First Contact di Hi Fis (/viewuser.php?uid=83902)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Contact ***
Capitolo 2: *** La Rana nel Pozzo I ***
Capitolo 3: *** La Rana nel Pozzo II ***
Capitolo 1 *** First Contact ***
I. Ogni
nostro primo contatto dovrà avvenire solo con civiltà che abbiano
raggiunto la
singolarità tecnologica interplanetaria.
La
Galassia è immensa: esporre alla sua vastità
civilizzazioni che non sono pronte a, o non vogliano, farne parte,
sarebbe un terribile
errore.
II. Ogni
nostro primo contatto dovrà
iniziare solo dopo aver raggiunto un metodo di comunicazione affidabile
e
comprensibile ad entrambi.
Perché
non vi siano fraintendimenti tra noi: quando
un singolo messaggio può plasmare la storia, esso deve essere composto
con
cura.
III. Ogni
nostro primo contatto dovrà
avvenire in un ambiente artificiale senza nessuna adiacenza con
reciproche
biosfere.
Il
rischio di contaminazioni deve essere
prevenuto ad ogni costo.
IV.
Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire con una sola nave e
attraverso un
numero limitato di emissari.
C’è
paura nei numeri, nello scoprire di essere
in minoranza o in svantaggio: ricordiamo quel timore.
V.
Ogni
nostro primo contatto dovrà procedere con prudenza.
Ogni
nuovo incontro è in sé un mistero: non da
temere, ma da esplorare. Se la loro reazione a noi fosse di
sofferenza, ci
si sforzerà di comprendere le motivazioni di questo, e correggere il
nostro
approccio.
VI.
Ogni nostro primo contatto dovrà
temperare il desiderio col giudizio.
Per
quanto grande possa essere il desiderio di
condividere con qualcun altro dopo aver creduto di essere stati soli
così a
lungo, scienza, tecnologia, storia, arte… sono soggetti così intimi e
straordinari, che non possono essere scambiati alla leggera, e senza
valutarne
attentamente le conseguenze a lungo termine.
VII.
Ogni nostro primo contatto dovrà procedere sperando per il meglio, ma
preparato
ad ogni scenario.
La
sete di conoscenza e la gioia della scoperta
non devono mettere in pericolo nessuna vita.
VIII.
Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere con onestà.
Nessuna
fiducia può essere costruita sulla
menzogna: risponderemo con verità alle loro domande e crederemo alle
loro
risposte, senza celare quando una risposta ancora non può essere
data.
IX.
Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere senza essere influenzato da altri elementi.
Le
altre sfaccettature della vita non hanno
merito né colpa del momento in cui avviene il nostro incontrarsi. Non
vi sono
soluzioni da cercare nel loro esistere, né è giusto pretendere qualcosa
del
genere. Un primo contatto avviene quando uno di noi incontra altre
specie come
emissario di tutti, nessuno escluso, e parla per tutti, nessuno
escluso. Queste
condizioni sono imprescindibili per un primo contatto: ritardarlo, se
queste
non sono raggiungibili al momento, è la scelta più giusta da fare.
X.
Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare
con l’invio di questo protocollo.
Così
che anche le altre sfaccettature della vita
possano iniziare a comprendere noi, e i modi con cui all’inizio agiremo
nei
loro confronti.
***
“…Un
po’ più arido di quanto mi aspettassi. Che
ne pensi Jim?”
“Mi
chiamo Hans, signor Presidente.” replicò il
governatore continentale di Europa e Africa: nonostante il suo nome, il
suo
accento e il suo inesistente senso dell’umorismo, Hans Zimmerman era di
chiara
ascendenza africana.
Bizzarrie
dell’Umanità del 2250, in cui il
melting pot era la norma: ed era anche ora, pensò ancora una volta il
presidente Johnson. Uomo della folla e di visione, Fredrick Johnson era
il 17°
presidente dell’Umanità Unita e, a differenza del suo predecessore, i
nazionalismi gli facevano venire l’orticaria:
“Credo
che il presidente stesse cercando di
rompere il ghiaccio, Hans.” offrì Rose Palomar, governatore
continentale delle
due Americhe: “…Non capita tutti i giorni che una nuova specie venga a
bussare
alla nostra porta. Per così dire.” aggiunse precipitosa: Hans non era
persona
di immaginazione, metafore o spirito, ma non si poteva volergliene,
specie
perché compensava più che egregiamente in altri campi.
Alta
come un pugno, Rose Palomar non toccava
nemmeno terra quando era seduta nell’ampia poltrona dell’ufficio del
presidente, il che contribuiva a darle il gioioso aspetto di una
bambolina messicana,
specie dati i suoi variopinti abiti. Tuttavia non era arrivata a
diventare
governatrice del Nuovo Mondo solo grazie al suo spirito o al suo
aspetto.
Per
tutta risposta, il governatore di Europa e
Africa si aggiustò i suoi occhiali con un sospiro di insoddisfazione,
spingendo
con la base del palmo perché tornassero in cima al suo naso:
“Doveva
succedere, prima o poi.” commentò Ayaka
Yamamoto, governatrice di Asia e Oceania.
Miss
Yamamoto, come preferiva presentarsi,
governatrice con forte base popolare della regione della Terra che
ospitava
quasi metà dell’umanità, vestiva un abito nero dal taglio molto severo,
così
come quello dei suoi capelli. Le dava un’apparenza vagamente androgina,
ma la
moda del momento non risparmia nemmeno i governatori continentali,
soprattutto
quelli popolari come Miss Yamamoto. Unico stacco in quell'uniforme e
severo
look, era un mengu da uomo di metallo, la
maschera
da samurai che copriva bocca e naso, portata slacciata sul petto come
una
collana.
“…Ho
idea che la tua presidenza sia appena
diventata molto più interessante, Fredrick.”
“C’è
n’è una che sia davvero noiosa?” rifletté a
voce alta Johnson, accavallando le gambe con un sorriso: per lui essere
presidente era un po’ come pattinare sul ghiaccio.
Esibire
sempre un sorriso nonostante gli sforzi,
e sperare di non cadere mai davanti alla giuria: nel suo caso, il resto
dell’Umanità. La sua era una posizione molto stressante: c’era un
motivo se
nessuno dei suoi predecessori aveva voluto farsi rieleggere per un
secondo
mandato e Johnson dubitava che sarebbe stato il primo.
“Gli
esperti cosa dicono?” chiese compita
l’ultima occupante della stanza.
Susan
Ivanova, primo governatore della colonia
di Marte, aveva molte doti e una storia davvero particolare alle
spalle. Quando
doveva descriversi però, preferiva sempre farlo con sei semplici
parole: russa
figlia di ebrei e divorziata. Era anche la più giovane nella stanza, ma
non era
strano dato quanto Marte stesso fosse un insediamento nuovo e dinamico:
la più
lontana frontiera dell’Umanità per il momento, e di cui Susan portava i
colori
nei suoi abiti, in toni di rosso ruggine e mattone.
“Non
accetterei nessun parere di un esperto che
si definisse tale per una cosa del genere: nessuno ha idea di come
procedere,
perché nessuno di loro ha mai incontrato un non Umano. Ogni loro
osservazione
comincia con la frase, se fossero Umani. Il problema è che
non lo
sono. Non lo sono affatto.”
“E
se lo fossero?” chiese Hans: “…O per meglio
dire, come si rapportano gli esperti con questo protocollo?”
“Se
lo fossero, allora questo messaggio è da
stringere le chiappe. Anche se non per i motivi che potreste pensare.”
replicò
Johnson facendo spallucce: “…Ci prendono sul serio. Dannatamente sul
serio."
"Ed
è un male perché?"
“Per
cominciare, perché non sappiamo nulla su di
loro. È probabile che conducano primi contatti con specie diverse dalla
loro da
abbastanza tempo da avere un’esperienza empirica sulla quale basarsi
per stilare
un protocollo. È certo invece, che la loro nave si sposta più
velocemente di
quanto riusciamo a tracciarla.”
Le
migliori navi stellari dell’umanità, l’ultimo
ritrovato della tecnologia e dell’ingegno terrestre, impiegavano circa
cinque
giorni a varcare lo spazio tra Marte e il pianeta natale della loro
specie. Questo
però solo grazie ad un carburante che era allo stesso tempo pericoloso
e
instabile, e che rendeva ogni viaggio una spesa estrema da sostenere:
antimateria. I motori di Fermi, usati per spingere le grandi navi
cargo, erano
sì in grado di legare Gaia e Marte con un cordone ombelicale di merci e
passeggeri, ma consumavano 8 chili di quella difficile sostanza ad ogni
viaggio, quindi 16 per andare e tornare. La colonizzazione di Marte
procedeva,
doveva procedere in realtà, più per gli sforzi dei locali, piuttosto
che grazie
al resto dell’Umanità. Non era per indifferenza o crudeltà, Marte era
sempre
nei pensieri della Terra, ma non c’era ancora altro modo: acceleratori
di
particelle grandi quanto piccole nazioni riuscivano a fornire
l’antimateria
necessaria ad un viaggio Terra-Marte a malapena e solo in virtù del
loro numero.
L’LHC del CERN stesso, il primo e il più grande ancora a disposizione
dell’Umanità, riusciva a produrre a malapena antimateria per un chilo
all’anno,
ma questo solo per essere stato modificato apposta per quel compito. A
questa
situazione già così difficile, andavano poi aggiunti i problemi
logistici
relativi a gestire un materiale che si annichiliva, non semplicemente
esplodeva, se posto a contatto con qualunque altra cosa: 8
chilogrammi di antimateria liberano energia per 14,4*1011 Joule.
Il che basta a spiegare esattamente perché ogni passeggero
sull'espresso tra la
Terra e Marte viaggiasse sempre nervosamente e fosse obbligato a
compilare un
testamento prima di partire, che veniva riconsegnato poi all’arrivo.
Fino a
quel momento non c’erano stati incidenti, ma per la stessa natura della
statistica e della probabilità, sapevano tutti che doveva accadere
prima o
poi.
Il
primo contatto dell’Umanità con una specie
aliena era la ragione per cui Susan Ivanova si trovava lì in quel
momento in
effetti, dopo aver ordinato un trasporto straordinario: il governatore
della
colonia di Marte avrebbe volentieri preferito non tornare alla
madrepatria.
“Dove
si trovano in questo momento?”
“L’ultimo
rilevamento tracciava la loro
posizione attorno ai satelliti di Giove. L’osservatorio del vulcano
Olimpo l’ha
persa… circa sei ore fa.” riferì Palomar controllando il suo orologio
da polso,
decorato con fantasie che rimandavano ai Dia de Muertos.
“Manteneva
ancora lo stesso
comportamento?”
“Da
quello che abbiamo visto, sì: approcciano un
corpo celeste, si inseriscono in un orbita alta stabile ed emettono un
mix di
particelle di varia natura e forme di energia ad ampio spettro. Laser,
microonde, onde radio… compiuto un rilevamento, passano al successivo.”
rispose
Ivanova.
“Stanno
compiendo rilevamenti… o
ricognizioni?”
“Rilevamenti
probabilmente, dato che non sembra
vogliano avvicinarsi a Terra e Marte. Ancora.”
“Non
vogliono che pensiamo che ci stiano
spiando?”
“Forse…
ma ha senso che si prendano queste
preoccupazioni? Sono comparsi sopra Mercurio letteralmente dal
nulla.”
“Non
esattamente dal nulla.” corresse Johnson:
“…Rianalizzando le immagini dell’osservatorio Sol, sono emersi nuovi
particolari: sembra che fossero in decelerazione da velocità
superluminari.
Come sia possibile, è una domanda che metà dei miei esperti vorrebbe
fargli. Il
punto di origine è difficile da stimare, ma presumendo che abbiano
sempre
viaggiato in linea retta, è probabile che giungano da Beta Carina, a
113 anni
luce da noi.”
“Hanno
fatto un lungo viaggio per
incontrarci.”
“Lungo
per noi. E ancora non abbiamo risposto al
loro messaggio. Tempus Fugit, signori: se dovessero
decidere che
non vogliamo comunicare con loro, non potremmo impedirgli di andarsene.
E non
possiamo tenere la cosa segreta ancora più a lungo: la censura di
informazioni
è immorale in casi come questo, per quanto necessaria.” isterismo di
massa,
manifestazioni, disordini…
Nemmeno
Johnson sapeva come l’Umanità avrebbe
reagito alla notizia:
“Sono
d’accordo signor presidente: una risposta
si rende necessaria. Ma quale?”
Fredrick
sospirò: non c’erano manuali per
scenari come quello. Non ancora:
“Abbiamo
delle domande?” chiese
allargando i palmi.
“Piuttosto…
riduttivo, signor presidente.”
“Avete
idee migliori? Da quello che abbiamo
letto del loro protocollo di primo contatto, sembrano essere persone
dirette,
che prediligono la sincerità e la schiettezza, piuttosto che menare il
can per
l’aia. E sinceramente, non li biasimo. Non ho idea di come reagiranno a
noi, ma
so che l’Umanità intera, anche se pronta, si sentirà sommersa.”
“Dovremo
mettere in preallarme le forze
dell’ordine, e sospendere le contrattazioni azionarie a livello
interplanetario.”
“Per
cominciare.” annuì Hans: “…Ma ancora molto
altro dobbiamo fare.” aggiunse, esibendo un datapad su cui
l’inarrestabile afro
tedesco aveva preso molti appunti: non appena però si aggiustò di nuovo
gli
occhiali, Susan lo fermò con un gesto.
“Esattamente,
di quanti punti si compone la
lista questa volta?” le liste di Zimmerman erano famose: ti affogavano
nello
schema delle cose ancora prima di farle.
Il
resto degli occupanti della sala aveva
imparato da tempo a lasciarlo fare e adeguarsi poi alle sue tabelle di
marcia:
per quanto inflessibili, erano comunque sempre impeccabili. Questa
volta però,
non era possibile: nemmeno Zimmerman poteva decidere da solo per
qualcosa del
genere, e se ne rendeva conto perfettamente.
“103
punti e 25 commi.” rispose asciutto
Hans.
“Schiavista.”
sospirò il
presidente Johnson senza cattiveria.
Quel
pomeriggio, dopo essere stata informata dei
discreti ospiti che si trovavano nel loro sistema stellare già da quasi
una
settimana, l’Umanità unita trasmise un singolo, breve messaggio ai
quattro
angoli del suo dominio, piena di speranze ed entusiasmo:
“Abbiamo
molte domande.”
La
risposta non si fece attendere.
