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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione. Echi della Grande Guerra ***
Capitolo 2: *** I want to go back to the front line. ***
Capitolo 3: *** Disappointment ***
Capitolo 4: *** Face to Face. ***
Capitolo 5: *** There’s no need to use only muscles! ***
Capitolo 6: *** Something big ***
Capitolo 7: *** New Life ***
Capitolo 8: *** You’ve got to be kidding me… ***
Capitolo 9: *** Happy family? ***
Capitolo 10: *** Confusion ***
Capitolo 11: *** Long time no see ***
Capitolo 12: *** Will you ever bow to me? ***
Capitolo 1 *** Prefazione. Echi della Grande Guerra ***
Prefazione.
Echi
della Grande Guerra.
La
guerra andava avanti da cento anni ormai, e nonostante in molti
fossero già morti o scomparsi, erano ancora tanti quelli che
vi
partecipavano attivamente. Alcuni lo facevano per vendetta, altri per
riuscire a dare il proprio contributo, nella speranza di mettere la
parola fine a quella strana disputa, e, fra gli sciocchi,
c’era
anche chi combatteva per la gloria.
La
Nazione del Fuoco, in questo, si riconosceva bene. Era stato infatti
il vecchio Signore del Fuoco Sozin a dare inizio al tutto, compiendo
il genocidio dei Nomadi dell’Aria e guadagnandosi
così il titolo
del più grande fra coloro che lo avevano preceduto a capo
della
propria nazione.
Lo
aveva fatto con il preciso intento di impedire all’Avatar di
cominciare il suo addestramento, imponendo così al mondo non
solo di
non avere una guida, ma anche un difensore. Egli sarebbe stato
l’unico in grado di fermarlo, una volta acquisiti tutti i
Domini,
quindi gli parve ovvia la decisione di fare tutto ciò che
era in suo
potere per ucciderlo.
Ucciderlo
o, per lo meno, catturarlo.
Tutti
si considerarono fortunati quando si venne a sapere che, a dire il
vero, Sozin non fu mai in grado di vedere, anche solo per un istante,
il predestinato.
L’Avatar era fuggito, scampato di un soffio alla tragedia che
ancora oggi è ricordata negli annali come la più
orribile
dimostrazione della crudeltà dei Dominatori del Fuoco.
Purtroppo
però, assieme alla gioia di sapere che, da qualche parte, il
grande
salvatore era ancora vivo, si affiancò anche
l’angoscia nel non
vederlo comparire nei momenti più bui che seguirono lo
sterminio dei
Nomadi dell’Aria. La Nazione del Fuoco si espandeva,
aumentava il
numero delle vittime, ma pur con un simile clima di disperazione egli
non arrivò mai in soccorso dei più deboli.
Così,
convinti che in fondo fosse morto per davvero, il mondo
cominciò a
non credere più in lui, dimenticando non solo la sua storia,
la sua
grandezza, ma anche la speranza.
Dopo
la morte di Sozin, la Nazione del Fuoco conobbe altri dittatori,
quali suo figlio e suo nipote, il Signore del Fuoco Ozai, pari a lui
in egoismo e malvagità.
Quest’ultimo
si ritagliò nella storia uno spazio tutto suo, facendo
raggiungere
al proprio popolo l’apice della prosperità a
discapito della
felicità altrui: conquistato il trono con
l’inganno – ovvero
approfittando di un momento di debolezza del fratello maggiore, Iroh
-, Ozai compì molte rivoluzioni, macchiandosi al contempo
anche di
svariati peccati. Il suo stesso primogenito, sangue del suo sangue,
venne esiliato dalla propria terra dopo essersi guadagnato sul viso
una cicatrice spaventosa, a ricordo dell’insolenza con cui si
era
posto nei riguardi del padre.
Il
Signore del fuoco costrinse il figlio a cercare l’Avatar, ben
sapendo che tale richiesta rasentava il ridicolo: ormai tutti davano
per scontato che questo non esistesse più, e perfino il
migliore dei
Cacciatori non lo avrebbe mai potuto trovare.
Un
giorno, però, Zuko tornò a corte. Accompagnato
dalla sorella Azula
prese possesso della dimora del Signore del Fuoco e, in breve, anche
del suo regno. Ozai morì, lasciando al figlio il suo posto.
Nessuno
seppe mai come ciò era stato possibile, come, un principe
esiliato,
avesse convinto la sorella a collaborare per la conquista del potere.
Tuttavia, all’età di diciassette anni, egli prese
coscienza della
situazione e diresse la guerra verso nuovi lidi. Sotto al suo
comando, la Nazione del Fuoco ricominciò a vincere le
battaglie, una
dopo l’altra, mettendo in ginocchio anche gli ultimi che
ancora
cercavano di tenergli testa.
Quando
il Re di Ba Sing-Se morì, seguito a ruota dal Dai Li ed il
suo
entourage, tutto sembrò finito.
I
Dominatori del Fuoco avevano vinto ed erano riusciti a conquistare
ogni cosa.
Fu
però “La morte dell’Est” a
riportare l’ordine nella città
fortezza, scacciando da sola le truppe di Zuko. La nuova Regina di Ba
Sing-Se, una ragazzina di soli quattordici anni, seppe contrastare
un’intera legione, riportando la luce laddove si era espansa
la
tenebra.
Accompagnata
da nuovi soldati e stringendo alleanze con gli ultimi gruppi di
ribelli, ella ricominciò la guerra, pronta a lottare fino
alla morte
se fosse servito a ripristinare l’equilibrio che Sozin, cento
anni
addietro, aveva spezzato.
Fino
a che la Nazione del Fuoco non fosse stata sconfitta, non
c’era
speranza per nessuno di vivere la propria esistenza normalmente,
riabbracciando i propri cari o ricostruendosi una famiglia. Bisognava
continuare, combattere fino all’ultimo respiro per
ricominciare a
vivere sul serio.
L’Avatar
era dunque scomparso, ma, almeno la speranza,
era tornata.
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Capitolo 2 *** I want to go back to the front line. ***
Book
One: Earth
Chapter
one: I want to go back to the front line
La
città fortezza di Ba Sing-Se, durante le visite della
propria
Regina, era sempre piena di fermento: nonostante fuori dalle mura la
Nazione del Fuoco stesse tentando di conquistarla, là dentro
i
cittadini si sentivano al sicuro e festeggiavano l’arrivo
della
Sovrana con sempre rinnovata eccitazione e contentezza. Era una gioia
vedere i sorrisi delle persone, ignare della Guerra che imperversava
nel mondo o forse decise ad ignorarla per almeno un paio di giorni.
Fra le strade del primo, del secondo, e del terzo anello murario, le
risate e le feste riempivano il quotidiano. I bambini sorridevano, i
vecchi parlavano tranquilli ai tavoli delle taverne, i lavoratori
facevano piccoli sconti in onore della presenza di colei che, da
sola, aveva riportato la pace almeno in quel piccolo, piccolissimo
pezzo di mondo.
Quando
era a “casa”, gli stendardi verdi venivano issati
per tutta la
grande muraglia, e perfino dalle finestre delle case dei normali
contadini una piccola bandiera sventolava allegra al vento.
La
“Morte dell’Est”, Toph, era benvoluta ed
amata da tutti i suoi
sudditi, ma per quanto tale affetto fosse invidiato dai più,
lei
pareva non goderselo appieno. Era infatti sua opinione che fosse
inutile ostentare tutta quella devozione laddove lei, con la sua
cecità, non avrebbe potuto comunque apprezzarla. Essendo poi
una
persona dura e schietta, difficilmente trovava affascinanti oscuri
figuri propensi solo a farle da lacchè. Chiaramente non
tutti quelli
che le si avvicinavano avevano l’intenzione di guadagnare
qualcosa
facendo i gentili nei suoi confronti, però ormai la giovane
Regina
aveva assunto una sorta di propria visione distorta del popolo
mondiale: da una parte c’erano quelli disperati, pronti a
tutto per
riottenere quel tanto che bastava per farsi chiamare ancora
“esseri
umani”; dall’altra, invece, c’erano
quelli senza scrupoli,
spinti dal desiderio di arraffare più che si poteva,
approfittando
della situazione di svantaggio dei meno fortunati.
Quindi,
pur lavorando sodo per salvare gli uni e gli altri, Toph non si
sentiva mai in dovere di ricambiare le gentilezze altrui.
Si
ripeteva che non aveva combattuto, riprendendosi Ba Sing-Se, per
avere più amore – vero o falso che fosse
– nella sua vita. Se si
era cimentata in una simile imprudente quanto folle impresa, era
stato perché quella era la cosa giusta da fare, punto. Non
c’erano
motivi in più che avrebbero reso la sua condizione migliore
rispetto
a quella di prima. Comunque fosse andata, ovvero sia che fosse morta
nel tentativo di ridare un po’ di speranza non solo al Popolo
del
Regno della Terra, ma anche al mondo intero, sia che fosse riuscita
nell’intento, Toph aveva deciso di lottare per ciò
che credeva
essere la causa più valida.
La
libertà.
Lei
rivoleva la libertà per il suo Regno, per gli oppressi e
anche per
se stessa.
Era
un concetto semplice, alla fin fine.
-
Mi state dicendo che cominciano a scarseggiare le provviste? -
domandò la ragazzina, camminando con il proprio seguito per
i
corridoi del castello.
Ad
ogni svolta c’erano servitori dediti agli inchini, nobili che
la
salutavano, cameriere allegre e fin troppo accomodanti. Toph
alzò
gli occhi al cielo, aumentando la velocità per raggiungere
il prima
possibile la sala riunioni: non le piaceva quell’atmosfera
falsamente calma, né tanto meno apprezzava discutere di
importanti
novità così, davanti a tutti, con il rischio che
orecchie non
avvezze ai cattivi presagi potessero ascoltare.
-
Esattamente, mia Regina.
Il
Generale Cheng1
le si affiancò, le mani dietro alla schiena, unite, il
solito
sguardo sincero e sicuro ad accompagnare ogni sua mossa.
Personalmente Toph apprezzava quell’uomo, le dava
l’idea di
essere totalmente affidabile e, quindi, era forse per questo motivo
che lasciava sempre a lui il comando della città quando
doveva
assentarsi. A differenza di Long Feng, il Dai Li, quell’uomo
comprendeva la necessità di mantenere la popolazione in
costante
stato d’allerta, in modo da non darle false speranze circa la
pace. Con lui al proprio fianco, Toph sapeva di non doversi
preoccupare circa le sorti di Ba Sing-Se. Se un giorno lei non fosse
tornata, Cheng l’avrebbe sostituita senza rivoluzionare
ciò che
lei, nel corso del breve tempo che aveva passato come Sovrana, aveva
costruito.
-
Sono settimane che dite questo, Generale Cheng, eppure non vedo altro
che banchetti sontuosi alle mie tavole, nonché continue
festicciole
nelle piazze della città. – disse ad un certo
punto Toph,
spalancando i portoni della sala conferenze ed andando di filato al
suo posto, a capo della grande tavolata - …o state cercando
di
mettermi sotto pressione, o volete ridurci alla miseria prima del
dovuto. Per quale delle due devo propendere?
Cheng
abbozzò un sorriso, sedendosi alla sua destra.
-
Né per l’una, né per l’altra.
– rispose – I cittadini
conoscono le nostre condizioni ma, nonostante tutto, hanno deciso di
continuare con i festeggiamenti per il suo arrivo.
-
Un atto di grande devozione, mia Signora.
Lei
accavallò le gambe malamente, appoggiando il mento al palmo
della
mano. Girandosi verso il Generale Hui esibì una profonda
nota di
disapprovazione.
-
Un atto di devozione, dite? Mi aspettavo più acume da lei.
Il suo
nome non significa forse “intelligenza”?
– sibilò – Io la trovo pura
stupidità. Se siamo a corto di
viveri non voglio che la mia gente si privi di ciò che ha
per
ostinazione. Posso vivere anche senza tutte queste celebrazioni.
-
Il popolo le vuole bene.
-
Lo so. Lo so e ne sono felice, ma non possiamo permetterci
passatempi, adesso. Festeggeremo quando sarà il caso, ovvero
quando
e se avremo vinto questa Guerra.
Alcuni
fra i Generali più giovani annuirono, convinti che la loro
Regina
avesse pienamente ragione, ma chi, fra quelli più anziani,
aveva
avuto modo di vedere gran parte di quell’eterna disputa
pensò, fra
sé e sé, che forse quelle potevano essere le
ultime ore felici
passate nella propria dimora. Era passato così tanto tempo,
da
quando anche uno solo di loro aveva vissuto in pace, che adesso ogni
occasione era buona per cercare almeno di dimenticare il dolore, il
senso d’oppressione, il dispiacere.
-
Fate affiggere ai muri della città volantini, assicuratevi
che tutti
conoscano il mio volere. – continuò Toph,
osservando con occhi
ciechi ogni persona all’interno di quella stanza –
Basta con le
feste in mio onore. Mi rendono orgogliosa di essere la Regina, certo,
però mi fanno anche sentire in colpa. Tutto quel cibo ora
viene
sprecato, e prima o poi qualcuno potrebbe pentirsi di aver fatto
tanto.
-
Come desiderate.
-
Al fronte, comunque, le cose non vanno molto bene.
-
Perché, qui vanno forse bene, Generale Hui?
L’uomo
alzò lo sguardo su di lei e, notando un sorriso schietto,
ricco di
ironia, si costrinse in qualche modo a non risentirsene. Tutti
conoscevano il carattere di Toph e per quanto ciò non si
addicesse
per niente al suo status di Regina del Regno della Terra, oramai
perfino loro ci avevano fatto il callo. Era stata la sua forza a
salvarli tutti, bisognava darle almeno il beneficio del dubbio.
-
Intendevo dire che, proprio come qui, gli approvvigionamenti
cominciano a scarseggiare. Stiamo facendo come ci ha detto, mia
Signora, in città accogliamo tutti i rifugiati possibili e
tra le
nostre fila aggiungiamo volenterosi incontrati lungo la strada,
assicurandoci che ci possano essere di qualche aiuto in battaglia, ma
continuando su questa strada non abbiamo fatto altro che aumentare la
popolazione in modo esagerato, assottigliando la quantità di
cibo.
-
Credo che potrebbe andare peggio.
I
più si accigliarono, il Generale Hui in primis.
-
E come…?
Toph
rise sommessamente, la sua risata roca, piena di scherno.
-
Potrebbe cominciare a non esserci più l’acqua. Ah,
come vorrei che
ci fossero ruscelli di carne…
-
Non credo che vostra Signoria stia prendendo seriamente la
situazione…
-
La sto prendendo come deve essere presa, Hui. –
mormorò Toph,
battendo le mani sul tavolo – Le persone che arrivano qui
ogni
giorno necessitano di un luogo sicuro in cui vivere, e quelle che
invece si fanno avanti, decise a combattere al nostro fianco, fanno
un grosso favore a tutti noi. Mi rendo conto che siamo in un momento
di crisi, nessuno meglio di me può capirlo, ma sappiate che
non ho
nessuna intenzione di lasciare al proprio destino intere famiglie o
piccoli gruppi che, da soli contro le truppe della Nazione del Fuoco,
rischierebbero la morte. Se non vi piace come la penso, potete sempre
ingegnarvi per trovare un’idea migliore, intelligentone.
Calò
il silenzio, dopo quel discorso. Nessuno osò proferire
parola e, chi
aveva la capacità di farlo, si godette la scena carica di
tensione,
passando lo sguardo da Toph a colui che aveva osato contraddirla.
Quest’ultimo ignorò volutamente l’ultimo
commento della Regina,
e dopo essersi alzato dalla propria sedia si prodigò in un
profondo
inchino.
-
Chiedo perdono per avervi offesa, mia Signora. – disse.
La
giovane non rispose e piuttosto si ravvivò i capelli,
scuotendo un
poco il capo.
-
Non mi dovete scuse, Hui. Siamo nativi del Regno della Terra,
testardi e ottusi come pochi altri. Mi sorprende che non prendiamo le
nostre decisioni a suon di pugni giù, nel cortile…
Tutti
risero, dimenticando il pessimo attimo appena vissuto e continuando
con la riunione.
La
decisione di smettere con le festività venne proclamata
idonea,
nuove precauzione furono prese per evitare che il cibo prodotto fosse
minore rispetto a quello consumato, e quando il gruppo si sciolse
Toph corse verso le proprie stanze, seguita a ruota dal Generale
Cheng.
-
Come al solito, lascio tutto nelle vostre mani.
-
E come al solito io mi considero onorato per la fiducia che
continuate a riporre in me.
-
Torno al fronte, sperando di essere lì il più
velocemente
possibile. Ultimamente le mosse del Signore del Fuoco si sono fatte
furbe, poche ma efficaci. Devo tornare e cercare di capire quale sia
il suo piano.
Cheng
non disse niente, preoccupandosi silenziosamente per la sua Regina.
Come ovvio non trovava giusto che fosse una ragazzina di appena
tredici anni a sobbarcarsi delle sorti di un’intera nazione
– o
del mondo stesso, molto più probabilmente – e per
quanto
conoscesse la sua grandezza sul campo di battaglia, ancora gli veniva
difficile reprimere il proprio istinto paterno.
D’altro
canto, se non si occupava lui di farle sapere certe cose, chi altri
avrebbe potuto? La famiglia Bei Fong era stata distrutta e Toph era
rimasta sola. Non c’erano genitori, per lei, pronti a
sacrificarsi
o a farle notare i suoi errori.
-
…non dovreste fare tutto da sola. –
proferì infine, osservandola
mentre rallentava il passo.
Si
fermarono poco distanti dalla terrazza che dava sul giardino interno,
quello pieno di alberi verdi e sanissimi. Se ci fosse stato tempo
nella sua frenetica vita, Toph avrebbe apprezzato molto godersi una
giornata dedita solo alla svagatezza sotto a quelle fronde, ma si
dava il caso che per un motivo o per l’altro tale privilegio
non le
veniva mai concesso.
-
Se non mi occupo io di certe cose, chi altri lo farà?
– gli
chiese, voltandosi verso il calore del Sole, il quale le colpiva il
braccio sinistro, filtrando dalle porte aperte – Sono la
Regina, è
mio dovere
fare tutto da sola.
-
È vostro dovere occuparvi del Regno, questo non lo nego, ma
trovo
sia ingiusto da parte di tutti il dare così per scontato che
sia una
cosa naturale, per una giovane come voi, il rinunciare ad una vita
diversa.
Toph
venne scossa da un fremito, ma non di rabbia, di divertimento. Si
mise una mano sul fianco, dondolando appena appena il capo.
-
A che genere di vita potrei aspirare se non a questa, Cheng? Il mondo
è in rovina, e a meno che io non fossi nata nella nazione
nemica,
non avrei alcun modo per godermi un’esistenza tranquilla.
– disse
– Questa vita mi va bene. Me la sono scelta e a testa alta
continuerò a viverla, dovesse costarmi un braccio, una gamba
o
chissà che altro.
-
Sì, ma…
-
Niente ma,
Cheng. – gli sorrise, e stavolta cercò di
imprimere dolcezza in
quell’espressione, non sarcasmo – So cosa stai
cercando di fare,
e ti ringrazio. La Guerra però non si fermerà
solo perché non è
giusto che una ragazzina combatta.
Detto
questo, dopo essersi salutati, Toph mise piede nei propri
appartamenti, dando ordini ai servitori di preparare la sua sacca:
presto sarebbe tornata al centro della mischia, cosa che un
po’ la
inebriava di adrenalina e che un po’, anche se mai lo avrebbe
ammesso, la impauriva.
Il
solo pensiero che quell’incubo sarebbe potuto non finire mai
la
schiacciava giorno dopo giorno, continuamente, obbligandola
sì a
stringere i denti, ma anche a chiedersi per cosa stesse ancora
lottando.
“La
libertà,
Toph.” si disse, scacciando i brutti pensieri dalla mente
“Ricordalo sempre: vale la pena di morire per la
libertà.”
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Capitolo 3 *** Disappointment ***
Book
Two: Fire
Chapter
two: Disappointment
A
Zuko non erano mai piaciuti gli incontri che si tenevano nella sala
del Trono, con i vari Generali e le persone più importanti
della
Nazione del Fuoco. A non farglieli piacere non era solo il ricordo di
come si era procurato la cicatrice che portava in volto da
più di
due anni, bensì l’atmosfera carica di tensione che
aleggiava
nell’aria quando vi si presenziava. Da sempre suo padre Ozai
aveva
governato con il pugno di ferro, riempiendo di timore chiunque avesse
anche solo osato pensarla diversamente da lui e punendo chi, come il
suo stesso figlio, avesse avuto abbastanza coraggio da alzarsi in
piedi e dire ciò che non andava nel suo modo di fare.
Per
anni Zuko si era detto pronto a cambiare le cose, una volta che fosse
diventato Signore del Fuoco ed il potere fosse passato nelle sue
mani: la sua giovane mente era piena di innovazioni, di
bontà e di
ideali ben consacrati, ma ora che finalmente aveva preso il posto del
padre non aveva fatto ancora niente per far sì che qualcosa
diventasse diverso.
Per
questo non apprezzava quelle riunioni.
Erano
un monito costante alla sua inefficienza.
Si
era semplicemente abituato a ciò che aveva intorno,
considerando
sciocco da parte sua confidare ancora nei sogni di un se stesso
lontano, distante anni luce dall’uomo che era diventato. Il
mondo
non necessitava di pace, ma di un Sovrano pronto a tutto per riuscire
a renderlo perfetto sotto ogni punto di vista.
-
Ora che siamo tutti riuniti, prego i Generali di riferirmi i loro
dubbi. Siamo in una stanza a porte chiuse, nessuno, a parte i
presenti, saprà mai ciò che qui verrà
detto. Insisto, perciò, nel
voler ottenere da parte vostra totale sincerità.
Come
già detto odiava simili incontri, però li
rispettava, e come
Signore del Fuoco si dimostrava risoluto e pieno di sicurezza, come
tutti volevano che fosse. Nel suo universo non c’erano
più spazi
per dubbi, ripensamenti o utopie. Stavano combattendo una Guerra e,
come d’altro canto il resto della popolazione mondiale, i
presenti
erano stufi di farlo. Si era giunti ad un punto morto, dove la
prossima mossa doveva essere quella decisiva se non si voleva che le
truppe gettassero una volta per tutte la spugna.
Dopo
la perdita di Ba Sing-Se a favore di una mocciosa spuntata fuori dal
nulla, sia Zuko che il suo entourage avevano perso la propria presa
sulla popolazione. Erano stati a tanto così dal vincere e
poi tutto
era andato in malora nel giro di un attimo.
-
I soldati sono stanchi, mio Signore.
-
Lo siamo tutti, Generale Quiang.
L’uomo
annuì mestamente, fissando il proprio sguardo in quello del
proprio
signore e padrone.
-
Me ne rendo conto, ma nonostante le nostre vittorie siano sempre
innumerevoli e il numero delle nostre colonie sia in continua
crescita, la gente si domanda quando riusciremo a porre fine a tutto
questo.
Zuko
ricambiò il suo sguardo, sostenendolo senza
difficoltà. Non parlò
subito, poiché non gli era facile ammettere che la
cittadinanza
avesse ragione nel dubitare che la fine della Guerra, e quindi
l’avvicinarsi della vittoria, fosse poi così
vicina. Lui stesso
aveva cominciato a diffidare di una simile visione d’insieme,
così
ottimistica e poco costruttiva.
Si
mosse appena, posando le mani sulle ginocchia.
-
Questo me lo chiedo anche io, in effetti. – Rivelò
infine, senza
peli sulla lingua. – Non siete stato forse voi a dire, non
più di
qualche mese fa, che combattere contro la nuova ondata di ribellione
sarebbe stato semplice?
-
L’ho detto, mio Signore, ma questo prima di capire che la
Morte
dell’Est fosse un simile osso duro.
Il
ragazzo abbozzò un sorriso sentendogli pronunciare quel nome.
