Axis Powers Hetalia -Tale of Lions-

di BlueFlyingWolf_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Piccola nota prima di iniziare a leggere: le – rappresentano un cambio di scenario.

Vi auguro una buona lettura!

 

CAPITOLO PRIMO: A Life Gash; Uno Squarcio di Vita.

 

Il grande, luminoso e caldo sole africano sembrava come inghiottito dagli imponenti e gonfi nuvoloni neri che ora dominavano il cielo, i quali gorgogliavano e brontolavano di tanto in tanto come per sottolineare l'imminente arrivo di un violento temporale. Il primo temporale d'inizio estate, il temporale che avrebbe finalmente portato la tanto sospirata acqua nelle pozze semi-asciutte... beh, forse ne avrebbe portata un po' troppa.

 

“Il tempo sta cambiando, a breve un forte acquazzone si riverserà sul regno. Saranno guai seri se non ci rifugiamo, dobbiamo prepararci.” commentò dopo una rapida osservazione meteorologica e senza troppi giri di parole l'anziano Roma, capobranco e grande re dei leoni cosiddetti “italiani” delle Terre Fertili, nonché valoroso guerriero e amorevole nonno. Osservò i due nipoti al suo fianco con aria seria. “Veneziano, Romano: dobbiamo radunare i leoni e le leonesse nella grotta prima che inizi a diluviare. Se qualcuno, sopratutto un cucciolo, si trovasse a girovagare per la savana con un tempaccio simile, dubito che sopravvivrebbe all'annegamento. I sentieri sprofonderanno nel fango.”.

“Ve! Va bene, nonno Roma!” sorrise con aria frivola e rilassata uno dei due, di nome Veneziano: egli era un giovane leone di taglia modesta, dalla pelliccia color marroncino tenue e dalla folta criniera di un colore leggermente più scuro e rossastro, dalla quale sparava un bizzarro ciuffo ribelle e arrotolato. I suoi occhi, contornati da cerchi di pelliccia leggermente più chiara e quasi sempre chiusi, erano di un color marrone ambrato ed esprimevano gentilezza, tranquillità e una punta di stupidità. Il suo naso aveva una forma dolce e un colorito rosa pesca; il suo muso aveva lineamenti eleganti e rotondi.

“Umpf, quei bastardi fannulloni del nostro branco hanno sempre bisogno della balia che li riaccompagna a casa.” grugnì con tono annoiato e vagamente scocciato l'altro, di nome Romano, scoccando un'occhiataccia allo stupido fratello coi suoi occhi color verde chiaro e contornati da occhiaie nere. Il giovane principe, al contrario dell'altro, aveva una pelliccia di un chiarissimo color isabella e una criniera di un penetrante marrone scuro, simile a quella del nonno. Anch'egli aveva un ciuffo ribelle e arrotolato che gli spuntava però dall'altro lato della testa, ossia da destra. Il naso, nero come la pece, aveva una forma più aguzza e sottile che stonava coi lineamenti del suo muso, rotondo come quello del fratello.

Erano i due principi delle Terre Fertili.

“Andate, dobbiamo sbrigarci. Io ed Elizabeta raduneremo i leoni di pattuglia e le cacciatrici, a voi sta radunare i leoni che sostano vicino alla gola del fiume.” spiegò brevemente Roma, ignorando come al solito le proteste del maggiore, per poi compiere un balzo insospettabilmente agile data la sua età e dileguarsi fra l'erba secca della savana in pochi istanti. “Buona fortuna, e fate presto!”.

 

“Sgrunt. Sentito il vecchio bastardo? Diamoci una mossa; prima avvertiremo gli altri, prima potremo tornare tutti alla grotta senza bagnarci.” sbuffò rumorosamente Romano, alzandosi rassegnatamente sulle quattro zampe, stiracchiandosi per pochi secondi e partendo in corsa verso il ciglio della profonda e ripida gola poco lontana, seguito a ruota dal fratello. “Speriamo di arrivare prima che si metta a piovere, il cielo non promette bene. Che iella, cazzo.”.

“Ve, già! Peccato che debba piovere, avrei tanto voluto fare dei pisolini al sole con le belle leonesse, mangiare qualcosina con gli amici e giocare a nascondino fra le rocce...” si lamentò con rammarico Veneziano, abbassando le orecchie e sfrecciando per gli incontaminati ed aridi prati, riuscendo a trovare divertimento anche in ciò. “Ahah, l'erba mi solletica i baffi!”.

“Argh.” si limitò ad alzare gli occhi al cielo il leone dagli occhi verdi, che avrebbe tanto voluto mollare una zampata sul cranio del fastidioso fratello seduta stante. Meh, lo avrebbe fatto dopo. “E' per questo che non vuoi che piova, bastardo? Per il cibo e per i bei sonnellini? E dimmi, chi procura da mangiare di solito? Se non te ne fossi accorto, sono io che conduco le battute di caccia delle leonesse, idiota! Questo acquazzone non ci voleva, il terreno si sfalderà, le mandrie si sposteranno considerevolmente e noi cacciatori, al contrario di te che te ne stai sempre col nonno a disegnare sul terreno, suonare coi sassi e cantare, dovremo spingerci oltre il confine per catturare qualcosa da mettere sotto le zanne. Col rischio che quei mangia-tuberi dei leoni del Sud ci attacchino o ci accusino di aver invaso il loro territorio, non dimentichiamolo. Siamo un branco di ottanta leoni e leonesse adulti e dieci cuccioli, abbiamo delle responsabilità: anche tu devi deciderti ad imparare a cacciare e a dare il tuo contributo.”.

“Ve, è ingiusto! Lo sai che non sono bravo a cacciare, l'ultima volta che c'ho provato sono stato inseguito da un elefante arrabbiato! Gli avevo solo dato un morsetto sulla caviglia, non pensavo se la sarebbe presa!” piagnucolò l'interessato, difendendosi debolmente e saltellando con aria vispa dietro al maggiore. “Non voglio far del male alle zebre o alle antilopi, sono tanto carine e simpatiche.”.

“Punto primo: ti avevamo detto più e più volte che agli elefanti non dovevi neanche avvicinarti, brutto idiota impedito, ma tu non ci hai ascoltati. Punto secondo: sei il primo che te le mangi, quando torniamo dalle battute!” ruggì adirato Romano, mostrando le zanne con rassegnazione e ira al solo ricordo di suo fratello che scappava in preda al panico per mezza Africa con l'elefante imbestialito alle calcagna. Questo aneddoto aveva causato non poco imbarazzo all'intera tribù, che era stata presa in giro per settimane dagli odiosi leoni dorati del Sud.

“Ma le poverine sono già morte e, in quelle occasioni, ho tanta fame! Mhh... anche adesso avrei tanta voglia di un bel cosciotto grasso di antilope!” puntualizzò Veneziano, leccandosi i baffi, per poi spostare lo sguardo poco lontano e sorridere con sincerità e allegria. “Ehi, vedo i nostri amici vicino alla gola! Ciao, ragazzi! Ciao, belle, ciao! Bacio, bacio, bacio!”.

Romano alzò gli occhi al cielo un'ultima volta, come per chiudere in bellezza il precedente discorso, poi si avvicinò insieme a suo fratello ai leoni e alle leonesse a loro amici, a loro cari. Non potevano di certo sapere che una disgrazia li avrebbe presto separati, ma dopotutto... come avrebbero potuto?

