Per una buona ragione

di FreddyOllow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Questo è un vecchio racconto che scrissi mesi fa quando ho finito il gioco Prototype. Volevo condividerlo con voi."



Ore 19:13 - Campo profughi

- ...I soldati della Blackwatch si erano preparati per tutta la settimana, il piano doveva funzionare. Il dottor Jeremia Scott aveva ordinato il completo annientamento del campo profughi della città. Il motivo? Nessuno lo sapeva.
I soldati che lavoravano per lui erano solo interessati alla ghiotta ricompensa che avrebbero avuto dopo il lavoro.
Jeremia Scott è un noto scienziato che ha creato il Virus "Controllo", in grado di controllare tutte le creature non-umane per brevi minuti. Ma una volta finito l'effetto, le creature scatenano tutta la loro furia contro gli scienziati della Jeremia Incorporation.
Il dottor Jeremia vuole potenziare il virus per controllare le creature in modo permanente. E vuole farlo anche con Alex Mercer... - disse un vecchio con una lunga barba grigia. Era l'ennesima volta che raccontava ai presenti seduti attorno a lui lo scopo della Blackwatch.

Erik aveva i capelli rasati, una barba incolta e gli occhi di un verde scuro. Indossava una felpa grigia con su stampato una lettera P di colore nero. Era un ragazzo triste e solitario, che evitava la gente, ma ogni tanto ne sentiva la mancanza. Mentre ascoltava il discorso del vecchio, le sue parole non lo convincevano del tutto.
- Aspetta un'attimo! - disse Erik. - Non è possibile. Jeremia è una brava persona. Ha curato molta gente, tra cui anche tuo nipote. -
- Mio nipote? - Il vecchio abbassò lo sguardo - Mio nipote è morto... L'ho hanno portato via con la scusa che dovevano curarlo in un centro più attrezzato. - Alzò lo sguardo. - Tu l'hai visto da quell'giorno? Hai sue notizie?
La gente bisbigliò tra loro.
Il vecchio sospirò, affranto. - Rapiscono i nostri bambini e ci dicono che sono malati, vulnerabili al virus. Menzogne! - Serrò gli occhi, severo. - Menzogne! Sono solo menzogne per tenerci buoni! - I suoi occhi si inumidirono. - Ho perso tre figli, mio nipote e mia moglie. E ora sono solo. Mi hanno portato via tutto! - Una lacrima gli solcò il viso e abbassò lo sguardo per un momento. Poi guardò i presenti. - E voi siete così ciechi da non vedere cosa succede!
Erik corrugò la fronte, pensieroso. Il vecchio avevo ragione. Gli scienziati stavano svuotando il campo dai bambini, lasciando solo gli adulti. E forse ora toccava al suo fratellino Brad essere trascinato via con la forza. Strinse una mano a pugno.
- Va bene, gente, circolare! - gridò un soldato della Blackwatch.
La gente scattò in piedi impaurita e si disperse velocemente per tutto il campo. Il soldato della Blackwatch puntò il fucile d'assalto in faccia al vecchio. - Ti avevo avvisato di non creare dissensi tra i superstiti. Ora verrai con me! - Lo spinse e quello cadde a terra.
Erik spiava da un angolo, senza muovere un dito. Altri assistevano alla scena senza intervenire o si giravano dall'altra parte.
Il soldato tirò un calcio allo stomaco del vecchio, che in quel momento tentava di alzarsi con fatica. Lo afferrò brutalmente per un braccio e lo sollevò in piedi, poi lo condusse verso il capanno dove la gente che entrava, non usciva.


- Dove sei stato? - chiese il piccolo Brad vedendo entrare Erik nel capanno in cui vivevano da quattro mesi.
Brad era molto magro, con capelli neri, gli occhi castano scuro e una carnagione più scura del fratello. Indossava una maglietta bianca e pantaloni di tuta neri. Due settimane prima aveva compiuto cinque anni e sapeva già parlare bene. Amava guardare i soldati della Blackwatch pattugliare il perimetro e un giorno desiderava farne parte.
Erik e Brad furono salvati dalla Blackwatch. Erano rimasti intrappolati nell'asilo del fratellino da un gruppo di zombie. Si erano rifugiati nel bagno, quando i soldati entrarono nella struttura e mitragliarono gli zombie. Brad vedeva in quei soldati gli eroi che aveva sempre amato e da grande voleva diventare uno di loro.
Vivevano in un capanno freddo e umido, con due letti scomodi e un cassetto in cui erano sistemati gli abiti di ricambio. Una lampada ad olio illuminava debolmente l'ambiente in penombra e un forte odore di terra bagnata ammorbava l'aria.
Erik lo ignorò. - Hai mangiato?
- Sì, Tatiana mi ha preparato una zuppa di zucchine, ma non l'ho mangiata tutta, perché... perché a me fanno schifo le zucchine, bleh! Che schifo! - Brad aprì la bocca in un gesto di disgusto.
Tatiana era la vicina. Erano giunti insieme nel campo e aveva una cotta per Erik, ma lui non lo sapeva.
- Non dirmi che hai lasciato il piatto pieno, come l'altra volta? - chiese Erik, serio.
- No, Tatiana mi ha detto che se voglio diventare forte come i soldati della Blackwatch devo mangiare molte zucchine! Così mi sono sforzato di mangiarle, ma dopo un po' mi veniva da vomitare. - Si rabbuiò, perché se non avesse mangiato tutte le zucchine, non sarebbe mai diventato un soldato della Blackwatch.
Erik si avvicinò al fratellino con un sorriso e gli scompigliò i capelli con una mano. - Oltre le zucchine devi mangiare anche altre verdure, spinaci, pomodori. Non fa niente che non riesci a mangiare le zucchine. Brad annuì, contento. Erik nutriva un profondo odio verso la Blackwatch, ma per Brad era disposto a metterlo da parte.
Il fratellino cominciò a saltare per tutto il capanno.- Mangerò tante verdure, tantissime!
Erik sorrise e si sedette per mangiare il piatto di zucchine raffreddate che Tatiana gli aveva preparato.
















 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Ore 06:23 - Campo profughi


All'alba una squadra della Blackwatch entrò con forza nei capanni del campo e strappò i bambini dai loro letti. Alcuni genitori assistettero impotenti e altri furono uccisi nel tentativo di nasconderli. Erik si svegliò tra urla e spari, prima che un soldato lo scaraventasse giù dal letto. Un altro soldato prese Brad, che si dimenava in lacrime tra le sue braccia. Cercava di liberarsi, di raggiungere il fratello, ma la presa del soldato era troppo vigorosa.
- Lasciatelo stare, bastardi! - gridò Erik con tutto il fiato che aveva in corpo. Un soldato della Blackwatch lo colpì alle gambe con un manganello, poi gli sferrò un colpo alla testa e perse i sensi.
Brad si liberò dalla prese e corse in lacrime verso il fratello, ma venne riacciuffato dopo pochi passi. - Erik! Aiutami! Lasciatemi andare! - urlò Brad piangendo e dimenandosi contro il soldato, che lo trascinò con forza fuori dal capanno.

Mentre i bambini venivano condotti nei furgoni blindati, gli adulti furono messi in fila contro il muro, compreso Erik che si era appena ripreso. I soldati della Blackwatch puntarono i fucili e aprirono il fuoco. Gli adulti furono falciati dalle pallottole. Molti morirono sul colpo, ma quelli ancora in vita furono finiti con un colpo in testa.
Erik venne colpito al petto e perse conoscenza. Un soldato gli si avvicinò, lo guardò per un momento e sparò in testa alla donna accanto. Poi si allontanò.


Quando Erik riaprì gli occhi, erano attorniato dai cadaveri dei suoi amici e vicini. La puzza di putrefazione e feci ammorbava l'aria. Tossì un paio di volte, cercando di mettere a fuoco la faccia insanguinata di una donna. Erano passate diverse ore da quando i soldati della Blackwatch avevano compiuto il massacro. Prima di andare, avevano sigillato il campo con una recinzione di metallo.
- Sei stato fortunato. - disse una voce da uomo.
Gli occhi di Erik faticavano a mettere fuoco l'uomo davanti a lui.
- Tutti gli altri sono morti, ma tu... tu sei vivo - continuò la stessa voce camminando verso di lui.
- Chi sei? - domandò Erik quasi in un sussurrò, mentre tentava di rialzarsi.
- Alex Mercer.
Erik trasalì e cade nuovamente indietro, trascinandosi lontano da Alex. - Non.. non farmi male...
- Pare che la Blackwatch si sia divertita con voi - disse Alex con un lieve sorriso.
- Quei figli di... - Erik tossì.
- Sssh, non sforzarti.
Erik sgranò gli occhi. - Hanno rapito Brad... Devo aiutarlo... Io... - Perse conoscenza.
Alex si piegò, si mise sulle spalle Erik e balzò in aria. Un salto enorme che lo portò sul tetto di un edificio di otto piani abbandonato. Poi saltò da un edificio all'altro e corse sulla facciata dei palazzi, lasciandosi dietro solo crateri sul tetto e crepe sulle mura.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Ora non precisata - Luogo sconosciuto




Una debole luce illuminava Erik disteso un letto, attorniato dall'oscurità.
- Lasciate stare mio fratello, bastardi! - mormorò nel sonno.
Mentre i soldati della Blackwatch lo tenevano fermo per le braccia, uno scienziato dai capelli bianchi, la schiena ricurva e un sorriso compiaciuto apriva in due il corpicino di Brad con un bisturi.
- Nooo! - disse Erik in lacrime cercando di liberarsi dalla morsa dei soldati.
Lo scienziato staccò il cuore di Brad ancora palpitante e lo sollevò verso la luce, eccitato. - Questa è pura perfezione! Ho finalmente trovato ciò che cerco da anni!
Erik continuava a piangere, a disperarsi e crollò sul pavimento, ma i soldati lo rialzarono. Era al limite. La sofferenza gli stava uccidendo.

D'un tratto si svegliò, agitato e confuso. Aveva la felpa madida di sudore e il respiro affannoso. Si calmò e si sedette sul letto, lo sguardo rivolto sul pavimento. Una lampada a soffitto illuminava solo il suo letto. Mentre rifletteva sull'incubo, gli balenò in mente l'immagine del suo fratellino. - Brad...
Scattò in piedi e si guardò intorno. Si trovava in una stanza circondata dall'oscurità. Sbarrò gli occhi in preda al panico. Dov'era? Restò fermo per un momento, poi si mosse nel buio. La luce si spense e uno strano ronzio gli si avvicinò minaccioso. Prese a girargli intorno come una mosca, avvicinandosi e allontanandosi di continuo. Il cuore gli martellava nel petto e le labbra gli si seccarono. Il ronzio diventò sempre più forte, finché cessò.
Tutti le luci si accesero. Le pareti bianche erano spoglie, con vari specchi unidirezionali e un letto al centro. Credette di essere in un laboratorio della Blackwatch, dove i sopravvissuti venivano utilizzati come cavie. I suoi conoscenti e amici non credevano alla loro esistenza, ma lui sì. Si mise a cercare freneticamente un'apertura tra le mura, ma non la trovò. La stanza non aveva porte e finestre e ciò lo inquietava non poco. Indietreggiò al centro della stanza spaventato, quando si lanciò contro uno specchio e lo martello di pugni. Non serviva a niente. Si ritirò in lacrime, afferrò il letto e lo scaraventò contro lo specchio, che rimase intatto. Urlò con tutta la voce che aveva in corpo, si lanciò in corso contro lo specchio e cadde sul pavimento. Strisciò in un angolo, pianse e si cullò avanti e indietro, bisbigliando parole incomprensibili.

- Erik, sono io. - disse una voce da donna che echeggiò nella stanza.
- Chi sei? - rispose Erik, sconvolto.
- Abbiamo molto da fare. Devi superare le tue paure e combattere contro te stesso. Il vero nemico risiede in te.
Un violino e un pianoforte suonarono una dolce e tetra melodia. Erik restò nel suo angolo a bisbigliare parole confuse. D'un tratto comparve una donna dall'altra parte della stanza e cominciò a danzare. Passi dolci, leggeri. Indossava una vestaglia bianca da ospedale. Aveva i capelli rasati e il viso sfregiato, mostruoso. Le vene nere delle gambe e delle braccia erano visibili e pulsavano come se dovessero esplodere da un momento all'altro.
Mentre a donna canticchiava un motivetto sereno, Erik la guardava incantato con un lieve sorriso sulla labbra. - Chi sei? - chiese.
Lei fece una piroetta. - Sono il tuo incubo. E sono qui per farti sognare.
La musica cessò e le luci della stanza si spensero lentamente. Erik cominciò a tremare, a respirare con fatica. Il ronzio tornò a riverberare nell'oscurità, distante. D'un tratto le luci si accesero e il viso sfregiato della donna comparve davanti ai suoi occhi. Erik trasalì e sbatté il retro della testa contro il muro. Si allontano in tutta fretta della donna, che indietreggiò e scomparve attraverso il muro.
- Erik... - echeggiò la donna. - Perché fuggi? Perché hai paura? Perché non mi ami? Perché non mi odi?
Il ronzio cominciò a girargli attorno come una mosca che si allontana e si avvicinava.
- Cosa vuoi da me?! - gridò Erik.
Nessuna risposta.
Le luci si accesero di colpo. Il letto che era stato scaraventato contro lo specchio, era scomparso. Davanti a lui si materializzò una porta di legno nera con la maniglia bianca. Si alzò e si avvicinò lentamente. Era restio ad aprirla, ma l'unico metodo di lasciare la stanza era varcarla. Tese la mano tremante verso la maniglia, ma si fermò per un momento. Poi l'aprì.
Fu accecato da una luce bianca e una profonda sensazione di pace si propagò in tutto il suo corpo. Non sentiva più niente, niente pensieri, niente emozioni, finché un sentimento di rabbia e frustrazione si insinuò nella sua mente. La luce si affievolì e Brad comparve a pochi passi da lui. Gli sorrideva, stringendo tra le braccia un casco della Blackwatch. Poi il sorriso lasciò il posto alla tristezza e lasciò cadere il casco sul pavimento, che rotolò ai piedi di Erik.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ore 11:43 - Rifugio di Alex Mercer