La
“Morte dell’Est”. Non c’era
più scampo, ormai, dalla
presenza di quella fanciulla nella sua vita. Più tentava di
mettere
in atto nuove strategie, cambiando dunque modo di fare, e
più lei,
la famosissima neo Regina di Ba Sing-Se, gli metteva i bastoni fra le
ruote. C’era dell’ironia nel fatto che non la
avesse ancora mai
vista in volto. Continuava a ricevere dettagliati rapporti da coloro
che la avevano conosciuta sopravvivendo per miracolo al suo
passaggio, ma mai prima d’allora aveva avuto modo di
scontrarsi con
lei faccia a faccia.
Ecco
uno degli altri motivi per cui, alcune leggi della Nazione del Fuoco,
andavano cambiate.
Che
senso aveva, per il Sovrano indiscusso, starsene sempre dietro le
quinte a meno che la battaglia da combattere non fosse quella
decisiva?
Magari
ad Ozai quella condizione poteva andare bene, ma per Zuko era
un’assurdità. Era arrivato il momento di mettere
in dubbio alcune
cose, a partire da faccende che avrebbero solo potuto metterlo ancora
più in cattiva luce con i suoi sudditi.
-
A quanto pare non c’è altro da fare.
-
Come dite, vostra Maestà?
Si
alzò in piedi, lasciando il suo comodo cuscino per
cominciare a
camminare avanti ed indietro di fronte al trono. Il fuoco che lo
circondava stava crepitando, innalzando una barriera calda e
dirompente fra lui e il suo pubblico. La luce di quel fuoco
proiettava una grande ombra alle sue spalle, oscura, stilizzata,
eppure tanto simile a come Zuko si sentiva dentro: un corpo pieno
solo di tenebra, svuotato del sentimento che un tempo, neanche tanto
prima, lo aveva arricchito giorno per giorno.
-
Ho deciso di andare al fronte.
Subito
si udì un gran vociare. Molti dei Generali più
anziani fecero per
alzarsi, scuotendo forte i capi mentre frasi come “No, non
è
prudente” o “Mio Signore, lasci che ci pensiamo
noi” uscivano
dalle loro labbra.
Lui
alzò una mano, interrompendo una volta per tutte il caos che
era
nato così dal nulla.
-
Trovo sia inutile recriminare, signori. – Rispose,
calmissimo. –
Ho preso la mia decisione. Sono stufo di sapere solo
approssimativamente ciò che accade sul fronte Est. Devo
vedere con i
miei occhi, altrimenti non sarò mai in grado di prendere
decisioni
giuste, prive d’esitazione.
Poi,
dando loro le spalle, abbassò lo sguardo posandolo sul
pavimento
splendente e cerato.
-
Inoltre… - Aggiunse. – Credo sia arrivato il
momento, per me, di
incontrare la cosiddetta Morte dell’Est.
Solo
uno, fra i presenti, parve riscuotersi ad una simile notizia. Il
figlio dell’ormai deceduto Generale Yong, colui che per primo
aveva
visto la Regina del Regno della Terra ed era morto a causa sua, aveva
decisamente un conto aperto con quella ragazza. Così come il
suo
Signore, anche lui voleva vederla di persona, vendicandosi della
morte del padre come qualunque altro giovane della sua età
avrebbe
voluto fare.
-
Sarei felice di farvi da scorta, vostra Maestà.
Zuko
si girò, mostrando a colui che aveva parlato la parte del
volto
sana. Riconobbe subito, nel suo sguardo, una punta di ostinata rabbia
che ben riconosceva: anche lui, solo un anno addietro, guardandosi
allo specchio aveva quella stessa espressione.
Si
strinse nelle spalle, alzando un poco il mento.
-
Una scorta non mi farà di certo male.
Sapeva
che gli avrebbe creato dei problemi, di fronte alla loro comune
nemica, ma confidava nel fatto che averlo al proprio fianco lo
avrebbe aiutato a tenerlo sotto controllo. Non poteva permettersi che
uno dei suoi, vinto da ribollenti desideri, mandasse a monte il suo
primo incontro con lei.
-
Il giovane Tai verrà con me. – Esclamò
infine, tornando a
contemplare l’arazzo che stava alle spalle del trono con fare
pensieroso. – Mi assicurerò che le mie cose
vengano preparate al
più presto, quindi avvisate del mio arrivo le truppe. Voglio
che si
sparga la voce fra le retrovie nemiche. Voglio che si sappia che
Zuko, il ventiduesimo Signore del Fuoco, sta arrivando, pronto a
combattere lui stesso contro a tutti quelli che avranno abbastanza
coraggio per affrontarlo.
-
Sarà fatto.
Quando
rimase solo, Zuko si mise seduto incrociando le gambe. Mentre gli
occhi ambrati osservavano senza attenzione ciò che aveva
intorno, il
cuore già era corso verso i confini del suo Regno, dove la
battaglia
per la conquista di Ba Sing-Se e la caduta dell’intero Regno
della
Terra stava imperversando da lunghi, interminabili mesi.
L’arrivo
della “Morte dell’Est” di certo lo aveva
spiazzato, su questo
non c’erano dubbi, tuttavia confidava che una volta
incontrata
tutto gli sarebbe stato più chiaro: non avrebbe
più permesso che
l’ignoranza circa le sue fattezze potesse intimorirlo,
donando a
lei più potere di quanto non possedesse in realtà.
Era
una ragazzina, questo lo sapeva per certo, e se una fanciulla come
lei poteva apparire unica nel suo genere – dopotutto aveva
sconfitto i suoi soldati da sola -, lui non sarebbe stato da meno.
Aveva
diciotto anni, era un uomo ormai, i giorni passati a ridere e giocare
li aveva lasciati a marcire nel profondo del suo subconscio, dove
anche tutte le altre sue emozioni erano state recluse. Non aveva
senso affidarsi a quelle quando, là fuori, sul campo di
battaglia,
non è il cuore a saperti fornire la giusta rotta da seguire.
Avrebbe
abbattuto ogni ostacolo, si sarebbe liberato di chi ancora aveva da
ridire sulla sua condotta, e quando anche l’ultimo dei suoi
nemici
sarebbe caduto, allora e solo allora si sarebbe goduto il dovuto
riposo.
Il
mondo non poteva rimanere così.
Vittoria
assoluta o sconfitta totale.
***
Il
giorno stesso in cui arrivò a destinazione, si
assicurò in primo
luogo di conoscere le condizioni delle sue truppe, schierate al
limitare dei confini della loro colonia più vicina nel Regno
della
Terra.
Ba
Sing-Se era poco distante, bastava affacciarsi dalla collina per
notare, in lontananza, illuminata dalla luce arancione scure del
tramonto, la sua maestosa cinta muraria.
Zuko
rimase in ascolto dei suoi sottoposti, donando prima la propria
attenzione a loro e poi a quella visione quasi aliena: era
già stato
lì, il giorno in cui la aveva conquistata difficilmente si
sarebbe
mai cancellato dalla sua memoria, eppure ora se ne stava in quel
posto, nel tentativo di compiere un secondo miracolo.
Ba
Sing-Se, la città fortezza.
Perfino
suo zio Iroh non era riuscito nell’intento di farla sua, ma
ora,
come niente, gli si chiedeva di rifarlo.
La
vita sapeva essere così strana, alle volte.
-
Ho saputo che di recente la Regina non si è fatta vedere dai
nostri.
– Domandò ad un certo punto, camminando a fianco
di Comandante Ai
per le vie dell’accampamento. Al suo passaggio tutti
salutavano e
lui, nonostante fosse preso dai suoi discorsi con il compagno,
trovava sempre modo di rispondere. – …dubito che
la sua assenza
sia dovuta al mio arrivo.
Il
Comandante rise, accarezzandosi con sicurezza la barba.
-
Oh, mio Signore, per quanto sono certo che conosca la sua grandezza,
dubito che quel piccolo demonio sappia cosa sia la paura. Non
fuggirebbe di fronte al peggiore degli spiriti, a mio avviso.
-
Allora devo pensare che si sia ritirata a Ba Sing-Se per incontrarsi
con i suoi capi di stato.
-
Probabilmente è così, sì.
Zuko
annuì impercettibilmente. – Spero che torni
presto. Se sono qui è
soprattutto per poterla vedere con i miei occhi.
-
I miei rapporti non l’hanno soddisfatta…? Eppure
sono piuttosto
fedeli.
-
Sono certo che non abbiate tralasciato nulla, all’interno di
quei
documenti, però sono anche dell’idea che certe
cose si debbano
vedere di persona.
-
Avete intenzione di combattere o di provare col dialogo?
-
Scontrarsi con lei sarebbe molto interessante, non lo nego…
Ed
era vero. Chiunque avrebbe atteso con ansia il momento in cui,
finalmente, avresse avuto l’occasione di lottare contro il
proprio
acerrimo rivale. Una vita passata senza simili occasioni era, per un
Leader, una vita non vissuta a pieno potenziale. Di tanto in tanto
era necessario avere nemici capaci di donarci il piacere della sfida,
pari a noi per astuzia e potenza, e si dava il caso che il Signore
del Fuoco considerasse la Regina della città fortezza una
sua pari.
Confidava
nel fatto che sarebbe stato divertente incontrarla,
non solo
necessario.
-
…essendo questo il nostro primo incontro, comunque, penso
sia
meglio optare per il dialogo. Desidero capire qual è il suo
filo
conduttore. Cosa la spinge ad andare avanti.
Se
c’era una cosa che suo padre gli aveva insegnato era proprio
quella: una volta che si era compreso per cosa, chi ti si opponeva,
lottava, era molto facile distruggerlo. Era proprio quando si portava
via tutto a qualcuno che si mandava in frantumi il suo essere.
La
“Morte dell’Est”, per quanto scaltra e
capace, non era diversa
dai comuni esseri umani.
Colpirla
al cuore sarebbe stato semplice come con tutti gli altri.
|
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Capitolo 4 *** Face to Face. ***
Book
One: Earth
Chapter
three: Face to Face
Una
volta le era stato detto che era sempre bello tornare a casa, dopo
che si era stati lontani per via di un lungo, lunghissimo viaggio.
Rivedere gli scenari familiari, riabbracciare i genitori e parlare
con gli amici di sempre era, per ogni essere umano, la migliore delle
cure quando ci si sentiva preda della peggiore delle depressioni. La
Regina di Ba Sing-Se però, pur considerando questo piccolo
insegnamento una giusta verità, non riusciva a provare gioia
nel
tornare in quella che da un po’ di tempo a questa parte era
praticamente divenuta casa sua.
Rimettere
piede al campo, raggiungendo con passo svelto e deciso la propria
tenda, era stato difficile e poco piacevole. Detestava quella guerra
tanto quanto odiava il dover vedere i visi stanchi dei suoi soldati,
la tristezza marchiata a fuoco nei loro sguardi e le ferite, sui loro
corpi, a monito dell’incredibile stupidità umana.
-
Il Comandante Shun la attende nella sua tenda, mia Signora.
Toph
mollò a terra il suo borsone e, voltandosi verso il soldato
che
l’aveva scortata sino alla sua “dimora”
con infinita lentezza,
decise di ponderare bene le sue parole prima di aprire bocca.
-
Il Comandante mi aspetta…? – domandò,
scuotendo lievemente il
capo, quasi incredula – Sbaglio o sono io,
la Sovrana? Non dovrebbe essere lui a venire qui da me?
Il
ragazzo, il quale non doveva avere più di una ventina
d’anni,
scatto sull’attenti, affrettandosi a darle una quanto mai
convincente spiegazione. Deglutì, e lei riuscì a
sentire il battito
accelerato del suo cuore grazie al contatto del suolo duro sotto alla
pelle nuda dei piedi. Un poco ne sorrise, trovando sempre divertente
l’austerità che riusciva ad emanare suo malgrado.
-
Al momento sta facendo un discorso alle truppe, mia Signora!- disse
l’altro – Stamane abbiamo ricevuto un messaggio
dalla squadra
mandata in avanscoperta e le truppe si sono agitate. Il Comandante
Shun sta facendo in modo che tutti si calmino.
-
Cosa conteneva quel messaggio di tanto grave da far allarmare un
intero plotone?
Tornando
a rilassarsi poiché certo di non aver realmente offeso la
sua
padrona, il soldato semplice non poté fare a meno di
prendersi un
altro po’ di tempo prima di rispondere. Era una notizia
difficile
da dare, in fondo.
-
…il Signore del Fuoco, Zuko, è arrivato ieri
nell’accampamento
nemico.
La
ragazzina si rizzò bene eretta, nel sentirlo. Il Signore del
Fuoco
faceva tanto d’uscire dal suo rifugio sicuro e lei lo veniva
a
sapere solo ora, quando era così vicino che gli sarebbe
bastato un
attimo per coglierla di sorpresa con un attacco?
Digrignò
i denti, stringendo forte i pugni mentre scansava il suo informatore
per riuscire a raggiungere immediatamente il Comandante Shun.
Camminò
speditamente, ignorando i saluti ossequiosi delle svariate truppe e
cercando, fra la folla, il ridicolo codino di quell’uomo
grossolano
e torchiatelo. Non appena lo individuò, raggiuntolo con la
velocità
di una saetta, parlò:
-
Quando avevate intenzione di parlarmi dell’arrivo di quel
tizio,
si può sapere? – strillò.
Shun
si girò verso di lei mezzo sconvolto, agitando subito le
mani come a
volersi discolpare.
-
Mia Signora, lei era impegnata con la riunione in città, ho
pensato
fosse meglio…
-
No, la verità è che voi non avete pensato
affatto, Comandante! –
esordì lei, sbattendo con ferocia il piede a terra, un
tremito a
propagarsi nelle immediate vicinanze – La riunione si
svolgeva a
porte chiuse, ma conosciamo entrambi le varie scappatoie che
intercorrono quando arriva un messaggio urgente dal fronte. Vi ho
lasciato il comando perché convinta di potermi fidare di
voi, ma
evidentemente mi sono sbagliata!
-
Oh, mia Regina, se avessi saputo che il mio gesto le avrebbe arrecato
un simile disturbo, io…
-
…vi sareste comportato più saggiamente, magari?
L’uomo
si inginocchiò al cospetto della fanciulla e, poggiando la
fronte
spaziosa al terriccio, mostrò tutto il suo dispiacere. Solo
allora,
capendo di avere esagerato, Toph trattenne il respiro ordinandogli di
rialzarsi. Mormorò a sua volta un “mi
dispiace” prima di tornare
a dialogare con lui ad un tono di voce consono e più civile.
-
Mettendo da parte i motivi che vi hanno spinto a tacermi il suo
arrivo, avete per caso intuito quali siano le sue intenzioni?
-
Temiamo che il suo obbiettivo sia propria lei, a dire il vero.
-
Io?
-
Sì.
Toph
annuì, portando le mani sugli esili fianchi. In mezzo a
tutti quegli
omoni nerboruti e muscolosi, appariva sempre più piccola e
giovane
di quello che effettivamente era. A vederla nessuno l’avrebbe
presa
sul serio, eppure, tutti loro, la seguivano ciecamente senza alcuna
riserva verso le sue capacità. La giovane Regina confidava
nel fatto
che nemmeno Zuko l’avrebbe presa sotto gamba.
-
Il fatto che non abbia fatto ancora la sua mossa, approfittando della
mia assenza, lascia in effetti intendere che sia io il vero
bersaglio. – disse ad un certo punto, parlando più
a se stessa che
a Shun – Non riesco a capire che cosa vada cercando il
Signore del
Fuoco. Intende lottare faccia a faccia?
-
Forse è solo in cerca di dialogo.
-
…siamo in Guerra, Shun, non ad una festicciola in cui puoi
avvicinarti a qualcuno senza che questo si insospettisca. Se anche si
trattasse di quello, avrei difficoltà nel credermi
totalmente al
sicuro.
-
Nessuno le darebbe torto nel farlo, mia Signora.
Lei
sbuffò, incrociando le braccia al petto. – In ogni
caso, non
possiamo fare niente se non aspettare nuove notizie.
Le
quali potevano arrivare sia dal gruppo inviato al confine, che dal
nemico stesso.
***
Nel
momento in cui il messaggio tanto atteso le arrivò tra le
mani, Toph
non poté fare a meno di rimanere immersa nei propri pensieri
prima
di azzardarsi anche solo ad aprire il rotolo di carta su cui stava
scritto un concetto assai importante: da un momento all’altro
avrebbe saputo se Zuko aveva l’intenzione di attaccarli e si
stava
quindi dirigendo verso di loro proprio in quell’attimo, o se
invece, come aveva suggerito il Comandante Shun, il suo desiderio
fosse quello di incontrare per la prima volta la sua mai conosciuta
antagonista.
Affidò
la pergamena al sopracitato Comandante il quale, con le mani
tremanti, la srotolò all’istante.
Dapprima
non disse niente, limitandosi a sgranare gli occhi mentre scorreva le
poche righe di quel telegramma più e più volte.
Poi, scuotendo
forte il capo, diede di nuovo alla Sovrana il tutto.
-
Non riesco a capire, mia Signora. Non ho idea di che cosa significhi.
Toph
corrugò la fronte, incerta. – E ti aspetti che una
cieca possa
correrti in aiuto quando si tratta di leggere e…
Non
appena le sue dita passarono sul carta, di fattura assai grezza,
anche i suoi occhi si spalancarono per bene. Posò sulle
gambe il
rotolo e, cercando di riportare alla mente i giorni ormai lontani in
cui i suoi insegnanti privati le davano lezioni nel grande salotto di
casa Bei Fong, lesse mediante le dita ogni lettera lì
impressa. Le
risultava incredibile, ma evidentemente il Signore del Fuoco sapeva
molte più cose di quante non lei non avesse voluto
concederne
mentre, con l’aiuto dell’immaginazione, se lo era
figurato nella
mente. Lo aveva sempre visto non stupido, ma poco interessato a
ciò
che lo circondava se non era un diretto vantaggio per lui stesso.
Invece, stupendola, aveva dimostrato di non essere solamente un
figlio di papà, indifferente dinanzi alle differenze che
rendevano
il mondo vario.
-
…mi sta aspettando per un tête
a tête.
– commentò infine.
Shun
si sporse verso di lei, veloce.
-
Ha capito cosa dice?
-
Sì.
-
E come…?
Toph
si alzò in piedi e, porgendo la pergamena ad un soldato, si
strinse
semplicemente nelle spalle.
-
Ha usato una speciale scrittura che chi, come me, non possiede il
dono della vista, usa per poter leggere e scrivere. –
asserì –
Non credevo che uno come lui sapesse certe cose.
Uscì
dalla tenda comune, seguita a ruota dall’inseparabile
Comandante.
-
Quali sono i termini dell’incontro, se mi è
concesso chiedere?
-
Dobbiamo vederci da soli, sul campo di battaglia, liberi dalla scorta
personale o da qualsiasi altro gruppo che possa ferire uno di noi.
-
Non credo assolutamente che sia una buona idea assecondare questa
richiesta!
-
Buon per voi, Shun. – gli rispose lei.
-
Mia Signora, abbiamo appurato solo qualche ora fa che la presenza del
Signore del Fuoco è dovuta unicamente da lei. Non le pare
rischioso
dargli corda, consegnandosi nelle sue grinfie come un pesce che salta
spontaneamente nella rete del pescatore?
Toph
scoppiò a ridere e aprendo i tendaggi del suo riparo
personale, non
si voltò neanche indietro per dirgli dell’altro
prima di
chiuderseli alle spalle. Con l’aiuto dell’unica
serva che aveva
deciso di portare con sé da palazzo, la Regina di Ba Sing-Se
si
preparò per l’incontro con Zuko, indossando un
completo da guerra
da cui difficilmente si separava.
Quel
completo verde chiaro, rifinito da decorazioni dorate, era stato suo
compagno il giorno in cui aveva deciso di riprendersi la capitale del
Regno della Terra. Si era strappato centinaia di volte, lo aveva
ridotto così male che spesso era irriconoscibile, eppure,
nonostante
tutto, aveva sempre ordinato che lo facessero ritornare perfetto come
da principio. Con quello addosso, pur conoscendo le
probabilità di
vittoria e di sconfitta, si sentiva sempre sicura.
Tornata
all’esterno, si fermò un solo secondo di fronte
Shun.
-
Non è così facile catturare questo
pesce. – disse.
***
Dopo
mesi passati a sentir parlare l’uno dell’altra, i
due sovrani
delle più grandi civiltà di Dominatori si
ritrovavano finalmente
faccia a faccia, senza nessuno che potesse dar loro fastidio
distogliendo l’attenzione da ciò che era veramente
importante.
Mentre
Zuko studiava lei, osservandola ed imprimendo nella memoria ogni suo
più piccolo particolare, Toph si perdeva nella scoperta
della calma
del suo avversario, sondando anche il più piccolo movimento
e
cercando di leggervi le sue vere intenzioni. Non si dissero niente,
almeno all’inizio, troppo presi dai loro stessi pensieri.
Poi, come
spesso accade, fu un commento ironico a venire a galla per primo.
Venne espresso con una totale mancanza di coinvolgimento, eppure,
Toph, sapeva bene che normalmente quello si sarebbe potuto
considerare come un velato insulto.
-
…quindi le voci erano tutte vere. – disse Zuko,
serio – La
grande Regina della città fortezza di Ba Sing-Se, colei che
viene
considerata la più grande Dominatrice della Terra e che
viene
chiamata in toni sommessi da tutto il mio popolo come La Morte
dell’Est…non è altri che una ragazzina?
Lei
alzò di poco il mento, abbozzando un sorriso pieno di
scherno.
-
Ti aspettavi di trovare qualcun altro, per caso? Non sono forse
abbastanza, per soddisfare la tua sete di battaglia?
Assunse
la sua abituale posizione, quella con i pugni ben fissi sui fianchi.
-
Ebbene sì, quella che continua a calciare il fondo schiena
dei tuoi
uomini è una ragazzina di soli tredici anni, minuta e cieca.
Questo
dovrebbe farti ricredere sulla potenza dei tuoi Dominatori.
La
schiettezza con cui gli si era rivolta lo lasciò un attimo
spiazzato, addirittura senza parole. Non poteva credere che qualcuno
del suo rango, ovvero un nobile, che per di più aveva modo
di
controllare l’esercito suo nemico potesse parlare a quel
modo. La
Morte dell’Est non era per niente come se l’era
immaginata. Era
sboccata, maleducata e pure impetuosa.
Zuko
controllò il disappunto, decidendo di adattarsi a quei
metodi poco
consoni.
-
Sono convinto che la bravura nell’uso delle proprie
capacità
centri poco con l’aspetto, gli handicap o
l’età di una persona.
– rispose – Il fatto che tu sia forte è sorprendente,
certo, ma non deludente.
-
Ti facevo decisamente più ottuso di quel che sei, Signore
del Fuoco.
E anche più grande di così.
Stavolta
toccò a lui sorridere. – A quanto pare sono io ad
aver deluso le
tue di aspettative.
-
In effetti sì.
Arrivati
a questo punto non dissero altro e, tornando a ponderare gelosamente
i propri pensieri, si scambiarono una breve occhiata: sebbene una di
loro non potesse guardare l’altro per davvero, gli occhi
apparentemente vuoti di Toph seppero dare al ragazzo le stesse
sensazioni che gli avrebbero dato due occhi perfettamente
funzionanti. Non c’era timore in lei, né senso di
inferiorità. Si
sentiva alla pari con lui in tutto e Zuko, nel profondo di se stesso,
apprezzò molto questo suo lato.
-
Stando ai calcoli dei miei Generali, non vi resta molto tempo prima
che finiscano le scorte di viveri qui e a Ba Sing-Se. Se vi
arrendeste subito, tornando a vivere sotto la bandiera della mia
Nazione, potremmo evitare la morte di gente innocente.
A
sentirlo parlare lei avrebbe voluto tanto ribattere con uno
“Oh,
sapete anche fare i calcoli, ma che bravi!”,
auto-congratulandosi
più tardi per la prontezza con cui le venivano fuori quelle
battute,
tuttavia, quando udì l’ultima parte di quella
frase non fece altro
che ridurre gli occhi a due fessure.
-
Fammi un favore, non tentare di mostrarti caritatevole dopo che la
tua gente ha massacrato senza tanti problemi la mia per mesi.
–
sibilò, additandolo – Rischieresti di distruggere
quel po’ di
buono che avevo intravisto nella nostra conversazione.
