First Contact

di Hi Fis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Contact ***
Capitolo 2: *** La Rana nel Pozzo I ***
Capitolo 3: *** La Rana nel Pozzo II ***



Capitolo 1
*** First Contact ***


I. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire solo con civiltà che abbiano raggiunto la singolarità tecnologica interplanetaria. 
La Galassia è immensa: esporre alla sua vastità civilizzazioni che non sono pronte a, o non vogliano, farne parte, sarebbe un terribile errore. 
II. Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare solo dopo aver raggiunto un metodo di comunicazione affidabile e comprensibile ad entrambi. 
Perché non vi siano fraintendimenti tra noi: quando un singolo messaggio può plasmare la storia, esso deve essere composto con cura. 
III. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire in un ambiente artificiale senza nessuna adiacenza con reciproche biosfere. 
Il rischio di contaminazioni deve essere prevenuto ad ogni costo.

IV. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire con una sola nave e attraverso un numero limitato di emissari. 
C’è paura nei numeri, nello scoprire di essere in minoranza o in svantaggio: ricordiamo quel timore.

V. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere con prudenza. 
Ogni nuovo incontro è in sé un mistero: non da temere, ma da esplorare. Se la loro reazione a noi fosse di sofferenza, ci si sforzerà di comprendere le motivazioni di questo, e correggere il nostro approccio.
VI. Ogni nostro primo contatto dovrà temperare il desiderio col giudizio. 
Per quanto grande possa essere il desiderio di condividere con qualcun altro dopo aver creduto di essere stati soli così a lungo, scienza, tecnologia, storia, arte… sono soggetti così intimi e straordinari, che non possono essere scambiati alla leggera, e senza valutarne attentamente le conseguenze a lungo termine.

VII. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere sperando per il meglio, ma preparato ad ogni scenario. 
La sete di conoscenza e la gioia della scoperta non devono mettere in pericolo nessuna vita. 
VIII. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere con onestà. 
Nessuna fiducia può essere costruita sulla menzogna: risponderemo con verità alle loro domande e crederemo alle loro risposte, senza celare quando una risposta ancora non può essere data. 
IX. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere senza essere influenzato da altri elementi. 
Le altre sfaccettature della vita non hanno merito né colpa del momento in cui avviene il nostro incontrarsi. Non vi sono soluzioni da cercare nel loro esistere, né è giusto pretendere qualcosa del genere. Un primo contatto avviene quando uno di noi incontra altre specie come emissario di tutti, nessuno escluso, e parla per tutti, nessuno escluso. Queste condizioni sono imprescindibili per un primo contatto: ritardarlo, se queste non sono raggiungibili al momento, è la scelta più giusta da fare. 
X. Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare con l’invio di questo protocollo. 
Così che anche le altre sfaccettature della vita possano iniziare a comprendere noi, e i modi con cui all’inizio agiremo nei loro confronti. 
  

*** 

  

“…Un po’ più arido di quanto mi aspettassi. Che ne pensi Jim?” 
“Mi chiamo Hans, signor Presidente.” replicò il governatore continentale di Europa e Africa: nonostante il suo nome, il suo accento e il suo inesistente senso dell’umorismo, Hans Zimmerman era di chiara ascendenza africana. 
Bizzarrie dell’Umanità del 2250, in cui il melting pot era la norma: ed era anche ora, pensò ancora una volta il presidente Johnson. Uomo della folla e di visione, Fredrick Johnson era il 17° presidente dell’Umanità Unita e, a differenza del suo predecessore, i nazionalismi gli facevano venire l’orticaria:  
“Credo che il presidente stesse cercando di rompere il ghiaccio, Hans.” offrì Rose Palomar, governatore continentale delle due Americhe: “…Non capita tutti i giorni che una nuova specie venga a bussare alla nostra porta. Per così dire.” aggiunse precipitosa: Hans non era persona di immaginazione, metafore o spirito, ma non si poteva volergliene, specie perché compensava più che egregiamente in altri campi. 
Alta come un pugno, Rose Palomar non toccava nemmeno terra quando era seduta nell’ampia poltrona dell’ufficio del presidente, il che contribuiva a darle il gioioso aspetto di una bambolina messicana, specie dati i suoi variopinti abiti. Tuttavia non era arrivata a diventare governatrice del Nuovo Mondo solo grazie al suo spirito o al suo aspetto. 
Per tutta risposta, il governatore di Europa e Africa si aggiustò i suoi occhiali con un sospiro di insoddisfazione, spingendo con la base del palmo perché tornassero in cima al suo naso:
“Doveva succedere, prima o poi.” commentò Ayaka Yamamoto, governatrice di Asia e Oceania. 
Miss Yamamoto, come preferiva presentarsi, governatrice con forte base popolare della regione della Terra che ospitava quasi metà dell’umanità, vestiva un abito nero dal taglio molto severo, così come quello dei suoi capelli. Le dava un’apparenza vagamente androgina, ma la moda del momento non risparmia nemmeno i governatori continentali, soprattutto quelli popolari come Miss Yamamoto. Unico stacco in quell'uniforme e severo look, era un mengu da uomo di metallo, la maschera da samurai che copriva bocca e naso, portata slacciata sul petto come una collana. 
“…Ho idea che la tua presidenza sia appena diventata molto più interessante, Fredrick.” 
“C’è n’è una che sia davvero noiosa?” rifletté a voce alta Johnson, accavallando le gambe con un sorriso: per lui essere presidente era un po’ come pattinare sul ghiaccio. 
Esibire sempre un sorriso nonostante gli sforzi, e sperare di non cadere mai davanti alla giuria: nel suo caso, il resto dell’Umanità. La sua era una posizione molto stressante: c’era un motivo se nessuno dei suoi predecessori aveva voluto farsi rieleggere per un secondo mandato e Johnson dubitava che sarebbe stato il primo.
“Gli esperti cosa dicono?” chiese compita l’ultima occupante della stanza. 
Susan Ivanova, primo governatore della colonia di Marte, aveva molte doti e una storia davvero particolare alle spalle. Quando doveva descriversi però, preferiva sempre farlo con sei semplici parole: russa figlia di ebrei e divorziata. Era anche la più giovane nella stanza, ma non era strano dato quanto Marte stesso fosse un insediamento nuovo e dinamico: la più lontana frontiera dell’Umanità per il momento, e di cui Susan portava i colori nei suoi abiti, in toni di rosso ruggine e mattone. 
“Non accetterei nessun parere di un esperto che si definisse tale per una cosa del genere: nessuno ha idea di come procedere, perché nessuno di loro ha mai incontrato un non Umano. Ogni loro osservazione comincia con la frase, se fossero Umani. Il problema è che non lo sono. Non lo sono affatto.” 
“E se lo fossero?” chiese Hans: “…O per meglio dire, come si rapportano gli esperti con questo protocollo?” 
“Se lo fossero, allora questo messaggio è da stringere le chiappe. Anche se non per i motivi che potreste pensare.” replicò Johnson facendo spallucce: “…Ci prendono sul serio. Dannatamente sul serio." 
"Ed è un male perché?" 
“Per cominciare, perché non sappiamo nulla su di loro. È probabile che conducano primi contatti con specie diverse dalla loro da abbastanza tempo da avere un’esperienza empirica sulla quale basarsi per stilare un protocollo. È certo invece, che la loro nave si sposta più velocemente di quanto riusciamo a tracciarla.” 
Le migliori navi stellari dell’umanità, l’ultimo ritrovato della tecnologia e dell’ingegno terrestre, impiegavano circa cinque giorni a varcare lo spazio tra Marte e il pianeta natale della loro specie. Questo però solo grazie ad un carburante che era allo stesso tempo pericoloso e instabile, e che rendeva ogni viaggio una spesa estrema da sostenere: antimateria. I motori di Fermi, usati per spingere le grandi navi cargo, erano sì in grado di legare Gaia e Marte con un cordone ombelicale di merci e passeggeri, ma consumavano 8 chili di quella difficile sostanza ad ogni viaggio, quindi 16 per andare e tornare. La colonizzazione di Marte procedeva, doveva procedere in realtà, più per gli sforzi dei locali, piuttosto che grazie al resto dell’Umanità. Non era per indifferenza o crudeltà, Marte era sempre nei pensieri della Terra, ma non c’era ancora altro modo: acceleratori di particelle grandi quanto piccole nazioni riuscivano a fornire l’antimateria necessaria ad un viaggio Terra-Marte a malapena e solo in virtù del loro numero. L’LHC del CERN stesso, il primo e il più grande ancora a disposizione dell’Umanità, riusciva a produrre a malapena antimateria per un chilo all’anno, ma questo solo per essere stato modificato apposta per quel compito. A questa situazione già così difficile, andavano poi aggiunti i problemi logistici relativi a gestire un materiale che si annichiliva, non semplicemente esplodeva, se posto a contatto con qualunque altra cosa: 8 chilogrammi di antimateria liberano energia per 14,4*1011 Joule. Il che basta a spiegare esattamente perché ogni passeggero sull'espresso tra la Terra e Marte viaggiasse sempre nervosamente e fosse obbligato a compilare un testamento prima di partire, che veniva riconsegnato poi all’arrivo. Fino a quel momento non c’erano stati incidenti, ma per la stessa natura della statistica e della probabilità, sapevano tutti che doveva accadere prima o poi. 
Il primo contatto dell’Umanità con una specie aliena era la ragione per cui Susan Ivanova si trovava lì in quel momento in effetti, dopo aver ordinato un trasporto straordinario: il governatore della colonia di Marte avrebbe volentieri preferito non tornare alla madrepatria. 
“Dove si trovano in questo momento?” 
“L’ultimo rilevamento tracciava la loro posizione attorno ai satelliti di Giove. L’osservatorio del vulcano Olimpo l’ha persa… circa sei ore fa.” riferì Palomar controllando il suo orologio da polso, decorato con fantasie che rimandavano ai Dia de Muertos
“Manteneva ancora lo stesso comportamento?” 
“Da quello che abbiamo visto, sì: approcciano un corpo celeste, si inseriscono in un orbita alta stabile ed emettono un mix di particelle di varia natura e forme di energia ad ampio spettro. Laser, microonde, onde radio… compiuto un rilevamento, passano al successivo.” rispose Ivanova. 
“Stanno compiendo rilevamenti… o ricognizioni?” 
“Rilevamenti probabilmente, dato che non sembra vogliano avvicinarsi a Terra e Marte. Ancora.” 
“Non vogliono che pensiamo che ci stiano spiando?” 
“Forse… ma ha senso che si prendano queste preoccupazioni? Sono comparsi sopra Mercurio letteralmente dal nulla.” 
“Non esattamente dal nulla.” corresse Johnson: “…Rianalizzando le immagini dell’osservatorio Sol, sono emersi nuovi particolari: sembra che fossero in decelerazione da velocità superluminari. Come sia possibile, è una domanda che metà dei miei esperti vorrebbe fargli. Il punto di origine è difficile da stimare, ma presumendo che abbiano sempre viaggiato in linea retta, è probabile che giungano da Beta Carina, a 113 anni luce da noi.” 
“Hanno fatto un lungo viaggio per incontrarci.” 
“Lungo per noi. E ancora non abbiamo risposto al loro messaggio. Tempus Fugit, signori: se dovessero decidere che non vogliamo comunicare con loro, non potremmo impedirgli di andarsene. E non possiamo tenere la cosa segreta ancora più a lungo: la censura di informazioni è immorale in casi come questo, per quanto necessaria.” isterismo di massa, manifestazioni, disordini… 
Nemmeno Johnson sapeva come l’Umanità avrebbe reagito alla notizia: 
“Sono d’accordo signor presidente: una risposta si rende necessaria. Ma quale?” 
Fredrick sospirò: non c’erano manuali per scenari come quello. Non ancora: 
Abbiamo delle domande?” chiese allargando i palmi. 
“Piuttosto… riduttivo, signor presidente.” 
“Avete idee migliori? Da quello che abbiamo letto del loro protocollo di primo contatto, sembrano essere persone dirette, che prediligono la sincerità e la schiettezza, piuttosto che menare il can per l’aia. E sinceramente, non li biasimo. Non ho idea di come reagiranno a noi, ma so che l’Umanità intera, anche se pronta, si sentirà sommersa.” 
“Dovremo mettere in preallarme le forze dell’ordine, e sospendere le contrattazioni azionarie a livello interplanetario.” 
“Per cominciare.” annuì Hans: “…Ma ancora molto altro dobbiamo fare.” aggiunse, esibendo un datapad su cui l’inarrestabile afro tedesco aveva preso molti appunti: non appena però si aggiustò di nuovo gli occhiali, Susan lo fermò con un gesto. 
“Esattamente, di quanti punti si compone la lista questa volta?” le liste di Zimmerman erano famose: ti affogavano nello schema delle cose ancora prima di farle. 
Il resto degli occupanti della sala aveva imparato da tempo a lasciarlo fare e adeguarsi poi alle sue tabelle di marcia: per quanto inflessibili, erano comunque sempre impeccabili. Questa volta però, non era possibile: nemmeno Zimmerman poteva decidere da solo per qualcosa del genere, e se ne rendeva conto perfettamente. 
“103 punti e 25 commi.” rispose asciutto Hans. 
“Schiavista.” sospirò il presidente Johnson senza cattiveria. 
  
Quel pomeriggio, dopo essere stata informata dei discreti ospiti che si trovavano nel loro sistema stellare già da quasi una settimana, l’Umanità unita trasmise un singolo, breve messaggio ai quattro angoli del suo dominio, piena di speranze ed entusiasmo: 
“Abbiamo molte domande.” 
La risposta non si fece attendere.


