbandonata nella periferia di Washington. I padroni erano partiti per l'inghilterra anni prima lasciandosi alle spalle una tenuta da almeno mezzo milione che ora sembrava solo un fatiscente cimitero degli orrori, luogo per drogati, ubriaconi o bambini che volevano sfidare la paura con prove di coraggio. I cardini dei box dove un tempo erano tenuti i cavalli avevano ceduto e il legno marcio e tarlato che ricopriva la scuderia conferiva al luogo un aspetto sinistramente mortale. Un gruppo di agenti sull'ordine di Emily Pratt controllò angolo per angolo, con l'arma in mano, nel remoto caso che l'assassino fosse ancora nelle vicinanze.

- Dottoressa Brennan, forse è il caso che venga a vedere quaggiù...- Disse Bratt riponendo l'arma nel cinturone.

Nell'ultimo box della scuderia un'altra mano era ben piantata al suolo, con le dita incollate a pugno chiuso. Bones guardò inorridita quella carcassa; sulle tre dita non coperte dal pollice vi erano incise tre lettere: Y O U.

- Dannazione!- Urlò Brennan esasperata. Tirò un calcio ad un secchio arrugginito che rovesciandosi rilasciò un liquido misto arrugginito che rischiò di compromettere le prove. Cam, che anche lei era sul posto per esaminare la scena la guardò allibita, tutti le puntarono addosso uno sguardo di allarme.

Non aveva mai perso il controllo in quel modo.

Brennan serrò i pugni e scappò via da quel luogo infernale. Salì in macchina; aveva voglia di andare il più lontano possibile, voleva urlare, strozzare il becchino con le sue stesse mani che ora pulsavano di rabbia, una rabbia omicida, una rabbia che non era sua.

Mise in moto, ma Cam le si parò davanti, le bussò delicatamente al finestrino. Bones lo abbassò fissando con impazienza la strada, o forse, cercando di evitare lo sguardo pietoso della collega.

- Abbiamo aperto la mano della vittima. E...Temperance, abbiamo trovato questa.-

Le porse una fotografia, al suo interno c'era Bones, c'era Christine, c'era Jasmine.

Rimase a bocca aperta. Erano in pericolo.

Prese immediatamente il telefono e chiamò.

 

 

- Pronto?

Cosa? Ma stanno bene?

Ho capito. Qui è un casino. Arrivo appena smette di piovere.-

 

 

 

<< La vostra anima è triste e vi fa vedere un cielo tempestoso. >>

Alexandre Dumas “Il conte di Montecristo”

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Capitolo 11
*** Coincidenze ***


Capitolo 11

COINCIDENZE

 

7 Febbraio

- Ecco fatto.- disse Seeley Booth caricando la valigia sulla macchina.

- Posso venire anche io?-

- No. È troppo pericoloso.- rispose amorevolmente l'uomo alla figlia.

Ma Jasmine insistette: - Non voglio stare qui da sola con la nonna, cucina troppa roba e mi obbliga a mangiarla. Anche i broccoli. Non mi piacciono i broccoli.-

Booth sorrise e si chinò sulla figlia, la conosceva anche troppo bene e sapeva che, quando qualcosa la turbava, accampava scuse e cercava di sdrammatizzare, proprio come lui.

- Ti prometto che ci sentiremo tutti i giorni.- la rassicurò.

- Ma è pericoloso? Non puoi portare tutti qui? Così l'assassino non ci raggiunge.- chiese ingenuamente Jasmine.

Booth sospirò: - Magari fosse tutto così semplice. Jas, non si può scappare dai problemi, bisogna risolverli, altrimenti si incolleranno addosso come ombre nere per tutta la vita. Ricordatelo. Il mio lavoro consiste nel prendere le persone cattive per impedire che facciano del male a Hazel, a Christine, a Bon...alla mamma e a nessun altro. Certo che è pericoloso, ma se scappassi fallirei e sarebbe dannoso, per tutti.-

- Ho capito.- sussurrò Jasmine abbassando lo sguardo. Provò vergogna per essere stata così egoista. Booth la strinse a sé e la sollevò da terra. Jasmine sprofondò nelle sue braccia possenti desiderando di essere cosparsa di colla per poter rimanere aggrappata a lui per sempre. Una lacrima le rigò il viso. Seley Booth la posò dolcemente sul terriccio umido di via Kennedy.

- Aspetta.- disse la figlia trattenendolo per la manica del cappotto. -Ma Hazel? Le dirai di Parker?-

- Adesso sono già abbastanza piene di...di sorprese. Ogni cosa a suo tempo Jas.- le rispose l'uomo: -Ti voglio bene.- le sussurrò all'orecchio.

Jasmine guardò il Suv nero del padre dissolversi nella fitta nebbia invernale. Non aveva idea di quello che sarebbe successo.

Jasmine infatti era una bambina molto intelligente e stava già rimuginando sulle parole del genitore. Il suo discorso era “logicamente contraddittorio”...Ogni cosa a suo tempo...altre sorprese...quindi non gliel'avrebbe detto, sarebbe scappato di nuovo, lei era la sua “ombra nera”. Questi pensieri le frullavano in testa e non le davano pace. Senza contare che questa storia le era un tantino sfuggita di mano. Cercò di scacciare via le sue preoccupazioni scuotendo la testa, pensò in fretta: l'unica cosa sensata che le venne in mente fu di chiamare la sorella e dirle tutto. Insieme avrebbero sistemato questo casino. Hazel avrebbe detto la verità alla mamma e lei sicuramente avrebbe saputo cosa fare, come sempre. Provò a chiamarla, per l'ennesima volta. Segreteria telefonica.

Un'idea, un'insana piccola idea dettata da una vena di panico e disperazione le si insinuò nella mente: “Bene. Ha deciso di dimenticarmi. Perciò non mi lascia altra scelta. L'unico modo per far si che mi risponda è lanciarle una bomba”. Pensò Jasmine.

Prese la cornetta e ricompose il numero di cellulare, segreteria telefonica.

- Hazel. So com'è morto Parker.-

________________________________________________________________

- Sbrigati Hazel!- Trillò Angela bussando alla porta del bagno. - Stiamo per andare.-

Hazel era accovacciata sotto il lavello. “Povera, patetica Hazel”.

Si alzò e si diede un'ultima occhiata allo specchio.

Hazel.

Jasmine.

Non sapeva più chi fosse quella figura che la fissava con lo sguardo perso nel vuoto.

“Questo è il volto di una sfollata” pensò. In meno di un anno aveva cambiato casa tre volte: California, Washington e adesso sarebbe finita in un buco sperduto da Dio, “Per la sua sicurezza” le avevano spiegato.

Lei e Jasmine avevano scelto il momento meno opportuno per scambiarsi, proprio l'anno in cui un assassino aveva deciso di prendere sul serio il proprio lavoro. Non sapeva cosa fare, avrebbe dovuto dire la verità o questo avrebbe creato ancora più problemi? Sicuramente Jasmine avrebbe saputo come comportarsi.

Hazel si guardò un'ultima volta allo specchio. Sorrise.

Aveva un piano.

 

 

La nuova casa non era proprio un “buco” come credeva, anzi era piuttosto accattivante, grande e molto spaziosa.

- Michael fai tu gli onori di casa alle ragazze mentre io e Angi scarichiamo le valige?- chiese gentilmente Hodgins al figlio. Hazel pensò quanto suonasse strano chiamare la propria moglie per nome e quanto paradossale fosse il fatto nella loro famiglia tra loro si chiamavano sempre con il loro nome, come se fosser estranei, ma in realtà erano molto uniti. A pensarci bene, era l'unica famiglia normale che Hazel aveva visto finora.

Chissà, forse una volta anche mamma e papà si chiamavano per nome.

- Per di qua.- disse tronfio Michael, fiero di mostrare la sua casa milionaria alla sua ragazza e alla sorellina. Passarono per lo studio. Era il luogo perfetto per appartarsi e fare una telefonata senza dare nell'occhio; proseguirono con il giro della dimora, un loft multiiconfort a tre piani con tanto di idromassaggio e sala giochi. Più che una segregazione questa le sembrava una vacanza.

- Vado a provare la vasca!- disse Christine sorridente. La sorella sedicenne in piena fase adolescenziale era di ottimo umore, buon segno.

Hazel approfittò della dipartita della sorella maggiore per parlare faccia a faccia con Michael.

- Ho bisogno del tuo aiuto.- disse fermamente la bambina trascinando il ragazzo nello sgabuzzino. Michael si sentì un po' in imbarazzo, ma fece segno di continuare.

- Due cose: devi recuperare il mio cellulare. Lo so che ce l'ha Angela. Mamma l'avrebbe dato solo a lei. Poi dovresti crearmi un “diversivo”, insomma un qualcosa che tenga impegnate le guardie del corpo per circa cinque minuti...

- Frena la lingua. Perchè?- chiese Michael malizioso; Hazel lo guardò torvo scuotendo la testa.

- No no...non lo faccio se prima non mi dici il perchè!- Le intimò il ragazzo.

- Devo fare una telefonata ad un'amica ti basta!?- rispose sulla difensiva Hazel fulminandolo con gli occhi.

Michael rimase colpito; l'espressione della ragazzina era identica al cipiglio autoritario della madre. Michael Vincent era un ragazzo coraggioso, ma si sa, la Dottoressa Brennan faceva paura un po' a tutti.

- Mmm...non so...- disse mostrandosi il più distaccato possibile: - Tu cosa mi daresti in cambio?-

- Tu aiutami e io sarò gentile e non dirò nulla a mia madre su quello che fate tu e Christine, la povera, piccola e innocente Christine. Mamma non sarà felice di scoprire che voi...-

- Ok ok va bene ti sei spiegata!- concluse allarmato Michael.

Caspita. Jasmine Brennan sapeva giocare bene le sue carte.

- Considera la cosa già fatta. Ho già un paio di idee in mente.-

 

Un'oretta dopo Michael le porse il cellulare.

- E' stato facile come bere un bicchier d'acqua.- disse lui solennemente; si batte due volte il petto: - Diamo inizio alle danze!- e sparì giulivo nella sua camera.

Hazel si rintanò furtivamente nello studio e accese il telefono, il rumore di mille messaggi e chiamate della sorella parti contemporaneamente e NON silenziosamente; sentì bussare, panico.

-Tutto bene signorina? Che sta facendo chiusa dentro?-

- Io, io...- balbettò.

Per fortuna l'esplosione piombò al momento giusto. Un enorme boato fece sussultare la casa, la camera di Michael Vincent si riempì di fumo verde che si propagò per il corridoio fino a raggiungere le stanze limitrofe, facendo così partire l'allarme antincendio. C'era acqua ovunque. Tutte le guardie del corpo si precipitarono nella camera del ragazzo, con le armi ancora in pugno lo guardarono esterrefatti.

- Ops - disse Michael coperto da uno strato di melma verde.

- Scemo, Cretino, deficiente! Ma che ti salta in mente? Vuoi ucciderci tutti!?-

- Signorina Christine si calmi, va tutto bene.-

- Eh no Mr Men in Black non va bene proprio per niente. Potevamo morire!-

- Via per una bombetta...- disse michael ripulendosi.

- Tu stai zitto!- Strillò Christine completamente fradicia puntandogli il dito. La ragazza era davvero fuori di sé, i bodyguard ci misero dieci minuti buoni per calmarla.

- Signorino, sebbene le sue intenzioni erano tutt'altro che ostili la prego di rinunciare a queste folli imprese in futuro. Dovrò avvisare sua madre di quello che ha fatto.-

- Giusto, giustissimo.- annuì Michael Vincent accennando un sorrisetto impercettibile a Hazel, che aveva raggiunto gli altri in salotto.

- Tutto bene? - chiese il capo della sicurezza notando l'espressione vacua sul volto della bambina.

- Tutto bene.- rispose piattamente lei.

Non era vero.

 

_________________________________________________________________

Booth scese dall'aereo. Il viaggio era stato lungo, ma non era riuscito a dormire.

Troppi pensieri, troppe paure, troppi ricordi.

Dopo quello che era successo dodici anni prima Bones gli aveva detto basta, lo aveva abbandonato e lui aveva deciso di cambiare, voltare pagina; un altro paese, un incarico meno stressante, due figli da crescere. Poi con la morte di Parker aveva quasi toccato il fondo di nuovo, ma poi era riuscito a riemergere, grazie a Hazel. Ormai quella storia era un altro capitolo chiuso.

Le pagine voltate erano troppe e forse Booth era davvero troppo cambiato per lavorare di nuovo con i colleghi al Jeffersonian, forse sarebbe finito ancora una volta in quel tunnel apparentemente senza uscita, ma con tutto quello che stava succedendo tutte le croci che si portava sulle spalle passavano in secondo piano.

Ad attenderlo ai parcheggi dell'aereoporto c'era l'agente speciale Emily Bratt. Non la conosceva di persona, ma di fama. A Quantico era molto apprezzata.

- Agente Booth.-

- Agente Bratt.- Si salutarono rispettivamente con una stretta di mano.

La giovane aggiornò il suo collega sul caso, riportando meticolosamente dati, testimonianze ed interrogatori.

- Vuole che la lasci al quartier generale?-

- Preferirei al Jeffersonian; c'è una persona che...mi vorrà vedere.- Sospirò l'uomo.

Il Jeffersonian non era cambiato: sempre il solito buco di matti. Le pareti grigie, le porte a vetri, i macchinari sofisticati ricordavano simpaticamente l'interno del TARDIS di Doctor Who.

Gli occhi scuri di Seeley Booth si muovevano rapidi posandosi attentamente su ogni faccia incontrata, ricevendo in cambio sguardi perplessi che lui percepiva come accusatori.

In fondo al corridoio sentì delle voci familiari.

- Quindi ha fabbricato una bomba artigianale nella sua camera?- disse Bones incredula.

- Già. Mi dispiace per il trambusto creato tesoro. Quel ragazzo mi fa impazzire, diventerà pericoloso come il padre!- ridacchiò Angela.