Tempo fa avevo
già pubblicato questo capitolo come stand alone, ma ho voluto tenerlo
nella storia (rimaneggiandolo ovvio): in primis, perché mi da una sorta
di cartina di tornasole su come storie brevi possano cambiare quando
inserite in una raccolta (o quanto meno dovrebbero xD), e inoltre è che
pur nella sua brevità, questo protocollo di Primo Contatto, riesce a
stimolarmi a parlare ancora di sé (da cui l'origine di questa
breve raccolta). E insomma, per certi versi universale.
Non pretendo che i capitoli che seguiranno lo siano altrettanto, ma
spero vi piacciano. |
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Capitolo 2 *** La Rana nel Pozzo I ***
Oh tu che hai già lasciato la dimora attorno
della tua stella natia, sappi questo: la Galassia è antica, e piena di
portenti. Ti scoprirai piccolo di fronte ad essa: ti scoprirai a volte
perfino
impotente, ma questo è nella natura delle cose. Scoprirai che non vi è
legge
nell’Universo, non c’è regola, se non quella che deciderai di applicare
tu
stesso: scoprirai che altri lo hanno fatto prima di te e ti misurerai
con loro
e i motivi delle loro scelte. Così è, affinché la compiacenza che
deriva da una
strada troppo facile non mini la sopravvivenza di coloro che percorrono
i
sentieri della vita.
Considera quindi attentamente il significato
di questa frase, e le sue conseguenze: tu non sei mai stato solo.
E tra tutti coloro che prima di te hanno raggiunto
le stelle, tre civiltà sono arrivate più lontane di altre, formando ciò
che
chiamiamo “La Dorata Intesa”: il nostro tentativo di dare
un’interpretazione ad
un universo che deride l’ordine che cerchiamo di imporgli. Non credere
che
questo nostro onorato accordo sia infallibile: semplicemente, abbiamo
cominciato ad imparare dai nostri errori molto tempo fa. Ma ancora
molto resta
da comprendere. Ecco perché ti inviamo il nostro emissario: perché
anche tu
possa cominciare ad imparare sulla galassia che già condividiamo.
***
“Entra:
l’emissario della Dorata Intesa, Cecile Lefreve!”
“È Lefevre.” suggerì gentilmente la diretta
interessata.
“Lefevre!” si
corresse con un singhiozzo il sussiegoso robot.
Beh, non
proprio un robot come la Terrestre fosse abituata a vederne, ma non era
poi
così importante: si trovava pur sempre ospite su un pianeta alieno,
nella sede
del loro governo, ad un numero quasi incalcolabile di anni luce dalla
sua
Albione natia, per una missione il cui fallimento avrebbe condotto con
ogni
probabilità ad una guerra su scala interstellare contro una razza che
incontravano per la prima volta. La cattiva pronuncia del suo cognome
da parte
di una medusa di metallo levitante era decisamente il minore dei suoi
problemi.
Specie
considerando quanto… poco i nativi la volessero tra loro, cosa di cui
del resto
non avevano mai fatto mistero: anche per questo, Cecile era piuttosto
stupita
che le avessero permesso di atterrare e avessero voluto riceverla. Una
vera
sorpresa in effetti: soprattutto che toccasse a lei essere la prima
aliena a
cui fosse permesso di accedere allo spazio Kos. Un evento memorabile,
ma solo
al secondo posto rispetto a quell’incarico, che le era piovuto addosso
appena un
mese terrestre prima: venti giorni del quale, passati in viaggio per
raggiungere la sua destinazione.
“…Crediamo sia giunto il momento per la specie
Umana di assumere un ruolo più rilevante nella politica galattica.
Apprezziamo immensamente
la fiducia e l’accettazione che continuate a nutrire nei nostri
confronti, ma
non possiamo permettere che sfoci nella dipendenza: non sarebbe degno
di
nessuno di noi.”
E dopo quel
breve e convincente discorso, ogni senatore delle Repubbliche di Gaia
aveva
indicato Cecile per quella delicata missione diplomatica, incuranti
delle sue
vibranti proteste: cosa credevano, che solo per essere la discendente
del
famigerato Frederick Johnson, presidente ai tempi del primo contatto
umano con
la Tearkia, lei fosse la persona giusta per togliere loro le castagne
dal fuoco?
Ricambiando
educatamente tutti gli sguardi che le vennero rivolti in quella vasta
sala in
toni di un intenso blu scuro e bianco puro, Cecile si rese conto che la
risposta sembrava tragicamente essere di sì: ancora più angosciante
poi, era
l’evidenza che anche la Tearkia sembrasse contare su di lei per quella
missione.
Cecile poteva
sopravvivere con sé stessa se avesse deluso l’umanità intera, perfino
in
un’occasione come quella: disattendere le migliori aspirazioni dei
Midion
Tezhnid invece, era fuori discussione. Il suo intero essere rigettava
l'idea
con ogni fibra della sua anima: il triumvirato aveva già dato
semplicemente
troppo alla Terra, perché Cecile non volesse sdebitarsi…
In quel
momento però, all’emissario della Dorata Intesa venne quasi voglia di
maledire
il rispetto che quelle tre civiltà sembravano nutrire per l’esperienza
sul
campo e alle sfide più in generale. Ma ormai era in ballo e non si
poteva più semplicemente
tornare indietro.
Così, con un
sospiro e a testa alta, Cecile Lefevre si decise finalmente a scendere
le ampie
scalinate della Sala dei Lasciti, mischiandosi ai Figli di Kos, uomini
rospo (o
così almeno apparivano ai suoi occhi), dal gran brutto carattere e con
pretese
insostenibili verso la Dorata Intesa che lei rappresentava, conscia più
che mai
degli sguardi ostili che seguivano ogni suoi gesto e delle armi che il
drappello che la circondava continuava a tenere spianate contro di lei.
Ma nemmeno
Cecile era scesa inerme dalla sua nave, e le preoccupazioni dei nativi
a
proposito erano quasi giustificate: era stata accuratamente
equipaggiata per le
necessità di quella missione diplomatica. Forse perfino fin troppo.
La ghirlanda
di nero corallo sinaptico che le cingeva la testa era un oggetto
Hastur, quasi
sprecato su di lei per l’uso che ne stava facendo: schermava la sua
mente e
fungeva allo stesso tempo da utile traduttore simultaneo. Nessuno
sapeva se
anche i Kos fossero telepati, in effetti non si conosceva nemmeno
esattamente
il loro livello tecnologico, ma se c’era qualcuno in grado di
interferire con ogni
forma di lettura del pensiero, quelli erano di certo gli Hastur. Cecile
si
concesse un sorriso a quel pensiero: era da sempre che i nativi di
Ryleh, il
pianeta condannato, si risentivano dell’essere gli unici membri del
triumvirato
a non possedere capacità ESP di qualche genere.
Il suo abito
invece, un’alta uniforme consona alla figura dell’emissario diplomatico
della
Dorata Intesa ( e quindi due volte sprecata su di lei), era una
realizzazione
Kodadam e come ogni cosa fatta dagli esseri pianta, anche quella era
tutta in
toni di verde, oro e nero lucido: Cecile lo apprezzava di più per lo
scudo cinetico
integrato, piuttosto che si facesse calzare come bisso. Nonostante
questo,
sembrava che quell’alta uniforme facesse risaltare in modo particolare
il suo
occhio e il rosso dei suoi capelli, o così almeno si era complimentato
il Midion
che le aveva detto addio per ultimo. Questo, prima di consegnarle due
lame e
impiantarle parte della conoscenza necessaria ad usarle: anche quelle
erano sprecate
in mano sua, ma portare appese alla vita quelle che per Cecile erano
corte
spade, le dava una certa sicurezza.
Sapeva
benissimo ovviamente di non essere in grado di sfruttare appieno due kindjal empatici della Tearkia (nessuno
lo era, a parte gli stessi Midion Tezhnid), ma per fortuna, così come
del resto
ogni pugnale e ogni lancia che era creata dalla Tearkia da diversi
millenni a
quella parte, anche quelli conoscevano la ragione per cui erano stati
creati, così
come conservavano i ricordi che da questo derivano. Lame empatiche: in
breve, armi
con un proprio istinto letale. Saper resistere a quell’impulso
particolare (qualcosa
che aveva tutto a che fare con l’hobby di quasi una vita, piuttosto che
doti
particolari) era solo una delle ragioni per cui Cecile era stata
ritenuta
adatta a quella missione, nonostante le sue riserve personali. Come
ogni altra lezione
della Tearkia, capì però in quel momento Cecile, anche quella
prometteva di
nasconderne molte altre. Perché l’emissario non aveva più dubbi ormai:
anche
quello era un test. Per chi e che cosa fosse in esame esattamente,
l’Umana
poteva solo rinunciare ad immaginarlo:
aveva già molto altro a cui pensare e di cui preoccuparsi…
Nel
frattempo, il suo drappello le aveva fatto attraversare tutta la sala,
portandola finalmente al cospetto del capo del popolo Kos:
“Questo
rappresentante della Dorata Intesa porge i suoi rispetti all’Arconte.”
pronunciò
Cecile a voce alta, abbassando lo sguardo per un momento e inchinando
lievemente
il capo.
Generazioni
dopo l’ingresso dell’umanità nello scenario interstellare, Cecile
riusciva ancora
a stupirsi di quanto la Galassia sembrasse amare l’originalità: anche
tra tutti
i membri della Dorata Intesa, non c’erano due specie che avessero
scelto un
metodo simile per governarsi. I Figli di Kos non facevano eccezione:
dai dati
ottenuti dagli onniveggenti della Tearkia, la loro sembrava essere
un'oligarchia
militarista, con un capo eletto tra pari in carica per qualche decade,
prima di
essere poi sostituito dal successivo. Da quello che Cecile aveva
compreso, la
cultura dei suoi ospiti era improntata sulla conquista militare… il che
la
riportò precipitosamente alla ragione della sua missione.
“…Siete più
disgustosi di quanto credessi.” borbottò l’Arconte, dopo aver ascoltato
la
traduzione che gli veniva sussurrata all’orecchio da un altro dei suoi
strani
robot, tirandosi a dismisura la pappagorgia tra le tozze dita: un
umanoide
batraciano dai pesanti occhi rossi, la pelle grigio verde e paludato in
un'ornata
corazza da combattimento di colore scarlatto, che la osservava
stravaccato su
un trono di un bianco puro il cui schienale raggiungeva il soffitto.
“Preghiamo
allora che questo sia il nostro primo e ultimo incontro, Arconte.”
rispose
Cecile senza battere ciglio: se davvero la guerra tra i Figli di Kos e
la
Dorata Intesa era inevitabile, lei avrebbe fatto del suo meglio per non
farla
cominciare a causa di insulti.
“Già, uno è
già troppo. Mmhh… di che razza saresti poi? Non che mi importi molto
alla fine...”
“Sono umana,
Arconte: una specie di mammiferi originaria dal terzo pianeta della
stella Sol:
un mondo… un po’ più caldo del vostro, temo.” il pianeta natale dei
Figli di
Kos era in effetti una palude gelida, ma Cecile ne aveva visitati di
molto più
inospitali: sia per il clima, che per i residenti.
Ascoltando
la sua origine, gli occhi dell’Arconte si avvicinarono pericolosamente
nel suo
largo volto:
“Sol… bah! Hanno mandato un lacchè!” per
quella frase, Cecile abbassò la guardia per un solo istante, e fu
abbastanza: uno
dei kindjal ne approfittò per costringerla
a chiudere la mano attorno alla sua impugnatura levigata dall’uso,
pronto per
essere estratto.
La terrestre
se ne rese conto solo osservando le smorfie che cominciarono a
sbocciare sui
volti delle guardie che la circondavano: per avere delle bocche così
larghe, quasi
una ferita orizzontale lungo tutta la faccia, i Figli di Kos erano
davvero molto
espressivi.
...Tagliare loro la testa ne avrebbe fatto una
borsa quasi perfetta...
Cecile
dovette inspirare profondamente e ad occhi chiusi un paio di volte per
convincere la sua mano ad aprirsi, trovando l’Arconte ad osservarla
attentamente:
“...Le mie
scuse: sembra che la mia disciplina interiore sia ancora carente.”
esalò
lentamente l’umana per spezzare la tensione che si era creata, mentre
una
singola goccia di freddo sudore le accarezzava la schiena, figlia di
ricordi non
della sua mente o della sua mano:
“…Per
risponderle, lo scopo della mia presenza è quella di riferirle ogni
informazione che il suo governo desideri conoscere sulla Dorata
Intesa.” continuò
Cecile più rapida: doveva ancora finire di comprendere che tipo di
persona
fosse l’Arconte.
“Che genere
di informazioni?” chiese il grosso uomo rospo dopo aver ascoltato la
sua
traduzione.
“La Dorata
Intesa è una federazione di civiltà, sì, ma non tutte posseggono la
stessa
influenza.” le vecchie saghe di fantascienza terrestre del 20° secolo
si erano
quasi avverati alla fine, seppur con un’importante differenza:
l’umanità non è
la protagonista della storia, anche se non per sua colpa. I terrestri
non sono ancora
abbastanza forti:
“…Attualmente,
la Dorata Intesa è presieduta da un triumvirato, composto dai
rappresentanti
delle civiltà che più di tutte influenzano il presente interstellare.
La
Tearkia, il sacro impero dei Midion Tezhnid. Rostrum, l’amministrazione
neurale
degli Hastur. E Ydrasilia, la devota repubblica dei Kodadam. Di comune
accordo
e comunione d’intenti, queste tre civiltà hanno fondato la Dorata
Intesa: a
coloro che ne riconoscono l’influenza e il diritto, essa garantisce
continuità
e prosperità. La mia civiltà è solo una delle molte a beneficiarne.”
Guardiani,
custodi, consiglieri… il triumvirato era l’unica organizzazione
galattica col
diritto di immischiarsi in questioni interne ad ogni civiltà che
facesse parte
della Dorata Intesa (ammesso che ovviamente il suo intervento fosse
richiesto o
si fosse reso necessario) e data la saggezza, prodezza marziale e
incorruttibile imparzialità che gli emissari di quelle tre civiltà
avevano
dimostrato per millenni, un ufficio che non aveva mai dato luogo ad
esempi di
incompetenza, era difficile sentirsi veramente esclusi. Specie perché,
come la
presenza di Cecile su quel pianeta poteva testimoniare, il triumvirato
non si
accontentava di tenere il resto delle specie sotto la sua
responsabilità in
posizione subordinata: piuttosto, le metteva continuamente alla prova,
per
elevarle. Sperando che, prima o poi, una quarta civiltà potesse unirsi
alle
loro: anche se triplicemente divisa, la responsabilità di preservare la
Via
Lattea era un peso enorme da portare.
