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di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CINQUE - Lily ***



Capitolo 1
*** UNO ***


Pioveva da tre giorni. Le temperature si erano alzate e quelle che erano state delle candide nevicate in concomitanza con le feste di Natale erano già state totalmente spazzate via. 
Kate si alzò molto lentamente. I dolori alla schiena erano sempre più insistenti e si sentiva rallentata in tutti i movimenti. Probabilmente era solo una sua sensazione quella di muoversi come se fosse la moviola di un evento sportivo qualsiasi, perché chiunque la vedesse le diceva che era in splendida forma, considerando che ormai mancavano veramente pochi giorni al parto. 
Non li contava nemmeno.
Non si era messa a fare count down aspettando la “presunta data” del parto.
Stava cercando di vivere la cosa al meglio, si era rilassata dopo la fatidica trentaseiesima settimana, quando le avevano detto che, se la bambina fosse nata da quel momento in poi, sarebbe stata bene. Era solo quella la cosa importante. Da lì in poi aveva deciso che avrebbe vissuto quell’ultimo mese, o quello che sarebbe stato, con tranquillità, per quanto si possa star tranquille con un Castle intorno che pretendeva di organizzare e prevenire qualsiasi casistica mondiale in caso di parto imminente.

Castle era arrivato anche a chiederle se preferisse passare gli ultimi tempi prima della nascita in hotel, perché era più vicino all’ospedale dove avrebbe partorito, ma era bastato un suo sguardo a fargli capire che quell’idea no, non le piaceva. Era stato inutile spiegargli che dal momento in cui le si rompevano le acque a quello del parto, non passavano cinque minuti e non avrebbe rischiato di partorire in macchina. “Puoi sempre essere un’eccezione Kate!” le aveva risposto Rick come se fosse la cosa più normale del mondo e lei per farlo smettere con le sue assurde teorie gli aveva promesso che, se proprio fosse stata un’eccezione ed avesse avuto bisogno di andare velocemente in ospedale, gli avrebbe fatto guidare la sua macchina di servizio ed accendere anche la sirena. Beckett vide Castle così eccitato all’idea che temette che lui sperasse veramente in un parto anticipato solo per poterlo fare, ma non ebbe il coraggio di chiederglielo, temendo la sua risposta affermativa. Rick aveva fatto giri su giri, dal loft in ospedale. A tutte le ore, per capire quanto ci avrebbe messo. Aveva provato strade diverse, scegliendo i percorsi migliori. Aveva anche fatto le tabelle divise per fascia oraria. Aveva visto che con la Ferrari sarebbe riuscito a metterci qualche secondo in meno, se non c’era traffico, ma Kate aveva provato a spiegargli, con molta calma, che lei nella Ferrari, adesso, non ci sarebbe andata perché il tempo che avrebbe impiegato per scendere era superiore a quello risparmiato. Castle si incupì per non aver pensato ad una tale banalità. Le chiese quindi se riteneva la Mercedes abbastanza comoda, altrimenti se voleva avrebbe noleggiato un’altra auto più adatta. “Come non detto” si rispose da solo dopo essere stato di nuovo fulminato dal suo sguardo.
Kate si era resa conto che adesso doveva stare attenta anche alle esclamazioni che faceva, perché Rick tendeva a prendere tutto troppo sul serio. Così quando esasperata dalle sue idee folli gli aveva detto “Se continui così partorirò a casa”, a lui era sembrata un’ottima idea e stava già pensando a dove e come allestire la stanza per farla partorire.
“Castle. Io. Non. Partorirò. A. Casa.”
Kate poté sentire chiaramente gli ingranaggi del cervello di Rick bloccarsi ed un triste “Ok” che rispecchiava i suoi sogni infranti: la piccola Castle che nasceva al loft gli era sembrata una cosa così romantica e importante che aveva già fin troppo fantasticato volando sulle ali della sua immaginazione e andando a scontrarsi con il muro della logica praticità di Kate. 
Dopo l’ultimo controllo fatto, poco prima di Natale, quando lui aveva letteralmente tartassato il suo medico di domande, tanto da impedire di farle a lei perché l’aveva completamente stranita, Kate era stata costretta a prendere Castle in disparte, a casa, e parlarci. Seriamente. Non era stato facile spiegargli, con dolcezza, quanto lei apprezzasse che lui si preoccupasse così tanto per loro (ormai Kate parlava quasi sempre in prima persona plurale, anche quando non voleva) e che era così apprensivo e partecipe, però doveva rilassarsi. Era indispensabile che lo facesse ed era l’unica cosa che realmente l’avrebbe fatta stare meglio e l’avrebbe aiutata. Se avesse continuato così, avrebbe contribuito solo a stressarla di più.
Castle seduto sul letto mentre lei parlava si insaccò nelle sue stesse spalle diventando molto più piccolo di quello che la sua stazza non fosse e si sentiva mortificato. Kate scosse la testa, pensando che non ce l’avrebbe fatta a gestire una neonata con un bambino vicino che sembrava ancora più bisogno di attenzioni. Così Kate si era messa in ginocchio sul materasso dietro di lui ed aveva cominciato a massaggiargli dolcemente le spalle e lei si sciolse letteralmente quando lui sospirando sconsolato le disse che era un pessimo marito. 
Guardando fuori dalla finestra Kate pensò che quel ricordo si sposava perfettamente con il grigiore della giornata. Difficilmente aveva visto suo marito così giù di morale come in quel momento e anche a ripensarci se ne sentì in colpa.
Lo aveva chiamato dolcemente “Ehy Castle…” e poi aveva lasciato che quel massaggio diventasse un abbraccio, avvicinando quanto più possibile il suo corpo alla schiena di Rick. Gli aveva ripetuto più volte tra un bacio e l’altro sul suo collo che lui era il miglior marito che ogni donna potesse volere. Ma lui, entrato nella sua spirale di pessimismo, gli chiese come poteva dirlo se era stata sposata solo con lui, era lui quello che poteva fare i paragoni tra mogli, non lei con i mariti e a nulla era valso ricordargli che in realtà lui non era stato il suo primo marito, ma Castle non voleva nemmeno sentirlo quel discorso. Lui era il suo unico e solo marito, ci teneva.
Kate gli spiegò come lui era solamente troppo ansioso e che non doveva esserlo perché stavano bene sia lei che la bambina. Lo aveva potuto accertare personalmente visto che aveva monopolizzato il suo ginecologo ponendogli così tante domande che chiunque sarebbe inorridito pensando che tra i due quello incinto era lui. 
Parlando era venuto fuori che in realtà lui non sapeva come comportarsi. Kate aveva dato per scontato che Castle, avendo già avuto una figlia, aveva già vissuto tutto quello. Lei si era inconsciamente appoggiata alla sua esperienza, credendo che per lui fosse tutto un ripetere situazioni già vissute. Quando lui si sdraiò vicino a lei, accarezzandole la pancia formando piccoli centri concentrici, gli confessò che Meredith non lo aveva reso partecipe di nulla di quello che le accadeva durante il parto. Pensava solo alla sua ginnastica per non ingrassare più del dovuto e a leggere riviste stilando tabelle per come rientrare in forma subito dopo il parto. Castle comunque ci tenne a specificare che era ingrassata molto più di quanto non avesse fatto lei. Era sempre uno stupendo adulatore. 
Conquistata dalla sua dolcezza in quel momento e dai suoi occhi fin troppo tristi e malinconici, Kate gli ricordò che con lei sarebbe stato diverso, che lei lo voleva vicino in ogni momento, solo meno ansioso ed ogni volta che lei gli diceva che voleva che fosse con lei, sempre, il suo occhi brillavano dalla felicità, senza però dimenticarsi di chiederle se ne fosse veramente sicura e la risposta di Kate era sempre la stessa, ne era sicura, non glielo avrebbe mai negato.
Ne avevano parlato molto di quello nelle settimane precedenti. Era una domanda che Castle aveva timore di fare a Beckett. Aveva approfittato per chiederglielo indirettamente, un giorno quando lei gli aveva manifestato le sue normali paure per quello che sarebbe accaduto. “Ti starò vicino Kate, fino alla fine se vuoi” e lei gli aveva detto di sì, dettata più da un sentimento istintivo che ragionato e lo aveva visto illuminarsi letteralmente forse nemmeno lui si aspettava che lei fosse favorevole. Quando ci aveva pensato nei giorni seguenti, infatti, Kate si era interrogata più volte su quel consenso dato così in fretta. Non perchè non lo volesse vicino, certo che lo voleva, ma perchè aveva paura che la sua agitazione ed il suo essere perennemente ansioso avrebbero reso quel momento ancora più complicato. Ma principalmente il suo problema era un altro: non voleva che Castle la vedesse in un momento in cui sarebbe stata completamente vulnerabile e priva di razionalità, almeno nella sua mente aveva costruito così l’idea del parto. Voleva quasi dirgli che ci aveva ripensato che forse era meglio che in quel momento fosse stata sola, quando lui le confessò che quando era nata Alexis, Meredith aveva scelto di fare il cesareo così si era potuta programmare il ritorno sulle scene e in quel momento si convinse che non glielo avrebbe mai negato e glielo aveva ripetuto più volte. Non voleva privare Rick di quella gioia, aveva capito bene quanto fosse importante per lui assistere al parto. Alla fine anche per lei era importante che lui ci fosse, pensando che magari se lui si fosse comportato come sempre quando era agitato, parlando troppo e fuori contesto, l’avrebbe fatta, come sempre, arrabbiare e così poteva distogliere i suoi pensieri dai dolori del parto: poteva essere una tattica anche quella. Così quando Castle aveva avuto la certezza che Kate gli avrebbe permesso di assistere al parto, aveva cominciato a documentarsi. Beckett Pensava che lui avesse letto le esperienze pubblicate su internet di tutti i padri degli Stati Uniti, aveva comprato libri, imparato a memoria tutto quello che doveva accadere e quello che dovevano fare i medici e l’ostetrica. “Non mi devi far partorire tu” gli disse un giorno vedendolo estremamente concentrato nel studiare tecniche e casistiche, ma lui non se ne curava e continuava ad informarsi, come diceva lui. Aveva visto tutti i video sui parti che aveva trovato e ogni volta che si dimenticava di togliere o abbassare l’audio e Kate sentiva le urla di quelle donne, si chiedeva, tra se e se, se lei ce l’avrebbe mai fatta: poi, però, faceva un rapido check di tutte le volte che si era trovata in situazioni a dir poco complicate e pensò che in fondo aveva sopportato di peggio, almeno lo sperava, fino a quando delle nuove grida non le facevano cambiare idea ed urlava a Castle di smettere di vedere quella roba e lui, beccato in flagrante, chiudeva rapido il portatile. Gli aveva chiesto più volte se volesse cambiare lavoro e fare l’ostetrico e Rick la guardava serio e più lui era serio più lei rideva ed allora anche lui si scioglieva e le sorrideva innamorato. Follemente innamorato. Adorava vedere Kate ridere e sembrava che in quell’ultimo periodo prima del parto ridesse ancora di più. Si era lasciata alle spalle quasi del tutto le crisi di pianto e i dubbie le paure che l’avevano assillata dall’inizio, come se, una volta che le era ritornata la memoria, avesse cominciato ad acquisire di nuovo piano piano la consapevolezza che quella bambina l’avrebbe voluta da prima di sapere che era già dentro di lei e questo le donava tranquillità. Non era più la ragazza impaurita che si era scoperta incinta di un uomo che nemmeno conosceva e che aveva il terrore di quello che sarebbe stato. Era una donna pienamente consapevole delle proprie scelte e di quello che voleva dalla sua vita. Un figlio, con Castle, era la cosa che voleva di più in quel momento. Tutto il resto era secondario e irrilevante. Certo, anche lei continuava a porsi le normali domande che tutti i futuri genitori si facevano, chiedendosi se sarebbe stata all’altezza o se sarebbe riuscita ad entrare in sintonia subito con la sua bambina, che era in realtà la cosa che la preoccupava di più. Aveva più volte chiesto a Castle “Le piacerò?” e tutte le volte lo faceva mordendosi il labbro e poi andando a stuzzicare l’unghia del pollice con i denti, per nascondere, male, il nervosismo, perché Castle sapeva esattamente che quelli erano i primi segnali che era insicura. Rick ogni volta che sentiva quella domanda si divertiva a stuzzicarla “Di solito alle Beckett piaccio io, però sono sicura che a MiniBeckett piacerai anche tu” e puntualmente se erano a letto si beccava un cuscino in faccia che male attutiva le sue risate. Poi le ricordava che MiniBeckett aveva il 50% del suo patrimonio genetico, quindi se le sarebbe piaciuta anche solo la metà di quanto piaceva a lui, sua figlia l’avrebbe semplicemente adorata e lei tutte le volte a sentire quella frase si scioglieva letteralmente ed andava a rifugiarsi tra le sue braccia.
Kate nei giorni prima di Natale si era preoccupata solo quando aveva cominciato a sentire la bimba muoversi sempre meno, ma il suo ginecologo l’aveva subito rassicurata, spiegandole che era solo questione di spazio. Andava tutto bene. I movimenti di sua figlia l’avevano sempre tenuta in ansia più del normale. Ma lei era una abituata ad avere sempre le situazioni sotto controllo e quella, invece, non poteva avercela: sentirla muoversi era il suo unico parametro per capire che stava bene.
Proprio come le aveva detto Castle, una sera mentre scherzavano, quando comincerà a muoversi avrebbe rimpianto i momenti di tranquillità. Non che li aveva rimpianti, però Lily veramente aveva problemi a stare ferma, soprattutto la sera, quando le sarebbe veramente piaciuto rilassarsi un po’ di più, e quando sentiva la voce di Castle. Sembrava che la voce del padre la risvegliasse e la convincesse a fare capriole dentro di lei in continuazione. Lui era entusiasta di questa cosa, Kate molto di meno. “Vedi, un’altra Beckett che mi adora” le ripeteva tutto orgoglioso quando passava le ore accucciato vicino alla sua pancia, con le mani sopra parlando in continuazione per sentirla muoversi di più, scatenando le ire di Kate che minacciava di rendere sua figlia orfana prima ancora che nascesse se non la finiva di parlare a vanvera. Così Castle smetteva, per qualche minuto, e la osservava con gli occhi sognanti mentre lei lo squadrava con il suo sguardo severo che però non riusciva a mantenere a lungo e gli diceva di avvicinarsi e lui già sapeva, in quel momento, cosa sarebbe successo. Non avrebbe parlato per un po’, occupato a baciarla e poi solo a sussurrare il suo nome e quanto l’amava, quando l’amava.