 

-

 

L'acqua piovana cominciò a cadere con violenza dal cielo pochi attimi prima che una giovane leonessa chiedesse aiuto ai due principi delle Terre Fertili.

“Aiutatemi, aiuto!” ruggì la giovane, ormai inzuppata fino alle ossa come l'intero branco in fuga e alla ricerca di riparo, saltando di fronte ai due leoni e formulando a fatica alcune frasi sconnesse. “Il mio cucciolo è rimasto intrappolato su un masso adiacente alla gola, non riesce a risalire con questo tempaccio: un solo azzardo di vento o una roccia scivolosa potrebbero farlo cadere nel fiume in piena! La corrente lo trascinerebbe via, morirebbe! Aiutatemi!”.

“Dov'è il piccolo spastico combinaguai?” chiese con maleducazione e malumore Romano, osservando la leonessa con aria seria. “Ci mancava solo questa... Che palle, ma non possono stare più attenti ai loro figli?”.

“Laggiù, su quella sporgenza!” indicò la leonessa con tono preoccupato, sollevando una zampa marroncina e indirizzando lo sguardo dei due verso un punto preciso. Era proprio vero: su un masso reso scivoloso dall'acqua e precariamente incastrato a circa settanta metri dall'impetuoso fiume, un cucciolo stava rannicchiato e mugolava di tanto in tanto un “Aiuto, mamma!”.

“Ve, è tanto alto...” commentò impaurito Veneziano, dando un'occhiata alle burrascose acque sottostanti e balzando all'indietro, impressionato e in preda alle vertigini. “Se cadiamo nel fiume siamo spacciati!”.

“Tu, leonessa! Chiama con urgenza Elizabeta, avremo bisogno del suo aiuto.” ordinò Romano alla giovane madre, facendole un cenno col muso e osservandola annuire e partire di corsa. Poi girò il muso e si rivolse al fratello: “Noi scendiamo a prendere il piccolo bastardo. Ti avverto, impedito: se provi a cadere o a farti male ti pigli il resto dal sottoscritto, giuro che t'ammazzo a suon di legnate e poi ti appendo a testa in giù con la gola tagliata dall'albero più alto che trovo.”.

“V-Va bene... ve...” deglutì rumorosamente l'interessato, avvicinandosi alla sporgenza con fare poco convinto e cominciando a discenderla molto lentamente, affrancando gli affilati artigli nella superficie rocciosa e viscida... “Ve, non mi piace questo lavoro...”.

 

-

 

“Preso, ve!” gioì dopo pochi minuti di scalata Veneziano, sollevando il cucciolo per la collottola e tenendolo stretto fra i denti appuntiti. “Fratellone, ce l'ho fatta! Sei contento?” bofonchiò poi, cominciando la lenta risalita col sorriso stampato sulle labbra. “Adesso ti porto su, piccolino.”.

“Ragazzi, tutto bene?”: una voce femminile decisa e dolce allo stesso tempo risonò nell'aria tempestosa e sferzante; una figura familiare si sporse dalla cresta terrosa del precipizio per cercare con lo sguardo i due leoni. “Romano, Veneziano, datemi la zampa.”: la giovane aiutante si chiamava Elizabeta, ed era una magnifica leonessa dal carattere apparentemente pacifico ma segretamente guerriero. Aveva una pelliccia color beige sabbia e due grandi occhi verdi, vispi e allegri, contornati da morbidi cerchi di pelliccia bianca. Il suo naso, dalla forma dolce, aveva un colorito rosa antico, chiarissimo. Il suo muso era tonto, paffuto e peloso, le sue zampe affusolate ed eleganti, abbellite da neri artigli sempre sfoderati e pronti a lacerare le carni di coloro che avessero osato far del male alla sua famiglia. Era molto diversa dai leoni italiani delle Terre Fertili sia di conformazione fisica che di colori, questo perché era stata generata e abbandonata da genitori sconosciuti, provenienti da un branco probabilmente nomade e ridotto alla fame.

Nonno Roma l'aveva trovata da cucciola, smarrita, sola nella savana, malnutrita e impaurita un anno prima della nascita dei suoi due nipoti. Impietosito, l'aveva raccolta e portata con sé nelle sue terre, dove le leonesse italiche l'avevano adottata e trattata come una figlia, crescendola con amore e rendendola una cacciatrice formidabile e una leonessa bella e forte come poche. Per il tenero Veneziano lei era come una sorella maggiore con cui giocare e a cui confidare tutto, per lo scorbutico Romano ella era un'alleata molto preziosa e una collega di caccia impareggiabile.

“Muoviamoci, la mia pelliccia è schifosamente sporca ed inzuppata.” brontolò come sempre Romano, cercando un appiglio con la zampa posteriore, dandosi una spinta e arrampicandosi con attenzione sempre più in alto. “Passa il marmocchio: Elizabeta lo tirerà su a sua volta e lo darà alla madre.” richiese dopo pochi secondi al fratello, per poi chinare il muso, aprire le fauci e afferrare il cucciolo spaventato. “Eccolo.” disse infine, lanciando il piccolo con uno slancio e riportandolo finalmente fra le premurose braccia della suddita, che li ringraziò amabilmente.

“Ve, tutto è bene ciò che finisce bene!” gioì lieto Veneziano, tendendo la zampa ad Elizabeta per farsi tirare su. “E ora si torna a cas-”.

 

SCRAK!: questo rumore cozzante, sinistro ed improvviso fece impietrire e gelare il sangue dei presenti. Da dove proveniva?

Una profonda crepa comparsa sul ciglio del crestone, proprio dietro ad Elizabeta, bastò come risposta: una frana imminente. “Ragazzi, il terreno sta per crollare!”.

E fu proprio quella l'ultima frase coerente che riuscirono a sentire: infatti, con una velocità immane, la porzione di terreno sulla quale Elizabeta era appoggiata crollò sul suo stesso peso a causa dell'umidità e della fanghiglia, facendo sgretolare a sua volta anche la parete sulla quale Veneziano e Romano erano precariamente affrancati.

Romano riuscì a reggersi con difficoltà per pochi istanti, ma quando suo fratello lo afferrò per la coda per cercare appoggio i suoi artigli lasciarono inevitabilmente la parete rocciosa.

Caddero tutti e tre nel vuoto senza quasi rendersene conto.

Gridando e rimbalzando rovinosamente sulle rocce, i leoni finirono a capofitto nel burrascoso fiume in piena sotto gli occhi attoniti e spaventati del cucciolo e della leonessa, che rimasero a guardare l'acqua impetuosa fino al crepuscolo, noncuranti del maltempo, aspettandosi di rivedere i loro amati protettori risalire le rive prima o poi. Ma non fu così.

Non riemersero nemmeno al calar delle tenebre.

 

-Il mattino dopo-

 

Un nuovo giorno era sorto anche nelle torride Terre Aride, situate alcune miglia più a sud delle Terre Fertili, abitate dai famosi leoni italiani dal manto marroncino, e delle stesse, ironia della sorte, Terre del Sud, abitate dai potenti leoni “tedeschi” dalla pelliccia d'oro.