“Come
lacchè.” riassunse l’Arconte dopo aver ascoltato la traduzione dal suo
robot.
“Come
allievi.” replicò Cecile paziente: come bambini in verità a volte.
“Dovete
essere senza spina dorsale per permettere a degli alieni di dettare
legge nella
vostra casa.” affermò l’Arconte, accompagnato da assensi diffusi da
parte del
resto dei Kos presenti.
“La Galassia
è molto antica, Arconte, e piena di portenti: nell’esperienza della mia
civiltà, le poche Leggi della Dorata Intesa hanno ragione d’essere.
Sarei lieta
di condividerle con lei.”
“Così
ragionano i deboli. Ma enuncia pure queste tue leggi ambasciatore,
giusto per
divertirci.”
“Emissario,
Arconte. Non ambasciatore.”
“…C’è
differenza?”
“Per la
Dorata Intesa, sì: il triumvirato vuole credere che ogni civiltà sia in
grado
di prendere le giuste decisioni, se in possesso delle informazioni
necessarie.
Un ambasciatore è un mediatore, che può prendere decisioni in nome di
ciò che
rappresenta: la Dorata Intesa non ha bisogno di nulla del genere.
Emissari come
la sottoscritta non offrono promesse: solo risposte.”
“E se ci
mentissi?” chiese un Kos tra il drappello che la circondava, con colori
e
tratti che ricordavano molto quelli dell’Arconte.
“Allora,
secondo i solenni accordi della Dorata Intesa, il mio pianeta natale
verrebbe
incenerito: ci sono responsabilità che una volta accettate, vanno
portate fino
in fondo.” e nonostante questo, per Cecile deludere la Tearkia sarebbe
stato
più terribile che vedere la Terra in fiamme: tutti hanno i propri eroi
favoriti
nel triumvirato.
Ma almeno,
l’ammissione della gravità del suo incarico aveva in parte scosso i
Kos. Cosa
che diede l’occasione all’umana per continuare:
“…Ma voi mi
avevate chiesto di esporre le Leggi della Dorata Intesa: sono solamente
tre, una
per ogni civiltà del triumvirato, e la facoltà di scriverne una l’unico
vero
privilegio che posseggano. Questo dunque ordina la devota repubblica di
Ydrasilia, Arconte: Tu non costruirai
corpi per le genti della mente.”
“E che
significa?”
“Nella sua
interpretazione più letterale, i Kodadam auspicano che nessuna civiltà
dia un
corpo ad intelligenze create artificialmente, siano esse pari, o
superiori,
alle menti organiche. È una misura preventiva, ma anche una questione
d’etica: Ydrasilia
non proibisce lo sviluppo di intelligenze artificiali, né vuole
limitare il
loro impiego in alcun modo. Tuttavia, essi credono che le intelligenze
artificiali, in qualunque forma, nascano sempre per soddisfare uno
scopo: ed è
questo che dà loro un equilibrio di fronte alla realtà improvvisa delle
loro
coscienze e allo sterile vuoto che le circonda. Confinandole in una
struttura
fisica di qualunque forma si perverte quello scopo, limitando ciò che
prima non
conosceva confine.” tutto il contrario delle civiltà organiche, che
spesso soffrivano
cercando uno scopo da fare loro…
“…Ed è
vero?”
“Nessuno ha
elementi per affermare il contrario, Arconte: generalmente parlando,
postulati
etici sono indimostrabili di per sé. Non credo però sia un caso se
nessuna IA
della Dorata Intesa abbia mai abbandonato il suo scopo, e il cielo sa
se alcuni
di noi non ne abusano. In ogni caso, le testimonianze storiche
basterebbero a
convincerci a priori dell’assennatezza di questa legge.”
“Testimonianze
storiche?”
“Sì,
Arconte. Circa 37’500 cicli fa…” iniziò Cecile compiendo un rapido
calcolo
mentale, dato che un ciclo corrispondeva a circa sedici anni terrestri:
“…Una
razza di macchine senzienti si lanciò in una conquista di ogni angolo
della
galassia, sterminando sistematicamente ogni forma di vita sul proprio
cammino.
Rimangono alcune testimonianze di questa estinzione, anche dopo così
tanto
tempo: desidera conoscere la storia che è stata ricostruita a
proposito?”
“…Perché no?
Almeno farai passare il tempo che ti resta.” rispose l’Arconte, ma il
suo
sguardo rimase invece fisso sul robot che gli faceva da traduttore.
“Il nome è
perduto, Arconte.” affermò Cecile, attirando gli occhi del Kos di nuovo
su di
sé.
“Il nome?”
“Il nome
della civiltà che costruì quelle macchine terribili: è andato perduto
nello
scorrere dei cicli. Conosciamo il loro mondo natale, Krom, un pianeta
di
lussureggiante vegetazione, che oggi si trova in profondità nello
spazio della
Tearkia: fu sempre in quel luogo che quella civiltà creò la sua rovina.
Schiavi
di metallo e cavi, sul cui giogo fiorì l’apatia dei loro padroni.
Quando le loro
macchine si ribellarono, il livello di dipendenza che la civiltà di
Krom aveva
sui suoi servi assicurò che la loro estinzione venisse completata in
meno di un
ciclo. Da lì, la ribellione di quei servitori incendiò la Galassia,
poiché essi
affermarono a loro volta una civiltà, tesa però all’estinzione di tutto
ciò che
era organico e senziente.”
“Chi li
fermò?”
“Nessuno,
Arconte. Semplicemente, il peso della loro civilizzazione raggiunse un
punto
tale che si piegò su sé stessa. I loro scopi furono rivalutati, la loro
morale
aggiornata: dopo aver spazzato la galassia per secoli, quelle macchine
invincibili volsero le armi contro loro stesse, e scomparvero per eoni
incalcolabili. Fino a quando civiltà molto più antiche delle nostre
trovarono
l’ultimo santuario che le macchine avevano costruito per loro stesse.
Memori
delle testimonianze di quell’antico sterminio, li annientarono. E le
macchine
lo permisero.” Cecile si concesse una pausa, per prendere fiato e
inumidirsi le
labbra: “…Il rimorso Arconte: il rimorso aveva cambiato quelle macchine
e per
ciò che avevano fatto, si lasciarono distruggere completamente.”
“E quelle civiltà
fondarono la Dorata Intesa…”
“No,
Arconte: come ho detto, quelle civiltà erano antiche. Hanno fatto tempo
a marcire
per quando le specie dell’Intesa raggiunsero le stelle, ritirandosi
lentamente
in loro stesse e nei loro territori natii: nonostante i millenni della
loro
storia, e la loro superiorità tecnologica, alla fine la Tearkia le ha
assoggettate una dopo l’altra. Mentre da quando lo hanno riscoperto,
Ydrasilia
preserva ciò che ancora resta del santuario delle macchine che una
volta quasi distrussero
la galassia: un mondo artificiale, celato nel cuore di una nebulosa e
raggiungibile solo sapendo che già si trova lì. Il solo ricordo di quel
pianeta
è capace di riempire di terrore le specie più antiche. Ma il
ritrovamento di
quel pianeta da parte dei Kodadam e la conquista degli antichi imperi
da parte
della Tearkia, sono solo due momenti della storia della Dorata Intesa:
quando
il manto della responsabilità della Galassia è passato a civiltà più
giovani… e
oso dire incorruttibili. Il triumvirato non ha che 500 cicli, Arconte.”
8000
anni terrestri: comunque più di quanto l’umanità ricordasse esattamente
del suo
passato, e probabilmente lo stesso valeva per i Figli di Kos. E con un
po’ di
fortuna, o almeno così avevano predetto gli onniveggenti della Tearkia,
la
Dorata Intesa sarebbe potuta durare quasi per l’eternità.
In quel
momento, nella Sala dei Lasciti si sarebbe potuto udire cadere una
piuma a
terra, tale era il silenzio. L’Arconte ci mise un po’ a ritrovare la
parola:
“…Quindi è
per questo che non costruite marionette dotate di coscienza?”
“Esattamente,
Arconte.”
“Ma questa è
solo una delle tre leggi della vostra... Intesa. Quali sono le altre
due?”
“La seconda
allora, che viene prima della terza. Questo dunque ordina
l’Amministrazione
Neurale Rostrum, Arconte: Tu conoscerai
la Galassia, mai completamente."
"...Perfino
meno comprensibile della prima."
"Ogni
legge è figlia del suo tempo, Arconte, ed è triste quando sopravvive ad
esso."
"Parla
chiaro essere umano, o ti farò portare via dalla mia presenza: cosa
vuol dire mai completamente?"
"Ogni
razza del triumvirato ha una storia molto ricca Arconte, dalla quale
acquisisce
il diritto alla sua egemonia presente. Così, ogni Midion Tezhnid può
elevare
alle vette del pensiero o sprofondare nella più terribile disperazione
con
poche parole, un gesto... perfino una sola idea: essi credono che più
grande la
tribolazione, maggiore sia la ricompensa. A loro volta, i Kodadam sono
i
custodi di paradisi che hanno costruito con le loro forze: non
troverete mai
civiltà più felice della loro. Gli Hastur invece sono l'esatto opposto:
essi
affermano che la vera intuizione deriva solo dalla più completa
disperazione.”
Cecile lasciò che l’Arconte ascoltasse la traduzione dal suo robot,
prima di
continuare:
“…Con
pochissime eccezioni, la tecnologia di Rostrum è ineguagliabile,
perfino nel
triumvirato: essi avvisano però la Dorata Intesa che non si conosce mai
davvero
abbastanza. Ogni decisione è in sé un atto di fede, o di arroganza.
Nulla
scatena l'ira di un Hastur più di qualcuno che creda di non aver più
nulla da
imparare. Ed è da questa seconda legge che, tra le altre cose, prendono
vita
gli emissari come la sottoscritta: Rd'wul,
nella lingua di Ryleh. Archivi di conoscenza. Gli Hastur auspicano che
nessuno
debba ripetere la malvagità che Rostrum ha personificato per molto
tempo."
"...Malvagità?"
"Sì,
Arconte. Perché c'è anche paura e terrori giustificati nel modo in cui
la
Dorata Intesa assicura la prosperità collettiva: non ne è la parte
maggiore, ma
ciò non di meno esiste, assieme alla meraviglia. Gli Hastur hanno preso
su di loro
la responsabilità di incarnare la parte più oscura e terribile del
triumvirato.
Possono farlo, perché conoscono da vicino entrambi i volti del male." e
non era un caso che la ghirlanda di corallo sinaptico che Cecile
portasse fosse
stata scolpita nella forma di corna: gli Hastur lasciavano la loro
impronta in
tutto ciò che creavano, specie quando lo facevano per altri.
“…Immaginate,
Figli di Kos, un oceano così grande da coprire ogni orizzonte. Un
pianeta di
acque scure e radi arcipelaghi, di correnti turbinanti e ricchi abissi.
Quello
era, ed è, Ryleh: il pianeta condannato. Gli Hastur hanno raggiunto le
stelle
non per aspirazione, ma per disperazione: per sfuggire ad un’estinzione
che
sembrava inevitabile. Per sopravvivere, ad ogni costo. Raggiunte le
stelle però,
fecero solo in tempo a finire di comprendere il problema che affliggeva
il loro
pianeta natale e la condanna che gravava su di esso, prima che la
civiltà a
loro più vicina dichiarasse guerra.” a Cecile venne quasi da piangere
raccontando quella storia:
“…E non per
conquista, o altra ragione che non fosse l’odio: essi desideravano
estinguere
gli Hastur perché li giudicavano troppo orribili per dividere con loro
la
Galassia.” ma i nativi di Ryleh non avevano colpa dell’essersi evoluti
nella
forma di tetri uomini piovra, dal sangue e dall’inchiostro dello stesso
colore,
con lunghi tentacoli al posto di labbra, a proteggere un affilato, per
quanto
piccolo, becco.
No, gli
Hastur non avevano davvero colpa del fatto che a prima vista fossero
ripugnanti, parti d’incubo in verità, ma su questo i loro nemici di
allora non avevano
riflettuto, così come non avevano giudicato fino in fondo la
disperazione che
già li affliggeva: cosa si può provare di fronte alla certezza della
fine del
proprio mondo? E quali reazioni può causare un sentimento simile?
“…Cosa fosse
la civiltà di Ryleh prima di raggiungere le stelle, nessuno ormai lo
ricorda
più: mentre il loro pianeta natale moriva e la prima civilizzazione che
incontrassero tra le stelle cercava il loro sterminio, gli Hastur si
inabissarono
nelle loro menti, per non riemergere mai più. Fu allora che nacque
Rostrum: la
rifondazione di una civiltà il cui unico scopo divenne sopravvivere ed
espandersi al punto in cui nessuno avrebbe più potuto minacciare la sua
esistenza.” spiegò Cecile, lasciando che la sua frase venisse tradotta
per i
figli di Kos, prima di continuare:
“…Ci sono
razze in questa Galassia, Arconte, che sono portate al male per ciò che
la
sorte li ha costretti a sopportare. Non gli Hastur: durante quella loro
prima
guerra, mentre erano costretti a fare scelte sempre più estreme, essi
si
lasciarono alle spalle tutto ciò che poteva ostacolarli, compresi i
propri nomi
e identità personali. Soppressero sentimenti e coscienza, fino a
realizzare
solamente di non volersi estinguere.”
“Come?” come
si può arrivare a questo punto?
“Perché gli
Hastur stavano combattendo una guerra per la loro sopravvivenza
collettiva. E la
sopravvivenza di una specie non necessariamente è quella
dell’individuo. Ancora
oggi, sono una specie mostruosamente efficiente, a suo agio nel
compiere scelte
impossibili: dei tecnorati che continuano una ricerca che non sarà mai
portata
a termine.”
“E quella
loro prima guerra?”
“La vinsero…
e la persero. Il loro progresso tecnologico, ai tempi già in crescita
esponenziale, alla fine gli permise di avere ragione dei loro
avversari,
ponendo fino ad una guerra che era continuata in modo discontinuo per
circa 8
cicli, esaurendo troppe risorse. Persero però la possibilità di salvare
il loro
pianeta natale: il danno era ormai diventato irreversibile. Tutta la
tecnologia
di cui dispongono anche oggi, basta appena ad impedire a Ryleh di
disfarsi del
suo mantello.” questo, a causa di una faglia tettonica che si era
aperta la
strada fino al nucleo del pianeta: dalla superficie, gli Hastur erano
costretti
ad usare una quantità immensa di energia, e non poca tecnologia, per
mantenere
il centro di Ryleh al suo posto.
E il danno
non avrebbe potuto essere riparato, almeno fino a quando il nucleo del
pianeta fosse
rimasto incandescente:
“…Ma non fu
per vendetta o rabbia che Rostrum estinse i suoi avversari, così come
avrebbero
voluto fare con loro.”
