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di DeniseCecilia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Iris gialli ***
Capitolo 2: *** Principe azzurro ***
Capitolo 3: *** Nuvole bianche ***
Capitolo 4: *** Peli grigi ***
Capitolo 5: *** Luce ocra ***
Capitolo 6: *** Campi verdi ***
Capitolo 7: *** Divisa blu ***
Capitolo 8: *** Occhi viola (I) ***
Capitolo 9: *** Carote viola (II) ***
Capitolo 10: *** Agenda viola (III) ***
Capitolo 11: *** Sole rosso ***
Capitolo 12: *** Asfalto nero ***
Capitolo 13: *** Vernice rosa ***
Capitolo 14: *** Inchiostro nero ***



Capitolo 1
*** Iris gialli ***


Iris gialli [350]

Avrebbe dovuto concentrarsi sul caso, lo sapeva bene.
Più le ore passavano, più le probabilità di individuare l'aggressore della signora Valens calavano.
Se non fossero riusciti ad arrestarlo, la vecchia e benemerita elefantessa avrebbe fatto pesare il loro fallimento in consiglio comunale. Lionheart avrebbe rimproverato Bogo. E Bogo avrebbe scaricato la sua collera su di loro – ma Nick non c'entrava nulla.
No, il problema era lei, Judy.
Era bastato un mazzo di fiori a spedirle la mente fra le nuvole.
La sera prima, dopo l'ennesima battuta di ricerca andata a vuoto, era tornata al suo appartamento stanca e frustrata e li aveva trovati lì, sullo zerbino.
Sembravano osservarla con intenzione: come fossero stati non oggetti inanimati ma persone, in quieta attesa del suo ritorno.
Iris – i suoi fiori preferiti. Il loro profumo marcato, simile a quello dell'uva fragola, aveva preceduto la scoperta lungo tutto il corridoio.
Del colore, comune in natura ma insolito per un dono, non sapeva immaginare perché fosse stato scelto.
Li aveva accolti con un senso di sorpresa e stupore, che poco a poco si era trasfigurato in una sottile, ma persistente gioia: qualcuno l'aveva pensata.
Ma il bigliettino non riportava alcuna firma, solo una breve dedica.

Iris gialli e non viola.
Perché è impossibile reggere il confronto con i tuoi occhi.
E perché sono geloso.

Un dubbio veniva sciolto, altri nascevano. Chi? E poi, di chi?
Lo stesso sentore che aveva colmato la stanza ieri le rallegrava ora la memoria. Dolce, tenace, eppure mai eccessivo.
Se non per una singola nota, un accento diverso che inutilmente aveva cercato di nascondersi tra gli steli.
Odore di volpe. Indistinto, eppure abbastanza familiare.
Vago, ma sì – una volpe aveva confezionato quell'omaggio, e personalmente. Non c'erano adesivi né marchi di alcun fiorista.
E quella volpe il cui odore era rimasto impigliato tra il verde, aggrappato alle sue sinapsi, non era Nick.
Per la verità, all'amico non ne aveva ancora parlato.
L'avrebbe fatto. C'era un tempo per ogni cosa.
Adesso, no.
Adesso doveva concentrarsi sul caso, e chiuderlo.
Per tornare a inebriarsi degli iris – della loro promessa.

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Capitolo 2
*** Principe azzurro ***


Principe azzurro [395]

 

Non le era ancora chiaro come fosse accaduto.
Da piccola sognava il principe azzurro come tutte le sue amiche: diventare poliziotta era la priorità, ma perché poi avrebbe dovuto scegliere? Poteva essere entrambe le cose, poliziotta e fidanzata.
Magari, mentre lei era al lavoro, lui poteva occuparsi della casa – e solo della casa: figli non ne voleva, e si arrabbiava quando qualcuno rideva della sua decisione.
"Sei troppo giovane, da grande cambierai idea", le dicevano.
Lo aspettava, il suo principe, ma non dava per scontato dovesse essere un coniglio: senza sbandierarlo troppo, osservava con piacere mammiferi di molte specie diverse.
E non solo prede: anche predatori.
Con Clawhauser, per esempio, era nato subito un ottimo feeling. Era una persona troppo ingenua, persino per i suoi standard, ma onesta e di buon carattere. Non l'avesse considerato un po' un fratello, avrebbe avuto con lei le stesse chance di chiunque altro.
Invece no: nemmeno un animale così affidabile, per qualcuno, era abbastanza per starle accanto.
"Un predatore? Non fa per te, Judy. Non ti capirebbe mai, siete troppo diversi".
Se lo sentiva dire ogni volta che notava, anche con discrezione, un bel leopardo o lupo di passaggio nelle campagne.
La cosa la mandava in bestia. E persino quel pensiero doveva nasconderlo: le avrebbero risposto che i conigli non vanno in bestia, sono tranquilli per natura!
Ma adesso stava smentendo tutte quelle chiacchiere vane.
Aveva una relazione. Con un predatore – una volpe. E, per sua fortuna, non doveva preoccuparsi di non rimanere gravida: non avrebbe potuto nemmeno volendo.
Già, una volpe. Non avrebbe potuto chiedere di meglio per far inorridere i suoi genitori. Non l'aveva fatto volutamente, certo, però fra sé e sé doveva ammettere che vederli così scandalizzati la faceva sorridere in segreto. Una piccola rivincita.
"Meglio stare lontano dalle volpi, Judy, per sicurezza".
Mille volte se l'era sentito dire.
Lontano un accidente: non sarebbe stata lontana da quella volpe nemmeno per tutte le carote del mondo.
Non le era ancora chiaro come fosse accaduto, ma se ne era innamorata.
Eppure gli indizi c'erano: i suoi occhi azzurri. Adorava vestire di azzurro – magliette da piccolo, camicie a quadrettoni bianchi e blu ora. Persino gli ululatori notturni, di cui avevano parlato quando si erano rivisti dopo tanti anni, avevano quel colore.
Sì, Gideon Grey era il suo principe azzurro.
Tutto sbagliato, ma giusto per lei.