- Svegliati - disse una voce da donna. - Se non lo farai ora, non potrai più farlo.
Erik aprì gli occhi, la maglietta madida di sudore. - Cosa è successo? - chiese confuso.
Alex Mercer era di fronte a lui, le braccia incrociate e un mezzo sorriso sulle labbra. - Stavi per lasciare questo mondo.
- Io... - balbettò Erik - Mi trovavo in una stanza senza porte e finestre... Cosa...
- Il tuo corpo ti stava abbandonando, ma il tuo spirito non l'ha permesso. - lo interruppe Alex.
Erik era confuso.
Mercer lo fissò con un ghigno. - Lo percepisco. Si muove dentro di te come un serpente, scorre silenzioso nelle tue vene e vuole arrivare nella tua testa.
Erik si tastò il corpo in preda al terrore. - Che stai dicendo?
- Tu non lo puoi vedere, ma è dentro di te e il tuo corpo ci sta lottando. - Fece un pausa. - C'è qualcosa in te che gli permette di sopravvivere, senza essere divorato dal suo stesso male.
Erik sentì il suo cuore battere all'impazzata, le sue vene gonfiarsi e i suoni diventare più acuti. Una carrellata di immagini si susseguirono davanti ai suoi occhi. Flashback di pochi secondi.
Rivedeva la sua vita da quando era nato fino a quando fu sparato nell'accampamento e dato per morto.
- Ti stai evolvendo. - aggiunse Alex.
- Cosa vuoi dire? - rispose Erik, scosso.
- Stai diventando come me.
Erik sgranò gli occhi, terrorizzato. - Che mi hai fatto?
- Non ti ho fatto nulla - disse Alex - Qualcuno deve averti iniettato un nuovo vaccino contro il virus.
Erik abbassò lo sguardo, pensieroso. Il dottore Jeremia aveva somministrato a lui e ai rifugiati un vaccino blu. - Credo di...
- Come pensavo - lo interruppe Mercer. - Ti hanno iniettato un nuovo virus. Spacciano il virus come vaccino. Sono dei bastardi senza cuore. - Lo guardò dritto negli occhi. - Fossi in te non lotterei con quello che hai dentro.
- Ma io non so cosa ho dentro di me? - disse Erik, confuso.
- Lasciati andare... - rispose Alex con voce pacata.
Mentre Erik si sdraiava sul letto e chiudeva gli occhi, Alex gli ripeteva di rilassarsi.

Quando Erik riaprì gli occhi, Alex non c'era più. Si alzò e camminò nella stanza confuso e assonnato, finché si affacciò alla finestra. Migliaia di zombie vagavano nelle strade con terrificanti gemiti e lamenti. Auto distrutte e abbandonate. Edifici crollati e in fiamme. Enormi tentacoli sbucavano da sotto il manto stradale e si allungavano per molti metri in tutte le direzione. Alcuni avvolgevano palazzi e veicoli. Colonne di fumo nero si innalzavano dai vari incendi che puntellavano la città e oscuravano il sole e alcune zone della città.
Si trovava nella zona infetta, il posto più sicuro dagli artigli della Blackwatch. Restò a guardare scosso il tetro panorama per un lungo momento. Era la prima volta che osservava gli zombie e lo sfondo apocalittico dietro di loro. Poi indietreggiò e vomitò. Non aveva mai pensato che un giorno avrebbe visto così tanti zombie. Sapeva della loro esistenza, ma non credeva che fossero così numerosi.
La porta si aprì. Era Alex. Erik lo guardò, impaurito. Non sapeva cosa fare.
- Spettacolare, non è vero? - disse Alex, compiaciuto.
- Per niente. - rispose Erik, inorridito.
- Se osservi bene, potrai vedere la serenità nei loro volti.
- Serenità? Che c'è di sereno nell'essere come loro? Sono morti!
Alex si fermò al suo fianco e si affacciò alla finestra. - Loro non hanno problemi. Sono in pace.
- Sono morti, non conoscono la pace.
- Devi andare oltre a quello che vedi. - Punto il dito verso gli infetti. - Lo vedi? Sono in pace. Non fanno altro che camminare e vagare alla ricerca di carne umana. Non hanno altri desideri. - Incrociò le braccia. - Non si uccidono tra loro. Non si odiano, non si invidiano, non si fanno la guerra.
- Ma neanche sono capaci di amare - rispose Erik.
Alex abbozzò un mezzo sorriso. - Vero! Ma cos'è l'amore? Se non un emozione che dura soltanto qualche tempo per poi lasciare spazio all'odio e alla rabbia. Niente dura in eterno, nemmeno l'amore.
- Non credo tu sappia cosa sia l'amore - disse Erik, guardando fuori dalla finestra. - E non credo tu sia nella posizione di dire cos'è. Ci sono vari tipi di amore. Tu ti riferisci solo ad uno.
- Prima di diventare ciò che sono, era un uomo come te. Anche io sapevo amare, ma ora questo sentimento mi è estraneo. Dopo mi sono limitato a osservarlo nelle persone, come ho osservate te e il tuo fratellino.
Erik sbarrò gli occhi, afflitto. - Brad?! Devo... devo trovarlo!
- Non credo sia ancora in questo mondo.
- Che vuoi dire? Cosa gli è successo?
Mercer lo guardò dritto negli occhi. - È morto.
Erik indietreggiò di qualche passo e crollò sulle ginocchia. Tutto il suo mondo gli era crollato addosso. Non poteva credere che il suo fratellino fosse morto. Non voleva. Scoppiò in un pianto sommesso e cominciò a tremare. Non era riuscito a proteggerlo. Aveva fallito.
Alex lo osservò, curioso. Non capiva perché piangesse. I sentimenti non gli appartenevano più. Erano solo stati d'intralcio. Mentre guardava Erik piangere, un piano si delineò nella sua mente. - Piangere non lo riporterà in vita. Devi vendicarlo!
Erik smise di piangere. Una rabbia cieca gli stava montando dentro. La sentiva crescere a dismisura. Uno strano formicolio si propagò lungo tutto il corpo. Qualcosa strisciava lentamente nelle sue vene, finché arrivò in testa. Perse il controllo.
Alex Mercer mostrò un sorriso, compiaciuto. - È ora! Ti sei evoluto!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


20:57 - Rifugio Alex Mercer

Erik sedeva vicino alla finestra e ammirava il tetro panorama che cominciava ad apprezzare. Gli zombie si era ammassati davanti al supermercato dirimpetto al rifugio di Alex Mercer. In passato era stato un rifugio per una decina di sopravvissuti. Poi arrivò la Blackwatch, mise in sicurezza l'edificio e deportò i sopravvissuti nei laboratori.
Erik conosceva il leader di quel gruppo. Un certo John Lester, un operaio sulla trentina, sposato con tre figli. Erik aveva passato qualche giorno con loro, ma se ne andò quando Marcus, il fratello di John, fu morso da uno zombie. Sapeva che si sarebbe trasformato entro poche ore, lo disse anche a John, ma non lo credette. Quando Marcus si trasformò, Erik e Brad erano già partiti da due ore. John sperava che il fratello non si trasformasse e lo isolò in una stanza. Ma non servì a niente. Lui si trasformò e John gli piantò una pallottola in testa. Due giorno dopo la Blackwatch entrò nel supermercato e li deportò.

Svariati mesi dopo l'edificio fungeva ancora come rifugio per i superstiti rimasti nella zona rossa. Si spostavano da un luogo all'altro, sperando di trovare un modo per uscire dalla zona infetta. Molti erano morti nel tentativo di farlo e altri erano stati divorati vivi dagli zombie. E i non-morti che si ammassavano uno sopra l'altro era la prova che ci fosse qualcuno all'interno.
Erik li osservava dalla finestra mentre martellavano di pugni la barricata costruita dai superstiti. Sedie, tavoli, scaffali e armadietti. La notte stava arrivando tra gemiti e lamenti e la morte attendeva le prossime vittime.
D'un tratto si udì un forte tonfo. La barricata era crollata. Gli zombie sciamarono all'interno, seguiti da una raffica di spari e urla. Erik alzò un angolo della bocca in un sorriso.
- Illusi - disse una voce da uomo alle sue spalle.
Erik sussultò e si voltò. - Sei tu...
Alex lo osservava con le sopracciglia corrugate.
Erik si voltò verso la finestra a guardare il supermercato. - Da quanto eri dietro di me?
- Da un po' - rispose Alex, fermandosi affianco. - Percepisci qualcosa di diverso in te?
Erik annuì. - Non so dirti quello che provo, ma è strano... quasi piacevole.
Alex gli posò una mano su una spalla. - Stai diventando come me.
- Che vuoi dire? Non voglio essere come te! Non voglio diventare un mostro!
- Devi accettare quello che sei.
Erik non rispose subito. - No, non voglio essere un mostro.
Alex serrò gli occhi, serio. - Noi siamo l'evoluzione! Non mostri. - Lo guardò. - La gente pensa che siamo mostri, solo perché la Blackwatch fa di tutto per farci apparire tali. - Guardò dalla finestra gli ultimi zombie entrare nel supermercato. - La gente ha paura di ciò che è diverso da loro. Teme ciò che non può controllare.
Restarono in silenzio per un momento.
- Ho saputo brutte cose sul tuo conto - disse Erik.
- Menzogne inventate dalla Blackwatch - rispose Alex, incrociando le braccia. - Loro sono molto più pericolosi di me, ma la gente non vuole crederci. Se tu vedessi cosa fanno, la penseresti come me.
Erik posò le mani sul telaio della finestra. - In parte la penso come te. Usano le persone come cavie per i loro farmaci e sono colpevoli di questo casino. - Indicò la città con una mano.
- Allora perché dubiti di me? - domandò Alex.
Erik non rispose.
D'un tratto si udirono alcuni elicotteri avvicinarsi verso il rifugio.
- Blackwatch! - disse Alex, scrutando i cieli fuori dalla finestra.
- Che ci fanno qui? - domandò Erik, perplesso.
- Mi cercano!
- Come fanno a sapere dove sei?
- Bella domanda!
I due elicotteri si fermarono davanti alla finestra e un faro accecò i due.
- Scappa! - gridò a Erik.
Gli elicotteri aprirono il fuoco. Le raffiche di pallottole penetrarono le pareti della stanza, sollevando una nube di polvere.
Erik seguì Alex che uscì dall'appartamento e salì la tromba di scale fino a raggiungere il tetto. I tre elicotteri si alzarono rapidamente di quota e spararono contro Alex, colpendolo in tutte le parti del corpo. Lui trasformò un pugno in un enorme martello, balzò verso l'elicottero più vicino e lo colpì. Il velivolo esplose e cascò giù, schiacciando gli zombie in strada.
Erik era sbalordito dalla sua velocità e dalla mutazione della mano. Non aveva mai visto una cosa simile. Si era sposato così velocemente, che sembrava essersi telestraportato.
Il secondo elicottero sparò un missile che Alex deviò balzando sull'edificio vicino. Il siluro esplose a pochi passi da Erik, che venne scaraventato in aria di diversi metri e si schiantò sul tetto comunicamene.
Alex saltò verso il velivolo, lo afferrò per la coda e lo lanciò contro un palazzo distrutto. L'elicottero esplose in mille pezzi. Si girò verso Erik e lo raggiunse con uno scatto sovraumano.
La mano di Erik spuntava da sotto un cumulo di macerie. Mercer gli tolse le macerie di dosso. - Bella botta - disse con un sorriso.
Erik si tastò il corpo. - Sono... sono ancora vivo...? - chiese, stordito.
Alex sorrise. - Credo che dovrò insegnarti un paio di cose.
- Sono quasi morto.
Alex lo guardò dritto negli occhi. - Smettila di frignare! Tu non sei più un umano, lo vuoi capire? Qualunque persona sarebbe morta dopo quella esplosione, ma non tu. Ti sei chiesto perché? Sei un evoluto! Ecco perché!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


11:01 - Zona rossa, sul tetto di un edificio

Nelle ultime due settimane, Alex istruì Erik sui nuovi poteri che faticava ad apprendere. I due non parlavano molto, in quanto Alex fermava su nascere ogni tipo di argomento. Erik non pensava ad altro che a Brad e si domandava se fosse veramente morto. Era tentato di uccidersi, ma la vendetta glielo impediva. Voleva farla pagare alla Blackwatch. Voleva distruggerla. Per questo non riusciva a controllare i suoi poteri. La sua rabbia prendeva il sopravvento e lui perdeva il controllo. E Mercer era costretto a fermarlo. Aveva oramai capito che in Erik c'era qualcosa di oscuro che si nutriva della sua rabbia e ne assumeva il controllo.
Più passavano i giorni, più Erik cominciava a padroneggiarla. Ma c'erano volte che quella cosa strisciava lentamente fuori e cercava di prendere il controllo. A volte ci riusciva, altre volte resisteva. Quando quella cosa si impossessava di lui, andava in strada a massacrava gli zombie. Li scambiava per la Blackwatch. L'unica cosa che ricordava di quella carneficina. Negli ultimi giorni di allenamento aveva distrutto due edifici in preda alla furia cieca. Questo aveva attirato l'attenzione della Blackwatch che l'aveva quasi catturato. Pensavano che fosse opera di Mercer, invece si trovarono davanti Erik. L'avevano quasi catturato, quando Alex comparve e ammazzò le sei squadre della Blackwatch.

