G u i l t .

di Sparrowhawk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione. Echi della Grande Guerra ***
Capitolo 2: *** I want to go back to the front line. ***
Capitolo 3: *** Disappointment ***
Capitolo 4: *** Face to Face. ***
Capitolo 5: *** There’s no need to use only muscles! ***
Capitolo 6: *** Something big ***
Capitolo 7: *** New Life ***
Capitolo 8: *** You’ve got to be kidding me… ***
Capitolo 9: *** Happy family? ***
Capitolo 10: *** Confusion ***
Capitolo 11: *** Long time no see ***
Capitolo 12: *** Will you ever bow to me? ***



Capitolo 1
*** Prefazione. Echi della Grande Guerra ***


Prefazione.

Echi della Grande Guerra.



La guerra andava avanti da cento anni ormai, e nonostante in molti fossero già morti o scomparsi, erano ancora tanti quelli che vi partecipavano attivamente. Alcuni lo facevano per vendetta, altri per riuscire a dare il proprio contributo, nella speranza di mettere la parola fine a quella strana disputa, e, fra gli sciocchi, c’era anche chi combatteva per la gloria.

La Nazione del Fuoco, in questo, si riconosceva bene. Era stato infatti il vecchio Signore del Fuoco Sozin a dare inizio al tutto, compiendo il genocidio dei Nomadi dell’Aria e guadagnandosi così il titolo del più grande fra coloro che lo avevano preceduto a capo della propria nazione.

Lo aveva fatto con il preciso intento di impedire all’Avatar di cominciare il suo addestramento, imponendo così al mondo non solo di non avere una guida, ma anche un difensore. Egli sarebbe stato l’unico in grado di fermarlo, una volta acquisiti tutti i Domini, quindi gli parve ovvia la decisione di fare tutto ciò che era in suo potere per ucciderlo.

Ucciderlo o, per lo meno, catturarlo.

Tutti si considerarono fortunati quando si venne a sapere che, a dire il vero, Sozin non fu mai in grado di vedere, anche solo per un istante, il predestinato. L’Avatar era fuggito, scampato di un soffio alla tragedia che ancora oggi è ricordata negli annali come la più orribile dimostrazione della crudeltà dei Dominatori del Fuoco.

Purtroppo però, assieme alla gioia di sapere che, da qualche parte, il grande salvatore era ancora vivo, si affiancò anche l’angoscia nel non vederlo comparire nei momenti più bui che seguirono lo sterminio dei Nomadi dell’Aria. La Nazione del Fuoco si espandeva, aumentava il numero delle vittime, ma pur con un simile clima di disperazione egli non arrivò mai in soccorso dei più deboli.

Così, convinti che in fondo fosse morto per davvero, il mondo cominciò a non credere più in lui, dimenticando non solo la sua storia, la sua grandezza, ma anche la speranza.

Dopo la morte di Sozin, la Nazione del Fuoco conobbe altri dittatori, quali suo figlio e suo nipote, il Signore del Fuoco Ozai, pari a lui in egoismo e malvagità.

Quest’ultimo si ritagliò nella storia uno spazio tutto suo, facendo raggiungere al proprio popolo l’apice della prosperità a discapito della felicità altrui: conquistato il trono con l’inganno – ovvero approfittando di un momento di debolezza del fratello maggiore, Iroh -, Ozai compì molte rivoluzioni, macchiandosi al contempo anche di svariati peccati. Il suo stesso primogenito, sangue del suo sangue, venne esiliato dalla propria terra dopo essersi guadagnato sul viso una cicatrice spaventosa, a ricordo dell’insolenza con cui si era posto nei riguardi del padre.

Il Signore del fuoco costrinse il figlio a cercare l’Avatar, ben sapendo che tale richiesta rasentava il ridicolo: ormai tutti davano per scontato che questo non esistesse più, e perfino il migliore dei Cacciatori non lo avrebbe mai potuto trovare.

Un giorno, però, Zuko tornò a corte. Accompagnato dalla sorella Azula prese possesso della dimora del Signore del Fuoco e, in breve, anche del suo regno. Ozai morì, lasciando al figlio il suo posto.

Nessuno seppe mai come ciò era stato possibile, come, un principe esiliato, avesse convinto la sorella a collaborare per la conquista del potere. Tuttavia, all’età di diciassette anni, egli prese coscienza della situazione e diresse la guerra verso nuovi lidi. Sotto al suo comando, la Nazione del Fuoco ricominciò a vincere le battaglie, una dopo l’altra, mettendo in ginocchio anche gli ultimi che ancora cercavano di tenergli testa.

Quando il Re di Ba Sing-Se morì, seguito a ruota dal Dai Li ed il suo entourage, tutto sembrò finito.

I Dominatori del Fuoco avevano vinto ed erano riusciti a conquistare ogni cosa.

Fu però “La morte dell’Est” a riportare l’ordine nella città fortezza, scacciando da sola le truppe di Zuko. La nuova Regina di Ba Sing-Se, una ragazzina di soli quattordici anni, seppe contrastare un’intera legione, riportando la luce laddove si era espansa la tenebra.

Accompagnata da nuovi soldati e stringendo alleanze con gli ultimi gruppi di ribelli, ella ricominciò la guerra, pronta a lottare fino alla morte se fosse servito a ripristinare l’equilibrio che Sozin, cento anni addietro, aveva spezzato.

Fino a che la Nazione del Fuoco non fosse stata sconfitta, non c’era speranza per nessuno di vivere la propria esistenza normalmente, riabbracciando i propri cari o ricostruendosi una famiglia. Bisognava continuare, combattere fino all’ultimo respiro per ricominciare a vivere sul serio.

L’Avatar era dunque scomparso, ma, almeno la speranza, era tornata.

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Capitolo 2
*** I want to go back to the front line. ***


Book One: Earth

Chapter one: I want to go back to the front line



La città fortezza di Ba Sing-Se, durante le visite della propria Regina, era sempre piena di fermento: nonostante fuori dalle mura la Nazione del Fuoco stesse tentando di conquistarla, là dentro i cittadini si sentivano al sicuro e festeggiavano l’arrivo della Sovrana con sempre rinnovata eccitazione e contentezza. Era una gioia vedere i sorrisi delle persone, ignare della Guerra che imperversava nel mondo o forse decise ad ignorarla per almeno un paio di giorni. Fra le strade del primo, del secondo, e del terzo anello murario, le risate e le feste riempivano il quotidiano. I bambini sorridevano, i vecchi parlavano tranquilli ai tavoli delle taverne, i lavoratori facevano piccoli sconti in onore della presenza di colei che, da sola, aveva riportato la pace almeno in quel piccolo, piccolissimo pezzo di mondo.

Quando era a “casa”, gli stendardi verdi venivano issati per tutta la grande muraglia, e perfino dalle finestre delle case dei normali contadini una piccola bandiera sventolava allegra al vento.

La “Morte dell’Est”, Toph, era benvoluta ed amata da tutti i suoi sudditi, ma per quanto tale affetto fosse invidiato dai più, lei pareva non goderselo appieno. Era infatti sua opinione che fosse inutile ostentare tutta quella devozione laddove lei, con la sua cecità, non avrebbe potuto comunque apprezzarla. Essendo poi una persona dura e schietta, difficilmente trovava affascinanti oscuri figuri propensi solo a farle da lacchè. Chiaramente non tutti quelli che le si avvicinavano avevano l’intenzione di guadagnare qualcosa facendo i gentili nei suoi confronti, però ormai la giovane Regina aveva assunto una sorta di propria visione distorta del popolo mondiale: da una parte c’erano quelli disperati, pronti a tutto per riottenere quel tanto che bastava per farsi chiamare ancora “esseri umani”; dall’altra, invece, c’erano quelli senza scrupoli, spinti dal desiderio di arraffare più che si poteva, approfittando della situazione di svantaggio dei meno fortunati.

Quindi, pur lavorando sodo per salvare gli uni e gli altri, Toph non si sentiva mai in dovere di ricambiare le gentilezze altrui.

Si ripeteva che non aveva combattuto, riprendendosi Ba Sing-Se, per avere più amore – vero o falso che fosse – nella sua vita. Se si era cimentata in una simile imprudente quanto folle impresa, era stato perché quella era la cosa giusta da fare, punto. Non c’erano motivi in più che avrebbero reso la sua condizione migliore rispetto a quella di prima. Comunque fosse andata, ovvero sia che fosse morta nel tentativo di ridare un po’ di speranza non solo al Popolo del Regno della Terra, ma anche al mondo intero, sia che fosse riuscita nell’intento, Toph aveva deciso di lottare per ciò che credeva essere la causa più valida.

La libertà.

Lei rivoleva la libertà per il suo Regno, per gli oppressi e anche per se stessa.

Era un concetto semplice, alla fin fine.

- Mi state dicendo che cominciano a scarseggiare le provviste? - domandò la ragazzina, camminando con il proprio seguito per i corridoi del castello.

Ad ogni svolta c’erano servitori dediti agli inchini, nobili che la salutavano, cameriere allegre e fin troppo accomodanti. Toph alzò gli occhi al cielo, aumentando la velocità per raggiungere il prima possibile la sala riunioni: non le piaceva quell’atmosfera falsamente calma, né tanto meno apprezzava discutere di importanti novità così, davanti a tutti, con il rischio che orecchie non avvezze ai cattivi presagi potessero ascoltare.

- Esattamente, mia Regina.

Il Generale Cheng1 le si affiancò, le mani dietro alla schiena, unite, il solito sguardo sincero e sicuro ad accompagnare ogni sua mossa. Personalmente Toph apprezzava quell’uomo, le dava l’idea di essere totalmente affidabile e, quindi, era forse per questo motivo che lasciava sempre a lui il comando della città quando doveva assentarsi. A differenza di Long Feng, il Dai Li, quell’uomo comprendeva la necessità di mantenere la popolazione in costante stato d’allerta, in modo da non darle false speranze circa la pace. Con lui al proprio fianco, Toph sapeva di non doversi preoccupare circa le sorti di Ba Sing-Se. Se un giorno lei non fosse tornata, Cheng l’avrebbe sostituita senza rivoluzionare ciò che lei, nel corso del breve tempo che aveva passato come Sovrana, aveva costruito.

- Sono settimane che dite questo, Generale Cheng, eppure non vedo altro che banchetti sontuosi alle mie tavole, nonché continue festicciole nelle piazze della città. – disse ad un certo punto Toph, spalancando i portoni della sala conferenze ed andando di filato al suo posto, a capo della grande tavolata - …o state cercando di mettermi sotto pressione, o volete ridurci alla miseria prima del dovuto. Per quale delle due devo propendere?

Cheng abbozzò un sorriso, sedendosi alla sua destra.

- Né per l’una, né per l’altra. – rispose – I cittadini conoscono le nostre condizioni ma, nonostante tutto, hanno deciso di continuare con i festeggiamenti per il suo arrivo.

- Un atto di grande devozione, mia Signora.

Lei accavallò le gambe malamente, appoggiando il mento al palmo della mano. Girandosi verso il Generale Hui esibì una profonda nota di disapprovazione.

- Un atto di devozione, dite? Mi aspettavo più acume da lei. Il suo nome non significa forse “intelligenza”? – sibilò – Io la trovo pura stupidità. Se siamo a corto di viveri non voglio che la mia gente si privi di ciò che ha per ostinazione. Posso vivere anche senza tutte queste celebrazioni.

- Il popolo le vuole bene.

- Lo so. Lo so e ne sono felice, ma non possiamo permetterci passatempi, adesso. Festeggeremo quando sarà il caso, ovvero quando e se avremo vinto questa Guerra.

Alcuni fra i Generali più giovani annuirono, convinti che la loro Regina avesse pienamente ragione, ma chi, fra quelli più anziani, aveva avuto modo di vedere gran parte di quell’eterna disputa pensò, fra sé e sé, che forse quelle potevano essere le ultime ore felici passate nella propria dimora. Era passato così tanto tempo, da quando anche uno solo di loro aveva vissuto in pace, che adesso ogni occasione era buona per cercare almeno di dimenticare il dolore, il senso d’oppressione, il dispiacere.

- Fate affiggere ai muri della città volantini, assicuratevi che tutti conoscano il mio volere. – continuò Toph, osservando con occhi ciechi ogni persona all’interno di quella stanza – Basta con le feste in mio onore. Mi rendono orgogliosa di essere la Regina, certo, però mi fanno anche sentire in colpa. Tutto quel cibo ora viene sprecato, e prima o poi qualcuno potrebbe pentirsi di aver fatto tanto.

- Come desiderate.

- Al fronte, comunque, le cose non vanno molto bene.

- Perché, qui vanno forse bene, Generale Hui?

L’uomo alzò lo sguardo su di lei e, notando un sorriso schietto, ricco di ironia, si costrinse in qualche modo a non risentirsene. Tutti conoscevano il carattere di Toph e per quanto ciò non si addicesse per niente al suo status di Regina del Regno della Terra, oramai perfino loro ci avevano fatto il callo. Era stata la sua forza a salvarli tutti, bisognava darle almeno il beneficio del dubbio.

- Intendevo dire che, proprio come qui, gli approvvigionamenti cominciano a scarseggiare. Stiamo facendo come ci ha detto, mia Signora, in città accogliamo tutti i rifugiati possibili e tra le nostre fila aggiungiamo volenterosi incontrati lungo la strada, assicurandoci che ci possano essere di qualche aiuto in battaglia, ma continuando su questa strada non abbiamo fatto altro che aumentare la popolazione in modo esagerato, assottigliando la quantità di cibo.

- Credo che potrebbe andare peggio.

I più si accigliarono, il Generale Hui in primis.

- E come…?

Toph rise sommessamente, la sua risata roca, piena di scherno.

- Potrebbe cominciare a non esserci più l’acqua. Ah, come vorrei che ci fossero ruscelli di carne…

- Non credo che vostra Signoria stia prendendo seriamente la situazione…

- La sto prendendo come deve essere presa, Hui. – mormorò Toph, battendo le mani sul tavolo – Le persone che arrivano qui ogni giorno necessitano di un luogo sicuro in cui vivere, e quelle che invece si fanno avanti, decise a combattere al nostro fianco, fanno un grosso favore a tutti noi. Mi rendo conto che siamo in un momento di crisi, nessuno meglio di me può capirlo, ma sappiate che non ho nessuna intenzione di lasciare al proprio destino intere famiglie o piccoli gruppi che, da soli contro le truppe della Nazione del Fuoco, rischierebbero la morte. Se non vi piace come la penso, potete sempre ingegnarvi per trovare un’idea migliore, intelligentone.

Calò il silenzio, dopo quel discorso. Nessuno osò proferire parola e, chi aveva la capacità di farlo, si godette la scena carica di tensione, passando lo sguardo da Toph a colui che aveva osato contraddirla. Quest’ultimo ignorò volutamente l’ultimo commento della Regina, e dopo essersi alzato dalla propria sedia si prodigò in un profondo inchino.

- Chiedo perdono per avervi offesa, mia Signora. – disse.

La giovane non rispose e piuttosto si ravvivò i capelli, scuotendo un poco il capo.

- Non mi dovete scuse, Hui. Siamo nativi del Regno della Terra, testardi e ottusi come pochi altri. Mi sorprende che non prendiamo le nostre decisioni a suon di pugni giù, nel cortile…

Tutti risero, dimenticando il pessimo attimo appena vissuto e continuando con la riunione.

La decisione di smettere con le festività venne proclamata idonea, nuove precauzione furono prese per evitare che il cibo prodotto fosse minore rispetto a quello consumato, e quando il gruppo si sciolse Toph corse verso le proprie stanze, seguita a ruota dal Generale Cheng.

- Come al solito, lascio tutto nelle vostre mani.

- E come al solito io mi considero onorato per la fiducia che continuate a riporre in me.

- Torno al fronte, sperando di essere lì il più velocemente possibile. Ultimamente le mosse del Signore del Fuoco si sono fatte furbe, poche ma efficaci. Devo tornare e cercare di capire quale sia il suo piano.

Cheng non disse niente, preoccupandosi silenziosamente per la sua Regina. Come ovvio non trovava giusto che fosse una ragazzina di appena tredici anni a sobbarcarsi delle sorti di un’intera nazione – o del mondo stesso, molto più probabilmente – e per quanto conoscesse la sua grandezza sul campo di battaglia, ancora gli veniva difficile reprimere il proprio istinto paterno.

D’altro canto, se non si occupava lui di farle sapere certe cose, chi altri avrebbe potuto? La famiglia Bei Fong era stata distrutta e Toph era rimasta sola. Non c’erano genitori, per lei, pronti a sacrificarsi o a farle notare i suoi errori.

- …non dovreste fare tutto da sola. – proferì infine, osservandola mentre rallentava il passo.

Si fermarono poco distanti dalla terrazza che dava sul giardino interno, quello pieno di alberi verdi e sanissimi. Se ci fosse stato tempo nella sua frenetica vita, Toph avrebbe apprezzato molto godersi una giornata dedita solo alla svagatezza sotto a quelle fronde, ma si dava il caso che per un motivo o per l’altro tale privilegio non le veniva mai concesso.

- Se non mi occupo io di certe cose, chi altri lo farà? – gli chiese, voltandosi verso il calore del Sole, il quale le colpiva il braccio sinistro, filtrando dalle porte aperte – Sono la Regina, è mio dovere fare tutto da sola.

- È vostro dovere occuparvi del Regno, questo non lo nego, ma trovo sia ingiusto da parte di tutti il dare così per scontato che sia una cosa naturale, per una giovane come voi, il rinunciare ad una vita diversa.

Toph venne scossa da un fremito, ma non di rabbia, di divertimento. Si mise una mano sul fianco, dondolando appena appena il capo.

- A che genere di vita potrei aspirare se non a questa, Cheng? Il mondo è in rovina, e a meno che io non fossi nata nella nazione nemica, non avrei alcun modo per godermi un’esistenza tranquilla. – disse – Questa vita mi va bene. Me la sono scelta e a testa alta continuerò a viverla, dovesse costarmi un braccio, una gamba o chissà che altro.

- Sì, ma…

- Niente ma, Cheng. – gli sorrise, e stavolta cercò di imprimere dolcezza in quell’espressione, non sarcasmo – So cosa stai cercando di fare, e ti ringrazio. La Guerra però non si fermerà solo perché non è giusto che una ragazzina combatta.

Detto questo, dopo essersi salutati, Toph mise piede nei propri appartamenti, dando ordini ai servitori di preparare la sua sacca: presto sarebbe tornata al centro della mischia, cosa che un po’ la inebriava di adrenalina e che un po’, anche se mai lo avrebbe ammesso, la impauriva.

Il solo pensiero che quell’incubo sarebbe potuto non finire mai la schiacciava giorno dopo giorno, continuamente, obbligandola sì a stringere i denti, ma anche a chiedersi per cosa stesse ancora lottando.

La libertà, Toph.” si disse, scacciando i brutti pensieri dalla mente “Ricordalo sempre: vale la pena di morire per la libertà.”

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Capitolo 3
*** Disappointment ***


Book Two: Fire

Chapter two: Disappointment



A Zuko non erano mai piaciuti gli incontri che si tenevano nella sala del Trono, con i vari Generali e le persone più importanti della Nazione del Fuoco. A non farglieli piacere non era solo il ricordo di come si era procurato la cicatrice che portava in volto da più di due anni, bensì l’atmosfera carica di tensione che aleggiava nell’aria quando vi si presenziava. Da sempre suo padre Ozai aveva governato con il pugno di ferro, riempiendo di timore chiunque avesse anche solo osato pensarla diversamente da lui e punendo chi, come il suo stesso figlio, avesse avuto abbastanza coraggio da alzarsi in piedi e dire ciò che non andava nel suo modo di fare.

Per anni Zuko si era detto pronto a cambiare le cose, una volta che fosse diventato Signore del Fuoco ed il potere fosse passato nelle sue mani: la sua giovane mente era piena di innovazioni, di bontà e di ideali ben consacrati, ma ora che finalmente aveva preso il posto del padre non aveva fatto ancora niente per far sì che qualcosa diventasse diverso.

Per questo non apprezzava quelle riunioni.

Erano un monito costante alla sua inefficienza.

Si era semplicemente abituato a ciò che aveva intorno, considerando sciocco da parte sua confidare ancora nei sogni di un se stesso lontano, distante anni luce dall’uomo che era diventato. Il mondo non necessitava di pace, ma di un Sovrano pronto a tutto per riuscire a renderlo perfetto sotto ogni punto di vista.

- Ora che siamo tutti riuniti, prego i Generali di riferirmi i loro dubbi. Siamo in una stanza a porte chiuse, nessuno, a parte i presenti, saprà mai ciò che qui verrà detto. Insisto, perciò, nel voler ottenere da parte vostra totale sincerità.

Come già detto odiava simili incontri, però li rispettava, e come Signore del Fuoco si dimostrava risoluto e pieno di sicurezza, come tutti volevano che fosse. Nel suo universo non c’erano più spazi per dubbi, ripensamenti o utopie. Stavano combattendo una Guerra e, come d’altro canto il resto della popolazione mondiale, i presenti erano stufi di farlo. Si era giunti ad un punto morto, dove la prossima mossa doveva essere quella decisiva se non si voleva che le truppe gettassero una volta per tutte la spugna.

Dopo la perdita di Ba Sing-Se a favore di una mocciosa spuntata fuori dal nulla, sia Zuko che il suo entourage avevano perso la propria presa sulla popolazione. Erano stati a tanto così dal vincere e poi tutto era andato in malora nel giro di un attimo.

- I soldati sono stanchi, mio Signore.

- Lo siamo tutti, Generale Quiang.

L’uomo annuì mestamente, fissando il proprio sguardo in quello del proprio signore e padrone.

- Me ne rendo conto, ma nonostante le nostre vittorie siano sempre innumerevoli e il numero delle nostre colonie sia in continua crescita, la gente si domanda quando riusciremo a porre fine a tutto questo.

Zuko ricambiò il suo sguardo, sostenendolo senza difficoltà. Non parlò subito, poiché non gli era facile ammettere che la cittadinanza avesse ragione nel dubitare che la fine della Guerra, e quindi l’avvicinarsi della vittoria, fosse poi così vicina. Lui stesso aveva cominciato a diffidare di una simile visione d’insieme, così ottimistica e poco costruttiva.

Si mosse appena, posando le mani sulle ginocchia.

- Questo me lo chiedo anche io, in effetti. – Rivelò infine, senza peli sulla lingua. – Non siete stato forse voi a dire, non più di qualche mese fa, che combattere contro la nuova ondata di ribellione sarebbe stato semplice?

- L’ho detto, mio Signore, ma questo prima di capire che la Morte dell’Est fosse un simile osso duro.

Il ragazzo abbozzò un sorriso sentendogli pronunciare quel nome.