La zona semi-desertica e desolata pareva aver inghiottito e consumato avidamente l'enorme quantità d'acqua caduta il giorno prima, della quale non c'era quasi più traccia se non qualche pozza umidiccia qua e là, ma era chiaro che le poche e rare oasi presenti ne avevano giovato molto, coprendosi di nuove piante succulente, riempiendosi di uccelli affamati e ravvivandosi.

Eh già, le Terre Aride, un luogo in cui pochissimi animali riuscivano ad adattarsi, sopravvivere o ad essere felici. Beh, nessun animale a parte l'allegro leone solitario Antonio Fernandez Carriedo.

“Ah, es fantastico! Una nuova, energica giornata ha inizio!” ruggì felicemente l'interessato, un bel leone di taglia media ma spaventosamente magro, scrollandosi i granelli di sabbia dalla bella pelliccia color marrone scuro e stiracchiandosi i muscoli indolenziti dal freddo della sera precedente. I suoi profondi occhi verdi smeraldo vagarono per l'ambiente circostante con curiosità, la sua criniera marroncina (più scura della pelliccia) splendette al sole. “Vamos, vecchio mio! Es ora de alzarsi e darsi una mossa!” ordinò poi a sé stesso con simpatia, balzando sulle quattro zampe e dirigendosi verso l'unico (e preziosissimo) fiume vicino per abbeverarsi. Avrebbe mangiato qualcosa dopo.

Percorse con passo ciondolante il percorso ormai conosciuto, fischiettando e salutando ogni singola cosa vivente e non. “Ciao, serpente! Ciao, avvoltoio! Ciao, insetto! Ciao, sasso! E ciao a te, mio fedele e tranquillo fiume-... CARAMBA, MA CHE...!”: con un fulmineo balzo all'indietro, il leone ispanico si pose a distanza di sicurezza da una sagoma anomala distesa sulla riva. “Oh mio Dio.”.

 

Gli bastarono pochi secondi per capire di cosa si trattasse: un giovane leone dalla pelliccia color isabella, dal naso nero come la pece e dalla scurissima criniera marrone giaceva sul terriccio bagnato con gli occhi chiusi e le fauci semiaperte. Era bagnato fradicio, per metà era ancora immerso nell'acqua gelida e piena di ramoscelli spezzati.

E-es... muerto?” si chiese con paura Antonio, rabbrividendo e decidendo di fare qualche incerto passo verso il corpo immobile (o “potenziale cadavere”, a questo punto). “S-sarà caduto e annegato nel fiume durante la tempesta?”. Difficile a dirsi, bisognava dare un'occhiata più da vicino.

Con coraggio e dopo una lenta preparazione psicologica, l'allegro animale dalla pelliccia marrone scosse leggermente il corpo con una zampa, che ritrasse quasi immediatamente. L'idea di toccare una carcassa, magari mezza marcia e macilenta, non lo allettava granché. “Amigo? Stai bene, caramba? Riesci a sentirmi?”.

No, non lo sentiva di certo. Ma, da così vicino, Antonio notò una cosa che gli riaccese la speranza: un debole respiro. E poi un altro, un altro, e un altro ancora. Respirava molto flebilmente, ma era ancora vivo!

“Es vivo! Es vivo!” ruggì di sollievo il felino, azzardando un felice saltello e un sospiro. “Ma ora che cosa faccio con lui? Non posso di certo lasciarlo qui, potrebbe essere attaccato dai rognosi mangia-cadaveri o potrebbe morire di caldo o disidratazione. Mhh... ci sono, lo porterò alla mia caverna! Quando si sveglierà, mi spiegherà cos'è successo!” decise dopo poco Antonio, chinandosi verso il bisognoso e caricandoselo di peso sulle spalle. “Chissà, magari diventeremo anche amici. Arriba!Sto arrivando, casetta mia!” concluse poi, ciondolando rapidamente verso la grotta stando bene attento a non sballottare troppo il suo nuovo ospite misterioso.

 

-

 

“Vee! Nonno Roma! Romano! Elizabeta! Aiuto, sono tutto solo e non so dove mi trovo!”: un bel po' più lontano e molte ore dopo (sera, circa alle sette), ma lungo le rive dello stesso lunghissimo fiume, il povero Veneziano stava cercando disperatamente i suoi cari nel territorio conosciuto come le “Terre del Sud” (non che si fosse reso conto di essere in territorio nemico, sia chiaro).

Si era risvegliato un almeno sei ore prima su una scomodissima roccia, con un gran mal di testa e con un penetrante dolore alle ossa, ma più o meno integro. Quantomeno aveva ancora la forza di piagnucolare. Non ricordava bene cos'era successo... la caduta era l'unica cosa che riusciva a venirgli in mente, per il resto la sua mente era buia.

“Ho paura! Ho tanta paura della solitudine!” scoppiò improvvisamente a piangere il leone, resosi ormai conto di essersi smarrito nel buio, accasciandosi a terra a dando sfogo alla sua disperazione. “Voglio il nonno! Voglio il fratellone! Voglio tornare a casa! Voglio... qualcuno!”. Chiunque gli sarebbe andato benissimo; quanto avrebbe voluto avere un amico al suo fianco con cui fare pisolini o rotolarsi nella terra, in quel momento! “Stellina dei desideri, stellina dei desideri: anche se ora non riesco a vederti, ti prego di esaudire il mio desiderio! Finché nonno e fratellone non mi troveranno, voglio stare in un posto con gente simpatica e con tante leonesse carine! Oh, e se mi facessi trovare anche un nuovo amico del cuore sarebbe fantastico, ve!”.

 

All'improvviso, come se la stella l'avesse effettivamente ascoltato, un inquietante e vicinissimo fruscio proveniente dai secchi cespugli adiacenti alla riva fece smuovere Veneziano, che si girò di scatto e si guardò intorno. “V-ve? Chi c'è...? N-nonno? R-Romano...?”.

“PRESO!”: una voce impetuosa e autoritaria squarciò l'inquietante silenzio creatosi, tuonando senza alcun preavviso; pochi secondi dopo, il giovane leone marroncino si trovò schiacciato sotto al peso di un altro, gigantesco leone. “Che cosa ci fai nel territorio dei leoni del sud, straniero!?” ruggì l'aggressore, mostrando aggressivamente le fauci appuntite e ringhiando. Non che Veneziano potesse vedere tutto questo, dato che aveva chiuso gli occhi (chiusi completamente, non come li ha normalmente.) quasi istantaneamente.

“No! Non farmi male, ve! Non sapevo questa fosse casa tua, lo giuro! Scusami!” alzò le zampe in segno di resa il felino italiano, mettendosi a pancia all'aria per dimostrare sottomissione e buone intenzioni. “Non uccidermi! Ho solo perso il mio branco, non volevo fare nulla di male!”.

chiese con scetticismo nel tono l'avversario, non accennando nemmeno per un secondo un allentamento della presa. “Non ti credo. Chi sei? Identificati!”.

“Sono Veneziano, vee! E te lo giuro, non volevo fare niente di male! Io... i-io... Waaaaah!” scoppiò a piangere sommessamente il povero leone marroncino, tremando e raggomitolandosi su se stesso. “Mi s-sono perso!”.

“U-uh... che fai, piangi!? Smettila. Smettila, ho detto. SMETTILA SUBITO!” ruggì ancora più forte l'altro, preso a dir poco alla sprovvista, peggiorando però drasticamente la situazione...