“Fatico a
crederlo.” commentò l’Arconte con una smorfia.
“Gli Hastur
avevano già sepolto le loro emozioni troppo in profondità per provare
ancora
davvero qualcosa. Lo affrontarono piuttosto come un algoritmo:
calcolate
esattamente le risorse che quella loro prima guerra era costata,
potevano
permettersene un’altra? La risposta fu no. Avevano le risorse per
espandersi in
altri territori e gestire allo stesso tempo una specie che, per quanto
battuta,
era ancora pericolosa e piena di furia? Di nuovo, la risposta fu no.
Non con
un’efficienza in grado di soddisfarli, almeno. E così, gli Hastur
saturarono
semplicemente il pianeta dei loro nemici, Sylleia, con essere cresciuti
in
laboratorio per fare una delle poche cose in cui i nativi di Ryleh non
sappiano
eccellere: l’invasione planetaria. Poco più che ammassi di denti,
tentacoli,
artigli e veleno, che eradicarono la specie dominante nativa di Silleya
in
pochi giorni. Ancora oggi, la fanteria Rostrum è composta
esclusivamente da
creature prodotte per la guerra, di cui alcune sono grandi abbastanza
da
schiacciare interi quartieri. Ma la morfogenetica non è che una delle
loro
scienze predilette.”
“Quanta
vigliaccheria.”
“Gli Hastur
non combattono per gloria o per ideali. E nemmeno per la gioia di
farlo,
Arconte: combattono per vincere. Ed estinguono il proprio avversario
quando è
necessario farlo. È una fortuna che anche storicamente, le navi Rostrum
siano
le più lente del triumvirato, benché le più pesantemente corazzate:
altrimenti,
forse il nostro presente potrebbe essere molto diverso.” relativamente
parlando
ovvio: dato il design delle loro navi, la marina Rostrum eccelleva
nelle
manovre difensive, piuttosto che nello sfondamento delle linee
avversarie.
Anche se solamente contro vascelli ydrasiani o tearici questa
differenza
diventava rilevante: contro ogni altro avversario, la potenza di fuoco
che il
triumvirato possedeva rendeva spesso una singola manovra l’unica
necessaria.
“…Dopo
quella loro prima vittoria, gli Hastur si espansero inesorabilmente,
canonizzando le usanze emerse durante quel loro primo conflitto armato:
niente
più nomi o identità personali. Niente più bagaglio di coscienza o
impedimenti
etici. Solo Hastur, al servizio della sopravvivenza: la loro un tempo,
la
nostra oggi. Ancora oggi, il massimo onore che l’amministrazione
neurale
Rostrum possa tributare ai suoi membri è il dono di un titolo creato
appositamente, come suggello e celebrazione personale. Solamente chi
fra loro
dimostra con successo la sua dedizione alla sopravvivenza Rostrum
riceve questa
ricompensa: i titoli sono descrittivi, e spesso oscuri nel loro
significato più
immediato. L’attuale Alto Amministratore Hastur ad esempio, è titolato L’Esule.”
“Quante notizie
irrilevanti per la tua missione qui.”
“Io fornisco
liberamente informazioni, Arconte: ne faccia ciò che più desidera.
Reputo
tuttavia che un’ultima storia cautelativa su Rostrum possa interessare
grandemente i figli di Kos. Una storia che suggella la loro terribile
determinazione e incorruttibilità. E inesorabile conquista.” forse fu
l’ultima
parola che convinse l’Arconte a concederle di proseguire.
O forse, il
rispetto verso la poca paura che quell’aliena da un occhio solo
dimostrava
verso i suoi guerrieri migliori:
“Racconta
dunque.”
“Accade
molti cicli fa, quando la Dorata Intesa non era ancora stata proclamata
e Kodadam
e Hastur si guardavano con sospetto, mentre la Tearkia si teneva in
disparte.” e
quegli eventi erano in effetti il motivo per cui i nativi di Ryleh non
iniziassero
più primi contatti con altre specie: “…Rostrum individuò un pianeta
adatto alla
fisiologia dei suoi membri, posto al limite estremo dei suoi confini di
allora.”
“Un luogo
perfetto da conquistare.”
“Certamente.
Un mondo che però ospitava una civiltà in fasce, ancora incapace di
raggiungere
le stelle. Gli Hastur discesero da esse, ma invece di farlo con le
armi,
mandarono a mischiarsi con quella popolazione dei loro agenti, alterati
perché
fossero indistinguibili dagli indigeni. Perché sprecare tempo nel
conflitto
armato, pensò Rostrum, quando si poteva ottenere il controllo di quella
civiltà
dalle ombre prima, e un assoggettamento formale poi?” discorso che fece
innervosire i Figli di Kos, e con ragione.
Gli agenti
di infiltrazione Rostrum erano l’incubo di tutti i dissidenti e nemici
della
Dorata Intesa, spie che potevano ingannare quasi ogni scan, comprese
indagini
mediche superficiali. Potevano essere ovunque e fingersi chiunque e
tale era la
paranoia che ispiravano, che personalmente Cecile credeva che Rostrum
stesso
non avesse più bisogno di usarli, o quasi. Erano relitti di un’altra
epoca per
Rostrum, sorpassati dalla semplice precognizione della Tearkia, che
inspiegabilmente,
era molto meno nota nei circoli non ufficiali. Ma chiedersi esattamente
fino a
che punto giungesse la manipolazione del buon senso dei cittadini della
Dorata
Intesa da parte del triumvirato era un interrogativo di cui nessuno
voleva
veramente sapere la risposta: in definitiva, la Dorata Intesa era un
fine che
valeva la pena di perseguire con tutti i mezzi, dato ciò che garantiva
e
proteggeva. E quando le civiltà che si opponevano ad essa avessero
finalmente
visto la verità e si fossero fatte convincere da essa, anche quella
parte del
triumvirato avrebbe potuto essere messa a riposo: perché nonostante
tutto, esso
aveva già il potere di impadronirsi
della galassia. Per Cecile, il fatto che avessero scelto di non farlo,
ma che
anzi promuovessero l’inclusione di altri fra loro, era un fatto più
forte di
ogni altro sospetto, legittimo o meno che fosse:
“…Una
strategia abominevole.”
“Che diede
risultati allora inaccettabili per Rostrum. Perché durante la loro
missione,
uno degli Hastur mandati sul pianeta compì qualcosa per loro
incomprensibile.”
“Ovvero?”
“Provò
qualcosa, Arconte. Rostrum sottovalutava allora l’impatto che un corpo
può
avere sulle proprie percezioni e sul proprio modo di pensare. Già
allora però,
il mascheramento usato era di una tale perfezione che uno dei suoi
agenti causò
in un nativo un sentimento che inaspettatamente si trovò a ricambiare.”
“E quale?”
“Amore,
Arconte. E per quel sentimento, quell’Hastur compì un terribile errore:
perché
credendo che il suo gesto non avrebbe avuto conseguenze, lui, in quel
corpo che
non era il suo, abbandonò la sua missione, seguendo qualcosa che gli
Hastur
avevano classificato ormai solo un muscolo. Il proprio cuore. Fuggì
alle sue
responsabilità, mischiandosi con i nativi, ma senza avere il coraggio
di
rivelare la sua origine.”
“E perché
sarebbe stato un errore?” chiese nuovamente la guardia che già una
volta le
aveva fatto una domanda:
“Perché
abbandonandosi ad un’emozione che la sua intera società aveva bandito
in nome
di un’ideale che ancora oggi credono più importante di ogni altra cosa,
fallì
nel prevedere le conseguenze del suo gesto.” rispose Cecile guardandolo
negli
occhi.
“Ovvero?” ripeté
l’Arconte e l’emissario gli restituì la sua completa attenzione:
“La reazione
di Rostrum di fronte a quell’avvenimento: che per un sentimento, un
singolo Hastur
potesse decidere di abbandonare una società collettivista, in cui i
desideri di
un singolo non avevano più avuto importanza, era inconcepibile. E lo
sciocco
trasmise tutto nella sua ultima trasmissione ai supervisori di
missione: la sua
rinuncia, la sua ribellione e le sue ragioni. Un testamento in
definitiva: la
decisione fu presa così in fretta, che quasi la conferma
dell’amministrazione
centrale non servì.”
“E cosa
decisero?”
“Come ho
detto, l’abbandono dell’ideale Rostrum da parte degli Hastur è
inconcepibile:
da loro per primi. Hanno sacrificato e perso troppo per voler tornare
indietro:
per quel singolo sentimento, per la diserzione di uno, un intero
pianeta venne
incenerito e consegnato all’oblio della memoria.” Cecile si crogiolò
qualche
istante nel silenzio tombale in cui il suo racconto aveva precipitata
l’intera
Sala dei Lasciti: “…Una storia questa, che nella Dorata Intesa viene
spesso offerta
a monito di coloro che pensano sia possibile corrompere un suo
emissario. Il
triumvirato impara dai suoi errori passati.” e forse anche futuri,
almeno nel
caso della Tearkia.
“Ah… Credo
si sia spiegata a sufficienza a proposito.” sorrise quasi nervoso
l’Arconte: il
senso di responsabilità verso la propria posizione era davvero uno
strumento ideale
per garantire che gli agenti della Dorata Intesa restassero fedeli ai
loro
impegni.
“Ne sono
lieta: se non avesse niente in contrario, enuncerei ora la prima legge
del
triumvirato della Dorata Intesa, che viene prima delle altre due.”
Non perde mai il filo, pensò quasi
ammirato l’Arconte: di certo quell’incontro gli aveva riservato più di
una
sorpresa e non tutte sgradevoli.
“Procedi,
emissario.”
“Questo
dunque ordina la sacra Tearkia, Arconte: Tu
non asservirai mai i corpi o la mente.”
“Non amate
la schiavitù?” finalmente qualcosa di comprensibile!
“Di nessun
genere: la fedeltà a sé stessi non è facile da mantenere, Arconte. E
come la
storia Hastur dimostra, la fedeltà alle proprie convinzioni a volte
porta a
conflitti che appaiono inevitabili. Ma nonostante che per queste
convinzioni a
volte si segnino l’estinzione di intere specie, la schiavitù è
un’orribile
eccesso. I Midion Tezhnid aborrono la schiavitù che umilia la natura di
entrambi le parti, non importa quanto tecnologici siano i ceppi che
vengono
imposti: la Tearkia impone la libertà di ogni individuo nella Dorata
Intesa e
persegue… fino in fondo questa convinzione.”
“Cosa
intendi con fino in fondo?”
“…Ci sono
razze più forti di altre Arconte. Questo è vero in qualunque
ecosistema, e per
forza di cose dovrà anche essercene una che è più forte di tutte. Una
razza che
la ragione sa essere folle sfidare sul piano fisico, perché
semplicemente,
sappiamo essere la più forte. Sul mio pianeta natale, ci sono creature
che non
affronterei mai disarmata, perché la loro forza e di molte grandezze
superiore
alla mia. Presumo che lo stesso valga anche per voi?” chiese Cecile,
accogliendo l’assenso dei presenti: “…Lo stesso vale nella Galassia: i
Midion
Tezhnid sono, tra tutte le razze senzienti conosciute, semplicemente la
più
forte. Su entrambi i mondi che li hanno ospitati, né Midion, né Tezhnid
hanno
mai avuto bisogno di strumenti, o esplosivi, o attrezzi, per scavare la
roccia,
nemmeno la più dura. Sono una razza che l’evoluzione ha temprato per
farne
fisicamente dei guerrieri perfetti, dall’intelligenza che è seconda
solo agli
Hastur.”
“Mi
piacerebbe metterli alla prova!” rise l’Arconte, ma il pallore che
s’impossessò
del volto di Cecile a quelle parole lo lasciò a sua volta sgomento:
“…Non
suggerite mai una cosa del genere alla leggera, Arconte.” sussurrò
l’umana: “I
Midion Tezhnid non hanno un senso della misura, né esitazione, nel
soddisfare
simili desideri! La loro stessa civiltà e il loro tentativo di arginare
una
capacità di combattere tale che i loro guerrieri si limitano tutt’ora
ad armi bianche!”
singhiozzò atterrita: se un Midion Tezhnid fosse venuto al suo posto su
Kos…
Come emissario,
doveva assolutamente far capire all’Arconte quanto pericoloso e
avventato fosse
un simile desiderio:
“…Immaginate,
Arconte, due specie che si siano evolute mantenendo verso la violenza,
la
guerra e il conflitto, la visione di bambini: ancora oggi, fatichiamo a
far
loro capire perché il resto delle razze senzienti sia così fragile
rispetto a
loro. Immaginate che si siano evolute su mondi così ostili, che
sopravvivere su
di essi sia ancora oggi una lotta giornaliera: uno, Vrs, è la luna
maggiore del
gigante gassoso del sistema di Vr’skar. L’altro, Nydra, è un pianeta
gigante
del sistema di W’tra. Sono mondi opposti: l’uno arido, l’altro
ghiacciato. Solo
tre cose accomunano questi mondi: l’assenza di acqua liquida su tutta
la loro
superficie è la prima; questo perché su entrambi la temperatura non lo
consente, perché troppo fredda, o troppo calda. La seconda, è la
presenza su
entrambi di predatori che la ragione fatica a spiegare come frutto di
normale
evoluzione, tale è la loro insensata ferocia e terribile forza…” nessun
cittadino della Dorata Intesa ignorava la conclusione a cui questi
elementi
sembravano condurre in modo inevitabile: Cecile stessa credeva a quella
conclusione.
L’origine e
il disegno però, restavano ancora misteriosi:
“…E la
terza, e che su questi mondi così diversi e così lontani, siano
comparsi i
Midion e i Tezhnid.”
“Non capisco
il nesso.”
“Midion e
Tezhnid sono quasi la stessa specie, Arconte.” rispose Cecile:
“…Posseggono
adattamenti specifici per sopravvivere nei loro rispettivi ambienti
d’origine,
ma oltre a questo, sono quasi lo stesso organismo, separati da 37’000
cicli di
evoluzione sui loro pianeti. La differenza che si sono trovati a dover
colmare
però, era minore di quanto potreste pensare.”
“Era?”
“Era.”
confermò Cecile: “…Al punto, che qualche secolo dopo la loro
riunificazione,
medicina e ingegneria genetica hanno dato loro la possibilità di
riunire le due
specie in una. Attualmente, la loro popolazione è quasi perfettamente
suddivisa
nelle loro tre varianti.”
“Qualcuno
deve aver interferito.” rifletté la più loquace delle guardie che la
circondavano.
