A Dangerous Love

di AliceMiao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Arrivo ***
Capitolo 2: *** Carlisle ***
Capitolo 3: *** Il Bacio ***
Capitolo 4: *** Rivelazione ***
Capitolo 5: *** Il Ritorno ***



Capitolo 1
*** L'Arrivo ***


L’aereo era appena atterrato, portandomi nell’ultimo luogo dove avrei voluto trovarmi: Seattle. Già che pioveva, la giornata era iniziata bene diciamolo. Ero (e un po’ lo sono ancora) una di quelle persone che vedendo la giornata iniziare con un po’ di pioggia parte con la convinzione che quella giornata sarebbe stata un disastro. Appena uscii dall’aeroporto una folata di vento freddo mi investì, facendo svolazzare i miei capelli color castano caramello. La pioggia cadeva fitta e sembrava non accennare a smettere.
Poco lontano dalla porta di uscita mi stava aspettando un uomo, più o meno sulla quarantina d’anni e un ragazzo più giovane. L’uomo aveva i capelli neri e corti, piuttosto robusto e di media altezza; indossava una felpa nera e un paio di jeans, con delle scarpe sportive. Il ragazzo invece aveva i capelli neri leggermente lunghi, piuttosto alto e con un leggero accenno di muscoli; indossava una camicia bianca e un paio di jeans, con delle scarpe da ginnastica. Quei due uomini erano Charles, il mio promesso sposo, e suo padre.
Li salutai con un sorriso stampato in volto, sebbene forzato. Non ero ben felice di trovarmi lì, ma non potevo farci nulla. Mentre salivamo sull’auto che ci avrebbe portato alla loro villa appena fuori città mi persi nei miei pensieri.
Ero stata costretta a sposarlo perché i suoi genitori erano molto ricchi e, dato che i miei genitori non hanno mai alzato un dito per arricchirsi, hanno pensato di imparentarsi con una famiglia benestante. Io e Charles ci conoscevamo da un anno e di lì a alcuni mesi ci saremmo sposati. Io avevo sempre desiderato di conoscere la mia metà perfetta, il mio principe azzurro sin da quando ero bambina, ma a quanto pare il destino non aveva pensato a un futuro simile per me.
Ci impiegammo una mezz’oretta per arrivare a casa. La loro villa era molto grande e moderna. La mia stanza era al secondo piano, arredata molto bene (almeno avevano buon gusto). Ovviamente non avrei alloggiato gratis, infatti mi offri di contribuire alle spese della casa facendo un piccolo lavoretto nel paese lì vicino, Forks. Avrei fatto la commessa nel piccolo supermercato di quella città.
Fu proprio lì che mi recai l’indomani, dopo aver perso mezz’ora per cercare la via dove si trovava l’edificio. Appena arrivata venni accolta con piacere da tutti i colleghi e come primo incarico dovevo sistemare dei dolciumi sugli scaffali.
Iniziai a sistemarli, quando una bambina e un uomo, che doveva avere circa sui 23 anni mentre la bambina doveva avere almeno 6 anni, si avvicinarono per chiedermi un’informazione.
Cercai di restare indifferente nonostante la bellezza di quell’uomo mi avesse colpita in pieno. Era alto, biondo, ma la cosa che mi colpirono di più furono i suoi occhi, quando mi guardò sorridendo: erano dorati. Non avevo mai visto nessuno con quegli occhi, come minimo erano lenti a contatto colorate.
“Chiedo scusa per il disturbo, ma saprebbe dirci dove possiamo trovare i pomodori?”.
Lo guardai, pregai di non essere diventata rossa come la verdura che stavano cercando e risposi sorridendo: “Certo, sono là in fondo”. Indicai la parete in fondo allo scaffale, dove erano esposti dei magnifici pomodori e altre qualità di verdure.
“Grazie mille, buon lavoro!” e detto questo si allontanò con la bambina.
Sussurrai un “Grazie” con molta timidezza e lo dissi talmente piano che lui non mi avrebbe sentito. Il giorno di lavoro continuò normale e non rividi più quel signore e quella bambina. Tuttavia mi sorpresi a farmi film mentali su loro due: erano fratello e sorella? Oppure padre e figlia? O magari cugino e cugina? Sarà fidanzato? O addirittura sposato?
Mi sentivo una stupida a fare quei pensieri, ma non potevo evitarlo, era come se la mia mente si controllasse da sola. Il mio turno finì alle 2.00 p.m. e una volta tornata a casa trovai sul tavolo della cucina un bigliettino: siamo usciti tutti, ti abbiamo lasciato un pezzo di pizza nel forno, spero sia ancora caldo. Mary.
Mary era la madre di Charles, mentre suo padre si chiamava Oscar.
Nel forno trovai un trancio di pizza ai funghi, che mangiai volentieri. Una volta finito pulii tutto e salii nella mia camera. Come promesso, mi avevano fatto portare un cavalletto da disegno e alcuni utensili da disegno, così iniziai a disegnare. Mi sarebbe sempre piaciuto restaurare vecchie abitazioni come lavoro, ma anche su quello il destino aveva avuto da ridire, così mi accontentavo di arredare stanze immaginarie sui miei fogli da disegno.
Fuori aveva ricominciato a piovere e solo quando Charles  tornò dal lavoro mi accorsi che erano già le 6.00.
“Stai disegnando?”. La sua voce arrivò dalla porta della stanza. Annuii, posando la matita sopra il tavolo.
Lo sentii avvicinarsi e dopo poco me lo ritrovai davanti, che mi dava un bacio. Ogni volta che mi baciava mi sentivo a disagio, come se fosse sbagliato. Eppure non potevo farci nulla.
“Andiamo a cena?”, mi chiese porgendomi la mano. Senza prenderla mi alzai e mi incamminai verso la sala da pranzo.