- Devi controllarti! - disse Mercer, scaraventando Erik sull'asfalto crepato e puntellato da grossi crateri. - C'è qualcosa in te che ti sta consumando! Se non riuscirai a combatterlo, quella cosa ti ucciderà!
Erik gli diede un violento spintone, che lo fece volare a due metri da lui. Poi trasformò il pugno in un enorme martello, ma Alex lo colpì per prima con la frusta. Continuò finché l'altro perse i sensi.
Gli zombie infestarono velocemente la strada attirati dai rumori. Le piccole squadre delle Blackwatch che ogni quattro ore pattugliavano la zona rossa, furono assaliti e massacrati. Avevano percorso quelle strade da mesi e pensavano fossero ormai sicure, poiché liberate da una squadra speciale. Invece era stati fatti a pezzi appena svoltato l'angolo. I due evoluti avevano scosso la tetra quiete degli zombie.

Otto ore dopo Erik si svegliò senza alcun dolore, ma con una voglia matta di distruggere la Blackwatch.
Alex era ai piedi del divano e lo fissava con le braccia conserte. - Ci risiamo. Cos'è che ti fa bollire il sangue? Perché non riesci a controllarti
Erik lo fissò con una mano tremante dal nervoso. - Voglio distruggerli! - Scattò in piedi, ma crollò sul pavimento. - La mia testa! - Si portò le mani attorno al cranio, dolorante. - Cos'è questa voce?
- Quale voce? - domandò Alex, perplesso.
- Lei... lei mi dice di ucciderli! Di vendicare mio fratello. Vuole aiutarmi...
Alex si chinò a guardare le vene nere di Erik diventare più spesse. - Qualunque cosa sia, devi controllarla. La tua rabbia non è reale, lei non è reale. Concentrati su Brad, sul perché vuoi vendicarlo!
Al suono di quel nome le vene di Erik tornarono normali. - Brad... È colpa mia se lui...
- No! - Lo interruppe Alex. - Non è colpa tua!
- Sì, invece. Ho lasciato che quei vermi prendessero le nostre vite. Ho creduto alle loro bugie per una vita migliore. Quel giorno non dovevo salire su quel furgone. Sapevo che non dovevo fidarmi. Lo sapevo... - Abbassò lo sguardo in lacrime.
Alex gli posò una mano su una spalla. - Ascoltami. Le tue lacrime non porteranno indietro tuo fratello. Vuoi vendicarlo? Allora ti aiuterò a farlo.
Erik gli strinse la mano gelida con affetto. - Farò quello che mi dirai. - disse, deciso.
Alex era sorpreso che non si fosse arrabbiato. Forse era riuscito a domare un po' la sua rabbia? E per quanto tempo?

Il mattino seguente i due partirono verso il confine della zona rossa, dove un lungo muro di cemento alto sei metri e lungo un chilometro divideva la zona gialla da quella rossa. Era sorvegliato dai soldati della Blackwatch con quattro torri di osservazione ogni cento metri. Un piccolo laboratorio di ricerca, diretto dal dottore John Wellington, si trovava poco lontano. In quel luogo gli scienziati modificavano e mischiavano il DNA delle cavie in fase di evoluzione con quello degli infetti e Bruti, mostruose creature con enormi artigli.
Il sole era ormai calato da un po', quando i due giunsero ai piedi della muraglia di cemento. Una decina di soldati armati si muovevano sui camminamenti.
Alex si girò verso Erik. - Non te l'ho detto prima, ma puoi assumere le sembianze di chi vuoi. Basta che tu lo uccida e poi lo divori. Acquisirai anche i suoi pensieri.
- Stai scherzando? - rispose Erik, incredulo.
Mercer incrociò le braccia, serio. - Per niente. Fai una prova!
Erik saltò sulle mura, si avvicinò velocemente alle spalle di una guardia e lo trafisse con un pungiglione spuntato dal palmo della mano. Il suo corpo risucchiò quello della guardia e assunse il suo l'aspetto. Si guardò le mani, incredulo. Era successo tutto così in fretta che ancora non ci credeva.
- Ehi, Victor! - disse una guardia che si stava avvicinando. - Che diamine stai facendo?
- Niente. - rispose Erik, turbato.
Un'ombra sgattaiolò alle spalle della guardia, la trafisse alla schiena, lo divorò e assunse il suo aspetto. - Visto? - disse Alex con un sorriso. - Facile come respirare. Ora entriamo nel laboratorio.
- Perché? - rispose Erik, incerto. - Cosa dobbiamo fare?
Merce lo guardò. - Vuoi ancora vendicare tuo fratello? Allora fai quello che ti dico!
I due si mossero lungo il camminamento, tra le guardie che li salutarono con un cenno della testa. Poco dopo arrivarono a pochi passi da un rivelatore, un macchinario in grado di rivelare il DNA infetto.
Alex si fermò e bloccò Erik con un braccio. - Dobbiamo fare il giro.
- Perché? - rispose Erik, confuso. - Siamo quasi arrivati. L'entrata è proprio lì davanti.
Mercer puntò il dito verso il rivelatore. - Lo vedi quel macchinario? È in grado di rilevare il nostro DNA anomalo. Se iniziasse a lampeggiare, darà l'allarme all'intero avamposto e ci ritroveremo con un esercito alle calcagna. Per quanto sia tentato di fare una strage, per ora atteniamoci al piano.
Erik non rispose. Quale piano? Alex non gli aveva spiegato niente.
Scesero dal camminamento e imboccarono una stradina dissestata, puntellata di auto distrutte e incendiate. Centinaia di infetti giacevano ammassati in fosse comuni. Un camion con abbordo una decina di soldati della Blackwatch usciva dal cancello per andare a perlustrare la zona rossa.
Erik fissava i cadaveri degli infetti. Alcuni non erano nemmeno mutati. - Quindi le storie erano vere.
- Benvenuto nella realtà - rispose Alex con un mezzo sorriso.
- Perché uccidono chi non è infetto? - domandò Erik. - Non ha senso. Sono persone sane.
- Per due motivi. Primo, non sono adatti a fare da cavie, quindi vengono eliminati. Secondo, i farmici iniettati hanno esiti negativi o distruttivi. Per farla breve, mutano in esseri mostruosi. Solitamente gli scienziati riescono a sopprimerli durante la trasformazione Ma ci sono volte in cui il mutante fa una strage prima di essere abbattuto..
- Come fai a sapere tutto queste cose? - domandò Erik.
- Ho divorato molti scienziati e assunto i loro ricordi. Si può dire che conosco i loro esperimenti abbastanza bene.
I due sbucarono da un angolo e arrivarono a pochi passi dalla porta secondaria del laboratorio. Era sorvegliata da due guardie armate. L'accesso era limitato a scienziati e capitani delle guardie.
- Ora arriva il bello - disse Alex con un ghigno. - Divorare gli scienziati è la mia parte preferita.
Erik corrugò la fronte, confuso. Non capiva se stesse scherzando o meno.
Alex si guardò in giro. - Di solito gli scienziati escono per fumare una sigaretta. Aspettiamo che escono e poi li divoriamo.
- Possiamo entrare con la forza e distruggere tutto! - disse Erik. - Possiamo farlo anche da qui, uccidendo le guardie per poi entrare a uccidere gli scienziati.
- Non è nel mio stile - disse Alex, compiaciuto. - Io amo giocare con i miei giocattoli. Amo prenderli in giro. Mi diverto di più a entrare di soppiatto e far partire il massacro dal cuore del laboratorio. È molto più divertente.
Erik lo guardò, confuso. - Non vuoi aiutarmi? Facciamo come dico.
Alex gli lanciò un'occhiata malevola. - Faremo come dico. E poi devo cercare qualcuno. Non voglio che scappi durante il caos.
Erik si accigliò. - Quindi mi stai usando?
Alex non rispose.
Un gruppetto di scienziati uscì dal laboratorio e si fermò davanti a due camion. Il momento era arrivato, ma Erik era indeciso.




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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Erik era avvolto da mille pensieri. Chi voleva trovare Alex Mercer? Era una persona a lui cara? Oppure era solo una scusa per continuare a usarlo? Non sapeva cosa pensare, ma non gli importava. Brad era più importante e toccava a lui trovarlo. E non gli importava se Alex aveva o meno intenzioni di aiutarlo. Ma sapeva anche che Mercer poteva essere un alleato molto potente.
- Sono con te! - aggiunse Erik.
Alex annuì. I due seguirono un gruppetto di scienziati che si recavano vicino a un container.
- Tu vai a sinistra, io vado a destra. - disse Alex, serio. - Appena uno di loro si allontana dal gruppo, divoralo. - Imboccò una stradina buia tra i due container.
Erik si posizionò accanto ad alcuni barili e osservò il gruppo di scienziati discutere tra loro. Molte delle guardie pattugliavano il laboratorio e altre erano ferme ai cancelli. Una decina era impegnata a scaricare casse e barili vuoti dal camion. Uno scienziato si diresse verso le casse e pescò un taccuino dalla tasca.
Il momento era giunto.
Erik gli andò alle spalle, fingendo di sorvegliare il perimento. Quando lo scienziato scisse qualcosa sul taccuino, Erik gli andò alle spalle, gli piantò un pungiglione nella schiena e lo divorò.
Assunse l'aspetto di uno scienziato e tornò verso il gruppo. Alex era già là. Aveva l'aspetto di un vecchio dottore di nome John Trueman, vicedirettore del laboratorio.
- Bene - disse un collega. - La pausa è finita. Torniamo al lavoro.

Una volta entrati nel laboratorio, il gruppo si sciolse e ognuno tornò al proprio posto di lavoro.
- Perché all'entrata non c'è un rivelatore di DNA infetto? - domandò Erik, che camminava nei corridoi bianchi assieme a Alex.
- Gli scienziati hanno addosso basse quantità di radiazioni e questo farebbe suonare il rivelatore.
Il laboratorio era un intricato labirinto di corridoi che si intrecciavano tra loro. Stanze e attrezzature mediche che si ripetevano all'infinito. Scienziati e guardie armate che camminavano qua e là.
I due giunsero davanti a una porta d'acciaio. Alex accostò la faccia al rivelatore al muro. Un laser scansionò l'occhio e la porta si aprì.
Una giovane donna esile, dagli occhi verdi e lunghi capelli biondi fino alle spalle, diede loro il benvenuto. Indossava un camice bianco, sotto una camicetta verde chiaro e una gonna nera. - Dottor Trueman, desidero congratularmi con lei. Le cavie rispondono all'innesto B21.  Se continuiamo così, presto uniremo il DNA dei bruti con il DNA umano.
Alex risalì velocemente ai ricordi dello scienziato e assunse il portamento arrogante di Trueman. - Lo credo anche io, dottoressa Elvira. Dopotutto, il B21 è una mia creazione. E le mie creazioni non falliscono mai. - Sollevò il mento con fare arrogante. - E poi le mie teorie sono sempre esatte! Creare un unico DNA in grado di resistere alle malattie, alle ferite o persino a un esplosione mortale. Solo io potevo creare qualcosa di simile. - Si portò una mano sul mento con fare pensieroso. - Quanti hanno risposto positivamente?
Elvira diede un'occhiata ai suoi appunti. - Quattro bambini, dottor Trueman.
Bambini? Brad? Erik fu pervaso da uno strano formicolio che gli attraversò tutto il corpo fino ad arrivare in testa. - Dove sono? - domandò, infastidito.
Elvira lanciò un'occhiata alla scheda identificativa che Erik aveva sul petto, poi alzò lo sguardo. - Mi scusi, ma lei non dovrebbe essere qui.
- Lui è con me - rispose Alex. - Ritornando al discorso di prima, stavate dicendo? >>
Elvira abbassò gli occhi sugli appunti. - I quattro bambini sono stati spostati in una nuova stanza con quattro cuccioli di bruti.
Alex non parlò subito. - Portatemi da loro!

Mentre percorrevano alcuni corridoi, Erik osservava inorridito le stanze in cui venivano dissezionati i Bruti. Gli scienziati erano ricurvi sui loro corpi e li esaminavano con molta calma. Dissezionavano tessuti, organi, occhi, lingua. Altri lavoravano sui loro cervelli.
Più camminava, più pensava che avrebbe visto Brad in una di quelle camere. E se fosse accaduto, cosa avrebbe? Forse avrebbe ucciso tutti. Ma non lo sapeva. Mentre ci pensava, la cosa cercava di uscire, di emergere, di assumere il controllo. La sentiva contorcersi nello stomaco, premergli i polmoni e chiudergli la gola.
Alex gli si accostò. - Tutto bene?
- Sì, sto bene - rispose Erik con un sorriso forzato.
- Perché menti?
- Sto bene. Davvero.
Elvira si voltò verso loro. - Avete detto qualcosa, signori?
- No - disse Alex.