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Capitolo 3
*** Nuvole bianche ***


Nuvole bianche [265]

 

Da ragazzo amava osservare le nuvole in corsa sullo schermo del cielo, nuvole bianche di mille diverse foggie e forme.
A lungo Gideon aveva creduto che una nuvola fosse la cosa più leggera che esistesse. E quest'idea lo confortava: lui grassoccio, lui che nessuna ragazza cercava, poteva volgere lo sguardo in alto e dimenticarsi.
Finché non gli avevano spiegato, durante una lezione di scienze, che in realtà le nubi sono pesanti, pesantissime; così pesanti che restano sospese in aria solo grazie alle correnti ascensionali contrarie che le attraversano.
Si era sentito ripiombare al suolo, irrimediabilmente ancorato alle catene in cui si trascinava la sua vita. Ogni anello un castigo – il padre alcolista, il pessimo rendimento scolastico, le amicizie che tali non erano... la sua rabbia per, semplicemente, tutto quanto.

 

"La vedi quella, a sinistra del tuo drago?", chiese la volpe adesso adulta, levando un dito ad indicare un quadrante della volta celeste. "Somiglia ad un cono gelato".
Immerso nell'erba che gli solleticava le orecchie, col muso all'insù, Gideon si sentiva il padrone del mondo.
"Vero", confermò la coniglietta stesa al suo fianco. "Hey! Che ne dici di andare a prendercene uno? Con la panna montata, però".
"Adoro la panna. Ricorda una nuvola", rise lui all'indirizzo di Judy, mentre si alzava e le porgeva la zampa.
Aveva il cuore leggero.
Era sicuro di non aver fatto nulla per meritare quella benedizione dai grandi occhi e dal sorriso ancor più grande. Ma questa volta l'avrebbe tenuta stretta a sé, anziché scacciarla con un graffio.
E chissà, un domani sarebbe potuto toccare a lui renderla così felice.

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Capitolo 4
*** Peli grigi ***


Flash dedicata a MadogV, che condivide la mia passione per questo pairing <3


Peli grigi [500]

 

"La cena era squisita, Bonnie".
Non era solo un complimento pro-forma, la madre di Judy era davvero un'ottima cuoca. Al contrario della figlia, che, beh... aveva ben altre qualità. Alcune strettamente private.
"Oh, ti ringrazio, Gideon. Ma non sarebbe stata la stessa senza il tuo dolce", chiosò la coniglia.
Gideon Grey gratificò la signora Hopps con un sorriso impacciato. Intrattenere con la famiglia rapporti di lavoro era naturale, dividere un pasto ogni tasto piacevole, ma comportarsi come nulla fosse – quando solo due ore prima si era imboscato con la loro figlia ad assaggiarsi a vicenda – ecco, quello era diverso.
Un passaggio delicato.
"Caffè?", suggerì Bonnie.
Tre zampe si alzarono in risposta.
Bonnie sparì in cucina, seguita un momento dopo da Judy che sorreggeva una pila di piatti. Era una loro abitudine, quella di appartarsi tra una portata e l'altra per chiacchierare tra donne.
"Allora, come vanno le cose con la mia piccolina?", chiese Stu Hopps alla volpe.
Gideon si guardò attorno, confuso, ma naturalmente erano rimasti soli. Il coniglio aveva forse intuito qualcosa?
"Uh, bene direi" tentò, restando sul vago. "Ormai ci siamo chiariti. In questi giorni abbiamo parlato parecchio".
Era vero dopotutto: in seguito alla risoluzione del caso Bellwether lui e la neo poliziotta avevano trascorso ore a raccontarsi, a recuperare ricordi, a discutere – non solo di lavoro.
"Già, lo immagino", replicò Stu. "Judy non serba rancore. Anzi, a volte è persino troppo espansiva", aggiunse scuotendo il capo.
Di nuovo parve alla volpe che nella frase del suo interlocutore vi fosse un sottinteso, ma decise di non voler indagare più a fondo, per ora.
"Da genitore dev'essere difficile", disse soltanto.
"Pensavo che nulla avrebbe potuto preoccuparmi più della professione pericolosa che si è scelta, ma..."
... il coniglio non concluse il proprio pensiero.
Silenzio.
"Ma?", si azzardò a chiedere Gideon.
"Ecco, ho paura che si sia innamorata", sospirò Stu.
La volpe drizzò le orecchie allarmata.
"E perché... la cosa ti fa paura?".
Avrebbe dovuto tenere a freno la lingua, ma non aveva resistito. Sia che Stu stesse cercando di dirgli qualcosa fra le righe, sia che stesse parlando a ruota libera senza sapere quanto s'era avvicinato alla verità, Gideon adesso voleva averne conferma.
Non fu accontentato.
Il coniglio ebbe soltanto il tempo di rispondere "E' così ingenua. Stacci attento...", che le due mammifere ricomparvero portando un vassoio carico.

 

Aveva ancora il sapore del caffé in bocca quando entrò in bagno per lavarsi le zanne.
Si soffermò davanti allo specchio che sovrastava il lavandino.
E lo vide: lì, all'estremo angolo destro delle sue fauci, un ciuffetto di peli grigi gli macchiava il muso. Era davvero un piccolissimo ciuffo, semi-nascosto nel folto dei suoi peli di volpe rossa, rimasto intoccato durante tutta la serata.
I peli grigi di Judy.
Probabilmente li aveva trascinati lui stesso in quel punto, quando si era leccato i baffi dopo averla baciata. In senso sia metaforico che letterale.
Ecco chiarita la strana premura di Stu Hopps.
"Sì, ci starò attento", si disse Gideon.