(Carlisle)

Quella mattina era iniziata in modo un po’ turbolento. Vi spiego, Renesmee aveva voglia di pasta al pomodoro, quella senza salsa ma con i pomodorini interi che ci mangi insieme, così lei e Bella erano venuti da noi a chiederci se avevamo dei pomodori, che non avevo.
“Posso accompagnarla al supermercato prima di andare al lavoro e poi lasciarla alla riserva da Jacob, non c’è problema”.
All’inizio Bella non voleva costringermi a fare un giro più lungo del solito, ma alla fine cedette e fu così che mi ritrovai nel supermercato.
Dato che nessuno dei due aveva idea di dove trovarli, chiedemmo a una commessa. Ok, credo che se avessi avuto ancora il cuore che batte, nel momento in cui incrociai lo sguardo della commessa avrebbe perso un battito. Era una ragazza molto carina, che dico, bella, con più o meno la mia età (apparente, non età reale), capelli color castano caramello e occhi castano.
Ci disse dove si trovavano i pomodori e dopo averla ringraziata ci allontanammo, ma la sentii sussurrare un timido “Grazie”. Ero sicuro al cento per cento che lei credesse che non l’avevo sentita.
Pagammo alla cassa e lasciai Renesmee alla riserva, dopodiché andai al lavoro. Quella notte, a causa del temporale, c’era stato un incidente e quindi l’ospedale era affollato. Sarei andato volentieri anche quella notte, ma sarebbe risultato sospetto se avessi lavorato tutto il giorno senza dormire un secondo. Quella mattina rimanevano solo i casi meno gravi: una gamba rotta, due braccia lussate e vari tagli. Il resto della giornata feci come sempre visita ai miei pazienti, anche se continuavo a pensare alla commessa del supermercato.
Mi sorpresi a pensare se fosse sposata o fidanzata, pensieri che non mi erano mai passati per la mente. Ero single da più di trecento anni e nessuna donna aveva mai fatto colpo su di me, eppure quella ragazza mi aveva fatto qualcosa, non mi sentivo più lo stesso.
Tornai a casa che erano le 8.00 p.m. passate. Cercavo di passare più tempo possibile in ospedale senza destare sospetti. Una volta a casa un odore di pasta invase il mio naso: finalmente Renesmee era riuscita a mangiare quella famosa pasta!
Mi ritirai nello studio seguito da Edward. Aveva visto nella mia testa l’immagine della commessa del supermercato e aveva percepito un cambiamento in me. Ormai mi conosceva troppo bene, così non gli nascosi che quella donna mi aveva colpito, anche se non era nulla di importante.

(Esme)

Nei giorni seguenti continuavo a sperare che quel ragazzo entrasse dalla porta del supermercato, ma niente. Nei seguenti dieci giorni non si fece vedere.
Quel giorno stavo uscendo dal mio turno di lavoro quando mi arrivò un messaggio da parte di Charles che mi diceva di aver avuto un incidente (non grave per fortuna) e che si trovava in ospedale.
Andai subito da lui e quando entrai nella stanza dove lo avevano portato c’era anche il medico che lo aveva curato. Appena si girò il mio cuore perse un battito: era l’uomo del supermercato. Anche lui sembrava sorpreso di vedermi, ma dopo un veloce sorriso riprese il suo portamento da medico.
“È stato fortunato, poteva andarle peggio, quello scatolone avrebbe potuto ucciderla, invece le ha sfiorato il braccio. Ha un corpo molto resistente, mi creda. Stia a riposo per qualche giorno”. E con il suo solito sorriso uscì dalla stanza.
La famiglia di Charles aveva un’impresa di trasporti e lui si era fatto male quando uno scatolone sistemato male gli era caduto quasi addosso.
“Sono contenta che non ti sia fatto nulla”. Sorrisi e lui ricambiò.
Quella sera, dopo cena, mi rintanai nella mia stanza e iniziai un nuovo progetto e mi accorsi, dopo aver finito, di non aver disegnato una stanza, bensì il ritratto di quell’uomo. Solo in quel momento capii quanto volevo rivederlo.

Note: questa storia avviene dopo Breaking Dawn, ma con una piccola variazione: Esme e Carlisle non si sono mai conosciuti perché lei è umana nell’epoca in cui lo è anche Bella. Spero vi piaccia!
Baci AliceMiao