- Se tutti i padri fossero come Hodgins, il mondo sarebbe popolato da persone migliori.-

- E tutte riccioline e barbute!- rise l'amica.-

la sua battuta non ebbe l'effetto sperato. Bones rimase rigida come una statua di marmo. Gli occhi di ghiaccio fissavano attenti il fantasma davanti a sé, che ricambiava il suo sguardo con altrettanta eloquenza.

Bones era bella. Nonostante lo scorrere delle stagioni i suoi lineamenti non erano appassiti. Aveva i capelli biondi, come quella volta che era scappata con Christine e lui l'aveva rivista solo dopo tanto tempo; semplicemente irresistibile. Malgrado fossero passati undici anni la donna conservava perfettamente quella bellezza ed eleganza esotica che a suo tempo l'aveva fatto impazzire. Potevano trascorrere anche mille anni, ma quelle strette allo stomaco che quella donna gli provocava erano sempre le stesse.

- Ehi...ehm, Bones...wow...Hai cambiato colore dei capelli. Biondo, biondi...ok.- Sbiascicò Booth.

Bones si accorse di avere la bocca spalancata, imbarazzata riuscì a dire:

- Sono cambiate molte cose. Tu che ci fai qui?-

- Sono qui per aiutarti, aiutarvi, con il caso.-

- Ma io non ti ho chiamato! Questo è uno scherzo di cattivo gusto, chi è stato?- Urlò Brennan guardandosi intorno. Il suo sguardo accusatorio zittì immediatamente la platea, tutti meno che il colpevole.

- Sono stata io.- disse Camille sicura di sé. Si mosse ancheggiando verso Seeley Booth:- Ciao Seeley. Spero tu abbia fatto un buon viaggio.- disse baciandolo sulle guance, sotto gli occhi di un'esterrefatta Temperance Brennan. Continuò: - L'agente Bratt ti avrà già fornito i “rudimenti del caso”...-

- Cosa? Bratt lo sapeva!?- irruppe Bones furiosa. Booth prese la parola: si era reso conto di essere al centro di una situazione imbarazzante ed era fondamentale chiarire la propria posizione: - Senti Bones io...-

Cam lo fermò: - No Seeley, non ti devi giustificare: ora parlo io. Ho deciso di chiamarlo perchè come te conosce il becchino alla perfezione; perchè può esserci d'aiuto nel caso, perchè è il più bravo agente che abbia mai conosciuto. L'ho chiamato perchè nonostante tutto riesce sempre ad essere professionale e obbiettivo e sembra che tu, dottoressa Temperance Brennan, abbia momentaneamente perso queste facoltà. L'ho chiamato perchè tu, con le tue ossessioni avresti trascinato il Jeffersonian, la tua famiglia e anche te stessa al punto massimo di esasperazione, un punto di non ritorno. In qualità di tuo capo, non posso permetterlo. Perciò o decidi di seguire le regole che IO ho imposto, oppure puoi anche prendere la tua roba e andartene, siamo intese!?-

I volti delle due donne erano a distanza ravvicinata, i loro occhi, taglienti come lame, si rispecchiavasno gli uni negli altri. Entrambe potevano sentire i loro respiri, ma nessuna delle due voleva mollare la presa.

Nello studio non volava una mosca, la tensione era palpabile. Cam si rese conto di aver rischiato molto, conoscendo l'antropologa sapeva che se ne sarebbe potuta andare da un momento all'altro pur di accettare una sconfitta. Eppure continuò a fissarla in attesa di qualche mossa.

Invece, inaspettatamente, Temperance Brennan abbassò lo sguardo assumendo un'espressione di disagio.

- Ti aspetto domani. Sii puntuale.- disse sommessamente a Booth prima di eclissarsi nella penombra del suo ufficio.

_______________________________________________________________

 

-Ho paura. Non sono sicuro di farcela.-

- Il segreto di una buona riuscita risiede nel saper dominare la paura al momento opportuno.-

- L'ho fatto. Ho eseguito tutto quello che mi hai chiesto alla perfezione. Eppure ci hanno quasi scoperti. Non credo di potere...-

- Coraggio, la tua mamma è qui e non se ne andrà, MAI. Andrà tutto bene. Anche Bones ha una debolezza dopotutto.-

- Quale?-

 

 

La madre è orgogliosa del figlio che è salito in alto, ma darebbe la vita per l’altro: per il figlio senza fortuna.”

 

Capitolo 11

COINCIDENZE

 

7 Febbraio

- Ecco fatto.- disse Seeley Booth caricando la valigia sulla macchina.

- Posso venire anche io?-

- No. È troppo pericoloso.- rispose amorevolmente l'uomo alla figlia.

Ma Jasmine insistette: - Non voglio stare qui da sola con la nonna, cucina troppa roba e mi obbliga a mangiarla. Anche i broccoli. Non mi piacciono i broccoli.-

Booth sorrise e si chinò sulla figlia, la conosceva anche troppo bene e sapeva che, quando qualcosa la turbava, accampava scuse e cercava di sdrammatizzare, proprio come lui.

- Ti prometto che ci sentiremo tutti i giorni.- la rassicurò.

- Ma è pericoloso? Non puoi portare tutti qui? Così l'assassino non ci raggiunge.- chiese ingenuamente Jasmine.

Booth sospirò: - Magari fosse tutto così semplice. Jas, non si può scappare dai problemi, bisogna risolverli, altrimenti si incolleranno addosso come ombre nere per tutta la vita. Ricordatelo. Il mio lavoro consiste nel prendere le persone cattive per impedire che facciano del male a Hazel, a Christine, a Bon...alla mamma e a nessun altro. Certo che è pericoloso, ma se scappassi fallirei e sarebbe dannoso, per tutti.-

- Ho capito.- sussurrò Jasmine abbassando lo sguardo. Provò vergogna per essere stata così egoista. Booth la strinse a sé e la sollevò da terra. Jasmine sprofondò nelle sue braccia possenti desiderando di essere cosparsa di colla per poter rimanere aggrappata a lui per sempre. Una lacrima le rigò il viso. Seley Booth la posò dolcemente sul terriccio umido di via Kennedy.

- Aspetta.- disse la figlia trattenendolo per la manica del cappotto. -Ma Hazel? Le dirai di Parker?-

- Adesso sono già abbastanza piene di...di sorprese. Ogni cosa a suo tempo Jas.- le rispose l'uomo: -Ti voglio bene.- le sussurrò all'orecchio.

Jasmine guardò il Suv nero del padre dissolversi nella fitta nebbia invernale. Non aveva idea di quello che sarebbe successo.

Jasmine infatti era una bambina molto intelligente e stava già rimuginando sulle parole del genitore. Il suo discorso era “logicamente contraddittorio”...Ogni cosa a suo tempo...altre sorprese...quindi non gliel'avrebbe detto, sarebbe scappato di nuovo, lei era la sua “ombra nera”. Questi pensieri le frullavano in testa e non le davano pace. Senza contare che questa storia le era un tantino sfuggita di mano. Cercò di scacciare via le sue preoccupazioni scuotendo la testa, pensò in fretta: l'unica cosa sensata che le venne in mente fu di chiamare la sorella e dirle tutto. Insieme avrebbero sistemato questo casino. Hazel avrebbe detto la verità alla mamma e lei sicuramente avrebbe saputo cosa fare, come sempre. Provò a chiamarla, per l'ennesima volta. Segreteria telefonica.

Un'idea, un'insana piccola idea dettata da una vena di panico e disperazione le si insinuò nella mente: “Bene. Ha deciso di dimenticarmi. Perciò non mi lascia altra scelta. L'unico modo per far si che mi risponda è lanciarle una bomba”. Pensò Jasmine.

Prese la cornetta e ricompose il numero di cellulare, segreteria telefonica.

- Hazel. So com'è morto Parker.-

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- Sbrigati Hazel!- Trillò Angela bussando alla porta del bagno. - Stiamo per andare.-

Hazel era accovacciata sotto il lavello. “Povera, patetica Hazel”.

Si alzò e si diede un'ultima occhiata allo specchio.

Hazel.

Jasmine.

Non sapeva più chi fosse quella figura che la fissava con lo sguardo perso nel vuoto.

“Questo è il volto di una sfollata” pensò. In meno di un anno aveva cambiato casa tre volte: California, Washington e adesso sarebbe finita in un buco sperduto da Dio, “Per la sua sicurezza” le avevano spiegato.

Lei e Jasmine avevano scelto il momento meno opportuno per scambiarsi, proprio l'anno in cui un assassino aveva deciso di prendere sul serio il proprio lavoro. Non sapeva cosa fare, avrebbe dovuto dire la verità o questo avrebbe creato ancora più problemi? Sicuramente Jasmine avrebbe saputo come comportarsi.

Hazel si guardò un'ultima volta allo specchio. Sorrise.

Aveva un piano.

 

 

La nuova casa non era proprio un “buco” come credeva, anzi era piuttosto accattivante, grande e molto spaziosa.

- Michael fai tu gli onori di casa alle ragazze mentre io e Angi scarichiamo le valige?- chiese gentilmente Hodgins al figlio. Hazel pensò quanto suonasse strano chiamare la propria moglie per nome e quanto paradossale fosse il fatto nella loro famiglia tra loro si chiamavano sempre con il loro nome, come se fosser estranei, ma in realtà erano molto uniti. A pensarci bene, era l'unica famiglia normale che Hazel aveva visto finora.

Chissà, forse una volta anche mamma e papà si chiamavano per nome.

- Per di qua.- disse tronfio Michael, fiero di mostrare la sua casa milionaria alla sua ragazza e alla sorellina. Passarono per lo studio. Era il luogo perfetto per appartarsi e fare una telefonata senza dare nell'occhio; proseguirono con il giro della dimora, un loft multiiconfort a tre piani con tanto di idromassaggio e sala giochi. Più che una segregazione questa le sembrava una vacanza.

- Vado a provare la vasca!- disse Christine sorridente. La sorella sedicenne in piena fase adolescenziale era di ottimo umore, buon segno.

Hazel approfittò della dipartita della sorella maggiore per parlare faccia a faccia con Michael.

- Ho bisogno del tuo aiuto.- disse fermamente la bambina trascinando il ragazzo nello sgabuzzino. Michael si sentì un po' in imbarazzo, ma fece segno di continuare.

- Due cose: devi recuperare il mio cellulare. Lo so che ce l'ha Angela. Mamma l'avrebbe dato solo a lei. Poi dovresti crearmi un “diversivo”, insomma un qualcosa che tenga impegnate le guardie del corpo per circa cinque minuti...

- Frena la lingua. Perchè?- chiese Michael malizioso; Hazel lo guardò torvo scuotendo la testa.

- No no...non lo faccio se prima non mi dici il perchè!- Le intimò il ragazzo.

- Devo fare una telefonata ad un'amica ti basta!?- rispose sulla difensiva Hazel fulminandolo con gli occhi.

Michael rimase colpito; l'espressione della ragazzina era identica al cipiglio autoritario della madre. Michael Vincent era un ragazzo coraggioso, ma si sa, la Dottoressa Brennan faceva paura un po' a tutti.

- Mmm...non so...- disse mostrandosi il più distaccato possibile: - Tu cosa mi daresti in cambio?-

- Tu aiutami e io sarò gentile e non dirò nulla a mia madre su quello che fate tu e Christine, la povera, piccola e innocente Christine. Mamma non sarà felice di scoprire che voi...-

- Ok ok va bene ti sei spiegata!- concluse allarmato Michael.

Caspita. Jasmine Brennan sapeva giocare bene le sue carte.

- Considera la cosa già fatta. Ho già un paio di idee in mente.-

 

Un'oretta dopo Michael le porse il cellulare.

- E' stato facile come bere un bicchier d'acqua.- disse lui solennemente; si batte due volte il petto: - Diamo inizio alle danze!- e sparì giulivo nella sua camera.

Hazel si rintanò furtivamente nello studio e accese il telefono, il rumore di mille messaggi e chiamate della sorella parti contemporaneamente e NON silenziosamente; sentì bussare, panico.

-Tutto bene signorina? Che sta facendo chiusa dentro?-

- Io, io...- balbettò.

Per fortuna l'esplosione piombò al momento giusto. Un enorme boato fece sussultare la casa, la camera di Michael Vincent si riempì di fumo verde che si propagò per il corridoio fino a raggiungere le stanze limitrofe, facendo così partire l'allarme antincendio. C'era acqua ovunque. Tutte le guardie del corpo si precipitarono nella camera del ragazzo, con le armi ancora in pugno lo guardarono esterrefatti.

- Ops - disse Michael coperto da uno strato di melma verde.

- Scemo, Cretino, deficiente! Ma che ti salta in mente? Vuoi ucciderci tutti!?-

- Signorina Christine si calmi, va tutto bene.-

- Eh no Mr Men in Black non va bene proprio per niente. Potevamo morire!-

- Via per una bombetta...- disse michael ripulendosi.

- Tu stai zitto!- Strillò Christine completamente fradicia puntandogli il dito. La ragazza era davvero fuori di sé, i bodyguard ci misero dieci minuti buoni per calmarla.

- Signorino, sebbene le sue intenzioni erano tutt'altro che ostili la prego di rinunciare a queste folli imprese in futuro. Dovrò avvisare sua madre di quello che ha fatto.-

- Giusto, giustissimo.- annuì Michael Vincent accennando un sorrisetto impercettibile a Hazel, che aveva raggiunto gli altri in salotto.

- Tutto bene? - chiese il capo della sicurezza notando l'espressione vacua sul volto della bambina.

- Tutto bene.- rispose piattamente lei.

Non era vero.

 

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Booth scese dall'aereo. Il viaggio era stato lungo, ma non era riuscito a dormire.

Troppi pensieri, troppe paure, troppi ricordi.

Dopo quello che era successo dodici anni prima Bones gli aveva detto basta, lo aveva abbandonato e lui aveva deciso di cambiare, voltare pagina; un altro paese, un incarico meno stressante, due figli da crescere. Poi con la morte di Parker aveva quasi toccato il fondo di nuovo, ma poi era riuscito a riemergere, grazie a Hazel. Ormai quella storia era un altro capitolo chiuso.