Kate andò pigramente verso le ampie vetrate del loft. Erano parecchi giorni che non usciva di casa, prima per la neve con Castle che aveva paura che potesse scivolare e farsi male e in pochi secondi le aveva prospettato uno scenario post apocalittico di reazioni a catena che poteva provocare un suo passo sulla neve: pur di farlo smettere di parlare aveva acconsentito a starsene a casa. Con lui, però, aveva specificato. Perché già non poter uscire e non poter far niente le pesava, però non avrebbe tollerato la sua non presenza. Con lui tutto diventava sopportabile. Avrebbe potuto passarci anche altri nove mesi interi chiusi in quella casa, se c’era anche lui. Guardò il suo riflesso nel vetro e fece una smorfia. Era veramente diventata così… così… così terribilmente sdolcinata? Sì, lo era. Diede la colpa, come sempre, alla gravidanza, ma non si voleva illudere, non era solo quello. Tutto quello che gli era accaduto nell’ultimo anno o poco più le aveva fatto capire quanto dovesse apprezzare tutto quello che aveva, dove tutto, ancora per pochi giorni, si chiamava Castle e quello che lui rappresentava per lei. Il suo mondo, solo quello. 
Fuori era grigio. Tutto grigio. Tutto ingrigito dalla pioggia. Era una di quelle giornate da piumone, cioccolata calda e coccole. E una maratona di film in tv, che se c’era Castle non avrebbe sicuramente seguito, perché lui l’avrebbe distratta a modo suo e lei si sarebbe fatta distrarre con molta gioia.
La pioggia lavava via l’aria di feste ed anche la gioia. Kate vedeva dall’alto della sua posizione qualche rimasuglio di carta da pacchi, buttata in un angolo, forse sfuggita a qualche bambino, sicuramente a chi doveva preoccuparsi di pulire le strade, sciogliersi pian piano goccia dopo goccia. Sospirò un po’ di più con il naso appoggiato sul vetro che si appannò, togliendo per qualche istante tutto dalla sua vista, per poi riapparire sfuocato prima di tornare limpido. 

 



NOTA: Nelle prossime settimane sarò fuori, quindi non so con quanta regolarità riuscirò a pubblicare i suoi pochi capitoli. Vi lascio con l'inizio, prima di partire, sperando che vi piaccia questa tappa di avvicinamento all'arrivo di Lily :)