Entrarono in una grande stanza. 
Molti scienziati sedevano ai computer, altri leggevano documenti e si confrontavano e altri ancora osservavano qualcosa attraverso le grandi finestre.
Raggiunsero una di queste finestre.
Elvira puntò il dito verso i bambini addormentati sui letti. - Ecco i bambini. In fondo alla stanza, a sinistra, ci sono i cuccioli di bruti.
Erik guardò i bambini, ansioso. Brad non c'era. Rilassò le spalle, fece un lungo respiro e lo strano formicolio scomparve. La sua speranza di ritrovare Brad ancora vivo, più forte che mai.
- Sembrano coesistere senza problemi - aggiunse Alex con fare interessato. - Ma per quanto?
- Cosa vuole dire, dottor Trueman? - rispose Elvira, perplessa.
- I bruti sono ancora dei cuccioli. Non sappiamo se il loro olfatto sia già sviluppato come quelli dei loro genitori.
- Dovrei preparare una squadra di recupero? Nel caso i bruti assalissero i bambini?
- Non serve.
Elvira corrugò a fronte, confusa. - Sicuro, dottor Trueman? Il rischio che i bruti uccidano le uniche cavie positive all'esperimento è molto alto.
Alex la fulminò con lo sguardo, come soleva fare il vero dottor Trueman.
Elvira abbassò lo sguardo.
- Che novità ci sono riguardo la Cavia H? - domandò Alex.
- Nessuna, dottor Trueman - rispose Elvira. - Da quando è fuggito dal laboratorio, non ha fatto altro che seminare caos tra le file della Blackwatch. Pare che abbia ucciso tre capitani e una dozzina di soldati. Si vocifera che stia cercando informazioni su qualcuno, ma non so chi.
Alex spulciò tra i ricordi di John Trueman, ma non trovò nulla. Si voltò verso Erik con un sorriso. - È arrivato il tuo momento, Erik.
L'altro lo guardò, confuso. Che voleva dire?
- Mi scusi, chi è Erik? - chiese Elvira, perplessa.
Alex tornò nella sua forma originale.
Elvira lo guardò, terrorizzata. - Tu... tu sei...
Mercer mutò il pugno in una lunga frustra e abbozzò un sorriso, malizioso. - Alex Mercer! - E tagliò in due Elvira,
Gli scienziati urlarono e si ammassarono verso l'uscita. Alex tagliò in due i loro corpi con una sola frustrata, il pavimento e le pareti macchiati di sangue
Nella stanza calò il silenzio.
Erik guardò inorridito i corpi dilaniati degli scienziati.
- Cosa c'è? - chiese Alex con un sorriso. - Non vuoi più la tua vendetta?
- Loro... loro non centravano nulla - rispose Erik, dispiaciuto.
- Sono tutti assassini! Tutti devono essere puniti!
- Ti sbagli! Non tutti sono così!
- Dov'è finito il tuo odio per la Blackwatch? - chiese Mercer con voce grave. - Osserva i bambini usati come cavie! Guarda i loro volti! Poteva esserci Brad tra loro!
Erik fu percorso da uno strano formicolio che cercava di reprimere.
Alex se ne accorse e ripeté molte volte il nome Brad.
Lo strano essere sgusciò fuori e assunse il controllo del suo corpo. - Morte! Distruzione! Dolore! - Urlo Erik con voce stravolta, grave.
Alex Mercer lo guardò, incuriosito. - Chi sei?
- Il tuo riflesso! - rise lo strano essere.

Una dozzina di soldati della Blackwatch irruppero nella stanza e aprirono il fuoco. Erik si trasformò il suo pugno in una grossa lama affilata e li dilaniò con un solo fendente. Altri soldati fluirono all'interno senza sosta e Erik usò varie abilità lama, martello, frusta, tentacoli, artigli e super pugni per farli fuori.
Alex mutò il suo braccio in uno scudo e osservò lo strano essere in azione. Era estasiato per quanto fosse forte e abile.
In breve tempo, tutti i soldati furono fatti a pezzi. Erik si diresse verso l'uscita, ignorando Alex. Dozzine di soldati erano in posizione difensiva dietro a scrivanie e muri. Aprirono il fuoco. Li uccise tutti con varie mosse. Poi distrusse il laboratorio, liberando i Bruti che si riversarono verso l'uscita.

Erik e Alex uscirono fuori dal laboratorio, dove una quarantina di soldati erano appostati dietro i furgoni con le armi spianante. Alex decise di aiutarlo. Appena uccise un soldato, lo strano essere gli piombò addosso. Si trascinarono sul terreno cementato per un lungo tratto, creando un grosso cratere al loro passaggio.
- Sono i miei giocattoli, non i tuoi! - Urlò lo strano essere, che teneva giù Alex con una mano. Si alzò e uccise quanti più soldati possibile, ridendo a crepapelle.
Alex restò sdraiato con un sorriso compiaciuto.
Tre elicotteri giunsero da nord-est ma, prima che potessero aprire il fuoco, Erik lancio contro loro delle casse piene di gas che esplosero al contatto con i velivoli.
Tutti erano morti e nell'aria era sceso un silenzio interrotto da lontani spari e urla.
Erik si voltò verso di Alex e gli fu addosso con un gran salto, ferendolo con la lama.
Mercer indietreggiò con un saltello, senza capire perché lo stesse attaccando. - Cosa fai?
- Ora tocca a te! - gridò Erik con una grassa risata. Gli fu addosso e lo artigliò, ma Alex parava i suoi colpi senza troppo sforzi.
I due combatterono a lungo, scambiandosi colpi su colpi, finché Erik lo colpì con la frusta e lo fece schiantare contro il muro esterno del laboratorio. Gli andò incontro preparandosi a finirlo, ma una lama infilzò Erik alle spalle e poi lo scaraventò a molti metri da Alex.
- Solo io posso uccidere, Mercer! - urlò l'uomo misterioso con voce sprezzante.
Alex serrò gli occhi, minaccioso. - Heller...

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Capitolo 8
*** capitolo 7 ***


Alex e Heller combatterono quasi all'ultimo sangue, ma Heller pareva nettamente superiore. Alex a stento parava i suoi colpi con lo scudo, che spesso andavano a segno.
Mentre i due combattevano, Erik era a terra privo di sensi. Tutto attorno gli edifici crollavano, le auto saltavano in aria e gli infetti, infastiditi dal rumore, cominciavano a radunarsi vicino al laboratorio distrutto.
Alex era quasi sfinito e frustrato. Non sapeva come contrastare la furia di Heller. L'unica opzione era ritirarsi dal combattimento, o l'altro lo avrebbe annientato. Balzò sopra a un palazzo di tre piani e si allontanò.
Heller scoppiò in una grassa risata. - Sei solo un vigliaccio, Mercer!
Gli infetti lo circondarono. Heller lanciò loro un'occhiata e conficcò gli artigli nella strada. Tutt'attorno spuntarono dall'asfalto lunghe e grosse lame che squartarono gli infetti. Poi uccise quelli rimasti con la frusta.
Le strade erano piene di sangue e di arti mutilati. Altri infetti continuavano ad arrivare e lui ne uccideva senza mai fermarsi. Poi si fermò con un sorriso, la faccia e gli indumenti imbrattati di sangue. Era rimasto da solo.
Erik giaceva privo di sensi poco distante. Heller gli si avvicinò con fare serio e si sedette sui talloni. Osservò lo strano segno sul collo di Erik. Un tatuaggio della biohazard. Heller corrugò la fronte, chiedendosi cosa fosse quel marchio.
Erik riaprì gli occhi e tossì. Quando si accorse di Heller, indietreggiò sui gomiti. - Chi sei? Heller lo guardò serio per un instante. Poi corse via e balzò su un tetto, lasciando sul posto un piccolo cratere.
Erik si alzò, frastornato. Chi era quell'uomo? Quando si guardò intorno, scorse solo cadaveri e sangue. Sembrava di essere su un campo di battaglia.
Il laboratorio era ridotto a un cumulo di macerie. Solo una parte dell'edificio era rimasto in piedi.
Erik si voltò nel punto in cui aveva visto l'ultima volta Alex. Dov'era? Lo aveva lasciato da solo? Era stato lui a uccidere gli infetti, oppure l'uomo dalla carnagione scura?
Camminò tra i cadaveri massaggiandosi la fronte. Era nella zona gialla e doveva cercare un posto sicuro in attesa che Alex lo trovasse. Aveva pensato che sarebbe stato un buon piano, ma ben presto si rese conto che era inutile. Alex non poteva localizzarlo. Forse lo aveva abbandonato, perché lo credeva morto. Così si diresse verso l'ultimo rifugio, dove Alex l'ho aveva portato.

Mentre si muoveva da un tetto all'altro, le strade sottostanti erano un brulicare di infetti. La città era avvolta da una nebbia rossastra che gli impediva di vedere a più di cento metri. D'un tratto scorse una ragazza su un tetto. Era china su un uomo che sedeva con le spalle al muro. Sgattaiolò velocemente verso di loro e si nascose dietro un muro.
- Papà, andrà tutto bene - disse la ragazza, che teneva le mani del vecchio fra le sue.
- Devi fuggire... Non pensare a me... - rispose l'uomo tossendo più volte.
La ragazza scosse il capo. - No! Non me ne andrò! Non ti lascio da solo...
- Sei testarda come tua madre... - sorrise il vecchio.
La ragazza ricambiò.
Una strana creatura atterrò a pochi passi da loro. Occhi rosso sangue, fisico possente, robuste braccia, artigli affilati e denti aguzzi. Sembrava simile a un gorilla, ma più alto e robusto.
Era un bruto.
Si avvicinò lentamente verso di loro con un ringhio.
La ragazza protesse il padre con il corpo, un gesto istintivo, ma lui la scansò debolmente e le si metteva davanti. Voleva proteggere sua figlia, ma lei non glielo permetteva.
- Vattene via! - gridò la ragazza, impaurita.
Il bruto ringhiò più forte di prima. Poi iniziò a fare avanti e indietro. Li scrutava e aspettava il momento giusto per divorarli.
Erik osservava la scena nascosto dietro il muro. Voleva intervenire, ma contro il Bruto aveva poche speranza. Lo avrebbe fatto a pezzi in un secondo.
La ragazza sollevò lentamente il padre e si mise il suo braccio sulle spalle per sostenerlo. Il Bruto si fermò in posizione di attacco. Non aveva gradito il movimento della ragazza. Si avvicinò verso i due, le fauci spalancate da cui colava la bava.
La ragazza era immobile e il padre tossiva dal dolore. Era gravemente ferito. Aveva un grosso taglio che partiva dal petto e finiva alla fine dell'addome.
- Facciamo così, bambina mia... - disse il padre, sofferente. - Mentre io affronto quella bestiaccia, tu scappa. Mettiti al sicuro.
- No! Non ti lascerò morire!
Il padre le sorrise per un momento, poi la spinse via con le poche forza che aveva in corpo e si gettò tra le fauci del Bruto. - Scappa!
Il bruto gli artigliò lo stomaco e balzò giù dal palazzo, trascinandolo via.
La ragazza scattò verso il parapetto, guardò giù. - Papà! Papà! - Si lasciò cadere a terra e scoppiò a piangere.
Erik era dispiaciuto, ma allo stesso tempo sollevato del fatto che quella creatura se ne era andata. Osservò la ragazza piangere. Non aveva il coraggio di uscire allo scoperto. Si sentiva un po' in colpa. Forse se fosse intervenuto le cose sarebbero andate diversamente. Il padre della ragazza sarebbe vivo, ma lui? Più ci pensava, più capiva che aveva fatto bene a starsene nascosto. Sarebbe solo morto. E non poteva permetterselo. Brad contava sul suo aiuto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Mentre la ragazza piangeva, Erik non se la sentiva di uscire allo scoperto, ma doveva farlo. Il sole stava calando dietro gli edifici e la visibilità si era ridotta notevolmente. Lui guardò le nuvole ammassate nel cielo e pensò che doveva piovere da un momento all'altro. E non sarebbe stata un pioggia normale. Nella zona gialla l'acqua era radioattiva.
Nella zona rossa, invece, pioveva poco o niente. E quando accadeva, si scatenavano delle vere tempeste. Grandine, fulmini, vento impetuoso e pioggia che liquefaceva pelle e indumenti. Se una persona ne veniva a contatto, si infettava e diventava uno zombie in pochi minuti. Quindi era importante cercare e aspettare in un posto sicuro.
La ragazza si alzò e si guardò attorno, afflitta. Voleva trovare un posto sicuro per poi andarsene dalla zona gialla, che era diventata una parte della zona rossa. Si diresse verso il muretto che dava su un palazzo di sei piani. Un tempo la struttura ospitava un giornale locale chiamato Estros.
Erik la fissava incuriosito dietro il muro, cercando di trovare il coraggio di uscire allo scoperto.
La ragazza scrutò l'edificio per un lungo momento, poi guardò l'entrata principale. Nessun segno di infetti. Solo cadaveri e auto abbandonate. Sembrava il posto giusto per passare la notte e pensare a un piano per lasciare la zona rossa.
Erik la seguì da lontano, attento a non fare nessun rumore.
La ragazza scese le scale antincendio dell'edificio, s'incamminò verso l'entrata del giornale e si fermo poco prima della soglia. Lanciò uno sguardo all'interno ed entrò.
L'atrio era puntellato da una dozzina di cadaveri crivellati di pallottole e una pila di corpi in unn angolo. L'acre odore di putrefazione era insopportabile. La ragazza si tappò il naso con la mano e represse un conato di vomito. Intorno a lei, sedie rivoltate, tavoli distrutti e fogli macchiati sparpagliati ovunque. Le pareti e il pavimento imbrattati di sangue rappreso.
La ragazza raggiunse l'unica porta rimasta in piedi. Le pareva strano che non fosse stata abbattuta come le altre. Allungò una mano verso la maniglia, ma la fermò. Forse c'erano degli infetti all'interno. Ci pensò per un momento, poi girò la maniglia.
Sbarrò gli occhi e si portò una mano sulla bocca, sconvolta.
Una dozzina di neonati erano adagiati sui lettini uno accanto all'altro. Avevano folti capelli neri, la pelle verdognola, percorsa da venette nere e piccoli artigli sulle dita. Le spalle mostruosamente sproporzionate. Sembravano tutti uguali. Stessi capelli, stesso fisico, stessa altezza. Non aveva mai visto niente del genere prima d'ora.