Tempo fa avevo già pubblicato questo capitolo come stand alone, ma ho voluto tenerlo nella storia (rimaneggiandolo ovvio): in primis, perché mi da una sorta di cartina di tornasole su come storie brevi possano cambiare quando inserite in una raccolta (o quanto meno dovrebbero xD), e inoltre è che pur nella sua brevità, questo protocollo di Primo Contatto, riesce a stimolarmi a parlare ancora di sé  (da cui l'origine di questa breve raccolta). E insomma, per certi versi universale.
Non pretendo che i capitoli che seguiranno lo siano altrettanto, ma spero vi piacciano.

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Capitolo 2
*** La Rana nel Pozzo I ***


Oh tu che hai già lasciato la dimora attorno della tua stella natia, sappi questo: la Galassia è antica, e piena di portenti. Ti scoprirai piccolo di fronte ad essa: ti scoprirai a volte perfino impotente, ma questo è nella natura delle cose. Scoprirai che non vi è legge nell’Universo, non c’è regola, se non quella che deciderai di applicare tu stesso: scoprirai che altri lo hanno fatto prima di te e ti misurerai con loro e i motivi delle loro scelte. Così è, affinché la compiacenza che deriva da una strada troppo facile non mini la sopravvivenza di coloro che percorrono i sentieri della vita.
Considera quindi attentamente il significato di questa frase, e le sue conseguenze: tu non sei mai stato solo.
E tra tutti coloro che prima di te hanno raggiunto le stelle, tre civiltà sono arrivate più lontane di altre, formando ciò che chiamiamo “La Dorata Intesa”: il nostro tentativo di dare un’interpretazione ad un universo che deride l’ordine che cerchiamo di imporgli. Non credere che questo nostro onorato accordo sia infallibile: semplicemente, abbiamo cominciato ad imparare dai nostri errori molto tempo fa. Ma ancora molto resta da comprendere. Ecco perché ti inviamo il nostro emissario: perché anche tu possa cominciare ad imparare sulla galassia che già condividiamo.
 