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Capitolo 2
*** DUE ***


Soffiò sul vetro, questa volta di proposito, e la superficie appannata fu molto più grande. Scrisse con l’indice il nome di sua figlia sulla superficie diventata opaca e sorrise per quella cosa così infantile che le era venuta spontanea. Era incredibile come Lily per lei fosse una presenza già così reale e al tempo stesso lontana, talmente tanto che non riusciva ancora a pensare cosa avrebbe voluto dire tra poco averla reale tra le braccia piuttosto che parlare con un’entità immaginata nella sua mente. L’ultima ecografia che aveva fatto le aveva dato un’immagine di lei che il dottore disse loro essere abbastanza fedele di come poi sarebbe realmente stata. Castle le disse subito che aveva il suo naso ed anche la sua bocca, e doveva crederci, perché lui la sua bocca la conosceva bene, facendola arrossire davanti al suo ginecologo. Rick aveva fatto subito una foto allo schermo per mandare l’immagine anche ad Alexis e si fece stampare un paio di copie che guardava sempre. Kate, invece, continuava a preferire immaginarsela, aspettando di vederla tra le sue braccia. Ogni volta che ci pensava veniva attraversata da brividi emozione. Chiuse gli occhi e pensò ad altri brividi che aveva provato quel giorno di fine novembre quando era al distretto, assorta da un caso che non sembrava avere una soluzione e quando si era alzata per andare verso la lavagna aveva improvvisamente visto tutto nero e si era risvegliata sul divano della sala relax, con Esposito, Ryan e la Gates intorno che la guardavano preoccupati. Non fece in tempo a chiedere cosa fosse successo che erano entrati due paramedici e l’avevano fatta sdraiare su un lettino. Non si era ribellata come i suoi colleghi si erano immaginari anzi li guardava preoccupata. Si lasciò portare via e sola in quel tragitto in ambulanza mentre stavano già monitorando il suo stato riuscì solo a chiedere come stava sua figlia, non ricevendo nessuna risposta da parte di quei due infermieri poco cortesi che le dicevano solamente che dovevano controllare. Si chiese se avessero avvisato Castle. Aveva bisogno di lui. Quando la fecero scendere dall’ambulanza riconobbe l’entrata del Presbyterian Hospital mentre la trascinavano all’interno e ne fu sollevata: lì c’era il suo medico. Tra il vociare della hall dell’ospedale sentì una voce fin troppo familiare che si avvicinava sempre più. Castle correva verso di lei, seguendo i paramedici. Kate allungò un braccio cercandolo ma non riuscì a prenderlo, solo sentì la sua voce che la rassicurava che era lì mentre la portavano dietro una porta che la separò anche dalla voce di suo marito.
Sentì viva sulla sua pelle quella mattina di inizio gennaio, la stessa paura di quel giorno già lontano, l’angoscia dell’attesa mentre sistemavano fasce ed elettrodi sulla sua pancia senza dirle un granché. Le veniva da piangere per quanto era tesa e nervosa, teneva gli occhi chiusi ed i pugni stretti perché non voleva vedere, non era pronta per ricevere brutte notizie, per vedere il suo mondo crollare di nuovo. Sentì qualcuno armeggiare con i macchinari vicino a lei, strappare una striscia di carta e poi spegnere un interruttore ed uno dei rumori costanti finì. Era un buon segno o doveva preoccuparsi ancora di più? Istintivamente pensò la seconda e le scappò un singhiozzo. Sentì una mano sulla sua ed eccolo, pensava, il gesto di conforto che chissà quante volte quel medico aveva già dovuto compiere. Non era molto diverso da quello che facevano anche loro ogni volta che dovevano dare brutte notizie a qualche parente di una vittima, avrebbero avuto un protocollo, delle frasi di circostanza. Si sentì chiamare per nome, invece, da una voce conosciuta. Era il dottor Yedlin, il suo ginecologo. Aprì gli occhi ed una lacrima furtiva scappò al suo controllo: il dottore le sorrise e la scacciò dal suo volto. “Va tutto bene, la sua bambina sta benissimo” le disse pacatamente e lentamente, come per darle il tempo di assimilare il fatto. La aiutò a tirarsi su mettendosi seduta sul letto e le diede un cioccolatino, invitandola a mangiarlo. Le spiegò poi che se si saltano troppi pasti e ci si stanca troppo, gli svenimenti potevano essere frequenti: aveva avuto un calo glicemico, ma da quello che le avevano riferito, aveva avuto la prontezza di aggrapparsi alla sua scrivania ed aveva attutito la caduta. La lasciò sola, dicendole, prima che lei lo chiedesse che suo marito stava per arrivare, era andato a prenderle un tè caldo.
Nell’attesa di Castle notò come lo zucchero del cioccolatino aveva stimolato i movimenti di Lily e non fu mai così felice di sentirla muoversi come in quel momento. Rick entro nella stanza dove era Kate, con un sorriso tirato ed un bicchiere in mano “Non è caffè, è tè. Molto dolce” le disse porgendole il bicchiere rimanendo in piedi a guardarla “Come te” rispose Kate abbozzando un sorriso, ma Rick si era troppo preoccupato per accettare un complimento con gioia. Prese la sedia e si sedette al suo fianco mentre lei beveva. Kate gli disse che andava tutto bene ma lui la interruppe dicendo che aveva già parlato con Yedlin e sapeva tutto, non si doveva preoccupare. Kate sorseggiando il tè, dolce veramente troppo dolce, sentì nuovamente la sua bimba muoversi e prese la mano di Castle per farlo sentire anche a lui, sperando che, sentendola, si sarebbe calmato, come lei. Fu un successo parziale, ma guadagnò la splendida vista di un sorriso di suo marito. Le disse che Esposito lo aveva avvertito subito ed era stato lui a farla portare lì. Lo ringraziò con dolcezza. Si sentiva in colpa, sapeva di aver sbagliato, immaginava come Rick volesse dirle “te lo avevo detto” e immediatamente nella sua mente si era formata la voce di sua madre pronunciare quella che era la sua frase preferita. Gli chiese scusa, ammise la sua colpa, ma lui non le disse nulla, solo che andava tutto bene adesso, dandole un bacio sulla fronte. La dimisero poche ore dopo, appena arrivarono le risposte a tutti gli esami che confermavano la buona salute per entrambe. Quando erano in macchina per tornare al loft Kate disse a Rick che non sarebbe tornata al distretto, anticipando la sua maternità per motivi di salute e lui le disse che aveva già parlato con la Gates di questo arrivando alla stessa conclusione. Lui fu felice che anche da lei era venuta quella intenzione, lei invece si sentì infastidita dal fatto che lui aveva deciso qualcosa al posto suo ma capì perché lo aveva fatto e si ammorbidì subito. Lily era la priorità, per tutti.

Sentì qualcosa appoggiarsi sulle sue spalle e si voltò distogliendo lo sguardo dalla finestra dove ormai il nome di sua figlia era rimasto solo un alone sul vetro. 
- Tutto bene mia cara? - la voce di Martha la colse di sorpresa. Era vestita di tutto punto con un cappotto verde smeraldo cappello e guanti che teneva in mano e non aveva ancora indossato di tonalità poco più scura. Le aveva adagiato sulle spalle una morbida coperta di ciniglia che le aveva comprato Castle pochi giorni prima. C’erano i loro nomi incisi uno su ogni angolo e le disse che quello vuoto poteva essere riempito in futuro. Pensava che in fondo quell’idea non era poi tanto male.
- Tutto bene Martha. Solo un po' di pensieri.
- Oh è normale tesoro in questi giorni. Non si vede l’ora di stringere quel frugoletto tra le braccia eppure si pensa di non essere mai pronte per farlo. Non prendere freddo, mi raccomando. - le disse aggiustandole la coperta sulle spalle e accarezzandole il viso in un gesto molto materno che poi l’attrice si pentì subito di aver fatto, ma Kate le sorrise facendole capire che andava tutto bene. 
- In bocca al lupo per questa sera, mi dispiace non poterci essere - Martha aveva la prima del suo nuovo spettacolo, ma Kate proprio non se la sentiva di andare, aveva però insistito che lo facesse Castle per far felice sua madre - mi farò raccontare tutto da Rick quando tornerà.
- Non credo che Richard verrà lasciandoti sola! Conosco il mio ragazzo! - E così dicendo uscì lasciandola ancora ai suoi pensieri. 

Kate si strinse la coperta sulle spalle, attraversò di nuovo il loft rientrò in camera ed andò nella stanza che avevano preparato per Lily, dove prima era l’ufficio della P.I.
Rick aveva approfittato della loro “vacanza” in città per far cominciare subito i lavori, quando tornarono a casa e gli effetti di quanto era accaduto erano ben visibili, lui era felice come una pasqua di mostrarle quello che avevano già fatto, tenendo a precisare, sotto lo sguardo stralunato di Kate tra polvere, secchi di vernice e teli di nylon, che avevano lavorato una squadra intera di operai. “Tantissimi” le disse eccitato. Andarono quindi a vedere cosa avevano fatto e Kate rimase senza parole nel vedere che dell’ufficio di Castle non c’era più nulla. Il pavimento era stato completamente rifatto, con un parquet di rovere sbiancato molto chiaro, che dava luminosità a tutto. Le pareti erano come nel progetto, color avorio, con le tre silhouette degli elefanti già disegnate, mancavano ancora i mobili, ma con delle sagome di cartone a terra erano già posizionati gli ingombri. Attirarono la sua attenzione le prese della corrente, con le placche rosa e degli orsetti messi sopra per la sicurezza dei bambini, Kate si stupiva sempre di come Rick riuscisse a pensare anche ai più piccoli dettagli. Alla fine decisero di andare ancora per una notte a dormire in hotel, stare lì con tutta quella polvere non era l’ideale per Kate, il giorno dopo avrebbero chiamato qualcuno per ripulire da cima a fondo tutto il loft.
Ora invece la camera era tutta completata. C’erano i mobili con le loro rifiniture rosa antico, il lettino con i paracolpi con il suo nome ricamato e gli immancabili elefantini che giocavano. Nella libreria erano in bella mostra già tutti i libri che avevano scelto per lei. Avrebbero avuto favole da leggerle fino a quando non fosse stata in grado di farlo da sola. Li aveva ordinati Rick, per colore della copertina, Kate gli aveva fatto notare che non era un buon metodo di classificarli, ma lui sosteneva che così fosse più armonico e più bello e poi davanti a tutti aveva messo il suo libro, quello che aveva scritto per sua figlia, le sue favole dove c’era anche la loro. Era uscito poco prima delle feste di Natale e come previsto da Price ed Andrew era andato subito esaurito, tanto che lo stavano già ristampando per la seconda volta in meno di un mese. Era stato un successo, ma per Rick nulla valeva il sorriso commosso di Kate quando aprì la prima pagina e lesse la dedica. Ormai doveva essere abituata alle dediche dei suoi libri, visto che gli ultimi li aveva dedicati tutti a lei, questa però era diversa, non era come le altre dove il significato profondo di quelle parole era chiaro solo a loro, era una dichiarazione esplicita tanto che, seppe in seguito, avevano anche tentato di dissuadere Castle da usarla, ma lui era stato irremovibile e così, aprendo il libro la prima cosa che si leggeva era “A Kate, l’unica persona al mondo capace di realizzare tutti i miei desideri e trasformare i miei sogni in realtà. Ti Amo”. 
Si emozionava sempre Kate quando entrava lì dentro, eppure, quando era sola al loft, passava lì la maggior parte del tempo nelle ultime settimane. Ogni volta accarezzava il profilo dei mobili dagli spigoli ben arrotondati, stringeva uno dei peluche che avevano disposto sulle mensole e sopra la cassettiera. Era incredibile come in quella camera ogni dettaglio le sembrava perfetto e così giochi di legno che sembravano usciti da un’altra epoca con forme e colori diversi insieme a bambole di pezza fatte a mano c’erano anche bilance super tecnologiche e baby monitor di ultima generazione che Castle aveva tenuto già a provare in più modi per vedere se effettivamente funzionavano costringendo Kate a fare da cavia mentre si spostava da un angolo all’altro della casa per controllare la ricezione dicendole di muoversi o parlare. Su una mensola aveva messo un’intera collezione di bambole raffiguranti tutte le principesse della Disney e Beckett si chiedeva già se non avessero esagerato, ma frenare l’entusiasmo di suo marito diventava ogni giorno più difficile e non c’era volta che usciva che non tornava a casa con qualche cosa per la bambina o per lei. I cassetti e gli armadi erano pieni di vestiti, di tutte le taglie almeno fino al primo anno di vita, e Kate pensò che nemmeno se l’avesse cambiata quattro o cinque volte al giorno sarebbe riuscita a sfruttarli degnamente tutti, ma Rick le ripeteva che nei primi tempi l’avrebbe cambiata proprio con quella frequenza, anche se Kate pensava che fossero le sue solite esagerazioni, nonostante anche Martha su questo era d’accordo con Rick. Perfino suo padre, che mai si intrometteva in queste cose, una sera mentre era a cena da loro, si lasciò sfuggire che se fosse stata come lei nei primi mesi, li avrebbe certamente usati tutti. Jim non era uno che si lasciava spesso andare a confidenze o ricordi dell’infanzia di Kate, perché erano indissolubilmente tutti legati a doppio filo con Johanna, argomento per l’uomo ancora troppo difficile da affrontare liberamente però a Kate sembrava che più si avvicinava il momento della nascita di Lily, più lui si lasciava andare ai ricordi con il sorriso sulle labbra, così aveva cominciato a raccontare di come i primi tempi dopo la sua nascita era impossibile farla dormire e di come, quando cominciavano a svezzarla, ogni volta che mangiava era obbligatorio cambiarla per come si sporcava, preferendo giocare con il cibo piuttosto che mangiare. Così Martha e Jim cominciavano a parlare delle abitudini dei rispettivi figli da neonati e Rick e Kate speravano che prendesse i pregi di uno e dell’altro sorridendo sognanti.