Le pagine voltate erano troppe e forse Booth era davvero troppo cambiato per lavorare di nuovo con i colleghi al Jeffersonian, forse sarebbe finito ancora una volta in quel tunnel apparentemente senza uscita, ma con tutto quello che stava succedendo tutte le croci che si portava sulle spalle passavano in secondo piano.

Ad attenderlo ai parcheggi dell'aereoporto c'era l'agente speciale Emily Bratt. Non la conosceva di persona, ma di fama. A Quantico era molto apprezzata.

- Agente Booth.-

- Agente Bratt.- Si salutarono rispettivamente con una stretta di mano.

La giovane aggiornò il suo collega sul caso, riportando meticolosamente dati, testimonianze ed interrogatori.

- Vuole che la lasci al quartier generale?-

- Preferirei al Jeffersonian; c'è una persona che...mi vorrà vedere.- Sospirò l'uomo.

Il Jeffersonian non era cambiato: sempre il solito buco di matti. Le pareti grigie, le porte a vetri, i macchinari sofisticati ricordavano simpaticamente l'interno del TARDIS di Doctor Who.

Gli occhi scuri di Seeley Booth si muovevano rapidi posandosi attentamente su ogni faccia incontrata, ricevendo in cambio sguardi perplessi che lui percepiva come accusatori.

In fondo al corridoio sentì delle voci familiari.

- Quindi ha fabbricato una bomba artigianale nella sua camera?- disse Bones incredula.

- Già. Mi dispiace per il trambusto creato tesoro. Quel ragazzo mi fa impazzire, diventerà pericoloso come il padre!- ridacchiò Angela.

- Se tutti i padri fossero come Hodgins, il mondo sarebbe popolato da persone migliori.-

- E tutte riccioline e barbute!- rise l'amica.-

la sua battuta non ebbe l'effetto sperato. Bones rimase rigida come una statua di marmo. Gli occhi di ghiaccio fissavano attenti il fantasma davanti a sé, che ricambiava il suo sguardo con altrettanta eloquenza.

Bones era bella. Nonostante lo scorrere delle stagioni i suoi lineamenti non erano appassiti. Aveva i capelli biondi, come quella volta che era scappata con Christine e lui l'aveva rivista solo dopo tanto tempo; semplicemente irresistibile. Malgrado fossero passati undici anni la donna conservava perfettamente quella bellezza ed eleganza esotica che a suo tempo l'aveva fatto impazzire. Potevano trascorrere anche mille anni, ma quelle strette allo stomaco che quella donna gli provocava erano sempre le stesse.

- Ehi...ehm, Bones...wow...Hai cambiato colore dei capelli. Biondo, biondi...ok.- Sbiascicò Booth.

Bones si accorse di avere la bocca spalancata, imbarazzata riuscì a dire:

- Sono cambiate molte cose. Tu che ci fai qui?-

- Sono qui per aiutarti, aiutarvi, con il caso.-

- Ma io non ti ho chiamato! Questo è uno scherzo di cattivo gusto, chi è stato?- Urlò Brennan guardandosi intorno. Il suo sguardo accusatorio zittì immediatamente la platea, tutti meno che il colpevole.

- Sono stata io.- disse Camille sicura di sé. Si mosse ancheggiando verso Seeley Booth:- Ciao Seeley. Spero tu abbia fatto un buon viaggio.- disse baciandolo sulle guance, sotto gli occhi di un'esterrefatta Temperance Brennan. Continuò: - L'agente Bratt ti avrà già fornito i “rudimenti del caso”...-

- Cosa? Bratt lo sapeva!?- irruppe Bones furiosa. Booth prese la parola: si era reso conto di essere al centro di una situazione imbarazzante ed era fondamentale chiarire la propria posizione: - Senti Bones io...-

Cam lo fermò: - No Seeley, non ti devi giustificare: ora parlo io. Ho deciso di chiamarlo perchè come te conosce il becchino alla perfezione; perchè può esserci d'aiuto nel caso, perchè è il più bravo agente che abbia mai conosciuto. L'ho chiamato perchè nonostante tutto riesce sempre ad essere professionale e obbiettivo e sembra che tu, dottoressa Temperance Brennan, abbia momentaneamente perso queste facoltà. L'ho chiamato perchè tu, con le tue ossessioni avresti trascinato il Jeffersonian, la tua famiglia e anche te stessa al punto massimo di esasperazione, un punto di non ritorno. In qualità di tuo capo, non posso permetterlo. Perciò o decidi di seguire le regole che IO ho imposto, oppure puoi anche prendere la tua roba e andartene, siamo intese!?-

I volti delle due donne erano a distanza ravvicinata, i loro occhi, taglienti come lame, si rispecchiavasno gli uni negli altri. Entrambe potevano sentire i loro respiri, ma nessuna delle due voleva mollare la presa.

Nello studio non volava una mosca, la tensione era palpabile. Cam si rese conto di aver rischiato molto, conoscendo l'antropologa sapeva che se ne sarebbe potuta andare da un momento all'altro pur di accettare una sconfitta. Eppure continuò a fissarla in attesa di qualche mossa.

Invece, inaspettatamente, Temperance Brennan abbassò lo sguardo assumendo un'espressione di disagio.

- Ti aspetto domani. Sii puntuale.- disse sommessamente a Booth prima di eclissarsi nella penombra del suo ufficio.

_______________________________________________________________

 

-Ho paura. Non sono sicuro di farcela.-

- Il segreto di una buona riuscita risiede nel saper dominare la paura al momento opportuno.-

- L'ho fatto. Ho eseguito tutto quello che mi hai chiesto alla perfezione. Eppure ci hanno quasi scoperti. Non credo di potere...-

- Coraggio, la tua mamma è qui e non se ne andrà, MAI. Andrà tutto bene. Anche Bones ha una debolezza dopotutto.-

- Quale?-

 

 

La madre è orgogliosa del figlio che è salito in alto, ma darebbe la vita per l’altro: per il figlio senza fortuna.”

 

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Capitolo 12
*** Colpi di testa ***


Capitolo 12

 

COLPI DI TESTA

18 Marzo

Era passato più di un mese e del Becchino, o chiunque per lui, si era persa ogni traccia. Bones cominciava a pensare che forse l'assassino era morto, menomato, scomparso.

- Forse mi sono immaginata tutto, forse la sua ossessione per me era soltanto una mia ossessione.-

- Non devi neanche pensarlo tesoro. Lo sai benissimo, quell'uomo è là fuori, prima o poi farà un passo falso e noi BUM lo prenderemo.- La rincuorò Angela.

“Questa frase l'avrebbe detta Booth” pensò Brennan sorridendo malinconica. Lei e Booth neanche si parlavano; si scontravano, si sfioravano, si scusavano imbarazzati, ma nulla di più. Si comportavano così da dopo l'ultima, ennesima, litigata. Booth insisteva per vedere le figlie, ma Bones non voleva. Non erano pronte, lei non era pronta a dividerle con qualcun altro, qualcuno che l'aveva fatta soffrire frantumando il suo cuore, la sua “fede” nel matrimonio, legame indissolubile basato sulla fiducia. Così Brennan delusa e disillusa, aveva negato al padre di vedere le sue bambine, così come lei si era negata il diritto di vedere Hazel Booth.

- Booth arriverà oggi?- chiese Angela porgendo alla collega una tazza di the fumante.

- Non lo so.-

_________________________________________________________________

Booth era solo.

Passeggiava nella nebbia, per i viali alberati di Washington ricordando un figlio, che esattamente un anno prima aveva deciso di lasciare questo mondo.

_________________________________________________________________

 

Hazel si era decisa: oggi era il gran giorno.

Aveva studiato a lungo il piano, procastinando sempre il momento della fuga, per una scusa o per un' altra. Aveva convenuto che il giorno della morte di Parker sarebbe stata una giusta ricorrenza per sapere la verità. Hazel prese uno zainetto e mise al suo interno una corda, un paio di merendine e qualche spicciolo per il pullman e spese extra. Si chiuse in bagno, girò la chiave della porta che emise un impercettibile click, che nessuno avrebbe notato. Tirò fuori la corda e la assicurò al lavandino, poi si calò cautamente giù fino al piano terra. Le guardie non controllavano quel - lato della casa proprio perchè le finestre più vicine erano al primo piano, quindi secondo loro non accessibili. La corda era appena sufficiente; con un saltino atterrò nel prato e corse furtivamente verso la strada. Camminò per un'oretta circa, fino a raggiungere quella che sembrava una fermata per l'autobus. Il pullman arrivò poco dopo.

- Scusi? Porta verso il centro?-

- Sì- rispose l'autista perplesso. Una bambina sola nella periferia della città era cosa rara, Hazel capì il suo sgomento:

- Mamma mi aspetta a Washington Square.- mentì lei, rassicurandolo. Scese dalla porta in fondo, senza farsi notare. La città era trafficata, ma sapeva bene come muoversi, arrivò fino al Lincoln memorial, una serie di cabine telefoniche rosso fiammante era posta sulla via principale.

- Pronto?-

- Jasmine sei tu?-

- Hazel! Come stai? Meno male che sei viva...pensavo che l'assassino ti avesse ucciso! Ma, ma,...che numero è questo? Da dove chiami?-

- Da un telefono pubblico vicino al monumento di Lincoln. Aspetta. Come fai a sapere che qui c'è un assassino che vuole ucciderci?-

- Me l'ha detto papà al telefono. Lui e la mamma stanno cercando di catturarlo, insieme.-

- Coosa? Mamma e papà insieme a Washington!? Perchè io non so mai niente!?-

- Ah,...non lo sapevi. Forse è meglio che parli con lui allora.-

- No. Sì, boh, non so...ci parlerò, forse. Però io ti ho chiamata per qualcos'altro. Ho ascoltato i tuoi messaggi e...hai detto che sai com'è morto Parker.-

- E' vero, l'ho detto, ma forse ho sbagliato. Parla con papà: lui ti racconterà la verità. È giusto così.-

- Papà è un bugiardo e non mi fido più di lui. Di nessuno, neanche di Christine. L'unica su cui posso contare sei te. Sai...Parker è morto proprio oggi, perciò ti prego, non puoi non dirmi com'è andata veramente; devo sapere e tu sei l'unica che non mi abbia mai mentito!-

- Ok. Però devi giurarmi che non perderai la testa. Promesso?-

- Promesso.-

 

E' mezzanotte, ma non mi importa.

I Flyers hanno vinto ancora una volta e quei mangiapatate dei Red Hawks ingoieranno di nuovo la loro merda inglese. “God Fuck the Queens”. Luridi bastardi.

I Flyers regnano, ora e per sempre, quindi mi sembra doveroso festeggare. Forse tirerò le due, le tre, anche le sette e le otto, se mi va. Domani è sabato è ho tutta la giornata libera.

Flyers Flyers!”

Mi unisco al coro. Ormai questa è diventata una tradizione: quando si vince si festeggia, e nel migliore dei modi.

 

Sono le tre. È vero, sono brillo, ma non sono ancora stanco.

Quel cretino di Trevor Harlow mi ha invitato ad una festa in discoteca. Penso che ci andrò. Ballerò e festeggero ancora.

 

Sono le otto. Del mattino?

Mi rendo conto di avere un po' esagerato questa volta. Credevo di esserci abituato, invece mi sbagliavo. Ho la nausea; salgo in macchina e metto in moto. Casa è a pochi isolati da qui e ho bisogno di stendermi. Chiudo gli occhi abbandonandomi al dolce rombo del motore, ma li spalanco in fretta perchè qualcuno mi taglia la strada. Forse io gli ho appena tagliato la strada.

 

Quando li riapro non vedo nulla. Davanti a me c'è solo la strada vuota. Come doveva essere. Scendo dalla macchina e controllo.

Che cos'ho fatto. Dio mio. Che cos'hai fatto Parker Booth!?

La donna sotto le mie ruote non si muove.

Mi guarda e non si muove.

Riesco quasi a percepire gli ultimi battiti del fagottino che sta crescendo nel suo giovane grembo, non ancora nato e che mai nascerà.

Sto sanguinando, non me ne ero neanche accorto. Ora si che mi viene da vomitare.

 

- Parker ma dove sei?-

- Papà ho fatto un casino...-

- Da dove chiami? Stai bene?-

- Non ho fatto apposta...io non volevo. Credo sia morta, ma magari no; magari respira ancora. Arriva la polizia...forse ti chiameranno...papà...ho fatto un casino e non so che fare.-

- Parker. Parker!-

 

Papà è arrivato; mi guarda serio da fuori dalla cella dove sono rinchiuso. Come un criminale. Probabilmente lo sono.

Lo sceriffo dice che ci sarà un processo tra un po'. Guida in stato di ebbrezza, tasso alcolico alle stelle. Siccome sono il figlio di un “pezzo grosso” mi daranno gli arresti domiciliari, in attesa di una giusta condanna.

- Chi era la vittima?- chiedo. Estremamente professionale, ma interessato. Ho fatto bene? Forse sono ancora sbronzo.

- Sarah Walker. 24 anni. Felicemente sposata e in attesa. Suo marito sta arrivando a vedere la salma.-

Lo sceriffo sembra seccato. Forse non tollera i miei privilegi. Non è giusto che mi portino a casa. Non sono più innocente di un assassino qualunque. Ho ucciso due persone. E la vita di suo marito, dei suoi genitori, dei suoi amici. Merito di stare dove sono, ma non ho le palle per dirlo.

 

Mentre mio padre mi porta a casa piango. Per me, per lui, per loro. Mio padre non dice nulla; l'ho deluso, non lo merito. Chiudo gli occhi.

Vorrei scomparire. O forse, solo dormire.

Hazel è già a casa: vedo la sua cartella sul divano e le scarpette rosse buttate alla rinfusa. Papà la saluta come se niente fosse successo e mi guarda, si aspetta che anche io faccia lo stesso.

- Ciao Ranocchietta!- la saluto sorridente, scompigliandole i capelli castano chiaro.

Non ce la faccio. Non riesco a fingere. Aspetto quanto basta, poi corro in bagno e vomito, vomito tutto. Anche lei quando scoprirà la verità mi guarderà con occhi diversi, come un mostro. Ed è quello che sono.