La “Morte dell’Est”. Non c’era più scampo, ormai, dalla presenza di quella fanciulla nella sua vita. Più tentava di mettere in atto nuove strategie, cambiando dunque modo di fare, e più lei, la famosissima neo Regina di Ba Sing-Se, gli metteva i bastoni fra le ruote. C’era dell’ironia nel fatto che non la avesse ancora mai vista in volto. Continuava a ricevere dettagliati rapporti da coloro che la avevano conosciuta sopravvivendo per miracolo al suo passaggio, ma mai prima d’allora aveva avuto modo di scontrarsi con lei faccia a faccia.

Ecco uno degli altri motivi per cui, alcune leggi della Nazione del Fuoco, andavano cambiate.

Che senso aveva, per il Sovrano indiscusso, starsene sempre dietro le quinte a meno che la battaglia da combattere non fosse quella decisiva?

Magari ad Ozai quella condizione poteva andare bene, ma per Zuko era un’assurdità. Era arrivato il momento di mettere in dubbio alcune cose, a partire da faccende che avrebbero solo potuto metterlo ancora più in cattiva luce con i suoi sudditi.

- A quanto pare non c’è altro da fare.

- Come dite, vostra Maestà?

Si alzò in piedi, lasciando il suo comodo cuscino per cominciare a camminare avanti ed indietro di fronte al trono. Il fuoco che lo circondava stava crepitando, innalzando una barriera calda e dirompente fra lui e il suo pubblico. La luce di quel fuoco proiettava una grande ombra alle sue spalle, oscura, stilizzata, eppure tanto simile a come Zuko si sentiva dentro: un corpo pieno solo di tenebra, svuotato del sentimento che un tempo, neanche tanto prima, lo aveva arricchito giorno per giorno.

- Ho deciso di andare al fronte.

Subito si udì un gran vociare. Molti dei Generali più anziani fecero per alzarsi, scuotendo forte i capi mentre frasi come “No, non è prudente” o “Mio Signore, lasci che ci pensiamo noi” uscivano dalle loro labbra.

Lui alzò una mano, interrompendo una volta per tutte il caos che era nato così dal nulla.

- Trovo sia inutile recriminare, signori. – Rispose, calmissimo. – Ho preso la mia decisione. Sono stufo di sapere solo approssimativamente ciò che accade sul fronte Est. Devo vedere con i miei occhi, altrimenti non sarò mai in grado di prendere decisioni giuste, prive d’esitazione.

Poi, dando loro le spalle, abbassò lo sguardo posandolo sul pavimento splendente e cerato.

- Inoltre… - Aggiunse. – Credo sia arrivato il momento, per me, di incontrare la cosiddetta Morte dell’Est.

Solo uno, fra i presenti, parve riscuotersi ad una simile notizia. Il figlio dell’ormai deceduto Generale Yong, colui che per primo aveva visto la Regina del Regno della Terra ed era morto a causa sua, aveva decisamente un conto aperto con quella ragazza. Così come il suo Signore, anche lui voleva vederla di persona, vendicandosi della morte del padre come qualunque altro giovane della sua età avrebbe voluto fare.

- Sarei felice di farvi da scorta, vostra Maestà.

Zuko si girò, mostrando a colui che aveva parlato la parte del volto sana. Riconobbe subito, nel suo sguardo, una punta di ostinata rabbia che ben riconosceva: anche lui, solo un anno addietro, guardandosi allo specchio aveva quella stessa espressione.

Si strinse nelle spalle, alzando un poco il mento.

- Una scorta non mi farà di certo male.

Sapeva che gli avrebbe creato dei problemi, di fronte alla loro comune nemica, ma confidava nel fatto che averlo al proprio fianco lo avrebbe aiutato a tenerlo sotto controllo. Non poteva permettersi che uno dei suoi, vinto da ribollenti desideri, mandasse a monte il suo primo incontro con lei.

- Il giovane Tai verrà con me. – Esclamò infine, tornando a contemplare l’arazzo che stava alle spalle del trono con fare pensieroso. – Mi assicurerò che le mie cose vengano preparate al più presto, quindi avvisate del mio arrivo le truppe. Voglio che si sparga la voce fra le retrovie nemiche. Voglio che si sappia che Zuko, il ventiduesimo Signore del Fuoco, sta arrivando, pronto a combattere lui stesso contro a tutti quelli che avranno abbastanza coraggio per affrontarlo.

- Sarà fatto.

Quando rimase solo, Zuko si mise seduto incrociando le gambe. Mentre gli occhi ambrati osservavano senza attenzione ciò che aveva intorno, il cuore già era corso verso i confini del suo Regno, dove la battaglia per la conquista di Ba Sing-Se e la caduta dell’intero Regno della Terra stava imperversando da lunghi, interminabili mesi. L’arrivo della “Morte dell’Est” di certo lo aveva spiazzato, su questo non c’erano dubbi, tuttavia confidava che una volta incontrata tutto gli sarebbe stato più chiaro: non avrebbe più permesso che l’ignoranza circa le sue fattezze potesse intimorirlo, donando a lei più potere di quanto non possedesse in realtà.

Era una ragazzina, questo lo sapeva per certo, e se una fanciulla come lei poteva apparire unica nel suo genere – dopotutto aveva sconfitto i suoi soldati da sola -, lui non sarebbe stato da meno.

Aveva diciotto anni, era un uomo ormai, i giorni passati a ridere e giocare li aveva lasciati a marcire nel profondo del suo subconscio, dove anche tutte le altre sue emozioni erano state recluse. Non aveva senso affidarsi a quelle quando, là fuori, sul campo di battaglia, non è il cuore a saperti fornire la giusta rotta da seguire.

Avrebbe abbattuto ogni ostacolo, si sarebbe liberato di chi ancora aveva da ridire sulla sua condotta, e quando anche l’ultimo dei suoi nemici sarebbe caduto, allora e solo allora si sarebbe goduto il dovuto riposo.

Il mondo non poteva rimanere così.

Vittoria assoluta o sconfitta totale.

***

Il giorno stesso in cui arrivò a destinazione, si assicurò in primo luogo di conoscere le condizioni delle sue truppe, schierate al limitare dei confini della loro colonia più vicina nel Regno della Terra.

Ba Sing-Se era poco distante, bastava affacciarsi dalla collina per notare, in lontananza, illuminata dalla luce arancione scure del tramonto, la sua maestosa cinta muraria.

Zuko rimase in ascolto dei suoi sottoposti, donando prima la propria attenzione a loro e poi a quella visione quasi aliena: era già stato lì, il giorno in cui la aveva conquistata difficilmente si sarebbe mai cancellato dalla sua memoria, eppure ora se ne stava in quel posto, nel tentativo di compiere un secondo miracolo.

Ba Sing-Se, la città fortezza.

Perfino suo zio Iroh non era riuscito nell’intento di farla sua, ma ora, come niente, gli si chiedeva di rifarlo.

La vita sapeva essere così strana, alle volte.

- Ho saputo che di recente la Regina non si è fatta vedere dai nostri. – Domandò ad un certo punto, camminando a fianco di Comandante Ai per le vie dell’accampamento. Al suo passaggio tutti salutavano e lui, nonostante fosse preso dai suoi discorsi con il compagno, trovava sempre modo di rispondere. – …dubito che la sua assenza sia dovuta al mio arrivo.

Il Comandante rise, accarezzandosi con sicurezza la barba.

- Oh, mio Signore, per quanto sono certo che conosca la sua grandezza, dubito che quel piccolo demonio sappia cosa sia la paura. Non fuggirebbe di fronte al peggiore degli spiriti, a mio avviso.

- Allora devo pensare che si sia ritirata a Ba Sing-Se per incontrarsi con i suoi capi di stato.

- Probabilmente è così, sì.

Zuko annuì impercettibilmente. – Spero che torni presto. Se sono qui è soprattutto per poterla vedere con i miei occhi.

- I miei rapporti non l’hanno soddisfatta…? Eppure sono piuttosto fedeli.

- Sono certo che non abbiate tralasciato nulla, all’interno di quei documenti, però sono anche dell’idea che certe cose si debbano vedere di persona.

- Avete intenzione di combattere o di provare col dialogo?

- Scontrarsi con lei sarebbe molto interessante, non lo nego…

Ed era vero. Chiunque avrebbe atteso con ansia il momento in cui, finalmente, avresse avuto l’occasione di lottare contro il proprio acerrimo rivale. Una vita passata senza simili occasioni era, per un Leader, una vita non vissuta a pieno potenziale. Di tanto in tanto era necessario avere nemici capaci di donarci il piacere della sfida, pari a noi per astuzia e potenza, e si dava il caso che il Signore del Fuoco considerasse la Regina della città fortezza una sua pari.

Confidava nel fatto che sarebbe stato divertente incontrarla, non solo necessario.

- …essendo questo il nostro primo incontro, comunque, penso sia meglio optare per il dialogo. Desidero capire qual è il suo filo conduttore. Cosa la spinge ad andare avanti.

Se c’era una cosa che suo padre gli aveva insegnato era proprio quella: una volta che si era compreso per cosa, chi ti si opponeva, lottava, era molto facile distruggerlo. Era proprio quando si portava via tutto a qualcuno che si mandava in frantumi il suo essere.

La “Morte dell’Est”, per quanto scaltra e capace, non era diversa dai comuni esseri umani.

Colpirla al cuore sarebbe stato semplice come con tutti gli altri.

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Capitolo 4
*** Face to Face. ***


Book One: Earth

Chapter three: Face to Face


Una volta le era stato detto che era sempre bello tornare a casa, dopo che si era stati lontani per via di un lungo, lunghissimo viaggio. Rivedere gli scenari familiari, riabbracciare i genitori e parlare con gli amici di sempre era, per ogni essere umano, la migliore delle cure quando ci si sentiva preda della peggiore delle depressioni. La Regina di Ba Sing-Se però, pur considerando questo piccolo insegnamento una giusta verità, non riusciva a provare gioia nel tornare in quella che da un po’ di tempo a questa parte era praticamente divenuta casa sua.

Rimettere piede al campo, raggiungendo con passo svelto e deciso la propria tenda, era stato difficile e poco piacevole. Detestava quella guerra tanto quanto odiava il dover vedere i visi stanchi dei suoi soldati, la tristezza marchiata a fuoco nei loro sguardi e le ferite, sui loro corpi, a monito dell’incredibile stupidità umana.

- Il Comandante Shun la attende nella sua tenda, mia Signora.

Toph mollò a terra il suo borsone e, voltandosi verso il soldato che l’aveva scortata sino alla sua “dimora” con infinita lentezza, decise di ponderare bene le sue parole prima di aprire bocca.

- Il Comandante mi aspetta…? – domandò, scuotendo lievemente il capo, quasi incredula – Sbaglio o sono io, la Sovrana? Non dovrebbe essere lui a venire qui da me?

Il ragazzo, il quale non doveva avere più di una ventina d’anni, scatto sull’attenti, affrettandosi a darle una quanto mai convincente spiegazione. Deglutì, e lei riuscì a sentire il battito accelerato del suo cuore grazie al contatto del suolo duro sotto alla pelle nuda dei piedi. Un poco ne sorrise, trovando sempre divertente l’austerità che riusciva ad emanare suo malgrado.

- Al momento sta facendo un discorso alle truppe, mia Signora!- disse l’altro – Stamane abbiamo ricevuto un messaggio dalla squadra mandata in avanscoperta e le truppe si sono agitate. Il Comandante Shun sta facendo in modo che tutti si calmino.

- Cosa conteneva quel messaggio di tanto grave da far allarmare un intero plotone?

Tornando a rilassarsi poiché certo di non aver realmente offeso la sua padrona, il soldato semplice non poté fare a meno di prendersi un altro po’ di tempo prima di rispondere. Era una notizia difficile da dare, in fondo.

- …il Signore del Fuoco, Zuko, è arrivato ieri nell’accampamento nemico.

La ragazzina si rizzò bene eretta, nel sentirlo. Il Signore del Fuoco faceva tanto d’uscire dal suo rifugio sicuro e lei lo veniva a sapere solo ora, quando era così vicino che gli sarebbe bastato un attimo per coglierla di sorpresa con un attacco?

Digrignò i denti, stringendo forte i pugni mentre scansava il suo informatore per riuscire a raggiungere immediatamente il Comandante Shun. Camminò speditamente, ignorando i saluti ossequiosi delle svariate truppe e cercando, fra la folla, il ridicolo codino di quell’uomo grossolano e torchiatelo. Non appena lo individuò, raggiuntolo con la velocità di una saetta, parlò:

- Quando avevate intenzione di parlarmi dell’arrivo di quel tizio, si può sapere? – strillò.

Shun si girò verso di lei mezzo sconvolto, agitando subito le mani come a volersi discolpare.

- Mia Signora, lei era impegnata con la riunione in città, ho pensato fosse meglio…

- No, la verità è che voi non avete pensato affatto, Comandante! – esordì lei, sbattendo con ferocia il piede a terra, un tremito a propagarsi nelle immediate vicinanze – La riunione si svolgeva a porte chiuse, ma conosciamo entrambi le varie scappatoie che intercorrono quando arriva un messaggio urgente dal fronte. Vi ho lasciato il comando perché convinta di potermi fidare di voi, ma evidentemente mi sono sbagliata!

- Oh, mia Regina, se avessi saputo che il mio gesto le avrebbe arrecato un simile disturbo, io…

- …vi sareste comportato più saggiamente, magari?

L’uomo si inginocchiò al cospetto della fanciulla e, poggiando la fronte spaziosa al terriccio, mostrò tutto il suo dispiacere. Solo allora, capendo di avere esagerato, Toph trattenne il respiro ordinandogli di rialzarsi. Mormorò a sua volta un “mi dispiace” prima di tornare a dialogare con lui ad un tono di voce consono e più civile.

- Mettendo da parte i motivi che vi hanno spinto a tacermi il suo arrivo, avete per caso intuito quali siano le sue intenzioni?

- Temiamo che il suo obbiettivo sia propria lei, a dire il vero.

- Io?

- Sì.

Toph annuì, portando le mani sugli esili fianchi. In mezzo a tutti quegli omoni nerboruti e muscolosi, appariva sempre più piccola e giovane di quello che effettivamente era. A vederla nessuno l’avrebbe presa sul serio, eppure, tutti loro, la seguivano ciecamente senza alcuna riserva verso le sue capacità. La giovane Regina confidava nel fatto che nemmeno Zuko l’avrebbe presa sotto gamba.

- Il fatto che non abbia fatto ancora la sua mossa, approfittando della mia assenza, lascia in effetti intendere che sia io il vero bersaglio. – disse ad un certo punto, parlando più a se stessa che a Shun – Non riesco a capire che cosa vada cercando il Signore del Fuoco. Intende lottare faccia a faccia?

- Forse è solo in cerca di dialogo.

- …siamo in Guerra, Shun, non ad una festicciola in cui puoi avvicinarti a qualcuno senza che questo si insospettisca. Se anche si trattasse di quello, avrei difficoltà nel credermi totalmente al sicuro.

- Nessuno le darebbe torto nel farlo, mia Signora.

Lei sbuffò, incrociando le braccia al petto. – In ogni caso, non possiamo fare niente se non aspettare nuove notizie.

Le quali potevano arrivare sia dal gruppo inviato al confine, che dal nemico stesso.

***

Nel momento in cui il messaggio tanto atteso le arrivò tra le mani, Toph non poté fare a meno di rimanere immersa nei propri pensieri prima di azzardarsi anche solo ad aprire il rotolo di carta su cui stava scritto un concetto assai importante: da un momento all’altro avrebbe saputo se Zuko aveva l’intenzione di attaccarli e si stava quindi dirigendo verso di loro proprio in quell’attimo, o se invece, come aveva suggerito il Comandante Shun, il suo desiderio fosse quello di incontrare per la prima volta la sua mai conosciuta antagonista.

Affidò la pergamena al sopracitato Comandante il quale, con le mani tremanti, la srotolò all’istante.

Dapprima non disse niente, limitandosi a sgranare gli occhi mentre scorreva le poche righe di quel telegramma più e più volte. Poi, scuotendo forte il capo, diede di nuovo alla Sovrana il tutto.

- Non riesco a capire, mia Signora. Non ho idea di che cosa significhi.

Toph corrugò la fronte, incerta. – E ti aspetti che una cieca possa correrti in aiuto quando si tratta di leggere e…

Non appena le sue dita passarono sul carta, di fattura assai grezza, anche i suoi occhi si spalancarono per bene. Posò sulle gambe il rotolo e, cercando di riportare alla mente i giorni ormai lontani in cui i suoi insegnanti privati le davano lezioni nel grande salotto di casa Bei Fong, lesse mediante le dita ogni lettera lì impressa. Le risultava incredibile, ma evidentemente il Signore del Fuoco sapeva molte più cose di quante non lei non avesse voluto concederne mentre, con l’aiuto dell’immaginazione, se lo era figurato nella mente. Lo aveva sempre visto non stupido, ma poco interessato a ciò che lo circondava se non era un diretto vantaggio per lui stesso. Invece, stupendola, aveva dimostrato di non essere solamente un figlio di papà, indifferente dinanzi alle differenze che rendevano il mondo vario.

- …mi sta aspettando per un tête a tête. – commentò infine.

Shun si sporse verso di lei, veloce.

- Ha capito cosa dice?

- Sì.

- E come…?

Toph si alzò in piedi e, porgendo la pergamena ad un soldato, si strinse semplicemente nelle spalle.

- Ha usato una speciale scrittura che chi, come me, non possiede il dono della vista, usa per poter leggere e scrivere. – asserì – Non credevo che uno come lui sapesse certe cose.

Uscì dalla tenda comune, seguita a ruota dall’inseparabile Comandante.

- Quali sono i termini dell’incontro, se mi è concesso chiedere?

- Dobbiamo vederci da soli, sul campo di battaglia, liberi dalla scorta personale o da qualsiasi altro gruppo che possa ferire uno di noi.

- Non credo assolutamente che sia una buona idea assecondare questa richiesta!

- Buon per voi, Shun. – gli rispose lei.

- Mia Signora, abbiamo appurato solo qualche ora fa che la presenza del Signore del Fuoco è dovuta unicamente da lei. Non le pare rischioso dargli corda, consegnandosi nelle sue grinfie come un pesce che salta spontaneamente nella rete del pescatore?

Toph scoppiò a ridere e aprendo i tendaggi del suo riparo personale, non si voltò neanche indietro per dirgli dell’altro prima di chiuderseli alle spalle. Con l’aiuto dell’unica serva che aveva deciso di portare con sé da palazzo, la Regina di Ba Sing-Se si preparò per l’incontro con Zuko, indossando un completo da guerra da cui difficilmente si separava.

Quel completo verde chiaro, rifinito da decorazioni dorate, era stato suo compagno il giorno in cui aveva deciso di riprendersi la capitale del Regno della Terra. Si era strappato centinaia di volte, lo aveva ridotto così male che spesso era irriconoscibile, eppure, nonostante tutto, aveva sempre ordinato che lo facessero ritornare perfetto come da principio. Con quello addosso, pur conoscendo le probabilità di vittoria e di sconfitta, si sentiva sempre sicura.

Tornata all’esterno, si fermò un solo secondo di fronte Shun.

- Non è così facile catturare questo pesce. – disse.

***

Dopo mesi passati a sentir parlare l’uno dell’altra, i due sovrani delle più grandi civiltà di Dominatori si ritrovavano finalmente faccia a faccia, senza nessuno che potesse dar loro fastidio distogliendo l’attenzione da ciò che era veramente importante.

Mentre Zuko studiava lei, osservandola ed imprimendo nella memoria ogni suo più piccolo particolare, Toph si perdeva nella scoperta della calma del suo avversario, sondando anche il più piccolo movimento e cercando di leggervi le sue vere intenzioni. Non si dissero niente, almeno all’inizio, troppo presi dai loro stessi pensieri. Poi, come spesso accade, fu un commento ironico a venire a galla per primo. Venne espresso con una totale mancanza di coinvolgimento, eppure, Toph, sapeva bene che normalmente quello si sarebbe potuto considerare come un velato insulto.

- …quindi le voci erano tutte vere. – disse Zuko, serio – La grande Regina della città fortezza di Ba Sing-Se, colei che viene considerata la più grande Dominatrice della Terra e che viene chiamata in toni sommessi da tutto il mio popolo come La Morte dell’Est…non è altri che una ragazzina?

Lei alzò di poco il mento, abbozzando un sorriso pieno di scherno.

- Ti aspettavi di trovare qualcun altro, per caso? Non sono forse abbastanza, per soddisfare la tua sete di battaglia?

Assunse la sua abituale posizione, quella con i pugni ben fissi sui fianchi.

- Ebbene sì, quella che continua a calciare il fondo schiena dei tuoi uomini è una ragazzina di soli tredici anni, minuta e cieca. Questo dovrebbe farti ricredere sulla potenza dei tuoi Dominatori.

La schiettezza con cui gli si era rivolta lo lasciò un attimo spiazzato, addirittura senza parole. Non poteva credere che qualcuno del suo rango, ovvero un nobile, che per di più aveva modo di controllare l’esercito suo nemico potesse parlare a quel modo. La Morte dell’Est non era per niente come se l’era immaginata. Era sboccata, maleducata e pure impetuosa.

Zuko controllò il disappunto, decidendo di adattarsi a quei metodi poco consoni.

- Sono convinto che la bravura nell’uso delle proprie capacità centri poco con l’aspetto, gli handicap o l’età di una persona. – rispose – Il fatto che tu sia forte è sorprendente, certo, ma non deludente.

- Ti facevo decisamente più ottuso di quel che sei, Signore del Fuoco. E anche più grande di così.

Stavolta toccò a lui sorridere. – A quanto pare sono io ad aver deluso le tue di aspettative.

- In effetti sì.

Arrivati a questo punto non dissero altro e, tornando a ponderare gelosamente i propri pensieri, si scambiarono una breve occhiata: sebbene una di loro non potesse guardare l’altro per davvero, gli occhi apparentemente vuoti di Toph seppero dare al ragazzo le stesse sensazioni che gli avrebbero dato due occhi perfettamente funzionanti. Non c’era timore in lei, né senso di inferiorità. Si sentiva alla pari con lui in tutto e Zuko, nel profondo di se stesso, apprezzò molto questo suo lato.

- Stando ai calcoli dei miei Generali, non vi resta molto tempo prima che finiscano le scorte di viveri qui e a Ba Sing-Se. Se vi arrendeste subito, tornando a vivere sotto la bandiera della mia Nazione, potremmo evitare la morte di gente innocente.

A sentirlo parlare lei avrebbe voluto tanto ribattere con uno “Oh, sapete anche fare i calcoli, ma che bravi!”, auto-congratulandosi più tardi per la prontezza con cui le venivano fuori quelle battute, tuttavia, quando udì l’ultima parte di quella frase non fece altro che ridurre gli occhi a due fessure.

- Fammi un favore, non tentare di mostrarti caritatevole dopo che la tua gente ha massacrato senza tanti problemi la mia per mesi. – sibilò, additandolo – Rischieresti di distruggere quel po’ di buono che avevo intravisto nella nostra conversazione.