La cosa che più piaceva a Kate di quella camera era una sedia a dondolo fatta in vimini e bambù, ricoperta da grandi cuscini color crema. L’aveva vista un giorno che erano usciti con Rick e si era soffermata a pensare vedendola. Ricordava che quando era piccola nella sua stanza ce n’era una uguale ed ogni volta che stava male o piangeva, sua madre si sedeva lì e la prendeva in braccio, cullandola fino a quando non si calmava, raccontandole storie o cantandole dolci ninna nanna. Aveva visto in alcune foto come Johanna si sedeva sul dondolo anche quando lei era appena nata e la allattava: toccando il profilo della sedia si era immaginata in quel momento nel negozio, di essere seduta anche lei su una sedia del genere con sua figlia. Non aveva detto nulla a Rick, parlare di certi ricordi non le riusciva con tranquillità, senza emozionarsi, ed in un negozio in mezzo alla gente non le sembrava il luogo migliore per lasciarsi andare. Ma lui l’aveva capita senza bisogno che gli dicesse niente, così il pomeriggio seguente sentì suonare al campanello del loft e due ragazzi erano fuori dalla porta con l’ingombrante pacco da consegnarle. Come da ordini di Rick lo portarono fino alla camera della bambina e lì lo aprirono, lasciando Kate senza parole. Ci si era seduta più di una volta da quel giorno, preferendola alla seppur comoda poltrona che era lì vicino. Però lì chiudeva gli occhi e si dondolava lentamente con le braccia strette al petto, immaginandosi che sua madre fosse lì a rassicurarla e sostenerla in quegli ultimi giorni prima che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Anche quella mattina fece lo stesso. Si sedette, si abbracciò e si lasciò andare ad un pianto sommesso e in quelle lacrime c’era dolore, nostalgia, rimpianto. Avrebbe voluto sua madre lì con lei e non solo, questa volta, perché come sempre le mancava tantissimo, non era un dolore egoistico dettato solo dalla sua voglia di averla per se, per cercare ancora una volta le sue braccia per consolarla, ma perché avrebbe tanto voluto regalarle la gioia di vederla con sua figlia, vedere i suoi occhi illuminarsi tenendo tra le braccia quella piccola vita, sicura che l’avrebbe resa felice ed orgogliosa più di qualunque altra cosa potesse aver fatto. Quella era la cosa che le faceva più male, sapere che non l’avrebbe mai potuta vedere così felice, che sua figlia non avrebbe mai conosciuto sua madre. Gli anni passavano inesorabili uno dopo l’altro e ne aveva vissuti tanti di quei giorni, ogni anno sperava che quello successivo sarebbe andato meglio ma ogni anno il dolore tornava a stringerla nella sua morsa, crudele come sempre e come sempre era voluta rimanere sola, ma non potendo uscire era stato Rick, capendo il suo stato, ad andare fuori molto presto dal loft per lasciarle tutto lo spazio ed il tempo di cui avesse bisogno. Si era sentita in colpa in quella silenziosa richiesta che gli aveva fatto, facendolo uscire molto prima di quanto lui era solito fare, togliendoli quei momenti della mattina in cui lui adorava rimanere a letto e coccolarla, accarezzandole la pancia ora sì, molto ingombrante e riempiendola di baci. Non c’era stato un giorno in cui Rick non le avesse ricordato quanto l’amava e non glielo avesse dimostrato in ogni modo possibile e lei si sentiva così felice e così fortunata ogni volta. Ma non quel giorno. Sperava che quell’anno, quel 9 gennaio sarebbe stato diverso, meno amaro, ed invece il dolore che sentiva dentro non era attenuato da nulla, nemmeno dalla sua piccola che da quando si era seduta sembrava agitarsi come mai in quei giorni precedenti, come se avesse percepito tutta la tristezza della sua mamma e provasse con la sua presenza a darle un motivo per sorridere ancora.

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Capitolo 3
*** TRE ***


Quei piccoli movimenti di Lily si stavano facendo sempre più intensi, quasi a toglierle il fiato in alcuni momenti. Kate fece scendere le mani dal petto al ventre, accarezzandolo dolcemente, provando a rilassarsi e le sembrò di stare meglio. Se l’intento di sua figlia era quello di farla uscire dal vortice di tristezza e pensieri negativi nel quale era sprofondata c’era riuscita, aveva immediatamente allertato tutti i suoi sensi concentrandoli in un’unica direzione: lei.
Si era chiesta, più volte, se essere madre sarebbe stato questo, sempre. Avere un centro gravitazionale che senza poterne fare a meno faceva volgere a tuo figlio tutte le tue attenzioni, facendo passare il resto del mondo in secondo piano, anche te stessa. 
Si imponeva, però, di darsi dei limiti che riteneva sarebbero stati necessari per lei ed anche per sua figlia. Non voleva diventare una di quelle mamme chioccia che tenevano i figli sotto la loro ala protettrice, anche perché sapeva bene che lei avrebbe avuto già papà chioccia e ne aveva avuto conferma un pomeriggio parlando con Alexis sul divano, quando era venuta per trascorrere insieme le vacanze di Natale. Rick, seduto poco distante, aveva protestato dicendo che con lei era stato così perchè aveva dovuto fare il padre single, ma non Lily sarebbe stato diverso. Alexis e Kate si scambiarono uno sguardo d’intesa entrambe per nulla convinte di quello che diceva Rick e poi arrivò anche Martha a dar man forte alle due dicendo al figlio che se era possibile secondo lei con Lily sarebbe stato anche peggio visto che avrebbe potuto lasciare tutte le incombenze di genitore adulto a Kate e lui dedicarsi alla parte che gli veniva meglio: proteggere e viziare sua figlia in ogni modo possibile ed immaginabile. Rick si sentiva completamente accerchiato dalle tre donne e quando gli ricordarono che presto sarebbe arrivata una quarta che lo avrebbe messo ancora più in minoranza sbuffò dicendo che in quella famiglia nessuno lo capiva e si approfittavano tutte di lui. Fu come sempre Kate a fargli ritornare il sorriso andando a sedersi sulle sue ginocchia e sussurrandogli all’orecchio non troppo forte per non farsi sentire dalle due rosse, che a lei piaceva molto approfittarsi di lui, specialmente quando erano soli. Castle amava questa nuova complicità che aveva instaurato con sua moglie. Erano sempre stati più che complici loro due insieme ma non era comune vedere Kate così espansiva ed estroversa in presenza di altre persone. Se ne rendeva conto anche lei di questo. Aveva cominciato ad allentare sempre di più quel freno che si era messa da sola troppi anni prima. Adesso riusciva a lasciarsi andare, ad essere quella Kate che era sempre stata prima. Si era accorta che ormai metà della sua vita l’aveva passata reprimendo il suo io per la maggior parte del tempo, come se, dopo che sua madre era morta, nessuno avesse dovuto vedere la Kate che c’era prima. Castle era stato il primo a scoprire come era la giovane e spensierata Kate, quella che amava divertirsi e giocare, quella che era rimasta chiusa dentro se stessa troppo a lungo, con la scusa che per emergere in un mondo maschile e maschilista come era la polizia fosse necessario farla sparire.
Ma ora quella Kate stava tornando a galla non solo con lui, stava reclamando sempre più spazio e le piaceva. La faceva stare bene e non se ne vergognava più. Si era fatta vedere debole e fragile, innamorata e felice, divertita e divertente. E si sentiva più forte per questo, per affrontare il mondo senza muri e corazze imposte. Sentiva che Kate era in grado di farlo per quello che era, anche di accettare i colpi che ne derivavano, perché in grado di assorbirli.
Rick le aveva detto che questa sua nuova forza e consapevolezza le veniva dal fatto che sarebbe presto diventata madre e concordava con lei che non sarebbe mai stata una madre chioccia, lui le diceva che lei era una leonessa, di quelle che prima difendono con le unghie e con i denti i propri piccoli fino a renderli pronti per conoscere il mondo e poi rimane a guardarli per un po', mentre muovono i primi passi autonomamente, pronta a sbranare chiunque gli si avvicini con cattive intenzioni, senza che loro se ne accorgano. Le piaceva questa definizione e pensava che lui avesse ragione.