Zuko,
le mani unite in due pugni dietro la schiena, la guardò
dall’alto,
quasi privo di interesse verso la sua accusa.
-
Le persone che sono morte in questi mesi non gravano di certo solo su
di me, mia cara Regina. Credo tu sappia che quelli deceduti di
recente, ora sarebbero sani e salvi se tu non avessi cominciato
questa insensata rivoluzione.
-
Questa Guerra è insensata, non la rivoluzione!
Toph
cominciò ad urlare e, sentendosi il sangue a ribollire nelle
vene,
si fece di un passo avanti, le mani che prudevano per poter dominare
un masso e lanciarglielo nel mezzo del volto.
-
Io cerco di riportare l’equilibrio,
tu il
caos.
Io cerco la
libertà,
tu la
servitù
dell’intero genere umano. Io voglio dare speranza
ad un popolo stanco, che soffre ormai da troppo tempo…tu,
invece,
desideri che il mondo dimentichi perfino il significato
di questa parola. – Disse ancora. – È
quindi da imputare a me la
distruzione che tu e la tua Famiglia di idioti avete portato?
-
L’unico intento che io e la mia Famiglia di
idioti
abbiamo sempre perseguito, è quello di condividere il nostro
sapere
ed il nostro benessere con tutti gli altri.
Lei
si riscosse e aprì le braccia, di scatto.
-
Guardati attorno! – strillò – Ti sembra
benessere, questo?!
-
Bisogna sacrificare molte cose, lungo il sentiero per la
grandezza…
Zuko
le diede le spalle e, incamminandosi verso il proprio accampamento,
non si dimostrò neanche minimamente mosso dalle parole della
giovane.
-
…quanto hai intenzione di sopravvivere, seguendo i tuoi
sciocchi
ideali utopistici?
Fermandosi
girò appena lo sguardo e, con un sorriso quanto mai
provocatorio,
riuscì nell’intento di colpirla nonostante lei non
potesse
vederlo.
-
Darai al tuo popolo da mangiare speranza, quando morirete di fame,
sotto ai colpi del mio esercito?
E,
detto questo, lasciò Toph completamente sola.
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Capitolo 5 *** There’s no need to use only muscles! ***
Book
Three: Water
Chapter
four: There’s no need to use only muscles!
Il
primo incontro fra i due sovrani era stato singolare, e non aveva
mancato di incuriosire i componenti dell’esercito da ambedue
le
parti: fra le fila di soldati semplici - così come fra gli
svariati
Generali - erano volati i pettegolezzi, e anche se nessuno di loro
poteva in alcun modo scoprire che genere di discussione Zuko e Toph
avessero avuto o quali parole si fossero rivolti, era facile che la
fantasia prendesse il sopravvento perfino in un momento tanto buio
per l’umanità. La guerra aveva divorato ogni cosa,
famiglie,
terreni, felicità e libertà, ma almeno la
volontà di sapere
non era ancora del tutto svanita. Così, vinti per lo
più
dall’insistenza di chi li circondava, sia la Regina di Ba
Sing-Se
che il Signore del Fuoco furono costretti a rivelare i sunti di quel
loro fantomatico discorso.
Inutile
dire quanto le reazioni degli ascoltatori della prima, furono
enormemente diverse rispetto a quelle degli ascoltatori del secondo.
Se da una parte il sentimento generale era di totale sdegno verso la
sfrontatezza di Zuko, dall’altra avevano solo enorme rispetto
per
come questo avesse saputo tenere testa a quella ragazzina saccente e
alquanto pericolosa.
Fu
perciò un giorno importante al campo dei Dominatori del
Fuoco, un
giorno che se anche non aveva portato grandi conquiste, aveva
permesso all’intero battaglione di tirarsi un poco su di
morale a
discapito dell’orgoglio della gloriosa Morte
dell’Est. Verso sera
furono in molti gli uomini a brindare al proprio sovrano, elogiando
la finezza e l’eleganza con cui questo aveva riportato quella
piccola - forse insignificante - vittoria personale. Perfino le
donne, che rispetto alla loro controparte maschile erano soldati
spesso e volentieri con la testa fin
troppo
sulle spalle, ebbero modo di divertirsi al bagliore dei fuochi da
campo. E mentre al di fuori della sua tenda, posta esattamente al
centro rispetto a quelle circostanti, si avevano così
frivoli
festeggiamenti, Zuko si occupava di ben altre faccende.
Lui
non avrebbe mai festeggiato per una simile circostanza: non trovava
nulla di importante in ciò che aveva fatto e, anzi, pensava
di aver
unicamente risposto per le rime ad una persona che gli si opponeva.
Un qualcosa che, insomma, avrebbe fatto chiunque altro. Non vi erano
meriti, nel suo comportamento, che valesse la pena di considerare.
Sokka
però, suo fedele servitore, trovava quanto mai sgarbato
– nonché
dannatamente assurdo – che Zuko non volesse mai partecipare a
nulla
di almeno un minimo divertente. Sapeva che aveva molti doveri e molte
aspettative a cui tener testa, ma lo stesso si rendeva conto che
rinunciando a cose che lui riteneva “frivole” si
sarebbe precluso
la calma che tanto agognava. Anche al migliore dei sovrani di tanto
in tanto serviva un po’ di svago. Era strano doverglielo
ricordare
ogni santissimo giorno.
-
Siete sicuro di non voler almeno
dare un’occhiata a ciò che accade fuori dalla
vostra tenda? –
domandò di nuovo, appostato com’era vicino ai due
pesanti drappi
che delimitavano l’uscita – Insomma, per
sgranchirvi le gambe,
mica per dimostrare di essere in parte un diciottenne come gli
altri…
Non
sia mai.
-
Io non sono un diciottenne come gli altri, Sokka.
Il
giovane, fissandolo con non poca esasperazione riflessa nello
sguardo, si passò malamente una mano nei capelli prima di
proferire
anche solo una parola.
-
Ho detto in parte.
Zuko
alzò lo sguardo dalle cartine che stava studiando seduto
alla
scrivania e, incrociando gli occhi azzurro intenso del suo
più fido
servitore, tentò in qualche modo di comprendere il suo punto
di
vista: era a conoscenza dell’odio profondo che quel ragazzo
provava
nei confronti della Nazione del Fuoco ma, tuttavia, eccolo
lì a
preoccuparsi di cose come il ricordargli di mettere del cibo sotto ai
denti, di recuperare le svariate notti senza sonno e di dedicare
almeno un giorno all’anno all’insegna del
divertimento.
Sospirò,
sistemandosi sulla poltrona ed unendo le mani di fronte al viso.
-
Credo tu già sappia come la penso circa quello che sta
accadendo qui
fuori. – sussurrò lui, pacato.
-
Lo so, sì.
Lo
vide sorridere.
-
Lo so, ma non posso davvero fare a meno di chiedermi cosa ci sia di
più interessante in quello che state facendo adesso,
piuttosto che
in una festa organizzata in vostro onore.
Sokka,
avvicinandosi, si sporse sulla scrivania ed afferrò una
pergamena
che stava proprio sotto al naso del suo signore. Ne osservò
alcune
parti, alzando subito gli occhi al cielo non appena comprese di che
si trattava: ancora una volta Zuko stava riguardando i resoconti
delle battaglie passate, neanche potesse in qualche modo prevedere il
futuro con esattezza continuando a tenere il naso in quelle cartacce
polverose.
-
L’incontro con la Morte dell’Est vi ha dunque
turbato fino a
questo punto? – chiese.
Zuko
non rispose ma, con lo sguardo perso nel vuoto, fece un piccolo
accenno di assenso.
Era
proprio per questo che le festività indette dai suoi soldati
gli
apparivano erronee: non c’era motivo di fare baldoria quando
lui
stesso era rimasto affascinato dalla forza e dalla sicurezza della
Regina del Regno della Terra. Parlare con Toph per meno di una
mezz’ora – e forse perfino per meno di venti minuti
– gli era
bastato per capire che non c’era modo, almeno adesso, di
vincere
contro di lei. Poteva batterla a parole, forse, usando la crudele
ironia che come niente gli scorreva nelle vene, ma per quanto
riguardava la lotta che li vedeva come protagonisti, beh…
Lì era
diverso.
-
Non ci sono dubbi sul fatto che le condizioni a Ba Sing-Se siano
precarie. – disse ad un certo punto Zuko stesso, come
risvegliatosi
da un sogno - …e lei stessa ne è al corrente,
tuttavia sembra non
farci il minimo caso.
-
Intendete dire che non le importa? – Sokka corrugò
la fronte,
abbassando le braccia e stringendo con una mano sola la pergamena che
poco prima gli aveva rubato.
-
Intendo dire che, nonostante
lei lo sappia,
sembra aver deciso di combattere comunque, e così anche il
suo
popolo. Non ho mai visto una tale dedizione.
Il
ragazzo che gli stava dinanzi bofonchiò qualcosa sottovoce,
scuotendo con poca velatezza il proprio capo.
-
Dedizione o speranza?
-
Come, prego?
-
A mio avviso, ciò che spinge quella ragazza ad andare avanti
non è
altri che la speranza. Lei, lei e tutti gli abitanti del Regno della
Terra sanno che questa è la loro ultima occasione per
riuscire a
fare qualcosa, per riuscire a portare il cambiamento in questo mondo.
Sanno di essere l’ultimo faro per l’intera
umanità in un oceano
in cui ormai tutto appare perduto e dimenticato. – ancora una
volta
si guardarono, uno immerso nel più completo silenzio mentre
l’altro,
l’amico e non lo schiavo, esponeva il suo pensiero.
– Perfino io,
che in quanto a perdite avrei molto da dire, se non fossi
così
legato a voi penserei che forse c’è
ancora speranza,
vedendoli combattere. Ed è proprio questa la loro forza, mio
Signore. O meglio, questa è la vera forza di Toph: con il
fuoco
della speranza che le brucia dentro, niente e nessuno sarà
mai in
grado di fermarla.
Quelle
parole, proprio perché perfettamente vere, non fecero altro
che
alimentare le paure del Signore del Fuoco. Zuko, inghiottendo tutto
l’orgoglio di cui disponeva, si alzò in piedi e
raggiunse il
compagno, le mani dietro alla schiena. Per un breve lasso di tempo
non disse niente e Sokka, già di per sé propenso
all’agitarsi per
un non nulla, ebbe modo di vedersi passare davanti tutta la vita
prima di riuscire a tirare un sospiro di sollievo quando
l’altro
gli sorrise.
-
Ho fatto bene a mandarti qui prima di me. Da quello che ho sentito
hai avuto modo di osservare per molto tempo la nostra attuale nemica.
Sokka
annuì con vigore, lasciando che la schiena gli venisse
percorsa da
un brivido freddo: per giorni aveva guardato Toph combattere cercando
di memorizzare ogni sua mossa e, nel mentre, cercando anche di non
venire ferito o barbaramente ucciso.
Da
sempre, nonostante fossero in molte le donne soldato, era luogo
comune considerare la Guerra un affare da uomini. Nessuno osava dire
il contrario e, per quanto fosse una convinzione piuttosto
maschilista, erano passati secoli senza che le cose cambiassero
veramente all’interno delle gerarchie nelle fila
dell’esercito:
chi combatteva seriamente
era l’uomo. Punto. Vedendo però come e quanti
nemici la Regina
della Terra riusciva a mettere K.O con un solo colpo, perfino uno
come Sokka aveva dovuto ingoiare il rospo e ricredersi. Quando
combatteva, quella piccola fanciulla dai tratti delicati e dalla
pelle nivea non aveva freni, lasciava che una furia cieca la
pervadesse e tutto ciò che le ostruiva il cammino o si
infrangeva in
mille pezzi o veniva scagliato via. Milioni di uomini erano stati
uccisi così, e lei si era macchiata del sangue dei migliori
Dominatori del Fuoco che la Nazione potesse fornire.
-
Messi come siamo messi ora, non vinceremo.
Zuko
sembrava d’accordo. – Lo penso anche io.
-
Dobbiamo usare un altro metodo. Mi pare ormai evidente che quelli con
la testa più dura non siamo noi…
E
anche qui c’era poco da dissentire.
-
Cosa mi consigli di fare?
Qualcuno
avrebbe visto in malo modo la fiducia che lui, il Signore del Fuoco,
riponeva in un umile prigioniero di guerra: per secoli era corso
cattivo sangue fra le Tribù dell’Acqua e la
Nazione del Fuoco –
probabilmente anche per il semplice fatto di possedere due domini che
stavano l’uno all’antipodo dell’altro
– e ora, proprio ora
che si stava combattendo una guerra così importante, il capo
assoluto della milizia più potente al mondo si faceva dare
consigli
da qualcuno che era stato cresciuto per odiarlo. Per
odiarli tutti.
Sokka
non poté non essere felice per la fiducia che Zuko gli dava.
-
Credo sia arrivato il momento di tirare fuori l’asso dalla
manica,
mio signore.
Qui
vide il suo interlocutore farsi improvvisamente serio, poco propenso,
almeno stavolta, nel dargli ragione.
-
Non sono certo che sia una buona idea, Sokka. – rispose lui,
serio
– So di che cosa parli, e il mio più grande timore
è che…
-
Sì, posso comprenderlo, ma non abbiamo scelta. I Dominatori
della
Terra sono forti, orgogliosi e testardi, più di quanto
avessimo
immaginato e più di quanto non lo siano i vostri Dominatori.
Se
volete batterli non potrete affidarvi ai muscoli, signore, non questa
volta. E se anche devo dire che ammiro molto il vostro modo furbo di
condurre le vostre crociate, stavolta mi vedo costretto a
consigliarle un metodo diciamo meno ortodosso.
Zuko
si strinse nelle spalle, alzando di poco il mento.
-
Un metodo subdolo,
vorrai dire.
-
Se volete definirlo tale, fate pure. – disse Sokka -
…in cuor
vostro sapete, però, che ho ragione.
Poi,
notando l’inquietudine nel proprio sovrano, si fece
più mansueto,
ricordando solo dopo quale era il suo posto. Abbassò lo
sguardo, i
pugni stretti lungo il corpo.
-
…se si usa la testa, non c’è motivo di
darsi pensiero. Se si usa
la testa, non si devono temere le conseguenze.
Al
suono di queste parole Zuko si riscosse e, tornando seduto al suo
posto, si prese la testa fra le mani appoggiando i gomiti al bordo
della scrivania. Un altro sospiro, un’occhiata persa nel
vuoto, e,
infine, eccolo a dare il suo consenso.
-
Fai chiamare il Comandante Ai. – mormorò,
stropicciandosi gli
occhi d’ambra – Devo comunicargli al più
presto la mia decisione
di lasciare il fronte per tornare a casa.
-
Sì, signore.
Se
ne andò veloce, correndo per il campo e trovando il
Comandante
intento a bersi una pinta di buon vino. Gli riferì
l’ordine del
loro sovrano, ridendo mentalmente della povera condizione in cui
quell’uomo verteva al momento. Sarebbe stato esilarante
vederlo a
destreggiarsi fra i grandi paroloni di Zuko.
Davvero
molto, molto esilarante.
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Capitolo 6 *** Something big ***
Book
Two: Fire
Chapter
five: Something big
Zuko
non si concesse neanche un attimo di riposo quando, tornato a casa
dopo un lungo, lunghissimo viaggio a bordo del suo personale
dirigibile, aveva rimesso piede sulla sua terra natia. Erano ormai
quarantotto ore che non chiudeva occhio, e se anche in cuor suo
cominciava a sentire la stanchezza, non poteva davvero porsi un
freno. Non adesso, comunque.
-
Stando al fronte ho notato che si sta facendo un largo uso dei
medicinali e dei prodotti medicanti. – disse, camminando per
il
corridoio del suo palazzo di gran carriera, seguito a ruota da alcuni
consiglieri vecchi ed ingobbiti – Assicuratevi che partano
nuove
scorte dalla capitale e, per fare prima, anche dalle nostre colonie
più vicine a Ba-Sing Se. Non voglio ricevere brutte sorprese
per una
simile ridicola mancanza…
-
Sì, Signore, sarà
fatto all’istante.
Girando
a destra, le mani strette in due pugni, Zuko si ritrovò di
fronte
alle ampie porte della sua camera da letto: piano, come a non voler
compiere movimenti troppo bruschi, si voltò appena appena
verso gli
uomini che da tutto il giorno si erano accodati ad ogni suo
spostamento. Mostrando un piccolo sorriso ironico, lanciò
loro
un’occhiata abbastanza chiara.
-
Intendo farmi un bagno veloce, prima di scendere di nuovo ed
occuparmi del resto. – sussurrò - …a
meno che voi tutti non
vogliate supervisionare anche questo, vi chiederei di concedermi
qualche minuto.
I
presenti si rizzarono sull’attenti, bofonchiando alcune scuse
confuse prima di decidersi ad assecondare quel suo piccolo desiderio.
Zuko li osservò a lungo, seguendo i loro passi con lo
sguardo
mentre, lentamente, scuoteva il capo: normalmente non si sarebbe mai
concesso un simile gioco di parole con i propri consiglieri, tuttavia
la tensione era arrivata ad un tale livello che ormai anche le sue
più inflessibili regole comportamentali apparivano inique.
Voleva
solo riposare, dimenticare i problemi e, magari, arrivare ad una
soluzione che non dovesse comprendere l’alternativa proposta
da
Sokka.
Sospirò,
entrando nella camera addobbata regalmente, tutta in toni scuri e
caldi. Da una parte lanciò il proprio mantello, e sedendosi
sul
letto si affrettò a togliersi gli stivali dalle rifiniture
dorate
che ormai aveva indosso da due giorni filati. Aveva le dita dei piedi
indolenziti, ridotti peggio di un blocco di cemento.
-
La vasca è pronta, vostra grazia.
La
voce di una servitrice lo obbligò ad alzarsi in piedi e, una
volta
rimasto solo, si tolse tutti gli abiti prima di immergersi
nell’acqua
calda e ristoratrice che gli era stata preparata. Chiuse gli occhi,
appoggiando svogliatamente il capo al bordo.
Si
sentiva così stanco…
◇♦◇
-
Zuko, dovresti davvero riposarti. Dai l’idea di essere molto
stanco, nipote.
Il
giovane non disse niente e, rifiutandosi ostinatamente di dare
ascolto ai saggi consigli dello zio, unico parente rimastogli ancora
disposto a stargli accanto, batté i pugni sulla poppa della
nave. Il
metallo, sotto al suo colpo, risuonò con uno stonatissimo
“Sdleng”
attutendosi solo dopo alcuni attimi.
-
Io non posso riposare, zio! Sono due anni che non torno a casa, due!
Iroh
corrugò la fronte, come se le sue parole lo avessero scosso
nel
profondo e, forse, un po’ era così: Zuko aveva
ragione, entrambi
non tornavano alla loro terra da ben due lunghi anni, tuttavia lui
non si era mai detto del tutto disperato per quel periodo di esilio,
anzi. Aveva sempre saputo vedere il lato positivo delle cose, e se
anche suo nipote difficilmente poteva riuscirci sapendo quanto suo
padre lo disprezzasse, aveva continuato ad infondergli coraggio,
nella speranza che un giorno, magari, le cose cambiassero anche per
lui.
Quel
giorno era arrivato, ma non come si era aspettato.
-
Il mio stesso padre mi ha bandito, privandomi del mio onore. Non puoi
chiedermi di andare a dormire proprio adesso che sono così
vicino a
riprendermi ciò che mi appartiene!
-
Figliolo, ci sono momenti e luoghi differenti per fare ogni cosa ed
è
proprio perché non voglio vederti crollare svenuto di fronte
a mio
fratello, che ti chiedo di andare a chiudere occhio per almeno
un’ora
o due. – disse il vecchio uomo, allungando una mano sulla
spalla
del ragazzo. Gli sorrise, bonario – Sono sicuro che non
vorrai
rovinare la tua entrata in scena con un colpo di sonno!
Sentendo
una simile frase, Zuko dovette riflettere per bene sulla sua presa di
posizione. Stare alzato per tutto il viaggio, di vedetta
sopraccoperta, non gli avrebbe di certo giovato in un secondo momento
quando, finalmente, sarebbe arrivato il suo tanto agognato faccia a
faccia con il genitore.
Riluttante
abbassò lo sguardo, abbandonando le mani lungo i fianchi.
-
…dormirò massimo un’ora. Non di
più. – mormorò.
Iroh
scoppiò a ridere e, tirandogli una più che
affettuosa pacca sulla
schiena, lo sospinse verso la porta del boccaporto.
-
Certo, certo! Ci penserò io stesso a svegliarti scoccata la
fine
dell’ora!
◇♦◇
-
Mio signore, mi sembra molto affaticato. Non ha dormito bene?
Riscuotendosi
dallo stato di semi incoscienza, il Signore del Fuoco sgranò
per
bene gli occhi guardandosi in giro. Senza che se ne rendesse conto
era uscito dal bagno, si era rivestito e poi era corso di filata nei
sotterranei del palazzo, dove i laboratori che lui stesso aveva fatto
costruire lo stavano aspettando. Si guardò un attimo in
giro, per
assicurarsi di essere ben sveglio e di non stare ancora sognando.
-
…non ho dormito affatto, Capo Sezione Min.
-
Posso chiedere come mai, mio signore?
Zuko
si strinse nelle spalle, passandosi una mano fra i capelli corvini.
-
Brutti sogni, credo.
-
Oh, forse ultimamente state semplicemente lavorando troppo. Prendersi
dei periodi di vacanza fra una cosa importante e l’altra non
è mai
una cattiva idea.
-
Non sono il tipo capace di godersi una vacanza, io. – sorrise
–
Tendo a farmi carico del peso del mondo anche quando non
dovrei…
Entrambi
lasciarono cadere l’argomento, arrivati a questo punto. Min
non era
né suo amico, né di un grado abbastanza elevato
per potersi
impicciare impudentemente degli affari del proprio sovrano senza
incorrere nel rischio di osare troppo, e sebbene fosse chiaro a
chiunque quanto Zuko necessitasse di qualcuno pronto ad ascoltarlo,
nessuno che al momento fosse lì presente poteva accollarsi i
suoi
problemi personali. Lo stesso diretto interessato si considerava un
povero inetto quando lasciava che inutili crucci lo tenessero lontano
dai suoi doveri.
-
Immagino che lei sappia perché sono qui. – disse
ad un certo
punto, lasciando che alcuni servi aprissero le porte al loro
passaggio – Vorrei saltare i soliti resoconti e passare al
succo
della questione.
-
Ma certo.
-
Come sono i segni vitali?
-
Buoni. Nonostante il lungo periodo di sonno, risponde bene agli
stimoli esterni e sembra in buona, se non addirittura ottima
salute.
-
Possiamo quindi procedere?
-
Credo di sì.
Lo
guardò, riducendo gli occhi a due fessure. – Crede?
Min
annuì, ben conscio di stare facendo una pessima figura.
Cominciando
a sentirsi la gola secca, tentò di affrettarsi nella
spiegazione,
così da far capire al proprio capo il suo punto di vista.
-
Con “credo” intendo dire che, sebbene i responsi
siano
eccellenti, trovo sia alquanto rischioso portare a termine
l’opera
di risveglio. Se il soggetto dovesse reagire in modo errato, non oso
neanche pensare alla portata dei danni che potrebbe causare.
-
Sono qui proprio per evitare che questo avvenga, Min. – gli
rispose
l’altro, tornando a camminare più sicuro di prima.
Era stato il
primo ad avere dubbi su tutto, e se anche ancora non si fidava
dell’idea di Sokka, doveva in qualche modo dare una svolta
alla
guerra: andava avanti da troppo tempo ormai, lui stesso era nato e
cresciuto vivendo una vita sì dorata, ma con una sequela di
orribili
atrocità a fare da sfondo. Perfino lui, lui che faceva parte
della
famiglia che aveva causato al mondo tutte quelle pene, non vedeva
l’ora che lo spargimento di sangue si interrompesse.
Voleva
solo che il Regno della Terra si arrendesse. Che Toph si arrendesse.
– Se le cose dovessero davvero andare male,
basterà un attimo e
risolverò tutto.