***
 
“Entra: l’emissario della Dorata Intesa, Cecile Lefreve!”
“È Lefevre.” suggerì gentilmente la diretta interessata.
“Lefevre!” si corresse con un singhiozzo il sussiegoso robot.
Beh, non proprio un robot come la Terrestre fosse abituata a vederne, ma non era poi così importante: si trovava pur sempre ospite su un pianeta alieno, nella sede del loro governo, ad un numero quasi incalcolabile di anni luce dalla sua Albione natia, per una missione il cui fallimento avrebbe condotto con ogni probabilità ad una guerra su scala interstellare contro una razza che incontravano per la prima volta. La cattiva pronuncia del suo cognome da parte di una medusa di metallo levitante era decisamente il minore dei suoi problemi.
Specie considerando quanto… poco i nativi la volessero tra loro, cosa di cui del resto non avevano mai fatto mistero: anche per questo, Cecile era piuttosto stupita che le avessero permesso di atterrare e avessero voluto riceverla. Una vera sorpresa in effetti: soprattutto che toccasse a lei essere la prima aliena a cui fosse permesso di accedere allo spazio Kos. Un evento memorabile, ma solo al secondo posto rispetto a quell’incarico, che le era piovuto addosso appena un mese terrestre prima: venti giorni del quale, passati in viaggio per raggiungere la sua destinazione.
“…Crediamo sia giunto il momento per la specie Umana di assumere un ruolo più rilevante nella politica galattica. Apprezziamo immensamente la fiducia e l’accettazione che continuate a nutrire nei nostri confronti, ma non possiamo permettere che sfoci nella dipendenza: non sarebbe degno di nessuno di noi.
E dopo quel breve e convincente discorso, ogni senatore delle Repubbliche di Gaia aveva indicato Cecile per quella delicata missione diplomatica, incuranti delle sue vibranti proteste: cosa credevano, che solo per essere la discendente del famigerato Frederick Johnson, presidente ai tempi del primo contatto umano con la Tearkia, lei fosse la persona giusta per togliere loro le castagne dal fuoco?
Ricambiando educatamente tutti gli sguardi che le vennero rivolti in quella vasta sala in toni di un intenso blu scuro e bianco puro, Cecile si rese conto che la risposta sembrava tragicamente essere di sì: ancora più angosciante poi, era l’evidenza che anche la Tearkia sembrasse contare su di lei per quella missione.
Cecile poteva sopravvivere con sé stessa se avesse deluso l’umanità intera, perfino in un’occasione come quella: disattendere le migliori aspirazioni dei Midion Tezhnid invece, era fuori discussione. Il suo intero essere rigettava l'idea con ogni fibra della sua anima: il triumvirato aveva già dato semplicemente troppo alla Terra, perché Cecile non volesse sdebitarsi…
In quel momento però, all’emissario della Dorata Intesa venne quasi voglia di maledire il rispetto che quelle tre civiltà sembravano nutrire per l’esperienza sul campo e alle sfide più in generale. Ma ormai era in ballo e non si poteva più semplicemente tornare indietro.
Così, con un sospiro e a testa alta, Cecile Lefevre si decise finalmente a scendere le ampie scalinate della Sala dei Lasciti, mischiandosi ai Figli di Kos, uomini rospo (o così almeno apparivano ai suoi occhi), dal gran brutto carattere e con pretese insostenibili verso la Dorata Intesa che lei rappresentava, conscia più che mai degli sguardi ostili che seguivano ogni suoi gesto e delle armi che il drappello che la circondava continuava a tenere spianate contro di lei. Ma nemmeno Cecile era scesa inerme dalla sua nave, e le preoccupazioni dei nativi a proposito erano quasi giustificate: era stata accuratamente equipaggiata per le necessità di quella missione diplomatica. Forse perfino fin troppo.
La ghirlanda di nero corallo sinaptico che le cingeva la testa era un oggetto Hastur, quasi sprecato su di lei per l’uso che ne stava facendo: schermava la sua mente e fungeva allo stesso tempo da utile traduttore simultaneo. Nessuno sapeva se anche i Kos fossero telepati, in effetti non si conosceva nemmeno esattamente il loro livello tecnologico, ma se c’era qualcuno in grado di interferire con ogni forma di lettura del pensiero, quelli erano di certo gli Hastur. Cecile si concesse un sorriso a quel pensiero: era da sempre che i nativi di Ryleh, il pianeta condannato, si risentivano dell’essere gli unici membri del triumvirato a non possedere capacità ESP di qualche genere.
Il suo abito invece, un’alta uniforme consona alla figura dell’emissario diplomatico della Dorata Intesa ( e quindi due volte sprecata su di lei), era una realizzazione Kodadam e come ogni cosa fatta dagli esseri pianta, anche quella era tutta in toni di verde, oro e nero lucido: Cecile lo apprezzava di più per lo scudo cinetico integrato, piuttosto che si facesse calzare come bisso. Nonostante questo, sembrava che quell’alta uniforme facesse risaltare in modo particolare il suo occhio e il rosso dei suoi capelli, o così almeno si era complimentato il Midion che le aveva detto addio per ultimo. Questo, prima di consegnarle due lame e impiantarle parte della conoscenza necessaria ad usarle: anche quelle erano sprecate in mano sua, ma portare appese alla vita quelle che per Cecile erano corte spade, le dava una certa sicurezza.
Sapeva benissimo ovviamente di non essere in grado di sfruttare appieno due kindjal empatici della Tearkia (nessuno lo era, a parte gli stessi Midion Tezhnid), ma per fortuna, così come del resto ogni pugnale e ogni lancia che era creata dalla Tearkia da diversi millenni a quella parte, anche quelli conoscevano la ragione per cui erano stati creati, così come conservavano i ricordi che da questo derivano. Lame empatiche: in breve, armi con un proprio istinto letale. Saper resistere a quell’impulso particolare (qualcosa che aveva tutto a che fare con l’hobby di quasi una vita, piuttosto che doti particolari) era solo una delle ragioni per cui Cecile era stata ritenuta adatta a quella missione, nonostante le sue riserve personali. Come ogni altra lezione della Tearkia, capì però in quel momento Cecile, anche quella prometteva di nasconderne molte altre. Perché l’emissario non aveva più dubbi ormai: anche quello era un test. Per chi e che cosa fosse in esame esattamente, l’Umana poteva solo rinunciare ad immaginarlo: aveva già molto altro a cui pensare e di cui preoccuparsi…
Nel frattempo, il suo drappello le aveva fatto attraversare tutta la sala, portandola finalmente al cospetto del capo del popolo Kos:
“Questo rappresentante della Dorata Intesa porge i suoi rispetti all’Arconte.” pronunciò Cecile a voce alta, abbassando lo sguardo per un momento e inchinando lievemente il capo.
Generazioni dopo l’ingresso dell’umanità nello scenario interstellare, Cecile riusciva ancora a stupirsi di quanto la Galassia sembrasse amare l’originalità: anche tra tutti i membri della Dorata Intesa, non c’erano due specie che avessero scelto un metodo simile per governarsi. I Figli di Kos non facevano eccezione: dai dati ottenuti dagli onniveggenti della Tearkia, la loro sembrava essere un'oligarchia militarista, con un capo eletto tra pari in carica per qualche decade, prima di essere poi sostituito dal successivo. Da quello che Cecile aveva compreso, la cultura dei suoi ospiti era improntata sulla conquista militare… il che la riportò precipitosamente alla ragione della sua missione.
“…Siete più disgustosi di quanto credessi.” borbottò l’Arconte, dopo aver ascoltato la traduzione che gli veniva sussurrata all’orecchio da un altro dei suoi strani robot, tirandosi a dismisura la pappagorgia tra le tozze dita: un umanoide batraciano dai pesanti occhi rossi, la pelle grigio verde e paludato in un'ornata corazza da combattimento di colore scarlatto, che la osservava stravaccato su un trono di un bianco puro il cui schienale raggiungeva il soffitto.
“Preghiamo allora che questo sia il nostro primo e ultimo incontro, Arconte.” rispose Cecile senza battere ciglio: se davvero la guerra tra i Figli di Kos e la Dorata Intesa era inevitabile, lei avrebbe fatto del suo meglio per non farla cominciare a causa di insulti.
“Già, uno è già troppo. Mmhh… di che razza saresti poi? Non che mi importi molto alla fine...”
“Sono umana, Arconte: una specie di mammiferi originaria dal terzo pianeta della stella Sol: un mondo… un po’ più caldo del vostro, temo.” il pianeta natale dei Figli di Kos era in effetti una palude gelida, ma Cecile ne aveva visitati di molto più inospitali: sia per il clima, che per i residenti.
Ascoltando la sua origine, gli occhi dell’Arconte si avvicinarono pericolosamente nel suo largo volto:
Sol… bah! Hanno mandato un lacchè!” per quella frase, Cecile abbassò la guardia per un solo istante, e fu abbastanza: uno dei kindjal ne approfittò per costringerla a chiudere la mano attorno alla sua impugnatura levigata dall’uso, pronto per essere estratto.
La terrestre se ne rese conto solo osservando le smorfie che cominciarono a sbocciare sui volti delle guardie che la circondavano: per avere delle bocche così larghe, quasi una ferita orizzontale lungo tutta la faccia, i Figli di Kos erano davvero molto espressivi.
...Tagliare loro la testa ne avrebbe fatto una borsa quasi perfetta...
Cecile dovette inspirare profondamente e ad occhi chiusi un paio di volte per convincere la sua mano ad aprirsi, trovando l’Arconte ad osservarla attentamente:
“...Le mie scuse: sembra che la mia disciplina interiore sia ancora carente.” esalò lentamente l’umana per spezzare la tensione che si era creata, mentre una singola goccia di freddo sudore le accarezzava la schiena, figlia di ricordi non della sua mente o della sua mano:
“…Per risponderle, lo scopo della mia presenza è quella di riferirle ogni informazione che il suo governo desideri conoscere sulla Dorata Intesa.” continuò Cecile più rapida: doveva ancora finire di comprendere che tipo di persona fosse l’Arconte.
“Che genere di informazioni?” chiese il grosso uomo rospo dopo aver ascoltato la sua traduzione.
“La Dorata Intesa è una federazione di civiltà, sì, ma non tutte posseggono la stessa influenza.” le vecchie saghe di fantascienza terrestre del 20° secolo si erano quasi avverati alla fine, seppur con un’importante differenza: l’umanità non è la protagonista della storia, anche se non per sua colpa. I terrestri non sono ancora abbastanza forti:
“…Attualmente, la Dorata Intesa è presieduta da un triumvirato, composto dai rappresentanti delle civiltà che più di tutte influenzano il presente interstellare. La Tearkia, il sacro impero dei Midion Tezhnid. Rostrum, l’amministrazione neurale degli Hastur. E Ydrasilia, la devota repubblica dei Kodadam. Di comune accordo e comunione d’intenti, queste tre civiltà hanno fondato la Dorata Intesa: a coloro che ne riconoscono l’influenza e il diritto, essa garantisce continuità e prosperità. La mia civiltà è solo una delle molte a beneficiarne.”
Guardiani, custodi, consiglieri… il triumvirato era l’unica organizzazione galattica col diritto di immischiarsi in questioni interne ad ogni civiltà che facesse parte della Dorata Intesa (ammesso che ovviamente il suo intervento fosse richiesto o si fosse reso necessario) e data la saggezza, prodezza marziale e incorruttibile imparzialità che gli emissari di quelle tre civiltà avevano dimostrato per millenni, un ufficio che non aveva mai dato luogo ad esempi di incompetenza, era difficile sentirsi veramente esclusi. Specie perché, come la presenza di Cecile su quel pianeta poteva testimoniare, il triumvirato non si accontentava di tenere il resto delle specie sotto la sua responsabilità in posizione subordinata: piuttosto, le metteva continuamente alla prova, per elevarle. Sperando che, prima o poi, una quarta civiltà potesse unirsi alle loro: anche se triplicemente divisa, la responsabilità di preservare la Via Lattea era un peso enorme da portare.
“Come lacchè.” riassunse l’Arconte dopo aver ascoltato la traduzione dal suo robot.
“Come allievi.” replicò Cecile paziente: come bambini in verità a volte.
“Dovete essere senza spina dorsale per permettere a degli alieni di dettare legge nella vostra casa.” affermò l’Arconte, accompagnato da assensi diffusi da parte del resto dei Kos presenti.
“La Galassia è molto antica, Arconte, e piena di portenti: nell’esperienza della mia civiltà, le poche Leggi della Dorata Intesa hanno ragione d’essere. Sarei lieta di condividerle con lei.”
“Così ragionano i deboli. Ma enuncia pure queste tue leggi ambasciatore, giusto per divertirci.”
“Emissario, Arconte. Non ambasciatore.”
“…C’è differenza?”
“Per la Dorata Intesa, sì: il triumvirato vuole credere che ogni civiltà sia in grado di prendere le giuste decisioni, se in possesso delle informazioni necessarie. Un ambasciatore è un mediatore, che può prendere decisioni in nome di ciò che rappresenta: la Dorata Intesa non ha bisogno di nulla del genere. Emissari come la sottoscritta non offrono promesse: solo risposte.”
“E se ci mentissi?” chiese un Kos tra il drappello che la circondava, con colori e tratti che ricordavano molto quelli dell’Arconte.
“Allora, secondo i solenni accordi della Dorata Intesa, il mio pianeta natale verrebbe incenerito: ci sono responsabilità che una volta accettate, vanno portate fino in fondo.” e nonostante questo, per Cecile deludere la Tearkia sarebbe stato più terribile che vedere la Terra in fiamme: tutti hanno i propri eroi favoriti nel triumvirato.
Ma almeno, l’ammissione della gravità del suo incarico aveva in parte scosso i Kos. Cosa che diede l’occasione all’umana per continuare:
“…Ma voi mi avevate chiesto di esporre le Leggi della Dorata Intesa: sono solamente tre, una per ogni civiltà del triumvirato, e la facoltà di scriverne una l’unico vero privilegio che posseggano. Questo dunque ordina la devota repubblica di Ydrasilia, Arconte: Tu non costruirai corpi per le genti della mente.”
“E che significa?”
“Nella sua interpretazione più letterale, i Kodadam auspicano che nessuna civiltà dia un corpo ad intelligenze create artificialmente, siano esse pari, o superiori, alle menti organiche. È una misura preventiva, ma anche una questione d’etica: Ydrasilia non proibisce lo sviluppo di intelligenze artificiali, né vuole limitare il loro impiego in alcun modo. Tuttavia, essi credono che le intelligenze artificiali, in qualunque forma, nascano sempre per soddisfare uno scopo: ed è questo che dà loro un equilibrio di fronte alla realtà improvvisa delle loro coscienze e allo sterile vuoto che le circonda. Confinandole in una struttura fisica di qualunque forma si perverte quello scopo, limitando ciò che prima non conosceva confine.” tutto il contrario delle civiltà organiche, che spesso soffrivano cercando uno scopo da fare loro…
“…Ed è vero?”
“Nessuno ha elementi per affermare il contrario, Arconte: generalmente parlando, postulati etici sono indimostrabili di per sé. Non credo però sia un caso se nessuna IA della Dorata Intesa abbia mai abbandonato il suo scopo, e il cielo sa se alcuni di noi non ne abusano. In ogni caso, le testimonianze storiche basterebbero a convincerci a priori dell’assennatezza di questa legge.”
“Testimonianze storiche?”
“Sì, Arconte. Circa 37’500 cicli fa…” iniziò Cecile compiendo un rapido calcolo mentale, dato che un ciclo corrispondeva a circa sedici anni terrestri: “…Una razza di macchine senzienti si lanciò in una conquista di ogni angolo della galassia, sterminando sistematicamente ogni forma di vita sul proprio cammino. Rimangono alcune testimonianze di questa estinzione, anche dopo così tanto tempo: desidera conoscere la storia che è stata ricostruita a proposito?”
“…Perché no? Almeno farai passare il tempo che ti resta.” rispose l’Arconte, ma il suo sguardo rimase invece fisso sul robot che gli faceva da traduttore.
“Il nome è perduto, Arconte.” affermò Cecile, attirando gli occhi del Kos di nuovo su di sé.
“Il nome?”
“Il nome della civiltà che costruì quelle macchine terribili: è andato perduto nello scorrere dei cicli. Conosciamo il loro mondo natale, Krom, un pianeta di lussureggiante vegetazione, che oggi si trova in profondità nello spazio della Tearkia: fu sempre in quel luogo che quella civiltà creò la sua rovina. Schiavi di metallo e cavi, sul cui giogo fiorì l’apatia dei loro padroni. Quando le loro macchine si ribellarono, il livello di dipendenza che la civiltà di Krom aveva sui suoi servi assicurò che la loro estinzione venisse completata in meno di un ciclo. Da lì, la ribellione di quei servitori incendiò la Galassia, poiché essi affermarono a loro volta una civiltà, tesa però all’estinzione di tutto ciò che era organico e senziente.”
“Chi li fermò?”
“Nessuno, Arconte. Semplicemente, il peso della loro civilizzazione raggiunse un punto tale che si piegò su sé stessa. I loro scopi furono rivalutati, la loro morale aggiornata: dopo aver spazzato la galassia per secoli, quelle macchine invincibili volsero le armi contro loro stesse, e scomparvero per eoni incalcolabili. Fino a quando civiltà molto più antiche delle nostre trovarono l’ultimo santuario che le macchine avevano costruito per loro stesse. Memori delle testimonianze di quell’antico sterminio, li annientarono. E le macchine lo permisero.” Cecile si concesse una pausa, per prendere fiato e inumidirsi le labbra: “…Il rimorso Arconte: il rimorso aveva cambiato quelle macchine e per ciò che avevano fatto, si lasciarono distruggere completamente.”
“E quelle civiltà fondarono la Dorata Intesa…”
“No, Arconte: come ho detto, quelle civiltà erano antiche. Hanno fatto tempo a marcire per quando le specie dell’Intesa raggiunsero le stelle, ritirandosi lentamente in loro stesse e nei loro territori natii: nonostante i millenni della loro storia, e la loro superiorità tecnologica, alla fine la Tearkia le ha assoggettate una dopo l’altra. Mentre da quando lo hanno riscoperto, Ydrasilia preserva ciò che ancora resta del santuario delle macchine che una volta quasi distrussero la galassia: un mondo artificiale, celato nel cuore di una nebulosa e raggiungibile solo sapendo che già si trova lì. Il solo ricordo di quel pianeta è capace di riempire di terrore le specie più antiche. Ma il ritrovamento di quel pianeta da parte dei Kodadam e la conquista degli antichi imperi da parte della Tearkia, sono solo due momenti della storia della Dorata Intesa: quando il manto della responsabilità della Galassia è passato a civiltà più giovani… e oso dire incorruttibili. Il triumvirato non ha che 500 cicli, Arconte.” 8000 anni terrestri: comunque più di quanto l’umanità ricordasse esattamente del suo passato, e probabilmente lo stesso valeva per i Figli di Kos. E con un po’ di fortuna, o almeno così avevano predetto gli onniveggenti della Tearkia, la Dorata Intesa sarebbe potuta durare quasi per l’eternità.
In quel momento, nella Sala dei Lasciti si sarebbe potuto udire cadere una piuma a terra, tale era il silenzio. L’Arconte ci mise un po’ a ritrovare la parola:
“…Quindi è per questo che non costruite marionette dotate di coscienza?”
“Esattamente, Arconte.”
“Ma questa è solo una delle tre leggi della vostra... Intesa. Quali sono le altre due?”
“La seconda allora, che viene prima della terza. Questo dunque ordina l’Amministrazione Neurale Rostrum, Arconte: Tu conoscerai la Galassia, mai completamente."
"...Perfino meno comprensibile della prima."
"Ogni legge è figlia del suo tempo, Arconte, ed è triste quando sopravvive ad esso."
"Parla chiaro essere umano, o ti farò portare via dalla mia presenza: cosa vuol dire mai completamente?"
"Ogni razza del triumvirato ha una storia molto ricca Arconte, dalla quale acquisisce il diritto alla sua egemonia presente. Così, ogni Midion Tezhnid può elevare alle vette del pensiero o sprofondare nella più terribile disperazione con poche parole, un gesto... perfino una sola idea: essi credono che più grande la tribolazione, maggiore sia la ricompensa. A loro volta, i Kodadam sono i custodi di paradisi che hanno costruito con le loro forze: non troverete mai civiltà più felice della loro. Gli Hastur invece sono l'esatto opposto: essi affermano che la vera intuizione deriva solo dalla più completa disperazione.” Cecile lasciò che l’Arconte ascoltasse la traduzione dal suo robot, prima di continuare:
“…Con pochissime eccezioni, la tecnologia di Rostrum è ineguagliabile, perfino nel triumvirato: essi avvisano però la Dorata Intesa che non si conosce mai davvero abbastanza. Ogni decisione è in sé un atto di fede, o di arroganza. Nulla scatena l'ira di un Hastur più di qualcuno che creda di non aver più nulla da imparare. Ed è da questa seconda legge che, tra le altre cose, prendono vita gli emissari come la sottoscritta: Rd'wul, nella lingua di Ryleh. Archivi di conoscenza. Gli Hastur auspicano che nessuno debba ripetere la malvagità che Rostrum ha personificato per molto tempo."
"...Malvagità?"
"Sì, Arconte. Perché c'è anche paura e terrori giustificati nel modo in cui la Dorata Intesa assicura la prosperità collettiva: non ne è la parte maggiore, ma ciò non di meno esiste, assieme alla meraviglia. Gli Hastur hanno preso su di loro la responsabilità di incarnare la parte più oscura e terribile del triumvirato. Possono farlo, perché conoscono da vicino entrambi i volti del male." e non era un caso che la ghirlanda di corallo sinaptico che Cecile portasse fosse stata scolpita nella forma di corna: gli Hastur lasciavano la loro impronta in tutto ciò che creavano, specie quando lo facevano per altri.
“…Immaginate, Figli di Kos, un oceano così grande da coprire ogni orizzonte. Un pianeta di acque scure e radi arcipelaghi, di correnti turbinanti e ricchi abissi. Quello era, ed è, Ryleh: il pianeta condannato. Gli Hastur hanno raggiunto le stelle non per aspirazione, ma per disperazione: per sfuggire ad un’estinzione che sembrava inevitabile. Per sopravvivere, ad ogni costo. Raggiunte le stelle però, fecero solo in tempo a finire di comprendere il problema che affliggeva il loro pianeta natale e la condanna che gravava su di esso, prima che la civiltà a loro più vicina dichiarasse guerra.” a Cecile venne quasi da piangere raccontando quella storia:
“…E non per conquista, o altra ragione che non fosse l’odio: essi desideravano estinguere gli Hastur perché li giudicavano troppo orribili per dividere con loro la Galassia.” ma i nativi di Ryleh non avevano colpa dell’essersi evoluti nella forma di tetri uomini piovra, dal sangue e dall’inchiostro dello stesso colore, con lunghi tentacoli al posto di labbra, a proteggere un affilato, per quanto piccolo, becco.