Si sentiva meglio, Lily sembrava essersi calmata. Si alzò dal dondolo e si mise vicino al lettino. Aggiustò l’orsacchiotto che avevano già messo dentro, era quello che Alexis gli aveva portato a Natale. 
La ragazza era arrivata il giorno prima della vigilia, sapeva quanto Rick ci tenesse che fossero tutti insieme quell’anno. Dustin era rimasto con i suoi. Era ancora troppo presto per le feste in famiglia, soprattutto in quell’anno così travagliato non avevano bisogno di altre tensioni da sciogliere. Castle gliene fu intimamente grato, invitando comunque Alexis a portarlo con se prossimamente. 
Anche quell’anno Rick aveva come sempre addobbato tutta casa, non lesinando su nulla, soprattutto sugli addobbi dell’immenso albero di Natale che troneggiava in sala illuminando tutto l’ambiente una volta acceso. Kate disse chiaramente a Castle che non l’avrebbe aiutato a montare nulla adducendo come scusa il suo stato. Aveva imparato ad approfittarsi di questo ogni qual volta Rick le proponeva attività che non voleva fare: bastava ricordargli che era incinta e lui subito smetteva di essere insistente, non era mai stato così facile far star zitto Castle e Beckett pensò che ne avrebbe approfittato per quei giorni di gravidanza che le sarebbero rimasti. Era buffo vederlo arrampicarsi con la scala qua e là a montare festoni ed addobbi, sbuffando perché nessuno lo aiutava. Lei sdraiata sul divano faceva finta di leggere, mentre lo guardava abbassando il libro sotto la linea degli occhi coprendo il suo sorriso. Poi mossa a compassione, si alzava e facendoglielo pesare molto, si offriva di aiutarlo reggendogli i festoni mentre lui li applicava alle pareti, ricordandogli che per questo le avrebbe dovuto molti favori e che poi gli avrebbe fatto sapere come e quando avrebbe voluto riscuoterli. L’albero, però era sempre il cuore delle loro feste natalizie. Ogni anno Rick aveva preso l’abitudine di comprare una fiocco di neve di cristallo sul quale faceva incidere in una piastrina d’argento, l’anno e i loro nomi. Quando aveva appeso il primo e glielo aveva mostrato, era ancora da poco che stavano insieme, ma Kate ricordava alla perfezione quello che gli aveva detto “Un giorno, quando saremo vecchi, guarderemo questo albero e sarà tutto pieno di fiocchi di cristallo, uno per ogni anno che avremo passato insieme e brillerà come i nostri occhi, ogni volta che ci guardiamo”. Quell’anno le aveva portato il quinto fiocco di neve, dicendole che dall’anno prossimo ci sarebbe stato uno in più, anche per Lily. Quel pensiero la fece tremare dall’emozione: ci sarebbero state un’infinità di “prime volte” che avrebbero vissuto insieme da lì in poi e quei pensieri rendevano l’arrivo di sua figlia decisamente più reale di quanto non fosse. Si stupiva ancora di quanto le stava accadendo e allo stesso tempo si stupiva di come considerava tutto in modo così normale. Lo stupore e la gioia erano due piatti della stessa bilancia che si tenevano in perfetto equilibrio tra loro dentro si se.  
Quell’anno per Natale Rick aveva deciso di organizzare qualcosa di particolare. Erano stati in famiglia la sera della vigilia, come sempre. Si era aggiunto anche suo padre che, come lei, sembrava ritornare ad apprezzare il calore delle festività ed aveva rinunciato a trascorrere le feste in solitudine in montagna. Era la prima volta che avevano passato di nuovo il Natale insieme, dall’ultimo quando c’era ancora sua madre, ma quell’anno anche Jim sentiva che aveva molte cose da festeggiare: sua figlia che era scampata alla morte, l’arrivo di una nipotina che avrebbe riportato nella sua vita quelle luce da troppo tempo spenta. L’atmosfera natalizia era ovunque in quella casa, dal profumo di zenzero e cannella dei dolci e del tacchino con la frutta candita a quello ancora più speziato del vin broulè preparato da Martha, dalle luci delle candele alla musica di sottofondo che alternava pezzi classici della tradizione a brani di musica classica, come la suite dello Schiaccianoci, tanto cara a Martha e Rick. 
Mangiarono felici, ridendo e raccontandosi aneddoti a vicenda. Tutti volevano sapere da Alexis come andavano le cose a Philadelphia e lei voleva sapere tutto sulla bambina. Castle si sentì quasi trascurato nel vedere come la figlia dedicasse più attenzioni a Beckett che a lui, ma era felicissimo nel vedere le due donne più importanti della sua vita essere tornate alla complicità di un tempo e che Alexis aveva accantonato tutte le sue paure per l’arrivo della nuova piccola Castle lasciando spazio solo alla felicità. Si erano spostati poi intorno all’albero dove si erano scambiati i doni e quella che li aveva ricevuti di più era la piccola che ancora non era nata. Tutti si erano preoccupati di fare un regalo a Lily e i futuri genitori li aprivano insieme emozionati ed era proprio tra questi che c’era quell’orsacchiotto che ora era nel lettino aspettando la bimba che gli avrebbe fatto compagnia. Per Rick e Kate poi era stata una gioia vedere il sorriso felice dei loro parenti mentre aprivano i regali fatti appositamente per loro. Lo stupore di Jim quando vide la palla da baseball degli Yankees firmata da Joe di Maggio e dal resto della squadra che vinse la World Series del ’49 che Castle aveva trovato da un collezionista era pari solo alla felicità negli occhi di Kate che osservava suo padre così sereno e contento. Avevano deciso di fare dei regali che fossero importanti per loro, quindi a Martha regalarono le locandine dei suoi spettacoli teatrali di Brodway maggior successo, da sempre sognava di poterle mettere in bella vista nella sua scuola di recitazione, ma non ne aveva conservata nemmeno una, ma Rick era riuscito a trovare alcune delle più importanti e le promise che dopo le feste sarebbero andati insieme a farle incorniciare così le poteva esporre. Nonostante tutto quella che rimase più colpita fu Alexis, al quale avevano preso dei buoni per comprare biglietti aerei da Philadelphia a New York e la vera sorpresa fu che erano per due persone, così poteva venire con Dustin quando avrebbe voluto. Rick e Kate si guardarono soddisfatti e compiaciuti. Erano riusciti a far felici tutte le persone a loro più care.
Quando tornarono nella loro stanza, dopo che tutti erano andati a dormire, era venuto il momento di pensare solo a loro. Avevano preferito così, scambiarsi i regali da soli, godendo della loro intimità, nella loro camera, sul loro letto. Kate era stata categoria con Castle: niente di esagerato, di costoso, di vistoso. Non voleva quello, non ne aveva bisogno. Non cercava gioielli o altri preziosi per avere prova del suo amore. Rick a tutto questo ancora si doveva abituare perché per tutta la sua vita prima di lei, tutte le donne che aveva avuto cercavano solo quello e lui Kate l’avrebbe riempita veramente d’oro dalla testa ai piedi. Ma la prese in parola e le regalò un giglio di cristallo che in realtà era un portacandele. Le chiese di aspettare prima di dire nulla, lo poggiò sul comodino, accese la candela e poi spense la luce: la fiamma delle candela rifrangeva sui cristalli facendo nel buio della stanza giochi di luce magici. Kate li guardava commossa, ma quello che le disse Castle fu meglio del regala “Tu sei la candela, la fiamma. Nostra figlia è il giglio che riflette la tua luce. Io sono il buio di questa stanza e questo che vedi è l’effetto che avete su di me”. 
Dopo che Rick aveva acceso la luce e spendo la candela a Kate servì qualche minuto per riprendersi dal vortice di emozioni. Diede poi il suo regalo a Rick osservandolo impaziente di vedere se era riuscita a sorprenderlo almeno un po’ di quanto lei era riuscita a fare con lui. Quando Castle scartò il suo pacco tirò fuori dalla scatola un antico carillon di legno e ottone che riproduceva una giostra di cavalli vittoriana. Sembrava veramente un bambino di altri tempi alla vista di un gioco tanto atteso. Lo caricò e poi ascoltò la musica tintinnante che produceva. Era la Danza della Fata Confetto di Tchaikovsky, un pezzo di quella suite dello Schiaccianoci a lui tanto cara. Finì di ascoltare la melodia e poi lo ripose con cura sul suo comodino. 
Abbracciò Kate, tenendola il più possibile stretta a se. “Questo è esattamente il tipo di Natale che ho sempre sognato e la cosa che mi rende ancora più felice è sapere che il prossimo sarà ancora più bello” Le disse Castle. Kate amava il suo vedere sempre al futuro con entusiasmo e, nonostante tutto quello che gli era accaduto, con incredibile ottimismo. Lei pensava sempre con timore a cosa le avrebbe riservato il suo futuro e si trovava sempre più spesso ora a sperare che tutto andasse bene. Però quel Natale era stato diverso, anche per lei ed aveva finalmente capito una cosa e la disse a Castle, mentre aveva la testa appoggiata sul suo petto e si godeva le carezze che lui le riservava “L’unica famiglia che voglio proteggere questo Natale e tutti quelli che verranno è solo la nostra”. 