Min
avrebbe voluto convincersi di tali parole, ma in un secondo momento,
sebbene esitante, si lasciò sfuggire un “ne siete
sicuro?”.
Zuko
non disse niente, sospirando appena.
No.
Non ne era sicuro.
Il
cane
che stavano andando a disturbare non era un cucciolo qualunque.
Avrebbe potuto essere la più grande fortuna per la Nazione
del Fuoco
o la sua più grande disgrazia.
◇♦◇
-
Spero tu sia conscio del significato di tutto questo, figlio mio.
Il
giovane principe, deglutendo, rimase immobile di fronte alla figura
del padre. Mentre lui se ne stava in ginocchio, un pugno a terra,
Ozai lo osservava con i suoi occhi d’ambra, severi
esattamente come
se li era ricordati. Due anni non erano serviti ad addolcirli, magari
rivelando nel profondo del suo animo un rammarico per aver tenuto
lontano il sangue del suo sangue per una questione a dir poco
ridicola.
-
Quello che tu hai fatto è sconvolgente, Zuko. Devo essere
sincero,
non credevo saresti mai tornato. – disse ancora
l’altro, alzando
di poco il mento - …non con un simile dono, comunque.
Oh,
tutti sapevano come il Sovrano si sarebbe atteso di rivederlo.
Probabilmente, nella sua visione ideale dei fatti, sarebbe stato
giusto vederlo prostrarsi ai suoi piedi pochi giorni dopo
l’esilio,
chiedendo perdono e perdendo così anche quel briciolo di
orgoglio
che gli era rimasto. E Azula, la quale ora Zuko sapeva essere
nascosta poco più in là, dietro ai grandi drappi
appesi ai muri,
magari avrebbe addirittura preferito vederlo dentro ad una bara,
morto per la fame poiché abbandonato anche dai pochi uomini
che lo
avevano seguito quando era salpato sulla nave concessagli da loro
padre.
E
invece, contro ogni prognostico, lui era lì. Vincente, per
una
volta.
-
…credevo… - la voce gli morì in gola e
allora, il ragazzo,
dovette stringere i denti e prendere coraggio – Credevo che
la
condizione per il mio ritorno fosse abbastanza chiara, padre. Mi
avete cacciato privandomi del mio onore, ma avete detto che se avessi
trovato un modo per farvi ricredere allora avrei potuto
riconquistarlo.
Ozai
abbozzò un sorriso, felicemente sorpreso dalle parole sicure
di
Zuko.
Di
certo aveva smesso di essere un bambino molle e debole, attaccato
alla sottana della madre e poco avvezzo alla vita che ben presto lo
avrebbe atteso. La vita lontano da casa doveva averlo rafforzato, in
qualche modo.
-
E credi di esserci riuscito, Zuko?
Lo
vide alzare gli occhi, guardandolo con ostentata freddezza. –
Ne
sono certo.
-
Fai bene. Sono cento anni che i membri della nostra famiglia cercano
l’Avatar e tu, figlio mio, sei riuscito
nell’intento. Sono fiero
di questo tuo successo.
Una
scarica di piacere percorse la schiena del principe a sentire quelle
parole uscire dalle labbra, capaci di sentenze unicamente crudeli, di
suo padre.
-
La più grande minaccia per la nostra Nazione è
ora nelle mie mani,
e tutto questo grazie a te.
-
…sono felice di essere stato d’aiuto, padre.
-
Ora non ci resta che ucciderlo.
A
questo Zuko non rispose. In cuor suo credeva fosse da codardi
togliere la vita a qualcuno che non poteva difendersi, ma con che
coraggio avrebbe mai potuto dirlo al Sovrano indiscusso della Nazione
del Fuoco? Con che coraggio, quando dal buonumore di suo padre
dipendeva il ritiro delle accuse che egli stesso gli aveva rivolto,
nonché la cancellazione del suo esilio?
-
Ti vedo perplesso… Qualcosa ti turba, ragazzo?
Si
morse un labbro, tornando a guardare il pavimento. In quelle
piastrelle lucide poteva specchiarsi alla perfezione, scrutando con
sempre rinnovato disgusto la punizione che quell’uomo aveva
deciso
di infliggergli permanentemente sul viso.
-
Io ho un’idea differente, riguardo l’Avatar.
– disse infine,
prendendo la situazione di petto.
Ozai
lo guardò, improvvisamente livido. – E quale
sarebbe…?
-
Quel blocco di ghiaccio è abbastanza solido da non
sciogliersi
neanche a temperature troppo elevate, se tenuto costantemente sotto
controllo. – mormorò – Potremmo tenerlo
in quello stato per
sempre, se volessimo.
-
A che pro?
Zuko
scrollò le spalle, con calma.
-
Sarebbe il simbolo della nostra grandezza, padre. Il simbolo della
tua…
grandezza. Un trofeo da sfoggiare contro il mondo. Un trofeo che
potrai ammirare fino a che avrai vita.
◇♦◇
Quello
che, in passato, aveva definito come un trofeo ora stava di fronte ai
suoi occhi, identico a come lo aveva lasciato prima che suo padre lo
portasse via, relegandolo chissà dove nelle segrete del loro
palazzo. Per il repentino sbalzo di temperatura, dal pezzo di
ghiaccio venivano fumi biancastri, i quali, prima di raggiungere gli
addetti che lavoravano là attorno, svanivano nella stessa
aria
divenendo invisibili. Zuko guardò con occhi poco interessati
i suoi
sottoposti e, piano, si fece di un passo più vicino
all’Avatar.
-
Una volta scongelato, lasciatemi del tempo per porgli qualche
domanda. – ordinò, voltandosi verso Min, il
responsabile del
progetto – Voglio assicurarmi che la sua memoria sia
azzerata, come
ha suggerito non più di qualche mese fa. Se così
fosse, potrò
riempirla a mio vantaggio, sfruttando le sue capacità come
meglio
credo.
Lo
scienziato lo guardò, la preoccupazione che, ormai, non
faceva altro
che salire.
-
Cosa dobbiamo fare se, invece, non reagisse… bene?
-
Rimanete indietro comunque. – sentenziò lui
– Non voglio dovermi
trattenere, se occorresse combattere.
Portati
a termine gli ultimi controlli, Min tirò una leva e, piano
piano, la
stanza cominciò a surriscaldarsi. Sotto al pezzo di
ghiaccio, alcune
fornaci presero a sciogliere il pesante strato che aveva fatto da
culla all’Avatar per lunghi, lunghissimi anni.
Zuko
non si spostò neanche di un passo, e quando il fumo fu del
tutto
diradato e le macchine vennero spente, si ritrovò a posare
gli occhi
non più su una figura con dei tratti difficili da
distinguere, bensì
di fronte ad una persona vera e propria… E ad un Bisonte
volante.
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Capitolo 7 *** New Life ***
Book
Four: Air
Chapter
six: New life
In
principio non fu semplice per lui riaprire gli occhi. Più ci
provava
e meno riusciva a vedere.
Era
una strana sensazione, quella che provava quando si sforzava con
tutto se stesso di tenere almeno un occhio aperto: i colori che aveva
attorno, seppure non troppo luminosi, gli vorticavano di fronte
confondendolo anche più del dovuto. Si sentiva pesante,
intorpidito,
quasi come non si muovesse da… Beh, da molti anni.
-
Do… Dove sono?
La
voce gli uscì dalle labbra peggio di un rantolo.
-
Ti trovi nel mio palazzo.
Aang
provò ad alzare il capo per poter guardare in viso colui che
gli
stava rivolgendo la parola, ma la forza gli stava venendo meno e la
vista stava tornando a farsi annebbiata.
-
…pa…lazzo…?
-
Ricordi chi sei?
Annuì,
dondolando malamente il capo. Stava per cadere svenuto a terra, se lo
sentiva.
-
…dimmi il tuo nome.
Fece
un ulteriore sforzo e, stringendo le mani in due pugni contro al
pavimento freddo, rispose – Aang.
-
Bene Aang. Qual è l’ultima cosa che ti
ricordi…?
Questa
sì che era una domanda strana da fare a qualcuno che
palesemente non
era nelle condizioni adatte per mettere insieme una frase di senso
compiuto. Sospirò, cercando di non dare troppo a vedere
quanto al
momento l’unica cosa da lui desiderata fosse un letto. Doveva
capire se si trovava al sicuro, se le persone che aveva attorno
– e
a giudicare dal mormorio che sentiva erano molte – fossero
amici o
nemici.
-
…io… Ricordo la tempesta… -
mormorò – Stavo volando su Appa
e…
Sgranò
gli occhi, scattando in ginocchio. – Appa!
-
Il tuo bisonte volante sta bene. Ora dobbiamo pensare a te,
piuttosto. Devo sapere con esattezza cosa ricordi, Aang.
Il
ragazzo scosse il capo, sfinito. Non ce l’avrebbe mai fatta a
parlare ancora, era assolutamente impossibile: chiuse gli occhi di
scatto, subito dopo che l’altro ebbe finito di dirgli
qualcosa, e
tutto ciò che sentì dopo fu solo un dolore acuto
al capo dopo aver
sbattuto contro al pavimento.
◇♦◇
Tutti
stavano inchinati di fronte ai suoi occhi.
I
suoi insegnanti, i ragazzi con cui era cresciuto e con cui aveva
giocato fino a quel mattino, tutti si erano letteralmente prostrati
ai suoi piedi, le mani giunte sotto alla fronte e le schiene ricurve.
Silenziosi. Come delle statue.
Perfino
il suo caro amico Gyatso, mentore e saggio uomo, rimase per un
secondo inchinato prima di alzare il capo e sorridergli. Sembrava
contento, addirittura pieno d’orgoglio verso il suo piccolo
allievo
dall’animo giocoso, eppure puro ed innocente. Aang
però, resosi
conto dei mille sacrifici che avrebbe dovuto compiere nel diventare
l’Avatar, il faro di salvezza che tutti avrebbero poi
chiamato per
soccorrerli, non riusciva a sentirsi altrettanto felice.
Aveva
solo dodici anni. Come potevano chiedergli di abbandonare la sua vita
- la quale ancora doveva effettivamente iniziare - per… Per
tutte
quelle responsabilità?
Non
poteva essere qualcun altro, l’Avatar?
-
No… - sussurrò, indietreggiando.
Gyatso
sgranò gli occhi, allungando la mano verso di lui.
-
No, no!
◇♦◇
Aang
si svegliò di soprassalto, respirando affannosamente mentre,
il suo
sguardo, si posava su tutto e su niente. Il sogno che aveva fatto non
aveva alcun senso per lui e questo, in una piccola misura, lo aveva
turbato. Non gli era mai capitato di fare sogni senza significato,
sogni che non riusciva a collocare in uno spazio o in un tempo a lui
familiari. Il solo riflettere su quel frammento di memoria gli faceva
dolere il capo.
Si
guardò in giro ancora una volta senza capire dove si
trovasse o, per
lo meno, come ci era arrivato. Con le mani strinse convulsamente le
lenzuola soffici e profumate che lo ricoprivano, sentendosi via via
sempre meno intontito, più curioso. La stanza in cui si
trovava era
più grande di quella che condivideva al Tempio con gli altri
giovani
Dominatori dell’Aria, e anche se non si era mai lamentato di
niente
doveva ammettere che quel materasso era decisamente più
comodo del
suo: lo avevano abituato a vivere dell’essenziale, senza
arrecare
mai danno a nessun essere vivente o alla Terra stessa, tuttavia in un
secondo gli balenò in testa il pensiero che la ricchezza
avesse
comunque dei pregi.
-
Accidenti, che posto… - disse, in un sussurro, uscendo dalle
coperte per gattonare fino al limitare dell’enorme letto a
baldacchino. Sorrise quando, sporgendosi un po’ verso la
finestra,
vide Appa intento a mangiare del fieno nel giardino. – Ehi,
amico!
Stai facendo la pacchia, eh?
Il
gigantesco bisonte tese le orecchie in alto, posando lo sguardo su di
lui non appena ebbe compreso da dove lo stava chiamando. Con ancora
del cibo fra le fauci, emise un muggito inconfondibile per Aang,
sintomo che il compagno di tante avventure stava apprezzando il
trattamento che gli avevano riservato dal risveglio.
-
Ora arrivo anche io!
Aang
provò a sollevarsi dal materasso con l’aiuto del
proprio Dominio,
ma non appena si fu librato in aria cadde rovinosamente a terra. Si
tirò dietro perfino il lenzuolo, il quale, attorcigliatosi
alla sua
caviglia, lo aveva poi ricoperto del tutto.
-
…ahi…
-
Temo ti ci vorrà un po’ per riprendere il pieno
possesso delle tue
capacità, Aang.
Il
ragazzino si scrollò di dosso ogni cosa, mettendosi seduto a
terra
velocemente per riuscire a guardare, almeno stavolta, la persona che
gli stava parlando. Quando fu in grado di compiere un simile,
semplice gesto, si scontrò con il viso pallido di un giovane
che non
aveva assolutamente mai incontrato. Si perse qualche secondo a
studiarlo, passando gli occhi grigi su ogni particolare rilevante
della sua persona: non si chiese se le sue attenzioni, così
minuziose, potessero essere in alcun modo male interpretate da colui
che era al centro della sua curiosità. Tuttavia non appena
approdò
sulla grande bruciatura che stava su quel volto arrossì,
vergognandosi a morte.
Di
certo, chi aveva simili cicatrici addosso, non amavano essere
guardato. Non troppo per lo meno.
-
…non preoccuparti, sono arrivato al punto in cui gli sguardi
altrui
non mi fanno più né caldo né freddo.
– sentenziò l’altro,
alzando le spalle – Ho passato troppo tempo a crucciarmi per
simili
idiozie, ora che sono cresciuto ci si aspetta da me che riservi
attenzione per altre questioni.
-
Del tipo?
-
Del tipo “come porre fine alla guerra in modo veloce ed
indolore”.
Aang
si sorprese nel sentirgli pronunciare proprio quella parola. Guerra.
Non ricordava che ce ne fosse una in atto, ma sapendo quanto i templi
dei Nomadi dell’Aria fossero isolati, non lo stupiva
più di tanto
l’essere allo scuro di alcune informazioni.
-
Siamo… In guerra? – chiese. – E con chi?
-
Principalmente con tutti.
Fece
per porre un’altra domanda, però il suo
interlocutore lo fermò,
alzando un palmo per zittirlo. – Sono sicuro che tu abbia
molte
cose da chiedermi, tuttavia credo che per il momento sia meglio
concentrarsi sul tuo pranzo. Certamente avrai una fame da lupi.
Lui
non fece in tempo a finire la frase, che lo stomaco di Aang
gorgogliò
platealmente, facendo rimbombare quel suono imbarazzante per le
quattro alte mura della stanza.
Scoppiò
a ridere. – A quanto pare hai perfettamente ragione!
All’arrivo
di un vassoio pieno di leccornie, l’attenzione del ragazzo
venne
drasticamente ridotta: decise di scartare, come ovvio, tutta la carne
che gli avevano offerto, ma per il resto non si fece complimenti e
mandò giù tutto gustandoselo appieno. Gli parve
quasi di non aver
messo niente sotto ai denti per secoli, il che era ironico. Ricordava
benissimo l’abbuffata che si era fatto solo il giorno prima,
con
tutti i suoi amici.
Tenendo
in mano un pezzo di mela, tornò a guardarsi intorno.
-
Dove siamo, esattamente?
Il
ragazzo che era entrato nella sua camera e che aveva dato ordini a
tutta la servitù entrata dalle porte sino ad allora, si era
messo
dinanzi alla finestra già da una buona decina di minuti, in
silenzio, lo sguardo perso chissà dove nel vuoto.
Aveva
quasi il sentore di stargli portando via un sacco di tempo.
-
…ci troviamo nella Capitale della Nazione del Fuoco,
all’interno
del Palazzo Reale.
Gli
occhioni di Aang si illuminarono d’immenso. – Siamo
dentro
al Palazzo Reale?!
Sorrise
beatamente, dondolando il capo. Se il suo amico Kuzon lo avesse
saputo, gli sarebbe sicuramente venuto un colpo! Alla faccia sua!
Fortuna che diceva sempre che era così tanto maldestro, da
non
meritare nemmeno la sua di presenza.
La
prossima volta in cui si sarebbero incontrati gliela avrebbe fatta
vedere.
-
Quindi… Tu sei il figlio del Signore del Fuoco, Sozin?
Sentendo
questo nome, l’altro si voltò e lo
fissò dritto negli occhi. Per
un secondo Aang credette che lui si aspettasse di vedere
chissà
cosa, ma ben presto tale convinzione parve svanire nel nulla
così
come era venuta, veloce.
-
…No. Io sono Zuko, il pronipote dell’uomo di cui
tu stai
parlando.
Stavolta
toccò a lui rimanere in silenzio.
Cosa
aveva detto? Il… Pronipote? E come accidenti era possibile?!
Con
un movimento fulmineo gli fu accanto, tutto grazie al Dominio
dell’Aria che finalmente pareva essere tornato a funzionare.
Aveva
il viso sconvolto, quello di chi aveva appena ripreso a non capire
assolutamente niente di ciò che gli stava succedendo.
-
Hai detto pronipote…? Ma… Ma non è
possibile!
-
Temo che ci siano non pochi buchi nella tua memoria, Aang. –
gli
rispose Zuko, tenendo le mani unite dietro alla schiena. Aveva
l’aria
di essere una persona molto, molto importante, il che non
poté fare
altro che metterlo ancora più a disagio. Quel ragazzo non
poteva
avere poi molti più anni di lui, e da che ne sapeva non si
dava il
titolo di Signore del Fuoco a degli adolescenti. – Desideri
che io
ti spieghi cosa è accaduto mentre eri rinchiuso nella tua
culla di
ghiaccio…?
Ovviamente
annuì, senza avere altra scelta.
Doveva
sapere.
◇♦◇
-
Il mio nome è Zuko e sono il nuovo Signore del Fuoco. Sono
passati
cento anni da quando tu, nel corso di una tempesta, ti sei perso nei
pressi del Polo Sud. Per salvare la tua stessa vita e quella del tuo
bisonte, ti sei ibernato all’interno di un pezzo di ghiaccio,
rimanendovi rinchiuso fino al momento in cui io non ti ho liberato
qualche ora fa.
Già
arrivati fino a qui, il racconto di Zuko gli era parso sconvolgente.
Non
aveva alcuna memoria di quell’avvenimento anche se, ad onor
del
vero, qualche immagine riguardante la tempesta riusciva a tornare a
galla quando si sforzava di ricordare. Sì, se si concentrava
abbastanza, riusciva quasi a percepire il freddo pungente del vento
che gli sferzava contro, il lamento continuo di Appa mentre cercava,
inutilmente, di mantenere una rotta.
Ricordava
tutto questo, ma non riusciva a richiamare a sé il resto
della
storia, la stessa che Zuko gli aveva in seguito raccontato.
-
Ma come mai stavo volando in mezzo ad una tempesta? Perché
non mi
trovavo al sicuro, al Tempio?
-
…nella migliore delle intenzioni, avevi deciso di dare una
mano al
mio bis bis nonno Sozin. Lui aveva in mente di unire tutti i popoli
sotto ad un unico vessillo, dando l’occasione ai poveri di
avere le
stesse opportunità dei ricchi in un mondo dove ognuno di noi
sarebbe
stato uguale all’altro. – gli
aveva detto il moro, sicuro. – Tuttavia
non tutti erano
d’accordo con lui e ben presto cominciò
un’aspra battaglia fra
la Nazione del Fuoco e tutti gli altri regni. I Nomadi
dell’aria
non vollero partecipare ma tu, che ti sentivi parte della disputa,
decidesti di correre in nostro soccorso.
-
Io ho… Fatto una scelta del genere?
Zuko
aveva annuito. – Sì. E per
questo i tuoi ti bandirono.
Era
proprio questo che non riusciva a mandare giù. Le
possibilità che i
suoi amici, che le persone con cui aveva condiviso ogni singola cosa
sin dalla nascita compreso Gyatso, avessero potuto bandirlo
era…
Era senza senso. I monaci non erano soliti portare rancore, non
sfoderavano leggi di quel genere e non obbligavano mai nessuno a
vederla come loro.
Quindi
che senso aveva bandirlo, quando tutti gli insegnamenti che gli
avevano dato recitavano “sii sempre fedele a te
stesso”?
Se
davvero aveva deciso di seguire Sozin, il vecchio Signore del Fuoco,
aveva certamente avuto le sue ragioni. Perfino ora credeva che vivere
nell’ignoranza, come a quanto pare avevano deciso di fare i
Dominatori dell’aria, fosse sbagliato. C’era una
guerra in atto e
anche loro dovevano partecipare, se non altro per porre fine alle
malvagità, dando una mano a chi ne aveva bisogno.
-
Tutto questo è fuori dalla mia portata… Non so
cosa fare.
-
In cuor tuo sai cosa è giusto fare. Dopo cento anni,
dovresti ancora
avere le idee chiare no?
Aang
lo aveva guardato, incerto. - …credo
di sì.
-
Già una volta hai giurato fedeltà ad un Signore
del Fuoco. –
aveva aggiunto
Zuko. –
Non ti resta che rifarlo, per onorare la promessa che facesti a
Sozin. Lotterai al mio fianco, per riunire i regni?
Lui
aveva annuito.
-
Bene. In questo caso ho già un compito da affidarti.
Zuko
lo aveva rivestito da capo a piedi, donandogli degli abiti che non
avevano assolutamente niente a che fare con quelli arancioni ai quali
era abituato. Ora, guardandosi allo specchio, aveva visto un soldato.
Un mercenario. In lui non c’era più niente che
potesse ricondurre
al monaco che era sempre stato. Dopo i mesi passati sotto
all’ala
protettrice del Sovrano, in seguito al suo risveglio, perfino i suoi
capelli erano cresciuti.
Si
passò la mano fra quei ciuffi marroncini, sospirando. La
freccia
azzurra che contraddistingueva un Nomade dell’aria era ben
celata
sotto ad una bandana ripiegata su se stessa, così da non
destare
sospetti all’interno delle truppe alleate. A quanto pareva
dominare
l’aria non era cosa da tutti i giorni, per i sudditi di Zuko.
-
Credo tu possa capire quanto sia necessaria la massima segretezza.
-
…i Dominatori dell’Aria sono così tanto
disprezzati, qui?
-
Qualcosa del genere.
La
vaghezza della risposta di Zuko lo aveva insospettito, ma essendo lui
l’unico conoscente che aveva in quel nuovo mondo,
più vecchio di
cento anni rispetto a quello in cui aveva vissuto, non aveva alcuna
intenzione di contraddirlo. Desiderava avere almeno un amico con cui
poter parlare seriamente, visto che Appa, per quanto importante, non
aveva ancora la facoltà di rispondergli e dargli consiglio.
-
Hai detto che il mio compito è quello di fermare la Morte
dell’Est.
– Aveva
detto ad un certo
punto, curioso verso questa emblematica figura. Gliela avevano
descritta come una sua coetanea, e anche questa volta lo aveva
sorpreso molto il notare quanto, al giorno d’oggi, si
cominciassero
a vivere simili avventure così giovani. Per di
più, a quanto aveva
capito, la somma condottiera del Regno della Terra era…
Cieca. –
Come si chiama?
-
Toph Bei Fong. E non farti incantare dal suo aspetto, non ha niente
di fragile. La sua unica pecca è la sua eccessiva
testardaggine, per
il resto è un nemico potente.
-
Se è così potente perché vuoi che sia io
ad occuparmi di lei?
Lo
aveva domandato con la più grande innocenza possibile. Non
aveva mai
avuto molta fiducia nelle sue capacità di Dominatore, il che
spesso
lo aveva condotto a dare meno di quanto avrebbe potuto. Zuko invece,
che lo conosceva da poco tempo, sembrava essersi già
convinto della
sua bravura, un po’ come aveva sempre fatto anche il suo
vecchio
amico Gyatso o lo stesso petulante Kuzon. Quelle tre persone,
nonostante fossero ad un secolo di distanza fra loro, lo guardavano
esattamente allo stesso modo: come se nelle sue mani fosse racchiuso
tutto il potere del mondo.
-
Ti mando sul campo perché mi fido di te e delle tue
capacità. –
gli
aveva risposto.