Mio padre mi raggiunge in bagno. Deve tornare al lavoro. Sì, la brava gente lavora anche di sabato. Non se la sente di abbracciarmi, di toccarmi, di guardarmi.

- Rifletti.- mi dice solamente: RIFLETTI.

 

Sono le tre del mattino, di due giorni dopo. Ho riflettuto. So che niente, neanche la prigione, riuscirà a lenire il mio senso di colpa, che mi sta divorando dentro, come una malattia.

Devo fuggire, metaforicamente suppongo. La testa mi scoppia, mi sento marcio, avariato, devo dormire. Sono stanco ma non riesco a chiudere gli occhi, non più; non riuscirò a dormire per un po' credo.

Non ho altra soluzione.

Non penso che Nostro Signore, Buddha, Allah, si curino di un assassino come me: non è nella loro economia.

Fisso una corda alla ringhiera di ferro, poi me la passo intorno al collo.

Niente più scuse, niente più privilegi, niente più sensi di colpa.

Sarò io il giudice di me stesso.

E ho scelto.

Mentre salto chiudo gli occhi; finalmente riuscirò a dormire.

 

- Hazel sei lì?-

- Sì.-

- Stai piangendo?-

- Mi sembra il minimo.-

- Non so cosa dire, mi dispiace.-

- No, non dirlo. Tu non hai fatto niente, anzi sei stata sincera con me. Odio i grandi.-

- Perche?-

- Perchè credono di sapere tutto. Credono di poter decidere tutto. “Questo lo puoi fare, quello no, questo lo puoi sapere, ma quello no”. Credono di essere chissà chi, ma in realtà sono solo dei bugiardi.-

- Qualche volta li odio anche io. Tipo la mamma, lei è una bugarda, una mezza-bugiarda, perchè si capisce subito quando dice una balla. Quando le ho chiesto di te, papà e Parker mi ha persino detto che eravate morti in un incidente stradale!-

- Cosa?!-

- Sì, ha detto proprio così, ma l'ho guardata negli occhi e ho capito subito che stava dicendo una bugia; così ho frugato un po' tra le sue carte e beh, la storia la sai già...ma...Hazel!? Sei ancora lì?-

Aveva riattaccato.

Magari era caduta la linea, può succedere con gli apparecchi pubblici. Aspettò una sua chiamata, che non avrrivò. Poteva esserle capitato di tutto: potevano averla investita o rapita o magari era solo ritornata a casa. Qualsiasi cosa fosse successa c'era solo un' opzione sensata.

Il telefono di Booth trillò fastidiosamente, disturbando la quiete della nebbia mattutina. L'uomo si affrettò a rispondere, quasi come per scusarsi con i cipressi di aver contaminato quella distesa naturale con quell'affare poco ortodosso. Gli sembrò di rivivere un Deja vù.

- Pronto.-

- Papà ho fatto un casino...-

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Seleey Booth irruppe correndo al Jeffersonian. Le porte a vetri erano fin troppo lente per lui che cercò di aprirle con la forza dando sonore spinte alle vetrate. Di conseguenza partì l'allarme che scatenò dissensi e commenti spiacevoli verso la sua persona, ma lui non se ne curò.

- Sei impazzito?!- strillò Bones incredula.

- Ho bisogno...- ansimò l'uomo: - Ho bisogno di vedere Haz...Jasmine e Christine.-

- Ne abbiamo già parlato Booth, io...-

l'uomo la prese deciso per le spalle: - Dove sono? Dove sono le MIE figlie!!!-

Bones fissò i suoi occhi scuri e dilatati. Provò paura, amore, fiducia, timore, un mix di emozioni che la misero a nudo di fronte a lui.

Era disarmata.

Le parole uscirono da sole dalla sua bocca: - Norfolk, Virginia. 27, Dewey.-

Booth mollò la presa.

- Sono in pericolo?- disse la donna. Ma il suo uomo era già sparito.

_________________________________________________________________

Il campanello di via Dewey suonò mezz'ora dopo. Un bodyguard sbirciò all'occhiello e quella che vide fu la faccia seria di Seleey Booth su un cartellino del FBI. Con un po' di titubanza aprì.

- Dov'è mia figlia?-

- Papà?- disse Christine spalancando la bocca: - Non credevo di vederti ora...qui. Eravamo rimasti d'accordo per le vacanze estive. Va tutto bene?-

- Non esattamente. Hazel è tornata?-

- Hazel è sparita questa mattina, sai dov'è?-

- No, ma Jasmine le ha detto di Parker.-

- Oh cavoli. E si è arrabbiata?-

- Penso proprio di sì. Adesso è scappata e nessuno sa dove sia. -

- Oh beh, si potrebbe supporre. Se io fossi nella testa di Hazel andrei a parlare con la persona che mi ha mentito per tutto questo tempo, cioè te. E avrebbe anche ragione...però lei pensa che tu sia in California, quindi dovrebbe andare lì. Non regge molto...-

- Già. Non credo che ne sarebbe capace...inoltre lei sa che sono qui; Jas gliel'ha detto. Però...c'è un'altra cosa. - disse Booth abbassando lo sguardo: -Jasmine le ha detto del nostro “presunto incidente” e questo l'ha fatta arrabbiare, molto.-

- Capisco. E ha ragione; anche io lo ero dopo che vi siete lasciati. Senza contare che il vostro accordo fa veramente schifo. Io ero già grande e ho avuto la possibilità di scegliere e ho scelto tutti e due, ma loro no. Hazel e Jasmine sono cresciute già divise, senza sapere il perchè, in una rete di menzogne,...-

- Hai centrato il punto Christine. Quando tutto sarà finito ti prometto, TI PROMETTO che cambieremo le cose. Ora però dobbiamo trovare Hazel.-

- Beh, se Hazel ce l'ha con la mamma sarà sicuramente andata a parlarle.-

- Hai ragione! Sei un genio Christine. Dovrei parlare più spesso con te e lo farò!- disse Booth raggiungendo trafelato l'uscio.

- Ma è in pericolo?- chiese la figlia preoccupata.

- Può darsi...può darsi.-

_________________________________________________________________

Intanto al Jeffersonian un gruppo di tecnici cercava di riparare la porta che un “iracondo agente del FBI” aveva poco prima distrutta. Avevano appena aggiustato il sistema d'allarme quando suonò di nuovo.

Temperance Brennan uscì seccata dal suo ufficio, aspettandosi un altro lamentoso tecnico di sistema, invece trovò sua figlia. Hazel Booth.

- Jasmine, che ci fai qui? A casa ti stanno cercando tutti.-

- Devo parlarti.- disse la figlia non curante di ciò che aveva appena detto sua madre.

- Ora?- Bones non potè far altro che accontentare la figlia che restava impassibile davanti a sé. Si sedettero nel suo ufficio. Qualcosa non andava e lciò la preoccupò: - Allora...- disse nervosa.

- Parlami della mia famiglia.-

- Jasmine, non capisco cosa...-

- Parlami di mio padre, mia sorella, mio fratello.-

Bones sospirò: - Tesoro ne abbiamo già parlato. Sai cosa è successo.-

- Ancora.- disse Hazel a denti stretti: - voglio sentirtelo dire un'altra volta.-

- Va bene. Era dicembre. Tu eri rimasta a casa con me e Christine. Aveva una brutta febbre e l'ha passata a te. Il dottore aveva tassativamente ordinato di tenerti al caldo, perchè i neonati soffrono molto quando stanno male. Tuo padre, tua sorella gemella e tuo fratello sono andati in macchina verso il bosco per comprare un albero di Natale. Faceva freddo e le strade erano ghiacciate. Un cane randagio gli ha tagliato la strada; tuo padre Seleey Booth ha perso il controllo dell'auto che si è ribaltata in un fosso. Nessuno è sopravvissuto.-

- Un cane?- la provocò Hazel.

- Un cane, un gatto, un cervo,...non ricordo. Che differenza può fare ormai?- Bones alzò la voce; non era mai stata brava a mentire e avrebbe desiderato chiudere al più presto possibile quella scomoda conversazione. Fissò la figlia, occhi e pugni serrati. Si avvvicinò per consolarla.

- Non toccarmi.- disse Hazel scostandosi repentinamente.

- Ma cosa ti prende?-

- Sei una bugiarda, ecco cosa sei. Stai così tanto con i tuoi morti che ormai sono la tua famiglia. E gli altri non fanno differenza, non contano niente. Per me contano invece. Papà esiste e respira, come Hazel, ma Parker no. Parker è morto, Parcher si è...Parker è un bugiardo, come tutti gli altri e ora non c'è più. Ma tu non eri lì, non ci sei mai stata, perciò non osare dire un' altra parola su di loro o...-

- Hazel, adesso basta!- la interruppe Seleey Booth.

- Papà!-

- Cosa?-

- Dobbiamo parlare.- disse l'uomo avvicinandosi. Bones li guardava esterrefatta. Chi era veramente quella bambina?

- Non voglio più ascoltarti. Sai dire solo bugie, per tutto questo tempo mi hai riempito la testa di sciocchezze e io ci ho creduto. Con te non ci parlerò mai più. Vorrei non avervi mai incontrato, vorrei...vorrei non essere mai nata!-

Hazel cercò di scappare, ma il padre la bloccò per un braccio, impedendole la fuga.

- Lasciami!- gridò la bambina cercando di divincolarsi dalla forte stretta di Booth. Bones assistiva impietrita nell'angolo del suo ufficio. Si era sempre considerata una donna intelligente, ma...in tutti questi mesi non aveva capito niente.

Non aveva capito proprio niente.

Hazel afferrò la prima cosa che aveva a portata di mano, trovò un baker sulla scrivania e lo frantumò sulla tempia del padre.

Seleey Booth lasciò la presa e cadde a terra; mai si sarebbe aspettato una simile reazione dalla sua bambina. Anche Hazel cadde all'indietro, picchiando i gomiti sul freddo pavimento del Jeffersonian. Si rialzò in fretta, sorpresa anche lei di ciò che aveva appena fatto. Non sapeva cosa fare. Lacrime e tremori incontrllabili saggiarono tutto il suo corpo. Volò verso la porta. Suo padre era ancora a terra dolorante.

- Aspetta!- riuscì a dire Bones.

Hazel si voltò e la guardò: - TI ODIO.- le disse prima di sparire.

 

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Hazel correva, la penombra di Marzo si sarebbe presto trasformata in buio pesto, ma lei correva senza fermarsi. Non voleva tornare a casa ne vedere nessuno, almeno per un po'. Certo non era così stupida da passare la notte fuori, anche perche sarebbe morta di freddo, ma al momento aveva bisogno di riflettere e di schiarirsi le idee. Aveva picchiato suo padre; non aveva fatto apposta, o forse sì? Era come se per un momento fosse diventata qualcun'altra, qualcuno di sconosciuto, non era riuscita a controllarsi e la cosa le faceva paura. Sì sentì sporca, colpevole. Alla fine, l'unica da biasimare in tutta questa storia era lei. Lei e i suoi modi violenti.

Si sedette sulla panchina verde di un parco qualsiasi, di una via qualsiasi di Washington. Si rannicchiò con le ginocchia al petto e pianse. I singhiozzi le bruciavano in gola come braci ardenti facendola sussultare ogni stramaledetta volta. Cancelliamo Parker, cancelliamo Temperance Brennan, Seleey Booth, Washinghton, California, cancelliamo tutto.

 

- Tutto bene bambina?- le disse un uomo accorgendosi di lei.

- Sì, no...non so...non proprio.-

- Vuoi parlarne?- disse l'uomo con il cappotto nero sedendosi vicino a lei.

- Proprio no.-

- Va bene così. E hai intenzione di stare qui da sola tutto il tempo senza fare niente?-

- Magari sì.-

- Senti bambina, vorresti aiutarmi?-

- Non so. Posso?-

- Certo. Ho perso il mio cane, è grosso, un alano. È scappato pochi minuti fa e non è più tornato.-

- Dovrei tornare a casa. È tardi.-

- Oh, ma non sarà difficile trovarlo, vedrai...-

- Facciamo in fretta?-

- Sarà un'azione TEMPESTIVA.-

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Capitolo 13
*** Bluff ***


Capitolo 13

BLUFF

19 Marzo ore 8,00

 

- Per tutto questo tempo...lei era lì, lei è stata Hazel e io non me ne sono accorta..-

- Tesoro, non credo che...-

- E tu! Tu non mi hai detto niente!-

- Oh beh, se mi avessi lasciato parlare...-

- Ragazzi, non credo che litigando possiate risolvere la cosa. Allora, cominciamo da capo.-

Tutti, Booth, Bones, Cam, Hodgins, Angela ed Emily Bratt erano seduti al tavolo rotondo di ciliegio, cercando di pensare cosa fare, o ad escludere l'improbabile.

- Ripetimi ancora, perchè non chiamiamo la polizia?-

- Perchè non sono ancora passate ventiquattro ore e poi non è detto che sia stata rapita. Insomma Hazel è intelligente...-

- Ma è assurdo. È una bambina! La polizia dovrebbe attivarsi subito.-

- Voi siete la polizia.- disse acidamente Jack – Io vado a cercarla, Cam, con permesso.-

Camille si scostò e decise di non obbiettare a differenza dell'agente Bratt che obbligò l'uomo a cercare la bambina con lei perchè “era compito dell'agente incaricato”.

- Io e Angela chiameremo tutti gli ospedali di Washington, anche le chiese, le case famiglia e anche le stazioni di polizia se è necessario. Voi piuttosto dovreste riposare.- disse la dottoressa Saroyan prima di lasciare la stanza con Angela.

- Forse dovresti andare a casa, stenditi un po', non hai chiuso occhio stanotte.-

- Non sono stanca. E neanche tu ha dormito.-

- Senti Bones, entrambi abbiamo commesso degli errori e ce ne facciamo una colpa, e ci diamo la colpa a vicenda, ma adesso...non siamo più solo noi due, la faccenda, il caso, il becchino, tutto ciò va oltre noi due quindi che ne diresti di sotterrare l'ascia di guerra per un po'?-

Bones lo guardò negli occhi; i suoi, azzurro ghiaccio, rispecchiandosi in quelli del suo uomo si tinsero di blu come l'oceano. Le sue sopracciglia, dapprima corrucciate si distesero.