Quando Erik entrò nell'edificio, rimase inorridito dai cadaveri. Si tappò il naso e si guardò intorno. Aveva perso di vista la ragazza. Dov'era finita? C'erano tre porte nell'atrio. Due abbattute e la terza aperta. Forse la ragazza era entrata da questa porta. Ci si avvicinò di soppiatto e sbirciò all'interno.
La ragazza era accanto ai corpicini con gli occhi lucidi.
Erik spalancò gli occhi inorridito e pensò subito al suo fratellino Brad. Forse gli avevano fatto la stessa cosa. Forse Alex Mercer aveva ragione. Brad era morto e lui era alla ricerca di un fantasma. Non voleva crederci. Brad era vivo, se lo sentiva.
La ragazza si voltò nella sua direzione e si pietrificò per lo spavento. - Non... non farmi del male, ti prego. - Indietreggiò verso il muro, cercando di rimanere calma.
Erik fu buttato fuori dai suoi pensieri e restò di stucco. Non sapeva cosa fare. Il suo sguardo vagò nella stanza, l'abbassò e guardò la donna. - Ehi... Io... Ehm... Sono Erik... - balbettò, imbarazzato.
Quando lui si mosse in avanti, la ragazza arretrò fino a sbattere le spalle contro il muro. Trasalì. Aveva le labbra secche e le mani cominciarono a tremarle.
Erik spalancò le braccia per far capire che non aveva brutte intenzioni. - Non voglio farti del male...
Lei lo squadrò per un momento. Aveva incontrato molta gente in strada e non sempre era finita bene. Un gruppo di ragazzi aveva cercato di stuprarla, ma gli infetti erano sbucati nel vicolo e li avevano uccisi. Lei si era nascosta nel cassonetto della spazzatura e ci rimase per due giorni. Quando uscì, le strade erano ormai invase dagli infetti
E adesso che guardava Erik, si domandava se poteva fidarsi, oppure fuggire?
Lui si fermò e abbassò lo sguardo. Non riusciva a guardarla negli occhi, non dopo quello che era successo sul tetto.
I due rimasero in silenzio per un lungo momento, gli sguardi che si incrociavano e si abbassavano.
D'un tratto dall'entrata giunse un cigolio, come una porta che si apre. La ragazza si nascose dietro un paravento medico. Erik sgattaiolò verso l'entrata e sbirciò nell'atrio.
Un infetto si rialzò, gemette e si contorse con gesti rapidi, macabri. Sembrava preda di una crisi isterica. Alzò la testa per un attimo, poi si voltò di scatto e fissò l'uscita per un lungo momento. Alla fine barcollò fino a un muro macchiato di sangue rappreso e rimase a fissarlo, contorcendosi con vari gorgogli e gemiti.
Erik lo osservò, incuriosito e spavento. Sembrava che quella cosa stesse piangendo, ma non n'era sicuro.
Uno sparo echeggiò nell'atrio. La testa dell'infetto esplose in mille pezzi. Sangue e cervella imbrattarono il muro dirimpetto.
- Fuori uno! - urlò estasiato un capitano della Blackwatch, la pistola fumante in una mano. Si trovava sull'uscio dell'entrata principale insieme a tre soldati.
Erik serrò gli occhi, irato. Qualcosa in lui stava cercando di emergere, ma cercava di tenerlo a freno.
- Non siamo già venuti qui? - chiese il soldato con il fucile a pompa. - Lo abbiamo ripulito quattro giorni fa. Non c'era nessuno.
- Sì, hai ragione - rispose il soldato con il fucile d'assalto. - Solo cinque infetti. L'unità Charlie 2, ci ha preceduto e non ci avevano nemmeno avvisato.
- Aspettate un attimo... - aggiunse il capitano, perplesso. - Quella porta non era aperta.
I tre guardarono verso l'entrata. Erik smise di sbirciare
- Era aperta, capitano - rispose il soldato con il fucile a pompa. - Ricordi male. Abbiamo ancora due quartiere da ripulire e non voglio fare tardi, capitano.
- Rimani qua, soldato! - gridò il capitano. - Può esserci qualcuno in quella stanza. Andiamo a controllare.
La ragazza scattò dietro la scrivania con il cuore a mille per la paura. Erik restò immobile. Cercava di ricordare le parole di Alex, quello che gli aveva insegnato. Non poteva scappare e l'unica soluzione era affrontarli. Se non lo avesse fatto, i soldati avrebbe ucciso lui e la ragazza. Non aveva altra scelta.
Sapeva che era un evoluto un poco particolare, come sapeva che i suoi potere andavano e venivano senza averne un effettivo controllo. L'ultima volta che ne aveva fatto uso, avevo perso i sensi e la cosa che viveva in lui ne aveva preso le redini. Non voleva più essere cacciato negli anfratti oscuri della sua mente. Questa volta avrebbe combattuto contro quell'essere e lo avrebbe domato.
Quando i soldati stavano per superare la porta, Erik mutò le sue mani in grossi pugni, uscì allo scoperto e sferrò un pugno al soldato con il fucile a pompa. Quello si spiaccicò contro il muro, come fosse caduto da un grattacielo.
Gli altri due indietreggiarono spaventati e aprirono il fuoco. Mentre i proiettili fischiavano tutt'attorno, Erik scattò in avanti e colpì entrambi con un pugno. Il soldato con il fucile d'assalto si schiantò contro la porta principale. Il capitano contro la pila di cadaveri, in un angolo.
Le mani di Erik cominciarono a tremare. L'essere cercava di uscire. Lo sentiva contorcersi nello stomaco e farsi largo verso la sua mente. Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi compiendo grossi respiri. D'un tratto una mano si posò sulla sua spalla. Si voltò. La ragazza lo fissava negli occhi. Lui la ricambio, confuso. Poi lei lo abbracciò intensamente e poggiò la testa sul suo petto.
L'essere si acquiettò.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Erik scrollò di dosso la ragazza, che lo guardò confusa e indietreggio un poco.
- Come ti chiami? - chiese Erik.
Lei arrossì, abbassò gli occhi e si lisciò ciocca di capelli. - Ginevra. - Ginevra... Bel nome. Io mi chiamo Erik!
Restarono in un silenzio imbarazzante per un momento. Lei lo guardava di sottecchi, lui vagava con lo sguardo.
- È meglio andare via - aggiunse Erik.
Ginevra annuì, lo sguardo basso.

I due scesero dalla scala antincendio che fiancheggiava l'edificio e poggiarono i piedi nel vicolo. Nessun infetto o soldato della Blackwatch in vista.
Erik sapeva che doveva cominciare a controllare i suoi poteri, ma aveva paura di farlo. Ogni volta che lo faceva l'essere emergeva fuori. Temeva che prima o poi lui avrebbe perso il controllo e lo avrebbe imprigionato per sempre nella sua mente.
Ma con Ginevra non era successo. Forse la sua presenza gli infondeva sicurezza o qualcosa del genere. Non sapeva cosa fosse, ma quando aveva ucciso i tre soldati della Blackwatch non aveva perso il controllo. Aveva scacciato l'essere. Questa doveva significare qualcosa. Doveva solo capirlo. Forse aveva solo imparato a controllare il suo potere? Oppure era davvero Ginevra a dargli forza?
Mentre i dubbi lo assalivano, un'orda di infetti sbucò dietro l'angolo del vicolo. Urla, gemiti, il puzzo di putrefazione giunse ancora prima che arrivassero a cento metri di distanza.
Ginevra tirò il braccio di Erik, puntò il dito agli infetti. Era nel panico. Non poteva fuggire. L'unico modo di scappare era la scala antincendio, ma quella si trovava in alto. Doveva arrampicarsi su un cassonetto, saltare sulla scala e salire.
- Tranquilla - disse Erik. - Ti porterò via! - La cinse con un braccio e balzò in aria. Ginevra gridò, spaventa. Lui atterrò sull'edificio accanto.
Ginevra si liberò dall'abbraccio e si allontanò un poco, terrorizzata. Gli occhi sgranati, il viso pallido, i capelli corvino scompigliati dal vento. Anche se era spaventata, sapeva che doveva ringraziarlo. L'aveva appena salvata da una morte orrenda. - Grazie...
Erik abbozzò un sorriso.
Lei arrossì.
Lui le lanciò uno sguardo sfuggente. Il suo viso era come una calamita. Non riusciva a smetterla di guardarla del tutto.
- Cosa significa il tatuaggio che hai sul collo? - chiese Ginevra. - Anche mio padre ne aveva uno, ma non mi ha mai detto cos'è. - Gli occhi le si umidirono. - Quando glielo domandavo, lui diventava cupo.
Erik si toccò il marchio. - Non so cosa sia... Prima che diventassi un evoluto, non ce l'avevo. Non ho mai avuto tatuaggi.
- Un evoluto? - rispose Ginevra. - Mio padre non era un evoluto, ma aveva il tuo stesso marchio.
Erik corrugò la fronte, pensieroso. Forse il marchio non era collegato ai suoi poteri. Alex Mercer non ce l'aveva. - Cosa pensi che sia? - chiese lui.
Ginevra lo raggiunse e gli sfiorò il marchio con un dito. - Non lo so. Forse un effetto collaterale del virus?
- Effetto collaterale? Che vuoi dire?
- Hai detto che sei un evoluto. Forse quel marchio si è formato quando sei stato infettato, perché mi sembra una sorta di voglia. - Si allontanò da lui. - Mio padre non aveva il tuo potere, ma aveva il tuo stesso marchio. In un campo profughi mi avevano detto che questo marchio lo portano solo i portatori sani dell'infezione.
Erik era confuso. - Vuoi dire che sono in grado di infettare chiunque, senza trasformarmi in un mostro?
Ginevra lo fissò con sguardo spento. - Sì... mio padre... - Scoppiò in lacrime, le mani a coprire il viso.
Erik non sapeva cosa fare. La osservò per un momento. - Tutto bene?
Ginevra annuì, il volto coperto dai capelli.
Lui si sentiva incolpa per non aver fatto niente quando lei e suo padre erano stati assaliti dal bruto. Se avesse usato i poteri forse li avrebbe salvati. Ma aveva preferito starsene fermo, mentre il padre si era sacrificato per la figlia. Non poteva dirle che aveva assistito alle scena. Non sapeva come avrebbe reagito.
- Mio padre... - singhiozzò Ginevra. - Mio padre ha infettato mia Madre... Lei... lei è morta. I soldati l'hanno uccisa...
Erik abbassò gli occhi, rattristato. Nella mente gli balenò l'immagine sorridente di Brad. Chissà se stava bene. E se fosse morto? Scacciò subito il pensiero per non farsi trascinare dai ricordi. Si avvicinò alla donna e le posò una mano sulla spalla. - Mi dispiace...
La ragazza non rispose e si asciugò le lacrime con le mani.

Il sole morente mandava gli ultimi sprazzi di luce dietro i palazzi. Strade deserte, cadaveri sull'asfalto, veicoli divorati dalle fiamme. Un furgone della Blackwatch si era schiantato contro uno spartitraffico di cemento. I soldati morti e fatti a pezzi tutt'attorno. Il silenzio spezzato da urla e spari in lontananza.
Quando le urla erano orripilanti, tutti i sopravvissuti nei paraggi capivano che i bruti avevano ucciso l'ennesima vittima dell'epidemia. Chi viveva nella Zona Rossa imparava da subito a riconoscere le urla, gli spari, i ringhi, i gemiti. Ma qualcuno alla fine impazziva e cercava di farsi largo correndo verso la Zona Gialla. Non ci arrivava mai. Veniva fatto a pezzi subito. E se qualche fortunato ce la faceva, i soldati gli ficcavano una pallottola in testa.
Ginevra si tappò le orecchie per non ascoltare. Erik camminava e si teneva lontano dalle grida.
Ogni tanto scorgevano alcuni bruti correre lungo le facciata degli edifici, e si nascondevano sotto i portoni o dietro le auto per non farsi vedere. Erik non poteva affrontarli. Quelli avevano una forza incredibile e una resistenza disumana. Non sarebbe mai riuscito a ucciderli. E ora che li scorgeva in gruppo, la sensazione di impotenza si faceva ancora più grande. Doveva pensare a proteggere Ginevra. Lei contava su di lui.
Alex era l'unico che poteva affrontarli e ucciderli.
Mentre i due camminavano lungo le strade dall'asfalto dissestato, puntellato di auto, cadaveri e sangue rappreso, qualcuno li seguiva.
Erik aveva percepito una presenza da quando avevo lasciato il tetto, ma aveva pensato che fossero i bruti. Si fermò davanti a un negozio di abiti e si guardò attorno. Non c'era nessuno. Grida e gemiti lontani. Varcarono la porta aperta. Scaffali e vestiti sul pavimento cosparso di sangue e cadaveri.
- Perché siamo entrati qui? - chiese Ginevra, perplessa.
- Ho la sensazione che qualcuno ci stia inseguendo - rispose Erik.
La ragazza si guardò intorno, agitata e spaventata. - Cosa? Chi? -
- Va tutto bene. Forse mi sbaglio.
Ginevra rilassò le spalle e si fece vicino.
Erik era a disagio. - Devi fare una cosa per me.
Lei lo guardò, preoccupata. - Ti devi nascondere e non uscire finché non te lo dico io - aggiunse lui.
Ginevra incrociò le braccia. - No! Io vengo con te!
- Devi nasconderti! Fallo per me!
- Perché devo nascondermi?
Lui le posò una mano sulla spalla. - Perché qualcuno ci sta seguendo e devo scoprire chi è.
La ragazza abbassò lo sguardo per un momento. - Ma poi tornerai a prendermi? Non mi lascerai sola, vero?
- Certo che no. Tornerò a prenderti. Te lo prometto.
Ginevra gli sorrise e gli diede un bacio sul lato delle labbra.
Lui spalancò gli occhi, incredulo. Il petto gli batteva all'impazzata e uno strano formicolio si era espanso per tutta la testa. Sorrise come un idiota.
Lei ricambiò e andò a nascondersi dietro tra gli scaffali.
Erik raggiunse l'entrata del negozio, si nascose dietro la porta e sbirciò in strada. Chi veniva da fuori, non lo avrebbe notato, perché nascosto nella penombra. Forse solo gli infetti potevano scorgerlo.
Passarono dieci minuti, ma nessuno era passato per la via. Il ruggito di un bruto, uno sparo, le urla strazianti si ripetevano senza sosta. Poi udì molteplici passi avvicinarsi all'entrata del negozio.
Una luce squarciò la penombra all'interno.
- State attenti, potrebbe essere nei paraggi - disse il soldato della Blackwatch con la torcia.
Dieci soldati si sparpagliarono nella strada. Erano troppi per una perlustrazione veloce. Dopo il tramonto era rari vederli in giro. Erik pensò che forse erano lì per lui. Non c'era altra spiegazione.
D'un tratto la terra cominciò a tremare.
- È lui! - gridò il soldato con la torcia con voce rotta dal terrore.
I soldati aprirono il fuoco. Un soldato fu scaraventato contro la fiancata di un furgone. Un altro si schiantò contro il muro. E un altro ancora fu fatto a pezzi, seguito dal resto dell'unità.
Erik, con la schiena appiccicata alla porta, era incapace di sbirciare per capire cosa fosse successo.
Un tetro silenzio calò nell'aria per un momento. Poi si udirono i ruggiti dei bruti che si facevano sempre più vicini. Erano stati attirati dalle grida e presto sarebbero stati seguiti dagli infetti. A breve l'isolato sarebbe stato invaso.