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Capitolo 5
*** Luce ocra ***


Luce ocra [450]

 

Lontano, in alto, all'ultimo piano di quel palazzone, un mammifero che fosse passato per la strada avrebbe scorto una finestrella quadrata, l'unica visibile, mandare un bagliore ocra.
All'interno della stanza, da una vetusta lampada a stelo, un crepitìo costante ed il chiarore intermittente di una luce sul punto di morire.
"Non lo si può definire un posticino romantico", osservò la volpe con una smorfia. "Putroppo non ho trovato di meglio, all'ultimo minuto".
"Che importa? E' soltanto un appoggio per due notti. Sono contenta che Zootropolis ospiti questa fiera di pasticceria, così posso vederti senza aspettare il mio turno di riposo", replicò la coniglietta con un sorriso. "Ti senti pronto per la competizione?".
"Ho le idee chiare. E sono abbastanza bravo. Vada come vada... in caso di sconfitta, so da chi farmi consolare", la stuzzicò lui.
Gideon e Judy restarono svariati minuti muso a muso, tacendo.
Da quando si erano messi insieme, avevano trascorso ore in chiacchiere, talvolta futili, più spesso profonde. Ma quella era la prima occasione per loro di incontrarsi fuori dalla terra dov'erano entrambi nati e cresciuti, e quella stanzetta in affitto di un albergo da poco, con la sua luce crepuscolare d'un giallo torbido, sembrava ai due una barchetta sulla quale attraversavano un mare ignoto.
Lui era nuovo ai ritmi, ai luoghi, alle persone.
Lei conosceva e viveva ogni giorno la città, eppure l'aveva sempre osservata in altri modi: da poliziotta, da forestiera trasferita. Ora invece, per assurdo, si sentiva a casa in quel buco di periferia. Come fosse nient'altro che l'elemento femminile di una vecchia coppia, una moglie che s'assopiva sdraiata a fianco del suo maschio, in testa la cena e le bollette.
Ed era piacevole.
"Ti amo", le uscì d'un fiato.
Un paio di iridi celesti, incredule, si spalancarono su di lei.
Gideon Grey boccheggiò un attimo prima di riprendere il controllo delle proprie mascelle. Si staccò di qualche centimetro per vedere in faccia la sua ragazza, accorgendosi che aveva gli occhi chiusi. Serrati.
"Oops", fu il commento della coniglietta. Tentò di dissimulare l'imbarazzo almeno nella voce, poiché dello sguardo non poteva fidarsi.
Attese che accadesse qualcosa, ma non arrivò dalla volpe né un gesto, né una risposta, men che meno un Anch'io; nulla per un interminabile periodo di tempo durante il quale, Judy ne era certa, erano sorte e crollate intere civiltà.
Finché non avvertì Gideon muoversi e, sbirciando, lo vide sollevarsi, denudare la lampadina e picchiettarla. Il bulbo di vetro fece ping, poi la luce cessò il suo sfarfallìo gettandoli nel buio.
Dal basso, giunsero un colpo di clacson e un'imprecazione.
Un fruscio, dei passi.
Si cercarono con le dita, si trovarono.
Era, quello, un altro modo per dirselo.

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Capitolo 6
*** Campi verdi ***


Campi verdi [500]

 

Si era inoltrata nel folto di quell'oceano verde ormai da un'ora.
Il frumento era già molto alto, ma non ancora maturo, e la circondavano da ogni lato le pareti di un labirinto vegetale.
All'inizio – era mezzogiorno – l'aria immota nella calura estiva l'aveva rassicurata: il suo predatore era vicino, ne poteva scorgere e seguire i movimenti tra le spighe; mentre lei, più piccola e snella, poteva occultare facilmente i propri.
Più tardi però i primi sbuffi di vento l'avevano tradita, suggerendo continui assalti provenienti da molteplici direzioni. Incapace di distinguere quali fossero reali e quali no, ben presto non era più stata in grado di sapere dove si trovasse la volpe che le stava dando la caccia.
Ed anche se quello era nato come un gioco, concordato fra loro, scoprì di aver perso l'imperturbabilità dei primi minuti.
Provava una sottile ma tenace paura.
Contro la sua volontà di restare concentrata, con la mente riandò alla lontana recita scolastica durante la quale aveva proclamato che entrambi, prede e predatori, avevano da tempo domato la propria indole selvatica.
Illusa.
Dopo secoli, eccoli: una coniglia in fuga ed una volpe impegnata a fiutarne l'odore, non erano altro che questo.
Continuando a procedere a casaccio tra i filari di spighe, attenta a non produrre alcun rumore che potesse rivelare la sua posizione, Judy si figurò il muso allungato di Gi nascosto a pochi metri, intento ad osservarla e valutare quando attaccarla; aggraziato come non era nel quotidiano.
Sì, probabilmente era davvero vicino, da qualche parte, libero di fare la sua mossa; mentre lei inconsapevole vagava senza senso.
Sapeva che le volpi, d'abitudine, fiutano a lungo la preda prima di andarle incontro. Si fece piccola.
Un crack alle spalle – si voltò tuffandosi al contempo di lato, portò le zampe sulla testa, chiuse gli occhi, attese... silenzio, nulla che si muovesse.
Un falso allarme. Ma sapeva di esser stata scoperta: nel remoto caso in cui la volpe avesse perso le sue tracce in precedenza, ora l'aveva nuovamente stanata.
Sentì il cuore accelerare come spinto da un razzo propulsore – un pensiero bizzarro da formulare nel mezzo di un campo, sovrastata dall'azzurro violento del cielo, natura viva nella natura viva.
E d'improvviso comprese.

 

"Mi è piaciuto, Gideon", ammise guardando altrove per sopportare l'imbarazzo.
La volpe capì subito a cosa si riferiva la tenera preda che costringeva al suolo col peso – non indifferente, era disposto ad ammetterlo – del proprio corpo.
Ma voleva, disperatamente voleva sentirglielo dire a voce alta.
"Cosa, Judy? Parla, sono curiosh" – una leccata all'interno dell'orecchio di lei si portò via l'ultima sillaba.
Sentirla fremere sotto di sé gli spedì una nuova scarica di adrenalina lungo i nervi.
Rabbrividiva. Deglutiva. Respirava breve e rapida, molto rapida.
Dio, quanto era –
"Eccitante" esalò la coniglietta, abbandonata a terra, madida di sudore e col volto ormai congestionato dal rossore. "E' stato così eccitante lasciarmi inseguire. E farmi prendere... possiamo farlo ancora, Gi?", chiese.
Anima innocente, pensò la volpe.
"Ogni volta che vuoi, bocconcino".