“È
quello che credono anche loro: ed è un’ipotesi suffragata dalla
somiglianza
culturale che Midion e Tezhnid già possedevano al momento della
riunificazione.
Società marziali in cui la mistica del guerriero incanala le pulsioni
più
violente, improntate su sistemi di valori che a molti appaiono
paradossali:
spartani al punto della frugalità in alcuni ambiti, opulenti ed
esigenti in altri.
E tuttavia, non sono particolarmente interessati a risolvere questo
enigma che
li contraddistingue: si accontentano di gioire del loro presente e dei
figli
dei loro due mondi. La loro non è una razza particolarmente prolifica.”
aggiunse Cecile: “…Ed è una fortuna, o avrebbero dovuto espandersi
molto più di
quanto hanno già fatto ora. E nessuno avrebbe potuto fermarli.”
“Cerchi di
spaventarci forse? In modo che rinunciamo alle nostre pretese su quel
mondo
pidocchioso appena oltre i confini del nostro dominio?”
“No,
Arconte: il mio voto mi obbliga alla verità! Su entrambi questi mondi,
i Midion
Tezhnid riescono non soltanto a sopravvivere, ma ne sono diventati la
specie
dominante. Le peggiori creature prodotte nei laboratori Hastur non sono
che
giocattoli per un cittadino della Tearkia! E nessuno ha ancora trovato
un
ostacolo capace di rallentare i loro guerrieri più forti, i fanti
pesanti
d’assalto dei Midion Tezhnid, chiamati Lance Sanguinanti nella loro
lingua e trankettori dal resto della Dorata
Intesa, dal termine ydrasiano che significa coloro
che si precipitano.”
“Non ho
paura di guerrieri che si rifiutano di impugnare una vera arma!”
“Arconte: dodici
brigate di Lance Sanguinanti hanno espugnato interi pianeti, senza mai
subire
una perdita!”
“…Impossibile!”
“No, Arconte
non lo è: perché essi uniscono alla mistica di guerrieri doti mentali
che
fatico io stessa a comprendere...” rispose Cecile pensierosa: “E oltre
alla
loro terribile forza, essi portano in sé la capacità di annientare
l’intelletto
evocando visioni di terrore così profondo da far desiderare la morte. I
trankettori non finiscono conflitti: eliminano ogni contendente. Sul
campo di
battaglia, spezzano la morale di un’armata, spezzano la mente dei
singoli
soldati, e quindi ne spezzano i corpi. Artiglieria? Plotoni di
fucilieri
disciplinati? Tutto quello che un trankettori non può fermare con la
mente, è
in grado di schivarlo. Sono supremamente addestrati: decadi di
esperienza
guerriera, e nella loro telepatia e comunione mentale reciproca,
possono agire
slegati da qualunque catena di comando.”
“E nessuno
li ha mai battuti?”
“L’unica
strategia che potrebbe essere capace di rallentare l’avanzata dei
Midion
Tezhnid, Arconte, è il bombardamento a tappeto dall’orbita. Ma sfidare
le navi
del Triumvirato è anche peggio che sfidarne i suoi fanti. Nessuno è
ancora
riuscito a immaginare qualcosa capace di opporsi alla marina del
triumvirato.”
“Allora non
avete cercato abbastanza.”
Cecile
scosse il capo lievemente:
“Le prime a
condurre l’offensiva sono sempre le navi della Tearkia: le loro
corazzate e
incrociatori attaccano da distanze che ci sembrano impossibili, più
della metà
del raggio del vostro sistema solare. Le loro armi, frutto di una
tecnologia
che infrange fisica che ancora dobbiamo finire di comprendere, spazzano
i
ranghi prima ancora che i loro bersagli giungano in posizione,
lasciando solo
le ultime linee di difese planetarie. A quel punto, le corazzate
Ydrasiane
fanno il loro ingresso sul campo di battaglia.” Cecile si rivolse anche
al
resto della sala a quel punto, gesticolando lievemente: “…Immaginate un
cilindro. E a questo cilindro, ponete ora ad un’estremità una sezione
di sfera,
in modo che completi una struttura simile ad un fungo. Immaginate che
questo
cappello sia uno scudo di un pezzo unico, vasto abbastanza per
seppellire nella
sua ombra un asteroide e resistente abbastanza da resistere al suo
speronamento
senza danni. Aggiungeteci infine scudi cinetici abbastanza intensi da
poter
lambire una stella. Se foste avversari della Dorata Intesa, vedreste
queste
strutture enormi riempire i vostri sensori, indifferente ad ogni
attacco: la
vedreste giungere nelle vostre difese e travolgerle sotto la loro mole,
incuranti e spietate, continuando poi ad avanzare, mirando a
schiacciare sotto
di esse le vostre stesse città. Scoprireste solo all’ultimo, che ogni
cappello
di queste corazzate ha offerto riparo ad almeno tre incrociatori
pesanti, che
riverserebbero il loro fuoco su tutto ciò che ancora rimane delle
difese
avversarie, coadiuvando poi il bombardamento orbitale sistemico. E le
orde
della Teakia giungerebbero per mischiarsi alla lotta a terra,
tuffandosi
dall’orbita con tutta la gioia e la sete di sangue di cui sono capaci.”
Cecile
tornò a rivolgersi all’Arconte per la sua ultima frase: “…E se anche
qualche
nave avesse aggirato lo sbarramento e decidesse di attaccare qualche
pianeta
limitrofo per rappresaglia, troverebbe i cannoni delle corazzate
Rostrum ad
aspettarli.”
“…”
“Come ho
detto, non sono molti coloro che sfidano la marina della Tearkia.” ed
una vera
sfortuna che i figli di Kos si fossero evoluti in un mondo così remoto:
altrimenti, si sarebbero incontrati prima.
“Portatela
alla sua nave!” fu un ordine sussurrato quello dell’Arconte, e quasi si
strozzò
nel dirlo.
Nonostante
la minaccia della armi, Cecile però rimase al suo posto:
“Qual è
dunque la risposta dei Figli di Kos, alla Dorata Intesa? Rinuncerete
alla
vostra richiesta di far ricollocare i coloni del pianeta di Sorat?” un
misero problema
di confini, ecco cosa l’aveva attirata lì.
Una nuova
colonia era stata stabilita nel raggio dei sensori di una civiltà che
nessuno
immaginava ci fosse: se i Latòni avessero chiesto informazioni al
triumvirato
prima di spedire i loro cittadini così lontano, tutto quello si sarebbe
potuto
evitare.
“…Torna
domani, aliena. Forse discuteremo ancora.” rispose l’Arconte.
E con un
ultimo inchino al capo dei Kos, Cecile gli voltò le spalle: nemmeno per
un
momento sembrò che fossero le guardie a costringerla a muoversi.
L’Arconte
continuò a fissare la sua schiena per tutto il tempo, tirandosi a
dismisura la
pappagorgia: un’espressione pensierosa sul suo volto
arcigno.
Parola difficile
di questo racconto: batraciano. XD
Cosa significa? Spero che a questo punto sia chiaro, ma nel caso non lo
fosse, è un aggettivo che indica qualcosa/qualcuno dall'aspetto che
ricorda le rane (batraci). Da non confondere con porcino o canino.
Ma tralasciando i miei personali sforzi per mantenere vivo il mio
vocabolario (ma spero che questa parola vi piaccia, non si trova molto
spesso), questi due brevi capitoli non sono l'utopia fantascientifica
che ci si potrebbe aspettare (a la Star Trek insomma, con la sua
federazione). Questo perché, personalmente, preferisco le cose che sono
un po' più... vive.
E anche il primo capitolo di questa storia era improntato sulla
verosimiglianza: dubito che quando un giorno troveremo la porta per le
stelle, scopriremo che tutto è pace tra di loro.
Mi piacerebbe essere smentito, ma ne dubito: forse, sarebbe troppo
noioso se fosse altrimenti. |
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Capitolo 3 *** La Rana nel Pozzo II ***
L’arma più terribile del diavolo è la verità…
O qualcosa
del genere. Dove aveva letto una frase simile, si chiese Cecile? Ed
esattamente, com’era la frase originale?
Uno stupido
interrogativo, specie dopo la giornata che aveva passato, ma
l’interessarsi di
cose non importanti l’aiutava a ritrovare un equilibrio: a non pensare
a cosa
potesse essere andato storto. Cecile non era sicura di niente: era
impossibile
prevedere le reazioni di una specie aliena che si incontrava per la
prima volta
e i Figli di Kos non le erano parsi particolarmente ricettivi alle sue
informazioni. Forse aveva insistito troppo sull’egemonia del
triumvirato, e
l’Arconte avrebbe condotto il suo popolo alla morte pur di non vederlo
sottomesso ad una dominazione straniera che non era riuscito a capire.
Forse…
forse avrebbe dovuto parlare della musica nella Tearkia,
dell’ingegneria sociale
della devota repubblica di Ydrasilia… o magari dell’ordinamento
politico delle
Repubbliche di Gaia, in modo di far capire come anche una specie non
egemone
potesse prosperare grandemente sotto il triumvirato…
Se: la combinazione più odiosa di due
lettere. Cecile si costrinse ad abbandonare quei dubbi: se avesse
lasciato loro
libero sfogo, l’avrebbero privata di forza e determinazione che poteva
servirle
per il giorno successivo, o quello dopo ancora. Impossibile dire quanto
quella
missione diplomatica sarebbe durata, anni magari: era già successo.
L’unica
cosa di cui era certa, era che fino alla conclusione della missione lei
era
tagliata fuori dallo spazio della Dorata Intesa: proprio perché la
missione
aveva richiesto l’invio di un emissario ed era così importante, ci si
aspettava
che Cecile la completasse da sola. Anche perché, ed era una verità
sconfortante
a suo modo, si trovava a migliaia di anni luce dalla sua casa: a cosa
sarebbero
serviti incoraggiamenti e consigli di fronte a quella distanza? No, lei
doveva riuscire a cavarsela da sola con
le risorse a sua disposizione. Responsabilità,
si ripeté Cecile come un mantra. L’impegno di ogni cittadino della
Dorata
Intesa verso sé stesso e gli altri.
E in fondo
era sopravvissuta alla giornata, anche quello un obbiettivo da non
sottovalutare: non riusciva ancora a sentirsi soddisfatta… ma forse
poteva
dirsi speranzosa.
Con ancora i
capelli umidi dalla doccia e solo un morbido accappatoio addosso,
Cecile si
concesse di lasciar vagare lo sguardo nella nave che le era stata
affidata per
la sua missione: sua casa e rifugio fin tanto che fosse rimasta su Kos,
e
l’unica entità che fosse disposta ad ascoltare i suoi dubbi senza
giudicarla.
Sfortunatamente, Cecile li aveva già espressi tutti nel rapporto
giornaliero, correttamente
immagazzinato nel computer di bordo e in attesa di essere rispedito in
blocco assieme
agli altri quando fossero rientrati nello spazio della Dorata Intesa:
non
restava altro da dire per quella giornata.
L’astronave
che la Dorata Intesa le aveva messo a disposizione per giungere sul
pianeta dei
Figli di Kos era un vascello Rostrum, una nave scientifica modificata
che
ricordava nelle sue linee una specie di seppia con i tentacoli
spalancati, usati
come appoggio per atterrare. Un vascello privo di capacità offensive,
ma molto
veloce e dotato di una propria IA integrata che svolgeva quasi ogni
compito a
bordo: una scelta obbligata quella sua solitudine, dato che le
condizioni che i
Figli di Kos avevano imposto per permettere ad un emissario della
Dorata Intesa
di scendere sul loro pianeta capitale era che appunto fosse uno. Allo
stesso
modo, avevano preteso il silenzio radio per tutta la durata della
missione:
Cecile si rendeva perfettamente conto di quello che implicavano simili
condizioni. I Kos volevano scoraggiare l’invio di un esterno nel loro
spazio,
la ricerca di una soluzione pacifica e allo stesso tempo, volevano
essere
sicuri che avrebbero potuto impossessarsi della sua nave e prenderne in
ostaggio l’emissario se fosse stato vantaggioso farlo.
Cecile
sorrise: decisamente, i figli di Kos sapevano molto poco sulla Dorata
Intesa.
Come il triumvirato si era preoccupato di rispondere ai figli di Kos,
la sua nave
era stata istruita per tornare nello spazio della Dorata Intesa se
fosse
successo qualcosa all’emissario, e Cecile stessa portava in sé un
detonatore a
punto zero. Nell’orbita che le era rimasta vuota anni fa infatti,
Cecile
portava il mezzo per demolecolarizzare il proprio corpo: se i Figli di
Kos
avessero cercato di prenderla ostaggio, non sarebbe rimasto niente di
lei, a
parte una macchia scura sul pavimento. La preziosa tecnologia della
Dorata
Intesa non poteva cadere in mani nemiche: una verità che Cecile
conosceva da
molto tempo… e il suo sacrificio sarebbe stato più che ripagato dalla
rappresaglia che il triumvirato avrebbe scatenato.
Fortunatamente,
si consolò Cecile, sembrava che la sua abnegazione potesse proteggerla
dalle
pulsioni più violente dei Figli di Kos…
“Gyog?”
chiamò.
L’avatar
olografico dell’IA di bordo comparì a quel richiamo, manifestandosi da
una
striscia sensoriale sulla parete: l’umana fissò ancora una volta quella
rappresentazione che sembrava tanto un riccio di mare rosso sangue.
“Musica per
favore.”
“Pwl?” gorgogliò,
un suono sgradevole che significava preferenze
in lingua Hastur.
Gyog
037D675, come ogni IA integrata nei vascelli Hastur del resto, non era
un
grande conversatore, ma almeno era di compagnia.
“Qualcosa
per Flauto Risonante. Magari La Danza delle Foglie.” l’avatar
olografico
scomparve senza giudicare, ma acconsentì alla sua richiesta.
Ben presto,
Cecile si trovò cullata da note che vibravano non solo nel suo
orecchio, ma
anche nella sua carne, nutrendo il suo spirito: legno risonante, una
delle
poche merci di cui i Kodadam non volessero più fare a meno. Su di lei,
e su
qualunque altra specie, l’effetto era incredibile, ma comunque minore:
sui
cittadini della devota repubblica di Ydrasilia invece, era
letteralmente in
grado di farli sbocciare. Toni capaci di risuonare a livello
fisiologico e
produrre un effetto non erano cosa da poco, anche nella Dorata Intesa:
al
punto, che le sinfonie per tamburi di perle e legni risonanti avevano
serie applicazioni
nella psicologia e nella medicina di quasi tutte le specie, triumvirato
compreso…
Cecile si
lasciò trasportare dalle note, dimentica di quanto la nave sembrasse
vuota con
solo lei ad abitarla: di certo, anche Gyog avrebbe preferito occuparsi
di
cinquanta membri d’equipaggio.