Accarezzò ancora l’orsacchiotto di Alexis riponendolo vicino al cuscino. Kate pensò che erano state le più belle feste di Natale che ricordava da quando sua madre non c’era più. Aveva rivissuto per la prima volta a pieno il senso di famiglia. Ed anche quella festa di fine anno, solo loro due a casa era stata bella ed estremamente divertente. Niente cene raffinate, niente vestiti da gala erano rimasti comodamente in tuta, avevano mangiato burritos, tacos, quesadillas e nachos, perché a Kate era venuta voglia di cibo messicano e allora Castle aveva rinunciato alla sua idea di cucinare per lei ed avevano ordinato ad un take away il loro cenone tex mex. Rick si era limitato a prepararle una virgin colada, una sorta di pina colada analcolica, per festeggiare. Erano stati tutta la sera a giocare e scherzare tra di loro immaginando prima della mezzanotte che magari la loro bambina poteva decidere di nascere proprio allo scoccare del nuovo anno e si sarebbero trovati imbottigliati nel caos di New York o in un ospedale dove nessuno li considerava perché tutti impegnati a far festa. Stranamente l’idea invece che impensierirli li divertiva, dicendo che tutto quello sarebbe stato estremamente da loro. Poi la mezzanotte era scoccata, avevano guardato i fuochi d’artificio dalle vetrate del loft e Lily aveva manifestato la sua presenza solo scalciando un po’ Kate e loro erano rimasti davanti al camino abbracciati fino a quando non furono troppo indolenziti ed andarono a continuare le coccole a letto. Quando Castle le disse che quello era stato il party di fine anno più bello della sua vita, Kate si preoccupò, chiedendogli se realmente non gli mancava quella parte della sua vita, fatta di feste con champagne e paillettes, donne che facevano a gara per mettersi in mostra ai suoi occhi e sballo fino all’alba. Rick fece una sonora risata stringendo Kate ancora di più e rassicurandola sul fatto che le uniche donne che potevano fargli fare l’alba adesso erano lei e la loro bambina, per motivi diversi, ovviamente.
Come arrivarono però i primi giorni di gennaio, l’umore di Kate cambiò quel tanto che bastava a Castle per accorgersi che stava diventando sempre più tesa, meno solare di come era stata fino a pochi giorni prima. Alexis, che aveva festeggiato il capodanno con i suoi amici di un tempo, partì pochi giorni dopo con la promessa di tornare a metà mese, quando la nascita di Lily sarebbe stata prossima. 
Kate uscì dalla stanza di Lily e tornò nel soggiorno, mettendosi proprio lì dove c’era il grande albero di Natale. Aveva insistito lei con Rick che si sbrigasse a togliere tutti i festoni e gli addobbi e qualcosa era rimasto ancora in una scatola vicino al divano, non aveva fatto in tempo a portarlo in soffitta. Gli aveva chiesto solo che per quel giorno non ci fossero più. Le dispiaceva distruggere subito quel clima festoso a Castle, ma sentiva che ancora non ce la faceva, non era pronta a vivere quel giorno immersa nell’atmosfera natalizia, svegliarsi e trovare gli addobbi che ancora adornavano la casa, proprio come quel giorno del 1999, perché ricordava ancora vividamente il dolore e le lacrime versate in silenzio insieme nel togliere ogni pallina dall’albero ricordando come pochi giorni prima con sua madre sorridevano e si divertivano mentre le stavano mettendo, battibeccando anche sulla disposizione che dovevano avere sui rami. Ricordava come le lacrime scendevano senza riuscirle a fermare e gli occhi erano rossi e bruciavano mentre deponeva ogni singolo addobbo nella grande scatola, avvolgendoli nella carta velina per non rovinarli. Non li aveva più aperti, erano rimasti chiusi per sempre. Guardava in quel momento quella scatola vicino alla poltrona, con gli addobbi riposti un po’ a caso, senza quella maniacale cura che avevano messo lei e suo padre nel riporre via non solo quelle decorazioni, ma tutto il loro Natale, e di come avevano chiuso, anzi sigillato quella scatola, al confronto di quella che aveva fatto Castle che era mezza aperta e dalla quale spuntava fuori la gamba di un babbo natale di pezza. Si piegò, non senza qualche difficoltà a raccoglierlo e lo strinse tra le mani. Si sentiva terribilmente egoista. Di essere voluta rimanere sola, di aver obbligato Castle a togliere tutto quello che lo faceva felice. Voleva essere più forte, per se stessa e per sua figlia, perché non fosse costretta in futuro, anche lei a pagare il conto dei suoi fantasmi. Voleva essere migliore e si doveva impegnare per farlo. 

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Capitolo 4
*** QUATTRO ***


Kate si asciugò in fretta le lacrime versate per quel piccolo Babbo Natale abbandonato troppo in fretta, lo aveva eletto in breve a simbolo della sua triste impossibilità di lasciarsi il passato alle spalle. Questo non voleva dire dimenticare, lo sapeva bene anche lei, non avrebbe mai dimenticato nulla, le sarebbe stato impossibile, voleva solo dire ricominciare a vivere anche quel giorno come se fosse un giorno normale, non uno da sacrificare all’altare del suo dolore, obbligando tutte le persone che le stavano vicino ad allontanarsi per permetterle di consumarsi in un lutto mai esaurito. Sapeva nel suo intimo che sua madre non avrebbe mai voluto questo per lei, che se fosse stata lì, ogni anno le avrebbe detto di guardare avanti e di non buttare via la sua vita, in quell’occasione come in tante altre. 
Johanna avrebbe sicuramente voluto che lei quel passato se lo fosse lasciato alle spalle molto prima, che avesse vissuto la sua vita senza rinchiudersi nella sua torre di dolore e solitudine per troppo tempo prima che Castle riuscisse a strapparla via. Pensava che sua madre avrebbe trovato divertente quel gioco di parole, lei era una persona di spirito che sapeva divertirsi. Sorrise Kate nel pensare a come sua madre avrebbe accolto l’idea che Richard Castle fosse suo genero, lei lo aveva sempre apprezzato come scrittore per il suo ottimismo anche nelle storie più cupe, che lasciava sempre intravedere una luce, una speranza, per tutti. La faceva illudere che il mondo fosse più facile e più leggero di quello che era. Questo era lo stesso motivo per il quale anche lei aveva trovato rifugio nei suoi libri. Sorrise pensando che aveva tenuto quel segreto per tanti anni, per poi tradirsi proprio quando non ricordava nulla di loro.
Era stanca. Molto più del solito. Pensava che tutte le emozioni di quel giorno avevano indebolito il suo corpo che sopportava sempre meno sforzi fisici ed emotivi, e aveva cominciato ad avere dei piccoli dolori di breve durata ed intensità. Kate dava la colpa a quelli che pensava fossero i movimenti di Lily. 
Decise di tornare in camera e stendersi un po’. Si mise di fianco, la posizione in cui riusciva a rilassarsi di più, circondata da cuscini per aiutare a sostenere la pancia e la schiena. Aveva allungato una mano sul comodino, accarezzando il portacandele di cristallo che le aveva regalato Rick. Non lo aveva più acceso, ma lo aveva tenuto lì vicino a lei, in una posizione che ogni mattina faceva riflettere i raggi del sole, creando con le tante sfaccettature piccoli arcobaleni nella stanza. Lo sguardo andò oltre, verso quello che era stato l’ultimo acquisto che avevano fatto: una culla da tenere nella loro stanza. Inizialmente Kate si era opposta a questa idea, obiettava che la stanza di Lily era attigua alla loro e con le modifiche che avevano apportato sarebbero entrati direttamente lì dalla loro stanza: avevano i baby monitor non era necessario che dormisse con loro. Castle inizialmente si era opposto a questa decisione, ma Kate era ferma e sembrava irremovibile: Lily avrebbe avuto la sua bellissima stanza e dormire fin da subito lì l’avrebbe resa più autonoma. Poi era accaduto tutto all’improvviso, un giorno dopo Natale. Non avevano più parlato di questa cosa, ma mentre Kate stava parlando con Alexis sembrò folgorata dall’idea che realmente, tra poco, lei e la sua bambina non sarebbero state più una cosa sola, che se ne sarebbe in qualche modo distaccata. Improvvisamente la distanza di una decina di passi tra il loro letto e la camera di Lily le sembrò una distanza incolmabile per il suo animo. Così Rick uscì, insieme ad Alexis e scelsero la culla più bella che avevano trovato, che sarebbe stata bene anche nella stanza di Lily, con il tulle e le imbottiture color avorio e le rifiniture rosa. La cosa che più le piaceva era, come le aveva spiegato Rick, che poteva abbassare uno dei lati e avvicinarla al letto, come se fosse un naturale prolungamento del loro. Kate si sentì subito rasserenata nel vedere quella culla nella loro stanza, un elemento così in contrasto con il resto dell’arredamento forte e maschile che rispecchiava a pieno il carattere di Rick, ma che ora le sembrava perfetta per quel luogo. Lo abbracciò e si scusò più volte per essere stata così stupidamente intransigente ma lui le sorrise prendendola in giro, perché era assolutamente convinto che prima che Lily nascesse avrebbe cambiato idea. La conosceva fin troppo bene, ma lui le diceva che quello era solo l’istinto della mamma leonessa che era in lei, che si risvegliava pian piano.
Allungò una mano a cercare il cellulare. Era l’ora di pranzo suo marito le mancava e continuava a sentirsi sempre più spossata e quei fastidi non cessavano, anzi. Non voleva stare sola.
- Ehy Castle…
- Beckett! Stai bene?
- Sì, però mi manchi. - Ammise lei, evitando di parlargli del resto.
- Sei sicura che stai bene? Vuoi che torni a casa? 
- Sì, sono solo stanca.

Non ci fu bisogno di dirgli altro. Kate non sapeva cosa Rick stesse facendo, se stava solo passando del tempo fuori o se era a qualche riunione per la serie tv su Nikki Heat che sarebbe andata in onda quella primavera o a pranzo con qualche suo sponsor, lui le disse solo che stava per arrivare e Kate sapeva esattamente che quello voleva dire che il tempo che avrebbe impiegato per arrivare al loft era quello effettivo per coprire la distanza dal punto nel quale si trovava a lì. Non era un modo di dire, era effettivamente quello il senso: stava arrivando da lei.