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Capitolo 7
*** Divisa blu ***


Divisa blu [455]

 

Lo devo ammettere, Judy: quel vestito viola che indossavi la scorsa settimana, che s'intonava alla perfezione ai tuoi occhi, ti stava d'incanto. Ma, oh, quel che vedo ora supera le mie aspettative.
Non saprei dire perché: è solo una divisa, in fondo, nulla di così eccezionale. Eppure, sai come si dice no? Il fascino della divisa, appunto. E tu quel fascino lo incarni, tanto inappuntabile nel tuo ruolo di pubblico ufficiale, tanto fiera.
L'orgoglio dei tuoi genitori – anche se non smetteranno mai di aver paura per te, questo no: sapessi che bottoni che m'attaccano ogni volta che passo dalla bancarella a fare acquisti!
Hanno paura di tutto, quando si tratta della loro piccola: dalle sparatorie agli incroci stradali, incluso ciò che sta nel mezzo. E, certo, anche che tu possa venir aggredita da un predatore. Una volpe, magari.
Già. Li conosci meglio di chiunque: hanno il cuore in mano, ma le antiche convinzioni sono dure a morire.
Sono solo parole, comunque.
Hanno accettato con una rapidità sconvolgente la notizia, infatti: Mamma, papà, mi sono fidanzata. Con una volpe.
Chi non l'ha accettata, e ancora non la accetta sono io; invece.
Perché la volpe con cui ti sei messa è così diversa da me: fisico asciutto, parlantina facile, ironia tagliente – una caratteristica, quest'ultima, che ho assaggiato di persona.
Che idiota, eh?
Un povero idiota che ha perso il suo treno: il tempo di scusarmi con te per quella vecchia storia, di innamorarmi nel giro di dieci minuti scarsi, e quando sei tornata a casa la volta successiva, vittoriosa e famosa, non eri più sola.

 

Ed eccomi qui.
Seduto sul mio furgone a guardarvi da lontano, tu ed il tuo collega fresco di accademia. Migliore amico. Futuro marito?
I tuoi ormai lo considerano di famiglia, sono passati mesi da quando facesti quell'annuncio senza tanti fronzoli.
Mentre io scaricavo torte e fingevo una contentezza di circostanza. Ancora mi chiedo come ho fatto a non crollare lì, sul posto.
Si può essere tanto stupidi?
Chissà cosa vi ha portato qui oggi, in un giorno feriale.
Non cercherò nemmeno di scoprirlo, sopporterei molto male se qualcuno, nell'ignoranza di come mi sento, dovesse raccontarmi altre felici novità o tessermi le lodi della vostra coppia.
E' sufficiente la scena che vedo a dissuadermi: Nick Wilde – il maledetto ha persino un nome brillante – che ti tiene per la zampa con assoluta naturalezza, un sorriso furbo stampato sul muso e appena più su un paio di occhiali a specchio, come nei film d'azione.
Elegante, come certamente piace a te, nella sua divisa blu.
Attillata, ben stirata.

 

Ciononostante io, grigio di cognome e di fatto, triste come una giornata di pioggia, contro ogni logica non riesco a rinunciare all'idea di te.

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Capitolo 8
*** Occhi viola (I) ***


Ho pensato ad una piccola "trilogia", una storia unica divisa in tre flash, ovviamente accomunate dal medesimo colore.
Le pubblicherò una dopo l'altra oggi, domani e giovedì.
Eccovi la prima.

 



Occhi viola [500]

 

Può darsi che questo sia il contrappasso che mi tocca per esser stato perfido da piccolo.
Non credo nel karma, ma pare mi basti guardarti in quegli occhi viola e grandi e meravigliosi che ti ritrovi per un secondo di troppo, per sentirmi graffiare.
Esatto, sì: mi sono azzardato un'unica volta a graffiarti sul muso, e tu non soltanto ti sei rimessa subito in piedi, ma a distanza di anni ed anni me la stai facendo pagare con gli interessi.
Da fuori non si vede, non è una sofferenza fisica.
Ma posso giurare sull'onore che non ho mai avuto, che sto sanguinando ovunque, dentro.
Che aspetti, santa madre, ad andartene ed impedirmi di fare ciò che sto per fare?
Siamo seduti nel mio furgone impolverato da un sacco.
Ti ho rinnovato le mie scuse.
Le hai accettate.
Poi sei rimasta qui, con quegli occhi viola e grandi e meravigliosi piantati addosso a me, come se volessi sondare i miei pensieri.
Che ci fai ancora qui, Judy?
"Posso chiederti una cosa?".
Ecco che m'è scivolata fuori, alla fine. Non ancora la domanda vera e propria, più un'anteprima, diciamo.
"Dimmi, Gideon", mi fai tutta tranquilla, dondolando le gambe avanti e indietro, come una bambina. Una bambina pericolosa.
Forza!
"Volevochiedertisetiandrebbediuscireconmeunasera".
Mi squadri perplessa, le sopracciglia alzate. Mi sono sbagliato: i tuoi non sono occhi, ma strumenti per radiografie.
Sono così a disagio, in questo istante, che pur di trarmi d'impaccio mi ripeto. Cercando di risultare comprensibile.
"Ahem, scusa. Volevo dire: ti andrebbe di uscire con me, una sera? So che – "
"Ah".
Così, ah. Te ne esci con questo, e non ricordo già più come pensavo di giustificarmi, di parare il colpo in anticipo.
Perché mi dirai di no, naturalmente.
"Dunque", riprendi.
"Sei una mammifera di poche parole, eh?", butto lì. "Forse avrei dovuto chiederti se sei impegnata, prima...".
Ma come siamo svegli, Gideon.
"No, figurati, è che... aspetta" ti interrompi e mi guardi male, malissimo.
Ti avvicini così tanto al mio muso che, se non avessi quell'espressione assassina, non potrei evitare di baciarti – assurda persino l'idea.
"Ti prego. Dimmi che non ci sono i miei genitori, dietro a questo. So che ne sarebbero capaci", sputi.
"Non ti seguo...", mormoro appena meno impaurito di un attimo fa. "I tuoi?".
Hey, sono già abbastanza in difficoltà di mio.
Di nuovo, mi costringi a trattenere il fiato mentre con tutta calma studi la mia reazione.
Devo sembrare genuinamente sotto shock, perché ad un tratto scacci i tuoi dubbi, ti rilassi e scoppi in una risata apparentemente eterna.
Lo sapevo. Sapevo che ci saremmo arrivati.
"Okay, senti", comincio.
"Ci ho provato. Pazienza. Non è molto carino ridere di uno che ti ha appena chiesto di uscire, però", sottolineo lievemente frustrato.
Deluso.
"Ma no", mi correggi. "Non rido di te. Storia lunga".
Sembri pensarci su. E poi succede.
"Te la racconterò, se vuoi. Magari stasera, o... dimmi, quando avevi intenzione di vederci?".
Ti fisso, certo di aver frainteso.
Sorridi gentile.
"Mi piacerebbe, sì", confermi.
Wow.