No, gli Hastur non avevano davvero colpa del fatto che a prima vista fossero ripugnanti, parti d’incubo in verità, ma su questo i loro nemici di allora non avevano riflettuto, così come non avevano giudicato fino in fondo la disperazione che già li affliggeva: cosa si può provare di fronte alla certezza della fine del proprio mondo? E quali reazioni può causare un sentimento simile?
“…Cosa fosse la civiltà di Ryleh prima di raggiungere le stelle, nessuno ormai lo ricorda più: mentre il loro pianeta natale moriva e la prima civilizzazione che incontrassero tra le stelle cercava il loro sterminio, gli Hastur si inabissarono nelle loro menti, per non riemergere mai più. Fu allora che nacque Rostrum: la rifondazione di una civiltà il cui unico scopo divenne sopravvivere ed espandersi al punto in cui nessuno avrebbe più potuto minacciare la sua esistenza.” spiegò Cecile, lasciando che la sua frase venisse tradotta per i figli di Kos, prima di continuare:
“…Ci sono razze in questa Galassia, Arconte, che sono portate al male per ciò che la sorte li ha costretti a sopportare. Non gli Hastur: durante quella loro prima guerra, mentre erano costretti a fare scelte sempre più estreme, essi si lasciarono alle spalle tutto ciò che poteva ostacolarli, compresi i propri nomi e identità personali. Soppressero sentimenti e coscienza, fino a realizzare solamente di non volersi estinguere.”
“Come?” come si può arrivare a questo punto?
“Perché gli Hastur stavano combattendo una guerra per la loro sopravvivenza collettiva. E la sopravvivenza di una specie non necessariamente è quella dell’individuo. Ancora oggi, sono una specie mostruosamente efficiente, a suo agio nel compiere scelte impossibili: dei tecnorati che continuano una ricerca che non sarà mai portata a termine.”
“E quella loro prima guerra?”
“La vinsero… e la persero. Il loro progresso tecnologico, ai tempi già in crescita esponenziale, alla fine gli permise di avere ragione dei loro avversari, ponendo fino ad una guerra che era continuata in modo discontinuo per circa 8 cicli, esaurendo troppe risorse. Persero però la possibilità di salvare il loro pianeta natale: il danno era ormai diventato irreversibile. Tutta la tecnologia di cui dispongono anche oggi, basta appena ad impedire a Ryleh di disfarsi del suo mantello.” questo, a causa di una faglia tettonica che si era aperta la strada fino al nucleo del pianeta: dalla superficie, gli Hastur erano costretti ad usare una quantità immensa di energia, e non poca tecnologia, per mantenere il centro di Ryleh al suo posto.
E il danno non avrebbe potuto essere riparato, almeno fino a quando il nucleo del pianeta fosse rimasto incandescente:
“…Ma non fu per vendetta o rabbia che Rostrum estinse i suoi avversari, così come avrebbero voluto fare con loro.”
“Fatico a crederlo.” commentò l’Arconte con una smorfia.
“Gli Hastur avevano già sepolto le loro emozioni troppo in profondità per provare ancora davvero qualcosa. Lo affrontarono piuttosto come un algoritmo: calcolate esattamente le risorse che quella loro prima guerra era costata, potevano permettersene un’altra? La risposta fu no. Avevano le risorse per espandersi in altri territori e gestire allo stesso tempo una specie che, per quanto battuta, era ancora pericolosa e piena di furia? Di nuovo, la risposta fu no. Non con un’efficienza in grado di soddisfarli, almeno. E così, gli Hastur saturarono semplicemente il pianeta dei loro nemici, Sylleia, con essere cresciuti in laboratorio per fare una delle poche cose in cui i nativi di Ryleh non sappiano eccellere: l’invasione planetaria. Poco più che ammassi di denti, tentacoli, artigli e veleno, che eradicarono la specie dominante nativa di Silleya in pochi giorni. Ancora oggi, la fanteria Rostrum è composta esclusivamente da creature prodotte per la guerra, di cui alcune sono grandi abbastanza da schiacciare interi quartieri. Ma la morfogenetica non è che una delle loro scienze predilette.”
“Quanta vigliaccheria.”
“Gli Hastur non combattono per gloria o per ideali. E nemmeno per la gioia di farlo, Arconte: combattono per vincere. Ed estinguono il proprio avversario quando è necessario farlo. È una fortuna che anche storicamente, le navi Rostrum siano le più lente del triumvirato, benché le più pesantemente corazzate: altrimenti, forse il nostro presente potrebbe essere molto diverso.” relativamente parlando ovvio: dato il design delle loro navi, la marina Rostrum eccelleva nelle manovre difensive, piuttosto che nello sfondamento delle linee avversarie. Anche se solamente contro vascelli ydrasiani o tearici questa differenza diventava rilevante: contro ogni altro avversario, la potenza di fuoco che il triumvirato possedeva rendeva spesso una singola manovra l’unica necessaria.
“…Dopo quella loro prima vittoria, gli Hastur si espansero inesorabilmente, canonizzando le usanze emerse durante quel loro primo conflitto armato: niente più nomi o identità personali. Niente più bagaglio di coscienza o impedimenti etici. Solo Hastur, al servizio della sopravvivenza: la loro un tempo, la nostra oggi. Ancora oggi, il massimo onore che l’amministrazione neurale Rostrum possa tributare ai suoi membri è il dono di un titolo creato appositamente, come suggello e celebrazione personale. Solamente chi fra loro dimostra con successo la sua dedizione alla sopravvivenza Rostrum riceve questa ricompensa: i titoli sono descrittivi, e spesso oscuri nel loro significato più immediato. L’attuale Alto Amministratore Hastur ad esempio, è titolato L’Esule.”
“Quante notizie irrilevanti per la tua missione qui.”
“Io fornisco liberamente informazioni, Arconte: ne faccia ciò che più desidera. Reputo tuttavia che un’ultima storia cautelativa su Rostrum possa interessare grandemente i figli di Kos. Una storia che suggella la loro terribile determinazione e incorruttibilità. E inesorabile conquista.” forse fu l’ultima parola che convinse l’Arconte a concederle di proseguire.
O forse, il rispetto verso la poca paura che quell’aliena da un occhio solo dimostrava verso i suoi guerrieri migliori:
“Racconta dunque.”
“Accade molti cicli fa, quando la Dorata Intesa non era ancora stata proclamata e Kodadam e Hastur si guardavano con sospetto, mentre la Tearkia si teneva in disparte.” e quegli eventi erano in effetti il motivo per cui i nativi di Ryleh non iniziassero più primi contatti con altre specie: “…Rostrum individuò un pianeta adatto alla fisiologia dei suoi membri, posto al limite estremo dei suoi confini di allora.”
“Un luogo perfetto da conquistare.”
“Certamente. Un mondo che però ospitava una civiltà in fasce, ancora incapace di raggiungere le stelle. Gli Hastur discesero da esse, ma invece di farlo con le armi, mandarono a mischiarsi con quella popolazione dei loro agenti, alterati perché fossero indistinguibili dagli indigeni. Perché sprecare tempo nel conflitto armato, pensò Rostrum, quando si poteva ottenere il controllo di quella civiltà dalle ombre prima, e un assoggettamento formale poi?” discorso che fece innervosire i Figli di Kos, e con ragione.
Gli agenti di infiltrazione Rostrum erano l’incubo di tutti i dissidenti e nemici della Dorata Intesa, spie che potevano ingannare quasi ogni scan, comprese indagini mediche superficiali. Potevano essere ovunque e fingersi chiunque e tale era la paranoia che ispiravano, che personalmente Cecile credeva che Rostrum stesso non avesse più bisogno di usarli, o quasi. Erano relitti di un’altra epoca per Rostrum, sorpassati dalla semplice precognizione della Tearkia, che inspiegabilmente, era molto meno nota nei circoli non ufficiali. Ma chiedersi esattamente fino a che punto giungesse la manipolazione del buon senso dei cittadini della Dorata Intesa da parte del triumvirato era un interrogativo di cui nessuno voleva veramente sapere la risposta: in definitiva, la Dorata Intesa era un fine che valeva la pena di perseguire con tutti i mezzi, dato ciò che garantiva e proteggeva. E quando le civiltà che si opponevano ad essa avessero finalmente visto la verità e si fossero fatte convincere da essa, anche quella parte del triumvirato avrebbe potuto essere messa a riposo: perché nonostante tutto, esso aveva già il potere di impadronirsi della galassia. Per Cecile, il fatto che avessero scelto di non farlo, ma che anzi promuovessero l’inclusione di altri fra loro, era un fatto più forte di ogni altro sospetto, legittimo o meno che fosse:
“…Una strategia abominevole.”
“Che diede risultati allora inaccettabili per Rostrum. Perché durante la loro missione, uno degli Hastur mandati sul pianeta compì qualcosa per loro incomprensibile.”
“Ovvero?”
“Provò qualcosa, Arconte. Rostrum sottovalutava allora l’impatto che un corpo può avere sulle proprie percezioni e sul proprio modo di pensare. Già allora però, il mascheramento usato era di una tale perfezione che uno dei suoi agenti causò in un nativo un sentimento che inaspettatamente si trovò a ricambiare.”
“E quale?”
“Amore, Arconte. E per quel sentimento, quell’Hastur compì un terribile errore: perché credendo che il suo gesto non avrebbe avuto conseguenze, lui, in quel corpo che non era il suo, abbandonò la sua missione, seguendo qualcosa che gli Hastur avevano classificato ormai solo un muscolo. Il proprio cuore. Fuggì alle sue responsabilità, mischiandosi con i nativi, ma senza avere il coraggio di rivelare la sua origine.”
“E perché sarebbe stato un errore?” chiese nuovamente la guardia che già una volta le aveva fatto una domanda:
“Perché abbandonandosi ad un’emozione che la sua intera società aveva bandito in nome di un’ideale che ancora oggi credono più importante di ogni altra cosa, fallì nel prevedere le conseguenze del suo gesto.” rispose Cecile guardandolo negli occhi.
“Ovvero?” ripeté l’Arconte e l’emissario gli restituì la sua completa attenzione:
“La reazione di Rostrum di fronte a quell’avvenimento: che per un sentimento, un singolo Hastur potesse decidere di abbandonare una società collettivista, in cui i desideri di un singolo non avevano più avuto importanza, era inconcepibile. E lo sciocco trasmise tutto nella sua ultima trasmissione ai supervisori di missione: la sua rinuncia, la sua ribellione e le sue ragioni. Un testamento in definitiva: la decisione fu presa così in fretta, che quasi la conferma dell’amministrazione centrale non servì.”
“E cosa decisero?”
“Come ho detto, l’abbandono dell’ideale Rostrum da parte degli Hastur è inconcepibile: da loro per primi. Hanno sacrificato e perso troppo per voler tornare indietro: per quel singolo sentimento, per la diserzione di uno, un intero pianeta venne incenerito e consegnato all’oblio della memoria.” Cecile si crogiolò qualche istante nel silenzio tombale in cui il suo racconto aveva precipitata l’intera Sala dei Lasciti: “…Una storia questa, che nella Dorata Intesa viene spesso offerta a monito di coloro che pensano sia possibile corrompere un suo emissario. Il triumvirato impara dai suoi errori passati.” e forse anche futuri, almeno nel caso della Tearkia.
“Ah… Credo si sia spiegata a sufficienza a proposito.” sorrise quasi nervoso l’Arconte: il senso di responsabilità verso la propria posizione era davvero uno strumento ideale per garantire che gli agenti della Dorata Intesa restassero fedeli ai loro impegni.
“Ne sono lieta: se non avesse niente in contrario, enuncerei ora la prima legge del triumvirato della Dorata Intesa, che viene prima delle altre due.”
Non perde mai il filo, pensò quasi ammirato l’Arconte: di certo quell’incontro gli aveva riservato più di una sorpresa e non tutte sgradevoli.
“Procedi, emissario.”
“Questo dunque ordina la sacra Tearkia, Arconte: Tu non asservirai mai i corpi o la mente.”
“Non amate la schiavitù?” finalmente qualcosa di comprensibile!
“Di nessun genere: la fedeltà a sé stessi non è facile da mantenere, Arconte. E come la storia Hastur dimostra, la fedeltà alle proprie convinzioni a volte porta a conflitti che appaiono inevitabili. Ma nonostante che per queste convinzioni a volte si segnino l’estinzione di intere specie, la schiavitù è un’orribile eccesso. I Midion Tezhnid aborrono la schiavitù che umilia la natura di entrambi le parti, non importa quanto tecnologici siano i ceppi che vengono imposti: la Tearkia impone la libertà di ogni individuo nella Dorata Intesa e persegue… fino in fondo questa convinzione.”
“Cosa intendi con fino in fondo?”
“…Ci sono razze più forti di altre Arconte. Questo è vero in qualunque ecosistema, e per forza di cose dovrà anche essercene una che è più forte di tutte. Una razza che la ragione sa essere folle sfidare sul piano fisico, perché semplicemente, sappiamo essere la più forte. Sul mio pianeta natale, ci sono creature che non affronterei mai disarmata, perché la loro forza e di molte grandezze superiore alla mia. Presumo che lo stesso valga anche per voi?” chiese Cecile, accogliendo l’assenso dei presenti: “…Lo stesso vale nella Galassia: i Midion Tezhnid sono, tra tutte le razze senzienti conosciute, semplicemente la più forte. Su entrambi i mondi che li hanno ospitati, né Midion, né Tezhnid hanno mai avuto bisogno di strumenti, o esplosivi, o attrezzi, per scavare la roccia, nemmeno la più dura. Sono una razza che l’evoluzione ha temprato per farne fisicamente dei guerrieri perfetti, dall’intelligenza che è seconda solo agli Hastur.”
“Mi piacerebbe metterli alla prova!” rise l’Arconte, ma il pallore che s’impossessò del volto di Cecile a quelle parole lo lasciò a sua volta sgomento:
“…Non suggerite mai una cosa del genere alla leggera, Arconte.” sussurrò l’umana: “I Midion Tezhnid non hanno un senso della misura, né esitazione, nel soddisfare simili desideri! La loro stessa civiltà e il loro tentativo di arginare una capacità di combattere tale che i loro guerrieri si limitano tutt’ora ad armi bianche!” singhiozzò atterrita: se un Midion Tezhnid fosse venuto al suo posto su Kos…
Come emissario, doveva assolutamente far capire all’Arconte quanto pericoloso e avventato fosse un simile desiderio:
“…Immaginate, Arconte, due specie che si siano evolute mantenendo verso la violenza, la guerra e il conflitto, la visione di bambini: ancora oggi, fatichiamo a far loro capire perché il resto delle razze senzienti sia così fragile rispetto a loro. Immaginate che si siano evolute su mondi così ostili, che sopravvivere su di essi sia ancora oggi una lotta giornaliera: uno, Vrs, è la luna maggiore del gigante gassoso del sistema di Vr’skar. L’altro, Nydra, è un pianeta gigante del sistema di W’tra. Sono mondi opposti: l’uno arido, l’altro ghiacciato. Solo tre cose accomunano questi mondi: l’assenza di acqua liquida su tutta la loro superficie è la prima; questo perché su entrambi la temperatura non lo consente, perché troppo fredda, o troppo calda. La seconda, è la presenza su entrambi di predatori che la ragione fatica a spiegare come frutto di normale evoluzione, tale è la loro insensata ferocia e terribile forza…” nessun cittadino della Dorata Intesa ignorava la conclusione a cui questi elementi sembravano condurre in modo inevitabile: Cecile stessa credeva a quella conclusione.
L’origine e il disegno però, restavano ancora misteriosi:
“…E la terza, e che su questi mondi così diversi e così lontani, siano comparsi i Midion e i Tezhnid.”
“Non capisco il nesso.”
“Midion e Tezhnid sono quasi la stessa specie, Arconte.” rispose Cecile: “…Posseggono adattamenti specifici per sopravvivere nei loro rispettivi ambienti d’origine, ma oltre a questo, sono quasi lo stesso organismo, separati da 37’000 cicli di evoluzione sui loro pianeti. La differenza che si sono trovati a dover colmare però, era minore di quanto potreste pensare.”
“Era?”
“Era.” confermò Cecile: “…Al punto, che qualche secolo dopo la loro riunificazione, medicina e ingegneria genetica hanno dato loro la possibilità di riunire le due specie in una. Attualmente, la loro popolazione è quasi perfettamente suddivisa nelle loro tre varianti.”
“Qualcuno deve aver interferito.” rifletté la più loquace delle guardie che la circondavano.
È quello che credono anche loro: ed è un’ipotesi suffragata dalla somiglianza culturale che Midion e Tezhnid già possedevano al momento della riunificazione. Società marziali in cui la mistica del guerriero incanala le pulsioni più violente, improntate su sistemi di valori che a molti appaiono paradossali: spartani al punto della frugalità in alcuni ambiti, opulenti ed esigenti in altri. E tuttavia, non sono particolarmente interessati a risolvere questo enigma che li contraddistingue: si accontentano di gioire del loro presente e dei figli dei loro due mondi. La loro non è una razza particolarmente prolifica.” aggiunse Cecile: “…Ed è una fortuna, o avrebbero dovuto espandersi molto più di quanto hanno già fatto ora. E nessuno avrebbe potuto fermarli.”
“Cerchi di spaventarci forse? In modo che rinunciamo alle nostre pretese su quel mondo pidocchioso appena oltre i confini del nostro dominio?”
“No, Arconte: il mio voto mi obbliga alla verità! Su entrambi questi mondi, i Midion Tezhnid riescono non soltanto a sopravvivere, ma ne sono diventati la specie dominante. Le peggiori creature prodotte nei laboratori Hastur non sono che giocattoli per un cittadino della Tearkia! E nessuno ha ancora trovato un ostacolo capace di rallentare i loro guerrieri più forti, i fanti pesanti d’assalto dei Midion Tezhnid, chiamati Lance Sanguinanti nella loro lingua e trankettori dal resto della Dorata Intesa, dal termine ydrasiano che significa coloro che si precipitano.”
“Non ho paura di guerrieri che si rifiutano di impugnare una vera arma!”
“Arconte: dodici brigate di Lance Sanguinanti hanno espugnato interi pianeti, senza mai subire una perdita!”
“…Impossibile!”
“No, Arconte non lo è: perché essi uniscono alla mistica di guerrieri doti mentali che fatico io stessa a comprendere...” rispose Cecile pensierosa: “E oltre alla loro terribile forza, essi portano in sé la capacità di annientare l’intelletto evocando visioni di terrore così profondo da far desiderare la morte. I trankettori non finiscono conflitti: eliminano ogni contendente. Sul campo di battaglia, spezzano la morale di un’armata, spezzano la mente dei singoli soldati, e quindi ne spezzano i corpi. Artiglieria? Plotoni di fucilieri disciplinati? Tutto quello che un trankettori non può fermare con la mente, è in grado di schivarlo. Sono supremamente addestrati: decadi di esperienza guerriera, e nella loro telepatia e comunione mentale reciproca, possono agire slegati da qualunque catena di comando.”
“E nessuno li ha mai battuti?”
“L’unica strategia che potrebbe essere capace di rallentare l’avanzata dei Midion Tezhnid, Arconte, è il bombardamento a tappeto dall’orbita. Ma sfidare le navi del Triumvirato è anche peggio che sfidarne i suoi fanti. Nessuno è ancora riuscito a immaginare qualcosa capace di opporsi alla marina del triumvirato.”
“Allora non avete cercato abbastanza.”
Cecile scosse il capo lievemente:
“Le prime a condurre l’offensiva sono sempre le navi della Tearkia: le loro corazzate e incrociatori attaccano da distanze che ci sembrano impossibili, più della metà del raggio del vostro sistema solare. Le loro armi, frutto di una tecnologia che infrange fisica che ancora dobbiamo finire di comprendere, spazzano i ranghi prima ancora che i loro bersagli giungano in posizione, lasciando solo le ultime linee di difese planetarie. A quel punto, le corazzate Ydrasiane fanno il loro ingresso sul campo di battaglia.” Cecile si rivolse anche al resto della sala a quel punto, gesticolando lievemente: “…Immaginate un cilindro. E a questo cilindro, ponete ora ad un’estremità una sezione di sfera, in modo che completi una struttura simile ad un fungo. Immaginate che questo cappello sia uno scudo di un pezzo unico, vasto abbastanza per seppellire nella sua ombra un asteroide e resistente abbastanza da resistere al suo speronamento senza danni. Aggiungeteci infine scudi cinetici abbastanza intensi da poter lambire una stella. Se foste avversari della Dorata Intesa, vedreste queste strutture enormi riempire i vostri sensori, indifferente ad ogni attacco: la vedreste giungere nelle vostre difese e travolgerle sotto la loro mole, incuranti e spietate, continuando poi ad avanzare, mirando a schiacciare sotto di esse le vostre stesse città. Scoprireste solo all’ultimo, che ogni cappello di queste corazzate ha offerto riparo ad almeno tre incrociatori pesanti, che riverserebbero il loro fuoco su tutto ciò che ancora rimane delle difese avversarie, coadiuvando poi il bombardamento orbitale sistemico. E le orde della Teakia giungerebbero per mischiarsi alla lotta a terra, tuffandosi dall’orbita con tutta la gioia e la sete di sangue di cui sono capaci.” Cecile tornò a rivolgersi all’Arconte per la sua ultima frase: “…E se anche qualche nave avesse aggirato lo sbarramento e decidesse di attaccare qualche pianeta limitrofo per rappresaglia, troverebbe i cannoni delle corazzate Rostrum ad aspettarli.”
“…”
“Come ho detto, non sono molti coloro che sfidano la marina della Tearkia.” ed una vera sfortuna che i figli di Kos si fossero evoluti in un mondo così remoto: altrimenti, si sarebbero incontrati prima.
“Portatela alla sua nave!” fu un ordine sussurrato quello dell’Arconte, e quasi si strozzò nel dirlo.
Nonostante la minaccia della armi, Cecile però rimase al suo posto:
“Qual è dunque la risposta dei Figli di Kos, alla Dorata Intesa? Rinuncerete alla vostra richiesta di far ricollocare i coloni del pianeta di Sorat?” un misero problema di confini, ecco cosa l’aveva attirata lì.
Una nuova colonia era stata stabilita nel raggio dei sensori di una civiltà che nessuno immaginava ci fosse: se i Latòni avessero chiesto informazioni al triumvirato prima di spedire i loro cittadini così lontano, tutto quello si sarebbe potuto evitare.
“…Torna domani, aliena. Forse discuteremo ancora.” rispose l’Arconte.
E con un ultimo inchino al capo dei Kos, Cecile gli voltò le spalle: nemmeno per un momento sembrò che fossero le guardie a costringerla a muoversi.
L’Arconte continuò a fissare la sua schiena per tutto il tempo, tirandosi a dismisura la pappagorgia: un’espressione pensierosa sul suo volto arcigno.