Castle tornò ed appena aprì la porta del loft la chiamò, ma non ottenne risposta. Andò subito nella loro stanza e la trovò adagiata su un fianco tra i cuscini. Pensava stesse dormendo. Si sdraiò dietro di lei e quando la abbracciò sentì la mano di Kate prendere con forza la sua e stringerla per qualche secondo, per poi rilasciarla.
- Kate, cosa c’è?
- Solo un po’ di dolori Castle, vedrai che passeranno presto. Rimani qui?
- Certo che rimango…
Si strinse a lei ed anche Kate sembrò rilassarsi con la sua presenza.
- Non dovevo chiederti di rimanere sola - gli disse portando la mano di lui sul suo petto.
- Non ti preoccupare, stai tranquilla. - Ma Rick sentì che strinse nuovamente la sua mano, non le chiese nulla, lei avrebbe negato, ma era evidente per lui che quei dolori non smettevano. Rimasero così per un po’ e Castle aveva cominciato a calcolare, guardando l’orologio se quei dolori si presentavano in maniera costante. Era così. Nell’ora successiva aveva calcolato che si erano ripetuti ad una distanza di circa 15 minuti. Stava per chiederle se quella mattina avesse avuto altri casi di dolori simili, quando lei si alzò dicendo che doveva andare in bagno. Pochi minuti dopo Rick si sentì chiamare e si precipitò da lei. Kate era pallida e con i lineamenti tesi.
- Credo di avere delle perdite - gli disse con un filo di voce
- Hai pensato che quei dolori possono essere delle contrazioni? - Rick fece questa domanda a Kate e la vide irrigidirsi ancora di più. Le si avvicinò prendendole la mano. - Credo che dovremmo andare in ospedale.
Rick le sorrise era emozionato e preoccupato allo stesso tempo, ma non vide in Kate la sua stessa gioia, si era anzi incupita.
- No, non può essere…
- Sì, Kate, può… Hai dei dolori ad intervalli regolari, può essere. - Sembrava che le stesse ribadendo l’ovvio. Uscì dal bagno, rimettendosi velocemente le scarpe e prendendo la borsa che avevano preparato qualche giorno prima per quando avessero dovuto andare in ospedale. Kate era uscita dal bagno e vedendolo con la borsa in mano lo fermò.
- Non può essere oggi, Castle, non mi serve quella. Andiamo solo per farmi controllare, ok?
- Va bene, la porto solo in macchina, così rimane lì, va bene? Prometto che non la faccio uscire dal portabagagli!

Uscirono di casa mentre Kate stava avendo quella che per Castle era chiaro fosse un’altra contrazione.
- Stamattina ne hai avute altre? - Le chiese appena il dolore fu passato ed erano in ascensore.
- Solo qualche fastidio e Lily un po’ più agitata. - Kate sembrava essere tornata lucida e serena. - Non può nascere oggi Rick.
Le ripeteva quella frase come un mantra e lui non aveva più il coraggio di replicare. Gli mancavano le parole. Le cercava nella sua mente, sarebbe andata bene anche una banale frase fatta, una di quelle che avrebbero fatto arrabbiare tantissimo Kate, almeno si sarebbe distratta, invece la sua mente era una pagina bianca, una schermata vuota dove nemmeno il cursore lampeggiava più.
Kate si sedette faticando più di quanto aveva immaginato nell’auto e Castle la guardava così agitato e preoccupato che non sapeva cosa fare. Si era immobilizzato davanti il suo sportello aperto mentre lei lo guardava in attesa che decidesse cosa fare. 
- Castle? Concentrati! Andiamo? - Gli disse decisa cercando di ridestarlo. Lui chiuse meccanicamente la portiera dalla parte di Kate, butto la valigia che ancora teneva in mano nel portabagagli e si andò a sedere al posto di guida. Fece un gran respiro prima di accendere il motore e poi partì. Non proprio quello che aveva immaginato per la sua corsa veloce in ospedale, ma quel giorno e quella reazione di Kate avevano fatto andare in cortocircuito le sue sinapsi e doveva ancora riuscire a metabolizzare quello che lui sapeva stava per accadere, dividendo in parti uguali la gioia, l’euforia, la preoccupazione per l’evento e per Kate. Soprattutto per Kate. Come sempre. Perché ora Castle era invaso dal nervosismo per lo stato di sua moglie, non quello fisico, aveva letto abbastanza per sapere che stava bene e che la cosa ancora non era così impellente. Rick era preoccupato che lei stesse negando che stava per partorire, perché non voleva farlo. Non quel giorno. Guardò l’orologio ed era ancora primo pomeriggio. 
Kate guardava fuori la pioggia che non aveva smesso un minuto di scendere da quando si era svegliata, ora più forte, ora più leggera, ma era costante. Vedeva la gente correre sui marciapiedi ed ombrelli che si alternavano scivolando uno tra gli altri e le sembravano le uniche note colorate di quella giornata.
Non ci aveva mai voluto pensare, inconsciamente aveva sempre rifiutato quell’idea a tal punto di non prenderla nemmeno in considerazione, perché era l’ultima cosa che voleva. Sua figlia non poteva nascere in quel giorno. Ed ora, benchè lo negasse a se stessa, sapeva che stava per accadere. Lo sentiva. Ed era totalmente impreparata. Non solo al fatto che tutti quei bei pensieri che aveva fatto negli ultimi mesi sarebbero diventati realtà, che da lì a qualche ora sarebbe stata non più solo una proiezione della sua mente e una presenza scalciante dentro di se, ma una nuova vita tra le sue braccia. Era impreparata al fatto che nascesse proprio quel giorno. Non ne aveva parlato con nessuno e nessuno aveva mai accennato a quell’idea. Non credeva al fatto che nessuno ci avesse pensato, semplicemente che nessuno glielo avesse voluto dire. Chi erano gli altri, in fondo, per paventarle un’idea simile e giocare con le sue emozioni. Doveva pensarci, doveva analizzare quella situazione, valutare quella possibilità, fare chiarezza con se stessa e cercare di capire cosa avrebbe voluto dire per lei. 
Invece ora si ritrovava catapultata dentro quella situazione. Sua figlia che sarebbe nata nel giorno che odiava di più, nel giorno che più di ogni altro le provocava dolore, che solo pensare che si avvicinava o leggerlo sul calendario erano fitte tremende, pugnalate come quelle che le avevano strappato sua madre. Ora quel giorno sarebbe dovuto diventare il più bello della sua vita. Come era possibile? Come poteva fare una cosa del genere? Si sentiva come se ad essere felice per quello che stava accadendo stesse tradendo sua madre, il suo ricordo ed il suo stesso dolore accumulato negli anni, ma allo stesso tempo si sentiva in colpa per non riuscire ad essere totalmente felice per la nascita di sua figlia, per rovinare questo momento con pensieri tristi e non dedicare a lei ogni sua emozione.  
Castle maledì quel semaforo rosso che gli sembrava stesse durando un’eternità: si voltò a guardare Kate ma vide solo il suo volto riflesso nel vetro, ma, poteva giurarci, stava piangendo in silenzio. Appoggiò una mano sulla sua gamba prima di ripartire e lei portò la sua su quella di lui. Comunicavano a modo loro, in silenzio.
Rick aveva chiamato durante il tragitto il dottor Yedlin che aveva immediatamente allertato l’ostetrica del reparto e quando arrivarono in ospedale Kate fu subito accompagnata in una stanza in reparto per dei controlli. Castle aspettò fuori fino a quando non lo invitarono ad entrare.
Kate era sdraiata sul letto, monitorata e con una flebo. Sembrava tranquilla, almeno in apparenza, con lo sguardo rivolto verso il muro. Aveva parlato brevemente con l’ostetrica prima di raggiungerla. Kate stava bene, la bambina anche. Ora tutto dipendeva da quanto sarebbe stato lungo il suo travaglio.
- Hey… - Castle le accarezzò la mano e Kate si voltò a guardarlo abbozzandogli un sorriso.
- Credo che quella valigia mi servirà Castle.
- Uh! Allora dovrò convincere il portabagagli a darmela. Gli avevo detto di tenerla e non farmela prendere assolutamente perchè non era il momento! Lotterò contro la mia macchina per te! - Kare sorrise mentre lui rimaneva serio nel ruolo del cavaliere senza macchia e senza paura.
- Grazie Castle.
- Tornerò vincitore! 
Le diede un bacio e andò velocemente a recuperare la borsa di Kate. Si appoggiò contro la parete dell’ascensore, respirando a lentamente e profondamente cercando di razionalizzare che stava per accadere. Ricordava la spensierata incoscienza con la quale aveva atteso la nascita di Alexis passeggiando per il corridoio dell’ospedale in attesa che lo chiamassero per vedere sua figlia. Ora era tutto diverso. Aveva un’attesa da vivere insieme a Kate. Mentre tornava verso la camera pensò di chiamare Jim. Sperava fosse in città, era l’unico che poteva tranquillizzare Kate. Fortunatamente gli rispose, la voce dell’uomo era palesemente provata, non era facile nemmeno per lui. Rick non sapeva da dove cominciare così gli disse semplicemente il fatto: Kate sta per partorire. Jim non ci mise molto a capire cosa volesse dire per sua figlia e così quando Rick gli chiese se potesse raggiungerli perché lei aveva bisogno di parlare con lui, l’uomo non se lo fece ripetere e rispose che sarebbe stato lì il prima possibile.
Trovò di nuovo delle infermiere vicino a Kate che controllavano i suoi parametri. Le ultime contrazioni erano state ogni 10 minuti e più intense. Rick entrò in stanza e la aiutò a cambiarsi. Le si erano rotte le acque, ora avevano la certezza che non era un falso allarme, avrebbe partorito realmente e lo sapeva anche lei.
- Ehy Beckett! Puoi sempre sperare di farti 9/10 ore di travaglio così Lily nascerà domani! - Rick aveva detto la cosa più stupida che gli era passata per la mente ma voleva farla reagire in qualche modo, anche se lo avesse minacciato di sparargli.
- Castle! - urlò a denti stretti stringendogli il polso con forza.
- Era più forte questa eh? - chiese lui e Kate annuì solamente.
- Hai chiamato tua madre? Ti aspettava per questa sera alla prima… 
- Kate, mia madre sapeva che non sarei andato in ogni caso. Non ti avrei lasciata sola, nemmeno a casa.
- Ci teneva…
- Capirà, ora più che mai.
- Alexis…
- Aveva il telefono staccato. Le ho lasciato un messaggio ed ho chiamato tuo padre… Verrà qui tra poco.
- Perché Rick?
- È giusto che parli con lui un po', non credi?
- Forse sì… 
Rick rimase con Kate tutto il tempo, fino a quando Jim non bussò alla porta, circa un’ora dopo dal loro arrivo. Kate, nel vedere la faccia del padre visibilmente commossa, lo salutò con uno dei suoi sorrisi più belli. Castle li lasciò soli a parlarsi, andando fuori a cercare di contattare di nuovo Alexis e sua madre.