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Capitolo 9
*** Carote viola (II) ***


Carote viola [500]

 

... wow!
Apro la porta di casa e il mio primo pensiero è per congratularmi con me stesso.
Ti avessi portata a cena fuori, non avremmo avuto un secondo di tregua: sei uno schianto, gli occhi di tutti i clienti – tutti conigli fra l'altro, da queste parti – si sarebbero incollati sulle tue curve.
E subito mi nasce la voglia di metterti le zampe addosso, un'urgenza che devo assolutamente trattenere. Purtroppo.
"Ti ringrazio di aver accettato la proposta... prometto che non ti farò rimpiangere il ristorante. Dopotutto, non so cucinare solo dolci".
"Mantieni la promessa, Gideon, e avrai una sorpresa", mi dici.
Le cose si mettono male: non so cosa tu abbia in mente, ma una frase simile può solo farmi viaggiare con la fantasia.
E non si tratta di una fantasia troppo pulita, se posso essere sincero.
"Sei misteriosa. Ma scopriremo presto se mi merito questa sorpresa o no" rispondo, sentendo trillare il timer del forno.
"Le carote sono servite...".
Armeggio con la teglia e ti riempio il piatto, sicuro che gradirai.
"Ma... sono viola!", esclami rapita, come davanti ad un capolavoro artistico.
"Beh, sì. Sapevi che in natura le carote selvatiche sono sempre state color violetto? Le carote arancioni che si mangiano normalmente sono state selezionate per caso".
"Dici sul serio? Non ne avevo idea...".
Sono così orgoglioso di averti colpito con questo semplice aneddoto, se solo sapessi!
"Sì, dal famoso Mendelrat: quello degli incroci tra piante di piselli. Anche gli esperimenti sulle carote sono suoi, ma sono meno conosciuti".
Non chiedermi altro: non ne so di più.
Ma non corro rischi, pare che tu sia già andata oltre.
Infatti dopo il primo boccone ti fermi e mi fai una domanda che mi lascia a bocca aperta.
"Da quanto tempo, Gideon?".
Potrei fingere di non sapere a che ti riferisci, e tirarla per le lunghe. Sono molto tentato.
Ma la tua espressione non lascia spazio a dubbi: vuoi sapere. Vuoi i dettagli.
E non sono nella posizione di negarteli.
"Da quando ci siamo rivisti il mese scorso, alla bancarella dei tuoi. E' da allora che... mi interessi".
"A proposito dei miei, ti prego di scusarmi. Per la reazione di ieri. Il fatto è che insistono perché mi trovi qualcuno. Non fanno che chiedermi se c'è un coniglio che mi piace. Temevo ti avessero chiesto di indagare", replichi, cogliendo l'occasione.
Spiazzato, penso che tu voglia cambiar discorso.
Ma ancora una volta mi sbaglio.
"E per quanto riguarda noi, invece" prosegui infatti "anche tu mi interessi".
Sto impazzendo, o hai davvero le guance arrossate?
"Ma non è questa la sorpresa", aggiungi ancora.
"Io ti interesso?" ripeto, quasi incapace di processare quest'informazione, fondamentale quanto eccezionale.
"Io. Beh". Sospiri. "In effetti sì. Ti ho pensato, in questo mese".
E me lo dici così...!
"Avevo già deciso di consegnarti questa, prima che tu mi chiedessi di vederci".
Frughi nella borsa e, trovato l'oggetto che cerchi, me lo allunghi al di sopra della tavola imbandita.
Un'agenda?
"Vai al primo segnalibro. Leggi...", mi inviti.

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Capitolo 10
*** Agenda viola (III) ***


A voi la conclusione.
In due tempi: alla terza flash, che non mi bastava per dire ciò che avevo in mente, ne ho aggiunto un'altra; la trovate in questa stessa pagina. Ogni tanto vale la pena infrangere le regole... in più di un senso. 
Enjoy!



Agenda viola [500]

 

Apro l'agenda, una Moleskine dalla copertina viola – un colore che ricorre, questa sera.
E scopro innanzitutto che non è un'agenda, ma un diario, o così mi pare.
Le pagine riempite dalla tua calligrafia raffinata, ben distesa e ariosa.
Appoggio il segnalibro sul tavolo, il primo di tre.

 

Nessuna data.

 

Il caso degli Ululatori Notturni è chiuso. Finalmente.
Non mi sentivo così soddisfatta da molto, molto tempo.

Sono uscita a festeggiare con Nick... e mi è successo qualcosa di strano.
Era il nostro momento, quello, ed ero felice di essere con lui.
Felice di essermi riconciliata, e che la città avesse ritrovato la sua armonia.
Eppure, mi mancava qualcosa.