Qualcuno si fermò sotto l'ingresso del negozio. La torcia che giaceva al suolo illuminava le spalle dell'uomo e allungava la sua ombra nella stanza.
Erik pensava fosse Alex, ma non ne era sicuro. Le spalle erano più larghe, più massicce.
La sagoma entrò lentamente nel negozio e si guardò intorno. - Lo so che sei qui! - urlò con voce profonda, gutturale. - Sono Heller!

Erik aveva sentito parlare di lui. Alex lo nominava spesso durante gli allenamenti, quasi con ossessione. Diceva che voleva uccidere lui e tutti gli evoluti, ma Erik non ci aveva mai dato peso.
- Heller, non capisce! - diceva Alex, irato. - L'uomo ha fatto il suo corso. Ora è tempo di guardare avanti. Saranno gli Evoluti a ereditare la Terra. Noi siamo l'evoluzione! Il futuro!
Parole che ripeteva all'infinito. Spesso Erik lo trovava a parlare da solo e diceva le stesse identiche parole.
E ora che Heller era qui, voleva dire solo morte.




ANGOLO AUTORE: Grazie per il vostro supporto e le vostre recensioni! Mi aiutano a migliorare e continuare questa storia. Grazie infinite!
Ringrazio anche chi legge i miei racconti senza recensire!

- Un abbraccio FreddyOllow

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


- Esci fuori! Voglio solo parlare - disse Heller, mentre camminava con un mezzo sorriso in direzione di Ginevra.
Erik non aveva nessuna intenzione di farlo. Ricordava perfettamente come aveva ridotto Alex Mercer e non voleva finire allo stesso modo. Ma sapeva anche che se non fosse uscito allo scoperto, Heller avrebbe percepito la presenza della ragazza.
- Dobbiamo parlare di Alex. Esci fuori! - continuò Heller. Poi si voltò verso l'ingresso. - Ho un conto in sospeso con quello stronzo! - Scaraventò alcuni scaffali contro il muro con una manata. - Non farmi incazzare! Esci fuori, o distruggerò questo posto! - Mutò la sua mano in una lunga frusta e tagliò in due scaffali e banconi.
Ginevra uscì allo scoperto sconvolta dalla paura e si precipito verso Erik.
- Oh, chi è questa bella ragazza? - chiese Heller con un mezzo sorriso divertito. Le cinse il corpo con la frusta e la tirò a sé.
Lei si dimenò. - Lasciami andare! - Lasciala stare! - gridò Erik, uscendo dalla penombra. - E me che vuoi, no? Lei non c'entra nulla. Lasciala andare.
Heller si voltò verso di lui e gli sorrise. - A quanto pare abbiamo un eroe.
Erik allargò le braccia in segno di resa. - Lasciala andare...
- Da qui non va via nessuno! - urlò Heller, che strinse la frusta attorno al corpo di Ginevra e la soffocò. Lei perse i sensi e la lasciò cadere sul pavimento.
- Ginevra! - gridò Erik.
L'essere emerse dalle profondità del suo corpo, strisciò fino al cervello e perse il controllo. Gli occhi si chiusero in due fessure minacciose e si scagliò contro Heller, che deviò il suo pugno e gli sferrò un calcio in faccia. Erik si schiantò contro il muro. Si rialzò e trasformò le sue mani in lame affilate.
Heller scoppiò a ridere. - Sei un evoluto come quello stronzo di Mercer... Magari lavori per lui. Vorrà dire che mi divertirò a farti a pezzi!
Erik balzò addosso a Heller, che parò il colpo trasformando il suo braccio in un enorme scudo dentato. Poi gli mollò un pugno nello stomaco e un calcio in faccia. Erik si schiantò contro il muro, lo distrugge e finì in strada.
- Sei troppo debole - lo derise Heller. - Non ho mai incontrato un evoluto più debole di te.
Erik non sentiva le sue parole. Era accecato dalla rabbia e l'unica cosa che desiderava era ucciderlo.
Heller scattò oltre lo squarciò nel muro e lo colpì con un pugno a martello, sotterrandolo sotto l'asfalto.
Erik si rialzò, ma cadde subito dopo. I suoi pochi pugni l'avevano messo quasi fuorigioco.
Heller incrociò le braccia, insoddisfatto. - Sei già fuori combattimento? Mi hai deluso. Mi aspettavo molto più da te, davvero. - Si voltò verso l'ingresso dell'edificio - Vuol dire che mi divertirò a fare a pezzi quella bella ragazza!
Erik tornò. - No... ti prego... - Sollevò un mano nella sua direzione e cercò di rialzarsi, ma cadde al suolo.
Heller abbozzò un sorriso divertito e si diresse Ginevra.
Erik si rialzò tutto insanguinato e dolorante, barcollò in avanti, ma cadde a terra. Voleva rialzarsi con tutte le sue forze, ma il suo corpo non glielo permetteva. Non poteva lasciare da sola Ginevra. Heller l'avrebbe uccisa.
D'un tratto si udì un tonfo sordo e la terrò tremò per un attimo. Qualcosa era atterrato a gran velocitò accanto a lui. Una mano gli si poso sulla spalla. Erik si voltò. - Alex...
- Tranquillo, mi occuperò io di quel pazzo! - disse Alex.
Erik gli strinse l'avambraccio. - Salva Ginevra... La ragazza...
- Ginevra...? - chiese Mercer. Improvvisamente moltissime immagini si susseguirono nella sua mentre. Il volto di Ginevra, una dozzina di neonati. Lei che ne cullava uno. Una siringa con del liquido nel braccio di un altro neonato, il ghigno malevolo del dottor Jeremia.
Era lei. Finalmente l'aveva trovata. L'artefice di tutto, la ragazza che stava cercando da molto tempo. Guardò Erik e annuì. Poi scattò verso lo squarcio nel muro.
Heller non si era accorto di nulla. Era quasi arrivato vicino alla ragazza, quando un pugno lo colpì alla schiena e lo scaraventò in un angolo. Si alzò in piedi con un sorriso e si tolse la polvere di dosso. - Finalmente. L'ultima volta sei fuggito con la coda tra le gambe, ma questa volta non fuggirai, perché ti ucciderò! - Trasformò le mani in delle grosse fruste e le schioccò contro Alex, che saltò all'indietro.
Poi lui gli sferrò un artigliata alla testa, ma Heller indietreggiò agilmente.
- Sai, credo che questa volta mi divertirò a massacrarti! - disse Heller divertito.
- Provaci pure! - rispose Alex, in posizione da combattimento.
Mentre i due si scambiavano colpi su colpi, Erik si alzò e zoppicò verso Ginevra. La ragazza giaceva priva di sensi dietro il bancone del negozio, la fronte insanguinata. Le toccò delicatamente il viso. - Ginevra... - La guardò per un momento. Poi le pulì la fronte con la manica della giacca e le accarezzò le guance con un dito. Le sollevò la testa con una mano. Non sapeva cosa fare. Forse era svenuta, oppure quella ferita alla testa era più grave di quanto pensasse.
D'un tratto si udì un fortissimo tonfo e l'edificio di fronte crollò in una nube di polvere.
Alex comparve alle spalle di Erik, che trasalì per lo spavento. - Andate via! - Puntò il dito verso la porta secondaria del negozio. - Ora che Heller è impegnato a uscire dalle macerie, dovete andarvene o vi ammazzerà!
Erik prese in braccio Ginevra, ringraziò Alex con lo sguardo, che ricambiò, e andò via.
Heller balzò da sotto le macerie e atterrò in strada, creando un piccolo fossato sotto i suoi piedi. - Dove sei, Mercer! Fatti vedere, stronzo!

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Capitolo 12
*** capitolo 11 ***


Erik sentiva la violenza di Heller abbattersi come un tornando su di Alex, ma non poteva girarsi a guardare. Doveva portare Ginevra in un posto sicuro. Si trascinò a fatica vicino a un palazzo di sei piani, i muri a ridosso dell'entrata macchiati di sangue rappreso, la porta abbattuta su cui c'era un uomo con la schiena crivellata dalle pallottole. Forse a ucciderlo era stata la Blackwatch, oppure un superstite per rubargli le provviste.
Erik entrò nell'edificio. Sedie, tavoli e scaffali rovesciati sul pavimento dell'atrio. Qualcuno aveva cercato di creare una barriera dietro cui nascondersi. Superò lo scale e si fermò davanti all'unica porta semi-chiusa. L'aprì e sbirciò nella stanza. Sembrava vuota. Raggiunse il divano sui cui adagiò Ginevra e si guardò intorno. Poi le sue gambe cedettero e crollò esausto sul pavimento.
Se qualcuno fosse entrato in quell'istante, l'avrebbe potuto uccidere senza alcuna difficoltà. Non gli importava. Era troppo stanco per pensarci. Voleva solo chiudere gli occhi e riposare. Magari dormire per una settimana. Ma la sua mente lo catapultò nel passato. Gli mostrò il viso di Brad, il suo corpo su un letto d'ospedale circondato da scienziati con sorrisi malvolevi.
Mentre cercava di scacciare quei pensieri, una voce lo tormentava. Gli diceva che la Blackwatch aveva ucciso Brad, che non lo avrebbe più rivisto. E quelle voci lo fiaccavano, lo deprimevano a tal punto che ci credette per un momento. Forse avevano ragione. Cercarlo era solo una perdita di tempo. Erano passati troppi giorni e ritrovarlo vivo equivaleva a un miracolo. Scosse la testa e scacciò quell'orrenda sensazione. Non doveva pensare in quel modo. Lui era vivo e toccava a lui ritrovarlo. Brad contava su di lui.
Cercò di rialzarsi, ma gambe e corpo gli dolevano troppo. Aveva bisogno di risposare. Si stese sul pavimento e gli occhi gli si chiusero da soli, l'immagine sorridente di Brad fisso nella mente. Poi seguirono altre immagini felici, lui e il fratellino nel parco, in riva a un lago, che si rincorrevano in un prato, che giocavano a palla, che mangiavano davanti a una tavolata nel campo profughi attorniati dai vicini sorridenti. Quelle immagini lo allontanarono brevemente dall'inferno in cui era caduto.
Si addormentò con un sorriso.

Quando si svegliò, l'orologio al polso segnava le nove e ventisette di mattina e sentiva il corpo meno dolorante. L'immagine di Ginevra gli balenò nella mente. Sbarrò gli occhi e si girò verso di lei. Poteva essere morta durante la notte per via della brutta ferita alla testa. Magari per un'emorragia interna. Le guardò il viso il pallido, poi il petto che si alzava e bassava. Tirò un sospiro di sollievo. Era viva. Le posò due dita sulla fronte umida e scottante. Aveva la febbre.
Si accigliò e le strinse una mano, preoccupato. Non sapeva cosa fare. Forse era stata la ferita a farla ammalare. Cercare medicinali nella zona era un suicidio. Se non l'avessero ucciso gli infetti, l'avrebbero fatto i bruti. E poi quasi ogni farmacia era stata saccheggiata. Trovare medicinali era praticamente impossibile.
Sospirò e fissò il viso di Ginevra. Era così bella mentre riposava. Quel colorito pallido le donava molto e le faceva risaltare il colore delle sopracciglia e dei capelli.