“WAAAAAAAAAAAAH! V-voglio andare a c-casa!” strillò a sua volta più forte l'italiano, nel panico più totale. “Perché fai il cattivo con me? Perché vuoi farmi del male, io non ho fatto niente!”.

“Argh, smettila! Nessuno ti farà del male.”.

Eh? Non voleva ucciderlo?

 

Solo all'udire questo Veneziano trovò il coraggio di aprire i suoi grandi occhioni marroni, ancora grondanti di lacrime, e di guardare le sembianze del suo magnanimo aggressore: egli era un leone molto grande, uno dei più grandi e muscolosi che il giovane avesse mai visto, e aveva una lucente pelliccia dorata. La sua criniera, leggermente più scura del manto, era ordinata e lisciata sulla fronte e il suo naso era dalla forma acuminata e di color rosa antico. I due severi occhi azzurri che lo scrutavano freddamente erano l'unico contrasto presente in quell'animale dai colori caldi e tipici dei leoni tedeschi. “D-davvero, sniff? Non mi stai dicendo una bugia?”.

“Ho il muso del bugiardo, leone del nord?” gli scoccò un'occhiataccia il leone del sud, squadrandolo dall'alto in basso e girandogli lentamente intorno. “Perché sei qui? Sei una spia? Vuoi rubare il nostro cibo?”.

“No! I-io mi sono perso. Ieri sono caduto nel fiume e ho sbattuto forte la testa, ha fatto tanto male! Non mi ricordo nient'altro, lo giuro...” ripeté Veneziano, abbassando le orecchie e supplicando con lo sguardo l'altro leone. “Tu sai come posso tornare da nonno Roma? Di certo mi starà cercando e sarà preoccupato, ve!”.

“Aspetta... nonno chi!?” si drizzò in tutta la sua altezza il leone dorato, interessandosi improvvisamente alla conversazione. “Parli per caso del leone Roma, capobranco dei leoni delle Terre Fertili?”.

“Ve, wow! Tu sei tanto intelligente!” annuì felicemente Veneziano, cominciando a prendere in simpatia l'estraneo. Magari avrebbe potuto aiutarlo! “Hai indovinato subito il mestiere del nonno!”.

“Tu quindi... saresti suo nipote?” domandò l'altro, guadagnandosi un “Vee!” affermativo. “Mhh... Se è così verrai con me.” decretò allora, affiancando l'italiano e spintonandolo verso uno spoglio sentiero della savana. Aveva finalmente fra le zampe qualcosa di grosso, qualcosa che avrebbe potuto portare alla vittoria il suo branco da troppo tempo assetato di vendetta.

“Ve, dove mi porti? Mi aiuterai a ritrovare casa, vero?” trotterellò pigramente al suo fianco lo stupido felino, non staccandogli per un solo secondo gli occhi di dosso e non provando minimamente a scappare via. “Non avevo mai visto questo posto... è divertente esplorare!”.

“Ti porterò a casa mia e al cospetto di Germania, capobranco dei leoni delle Terre del Sud.” si limitò a rispondere seccamente e con un'alzata di occhi il tedesco, mal sopportando la curiosità del nuovo e molesto prigioniero, che continuava a fargli un sacco di domande stupide come “Quando si mangia?”, “Ci sarà qualche posto per sonnecchiare?” oppure “Ci sono tante belle ragazze?”. “Quasi preferirei averlo trovato morto annegato... mi scoppia la testa.”.

“Quindi presto vedrò casa tua... sono felice!” mormorò Veneziano, per poi sorridere spensieratamente e domandare: “Io ti ho detto il mio nome, adesso voglio sapere il tuo! Come ti chiami, ve?”.

Emettendo un ulteriore sbuffo, il leone dorato decise di soddisfare almeno quella curiosità, sperando che dopo l'italiano si sarebbe zittito definitivamente: “Mi chiamo Ludwig.”.

 

E durante tutta quella conversazione, nessuno dei due si accorse dei due luminosi e stanchi occhi verdi che stavano seguendo ogni loro passo dai cespugli.

 

Fine primo capitolo.

 

 

 

Angolo autrice:

Ciao a tutti fans di Hetalia.

Questo è il primo capitolo della mia storia, che spero vi abbia soddisfatto sia di contenuto che di lunghezza. Ma questo è solo l'inizio dell'avventura di questi leoni.

Perciò, come vedete o vedrete... abbiamo personaggi completamente diversi, con passati diversi, con scopi diversi e morali diverse.

Ma con un unico obbiettivo. Riusciranno a tornare a casa o a realizzare i loro desideri?

Dirò la verità, non sono molto sicura di cosa farne di questa storia: è abbastanza lunga e impegnativa da scrivere, perciò deciderò se continuarla in base al vostro indice di gradimento. Comunque sia, ho sei capitoli pronti, gli altri li butterò giù se la trama piacerà. Altrimenti pazienza, ci avrò provato e darò un taglio alla storia. xD

Scoprirete presto il continuo della loro avventura, spero.

 

BlueFlyingWolf_13.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO SECONDO: Into the Arms of a Different Moon; Tra le Braccia di una Diversa Luna.

 

Appena arrivato nel cuore del territorio dei leoni del sud, il quale non era altro che un grande prato erboso rigoglioso, ricco e circondato da una muraglia di rocce (si poteva accedere solamente dichiarando il proprio nome, dopodiché una guardia sollevava un mastodontico ceppo di legno e mostrava ai viaggiatori uno stretto cunicolo), Veneziano fu accolto da ruggiti arrabbiati, sguardi omicidi e cubi brontolii da parte dei suoi dorati abitanti.

“E' un italiano, lo riconosco dalla pelliccia, dal muso e dallo sguardo stupido!” ringhiò qualcuno, affilandosi gli artigli fra le rocce e preparandosi ad attaccare. “Non ne avevo mai visto da così vicino uno... ancora vivo.”.

“Che cosa ci fa qui quel parassita?” bisbigliò una leonessa all'orecchio di una sua comare, scuotendo la testa e spettegolando senza riguardi. “Spero lo giustizieranno davanti al popolo.”.

“Perché Ludwig non l'ha già ucciso? Potrebbe rivelare la nostra posizione, se scappasse!” si chiese un altro ancora squadrando il prigioniero, il quale non dava segni visibili di malvagità. “La sua espressione vacua potrebbe essere un diversivo; quei demoni delle Terre Fertili ne sanno una più del diavolo.”.

“E' una vergogna!”.

“Ammazziamolo!”.

“Giustiziamolo!”.

“Vee... che bello, nuovi amici! Ciao ciao, belle! Bacio, bacio!” sorrise stupidamente il povero Veneziano, non rendendosi conto di essere circondato da gente che avrebbe voluto vederlo morto e che lo considerava non un ospite, ma un criminale da eliminare. “Sembrano tanto simpatici, i tuoi amici! E che leonesse carine! Sono così diversi da me, vee... quanto sono alte!”.

Urgh... che seccatura. Comunque sapevo che la decisione di condurlo nel cuore del nostro fortino avrebbe causato scalpore e scontento fra i ranghi.” si schiaffeggiò internamente il tedesco, ignorando le numerose domande dei suoi connazionali e tirando dritto verso il trono d'argilla di suo nonno Germania. “Ma non l'avrei mai fatto se avessi trovato un leone... normale. Vedremo cosa ne sarà di questo italiano, la decisione spetta al re.”.