Ci ho messo un po' a capire.
E' stato quando ho ricordato la settimana passata a Bunnyburrow, dopo aver restituito il distintivo.
A casa, ho scoperto che gli Ululatori erano fiori e non lupi.
A casa ho rivisto una persona che da anni ormai non incontravo, Gideon Grey.
A volte, vorrei essere fino in fondo una coniglietta ottusa, come Nick si diverte a chiamarmi.
Se lo fossi, il mio cervello non farebbe due più due e non capirebbe che mi sono presa una cotta colossale.
Se lo fossi, il mio cuoricino di coniglio non farebbe una capriola al pensiero che non siamo più cuccioli in perenne lotta.
Siamo adulti. Io ho realizzato il mio sogno, e lui non è più il bullo della scuola da tenere a bada.

Ora, quella da tenere a bada sono io.
Io con i miei pensieri fuori luogo su una volpe.

 

Adesso so personalmente cosa si prova ad avere un cuore di coniglio, che viaggia a cento all'ora. Thump-thump-thump.
Non oso alzare lo sguardo, e passo alla seconda annotazione, sfilando un altro segnalibro.
E' più breve, ma in un certo senso ancora più pesante.

 

Non mi passa.
Mi sono detta che tutta questa voglia di rivederlo dipende dall'entusiasmo che mi ha pervaso per aver ripreso il mio posto in polizia.

Che dopotutto era anche merito suo se l'avevo riottenuto, ed era naturale sentire della... riconoscenza.
Che, per usare di nuovo le parole di Nick, sono troppo emotiva.
Ma non mi passa.
Ho deciso che appena possibile, quando tornerò in visita a casa, devo incontrarlo e verificare sul campo cosa mi sta succedendo.

 

E poi, l'ultima annotazione, l'ultimo segnalibro.

 

Stasera, a casa sua.
Non so com'è nata questa cosa...

Non so perché lui e non un altro...
Ma ha davvero importanza saperlo?
Lui mi vuole. Mi basta questo.

 

"Io... non so cosa dire".
E' l'unica frase coerente che riesco a formulare.
"Non c'è bisogno che tu dica nulla, Gideon", rispondi.
"Volevo soltanto che lo sapessi".
Fatichi a sostenere il mio sguardo, per incerto e intimorito che io sia, ma tieni duro.
Non ti nascondi.
Anche questo mi piace di te.
La fierezza ti dona.
Poso l'agenda e mi alzo.
"Vieni", ti dico.
E tu così fai: mi segui fin sul divano.
Come niente fosse.
Hai voluto la bicicletta, penso, e adesso ti faccio pedalare.
Poco ma sicuro.

 

Confini [320]

 

Per prima cosa se ne vola a terra il tuo vestito.
"Ti preoccupa, che io sia una volpe?".
E' un peccato dovertelo chiedere. Ma non voglio ombre a oscurare il tuo musetto. Se voglio avere una chance, qualunque nome abbia ciò che stiamo facendo... devo.
"Non sarei qui, se così fosse".
Ti agiti seduta sulle mie gambe, nuda come mamma t'ha fatta.
E cominci a sbottonarmi la camicia.
Dio benedetto.
"Ma è tutto così... insolito", concludi.
"A me sembra che tu te la stia cavando benissimo" commento, e subito due fiori rossi ti sbocciano sulle guance.
Lo so, non è da me. Sono molto più imbranato di così, nella vita reale. Ma questa non può essere la vita reale: non con te che sei scesa all'altezza della mia cintura. E la stai slacciando.
Che importa se siamo di due specie diverse?
Tanto, non usciremo da qui vivi e sani di mente.
Di sicuro, io non vorrei uscire da dentro di te.
Ma prima devo entrare.
E basta il pensiero a scaldarmi le viscere.
Ti strappo un piccolo strillo quando ti sollevo e ti ribalto sul cuscino.
Deglutisci.
Mi sfidi con gli occhi – viola, sfrontati – ad andare avanti.
Mi afferri per i jeans.
E sia.
Adesso non è più un gioco... e in ogni caso, non lo conduci tu.

 

Dev'esserti evidente la mia agitazione.
Ma se potessi leggere nella mia mente, oltre che nella mia agenda, ti permetteresti molte più cose, e molto più indecenti.

Non te le racconterò, nonostante tutto il mio presunto coraggio.
Non temo di perdere la faccia, ma di perdere il controllo.
E' il problema del sesso: tendiamo tutti a confondere quel che accade a letto con quel che accade fuori, una volta rivestiti.
Perciò, per questa volta, lascerò che sia tu a raccontarmi – con le zampe e la lingua e il basso ventre – dove sono i confini da non sorpassare.
Insegnami, Gideon.

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Capitolo 11
*** Sole rosso ***


Sole rosso [277]

 

La villetta aveva un aspetto ricercato.
La tinteggiatura rosso di Persia entrava in gradevole contrasto con il giardino antistante, curato e verdissimo, che digradava dolcemente verso il livello della strada.
Due statue, figure intere di leoni impettiti collocate in posizioni opposte ai lati dell'ingresso principale, richiamavano col bianco del loro marmo il bianco laccato della porta, e quello screziato dei gradini che ad essa conducevano.
Dietro l'edificio il tuorlo d'uovo del sole, di un fulgore sanguigno-aranciato abbacinante, andava lentamente nascondendosi.
"Non sarò mai in grado di comprarti una casa come questa", disse lui. "Nemmeno in un milione di anni".
"Non te l'ho mai chiesta", rispose lei. "Né ho intenzione di farlo in futuro. E' solo che mi piace godere delle cose belle, e questa è una di quelle che vengo spesso a vedere quando corro".
Lui sorrise.
"Già. E a tal proposito... sei ancora convinta di riuscire ad abituarmi? Ho resistito cinque minuti scarsi, prima di cedere. Sento di somigliare più ad una pezza bagnata che ad una volpe, ora come ora".
"E' soltanto la prima volta. Vedrai, faremo miracoli insieme".
La replica della coniglia gli piacque così tanto che non osò contrapporvi nessuna fra le altre numerose obiezioni possibili.
Del sole, intanto, erano rimasti visibili solo i bordi sfrangiati che sfuggivano al tetto e al lato nord della casa.
Diede pochi rapidi colpi d'orecchio per scacciare una mosca che lo assillava.
"Parlando di cose belle... mi appassionano di più quelle vive. Con una preferenza per le piccolette dal pelo grigio e il naso rosa", disse.
Poi lasciò che un silenzio perfetto, uno di quei silenzi immoti da calura estiva, tornasse a dominare su tutte le cose.