Zuko, le mani unite in due pugni dietro la schiena, la guardò dall’alto, quasi privo di interesse verso la sua accusa.

- Le persone che sono morte in questi mesi non gravano di certo solo su di me, mia cara Regina. Credo tu sappia che quelli deceduti di recente, ora sarebbero sani e salvi se tu non avessi cominciato questa insensata rivoluzione.

- Questa Guerra è insensata, non la rivoluzione!

Toph cominciò ad urlare e, sentendosi il sangue a ribollire nelle vene, si fece di un passo avanti, le mani che prudevano per poter dominare un masso e lanciarglielo nel mezzo del volto.

- Io cerco di riportare l’equilibrio, tu il caos. Io cerco la libertà, tu la servitù dell’intero genere umano. Io voglio dare speranza ad un popolo stanco, che soffre ormai da troppo tempo…tu, invece, desideri che il mondo dimentichi perfino il significato di questa parola. – Disse ancora. – È quindi da imputare a me la distruzione che tu e la tua Famiglia di idioti avete portato?

- L’unico intento che io e la mia Famiglia di idioti abbiamo sempre perseguito, è quello di condividere il nostro sapere ed il nostro benessere con tutti gli altri.

Lei si riscosse e aprì le braccia, di scatto.

- Guardati attorno! – strillò – Ti sembra benessere, questo?!

- Bisogna sacrificare molte cose, lungo il sentiero per la grandezza…

Zuko le diede le spalle e, incamminandosi verso il proprio accampamento, non si dimostrò neanche minimamente mosso dalle parole della giovane.

- …quanto hai intenzione di sopravvivere, seguendo i tuoi sciocchi ideali utopistici?

Fermandosi girò appena lo sguardo e, con un sorriso quanto mai provocatorio, riuscì nell’intento di colpirla nonostante lei non potesse vederlo.

- Darai al tuo popolo da mangiare speranza, quando morirete di fame, sotto ai colpi del mio esercito?

E, detto questo, lasciò Toph completamente sola.

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Capitolo 5
*** There’s no need to use only muscles! ***


Book Three: Water

Chapter four: There’s no need to use only muscles!



Il primo incontro fra i due sovrani era stato singolare, e non aveva mancato di incuriosire i componenti dell’esercito da ambedue le parti: fra le fila di soldati semplici - così come fra gli svariati Generali - erano volati i pettegolezzi, e anche se nessuno di loro poteva in alcun modo scoprire che genere di discussione Zuko e Toph avessero avuto o quali parole si fossero rivolti, era facile che la fantasia prendesse il sopravvento perfino in un momento tanto buio per l’umanità. La guerra aveva divorato ogni cosa, famiglie, terreni, felicità e libertà, ma almeno la volontà di sapere non era ancora del tutto svanita. Così, vinti per lo più dall’insistenza di chi li circondava, sia la Regina di Ba Sing-Se che il Signore del Fuoco furono costretti a rivelare i sunti di quel loro fantomatico discorso.

Inutile dire quanto le reazioni degli ascoltatori della prima, furono enormemente diverse rispetto a quelle degli ascoltatori del secondo. Se da una parte il sentimento generale era di totale sdegno verso la sfrontatezza di Zuko, dall’altra avevano solo enorme rispetto per come questo avesse saputo tenere testa a quella ragazzina saccente e alquanto pericolosa.

Fu perciò un giorno importante al campo dei Dominatori del Fuoco, un giorno che se anche non aveva portato grandi conquiste, aveva permesso all’intero battaglione di tirarsi un poco su di morale a discapito dell’orgoglio della gloriosa Morte dell’Est. Verso sera furono in molti gli uomini a brindare al proprio sovrano, elogiando la finezza e l’eleganza con cui questo aveva riportato quella piccola - forse insignificante - vittoria personale. Perfino le donne, che rispetto alla loro controparte maschile erano soldati spesso e volentieri con la testa fin troppo sulle spalle, ebbero modo di divertirsi al bagliore dei fuochi da campo. E mentre al di fuori della sua tenda, posta esattamente al centro rispetto a quelle circostanti, si avevano così frivoli festeggiamenti, Zuko si occupava di ben altre faccende.

Lui non avrebbe mai festeggiato per una simile circostanza: non trovava nulla di importante in ciò che aveva fatto e, anzi, pensava di aver unicamente risposto per le rime ad una persona che gli si opponeva. Un qualcosa che, insomma, avrebbe fatto chiunque altro. Non vi erano meriti, nel suo comportamento, che valesse la pena di considerare.

Sokka però, suo fedele servitore, trovava quanto mai sgarbato – nonché dannatamente assurdo – che Zuko non volesse mai partecipare a nulla di almeno un minimo divertente. Sapeva che aveva molti doveri e molte aspettative a cui tener testa, ma lo stesso si rendeva conto che rinunciando a cose che lui riteneva “frivole” si sarebbe precluso la calma che tanto agognava. Anche al migliore dei sovrani di tanto in tanto serviva un po’ di svago. Era strano doverglielo ricordare ogni santissimo giorno.

- Siete sicuro di non voler almeno dare un’occhiata a ciò che accade fuori dalla vostra tenda? – domandò di nuovo, appostato com’era vicino ai due pesanti drappi che delimitavano l’uscita – Insomma, per sgranchirvi le gambe, mica per dimostrare di essere in parte un diciottenne come gli altri… Non sia mai.

- Io non sono un diciottenne come gli altri, Sokka.

Il giovane, fissandolo con non poca esasperazione riflessa nello sguardo, si passò malamente una mano nei capelli prima di proferire anche solo una parola.

- Ho detto in parte.

Zuko alzò lo sguardo dalle cartine che stava studiando seduto alla scrivania e, incrociando gli occhi azzurro intenso del suo più fido servitore, tentò in qualche modo di comprendere il suo punto di vista: era a conoscenza dell’odio profondo che quel ragazzo provava nei confronti della Nazione del Fuoco ma, tuttavia, eccolo lì a preoccuparsi di cose come il ricordargli di mettere del cibo sotto ai denti, di recuperare le svariate notti senza sonno e di dedicare almeno un giorno all’anno all’insegna del divertimento.

Sospirò, sistemandosi sulla poltrona ed unendo le mani di fronte al viso.

- Credo tu già sappia come la penso circa quello che sta accadendo qui fuori. – sussurrò lui, pacato.

- Lo so, sì.

Lo vide sorridere.

- Lo so, ma non posso davvero fare a meno di chiedermi cosa ci sia di più interessante in quello che state facendo adesso, piuttosto che in una festa organizzata in vostro onore.

Sokka, avvicinandosi, si sporse sulla scrivania ed afferrò una pergamena che stava proprio sotto al naso del suo signore. Ne osservò alcune parti, alzando subito gli occhi al cielo non appena comprese di che si trattava: ancora una volta Zuko stava riguardando i resoconti delle battaglie passate, neanche potesse in qualche modo prevedere il futuro con esattezza continuando a tenere il naso in quelle cartacce polverose.

- L’incontro con la Morte dell’Est vi ha dunque turbato fino a questo punto? – chiese.

Zuko non rispose ma, con lo sguardo perso nel vuoto, fece un piccolo accenno di assenso.

Era proprio per questo che le festività indette dai suoi soldati gli apparivano erronee: non c’era motivo di fare baldoria quando lui stesso era rimasto affascinato dalla forza e dalla sicurezza della Regina del Regno della Terra. Parlare con Toph per meno di una mezz’ora – e forse perfino per meno di venti minuti – gli era bastato per capire che non c’era modo, almeno adesso, di vincere contro di lei. Poteva batterla a parole, forse, usando la crudele ironia che come niente gli scorreva nelle vene, ma per quanto riguardava la lotta che li vedeva come protagonisti, beh… Lì era diverso.

- Non ci sono dubbi sul fatto che le condizioni a Ba Sing-Se siano precarie. – disse ad un certo punto Zuko stesso, come risvegliatosi da un sogno - …e lei stessa ne è al corrente, tuttavia sembra non farci il minimo caso.

- Intendete dire che non le importa? – Sokka corrugò la fronte, abbassando le braccia e stringendo con una mano sola la pergamena che poco prima gli aveva rubato.

- Intendo dire che, nonostante lei lo sappia, sembra aver deciso di combattere comunque, e così anche il suo popolo. Non ho mai visto una tale dedizione.

Il ragazzo che gli stava dinanzi bofonchiò qualcosa sottovoce, scuotendo con poca velatezza il proprio capo.

- Dedizione o speranza?

- Come, prego?

- A mio avviso, ciò che spinge quella ragazza ad andare avanti non è altri che la speranza. Lei, lei e tutti gli abitanti del Regno della Terra sanno che questa è la loro ultima occasione per riuscire a fare qualcosa, per riuscire a portare il cambiamento in questo mondo. Sanno di essere l’ultimo faro per l’intera umanità in un oceano in cui ormai tutto appare perduto e dimenticato. – ancora una volta si guardarono, uno immerso nel più completo silenzio mentre l’altro, l’amico e non lo schiavo, esponeva il suo pensiero. – Perfino io, che in quanto a perdite avrei molto da dire, se non fossi così legato a voi penserei che forse c’è ancora speranza, vedendoli combattere. Ed è proprio questa la loro forza, mio Signore. O meglio, questa è la vera forza di Toph: con il fuoco della speranza che le brucia dentro, niente e nessuno sarà mai in grado di fermarla.

Quelle parole, proprio perché perfettamente vere, non fecero altro che alimentare le paure del Signore del Fuoco. Zuko, inghiottendo tutto l’orgoglio di cui disponeva, si alzò in piedi e raggiunse il compagno, le mani dietro alla schiena. Per un breve lasso di tempo non disse niente e Sokka, già di per sé propenso all’agitarsi per un non nulla, ebbe modo di vedersi passare davanti tutta la vita prima di riuscire a tirare un sospiro di sollievo quando l’altro gli sorrise.

- Ho fatto bene a mandarti qui prima di me. Da quello che ho sentito hai avuto modo di osservare per molto tempo la nostra attuale nemica.

Sokka annuì con vigore, lasciando che la schiena gli venisse percorsa da un brivido freddo: per giorni aveva guardato Toph combattere cercando di memorizzare ogni sua mossa e, nel mentre, cercando anche di non venire ferito o barbaramente ucciso.

Da sempre, nonostante fossero in molte le donne soldato, era luogo comune considerare la Guerra un affare da uomini. Nessuno osava dire il contrario e, per quanto fosse una convinzione piuttosto maschilista, erano passati secoli senza che le cose cambiassero veramente all’interno delle gerarchie nelle fila dell’esercito: chi combatteva seriamente era l’uomo. Punto. Vedendo però come e quanti nemici la Regina della Terra riusciva a mettere K.O con un solo colpo, perfino uno come Sokka aveva dovuto ingoiare il rospo e ricredersi. Quando combatteva, quella piccola fanciulla dai tratti delicati e dalla pelle nivea non aveva freni, lasciava che una furia cieca la pervadesse e tutto ciò che le ostruiva il cammino o si infrangeva in mille pezzi o veniva scagliato via. Milioni di uomini erano stati uccisi così, e lei si era macchiata del sangue dei migliori Dominatori del Fuoco che la Nazione potesse fornire.

- Messi come siamo messi ora, non vinceremo.

Zuko sembrava d’accordo. – Lo penso anche io.

- Dobbiamo usare un altro metodo. Mi pare ormai evidente che quelli con la testa più dura non siamo noi…

E anche qui c’era poco da dissentire.

- Cosa mi consigli di fare?

Qualcuno avrebbe visto in malo modo la fiducia che lui, il Signore del Fuoco, riponeva in un umile prigioniero di guerra: per secoli era corso cattivo sangue fra le Tribù dell’Acqua e la Nazione del Fuoco – probabilmente anche per il semplice fatto di possedere due domini che stavano l’uno all’antipodo dell’altro – e ora, proprio ora che si stava combattendo una guerra così importante, il capo assoluto della milizia più potente al mondo si faceva dare consigli da qualcuno che era stato cresciuto per odiarlo. Per odiarli tutti.

Sokka non poté non essere felice per la fiducia che Zuko gli dava.

- Credo sia arrivato il momento di tirare fuori l’asso dalla manica, mio signore.

Qui vide il suo interlocutore farsi improvvisamente serio, poco propenso, almeno stavolta, nel dargli ragione.

- Non sono certo che sia una buona idea, Sokka. – rispose lui, serio – So di che cosa parli, e il mio più grande timore è che…

- Sì, posso comprenderlo, ma non abbiamo scelta. I Dominatori della Terra sono forti, orgogliosi e testardi, più di quanto avessimo immaginato e più di quanto non lo siano i vostri Dominatori. Se volete batterli non potrete affidarvi ai muscoli, signore, non questa volta. E se anche devo dire che ammiro molto il vostro modo furbo di condurre le vostre crociate, stavolta mi vedo costretto a consigliarle un metodo diciamo meno ortodosso.

Zuko si strinse nelle spalle, alzando di poco il mento.

- Un metodo subdolo, vorrai dire.

- Se volete definirlo tale, fate pure. – disse Sokka - …in cuor vostro sapete, però, che ho ragione.

Poi, notando l’inquietudine nel proprio sovrano, si fece più mansueto, ricordando solo dopo quale era il suo posto. Abbassò lo sguardo, i pugni stretti lungo il corpo.

- …se si usa la testa, non c’è motivo di darsi pensiero. Se si usa la testa, non si devono temere le conseguenze.

Al suono di queste parole Zuko si riscosse e, tornando seduto al suo posto, si prese la testa fra le mani appoggiando i gomiti al bordo della scrivania. Un altro sospiro, un’occhiata persa nel vuoto, e, infine, eccolo a dare il suo consenso.

- Fai chiamare il Comandante Ai. – mormorò, stropicciandosi gli occhi d’ambra – Devo comunicargli al più presto la mia decisione di lasciare il fronte per tornare a casa.

- Sì, signore.

Se ne andò veloce, correndo per il campo e trovando il Comandante intento a bersi una pinta di buon vino. Gli riferì l’ordine del loro sovrano, ridendo mentalmente della povera condizione in cui quell’uomo verteva al momento. Sarebbe stato esilarante vederlo a destreggiarsi fra i grandi paroloni di Zuko.

Davvero molto, molto esilarante.

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Capitolo 6
*** Something big ***


Book Two: Fire

Chapter five: Something big



Zuko non si concesse neanche un attimo di riposo quando, tornato a casa dopo un lungo, lunghissimo viaggio a bordo del suo personale dirigibile, aveva rimesso piede sulla sua terra natia. Erano ormai quarantotto ore che non chiudeva occhio, e se anche in cuor suo cominciava a sentire la stanchezza, non poteva davvero porsi un freno. Non adesso, comunque.

- Stando al fronte ho notato che si sta facendo un largo uso dei medicinali e dei prodotti medicanti. – disse, camminando per il corridoio del suo palazzo di gran carriera, seguito a ruota da alcuni consiglieri vecchi ed ingobbiti – Assicuratevi che partano nuove scorte dalla capitale e, per fare prima, anche dalle nostre colonie più vicine a Ba-Sing Se. Non voglio ricevere brutte sorprese per una simile ridicola mancanza…

- Sì, Signore, sarà fatto all’istante.

Girando a destra, le mani strette in due pugni, Zuko si ritrovò di fronte alle ampie porte della sua camera da letto: piano, come a non voler compiere movimenti troppo bruschi, si voltò appena appena verso gli uomini che da tutto il giorno si erano accodati ad ogni suo spostamento. Mostrando un piccolo sorriso ironico, lanciò loro un’occhiata abbastanza chiara.

- Intendo farmi un bagno veloce, prima di scendere di nuovo ed occuparmi del resto. – sussurrò - …a meno che voi tutti non vogliate supervisionare anche questo, vi chiederei di concedermi qualche minuto.

I presenti si rizzarono sull’attenti, bofonchiando alcune scuse confuse prima di decidersi ad assecondare quel suo piccolo desiderio. Zuko li osservò a lungo, seguendo i loro passi con lo sguardo mentre, lentamente, scuoteva il capo: normalmente non si sarebbe mai concesso un simile gioco di parole con i propri consiglieri, tuttavia la tensione era arrivata ad un tale livello che ormai anche le sue più inflessibili regole comportamentali apparivano inique. Voleva solo riposare, dimenticare i problemi e, magari, arrivare ad una soluzione che non dovesse comprendere l’alternativa proposta da Sokka.

Sospirò, entrando nella camera addobbata regalmente, tutta in toni scuri e caldi. Da una parte lanciò il proprio mantello, e sedendosi sul letto si affrettò a togliersi gli stivali dalle rifiniture dorate che ormai aveva indosso da due giorni filati. Aveva le dita dei piedi indolenziti, ridotti peggio di un blocco di cemento.

- La vasca è pronta, vostra grazia.

La voce di una servitrice lo obbligò ad alzarsi in piedi e, una volta rimasto solo, si tolse tutti gli abiti prima di immergersi nell’acqua calda e ristoratrice che gli era stata preparata. Chiuse gli occhi, appoggiando svogliatamente il capo al bordo.

Si sentiva così stanco…

◇♦◇

- Zuko, dovresti davvero riposarti. Dai l’idea di essere molto stanco, nipote.

Il giovane non disse niente e, rifiutandosi ostinatamente di dare ascolto ai saggi consigli dello zio, unico parente rimastogli ancora disposto a stargli accanto, batté i pugni sulla poppa della nave. Il metallo, sotto al suo colpo, risuonò con uno stonatissimo “Sdleng” attutendosi solo dopo alcuni attimi.

- Io non posso riposare, zio! Sono due anni che non torno a casa, due!

Iroh corrugò la fronte, come se le sue parole lo avessero scosso nel profondo e, forse, un po’ era così: Zuko aveva ragione, entrambi non tornavano alla loro terra da ben due lunghi anni, tuttavia lui non si era mai detto del tutto disperato per quel periodo di esilio, anzi. Aveva sempre saputo vedere il lato positivo delle cose, e se anche suo nipote difficilmente poteva riuscirci sapendo quanto suo padre lo disprezzasse, aveva continuato ad infondergli coraggio, nella speranza che un giorno, magari, le cose cambiassero anche per lui.

Quel giorno era arrivato, ma non come si era aspettato.

- Il mio stesso padre mi ha bandito, privandomi del mio onore. Non puoi chiedermi di andare a dormire proprio adesso che sono così vicino a riprendermi ciò che mi appartiene!

- Figliolo, ci sono momenti e luoghi differenti per fare ogni cosa ed è proprio perché non voglio vederti crollare svenuto di fronte a mio fratello, che ti chiedo di andare a chiudere occhio per almeno un’ora o due. – disse il vecchio uomo, allungando una mano sulla spalla del ragazzo. Gli sorrise, bonario – Sono sicuro che non vorrai rovinare la tua entrata in scena con un colpo di sonno!

Sentendo una simile frase, Zuko dovette riflettere per bene sulla sua presa di posizione. Stare alzato per tutto il viaggio, di vedetta sopraccoperta, non gli avrebbe di certo giovato in un secondo momento quando, finalmente, sarebbe arrivato il suo tanto agognato faccia a faccia con il genitore.

Riluttante abbassò lo sguardo, abbandonando le mani lungo i fianchi.

- …dormirò massimo un’ora. Non di più. – mormorò.

Iroh scoppiò a ridere e, tirandogli una più che affettuosa pacca sulla schiena, lo sospinse verso la porta del boccaporto.

- Certo, certo! Ci penserò io stesso a svegliarti scoccata la fine dell’ora!

◇♦◇

- Mio signore, mi sembra molto affaticato. Non ha dormito bene?

Riscuotendosi dallo stato di semi incoscienza, il Signore del Fuoco sgranò per bene gli occhi guardandosi in giro. Senza che se ne rendesse conto era uscito dal bagno, si era rivestito e poi era corso di filata nei sotterranei del palazzo, dove i laboratori che lui stesso aveva fatto costruire lo stavano aspettando. Si guardò un attimo in giro, per assicurarsi di essere ben sveglio e di non stare ancora sognando.

- …non ho dormito affatto, Capo Sezione Min.

- Posso chiedere come mai, mio signore?

Zuko si strinse nelle spalle, passandosi una mano fra i capelli corvini.

- Brutti sogni, credo.

- Oh, forse ultimamente state semplicemente lavorando troppo. Prendersi dei periodi di vacanza fra una cosa importante e l’altra non è mai una cattiva idea.

- Non sono il tipo capace di godersi una vacanza, io. – sorrise – Tendo a farmi carico del peso del mondo anche quando non dovrei…

Entrambi lasciarono cadere l’argomento, arrivati a questo punto. Min non era né suo amico, né di un grado abbastanza elevato per potersi impicciare impudentemente degli affari del proprio sovrano senza incorrere nel rischio di osare troppo, e sebbene fosse chiaro a chiunque quanto Zuko necessitasse di qualcuno pronto ad ascoltarlo, nessuno che al momento fosse lì presente poteva accollarsi i suoi problemi personali. Lo stesso diretto interessato si considerava un povero inetto quando lasciava che inutili crucci lo tenessero lontano dai suoi doveri.

- Immagino che lei sappia perché sono qui. – disse ad un certo punto, lasciando che alcuni servi aprissero le porte al loro passaggio – Vorrei saltare i soliti resoconti e passare al succo della questione.

- Ma certo.

- Come sono i segni vitali?

- Buoni. Nonostante il lungo periodo di sonno, risponde bene agli stimoli esterni e sembra in buona, se non addirittura ottima salute.

- Possiamo quindi procedere?

- Credo di sì.

Lo guardò, riducendo gli occhi a due fessure. – Crede?

Min annuì, ben conscio di stare facendo una pessima figura. Cominciando a sentirsi la gola secca, tentò di affrettarsi nella spiegazione, così da far capire al proprio capo il suo punto di vista.

- Con “credo” intendo dire che, sebbene i responsi siano eccellenti, trovo sia alquanto rischioso portare a termine l’opera di risveglio. Se il soggetto dovesse reagire in modo errato, non oso neanche pensare alla portata dei danni che potrebbe causare.

- Sono qui proprio per evitare che questo avvenga, Min. – gli rispose l’altro, tornando a camminare più sicuro di prima. Era stato il primo ad avere dubbi su tutto, e se anche ancora non si fidava dell’idea di Sokka, doveva in qualche modo dare una svolta alla guerra: andava avanti da troppo tempo ormai, lui stesso era nato e cresciuto vivendo una vita sì dorata, ma con una sequela di orribili atrocità a fare da sfondo. Perfino lui, lui che faceva parte della famiglia che aveva causato al mondo tutte quelle pene, non vedeva l’ora che lo spargimento di sangue si interrompesse.

Voleva solo che il Regno della Terra si arrendesse. Che Toph si arrendesse. – Se le cose dovessero davvero andare male, basterà un attimo e risolverò tutto.

Min avrebbe voluto convincersi di tali parole, ma in un secondo momento, sebbene esitante, si lasciò sfuggire un “ne siete sicuro?”.