- Mi dispiace per Parker.- disse.

- Lo so.- rispose lui.

- Dico davvero.-

- Lo so.-

Il loro momento di quiete fu interrotto dallo squillo del telefono di Bones. SCONOSCIUTO.

Brennan e Booth si guardarono, lo lasciò squillare quanto bastava, il tempo per collegarsi all'apparecchio e stabilire la provenienza del mittente.

- Pronto.-

- Mamma, mamma non ascoltarlo...è una...- Rumori di fondo. Forse la stava picchiando.

- Hai sentito? - disse la voce metallica.

- Ho sentito. Lasciala andare.-

- Oh sì lo farò, ma sai, al giorno d'oggi mi aspetto, come dire, una garanzia. Qualcosa in cambio.-

- Cosa?-

- Sono sicuro che a questo punto del gioco dovresti saperlo.-

Del gioco? Per lui era solo un gioco!? Bones chiuse gli occhi e strinse i pugni cercando di mantenere la lucidità.

- Sì. Vuoi me giusto? Bene, faremo uno scambio. Ora fammi parlare con mia figlia.-

- La Fabbrica abbandonata di Winston Church. Raggiungi il reparto di siderurgia, ci troverai lì. Niente polizia. Niente FBI, niente armi, o lei morirà.-

Bones guardò Booth che fece cenno di aspettare e le porse un foglietto: Non digli di Hazel e me. Bones esitò.

- Va bene accetto. Quando?-

- Stasera alle 21.-

- Fammi parlare con Jasmine ora!-

Ma l'assassino aveva già riattaccato.

- Niente da fare,- sospirò Booth – il cellulare non è usa e getta, ma il segnale si sposta continuamente da un satellite all'altro; deve averlo craccato o roba simile.-

- Quindi siamo al punto di partenza?-

- Non proprio, no. Ora sappiamo che quest'uomo è fortemente attratto da te, al punto che ha rapito Hazel per poterti avere, ma non succederà.-

- Cosa vorresti dire? - disse la donna.

- Allo scambio non andrai tu, ci andrò io.-

- Lo escludo. Quell'uomo se ti vede l'ammazza. Non ha scrupoli.-

- Rifletti Bones. Lui non sa che sono qui, quindi non si aspetta di vedere il padre di Jasmine al tuo posto. Abbiamo l'effetto sorpresa. Lui andrà nel panico e noi...lo prenderemo.-

- No.-

- Fidati di me Bones, come una volta.-

- Ho detto di no.-

- Perche?-

- Perchè...perchè non voglio perderla di nuovo!-

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h.20,58

 

- Bones, sto entrando.- disse Seleey Booth.

- Lo vedo.- rispose Brennan dal Jeffersonian. Avevano raggiunto un accordo.

- Questa cosa che ho in testa è troppo ingombrante. Si toglierebbe se dovessi...-

- Va avanti.- rispose la donna.

L'agente si guardò intorno in cerca della porta che l'avrebbe condotto al reparto di siderurgia. Inavvertitamente urtò con il piede un tubo di piombo e per poco non perse l'equilibrio.

- Fai attenzione!-

- E' un casino qui dentro...-

Raggiunse la porta e l'apri. Il locale era molto grande. Hazel poteva essere d'ovunque. Gli ingranaggi, gli attrezzi di saldatura, le macchine, i banchi degli operai...tutto trasudava ruggine ed umidità. Booth ruoto il capo lentamente in modo che anche Bones sopra di lui potesse vedere.

- Toc toc.- ringhiò una voce metallica: - Non è educazione bussare? Agente Speciale Seleey Booth?-

Bones sussultò portandosi le mani alla bocca. Sapeva che non poteva parlare, o Booth sarebbe stato in pericolo.

- Con te ne faccio anche a meno – rispose il suo uomo: - Sono venuto per riprendermi una cosa che è mia.- disse, scrutando attentamente la stanza. Il suono di quela fastidiosa voce lo spinse a muoversi in diagonale. Tirò fuori l'arma dal cinturone e la impugnò saldamente.

- Non so Seleey. Gli accordi non erano questi,...hai voluto “bluffare”, ma ahimè sono più bravo di te.-

- Dici?-

- Ops, ho detto bluffare? Non volevo offendere nessuno. Scusa se ho risvegliato in te brutti ricordi e spero che la ex signora Booth non sia rimasta turbata. È per questo che ti ha lasciato?-

Booth era a pochi passi da quel bastardo, sentiva la sua voce pungente scorrergli lungo le vene del collo, rigonfie di rabbia. La cosa lo stava facendo incazzare.

Scostò le tende di tessuto-nontessuto bianche e si avvicinò ancora di più.

- Io so tutto. È incredibile cosa si possa fare al giorno d'oggi con un computer...-

Seleey Booth spaccò con un calcio netto. L'apparecchio metallico dal quale proveniva la voce.

- incredibile sì.- disse l'uomo.

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h. 22,30

 

- Vaffanculo! Maledetti bastardi.- disse l'uomo vestito di nero rientrando in casa; si tolse il cappello, mostrando il capo, lievemente spempiato.

- Ti hanno quasi preso eh?! - disse Hazel mostrandosi più spavalda possibile.

- Chiudi quella bocca.-

- Te l'avevo detto, c'è da avere paura! Tutti i tuoi computer non ti serviranno a niente perchè loro sono mille volte più bravi di te!-

- Tuo padre...tuo padre non doveva venire!- sibilò l'uomo stringendola per i capelli: - Se non si fosse presentato a quest'ora il mio piano sarebbe già concluso!-

- Mio padre è il migliore ti cercherà dappertutto, verrà a salvarmi e tu finirai in prigione. Che bel finale per il tuo teatrino eh?!-

l'uomo stava per sbatterla a terra, quando improvvisamente si bloccò; la lasciò andare, inforcò con molta calma un paio di occhiali da vista e fissò Hazel. Sul suo volto apparve un sorriso malizioso che la fece rabbrividire.

- Un'idea eccellente.-

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h. 23,40

 

- Non la ucciderà...-

- Come fai ad esserne sicuro? L'accordo non è stato rispettato e potrebbe vendicarsi.-

- Beh, è decisamente arrabbiato, adesso commetterà un passo falso.-

- A spese di chi? Hazel? Magari le farà del male, magari la ucciderà.-

- O magari lo prenderemo in tempo. Dobbiamo avere un po' di fiducia Bones.-

- Qualcuno mi ha insegnato chè la fiducia è solo un'amara illusione. Cerco di pensare solo ai fatti da allora...- disse Brennan irritata.

- Ed ecco che ricominciamo. Vuoi davvero litigare proprio adesso?-

- Sì Booth. Ma proprio non ti accorgi? Discutiamo sempre per i tuoi...per i tuoi “casini”. Proprio non so come altro chiamarli...-

- Cosa? I MIEI casini? Se tu non avessi fatto quell'accordo del cazzo undici anni fa ora...-

- Ora le gemelle sarebbero tutte e due nelle mani di quel verme, per colpa tua...-

- E questo sarebbe uno dei tuoi “dati di fatto”?!-

- Ehm ehm, scusate- tossicchio Angela: - E' arrivata una mail sulla mia casella, però c'è scritto che è per te...dal...da lui.-

- Andiamo.-

 

 

Il video raffigurava una stanza buia, non c'era molta luce, ma si poteva benissimo intravedere un uomo dal volto coperto e una bambina, la sua bambina, Hazel Charlotte Booth; tremante, legata, con una benda sulla bocca, per impedirle di parlare, perchè lei avrebbe parlato. Seleey Booth la guardò allarmato: seduta, con mani e piedi legati, serrava i pugni, perchè faceva così quando aveva paura. Poi osservò Bones, nell'identica posizione della figlia fissava impietrita lo schermo del computer di Angela: - Ma...è in tempo reale?- sussurrò.

 

Buonasera dottoressa Brennan, Booth. Jasmine, cara, saluta la tua famiglia.”

Hazel cercò di liberarsi, ma invano; le corde le bloccavano caviglie e polsi, impedendole qualsiasi movimento.

Pensate che io sia stupido? Credete che sia qui a farmi beffare da voi? Ora vi dimostrerò che non sto giocando!”

l'uomo in nero sparì dall'obbiettivo; ritornò subito dopo con un martello in mano. Booth capì e distolse lo sguardo; l'uomo mascheratò impugnò l'attrezzo al contrario e con il manico di legno colpì di striscio lo zigomo della bambina che strillò di dolore.

- Lasciala andare bastardo!- gridò Bones battendo i pugni sulla sedia. Booth le prese il viso cercando di calmarla.

- Bones, Bones, ascolta: è un video già registrato quindi non può sentirti. Ora fa come dico io: esci da questa stanza e rimani con Angela. Stai sempre con lei. Ti raggiungerò quando sarà finito.-

- No! Io rimango qui! È mia figlia.-

Avevamo un accordo. Come mai non l'hai rispettato?”

L'uomo sferrò una sonora martellata, fratturando lo stinco di Hazel, che svenne per il dolore. Il suo volto penzolò sul lato; piccole gocce di sangue innocente colarono ul pavimento.

- No! Ti prego!- mormorò Bones. Calde lacrime solcavano le sue guance, accese dall'emozione.

Io invece mantengo sempre le promesse, quindi...Riposa in pace Jasmine Booth.”

E si voltò verso la bambina.

- No, no, no!- Bones fuggì dalla stanza. Cercò di raggiungere il bagno, ma le gambe non ressero il tragitto. Cadde in mezzo al corridoio e rimase lì, a terra rannicchiata, in posizione fetale, con la vana speranza che fosse tutto un sogno, un brutto incubo. Cominciò a singhiozzare: se fosse stata più presente, se non avesse pensato solo alla sua carriera, forse ora avrebbe trascorso molti più momenti con Hazel, prima che lei...prima che lei...

Una mano calda si posò delicatamente sulla sua spalla.

- Bones...-

Brennan restò seduta, per terra; guardò con gli occhi gonfi di lacrime il suo uomo. Nel suo sguardo non c'era odio, solo pietà. Nuda e sincera pietà.

- E' morta?- chiese con voce rotta, in cerca di risposte.

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Capitolo 14
*** Caleidoscopicamente ***


14. Caleidoscopicamente
Seeley Booth la sollevò da terra e la accolse tra le sue possenti braccia, Bones non si oppose a questo gesto paterno; si strinse a lui aggrappandosi con tutte le sue forze al suo collo taurino, sembrava leggera, inconsistente, vuota.
- La porto a casa…- sussurrò. E uscì dall’ufficio. Se Hazel era viva? Non lo sapeva. Se aveva sbagliato a presentarsi al posto di Bones? Non sapeva nemmeno quello. Aveva bisogno risposte quanto lei, ma in questo momento la priorità principale era pensare a Brennan, così piena di sfaccettature, così forte da riuscir a smuovere montagne, ma al contempo ricca di rimpianti e fragilità. Durante il tragitto non parlarono molto: Bones, adagiata sul sedile posteriore singhiozzava mestamente fissando il soffitto del Suv nero, con lo sguardo vacuo. Chi non la conoscesse direbbe che stava pregando, ma Booth la conosceva più che bene per capire che nonostante la stanchezza, la disperazione, il cervello di Bones stava riorganizzando le idee per recuperare un indizio, qualcosa che le era sfuggito. Così sì limitò a guidare fino a casa, la loro vecchia casa.
- Bene…-
- Booth…-
- Io…è meglio che vada a lavorare. Ti lascio qui.- disse l’uomo con lo sguardo fisso sul terreno.
- Booth rimani con me stanotte. Non lasciarmi sola.-
- Bones, dai…-
- Ti prego…- lo interruppe lei. L’agente alzò lo sguardo incontrando quello di lei. La odiava, per quello che gli aveva fatto, ma non poteva far a meno di amarla, proprio perché era lei. Sospirò, le prese la mano ed insieme entrarono in quell’edificio fatto di ricordi.
 