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Capitolo 12
*** Asfalto nero ***


Asfalto nero [500]

 

Il corpo era riverso, prono, sull'asfalto.
Il picco di umidità che durante il giorno aveva fatto seguito alla breve pioggia, sporca e acida, aveva esasperato ancor di più l'afa.
Dalle prime ore del mattino Zootropolis era sotto assedio, e persino adesso che erano passate le ventitrè l'asfalto nero, quasi indistinguibile in quel vicolo privo di lampioni dal cielo vuoto di stelle, emanava il tipico odore del catrame disciolto dal caldo.
"Attenzione, Hopps", la avvertì un collega. "Un altro passo avanti e metti la zampa nel sangue di quel tipo".
Cazzo.
"Accidenti. Grazie", rispose la coniglia spostandosi di lato.
Era in piedi da quarantotto ore, al lavoro da quattordici, e un secondo netto prima di riuscire a strisciare il badge aveva sentito lo zoccolo di Bogo posarsi sulla sua spalla.
Un altro mammifero assassinato.
E con Nick impegnato sui libri – che fosse quella la ragione delle continue piogge mattutine, le quali invece di ristabilire un equilibrio funestavano la città per poi abbandonarla al suo inclemente e sudato destino? – con Nick dedito allo studio per entrare nell'Investigativa, occorreva una zampa in più.
Judy aveva prontamente accettato di raggiungere la Squadra Tre, comportandosi da agente coscienziosa.
Tuttavia quell'inatteso richiamo al dovere le stava pesando.
Era stanca.
Strano a dirsi, avrebbe preferito trovarsi altrove.
Dopo aver teso il nastro giallo-nero che delimitava la scena del crimine, trasse di tasca lo smartphone e digitò un messaggio.
Mi dispiace, tesoro. Pare arriverò molto tardi.
Sospirando si mosse in direzione del medico legale, un bradipo scontroso ma capace, che teneva fede alla fama della propria specie ed ai cliché della professione tenendo tutti sulle spine per un tempo interminabile, prima di consegnare i referti.
Al contrario, le sue risposte alla canonica domanda degli agenti sull'apparente causa di morte erano fulminee. E sempre uguali.
"Ancora non so dirle nulla".
Il solito ritornello.
"Una prima impressione? Un'ipotesi?" suggerì Judy, ben sapendo come il medico ricompensava l'insistenza, ma volendo rispettare il rituale.
"Sono uno scienziato. Non lavoro sulla base di impressioni, e le mie ipotesi le costruisco su dati concreti. Fatemi avere il corpo il prima possibile, e il prima possibile avrete mie notizie".
"Chiaro", replicò Judy, e si congedò.

 

Trascorse la mezz'ora successiva tessendo teorie più e meno sensate con i colleghi della Tre, condividendo caffé nero ghiacciato – Dio benedica Sutter per la sua borsa frigo nel bagagliaio – e aspettando che la Scientifica esaurisse il proprio andirivieni.
Ma perché Gideon non rispondeva?
Come sollecitato per via telepatica, un cinguettìo melodico la raggiunse.
"Hey, Hopps, cos'è? Senti la mancanza di Wilde e non riesci a stare senza scrivergli ogni due minuti?" la apostrofò Jameson.
"Oh, taci. Io almeno non me lo sono sposato", disse lei, alludendo alla relazione del lupo con un ispettore.
Tra le risate generali, poté leggere il messaggio in pace.
Anche al ristorante le cose vanno per le lunghe :(
Ma non disperare: il resto della notte è nostro @>---|
Si sentì immediatamente meno assonnata.
Ci sto! Baci
Sì, adorava la sua vita.

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Capitolo 13
*** Vernice rosa ***


Lo so, avevo annunciato che questa flash sarebbe stata l'ultima.
Poi, complici le vostre recensioni, ho avuto un guizzo di ispirazione e non potevo certo rimangiarmelo, no?
Perciò buona lettura, e alla settimana prossima ;)

 



Vernice rosa [500]

 