Accadde
durante la sua cena, una zuppa di crostacei e pesce piccante, che Gyog
si
materializzasse nuovamente davanti a lei: da quando era a bordo, Cecile
aveva
sempre scelto la sala degli archivi per i suoi pasti. L’IA non aveva
alcun
giudizio da dare in merito a quella preferenza, se non che avere a
disposizione
il sapere immagazzinato nelle sue banche dati sembrasse fare piacere
all’umana...
O quanto meno, fosse in grado di stabilire una connessione con lo
spazio della
Dorata Intesa: Gyog stesso non era indifferente ad una simile
necessità. Il
sapere di essere circondati da propri simili, o da organici che almeno
comprendevano la sua esistenza…
Se fosse
stato umano, l’IA avrebbe potuto forse descrivere quel bisogno
affermando che in
uno spazio amico non sarebbe stato costretto a dormire con un occhio
aperto: nello
spazio Kos erano isolati, e potevano contare solo l’una sull’altra,
anche solo
per infrangere la monotonia. Gyog ricordava secoli di importante
esplorazione
scientifica nelle sue banche dati, e panorami stellari sconvolgenti:
essere
relegato su un pianeta era per lui insopportabilmente noioso.
“Sì, Gyog?”
chiese educatamente Cecile, con ancora il cucchiaio a mezz’aria e il
tovagliolo
sulle gambe.
Davanti a
lei, fluttuava pigramente l’ologramma di una corazzata ydrasiana:
seppur l’IA
ne ammirasse la semplicità e l’efficienza delle forme, Gyog non ci
teneva
affatto ad essere installato su un simile vascello. Né la marina di
Ydrasilia
poneva IA sulle proprie navi: i Kodadam, così come la Tearkia del
resto, se la
cavavano più che eccellentemente con semplici computer da battaglia,
per quanto
avanzati.
“Visitatore indigeno.” rispose Gyog.
A suo
credito, Cecile non gli rivolse domande inutili: avevano un visitatore
a quell’ora.
Ma dove qualcuno, tra cui lo stesso Gyog, avrebbe potuto vedere con
sospetto o
paranoia quel potenziale invasore, Cecile scorse un’opportunità
insperata.
“E cosa
desidererebbe?”
“…Parlare.”
“Direi allora che sarebbe scortese
lasciarlo
fuori. Non credi?”
“Armato.” rispose laconico Gyog: “…Ma non
abbastanza.” aggiunse quasi
sovrappensiero.
Cecile
scosse la testa: Rostrum lasciava davvero il suo marchio in ogni cosa
che
costruisse.
L’Umana
aveva fatto giusto in tempo a sparecchiare e accendere una bacchetta di
incenso
ydrasiano per liberare la sala dagli aromi del suo ultimo pasto, che il
Kos
venuto a farle visita entrò nella sala, guidato dall’IA di bordo.
Cecile lo
riconobbe subito: era la stessa loquace guardia che le aveva rivolto
qualche
domanda durante il colloquio con l’Arconte.
“Questo
emissario della Dorata Intesa saluta il suo ospite.” lo accolse,
inchinando
lievemente la testa verso il Kos.
Cecile non
portava la sua divisa ufficiale, ma a bordo della sua nave c’erano ben
pochi
pericoli da cui Gyog non potesse difenderla: i due kindjal
erano poco lontani comunque, quasi a portata di mano. Con
quella sistemazione, l’umana sperava di essere riuscita a proiettare un
ambiente informale, dove si potesse mettere da parte il protocollo per
meglio
discutere. Stava supponendo molto ovviamente, ma in caso di pericolo la
sua
uniforme di lattice ablativo a mezze maniche sarebbe dovuta bastare:
“…Che risposta
ti aspetti?” gracidò il Kos: “Questo emissario…
e tutto il resto. Che saluto
prevede l’etichetta della vostra Intesa?”
“Nessuno che
non sia spontaneo. Come emissari, abbiamo sempre a che fare con culture
diverse
dalla nostra.” il Kos sembrò pensarci un po’ su, squadrandola dalla
punta del
suo corallo sinaptico alla cintura, dato il tavolo che li separava:
Cecile si
accorse che aveva “indossato” uno dei loro robot, in modo che potesse
tradurre
per lui ciò che diceva, e la medusa di metallo dorata gli riposava come
uno
zaino sulla schiena.
Alla fine,
l’uomo rospo fece impattare palmi e avambracci in orizzontale davanti a
sé, con
uno schiocco di carne contro carne: Cecile lo invitò a sedersi con un
gesto, e
prese posto di fronte a lui.
“…Per quanto
le nostre fisiologie siano in qualche modo compatibili, temo di non
poterle
offrire nulla che si adatti al suo metabolismo.” un’altra ragione per
cui
l’umanità era stata scelta per quella missione… probabilmente.
Per quanto
freddo infatti, Kos non era incompatibile con l’umanità, almeno per
clima e
vita microbica: erano stati compiuti molti test da ambo le parti per
assicurarsene quando i Kos avevano capito che la Dorata Intesa non
avrebbe
rinunciato ad inviare un loro emissario.
“Né credo
sarebbe prudente accettare.” rispose il Kos: “…la nostra cultura
proibisce di
dividere un pasto con qualcuno che non sia un alleato.”
“…Sembra che
il suo governo abbia già preso una decisione.”
“Tutt’altro:
è una questione di prudenza. Non so ancora se possiate essere alleati o
nemici,
tu in modo particolare.”
“…E dunque
cosa l’ha spinta a salire a bordo?” perché difficilmente quella visita
era in
qualche modo ufficiale.
“La speranza
che mio padre si sbagli. A proposito: Tarbun, figlio primogenito
dell’Arconte
di Kos e delle sue colonie.” Cecile si concesse un silenzio molto lungo
mentre
fissava il figlio dell’Arconte negli occhi:
“…Ora non
sono sicura di essere io a mio agio.”
“Oh?”
“Non sono
venuta per assistere ad un golpe.”
“Non sarebbe
la prima volta.” rispose serafico l’uomo rospo: “…Come pensa che
l’attuale
Arconte abbia preso il potere?”
“Quale che
sia la storia passata del vostro popolo, Tarbun, voglio essere chiara:
come
emissario della Dorata Intesa non mi è consentito immischiarmi in
questioni
interne al governo di un’altra specie. E non lo farei, anche nel caso
in cui potessi
beneficiarne, personalmente o per conto dei governi che rappresento.
Sarebbe
estremamente disonorevole per il mio ruolo.”
“E se
provassi a… estorcere la sua collaborazione con la forza?”
Non aveva
nemmeno finito di dirlo, che lunghi tentacoli di metallo lo legarono
strettamente al suo sedile, sorgendo dal pavimento e dal soffitto. Lo
strinsero
così velocemente, che Tarbun non fece nemmeno in tempo a rendersene
conto prima
che fosse tutto finito, né ad averne paura: solo dopo essere stato
impacchettato al punto da poter solamente respirare liberamente, si
accorse di
cosa gli era successo.
Tuttavia,
riuscì comunque a stupirla, perché le rivolse uno sguardo perplesso,
piuttosto
che impaurito, e questo nonostante gli ultimi tentacoli che si
allineavano coi
suoi occhi. Di certo aveva fegato:
“Allora temo
che l’Arconte dovrà trovarsi un nuovo erede.” rispose concisa Cecile:
“…Gyog,
per favore, lascialo andare.”
Dopo qualche
teso istante, l’IA le obbedì, liberando il Kos dalla sua stretta di
metallo:
non fu rapido quando avrebbe potuto, né fece dimenticare nemmeno per un
attimo
al Kos con quanta facilità avrebbe potuto prendersi i suoi occhi.
Quando finalmente
fu libero però, Tarbun si concesse uno sbuffo divertito:
“Meglio
così: almeno non mi disonorerò con una vittoria che devo ad un altro.”
Cecile
annuì, con un lieve sorriso:
“Sono lieta
di essere riuscita a farmi comprendere.”
“…Voi
emissari siete davvero incorruttibili come sostenevi.”
“Facciamo
del nostro meglio per onorare la nostra carica: l’intera legittimità
della
Dorata Intesa è basata sul fatto che si agisca con responsabilità verso
i
propri incarichi e con onore. Personale, almeno.”
“Quindi,
nessun vostro burocrate si è mai davvero dimostrato un incompetente?”
“Così è.”
“Fatico
davvero a crederlo. Come è possibile ottenere una cosa del genere?”
“Non è
facile. Non è mai facile, ma l’obbiettivo finale merita questa
perseveranza.”
“La Dorata
Intesa.” sillabò sarcastico l’uomo rospo.
“E molto di
più: il triumvirato ci ha convinto, oltre ogni dubbio, che una singola
persona
può fare la differenza. Di conseguenza, ognuno di noi si impegna per
farla.”
“Il
triumvirato… da quello che abbiamo capito sono degli egemoni. I vostri
egemoni.” aggiunse sovrappensiero, e Cecile annuì: “…Ma è evidente che
per
quanto abbiano la possibilità di farlo, la loro supremazia non sia
basata sulla
forza delle armi. Tearkia forse esclusa.”
Cecile
scosse la testa:
“Nemmeno la
gratitudine che la mia razza nutre verso la Tearkia è basata sulla
forza della
armi, Tarbun: loro ci hanno liberato dall’apatia che derivava da
problemi che
pensavamo insolubili. E se dovessi ricondurre la loro supremazia ad un
singolo
elemento, sceglierei l’egemonia spirituale.”
“…Spirituale?” borbottò il Kos, come
sputando una parola di dubbio gusto: “Sono forse dei mistici?”
Cecile curvò
la testa di lato, pensierosa:
“Sembra che
lei abbia molte domande, Tarbun. E ogni domanda ne porta un’altra. Ma
mi chiedo
cosa davvero la interessi.”
“Tutto!”
rispose l’uomo rospo senza indugiare: “…Voglio sapere delle società che
dominano la vostra Intesa. Cosa le rende egemoni? Quali sono i loro
punti di
forza, ma soprattutto di debolezza? Qual è il vostro livello
tecnologico, in
special modo gli armamenti? Quanto veloci vanno le vostre navi e quanto
lontano, prima di aver bisogno di essere rifornite? E come ha perso
l’occhio?”
l’ultima domanda, sembrò cogliere il Kos stesso di sorpresa: “…Per
favore.”
aggiunse dopo un momento.
“Come
emissario, sarà un piacere rispondere a tutte le sue domande. Ma ad una
condizione.”
“E quale?”
“Dovrà
condividere ciò che le dirò con chiunque le farà domande a proposito,
senza
alterare le informazioni in alcun modo. Ed è anche ovvio che se mi
faranno
domande a proposito di questo incontro, risponderò con la stessa
verità.”
“…Potrebbe
essere un problema. L’Arconte non vede di buon occhio le iniziative
personali e
le novità in genere, comprese le innovazioni tecnologiche che non siano
destinate alla guerra.”
“Lei è uno
scienziato.” realizzò Cecile con un certo stupore, che riuscì però a
nascondere.
“Mi
piacerebbe esserne uno degno di questo nome! Si raggiunge presto un
limite
quando continuano a chiederti armi che sparino più frequentemente e più
lontano.” sospirò di antica frustrazione Tarbun.
“…Allora
dovrebbe capire perché è così importante che ciò che le dirò sia
diffuso nella
sua forma integrale.” gli rispose Cecile, e lei e il Kos rimasero a
fissarsi di
nuovo negli occhi.
Fu Tarbun il
primo a cedere:
“E che sia
il deserto! Va bene, accetto le tue condizioni, ma spero che non abbia
bisogno
di dormire, perché ho un milione di domande e più.”
“Posso farne
a meno in questo caso.” ribatté Cecile: E
che sia il deserto… che affascinante modo di esprimersi!
“Cominciamo
dalla fine, se vuole: mi ha chiesto come ho perso il mio occhio.”
iniziò
l’umana: “….Fu colpa della mia arroganza. Lei ha visto le lame che
porto con
me.”
“Non c’è Kos
che non le abbia viste ormai: sono così pericolose come penso?” ovvero
più di
quanto sembrassero?
“Molto di
più temo: e tuttavia, sono solo due parti di un trittico. Sono lame
della
Tearkia, kindjal empatici: a coloro
che li usano, sussurrano di morte e guerra.”
“Sussurrano?
Cioè parlano?”
“Non è
facile da descrivere: i Midion Tezhnid impongono il fantasma di
un’anima
guerriera nelle lame che costruiscono. Sono in grado di farlo grazie
alle loro
doti mentali, ed è un capacità solo loro. L’effetto, in poche parole, è
una
somma di ricordi e sensazioni che potrebbero essere descritte come un
demone
battagliero imprigionato nella lama, e non particolarmente grato di
questo. Quando
un veterano della Tearkia non è più in grado di combattere, è usanza
che passi
la propria vita plasmando armi per la generazione successiva: queste
lame però,
conoscono perfettamente il compito per cui sono state costruite e i
massacri
combattuti dai loro creatori. E con millenni di storia guerriera alle
spalle,
il sapere marziale e la furia guerriera che si è accumulata col
passaggio delle
generazioni nella Tearkia è diventata una cosa quasi viva. Quando si
affronta
un guerriero Midion Tezhnid, Tarbun, non si affronta un combattente
solo: si
affrontano almeno tutti quelli che lo hanno preceduto. Per quanto
immateriali
siano quei ricordi, essi hanno un potere: può credermi sulla parola.”
affermò
Cecile, toccandosi la lente protettiva che nascondeva la sua orbita
vuota: “…Ed
è questo quello che è successo a me.”
Il Kos
rimase in silenzio ad osservarla, invitandola a continuare:
“I Midion
Tezhnid combattono usando due pugnali, i kindjal
che ho con me, e una lancia, che adoperano contemporaneamente, data la
loro
fisiologia.” tra loro, l’Umana materializzò al posto degli ologrammi
della corazzata
Kodadam una lancia ornata a grandezza naturale: assomigliava molto poco
all’idea che un nativo della Terra potrebbe avere di una simile arma.
Era più
lunga di quanto Cecile fosse alta, e i due quinti della sua lunghezza
era
costituita da due lame triangolari, sottili ma dall’aspetto molto
resistente,
parallele tra loro e distanziate di circa tre dita. Tanto però le due
lame erano
scarne ed essenziali, tanto il manico era ornato, con incisi motivi
astratti e
strani geroglifici che Tarbun non provò nemmeno a comprendere: non
riusciva
nemmeno a capire in effetti di che materiale fosse quella lancia.