Bones si alzò dal letto ancora caldo e si chiuse in bagno, l’uomo che era al suo fianco si mise a sedere, stropicciandosi la faccia con le mani.
- Che cosa significa?-  disse alla donna.
Bones uscì dal bagno, si era messa addosso la sua camicia, che scendeva lunga fino alle cosce, lasciando intravvedere le curve del suo corpo nudo. Lo guardò, seduto sul letto, con quell’espressione seria, bello come la prima volta, forte, determinato.
Il suo porto sicuro.
Si infilò sotto le coperte di fianco a lui.
- Undici anni fa. Mi hai ferito a morte…lo sai?-
Booth la lasciò continuare.
- Credevo avessi superato la tua dipendenza dal gioco, invece, quello strozzino è arrivato a casa all’improvviso,…ha guardato le nostre figlie, ci ha minacciate e…tu non c’eri. Ho pensato che se fossero morte non avrebbero neanche saputo il perché; che razza di padre è uno che mette in pericolo la sua famiglia? Così ho preso la decisione più giusta, me ne sono andata e ho chiamato l’avvocato.-
- E mi hai ferito a morte…- la interruppe pacatamente Booth: - Avevo bisogno di te, delle bambine per uscirne e tu lo sapevi, eppure te ne sei andata lo stesso. Non voglio giustificarmi, perché niente cancellerà mai quello che ho fatto, ma…cazzo Jered è morto tra le mie braccia…tra le mie fottute braccia. Hai idea di come possa essere stringere un fratello, cercare di afferrare la sua vita, la sua anima, con la consapevolezza che sarà tutto inutile? Avevo bisogno di aiuto.-
Bones gli prese la mano: - Ma Booth, io potevo aiutarti, se solo mi avessi parlato…-
- Ci ho pensato molte volte a dirti la verità, ma quando tornavo a casa dal lavoro e vedevo te che giocavi e scherzavi con le nostre tre splendide figlie e non vedevi l’ora di raccontarmi la vostra giornata,…era tutto troppo perfetto, troppo bello per me e con i miei problemi avrei sicuramente rovinato tutto, così un giorno sono andato al bar e…il resto è venuto da sé.-
- Oh, Booth. Se l’avessi saputo prima, non avrei lottato per la tutela esclusiva, e sicuramente avremmo cercato un accordo più…-
- Meno stupido.- sorrise lui.
- E come…come sei riuscito ad uscirne?- chiese titubante lei.
- Avevo Hazel e Parker. Volevo garantire loro un futuro migliore del mio. Sono stati il mio centro, ciò che mi ha sempre spinto ad andare avanti, la mia famiglia. Volevo essere perfetto per loro, proprio come loro erano perfetti per me.-
- E Parker?-
- Parker era già grande quando ci separammo…è stato la mia ancora, la spalla su cui piangere e sfogarmi e mi rendo conto che forse l’ho caricato di troppe responsabilità. Perciò come me anche lui tentava di scappare, di evitare i problemi, finchè un giorno si è trovato faccia a faccia con essi ed è…fuggito di nuovo. Parker si è…è difficile per me dirlo…suicidato.- disse tremante lui.
- Mi dispiace.-  disse Brennan dopo un attimo di silenzio, carico di sfumature.
- Per Parker? Lo so.- rispose lui fissando il vuoto.
Bones si strinse a lui e si mise sotto le coperte, Booth ricambiò quell’abbraccio cingendola per i fianchi e appoggiando delicatamente il mento nell’incavo del suo collo candido.
- Per non averti mai ascoltato.- rispose lei.
- Mi dispiace di averti deluso.- le sussurrò nell’orecchio.
Bones gli prese le mani e se le portò al petto. Booth si accoccolò attorno a lei e la baciò, con la consapevolezza che non l’avrebbe più lasciata.
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Bones aprì gli occhi a fatica, una striscia di sole mattutino le illuminò le guance rigate dalle lacrime versate la sera precedente. Per un attimo quella le era sembrata una mattina normale, come tutte le altre; si sarebbe alzata e avrebbe preparato la colazione ascoltando Christine e Jasmine litigare su chi avesse il diritto di occupare il bagno per prima, per poi usarlo in comune, come tutte le mattine. Ma le sue figlie erano lontane, la casa stranamente silenziosa e il cielo meno blu di quanto avesse sperato. Allungò un braccio in cerca di Booth; non era lì con lei. Lo chiamò senza ricevere risposta; se ne era andato, ancora una volta e lei era rimasta sola.
- Booth?- lo richiamò.
L’uomo entrò in camera da letto reggendo un vassoio della colazione:
- Buongiorno Bones.- si chinò su di lei e le diede un bacio sulla guancia ancora calda.
- Che ore sono?- chiese lei gustandosi un cornetto.
- E’ importante?-
- Saremo in ritardo per il lavoro…-
- Possiamo anche non andarci sai? In fondo lo capirebbero tutti se…-
- Booth! Ma Hazel? Non ci pensi a lei? Se dovesse…-
- Se dovesse…?- Booth smise di mangiare aspettandosi l’ennesima discussione.
- Se dovesse ESSERE VIVA, noi dobbiamo trovarla.-
Booth cercò di trattenere un sorriso di compiacimento , che sicuramente l’avrebbe irritata, le porse una tazza di caffè: - E cosa ci impedirebbe di trovare Hazel anche da qui?-
Bones sospirò rassegnata. Booth si alzo dal letto e uscì dalla stanza, vi ritornò poco dopo con un grosso rotolo di carta, forbici, scotch e pennarelli.
-Booth, ma che stai facendo?- rise Bones divertita.
- Vedo che nonostante siano passati undici anni alcune cose rimangono sempre allo stesso posto!- Booth tagliò un grosso pezzo di carta e lo appese con lo scotch al muro, poi prese un pennarello e al centro di esso scrisse una sola parola: SCONOSCIUTO.
- Bene. Cominciamo.-
 
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- Hai avvisato Angela? E Cam?-
- Sì.-
- E anche…-
- Anche Christine…e ha chiamato Jasmine in California, è allarmata, come ci si poteva aspettare, ma al sicuro. Ti saluta.
- Vogliamo cominciare?-
- Perfetto. Cominciamo dai fatti: la prima vittima.-  scrisse sulla lavagna improvvisata.
- E’ stata trovata nello stesso posto dei gemelli, ti ricordi? Ciò fa supporre che…-
- Ci sia un legame con il becchino.- tracciò una freccia: elementi in comune: SEPPELLIRE – TELEFONARE. Elementi non in comune: NO RISCATTO, ETA’, SESSO.
- che altro…siamo andate in carcere, per interrogare il vero becchino, ma lei ha negato tutto. Il direttore non ci ha concesso un altro incontro perché, ho perso la testa.- sussurrò ad occhi bassi.
Booth sapeva anche di questo, ma non la biasimò: - Ne valeva la pena?-
- Assolutamente.- sorrise lei. – Oh, e poi c’è stata la scuderia, la mano nel terreno e …i regali di Natale.-
- Una testa, un busto, mani e gambe, correggimi se sbaglio…-
- Esatto. Niente legami tra le vittime, nessuna traccia. Il che ha reso difficile stabilire il sesso e trovare un indizio che ci portasse a lui.-
- Mhh…- mugugnò l’uomo con la lingua tra i denti: - dimmi quando avete trovato i corpi. Data per data.- Bones gliele dettò una per una, ormai le sapeva a memoria: - …e poi ha preso Hazel. Il resto lo sai già.- concluse sospirando.
Seeley Booth posò il pennarello e si fregò nervosamente le mani: - Adesso abbiamo tutto; facciamo lavorare le testoline.-
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- Ho una teoria…- disse Booth intento a sgranocchiare un acino d’uva. – E’ un po’ contorta, ma se la confrontiamo con il profilo dell’S.I. non è del tutto campata in aria…-
- Non ho mai condiviso il metodo di Sweets. Troppe teorie e pochi fatti, ma ho promesso che ti avrei ascoltato quindi, continua.-
- Parlando di fatti: Cam ha ricevuto una testa, tu il petto, Hodgins e Angela gli arti. Bene. Ora torniamo agli omicidi e al’ordine in cui essi sono avvenuti: una mano, l’altra mano. Cosa manca?-
- La testa, il busto, le gambe.-
- Ma siccome c’è un ordine preciso, la testa e il busto sono già stati trovati da qualche parte giusto?-
- Non che io sappia, ma può darsi.-
Booth prese il cellulare: - Bratt. Sono Booth. Sì oggi non sono al lavoro, giorno di pausa. Senti fai un favore per me: cerca nel database se ci sono stati ritrovamenti di cadaveri senza arti…più? Precisamente? Un busto e una testa. Chiamami quando avrai qualcosa per le mani.-
- In effetti ha senso. Dovrei ascoltarti un po’ di più.- disse Bones giocherellando con i suoi polpastrelli.
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- Un busto. A Norfolk. Virginia. Purtroppo non è stata possibile la ricostruzione perché il tritarifiuti lo ha reso “inservibile”, ma è una pista, oltretutto è antecedente alle mani, quindi potrebbe essere stato il nostro uomo, non è molto attendibile, ma bisogna sperare.-
- Quindi mancherebbero la testa e le gambe.-
- ed è qui che il nostro uomo mascherato ha sbagliato mossa.- sorrise malizioso Booth.
- Cioè? –
- E’ metodico, organizzato; ogni piano è meticolosamente dettagliato, curato in ogni punto. Ossessivo, ma spavaldo. Crede di prevedere il comportamento di tutti, come era sicuro che ti saresti presentata all’appuntamento; solo che non aveva calcolato l’effetto sorpresa, che gli ha distrutto tutti i piani.-
- Dove vuoi arrivare?-
- Voglio dire che qualsiasi cosa decida di fare, amputare gli arti a Hazel oppure…- sollevo l’acino d’uva verso il sole: - tagliarle la testa e metterli il mostra come un trofeo…ora non può più farlo.-
- E perché?-
Booth ripensò al video: - Perché li ha rovinati.-
 
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- Continua con il metodo di Sweets.- lo incitò Brennan.
- Sweets direbbe che apparentemente sembra un tipo sicuro, almeno di facciata. Quindi dovrebbe avere un lavoro fisso, inserito in un ambiente dove è un leader, dove esercita relazioni di potere.-
- Ma in realtà è insicuro giusto?-
- La sua meticolosità ossessiva fa capire che non tollera l’incertezza perché, magari è pericolosa, magari può svolgere un lavoro in cui uno sbaglio può costare caro, una vita, una carriera, la sua forse.-
- Un giudice? Un poliziotto? Un politico?-
- Un altro fattore da considerare: la rabbia. È frustrato, idrofobo perché si sente svalutato, sminuito, troppo intelligente per essere paragonato alle persone comuni, incompreso. Il suo status elevato, ma non abbastanza per uscire dalla feccia, dalla mediocrità; la sua fatica non verrà ricompensata perché il suo operato è sempre stato taciuto.-
Bones lo guardò con ammirazione: - Booth, da quando parli e ragioni in questo modo?- l’uomo sapeva che quello era un complimento, un elogio bello e buono. Sorrise e le stampò un bacio sula guancia: - Undici anni dietro una scrivania saranno serviti pur a qualcosa.-
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- E’ inutile.- sbuffò Bones, sporgendosi dal bordo del letto, guardando al contrario il cartellone appeso al muro.
- Abbiamo esaurito le idee.-
Booth si sdraiò di fianco a lei, assumendo la sua stessa identica posizione.
- Spesso la soluzione è qui. Sotto i nostri occhi. Basta solo guardarla in un modo diverso.-
Bones ebbe un’illuminazione: - Qualcosa non torna…-  si avvicinò alla parete: - perché se è così organizzato, preciso, ha aspettato tutto questo tempo tra un omicidio e l’altro? Soprattutto qui guarda.- e indicò un punto preciso dello schema. – Cosa è successo qui? –
Booth collegò i pezzi del puzzle: - Heather Taffet. Siete andati in carcere.-
- Ma certo…come ho fatto a non pensarci prima?! Si è fermato semplicemente perché ha avuto paura! Booth, l’avevamo visto, eravamo vicini! Per questo ha aspettato!-
- Hai ragione, quindi…- Booth iniziò a vestirsi.
- Quindi, un leader poco stimato, che assume una posizione di potere, organizzato, perché in grado di gestire una struttura, di comandare i suoi sottoposti, a rigor di logica…-
- Il direttore del carcere!- dissero all’unisono.
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Bones e Booth scesero dalla macchina.
- Aprite il cancello!-
- Ma che diavolo!?-
L’uomo e la donna raggiunsero l’ingresso della struttura, Brennan che già conosceva il posto fu più rapida dell’agente, raggiunse per prima l’ufficio del direttore e vi irruppe senza esitazione:
- Mia figlia! Dov’è?...Booth.-
- Bones…- sussurrò l’uomo dopo averla raggiunta.
- Non credo che il direttore sia il nostro uomo.-
- Cazzo.-

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Capitolo 15
*** Resa dei conti ***


15. Resa dei conti

 

- Io quella donna non la voglio più vedere qua dentro!?-

- Frena la lingua; quella donna è mia moglie! -

Bones lo afferrò saldamente per un braccio: - Booth non può essere lui, lascia stare. Ed è chiaro che non sono la benvenuta in questa struttura. Andiamo.-

Seeley alzò entrambe le braccia in segno di resa. - Ok ok. Calmiamoci tutti. Nessuno va da nessuna parte.-

- Ah, io da qui non mi muovo...- rispose sarcastico il direttore: - Sto seduto qua da mesi ormai.-

In effetti sulla sua sedia a rotelle sembrava quasi a suo agio, non che ne fosse felice, ma l'espressione con cui guardava la dottoressa Brennan lasciava trasparire una tacita accettazione.

- Come è successo?- chiese l'agente.

- Qualcuno là fuori, o lassù per chi ci crede, era scontento del mio lavoro...- sospirò. Con il dito si puntellò la parte inferiore del retro del collo: - Vedete? Lesione al midollo. Colonna e gambe compromesse, per un colpo di mazza sferrato da un ragazzino incazzato. Assurdo.-

- E quando è successo?- chiese Brennan.

- Due giorni dopo il nostro fortuito incontro. Magari è lei che porta iella.-

Booth fece un passo avanti, serrò la mascella. Il direttore intuì: - Mi scusi, questa potevo anche evitarla...sfogo di un povero paralitico. Piuttosto, per quale motivo siete qui?-

- Perchè credevamo che...lei fosse l'emulatore del Becchino.- rispose Bones sincera.

- Questa mi è nuova. E perchè?- disse l'uomo sgranando gli occhi

- Perchè dal profilo dell' S.I. Lei sarebbe stato il Serial Killer che cercavamo. Evidentemente ci siamo sbagliati. Giusto Bones?- disse Booth intravvedendo un'espressione confusa sul volto della donna.

- Le confesso che la mia posizione da direttore non è facile. Ogni giorno vedo passare criminali, assassini, stupratori, pedofili e molte volte mi verrebbe voglia di strozzare qualcuno...lei mi capisce agente Booth? Però alla fine sono solo un direttore, ne giudice, ne boia , ne giuria.-

- Capisco.- concluse spiccio Booth, a testa bassa prese la donna per mano: - Andiamo Bones, qui non c'è nulla da fare...-

- No.- rispose secca lei. - Qualcosa ci sfugge...-

Booth si avvicinò a lei e le sussurrò nervoso all'orecchio: - Pensi veramente che quell'uomo là seduto possa essere un assassino? Evidentemente ho commesso un errore, come al solito. Adesso andiamo. Hazel è in pericolo e non possiamo perdere tempo...dobbiamo provare altre possibilità, dobbiamo...-

Bones lo interruppe: - Booth calmati e ascoltami. Certo che non è lui l'emulatore! Ma la tua teoria regge. Io credo sia una persona di questo posto...-

- Perchè?- chiese Booth guardandosi intorno sospettoso.

- Perchè penso che quel giorno, mi abbia visto. Ho invaso in qualche modo il suo territorio, perciò ha smesso di uccidere. Perchè pensava che sospettassimo di lui. Quindi è vicino al becchino, in qualche modo comunica con lei,...-

- Ma come?- chiese l'agente incuriosito.