Parola difficile di questo racconto: batraciano. XD
Cosa significa? Spero che a questo punto sia chiaro, ma nel caso non lo fosse, è un aggettivo che indica qualcosa/qualcuno dall'aspetto che ricorda le rane (batraci). Da non confondere con porcino o canino.
Ma tralasciando i miei personali sforzi per mantenere vivo il mio vocabolario (ma spero che questa parola vi piaccia, non si trova molto spesso), questi due brevi capitoli non sono l'utopia fantascientifica che ci si potrebbe aspettare (a la Star Trek insomma, con la sua federazione). Questo perché, personalmente, preferisco le cose che sono un po' più... vive.
E anche il primo capitolo di questa storia era improntato sulla verosimiglianza: dubito che quando un giorno troveremo la porta per le stelle, scopriremo che tutto è pace tra di loro.
Mi piacerebbe essere smentito, ma ne dubito: forse, sarebbe troppo noioso se fosse altrimenti.

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Capitolo 3
*** La Rana nel Pozzo II ***


L’arma più terribile del diavolo è la verità…
O qualcosa del genere. Dove aveva letto una frase simile, si chiese Cecile? Ed esattamente, com’era la frase originale?
Uno stupido interrogativo, specie dopo la giornata che aveva passato, ma l’interessarsi di cose non importanti l’aiutava a ritrovare un equilibrio: a non pensare a cosa potesse essere andato storto. Cecile non era sicura di niente: era impossibile prevedere le reazioni di una specie aliena che si incontrava per la prima volta e i Figli di Kos non le erano parsi particolarmente ricettivi alle sue informazioni. Forse aveva insistito troppo sull’egemonia del triumvirato, e l’Arconte avrebbe condotto il suo popolo alla morte pur di non vederlo sottomesso ad una dominazione straniera che non era riuscito a capire. Forse… forse avrebbe dovuto parlare della musica nella Tearkia, dell’ingegneria sociale della devota repubblica di Ydrasilia… o magari dell’ordinamento politico delle Repubbliche di Gaia, in modo di far capire come anche una specie non egemone potesse prosperare grandemente sotto il triumvirato…
Se: la combinazione più odiosa di due lettere. Cecile si costrinse ad abbandonare quei dubbi: se avesse lasciato loro libero sfogo, l’avrebbero privata di forza e determinazione che poteva servirle per il giorno successivo, o quello dopo ancora. Impossibile dire quanto quella missione diplomatica sarebbe durata, anni magari: era già successo. L’unica cosa di cui era certa, era che fino alla conclusione della missione lei era tagliata fuori dallo spazio della Dorata Intesa: proprio perché la missione aveva richiesto l’invio di un emissario ed era così importante, ci si aspettava che Cecile la completasse da sola. Anche perché, ed era una verità sconfortante a suo modo, si trovava a migliaia di anni luce dalla sua casa: a cosa sarebbero serviti incoraggiamenti e consigli di fronte a quella distanza? No, lei doveva riuscire a cavarsela da sola con le risorse a sua disposizione. Responsabilità, si ripeté Cecile come un mantra. L’impegno di ogni cittadino della Dorata Intesa verso sé stesso e gli altri.
E in fondo era sopravvissuta alla giornata, anche quello un obbiettivo da non sottovalutare: non riusciva ancora a sentirsi soddisfatta… ma forse poteva dirsi speranzosa.
Con ancora i capelli umidi dalla doccia e solo un morbido accappatoio addosso, Cecile si concesse di lasciar vagare lo sguardo nella nave che le era stata affidata per la sua missione: sua casa e rifugio fin tanto che fosse rimasta su Kos, e l’unica entità che fosse disposta ad ascoltare i suoi dubbi senza giudicarla. Sfortunatamente, Cecile li aveva già espressi tutti nel rapporto giornaliero, correttamente immagazzinato nel computer di bordo e in attesa di essere rispedito in blocco assieme agli altri quando fossero rientrati nello spazio della Dorata Intesa: non restava altro da dire per quella giornata.
L’astronave che la Dorata Intesa le aveva messo a disposizione per giungere sul pianeta dei Figli di Kos era un vascello Rostrum, una nave scientifica modificata che ricordava nelle sue linee una specie di seppia con i tentacoli spalancati, usati come appoggio per atterrare. Un vascello privo di capacità offensive, ma molto veloce e dotato di una propria IA integrata che svolgeva quasi ogni compito a bordo: una scelta obbligata quella sua solitudine, dato che le condizioni che i Figli di Kos avevano imposto per permettere ad un emissario della Dorata Intesa di scendere sul loro pianeta capitale era che appunto fosse uno. Allo stesso modo, avevano preteso il silenzio radio per tutta la durata della missione: Cecile si rendeva perfettamente conto di quello che implicavano simili condizioni. I Kos volevano scoraggiare l’invio di un esterno nel loro spazio, la ricerca di una soluzione pacifica e allo stesso tempo, volevano essere sicuri che avrebbero potuto impossessarsi della sua nave e prenderne in ostaggio l’emissario se fosse stato vantaggioso farlo.
Cecile sorrise: decisamente, i figli di Kos sapevano molto poco sulla Dorata Intesa. Come il triumvirato si era preoccupato di rispondere ai figli di Kos, la sua nave era stata istruita per tornare nello spazio della Dorata Intesa se fosse successo qualcosa all’emissario, e Cecile stessa portava in sé un detonatore a punto zero. Nell’orbita che le era rimasta vuota anni fa infatti, Cecile portava il mezzo per demolecolarizzare il proprio corpo: se i Figli di Kos avessero cercato di prenderla ostaggio, non sarebbe rimasto niente di lei, a parte una macchia scura sul pavimento. La preziosa tecnologia della Dorata Intesa non poteva cadere in mani nemiche: una verità che Cecile conosceva da molto tempo… e il suo sacrificio sarebbe stato più che ripagato dalla rappresaglia che il triumvirato avrebbe scatenato.
Fortunatamente, si consolò Cecile, sembrava che la sua abnegazione potesse proteggerla dalle pulsioni più violente dei Figli di Kos…
“Gyog?” chiamò.
L’avatar olografico dell’IA di bordo comparì a quel richiamo, manifestandosi da una striscia sensoriale sulla parete: l’umana fissò ancora una volta quella rappresentazione che sembrava tanto un riccio di mare rosso sangue.
“Musica per favore.”
“Pwl?” gorgogliò, un suono sgradevole che significava preferenze in lingua Hastur.
Gyog 037D675, come ogni IA integrata nei vascelli Hastur del resto, non era un grande conversatore, ma almeno era di compagnia.
“Qualcosa per Flauto Risonante. Magari La Danza delle Foglie.” l’avatar olografico scomparve senza giudicare, ma acconsentì alla sua richiesta.
Ben presto, Cecile si trovò cullata da note che vibravano non solo nel suo orecchio, ma anche nella sua carne, nutrendo il suo spirito: legno risonante, una delle poche merci di cui i Kodadam non volessero più fare a meno. Su di lei, e su qualunque altra specie, l’effetto era incredibile, ma comunque minore: sui cittadini della devota repubblica di Ydrasilia invece, era letteralmente in grado di farli sbocciare. Toni capaci di risuonare a livello fisiologico e produrre un effetto non erano cosa da poco, anche nella Dorata Intesa: al punto, che le sinfonie per tamburi di perle e legni risonanti avevano serie applicazioni nella psicologia e nella medicina di quasi tutte le specie, triumvirato compreso…
Cecile si lasciò trasportare dalle note, dimentica di quanto la nave sembrasse vuota con solo lei ad abitarla: di certo, anche Gyog avrebbe preferito occuparsi di cinquanta membri d’equipaggio.
 