 

“Nipote, che cosa significa?” brontolò con evidente rabbia Germania, un leone pressoché identico a Ludwig se non per la lunghezza esagerata della sua liscia criniera, ergendosi sul suo trono ed impettendosi con aria superiore. “Cosa ci fa questo nemico qui? Sai bene che esigo dai miei soldati, e sopratutto dai miei nipoti, un'applicazione delle pena di morte immediata e definitiva sui trasgressori. Gli italiani conoscono la legge, e questo ha trasgredito.”.

“Mi dispiace di non aver eseguito i vostri ordini nonno, ma non ho ritenuto necessario eliminare il qui presente prigioniero senza prima chiedere la vostra opinione. Non sembrava una minaccia e, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, potrebbe esserci molto utile.” spiegò con tono serio e deciso Ludwig, rivolgendosi al grande capobranco come ci si rivolgerebbe a un leader, e non ad un nonno. “Vi trovate di fronte ad uno dei due principi delle Terre Fertili, diretto discendente di Roma.”.

“Cosa?” ruggì il re, balzando agilmente giù dal rialzamento d'argilla e guardando in faccia il prigioniero, il quale indietreggiò di qualche passo. “E così saresti il nipote di Roma, di quel vecchio vigliacco che ha respinto i miei eserciti molti anni fa e che mi ha scacciato dalle sue terre dopo aver solo sfruttato il mio aiuto contro gli invasori?”.

“Oh, il nonno non farebbe mai così con nessuno, ve!”assicurò Veneziano con paura, per poi azzardare un sorriso amichevole e frivolo. “E poi non capisco perché avrebbe dovuto cacciarvi via, tutti voi e Ludwig sembrate tanto simpatici! Perché non diventiamo amici, ve? Mangiamo qualcosa insieme, facciamo dei pisolini e dormiamo sotto le stelle!”.

“... Sapevo che Roma era un povero stupido, ma questo lo batte su tutti i fronti. Comunque noto una forte somiglianza fra questo soggetto e quel vecchio leone perciò, finché non scoprirò da fonti certe che egli è davvero suo nipote, lo terremo in vita.” mormorò dopo cinque secondi di riflessione Germania, per poi aggiungere con un ghigno impercettibile: “Ciò gioca a nostro vantaggio. Ludwig; a te spetta fare da guardia a questo italiano: tienilo d'occhio, di certo ci sarà utile per attuare il nostro piano di riconquista.”.

“Io? Perché io? Ho già fatto il mio dovere nel catturarlo.” chiese con evidente disappunto il giovane tedesco, assumendo un'espressione vagamente scandalizzata. “Abbiamo tanti validi soldati, io non ho tempo per fare da balia al detenuto: ho le cacce, i confini occidentali da marcare e controllare, le pesche e la direzione dell'esercito.”.

“Abbiamo tanti validi soldati sì, ma non validi e affidabili come te, nipote. Saprai cavartela.” pronunciò con voce seria Germania, sedendosi sul terreno. “Bada che non fugga, gli italiani sono maledettamente veloci quando si tratta di scappare o nascondersi dal pericolo. Puoi ritirarti adesso, imprigiona il principe e riposa-.”.

“Voi non lo portate da nessuna parte, stupidi mangia-tuberi! Siete così distratti e pieni di voi da non esservi accorti di me!”: una voce, la sua voce.

“Elizabeta?” mormorò felice e sorpreso Veneziano, sollevando un orecchio e girando il muso paffuto in direzione del richiamo.

 

La giovane leonessa era in corsa con gli artigli sguainati e diretta nientemeno che contro il vecchio Germania. L'avrebbe ucciso, l'avrebbe sventrato in nome di Roma, il suo salvatore, e per proteggere il suo branco. Se dopo fosse stata uccisa dagli altri leoni, poco importava: avrebbe lasciato il branco del sud senza capo e avrebbe dato a Veneziano il tempo di scappare e tornare a casa. “Muori, mangia-tuberi!”.

“GUARDIE! COME E' ENTRATA?” tuonò incredulo Ludwig, chinando rapidamente la schiena e preparandosi a bloccare l'assalto spietato della cacciatrice. Ma sapeva bene che ella, data la vicinanza e l'evidente agilità, sarebbe riuscita a balzare addosso a suo nonno molto prima. Ma come aveva fatto ad oltrepassare i controlli senza essere avvistata? Doveva essersi acquattata alla perfezione o doveva averli pedinati per tutta la strada. Come poteva non essersene accorto?

Ma per una volta il leone dorato non aveva calcolato l'aiuto di una personcina a lui familiare.

“Il Meraviglioso Me al salvataggio, kesesesesese, fate largo!” gridò una voce stridula, acuta e palesemente maschile; nello stesso preciso istante una figura bianca si scagliò contro Elizabeta, facendola rotolare per qualche metro e schiacciandola a terra di peso. “Terre del Sud: 1; Terre Fertili: 0, becca e porta a casa, italiana!”: l'interessato era un leone di taglia media-grande dalla scompigliata pelliccia e criniera bianca e dagli occhi rossi, caratteristiche di un albino. Il suo naso era nero e dalla forma acuminata, il suo muso era squadrato e snello come il suo corpo agile.

“Mai stato così felice di vederti, Gilbert.” sospirò di sollievo Ludwig, rifoderando gli artigli e osservando il leone bianco. “A volte sei al posto giusto al momento giusto, fratello.”.

“Vorrai dire che sei felice di vedere il “Meraviglioso Gilbert”, fratellino!” ridacchiò con aria fiera e arrogante l'albino, mostrando i denti ad Elizabeta con fare canzonatorio. “Kesesesesese, comunque è stato facile atterrare questa leonessa inoffensiva, prima si dà delle arie, poi ha visto com'è finita...”.

“Levati di dosso, pallone gonfiato! Ti faccio vedere io come sono inoffensiva!” rispose energicamente alla provocazione la leonessa, riuscendo a sollevare a fatica una zampa anteriore e a calarla addosso al muso del nemico, strappandogli qualche ciuffo di criniera. “Ti faccio diventare nero a furia di artigliate, infine toccherà a tutti gli altri!” minacciò poi, ingaggiando una lotta col leone bianco.

“Non toccare il Meraviglioso Me, illuso maschiaccio!” soffiò per tutta risposta Gilbert, cercando di mordere il collo della sfidante.

“SILENZIO VOI DUE!” gridò a pieni polmoni Germania, facendo tremare il terreno sotto di sé grazie alla potenza del suo ruggito e zittendo per qualche secondo i due litiganti, che comunque continuarono segretamente a schiacciarsi le zampe o a graffiarsi la pelliccia. “Ne ho abbastanza di queste intrusioni nel mio territorio. Tu, italiano: questa leonessa appartiene al tuo branco?”.

“Ve, certo che sì! Elizabeta è la mia sorellona adottiva!” annuì e rispose senza pensare Veneziano, muovendo la coda a sorridendo stupidamente. “Che bello, siamo quasi tutti qui! Ve... mancherebbe solo mio fratello Romano, però... chissà dov'è adesso... spero stia bene.”.