– Io so
che sei tu, la chiave di svolta per questa guerra.
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Capitolo 8 *** You’ve got to be kidding me… ***
Book
One: Earth
Chapter
seven: You’ve got to be kidding me…
Non
c’era niente di peggio, al mondo, del provare per mesi la
costante
sensazione di aver perso un passaggio importante di ciò che
ci
accade attorno. Toph aveva passato gli ultimi tempi a combattere
battaglie di poco conto contro ad un esercito all’apparenza
addirittura svogliato, privo della verve che fino a quel momento
aveva contraddistinto ogni Dominatore del Fuoco. I suoi consiglieri
trovavano modo di ridere della situazione, giudicandosi
prematuramente vincitori di una guerra che non vedeva cambiamenti
duraturi da più di cento anni, ma lei, lei che mai aveva
dato
qualcosa per scontato, continuava a sentirsi persa. In agitazione.
Al
fronte si sentiva osservata, studiata, e alla pari di un nervo
scoperto dava il meglio ed il peggio di sé a seconda di come
le cose
riuscissero o meno a turbarla. Sapeva che qualcuno la stava guardando
e sapeva che Zuko, il suo avversario, era assente da tutto quel tempo
poiché intento a sferrarle un colpo micidiale.
Uno
di quelli che avrebbe potuto distruggere tutto ciò che aveva
così
faticosamente creato.
-
Comandante Shun, mi piacerebbe molto sapere come mai,
quest’oggi,
siete così su di giri.
Toph,
camminando al suo fianco, aveva percepito la sua eccitazione con il
solo contatto delle piante dei piedi col terreno. Quella era una dote
che le tornava costantemente utile, ma che al tempo stesso aveva la
facoltà di turbarla. Non sempre comprendeva il motivo che
spingeva
una data persona a sentirsi in un certo modo. Men che meno quando
quella persona era Shun.
Tutti
conoscevano le prodezze di gioventù di quell’uomo,
però erano in
pochi a conoscere la sua effettiva sete di potere. Più e
più volte
lo stesso Cheng la aveva messa in guardia nei suoi confronti,
reputandolo addirittura più pericoloso di quanto lei stessa
non
avesse già appurato. La sua, più che fama di
potere, si stava
tramutando in uno spasmodico desiderio di avere sempre una migliore
posizione all’interno della gerarchia militaresca e politica
del
Regno della Terra; voleva più denaro, più
stabilità, più persone
pronte a dirgli “sì, Signore, la pensiamo
esattamente come voi”.
Se
fosse stato per il suo solito comportamento, Toph non si sarebbe mai
data pena nel cercare di capirlo. Perfino ora non era del tutto
sicura di voler sapere cosa lo rendesse tanto emozionato.
-
Non lo sentite anche voi, mia Signora?
Il
Comandante si voltò verso di lei, sorridendo.
-
…sento che stiamo per vincere la guerra.
Lei
trattenne una risata e, dopo aver scosso con forza il capo, si mise
una mano lungo il fianco destro. – Spero che voi sappiate
quanto
affermazioni del genere siano solite portare enorme sfortuna. Non
vorrei mai che il vostro ottimismo trovi un brutto riscontro con la
realtà, in seguito…
-
Io confido nelle vostre capacità di leader, mia Signora, e
credo che
l’improvviso ritiro del Signore del Fuoco non sia altro che
un
segno.
-
Un segno?
-
Sì.
-
Un segno di chi?
Shun
rimase silenzioso per un attimo, ma poi, subito, le rispose.
– Un
segno dal Regno degli Spiriti!
-
Addirittura!
Qualche
soldato, alle loro spalle, rise sommessamente, e lei non
poté far
altro che seguire il loro esempio. Alle volte parlare con
quell’individuo le veniva difficile, però
prenderlo in giro era
qualcosa che non passava mai di moda. Del resto non era una di quelle
persone che trovava complicato adoperare il proprio sarcasmo, anzi.
Chi la conosceva bene sapeva che quella era una delle sue migliori
difese.
-
Mi spiace deluderla, Comandante Shun, ma sono convinta che gli
spiriti abbiano faccende assai più importanti di cui
occuparsi.
E,
detto questo, allungò il passo. La piccola parentesi
divertente
doveva chiudersi all’istante, visto che si stavano
avvicinando al
fronte. In distanza sentiva le armi cozzare contro agli scudi e alle
armature, sentiva le urla dei suoi compagni e dei nemici, sentiva lo
sforzo che si celava dietro ad ogni colpo. Sentiva il peso di quella
guerra tutto sulle spalle, inesorabile, capace di penetrarle nella
carne con più facilità di quanto non avrebbe
potuto farlo una
spada.
-
…temo che alla fine di questa giornata, dovrete ricredervi
del
tutto, Comandante.
◇♦◇
Come
sempre la Regina di Ba Sing-Se stava dando del suo meglio. Erano
davvero in pochi quelli capaci di darle del filo da torcere, e anche
nel caso in cui effettivamente venisse costretta ad indietreggiare di
qualche passo, subito tornava all’attacco senza mai perdersi
d’animo. La sua forza, lo sapevano tutti, stava proprio in
questo:
nella sua spasmodica ed ineccepibile sicurezza.
Sapeva
che la possibilità di perdere faceva parte del
“gioco”, ma non
continuava a tormentarsi l’animo con quel timore, e anzi
faceva del
suo meglio per concentrarsi sull’altro cinquanta per cento,
sulla
piccola speranza che il destino per una volta avrebbe anche potuto
tirare i dadi in suo favore. In fondo non faceva male pregare
qualcuno, lassù, affinché le cose cominciassero a
migliorare. Non
era mai stata una credente attiva, tuttavia non aveva mai rinnegato
il pensiero che da qualche parte, al mondo, esistessero cose che gli
umani non potessero comprendere.
Quel
momento però non era adatto per simili pensieri. Nel bel
mezzo della
ressa, Toph pensava solamente ad una cosa, la stessa a cui aveva
pensato da che aveva preso le redini del proprio destino: voleva la
libertà, per se stessa, per gli altri, per tutti quelli che
erano
stati maltrattati e che avevano vissuto sino ad allora nel terrore.
Ormai non si poteva neanche più parlare o pensare senza che
la
Nazione del Fuoco non si attivasse per reprimere anche la
benché
minima idea di ribellione.
Lei
doveva continuare a combattere.
Doveva,
perché altrimenti nessuno lo avrebbe fatto più.
Perfino il grande
Comandante Shun, figlio della guerra stessa, si sarebbe arreso.
-
Ma… Cosa diavolo è quello…?
La
ragazzina alzò di scatto gli occhi verso il cielo, ben
conscia di
non poter effettivamente vedere quello che stava venendo loro
incontro. Per un secondo si diede mentalmente della stupida, ma
quando udì con fin troppa chiarezza il rumore di un oggetto
molto
grande in avvicinamento, prese un respiro profondo e calciò
la terra
per far sì che una piccola collinetta si ergesse sotto di
lei.
-
Tenete occupati i soldati, Comandante! – ordinò,
cercando più
calma interiore possibile. Doveva prendere la mira, però
essendo il
suo bersaglio dove non poteva vedere per niente, aveva bisogno di
concentrarsi al massimo sul proprio udito.
-
Avete sentito?! – sbraitò Shun. –
Coprite la Regina!
Lei
chiuse le palpebre, unendo per qualche attimo i palmi di fronte al
viso. Fece una leggera flessione sulle gambe e poi si
estraniò del
tutto da ciò che aveva attorno: il rumore della battaglia
venne
eliminato, e di sottofondo le rimase solo il suono continuo del suo
respiro. Tutto era buio. Tutto era silente…
…fino
a che non riuscì a capire la direzione da cui stava
arrivando la
nuova minaccia.
Con
un movimento repentino staccò due massi dalla terra e le
scagliò in
cielo, sicura di averli lanciati nella direzione esatta.
-
L’ho preso…? – chiese.
Fu
allora che una folata di vento la scaraventò a terra assieme
a tutte
le truppe. Perfino gli avversari ebbero difficoltà nel
mantenersi
stabili.
Da
che aveva cominciato a lottare, Toph non aveva mai avuto una
esperienza simile. Aveva conficcato nel terreno le dita, concentrando
tutta la forza del suo dominio nelle falangi, ma per quanto si stesse
impegnando l’aria attorno a lei la stava sollevando sempre
più su.
Arrivò al punto in cui una intera zolla venne via con lei,
portata
lontano dal campo, lontano dai compagni, lontano dal chiasso e dalle
urla.
◇♦◇
Quando
finalmente riuscì a rimettere piedi a terra, fece una
capriola e si
guardò attorno, trasognata, senza darsi una spiegazione
circa ciò
che era successo. Per la prima volta da sempre aveva paura per se
stessa, perché è questo il potere
dell’ignoranza, ci rende ciechi
e terrorizzati al pensiero di non sapere con esattezza contro chi
–
o che cosa – stiamo combattendo.
Rimase
immobile per un tempo che le parve infinito almeno fino a che, un
tonfo, non la fece scattare in piedi. Ancora una volta
sollevò un
masso grande il doppio di lei e lo tenne bene sollevato al suo
fianco, in modo da poter colpire il nemico all’istante, se la
avesse attaccata.
-
Chi sei?
La
sua voce non lasciava trasparire la benché minima traccia di
insicurezza, non si sarebbe mai perdonata d’essersi mostrata
debole
di fronte a chicchessia, men che meno quando erano in molti a contare
su di lei. Le persone guardavano a lei come ad un esempio, non poteva
essere debole.
Alcuni
passi leggeri vennero seguiti dalle sue parole, e Toph si
stupì nel
percepire a mala pena la presenza di chiunque avesse di fronte.
Corrugò la fronte, riducendo gli occhi a due fessure.
-
Cos’è… Hai perso la lingua, twinkle
toes?
Devo chiederti il tuo nome con le maniere forti?
-
Io sono Aang.
Stizzita
alzò di poco il mento. – Bene Aang, immagino che
tu mi abbia
portata qui per un duello all’ultimo sangue quindi
procediamo. Non
ho tempo da perdere con una mezza calzetta come te.
-
Neanche mi conosci, come fai a sapere che sono una mezza
calzetta…?
Sorrise.
– Si capisce subito da come ti muovi. Percepisco da un
chilometro
di distanza la tua incertezza.
A
questa frase il ragazzino – che a suo parere non doveva
essere più
grande di lei – si fermò a metà strada,
rilasciando ancora più
agitazione nel corpo. Toph lo notò subito.
-
…ti ha mandato il musone…?
– pose un’altra domanda, senza farsi alcuno
scrupolo. Tanto
valeva estrapolargli più informazioni possibili prima di
metterlo
KO. A giudicare da quanto era gracile, non ci avrebbe messo molto a
tornare dagli altri. – Zuko, intendo.
-
Sì. Mi ha dato ordine di…occuparmi
di te.
-
Occuparti di me? Cosa sono, una neonata?!
Con
rabbia scagliò l’enorme sasso contro di lui, ma
con sua grande
sorpresa non fu in grado di colpirlo: il ragazzo era schizzato via
con una velocità mai vista prima, svicolando dalla minaccia
con la
stessa agilità di un serpente.
Subito
le balenò un pensiero nella mente che, senza indugio,
cercò di
scacciare.
Lui
non poteva essere un Dominatore dell’Aria. Erano tutti morti.
Tutti. Compreso l’Avatar.
Le
avevano parlato delle abilità in possesso dei Nomadi
dell’Aria, e
mai avrebbe creduto di poter assistere – in un modo tutto
suo,
certo – all’effettiva esecuzione di una mossa come
quella.
Deglutì.
-
Mi dispiace ma io devo tornare. – disse – Mettiti
in guardia.
Che
fosse o meno ciò che pensava, non aveva importanza. Lei
doveva
tornare indietro, a dare una mano ai suoi soldati, nella speranza che
durante la sua assenza non avessero già subito perdite
troppo gravi.
Quindi si mise in posizione e, sempre tenendosi a distanza da lui,
cominciò a scagliargli contro quanti più massi
poteva. Aprì delle
voragini sotto ai suoi piedi, erse dislivelli per fargli perdere la
bussola, e proprio quando le cose parvero mettersi per il meglio, lo
spinse imprigionato contro ad un muro di roccia.
Sorrise,
avvicinandosi a lui ora che era ben fermo e non poteva assolutamente
scappare.
Con
le mani sui fianchi si piegò in avanti, leggermente
risentita.
-
Non ti sei impegnato. – mormorò.
-
…sì che mi sono impegnato!
-
Metti a dura prova la mia pazienza, twinkle toes. Se questo era il
tuo migliore tentativo di togliermi di mezzo, allora hai fatto
davvero pena.
-
Io mi chiamo Aang!
-
Aang, “bamboccio
incompetente”…
Che differenza fa, se comunque hai perso? Io ho vinto, quindi ti chiamo
come voglio. Anzi. Me ne vado proprio.
Non
aveva alcuna intenzione di spendere altro tempo prezioso in compagnia
di quello sconosciuto. Un ragazzino comparso dal nulla, per quanto in
possesso di alcune capacità che l'avevano certamente fatta
vacillare, non era abbastanza importante per tenere la Regina di Bang
Sing-Se lontana dalla battaglia così a lungo. Per di
più, la
mancanza di volontà del nuovo nemico di combattere contro di
lei
seriamente, le impediva di vedere in lui un degno avversario.
Se
quello era tutto ciò che il Signore del Fuoco poteva fare
per
distrarla, per trarla finalmente in inganno e batterla, allora era
piuttosto evidente che Zuko l'aveva bellamente sottovalutata. Un
errore, quello, che si sarebbe assicurata di fargli notare quando
finalmente lo avrebbe messo in ginocchio, dopo aver posto un termine
a quella guerra infinita.
Preoccupata
dunque – come sempre del resto – per tutte quelle
cose, Toph
diede le spalle al ragazzo senza darsi ulteriore pena per
ciò che
quest'ultimo avrebbe potuto fare. Si sentiva sicura, certa di non
aver più niente da spartire con lui, e per tanto trovava che
abbandonarlo lì nella propria miseria fosse più
che altro un gesto
magnanimo da parte sua: altri lo avrebbe ucciso, togliendogli la vita
solamente per aver osato pensare di essere una minaccia, ma lei per
quanto all'apparenza dura non era mai stata tanto crudele dal
compiere simili deprecabili azioni.
-
Aspetta.
Emise
un sospiro, fermandosi più per esasperazione che per via
della sua
richiesta.
Passandosi
una mano sul viso, cercò di nascondere meglio che
poté il
nervosismo che stava provando. Non era mai stata molto brava
nell'intento, tuttavia sapeva alla perfezione che come Regina era
necessario comportarsi in un certo modo anche di fronte ad un nemico:
un conto era quando si sentiva libera di essere se stessa con persone
che conosceva e che per di più erano suoi sottoposti, un
altro era
interagire con individui a lei sconosciuti. Come avrebbe detto il
generale Cheng, mantenere
un certo decoro non poteva far di certo male.
-
Lo sai, cominci a spazientirmi. - disse Toph, senza avere alcuna
intenzione di voltarsi nella sua direzione. Aveva deciso di andarsene
e così avrebbe fatto. - Io non ho tempo da perdere con te,
intesi? A
qualche chilometro da qui la mia gente sta combattendo in mio nome e
se vuoi saperlo non faccio parte di quei sovrani che rimangono al
sicuro, mentre altri fanno il lavoro sporco.
Stava
ovviamente facendo riferimento a Zuko e al suo aver inviato quello
che pareva a tutti gli effetti un mercenario – addirittura
incapace
– per farla fuori. Erano quelle le cose che più la
facevano
imbestialire: atti tanto scellerati e privi di onore la mandavano ai
pazzi, ed era un miracolo che non avesse ancora scatenato la sua ira
contro al povero malcapitato che aveva alle spalle.
-
Mi hanno insegnato a non imporre mai il mio volere sugli altri.
Aang
si mise in piedi, movimento quello che non sfuggì di certo
alla sua
avversaria. Le orecchie di Toph funzionavano alla perfezione, e per
quanto il ragazzo avesse già ampiamente dimostrato di essere
capace
di muoversi facendo il minimo rumore, lei si era allenata fin troppo
per riuscire a farsi incastrare da qualcosa del genere. Ovviamente
rimaneva stupita della sua agilità, ma nulla di
più. Ci voleva ben
altro, probabilmente, per metterla davvero in crisi.
-
...fin da quando ero bambino, mi è stato detto di non usare
mai la
forza per ottenere ciò che volevo. Ho fatto tesoro di certi
insegnamenti per lungo tempo, ma ora... Ora credo di non doverne
più
tenere conto.
Non
avendo la più pallida idea di dove l'altro stesse andando a
parare,
Toph si girò di scatto già pronta ad urlargli in
faccia di non
essere per nulla interessata all'intera cronaca della sua vita.
Quando però fece tanto di voltarsi, l'evidente cambio
d'atmosfera la
costrinse a corrugare la fronte e ad assumere una posizione di
difesa.
Era
risaputo che i ciechi fossero capaci di adoperare alla perfezione i
sensi di cui non erano stati privati, tanto che alcuni parevano non
avere alcun impedimento quando chi stava loro attorno li osservava.
Quello che però stava sperimentando era un qualcosa che
andava ben
oltre le sue capacità personali, un qualcosa di cui perfino
uno
sciocco senza alcuna idea di come valutare l'avversario o come
combattere avrebbe potuto facilmente rendersi conto. La forza di Aang
era venuta fuori tutta d'un tratto, senza che lei potesse neanche
accorgersene autonomamente: un momento prima era inferiore a Toph
sotto ad ogni punto di vista, quello dopo invece... Era un mostro.
-
Se quello che mi è stato detto corrisponde a
verità, non ho più
alcun motivo per trattenermi.
In
mancanza della possibilità di comprendere appieno il
significato
delle sue parole, alla giovane condottiera non rimase altro da fare
se non rimanere ferma immobile, la fronte che via via andava a
corrugarsi sempre di più mentre di fronte a lei aveva inizio
uno
spettacolo che d'improvviso le fece rimpiangere di non poter vedere.
Quell'handicap per la prima volta dopo anni la fece sentire smarrita,
in totale balia del fato e senza alcuna possibilità di
rivalsa. Non
percepiva dentro di sé quella paura da quando era una
bambina, ed il
ritrovarsi ora di nuovo preda di quell'emozione la turbava.
Se
solo avesse potuto vedere quel che stava capitando, oltre a
percepirlo in altri modi, sarebbe stata testimone di un qualcosa a
cui nessuno aveva assistito in oltre un secolo. Un qualcosa che lei
conosceva, ma a cui stentava a credere per via
dell'assurdità della
situazione.
Come
aveva fatto Zuko a convincere proprio
lui
a passare dalla sua parte? E come poteva quel ragazzo essere in
combutta con la sola persona responsabile di tutto il male che stava
dilagando nel loro mondo?
Simili
domande non avrebbero mai trovato risposta. Non in quel momento,
comunque.
Se
voleva sapere che cosa stava succedendo, doveva ingaggiare una nuova
battaglia con Aang ed uscirne vincitrice. In cuor suo sapeva di non
avere alcuna speranza di vittoria, ma non si sarebbe data per vinta
troppo presto: non stava di certo lottando solamente per se stessa,
sulle spalle aveva il destino di migliaia di altre persone, uomini,
donne e bambini che avevano dato a lei ogni briciola della propria
fiducia, nella speranza che grazie alla sua forza la pace finalmente
sarebbe tornata nella vita di tutti quanti.
Toph
deglutì, abbozzando un sorriso nervoso. - Fai del tuo
peggio, mi
raccomando. Detesto perdere tempo in una lotta senza senso.
Aang
non le rispose.
Nel
giro di qualche attimo – questo lo sapevano entrambi
– uno di
loro si sarebbe ritrovato disteso a terra.
Spazio all'autrice: Mi inserisco un secondo per dire due semplici cosette. La prima è che ho lasciato il nomignolo di Toph per Aang in inglese perché personalmente credo suoni meglio della versione italiana...e perché io questo cartone l'ho guardato tutto in inglese E ho i dvd in inglese, e fare altrimenti mi sembrava troppo strano LOL
La seconda cosa è che chiedo scusa a tutti i lettori per aver aggiornato così sporadicamente questa storia. No, non me ne ero scordata, ma purtroppo quest'anno ho avuto poco tempo per scrivere in modo ricreativo(?). Ora però sono tornata eeeeee... Boh, grazie a chi ancora sta leggendo dopo tutto questo tempo? Ahahahah luv ya! ♥ |
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Capitolo 9 *** Happy family? ***
Book
Two: Fire
Chapter
eight: Happy family?
Stranamente,
per la prima volta dopo molti anni, Zuko sentì un grosso
peso
abbandonarlo. Nell'inviare Aang al fronte con l'incarico di catturare
Toph, si era anche assicurato di impedire che le cose potessero
sfuggire di mano, lasciando alla Morte dell'Est l'occasione per
evadere nuovamente dal suo controllo. Stavolta aveva calcolato ogni
mossa personalmente, senza farsi influenzare dalle parole dei propri
consiglieri e dei generali: da solo era venuto a capo di un piano e,
collegando gli sforzi attuali con qualcosa che teneva in serbo da
tempo, aveva finito col ritrovarsi fra le mani la giusta leva per
portare a proprio favore quella guerra.
Ci
erano voluti esattamente due mesi per portare tutte le pedine che gli
servivano al posto in cui le voleva, e ora che finalmente riusciva ad
intravedere la luce in fondo al tunnel, una strana sensazione di
quiete gli aveva pervaso l'animo. Nemmeno ricordava l'ultima volta in
cui era stato tanto tranquillo, tanto sicuro della riuscita dei suoi
piani. O forse, proprio perché non ricordava un avvenimento
simile,
sarebbe stato più facile immaginare che mai si era sentito
del tutto
privo di dubbi.
-
Con questi documenti abbiamo finito, mio signore.
Il
servitore inviato dal Generale Quiang gli indicò lo spazio
su cui
lasciare la propria firma, ripetendo in seguito quella stessa azione
sugli ulteriori quattro fogli presenti sotto al primo. Lui
annuì
sovrappensiero, la penna intinta nell'inchiostro a scricchiolare con
leggerezza sulla superficie ruvida. Quando la carta assorbì
anche
l'ultima goccia scura, finalmente il servo si congedò
lasciando Zuko
solo all'interno del proprio studio.
Era
in effetti una cosa rara che proprio lui, il Signore del Fuoco,
venisse lasciato solo molto a lungo. Da che era salito al trono,
succedendo di diritto al padre Ozai in seguito alla sua morte, aveva
come l'impressione di aver passato più tempo in compagnia
altrui
anziché di se stesso: i suoi doveri erano molteplici, e
sebbene
tecnicamente
fosse lui
l'unico col diritto di dettare legge, non gli era comunque concesso
di gestire autonomamente il tempo di cui disponeva. I momenti in cui
finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo, liberandosi insieme
della maschera imperturbabile che a forza si era cucito in volto in
seguito all'incoronazione, erano talmente rari da apparirgli estranei
nell'attimo in cui alla fine riusciva ad assaporarli.
Inutile
dire che, di solito, non faceva il tempo ad abituarsi all'idea di non
avere nulla di importante da fare, che subito qualcuno bussava alla
sua porta del tutto intenzionato a carpire la sua attenzione.
Si
domandò quale sarebbe stata questa volta la
calamità che richiedeva
il suo consulto. Si chiese se, allo scoccare del prossimo minuto,
dalla porta che dava sul corridoio principale non sarebbe entrato
qualcuno, respiro trafelato e occhi di chi aveva appena visto la
morte in faccia.
Alzando
lo sguardo sulla stessa porta che nei suoi pensieri aveva appena
fatto entrare almeno una miriade di messaggeri tutti diversi e ognuno
con una preoccupazione personale, Zuko rimase immobile ed in
silenzio, attendendo che da un momento all'altro si scatenasse
l'inferno.
...ma
non accadde nulla.