Zuko non disse niente, sospirando appena.

No. Non ne era sicuro.

Il cane che stavano andando a disturbare non era un cucciolo qualunque. Avrebbe potuto essere la più grande fortuna per la Nazione del Fuoco o la sua più grande disgrazia.

◇♦◇

- Spero tu sia conscio del significato di tutto questo, figlio mio.

Il giovane principe, deglutendo, rimase immobile di fronte alla figura del padre. Mentre lui se ne stava in ginocchio, un pugno a terra, Ozai lo osservava con i suoi occhi d’ambra, severi esattamente come se li era ricordati. Due anni non erano serviti ad addolcirli, magari rivelando nel profondo del suo animo un rammarico per aver tenuto lontano il sangue del suo sangue per una questione a dir poco ridicola.

- Quello che tu hai fatto è sconvolgente, Zuko. Devo essere sincero, non credevo saresti mai tornato. – disse ancora l’altro, alzando di poco il mento - …non con un simile dono, comunque.

Oh, tutti sapevano come il Sovrano si sarebbe atteso di rivederlo. Probabilmente, nella sua visione ideale dei fatti, sarebbe stato giusto vederlo prostrarsi ai suoi piedi pochi giorni dopo l’esilio, chiedendo perdono e perdendo così anche quel briciolo di orgoglio che gli era rimasto. E Azula, la quale ora Zuko sapeva essere nascosta poco più in là, dietro ai grandi drappi appesi ai muri, magari avrebbe addirittura preferito vederlo dentro ad una bara, morto per la fame poiché abbandonato anche dai pochi uomini che lo avevano seguito quando era salpato sulla nave concessagli da loro padre.

E invece, contro ogni prognostico, lui era lì. Vincente, per una volta.

- …credevo… - la voce gli morì in gola e allora, il ragazzo, dovette stringere i denti e prendere coraggio – Credevo che la condizione per il mio ritorno fosse abbastanza chiara, padre. Mi avete cacciato privandomi del mio onore, ma avete detto che se avessi trovato un modo per farvi ricredere allora avrei potuto riconquistarlo.

Ozai abbozzò un sorriso, felicemente sorpreso dalle parole sicure di Zuko.

Di certo aveva smesso di essere un bambino molle e debole, attaccato alla sottana della madre e poco avvezzo alla vita che ben presto lo avrebbe atteso. La vita lontano da casa doveva averlo rafforzato, in qualche modo.

- E credi di esserci riuscito, Zuko?

Lo vide alzare gli occhi, guardandolo con ostentata freddezza. – Ne sono certo.

- Fai bene. Sono cento anni che i membri della nostra famiglia cercano l’Avatar e tu, figlio mio, sei riuscito nell’intento. Sono fiero di questo tuo successo.

Una scarica di piacere percorse la schiena del principe a sentire quelle parole uscire dalle labbra, capaci di sentenze unicamente crudeli, di suo padre.

- La più grande minaccia per la nostra Nazione è ora nelle mie mani, e tutto questo grazie a te.

- …sono felice di essere stato d’aiuto, padre.

- Ora non ci resta che ucciderlo.

A questo Zuko non rispose. In cuor suo credeva fosse da codardi togliere la vita a qualcuno che non poteva difendersi, ma con che coraggio avrebbe mai potuto dirlo al Sovrano indiscusso della Nazione del Fuoco? Con che coraggio, quando dal buonumore di suo padre dipendeva il ritiro delle accuse che egli stesso gli aveva rivolto, nonché la cancellazione del suo esilio?

- Ti vedo perplesso… Qualcosa ti turba, ragazzo?

Si morse un labbro, tornando a guardare il pavimento. In quelle piastrelle lucide poteva specchiarsi alla perfezione, scrutando con sempre rinnovato disgusto la punizione che quell’uomo aveva deciso di infliggergli permanentemente sul viso.

- Io ho un’idea differente, riguardo l’Avatar. – disse infine, prendendo la situazione di petto.

Ozai lo guardò, improvvisamente livido. – E quale sarebbe…?

- Quel blocco di ghiaccio è abbastanza solido da non sciogliersi neanche a temperature troppo elevate, se tenuto costantemente sotto controllo. – mormorò – Potremmo tenerlo in quello stato per sempre, se volessimo.

- A che pro?

Zuko scrollò le spalle, con calma.

- Sarebbe il simbolo della nostra grandezza, padre. Il simbolo della tua… grandezza. Un trofeo da sfoggiare contro il mondo. Un trofeo che potrai ammirare fino a che avrai vita.

◇♦◇

Quello che, in passato, aveva definito come un trofeo ora stava di fronte ai suoi occhi, identico a come lo aveva lasciato prima che suo padre lo portasse via, relegandolo chissà dove nelle segrete del loro palazzo. Per il repentino sbalzo di temperatura, dal pezzo di ghiaccio venivano fumi biancastri, i quali, prima di raggiungere gli addetti che lavoravano là attorno, svanivano nella stessa aria divenendo invisibili. Zuko guardò con occhi poco interessati i suoi sottoposti e, piano, si fece di un passo più vicino all’Avatar.

- Una volta scongelato, lasciatemi del tempo per porgli qualche domanda. – ordinò, voltandosi verso Min, il responsabile del progetto – Voglio assicurarmi che la sua memoria sia azzerata, come ha suggerito non più di qualche mese fa. Se così fosse, potrò riempirla a mio vantaggio, sfruttando le sue capacità come meglio credo.

Lo scienziato lo guardò, la preoccupazione che, ormai, non faceva altro che salire.

- Cosa dobbiamo fare se, invece, non reagisse… bene?

- Rimanete indietro comunque. – sentenziò lui – Non voglio dovermi trattenere, se occorresse combattere.

Portati a termine gli ultimi controlli, Min tirò una leva e, piano piano, la stanza cominciò a surriscaldarsi. Sotto al pezzo di ghiaccio, alcune fornaci presero a sciogliere il pesante strato che aveva fatto da culla all’Avatar per lunghi, lunghissimi anni.

Zuko non si spostò neanche di un passo, e quando il fumo fu del tutto diradato e le macchine vennero spente, si ritrovò a posare gli occhi non più su una figura con dei tratti difficili da distinguere, bensì di fronte ad una persona vera e propria… E ad un Bisonte volante.

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Capitolo 7
*** New Life ***


Air iconBook Four: Air

Chapter six: New life



In principio non fu semplice per lui riaprire gli occhi. Più ci provava e meno riusciva a vedere.

Era una strana sensazione, quella che provava quando si sforzava con tutto se stesso di tenere almeno un occhio aperto: i colori che aveva attorno, seppure non troppo luminosi, gli vorticavano di fronte confondendolo anche più del dovuto. Si sentiva pesante, intorpidito, quasi come non si muovesse da… Beh, da molti anni.

- Do… Dove sono?

La voce gli uscì dalle labbra peggio di un rantolo.

- Ti trovi nel mio palazzo.

Aang provò ad alzare il capo per poter guardare in viso colui che gli stava rivolgendo la parola, ma la forza gli stava venendo meno e la vista stava tornando a farsi annebbiata.

- …pa…lazzo…?

- Ricordi chi sei?

Annuì, dondolando malamente il capo. Stava per cadere svenuto a terra, se lo sentiva.

- …dimmi il tuo nome.

Fece un ulteriore sforzo e, stringendo le mani in due pugni contro al pavimento freddo, rispose – Aang.

- Bene Aang. Qual è l’ultima cosa che ti ricordi…?

Questa sì che era una domanda strana da fare a qualcuno che palesemente non era nelle condizioni adatte per mettere insieme una frase di senso compiuto. Sospirò, cercando di non dare troppo a vedere quanto al momento l’unica cosa da lui desiderata fosse un letto. Doveva capire se si trovava al sicuro, se le persone che aveva attorno – e a giudicare dal mormorio che sentiva erano molte – fossero amici o nemici.

- …io… Ricordo la tempesta… - mormorò – Stavo volando su Appa e…

Sgranò gli occhi, scattando in ginocchio. – Appa!

- Il tuo bisonte volante sta bene. Ora dobbiamo pensare a te, piuttosto. Devo sapere con esattezza cosa ricordi, Aang.

Il ragazzo scosse il capo, sfinito. Non ce l’avrebbe mai fatta a parlare ancora, era assolutamente impossibile: chiuse gli occhi di scatto, subito dopo che l’altro ebbe finito di dirgli qualcosa, e tutto ciò che sentì dopo fu solo un dolore acuto al capo dopo aver sbattuto contro al pavimento.

◇♦◇

Tutti stavano inchinati di fronte ai suoi occhi.

I suoi insegnanti, i ragazzi con cui era cresciuto e con cui aveva giocato fino a quel mattino, tutti si erano letteralmente prostrati ai suoi piedi, le mani giunte sotto alla fronte e le schiene ricurve. Silenziosi. Come delle statue.

Perfino il suo caro amico Gyatso, mentore e saggio uomo, rimase per un secondo inchinato prima di alzare il capo e sorridergli. Sembrava contento, addirittura pieno d’orgoglio verso il suo piccolo allievo dall’animo giocoso, eppure puro ed innocente. Aang però, resosi conto dei mille sacrifici che avrebbe dovuto compiere nel diventare l’Avatar, il faro di salvezza che tutti avrebbero poi chiamato per soccorrerli, non riusciva a sentirsi altrettanto felice.

Aveva solo dodici anni. Come potevano chiedergli di abbandonare la sua vita - la quale ancora doveva effettivamente iniziare - per… Per tutte quelle responsabilità?

Non poteva essere qualcun altro, l’Avatar?

- No… - sussurrò, indietreggiando.

Gyatso sgranò gli occhi, allungando la mano verso di lui.

- No, no!

◇♦◇

Aang si svegliò di soprassalto, respirando affannosamente mentre, il suo sguardo, si posava su tutto e su niente. Il sogno che aveva fatto non aveva alcun senso per lui e questo, in una piccola misura, lo aveva turbato. Non gli era mai capitato di fare sogni senza significato, sogni che non riusciva a collocare in uno spazio o in un tempo a lui familiari. Il solo riflettere su quel frammento di memoria gli faceva dolere il capo.

Si guardò in giro ancora una volta senza capire dove si trovasse o, per lo meno, come ci era arrivato. Con le mani strinse convulsamente le lenzuola soffici e profumate che lo ricoprivano, sentendosi via via sempre meno intontito, più curioso. La stanza in cui si trovava era più grande di quella che condivideva al Tempio con gli altri giovani Dominatori dell’Aria, e anche se non si era mai lamentato di niente doveva ammettere che quel materasso era decisamente più comodo del suo: lo avevano abituato a vivere dell’essenziale, senza arrecare mai danno a nessun essere vivente o alla Terra stessa, tuttavia in un secondo gli balenò in testa il pensiero che la ricchezza avesse comunque dei pregi.

- Accidenti, che posto… - disse, in un sussurro, uscendo dalle coperte per gattonare fino al limitare dell’enorme letto a baldacchino. Sorrise quando, sporgendosi un po’ verso la finestra, vide Appa intento a mangiare del fieno nel giardino. – Ehi, amico! Stai facendo la pacchia, eh?

Il gigantesco bisonte tese le orecchie in alto, posando lo sguardo su di lui non appena ebbe compreso da dove lo stava chiamando. Con ancora del cibo fra le fauci, emise un muggito inconfondibile per Aang, sintomo che il compagno di tante avventure stava apprezzando il trattamento che gli avevano riservato dal risveglio.

- Ora arrivo anche io!

Aang provò a sollevarsi dal materasso con l’aiuto del proprio Dominio, ma non appena si fu librato in aria cadde rovinosamente a terra. Si tirò dietro perfino il lenzuolo, il quale, attorcigliatosi alla sua caviglia, lo aveva poi ricoperto del tutto.

- …ahi…

- Temo ti ci vorrà un po’ per riprendere il pieno possesso delle tue capacità, Aang.

Il ragazzino si scrollò di dosso ogni cosa, mettendosi seduto a terra velocemente per riuscire a guardare, almeno stavolta, la persona che gli stava parlando. Quando fu in grado di compiere un simile, semplice gesto, si scontrò con il viso pallido di un giovane che non aveva assolutamente mai incontrato. Si perse qualche secondo a studiarlo, passando gli occhi grigi su ogni particolare rilevante della sua persona: non si chiese se le sue attenzioni, così minuziose, potessero essere in alcun modo male interpretate da colui che era al centro della sua curiosità. Tuttavia non appena approdò sulla grande bruciatura che stava su quel volto arrossì, vergognandosi a morte.

Di certo, chi aveva simili cicatrici addosso, non amavano essere guardato. Non troppo per lo meno.

- …non preoccuparti, sono arrivato al punto in cui gli sguardi altrui non mi fanno più né caldo né freddo. – sentenziò l’altro, alzando le spalle – Ho passato troppo tempo a crucciarmi per simili idiozie, ora che sono cresciuto ci si aspetta da me che riservi attenzione per altre questioni.

- Del tipo?

- Del tipo “come porre fine alla guerra in modo veloce ed indolore”.

Aang si sorprese nel sentirgli pronunciare proprio quella parola. Guerra. Non ricordava che ce ne fosse una in atto, ma sapendo quanto i templi dei Nomadi dell’Aria fossero isolati, non lo stupiva più di tanto l’essere allo scuro di alcune informazioni.

- Siamo… In guerra? – chiese. – E con chi?

- Principalmente con tutti.

Fece per porre un’altra domanda, però il suo interlocutore lo fermò, alzando un palmo per zittirlo. – Sono sicuro che tu abbia molte cose da chiedermi, tuttavia credo che per il momento sia meglio concentrarsi sul tuo pranzo. Certamente avrai una fame da lupi.

Lui non fece in tempo a finire la frase, che lo stomaco di Aang gorgogliò platealmente, facendo rimbombare quel suono imbarazzante per le quattro alte mura della stanza.

Scoppiò a ridere. – A quanto pare hai perfettamente ragione!

All’arrivo di un vassoio pieno di leccornie, l’attenzione del ragazzo venne drasticamente ridotta: decise di scartare, come ovvio, tutta la carne che gli avevano offerto, ma per il resto non si fece complimenti e mandò giù tutto gustandoselo appieno. Gli parve quasi di non aver messo niente sotto ai denti per secoli, il che era ironico. Ricordava benissimo l’abbuffata che si era fatto solo il giorno prima, con tutti i suoi amici.

Tenendo in mano un pezzo di mela, tornò a guardarsi intorno.

- Dove siamo, esattamente?

Il ragazzo che era entrato nella sua camera e che aveva dato ordini a tutta la servitù entrata dalle porte sino ad allora, si era messo dinanzi alla finestra già da una buona decina di minuti, in silenzio, lo sguardo perso chissà dove nel vuoto.

Aveva quasi il sentore di stargli portando via un sacco di tempo.

- …ci troviamo nella Capitale della Nazione del Fuoco, all’interno del Palazzo Reale.

Gli occhioni di Aang si illuminarono d’immenso. – Siamo dentro al Palazzo Reale?!

Sorrise beatamente, dondolando il capo. Se il suo amico Kuzon lo avesse saputo, gli sarebbe sicuramente venuto un colpo! Alla faccia sua! Fortuna che diceva sempre che era così tanto maldestro, da non meritare nemmeno la sua di presenza.

La prossima volta in cui si sarebbero incontrati gliela avrebbe fatta vedere.

- Quindi… Tu sei il figlio del Signore del Fuoco, Sozin?

Sentendo questo nome, l’altro si voltò e lo fissò dritto negli occhi. Per un secondo Aang credette che lui si aspettasse di vedere chissà cosa, ma ben presto tale convinzione parve svanire nel nulla così come era venuta, veloce.

- …No. Io sono Zuko, il pronipote dell’uomo di cui tu stai parlando.

Stavolta toccò a lui rimanere in silenzio.

Cosa aveva detto? Il… Pronipote? E come accidenti era possibile?!

Con un movimento fulmineo gli fu accanto, tutto grazie al Dominio dell’Aria che finalmente pareva essere tornato a funzionare. Aveva il viso sconvolto, quello di chi aveva appena ripreso a non capire assolutamente niente di ciò che gli stava succedendo.

- Hai detto pronipote…? Ma… Ma non è possibile!

- Temo che ci siano non pochi buchi nella tua memoria, Aang. – gli rispose Zuko, tenendo le mani unite dietro alla schiena. Aveva l’aria di essere una persona molto, molto importante, il che non poté fare altro che metterlo ancora più a disagio. Quel ragazzo non poteva avere poi molti più anni di lui, e da che ne sapeva non si dava il titolo di Signore del Fuoco a degli adolescenti. – Desideri che io ti spieghi cosa è accaduto mentre eri rinchiuso nella tua culla di ghiaccio…?

Ovviamente annuì, senza avere altra scelta.

Doveva sapere.

◇♦◇

- Il mio nome è Zuko e sono il nuovo Signore del Fuoco. Sono passati cento anni da quando tu, nel corso di una tempesta, ti sei perso nei pressi del Polo Sud. Per salvare la tua stessa vita e quella del tuo bisonte, ti sei ibernato all’interno di un pezzo di ghiaccio, rimanendovi rinchiuso fino al momento in cui io non ti ho liberato qualche ora fa.

Già arrivati fino a qui, il racconto di Zuko gli era parso sconvolgente.

Non aveva alcuna memoria di quell’avvenimento anche se, ad onor del vero, qualche immagine riguardante la tempesta riusciva a tornare a galla quando si sforzava di ricordare. Sì, se si concentrava abbastanza, riusciva quasi a percepire il freddo pungente del vento che gli sferzava contro, il lamento continuo di Appa mentre cercava, inutilmente, di mantenere una rotta.

Ricordava tutto questo, ma non riusciva a richiamare a sé il resto della storia, la stessa che Zuko gli aveva in seguito raccontato.

- Ma come mai stavo volando in mezzo ad una tempesta? Perché non mi trovavo al sicuro, al Tempio?

- …nella migliore delle intenzioni, avevi deciso di dare una mano al mio bis bis nonno Sozin. Lui aveva in mente di unire tutti i popoli sotto ad un unico vessillo, dando l’occasione ai poveri di avere le stesse opportunità dei ricchi in un mondo dove ognuno di noi sarebbe stato uguale all’altro. – gli aveva detto il moro, sicuro. – Tuttavia non tutti erano d’accordo con lui e ben presto cominciò un’aspra battaglia fra la Nazione del Fuoco e tutti gli altri regni. I Nomadi dell’aria non vollero partecipare ma tu, che ti sentivi parte della disputa, decidesti di correre in nostro soccorso.

- Io ho… Fatto una scelta del genere?

Zuko aveva annuito. – Sì. E per questo i tuoi ti bandirono.

Era proprio questo che non riusciva a mandare giù. Le possibilità che i suoi amici, che le persone con cui aveva condiviso ogni singola cosa sin dalla nascita compreso Gyatso, avessero potuto bandirlo era… Era senza senso. I monaci non erano soliti portare rancore, non sfoderavano leggi di quel genere e non obbligavano mai nessuno a vederla come loro.

Quindi che senso aveva bandirlo, quando tutti gli insegnamenti che gli avevano dato recitavano “sii sempre fedele a te stesso”?

Se davvero aveva deciso di seguire Sozin, il vecchio Signore del Fuoco, aveva certamente avuto le sue ragioni. Perfino ora credeva che vivere nell’ignoranza, come a quanto pare avevano deciso di fare i Dominatori dell’aria, fosse sbagliato. C’era una guerra in atto e anche loro dovevano partecipare, se non altro per porre fine alle malvagità, dando una mano a chi ne aveva bisogno.

- Tutto questo è fuori dalla mia portata… Non so cosa fare.

- In cuor tuo sai cosa è giusto fare. Dopo cento anni, dovresti ancora avere le idee chiare no?

Aang lo aveva guardato, incerto. - …credo di sì.

- Già una volta hai giurato fedeltà ad un Signore del Fuoco. – aveva aggiunto Zuko. – Non ti resta che rifarlo, per onorare la promessa che facesti a Sozin. Lotterai al mio fianco, per riunire i regni?

Lui aveva annuito.

- Bene. In questo caso ho già un compito da affidarti.

Zuko lo aveva rivestito da capo a piedi, donandogli degli abiti che non avevano assolutamente niente a che fare con quelli arancioni ai quali era abituato. Ora, guardandosi allo specchio, aveva visto un soldato. Un mercenario. In lui non c’era più niente che potesse ricondurre al monaco che era sempre stato. Dopo i mesi passati sotto all’ala protettrice del Sovrano, in seguito al suo risveglio, perfino i suoi capelli erano cresciuti.

Si passò la mano fra quei ciuffi marroncini, sospirando. La freccia azzurra che contraddistingueva un Nomade dell’aria era ben celata sotto ad una bandana ripiegata su se stessa, così da non destare sospetti all’interno delle truppe alleate. A quanto pareva dominare l’aria non era cosa da tutti i giorni, per i sudditi di Zuko.

- Credo tu possa capire quanto sia necessaria la massima segretezza.

- …i Dominatori dell’Aria sono così tanto disprezzati, qui?

- Qualcosa del genere.

La vaghezza della risposta di Zuko lo aveva insospettito, ma essendo lui l’unico conoscente che aveva in quel nuovo mondo, più vecchio di cento anni rispetto a quello in cui aveva vissuto, non aveva alcuna intenzione di contraddirlo. Desiderava avere almeno un amico con cui poter parlare seriamente, visto che Appa, per quanto importante, non aveva ancora la facoltà di rispondergli e dargli consiglio.

- Hai detto che il mio compito è quello di fermare la Morte dell’Est. – Aveva detto ad un certo punto, curioso verso questa emblematica figura. Gliela avevano descritta come una sua coetanea, e anche questa volta lo aveva sorpreso molto il notare quanto, al giorno d’oggi, si cominciassero a vivere simili avventure così giovani. Per di più, a quanto aveva capito, la somma condottiera del Regno della Terra era… Cieca. – Come si chiama?

- Toph Bei Fong. E non farti incantare dal suo aspetto, non ha niente di fragile. La sua unica pecca è la sua eccessiva testardaggine, per il resto è un nemico potente.

- Se è così potente perché vuoi che sia io ad occuparmi di lei?

Lo aveva domandato con la più grande innocenza possibile. Non aveva mai avuto molta fiducia nelle sue capacità di Dominatore, il che spesso lo aveva condotto a dare meno di quanto avrebbe potuto. Zuko invece, che lo conosceva da poco tempo, sembrava essersi già convinto della sua bravura, un po’ come aveva sempre fatto anche il suo vecchio amico Gyatso o lo stesso petulante Kuzon. Quelle tre persone, nonostante fossero ad un secolo di distanza fra loro, lo guardavano esattamente allo stesso modo: come se nelle sue mani fosse racchiuso tutto il potere del mondo.

- Ti mando sul campo perché mi fido di te e delle tue capacità. – gli aveva risposto. – Io so che sei tu, la chiave di svolta per questa guerra.