La Blackwatch arrivò in quel momento. Fermarono il blindato davanti all'abitazione e otto soldati scesero con i fucili spianati. Una dozzina di infetti, sbucati da un angolo in fondo alla strada, si lanciarono contro loro con strilli acuti. Quelli li abbatterono con diverse mitragliate e si sparpagliarono un poco per formare un perimetro di sicurezza.
Un uomo dalla carnagioen scura scese dal sedile passeggero anteriore e si guardò attorno con fare severo. Era sulla cinquantina, alto, robusto, spalle larghe, occhiali scuri e un basco rosso scuro in testa. Indossava una tuta nera, con il grado da sergente ai lati delle braccia. Si accese un sigaro cubano, diede qualche boccata e buttò il fumo fuori dai polmoni, lo sguardo di ghiaccio fisso sull'entrata.
Erik, che era andato a sbirciare dalla finestra rotta, si chiedeva perché si fossero fermati proprio davanti all'edificio. Erano lì per caso? Oppure lo stavano cercando?
- Perlustrate gli edifici adiacenti! - disse il sergente della Blackwatch con un cenno della mano, il sigaro su un lato della bocca. Quando gli otto soldati sparirono nei palazzi adiacenti, lui entrò in quello in cui si trovava Erik. Serpeggiò tra sedie, tavoli e scaffali ribaltati sul pavimento e si fermò a guardare la scale. Un fascio di luce entrava dalla finestra infranta del pianerottolo.
Inspirò il fumo e lo espirò con calma, drizzando le orecchie in cerca di suoni. Restò in quella posizione per un momento, poi superò le scale e si fermò davanti alla porta dietro cui c'erano Erik e Ginevra. Quando posò la mano sulla maniglia, una raffica di spari riverberò nella strada.
Erik sussultò e si precipitò verso la seconda finestra.
Il sergente aprì la porta con fare austero, il sigaro fumante tra i denti. Fissò Ginevra distesa sul divano, poi Erik davanti alla finestra che gli dava le spalle.
Là fuori un brutto era appena atterrato sulla strada dissestata, dove due soldati erano ridotti a brandelli. I soldati sopravvissuti concentrarono il fuoco sulla creatura, ma un secondo bruto atterrò alle loro spalle e sferrò loro un'artigliata. Quattro soldati furono squarciati come burro in un solo colpo.
I due che si erano salvati, si precipitarono verso il blindato sparando alla cieca. Il primo bruto balzò sul veicolo veicolo e ruggì verso loro. Il secondo si avvicinò lentamente alle loro spalle. I due soldati erano paralizzati dalla paura, poi uno di loro sparò al bruto sul blindato. Quello alle loro spalle balzò addosso a chi aveva sparato e gli staccò la testa con un morso. L'altro balzò verso il secondo soldato e gli tranciò il busto in diagonale con un'artigliata. La strada era diventata un lago di sangue.
I due bruti ruggirono verso il cielo, afferrarono tra le fauci due soldati morti e si arrampicarono su un edificio per divorarli con calma.
Erik indietreggiò, inorridito. Nella sua mente vorticava l'immagine del padre di Ginevra che veniva fatto a pezzi. Il senso di colpa riaffiorò forte e intenso come la prima volta. Si voltò in lacrime e sbarrò gli occhi.
Il sergente della Blackwatch, che era rimasto immobile sulla soglia, lo guardava divertito con il sigaro in bocca. Sapeva che i suoi uomini erano appena morti. Ogni settimana la sua intera compagnia veniva fatta a pezzi, quindi non se ne preoccupava nemmeno. E da quando Alex Mercer e Heller erano comparsi, le sue perdite erano diventate giornaliere, specialmente nella Zona Rossa. E ogni giorno nuovi soldati riempivano la sua compagnia pronti per essere mandati a morire.
Erik lo fissava tra rabbia e stupore. Poi spostò lo sguardo su Ginevra. Se lui le avesse fatto male, se l'avesse solo toccata con un dito, lo avrebbe fatto a pezzi.
Il sergente buttò il sigaro sul pavimento. - Sai, non sei facile da trovare. I miei superiori me lo avevano detto, ma... Sai perché sono qui?
Erik non rispose. Guardò Ginevra.
- Lei non mi interessa - continuò il sergente. - Sono qui per te, per il tuo DNA. A quanto pare Jeremia Scott vuole, come dire, sperimentare su di te. Quindi hai due modi di uscire di qua, seguirmi o venire trascinato con la forza.
Erik corrugò le sopracciglia. L'essere si contorceva nella sua pancia, lo sentiva fremere, salire verso la sua testa e a lui gli andava bene. Lo avrebbe aiutato a venire fuori da questa brutta situazione.
- Hai quello sguardo, vedo - aggiunse il sergente. - Il mio capo mi ha parlato di questo. Sembra che dovrò usare le maniere forti.
Erik non capiva a cosa si riferisse.
Il sergente estrasse una piccola pistola dalla cintura e gliela puntò. - Questo aggeggio è stato fatto per quelli come te. Lo vuoi provare?
L'essere si impossessò del corpo di Erik. Si scagliò contro il sergente, ma lui gli sparò e il proiettile si conficcò nel torace. Scattò in piedi, ma subito crollò sul pavimento senza forze. L'essere sgusciò via dalla sua mente come un serpente ferito. Era paralizzato.
Il sergente si chinò sui talloni e lo fissò negli occhi. - Bell'arma, vero? L'ha ideata Scott. Ha preso il DNA da un evoluto, quello di un brutto e quello di un umano. Poi li ha mischiati... - Sorrise. - Ha trovato un modo per rendere inoffensivi gli stronzi come te. - Gli afferrò il mento con un mano per guardargli dritto negli occhi. - Immagina se beccassi Alex Mercer o Heller con questo affare. Diamine, diventerei ricco. Farei il bagno nei miliardi.
- Ti prego... - disse Erik con un filo di voce. - Lei non c'entra niente... Non farle del male.
Il sergente si alzò e guardò la donna per un momento. Poi spostò lo sguardo su di lui con un ghigno. - Sembra più morta, che viva. Se non muore ora, ci penserà la Zona Rossa a ucciderla. Infetti, Bruti, o forse Alex Mercer o quello psicopatico di Heller.
Erik gli allungò una mano tremante. - Devi... devi salvarla, ti prego... Lei... lei lo merita... È una brava persona... Devi salvarla...
Il sergente scoppiò a ridere. - Pensi che sia l'unica che lo merita? Sai quante persone sono intrappolate nella Zona rossa? Centinaia, forse migliaia. Tu non li vedi, ma sono tutt'attorno a noi. Si nascondono chissà dove e ogni tanto mettono la testa fuori. Alcuni disperati arrivano davanti ai nostri avamposti e ci chiedono di salvarli. E sai qual è la nostra risposta? Una raffica di mitra. - Abbazzò un ghigno soddisfatto. - Nessuno entra o esce dalla Zona Rossa! Nessuno!
- Ti prego...
Il sergente gli sferrò un calcio in faccia.

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Erik si svegliò su un lettino d'ospedale e aprì gli occhi lentamente. Si mise a sedere. Indossava un camice da paziente azzurrino e si guardò le mani sporche di terra.
Nella stanza c'era soltanto il letto e un piatto con pane e acqua ai piedi alla porta di ferro.
La testa gli doleva un poco e si guardò intorno. Era stato rinchiuso in una camera d'ospedale, l'unica finestra sbarrata da un inferriata.
D'un tratto si udirono dei passi fuori dalla porta. Qualcuno stava venendo nella sua direzione. Non sapeva cosa fare.
Un soldato della blackwatch aprì la porta e lo fissò fermo sulla soglia con il fucile d'assalto a tracolla. Un momento dopo entrò un uomo anziano dai capelli grigi scompigliati, un paio di occhiali rotondi e un camice bianco. Il cartellino sul petto portava il nome di Jeremia Scott.
Erik sbarrò gli occhi. Lo scienziato di cui aveva tanto sentito parlare era davanti a lui. Strinse i pugni per il nervoso e lo fisso torvo. L'unica che poteva sapere dove si trovasse Brad, era proprio Jeremia Scott.
Lui gli si fermò davanti con le mani dietro la schiena e lo squadrò da capo a piede. - Sai, sei un esemplare interessante.
Erik non rispose.
- Ma sei piuttosto difficile da trovare - continuò Jeremia. - Ogni volta che ti localizzavamo, poco dopo perdevamo le tue tracce. Quel maledetto Mercer... Era lui che ti aiutava, ne sono sicuro! E non è da lui aiutare gli altri. Proprio no.
Erik era confuso. Alex lo aveva aiutato senza chiedere nulla in cambio. Voleva solo trovare una persona, ma Mercer non gli aveva mai detto chi era. E poi il suo unico interesse era stato solo per l'essere che Erik aveva in corpo. Aveva cercato di aiutarlo a dominarlo, ma senza grandi progressi.
- Siamo di poche parole, eh? - sorrise Jeremia, sardonico.
- Alex... - rispose Erik, accigliato. - Lui mi ha aiutato senza tornaconto. Quello che dici non è vero.
- Sembra che ti abbia manipolato per bene. Alex fa tutto per un preciso scopo. E tu facevi parte del suo gioco.
Erik serrò gli occhi, infastidito.
- Sono sicuro che vuole la stessa cosa che voglio io - disse Jeremia.
- Cosa?
- L'essere che hai dentro.
Come sapeva dello strano essere? Chi glielo aveva detto? James Heller? Anche lui lo sapeva? Per questo voleva ucciderlo?
- Facciamo un'accordo - disse Jeremia, piano. - Tu mi dai qualcosa e io ti do qualcosa. Che ne dici?
- Devi essere più specifico?
- Tuo fratello Brad. So dove si trova.
Erik spalancò gli occhi, incredulo. - Dov'è!? Sta bene!?
- Sta bene, sta bene. Ma potrebbe non esserlo più, se tu non accetti la mia offerta.
Il cuore di Erik batteva all'impazzata. Voleva rivedere Brad, abbracciarlo, confortarlo e portarlo via da questo schifo. - Cosa vuoi in cambio?
Gli occhi di Jeremia si illuminarono, estasiati. - Devi sottoporti ad alcuni esami. Niente di pericoloso, ma... Diciamo che possono esserci effetti collaterali.
Erik sapeva che Jeremia voleva ciò che aveva dentro. E lui voleva sbarazzarsene. Non poteva convincere con una cosa del genere assieme a Brad. Se avesse perso il controllo, poteva ucciderlo. Ma come avrebbe fatto Jeremia a estrargli il mostro? Non sapeva nemmeno se ce l'aveva nel DNA, oppure era solo un fattore mentale.
- Cosa ne dici? - chiese lo scienziato. - Lo farò.
Jeremia sorrise e si voltò verso la guardia. - Mettetegli le manette e scortatelo nel mio laboratorio.

Una volta fuori dalla sua cella, si incamminò lungo il corridoio intervallato da una dozzina di celle. Sembrava una vera e propria prigione. Quasi tutte erano piene di pazienti dai volti scavati e malattici che guardavano Erik dietro le piccole finestrelle poste al centro della porta.
Chissà da quanto tempo erano qui? Avevano il suo stesso problema? Avevano qualcosa dentro? Erano simili a Mercer e Heller? Oppure era soltanto della povera gente rapita a caso?
Arrivarono nel laboratorio. Il soldato tolse a Erik le manette e lo fece stendere sul lettino. Jeremia lo raggiunse, spingendo un carrello pieno di attrezzi medici.
L'essere dentro Erik non aveva dato segni di vita. Da quando il sergente gli aveva sparato con quella strana pistola, sembrava essere svanito. Gli doleva soltanto la testa. Forse gli avevano somministrato un calmante mentre era privo di sensi. Magari serviva a non risvegliare l'essere?
Jeremia gli infilò una siringa nel braccio e gli iniettò un liquido nero. Erik si addormentò sotto lo sguardo compiaciuto dello scienziato.

Quando si svegliò, il laboratorio era distrutto e una sirena suonava ininterrottamente dagli altoparlanti. Una luce rossa girava senza sosta al muro. Un soldato della Blackwatch giaceva con il corpi dilaniato a metà sul pavimento cosparso di sangue e arti mozzati.
Erik si alzò un poco stordito dal lettino e si guardò attorno. Nessuna traccia di Jeremia. Cosa diavolo era successo? Era stato lui a uccidere un'intera squadra della Blackwatch?
D'un tratto qualcuno si mosse alle sue spalle. Si voltò.
Heller gli abbozzava un mezzo sorriso con le braccia incrociate. Erik indietreggiò un poco. - Stai... stai lontano da me!
Heller scosse la testa. - Non voglio farti del male.
Erik era confuso. Pensava che lo stesse prendendo in giro.
- Sai, ora so tutto - continuò l'altro. - Ho sbagliato su di te. Pensavo fossi un altro di quei evoluti che lavorano per Mercer. Uno di quegli stronzi che cercano sempre di ammazzarmi.
- Evoluti? - domandò Erik, perplesso. - Di cosa parli?
Heller gli sorrise. - Quindi non sai niente sugli agenti infiltrati da Mercer?
Erik si accigliò ancora più confuso. - Ma di che diavolo stai parlando?
- Mercer ti ha usato, come ha usato me! Ma presto ammazzerò quel figlio di puttana!
- Chi sono gli evoluti? - chiese Erik, turbato.
- Sei un tipo curioso, eh? Gli evoluti sono come me e te. Hanno gli stessi poteri di Mercer, ma lavorano per lui. Fanno tutto quello che gli dice come bravi cagnolini. - Fece una smorfia, irritata. - Sai, ha cercato di tirare dentro anche me. Ha cercato di manipolarmi, di farmi credere che fosse dalla mia parte. Ma quel fottuto stronzo 'sta solo dalla sua! - Poi gli raccontò tutti gli avvenimenti successi fino a quel momento e lo sporco progetto di Mercer di infettare il resto del mondo.
- No... non è vero - disse Erik, sconvolto. Si sedette sul lettino, le mani tra i capelli. - Alex... lui non è capace di una cosa simile.
- Allora sei più stupido di quanto sembri - rispose Heller, serio. - Sono a conoscenza della tua peculiarità. Quella cosa che hai dentro... Mercer la vuole! Per questo ti ha aiutato. Voleva che tu la scatenassi interamente, così da consumarti.
Erik era troppo disorientato per capire. Non vedeva Alex sotto quella luce. Lui non era cattivo.
- Tu hai un grande potere, ma non ne sei a conoscenza. Io ad esempio sono in grado di assorbire molti colpi pesanti e le pallottole leggere mi fanno il solletico. Mercer voleva consumare anche me. Voleva il mio potere. E ha fatto la stessa cosa con te, solo che io gli ho rovinato i piani. - Scoppiò a ridere.
- Se quello che dici è vero, perché non mi ha consumato prima? - domandò Erik.
- Te l'ho detto - rispose Heller, seccato. - Aspettava che tu facessi uscire fuori la cosa che hai dentro di te, che si mostrasse in tutta la sua potenzialità. Se ti avesse consumato prima, ciò che hai dentro sarebbe stato distrutto durante l'assorbimento.
Erik non ci capiva più niente. Tutto ciò sembrava mera fantascienza, un videogioco. - Ma... ma Mercer mi ha sempre aiutato, mi ha difeso dalla Blackwatch
- Sei proprio cocciuto, cazzo! - disse Heller, infastidito. - Mercer ti ha usato! Lo capisci? Aspettava solo il momento giusto per consumarti. E quel figlio di puttana sa essere molto paziente. Mentre giocava a fare l'amichetto comprensivo e protettivo, si assicurava che tu rimanessi in vita per poi consumarti al momento giusto. Cazzo, non è difficile da capire!
Erik abbassò gli occhi, affranto. Alex era un suo amico, non poteva essersi approfittato di lui per fargli del male. L'aveva sempre aiutato. Ma nelle parole di Heller c'era qualcosa di vero, lo sentiva.
- Mercer deve morire! - aggiunse Heller. - Sei con me o contro di me?
Erik lo guardò per un momento. - Sono con te.
- Sapevo che avresti capito. Ora andiamo.
- Aspetta!
Heller si voltò. - Cosa c'è?
- Devo... devo trovare Brad, mio fratello. È qui da qualche parte.
Heller scosse la testa con un sorriso. - Tuo fratello è con Ginevra.
Erik sentì un tonfo al cuore e uno strano formicolio propagarsi attraverso il corpo. Non ci capiva più niente. Heller aveva cercato di uccidere lui e Ginevra, e ora aveva salvato Brad? Era una trappola? Se lo fosse, non aveva senso. Heller lo avrebbe potuto uccidere mentre era privo di sensi.