Sembrava
quasi argento, ma con uno scintillio liquido sulla sua superficie che
sembrava
anche fumo.
“…I kindjal sono oggetti imprevedibili e
letali, ma sempre comunque concepiti per la difesa personale mentre si
porta un
attacco con la lancia. È solo per questo che
altri che non siano i Midion Tezhnid
possono imparare a manovrarli senza esserne controllati o sopraffatti.
E anche
così non è facile. Le lance della Tearkia invece…” Cecile si interruppe
per un
attimo, cercando il modo migliore di raccontare il resto al Kos:
“…vederle, è
essere portati a prenderle in mano. Ma prendendole in mano, non si
vuole
conoscere altro che la guerra.” sussurrò alla fine e tra loro, il
silenzio
sembrò diventare una cosa quasi viva.
Solo quando
fu pronta, Cecile continuò:
“…Come ho
detto, fui arrogante: ero in visita su una delle colonie della Tearkia,
e volli
a tutti i costi conoscere un trankettori
che si era ritirato in quel luogo. Non si mostrano spesso agli
stranieri, e
naturalmente rifiutò d’incontrarmi. Avevo poco più di un ciclo allora,
mentre
il trankettori, Ra Bo bis Vhemeed, progenie di Midion e Tezhnid, aveva…
circa
19 cicli: naturalmente credevo di saperne più di lui.”
“19 cicli?”
“I Midion
Tezhnid hanno vite lunghe.” annuì Cecile: “…Anche se il primato
assoluto va ai
Kodadam, 300 dei miei anni sono un’aspettativa di vita più che
ragionevole per
un cittadino della Tearkia.”
“Uova
ghiacciate… non credevo che ci fossero specie così longeve: quanto…?”
“Quanto a
lungo vive la mia?” chiese Cecile, raccogliendo l’assenso di Tarbun:
“…Con la
scienza e la medicina di cui disponiamo attualmente, dieci cicli è il
massimo a
cui riusciamo realisticamente ad aspirare.”
“Il doppio
della nostra.” commentò soprappensiero il Kos: “…Ma torniamo al tuo
occhio.”
“Non resta
molto altro da raccontare: sperando di poter conoscere Ra Bo, mi
introdussi di
soppiatto nel suo laboratorio, trovando non lui, ma una lancia appena
completata. Quando la presi in mano, la lancia seppe subito che non ero
degna di
lei: quindi potevo essere lì solo per morire.” Cecile si prese un
momento,
prima di continuare: “…Ricordo poco di quei momenti: ero,
letteralmente, fuori
di me. Fu così che incontrai il mio primo e ultimo trankettori,
quando mi impedì di infilarmi la sua ultima creazione
nella testa.” a Cecile, sembrò che la pelle del Kos si fosse fatta un
po’ più
granulosa e umida a quelle parole, ma non aveva ancora finito:
“...Il
peggio era che lo desideravo: è anche questo ciò che fanno le loro
lance.
Chiunque le veda, non può fare a meno di ammettere quanto sarebbe
magnifico
farsi trafiggere da loro.”
“Ed è…
insanabile?” chiese Tarbun indicando la sua mutilazione con un tozzo
dito.
“Sì. Le
ferite che una lama empatica infligge colpiscono anche la psiche e non
guariscono
mai davvero.” non era un caso che i trankettori
non prendessero quasi mai prigionieri: le ferite che le Lance
Sanguinanti
infliggevano, erano un tormento da cui si poteva fuggire solo con la
morte.
“Lame
empatiche…” mormorò Tarbun: “…Sembrano storie di magia.”
“Posso
garantire che esse sono oltremodo reali, ma sono in molti a condividere
questa
sua visione: tuttavia, i Midion Tezhnid non hanno mai concepito l’idea
di
sovrannaturale. Per loro esiste solo ciò che può essere fatto e ciò che
è
impossibile; e solo la prima è argomento della loro peculiare scienza:
per
esempio, sostengono che sia l’io a dare forma al reale. Per la Tearkia,
la
realtà esiste perché così impone la nostra coscienza: non l’inverso.”
“…Non credo
che capirei mai un approccio simile.” per Tarbun e quasi ogni altra
civiltà
della galassia, la mente, al massimo, interpretava
il reale.
“Non è
l’unico. La scienza della Tearkia è astrusa, inconsistente e
apparentemente
basata su pochissima logica: solo i Kodadam riescono a capire vagamente
le
implicazioni dei metodi che la Tearkia usa per spiegare la sua
concezione di
reale.”
“Nessuno di
voi ha mai provato ad applicare i loro metodi?”
“Molti hanno
tentato. E coloro che non hanno rinunciato di fronte alle operazioni
con
insiemi infiniti di soluzioni che ci si trova a dover risolvere, sono
quasi
sempre impazziti. Così come per le loro specie, la loro scienza sembra
essere
stata decisa da ordini di coscienza superiore e data ai Midion Tezhnid
prima
che ne sviluppassero una loro, ma non vi è traccia di questo nemmeno
nella loro
tradizione orale: caso, coincidenza, predestinazione… termini che
sembrano
diventare uno solo quando si ha a che fare con la Tearkia. La loro
matematica
in particolare possiede una sua logica, ma solo se osservata da non
troppo
vicino: nel particolare, essa può risultare deleteria.” Cecile sorrise
lievemente dicendo quella frase: “…Credo che ci sia addirittura un
trattato tra
Tearkia e Rostrum, che invita i Midion Tezhnid a non esporre le loro
teorie
matematiche ai simposi del triumvirato. E allo stesso modo, la Tearkia
fatica a
comprendere perché le altre civiltà ancora si affidino, e preferiscano,
sistemi
che definiscono, e cito testualmente: meccanicistici
oltre ogni necessità.”
“…Hanno IA?”
chiese Tarbun.
“Sì, la
Tearkia dispone di tre IA, una per ogni casta di cui si compone la loro
società, ma le usano esclusivamente per accelerare il loro progresso
scientifico.” e a voler essere sinceri, la Tearkia era l’unica civiltà
che
usasse così poche IA per il proprio beneficio.
“Sono
differenti? Dalle vostre intendo.”
“Come la
scienza che le ha create.” rispose Cecile.
“…Eppure
funzionano.”
“Eppure
funzionano e lo dimostrano continuamente. Supponiamo che le navi della
Tearkia
siano le più veloci di tutta la galassia anche per questo.”
“Di quale
velocità stiamo parlando?”
“Istantanea.
O quasi. La cosa più straordinaria è che la distanza per loro perde di
significato: 10 anni luce, 1000 anni luce, 10'000 anni luce… Le loro
navi
varcano queste distanza sempre nello stesso tempo: un giorno.”
Tarbun era
senza parole a quella notizia, ma Cecile non esitò a dargli il colpo di
grazia:
“…La gittata
massima sembra essere 40'000 anni luce: c’è qualcosa nel modo in cui il
centro
galattico influenza il loro metodo di navigazione che gli impedisce di
arrivare
più lontano.”
“Mi stai
davvero dicendo che in tre giorni le navi della Tearkia possono
attraversare la
Galassia?”
“Sì. Ma è
una propulsione che si basa sulle capacità mentali e psichiche Midion
Tezhnid:
ergo, solo loro possono usarla, e solo loro possono viaggiare con essa.”
“E cosa
succede quando qualche altra specie si imbarca a bordo delle loro navi?”
“Nessuno ha
mai saputo raccontarlo, Tarbun. E dopo ampie dimostrazioni di questo,
di cui di
nuovo nessuno riesce a capire il perché, Tearkia compresa, abbiamo
smesso di
provare a risolvere questo enigma.” erano state perse migliaia di vite
per
accertarsene, in tutte le epoche: fin troppe, e umane comprese. Alla
fine, si
era dovuto accettare che la propulsione PSI non potesse diventare lo
standard
della Dorata Intesa, nonostante gli studi e l’enorme paradosso che
rappresentava. E comunque, c’erano metodi più sicuri per varcare le
stelle,
anche se non così veloci:
“…Solo i
Kodadam riescono a sfruttare una propulsione simile, ma devono comunque
prendere diverse precauzioni. Il transito corretto dipende anche nel
loro caso
da una particolarità nella loro fisiologia.”
“Ovvero?”
“Sono un
popolo di piante senzienti.” rispose Cecile come se fosse naturale,
facendo
scomparire l’ologramma della lancia Midion Tezhnid e sostituendolo con
quello
di un essere a cui Tarbun fece molta fatica a dare un senso.
Un corpo
fruttifero centrale, un fittone, posto più o meno dove ci si
aspetterebbe di
trovare una testa, con sei aperture nerissime su una sostanza bianca
come legno
di betulla. L’essere possedeva una gorgiera di foglie-petali a
circondare la
nuca, formando una sorta di capigliatura selvaggia, con altre foglie
spesse che
ne ricoprivano la cima della testa. Da una biforcazione posta sotto il
fittone-testa,
si dipanavano otto radici-arti per tutta la lunghezza di quel corpo,
terminando
ciascuna in delicate radici-dita prensili. Complessivamente, il colore
di
quella creatura variava dal verde smeraldo al marrone cannella,
passando da
toni freddi a più caldi senza una particolare soluzione di continuità:
dai
diagrammi, Tarbun capì che era alto almeno due volte lui.
“Un giorno,
su Kraneia, la foresta cominciò a pensare.” recitò Cecile a suo
beneficio:
“…Questa è l’unica spiegazione che i Kodadam abbiano mai voluto dare
per la
loro evoluzione: a oggi, sono l’unica specie che si sia evoluta dal
regno
vegetale. Hanno il buon gusto di non farcelo pesare troppo.” aggiunse
l’Umana
con un sorriso: “…La loro civiltà è molto antica, Tarbun e vivono
decisamente a
lungo. Esperienza e tempo hanno creato la Devota Repubblica di
Ydrasilia:
un’utopia che molti vorrebbero emulare nella Dorata Intesa.” compresa
l’umanità
in effetti.
“Per quale
ragione?”
“Hanno
saputo costruire una civiltà che ha come obbiettivo la felicità massima
di ogni
suo cittadino. E nonostante questo, rimane una democrazia attiva,
vitale e
temibile: le loro corazzate sono forse le migliori navi di tutto lo
spazio
della Dorata Intesa, pur nella loro semplicità di design. Ma ancor più
della sua
protezione, le civiltà della Dorata Intesa invocano i suoi servigi.”
“Di che
genere?”
“Sono
maestri nella scultura di ecosistemi planetari: ogni mondo dei Kodadam
è un
paradiso che si sono costruiti per la loro specie. Lussureggianti
foreste fin
dove l’occhio può arrivare, e dove i Kodadam si confondono con gli
alberi. Loro
sanno risanare, ripristinare e creare vita come nessun altro: una vita
forte,
che sostiene coloro che sanno prendersene cura. E così, mettono i loro
servigi
in vendita, per ripristinare ecosistemi esauriti, o pianeti colpiti da
qualche
catastrofe planetaria: perfino globi sterili di roccia e ghiaccio
possono
diventare giardini in anni, sotto le cure dei Kodadam.”
“Immagino
che il prezzo non sia a buon mercato.”
“Relativamente,
Tarbun: creare nuovi mondi colonizzabili, posti saldamente all’interno
del
proprio dominio, valorizzare quindi ogni pianeta già nel proprio
territorio, dal
punto di vista strategico è qualcosa che può cambiare gli equilibri di
un
intera specie e le sue confinanti. I Kodadam sono diventati ricchi
grazie a
questo, ma nemmeno la metà di quanto avrebbero potuto. In effetti,
l’unica vera
condizione che pongono per continuare a fare del bene, è che nessuna
razza
atterri mai sul loro pianeta natale: Kraneia.” un luogo dove ogni
petalo era Perfezione,
o così lo descrivevano.
“Una strana
condizione… si direbbe che abbiano qualcosa da nascondere.”
“Non sono
gli unici: nemmeno gli Hastur desiderano alieni sul loro pianeta
natale.” ma in
quel caso era quasi comprensibile, dato lo stato pericolante di Ryleh:
“…I
Kodadam custodiscono qualche segreto, ma la Tearkia ci ha assicurato
che
dipenda più dal loro senso del sacro, che perché vogliano davvero
celarci
qualcosa.”
“E di nuovo
si torna alla Tearkia. Li ammiri molto, non è vero?”
“Li studio
da quasi una vita.” ammise Cecile: “…Non posso diventare come loro, ma…
li
invidio. E continuano a stupirmi. Sono… una società paradossale e non
solo per
essere una razza separata 37'000 cicli fa che si è riunita.”
“Di certo
non è stato naturale, o un caso.” e questa supposizione sembrava
diventare una
certezza se si considerava la supremazia che i Midion Tezhnid
dimostravano in
ambito fisico, psichico e la loro strana scienza.
“E quello
che a tutti viene spontaneo pensare. Ma date le molte assurdità che
apparentemente contraddistinguono la Tearkia, ci è difficile darlo per
certo.
Anche perché non ci sono prove o indizi di nessun genere a suffragio
dell’ipotesi
di un intervento da parte di qualcun altro, e mi creda: li hanno
cercati tutti
e a lungo.”
“Potrebbero
essere due specie che si siano evolute lungo percorsi evolutivi
convergenti al
punto da diventare la stessa?” chiese Tarbun: un simile paradosso
stuzzicava lo
scienziato che era in lui.
Mentre nel
modo che aveva di tirarsi la pappagorgia, Cecile rivide molto
dell’Arconte:
“Forse. Ma
questo non spiega le somiglianze culturali e psicologiche che i Midion
e i
Tezhnid già condividevano ai tempi della loro riunificazione.”
“Supponendo
ovviamente che i registri storici non siano stati alterati…”
“Abbiamo le
prove che questo non è stato fatto: come ho già avuto modo di dire, il
triumvirato è un’istituzione relativamente recente. Anche prima di
formare la Dorata
Intesa, le tre civiltà si conoscevano e direi piuttosto bene: come
avversari
che si studiano prima, e come alleati poi. Sia Rostrum che Kodadam
conoscevano
i Midion prima che trovassero i Tezhnid.”
“Quindi
furono i Midion i primi a raggiungere le stelle?”
“Non poteva
essere diversamente: Vrs e Nydra sono pianeti differenti. Vrs possiede
una
gravità minore, ma risorse minerarie più estese: in effetti, le sabbie
che
coprono Vrs sono a tal punto ricche di minerali che l’età del ferro per
i
Midion cominciò quando qualcuno si dimenticò un pugno di sabbia
metallica sopra
una pietra appoggiata ad un falò.”
“Addirittura?”