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Capitolo 2
*** Carlisle ***


~~Passò una settimana e il lunedì di quella successiva accompagnai Charles a fare gli ultimi controlli riguardo alla ferita che si era procurato al lavoro.
“Spero di essere guarito, non ce la faccio a star seduto a far nulla”.
Sorrisi mentre l’infermiera entrava in sala. “Possiamo entrare. Lei aspetti pure qui signorina” ed entrarono.
Mentre sfogliavo distrattamente una rivista sentii una voce dal fondo del corridoio: era la voce del medico di Charles. E quel suono si fece sempre più vicino.
“Buongiorno signorina. Se l’è cavata bene questa settimana il suo ragazzo?”.
Annuii. “Sì benissimo. Anche se molte volte ha tentato di fare qualcosa nonostante glielo avesse proibito”.
“Normale. In un certo senso me lo aspettavo, non sembra un tipo che sta facilmente con le mani in mano. Ci vorrà ancora qualche minuto prima che finisca, posso offrirle un caffè?”.
Mi stava invitando a bere un caffè? Mi stava invitando a uscir… No, non stiamo uscendo, solo un caffè. Solo un piccolo e innocuo caffè.
“Sì volentieri!”. Scendemmo al bar dell’ospedale e ordinai il caffè.
“Lei non beve?”. Avevo preso solo io da bere, lui si era semplicemente seduto al tavolo con me.
“Non vado pazzo per il caffè” fu la sua risposta.
“Allora perchè mi ha invitato a berlo? Aveva bisogno di una scusa per stare con me da solo?”.
“In effetti sì. Siete molto sveglia”. Sorrise. Era un sorriso caldo e affettuoso, non mi capitava spesso che qualcuno me lo rivolgesse, specialmente uno sconosciuto.
Finii il mio caffè e ci incamminammo verso la sala di prima.
“La prossima volta tocca a me pagarlo. Però spero di berlo in un bar in centro, non in un ospedale”, dissi ridendo.
Anche lui rise e il suono della risata si stampò nella mia mente. Ero certa che non lo avrei mai dimenticato.
Un’oretta dopo ero a casa, in soggiorno.
“Dove volete organizzare il matrimonio? Io pensavo all’hotel di lusso in centro, è molto elegante e raffinato”, disse Oscar, il padre di Charles.
“Mi sembra un’idea perfetta!”, disse Charles.
Io ero perplessa invece. Avevo sempre voluto un semplice matrimonio, nulla di stravagante. Ma mi limitai ad annuire, dicendo che ero d’accordo anch’io.
Quella sera, finalmente da sola nella mia camera, scoppiai a piangere. Non sapevo perché, ma avevo ancora meno entusiasmo di sposarmi. Continuavo a pensare al medico biondo e riuscivo ad immaginare un matrimonio solo con lui. Ok, stavo impazzendo. Eppure…
Ero appena uscita dal supermercato quando una leggera pioggia iniziò a scendere e io ero senza ombrello. Fantastico, pensai mentre fradicia mi dirigevo alla macchina. Altro problema: quel maledetto ammasso di metallo non partiva. Di bene in meglio…
“Tutto bene?”. Una voce giunse dall’ingresso del parcheggio: il medico di Charles.
“Non parte la macchina. Ma non si preoccupi, chiamo un meccanico”.
“Ok, ma le voglio dare un passaggio a casa, nessun disturbo”.
Non avevo voglia di discutere, così chiamai il meccanico e feci portare ad aggiustare l’auto, dopodiché salii su quella del biondo.
Per circa metà del viaggio nessuno dei due parlò, finché fu lui a rompere il ghiaccio.
“Come vi chiamate?”.
“Esme. Voi?”.
“Carlisle. Avete un bel nome”.
“Grazie… anche voi”.
“Beh direi che possiamo darci del ‘tu’ ora no?”, disse sorridendo.
Annuii. Gli dissi la via dove c’era la villa di Charles e lui la impostò sul navigatore.
“Di dove sei?”, mi chiese.
“Columbus. Tu?”
Mi disse di essere nato a Londra, ma di essere venuto qui da bambino.
“Quel ragazzo era il tuo fidanzato?”. Annuii. “Ci sposeremo tra un po’”.
Sembrava quasi rattristato dalla mia risposta, anche se non riuscivo a capire perché.
“Tra cento metri voltare a sinistra e poi subito a destra”. La voce del navigatore mi fece capire di essere quasi arrivati a destinazione. Infatti, dopo alcuni minuti, ecco spuntare la villa.
“Grazie mille. Spero di rivederti”.
Lui mi sorrise e poi si allontanò.

(Carlisle)

Era fidanzata e stava per sposarsi. Era fidanzata e stava per sposarsi. Questa frase invase i miei pensieri per tutto il tragitto verso casa. Tentai inutilmente di ignorarla accendendo la radio, ma niente. Quella ragazza mi aveva colpito molto. Forse troppo.
Una volta a casa mi chiusi nel mio studio e iniziai a leggere qualche buon libro di medicina. Dopo qualche ora qualcuno entrò nello studio: Alice.
“Posso parlarti?”.
Annuii e le feci cenno di sedersi, cosa che fece, mentre io mi accomodai di fronte.
“Prima ho avuto una visione: ci sei tu con una ragazza. A quanto pare è la stessa che tu e Renesmee avete incontrato al supermercato qualche settimana fa”.
Aveva avuto una visione di me con Esme… Non sapevo se essere felice o triste di questa cosa…
“Hai visto il luogo, il tempo ecc… di quando avverrà quella visione?”.
Scosse la testa. “No… Se ho novità te lo farò sapere”.
La ringraziai sorridendo e lei uscì.
Sussurrai il suo nome, dopodiché ripresi a studiare, anche se la mente continuava ad andare a lei.