 

“... Molto bene, ho preso la mia decisione.” pronunciò dopo qualche istante di riflessione Germania, riducendo i suoi occhi azzurri ghiaccio a due fessure autoritarie. “Gilbert: a te affido la custodia della leonessa; Ludwig: a te l'italiano. Ah, ragazza italiana... visto che la tua indole mi sembra molto più tempestosa di quella del tuo fratellastro, voglio darti una ragione per non compiere atti sconsiderati e per invogliarti a restare qui: sappi che se scapperai o se tenterai di attaccare un solo leone del sud, uccideremo seduta stante l'italiano, poi toccherà a te. Accetti le mie condizioni?”.

Per tutta risposta, la leonessa ringhiò internamente e guardò con la coda dell'occhio Veneziano, sempre così fiducioso e amorevole nei suo confronti. Non poteva farlo. Non sarebbe scappata, non avrebbe attaccato... non avrebbe mai fatto uccidere il suo fratellino adottivo. “Accetto.”.

“Bene, sarà meglio. Nipoti, mostrate ai prigionieri i luoghi di maggior importanza ed elencate loro i limiti da non oltrepassare. Io mi ritiro, ci vediamo domani all'alba.”. Dopo quest'ultima affermazione, il re dorato scomparve nelle sua personale caverna, situata a livello del suo trono, lasciando i presenti senza aggiungere altro.

“Che ingiustizia però, i prigionieri meno meravigliosi capitano sempre a me solo perché sono il maggiore!” protestò al vento Gilbert, chiudendo il discorso e beccandosi un poderoso e furtivo calcio da parte della sua nuova sorvegliata speciale.

 

-

 

“Qui è dove dormirete stanotte.” ai due prigionieri venne mostrata con freddezza una piccola e fatiscente grotta, sorvegliata da almeno una decina di leoni del sud addestrati e instancabili. “Le guardie vi terranno d'occhio ed, eventualmente, potranno soddisfare alcune vostre richieste come cibo e acqua. Non potrete uscire dalla caverna senza essere accompagnati da una scorta di almeno cinque soldati, chiaro? Ogni trasgressione verrà punita severamente.”.

“In altre parole, vi uccideremmo se ci tentaste!” disse chiaramente e senza troppi preamboli Gilbert, girando malvagiamente intorno a Veneziano ed Elizabeta. “Non sapete in che guaio vi siete andati a cacciare venendo qui, kesesesesesese! Siete finiti dritti dritti nella tana del branco più potente dell'Africa!”.

“No. Tu non sai in che guaio ti stai andando a cacciare, egocentrica palla di pelo bianca.” sottolineò la ragazza, inarcando la schiena e dimostrando aggressività. “Roma avrà già organizzato una squadra di ricerca e, quando scoprirà che ci avete imprigionati, di voi non rimarrà altro che una macchiolina putrefatta sulle rocce. Noi siamo il branco più forte, noi vi abbiamo scacciati dalle Terre Fertili!”.

“Non se prima spappoliamo lui e la sua schiera di sudditi!” rispose l'albino, mostrando i denti e fulminando con lo sguardo la leonessa. “Quel vecchio bacucco farà meglio a tenere le sue zampacce pigre lontano dalla nostra terra, altrimenti il Meraviglioso Me scatenerà la sua meravigliosa meravigliosità.”.

“Perché non la mostri a me, prima? O hai troppa paura?” ruggì Elizabeta, raccogliendo coraggiosamente la sfida e preparandosi allo scontro. “Fatti sotto, mangia-tuberi!”.

“Non me lo faccio ripetere!”.

Diedero inizio ad una spietata lotta di schiaffi con le zampe.

 

“Basta!” gridò con voce esasperata e seria Ludwig, separando e contrapponendosi fra i due litiganti. “Ti comporti come un cucciolo, Gilbert. Non peggiorare la situazione, è già complicata di suo.”.

“Ha cominciato lei!” le fece la linguaccia il leone bianco, rivolgendole il suo solito ghigno superiore. “E comunque West (NDA. Gilbert, in questa storia, chiama così suo fratello perché quest'ultimo si occupa dell'amministrazione dei confini occidentali), se non ci avessi divisi, a quest'ora la signorina starebbe implorando pietà alla mia meravigliosa persona!”.

“Stai zitto! A quest'ora ti avrei già trasformato in un ornamento per caverne.”.

“Non dire stupidaggini davanti al grande Gilbert!”.

.

“Vee...” chinò la testa di lato Veneziano, un po' interdetto, assistendo alla scena senza proferir parola. “Chissà perché non vogliono essere amici... andare d'accordo è tanto bello!”. Ludwig si arrese e si schiaffeggiò la fronte.

 

Il baccano creatosi non tardò ad attirare l'attenzione di un giovane leone, che approcciò i quattro con timidezza e insicurezza: “Uh... Signor Ludwig, va tutto bene qui? C'è qualcosa che non va?”.

Egli era un leone di taglia media-piccola, addirittura poco più basso di Veneziano. La sua pelliccia aveva un colorito sabbia, la sua ordinata criniera aveva una tonalità sabbia-grigia e i suoi occhi erano lilla chiaro, contornati da pelliccia color cenere. Aveva un naso piccolo, rosa e dalle curve dolci, così come il suo muso tondo e il suo corpo pasciuto e ben nutrito.

“Non c'è alcun problema Tino, abbiamo solo qualche difficoltà a comunicare coi nuovi prigionieri. E qualcuno si sta comportando da cucciolo.” rispose con un sospiro il felino tedesco, dissolvendo i dubbi del piccolo leone. Si rivolse poi ad Elizabeta e Veneziano: “Vi presento Tino, l'infermiere della nostra tribù. Anche se non è natio del nostro branco dovrete dargli ascolto e aiutarlo in caso di necessità.”.

“Oh... ciao Tino, io mi chiamo Veneziano! Vuoi fare dei pisolini con me ed essere mio amico, ve?” lo salutò con allegria l'italiano dalla pelliccia marroncina, mettendosi a sedere e osservando con simpatia il nuovo arrivato.

“Piacere mio, italiano. E sì, suppongo che mi piacerebbe molto andare d'accordo con te, anche se sei qui per... uh, una serie sgradevoli di eventi.” sorrise Tino, rincuorato dalla gentilezza del detenuto. Di solito i leoni stranieri più grossi mostravano aggressività e atteggiamenti di dominanza nei suoi confronti, data la sua povera stazza. “Comunque se mai vi doveste sentire male, non esitate a chiamarmi: soggiorno fra le rocce vicine alla pozza d'acqua principale, sarò più che felice di curarvi.”.

“Grazie della disponibilità.” si limitò a ringraziare distrattamente ma con sincerità Elizabeta, ancora presa a litigare con Gilbert. “Ne avrà bisogno sopratutto questo scendiletto bianco, lo manderò all'ospedale tutti i giorni talmente tante botte gli darò.”.

“Vi siete presentati. Se ora vuoi scusarci, Tino, devo condurre i due italiani nella grotta e poi andare a coricarmi. E' stata una lunga giornata-” tagliò corto Ludwig, facendo per voltarsi verso la prigione sorvegliata, finché...