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Capitolo 8
*** You’ve got to be kidding me… ***


Earth iconBook One: Earth

Chapter seven: You’ve got to be kidding me…



Non c’era niente di peggio, al mondo, del provare per mesi la costante sensazione di aver perso un passaggio importante di ciò che ci accade attorno. Toph aveva passato gli ultimi tempi a combattere battaglie di poco conto contro ad un esercito all’apparenza addirittura svogliato, privo della verve che fino a quel momento aveva contraddistinto ogni Dominatore del Fuoco. I suoi consiglieri trovavano modo di ridere della situazione, giudicandosi prematuramente vincitori di una guerra che non vedeva cambiamenti duraturi da più di cento anni, ma lei, lei che mai aveva dato qualcosa per scontato, continuava a sentirsi persa. In agitazione.

Al fronte si sentiva osservata, studiata, e alla pari di un nervo scoperto dava il meglio ed il peggio di sé a seconda di come le cose riuscissero o meno a turbarla. Sapeva che qualcuno la stava guardando e sapeva che Zuko, il suo avversario, era assente da tutto quel tempo poiché intento a sferrarle un colpo micidiale.

Uno di quelli che avrebbe potuto distruggere tutto ciò che aveva così faticosamente creato.

- Comandante Shun, mi piacerebbe molto sapere come mai, quest’oggi, siete così su di giri.

Toph, camminando al suo fianco, aveva percepito la sua eccitazione con il solo contatto delle piante dei piedi col terreno. Quella era una dote che le tornava costantemente utile, ma che al tempo stesso aveva la facoltà di turbarla. Non sempre comprendeva il motivo che spingeva una data persona a sentirsi in un certo modo. Men che meno quando quella persona era Shun.

Tutti conoscevano le prodezze di gioventù di quell’uomo, però erano in pochi a conoscere la sua effettiva sete di potere. Più e più volte lo stesso Cheng la aveva messa in guardia nei suoi confronti, reputandolo addirittura più pericoloso di quanto lei stessa non avesse già appurato. La sua, più che fama di potere, si stava tramutando in uno spasmodico desiderio di avere sempre una migliore posizione all’interno della gerarchia militaresca e politica del Regno della Terra; voleva più denaro, più stabilità, più persone pronte a dirgli “sì, Signore, la pensiamo esattamente come voi”.

Se fosse stato per il suo solito comportamento, Toph non si sarebbe mai data pena nel cercare di capirlo. Perfino ora non era del tutto sicura di voler sapere cosa lo rendesse tanto emozionato.

- Non lo sentite anche voi, mia Signora?

Il Comandante si voltò verso di lei, sorridendo.

- …sento che stiamo per vincere la guerra.

Lei trattenne una risata e, dopo aver scosso con forza il capo, si mise una mano lungo il fianco destro. – Spero che voi sappiate quanto affermazioni del genere siano solite portare enorme sfortuna. Non vorrei mai che il vostro ottimismo trovi un brutto riscontro con la realtà, in seguito…

- Io confido nelle vostre capacità di leader, mia Signora, e credo che l’improvviso ritiro del Signore del Fuoco non sia altro che un segno.

- Un segno?

- Sì.

- Un segno di chi?

Shun rimase silenzioso per un attimo, ma poi, subito, le rispose. – Un segno dal Regno degli Spiriti!

- Addirittura!

Qualche soldato, alle loro spalle, rise sommessamente, e lei non poté far altro che seguire il loro esempio. Alle volte parlare con quell’individuo le veniva difficile, però prenderlo in giro era qualcosa che non passava mai di moda. Del resto non era una di quelle persone che trovava complicato adoperare il proprio sarcasmo, anzi. Chi la conosceva bene sapeva che quella era una delle sue migliori difese.

- Mi spiace deluderla, Comandante Shun, ma sono convinta che gli spiriti abbiano faccende assai più importanti di cui occuparsi.

E, detto questo, allungò il passo. La piccola parentesi divertente doveva chiudersi all’istante, visto che si stavano avvicinando al fronte. In distanza sentiva le armi cozzare contro agli scudi e alle armature, sentiva le urla dei suoi compagni e dei nemici, sentiva lo sforzo che si celava dietro ad ogni colpo. Sentiva il peso di quella guerra tutto sulle spalle, inesorabile, capace di penetrarle nella carne con più facilità di quanto non avrebbe potuto farlo una spada.

- …temo che alla fine di questa giornata, dovrete ricredervi del tutto, Comandante.

◇♦◇

Come sempre la Regina di Ba Sing-Se stava dando del suo meglio. Erano davvero in pochi quelli capaci di darle del filo da torcere, e anche nel caso in cui effettivamente venisse costretta ad indietreggiare di qualche passo, subito tornava all’attacco senza mai perdersi d’animo. La sua forza, lo sapevano tutti, stava proprio in questo: nella sua spasmodica ed ineccepibile sicurezza.

Sapeva che la possibilità di perdere faceva parte del “gioco”, ma non continuava a tormentarsi l’animo con quel timore, e anzi faceva del suo meglio per concentrarsi sull’altro cinquanta per cento, sulla piccola speranza che il destino per una volta avrebbe anche potuto tirare i dadi in suo favore. In fondo non faceva male pregare qualcuno, lassù, affinché le cose cominciassero a migliorare. Non era mai stata una credente attiva, tuttavia non aveva mai rinnegato il pensiero che da qualche parte, al mondo, esistessero cose che gli umani non potessero comprendere.

Quel momento però non era adatto per simili pensieri. Nel bel mezzo della ressa, Toph pensava solamente ad una cosa, la stessa a cui aveva pensato da che aveva preso le redini del proprio destino: voleva la libertà, per se stessa, per gli altri, per tutti quelli che erano stati maltrattati e che avevano vissuto sino ad allora nel terrore. Ormai non si poteva neanche più parlare o pensare senza che la Nazione del Fuoco non si attivasse per reprimere anche la benché minima idea di ribellione.

Lei doveva continuare a combattere.

Doveva, perché altrimenti nessuno lo avrebbe fatto più. Perfino il grande Comandante Shun, figlio della guerra stessa, si sarebbe arreso.

- Ma… Cosa diavolo è quello…?

La ragazzina alzò di scatto gli occhi verso il cielo, ben conscia di non poter effettivamente vedere quello che stava venendo loro incontro. Per un secondo si diede mentalmente della stupida, ma quando udì con fin troppa chiarezza il rumore di un oggetto molto grande in avvicinamento, prese un respiro profondo e calciò la terra per far sì che una piccola collinetta si ergesse sotto di lei.

- Tenete occupati i soldati, Comandante! – ordinò, cercando più calma interiore possibile. Doveva prendere la mira, però essendo il suo bersaglio dove non poteva vedere per niente, aveva bisogno di concentrarsi al massimo sul proprio udito.

- Avete sentito?! – sbraitò Shun. – Coprite la Regina!

Lei chiuse le palpebre, unendo per qualche attimo i palmi di fronte al viso. Fece una leggera flessione sulle gambe e poi si estraniò del tutto da ciò che aveva attorno: il rumore della battaglia venne eliminato, e di sottofondo le rimase solo il suono continuo del suo respiro. Tutto era buio. Tutto era silente…

fino a che non riuscì a capire la direzione da cui stava arrivando la nuova minaccia.

Con un movimento repentino staccò due massi dalla terra e le scagliò in cielo, sicura di averli lanciati nella direzione esatta.

- L’ho preso…? – chiese.

Fu allora che una folata di vento la scaraventò a terra assieme a tutte le truppe. Perfino gli avversari ebbero difficoltà nel mantenersi stabili.

Da che aveva cominciato a lottare, Toph non aveva mai avuto una esperienza simile. Aveva conficcato nel terreno le dita, concentrando tutta la forza del suo dominio nelle falangi, ma per quanto si stesse impegnando l’aria attorno a lei la stava sollevando sempre più su. Arrivò al punto in cui una intera zolla venne via con lei, portata lontano dal campo, lontano dai compagni, lontano dal chiasso e dalle urla.

◇♦◇

Quando finalmente riuscì a rimettere piedi a terra, fece una capriola e si guardò attorno, trasognata, senza darsi una spiegazione circa ciò che era successo. Per la prima volta da sempre aveva paura per se stessa, perché è questo il potere dell’ignoranza, ci rende ciechi e terrorizzati al pensiero di non sapere con esattezza contro chi – o che cosa – stiamo combattendo.

Rimase immobile per un tempo che le parve infinito almeno fino a che, un tonfo, non la fece scattare in piedi. Ancora una volta sollevò un masso grande il doppio di lei e lo tenne bene sollevato al suo fianco, in modo da poter colpire il nemico all’istante, se la avesse attaccata.

- Chi sei?

La sua voce non lasciava trasparire la benché minima traccia di insicurezza, non si sarebbe mai perdonata d’essersi mostrata debole di fronte a chicchessia, men che meno quando erano in molti a contare su di lei. Le persone guardavano a lei come ad un esempio, non poteva essere debole.

Alcuni passi leggeri vennero seguiti dalle sue parole, e Toph si stupì nel percepire a mala pena la presenza di chiunque avesse di fronte. Corrugò la fronte, riducendo gli occhi a due fessure.

- Cos’è… Hai perso la lingua, twinkle toes? Devo chiederti il tuo nome con le maniere forti?

- Io sono Aang.

Stizzita alzò di poco il mento. – Bene Aang, immagino che tu mi abbia portata qui per un duello all’ultimo sangue quindi procediamo. Non ho tempo da perdere con una mezza calzetta come te.

- Neanche mi conosci, come fai a sapere che sono una mezza calzetta…?

Sorrise. – Si capisce subito da come ti muovi. Percepisco da un chilometro di distanza la tua incertezza.

A questa frase il ragazzino – che a suo parere non doveva essere più grande di lei – si fermò a metà strada, rilasciando ancora più agitazione nel corpo. Toph lo notò subito.

- …ti ha mandato il musone…? – pose un’altra domanda, senza farsi alcuno scrupolo. Tanto valeva estrapolargli più informazioni possibili prima di metterlo KO. A giudicare da quanto era gracile, non ci avrebbe messo molto a tornare dagli altri. – Zuko, intendo.

- Sì. Mi ha dato ordine di…occuparmi di te.

- Occuparti di me? Cosa sono, una neonata?!

Con rabbia scagliò l’enorme sasso contro di lui, ma con sua grande sorpresa non fu in grado di colpirlo: il ragazzo era schizzato via con una velocità mai vista prima, svicolando dalla minaccia con la stessa agilità di un serpente.

Subito le balenò un pensiero nella mente che, senza indugio, cercò di scacciare.

Lui non poteva essere un Dominatore dell’Aria. Erano tutti morti. Tutti. Compreso l’Avatar.

Le avevano parlato delle abilità in possesso dei Nomadi dell’Aria, e mai avrebbe creduto di poter assistere – in un modo tutto suo, certo – all’effettiva esecuzione di una mossa come quella.

Deglutì.

- Mi dispiace ma io devo tornare. – disse – Mettiti in guardia.

Che fosse o meno ciò che pensava, non aveva importanza. Lei doveva tornare indietro, a dare una mano ai suoi soldati, nella speranza che durante la sua assenza non avessero già subito perdite troppo gravi. Quindi si mise in posizione e, sempre tenendosi a distanza da lui, cominciò a scagliargli contro quanti più massi poteva. Aprì delle voragini sotto ai suoi piedi, erse dislivelli per fargli perdere la bussola, e proprio quando le cose parvero mettersi per il meglio, lo spinse imprigionato contro ad un muro di roccia.

Sorrise, avvicinandosi a lui ora che era ben fermo e non poteva assolutamente scappare.

Con le mani sui fianchi si piegò in avanti, leggermente risentita.

- Non ti sei impegnato. – mormorò.

- …sì che mi sono impegnato!

- Metti a dura prova la mia pazienza, twinkle toes. Se questo era il tuo migliore tentativo di togliermi di mezzo, allora hai fatto davvero pena.

- Io mi chiamo Aang!

    - Aang, “bamboccio incompetente”… Che differenza fa, se comunque hai perso? Io ho vinto, quindi ti chiamo come voglio. Anzi. Me ne vado proprio.

Non aveva alcuna intenzione di spendere altro tempo prezioso in compagnia di quello sconosciuto. Un ragazzino comparso dal nulla, per quanto in possesso di alcune capacità che l'avevano certamente fatta vacillare, non era abbastanza importante per tenere la Regina di Bang Sing-Se lontana dalla battaglia così a lungo. Per di più, la mancanza di volontà del nuovo nemico di combattere contro di lei seriamente, le impediva di vedere in lui un degno avversario.

Se quello era tutto ciò che il Signore del Fuoco poteva fare per distrarla, per trarla finalmente in inganno e batterla, allora era piuttosto evidente che Zuko l'aveva bellamente sottovalutata. Un errore, quello, che si sarebbe assicurata di fargli notare quando finalmente lo avrebbe messo in ginocchio, dopo aver posto un termine a quella guerra infinita.

Preoccupata dunque – come sempre del resto – per tutte quelle cose, Toph diede le spalle al ragazzo senza darsi ulteriore pena per ciò che quest'ultimo avrebbe potuto fare. Si sentiva sicura, certa di non aver più niente da spartire con lui, e per tanto trovava che abbandonarlo lì nella propria miseria fosse più che altro un gesto magnanimo da parte sua: altri lo avrebbe ucciso, togliendogli la vita solamente per aver osato pensare di essere una minaccia, ma lei per quanto all'apparenza dura non era mai stata tanto crudele dal compiere simili deprecabili azioni.

- Aspetta.

Emise un sospiro, fermandosi più per esasperazione che per via della sua richiesta.

Passandosi una mano sul viso, cercò di nascondere meglio che poté il nervosismo che stava provando. Non era mai stata molto brava nell'intento, tuttavia sapeva alla perfezione che come Regina era necessario comportarsi in un certo modo anche di fronte ad un nemico: un conto era quando si sentiva libera di essere se stessa con persone che conosceva e che per di più erano suoi sottoposti, un altro era interagire con individui a lei sconosciuti. Come avrebbe detto il generale Cheng, mantenere un certo decoro non poteva far di certo male.

- Lo sai, cominci a spazientirmi. - disse Toph, senza avere alcuna intenzione di voltarsi nella sua direzione. Aveva deciso di andarsene e così avrebbe fatto. - Io non ho tempo da perdere con te, intesi? A qualche chilometro da qui la mia gente sta combattendo in mio nome e se vuoi saperlo non faccio parte di quei sovrani che rimangono al sicuro, mentre altri fanno il lavoro sporco.

Stava ovviamente facendo riferimento a Zuko e al suo aver inviato quello che pareva a tutti gli effetti un mercenario – addirittura incapace – per farla fuori. Erano quelle le cose che più la facevano imbestialire: atti tanto scellerati e privi di onore la mandavano ai pazzi, ed era un miracolo che non avesse ancora scatenato la sua ira contro al povero malcapitato che aveva alle spalle.

- Mi hanno insegnato a non imporre mai il mio volere sugli altri.

Aang si mise in piedi, movimento quello che non sfuggì di certo alla sua avversaria. Le orecchie di Toph funzionavano alla perfezione, e per quanto il ragazzo avesse già ampiamente dimostrato di essere capace di muoversi facendo il minimo rumore, lei si era allenata fin troppo per riuscire a farsi incastrare da qualcosa del genere. Ovviamente rimaneva stupita della sua agilità, ma nulla di più. Ci voleva ben altro, probabilmente, per metterla davvero in crisi.

- ...fin da quando ero bambino, mi è stato detto di non usare mai la forza per ottenere ciò che volevo. Ho fatto tesoro di certi insegnamenti per lungo tempo, ma ora... Ora credo di non doverne più tenere conto.

Non avendo la più pallida idea di dove l'altro stesse andando a parare, Toph si girò di scatto già pronta ad urlargli in faccia di non essere per nulla interessata all'intera cronaca della sua vita. Quando però fece tanto di voltarsi, l'evidente cambio d'atmosfera la costrinse a corrugare la fronte e ad assumere una posizione di difesa.

Era risaputo che i ciechi fossero capaci di adoperare alla perfezione i sensi di cui non erano stati privati, tanto che alcuni parevano non avere alcun impedimento quando chi stava loro attorno li osservava. Quello che però stava sperimentando era un qualcosa che andava ben oltre le sue capacità personali, un qualcosa di cui perfino uno sciocco senza alcuna idea di come valutare l'avversario o come combattere avrebbe potuto facilmente rendersi conto. La forza di Aang era venuta fuori tutta d'un tratto, senza che lei potesse neanche accorgersene autonomamente: un momento prima era inferiore a Toph sotto ad ogni punto di vista, quello dopo invece... Era un mostro.

- Se quello che mi è stato detto corrisponde a verità, non ho più alcun motivo per trattenermi.

In mancanza della possibilità di comprendere appieno il significato delle sue parole, alla giovane condottiera non rimase altro da fare se non rimanere ferma immobile, la fronte che via via andava a corrugarsi sempre di più mentre di fronte a lei aveva inizio uno spettacolo che d'improvviso le fece rimpiangere di non poter vedere. Quell'handicap per la prima volta dopo anni la fece sentire smarrita, in totale balia del fato e senza alcuna possibilità di rivalsa. Non percepiva dentro di sé quella paura da quando era una bambina, ed il ritrovarsi ora di nuovo preda di quell'emozione la turbava.

Se solo avesse potuto vedere quel che stava capitando, oltre a percepirlo in altri modi, sarebbe stata testimone di un qualcosa a cui nessuno aveva assistito in oltre un secolo. Un qualcosa che lei conosceva, ma a cui stentava a credere per via dell'assurdità della situazione.

Come aveva fatto Zuko a convincere proprio lui a passare dalla sua parte? E come poteva quel ragazzo essere in combutta con la sola persona responsabile di tutto il male che stava dilagando nel loro mondo?

Simili domande non avrebbero mai trovato risposta. Non in quel momento, comunque.

Se voleva sapere che cosa stava succedendo, doveva ingaggiare una nuova battaglia con Aang ed uscirne vincitrice. In cuor suo sapeva di non avere alcuna speranza di vittoria, ma non si sarebbe data per vinta troppo presto: non stava di certo lottando solamente per se stessa, sulle spalle aveva il destino di migliaia di altre persone, uomini, donne e bambini che avevano dato a lei ogni briciola della propria fiducia, nella speranza che grazie alla sua forza la pace finalmente sarebbe tornata nella vita di tutti quanti.

Toph deglutì, abbozzando un sorriso nervoso. - Fai del tuo peggio, mi raccomando. Detesto perdere tempo in una lotta senza senso.

Aang non le rispose.

Nel giro di qualche attimo – questo lo sapevano entrambi – uno di loro si sarebbe ritrovato disteso a terra.







Spazio all'autrice: Mi inserisco un secondo per dire due semplici cosette. La prima è che ho lasciato il nomignolo di Toph per Aang in inglese perché personalmente credo suoni meglio della versione italiana...e perché io questo cartone l'ho guardato tutto in inglese E ho i dvd in inglese, e fare altrimenti mi sembrava troppo strano LOL
La seconda cosa è che chiedo scusa a tutti i lettori per aver aggiornato così sporadicamente questa storia. No, non me ne ero scordata, ma purtroppo quest'anno ho avuto poco tempo per scrivere in modo ricreativo(?). Ora però sono tornata eeeeee... Boh, grazie a chi ancora sta leggendo dopo tutto questo tempo? Ahahahah luv ya! ♥

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Capitolo 9
*** Happy family? ***


icon fireBook Two: Fire

Chapter eight: Happy family?



Stranamente, per la prima volta dopo molti anni, Zuko sentì un grosso peso abbandonarlo. Nell'inviare Aang al fronte con l'incarico di catturare Toph, si era anche assicurato di impedire che le cose potessero sfuggire di mano, lasciando alla Morte dell'Est l'occasione per evadere nuovamente dal suo controllo. Stavolta aveva calcolato ogni mossa personalmente, senza farsi influenzare dalle parole dei propri consiglieri e dei generali: da solo era venuto a capo di un piano e, collegando gli sforzi attuali con qualcosa che teneva in serbo da tempo, aveva finito col ritrovarsi fra le mani la giusta leva per portare a proprio favore quella guerra.

Ci erano voluti esattamente due mesi per portare tutte le pedine che gli servivano al posto in cui le voleva, e ora che finalmente riusciva ad intravedere la luce in fondo al tunnel, una strana sensazione di quiete gli aveva pervaso l'animo. Nemmeno ricordava l'ultima volta in cui era stato tanto tranquillo, tanto sicuro della riuscita dei suoi piani. O forse, proprio perché non ricordava un avvenimento simile, sarebbe stato più facile immaginare che mai si era sentito del tutto privo di dubbi.

- Con questi documenti abbiamo finito, mio signore.

Il servitore inviato dal Generale Quiang gli indicò lo spazio su cui lasciare la propria firma, ripetendo in seguito quella stessa azione sugli ulteriori quattro fogli presenti sotto al primo. Lui annuì sovrappensiero, la penna intinta nell'inchiostro a scricchiolare con leggerezza sulla superficie ruvida. Quando la carta assorbì anche l'ultima goccia scura, finalmente il servo si congedò lasciando Zuko solo all'interno del proprio studio.

Era in effetti una cosa rara che proprio lui, il Signore del Fuoco, venisse lasciato solo molto a lungo. Da che era salito al trono, succedendo di diritto al padre Ozai in seguito alla sua morte, aveva come l'impressione di aver passato più tempo in compagnia altrui anziché di se stesso: i suoi doveri erano molteplici, e sebbene tecnicamente fosse lui l'unico col diritto di dettare legge, non gli era comunque concesso di gestire autonomamente il tempo di cui disponeva. I momenti in cui finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo, liberandosi insieme della maschera imperturbabile che a forza si era cucito in volto in seguito all'incoronazione, erano talmente rari da apparirgli estranei nell'attimo in cui alla fine riusciva ad assaporarli.

Inutile dire che, di solito, non faceva il tempo ad abituarsi all'idea di non avere nulla di importante da fare, che subito qualcuno bussava alla sua porta del tutto intenzionato a carpire la sua attenzione.

Si domandò quale sarebbe stata questa volta la calamità che richiedeva il suo consulto. Si chiese se, allo scoccare del prossimo minuto, dalla porta che dava sul corridoio principale non sarebbe entrato qualcuno, respiro trafelato e occhi di chi aveva appena visto la morte in faccia.

Alzando lo sguardo sulla stessa porta che nei suoi pensieri aveva appena fatto entrare almeno una miriade di messaggeri tutti diversi e ognuno con una preoccupazione personale, Zuko rimase immobile ed in silenzio, attendendo che da un momento all'altro si scatenasse l'inferno.

...ma non accadde nulla.