A
dispetto di tutte le sue precedenti esperienze e a dispetto di
ciò
che reputava essere diventata ormai una routine, Zuko si
ritrovò a
contemplare il vuoto una volta che la sua convinzione di sapere tutto
venne così brutalmente sfatata. Dall'uscio non
entrò nessuno,
perfino nel tendere le orecchie alla disperata ricerca di un
qualsiasi rumore all'esterno non riusciva ad udire nulla che potesse
dargli pensiero.
Era
solo.
Solo
in una stanza gigantesca, con la mente affaticata dal continuo sforzo
per venire a capo di nuovi piani e l'animo pesante, afflitto da
colpe e memorie che non lo avrebbero mai abbandonato.
Improvvisamente
sentì il bisogno di alzarsi, uscire e cercare qualcosa da
fare. Non
era davvero più abituato a quella calma, non sapeva cosa
fare quando
tutto trovava una conclusione – anche se temporanea
– ed il
destino gli chiedeva di rimanere in disparte, ad attendere che tutto
andasse come voleva o che le cose gli si sfacessero fra le mani.
Zuko, a diciotto anni, già non aveva più idea di
che cosa
significasse passare anche solo un'ora dedicata a se stessi, indetta
allo svago e alla più totale noncuranza di tutto quanto il
resto.
-
Buonasera, mio signore.
Il
giovane, dopo aver aperto la porta per uscire dallo studio,
incrociò
il proprio cammino con una delle tante serve predisposte lungo
l'intera pianta del suo palazzo. Fece un segno del capo, educato come
suo solito, gli occhi che però non si posarono su di lei se
non per
appena qualche secondo. Gli avevano insegnato a mostrare riguardo
verso le persone, a mostrare che era stato cresciuto in una famiglia
sì potente ma rispettosa, e sebbene in quegli anni avesse
fatto del
suo meglio per onorare il ricordo della donna che in primis gli aveva
impartito certe regole, il suo cuore si era indurito a tal punto da
impedirgli di dimostrare del vero e proprio interesse verso chi aveva
attorno. Specialmente se di rango inferiore.
◇♦◇
-
Che modi di ragionare sono mai questi, Zuko?
La
voce austera della madre, da sempre comunque condita con una nota di
pura dolcezza, giunse alle orecchie del giovane Principe come la
peggiore delle accuse. Se ne rimase infatti al suo cospetto, indeciso
sul da farsi e pure un pochetto disorientato. Ogni volta che parlava
con la madre sentiva addosso un'apprensione del tutto diversa da
quella che, di norma, lo colpiva quando era nelle vicinanze del
padre: voleva essere accettato da entrambi, ma se con Ozai ogni suo
tentativo pareva finire nel peggiore dei modi ogni volta, con Ursa
era diverso; alla base del problema comune c'erano due persone agli
antipodi.
-
Non guardare mai le persone dall'alto in basso, figlio mio. Non
comportarti come se fossi superiore, solo perché hai avuto
la
fortuna di nascere con una posizione sicura e pieno di denaro.
-
Ma papà dice sempre che...
-
...se ascolterai tuo padre, Zuko, finirai col diventare esattamente
come lui. Cieco.
Il
piccoletto corrugò la fronte, di nuovo incapace di
comprendere a
cosa la madre si riferisse.
-
Papà ci vede benissimo, mamma.
Ursa
sorrise, ma nella sua espressione Zuko non lesse nemmeno una briciola
della gioia che le vedeva dipinta in volto quando sorrideva
veramente. Quando sfoggiava quel genere
d'espressioni,
sentiva in cuor suo la necessità di proteggerla, di
aiutarla, di
farle capire che qualunque cosa fosse successa lui
non l'avrebbe mai e poi mai ferita.
-
Lo so, tesoro. Quando dico che tuo padre è
“cieco”, intendo dire
che ha il brutto vizio di non capire quali sono le cose veramente
importanti. - Si voltò a guardarlo, stavolta adoperando un
sorriso
meno rabbuiato e più materno. - Cerca solo di non perdere
mai di
vista chi sei veramente.
◇♦◇
Il
rumore a lui estremamente famigliare di una palla di fuoco scagliata
nella sua direzione, lo costrinse per il momento a lasciare da una
parte determinati ricordi. Così come la memoria di quella
discussione con la madre gli era venuta, presto si dissolse,
lasciandogli in petto la consapevolezza di non aver compreso affatto
ciò che quel ricordo voleva suggerirgli.
Scattato
da una parte, schivò con grazia quella sfera incandescente
il cui
mandante, una volta notati i suoi colori bluastri, non fu difficile
da intuire.
Con
un sospiro, Zuko si risollevò e mise a posto il proprio
soprabito. -
Azula...
La
voce gli uscì arida dalla bocca, priva di una qualsiasi
emozione.
Tale era il sentimento che la sorella gli faceva scaturire da dentro,
che oramai il Signore del Fuoco non riusciva più nemmeno a
dimostrarle un briciolo del proprio interesse. Rimase semplicemente
impassibile, gli occhi dorati a scrutarla a distanza con la stessa
attenzione che si offriva a persone di cui non ci si fidava
minimamente.
Azula
mente sempre.
-
Ti pregherei di astenerti da simili dimostrazioni d'astio. -
Asserì
con voce impersonale. - Nuoce più alla tua immagine, che
alla mia.
Sua
sorella sorrise, le braccia incrociate davanti al petto. Con passo
sicuro uscì dalle tenebre in cui si era nascosta e, seguita
a ruota
dalle sue fidate amiche d'infanzia Mai e Ty Lee, finalmente
mostrò
il proprio volto al suo interlocutore. Gli offrì la solita
espressione sprezzante, di chi non si sentiva in dovere di mostrare
alcuna forma di rispetto nei suoi confronti.
-
Il nostro Grande Re ha qualche prova a sostegno della tesi che sia
stata proprio io a lanciare quell'attacco?
Una
parte di Zuko, profondamente seppellita dall'orgoglio che da sempre
lo pervadeva, faceva fatica ad ammettere che il modo di fare di Azula
era fonte di continua insofferenza per lui. Lo trattava come fosse un
bambino. No, anzi, lo trattava come se dopo tutti quegli anni fosse
stato ancora il marmocchio piagnucolone mal visto dal padre,
costantemente attaccato alle gonne della madre e totalmente incapace
di vincere contro alla sorella minore in un incontro corpo a corpo.
Sapeva che lo faceva apposta. Sapeva che Azula aveva ogni intenzione
di spingerlo a perdere le staffe, così da potersi sentire
superiore
e ancora capace di rappresentare qualcosa – anche se qualcosa
di
brutto – per il fratello: voleva essere in grado di fargli
ribollire il sangue nelle vene, voleva mortificarlo, farlo sentire
inadeguato, incapace, proprio come anni addietro era sempre stata
capace di fare anche con l'aiuto di Ozai.
Voleva
tornare ad essere lei, la figlia perfetta. La
prediletta. L'unica e sola erede al trono.
Il
ragazzo non emise nemmeno un suono percettibile. Se ne restò
a
contemplare la sorella, tali congetture a frullargli nella mente
mentre, al tempo stesso, già aveva messo in piedi la propria
difesa.
Quell'attacco infantile al suo ego non avrebbe sorto alcun effetto su
di lui, poiché già da tempo aveva smesso di
reputare importanti le
frecciatine che Azula ancora gli lanciava contro.
Come
già detto, non provava nulla nei suoi confronti se non forse
un
leggero velo di imbarazzo per via di quei futili tentativi di mandare
a segno anche un solo colpo.
-
Che cosa vuoi?
Se
solo fossero stati davvero ancora bambini, a quel punto la
Principessa del Regno del Fuoco avrebbe già avuto modo di
assaporare
la propria infantile vittoria. Suo fratello sarebbe scoppiato a
piangere e, dopo ulteriori offese, l'avrebbe sfidata ad una versione
decisamente meno impegnativa e pericolosa dell'Agni Kai. E anche da
lì, lei, ne sarebbe uscita vincitrice. Azula però
continuava a non
mettere in conto che Zuko non era più quello
Zuko.
Continuava a scordare quanto fosse cambiato da quando, anni prima,
era tornato al cospetto del loro padre con un bottino più
unico che
raro: il giorno in cui aveva portato l'Avatar a Palazzo, il ragazzino
con cui era cresciuta aveva quasi istantaneamente cessato di
esistere, venendo sostituito da una versione aggiornata priva di
pecche, priva di inquietudini, ma soprattutto priva di punti deboli.
A
guardarlo così, impassibile, le venne istintivo digrignare i
denti e
raccogliere quanta più aria nei polmoni fosse possibile.
-
Tutto quello che hai doveva essere mio! - Urlò a
squarciagola, la
sua solita furia a sconvolgere lei stessa e le persone che aveva
vicino. Lei era instabile. Forse non tutti a corte ne erano a
conoscenza, ma alcuni individui sapevano cosa era meglio fare quando
si aveva a che fare con Azula: Mai e Ty Lee ad esempio, pur
riconoscendo che alcuni suoi comportanti fossero al limite
dell'accettabile, non osavano mai contraddirla per timore di
diventare un giorno vittime della sua ira; e così come loro
un tempo
anche Zuko si ben guardava dal provocarla. Era proprio per quel
cambio di registro che ora, la ragazza, non riusciva a sopportare
nemmeno la vista del fratello maggiore. - Il trono non avrebbe dovuto
essere ceduto in base al ritrovamento dell'Avatar! Tu non avresti
nemmeno mai dovuto ritrovarlo!
Nostro padre ti mandò via col solo intento di sbarazzarsi di
te,
quindi perché sei tornato...?!
Parole,
quelle, che l'attuale Signore del Fuoco aveva già sentito
almeno un
milione di volte.
Non
era solamente sua sorella a vedere così le cose e, di
conseguenza,
non era stata solamente lei a rivolgergli simili concetti. Sapeva
bene che anche fra i suoi sottoposti, c'erano stati – e forse
c'erano tutt'ora – soggetti che non avevano visto di buon
occhio la
sua ascesa al potere. D'altronde però, alla morte di Ozai,
nessuno
aveva potuto muovere polemiche quando era stato incoronato lui: era
il figlio maschio primogenito del vecchio Signore del Fuoco e,
nonostante la competenza ampiamente dimostrata da Azula nel corso
degli anni e l'animo affine che la giovane aveva da sempre avuto col
genitore, era parso più giusto che toccasse a Zuko regnare.
-
Che cosa vuoi esattamente? - Le chiese d'un tratto, distraendo per
qualche secondo perfino la povera Mai che, da sola, stava provando a
trattenere l'amica dal compiere qualcosa di tremendamente stupido. -
Vuoi il mio onore? La mia vita? La mia anima? Prendile, se questo ti
farà sentire meglio.
I
presenti, lui da una parte del salone e le tre fanciulle dall'altra,
rimasero in silenzio per qualche secondo prima che quel discorso
venisse concluso.
-
Prendile ma non sottovalutarmi. Non sono più quelle le cose
che mi
fanno andare avanti.
Poi,
come colpito da un fulmine a ciel sereno, toccò a Zuko
percepire la
terribile urgenza di comportarsi in modo crudele e colpire laddove
era sicuro che avrebbe fatto più male. Assumendo
un'espressione
ancor meno partecipe e trasognata, puntò quegli occhi dorati
dritti
addosso ad Azula. Lei, all'altro capo dell'atrio, si sentì
accapponare la pelle.
-
...tu, poveraccia.
Pensi davvero che una come te avrebbe potuto essere presa davvero in
considerazione, per la successione al trono?
Azula
strinse i pugni lungo i fianchi, decisa a non farsi trascinare da
ciò
che stava inevitabilmente per accadere. Non voleva permettergli di
metterla nel sacco ulteriormente, come se la sua reazione di poco
prima non fosse stata abbastanza da farla apparire incoerente col
proprio personaggio. O, se non altro, con quello che si era costruita
con attenzione da che era una piccolissima bambina.
In
un ultimo disperato tentativo di mantenere il controllo sulla
situazione, la giovane cercò conferma negli occhi delle
compagne,
come a volersi assicurare che loro non avessero spifferato
più del
dovuto alle persone sbagliate.
-
Non guardare loro. Il tuo segreto, con un po' d'attenzione, potrebbe
scoprirlo chiunque.
Zuko,
abbozzando un debole sorriso privo di trasporto, decise di continuare
a parlare.
-
Nessuno nella nostra famiglia ha la tua stessa mente malata. Siamo
sempre stati maligni, questo sì, ma pazzi? - La risata secca
che
emise lo spinse a muovere leggermente le spalle; stava provando ad
imitare il comportamento di qualcuno che si sta divertendo sul
serio... Ma la verità era che non provava nulla. - Rispondi
pure se
ti piace rischiare: chi era tua madre,
Principessa?
Per
un secondo non si sentì nulla.
Altrove
all'interno del palazzo c'erano almeno un centinaio di persone, tutte
intente a svolgere i propri doveri e a scambiarsi qualche parola di
tanto in tanto. Altrove, il palazzo appariva come un popoloso
alveare; era vivo. Lì però, dove Zuko e Azula si
erano appena
scontrati per l'ennesima volta, il silenzio era tale che perfino il
respiro dei presenti era mozzato.
Poi,
quell'attimo di calma all'apparenza infinito venne letteralmente
tagliato in due dall'urlo di rabbia pura misto a disperazione della
Principessa della Nazione del Fuoco. Fu così improvviso che
la
povera Ty Lee si prese un enorme spavento e, nascostasi alle spalle
di Mai, a mala pena mise fuori il naso per continuare a vedere cosa
stava per accadere. Quell'urlo attirò sul posto qualche
guardia, ma
confusi di fronte alla situazione a cui non erano stati preparati,
nessuno mosse un muscolo per sedare in anticipo la lite: non avevano
i mezzi per capire all'istante cosa stesse succedendo, non sapevano
che se non fosse stata trattenuta, Azula avrebbe scatenato l'inferno.
-
TI UCCIDERÒ!
- Strillò ancora la giovane. - Ucciderò tutti
voi! TU E LA TUA
DANNATA STIRPE!
Finalmente
le guardie intuirono che fosse giunto il momento giusto per
intervenire. Due del gruppo di sei che era sopraggiunto corsero a
difendere il Signore del Fuoco, mentre gli altri quattro si diressero
verso la Principessa e – dopo un po' di difficoltà
– riuscirono
ad afferrarla e trascinarla via.
Anche
così però, trattenuta da due uomini e seguita a
ruota dalle amiche
preoccupate per lei, Azula riuscì a continuare i propri
improperi
fino a che non fu sparita in un corridoio annesso.
-
Che tu sia dannato!
Fu
quella l'ultima cosa che Zuko le sentì dire.
◇♦◇
-
State bene, Signore?
-
Se le serve qualcosa, non esitate a chiedere.
-
Deve essere stato stressante sopportare una scena del genere, mio
Signore.
Le
Guardie che lo avevano scortato nelle sue stanze e i servitori che,
in seguito, gli avevano portato un pasto da consumare comodamente a
letto, si erano prodigati in atteggiamenti di estrema riverenza
quando si erano ritrovati soli con lui in seguito al brutto fatto
avvenuto nel tardo pomeriggio con Azula. Avevano fatto del loro
meglio per farlo stare meglio, preoccupati probabilmente che un
litigio fra parenti rappresentasse per Zuko una qualche sorta di
avvenimento insostenibile.
-
Le sue parole sono niente a confronto di quelle a cui sono
stato
abituato crescendo.
Solamente
quando aveva risposto a quel modo, secco e senza mezzi termini, i
suoi interlocutori avevano finito col zittirsi fissandolo come se
anche lui avesse qualcosa di profondamente contorto nel proprio modo
di vedere le cose. Se avesse messo un poco d'impegno nel leggere i
pensieri di quelli che lo circondavano, forse avrebbe capito che era
fonte di pietà per molti di coloro che lo conoscevano. In
realtà
però, anche senza impegnarsi a fare tanto, sapeva
perfettamente di
essere il soggetto di certe congetture. Tutti erano a conoscenza
della sua storia e di quella della sua famiglia; le voci di corridoio
si erano sparse per anni, alimentando dicerie che purtroppo –
nella
realtà dei fatti – avevano il sapore amaro della
verità dalla
loro parte. Ormai l'infelicità insita nella vita di lui
stesso e dei
suoi parenti, sia che fosse imposta ad altri o parte integrante di
loro, era di dominio pubblico. Era per questo che dopo quell'ennesima
dimostrazione di scorrettezza, perfino i suoi servi si erano permessi
di mostrargli tanta pena.
Proprio
come verso gli attacchi di Azula, però, Zuko non era
più capace né
di interessarsi alle proprie disgrazie famigliari con attenzione,
né
di dare ascolto a certe chiacchiere.
Ogni
volta che provava a comportarsi come una persona normale, o per lo
meno come un essere umano, qualcosa dentro di lui si sbloccava e ogni
accenno di emozione scompariva come l'ultima goccia nel letto di un
fiume ormai del tutto inaridito. Improvvisamente si svuotava.
Improvvisamente la sua mente diventava fredda, analitica... Cinica.
Improvvisamente
si tramutava nel figlio che Ozai avrebbe sempre voluto, e che al
contrario sua madre Ursa si era augurata che lui mai diventasse.
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Capitolo 10 *** Confusion ***
Book
Four: Air
Chapter
nine: Confusion
Non
c'era stata alcuna gloria, per lui, nello sconfiggere la Morte
dell'Est. A sentire Zuko avrebbe dovuto provare qualcosa di molto
simile all'orgoglio, avrebbe come minimo dovuto sentirsi entusiasta
per ciò che era stato capace di fare quando molti altri,
prima di
lui, avevano miseramente fallito. Aang però, che a dispetto
di tutto
ancora credeva fermamente negli insegnamenti che gli erano stati
impartiti fin da bambino, non riusciva a trovare nemmeno una parte
che potesse essere considerata “buona”
nell'incarico che aveva
portato a termine. Mentre caricava Toph su Appa e saliva a sua volta,
intenzionato a sparire dalla scena, il ragazzo aveva incrociato lo
sguardo con alcuni soldati accorsi in aiuto della propria Regina e,
in un attimo, aveva percepito il peso di una colpa disumana a
gravargli sulle spalle. Senza l'utilizzo di una parola, quegli occhi
gli avevano comunicato orrore, paura, rabbia e perfino un filo di
vergogna: quei soldati, senza aprire bocca, gli avevano fatto capire
che portandosi via la Regina di Ba Sing-Se lui si stava portando via
qualcosa di più di una semplice persona.
Si
stava portando via tutta la loro speranza.
Fu
insomma con quella consapevolezza che, il viaggio di ritorno al Regno
del Fuoco, era continuato. Aang non aveva fatto altro che continuare
a rimuginare su ciò che era appena accaduto, sulle cose che
aveva
fatto e su quelle cose che invece avrebbe potuto fare.
Già da solo, senza l'aiuto di nessuno, il ragazzino ebbe
modo di
mettere in discussione le proprie azioni e gli ideali che il Signore
del Fuoco aveva cercato di inculcargli in quegli ultimi due mesi, a
seguito del suo risveglio.
Ancora
non riusciva a capire come il mondo fosse giunto ad un simile
impasse. Trovava che fosse insieme straordinario e terrorizzante che
l'intera umanità avesse ritenuto che fosse più
naturale farsi la
guerra, anziché accettare di buon grado ognuno le proprie
differenze.
-
Davvero non ci arrivo, amico mio.
La
sua voce, la quale di norma era allegra e dal tono acuto, gli
uscì
dalla gola di molto più simile ad un rantolo. Gli mancava la
forza
addirittura di deglutire, tanto era rimasto sconvolto da ciò
che
aveva visto, fatto e detto.
-
Zuko mi ha spiegato tutto. Non dovrei più avere dubbi su
ciò che
sta succedendo in questo secolo e su quello che è meglio
fare per
riportare l'equilibrio... - Continuò, rivolgendosi al
bisonte
volante come se questo avesse potuto rispondergli a parole. Ma in
fondo, in quel momento, gli bastava anche solo che qualcuno lo stesse
a sentire: Appa forse non era un essere umano, tuttavia rimaneva il
suo migliore amico e come tale non mancava mai di sostenerlo anche
nei giorni più difficili. - Dovrei essere sicuro su tutto,
ma non lo
sono. Perché?
-
Magari non lo sei perché il musone ti ha rifilato una lunga
lista di
bugie, che dici...?
L'improvviso
intervento di una seconda voce lo fece sobbalzare dalla sorpresa. Per
un secondo fu quasi convito che fosse stato proprio il silenzioso
Appa ad aprire bocca, lasciandosi sfuggire quelle parole dette con
molta acidità. Gli ci volle poco per intuire che era
impossibile che
stessero così le cose. Andando ad esclusione, solo un'altra
persona
avrebbe potuto rispondergli.
Dalla
sua postazione seduto sul collo del suo bisonte volante, Aang
girò
appena la testa cercando di incrociare lo sguardo con Toph.
-
Sei sveglia. - Disse, facendo del suo meglio per apparire il
più
imperturbabile possibile.
Lei
abbozzò un sorriso ironico e, dopo essersi sistemata come
meglio
poteva sulla sella ove era stata lasciata, cercò di
raccogliere più
informazioni possibili circa la situazione in cui si trovava. Decise
di partire da ciò che sapeva per certo, ossia dalla sua
bruciante
sconfitta subita contro a quel ragazzino. Dal momento in cui gli
aveva sentito sprigionare quella strana quanto sconvolgente energia,
aveva saputo di non avere alcuna speranza di vittoria contro di lui:
si era lanciata nella mischia senza timore, come era stata abituata a
fare nel corso di quell'ultimo anno, ma quando Aang l'aveva colpita
mettendola K.O. senza nemmeno fare il minimo sforzo, il suo animo non
si era abbattuto più di tanto. Come già detto,
aveva messo in conto
di perdere.
-
Posso chiedere dove accidenti siamo? - Domandò. - O su
che cosa
siamo. Sì. Questa è la domanda migliore, cancella
quella di prima.
-
Sei a bordo del mio Bisonte Volante. Appa.
Di
nuovo, Toph sorrise. - Su che cosa...?
Aang
fece del suo meglio per mantenere gli occhi davanti a sé,
però nel
sentirsi porre di nuovo la stessa domanda gli venne impossibile non
voltarsi di nuovo – e stavolta del tutto – verso la
sua
prigioniera. Si mostrò sinceramente perplesso, anche se la
sua
interlocutrice difficilmente avrebbe potuto notare la sua espressione
data la cecità di cui soffriva.
-
Sei... - Non sapeva bene se lo stava prendendo in giro (cosa assai
probabile visto come anche durante il loro scontro gli si era
rivolta) o se era seria. Doveva ripetere anche lui la risposta che le
aveva dato? - Sei a bordo del mio Bisonte Volante. Appa. Si chiama
così.
Poi,
fatta una seconda pausa...
-
Cosa c'è di difficile da capire?
Non
ricevette alcun responso da parte di Toph. Improvvisamente la vide
sbiancare e, come se avesse appena avvistato un serpente a sonagli e
temesse d'essere morsa, la giovane si aggrappò con tutte le
forze
che aveva ai bordi della sella posizionata sulla schiena
dell'animale.
-
St-Stiamo volando?! - Chiese, con voce stridula.
Fu
la prima volta in assoluto in cui la Morte dell'Est - a dispetto
degli abiti indossati – gli parve in qualche modo
più in contatto
con la sua parte femminile. In fondo sola una ragazza avrebbe potuto
reagire in una maniera vagamente carina, scoprendo di trovarsi ad
almeno tremila piedi dal suolo.
-
Beh, sì. È volando che sono arrivato sul campo di
battaglia, ed è
sempre volando che tornerò indietro. A piedi ci avrei messo
decisamente troppo.
Anche
questo gli parve puro buon senso, ma a giudicare dallo sguardo
esterrefatto dell'altra, gli venne il dubbio di aver detto una
qualche idiozia.
-
E lo dici con così tanta naturalezza? - Sbottò
subito dopo lei,
percependo la sua esitazione. - Noi esseri umani non siamo fatti per
volare. Ti sei mai chiesto come mai non abbiamo le ali? Perfino i
polli - che tra parentesi le hanno - si rifiutano di librarsi in
aria, e grazie ad anni ed anni di evoluzione finalmente si sono tolti
di mezzo l'orribile abitudine di svolazzare in giro col rischio di
schiantarsi a terra!