(Esme)

Il suo volto mi osservava da lontano e diventava sempre più grande, infatti si stava avvicinando. Io stavo immobile, mentre lui si faceva sempre più grande e sempre più vicino. Presi il coraggio a due mani e corsi verso di lui, baciandolo. Lui mi ricambiava, ero al settimo cielo. Poi lui scomparve e riapparve vicino a Charles. Entrambi allungarono la mano in avanti, come ad invitarmi a raggiungerli. Non sapevo chi scegliere, non potevo scegliere.

Mi svegliai di colpo, annaspando. Ero tutta sudata e la sveglia segnava le 3.00 a.m.
Avevo sognato Carlisle. Era la prima volta che succedeva da quando lo conoscevo. Il ricordo del sogno che avevo fatto mi invase la mente e rabbrividii.
Non riuscii a prendere sonno per almeno un’ora e mezza e nonostante la stanchezza, mi alzai presto il giorno dopo.
Al supermercato ero molto distratta, tanto che le mie colleghe mi chiesero se stessi bene. Quando finì il mio turno mi chiesi se anche quel giorno fosse venuto a prendermi, dato che ero ancora senza auto e quella mattina era stata Mary a portarmi al lavoro, dicendomi che sarebbe passata la sera a prendermi, una volta finito il suo di turno.
Quando alzai lo sguardo verso il parcheggio lo vidi. Era appoggiato al fianco della macchina e mi sorrideva. Lo feci anch’io e lo raggiunsi.

Note: ecco il secondo capitolo! Spero vi piaccia anche questo!
Baci AliceMiao

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Capitolo 3
*** Il Bacio ***


~~Solo in quel momento mi resi conto che la sua macchina era calda. Nei giorni precedenti era sempre venuto a prendermi al lavoro e non ci avevo mai fatto caso a questo dettaglio. Ma quel giorno sì. Era venuto puntuale a prendermi, ma non mi stava portando a casa, bensì a prendere un caffè. Secondo lui lavoravo troppo e non dedicavo abbastanza tempo a me stessa. Quando me lo disse gli risposi che anche per lui era lo stesso e scoppiò a ridere.
Tuttavia mi resi conto che non lo avevo mai visto stanco. Avevo saputo dal mio futuro marito che lui faceva turni lunghissimi all’ospedale della città, ma non gli avevo visto mai nemmeno un’occhiaia. Trucco? Forse e onestamente era la soluzione più ovvia. Solo che all’epoca non sapevo quanto mi sbagliassi.
Arrivammo al bar, solo che era chiuso: giornata di chiusura per inventario, così diceva il cartello sulla porta. Una parte di me era delusa, perché avrei voluto volentieri passare un po’ di tempo con lui.
“Perché non andiamo al parco?”, propose.
Annuii. In effetti mi sembrava una buona idea.
La grande distesa verde era deserta, forse per via dell’imminente pioggia. Ci sedemmo su una panchina e cominciammo a chiacchierare.
Parlammo di tutto, dalle ultime notizie ai nostri hobby, ai nostri progetti futuri. Lui avrebbe voluto trovare una madre ai suoi figli adottivi. In quel momento pensai che aveva d’avvero un cuore d’oro. Adottare dei figli nonostante sia così giovane e ancora scapolo.
Un tuono ruppe la quiete e sobbalzai dallo spavento, finendo addosso a lui. Era freddo congelato, eppure indossava un giubbotto e dei vestiti abbastanza pesanti.
Cercai di staccarmi, ma mi tenne appoggiata a lui. Lo sentii sospirare e il suo fiato soffiare sui miei capelli.
“Che cosa mi fai?”, sussurrò per poi alzare il mio viso prendendo il mento con le dita. Lo guardai dritto nei suoi occhi dorati, che vidi farsi sempre più vicini.
E successe. Le mie labbra furono sulle sue e si mossero, baciandolo. Danzavano insieme, perfettamente coordinate. Mi ritrovai ad abbracciarlo, senza staccarmi, mentre lui mi faceva sedere sulle sue gambe, per farmi stare più comoda.
Passarono secondi interminabili, quando un secondo tuono si fece sentire, seguito stavolta dalla pioggia. Infatti, iniziò a piovere e anche parecchio.
Sorridemmo, i volti poco distanti tra di loro e corremmo in macchina. Mentre guidava verso casa mia mi tenne la mano. E io mi resi conto di provare qualcosa per lui. Era qualcosa che non avevo mai provato, qualcosa di sconosciuto.
Quando arrivammo a casa mia avrei voluto baciarlo un’altra volta, prima che se ne andasse, ma non volevo rischiare di farmi scoprire da Charles o dalla sua famiglia, così mi limitai a salutarlo con un sorriso.
Quando salii in camera, dopocena, mi sentivo stranamente agitata. La tensione a tavola si tagliava con un coltello e temevo che centrassi qualcosa.
Mentre mi stavo per mettere a letto qualcuno aprì la porta: Charles.
“Ciao. Come mai sei qui?”, chiesi perplessa; lui non entrava quasi mai nella mia stanza e il fatto che fosse entrato mi preoccupava non poco.
“Chi era il tizio a cui hai sorriso prima in macchina? Lo sai che noi due stiamo per sposarci e che non puoi avere nessun altro!”, mi disse furioso.
Mi bloccai. Aveva forse scoperto qualcosa? Qualcosa riguardo a quel bacio?
“Era sempre la stessa persona che mi accompagna a casa tutti i giorni!”. Il mio tono di voce mi tradì. Avevo urlato, senza rendermene conto, da quanto ero tesa.
Fu allora che mi accorsi della vera natura del mio futuro marito. Alzò una mano e la sbatté contro la mia guancia, facendomi cadere all’indietro. Finii per terra e lui mi colpì una volta sul petto e una volta sulla gamba.
“Che ti serva da lezione. E mi sembra ovvio che non ne parlerai con nessuno vero?!”. Il suo sguardo era furioso e infuocato.
Annuii, spaventata e lui lasciò la stanza.