 

“SIGNORE, ABBIAMO UN'EMERGENZA!” gridò all'improvviso una sentinella di vedetta situata sulla muraglia che proteggeva il fortino, allertando tutti i suoi colleghi e Ludwig stesso.

“Soldato semplice di vedetta, qual'è il problema?” irruppe immediatamente sul posto Germania, svegliato dall'allarme, ergendosi sulle mura naturali e strabuzzando gli occhi nel vano tentativo di individuare il pericolo nell'oscurità della notte. “Oggi gli dèi non vogliono proprio darmi pace.”.

“Nemico ignoto in rapido avvicinamento davanti a noi, viene proprio verso le mura!” indicò con una zampa il legionario, puntando una veloce figura scura diretta proprio contro le pareti naturali.

“Vuole suicidarsi? Nessuno riesce ad oltrepassare la barriera di roccia e le truppe di guardia senza farsi spappolare, kesesesesese!” fece eco con scherno Gilbert, arrampicatosi a sua volta sulla cresta. “Potrebbe essere un animale con qualche malattia mentale o che vuole offrirsi a noi come cena. Non mi spiacerebbe uno spuntino.”.

“Corre rapidamente, sembra in salute, eppure non dà segni di volersi fermare...” pronunciò con tono serio Ludwig, vedendo che la misteriosa sagoma era ormai arrivata a pochi metri dalla muraglia. “Sei riuscito a capire che cos'è, sentinella? Una gazzella? Un leone? Un cinghiale?”.

“Nossignore, riesco a distinguerne vagamente i movimenti. E in base a ciò che vedo...” disse a gran voce il soldato, mettendo a fuoco l'anomala creatura e terminando solo allora la frase. “... riesco a dedurre che è appena saltata sulla parete e che si sta arrampicando verso di noi. Si muove a velocità impressionante!”.

“Cosa? Soldati, state pronti ad attaccare! Platone, in posizione, chiamate gli altri!” ordinò severamente Germania, richiamando a sé le sue truppe scelte e spostandosi dei ciuffi di criniera dagli occhi. “Non sappiamo esattamente cos'è e potrebbe colpire da ogni punto, quindi tenete gli occhi aperti.”.

Ma non tardarono a scoprire l'identità della figura oscura.

 

Con un balzo e un poderoso ruggito liberatorio, di intensità quasi superiore a quello di Germania, un gigantesco leone dalla lucidissima pelliccia color cenere posò le sue grandi zampe artigliate sulla sommità della cresta rocciosa, proprio davanti al re delle Terre del Sud e ai suoi sudditi. La sua altezza era impressionante, pareva sovrastare tutti i presenti con la sua aura oscura.

Si scostò con una mossa elegante la folta criniera color paglierino, mostrando ai presenti un muso spaventosamente serio, squadrato e illuminato da due profondi occhi blu contornati da occhiaie dello stesso colore della criniera. Annusò leggermente l'aria col suo naso nero e dalla forma acuminata, il suo corpo magro e ricoperto di ferite recenti e ancora sanguinanti parve rilassarsi dopo molto tempo.

“Chi sei tu, che osi introdurti nel mio territorio senza alcun preavviso?” domandò con tono di voce grave Germania, facendo un passo verso l'intruso e fronteggiandolo con coraggio.

Il gigantesco felino lo osservò con aria inespressiva per qualche istante, come se stesse cercando di intimorirlo, emise uno sbuffo di narici e poi, con voce profonda dichiarò la sua identità: “Il mio nome è Berwald, conosciuto dalla mia gente come “Il Leone del Nord”. Sono qui per portarvi un importante messaggio e chiedervi asilo.”.

 

-

 

Antonio stava iniziando a preoccuparsi seriamente: benché respirasse con regolarità e senza problemi, il giovane leone che aveva trovato sulle rive del fiume non dava segno di volersi svegliare. Ed erano passate molte ore... ormai era sorta la luna. “Che sia troppo debole? Non mangia o beve da almeno un giorno... Se riuscisse a destarsi solo per qualche minuto potrei dargli qualcosa, morirà disidratato... Non mi resta che attendere e sperare che apra gli occhi.”.

Terminati i suoi pensieri, il giovane felino solitario si sdraiò davanti al corpo dell'ospite, troppo esausto e affamato per pensare. Aveva vegliato su di lui per l'intera giornata per essere presente al momento del risveglio, non aveva nemmeno avuto tempo di gustarsi un bel pranzetto a base di magre lucertole essiccate o di fare una siesta. “Suppongo che un breve pisolino mi farà bene...” mormorò con uno sbadiglio, chiudendo i suoi occhi verdi smeraldo e abbandonandosi sul terreno duro... fino a che un gemito proveniente dal felino dalla pelliccia gialla ocra non lo fece trasalire.“Mh? Oh, grazie al cielo! Si sta svegliando!”.

Quando Romano aprì debolmente gli occhi, il mondo intero era buio, confuso e sembrava girare vorticosamente intorno a lui col solo intento di fargli vuotare a terra il contenuto del suo stomaco... se qualcosa era rimasto. Un gorgoglio di protesta da parte del suo organo digerente gli diede la conferma di cui aveva bisogno: non c'era proprio niente da rigettare se non l'acida bile, aveva una fame tremenda e i crampi si stavano divorando le sue viscere.

“Ngh...” mormorò con un ringhio il giovane principe, cercando di focalizzare la vista sul luogo in cui si trovava. Riuscì a riconoscere le pareti di una grotta e una vasta landa di sabbia. “Cazzo, la mia testa... ma dove sono? Queste non sono le Terre Fertili...”.

“Amigo, todo bien? Per fortuna ti sei ripreso, pensavo fossi morto!” saltellò allegramente Antonio, presentandosi con un po' troppa enfasi e con troppo poco preavviso. “Sono felice di conoscerti!”.

 

“SCONOSCIUTO!” saltò bruscamente all'indietro Romano, che di certo non si aspettava di trovarsi davanti al muso marrone scuro di uno sconosciuto. “E tu chi cazzo sei, straniero!?”.

“Permettimi di presentarmi come si deve: mi chiamo Antonio Fernandez Carriedo, ma tu chiamami solo Antonio o Toni.” lo salutò l'ispanico, annusando nel frattempo il suo odore per familiarizzare. “Di sicuro avrai molta fame, vuoi mangiare qualcosa? Offre la casa.”.

“Taci un secondo e ricomponiti imbecille, voglio delle risposte! Cosa ci faccio qui? Perché mi hai portato qui? Perché...” domandò continuamente il più giovane con tono aggressivo, per poi meditare qualche secondo per trovare una spiegazione razionale. Sbarrò gli occhi, puntò una zampa verso lo spagnolo e, con fare accusatorio, decretò: “Mi hai rapito tu, bastardo!”.

“Rapito...? No, como puoi pensare una cosa asì? Non sono un rapitore!” si difese con aria sconcertata Antonio, indietreggiando di qualche passo e sollevando un sopracciglio. “Ti ho trovato privo di sensi sulle rive del fiume parecchie ore fa, ti ho solo portato a casa mia.”.

“Fiume? Che fiume? Ma di che diavolo parli, rapitore-...” incalzò con la sua solita arroganza il giovane italiano, fermandosi solo nell'istante in cui i ricordi del giorno prima iniziarono a risalire rapidamente in superficie: “Ma certo... Il fiume, la tempesta... la gola... mio fratello, Elizabeta... Diavolo, dove saranno quei due deficienti?”. “Dove sono, allora?”.