A dispetto di tutte le sue precedenti esperienze e a dispetto di ciò che reputava essere diventata ormai una routine, Zuko si ritrovò a contemplare il vuoto una volta che la sua convinzione di sapere tutto venne così brutalmente sfatata. Dall'uscio non entrò nessuno, perfino nel tendere le orecchie alla disperata ricerca di un qualsiasi rumore all'esterno non riusciva ad udire nulla che potesse dargli pensiero.

Era solo.

Solo in una stanza gigantesca, con la mente affaticata dal continuo sforzo per venire a capo di nuovi piani e l'animo pesante, afflitto da colpe e memorie che non lo avrebbero mai abbandonato.

Improvvisamente sentì il bisogno di alzarsi, uscire e cercare qualcosa da fare. Non era davvero più abituato a quella calma, non sapeva cosa fare quando tutto trovava una conclusione – anche se temporanea – ed il destino gli chiedeva di rimanere in disparte, ad attendere che tutto andasse come voleva o che le cose gli si sfacessero fra le mani. Zuko, a diciotto anni, già non aveva più idea di che cosa significasse passare anche solo un'ora dedicata a se stessi, indetta allo svago e alla più totale noncuranza di tutto quanto il resto.

- Buonasera, mio signore.

Il giovane, dopo aver aperto la porta per uscire dallo studio, incrociò il proprio cammino con una delle tante serve predisposte lungo l'intera pianta del suo palazzo. Fece un segno del capo, educato come suo solito, gli occhi che però non si posarono su di lei se non per appena qualche secondo. Gli avevano insegnato a mostrare riguardo verso le persone, a mostrare che era stato cresciuto in una famiglia sì potente ma rispettosa, e sebbene in quegli anni avesse fatto del suo meglio per onorare il ricordo della donna che in primis gli aveva impartito certe regole, il suo cuore si era indurito a tal punto da impedirgli di dimostrare del vero e proprio interesse verso chi aveva attorno. Specialmente se di rango inferiore.

◇♦◇

- Che modi di ragionare sono mai questi, Zuko?

La voce austera della madre, da sempre comunque condita con una nota di pura dolcezza, giunse alle orecchie del giovane Principe come la peggiore delle accuse. Se ne rimase infatti al suo cospetto, indeciso sul da farsi e pure un pochetto disorientato. Ogni volta che parlava con la madre sentiva addosso un'apprensione del tutto diversa da quella che, di norma, lo colpiva quando era nelle vicinanze del padre: voleva essere accettato da entrambi, ma se con Ozai ogni suo tentativo pareva finire nel peggiore dei modi ogni volta, con Ursa era diverso; alla base del problema comune c'erano due persone agli antipodi.

- Non guardare mai le persone dall'alto in basso, figlio mio. Non comportarti come se fossi superiore, solo perché hai avuto la fortuna di nascere con una posizione sicura e pieno di denaro.

- Ma papà dice sempre che...

- ...se ascolterai tuo padre, Zuko, finirai col diventare esattamente come lui. Cieco.

Il piccoletto corrugò la fronte, di nuovo incapace di comprendere a cosa la madre si riferisse.

- Papà ci vede benissimo, mamma.

Ursa sorrise, ma nella sua espressione Zuko non lesse nemmeno una briciola della gioia che le vedeva dipinta in volto quando sorrideva veramente. Quando sfoggiava quel genere d'espressioni, sentiva in cuor suo la necessità di proteggerla, di aiutarla, di farle capire che qualunque cosa fosse successa lui non l'avrebbe mai e poi mai ferita.

- Lo so, tesoro. Quando dico che tuo padre è “cieco”, intendo dire che ha il brutto vizio di non capire quali sono le cose veramente importanti. - Si voltò a guardarlo, stavolta adoperando un sorriso meno rabbuiato e più materno. - Cerca solo di non perdere mai di vista chi sei veramente.

◇♦◇

Il rumore a lui estremamente famigliare di una palla di fuoco scagliata nella sua direzione, lo costrinse per il momento a lasciare da una parte determinati ricordi. Così come la memoria di quella discussione con la madre gli era venuta, presto si dissolse, lasciandogli in petto la consapevolezza di non aver compreso affatto ciò che quel ricordo voleva suggerirgli.

Scattato da una parte, schivò con grazia quella sfera incandescente il cui mandante, una volta notati i suoi colori bluastri, non fu difficile da intuire.

Con un sospiro, Zuko si risollevò e mise a posto il proprio soprabito. - Azula...

La voce gli uscì arida dalla bocca, priva di una qualsiasi emozione. Tale era il sentimento che la sorella gli faceva scaturire da dentro, che oramai il Signore del Fuoco non riusciva più nemmeno a dimostrarle un briciolo del proprio interesse. Rimase semplicemente impassibile, gli occhi dorati a scrutarla a distanza con la stessa attenzione che si offriva a persone di cui non ci si fidava minimamente.

Azula mente sempre.

- Ti pregherei di astenerti da simili dimostrazioni d'astio. - Asserì con voce impersonale. - Nuoce più alla tua immagine, che alla mia.

Sua sorella sorrise, le braccia incrociate davanti al petto. Con passo sicuro uscì dalle tenebre in cui si era nascosta e, seguita a ruota dalle sue fidate amiche d'infanzia Mai e Ty Lee, finalmente mostrò il proprio volto al suo interlocutore. Gli offrì la solita espressione sprezzante, di chi non si sentiva in dovere di mostrare alcuna forma di rispetto nei suoi confronti.

- Il nostro Grande Re ha qualche prova a sostegno della tesi che sia stata proprio io a lanciare quell'attacco?

Una parte di Zuko, profondamente seppellita dall'orgoglio che da sempre lo pervadeva, faceva fatica ad ammettere che il modo di fare di Azula era fonte di continua insofferenza per lui. Lo trattava come fosse un bambino. No, anzi, lo trattava come se dopo tutti quegli anni fosse stato ancora il marmocchio piagnucolone mal visto dal padre, costantemente attaccato alle gonne della madre e totalmente incapace di vincere contro alla sorella minore in un incontro corpo a corpo. Sapeva che lo faceva apposta. Sapeva che Azula aveva ogni intenzione di spingerlo a perdere le staffe, così da potersi sentire superiore e ancora capace di rappresentare qualcosa – anche se qualcosa di brutto – per il fratello: voleva essere in grado di fargli ribollire il sangue nelle vene, voleva mortificarlo, farlo sentire inadeguato, incapace, proprio come anni addietro era sempre stata capace di fare anche con l'aiuto di Ozai.

Voleva tornare ad essere lei, la figlia perfetta. La prediletta. L'unica e sola erede al trono.

Il ragazzo non emise nemmeno un suono percettibile. Se ne restò a contemplare la sorella, tali congetture a frullargli nella mente mentre, al tempo stesso, già aveva messo in piedi la propria difesa. Quell'attacco infantile al suo ego non avrebbe sorto alcun effetto su di lui, poiché già da tempo aveva smesso di reputare importanti le frecciatine che Azula ancora gli lanciava contro.

Come già detto, non provava nulla nei suoi confronti se non forse un leggero velo di imbarazzo per via di quei futili tentativi di mandare a segno anche un solo colpo.

- Che cosa vuoi?

Se solo fossero stati davvero ancora bambini, a quel punto la Principessa del Regno del Fuoco avrebbe già avuto modo di assaporare la propria infantile vittoria. Suo fratello sarebbe scoppiato a piangere e, dopo ulteriori offese, l'avrebbe sfidata ad una versione decisamente meno impegnativa e pericolosa dell'Agni Kai. E anche da lì, lei, ne sarebbe uscita vincitrice. Azula però continuava a non mettere in conto che Zuko non era più quello Zuko. Continuava a scordare quanto fosse cambiato da quando, anni prima, era tornato al cospetto del loro padre con un bottino più unico che raro: il giorno in cui aveva portato l'Avatar a Palazzo, il ragazzino con cui era cresciuta aveva quasi istantaneamente cessato di esistere, venendo sostituito da una versione aggiornata priva di pecche, priva di inquietudini, ma soprattutto priva di punti deboli.

A guardarlo così, impassibile, le venne istintivo digrignare i denti e raccogliere quanta più aria nei polmoni fosse possibile.

- Tutto quello che hai doveva essere mio! - Urlò a squarciagola, la sua solita furia a sconvolgere lei stessa e le persone che aveva vicino. Lei era instabile. Forse non tutti a corte ne erano a conoscenza, ma alcuni individui sapevano cosa era meglio fare quando si aveva a che fare con Azula: Mai e Ty Lee ad esempio, pur riconoscendo che alcuni suoi comportanti fossero al limite dell'accettabile, non osavano mai contraddirla per timore di diventare un giorno vittime della sua ira; e così come loro un tempo anche Zuko si ben guardava dal provocarla. Era proprio per quel cambio di registro che ora, la ragazza, non riusciva a sopportare nemmeno la vista del fratello maggiore. - Il trono non avrebbe dovuto essere ceduto in base al ritrovamento dell'Avatar! Tu non avresti nemmeno mai dovuto ritrovarlo! Nostro padre ti mandò via col solo intento di sbarazzarsi di te, quindi perché sei tornato...?!

Parole, quelle, che l'attuale Signore del Fuoco aveva già sentito almeno un milione di volte.

Non era solamente sua sorella a vedere così le cose e, di conseguenza, non era stata solamente lei a rivolgergli simili concetti. Sapeva bene che anche fra i suoi sottoposti, c'erano stati – e forse c'erano tutt'ora – soggetti che non avevano visto di buon occhio la sua ascesa al potere. D'altronde però, alla morte di Ozai, nessuno aveva potuto muovere polemiche quando era stato incoronato lui: era il figlio maschio primogenito del vecchio Signore del Fuoco e, nonostante la competenza ampiamente dimostrata da Azula nel corso degli anni e l'animo affine che la giovane aveva da sempre avuto col genitore, era parso più giusto che toccasse a Zuko regnare.

- Che cosa vuoi esattamente? - Le chiese d'un tratto, distraendo per qualche secondo perfino la povera Mai che, da sola, stava provando a trattenere l'amica dal compiere qualcosa di tremendamente stupido. - Vuoi il mio onore? La mia vita? La mia anima? Prendile, se questo ti farà sentire meglio.

I presenti, lui da una parte del salone e le tre fanciulle dall'altra, rimasero in silenzio per qualche secondo prima che quel discorso venisse concluso.

- Prendile ma non sottovalutarmi. Non sono più quelle le cose che mi fanno andare avanti.

Poi, come colpito da un fulmine a ciel sereno, toccò a Zuko percepire la terribile urgenza di comportarsi in modo crudele e colpire laddove era sicuro che avrebbe fatto più male. Assumendo un'espressione ancor meno partecipe e trasognata, puntò quegli occhi dorati dritti addosso ad Azula. Lei, all'altro capo dell'atrio, si sentì accapponare la pelle.

- ...tu, poveraccia. Pensi davvero che una come te avrebbe potuto essere presa davvero in considerazione, per la successione al trono?

Azula strinse i pugni lungo i fianchi, decisa a non farsi trascinare da ciò che stava inevitabilmente per accadere. Non voleva permettergli di metterla nel sacco ulteriormente, come se la sua reazione di poco prima non fosse stata abbastanza da farla apparire incoerente col proprio personaggio. O, se non altro, con quello che si era costruita con attenzione da che era una piccolissima bambina.

In un ultimo disperato tentativo di mantenere il controllo sulla situazione, la giovane cercò conferma negli occhi delle compagne, come a volersi assicurare che loro non avessero spifferato più del dovuto alle persone sbagliate.

- Non guardare loro. Il tuo segreto, con un po' d'attenzione, potrebbe scoprirlo chiunque.

Zuko, abbozzando un debole sorriso privo di trasporto, decise di continuare a parlare.

- Nessuno nella nostra famiglia ha la tua stessa mente malata. Siamo sempre stati maligni, questo sì, ma pazzi? - La risata secca che emise lo spinse a muovere leggermente le spalle; stava provando ad imitare il comportamento di qualcuno che si sta divertendo sul serio... Ma la verità era che non provava nulla. - Rispondi pure se ti piace rischiare: chi era tua madre, Principessa?

Per un secondo non si sentì nulla.

Altrove all'interno del palazzo c'erano almeno un centinaio di persone, tutte intente a svolgere i propri doveri e a scambiarsi qualche parola di tanto in tanto. Altrove, il palazzo appariva come un popoloso alveare; era vivo. Lì però, dove Zuko e Azula si erano appena scontrati per l'ennesima volta, il silenzio era tale che perfino il respiro dei presenti era mozzato.

Poi, quell'attimo di calma all'apparenza infinito venne letteralmente tagliato in due dall'urlo di rabbia pura misto a disperazione della Principessa della Nazione del Fuoco. Fu così improvviso che la povera Ty Lee si prese un enorme spavento e, nascostasi alle spalle di Mai, a mala pena mise fuori il naso per continuare a vedere cosa stava per accadere. Quell'urlo attirò sul posto qualche guardia, ma confusi di fronte alla situazione a cui non erano stati preparati, nessuno mosse un muscolo per sedare in anticipo la lite: non avevano i mezzi per capire all'istante cosa stesse succedendo, non sapevano che se non fosse stata trattenuta, Azula avrebbe scatenato l'inferno.

- TI UCCIDERÒ! - Strillò ancora la giovane. - Ucciderò tutti voi! TU E LA TUA DANNATA STIRPE!

Finalmente le guardie intuirono che fosse giunto il momento giusto per intervenire. Due del gruppo di sei che era sopraggiunto corsero a difendere il Signore del Fuoco, mentre gli altri quattro si diressero verso la Principessa e – dopo un po' di difficoltà – riuscirono ad afferrarla e trascinarla via.

Anche così però, trattenuta da due uomini e seguita a ruota dalle amiche preoccupate per lei, Azula riuscì a continuare i propri improperi fino a che non fu sparita in un corridoio annesso.

- Che tu sia dannato!

Fu quella l'ultima cosa che Zuko le sentì dire.

◇♦◇

- State bene, Signore?

- Se le serve qualcosa, non esitate a chiedere.

- Deve essere stato stressante sopportare una scena del genere, mio Signore.

Le Guardie che lo avevano scortato nelle sue stanze e i servitori che, in seguito, gli avevano portato un pasto da consumare comodamente a letto, si erano prodigati in atteggiamenti di estrema riverenza quando si erano ritrovati soli con lui in seguito al brutto fatto avvenuto nel tardo pomeriggio con Azula. Avevano fatto del loro meglio per farlo stare meglio, preoccupati probabilmente che un litigio fra parenti rappresentasse per Zuko una qualche sorta di avvenimento insostenibile.

- Le sue parole sono niente a confronto di quelle a cui sono stato abituato crescendo.

Solamente quando aveva risposto a quel modo, secco e senza mezzi termini, i suoi interlocutori avevano finito col zittirsi fissandolo come se anche lui avesse qualcosa di profondamente contorto nel proprio modo di vedere le cose. Se avesse messo un poco d'impegno nel leggere i pensieri di quelli che lo circondavano, forse avrebbe capito che era fonte di pietà per molti di coloro che lo conoscevano. In realtà però, anche senza impegnarsi a fare tanto, sapeva perfettamente di essere il soggetto di certe congetture. Tutti erano a conoscenza della sua storia e di quella della sua famiglia; le voci di corridoio si erano sparse per anni, alimentando dicerie che purtroppo – nella realtà dei fatti – avevano il sapore amaro della verità dalla loro parte. Ormai l'infelicità insita nella vita di lui stesso e dei suoi parenti, sia che fosse imposta ad altri o parte integrante di loro, era di dominio pubblico. Era per questo che dopo quell'ennesima dimostrazione di scorrettezza, perfino i suoi servi si erano permessi di mostrargli tanta pena.

Proprio come verso gli attacchi di Azula, però, Zuko non era più capace né di interessarsi alle proprie disgrazie famigliari con attenzione, né di dare ascolto a certe chiacchiere.

Ogni volta che provava a comportarsi come una persona normale, o per lo meno come un essere umano, qualcosa dentro di lui si sbloccava e ogni accenno di emozione scompariva come l'ultima goccia nel letto di un fiume ormai del tutto inaridito. Improvvisamente si svuotava. Improvvisamente la sua mente diventava fredda, analitica... Cinica.

Improvvisamente si tramutava nel figlio che Ozai avrebbe sempre voluto, e che al contrario sua madre Ursa si era augurata che lui mai diventasse.

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Capitolo 10
*** Confusion ***


Book Four: Air

Chapter nine: Confusion



Non c'era stata alcuna gloria, per lui, nello sconfiggere la Morte dell'Est. A sentire Zuko avrebbe dovuto provare qualcosa di molto simile all'orgoglio, avrebbe come minimo dovuto sentirsi entusiasta per ciò che era stato capace di fare quando molti altri, prima di lui, avevano miseramente fallito. Aang però, che a dispetto di tutto ancora credeva fermamente negli insegnamenti che gli erano stati impartiti fin da bambino, non riusciva a trovare nemmeno una parte che potesse essere considerata “buona” nell'incarico che aveva portato a termine. Mentre caricava Toph su Appa e saliva a sua volta, intenzionato a sparire dalla scena, il ragazzo aveva incrociato lo sguardo con alcuni soldati accorsi in aiuto della propria Regina e, in un attimo, aveva percepito il peso di una colpa disumana a gravargli sulle spalle. Senza l'utilizzo di una parola, quegli occhi gli avevano comunicato orrore, paura, rabbia e perfino un filo di vergogna: quei soldati, senza aprire bocca, gli avevano fatto capire che portandosi via la Regina di Ba Sing-Se lui si stava portando via qualcosa di più di una semplice persona.

Si stava portando via tutta la loro speranza.

Fu insomma con quella consapevolezza che, il viaggio di ritorno al Regno del Fuoco, era continuato. Aang non aveva fatto altro che continuare a rimuginare su ciò che era appena accaduto, sulle cose che aveva fatto e su quelle cose che invece avrebbe potuto fare. Già da solo, senza l'aiuto di nessuno, il ragazzino ebbe modo di mettere in discussione le proprie azioni e gli ideali che il Signore del Fuoco aveva cercato di inculcargli in quegli ultimi due mesi, a seguito del suo risveglio.

Ancora non riusciva a capire come il mondo fosse giunto ad un simile impasse. Trovava che fosse insieme straordinario e terrorizzante che l'intera umanità avesse ritenuto che fosse più naturale farsi la guerra, anziché accettare di buon grado ognuno le proprie differenze.

- Davvero non ci arrivo, amico mio.

La sua voce, la quale di norma era allegra e dal tono acuto, gli uscì dalla gola di molto più simile ad un rantolo. Gli mancava la forza addirittura di deglutire, tanto era rimasto sconvolto da ciò che aveva visto, fatto e detto.

- Zuko mi ha spiegato tutto. Non dovrei più avere dubbi su ciò che sta succedendo in questo secolo e su quello che è meglio fare per riportare l'equilibrio... - Continuò, rivolgendosi al bisonte volante come se questo avesse potuto rispondergli a parole. Ma in fondo, in quel momento, gli bastava anche solo che qualcuno lo stesse a sentire: Appa forse non era un essere umano, tuttavia rimaneva il suo migliore amico e come tale non mancava mai di sostenerlo anche nei giorni più difficili. - Dovrei essere sicuro su tutto, ma non lo sono. Perché?

- Magari non lo sei perché il musone ti ha rifilato una lunga lista di bugie, che dici...?

L'improvviso intervento di una seconda voce lo fece sobbalzare dalla sorpresa. Per un secondo fu quasi convito che fosse stato proprio il silenzioso Appa ad aprire bocca, lasciandosi sfuggire quelle parole dette con molta acidità. Gli ci volle poco per intuire che era impossibile che stessero così le cose. Andando ad esclusione, solo un'altra persona avrebbe potuto rispondergli.

Dalla sua postazione seduto sul collo del suo bisonte volante, Aang girò appena la testa cercando di incrociare lo sguardo con Toph.

- Sei sveglia. - Disse, facendo del suo meglio per apparire il più imperturbabile possibile.

Lei abbozzò un sorriso ironico e, dopo essersi sistemata come meglio poteva sulla sella ove era stata lasciata, cercò di raccogliere più informazioni possibili circa la situazione in cui si trovava. Decise di partire da ciò che sapeva per certo, ossia dalla sua bruciante sconfitta subita contro a quel ragazzino. Dal momento in cui gli aveva sentito sprigionare quella strana quanto sconvolgente energia, aveva saputo di non avere alcuna speranza di vittoria contro di lui: si era lanciata nella mischia senza timore, come era stata abituata a fare nel corso di quell'ultimo anno, ma quando Aang l'aveva colpita mettendola K.O. senza nemmeno fare il minimo sforzo, il suo animo non si era abbattuto più di tanto. Come già detto, aveva messo in conto di perdere.

- Posso chiedere dove accidenti siamo? - Domandò. - O su che cosa siamo. Sì. Questa è la domanda migliore, cancella quella di prima.

- Sei a bordo del mio Bisonte Volante. Appa.

Di nuovo, Toph sorrise. - Su che cosa...?

Aang fece del suo meglio per mantenere gli occhi davanti a sé, però nel sentirsi porre di nuovo la stessa domanda gli venne impossibile non voltarsi di nuovo – e stavolta del tutto – verso la sua prigioniera. Si mostrò sinceramente perplesso, anche se la sua interlocutrice difficilmente avrebbe potuto notare la sua espressione data la cecità di cui soffriva.

- Sei... - Non sapeva bene se lo stava prendendo in giro (cosa assai probabile visto come anche durante il loro scontro gli si era rivolta) o se era seria. Doveva ripetere anche lui la risposta che le aveva dato? - Sei a bordo del mio Bisonte Volante. Appa. Si chiama così.

Poi, fatta una seconda pausa...

- Cosa c'è di difficile da capire?

Non ricevette alcun responso da parte di Toph. Improvvisamente la vide sbiancare e, come se avesse appena avvistato un serpente a sonagli e temesse d'essere morsa, la giovane si aggrappò con tutte le forze che aveva ai bordi della sella posizionata sulla schiena dell'animale.

- St-Stiamo volando?! - Chiese, con voce stridula.

Fu la prima volta in assoluto in cui la Morte dell'Est - a dispetto degli abiti indossati – gli parve in qualche modo più in contatto con la sua parte femminile. In fondo sola una ragazza avrebbe potuto reagire in una maniera vagamente carina, scoprendo di trovarsi ad almeno tremila piedi dal suolo.

- Beh, sì. È volando che sono arrivato sul campo di battaglia, ed è sempre volando che tornerò indietro. A piedi ci avrei messo decisamente troppo.

Anche questo gli parve puro buon senso, ma a giudicare dallo sguardo esterrefatto dell'altra, gli venne il dubbio di aver detto una qualche idiozia.

- E lo dici con così tanta naturalezza? - Sbottò subito dopo lei, percependo la sua esitazione. - Noi esseri umani non siamo fatti per volare. Ti sei mai chiesto come mai non abbiamo le ali? Perfino i polli - che tra parentesi le hanno - si rifiutano di librarsi in aria, e grazie ad anni ed anni di evoluzione finalmente si sono tolti di mezzo l'orribile abitudine di svolazzare in giro col rischio di schiantarsi a terra!