(Carlisle)

Il temporale che ci fu quella sera fu il pretesto esatto per una bella e sana partita di baseball. Ovviamente i ragazzi furono entusiasti della cosa e quella sera riuscimmo a fare ben due partite.
Fu mentre tornavamo a casa che Alice ebbe una visione, ancora su Esme.
Disse agli altri che non era nulla di ché, visto che loro non sapevano ancora che ‘frequentavo’ un’umana (a parte Edward, ovviamente), ma quando tornammo a casa venne nel mio studio.
“L’ho vista ancora. L’ho vista molto triste e c’era un uomo che la picchiava. Non so chi sia, è la prima volta che compare nelle visioni”.
Ci avrei scommesso tutto quello che volete che si trattava del suo fidanzato. Non mi era mai piaciuto quel ragazzo e quella poteva essere la prova definitiva che avevo ragione. Tuttavia non potevo intervenire senza prove.
“Grazie Alice. Avvertimi se vedi qualcos’altro ok?”.
Lei annuì e saltellò fuori dalla stanza, lasciandomi solo con i miei pensieri.
Il giorno seguente andai ancora a prenderla al lavoro e così anche il giorno dopo. Non ci furono più baci, ma si sentiva che c’era una certa intesa tra di noi.
Un giorno decisi di invitarla a casa, in fondo i ragazzi non c’erano, erano tutti a caccia.
“È enorme!”, disse mentre si guardava intorno.
“Beh, siamo una famiglia numerosa”. Sorrisi e le feci fare il giro della casa, fermandoci nel mio studio.
“Wow, quanti libri! E questi dipinti sono magnifici!”.
Aveva la stessa espressione di un bambino a cui hanno appena regalato un giocattolo che voleva da tempo: al settimo cielo.
Mi avvicinai e la abbracciai da dietro. “Cosa c’è che non va, in questi giorni sei sempre stata silenziosa, distante”.
La sentii sospirare e cercò di sottrarsi alla mia presa, ma la trattenni. “Ti prego rispondimi, è terribile non sapere cosa ti rattrista”.
“Ecco io… È un periodo un po’ difficile in famiglia ultimamente, nulla di cui preoccuparsi”.
Stava mentendo, lo sapevo, ma non volevo andare oltre, non per quel giorno.
Le diedi un bacio sulla testa e iniziai a cullarla. “Non sopporto di vederti triste”, le sussurrai.
Lei si voltò e mi guardò negli occhi, posando una mano sulla mia guancia. La baciai d’impulso e subito sentii le sue labbra calde e rosee ricambiare il mio bacio.

(Esme)

Ricambiai il suo bacio. Non avevo paura, in quel momento mi dimenticai di tutto, persino delle minacce di Charles.
Volevo solo perdermi nelle sue labbra e non trovare mai più la strada per tornare alla realtà.
Lo strinsi, continuando a baciarlo, mentre sentivo che mi stava muovendo verso la parete, contro la quale sbattei presto. Sentivo le sue mani sul mio corpo e io mossi e mie sul suo petto, decorato da addominali perfetti. Come poteva essere che una persona tanto perfetta avesse scelto me?
Sentii le sue mani sulla mia pelle e mi resi conto che era riuscito ad aprire la mia camicia, così come io avevo fatto con la sua. Le sue mani erano congelate, ma non ci feci molto caso in quel momento.
Sentii le sue labbra scendere sul mio collo e lasciare una scia di baci su di esso. Sorrisi, mentre gli lasciai un bacio suo petto. Le sue labbra si chiusero in un sonoro bacio sul mio collo. Poi si staccò di colpo e mi guardò, quasi spaventato.
“S-scusami, io non volevo… Di solito riesco a controllarmi, non so perchè ho perso il controllo… È meglio che tu vada a casa”.
Lo guardai. Volevo chiedergli perché, perché avesse reagito così, ma decisi di non insistere, mi sembrava abbastanza agitato. Mi allacciai la camicia e uscii, andando alla stazione dei pullman per tornare a casa.
Quella sera mi resi conto di un dettaglio: sul mio collo c’era un segno. Accidenti! Dovevo assolutamente trovare un modo per nasconderlo, prima che qualcuno se ne accorgesse! Troppo tardi: Charles mi aveva già raggiunto nella mia camera e aveva visto tutto.
“Con chi sei stata?! Mi stai tradendo con qualcuno?!”.
E ricominciò a colpirmi, più volte, ma non ci feci caso, i miei pensieri erano tutti rivolti al mio angelo biondo.

(Carlisle)

Appena se ne fu andata sprofondai sulla sedia e appoggiai i gomiti alla scrivania, prendendomi la testa tra le mani. Come avevo potuto andare così oltre? Avevo rischiato di farle davvero male, molto male. O forse gliene avevo fatto, anche se non avevo notato nessun segno, a parte quelli lasciati dal fidanzato.
In quel momento una grande e preoccupante certezza si era materializzata nella mia testa: io la amavo e la visione che Alice aveva avuto qualche giorno prima si stava avverando.