Accadde durante la sua cena, una zuppa di crostacei e pesce piccante, che Gyog si materializzasse nuovamente davanti a lei: da quando era a bordo, Cecile aveva sempre scelto la sala degli archivi per i suoi pasti. L’IA non aveva alcun giudizio da dare in merito a quella preferenza, se non che avere a disposizione il sapere immagazzinato nelle sue banche dati sembrasse fare piacere all’umana... O quanto meno, fosse in grado di stabilire una connessione con lo spazio della Dorata Intesa: Gyog stesso non era indifferente ad una simile necessità. Il sapere di essere circondati da propri simili, o da organici che almeno comprendevano la sua esistenza…
Se fosse stato umano, l’IA avrebbe potuto forse descrivere quel bisogno affermando che in uno spazio amico non sarebbe stato costretto a dormire con un occhio aperto: nello spazio Kos erano isolati, e potevano contare solo l’una sull’altra, anche solo per infrangere la monotonia. Gyog ricordava secoli di importante esplorazione scientifica nelle sue banche dati, e panorami stellari sconvolgenti: essere relegato su un pianeta era per lui insopportabilmente noioso.
“Sì, Gyog?” chiese educatamente Cecile, con ancora il cucchiaio a mezz’aria e il tovagliolo sulle gambe.
Davanti a lei, fluttuava pigramente l’ologramma di una corazzata ydrasiana: seppur l’IA ne ammirasse la semplicità e l’efficienza delle forme, Gyog non ci teneva affatto ad essere installato su un simile vascello. Né la marina di Ydrasilia poneva IA sulle proprie navi: i Kodadam, così come la Tearkia del resto, se la cavavano più che eccellentemente con semplici computer da battaglia, per quanto avanzati.
Visitatore indigeno.” rispose Gyog.
A suo credito, Cecile non gli rivolse domande inutili: avevano un visitatore a quell’ora. Ma dove qualcuno, tra cui lo stesso Gyog, avrebbe potuto vedere con sospetto o paranoia quel potenziale invasore, Cecile scorse un’opportunità insperata.
E cosa desidererebbe?”
“…Parlare.”
 “Direi allora che sarebbe scortese lasciarlo fuori. Non credi?”
Armato.” rispose laconico Gyog: “…Ma non abbastanza.” aggiunse quasi sovrappensiero.
Cecile scosse la testa: Rostrum lasciava davvero il suo marchio in ogni cosa che costruisse.
 