“Sei nelle Terre Aride, amigo. Mi aspettavo questa domanda da te, non sembri di qui.” spiegò pazientemente il leone dalla pelliccia scura, sedendosi sul terreno e respirando rumorosamente. “Assolutamente non sembri di qui, la corrente ti avrà trascinato per un bel pezzo. Da dove vieni?”.

“Le Terre Aride...” mormorò a sé stesso Romano, guardandosi le zampe e cercando di figurare nella mente la sua attuale posizione. Suo nonno aveva spesso parlato di quelle terre spoglie, pericolosissime e poco accoglienti e il ragazzo sapeva di essersi allontanato parecchio dal suo branco. “Devo trovare quell'impedito cronico di mio fratello prima che si faccia ammazzare e riportarlo a casa.” concluse poi, ignorando stoicamente la domanda del suo salvatore, facendo per alzarsi sulle zampe e dirigersi verso l'uscita della grotta...

 

“Ehi, dove pensi di andare? Non è per niente una buona idea andare in giro di sera qui, sopratutto se non sei del posto!” gli balzò davanti Antonio, bloccandogli la marcia. “Questo deserto pullula di branchi di iene e serpenti velenosi, sei troppo debole e le temperature scendono di parecchio: è meglio non uscire, nemmeno io azzarderei una follia del genere.”.

“Levati dalla mia strada, posso fare tutto quello che mi pare e so perfettamente badare a me stesso.” ringhiò debolmente Romano, lottando contro i capogiri e i crampi di fame. Un brontolio di stomacò risonò nella rocca. “E comunque devo andare a caccia, perciò spostati entro tre secondi se non vuoi beccarti una testata sul muso!”.

“Almeno fermati una sola notte, fino all'alba! Posso darti da mangiare, lo so che hai fame.” lo esortò l'ispanico cercando di fare leva sullo stomaco, ormai resosi conto che “l'ospite” non aveva un carattere molto... socievole o gradevole. Magari il cibo l'avrebbe convinto. “Ho portato qualcosa da sgranocchiare, vieni ad assaggiare qualche delizia!”.

Un altro gorgoglio di protesta e tentazione, questa volta più forte, partì dalla pancia morbida e liscia dell'italiano, che si cinse il ventre con una zampa. Cibo gratis e protezione per una notte, pensandoci su non era poi così male. E poi non sarebbe mai riuscito a trovare quell'idiota di Veneziano nelle tenebre, tanto valeva riposarsi per qualche ora. “E va bene bastardo, vorrà dire che mi ospiterai per una notte. Ora dammi da mangiare, voglio la cena-... aspetta, che diavolo sarebbero quei cosi?”.

 

Quando lo straniero aveva pronunciato la parola “delizia”, Romano aveva immediatamente immaginato un cosciotto di antilope o di zebra e non degli strani e vagamente disgustosi frutti rossi.

“La cena!” gioì allegramente Antonio, posandogli davanti tre grosse e succose palline rosse. “Credo che gli umani li chiamino pomodori. Qui vicino c'è un'oasi in cui vive una famiglia di uomini, della quale sono amico da tempo, che coltiva questi frutti rossi. Diciamo che loro non mi uccidono, mi danno alcuni pomodori e mi lasciano gironzolare nei loro terreni ed io tengo a loro lontani i predatori e alcuni parassiti. Assaggiane uno, sono veramente buoni!”.

“Io non mangio quella schifezza!” soffiò con rabbia Romano, storcendo il naso alla vista del suo povero e alquanto strano pasto. “Per chi mi ha preso, per uno stupido erbivoro? Ho la faccia da bufalo?”.

“No, ti assicuro che non sai cosa ti perdi! Senti che buon profumo che ha il loro succo.”: detto questo l'ispanico staccò un pezzo di buccia con un morso, lasciando che l'aroma del pomodoro si espandesse nell'aria.

Un ulteriore brontolio contorse lo stomaco dell'italiano non appena il profumo incontrò le sue narici acuminate. Sembrava... buono. “Urgh, suppongo che tu non abbia niente di meglio... tanto vale dare un assaggio.” bofonchiò di malumore il leone dalla pelliccia chiara, addentando a sua volta e di malavoglia uno dei frutti.

Il corpo e la mente di Romano gioirono dell'entrata del nuovo, invitante sapore. Cos'era quel gusto delizioso, perché non l'aveva mai provato prima?

“Ancora.” sputacchiò fra i bocconi l'arrogante italiano, che stava letteralmente sbranando ogni singolo pomodoro che lo spagnolo gli presentava davanti. “Portane ancora, bastardo!”. Prima uno, poi due, poi tre, poi quattro, poi cinque. In una sola ora divennero dieci.

A fine cena Antonio calcolò che il giovane si era mangiato circa ventidue grossi pomodori, non contando i tredici piccoli. “Alla faccia. Questo ragazzo mangia un sacco...”.

 

Con la pancia così piena e soddisfatta, ci voleva solo un bel sonnellino. Romano si accasciò a terra e chiuse gli occhi, non degnando il padrone di casa di un grazie o di un ulteriore sguardo. “Domani inizierò le ricerche.”.

“Oh, stai già andando a dormire?” domandò sorpreso il leone del deserto, osservando la sagoma sdraiata e rilassata dell'italiano. “Sei stanco?”.

“Ma non mi dire, ti sembra?” rispose con evidente sarcasmo e scocciatura nella voce Romano, per poi ridistendersi sulla terra e richiudere gli occhi.

“Ah, va bene allora. Buonanotte e... ah, quasi dimenticavo! Un'ultima cosa...” incalzò socievolmente Antonio, facendo ondeggiare pigramente la sua lunga coda. “Almeno puoi dirmi il tuo nome? Io ti ho detto il mio.”.

“Se te lo dico mi lascerai dormire in pace?” contro domandò burberamente l'altro, cominciando a perdere la pazienza. Quel dannato straniero era maledettamente rompiscatole, perché non poteva lasciarlo dormire e basta!?

Antonio annuì prontamente, aspettando con ansia di conoscere l'identità del suo ospite. “Giuro.”.

“E va bene, se questo serve a zittirti una buona volta... Mi chiamo Romano, scarno mangia-pomodori.”.

“... Posso chiamarti “Romanito”?”.

“NON PROVARE NEMMENO A PENSARE DI CHIAMARMI COSI', BASTARDO!”.

 

Fine secondo capitolo.

 

 

 

Angolo autrice:

E rieccomi col secondo capitolo “Tra le Braccia della Stessa Luna” dopo una settimana, come promesso! Spero che anche questo capitolo vi abbia interessato, anche se per ora ho solo scalfito i caratteri, le storie e i desideri dei personaggi principali (per alcuni quasi per niente, come avrete potuto notare).

Mi raccomando, fatemi sapere se la trama vi sta piacendo e se c'è qualcosa su cui, eventualmente, volete un chiarimento! Sarei felice di rispondere alle vostre domande e di dissipare i vostri dubbi (purché non siano su eventi futuri, no spoiler!).

Ci vediamo col prossimo capitolo, alla prossima.

 

BlueFlyingWolf_13

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