Note: spero che questo capitolo vi piaccia!
Baci AliceMiao

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Capitolo 4
*** Rivelazione ***


La pioggia quella mattina cadeva fitta. Era domenica mattina e la sera precedente era stata la serata peggiore della mia vita. Il mio futuro marito continuava ad avere dei sospetti sul fatto che io non frequentassi nessuno ed era diventato sempre più violento. Quella notte in particolare. Si era approfittato di me a più non posso, dicendo che era una punizione per ciò che avevo fatto. Ma che colpa avevo? Nessuna. Beh ok, forse un pochino sì dato che tra me e il mio angelo biondo i baci non mancavano mai. Ma non andavamo mai oltre. Ci aveva messo quasi una settimana per sbloccarsi dopo quello che era successo a casa mia. Tante volte ero io a prendere l’iniziativa di baciarlo, altrimenti lui evitava quasi ogni contatto tra di noi, come se avesse paura.
Fatto sta che quella mattina avevo quasi paura ad alzarmi dal letto e scendere. Avevo paura del suo sguardo, del suo comportamento, ma soprattutto della sua indole violenta che poteva emergere in qualsiasi momento. Guardai l’ora: le 09.30 a.m. Fissai il soffitto: nonostante cercassi di non farlo, continuavo a pensare al mio angelo. E con il passare del tempo e l’avvicinarsi del giorno del matrimonio quei pensieri divennero sempre più ingombranti e vividi. A volte mi immaginavo persino la sua voce o che lui si trovasse lì con me. Stavo impazzendo, era chiaro.
Dopo aver osservato il soffitto bianco per almeno dieci minuti mi decisi ad alzarmi. Appena arrivai davanti allo specchio vidi i lividi dei vari colpi che Charles mi aveva dato la sera prima e quella prima ancora e così via. Il segno che mi aveva lasciato il mio angelo, sul collo, non c’era più, quasi fosse un segno del destino che dovevo intendere come: dimenticalo, non è alla tua portata.
Eppure non riuscivo a dimenticarlo.
Indossai una semplice camicia bianca con un paio di jeans, un maglioncino grigio con una cintura marrone allegata e degli stivali con tacco del medesimo colore. Indossai anche un paio di orecchini d’oro e una collana. Quando scesi in cucina trovai Mary ad aspettarmi.
“Non c’eri stamattina a colazione, c’è qualcosa che non va?”.
Sì, tuo figlio mi ha usata e picchiata per tutta la notte, avrei voluto risponderle, ma invece dissi: “Non avevo fame e alla fine mi sono riaddormentata”.
“Capisco. Forza preparati, dobbiamo andare a ritirare il tuo abito da sposa!”. Giusto, dovevo ritirare un abito che avrei indossato il giorno del mio matrimonio scelto da LEI e MIA MADRE e NON da me.
“Hai ragione. Andiamo!”, dissi cercando di mostrare entusiasmo.
Ci impiegammo un’ora per arrivare al negozio, non tanto perché era lontano, ma per via del traffico. Il vestito scelto per il mio matrimonio non mi piaceva per niente: era enorme e color avorio, con le maniche in pizzo che richiamavano i ricami sul fondo del vestito.
“Stai benissimo tesoro!”, aveva detto mia madre quando me lo aveva visto indosso la prima volta e lo stesso lo aveva detto Mary. Avevo provato a ribattere, ma non c’era stato verso di convincerle, così mi arresi.
Appena tornate a casa pranzammo e poi presi la mia auto e andai a Forks. Tra meno di un’ora mi sarei rivista con il mio angelo e non vedevo l’ora. Oltretutto aveva anche smesso di piovere il che rendeva il mio umore ancora migliore. Avremmo passato tutto il pomeriggio insieme e come scusa mi ero inventata di dover andare ad un turno extra al lavoro.
Ci incontrammo a casa sua, dove parcheggiai l’auto. Appena lo vidi gli corsi incontro e lo baciai. Sentivo il bisogno di raccontargli cosa faceva Charles con me, ma avevo paura allo stesso tempo. Paura della sua reazione, paura che potesse fare qualcosa di insensato preso dalla rabbia.
“Da dove arriva questo livido?”. Senza che me ne accorgessi mi aveva afferrato il braccio.
“Sono caduta, di nuovo”. Con lui, come facevo con Mary e Oscar, usavo la scusa che ero caduta.
“Devi stare più attenta”, mi disse e sembrava se la fosse bevuta, anche se non ne ero alquanto sicura.
Annuii e ci incamminammo nella foresta, che lui conosceva come il palmo della sua mano. Mi aveva detto di aver trovato una strada che conduceva alla spiaggia in poco tempo, così decidemmo di andarci. Una volta arrivati ci sedemmo sulla sabbia, uno accanto all’altra.
“Tra una settimana ci sposeremo… Onestamente ho paura”.
“E di cosa? Andrà tutto bene”, mi disse raccogliendo una ciocca dei miei capelli.
“Ho paura che non potrò più rivederti… Temo che Charles voglia trasferirsi la sera stessa del matrimonio”, dissi triste.
Lui mi baciò. “Andrà tutto bene vedrai. Ci saranno altre occasioni in cui potremo rivederci”. Si vedeva che nemmeno lui ci credeva molto. Solo in quel momento mi resi conto di volere almeno una cosa da lui: che continuasse quello che aveva interrotto giorni prima.
Lo baciai, facendolo cadere all’indietro per la sorpresa e dopo un iniziale momento di smarrimento ricambiò il bacio.
Lo stringevo e lo baciavo con tutta l’energia che avevo in corpo, come se fosse il mio unico modo di sfogarmi. Lui faceva lo stesso con me, baciandomi l’intero viso e il collo. A un certo punto sembrava volersi fermare, ma lo baciai, incitandolo a continuare. Purtroppo, nonostante tutto il mio impegno, non servì a nulla.
“No… Non possiamo…”, disse.
“Perché no? Non c’è nessuno che può vederci”.
“Non è per quello… Io… Non posso”, disse alzandosi e dandomi le spalle.
“Perché no? Hai forse paura? Oppure hai dei brutti ricordi legati a ciò?”.
“Questo no, sei tu che dovresti aver paura”.
Ridacchiai. “Ora verrai a dirmi che uccidi le donne con cui stai?”, dissi ironica.
“Potrebbe succedere”. Il suo tono serio mi fece preoccupare. “Se non mi controllo potrebbe benissimo succedere”.
In quel momento accadde una cosa che non saprei spiegare: un momento prima era davanti a me e un secondo dopo non c’era più e lo ritrovai dietro di me. Mi voltai e me lo trovai a pochi centimetri di distanza.
“Io sono pericoloso, non dovresti starmi vicino”, disse e poi si mosse, talmente veloce che a stento lo vidi.
“Come fai a correre così veloce?”. Iniziavo a sentire una lieve paura nascere dentro di me, ma cercavo di mantenere la calma.
Invece di rispondermi afferrò un tronco con le mani e lo spezzò in due come se fosse uno stuzzicadenti. Da dove veniva tutta quella forza?
“Come fai ad essere così forte?”, dissi indietreggiando istintivamente.
E in un lampo fu vicino a me. Mi prese la mano con la sua, fredda gelata. “Io non sono quello che sembro. Io sono un vampiro”.
Mi bloccai. Tutto intorno a me scomparve, solo una parola risuonava nella mia testa: vampiro. Lo era davvero? Beh, aveva la stessa velocità e la stessa forza oltre alle caratteristiche fisiche… Sì, lo era per davvero.
Indietreggiai e corsi via, la paura padrona del mio corpo, mentre cercavo invano di trattenere le lacrime.