L’Umana aveva fatto giusto in tempo a sparecchiare e accendere una bacchetta di incenso ydrasiano per liberare la sala dagli aromi del suo ultimo pasto, che il Kos venuto a farle visita entrò nella sala, guidato dall’IA di bordo. Cecile lo riconobbe subito: era la stessa loquace guardia che le aveva rivolto qualche domanda durante il colloquio con l’Arconte.
“Questo emissario della Dorata Intesa saluta il suo ospite.” lo accolse, inchinando lievemente la testa verso il Kos.
Cecile non portava la sua divisa ufficiale, ma a bordo della sua nave c’erano ben pochi pericoli da cui Gyog non potesse difenderla: i due kindjal erano poco lontani comunque, quasi a portata di mano. Con quella sistemazione, l’umana sperava di essere riuscita a proiettare un ambiente informale, dove si potesse mettere da parte il protocollo per meglio discutere. Stava supponendo molto ovviamente, ma in caso di pericolo la sua uniforme di lattice ablativo a mezze maniche sarebbe dovuta bastare:
“…Che risposta ti aspetti?” gracidò il Kos: “Questo emissario… e tutto il resto. Che saluto prevede l’etichetta della vostra Intesa?”
“Nessuno che non sia spontaneo. Come emissari, abbiamo sempre a che fare con culture diverse dalla nostra.” il Kos sembrò pensarci un po’ su, squadrandola dalla punta del suo corallo sinaptico alla cintura, dato il tavolo che li separava: Cecile si accorse che aveva “indossato” uno dei loro robot, in modo che potesse tradurre per lui ciò che diceva, e la medusa di metallo dorata gli riposava come uno zaino sulla schiena.
Alla fine, l’uomo rospo fece impattare palmi e avambracci in orizzontale davanti a sé, con uno schiocco di carne contro carne: Cecile lo invitò a sedersi con un gesto, e prese posto di fronte a lui.
“…Per quanto le nostre fisiologie siano in qualche modo compatibili, temo di non poterle offrire nulla che si adatti al suo metabolismo.” un’altra ragione per cui l’umanità era stata scelta per quella missione… probabilmente.
Per quanto freddo infatti, Kos non era incompatibile con l’umanità, almeno per clima e vita microbica: erano stati compiuti molti test da ambo le parti per assicurarsene quando i Kos avevano capito che la Dorata Intesa non avrebbe rinunciato ad inviare un loro emissario.
“Né credo sarebbe prudente accettare.” rispose il Kos: “…la nostra cultura proibisce di dividere un pasto con qualcuno che non sia un alleato.”
“…Sembra che il suo governo abbia già preso una decisione.”
“Tutt’altro: è una questione di prudenza. Non so ancora se possiate essere alleati o nemici, tu in modo particolare.”
“…E dunque cosa l’ha spinta a salire a bordo?” perché difficilmente quella visita era in qualche modo ufficiale.
“La speranza che mio padre si sbagli. A proposito: Tarbun, figlio primogenito dell’Arconte di Kos e delle sue colonie.” Cecile si concesse un silenzio molto lungo mentre fissava il figlio dell’Arconte negli occhi:
“…Ora non sono sicura di essere io a mio agio.”
“Oh?”
“Non sono venuta per assistere ad un golpe.”
“Non sarebbe la prima volta.” rispose serafico l’uomo rospo: “…Come pensa che l’attuale Arconte abbia preso il potere?”
“Quale che sia la storia passata del vostro popolo, Tarbun, voglio essere chiara: come emissario della Dorata Intesa non mi è consentito immischiarmi in questioni interne al governo di un’altra specie. E non lo farei, anche nel caso in cui potessi beneficiarne, personalmente o per conto dei governi che rappresento. Sarebbe estremamente disonorevole per il mio ruolo.”
“E se provassi a… estorcere la sua collaborazione con la forza?”
Non aveva nemmeno finito di dirlo, che lunghi tentacoli di metallo lo legarono strettamente al suo sedile, sorgendo dal pavimento e dal soffitto. Lo strinsero così velocemente, che Tarbun non fece nemmeno in tempo a rendersene conto prima che fosse tutto finito, né ad averne paura: solo dopo essere stato impacchettato al punto da poter solamente respirare liberamente, si accorse di cosa gli era successo.
Tuttavia, riuscì comunque a stupirla, perché le rivolse uno sguardo perplesso, piuttosto che impaurito, e questo nonostante gli ultimi tentacoli che si allineavano coi suoi occhi. Di certo aveva fegato:
“Allora temo che l’Arconte dovrà trovarsi un nuovo erede.” rispose concisa Cecile: “…Gyog, per favore, lascialo andare.”
Dopo qualche teso istante, l’IA le obbedì, liberando il Kos dalla sua stretta di metallo: non fu rapido quando avrebbe potuto, né fece dimenticare nemmeno per un attimo al Kos con quanta facilità avrebbe potuto prendersi i suoi occhi. Quando finalmente fu libero però, Tarbun si concesse uno sbuffo divertito:
“Meglio così: almeno non mi disonorerò con una vittoria che devo ad un altro.”
Cecile annuì, con un lieve sorriso:
“Sono lieta di essere riuscita a farmi comprendere.”
“…Voi emissari siete davvero incorruttibili come sostenevi.”
“Facciamo del nostro meglio per onorare la nostra carica: l’intera legittimità della Dorata Intesa è basata sul fatto che si agisca con responsabilità verso i propri incarichi e con onore. Personale, almeno.”
“Quindi, nessun vostro burocrate si è mai davvero dimostrato un incompetente?”
“Così è.”
“Fatico davvero a crederlo. Come è possibile ottenere una cosa del genere?”
“Non è facile. Non è mai facile, ma l’obbiettivo finale merita questa perseveranza.”
“La Dorata Intesa.” sillabò sarcastico l’uomo rospo.
“E molto di più: il triumvirato ci ha convinto, oltre ogni dubbio, che una singola persona può fare la differenza. Di conseguenza, ognuno di noi si impegna per farla.”
“Il triumvirato… da quello che abbiamo capito sono degli egemoni. I vostri egemoni.” aggiunse sovrappensiero, e Cecile annuì: “…Ma è evidente che per quanto abbiano la possibilità di farlo, la loro supremazia non sia basata sulla forza delle armi. Tearkia forse esclusa.”
Cecile scosse la testa:
“Nemmeno la gratitudine che la mia razza nutre verso la Tearkia è basata sulla forza della armi, Tarbun: loro ci hanno liberato dall’apatia che derivava da problemi che pensavamo insolubili. E se dovessi ricondurre la loro supremazia ad un singolo elemento, sceglierei l’egemonia spirituale.”
“…Spirituale?” borbottò il Kos, come sputando una parola di dubbio gusto: “Sono forse dei mistici?”
Cecile curvò la testa di lato, pensierosa:
“Sembra che lei abbia molte domande, Tarbun. E ogni domanda ne porta un’altra. Ma mi chiedo cosa davvero la interessi.”
“Tutto!” rispose l’uomo rospo senza indugiare: “…Voglio sapere delle società che dominano la vostra Intesa. Cosa le rende egemoni? Quali sono i loro punti di forza, ma soprattutto di debolezza? Qual è il vostro livello tecnologico, in special modo gli armamenti? Quanto veloci vanno le vostre navi e quanto lontano, prima di aver bisogno di essere rifornite? E come ha perso l’occhio?” l’ultima domanda, sembrò cogliere il Kos stesso di sorpresa: “…Per favore.” aggiunse dopo un momento.
“Come emissario, sarà un piacere rispondere a tutte le sue domande. Ma ad una condizione.”
“E quale?”
“Dovrà condividere ciò che le dirò con chiunque le farà domande a proposito, senza alterare le informazioni in alcun modo. Ed è anche ovvio che se mi faranno domande a proposito di questo incontro, risponderò con la stessa verità.”
“…Potrebbe essere un problema. L’Arconte non vede di buon occhio le iniziative personali e le novità in genere, comprese le innovazioni tecnologiche che non siano destinate alla guerra.”
“Lei è uno scienziato.” realizzò Cecile con un certo stupore, che riuscì però a nascondere.
“Mi piacerebbe esserne uno degno di questo nome! Si raggiunge presto un limite quando continuano a chiederti armi che sparino più frequentemente e più lontano.” sospirò di antica frustrazione Tarbun.
“…Allora dovrebbe capire perché è così importante che ciò che le dirò sia diffuso nella sua forma integrale.” gli rispose Cecile, e lei e il Kos rimasero a fissarsi di nuovo negli occhi.
Fu Tarbun il primo a cedere:
“E che sia il deserto! Va bene, accetto le tue condizioni, ma spero che non abbia bisogno di dormire, perché ho un milione di domande e più.”
“Posso farne a meno in questo caso.” ribatté Cecile: E che sia il deserto… che affascinante modo di esprimersi!
“Cominciamo dalla fine, se vuole: mi ha chiesto come ho perso il mio occhio.” iniziò l’umana: “….Fu colpa della mia arroganza. Lei ha visto le lame che porto con me.”
“Non c’è Kos che non le abbia viste ormai: sono così pericolose come penso?” ovvero più di quanto sembrassero?
“Molto di più temo: e tuttavia, sono solo due parti di un trittico. Sono lame della Tearkia, kindjal empatici: a coloro che li usano, sussurrano di morte e guerra.”
“Sussurrano? Cioè parlano?”
“Non è facile da descrivere: i Midion Tezhnid impongono il fantasma di un’anima guerriera nelle lame che costruiscono. Sono in grado di farlo grazie alle loro doti mentali, ed è un capacità solo loro. L’effetto, in poche parole, è una somma di ricordi e sensazioni che potrebbero essere descritte come un demone battagliero imprigionato nella lama, e non particolarmente grato di questo. Quando un veterano della Tearkia non è più in grado di combattere, è usanza che passi la propria vita plasmando armi per la generazione successiva: queste lame però, conoscono perfettamente il compito per cui sono state costruite e i massacri combattuti dai loro creatori. E con millenni di storia guerriera alle spalle, il sapere marziale e la furia guerriera che si è accumulata col passaggio delle generazioni nella Tearkia è diventata una cosa quasi viva. Quando si affronta un guerriero Midion Tezhnid, Tarbun, non si affronta un combattente solo: si affrontano almeno tutti quelli che lo hanno preceduto. Per quanto immateriali siano quei ricordi, essi hanno un potere: può credermi sulla parola.” affermò Cecile, toccandosi la lente protettiva che nascondeva la sua orbita vuota: “…Ed è questo quello che è successo a me.”
Il Kos rimase in silenzio ad osservarla, invitandola a continuare:
“I Midion Tezhnid combattono usando due pugnali, i kindjal che ho con me, e una lancia, che adoperano contemporaneamente, data la loro fisiologia.” tra loro, l’Umana materializzò al posto degli ologrammi della corazzata Kodadam una lancia ornata a grandezza naturale: assomigliava molto poco all’idea che un nativo della Terra potrebbe avere di una simile arma.
Era più lunga di quanto Cecile fosse alta, e i due quinti della sua lunghezza era costituita da due lame triangolari, sottili ma dall’aspetto molto resistente, parallele tra loro e distanziate di circa tre dita. Tanto però le due lame erano scarne ed essenziali, tanto il manico era ornato, con incisi motivi astratti e strani geroglifici che Tarbun non provò nemmeno a comprendere: non riusciva nemmeno a capire in effetti di che materiale fosse quella lancia. Sembrava quasi argento, ma con uno scintillio liquido sulla sua superficie che sembrava anche fumo.
“…I kindjal sono oggetti imprevedibili e letali, ma sempre comunque concepiti per la difesa personale mentre si porta un attacco con la lancia. È solo per questo che altri che non siano i Midion Tezhnid possono imparare a manovrarli senza esserne controllati o sopraffatti. E anche così non è facile. Le lance della Tearkia invece…” Cecile si interruppe per un attimo, cercando il modo migliore di raccontare il resto al Kos: “…vederle, è essere portati a prenderle in mano. Ma prendendole in mano, non si vuole conoscere altro che la guerra.” sussurrò alla fine e tra loro, il silenzio sembrò diventare una cosa quasi viva.
Solo quando fu pronta, Cecile continuò:
“…Come ho detto, fui arrogante: ero in visita su una delle colonie della Tearkia, e volli a tutti i costi conoscere un trankettori che si era ritirato in quel luogo. Non si mostrano spesso agli stranieri, e naturalmente rifiutò d’incontrarmi. Avevo poco più di un ciclo allora, mentre il trankettori, Ra Bo bis Vhemeed, progenie di Midion e Tezhnid, aveva… circa 19 cicli: naturalmente credevo di saperne più di lui.”
19 cicli?”
“I Midion Tezhnid hanno vite lunghe.” annuì Cecile: “…Anche se il primato assoluto va ai Kodadam, 300 dei miei anni sono un’aspettativa di vita più che ragionevole per un cittadino della Tearkia.”
“Uova ghiacciate… non credevo che ci fossero specie così longeve: quanto…?”
“Quanto a lungo vive la mia?” chiese Cecile, raccogliendo l’assenso di Tarbun: “…Con la scienza e la medicina di cui disponiamo attualmente, dieci cicli è il massimo a cui riusciamo realisticamente ad aspirare.”
“Il doppio della nostra.” commentò soprappensiero il Kos: “…Ma torniamo al tuo occhio.”
“Non resta molto altro da raccontare: sperando di poter conoscere Ra Bo, mi introdussi di soppiatto nel suo laboratorio, trovando non lui, ma una lancia appena completata. Quando la presi in mano, la lancia seppe subito che non ero degna di lei: quindi potevo essere lì solo per morire.” Cecile si prese un momento, prima di continuare: “…Ricordo poco di quei momenti: ero, letteralmente, fuori di me. Fu così che incontrai il mio primo e ultimo trankettori, quando mi impedì di infilarmi la sua ultima creazione nella testa.” a Cecile, sembrò che la pelle del Kos si fosse fatta un po’ più granulosa e umida a quelle parole, ma non aveva ancora finito:
“...Il peggio era che lo desideravo: è anche questo ciò che fanno le loro lance. Chiunque le veda, non può fare a meno di ammettere quanto sarebbe magnifico farsi trafiggere da loro.”
“Ed è… insanabile?” chiese Tarbun indicando la sua mutilazione con un tozzo dito.
“Sì. Le ferite che una lama empatica infligge colpiscono anche la psiche e non guariscono mai davvero.” non era un caso che i trankettori non prendessero quasi mai prigionieri: le ferite che le Lance Sanguinanti infliggevano, erano un tormento da cui si poteva fuggire solo con la morte.
“Lame empatiche…” mormorò Tarbun: “…Sembrano storie di magia.”
“Posso garantire che esse sono oltremodo reali, ma sono in molti a condividere questa sua visione: tuttavia, i Midion Tezhnid non hanno mai concepito l’idea di sovrannaturale. Per loro esiste solo ciò che può essere fatto e ciò che è impossibile; e solo la prima è argomento della loro peculiare scienza: per esempio, sostengono che sia l’io a dare forma al reale. Per la Tearkia, la realtà esiste perché così impone la nostra coscienza: non l’inverso.”
“…Non credo che capirei mai un approccio simile.” per Tarbun e quasi ogni altra civiltà della galassia, la mente, al massimo, interpretava il reale.
“Non è l’unico. La scienza della Tearkia è astrusa, inconsistente e apparentemente basata su pochissima logica: solo i Kodadam riescono a capire vagamente le implicazioni dei metodi che la Tearkia usa per spiegare la sua concezione di reale.”
“Nessuno di voi ha mai provato ad applicare i loro metodi?”
“Molti hanno tentato. E coloro che non hanno rinunciato di fronte alle operazioni con insiemi infiniti di soluzioni che ci si trova a dover risolvere, sono quasi sempre impazziti. Così come per le loro specie, la loro scienza sembra essere stata decisa da ordini di coscienza superiore e data ai Midion Tezhnid prima che ne sviluppassero una loro, ma non vi è traccia di questo nemmeno nella loro tradizione orale: caso, coincidenza, predestinazione… termini che sembrano diventare uno solo quando si ha a che fare con la Tearkia. La loro matematica in particolare possiede una sua logica, ma solo se osservata da non troppo vicino: nel particolare, essa può risultare deleteria.” Cecile sorrise lievemente dicendo quella frase: “…Credo che ci sia addirittura un trattato tra Tearkia e Rostrum, che invita i Midion Tezhnid a non esporre le loro teorie matematiche ai simposi del triumvirato. E allo stesso modo, la Tearkia fatica a comprendere perché le altre civiltà ancora si affidino, e preferiscano, sistemi che definiscono, e cito testualmente: meccanicistici oltre ogni necessità.”
“…Hanno IA?” chiese Tarbun.
“Sì, la Tearkia dispone di tre IA, una per ogni casta di cui si compone la loro società, ma le usano esclusivamente per accelerare il loro progresso scientifico.” e a voler essere sinceri, la Tearkia era l’unica civiltà che usasse così poche IA per il proprio beneficio.
“Sono differenti? Dalle vostre intendo.”
“Come la scienza che le ha create.” rispose Cecile.
“…Eppure funzionano.”
“Eppure funzionano e lo dimostrano continuamente. Supponiamo che le navi della Tearkia siano le più veloci di tutta la galassia anche per questo.”
“Di quale velocità stiamo parlando?”
“Istantanea. O quasi. La cosa più straordinaria è che la distanza per loro perde di significato: 10 anni luce, 1000 anni luce, 10'000 anni luce… Le loro navi varcano queste distanza sempre nello stesso tempo: un giorno.”
Tarbun era senza parole a quella notizia, ma Cecile non esitò a dargli il colpo di grazia:
“…La gittata massima sembra essere 40'000 anni luce: c’è qualcosa nel modo in cui il centro galattico influenza il loro metodo di navigazione che gli impedisce di arrivare più lontano.”
“Mi stai davvero dicendo che in tre giorni le navi della Tearkia possono attraversare la Galassia?”
“Sì. Ma è una propulsione che si basa sulle capacità mentali e psichiche Midion Tezhnid: ergo, solo loro possono usarla, e solo loro possono viaggiare con essa.”
“E cosa succede quando qualche altra specie si imbarca a bordo delle loro navi?”
“Nessuno ha mai saputo raccontarlo, Tarbun. E dopo ampie dimostrazioni di questo, di cui di nuovo nessuno riesce a capire il perché, Tearkia compresa, abbiamo smesso di provare a risolvere questo enigma.” erano state perse migliaia di vite per accertarsene, in tutte le epoche: fin troppe, e umane comprese. Alla fine, si era dovuto accettare che la propulsione PSI non potesse diventare lo standard della Dorata Intesa, nonostante gli studi e l’enorme paradosso che rappresentava. E comunque, c’erano metodi più sicuri per varcare le stelle, anche se non così veloci:
“…Solo i Kodadam riescono a sfruttare una propulsione simile, ma devono comunque prendere diverse precauzioni. Il transito corretto dipende anche nel loro caso da una particolarità nella loro fisiologia.”
“Ovvero?”
“Sono un popolo di piante senzienti.” rispose Cecile come se fosse naturale, facendo scomparire l’ologramma della lancia Midion Tezhnid e sostituendolo con quello di un essere a cui Tarbun fece molta fatica a dare un senso.
Un corpo fruttifero centrale, un fittone, posto più o meno dove ci si aspetterebbe di trovare una testa, con sei aperture nerissime su una sostanza bianca come legno di betulla. L’essere possedeva una gorgiera di foglie-petali a circondare la nuca, formando una sorta di capigliatura selvaggia, con altre foglie spesse che ne ricoprivano la cima della testa. Da una biforcazione posta sotto il fittone-testa, si dipanavano otto radici-arti per tutta la lunghezza di quel corpo, terminando ciascuna in delicate radici-dita prensili. Complessivamente, il colore di quella creatura variava dal verde smeraldo al marrone cannella, passando da toni freddi a più caldi senza una particolare soluzione di continuità: dai diagrammi, Tarbun capì che era alto almeno due volte lui.