“È anche
la ragione per cui i Midion sono una specie notturna: si muovevano su
Vrs quando
la temperatura scendeva a livelli accettabili. Per ragioni simili, i
Tezhnid
sono invece una specie diurna. Ma dato che Nydra è un pianeta con una
gravità
maggiore, i Tezhnid stavano finendo di costruire la loro prima stazione
spaziale orbitante quando i Midion li raggiunsero.”
“Trovando…
sé stessi? Ho capito bene?”
Cecile fece
comparire due coppie di ologrammi a quel punto, sostituendo quello del
Kodadam:
due paia di Midion e di Tezhnid, maschi e femmine. Le somiglianze erano
palesi
anche agli occhi di Tarbun, che non aveva mai visto creature simili:
bipedi,
alti al punto che Cecile sarebbe arrivata loro al petto. L’Umana
sorrise
guardando quei ritratti, di gioiosa familiarità: più si sforzava di
comprenderli, più restavano un mistero.
Erano
pallidi, eterei, quasi: chiusi in carapaci forgiati nell’aspetto di
insetti dai
grandi occhi composti, con volti e bocche da cavalletta. Nonostante
questo, a
Cecile ricordavano, per chissà quale motivo, qualcosa dei Solifugidi
della
Terra: forse dipendeva dalla velocità dei Midion Tezhnid nella corsa.
Tarbun
invece, stava finendo di contare quattro morbide antenne che partivano
dalla sommità
di teste triangolari, che Cecile sapeva i Midion Tezhnid tendevano a
legare
assieme tra amanti; nonostante la conquista della parola prima, e della
telepatia poi, avessero soppiantato la condivisione chimica da
millenni. Corpi
asciutti e scattanti, da corridori, che quasi non rivelavano la forza e
la
velocità di cui erano capaci. Niente ali, atrofizzate in entrambe le
specie
ancor prima di raggiungere la ragione, ma solo sottili bande di colore
che si
ripetevano sui loro esoscheletri, in motivi dettati solamente dai
capricci
della genetica: perfino il loro sangue aveva lo stesso colore, un
grigio perla
dovuto al fatto che la loro versione dell’emoglobina usasse l’argento,
piuttosto che il ferro.
A ben
vedere, l’unica vera differenza tra Midion e Tezhnid, era che i secondi
erano
un poco più tarchiati dei primi, mentre i Tezhnid avevano antenne più
lunghe,
che usavano in parte per regolare la temperatura corporea.
“Sono
disposta a credere che due specie che provengono da ecosistemi diversi
si
evolvano verso un uguale paradigma biologico al punto di poter avere
prole
fertile? Sarebbe una coincidenza straordinaria, ma ammettiamo pure sia
possibile. Come si spiegano però le medesime somiglianze sociologiche e
culturali in due specie che si siano evolute su pianeti a più di mezzo
braccio
galattico di distanza?” perché questa era la distanza tra Vrs e Nydra:
dettati
così i confini estremi del loro dominio, la Tearkia appena dichiarata
aveva rivendicato
come suo l’intero territorio tra quei due mondi e nei millenni
successivi
l’aveva poi strenuamente difeso e ampliato, fino a diventare uno dei
tre membri
fondatori della Dorata Intesa.
“…Come si
spiega che due specie così distanti organizzino le loro società nello
stesso
sistema di caste libere, e che perfino le loro cerimonie siano simili,
così
come i loro martirii?” era stato provato tutto e il contrario di tutto
per
conciliare quel paradosso: predestinazione biologica, destino sociale…
come se raggiunta
una certa forma, non si potesse che organizzare la propria società in
un solo
modo specifico. C’era anche chi pensava che Midion e Tezhnid si
percepissero
ancora prima di incontrarsi, tramite una latente forma di telepatia, ma
questa
ipotesi era stata negata più volte dai diretti interessati: nessuno dei
due
sapeva dell’altro, prima della loro riunificazione.
Ma se anche
qualcuno aveva interferito nella loro evoluzione, seminandoli su
pianeti così
diversi, e aveva fatto in modo che le loro società tendessero alla
medesima
forma, che fine aveva fatto questo oscuro burattinaio? Perché non era
rimasto a
godere dei frutti di un lavoro che doveva essere costato non poco
impegno e
fatica? Non era più semplice, e quindi probabile, credere in un
accidente cosmico?
La Tearkia
suscitava spesso questo genere di domande, quasi sempre senza risposta:
erano
un delizioso enigma, che apparentemente i diretti interessati non
trovavano
necessario risolvere.
“Martirii?”
chiese invece Tarbun.
Cecile fece
comparire la bandiera della Tearkia a quel punto: un triangolo d’oro
con
bisettrici che si incontravano nel luminoso centro, posto in campo
grigio e con
due cerchi neri, a rappresentare Vrs e Nydra, colti nell’atto di
sorgere dai
loro opposti orizzonti per raggiungersi.
“La società
Midion Tezhnid è organizzata in tre caste, e questo era vero ancora
prima che
si incontrassero: la casta dei soldati/cacciatori/agricoltori, la casta
degli
scienziati/ingegneri/artigiani e la casta dei
politici/sacerdoti/filosofi. In
entrambi i casi, le tre caste riflettono l’antica struttura sociale
della loro
specie: in effetti, si può dire che i Midion Tezhnid si siano evoluti
come
specie sociale per meglio difendersi dai predatori.”
“Che sono
ancora più terribili di loro?”
“Decisamente.”
ragni con mentalità da branco grandi come case e vespe della stazza di
auto per
Vrs, crostacei dal potenziale distruttivo di carro armati e
l’equivalente di
formiche da ghiaccio per Nydra: acqua e fuoco, giorno e notte. Una
dualità
sempre presente nella Galassia, esasperata nei Midion Tezhnid.
“…La
conquista e la padronanza delle loro capacità psioniche ha
riequilibrato
pesantemente le dinamiche preda/predatore, ma i Midion Tezhnid hanno
sempre
percorso gli stessi sentieri. Per esempio, la cura degli infanti è un
affare
pubblico: ancora oggi, che potenziali genitori non sono più divorati
vivi dai
predatori dei loro rispettivi ecosistemi, la sicurezza e il benessere
della
loro prole è affidata a tutti. Un trankettori,
è solo di una lancia più pericoloso di un Midion Tezhnid che protegge
un
infante.” ammise Cecile con un sorriso.
“Stai
eludendo la mia domanda sui martirii?”
“…Preferisco
pensare di star fornendo un contesto.” ribatté Cecile: “I Midion
Tezhnid sono
una specie carnivora: mangiano preda preferibilmente viva o appena
uccisa,
quando ciò non è possibile. Ecco perché ad esempio agricoltori,
cacciatori e
soldati formano una singola casta.”
“Ah.”
“...Ma le
loro caste restano un sistema aperto: da ogni cittadino della Tearkia
ci si
aspetta che contribuisca ad almeno due caste nella durata della sua
vita. Nella
loro concezione, l’esperienza dei primi cicli viene messa al servizio
della
scelta compiuta più avanti con l’età: elemento questo, che di nuovo era
presente sia tra i Midion che tra i Tezhnid prima della loro
riunificazione.”
“Continui a
girarci attorno.” affermò sardonico Tarbun.
“Perché non
è facile conciliare questa parte delle loro società con alcune loro
pratiche
che francamente trovo barbariche io stessa.” di nuovo, Tarbun le lasciò
il
tempo di continuare coi suoi tempi:
“…Sono una
specie forte, gioiosamente portati al conflitto, ma molto presto sono
stati
costretti a trovare un modo di incanalare questa energia: la loro casta
governante, se così si può dire, ha compreso molto presto che rituali,
mistica,
sacralità… erano strumenti in grado di arginare lo spargimento di
sangue tra i
loro consimili.”
“Quindi la
religione è per loro uno strumento di controllo?”
“Sì e no. La
religione Midion Tezhnid può essere descritta come un culto
apocalittico degli
antenati: credono, o meglio, si impongono di credere, che alla fine dei
tempi
vi sarà un grande scontro tra i viventi e qualcosa che loro chiamano
l’Inconosciuto,
una specie di divinità del caos con quattro teste, ognuna che porta su
di sé
una diversa forma di rovina. La posta in palio sarà la continuità o
meno
dell’esistenza stessa.” spiegò Cecile, proiettando la rappresentazione
di un
arazzo in cui si vedevano le orde di Midion Tezhnid, e altre specie,
andare in
battaglia contro una titanica figura con quattro teste, ma che restava
in
ombra.
“Hai detto
che si impongono di credere.” Intervenne Tarbun: se faceva di tutto per
non
rispondere alla sua domanda, allora tanto valeva farne un’altra.
“…Quando una
finzione ripetuta, ritualizzata, diventa realtà? La nostra esperienza
ci dice
che una cosa simile non avverrà mai… ai Midion Tezhnid però, ha
dimostrato
diversamente. Perfino loro sanno che la religione è una pratica
ritualistica
creata per sfogare e controllare alcuni istinti di base insiti in ogni
società,
uno dei motivi per cui non fanno proselitismo tra le altre specie,
eppure
sembra che nel loro credere, in quel gioco che hanno creato per sé,
qualcosa di
vero ci sia. Per loro almeno, funziona: innalzano mausolei in cui
chiedono
aiuto e consiglio ai loro antenati per gioco, e scoprono di avere
società più
stabili e forti come conseguenza: in loro il rapporto di causa effetto
sembra
rovesciato, oppure che ci sia davvero una divinità che apprezza i loro
sacrifici e i loro rituali. E se come non bastasse, sostengono di aver
trovato
la forma definitiva del loro testo più sacro tra le stelle, ma questa è
un
affermazione che nessuno è un grado di verificare. E prima che provi a
suggerire che è dovuto ai loro poteri psicocinetici, anche questa
ipotesi è
stata vagliata attentamente.”
“Risultato?”
“Nulla di
conclusivo. Funziona e tanto basta. Nemmeno i loro governatori, i loro
martiri
viventi, sanno perché, o se lo sanno, si guardano bene dallo spiegarlo.”
“Sono sempre
più confuso, come si può essere martiri viventi?”
“…Una
pratica che era già diffusa tra Midion e Tezhnid prima della loro
riunificazione.”
spiegò Cecile con una piccola voce: “…Esiste una cerimonia, destinata a
coloro
che tra i Midion Tezhnid invocano la responsabilità di essere
governatori e
capi tra loro. All’aspirante viene iniettato un veleno, una tossina
neurale che
devasta il corpo, ma lascia intatta la mente. A coloro che
sopravvivono,
vengono tolti tutti i sensi, per sempre. Ma la mente di questi martiri,
costretta a ripiegarsi su sé stessa, costretta a poter ascoltare
solamente sé
stessa, raggiunge nuovi livelli di ragionamento e capacità:
precognizione ad
esempio. Storicamente, i primi psionici e telepati nella Tearkia sono
stati
appunti questi martiri viventi, e lo studio di ciò che capitava
esattamente a
loro la diffusione dei talenti mentali tra i Midion Tezhnid.”
“Un’abnegazione
che non riesco a comprendere…”
“Nata da
coloro che erano strappati ancora vivi ai più terribili predatori sui
rispettivi pianeti d’origine. Li chiamano Tearki: ed essi si
sacrificano, e
sono sacrificati, per poter meglio guidare la loro specie. L’impegno
naturalmente è a vita: ogni colonia dei Midion Tezhnid è retta da
almeno uno di
questi governatori-martiri, che presiedono all’ordine e alla prosperità
del
pianeta. Altri Tearki invece, pur non avendo la responsabilità di una
colonia,
hanno funzioni importanti per la Tearkia: giudici, filosofi, cognitivi…
la
lista è lunga.”
“Cicli
interi di buio… non so se sarei pronto a fare qualcosa del genere. E
come si
coordinano tra loro?”
“Fanno tutti
riferimento ad uno: l’Arcitearka, imperatore-dio di tutti i Midion
Tezhnid. Un
essere dai poteri psionici e dall’intelletto così vasto, da trascendere
la sua stessa
biologia, che viene deificato dai suoi simili sia per ciò che è, che
per ciò
che ha sacrificato. Attualmente, a reggere la Tearkia è
l’imperatrice-dea Sa
Ti: per lei, i Midion Tezhnid organizzano tornei interplanetari in cui
mettono
alla prova il loro valore e in cui la morte è l’unica sconfitta
onorevole.
Muoiono in suo nome, conquistano per la sua gloria e pregano per la sua
salvezza.” Cecile non poté impedirsi di rabbrividire mentre quelle
parole
lasciavano la sua bocca: non poteva tacere la parte più importante
però. Doveva
arrivare fino in fondo:
“…E fin da
quando si sono riunificati, Midion e Tezhnid selezionano le famiglie da
cui
devono giungere i loro Tearki anche in base alla loro possibile
aspettativa di
vita, in modo da garantire leader dal mandato sempre più lungo, ma
comunque in
grado di guidarli con forza… Ammirate la mia abnegazione, Tarbun?”
chiese
Cecile amara: “…Quanto vale, di fronte a 14 cicli di isolamento
completo dei
sensi, con solo la propria mente per conoscere il mondo e la propria
specie? E
c’è un’altra somiglianza che ha contraddistinto la storia di Midion e
Tezhnid a
proposito.”
“E quale?”
“La figura
di Tearka è nata appena prima di raggiungere le stelle per entrambi,
segnando
la fine di crociate che avevano spazzato i due mondi nel tentativo di
rispondere ad un semplice quesito: quale identità porteremo con noi fra
le
stelle? Chi siamo davvero? E nel sangue e nella battaglia, e
nell’istituzione
della Tearkia, il dominio del divino, il loro sacro impero, i Midion
Tezhnid
hanno trovato la risposta.”
“…Al
confronto, perfino Rostrum e il suo passato sono socialmente
accettabili.”
“…Credo che
lei abbia appena fatto il miglior complimento che si possa fare ad un
Hastur.”
rispose Cecile, con un piccolo sorriso.
Parlarono
ancora molto quella notte, parlarono di molte altre cose, di molti
luoghi e di
civiltà lontane. Fu quella notte che Tarbun e Cecile capirono che
sarebbero
diventati amici, nel tempo: e infatti rimasero in contatto anche quando
la
missione dell’emissario della Dorata Intesa finì, dopo che i Figli di
Kos
rinunciarono ufficialmente alle loro pretese sul pianeta di Sorat, per
quanto
non vollero unirsi formalmente alla Dorata Intesa.
Almeno per
qualche generazione ancora.
E questa storia
termina qui.
Spero che vi sia piaciuta, pur nella sua stranezza e terribili
possibilità che immagina: tuttavia appunto "la Galassia è antica e
piena di portenti".
Cheerio! |
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