(Carlisle)

Quando aveva scoperto la mia vera natura era fuggita. Esattamente come volevo che facesse. Non potevo vederla soffrire, sarebbe stata meglio lontana da me. Ma soprattutto non volevo che si facesse male per causa mia, come stava già succedendo.
Un altro temporale arrivò quella sera, mentre me ne stavo rintanato in studio, perso nei miei pensieri.
“Gliel’hai detto?”. La voce di Edward mi distolse dai miei pensieri.
“Sì. Credo che non ci rivedremo mai più, è scappata terrorizzata”.
Annuì. “Sei sicuro?”.
Stavolta fui io ad annuire, anche se dentro di me sentivo un dolore che non avevo mai provato prima, qualcosa di sconosciuto. “Quando hai creduto che Bella fosse morta cosa hai provato?”.
“Non so descriverlo… Una sensazione strana e dolorosa”. Non so per quale motivo, ma lui sorrise. “Ti manca non è vero?”.
Annuii. “È la cosa giusta”, dissi e uscii a caccia, dovevo distrarmi in qualche modo, prima che il mio corpo mi dicesse di tornare da lei.

(Esme)

Vampiro. Anche dopo una settimana quella parola continuava a rimbombarmi nella testa. Non avevo più rivisto Carlisle da quando mi aveva rivelato di non essere umano. Non perché avessi paura, ma perché semplicemente non ci riuscivo, c’era qualcosa che mi bloccava.
Il giorno del mio matrimonio il sole aveva deciso di onorarci con la sua presenza, distruggendo la mia speranza che lui venisse al matrimonio. Mia madre e Mary mi avevano truccato, pettinato e vestito come se fossi una bambola, a loro piacimento.
L’ansia che provavo, mista a una dose di paura, era una cosa che non avevo mai provato.
Il piano in giardino iniziò a suonare: feci un passo.

Note: nel dialogo in cui Carlisle chiede a Edward cosa ha provato quando ha perso Bella, mi sono appoggiata alla versione di Eclipse. Spero vi piaccia!
Baci AliceMiao

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Capitolo 5
*** Il Ritorno ***