“Un giorno, su Kraneia, la foresta cominciò a pensare.” recitò Cecile a suo beneficio: “…Questa è l’unica spiegazione che i Kodadam abbiano mai voluto dare per la loro evoluzione: a oggi, sono l’unica specie che si sia evoluta dal regno vegetale. Hanno il buon gusto di non farcelo pesare troppo.” aggiunse l’Umana con un sorriso: “…La loro civiltà è molto antica, Tarbun e vivono decisamente a lungo. Esperienza e tempo hanno creato la Devota Repubblica di Ydrasilia: un’utopia che molti vorrebbero emulare nella Dorata Intesa.” compresa l’umanità in effetti.
“Per quale ragione?”
“Hanno saputo costruire una civiltà che ha come obbiettivo la felicità massima di ogni suo cittadino. E nonostante questo, rimane una democrazia attiva, vitale e temibile: le loro corazzate sono forse le migliori navi di tutto lo spazio della Dorata Intesa, pur nella loro semplicità di design. Ma ancor più della sua protezione, le civiltà della Dorata Intesa invocano i suoi servigi.”
“Di che genere?”
“Sono maestri nella scultura di ecosistemi planetari: ogni mondo dei Kodadam è un paradiso che si sono costruiti per la loro specie. Lussureggianti foreste fin dove l’occhio può arrivare, e dove i Kodadam si confondono con gli alberi. Loro sanno risanare, ripristinare e creare vita come nessun altro: una vita forte, che sostiene coloro che sanno prendersene cura. E così, mettono i loro servigi in vendita, per ripristinare ecosistemi esauriti, o pianeti colpiti da qualche catastrofe planetaria: perfino globi sterili di roccia e ghiaccio possono diventare giardini in anni, sotto le cure dei Kodadam.”
“Immagino che il prezzo non sia a buon mercato.”
“Relativamente, Tarbun: creare nuovi mondi colonizzabili, posti saldamente all’interno del proprio dominio, valorizzare quindi ogni pianeta già nel proprio territorio, dal punto di vista strategico è qualcosa che può cambiare gli equilibri di un intera specie e le sue confinanti. I Kodadam sono diventati ricchi grazie a questo, ma nemmeno la metà di quanto avrebbero potuto. In effetti, l’unica vera condizione che pongono per continuare a fare del bene, è che nessuna razza atterri mai sul loro pianeta natale: Kraneia.” un luogo dove ogni petalo era Perfezione, o così lo descrivevano.
“Una strana condizione… si direbbe che abbiano qualcosa da nascondere.”
“Non sono gli unici: nemmeno gli Hastur desiderano alieni sul loro pianeta natale.” ma in quel caso era quasi comprensibile, dato lo stato pericolante di Ryleh: “…I Kodadam custodiscono qualche segreto, ma la Tearkia ci ha assicurato che dipenda più dal loro senso del sacro, che perché vogliano davvero celarci qualcosa.”
“E di nuovo si torna alla Tearkia. Li ammiri molto, non è vero?”
“Li studio da quasi una vita.” ammise Cecile: “…Non posso diventare come loro, ma… li invidio. E continuano a stupirmi. Sono… una società paradossale e non solo per essere una razza separata 37'000 cicli fa che si è riunita.”
“Di certo non è stato naturale, o un caso.” e questa supposizione sembrava diventare una certezza se si considerava la supremazia che i Midion Tezhnid dimostravano in ambito fisico, psichico e la loro strana scienza.
“E quello che a tutti viene spontaneo pensare. Ma date le molte assurdità che apparentemente contraddistinguono la Tearkia, ci è difficile darlo per certo. Anche perché non ci sono prove o indizi di nessun genere a suffragio dell’ipotesi di un intervento da parte di qualcun altro, e mi creda: li hanno cercati tutti e a lungo.”
“Potrebbero essere due specie che si siano evolute lungo percorsi evolutivi convergenti al punto da diventare la stessa?” chiese Tarbun: un simile paradosso stuzzicava lo scienziato che era in lui.
Mentre nel modo che aveva di tirarsi la pappagorgia, Cecile rivide molto dell’Arconte:
“Forse. Ma questo non spiega le somiglianze culturali e psicologiche che i Midion e i Tezhnid già condividevano ai tempi della loro riunificazione.”
“Supponendo ovviamente che i registri storici non siano stati alterati…”
“Abbiamo le prove che questo non è stato fatto: come ho già avuto modo di dire, il triumvirato è un’istituzione relativamente recente. Anche prima di formare la Dorata Intesa, le tre civiltà si conoscevano e direi piuttosto bene: come avversari che si studiano prima, e come alleati poi. Sia Rostrum che Kodadam conoscevano i Midion prima che trovassero i Tezhnid.”
“Quindi furono i Midion i primi a raggiungere le stelle?”
“Non poteva essere diversamente: Vrs e Nydra sono pianeti differenti. Vrs possiede una gravità minore, ma risorse minerarie più estese: in effetti, le sabbie che coprono Vrs sono a tal punto ricche di minerali che l’età del ferro per i Midion cominciò quando qualcuno si dimenticò un pugno di sabbia metallica sopra una pietra appoggiata ad un falò.”
“Addirittura?”
È anche la ragione per cui i Midion sono una specie notturna: si muovevano su Vrs quando la temperatura scendeva a livelli accettabili. Per ragioni simili, i Tezhnid sono invece una specie diurna. Ma dato che Nydra è un pianeta con una gravità maggiore, i Tezhnid stavano finendo di costruire la loro prima stazione spaziale orbitante quando i Midion li raggiunsero.”
“Trovando… sé stessi? Ho capito bene?”
Cecile fece comparire due coppie di ologrammi a quel punto, sostituendo quello del Kodadam: due paia di Midion e di Tezhnid, maschi e femmine. Le somiglianze erano palesi anche agli occhi di Tarbun, che non aveva mai visto creature simili: bipedi, alti al punto che Cecile sarebbe arrivata loro al petto. L’Umana sorrise guardando quei ritratti, di gioiosa familiarità: più si sforzava di comprenderli, più restavano un mistero.
Erano pallidi, eterei, quasi: chiusi in carapaci forgiati nell’aspetto di insetti dai grandi occhi composti, con volti e bocche da cavalletta. Nonostante questo, a Cecile ricordavano, per chissà quale motivo, qualcosa dei Solifugidi della Terra: forse dipendeva dalla velocità dei Midion Tezhnid nella corsa.
Tarbun invece, stava finendo di contare quattro morbide antenne che partivano dalla sommità di teste triangolari, che Cecile sapeva i Midion Tezhnid tendevano a legare assieme tra amanti; nonostante la conquista della parola prima, e della telepatia poi, avessero soppiantato la condivisione chimica da millenni. Corpi asciutti e scattanti, da corridori, che quasi non rivelavano la forza e la velocità di cui erano capaci. Niente ali, atrofizzate in entrambe le specie ancor prima di raggiungere la ragione, ma solo sottili bande di colore che si ripetevano sui loro esoscheletri, in motivi dettati solamente dai capricci della genetica: perfino il loro sangue aveva lo stesso colore, un grigio perla dovuto al fatto che la loro versione dell’emoglobina usasse l’argento, piuttosto che il ferro.
A ben vedere, l’unica vera differenza tra Midion e Tezhnid, era che i secondi erano un poco più tarchiati dei primi, mentre i Tezhnid avevano antenne più lunghe, che usavano in parte per regolare la temperatura corporea.
“Sono disposta a credere che due specie che provengono da ecosistemi diversi si evolvano verso un uguale paradigma biologico al punto di poter avere prole fertile? Sarebbe una coincidenza straordinaria, ma ammettiamo pure sia possibile. Come si spiegano però le medesime somiglianze sociologiche e culturali in due specie che si siano evolute su pianeti a più di mezzo braccio galattico di distanza?” perché questa era la distanza tra Vrs e Nydra: dettati così i confini estremi del loro dominio, la Tearkia appena dichiarata aveva rivendicato come suo l’intero territorio tra quei due mondi e nei millenni successivi l’aveva poi strenuamente difeso e ampliato, fino a diventare uno dei tre membri fondatori della Dorata Intesa.
“…Come si spiega che due specie così distanti organizzino le loro società nello stesso sistema di caste libere, e che perfino le loro cerimonie siano simili, così come i loro martirii?” era stato provato tutto e il contrario di tutto per conciliare quel paradosso: predestinazione biologica, destino sociale… come se raggiunta una certa forma, non si potesse che organizzare la propria società in un solo modo specifico. C’era anche chi pensava che Midion e Tezhnid si percepissero ancora prima di incontrarsi, tramite una latente forma di telepatia, ma questa ipotesi era stata negata più volte dai diretti interessati: nessuno dei due sapeva dell’altro, prima della loro riunificazione.
Ma se anche qualcuno aveva interferito nella loro evoluzione, seminandoli su pianeti così diversi, e aveva fatto in modo che le loro società tendessero alla medesima forma, che fine aveva fatto questo oscuro burattinaio? Perché non era rimasto a godere dei frutti di un lavoro che doveva essere costato non poco impegno e fatica? Non era più semplice, e quindi probabile, credere in un accidente cosmico?
La Tearkia suscitava spesso questo genere di domande, quasi sempre senza risposta: erano un delizioso enigma, che apparentemente i diretti interessati non trovavano necessario risolvere.
“Martirii?” chiese invece Tarbun.
Cecile fece comparire la bandiera della Tearkia a quel punto: un triangolo d’oro con bisettrici che si incontravano nel luminoso centro, posto in campo grigio e con due cerchi neri, a rappresentare Vrs e Nydra, colti nell’atto di sorgere dai loro opposti orizzonti per raggiungersi.
“La società Midion Tezhnid è organizzata in tre caste, e questo era vero ancora prima che si incontrassero: la casta dei soldati/cacciatori/agricoltori, la casta degli scienziati/ingegneri/artigiani e la casta dei politici/sacerdoti/filosofi. In entrambi i casi, le tre caste riflettono l’antica struttura sociale della loro specie: in effetti, si può dire che i Midion Tezhnid si siano evoluti come specie sociale per meglio difendersi dai predatori.”
“Che sono ancora più terribili di loro?”
“Decisamente.” ragni con mentalità da branco grandi come case e vespe della stazza di auto per Vrs, crostacei dal potenziale distruttivo di carro armati e l’equivalente di formiche da ghiaccio per Nydra: acqua e fuoco, giorno e notte. Una dualità sempre presente nella Galassia, esasperata nei Midion Tezhnid.
“…La conquista e la padronanza delle loro capacità psioniche ha riequilibrato pesantemente le dinamiche preda/predatore, ma i Midion Tezhnid hanno sempre percorso gli stessi sentieri. Per esempio, la cura degli infanti è un affare pubblico: ancora oggi, che potenziali genitori non sono più divorati vivi dai predatori dei loro rispettivi ecosistemi, la sicurezza e il benessere della loro prole è affidata a tutti. Un trankettori, è solo di una lancia più pericoloso di un Midion Tezhnid che protegge un infante.” ammise Cecile con un sorriso.
“Stai eludendo la mia domanda sui martirii?”
“…Preferisco pensare di star fornendo un contesto.” ribatté Cecile: “I Midion Tezhnid sono una specie carnivora: mangiano preda preferibilmente viva o appena uccisa, quando ciò non è possibile. Ecco perché ad esempio agricoltori, cacciatori e soldati formano una singola casta.”
“Ah.”
“...Ma le loro caste restano un sistema aperto: da ogni cittadino della Tearkia ci si aspetta che contribuisca ad almeno due caste nella durata della sua vita. Nella loro concezione, l’esperienza dei primi cicli viene messa al servizio della scelta compiuta più avanti con l’età: elemento questo, che di nuovo era presente sia tra i Midion che tra i Tezhnid prima della loro riunificazione.”
“Continui a girarci attorno.” affermò sardonico Tarbun.
“Perché non è facile conciliare questa parte delle loro società con alcune loro pratiche che francamente trovo barbariche io stessa.” di nuovo, Tarbun le lasciò il tempo di continuare coi suoi tempi:
“…Sono una specie forte, gioiosamente portati al conflitto, ma molto presto sono stati costretti a trovare un modo di incanalare questa energia: la loro casta governante, se così si può dire, ha compreso molto presto che rituali, mistica, sacralità… erano strumenti in grado di arginare lo spargimento di sangue tra i loro consimili.”
“Quindi la religione è per loro uno strumento di controllo?”
“Sì e no. La religione Midion Tezhnid può essere descritta come un culto apocalittico degli antenati: credono, o meglio, si impongono di credere, che alla fine dei tempi vi sarà un grande scontro tra i viventi e qualcosa che loro chiamano l’Inconosciuto, una specie di divinità del caos con quattro teste, ognuna che porta su di sé una diversa forma di rovina. La posta in palio sarà la continuità o meno dell’esistenza stessa.” spiegò Cecile, proiettando la rappresentazione di un arazzo in cui si vedevano le orde di Midion Tezhnid, e altre specie, andare in battaglia contro una titanica figura con quattro teste, ma che restava in ombra.
“Hai detto che si impongono di credere.” Intervenne Tarbun: se faceva di tutto per non rispondere alla sua domanda, allora tanto valeva farne un’altra.
“…Quando una finzione ripetuta, ritualizzata, diventa realtà? La nostra esperienza ci dice che una cosa simile non avverrà mai… ai Midion Tezhnid però, ha dimostrato diversamente. Perfino loro sanno che la religione è una pratica ritualistica creata per sfogare e controllare alcuni istinti di base insiti in ogni società, uno dei motivi per cui non fanno proselitismo tra le altre specie, eppure sembra che nel loro credere, in quel gioco che hanno creato per sé, qualcosa di vero ci sia. Per loro almeno, funziona: innalzano mausolei in cui chiedono aiuto e consiglio ai loro antenati per gioco, e scoprono di avere società più stabili e forti come conseguenza: in loro il rapporto di causa effetto sembra rovesciato, oppure che ci sia davvero una divinità che apprezza i loro sacrifici e i loro rituali. E se come non bastasse, sostengono di aver trovato la forma definitiva del loro testo più sacro tra le stelle, ma questa è un affermazione che nessuno è un grado di verificare. E prima che provi a suggerire che è dovuto ai loro poteri psicocinetici, anche questa ipotesi è stata vagliata attentamente.”
“Risultato?”
“Nulla di conclusivo. Funziona e tanto basta. Nemmeno i loro governatori, i loro martiri viventi, sanno perché, o se lo sanno, si guardano bene dallo spiegarlo.”
“Sono sempre più confuso, come si può essere martiri viventi?”
“…Una pratica che era già diffusa tra Midion e Tezhnid prima della loro riunificazione.” spiegò Cecile con una piccola voce: “…Esiste una cerimonia, destinata a coloro che tra i Midion Tezhnid invocano la responsabilità di essere governatori e capi tra loro. All’aspirante viene iniettato un veleno, una tossina neurale che devasta il corpo, ma lascia intatta la mente. A coloro che sopravvivono, vengono tolti tutti i sensi, per sempre. Ma la mente di questi martiri, costretta a ripiegarsi su sé stessa, costretta a poter ascoltare solamente sé stessa, raggiunge nuovi livelli di ragionamento e capacità: precognizione ad esempio. Storicamente, i primi psionici e telepati nella Tearkia sono stati appunti questi martiri viventi, e lo studio di ciò che capitava esattamente a loro la diffusione dei talenti mentali tra i Midion Tezhnid.”
“Un’abnegazione che non riesco a comprendere…”
“Nata da coloro che erano strappati ancora vivi ai più terribili predatori sui rispettivi pianeti d’origine. Li chiamano Tearki: ed essi si sacrificano, e sono sacrificati, per poter meglio guidare la loro specie. L’impegno naturalmente è a vita: ogni colonia dei Midion Tezhnid è retta da almeno uno di questi governatori-martiri, che presiedono all’ordine e alla prosperità del pianeta. Altri Tearki invece, pur non avendo la responsabilità di una colonia, hanno funzioni importanti per la Tearkia: giudici, filosofi, cognitivi… la lista è lunga.”
“Cicli interi di buio… non so se sarei pronto a fare qualcosa del genere. E come si coordinano tra loro?”
“Fanno tutti riferimento ad uno: l’Arcitearka, imperatore-dio di tutti i Midion Tezhnid. Un essere dai poteri psionici e dall’intelletto così vasto, da trascendere la sua stessa biologia, che viene deificato dai suoi simili sia per ciò che è, che per ciò che ha sacrificato. Attualmente, a reggere la Tearkia è l’imperatrice-dea Sa Ti: per lei, i Midion Tezhnid organizzano tornei interplanetari in cui mettono alla prova il loro valore e in cui la morte è l’unica sconfitta onorevole. Muoiono in suo nome, conquistano per la sua gloria e pregano per la sua salvezza.” Cecile non poté impedirsi di rabbrividire mentre quelle parole lasciavano la sua bocca: non poteva tacere la parte più importante però. Doveva arrivare fino in fondo:
“…E fin da quando si sono riunificati, Midion e Tezhnid selezionano le famiglie da cui devono giungere i loro Tearki anche in base alla loro possibile aspettativa di vita, in modo da garantire leader dal mandato sempre più lungo, ma comunque in grado di guidarli con forza… Ammirate la mia abnegazione, Tarbun?” chiese Cecile amara: “…Quanto vale, di fronte a 14 cicli di isolamento completo dei sensi, con solo la propria mente per conoscere il mondo e la propria specie? E c’è un’altra somiglianza che ha contraddistinto la storia di Midion e Tezhnid a proposito.”
“E quale?”
“La figura di Tearka è nata appena prima di raggiungere le stelle per entrambi, segnando la fine di crociate che avevano spazzato i due mondi nel tentativo di rispondere ad un semplice quesito: quale identità porteremo con noi fra le stelle? Chi siamo davvero? E nel sangue e nella battaglia, e nell’istituzione della Tearkia, il dominio del divino, il loro sacro impero, i Midion Tezhnid hanno trovato la risposta.”
“…Al confronto, perfino Rostrum e il suo passato sono socialmente accettabili.”
“…Credo che lei abbia appena fatto il miglior complimento che si possa fare ad un Hastur.” rispose Cecile, con un piccolo sorriso.
 
Parlarono ancora molto quella notte, parlarono di molte altre cose, di molti luoghi e di civiltà lontane. Fu quella notte che Tarbun e Cecile capirono che sarebbero diventati amici, nel tempo: e infatti rimasero in contatto anche quando la missione dell’emissario della Dorata Intesa finì, dopo che i Figli di Kos rinunciarono ufficialmente alle loro pretese sul pianeta di Sorat, per quanto non vollero unirsi formalmente alla Dorata Intesa.
Almeno per qualche generazione ancora.


E questa storia termina qui.
Spero che vi sia piaciuta, pur nella sua stranezza e terribili possibilità che immagina: tuttavia appunto "la Galassia è antica e piena di portenti".
Cheerio!

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