Bones si fermò. Si mise le mani tra i capelli biondo sporco, stropicciati dal tempo, dalle vicissitudini di quei tristi giorni: - Le lettere...Booth. Le lettere!-

Si voltò di scatto verso il direttore: - Ho bisogno di vedere la posta di Heather Taffet. Le lettere che ha spedito o ricevuto. Lei ha detto che scriveva molto giusto?-

- E' quello che ho detto, sì. Ha ordinato molta carta per scrivere, ma nessuna lettera e stata spedita, tantomeno ricevuta.-

Bones fissò Booth con uno sguardo complice: - Ma se nessuna lettera è stata spedita, come mai la sua scrivania era vuota?-

- Vuoi dire che...-

- Voglio dire che qualcuno di questa struttura ha recapitato quelle lettere. Qualcuno riceveva istruzioni da lei, chi uccidere, quando uccidere. Le viene in mente qualcuno signor direttore?-

l'uomo sospirò costernato: - Qualcuno sì, non ci avevo mai dato peso, ma ora che mi fa notare queste cose...Gary Clarkson, un secondino, l'ho richamato un paio di volte perchè parlava con i detenuti e la regola impone loro di non farlo, ma lui ha continuato così dopo un po' ci ho fatto il callo.-

Bones alzò gli occhi al cielo: - E adesso dove si trova?-

- Mi dia un minuto...figlio di...- disse il direttore arruffando le carte sulla sua scrivania.

- Cosa?-

- Cosa?-

- Gary Clarkson è in malattia da tre giorni.- ringhiò sventolando un permesso di carta: - Giuro che se è lui questa volta gliela faccio veramente pagare...- ma Booth e Brennan se ne erano già andati.

 

- Angela ti ha mandato l'indirizzo?- chiese Bones fremente di rabbia sbattendo la portiera nera.

- Sì. La sua casa è a dieci minuti da qui. Lo troveremo e lei sarà salva.- le disse Booth intento a trafficare con il cellulare. Si accorse però che Bones fissava l'interno del suv perplessa.

- Cosa c'è che non va?-

- Non so Booth. Non sono convinta...è troppo semplice. Non penso che lo troveremo lì ad aspettarci.-

- E in quale altro posto pensi che sia? -

 

 

 

 

 

 

Hazel aveva perso la cognizione del tempo. L'aria, sempre più rarefatta, aveva smesso di riempirgli pienamente i polmoni e nonostante il dolore costante che bussava senza sosta alle tempie, l'unica cosa alla quale riusciva a pensare era a quel programma in TV che guardava Christine. C'era un tizio che era rimasto senza ossigeno per quanto...uno o due minuti? Il suo cervello aveva subito danni permanenti e da allora non era stato più lo stesso; “come un computer lento che ci mette un secolo per aprire un' icona!” le aveva spiegato la sorella. Magari se fosse sopravvissuta avrebbe vissuto tutta la vita come quel ragazzo, meglio un computer mezzo scassato che morire. Non lo sapeva, non ci aveva mai pensato e non era assolutamente giusto che una bambina dovesse fare i conti con la morte. O con quello che sarebbe venuto dopo. Era troppo presto.

In ogni caso lei aveva fatto il possibile per rimanere viva, si era aggrappata con tutte le forze a quell'ultimo appiglio di vita rimasto, ma ora stava scivolando in un baratro sempre più cupo e in fondo...in fondo...percepì un rumore.

Sì, questa volta l'aveva sentito sul serio, non era una stupida allucinazione, qualcuno stava camminando sopra di lei.

- Papà?- pronunciò con voce strozzata. Era venuto a salvarla, lui era sempre lì per lei. Due braccia scostarono le pareti buie e la sollevarono verso la luce. Quando i suoi occhi si riabituarono al mondo esterno si accorse che l'uomo che l'aveva salvata non era papà e quei pesanti muri d'ebano altro non erano che assi del pavimento.

- Dov'è mio padre?- chiese Hazel senza voce.

- Sta zitta. Non parlare e non ti succederà niente.- Gary Clarckson la caricò sulle sue spalle: - Sarai il mio lasciapassare.-

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- Hazel!-

- Papà! Mamma!-

Booth e Brennan entrarono nell'appartamento con le pistole cariche puntate verso l'emulatore.

- Lasciala andare maledetto bastardo!- disse Booth impugnando l'arma così saldamente da avere le nocche gialle e sporgenti.

L'Emulatore sollevò con un braccio la bambina, portando la sua faccia tumefatta accanto alla propria.

- Se vi avvicinate...- ansimò,- la uccido.- La strinse più forte: - Non scherzo.-

Brennan alzò la pistola e fece due passi avanti verso la sua direzione.

Partì un colpo.

Un urlo straziante lacerò l'aria intrisa di tensione.

Hazel cercò di portarsi le mani alla gamba destra per fermarne l'emorragia; il sangue caldo le colava lungo il ginocchio, il polpaccio, rovesciandosi denso e nero al suolo. L'uomo le bloccò le mani.

- Un altro passo e le buco il cervello.-

Bones si freddò e alzo le mani in aria in segno di resa. Guardò Booth che ricambiò allarmato il suo sguardo.

- Va bene, va bene...scusa. Mi piacerebbe conversare con te...- temporeggiò la donna – Gary Clarckson.-

Gray esitò un istante, poi prese la parola: - Conosci il mio nome. Come sei arrivata a me?-

- Io e te siamo simili. Ho solo elaborato un profilo rapportandolo su di me. Furbo, scaltro, intelligente, coraggioso, coerente, con una vena di ambizione.- Brennan fissò la figlia e trattenne un conato: - Fin da subito, ho capito che...siamo legati.-

l'Emulatore sorrise beffardo: - Credi che io sia stupido? Non mi farò sottomettere da te, da nessuno. Lo so che il tuo cuore batte per quel rozzo poliziotto da quattro soldi. Stai prendendo tempo, in attesa che arrivi la polizia...-

- Ma era tutto troppo semplice,- continuò lei: - Una volta capito chi eri restava soltanto trovare dove abitavi e salvare Hazel ma, come ho detto era tutto troppo banale, adatto ad una mente comune. Così ho pensato: cos'è che mi accomuna a quest'uomo? E l'ho capito: l'ossessione. Per chi? Verso cosa...cosa ci rende vulnerabili a tal punto da desiderare di morire pur di mantenerla in vita? E così ho risolto l'ultimo pezzo del puzzle: siamo arrivati qui, nella casa dove abbiamo concepito Christine, la dimora nella quale abbiamo creato una famiglia, quella famiglia che tanto ti ossessiona e che non hai mai potuto avere, saresti addirittura disposto a rovinare quelle altrui pur di possederne una. Fittizia, costruita inventata. Come la tua identità. Chi è il sottomesso adesso?-

- Ho ancora tua figlia tra le braccia, il gioco lo conduco io.-

- Ma questa volta hai perso...- sentenziò Bones. Con un movimento repentino abbassò le braccia e si puntò la sua pistola alla tempia.

- No!- Gridò istintivamente Gary Clarckson.

- Avevo dimenticato di aggiungere: Egoista, imprudente, saccente, prevedibile. Non riesci neanche a guardarmi in faccia. Sei innamorato e terrorizzato allo stesso tempo, non da me, da quello che potrei fare, ma dal ruolo che rivesto.-

- No, no no...non è così che sarebbe dovuto finire tutto...- farfugliò Gary Clarckson in panico, scuotendo ripetutamente la testa.

- Gary guarda me. Per questo mi hai mandato un busto di donna, per questo hai rapito mia figlia, perchè mi odiavi e volevi colpirmi, dove fa più male, nella mia maternità. E anche se sono sicura che ci sia un disegno più grande sotto e che tu sia solo una pedina nelle mani di qualcuno ancora più diabolico di te, so che per quanto ci provi non potrai mai nascondere te stesso. Tutti i tuoi omicidi celano una cura, un amore per una figura idealizzata, tua madre, che nel delirio di un pazzo hai sostituito con me.-

- Basta!- disse l'emulatore mordendosi il labbro inferiore: - Sta zitta! Non un' altra parola. O la uccido.-

Temperance Brennan guardò sua figlia. Hazel tremava, rinchiusa nella stretta morsa delle braccia di quell'uomo. Respirava a fatica, ormai le restava poco tempo. Bones ragionò in fretta, ciò che stava per fare era una mossa rischiosa, ma valeva la pena tentare. Lo guardò fisso negli occhi.

- Uccidila. E io morirò con lei.- abbassò il cane.

Gary Clarckson esitò: - Tu...tu non lo faresti, non lasceresti mai tua figlia morire.-

- Cosa vuoi che me ne importi. Tanto sarò già morta. E tu? Lasceresti morire una madre, solo per una misera bambina? Quante famiglie dovrai distruggere, quante Gary? quante madri farai soffrire prima che la tua sete malata di giustizia si plachi?- fu interrotta dal suono delle sirene che riportarono l'emulatore alla realtà.

- Brava, sei riuscita a farmi aspettare l'arrivo della cavalleria. Adesso saliranno e mi uccideranno e voi potrete ritornare alla vostra idilliaca vita precedente; ma forse posso ancora cambiare le cose, in fondo, uscirne vivo era soltanto un'eventualità remota.-

- Puoi ancora vivere sai? Lasciala andare e nessuno si farà male.- disse l'agente Booth.

- Sappiamo che ciò non potrà mai accadere. Ci vediamo all'inferno dottoressa Brennan.- abbassò il cane della pistola.

- Non ho mai creduto nell'inferno.- disse lei: - Ma per te farò un eccezione.-

- ADESSO!-

Il proiettile squarciò l'aria. Lasciando tutti con il fiato sospeso.

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Capitolo 16
*** Promesse da mantenere ***


Capitolo 16: Promesse da mantenere

 

Emily Bratt espirò. Abbassò le spalle, si allontanò dall'arma di precisione posta su di un treppiedi professionale e aspettò.

- Dobbiamo intervenire?- sussurrò portandosi le mani all'auricolare in dotazione. Dall'edificio di fronte nessuna risposta.

Hazel piombò supina sul suo sangue. Brennan la girò rapidamente: - Booth!-

L'uomo si chinò su Gary Clarkson, premette con un ginocchio la ferita sulla spalla e si avvicinò al suo orecchio, adagiandosi sul suo peso: - Adesso ti propongo un patto fottuto sacco di merda. Se lei muore, tu muori. Semplice. Siamo intesi?- sussurrò esercitando una maggiore pressione.

- ...Vaffanculo!- sputò l'emulatore dolorante.

- Siamo intesi?!-

Bratt entrò abbassando l'arma di ordinanza: -Dove mi volete?-

- Ammanettalo tu. Se no lo uccido.-

- Con piacere. Adesso te la chiudo quella bocca frocetto di merda.- rispose la donna.

- Bones che devo fare?- disse Booth guardando la moglie intenta a pulire la bocca di Hazel dal sangue.

- Fa pressione sulla gamba. Non smettere.-

- Mamma...- sussurrò la piccola allo stremo delle forze

- Non muoverti tesoro, stai andando benissimo.-

- Ho paura...io non voglio morire.-

- Non morirai. Te lo prometto.-

- L'ambulanza sta arrivando.- la rassicurò Bratt

- Sentito? L'ambulanza è vicina e presto sarà qui... resta sveglia, non dormire.-

Hazel vomitò: - Scusa.- sussurrò verso la madre.

- Non importa, solo...non dormire...Guarda, c'è anche papà qui con te, non ti lasciamo sola. Booth, continua a fare pressione.-

Booth si guardò i vestiti, fradici e densi di sangue. Era troppo per una bambina.

- Mamma, papà...io...non è vero che vi odio. Mi dispiace, volevamo solo che voi...e Jasmine...e Christine...Parker...-

- La stiamo perdendo. Dove cazzo è quest'ambulanza!?-

- Qui.- rispose un soccorritore, entrando con la sua squadra nell'appartamento.

Hazel venne adagiata sulla barella e caricata sull'auto; Booth continuava a premere sulla ferita e non voleva smettere, neanche quando i medici dell'ospedale gli dissero che se ne sarebbero occupati loro. Brennan stringeva la manina della figlia, con il pollice sul suo polso, per accertarsi che fosse ancora viva. Durante il viaggio perse conoscenza, ma si risvegliò prima che la portassero in sala operatoria.

- Mamma...non voglio finire sul tuo tavolo, ti prego. Promettimi che non finirò sul tuo tavolo...-

Bones la baciò ripetutamente sul volto: - Oh tesoro, te lo prometto, ora va'. Ci vediamo dopo, andrà tutto bene.-

Booth e Brennan la videro sparire dietro le porte scure della sala operatoria; Seeley incrociò gli occhi color ghiaccio di Bones, la guardò eloquentemente e lei capì: - Non lo so. Non lo so Booth.-

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Il chirurgo uscì dalla sala operatoria e venne aggredito da mezzo Jeffersonian. Prese dolcemente per le spalle i genitori di Hazel e li tirò in disparte.

- Hazel durante l'intervento ha avuto un crollo della pressione perchè il proiettile ha colpito un arteria causando la perdita di molto sangue. Però l'abbiamo ripresa, il proiettile è stato rimosso ed è viva. Aspettiamo che si riprenda in questi giorni e poi dovremmo operarle entrambe le gambe, adesso è in terapia intensiva, potete vederla, ma avrà bisogno di riposare.-

- Ma...ma sta bene? Cioè starà bene dottore?- chiese Booth preoccupato.

- Vostra figlia è viva e ha tanta voglia di lottare. Siate contenti per questo.-

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Temperance Brennan sfogliava le radiografie della figlia bevendo una tazza di caffè bollente. Si era abituata a leggere e analizzare i documenti anche senza essere in ufficio e l'odore di disinfettante dell'ospedale non la turbava più. Booth si avvicinò.

- La squadra della scientifica è appena arrivata a casa tua, se la nostra teoria è giusta dovrebbero trovare una testa, il pezzo mancante. Hanno tracciato il perimetro e hanno portato i cani, ora non ci resta che aspettare.-

Bones annuì: - Bene. Christine dov'è?-

- L'ho lasciata con Hazel, nella sua stanza. Ho appena parlato con il dottore, mi ha detto che gli interventi sono andati bene e che Hazel sta recuperando in fretta, ma probabilmente questo già lo sai.- disse l'uomo indicando le radiografie in mano alla moglie.