Ecco,
quello sì che era un discorso assolutamente privo di senso.
Gli
venne da ridere e, tornato a guardare davanti a sé,
provò a
riflettere nuovamente sulle motivazioni che avevano spinto Zuko e
Toph a farsi la guerra. A sentire Zuko, la sua unica intenzione era
quella di unificare le diverse Nazioni sotto al vessillo dei
Dominatori del Fuoco, portando così un'era di pace nel
mondo... Ma
cos'era che spingeva Toph ad andargli contro con così tanta
determinazione? Perché si ostinava a combatterlo quando, ad
onor del
vero, non gli dava l'impressione di essere un tipo amante del caos?
-
Ci vorrà un po' prima di arrivare al Palazzo Reale. Ti
dispiace se
ti faccio qualche domanda?
Non
proprio dimentica delle preoccupazioni che quel viaggio le stava
provocando, Toph ritenne che fosse più salutare per lei
chiacchierare anziché fissarsi troppo su ciò che
le stava dando
pensiero. Annuì e, dopo essersi resa conto che Aang
aspettava una
risposta affermativa mediante l'utilizzo della voce, aprì la
bocca e
disse che no, non le dispiaceva.
-
Bene.
Anche
col suo consenso a rispondere, Aang non sapeva da dove cominciare il
proprio interrogatorio. Sebbene fosse sempre stato un ragazzino
vivace, capace di continuare a parlare per ore senza mai stancarsi,
dare il via a quella conversazione gli appariva estremamente
difficile. Un po' perché in cuor suo temeva ciò
che lei gli avrebbe
potuto dire, un po' perché non era certo di essere pronto a
conoscere tutti i retroscena di quell'oscuro futuro in cui si era
ritrovato.
-
...hai intenzione di procedere o...?
-
Un attimo! Non è facile decidere da che parte cominciare.
Toph
sbuffò. - Ok, visto che ci metti sei anni faccio io gli
onori di
casa.
Non
gli diede nemmeno il tempo di opporsi. Capì subito che
quando la
Regina di Ba Sing-Se si metteva in testa qualcosa, distoglierla dal
suo obbiettivo era pressoché impossibile.
-
Tu sei l'Avatar...non è vero?
Che
fosse così facile intuire la sua vera identità,
fu un vero shock
per lui. Se solo fosse stato più bravo a dissimulare la
sorpresa,
forse avrebbe impiegato poco tempo a rispondere negativamente a
quella domanda, fornendo poi un qualche spunto per portare altrove il
discorso. Aang però non era un uomo adulto col dono di saper
facilmente intortare una persona: era un ragazzino di appena dodici
anni che era stato prima insignito del titolo di Avatar dal giorno
alla notte e che, con altrettanta fretta, era stato catapultato in un
tempo futuro dove tutte le cose che aveva conosciuto ed amato
parevano essere sparite nel nulla.
Sospirò
solamente, stringendosi nelle spalle. - ...è così
evidente?
-
Per chi sa cosa sta guardando, sì.
-
Capisco.
-
Se sei lui... Se sei l'Avatar... - La voce di Toph si fece via via
più flebile. Più insicura. - Dove sei stato fino
ad adesso? Hai la
più pallida idea di quanto tutti noi ti abbiamo aspettato?
Come
già detto, se solo Aang avesse avuto più
esperienza probabilmente
domande di quel tipo avrebbe potuto prevederle con facilità,
impedendosi quindi di sentirsi attaccato nel sentirsele porre.
Cercò
di non dare a vedere quanto simili quesiti gli dessero pensiero.
Cercò di comportarsi come un vero duro anche se chiunque,
standolo a
guardare, sarebbe stato capace di riconoscere il suo bluff.
Di
fronte al suo silenzio, però, Toph decise di non cogliere
con
rassegnazione l'evidente disagio di quel ragazzino. Pronta a tutto
pur di scoprire la verità, non si sarebbe fatta scrupoli nel
mandare
in frantumi la sua povera
psiche. Forse era proprio quello ciò che gli serviva:
l'Avatar aveva
bisogno di venire a patti con la realtà.
-
Gradirei una risposta.
Aang
sospirò. - ...lo so, ma non ho idea di come risponderti.
-
E credi che questo mi basti? Non sai come
rispondermi?
Tch. - Voltò lo sguardo altrove, improvvisamente vinta da
una forte
sensazione di sconforto. Aveva sentito dire che l'Avatar fra tutti
era il solo essere al mondo ad avere se non tutte, almeno la maggior
parte delle risposte. Fin da piccola le avevano detto che era lui
–
o lei – il solo a sapere come andava il mondo e a capire cosa
era
più giusto fare per mantenere costantemente un equilibrio.
Per
anni aveva convissuto con quelle idee e ora si ritrovava davanti un
marmocchio all'apparenza addirittura più piccolo di lei che
non solo
non aveva idea di che cosa stava facendo, ma che per di più
stava
dalla parte sbagliata della scacchiera.
Credeva
davvero che fosse Zuko il Sovrano giusto da sostenere per mettere le
cose a posto? O la sua era pura e semplice stupidità?
-
...io mi sono risvegliato solamente due mesi fa dopo... Dopo circa
cento anni.
Finalmente
dalla bocca di Aang uscì qualche suono. Gli ci era voluto un
poco
per sbloccarsi, e scavando a fondo era stato capace di ritrovare il
proprio coraggio nascosto nei meandri della sua anima. Toph aveva
diritto di sapere cosa gli fosse successo e perché non fosse
stato
presente in quel lungo, lunghissimo periodo. Era vero che non si era
scelto da solo quell'incarico, tuttavia era pur sempre lui l'Avatar e
come tale... Beh, era giusto fornire delle spiegazioni.
In
fondo era anche colpa sua se le cose erano andate a rotoli a quella
maniera, durante la sua prolungata assenza.
-
Un attimo prima il mondo era in pace e io conducevo una vita serena
nel Tempio dell'Aria del Sud. Quello dopo mi risveglio da un lungo
sonno e tutto ciò che conoscevo è sparito nel
nulla.
Non
era facile per lui pensare a ciò che aveva perso. Dubitava
che
qualcuno al posto suo avrebbe potuto gestire quella situazione in
modo diverso, migliore. Sia che uno fosse un dodicenne od un uomo
sulla quarantina, ritrovarsi catapultato nel futuro in un universo
che non ha praticamente nulla di familiare per te era comunque
difficile. Da quando si era risvegliato, non aveva fatto altro che
chiedersi come avrebbero potuto andare le cose se solo quel giorno
non fosse salito in groppa ad Appa, scappando via da Gyatso e gli
altri monaci: magari parlando col suo vecchio amico della situazione,
avrebbe trovato un modo differente per aggiustare le cose e non
sarebbe dovuto scappare dal tempio come un ladro con la coda fra le
gambe. Magari, se solo fosse rimasto dove era la sua casa, non ci
sarebbe stata nessuna guerra e ora, nel presente in cui era stato
costretto a vivere, Zuko e Toph non avrebbero dovuto scontrarsi per
decidere chi avesse ragione in quella disputa centenaria.
-
Non ho deciso io di finire imprigionato per cent'anni in un pezzo di
ghiaccio. - Disse ancora. - Fosse dipeso da me non avrei nemmeno
chiesto di diventare l'Avatar, però è successo
comunque. A dispetto
di quello che noi esseri umani desideriamo, la vita alle volte ti
spinge a vivere scenari che non avevi nemmeno previsto nei tuoi
più
reconditi sogni... E tu ti devi adeguare.
Strano
ma vero, gli era uscita una frase di senso compiuto pregna di vaga
saggezza.
-
Mi sono ritrovato al castello di Zuko e ho semplicemente accettato
ciò che mi è stato detto. Mi dispiace se credi
che sia colpa mia se
tutto questo è capitato, ma non ho avuto molta scelta. Tutto
ciò
che posso fare adesso, è sistemare con le mie mani
ciò che si è
rotto.
-
Portando me al cospetto del Signore del Fuoco...?
Un'altra
domanda che, a suo avviso, aveva tutte le intenzioni di pungolarlo
laddove più si sentiva in dubbio.
Aang
rimase in silenzio per qualche secondo, chiedendosi se la sua
prigioniera non stesse tenendo per sé alcune informazioni
utili.
Informazioni che forse avrebbero avuto la facoltà di rendere
le sue
decisioni un minimo più facili da prendere.
-
È
ben vero che ne so poco sul mio ruolo, ma non sono così
sciocco da
non capire che tocca all'Avatar fermare chi attenta alla pace e
all'equilibrio.
Il
ragazzo si voltò verso di lei, guardandola come se potesse
leggerle
e dentro e come se ciò che vedesse non gli andasse per nulla
a
genio. Toph si sentì quasi offesa. Le parole del suo
interlocutore
stavano a sottolineare qualcosa che proprio non le andava a genio.
-
Zuko mi ha detto cosa hai intenzione di fare e io...io te lo
impedirò. Per questo ti ho catturata.
-
E cosa ti ha detto esattamente, il musone? - Chiese d'un tratto lei,
dimenticandosi di incalzare twinkle toes con ulteriori domande circa
il suo passato. Ora era più pressante capire quale fosse il
gioco
messo in piedi dal Signore del Fuoco. - Sempre ammesso che mi sia
concesso domandare, ovviamente. Non sia mai che una
come me
abbia l'occasione di sapere di che cosa è stata accusata.
L'altro
si strinse nelle spalle. - Mi ha spiegato che sei la sola a frapporsi
fra lui e la riuscita della sua causa.
Di
nuovo, Toph dovette spingere fuori le parole dalla sua bocca,
chiedendogli di spiegarsi ulteriormente.
-
Lui ha intenzione di creare la pace portando tutte le Nazioni sotto
al suo comando e tu, senza alcun motivo, ti stai opponendo portando
avanti questa guerra logorante.
A
questo punto non riuscì più a trattenersi e,
scoppiando a ridere
piegata in due e con ben poca eleganza, Toph si ritrovò col
viso
praticamente schiacciato contro alla spaziosa sella su cui era
seduta. Non poteva crederci, era assurdo che nel tentativo di portare
dalla propria parte un ingenuo come quel mammalucco dell'Avatar, Zuko
si fosse addirittura spinto a dipingere lei
come la cattiva di turno. Certo, ammetteva di non aver mai avuto un
carattere facile e di non essere mai stata circondata d'amici visto
come si poneva con gli altri, ma da qui a credere che proprio lei
avrebbe mai potuto diventare una tiranna...
Si
asciugò le lacrime con l'indice sinistro, provando a fare
del
proprio meglio per ricacciare indietro l'attacco ilare che l'aveva
appena sopraffatta.
-
Oh, con questa uscita mi hai sicuramente rallegrato la giornata.
Rimango sempre tua prigioniera, ma per lo meno mi sono fatta quattro
risate lungo il tragitto.
Che
trovasse la cosa divertente fu alquanto insolito per Aang.
Più
parlava con la Morte dell'Est, meno si sentiva sicuro circa tutte le
cose che Zuko gli aveva detto sul suo conto: una persona tanto prona
alla dominazione del mondo ed incapace di fermarsi nonostante il
dolore che stava causando, dubitava fosse in grado di ridere
così di
una cosa tanto seria. Specialmente se vera. Insomma, che motivo
avrebbe mai avuto per fingere di non essere assolutamente come il
nemico la dipingeva? Dubitava che lei fosse convinta di potergli
scappare, visto il genere di capacità combattive che
– pur senza
volerlo – le aveva dimostrato in battaglia. Prenderlo in giro
fingendo di essere buona non poteva sortire alcun effetto, quindi che
senso aveva ridere di ciò che aveva detto come se fosse
tutto uno
scherzo?
-
Ti ha dato solo questa spiegazione quando ti ha sguinzagliato contro
di me?
Aang
arricciò il naso, risentito per quell'infelice scelta di
termini.
Non era mica un cane!
-
Sì.
-
E non ti pare strano che non abbia arricchito la sua favoletta con
più dettagli? Anzi, anzi! - Toph sembrava eccitata. Con la
coda
dell'occhio la vide rizzarsi tutta, le mani a gesticolare a raffica.
- Anche ammesso che io sia la cattiva della storia, non ti domandi
come mai non sono d'accordo col suo grande piano...?
Ecco,
quella sì che era una domanda intelligente. Una domanda che
peraltro
si era posto almeno mille volte sia prima di incontrarla, che in
seguito.
-
Dovresti riflettere attentamente sulle cose, prima di lanciarti
così
a vuoto. Dopo cento anni passati a dormire in un cubetto di ghiaccio,
come hai detto tu sono cambiate tante cose e non
hai la più
pallida idea di ciò che abbiamo passato.
Tu non sai niente.
E
chi non sapeva niente era facilmente vittima di incomprensioni.
Questo avrebbe voluto aggiungere, se solo in lontananza non avesse
udito il suono distinto di un corno.
Erano
arrivati a destinazione e, il tempo delle chiacchiere, era terminato.
Non aveva più modo di dire la verità all'Avatar,
così come non
poteva più sperare che i suoi – magicamente
– riuscissero ad
intercettare quel bisonte volante traendola in salvo.
Era
troppo tardi.
Quando
le guardie reali afferrarono Toph per le braccia, trascinandola
chissà dove, Aang rimase in groppa ad Appa con lo sguardo
confuso di
chi non sapeva davvero più dove andare a battere la testa.
-
...se ho fatto la cosa giusta, allora come mai mi sento così
in
colpa amico mio?
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Capitolo 11 *** Long time no see ***
Book
One: Earth
Chapter
ten: Long time no see
Stando
ai conti che
aveva fatto mentalmente, non dovevano essere passati che pochi giorni
dalla sua cattura ed imprigionamento. Se non aveva errato di molto,
aveva passato in quella cella all'incirca novantasei ore, che a loro
volta si traducevano in quattro giorni. Quattro. Lunghissimi.
Giorni.
Non
era mai stata
una figlia ubbidiente. O meglio, se di fronte ai genitori aveva
sempre mantenuto una maschera di finta compostezza e
fragilità, alle
loro spalle era sempre stata solita fare qualsiasi cosa le venisse in
testa. Anche la più pericolosa. Lei era nata con una chiara
incapacità nel seguire le regole, fossero queste sensate o
meno:
voleva vivere libera, al proprio passo, facendo le cose come e quando
riteneva giusto che venissero fatte. Perfino come Regina di Ba
Sing-Se non aveva mai piegato il capo di fronte a quelle discipline
che imponevano da parte sua un comportamento altezzoso, rispettabile
e privo di volgarità. Dal momento in cui era salita al
potere – e
per volere del popolo, non certo perché lo aveva chiesto
personalmente – aveva messo bene in chiaro che avrebbe
ricoperto
quel ruolo a modo suo. Se la cosa andava bene ok, altrimenti... Tanti
cari saluti!
Perfino
ora che si
ritrovava con i polsi e le caviglie incatenate, le veniva difficile
accettare la propria posizione. Orgogliosa come nessun'altra persona
al mondo, in quelle novantasei ore passate nelle segrete del Palazzo
della Nazione del Fuoco era stata capace non solo di ingaggiare
più
volte in discussioni con i suoi aguzzini, ma anche di diventare
soggetto di non proprio simpatiche attenzioni da parte di questi
ultimi. A tal proposito, anche se l'occhio nero che si era guadagnata
il primo giorno ed il labbro spaccato del secondo avevano smesso di
farle male, doveva ammettere che le costole incrinate del terzo ora
come ora le stavano dando non pochi problemi.
Avrebbe
fatto
qualsiasi cosa per poter pensare ad altro, lasciando da una parte il
dolore, ma ancora di più avrebbe fatto qualsiasi cosa per
potersi
dimenticare della situazione in cui si trovava. Se si muoveva un poco
forse le fitte alla gabbia toracica mettevano a tacere per qualche
secondo i suoi pensieri, tuttavia quelle erano fitte che duravano
appunto poco più di un attimo e che quindi non persistevano
abbastanza dal portare altrove – e a lungo – la sua
mente. Come
smetteva di agitarsi, il dolore diminuiva e via via veniva lasciata
nuovamente sola con se stessa.
Se
almeno avesse
potuto “vedere” ciò che la circondava,
forse tutto le sarebbe
apparso meno intricato e spaventoso. Ancora non si capacitava della
furbizia di colui o colei che aveva ideato quella gabbia, fatta su
misura per le sue capacità oramai ben note all'esercito
nemico. Se
anche si fosse tolta di dosso quelle catene adoperando
l'abilità del
Dominio del Metallo, la sua fuga avrebbe avuto vita breve
poiché la
sua intera cella era costituita da legno. Un materiale, insomma, che
nemmeno la grande Morte dell'Est poteva piegare alla propria
volontà.
Un
materiale che
oltre ad impedirle di scappare, le precludeva ogni chance di
guardarsi attorno.
Si
sentiva come un
pesciolino rinchiuso in una boccia, anche se perfino quel pesciolino
nel suo piccolo aveva pur minima visione del mondo che gli stava
attorno. Tutto ciò che percepiva lei invece era buio. Un
abissale,
costante e terrorizzante buio.
Quasi
aveva scordato
come ci si sentiva quando non si poteva vedere niente. Era passato
così tanto tempo dall'ultima volta, che il ritrovarsi ancora
in
quella situazione l'aveva quasi fatta impazzire. Se era stata capace
di trattenersi dal dare di matto, urlando e piangendo come una
bambina, lo doveva solo alla sua forza di volontà quasi
infinita e
al desiderio di non dare nemmeno un contentino agli infami che le
facevano da carcerieri.
Fingere
di essere
tranquilla ed esserlo per davvero però, erano due cose
completamente
differenti.
La
cosa peggiore era
riuscire a percepire solamente gli spostamenti d'aria e immaginare
che, quella cella, andasse avanti all'infinito.
Non
era forse quella
una delle paure più ancestrali dell'uomo? L'infinito?
Ebbene,
per lei non
era molto diverso. L'essere totalmente incapace di sapere cosa la
aspettava anche ad un passo di distanza, era un qualcosa di talmente
tanto spaventoso per Toph che alle volte arrivava perfino a sperare
che una guardia entrasse nella sua gabbia a “tenerle
compagnia”.
Le andava bene discutere, fare a botte, lanciare morsi e improperi se
tanto bastava a farle sapere di non essere completamente sola. Quella
era la forza delle sue paure.
- Mi basta
solamente un'ora. Non chiedo molto.
La
voce che udì
provenire dall'esterno, le giunse attutita e lontana. Le ci volle un
grande sforzo per capire cosa, le persone che si stavano avvicinando
alla sua cella, si stessero dicendo. Fu quasi sorpresa d'aver saputo
comprendere all'istante la prima frase che aveva sentito, nonostante
fosse stata detta sicuramente a più distanza da lei.
- Non lo so... -
Disse una seconda voce. Entrambi erano uomini. - Se poi il capo lo
viene a sapere?
- Nessuno lo verrà
a sapere fino a che farai il palo e terrai la bocca chiusa.
Il
sesto senso di
Toph la convinse subito del fatto che ciò che stava
ascoltando non
fossero principio di buone notizie per lei. Essendo praticamente la
sola prigioniera tenuta in quella sezione delle segrete, non era
sciocco immaginare che chiunque avesse parlato per primo, fosse
deciso a fare quattro chiacchiere da solo con sua Maestà la
sovrana
del Regno della Terra.
Tese
maggiormente le
orecchie, impossibilitata a fare dell'altro. Nella posizione in cui
si trovava – sia figuratamente che fisicamente –
aveva
decisamente poche altre opzioni.
- Avanti. Ti ho
pagato bene per questo, no?
L'altra
persona non
gli rispose, tuttavia Toph intuì che la guardia doveva aver
annuito
visto che, dopo qualche secondo, i passi che si erano fermati
ripresero ad avvicinarsi alla sua porta.
Strinse
di più le
ginocchia al petto, preparandosi al peggio.
- Vedi di fare
presto.
Per
via del silenzio
che seguì quelle parole, il rumore della chiave che apriva
la
serratura quasi le parve assordante. Se ne rimase in silenzio, gli
occhi chiari puntati dritti davanti a sé, come se con quelli
avesse
potuto vedere chi si stava apprestando ad entrare nella sua cella.
Sapeva di essere cieca, era una realtà con cui conviveva
dalla
nascita, ma al tempo stesso era anche consapevole che spesso e
volentieri era l'atteggiamento giusto a darti un anticipo sulle mosse
di un tuo avversario. Se fosse stata capace di dimostrarsi risoluta e
combattiva, priva insomma di turbe, allora chi la fronteggiava
avrebbe comunque conservato del timore nell'avvicinarlesi.
- ...quindi tu sei
lei. La Morte dell'Est.
Rimase
impassibile,
il corpo come fossilizzato in quella posizione. Schiena contro al
muro e gambe strette fra le braccia.
- A meno che non ne
esista un'altra e io non ne sia stata messa a conoscenza, direi che
sì. Sono proprio quella
Morte dell'Est.
La
porta alle spalle
del nuovo venuto si chiuse e lui, facendo qualche passo avanti, prese
ad osservarla con estrema attenzione. Toph sentiva il peso del suo
sguardo addosso, come se le stesse bruciando la pelle.
Non
era una
sensazione piacevole.
- Ti avevo
immaginata diversa.
Ecco
un altro
componente dell'esercito del Fuoco totalmente privo di immaginazione.
Davvero non capiva come mai tutti gli uomini non riuscissero a fare a
meno di immaginarsi una donna guerriera che non assumesse, nelle loro
menti, le sembianze di uno scimmione peloso e che comunque
condivideva più tratti con un maschio che con una femmina.
- Mi dispiace di
aver deluso le tue aspettative. - Rispose seccamente lei.
Detto
sinceramente
non sapeva neanche più come reagire di fronte a
quell'asserzione.
Aveva esaurito tutta la voglia di scherzare dopo il suo terzo giorno
di prigionia ed ora le rimaneva solamente il suo orgoglio: fare
battute solo con quello era difficile.
- Lo sai chi sono
io?
- Dovrei?
- Dovresti, sì.
Considerato che hai ucciso mio padre sul campo di battaglia, avresti
dovuto immaginare che un giorno o l'altro qualcuno sarebbe venuto a
chiedere vendetta.
Probabilmente
dicendo quelle cose il giovane che aveva davanti credeva di essersi
ampiamente spiegato, ma purtroppo non era affatto così. Se
Toph
avesse dovuto tenere conto di tutte le persone che aveva ucciso fra
le fila nemiche, allora il senso di colpa per le sue azioni sarebbe
di certo stato abbastanza da spingerla al suicidio. Lei non si
divertiva a recidere vite. Lo faceva per una causa ben precisa e,
quando un giorno tutto avrebbe trovato una conclusione, non si
sarebbe tirata indietro dal ricevere una giusta punizione per
ciò
che aveva fatto.
Ora
però non era il
momento adatto. Specie se per mano di un montato che presumibilmente
non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi là con lei.
- Vendetta. -
Mormorò Toph. - Hai intenzione di prenderti la rivincita
sulla
persona che ti ha privato di un padre, approfittandoti delle sue
attuali condizioni sfavorevoli?
Sorrise,
alquanto
sorpresa a dire il vero.
Mai
avrebbe potuto
credere che la meschinità del Popolo del Fuoco fosse tanto
profonda
e radicata.
- Spero vivamente
che tuo padre, chiunque egli sia stato, ora si stia rivoltando nella
tomba nel constatare che il proprio figlio non ha neanche un briciolo
d'onore in corpo.
Lo
schiaffone arrivò
inatteso, complice il fatto che al momento le sue capacità
sensoriali erano drasticamente ridotte. Ritrovandosi d'improvviso a
faccia a terra, riprese fiato facendo del proprio meglio per
ricomporsi: con entrambi i palmi posati sul pavimento, fece leva
sulle braccia esili per rimettersi seduta.
Non
appena riuscì
nell'intento, lanciò al ragazzo un'occhiata omicida.