Ecco, quello sì che era un discorso assolutamente privo di senso.

Gli venne da ridere e, tornato a guardare davanti a sé, provò a riflettere nuovamente sulle motivazioni che avevano spinto Zuko e Toph a farsi la guerra. A sentire Zuko, la sua unica intenzione era quella di unificare le diverse Nazioni sotto al vessillo dei Dominatori del Fuoco, portando così un'era di pace nel mondo... Ma cos'era che spingeva Toph ad andargli contro con così tanta determinazione? Perché si ostinava a combatterlo quando, ad onor del vero, non gli dava l'impressione di essere un tipo amante del caos?

- Ci vorrà un po' prima di arrivare al Palazzo Reale. Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?

Non proprio dimentica delle preoccupazioni che quel viaggio le stava provocando, Toph ritenne che fosse più salutare per lei chiacchierare anziché fissarsi troppo su ciò che le stava dando pensiero. Annuì e, dopo essersi resa conto che Aang aspettava una risposta affermativa mediante l'utilizzo della voce, aprì la bocca e disse che no, non le dispiaceva.

- Bene.

Anche col suo consenso a rispondere, Aang non sapeva da dove cominciare il proprio interrogatorio. Sebbene fosse sempre stato un ragazzino vivace, capace di continuare a parlare per ore senza mai stancarsi, dare il via a quella conversazione gli appariva estremamente difficile. Un po' perché in cuor suo temeva ciò che lei gli avrebbe potuto dire, un po' perché non era certo di essere pronto a conoscere tutti i retroscena di quell'oscuro futuro in cui si era ritrovato.

- ...hai intenzione di procedere o...?

- Un attimo! Non è facile decidere da che parte cominciare.

Toph sbuffò. - Ok, visto che ci metti sei anni faccio io gli onori di casa.

Non gli diede nemmeno il tempo di opporsi. Capì subito che quando la Regina di Ba Sing-Se si metteva in testa qualcosa, distoglierla dal suo obbiettivo era pressoché impossibile.

- Tu sei l'Avatar...non è vero?

Che fosse così facile intuire la sua vera identità, fu un vero shock per lui. Se solo fosse stato più bravo a dissimulare la sorpresa, forse avrebbe impiegato poco tempo a rispondere negativamente a quella domanda, fornendo poi un qualche spunto per portare altrove il discorso. Aang però non era un uomo adulto col dono di saper facilmente intortare una persona: era un ragazzino di appena dodici anni che era stato prima insignito del titolo di Avatar dal giorno alla notte e che, con altrettanta fretta, era stato catapultato in un tempo futuro dove tutte le cose che aveva conosciuto ed amato parevano essere sparite nel nulla.

Sospirò solamente, stringendosi nelle spalle. - ...è così evidente?

- Per chi sa cosa sta guardando, sì.

- Capisco.

- Se sei lui... Se sei l'Avatar... - La voce di Toph si fece via via più flebile. Più insicura. - Dove sei stato fino ad adesso? Hai la più pallida idea di quanto tutti noi ti abbiamo aspettato?

Come già detto, se solo Aang avesse avuto più esperienza probabilmente domande di quel tipo avrebbe potuto prevederle con facilità, impedendosi quindi di sentirsi attaccato nel sentirsele porre. Cercò di non dare a vedere quanto simili quesiti gli dessero pensiero. Cercò di comportarsi come un vero duro anche se chiunque, standolo a guardare, sarebbe stato capace di riconoscere il suo bluff.

Di fronte al suo silenzio, però, Toph decise di non cogliere con rassegnazione l'evidente disagio di quel ragazzino. Pronta a tutto pur di scoprire la verità, non si sarebbe fatta scrupoli nel mandare in frantumi la sua povera psiche. Forse era proprio quello ciò che gli serviva: l'Avatar aveva bisogno di venire a patti con la realtà.

- Gradirei una risposta.

Aang sospirò. - ...lo so, ma non ho idea di come risponderti.

- E credi che questo mi basti? Non sai come rispondermi? Tch. - Voltò lo sguardo altrove, improvvisamente vinta da una forte sensazione di sconforto. Aveva sentito dire che l'Avatar fra tutti era il solo essere al mondo ad avere se non tutte, almeno la maggior parte delle risposte. Fin da piccola le avevano detto che era lui – o lei – il solo a sapere come andava il mondo e a capire cosa era più giusto fare per mantenere costantemente un equilibrio.

Per anni aveva convissuto con quelle idee e ora si ritrovava davanti un marmocchio all'apparenza addirittura più piccolo di lei che non solo non aveva idea di che cosa stava facendo, ma che per di più stava dalla parte sbagliata della scacchiera.

Credeva davvero che fosse Zuko il Sovrano giusto da sostenere per mettere le cose a posto? O la sua era pura e semplice stupidità?

- ...io mi sono risvegliato solamente due mesi fa dopo... Dopo circa cento anni.

Finalmente dalla bocca di Aang uscì qualche suono. Gli ci era voluto un poco per sbloccarsi, e scavando a fondo era stato capace di ritrovare il proprio coraggio nascosto nei meandri della sua anima. Toph aveva diritto di sapere cosa gli fosse successo e perché non fosse stato presente in quel lungo, lunghissimo periodo. Era vero che non si era scelto da solo quell'incarico, tuttavia era pur sempre lui l'Avatar e come tale... Beh, era giusto fornire delle spiegazioni.

In fondo era anche colpa sua se le cose erano andate a rotoli a quella maniera, durante la sua prolungata assenza.

- Un attimo prima il mondo era in pace e io conducevo una vita serena nel Tempio dell'Aria del Sud. Quello dopo mi risveglio da un lungo sonno e tutto ciò che conoscevo è sparito nel nulla.

Non era facile per lui pensare a ciò che aveva perso. Dubitava che qualcuno al posto suo avrebbe potuto gestire quella situazione in modo diverso, migliore. Sia che uno fosse un dodicenne od un uomo sulla quarantina, ritrovarsi catapultato nel futuro in un universo che non ha praticamente nulla di familiare per te era comunque difficile. Da quando si era risvegliato, non aveva fatto altro che chiedersi come avrebbero potuto andare le cose se solo quel giorno non fosse salito in groppa ad Appa, scappando via da Gyatso e gli altri monaci: magari parlando col suo vecchio amico della situazione, avrebbe trovato un modo differente per aggiustare le cose e non sarebbe dovuto scappare dal tempio come un ladro con la coda fra le gambe. Magari, se solo fosse rimasto dove era la sua casa, non ci sarebbe stata nessuna guerra e ora, nel presente in cui era stato costretto a vivere, Zuko e Toph non avrebbero dovuto scontrarsi per decidere chi avesse ragione in quella disputa centenaria.

- Non ho deciso io di finire imprigionato per cent'anni in un pezzo di ghiaccio. - Disse ancora. - Fosse dipeso da me non avrei nemmeno chiesto di diventare l'Avatar, però è successo comunque. A dispetto di quello che noi esseri umani desideriamo, la vita alle volte ti spinge a vivere scenari che non avevi nemmeno previsto nei tuoi più reconditi sogni... E tu ti devi adeguare.

Strano ma vero, gli era uscita una frase di senso compiuto pregna di vaga saggezza.

- Mi sono ritrovato al castello di Zuko e ho semplicemente accettato ciò che mi è stato detto. Mi dispiace se credi che sia colpa mia se tutto questo è capitato, ma non ho avuto molta scelta. Tutto ciò che posso fare adesso, è sistemare con le mie mani ciò che si è rotto.

- Portando me al cospetto del Signore del Fuoco...?

Un'altra domanda che, a suo avviso, aveva tutte le intenzioni di pungolarlo laddove più si sentiva in dubbio.

Aang rimase in silenzio per qualche secondo, chiedendosi se la sua prigioniera non stesse tenendo per sé alcune informazioni utili. Informazioni che forse avrebbero avuto la facoltà di rendere le sue decisioni un minimo più facili da prendere.

- È ben vero che ne so poco sul mio ruolo, ma non sono così sciocco da non capire che tocca all'Avatar fermare chi attenta alla pace e all'equilibrio.

Il ragazzo si voltò verso di lei, guardandola come se potesse leggerle e dentro e come se ciò che vedesse non gli andasse per nulla a genio. Toph si sentì quasi offesa. Le parole del suo interlocutore stavano a sottolineare qualcosa che proprio non le andava a genio.

- Zuko mi ha detto cosa hai intenzione di fare e io...io te lo impedirò. Per questo ti ho catturata.

- E cosa ti ha detto esattamente, il musone? - Chiese d'un tratto lei, dimenticandosi di incalzare twinkle toes con ulteriori domande circa il suo passato. Ora era più pressante capire quale fosse il gioco messo in piedi dal Signore del Fuoco. - Sempre ammesso che mi sia concesso domandare, ovviamente. Non sia mai che una come me abbia l'occasione di sapere di che cosa è stata accusata.

L'altro si strinse nelle spalle. - Mi ha spiegato che sei la sola a frapporsi fra lui e la riuscita della sua causa.

Di nuovo, Toph dovette spingere fuori le parole dalla sua bocca, chiedendogli di spiegarsi ulteriormente.

- Lui ha intenzione di creare la pace portando tutte le Nazioni sotto al suo comando e tu, senza alcun motivo, ti stai opponendo portando avanti questa guerra logorante.

A questo punto non riuscì più a trattenersi e, scoppiando a ridere piegata in due e con ben poca eleganza, Toph si ritrovò col viso praticamente schiacciato contro alla spaziosa sella su cui era seduta. Non poteva crederci, era assurdo che nel tentativo di portare dalla propria parte un ingenuo come quel mammalucco dell'Avatar, Zuko si fosse addirittura spinto a dipingere lei come la cattiva di turno. Certo, ammetteva di non aver mai avuto un carattere facile e di non essere mai stata circondata d'amici visto come si poneva con gli altri, ma da qui a credere che proprio lei avrebbe mai potuto diventare una tiranna...

Si asciugò le lacrime con l'indice sinistro, provando a fare del proprio meglio per ricacciare indietro l'attacco ilare che l'aveva appena sopraffatta.

- Oh, con questa uscita mi hai sicuramente rallegrato la giornata. Rimango sempre tua prigioniera, ma per lo meno mi sono fatta quattro risate lungo il tragitto.

Che trovasse la cosa divertente fu alquanto insolito per Aang. Più parlava con la Morte dell'Est, meno si sentiva sicuro circa tutte le cose che Zuko gli aveva detto sul suo conto: una persona tanto prona alla dominazione del mondo ed incapace di fermarsi nonostante il dolore che stava causando, dubitava fosse in grado di ridere così di una cosa tanto seria. Specialmente se vera. Insomma, che motivo avrebbe mai avuto per fingere di non essere assolutamente come il nemico la dipingeva? Dubitava che lei fosse convinta di potergli scappare, visto il genere di capacità combattive che – pur senza volerlo – le aveva dimostrato in battaglia. Prenderlo in giro fingendo di essere buona non poteva sortire alcun effetto, quindi che senso aveva ridere di ciò che aveva detto come se fosse tutto uno scherzo?

- Ti ha dato solo questa spiegazione quando ti ha sguinzagliato contro di me?

Aang arricciò il naso, risentito per quell'infelice scelta di termini. Non era mica un cane!

- Sì.

- E non ti pare strano che non abbia arricchito la sua favoletta con più dettagli? Anzi, anzi! - Toph sembrava eccitata. Con la coda dell'occhio la vide rizzarsi tutta, le mani a gesticolare a raffica. - Anche ammesso che io sia la cattiva della storia, non ti domandi come mai non sono d'accordo col suo grande piano...?

Ecco, quella sì che era una domanda intelligente. Una domanda che peraltro si era posto almeno mille volte sia prima di incontrarla, che in seguito.

- Dovresti riflettere attentamente sulle cose, prima di lanciarti così a vuoto. Dopo cento anni passati a dormire in un cubetto di ghiaccio, come hai detto tu sono cambiate tante cose e non hai la più pallida idea di ciò che abbiamo passato. Tu non sai niente.

E chi non sapeva niente era facilmente vittima di incomprensioni. Questo avrebbe voluto aggiungere, se solo in lontananza non avesse udito il suono distinto di un corno.

Erano arrivati a destinazione e, il tempo delle chiacchiere, era terminato. Non aveva più modo di dire la verità all'Avatar, così come non poteva più sperare che i suoi – magicamente – riuscissero ad intercettare quel bisonte volante traendola in salvo.

Era troppo tardi.

Quando le guardie reali afferrarono Toph per le braccia, trascinandola chissà dove, Aang rimase in groppa ad Appa con lo sguardo confuso di chi non sapeva davvero più dove andare a battere la testa.

- ...se ho fatto la cosa giusta, allora come mai mi sento così in colpa amico mio?

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Capitolo 11
*** Long time no see ***


Book One: Earth

Chapter ten: Long time no see



Stando ai conti che aveva fatto mentalmente, non dovevano essere passati che pochi giorni dalla sua cattura ed imprigionamento. Se non aveva errato di molto, aveva passato in quella cella all'incirca novantasei ore, che a loro volta si traducevano in quattro giorni. Quattro. Lunghissimi. Giorni.

Non era mai stata una figlia ubbidiente. O meglio, se di fronte ai genitori aveva sempre mantenuto una maschera di finta compostezza e fragilità, alle loro spalle era sempre stata solita fare qualsiasi cosa le venisse in testa. Anche la più pericolosa. Lei era nata con una chiara incapacità nel seguire le regole, fossero queste sensate o meno: voleva vivere libera, al proprio passo, facendo le cose come e quando riteneva giusto che venissero fatte. Perfino come Regina di Ba Sing-Se non aveva mai piegato il capo di fronte a quelle discipline che imponevano da parte sua un comportamento altezzoso, rispettabile e privo di volgarità. Dal momento in cui era salita al potere – e per volere del popolo, non certo perché lo aveva chiesto personalmente – aveva messo bene in chiaro che avrebbe ricoperto quel ruolo a modo suo. Se la cosa andava bene ok, altrimenti... Tanti cari saluti!

Perfino ora che si ritrovava con i polsi e le caviglie incatenate, le veniva difficile accettare la propria posizione. Orgogliosa come nessun'altra persona al mondo, in quelle novantasei ore passate nelle segrete del Palazzo della Nazione del Fuoco era stata capace non solo di ingaggiare più volte in discussioni con i suoi aguzzini, ma anche di diventare soggetto di non proprio simpatiche attenzioni da parte di questi ultimi. A tal proposito, anche se l'occhio nero che si era guadagnata il primo giorno ed il labbro spaccato del secondo avevano smesso di farle male, doveva ammettere che le costole incrinate del terzo ora come ora le stavano dando non pochi problemi.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter pensare ad altro, lasciando da una parte il dolore, ma ancora di più avrebbe fatto qualsiasi cosa per potersi dimenticare della situazione in cui si trovava. Se si muoveva un poco forse le fitte alla gabbia toracica mettevano a tacere per qualche secondo i suoi pensieri, tuttavia quelle erano fitte che duravano appunto poco più di un attimo e che quindi non persistevano abbastanza dal portare altrove – e a lungo – la sua mente. Come smetteva di agitarsi, il dolore diminuiva e via via veniva lasciata nuovamente sola con se stessa.

Se almeno avesse potuto “vedere” ciò che la circondava, forse tutto le sarebbe apparso meno intricato e spaventoso. Ancora non si capacitava della furbizia di colui o colei che aveva ideato quella gabbia, fatta su misura per le sue capacità oramai ben note all'esercito nemico. Se anche si fosse tolta di dosso quelle catene adoperando l'abilità del Dominio del Metallo, la sua fuga avrebbe avuto vita breve poiché la sua intera cella era costituita da legno. Un materiale, insomma, che nemmeno la grande Morte dell'Est poteva piegare alla propria volontà.

Un materiale che oltre ad impedirle di scappare, le precludeva ogni chance di guardarsi attorno.

Si sentiva come un pesciolino rinchiuso in una boccia, anche se perfino quel pesciolino nel suo piccolo aveva pur minima visione del mondo che gli stava attorno. Tutto ciò che percepiva lei invece era buio. Un abissale, costante e terrorizzante buio.

Quasi aveva scordato come ci si sentiva quando non si poteva vedere niente. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta, che il ritrovarsi ancora in quella situazione l'aveva quasi fatta impazzire. Se era stata capace di trattenersi dal dare di matto, urlando e piangendo come una bambina, lo doveva solo alla sua forza di volontà quasi infinita e al desiderio di non dare nemmeno un contentino agli infami che le facevano da carcerieri.

Fingere di essere tranquilla ed esserlo per davvero però, erano due cose completamente differenti.

La cosa peggiore era riuscire a percepire solamente gli spostamenti d'aria e immaginare che, quella cella, andasse avanti all'infinito.

Non era forse quella una delle paure più ancestrali dell'uomo? L'infinito?

Ebbene, per lei non era molto diverso. L'essere totalmente incapace di sapere cosa la aspettava anche ad un passo di distanza, era un qualcosa di talmente tanto spaventoso per Toph che alle volte arrivava perfino a sperare che una guardia entrasse nella sua gabbia a “tenerle compagnia”. Le andava bene discutere, fare a botte, lanciare morsi e improperi se tanto bastava a farle sapere di non essere completamente sola. Quella era la forza delle sue paure.

- Mi basta solamente un'ora. Non chiedo molto.

La voce che udì provenire dall'esterno, le giunse attutita e lontana. Le ci volle un grande sforzo per capire cosa, le persone che si stavano avvicinando alla sua cella, si stessero dicendo. Fu quasi sorpresa d'aver saputo comprendere all'istante la prima frase che aveva sentito, nonostante fosse stata detta sicuramente a più distanza da lei.

- Non lo so... - Disse una seconda voce. Entrambi erano uomini. - Se poi il capo lo viene a sapere?

- Nessuno lo verrà a sapere fino a che farai il palo e terrai la bocca chiusa.

Il sesto senso di Toph la convinse subito del fatto che ciò che stava ascoltando non fossero principio di buone notizie per lei. Essendo praticamente la sola prigioniera tenuta in quella sezione delle segrete, non era sciocco immaginare che chiunque avesse parlato per primo, fosse deciso a fare quattro chiacchiere da solo con sua Maestà la sovrana del Regno della Terra.

Tese maggiormente le orecchie, impossibilitata a fare dell'altro. Nella posizione in cui si trovava – sia figuratamente che fisicamente – aveva decisamente poche altre opzioni.

- Avanti. Ti ho pagato bene per questo, no?

L'altra persona non gli rispose, tuttavia Toph intuì che la guardia doveva aver annuito visto che, dopo qualche secondo, i passi che si erano fermati ripresero ad avvicinarsi alla sua porta.

Strinse di più le ginocchia al petto, preparandosi al peggio.

- Vedi di fare presto.

Per via del silenzio che seguì quelle parole, il rumore della chiave che apriva la serratura quasi le parve assordante. Se ne rimase in silenzio, gli occhi chiari puntati dritti davanti a sé, come se con quelli avesse potuto vedere chi si stava apprestando ad entrare nella sua cella. Sapeva di essere cieca, era una realtà con cui conviveva dalla nascita, ma al tempo stesso era anche consapevole che spesso e volentieri era l'atteggiamento giusto a darti un anticipo sulle mosse di un tuo avversario. Se fosse stata capace di dimostrarsi risoluta e combattiva, priva insomma di turbe, allora chi la fronteggiava avrebbe comunque conservato del timore nell'avvicinarlesi.

- ...quindi tu sei lei. La Morte dell'Est.

Rimase impassibile, il corpo come fossilizzato in quella posizione. Schiena contro al muro e gambe strette fra le braccia.

- A meno che non ne esista un'altra e io non ne sia stata messa a conoscenza, direi che sì. Sono proprio quella Morte dell'Est.

La porta alle spalle del nuovo venuto si chiuse e lui, facendo qualche passo avanti, prese ad osservarla con estrema attenzione. Toph sentiva il peso del suo sguardo addosso, come se le stesse bruciando la pelle.

Non era una sensazione piacevole.

- Ti avevo immaginata diversa.

Ecco un altro componente dell'esercito del Fuoco totalmente privo di immaginazione. Davvero non capiva come mai tutti gli uomini non riuscissero a fare a meno di immaginarsi una donna guerriera che non assumesse, nelle loro menti, le sembianze di uno scimmione peloso e che comunque condivideva più tratti con un maschio che con una femmina.

- Mi dispiace di aver deluso le tue aspettative. - Rispose seccamente lei.

Detto sinceramente non sapeva neanche più come reagire di fronte a quell'asserzione. Aveva esaurito tutta la voglia di scherzare dopo il suo terzo giorno di prigionia ed ora le rimaneva solamente il suo orgoglio: fare battute solo con quello era difficile.

- Lo sai chi sono io?

- Dovrei?

- Dovresti, sì. Considerato che hai ucciso mio padre sul campo di battaglia, avresti dovuto immaginare che un giorno o l'altro qualcuno sarebbe venuto a chiedere vendetta.

Probabilmente dicendo quelle cose il giovane che aveva davanti credeva di essersi ampiamente spiegato, ma purtroppo non era affatto così. Se Toph avesse dovuto tenere conto di tutte le persone che aveva ucciso fra le fila nemiche, allora il senso di colpa per le sue azioni sarebbe di certo stato abbastanza da spingerla al suicidio. Lei non si divertiva a recidere vite. Lo faceva per una causa ben precisa e, quando un giorno tutto avrebbe trovato una conclusione, non si sarebbe tirata indietro dal ricevere una giusta punizione per ciò che aveva fatto.

Ora però non era il momento adatto. Specie se per mano di un montato che presumibilmente non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi là con lei.

- Vendetta. - Mormorò Toph. - Hai intenzione di prenderti la rivincita sulla persona che ti ha privato di un padre, approfittandoti delle sue attuali condizioni sfavorevoli?

Sorrise, alquanto sorpresa a dire il vero.

Mai avrebbe potuto credere che la meschinità del Popolo del Fuoco fosse tanto profonda e radicata.

- Spero vivamente che tuo padre, chiunque egli sia stato, ora si stia rivoltando nella tomba nel constatare che il proprio figlio non ha neanche un briciolo d'onore in corpo.

Lo schiaffone arrivò inatteso, complice il fatto che al momento le sue capacità sensoriali erano drasticamente ridotte. Ritrovandosi d'improvviso a faccia a terra, riprese fiato facendo del proprio meglio per ricomporsi: con entrambi i palmi posati sul pavimento, fece leva sulle braccia esili per rimettersi seduta.

Non appena riuscì nell'intento, lanciò al ragazzo un'occhiata omicida.

- Pensi di spaventarmi? Sei qui, legata come un salame, e pensi davvero che un solo sguardo basti a farmi accapponare la pelle? - Lui si accovacciò, finendole a pochi centimetri di distanza. Sentì il suo alito caldo contro alla pelle fredda. - Qua dentro non sei più la Signora di Ba Sing-Se. Qua dentro sei solamente l'ennesima prigioniera di guerra che, fra le altre cose, ha la sfortuna di essere donna e pure cieca.