La prima mano li aveva convinti subito.
Rosa antico era la tonalità perfetta, dava un'indicazione precisa sul sesso senza risultare troppo zuccherosa.
Ma c'era altro a preoccuparli.
"E' spaventoso", se ne uscì Gideon. "Cioè, me ne rendo conto solo adesso che stiamo dipingendo la stanza. Capisci?".
Judy sgranò gli occhi e sospirò.
"Oddio, sì. Fa un po' venire le vertigini, non è vero? Non sono sicura di essere preparata a tutto questo".
"Mai meno di me, credimi".
Tacquero a lungo, con i rulli gocciolanti nella zampa, prima di decidersi a passarli sulla griglia per scolare il liquido in eccesso e continuare.
Chissà com'era successo.
Un giorno erano una coppia tutta casa e lavoro, con qualche svago strappato ai loro orari proibitivi quando gli riusciva. Concentrati sulle rispettive carriere, quando si ritrovavano il primo pensiero era per recuperare un po' di sonno arretrato, a pari merito con delle opportune coccole. Non c'era fisicamente tempo per altro.
Il giorno successivo si erano imbarcati in un'avventura estremamente insolita e, in qualche modo, avevano persino convinto due distinte commissioni di essere all'altezza di adottare, ed allevare, un cucciolo.
Anzi: una cucciola.
"E come sta andando la tua recluta?", chiese la volpe.
Dopo tre anni di onorato servizio, era venuto il tempo anche per Judy di fare da mentore ad un suo personale novellino.
Si trattava di un orso bruno, tanto grosso quanto... tonto.
"Non si può dire che brilli per spirito di iniziativa" rispose lei. "Ma sto cercando di mettere in luce altre sue qualità. E la prudenza, per un poliziotto, è sempre preferibile alle spacconate, anche quando funzionano".
"Si potrebbe dire che tutto dipende dal punto di vista", notò Gideon intingendo nuovamente il rullo nella vernice.
"Infatti. E' la solita storia: una coniglia ed una volpe non dovrebbero star bene insieme, in teoria. Né tantomeno essere adatti a crescere un cucciolo abbandonato. E nessuno immagina dei mammiferi lenti o fuori forma in polizia, eppure abbiamo Sedgwick e Clawhauser. Senza loro il mondo sarebbe un posto peggiore".
Si fermarono a controllare che il colore apparisse uniforme.
"La vita fa il suo lavoro, anche quando a noi sembra impossibile", disse lui. "E visto che appunto quel che stiamo facendo mi sembra impossibile, allora deve per forza funzionare".
"Una logica ineccepibile".
"Grazie. Mi è costato uno sforzo inteso partorire questa perla".
"Aha. Potresti profondere lo stesso sforzo anche per mettere i vestiti sporchi nel cesto della biancheria, e quelli puliti nei cassetti, anziché sparpagliarli in giro per la nostra camera. Almeno una volta su due. Che ne dici?", lo punzecchiò Judy, accostandoglisi e accarezzandogli la coda.
"Che ne dico, coniglietta tentatrice che non sei altro? Dico che questo è davvero impossibile. Semplicemente, non è nel mio dinna di maschio" scherzò lui. "E poi i vestiti preferisco toglierli, che metterli. Devo andare avanti?".
"Meglio di no. Magari più tardi... adesso abbiamo un lavoro da finire", ridacchiò la coniglia.
"La prendo come una promessa", disse la volpe.
"Affare fatto. Una promessa è una promessa".
E via di rosa.

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Capitolo 14
*** Inchiostro nero ***


Flash conclusiva della raccolta, per la quale ho usato di nuovo il nero, che amo.
Ho un attimino sforato con le parole, ma pazienza: un paio di volte su quattordici si perdonano.

Voglio ringraziare dal profondo del cuore (perché sono una tenerona, shì) i tre commentatori fissi: MadogV, Redferne e Freezshad; ma anche quella manciata di lettori che in silenzio mi ha seguito fin qui.
Spero di avervi fatto compagnia e fatto amare almeno un pochino questa coppia, per me stupenda.

 



Inchiostro nero [530]

 

L'ago mi penetra sottopelle, facendo sbocciare in superficie piccoli fiori di sangue – non posso vederli, ma li sento affiorare nitidamente.
Segue un percorso che posso solo immaginare, perché sono stesa prona sul lettino, la testa incassata in un cuscino morbido: proprio come in una beauty-farm, o una spa che dir si voglia.
Ma questo posto non è una spa.
L'insegna all'esterno recita Studio Grafico Needlepaw, ma l'interno somiglia ben di più al rifugio improvvisato di uno di quei drogati che io e Nick abbiamo arrestato la scorsa settimana.
E' disordinato, sa di randagio, ma va detto che sorprendentemente non c'è un filo di polvere: ed io che sono una schizzinosa lo apprezzo.
Credo di aver fatto bene a fidarmi del suggerimento di Yax, dopotutto.
Il dolore va e viene, si diffonde come un cancro in rapida metastasi.
E mi chiedo come faccia questo energumeno, un rinoceronte alquanto ben piazzato, a maneggiare con tale facilità e grazia quell'attrezzo delicato.
Solo un fascio di luce solare entra nella stanza dalla veneziana socchiusa, bagnando il pavimento di oro liquido.
L'energumeno ha creato uno spiraglio fissando insieme due stecche con una molletta, così da illuminare soltanto la zona su cui lavorare: il mio collo.
E' quel che mi ha spiegato.
E continuo a ripensare alle sue parole, al suo aspetto, ai disegni che mi ha mostrato dal book la prima volta che sono venuta per controllare ed informarmi.
Cerco di distrarmi: voglio fare questa cosa, ci tengo, devo arrivare in fondo costi quel che costi.

 

Non appena rientri a casa, è il primo dettaglio che noti.
Non avevo dubbi, perché tu mi guardi.
Mi osservi, spesso; bevi la mia persona come fossi una specie di dea di nonsocosa.
E' strano, forse perché non ci ero abituata, e mi riempie di un altrettanto strano orgoglio.
"Che hai fatto al collo? Sei ferita?", ti allarmi.
"In un certo senso... ma non preoccuparti: vieni", ti richiamo con le dita, mentre mi volto e sollevo un lembo del grosso cerotto quadrato, appena sotto la nuca.
"Volevo farlo da tempo. Spero solo che l'idea non ti disturbi..." esito, poi lascio che sia tu a staccare il resto del contorno adesivo.
Non dici nulla, ma ti sento: sento che il tuo respiro, per un istante infinitesimo, si ferma.
E poi riprende.
"Un tatuaggio", constati.
"Sì. Riconosci di che si tratta?".
La pelle è arrossata e lungo i tratti del disegno ancora molto gonfia, ma non ho dubbi che lo si veda spiccare sulla rada peluria.
Non mi dai l'ovvia risposta, ma "Perché?", mi chiedi.
"Non è chiaro?", ti incito.
Non per mostrarlo al mondo l'ho voluto, bensì per me.
"Ti voglio addosso, dentro, con me; sempre. E non voglio appartenere a nessun altro, mai".
Percorri leggero, con la punta degli artigli, le tre semplici linee di inchiostro nero che riproducono il graffio di un predatore.
Avrei anche potuto farmelo tatuare sul muso, là dove tu stesso mi avevi lasciato il medesimo segno, ma sarebbe stato forse osare troppo.
Cominci a leccarmi la "ferita" ancora fresca.
"La saliva delle volpi ha un'azione disinfettante", spieghi.
"E poi" aggiungi "ho fame di te".
Ti lascio fare: non desidero che di essere desiderata.

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