- Pensi di
spaventarmi? Sei qui, legata come un salame, e pensi davvero che un
solo sguardo basti a farmi accapponare la pelle? - Lui si
accovacciò,
finendole a pochi centimetri di distanza. Sentì il suo alito
caldo
contro alla pelle fredda. - Qua dentro non sei più la
Signora di Ba
Sing-Se. Qua dentro sei solamente l'ennesima prigioniera di guerra
che, fra le altre cose, ha la sfortuna di essere donna e pure cieca.
Udì
la sua lingua a
schioccare contro al palato, segno forse che la sua espressione stava
diventando sempre più interessata.
- ...oh beh, la tua
sfortuna è la mia fortuna immagino.
Senza
alcun
preavviso le mani di quel tizio le si avventarono contro,
costringendola ad indietreggiare di qualche centimetro fino a
ritrovarsi totalmente schiacciata contro al muro che delimitava la
parte più posteriore della cella. Toph reagì
d'istinto, intuendo
che se avesse lasciato andare le cose per conto loro, avrebbe fatto
una fine poco felice: raccolto un po' di coraggio, prese un respiro
profondo e tirò indietro il capo solo per riportarlo avanti
con
tutta la forza di cui disponeva per colpire il viso del suo
avversario. A giudicare dal rumore e dalla sensazione che l'urto le
aveva dato, doveva averlo preso in pieno nel naso.
Toccò
all'altro
indietreggiare, le mani sul viso ed un lamento trattenuto a stento in
gola.
- Merda. Merda
merda merda merda merda...!
Il
giovane cominciò
a lanciare verso di lei diversi improperi, palesando a gran voce
quanto, a suo avviso, quella mossa fosse stata del tutto scorretta.
Ironico
che lo
dicesse proprio lui, considerato che era Toph quella legata e priva
di vista rinchiusa nella base nemica.
- Come osi
colpirmi?! - Esclamò ancora il suo oppositore. - Tu, dannata
bestia...! Per forza che sei la condottiera di quel popolo di
ignoranti, che altro avresti mai potuto essere?!
- Suppongo che il
tuo voglia essere un insulto, ma sappi che vado piuttosto fiera della
mia posizione di “Condottiera di un popolo di
ignoranti”. -
Rispose lei risoluta. - In fondo rende le nostre vittorie contro di
voi ancora più difficili da digerire, dico bene? Chi
potrebbe mai
prendervi sul serio, visto che non avete fatto altro che perdere
contro a qualcuno che reputate più stupido di voi...
Le
sue parole lo
colpirono abbastanza da farlo rimanere zitto per una buona manciata
di minuti. Mentre Toph riprendeva il controllo del proprio battito
cardiaco, lui usò quel tempo utile per formulare nuovi
metodi
d'attacco o, più che altro, di persuasione.
Dopo
essersi pulito
il rivolo di sangue che gli usciva dal naso con la manica del
soprabito, tornò sui propri passi e le finì
nuovamente di fronte, a
poca distanza.
-
Allora il mio
amico aveva ragione. Nonostante tu sia in gabbia hai ancora forza da
vendere. - Si mise a ridere. - Ammetto che la testata non me l'ero
aspettata.
- Giudicando da
quel poco che ho potuto sentire, non sei una persona che ragiona a
fondo sulle cose in ogni caso.
-
Quanto sei
testarda. - Il suo interlocutore adoperò un tono rassegnato,
quasi
come se gli fosse toccato interpretare la parte del genitore
sconfortato dinanzi all'ennesima marachella sciocca del figlio. -
Rifletti sulla tua situazione. Non sei nessuno senza il tuo Dominio,
senza la tua gente, senza il tuo esercito. Sei solamente una normale
ragazzina con un viso piacevole.
Ancora
una volta,
dovette sentire la mano di lui sul corpo. Le scompiglio i capelli,
neanche fosse una marmocchia o, ancora peggio, un animale.
- Perché non... -
La pausa che fece ebbe modo di farle salire la nausea. Pur non
potendolo vedere, le bastava ripensare a ciò che aveva
appena detto
per farle capire a cosa, la sua mente malata, stesse pensando in quel
preciso istante. - Perché non usi il tuo charme? Ti
renderebbe la
vita molto
più semplice.
Scostò
immediatamente la testa a sentirlo. Si sentiva sporca solo a starlo
ad ascoltare, figuriamoci se avrebbe mai potuto sopportare oltre quel
contatto.
- Preferirei di
gran lunga mordermi la lingua ed annegare nel mio stesso sangue,
anziché abbassarmi ad ubbidire a qualcuno come te. E lo sai
perché?
- Ancora una volta parlò con assoluta fermezza.
Era
cosa nota che
Toph Bei Fong non si piegasse di fronte a niente e a nessuno.
- Semplicemente
perché anche se mi trovo qui dentro io sono e
rimarrò sempre una
guerriera, una condottiera, una
regina, e
cosa ancora più importante una cittadina del Regno della
Terra. Noi
non ci spezziamo. Noi non scendiamo a compromessi.
Le
parve di aver
detto abbastanza.
In
quel frangente
riteneva che fosse inutile aggiungere altro poiché a
prescindere da
tutto era stata capace di dare voce ai propri pensieri senza alcuna
complicazione. Il suo orgoglio di Dominatrice della Terra aveva
parlato per lei, spingendola a rendere ben note le sue origini. Non
aveva timore di morire, fintanto che era consapevole di essere nel
giusto. Anche se le fosse toccata in sorte una fine scellerata come
quella che l'altro le stava proponendo, mai e poi mai si sarebbe
sottomessa.
- Ah, è così...?
Toph
si irrigidì
nell'udire quel tono di voce tanto freddo, impersonale.
Deglutendo
cercò di
prepararsi a ciò che stava per accadere.
- Se la metti in
questi termini, credo proprio che non mi resti altro da fare se non
assaggiare un po' del tuo nobile sangue!
Afferratola
per i
capelli, il ragazzo estrasse quella che dal rumore le parve essere
una spada o comunque una lama di qualche sorta. Non avendo alcuna
intenzione di morire pugnalata in una fredda prigione, Toph si mosse
ancora prima di formulare nella mente un piano ben architettato: fu
l'istinto a guidarla, spingendola ad abbassarsi con tutto il corpo
per trascinare con sé anche il nemico che aveva di fronte.
Quando si
ritrovò con la schiena a terra, sentì il rumore
tipico di uno
schianto e, di tutta fretta, rotolò di lato attorcigliando
le catene
che aveva ai polsi sul braccio che riteneva essere quello con l'arma
in mano.
Fortunatamente
nel
suo tirare ad indovinare non andò a vuoto.
Lo
costrinse a
lasciar andare l'arma e anche se dopo poco l'altro fu già in
piedi,
pronto a caricarla, si rallegrò del fatto di averlo se non
altro
disarmato. Ora per lo meno erano ad armi pari. O quasi.
In
fondo lei era
ancora cieca, mentre l'altro ci vedeva benissimo e non era nemmeno
legato.
- Ora ti ammazzo.
Toph
soffiò verso
l'alto, così da poter scostare una ciocca di capelli che le
era
finita sugli occhi. Sorrise, alzandosi a sua volta ed assumendo una
posizione di difesa. Era vero, in quella situazione era in totale
svantaggio, ma se proprio doveva passare a miglior vita lo avrebbe
fatto coi suoi termini, uscendo di scena col botto.
- Ci puoi provare.
Le
fu addosso nel
giro di qualche secondo. Con tutto il suo peso la sbatté
ancora una
volta a terra e, le mani strette attorno al suo collo, parve prendere
subito la meglio su di lei. Faceva fatica a respirare e ad ogni
tentativo di divincolarsi, l'altro le rifilava un pugno nello stomaco
o la sollevava quel tanto che bastava per farle battere la nuca
contro al suolo in legno della cella. Sempre più inerme e
con il
fiato corto, Toph cominciò a rantolare sotto alla sua presa.
- Ecco vedi? Te lo
avevo detto. - Cominciò a dire lui. - Sei solo una stupida
ragazzina! È giunto il momento che qualcuno ti insegni a
stare al
tuo posto...!
Tolse
una delle mani
dal collo della sua preda, portandola più giù,
sul laccio che
tenevano su i suoi pantaloni.
- Vedrai, alla fine
ti piacerà. Finalmente verrai trattata come una vera donna!
Già
in procinto di
arrendersi, nell'udire questa minaccia qualcosa dentro di lei si
riscosse e, non appena l'altro fece tanto di avvicinarsi al suo viso,
Toph aprì la bocca mordendogli con forza la vena giugulare.
Colpì
lì andando a tentoni, incapace per via della sua
cecità di colpire
volontariamente
proprio quel punto: aveva aperto le fauci per disperazione e con
quello stesso spirito aveva afferrato coi denti la prima cosa che le
era capitata a tiro.
Quando
lo lasciò
andare, alcune gocce di sangue le colpirono il volto facendole capire
cosa era stata capace di fare.
Rimase
ferma
sdraiata sul pavimento, ansante, mentre al suo fianco la persona che
un secondo prima era stata pronta a violarla finiva lungo distesa con
la mano intenta a tamponare – inutilmente – la
ferita che lei gli
aveva appena inferto.
Qualche
minuto dopo,
nell'attimo in cui il cambio guardia entrò nella sua cella
per
vedere come andavano le cose, la trovarono ancora lì.
Letteralmente
immobile. Il giovane a pochi centimetri di distanza dal suo corpo,
bianco come un lenzuolo.
◇♦◇
- Da questa parte,
prego.
Nuove
voci la
riportarono coi piedi per terra.
Da
quando aveva
ucciso quell'uomo a mani nude, non aveva chiuso occhio nemmeno per un
attimo. Era rimasta sveglia, in qualche modo terrorizzata al pensiero
che nel sonno qualcuno avrebbe potuto entrare per provare a farle del
male. Stare in allerta era un modo come un altro per dire a chi aveva
brutte intenzione “ehi, avvicinati pure, ma fallo a tuo
rischio e
pericolo!”.
- Mi raccomando.
Stiate il più lontano possibile da lei.
Si
chiese a chi
stesse parlando questa volta il secondino.
- Molti soldati
sono stati feriti gravemente, quando hanno provato a divertirsi con
la prigioniera. Uno è morto dissanguato.
Sentì
la chiave
entrare nella serratura, facendola scattare.
- Vi prego di
essere prudente.
Toph
finalmente alzò
gli occhi dal pavimento.
Spazio all'autrice: Mi inserisco giusto un secondo per controllare (anche se non so in che modo) che nessuno abbia preso a male ciò che è successo in questo capitolo. L'avvertimento alla possibile comparsa di temi non proprio simpatici c'è nella descrizione di questa storia, ma penso sia sempre giusto assicurarsi che ciò che ho scritto non abbia lasciato danni. Sin da principio volevo rendere questa storia più adulta rispetto all'opera originale, e considerando in che universo è ambientata capirete anche perché: sono stati cento anni duri senza l'Avatar, cento anni in cui la guerra è stata pesante e ha cambiato molto le persone che l'hanno vissuta; come avete visto e come vedrete più avanti sono tipo da lasciare sempre spazio alla battuta (perché non riesco a vivere senza farne almeno una al giorno, capitemi), tuttavia nel complesso questo rimane un racconto giusto un peletto più "da grandi". Ecco tutto. Volevo dire solo questo. A presto! |
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Capitolo 12 *** Will you ever bow to me? ***
Book
Two: Fire
Chapter
eleven: Will you ever bow to me?
Si
vergognava particolarmente della piega che avevano preso le cose
all'interno della cella costruita per contenere – nel miglior
modo
possibile – la temibile Morte dell'Est. Era stato a
conoscenza dei
sentimenti che albergavano nel cuore del giovane Tai da tempo, e
proprio per questa ragione aveva pensato che promuoverlo a membro
della sua scorta personale sarebbe servito a tenerlo ben lontano da
eventuali guai. Un animo spinto unicamente dal desiderio di vendetta
o comunque dalla voglia di rivalsa non era buon consigliere, questo
Zuko lo sapeva forse meglio di chiunque altro: proprio
perché da
giovane lui stesso era stato vittima di simili emozioni, aveva
sperato, forse scioccamente, di poter insegnare a qualcun altro come
comportarsi nell'attimo in cui ci si sente in balia di forze tali da
renderci imprevedibili. In un modo o nell'altro si era convinto che
bastasse l'esperienza del suo passato a renderlo un bravo maestro, ma
si era sbagliato. Per via dei mille impegni e della totale mancanza
di attenzione che in realtà aveva prestato al figlio del
Generale
Yong, ora le cose erano sfuggite di mano sia a lui, l'insegnante, che
al suo stesso “discepolo”. La Morte dell'Est aveva
reclamato al
sua ennesima vittima, in una situazione per altro in cui più
di
chiunque avrebbe dovuto essere indifesa.
Che
fosse capace di stupirlo ancora nonostante la precaria posizione in
cui si trovava, costretta alla prigionia all'interno della base
nemica, aveva un non so che di straordinario per lui.
-
Da questa parte, prego.
Seguì
la guardia senza dire niente, ancora assorto nelle proprie
congetture. Per quanto quello fosse oramai a tutti gli effetti il suo
palazzo, doveva ammettere di non aver mai prestato molta attenzione a
quella parte del grande edificio in cui era stato cresciuto. Le
segrete non erano luogo adatto a lui, si era sentito ripetere
più e
più volte, sia quando era ancora molto piccolo che ora, nel
presente: una persona del suo rango non doveva mischiarsi con la
feccia, che si trattasse di poveracci ch'erano stati catturati per
aver commesso un grave torto nei confronti della famiglia reale o di
nemici resi prigionieri nel corso di un qualsivoglia scontro; a lui
spettava governare da un luogo sicuro, seduto al suo trono, protetto,
lontano dalla possibilità di respirare la stessa aria di
persone che
non erano state abbastanza furbe da saper scegliere a dovere con
quale parte schierarsi. Era ovvio che, se avessero deciso di stare
con lui e prima di lui con suo padre Ozai, molti di quegli stessi
prigionieri ora avrebbe avuto a disposizione la propria
libertà.
-
Mi raccomando. Stiate il più lontano possibile da lei.
La
guardia non si voltò neanche un secondo per guardarlo mentre
gli
parlava. Tenendo bene alzato un braccio davanti al volto, stava forse
concentrando tutta la sua attenzione nell'esercitare il proprio
Dominio su una piccola palla di fuoco, ora intenta a brillare qualche
centimetro sopra alle sue dita tese. L'intero cammino che conduceva
alla cella della Regina di Ba Sing-Se era già illuminato,
tuttavia
laggiù, nei meandri oscuri di quelle segrete, la luce pareva
non
essere mai del tutto sufficiente. Zuko aveva fatto scavare quello
spazio personalmente, ampliando ancora le dimensioni dei sotterranei
del palazzo. Si era dato quella pena poco tempo dopo la comparsa di
Toph, come se dal giorno alla notte uno strano presentimento gli
avesse suggerito che fosse necessario occuparsi di una simile
faccenda al più presto possibile, giusto per evitare che,
una volta
catturata, la Morte dell'Est potesse sfuggirgli troppo facilmente. Al
tempo non credeva che il giorno in cui l'avrebbe presa per davvero
sarebbe mai arrivato. Aveva preso quella decisione per puro
capriccio, seguendo più l'istinto che il buon senso.
-
Molti
soldati sono stati feriti gravemente, quando hanno provato a
divertirsi con la prigioniera. Uno è morto dissanguato.
Non
serviva certo
che lo dicesse a lui. Sapeva cosa era successo e solo per questa
ragione si era spinto a raggiungere quel posto sudicio ed umido. O,
per lo meno, questo era ciò che si ripeteva. La
verità era che
dentro gli si era smosso qualcosa quando era giunta la notizia della
morte di Tai alle sue orecchie: si era sentito come pervaso da una
grossa curiosità e allora, senza neanche riflettere, poche
ore dopo
l'accaduto aveva raggiunto la porta che conduceva alle prigioni.
Ci
avevano impiegato
un po' ad arrivare fino a lì, ma ora finalmente il rumore
della
chiave a girare nella serratura della cella sentenziò la
fine del
suo – breve – viaggio. Ora non poteva
più rimuginare su cosa
fosse bene dire o non dire, su cosa avesse insomma davvero intenzione
di far presente alla sua nemica. Si era preso quel lasso di tempo per
riflettere e mettere insieme un discorso che avesse un senso, ma
oramai non poteva fare altro se non pagare le conseguenze della sua
stessa avventatezza.
-
Vi prego di essere
prudente.
Entrò
all'interno
dell'abitacolo senza alcuna esitazione, come era giusto che fosse. Un
Sovrano che si rispetti mai si può permettere di lasciar
trapelare
dell'incertezza e, in questo, sarebbe andato molto d'accordo con Toph
stessa che a sua insaputa era del medesimo avviso. Per quanto
certamente capitasse ad entrambi di immaginare come avrebbe potuto
essere la loro vita se condotta lontano da quei loro destini, sia
l'uno che l'altra avevano un'idea ben chiara di come dovesse essere
una persona che stava al potere: erano dei ragazzini, tuttavia non
c'era spazio per la paura o per i dubbi.
-
Non credevo che
saresti tornato qui vivo.
La
voce di Toph Bei
Fong gli apparì piuttosto serena considerata l'avventura che
aveva
da poco vissuto. Guardando meglio però Zuko si rese conto
che la sua
era tutt'al più una farsa. Essere attaccata a quel modo da
qualcuno
non doveva essere stato bello, nemmeno quando si possedeva tutta la
forza interiore di cui lei era in possesso: il solo pensiero che il
suo assalitore fosse ancora vivo e quindi intenzionato ad avere la
propria rivincita era stato abbastanza da scuoterla, se lo sentiva.
Quel sorriso sghembo era ben diverso da quello che in precedenza le
aveva visto in volto la prima volta in cui si erano incontrati faccia
a faccia.
-
Visto che sei qui,
dimmi... - Continuò Toph, inclinando il capo. - Quale parte
del
corpo vuoi che io ti stacchi questa volta?
-
Il soldato a cui
ti stai riferendo è morto.
Decise
di
interrompere all'istante quel giochetto, impedendole così di
continuare – seppure inconsciamente – a rendersi
ridicola. Aveva
cominciato a rispettarla abbastanza da non riuscire a sopportare
l'idea che una persona come lei si mostrasse inerme. Non lo poteva
vedere e per questo non aveva capito chi fosse. Solo per questo stava
parlando a quel modo, solo per questo non gli pareva più la
formidabile opponente conosciuta sul fronte. Sì, doveva
essere così.
-
La tua mira è
stata impeccabile. - Continuò. - Hai morso via la carne
proprio dove
passava la giugulare, tanto in profondità da rendere ogni
possibilità di tentare almeno di salvarlo completamente
inutile. Non
che ce ne sia stato il tempo, comunque...
Mentre
parlava si
era avvicinato a lei di qualche passo fino a raggiungere la catena
che andava legandosi all'anello di metallo stretto attorno al collo
della sua avversaria. Si piegò lentamente, afferrandola e
tirandola
con un forte strattone, Toph a scattare in piedi per riflesso.
-
...più i giorni
passano più comincio ad ammirare le tue prodezze. Hai una
forza di
volontà invidiabile.
Al
posto suo
chiunque altro si sarebbe arreso, non ne aveva alcun dubbio. Non
conosceva nessun uomo che avesse la sua stessa forza – o
forse
quella era solo testardaggine? - né ricordava di aver mai
conosciuto
un'altra donna con quel medesimo carattere. Bisognava essere dei
folli per continuare imperterriti a lottare a quella maniera. O
questo o si doveva essere in possesso di una fiducia talmente forte
nel futuro da non essere in grado di permettere a cose come lo
sconforto di prendere il sopravvento.
-
È
quasi ironico. - Disse ancora. - Io, ventiduesimo imperatore della
Grande Nazione del Fuoco, pilastro su cui si basano le fondamento di
questo stesso palazzo e Re che presto dominerà il mondo... Io,
Zuko, ammiro te.
Cadde
il silenzio
dopo questa sua affermazione, non tanto perché Toph si era
sentita
intimorita a causa di una simile introduzione o orgogliosa al
pensiero di essere fonte di un tale sentimento per il nemico. Il
silenzio cadde perché mentre Zuko la stava osservando
studiandola
con la sua solita minuzia nei dettagli, lei stessa stava osservando
lui pur senza vederlo, e questo solo per meglio capire se le sue
fossero parole dette con sincerità. Quando intuì
che le pensava
davvero, quelle cose, si sentì finalmente in dovere di
controbattere.
-
Dovresti
riflettere prima di parlare, piccolo arrogante. - Sentenziò.
- Puoi
forse far capitolare la terra stessa? Può il tuo potere far
collassare una montagna?
Rimase
zitta qualche
secondo prima di continuare.
-
Non importa quanto forte il vento soffi, una montagna non finisce in
mille pezzi. Il
Regno della Terra
non cadrà.
Quel
che intendeva dire era che il suo popolo non avrebbe ceduto solo
perché lei era stata fatta prigioniera. Confidava nei suoi
commilitoni, nei suoi sottoposti, sapeva che avrebbero continuato a
lottare e che a breve – non avesse dovuto fare ritorno
– qualcun
altro avrebbe preso il comando per far fronte alle minacce. E se
anche non fosse toccato ai Dominatori della Terra, allora prima o poi
altri si sarebbero fatti avanti. La cosa straordinaria della
speranza, era che poteva accendersi nel cuore di chiunque, quando uno
meno se lo aspettava. In ogni cosa al mondo doveva esserci un
equilibrio e dinanzi alla comparsa di un male molto grande a sua
volta sarebbe comparsa la fonte che avrebbe dato inizio alla sua
sconfitta.
Toph
credeva in
questo.
-
...non possiamo
fare altro se non attendere e stare a guardare.
La
risposta di Zuko
non tardò ad arrivare ma, nel complesso, le parve essere
priva di
vero e proprio trasporto. Era strano avere a che fare con quel
ragazzo proprio perché nella maggior parte delle occasioni
non si
dava pena di provare niente. In quel momento le veniva difficile dare
sostegno a tale tesi visto che non poteva usare le sue
capacità, le
solite che di norma le permettevano di capire all'istante quali
fossero i sentimenti di chi aveva attorno, però sapeva che
in fondo
pensandola in quel modo non poteva essere poi tanto lontana dalla
verità. Lo stesso Signore del Fuoco era a conoscenza di
questa sua
peculiare condizione, per questo qualche ora prima si era stupito
nell'averla voluta vedere con tanta urgenza. Erano da tempo ormai che
non sentiva qualcosa. Qualsiasi cosa. Perfino la
semplice
curiosità era diventata una specie di sconosciuta per lui.
Per non
parlare poi del senso d'ammirazione.
-
Come ti dicevo,
non tutte le persone possiedono la tua stessa forza. Nella migliore
delle ipotesi il tuo esercito terrà duro ancora per qualche
settimana, forse qualche mese, ma poi... - Le sorrise, lasciando a
metà la sua frase e dandole infine le spalle per uscire da
quella
cella. - Tolta di mezzo te nulla potrà più
fermarmi.
Lasciata
sola la
prigioniera con queste ultime parole, Zuko non attese oltre e
percorse a ritroso la strada che dal salone del palazzo lo aveva
condotto fino a lì. Non aspettò nemmeno che la
guardia gli
illuminasse il cammino, né si fermò poco
più avanti a rendere noti
i sunti della sua discussione con Toph al resto dei suoi Consiglieri,
i quali si erano raccolti tutti all'uscita ad aspettarlo con l'aria
di chi già era in procinto di vomitargli addosso tutto il
suo
disappunto. In fondo sapeva perfettamente cosa gli avrebbero detto.
Prima di mostrare la loro preoccupazione per la sua
incolumità –
visti i recenti avvenimenti accaduti da che la Morte dell'Est era fra
loro – avrebbero finito col rimproverarlo, insinuando senza
mezzi
termini che il suo gesto avventato avrebbe anche potuto essergli
fatale. E lui, come al solito, si sarebbe ritrovato a sospirare
appena, stufo di quel solito tran tran e di quelle solite
chiacchiere.
Solo
uno fra quel
mucchio di volti attirò davvero la sua attenzione.
Poco
distante da
tutti gli altri vide Sokka, le mani conserte dietro la schiena e lo
sguardo divertito, le labbra piegate nel suo solito sorriso.
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