~~Mi trovavo in una casa molto luminosa, molto elegante e moderna. In piedi, davanti a me, c'era il mio angelo biondo. Mi sorrise e io gli corsi incontro, baciandolo come non avevo mai fatto prima. Lui mi ricambiò ed io mi sentii al settimo cielo, non ero mai stata così felice.
"Staremo sempre insieme?", gli domandai.
"Sempre. Non ti lascerò mai".
All'improvviso tutto si fece nero e lui scomparve, lasciando comparire Charles al suo posto, con il suo solito sorriso malefico stampato in faccia.
Mi svegliai di colpo. Ero nel mio letto, nella mia camera situata nella mia nuova casa, in Florida.
Erano passati due anni da quando avevo detto addio al mio angelo biondo. Che avevo scoperto essere un vampiro. Molte volte mi ero scoperta a pensare al fatto che lui non fosse umano, ma non riuscivo a trovare nemmeno un elemento in lui che mi facesse provare paura.
Mi alzai e andai alla finestra. Charles era andato al lavoro di prima mattina quel giorno e non sarebbe tornato prima delle 21.
Fuori c'era il sole, senza un filo d'aria. L'estate in Florida è molto calda, ma questo non mi dava il minimo fastidio. Decisi che passare tutta la giornata davanti alla finestra non era proprio il massimo, così andai a cambiarmi, decisa a scendere in cortile a leggere.
Mentre passavo davanti allo specchio il profilo di me stessa venne riflessa dal vetro. La mia pancia era più gonfia, segno che mancavano pochi mesi al cruciale giorno, al giorno che avevo sognato sin da bambina: il giorno della nascita del mio primo figlio.
Doveva essere il giorno più bello di tutta la mia vita, eppure... Non ero completamente felice che mio figlio crescesse in un ambiente familiare dove il padre è violento con la madre e dove anche lui potrebbe subire i soprusi di Charles.
Mancavano due mesi alla nascita. E qualcosa si accese in me, una sorta di istinto che non avevo mai provato prima. In quel momento la mia priorità fu quella di mettere in salvo mio figlio.
Mi preparai e uscii. Il mio piano era quello di arrivare dall'unica persona di cui in quel momento potevo fidarmi: il mio angelo.

(Carlisle)

Due anni. Due lunghi anni erano passati da quando lei se n'era andata. In un certo senso mi aspettavo che l'avrebbe fatto una volta saputo cos'ero veramente. Tutti scappano quando scoprono la nostra vera natura (a parte Bella, l'unica eccezione).
"Andiamo a caccia, vieni con noi?", disse Edward.
"No, devo rimanere nei paraggi nel caso ci siano emergenze all'ospedale".
Mio figlio annuì e poi uscì, con tutti gli altri miei figli e io rimasi solo.
Negli ultimi mesi iniziavo a sentire molto la solitudine, più di quanta ne avessi provata negli anni precedenti. La mia famiglia, in parte, colmava quella solitudine, ma sentivo che mancava qualcosa. Qualcosa di importante.
Verso il tardo pomeriggio sentii suonare il campanello e il suono fu seguito da un odore buonissimo, che mi investì con violenza. Conoscevo bene quell'odore, ma non mi aspettavo che l'avrei mai più risentito.
Corsi alla porta e la vidi. Era in piedi, avvolta nella sua giacca forse un po' troppo leggera per le temperature di quel posto, con una piccola valigia nella mano sinistra. Ma la cosa che mi colpì fu la sua pancia, molto più grande di come me la ricordavo. Il mio istinto da medico non ci mise molto a capire che aspettava un figlio e il mio istinto da uomo mi fece intuire anche chi fosse il padre.
"Ciao...", mi disse timidamente.
"Ciao", dissi e la feci entrare e accomodare sul divano. "Come mai sei tornata? Pensavo fossi spaventata a morte da me".
"Ho bisogno di aiuto. Ti prego". Sussultai.  Mi stava chiedendo aiuto? Certo che l'avrei aiutata, anche se avessi dovuto muovere mari e monti.
"Una settimana dopo che mi hai rivelato di essere un vampiro, mi sono sposata con Charles e ci siamo trasferiti in Florida. Lui ha continuato a trattarmi male, a picchiarmi e poi questo" si indicò la pancia "Non fraintendermi, sono più che felice di avere un figlio, ma... Non voglio che cresca con Charles, ho paura che lo porti sulla cattiva strada o che possa finire a essere trattato come me".
Mi sedetti accanto a lei e le presi le mani. "Fammi indovinare: lui non sa che sei qui. E quella valigia sta a indicare che non tornerai indietro". Annuì. "Puoi restare quando vuoi, non permetterò che ti accada qualcosa".
La strinsi e la baciai dolcemente all'inizio, ma poi più appassionatamente. Tutto l'amore che avevo cercato di sopprimere in quei due anni era ritornato e mi aveva travolto.
"Ti amo", dissi piano.
"Anch'io ti amo, non mi importa se sei un vampiro assetato di sangue".
Si fidava di me, una cosa che non avrei mai immaginato succedesse.
"Hai bisogno di riposare", le dissi e alla velocità della luce portai di sopra la sua valigia e poi scesi a prendere lei. Le diedi la camera accanto al mio studio, in modo che se ci fossero stati dei problemi io ero subito lì disponibile.
"È bellissima", disse ammirando la stanza. Era sui toni del bianco e del grigio, mentre la parete contro la quale era appoggiato il letto era fatta di legno, che dava un tocco di calore alla stanza.
"Non quanto te" dissi baciandola di nuovo "Hai fame o qualche bisogno umano?".
Lei scosse la testa sorridendo. "Tranquillo, va bene così". Prese dei vestiti e si diresse in bagno a cambiarsi. Quando tornò indossava un abito che probabilmente fungeva da camicia da notte.
Si mise sotto le coperte e io la aiutai, rimboccandola.
"Potrei anche abituarmi a tutte queste attenzioni", disse sorridendo.
 Contraccambiai. "Io sono di sotto se hai bisogno".
Annuì ed io uscii, mentre sentivo il suo respiro farsi più profondo: si era addormentata.


Note: scusate la lunga assenza, ma la scuola mi ha impedito di pubblicare prima. Spero vi piaccia!
Baci  AliceMiao

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