Uscirono dall'edificio ridotto a un cumolo di macerie. Decine e decine soldati e scienziati giacevano morti tutt'attorno. Era stato Heller a combinare tutto questo casino? Doveva essere stato lui.
Superarono la recinzione di cemento alta due metri dell'edificio e saltarono su una torretta. Migliaia di infetti erano ammassati nelle strade. Si urtavano, urlavano, strillavano e correvano senza meta.
Non ne aveva mai visti così tanti. Forse la distruzione della base aveva li aveva attirati qui. Una nube rossastra avvolgeva la città e in alcuni punti era molto densa.
- Dove sono Brad e Ginevra? - chiese Erik, preoccupato.
- Sono al sicuro - rispose Heller. - Ora dobbiamo preoccuparci di Mercer.
- Sai dove si trova?
- Alle calcagna di Jeremia.
Erik era sorpreso. - È sopravvissuto?
- L'erba cattiva non muore mai, no? Quel verme è scappato appena ho attaccato il laboratorio. Mi è sfuggito solo perché ero impegnato a fare a pezzi tre evoluti di Mercer.
I due balzarono in aria e atterrarono su un palazzo accanto. Poi saltarono da un edificio all'altro. Mentre procedevano spediti, Erik osservava gli infetti nelle strade. Erano davvero tanti. Ogni tanto scorgeva un bruto arrampicarsi agilmente sulla facciata degli edifici, altri balzavano da un tetto all'altro. Spesso erano impegnati a squartare le unità di soldati che pattugliavano la Zona Rossa sui furgoni.

Si fermarono nei pressi di un palazzo di ventidue piani. L'intero isolato era un groviglio di edifici e strade distrutte, pezzi di terreno che si sollevavano in aria e fosse profonde metri. Diverse porzioni della cinta muraria di cemento era crollata. Scienziati e soldati erano riversi al suolo, schiacciati, trafitti, squartati, dilaniati. La spessa porta di acciaio rinforzato, che era l'unico accesso alla struttura, era stata divelta e scaraventata via.
Quando i due entrarono, l'atrio era un lago di sangue. Una decina di soldati morti era stata schiacciata sotto il peso di qualcosa come formiche.
Seguirono un lungo corridoio, salirono una scale e procedettero per altri corridoi. Si fermarono davanti a una stanza illuminata da luci d'emergenza, dove altri soldati della Blackwatch erano morti.
Un soldato si diresse a un bancone e frugò tra le carte.
- Guarda un po', un evoluto - disse Heller.
Quello si voltò di scatto e trasformò le mani in lame affilate. - Mercer mi aveva avvisato del tuo arrivo! Ma non uscirai vivo da questo posto! - Si scagliò contro Heller, che deviò il suo colpo con lo scudo puntellato.
Erik indietreggiò un poco. Non sapeva se aiutare Heller, oppure starsene fermo.
Heller mutò le sua mani in artigli affilati e balzò verso l'evoluto, che arretrò con un balzò e gli sferrò un colpo. Heller gli saltò sopra la testa, atterrò alle sue spalle e lo infilzò. - Sei lento! - Allargò gli artigli e gli squartò orizzontalmente il corpo in due. Un fiume di sangue schizzò ovunque.
Heller si voltò. - Andiamo.

Superarono altre stanze e corridoi, dove Mercer si era lasciato alle spalle una scia di morti, e salirono il dodicesimo piano.
Giunsero in una grande laboratorio, puntellato da macchinari, tavoli e scaffali distrutti. Lungo le pareti correvano venti gabbie piegate usate per imprigionare le cavie umane. Poco distante, un grande cancello aperto.
Erik sapeva che era il luogo dove gli scienziati testavano i loro esperimenti. Si diceva che usavano i sopravvissuti per osservare la reazione dei brutti e di altre creature. Testare la loro violenza, la loro potenza.
- È la stessa stanza dove mi hanno rinchiuso... - disse Heller, arrabbiato. - Casa dolce casa - ghignò.
- Sei stato una cavia? - chiese Erik.
- Sì, ma per poco. Quando Mercer mi ha infettato e lasciato in vita, quei figli di puttana della Blackwatch hanno pensato bene di rinchiudermi qui. Hanno sperimentato su di me, ma non è finita bene per loro.
Erik era stupito. - Quindi... quindi Mercer ti ha infettato?
- Sì, quello stronzo pensava che mi sarei unito a lui. Beh, è stato un grosso errore per lui lasciarmi in vita.
Alex sbucò da dietro un pilastro con un sorriso sinistro. - Erik, cosa ci fai vicino a lui? Non sai che vuole ucciderti?
Heller grugnì per la rabbia. - Getta la maschera, Mercer. Il tuo piano è fallito. Erik sa tutto, gran figlio di puttana!
Erik spostò lo sguardo da Heller, a Mercer. Non sapeva cosa dire. - E tu gli credi? - chiese Alex Mercer. - Ha cercato di ucciderti, ricordi? Io ti ho salvato la vita! Davvero credi a lui?
- Falla finita, Mercer! - aggiunse Heller. - Sappiamo entrambi perché lo hai salvato. Volevi consumarlo una volta che avrebbe fatto uscire la cosa che ha dentro. Erik lo sa. Smettila di fingere!
- Erik? - domandò Mercer, serio.
Lui abbassò lo sguardo. Ormai non gli credeva più. Heller aveva salvato Brad e Ginevra. Non lo sapeva per certo, ma qualcosa in lui gli diceva di fidarsi.
Alex trasformò le sue mani in lunghe fruste. - Mi hai tradito, Erik. E io anniento i traditori! Ti farò soffrire prima di ucciderti.
Erik spalancò gli occhi, sconvolto. Quindi era vero? Alex aveva solo finto di essergli amico. Non si aspettava un volta faccia così rapido.
Alex schioccò la frusta in aria. - Heller, sei venuto qui per uccidermi, ma sarò io a uccidere te! Credi davvero di battermi?
Heller mutò i pugni in artigli. - Invece di perdere tempo a parlare, fatti avanti, stronzo! Fammi vedere cosa sai fare!
Mentre Alex e Heller si scambiarono rapidi colpi in aria, Erik arretrò fino alla scala che saliva nella sala comandi dei macchinari.
Alex sferrò una frustrata alla schiena di Heller, che cadde sul pavimento, ma subito di rialzò e si scagliò contro di lui. Mercer balzò in aria, ma Heller lo colpì in faccia con un calcio e si schiantò contro il muro.
Erik sapeva che doveva aiutare Heller, ma non trovava il coraggio. Non sapeva cosa fare. Era l'essere che combatteva.
Alex scaraventò Heller contro il muro con una frustrata. - Fai pena! Mi sono bastati due colpi per metterti a terra. Davvero credi che uscirai vivo da qui?
Heller si sollevò in piedi e scattò verso di lui, artigliandogli la faccia. Alex salto sopra la sua testa e lo colpì dietro alla testa con la pesante frusta. Heller crollò sul pavimento.
- Sei una vergona per tutti gli evoluti - disse Mercer, compiaciuto. Poi si voltò verso Erik. - Ora tocca te! Dai, fammi vedere ciò che hai dentro! Mostrami!
Erik indietreggiò, il cuore che gli martellava nel petto, il fiato corto. Sbatté le spalle contro il muro e sussultò per lo spavento.
Alex trasformò le mani in artigli e gli si avvicinò con un sorriso sinistro.
Quando alzò gli artigli per dilaniarli il corpo in due, l'essere prese il sopravento e mutò in due grosse lame. Sorrise. - Consumare. Voglio consumarti!
Mercer sbarrò gli occhi, sorpreso e compiaciuto. Finalmente aveva davanti l'essere. Ora poteva uccidere Erik e consumarlo. Ma la frase detta da lui lo aveva spiazzato un po', ma scacciò subito quel brutto pensiero. - Ora potrò finalmente farti a pezzi!
L'essere sferrò un colpo a Alex e lo scaraventò contro il muro di cemento, creando un buco. Mercer uscì dalle macerie con un sorriso malefico. - Perfetto! Sei nel pieno delle forze. Non vedo l'ora di acquisire quel potere! - Si lanciò contro l'essere e lo tartassò di colpi con la frusta, ma l'altro li parava tutti. Alex era stupefatto. - Incredibile! Sei meglio di quanto pensassi!
L'essere gli sferrò un calcio alle gambe e lo colpì a mezz'aria con una gomitata. Alex si affossò nel pavimento e sputò sangue. Le cose si stava mettendo male. Mentre si alzava, l'essere lo schiacciò con un pugno a martello. Mercer si affossò ancora di più e cadde nel piano sottostante.
La cosa gli atterrò affianco e lo sollevò per il colpo. - Consumare!
Alex gli sferrò un calcio nel petto e balzò all'indietro. Aveva sottovalutato il suo avversario. L'essere sembrava molto più forte di lui. Come poteva essere? Non era possibile. Era lui il più forte di tutti. Lui e soltanto lui.
L'essere scattò in avanti e gli squarciò il petto con la lama. Era stato una scatto così veloce, che Alex non l'aveva seguito con gli occhi. E ora era scioccato, il sangue che fiottava dallo squarcio. Quando l'essere alzò la lama per colpirlo alla testa, Alex si precipitò verso l'ampia finestra per fuggire. Non poteva batterlo. Doveva consumare Erik quando sarebbe stato dormiente. Era l'unico modo per acquisire quel potere.
L'essere gli apparve davanti agli occhi. - Consumare!
Mercer sbarrò gli occhi. L'essere gli mozzò la testa con un fendente della lama e assorbì il suo corpo. Poi crollò a terra privo di sensi.

Quando Erik riaprì gli occhi, era sul tetto di un edificio. In lontananza, colonne di fumo nero si elevavano dal quartier generale della Blackwatch divorato dalle fiamme.
- Non ti facevo così forte - disse Heller con le braccia conserte. - Quindi quella cosa che hai dentro... Può essere un pericolo, lo sai?
Erik si alzò in piedi, frastornato. - Lo so... - D'un tratto gli passarono davanti agli occhi i ricordi di Alex Mercer alla velocità della luce. Ora sapeva tutto. Sapeva ogni cosa.
- Lo hai consumato.
- Chi?
- Mercer.
- Cosa? Io... non... non ricordo niente. L'ultima cosa che ricordo era lui che si avvicina a me, poi buio totale.
- Per questo devi controllarlo. - Non so come fare. - Lo sai. - Che vuoi dire? - Non farti travolgere dalla paura - aggiunse Heller, serio. - Se lo fai, lui uscirà fuori come un bruto. Ucciderà chiunque. E ucciderà anche tuo fratello, se non riuscirai a controllarlo.
Guardarono le colonne di fumo che si elevavano dal palazzo della Blackwatch per un lungo momento.
- Ci proverò - disse Erik.
- E se fallirai, io sarò l'ultima cosa che vedrai. Non posso permettere che qualcuno se ne vada in giro a uccidere e distruggere. Lo capisci, vero?
Erik si accigliò, turbato. - Certo.
- Bene. - Heller si avvicinò al bordo del tetto.
- Ora cosa farai?
- Quello che faccio sempre. Osserverò la città e cercherò di distruggere il virus. - Si voltò verso di lui. - Tuo fratello e Ginevra sono in un palazzo sulla trentesima strada.
Prima che Erik lo potesse ringraziare, lui balzò già dall'edificio.
Mezz'ora dopo Erik arrivò a destinazione. Entrambi i lati della strada erano sbarrati da auto e furgoni, che impedivano l'accesso agli infetti. Poco distante, un posto di blocco cinto da una rete metallica su cui correva del filo spinato e spartitraffico di cemento. I soldati, morti settimane prima, erano stati spolpati fino all'osso. Un cadavere giaceva sul filo spinato. Casse e sei blindati erano stati abbandonati lungo la strada puntellata di infetti e soldati morti.
Mentre camminava lungo la via, una voce gli giunse alle spalle. Sembrava che lo stesse chiamando. Si voltò.
Brad correva nella sua direzione con un sorriso stampato sulle labbra, le braccia larghe pronto ad abbracciarlo. Ginevra era alle sue spalle con un sorriso felice.
- Brad! - Gridò Erik, estasiato.
I due si strinsero in un lungo abbraccio, tra lacrime e sorrisi. Poi lui strinse anche Ginevra e la baciò.



PS: Ringrazio tutti quelli che hanno letto questo racconto! Un ringraziamento speciale va chi ha commentato! Spero che questo racconto via sia piaciuto! : )

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