- So che non sei d'accordo, ma dovremmo pensare anche ad un percorso di tipo psicologico per lei, dopo quello che ha passato...anche per Parker...-

- No, no, hai ragione, le farebbe bene. Farebbe bene a tutti...ma aspettiamo che torni a casa, in questi giorni ne ha già passate troppe. Cerchiamo di focalizzarci su una cosa alla volta. Tra poco ci sarà il processo e finalmente tutto questo sarà finito.- sospirò: - Come procedono le ricerche nell'appartamento di Gary Clarkson?-

- Hodgins ha trovato della carta bruciata nel caminetto, potrebbero essere le lettere che lui e il Becchino si scambiavano in prigione, ma non è possibile provarlo con certezza, il fuoco ha distrutto tutto.-

- Quindi non è possibile provare che Heather Taffet era la mandante degli omicidi.- soggiunse Brennan secca.

- No, però abbiamo le telecamere del carcere che la collegano a Gary, quindi sicuramente il giudice ne terrà conto e la priverà di un po' di privilegi, che aveva prima, insomma.-

Brennan mise le radiografie nella cartelletta e la porse a Seeley, che ringraziò e si sedette accanto a lei.

- Bones, senti...dobbiamo affrontare l'argomento...dobbiamo parlare di noi. Aspetta, ma dove vai?!-

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Bones si fiondò nella camera d'ospedale di Gary Clarkson; lo trovo steso sul lettino, ammanettato, intento a gustarsi una gelatina al lampone.

- Ti aspettavo.-

- No, non è vero.- rispose lei impassibile.

L'emulatore assunse la stessa espressione della sua interlocutrice: - Avanti, dimmi quello che vuoi, visto che sei venuta qui per parlare.-

- Cosa te lo fa pensare...magari sono venuta per ucciderti.-

- Allora avresti mandato via le guardie che piantonano la mia porta, avresti usato un silenziatore e soprattutto ti saresti preoccupata di eliminare le telecamere che ci stanno riprendendo dal momento in cui sei entrata.- le indico: - Dica cheese dottoressa Brennan.- sorrise beffardo lui.

Bones strinse i pugni: - Bene, allora saltiamo i convenevoli: Heather Taffet è tua madre.-

Gary smise di mangiare: - Chi?- chiese con falsa sorpresa.

- Il Becchino, la donna con la quale hai scambiato le lettere che vi incrimineranno per tutti gli omicidi.-

- Ah quella simpatica vecchietta: fammi capire, Heather Taffet, mia madre, con il suo fare persuasivo mi avrebbe convinto, attraverso delle lettere ad uccidere delle ragazze indifese? -

- L'hai detto tu.- disse Bones con occhi infuocati.

- E' una bella storia, ma campata in aria. Posso confermare che Heather è mia madre quanto dire che tu sei mia sorella, ma è solo la mia parola, non ha nessun fondamento, non troverà niente tra i miei documenti, ne tra i suoi.-

- C'è sempre il DNA. Quello stabilirà chi ha ragione.-

- Ma vi serve il mandato e per quello prove che convincano il giudice, prove che non troverete, perchè non avete in mano nulla che ricolleghi veramente a me; al massimo sarò incriminato per il tentato omicidio di tua figlia, ma niente di più.-

Il cellulare di Bones trillò, lesse il messaggio:

Abbiamo trovato la testa, Hodgins ha rinvenuto dei resti seppelliti nel giardino di G.C. Se corrispondono alle vittime è fatta. È finita Bones. Seeley.”

Brennan chiuse il cellulare e guardò l'emulatore, il sorriso beffardo dell'uomo si spense in un istante.

- Non mi servono le prove, mi basta quello che hai detto tu: supposizione di colpevolezza, e poi, davanti a tutte queste telecamere che come hai detto hanno filmato tutto, vedrai che il giudice si mostrerà interessato al tuo albero genealogico.- Bones indicò la telecamera: - Dica cheese Gary Clarkson. Ci vediamo al processo.-

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Hazel aprì gli occhi, un odore di ciambelle, di matite e di vaniglia aveva invaso la stanza interrompendo il suo sonno da convalescente. Accanto al suo letto Jasmine era china su di un foglio di carta, intenta a finire un disegno, concentrata nella sua attività non si era accorta ch la sorella la stava fissando.

- Hey Jaz.- sussurrò lei.

La bambina le si gettò al collo: - Hazel!!! Sei viva, credevo dormissi per sempre!-

- Come la Bella addormentata nel Bosco?-

- Come la Bella addormentata nell'ospedale, però tu sei più bella!- sorrise e le baciò la mano.

Hazel rise divertita: - Come sei venuta qui?- le chiese.

- Con l'aereo.- Jasmine le porse una ciambella e diede un morso alla tortina alle mele che si era presa per sé: -Papà mi ha lasciato qui e poi è andato via con mamma, torneranno stasera.- ingoiò l'ultimo pezzo di pasta.

- Quella la mangi?- e indicò la ciambella che aveva appena dato alla sorella: - Non ho mangiato in aereo.- si giustificò gongolando.

Hazel sorrise e le riconsegno la pasta: - Prendila tu. Io non posso ancora mangiarla. Sono andati al processo?-

- Penso di sì. Hazel, dopo cosa succederà? Cosa faremo?- chiese Jasmine

- Non lo so, ma sono cose che devono decidere i grandi, dobbiamo imparare a fidarci di loro.-

- Hai ragione.- disse Jasmine e le prese la mano: - Disegniamo insieme?-

- Passami una matita...-

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Booth e Brennan uscirono dall'aula di tribunale. Cam si avvicinò a Bones e le mise una mano sulla spalla: - Ottimo, lavoro dottoressa Brennan.- poi si rivolse a Booth e lo portò via da lei. Angela e Hodgins raggiunsero Bones per farle i complimenti.

 

- Seeley aspetto una risposta alla proposta che ti ho fatto, allora, vorresti rimanere qui come agente in dotazione al Jeffersonian?-

- Non lo so Cam. Può darsi. Per ora l'unica cosa che vorrei fare è rimanere un po' con Bones e la mia famiglia.-

Booth si voltò verso Bones e la guardò, anche lei ricambiò il suo sguardo e com se fosse attratta da un magnete corse verso l'uomo, si fermò solo quando fu vicina al suo viso, vicina alla sua bocca. Appoggiò le mani sul suo petto e lo baciò: -E' finita.- sussurrò alle sue labbra:

- E' finita.- rispose Booth ricambiando il bacio.

Emily Bratt interruppe il loro bacio.

- Ehm ehm, odio dover interrompere.- poi indicò l'uomo ammanettato: - Volete fare voi gli onori?

- Con piacere,- rispose Brennan: - Prima però dobbiamo andare a salutare una persona.-

Si fermarono davanti ad una cella chiusa, dalla porta blindata e senza finestre, l'odore di stantio era più forte nel braccio di isolamento e dalle celle accanto, anche esse serrate ermeticamente provenivano urli disumani e insulti.

- Apra lo sportello.- Disse Bones alla guardia che obbedì immediatamente:

- Heather Taffet!- urlò Temperance Brennan e mostrò Gary Clarkson a sua madre, come se fosse un trofeo: - Ammira tuo figlio.- ringhiò Booth.

E se ne andarono, tenendosi per mano, lasciandoli soli, nella penombra, in quelle celle così simili e così lontane che sarebbero state case per il resto dei loro giorni.

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- Bones, che ne sarà di noi?-

- Beh, io penso che ci siano i presupposti per ricominciare.- sorrise Bones

- E cosa diremo alle ragazze?-

- Diremo loro che questa storia ci ha aperto gli occhi; che non possiamo fare a meno l'uno dell'altra, che ci siamo ritrovati e non ci perderemo mai più.-

- Non facciamo promesse che non riusciremo a mantenere.-

- Invece le manterremo Booth perchè siamo una famiglia, siamo legati nel profondo da un legame indissolubile. Non importa, qualsiasi cosa accadrà, io non vi perderò di nuovo.-

- Questa è fede, dottoressa Temperance Brennan?- chiese Booth malizioso prendendola per mano.

- E' speranza, speranza nell'amore.-

Insieme tornarono dalla loro famiglia

E non avvenne niente di più importante che questa frase non possa spiegare.

 

 

 

 

FINE.

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Capitolo 17
*** Un finale relativamente discutibile ***


17. Ultimo capitolo: UN FINALE RELATIVAMENTE DISCUTIBILE

 

Hazel fu svegliata da un gran vociare proveniente dal giardino, si stropicciò gli occhi assonnati, cercando di abituarsi alla calda luce estiva, che illuminava la sua stanza. Si affacciò alla finestra, sopra il suo letto: per un attimo immaginò l'odore del mare, il sole cocente e i surfisti sulla spiaggia, sorrise.

- Dai Hazel, sbrigati!- Trillò Jasmine, la mattiniera.

La bambina si tirò su dal letto, incespicò verso l'armadio dei vestiti, si tolse il pigiama ed indossò il costume da bagno.

- Muoviti lumacona. Hai dormito fino a mezzogiorno. Noi ti aspettiamo in acqua!- fece eco Christine: - Oggi è più azzurra del solito!-

- Sto arrivando, datemi un attimo.- ripose la sorella. Hazel sentì il tonfo di Christine che toccava l'acqua seguito dal delicato tuffo della gemella. Subito le venne una gran voglia di nuotare, in fondo le era stato consigliato come recupero, per incrementare la mobilità delle gambe, aveva detto il dottore. Cercò di affrettare il passo, ma le scale rappresentavano ancora un problema per lei. Finalmente superò anche l'ultimo gradino e varcò l'ingresso della sua nuova-vecchia casa di Washington. Si avvicinò alla piscina, tolse i tutori e con un balzo si buttò in acqua. Seguirono gare di schizzi, spruzzi e risate, presto le ragazze si dimenticarono del caldo afoso cittadino, del languorino allo stomaco e di tutto ciò che le aveva tormentate in questo terribile anno di cambiamenti.

Seeley Booth era seduto sui gradini dell'ingresso, ammirando le sue splendide, meravigliose tre creature.

Bones si avvicinò e lo baciò sul collo, si sedette accanto a lui avvinghiando le sue braccia color del latte alla sua vita sicura.

- Dobbiamo dire loro che è pronto in tavola?- sospirò la dottoressa.

- No...lasciamole giocare ancora un po'.- sorrise l'uomo: - Adesso ho capito.- disse dopo una breve pausa.

- Cosa?- chiese la donna incontrando i suoi occhi color caffè che brillavano al sole.

- Non ho bisogno di cercare di essere perfetto per voi, perchè voi mi rendete perfetto...ogni singolo giorno, non vorrei niente di più al mondo.-

Bones lo baciò sulla mano, commossa: - Ti amo. E ti amerò... ogni singolo giorno.-

- Lo prometti?-

- Lo prometto.-

 

 

 

 

 

 

Facciamo un gioco. Se io pronunciassi la parola SACRIFICIO, cosa ti verrebbe in mente?

Una vittima che si dona al suo aggressore?

Un amante che scende a compromessi?

Una madre che rinuncia ai suoi cuccioli per garantir loro una vita migliore?

Un eroe che muore in battaglia?

Un colpevole che paga le sue colpe?

La verità, fratello mio è che siamo tutti sacrificabili, nessuno escluso. Puoi anche schiacciare una formica e distruggere una montagna, ma ci sarà sempre qualcuno che prenderà il loro posto. Perciò oggi mi sacrificherò, per lei, per te, per un piano più grande che ho compreso andare oltre le mie possibilità. Non ho paura, non temo più la morte, la galera, forse è questo il mio destino. Affronto ciò che mi capiterà con serenità e con la consapevolezza di non essere solo, ma di far parte di una famiglia che condivide la mia stessa sorte, il mio stesso fato. Così come l'ho ricevuta, lascio la mia opera nelle tue mani, vergini, ma fedeli e desiderose di mettersi alla prova.

Ognuno è sacrificabile, ognuno è sostituibile, ognuno ha il diritto di portare un po' di inferno del mondo, come lei lo ha portato nelle nostre vite.

Fai quello che devi fratello. Noi saremo con te.

 

 

L'uomo richiuse il foglio di carta e lo pose in una scatola di latta sotto il bancone, insieme ad altre centinaia di lettere, conservate con cura. Si sistemò il colletto e le maniche della camicia, stropicciate da una lunga giornata di lavoro. Chiuse il caffè ed infilò i guadagni della giornata nel portafoglio, poi uscì dal retro. Caricò i bagagli su un Berlingo bianco di seconda mano. Fischiettò allegro.

- Andiamo GGG. Non ho tempo da perdere.- urlò lanciando una manciata di biscotti per cani nel bagagliaio. Un grosso alano color sabbia si rannicchiò brontolando nel baule.

L'uomo entrò nell'auto, chiuse la portiera e mise in moto.

-Non farmi quella faccia, pigrone. Volevi una vacanza? Eccoti accontentato: ce ne andiamo a Washington, a respirare un po' di aria di città. Bye bye California. La nostra famiglia ha bisogno di noi.- e sparì dall'orizzonte sciogliendosi come burro sotto il sole estivo.

 

 

 

Fine

 

 

 

Questa storia è giunta al termine. Ho lasciato un finale aperto, non perchè volessi fare un seguito, ma per darvi la possibilità di giocare con la fantasia e con i personaggi, cercando di creare una storia, magari e sicuramente migliore della mia. Mettere la parola FINE ad una fanfiction così un po' dispiace, perchè ha accompagnato un anno della mia vita riempiendo i miei pensieri e le mie notti insonni.

Questa è stata la mia prima fanfiction nonché la prima volta che scrivo un racconto...ci saranno sicuramente delle imperfezioni e delle parti da migliorare, ma spero di aver svolto un buon lavoro.

Ringrazio tutti quelli che hanno seguito e apprezzato la mia storia, sono disponibile per chiarimenti e accetto MOOOOOLTO VOLENTIERI i vostri consigli.

Ciao da MrsShepherd.

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