Udì la sua lingua a schioccare contro al palato, segno forse che la sua espressione stava diventando sempre più interessata.

- ...oh beh, la tua sfortuna è la mia fortuna immagino.

Senza alcun preavviso le mani di quel tizio le si avventarono contro, costringendola ad indietreggiare di qualche centimetro fino a ritrovarsi totalmente schiacciata contro al muro che delimitava la parte più posteriore della cella. Toph reagì d'istinto, intuendo che se avesse lasciato andare le cose per conto loro, avrebbe fatto una fine poco felice: raccolto un po' di coraggio, prese un respiro profondo e tirò indietro il capo solo per riportarlo avanti con tutta la forza di cui disponeva per colpire il viso del suo avversario. A giudicare dal rumore e dalla sensazione che l'urto le aveva dato, doveva averlo preso in pieno nel naso.

Toccò all'altro indietreggiare, le mani sul viso ed un lamento trattenuto a stento in gola.

- Merda. Merda merda merda merda merda...!

Il giovane cominciò a lanciare verso di lei diversi improperi, palesando a gran voce quanto, a suo avviso, quella mossa fosse stata del tutto scorretta.

Ironico che lo dicesse proprio lui, considerato che era Toph quella legata e priva di vista rinchiusa nella base nemica.

- Come osi colpirmi?! - Esclamò ancora il suo oppositore. - Tu, dannata bestia...! Per forza che sei la condottiera di quel popolo di ignoranti, che altro avresti mai potuto essere?!

- Suppongo che il tuo voglia essere un insulto, ma sappi che vado piuttosto fiera della mia posizione di “Condottiera di un popolo di ignoranti”. - Rispose lei risoluta. - In fondo rende le nostre vittorie contro di voi ancora più difficili da digerire, dico bene? Chi potrebbe mai prendervi sul serio, visto che non avete fatto altro che perdere contro a qualcuno che reputate più stupido di voi...

Le sue parole lo colpirono abbastanza da farlo rimanere zitto per una buona manciata di minuti. Mentre Toph riprendeva il controllo del proprio battito cardiaco, lui usò quel tempo utile per formulare nuovi metodi d'attacco o, più che altro, di persuasione.

Dopo essersi pulito il rivolo di sangue che gli usciva dal naso con la manica del soprabito, tornò sui propri passi e le finì nuovamente di fronte, a poca distanza.

- Allora il mio amico aveva ragione. Nonostante tu sia in gabbia hai ancora forza da vendere. - Si mise a ridere. - Ammetto che la testata non me l'ero aspettata.

- Giudicando da quel poco che ho potuto sentire, non sei una persona che ragiona a fondo sulle cose in ogni caso.

- Quanto sei testarda. - Il suo interlocutore adoperò un tono rassegnato, quasi come se gli fosse toccato interpretare la parte del genitore sconfortato dinanzi all'ennesima marachella sciocca del figlio. - Rifletti sulla tua situazione. Non sei nessuno senza il tuo Dominio, senza la tua gente, senza il tuo esercito. Sei solamente una normale ragazzina con un viso piacevole.

Ancora una volta, dovette sentire la mano di lui sul corpo. Le scompiglio i capelli, neanche fosse una marmocchia o, ancora peggio, un animale.

- Perché non... - La pausa che fece ebbe modo di farle salire la nausea. Pur non potendolo vedere, le bastava ripensare a ciò che aveva appena detto per farle capire a cosa, la sua mente malata, stesse pensando in quel preciso istante. - Perché non usi il tuo charme? Ti renderebbe la vita molto più semplice.

Scostò immediatamente la testa a sentirlo. Si sentiva sporca solo a starlo ad ascoltare, figuriamoci se avrebbe mai potuto sopportare oltre quel contatto.

- Preferirei di gran lunga mordermi la lingua ed annegare nel mio stesso sangue, anziché abbassarmi ad ubbidire a qualcuno come te. E lo sai perché? - Ancora una volta parlò con assoluta fermezza.

Era cosa nota che Toph Bei Fong non si piegasse di fronte a niente e a nessuno.

- Semplicemente perché anche se mi trovo qui dentro io sono e rimarrò sempre una guerriera, una condottiera, una regina, e cosa ancora più importante una cittadina del Regno della Terra. Noi non ci spezziamo. Noi non scendiamo a compromessi.

Le parve di aver detto abbastanza.

In quel frangente riteneva che fosse inutile aggiungere altro poiché a prescindere da tutto era stata capace di dare voce ai propri pensieri senza alcuna complicazione. Il suo orgoglio di Dominatrice della Terra aveva parlato per lei, spingendola a rendere ben note le sue origini. Non aveva timore di morire, fintanto che era consapevole di essere nel giusto. Anche se le fosse toccata in sorte una fine scellerata come quella che l'altro le stava proponendo, mai e poi mai si sarebbe sottomessa.

- Ah, è così...?

Toph si irrigidì nell'udire quel tono di voce tanto freddo, impersonale.

Deglutendo cercò di prepararsi a ciò che stava per accadere.

- Se la metti in questi termini, credo proprio che non mi resti altro da fare se non assaggiare un po' del tuo nobile sangue!

Afferratola per i capelli, il ragazzo estrasse quella che dal rumore le parve essere una spada o comunque una lama di qualche sorta. Non avendo alcuna intenzione di morire pugnalata in una fredda prigione, Toph si mosse ancora prima di formulare nella mente un piano ben architettato: fu l'istinto a guidarla, spingendola ad abbassarsi con tutto il corpo per trascinare con sé anche il nemico che aveva di fronte. Quando si ritrovò con la schiena a terra, sentì il rumore tipico di uno schianto e, di tutta fretta, rotolò di lato attorcigliando le catene che aveva ai polsi sul braccio che riteneva essere quello con l'arma in mano.

Fortunatamente nel suo tirare ad indovinare non andò a vuoto.

Lo costrinse a lasciar andare l'arma e anche se dopo poco l'altro fu già in piedi, pronto a caricarla, si rallegrò del fatto di averlo se non altro disarmato. Ora per lo meno erano ad armi pari. O quasi.

In fondo lei era ancora cieca, mentre l'altro ci vedeva benissimo e non era nemmeno legato.

- Ora ti ammazzo.

Toph soffiò verso l'alto, così da poter scostare una ciocca di capelli che le era finita sugli occhi. Sorrise, alzandosi a sua volta ed assumendo una posizione di difesa. Era vero, in quella situazione era in totale svantaggio, ma se proprio doveva passare a miglior vita lo avrebbe fatto coi suoi termini, uscendo di scena col botto.

- Ci puoi provare.

Le fu addosso nel giro di qualche secondo. Con tutto il suo peso la sbatté ancora una volta a terra e, le mani strette attorno al suo collo, parve prendere subito la meglio su di lei. Faceva fatica a respirare e ad ogni tentativo di divincolarsi, l'altro le rifilava un pugno nello stomaco o la sollevava quel tanto che bastava per farle battere la nuca contro al suolo in legno della cella. Sempre più inerme e con il fiato corto, Toph cominciò a rantolare sotto alla sua presa.

- Ecco vedi? Te lo avevo detto. - Cominciò a dire lui. - Sei solo una stupida ragazzina! È giunto il momento che qualcuno ti insegni a stare al tuo posto...!

Tolse una delle mani dal collo della sua preda, portandola più giù, sul laccio che tenevano su i suoi pantaloni.

- Vedrai, alla fine ti piacerà. Finalmente verrai trattata come una vera donna!

Già in procinto di arrendersi, nell'udire questa minaccia qualcosa dentro di lei si riscosse e, non appena l'altro fece tanto di avvicinarsi al suo viso, Toph aprì la bocca mordendogli con forza la vena giugulare. Colpì lì andando a tentoni, incapace per via della sua cecità di colpire volontariamente proprio quel punto: aveva aperto le fauci per disperazione e con quello stesso spirito aveva afferrato coi denti la prima cosa che le era capitata a tiro.

Quando lo lasciò andare, alcune gocce di sangue le colpirono il volto facendole capire cosa era stata capace di fare.

Rimase ferma sdraiata sul pavimento, ansante, mentre al suo fianco la persona che un secondo prima era stata pronta a violarla finiva lungo distesa con la mano intenta a tamponare – inutilmente – la ferita che lei gli aveva appena inferto.

Qualche minuto dopo, nell'attimo in cui il cambio guardia entrò nella sua cella per vedere come andavano le cose, la trovarono ancora lì. Letteralmente immobile. Il giovane a pochi centimetri di distanza dal suo corpo, bianco come un lenzuolo.

◇♦◇

- Da questa parte, prego.

Nuove voci la riportarono coi piedi per terra.

Da quando aveva ucciso quell'uomo a mani nude, non aveva chiuso occhio nemmeno per un attimo. Era rimasta sveglia, in qualche modo terrorizzata al pensiero che nel sonno qualcuno avrebbe potuto entrare per provare a farle del male. Stare in allerta era un modo come un altro per dire a chi aveva brutte intenzione “ehi, avvicinati pure, ma fallo a tuo rischio e pericolo!”.

- Mi raccomando. Stiate il più lontano possibile da lei.

Si chiese a chi stesse parlando questa volta il secondino.

- Molti soldati sono stati feriti gravemente, quando hanno provato a divertirsi con la prigioniera. Uno è morto dissanguato.

Sentì la chiave entrare nella serratura, facendola scattare.

- Vi prego di essere prudente.

Toph finalmente alzò gli occhi dal pavimento.







Spazio all'autrice: Mi inserisco giusto un secondo per controllare (anche se non so in che modo) che nessuno abbia preso a male ciò che è successo in questo capitolo. L'avvertimento alla possibile comparsa di temi non proprio simpatici c'è nella descrizione di questa storia, ma penso sia sempre giusto assicurarsi che ciò che ho scritto non abbia lasciato danni. Sin da principio volevo rendere questa storia più adulta rispetto all'opera originale, e considerando in che universo è ambientata capirete anche perché: sono stati cento anni duri senza l'Avatar, cento anni in cui la guerra è stata pesante e ha cambiato molto le persone che l'hanno vissuta; come avete visto e come vedrete più avanti sono tipo da lasciare sempre spazio alla battuta (perché non riesco a vivere senza farne almeno una al giorno, capitemi), tuttavia nel complesso questo rimane un racconto giusto un peletto più "da grandi". Ecco tutto. Volevo dire solo questo. A presto!

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Capitolo 12
*** Will you ever bow to me? ***


fireBook Two: Fire

Chapter eleven: Will you ever bow to me?




Si vergognava particolarmente della piega che avevano preso le cose all'interno della cella costruita per contenere – nel miglior modo possibile – la temibile Morte dell'Est. Era stato a conoscenza dei sentimenti che albergavano nel cuore del giovane Tai da tempo, e proprio per questa ragione aveva pensato che promuoverlo a membro della sua scorta personale sarebbe servito a tenerlo ben lontano da eventuali guai. Un animo spinto unicamente dal desiderio di vendetta o comunque dalla voglia di rivalsa non era buon consigliere, questo Zuko lo sapeva forse meglio di chiunque altro: proprio perché da giovane lui stesso era stato vittima di simili emozioni, aveva sperato, forse scioccamente, di poter insegnare a qualcun altro come comportarsi nell'attimo in cui ci si sente in balia di forze tali da renderci imprevedibili. In un modo o nell'altro si era convinto che bastasse l'esperienza del suo passato a renderlo un bravo maestro, ma si era sbagliato. Per via dei mille impegni e della totale mancanza di attenzione che in realtà aveva prestato al figlio del Generale Yong, ora le cose erano sfuggite di mano sia a lui, l'insegnante, che al suo stesso “discepolo”. La Morte dell'Est aveva reclamato al sua ennesima vittima, in una situazione per altro in cui più di chiunque avrebbe dovuto essere indifesa.

Che fosse capace di stupirlo ancora nonostante la precaria posizione in cui si trovava, costretta alla prigionia all'interno della base nemica, aveva un non so che di straordinario per lui.

- Da questa parte, prego.

Seguì la guardia senza dire niente, ancora assorto nelle proprie congetture. Per quanto quello fosse oramai a tutti gli effetti il suo palazzo, doveva ammettere di non aver mai prestato molta attenzione a quella parte del grande edificio in cui era stato cresciuto. Le segrete non erano luogo adatto a lui, si era sentito ripetere più e più volte, sia quando era ancora molto piccolo che ora, nel presente: una persona del suo rango non doveva mischiarsi con la feccia, che si trattasse di poveracci ch'erano stati catturati per aver commesso un grave torto nei confronti della famiglia reale o di nemici resi prigionieri nel corso di un qualsivoglia scontro; a lui spettava governare da un luogo sicuro, seduto al suo trono, protetto, lontano dalla possibilità di respirare la stessa aria di persone che non erano state abbastanza furbe da saper scegliere a dovere con quale parte schierarsi. Era ovvio che, se avessero deciso di stare con lui e prima di lui con suo padre Ozai, molti di quegli stessi prigionieri ora avrebbe avuto a disposizione la propria libertà.

- Mi raccomando. Stiate il più lontano possibile da lei.

La guardia non si voltò neanche un secondo per guardarlo mentre gli parlava. Tenendo bene alzato un braccio davanti al volto, stava forse concentrando tutta la sua attenzione nell'esercitare il proprio Dominio su una piccola palla di fuoco, ora intenta a brillare qualche centimetro sopra alle sue dita tese. L'intero cammino che conduceva alla cella della Regina di Ba Sing-Se era già illuminato, tuttavia laggiù, nei meandri oscuri di quelle segrete, la luce pareva non essere mai del tutto sufficiente. Zuko aveva fatto scavare quello spazio personalmente, ampliando ancora le dimensioni dei sotterranei del palazzo. Si era dato quella pena poco tempo dopo la comparsa di Toph, come se dal giorno alla notte uno strano presentimento gli avesse suggerito che fosse necessario occuparsi di una simile faccenda al più presto possibile, giusto per evitare che, una volta catturata, la Morte dell'Est potesse sfuggirgli troppo facilmente. Al tempo non credeva che il giorno in cui l'avrebbe presa per davvero sarebbe mai arrivato. Aveva preso quella decisione per puro capriccio, seguendo più l'istinto che il buon senso.

- Molti soldati sono stati feriti gravemente, quando hanno provato a divertirsi con la prigioniera. Uno è morto dissanguato.

Non serviva certo che lo dicesse a lui. Sapeva cosa era successo e solo per questa ragione si era spinto a raggiungere quel posto sudicio ed umido. O, per lo meno, questo era ciò che si ripeteva. La verità era che dentro gli si era smosso qualcosa quando era giunta la notizia della morte di Tai alle sue orecchie: si era sentito come pervaso da una grossa curiosità e allora, senza neanche riflettere, poche ore dopo l'accaduto aveva raggiunto la porta che conduceva alle prigioni.

Ci avevano impiegato un po' ad arrivare fino a lì, ma ora finalmente il rumore della chiave a girare nella serratura della cella sentenziò la fine del suo – breve – viaggio. Ora non poteva più rimuginare su cosa fosse bene dire o non dire, su cosa avesse insomma davvero intenzione di far presente alla sua nemica. Si era preso quel lasso di tempo per riflettere e mettere insieme un discorso che avesse un senso, ma oramai non poteva fare altro se non pagare le conseguenze della sua stessa avventatezza.

- Vi prego di essere prudente.

Entrò all'interno dell'abitacolo senza alcuna esitazione, come era giusto che fosse. Un Sovrano che si rispetti mai si può permettere di lasciar trapelare dell'incertezza e, in questo, sarebbe andato molto d'accordo con Toph stessa che a sua insaputa era del medesimo avviso. Per quanto certamente capitasse ad entrambi di immaginare come avrebbe potuto essere la loro vita se condotta lontano da quei loro destini, sia l'uno che l'altra avevano un'idea ben chiara di come dovesse essere una persona che stava al potere: erano dei ragazzini, tuttavia non c'era spazio per la paura o per i dubbi.

- Non credevo che saresti tornato qui vivo.

La voce di Toph Bei Fong gli apparì piuttosto serena considerata l'avventura che aveva da poco vissuto. Guardando meglio però Zuko si rese conto che la sua era tutt'al più una farsa. Essere attaccata a quel modo da qualcuno non doveva essere stato bello, nemmeno quando si possedeva tutta la forza interiore di cui lei era in possesso: il solo pensiero che il suo assalitore fosse ancora vivo e quindi intenzionato ad avere la propria rivincita era stato abbastanza da scuoterla, se lo sentiva. Quel sorriso sghembo era ben diverso da quello che in precedenza le aveva visto in volto la prima volta in cui si erano incontrati faccia a faccia.

- Visto che sei qui, dimmi... - Continuò Toph, inclinando il capo. - Quale parte del corpo vuoi che io ti stacchi questa volta?

- Il soldato a cui ti stai riferendo è morto.

Decise di interrompere all'istante quel giochetto, impedendole così di continuare – seppure inconsciamente – a rendersi ridicola. Aveva cominciato a rispettarla abbastanza da non riuscire a sopportare l'idea che una persona come lei si mostrasse inerme. Non lo poteva vedere e per questo non aveva capito chi fosse. Solo per questo stava parlando a quel modo, solo per questo non gli pareva più la formidabile opponente conosciuta sul fronte. Sì, doveva essere così.

- La tua mira è stata impeccabile. - Continuò. - Hai morso via la carne proprio dove passava la giugulare, tanto in profondità da rendere ogni possibilità di tentare almeno di salvarlo completamente inutile. Non che ce ne sia stato il tempo, comunque...

Mentre parlava si era avvicinato a lei di qualche passo fino a raggiungere la catena che andava legandosi all'anello di metallo stretto attorno al collo della sua avversaria. Si piegò lentamente, afferrandola e tirandola con un forte strattone, Toph a scattare in piedi per riflesso.

- ...più i giorni passano più comincio ad ammirare le tue prodezze. Hai una forza di volontà invidiabile.

Al posto suo chiunque altro si sarebbe arreso, non ne aveva alcun dubbio. Non conosceva nessun uomo che avesse la sua stessa forza – o forse quella era solo testardaggine? - né ricordava di aver mai conosciuto un'altra donna con quel medesimo carattere. Bisognava essere dei folli per continuare imperterriti a lottare a quella maniera. O questo o si doveva essere in possesso di una fiducia talmente forte nel futuro da non essere in grado di permettere a cose come lo sconforto di prendere il sopravvento.

- È quasi ironico. - Disse ancora. - Io, ventiduesimo imperatore della Grande Nazione del Fuoco, pilastro su cui si basano le fondamento di questo stesso palazzo e Re che presto dominerà il mondo... Io, Zuko, ammiro te.

Cadde il silenzio dopo questa sua affermazione, non tanto perché Toph si era sentita intimorita a causa di una simile introduzione o orgogliosa al pensiero di essere fonte di un tale sentimento per il nemico. Il silenzio cadde perché mentre Zuko la stava osservando studiandola con la sua solita minuzia nei dettagli, lei stessa stava osservando lui pur senza vederlo, e questo solo per meglio capire se le sue fossero parole dette con sincerità. Quando intuì che le pensava davvero, quelle cose, si sentì finalmente in dovere di controbattere.

- Dovresti riflettere prima di parlare, piccolo arrogante. - Sentenziò. - Puoi forse far capitolare la terra stessa? Può il tuo potere far collassare una montagna?

Rimase zitta qualche secondo prima di continuare.

- Non importa quanto forte il vento soffi, una montagna non finisce in mille pezzi. Il Regno della Terra non cadrà.

Quel che intendeva dire era che il suo popolo non avrebbe ceduto solo perché lei era stata fatta prigioniera. Confidava nei suoi commilitoni, nei suoi sottoposti, sapeva che avrebbero continuato a lottare e che a breve – non avesse dovuto fare ritorno – qualcun altro avrebbe preso il comando per far fronte alle minacce. E se anche non fosse toccato ai Dominatori della Terra, allora prima o poi altri si sarebbero fatti avanti. La cosa straordinaria della speranza, era che poteva accendersi nel cuore di chiunque, quando uno meno se lo aspettava. In ogni cosa al mondo doveva esserci un equilibrio e dinanzi alla comparsa di un male molto grande a sua volta sarebbe comparsa la fonte che avrebbe dato inizio alla sua sconfitta.

Toph credeva in questo.

- ...non possiamo fare altro se non attendere e stare a guardare.

La risposta di Zuko non tardò ad arrivare ma, nel complesso, le parve essere priva di vero e proprio trasporto. Era strano avere a che fare con quel ragazzo proprio perché nella maggior parte delle occasioni non si dava pena di provare niente. In quel momento le veniva difficile dare sostegno a tale tesi visto che non poteva usare le sue capacità, le solite che di norma le permettevano di capire all'istante quali fossero i sentimenti di chi aveva attorno, però sapeva che in fondo pensandola in quel modo non poteva essere poi tanto lontana dalla verità. Lo stesso Signore del Fuoco era a conoscenza di questa sua peculiare condizione, per questo qualche ora prima si era stupito nell'averla voluta vedere con tanta urgenza. Erano da tempo ormai che non sentiva qualcosa. Qualsiasi cosa. Perfino la semplice curiosità era diventata una specie di sconosciuta per lui. Per non parlare poi del senso d'ammirazione.

- Come ti dicevo, non tutte le persone possiedono la tua stessa forza. Nella migliore delle ipotesi il tuo esercito terrà duro ancora per qualche settimana, forse qualche mese, ma poi... - Le sorrise, lasciando a metà la sua frase e dandole infine le spalle per uscire da quella cella. - Tolta di mezzo te nulla potrà più fermarmi.

Lasciata sola la prigioniera con queste ultime parole, Zuko non attese oltre e percorse a ritroso la strada che dal salone del palazzo lo aveva condotto fino a lì. Non aspettò nemmeno che la guardia gli illuminasse il cammino, né si fermò poco più avanti a rendere noti i sunti della sua discussione con Toph al resto dei suoi Consiglieri, i quali si erano raccolti tutti all'uscita ad aspettarlo con l'aria di chi già era in procinto di vomitargli addosso tutto il suo disappunto. In fondo sapeva perfettamente cosa gli avrebbero detto. Prima di mostrare la loro preoccupazione per la sua incolumità – visti i recenti avvenimenti accaduti da che la Morte dell'Est era fra loro – avrebbero finito col rimproverarlo, insinuando senza mezzi termini che il suo gesto avventato avrebbe anche potuto essergli fatale. E lui, come al solito, si sarebbe ritrovato a sospirare appena, stufo di quel solito tran tran e di quelle solite chiacchiere.

Solo uno fra quel mucchio di volti attirò davvero la sua attenzione.

Poco distante da tutti gli altri vide Sokka, le mani conserte dietro la schiena e lo sguardo divertito, le labbra piegate nel suo solito sorriso.

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