-  Allora Katie, ci sei quasi… - L’uomo perse la mano della figlia tra le sue, proprio mentre un’altra contrazione arrivò e lei strinse violentemente la mano dell’uomo che scoppiò a ridere 
- Che c’è papà? - gli chiese Kate guardandolo perplessa di quell’atteggiamento 
- Tua madre mi faceva più male quando sei nata tu. - Accarezzò la fronte della figlia scostandole i capelli. Non aveva mai visto la sua bambina più bella e più simile a sua moglie.
- Perché proprio oggi? - sospirò Kate
- Perché tua figlia vuole conoscerti oggi. Cos’è quella faccia Katie? Oggi deve essere il giorno più bello della tua vita, tua madre non avrebbe mai voluto che tu te lo rovinassi con pensieri tristi. Pensa quanto si arrabbierebbe!
- Già, sicuramente tantissimo.
- Sì. Incrocerebbe le braccia sul petto, poi ti guarderebbe con quello sguardo tagliente uguale al tuo, Katie. Tu a quel punto non avresti altra possibilità che darle ragione.
- Proprio così papà.
- Quindi Katie, non far arrabbiare tua madre. Oggi più che mai lei vorrebbe vederti felice. Devi essere felice bambina mia, almeno quanto lo era lei quando sei nata tu. È stata una gioia immensa che tu oggi devi goderti fino in fondo con tuo marito. Non lo dimenticherai mai.
- Lo so papà. Lo so che dovrei essere solamente felice, ma…
- Niente ma Katherine! Il modo migliore per disonorare il ricordo di tua madre è rovinarti questo momento! - suo padre difficilmente la chiamava con il suo nome per intero. Non seppe far altro che fare un cenno di assenso con la testa mentre una nuova contrazione la fece irrigidire e stringere di nuovo la mano di suo padre.
- Sarò qui fuori, passa questo tempo con tuo marito. Non lo fa vedere ma è molto agitato, anche per te!
- Lo so papà. Grazie.
Jim le diede un bacio sulla fronte e poi uscì lasciando il suo posto a Rick.

- Allora Beckett? Come va? - chiese Rick prendendo di nuovo la sua mano e baciandola.
- Un po' più forti.
- E il resto?
- È strano…
- Vorrei fossi felice, amore mio.
- Rick… lo sono.
- Sicura?
- Sì…
Si guardarono intensamente a lungo senza dirsi nulla e l’emozione prese il sopravvento su di loro. Come se in quel momento avessero resettato tutto e avessero compreso quanto stava per accadere.
- È un segno Kate, tu ci credi nel destino? È tua mamma che lo ha voluto. È la vita…
Kate annuì e ancora una contrazione la scosse. Rick avvicinò la sedia al bordo del letto per esserle ancora più vicino.
- Mi dispiace per tutte le cose che non abbiamo potuto vivere insieme. Avrei voluto una gravidanza diversa, da vivere con te in ogni momento. - Gli disse Beckett appena si fu ripresa, mentre lui le accarezzava il viso dolcemente.
- Kate, è stato tutto perfetto così.
- Non è vero Castle, non lo dire solo per farmi sentire meglio adesso! 
- Ok non lo dico. Non è stato tutto perfetto nel senso normale del termine. Però è stato nostro, quindi perfetto per noi. Abbiamo mai fatto qualcosa di normale noi?
- No, ma sarebbe ora di cominciare, che ne pensi Rick? 
- D’accordo, per i prossimi faremo tutto secondo la normalità. Tanta pratica e tutto il resto.
- I prossimi Castle? Non devi mica partorire tu tanto, vero?
- Saranno tre Kate, lo sai anche tu. Lo ha detto Doyle, ricordi? Tu senatrice e noi avremmo tre bambini, quindi vuol dire che dovremmo fare molta pratica per farne altri due.
- Te lo puoi scordare Castle.
- Non decido io Kate! È il nostro futuro che è già scritto!
- Se questa conversazione doveva servire a farmi stare meglio e a non farmi pensare alle contrazioni ti avviso non sta facendo effetto, anzi…
- Ok sto zitto. - Kate lo guardò con il suo tipico sguardo tagliente - Però pensavo… potremmo avere dei gemelli…
- Castle… Non peggiorare la situazione, ti prego. Possiamo concentrarci su di lei senza pensare a gravidanze future?
- Va bene… Ma se avessimo dei gemelli, avremmo tre figli con due gravidanze, non sarebbe splendido?
- Castle, se non la fai finita, non avremo tre figli, perchè tu sarai morto prima di vedere la nostra prima figlia.
- Oh Beckett! Non renderesti nostra figlia orfana di padre, vero?
- Non mi tentare Castle, e non darmi buoni motivi per farlo. Ora ti prego dammi la mano e dimmi che andrà tutto bene.
- Andrà tutto benissimo Kate…
- Babe, ti amo tantissimo.
- Ti amo anche io Kate.

Erano ormai passate più di tre ore da quando Kate arrivata in ospedale. L’avevano visitata un’altra volta ma anche se stava procedendo tutto bene e molto velocemente secondo le infermiere, meno secondo Kate e Castle, non era ancora abbastanza dilatata. Le consigliarono di camminare un po', così Rick la aiutò a fare dei passi fino alla finestra della sua stanza e tornare indietro. Fecero quel percorso varie volte, abbracciati, fermandosi quando Kate serrava i denti e stringeva la mano di Rick più forte, segno che stava avendo un’altra contrazione. Non aveva mai urlato, però. Manteneva il suo ferreo autocontrollo tenendosi dentro il dolore che la attraversava, come se avesse pudore di farsi vedere così anche da suo marito.
- Puoi urlare Kate, è normale lo fanno tutte. - le disse stringendola un po' più a se.
- Ce la faccio Castle. Abbiamo passato di peggio. - fece una pausa per respirare un po' più a fondo - Sai a cosa stavo pensando? Al giorno che mi hai aiutato a camminare perchè non volevo il deambulatore.
- È stato bello aiutarti e non era giusto che usassi quelle cose da malati quando potevi appoggiarti su uno degli ex migliori partiti di New York.
- Ricordati sempre ex, Castle!
Si sorrisero ancora e Rick si piegò dandole un bacio sulle labbra, ma proprio in quel momento Kate ebbe un’altra contrazione più forte delle precedenti e inavvertitamente morse il labbro di Rick così forte che sanguinò.
- Scusami… - gli disse imbarazzata
- Non ti preoccupare Beckett. Ricordami però di baciarti solo dopo una contrazione nelle prossime ore! - le rispose mentre con il dorso della mano si teneva il labbro offeso - E che non si dica che anche i padri non soffrono durante il parto!
Kate si andò a sdraiare di nuovo. Le contrazioni erano sempre più frequenti, Rick voleva chiamare un medico per controllare se era giunto il momento ma lei gli disse di no, non erano ancora abbastanza frequenti.
- Castle… ci pensi? Sta per accadere… - Rick osservò Beckett che nonostante le contrazioni ora sembrava veramente molto più rilassata ed in pace con se stessa, la trovava bellissima anche così, affaticata e segnata dal dolore, ma aveva una luce diversa ora negli occhi che le dava un senso diverso a tutto il volto: era lei ma a Castle in quel momento sembrava di più e provò un tale trasporto verso sua moglie che faticò nel trattenere le lacrime. C’era una sincera emozione nelle parole di Beckett e mai come in quel momento gli sarebbe piaciuto essere nella mente di Kate per leggere ogni suo pensiero: Rick pensava che sarebbe stata un’esperienza bellissima.
Beckett chiuse gli occhi per un po' appena passata l’ennesima contrazione. Sentiva un vortice di emozioni dentro di se che la lasciavano spiazzata. Quella paura, che pensava sarebbe stato il sentimento dominante di quei momenti, era invece solo il retrogusto di un piatto ben diverso. Era eccitata, emozionata e impaziente. Più passavano i minuti più ad ogni fitta prendeva consapevolezza di se. Pensava soprattutto a come sarebbe stato il dopo, a cosa avrebbe provato nel vederla, nel sentirla, nel conoscerla al di fuori di se. Non c’era più spazio per nessun pensiero negativo, non c’erano più giorni sbagliati o giusti perchè anche il tempo le sembrava essere diventato un concetto irrilevante, e l’unico che la interessava era quello che la separava dal loro primo incontro.  
All’improvviso poi quel tempo le sembrò sfuggire via dalle mani, correva veloce come le contrazioni che si susseguivano sempre più rapidamente e più intense e qualche gemito ora le scappava tra i denti talmente serrati che temeva di romperli. 
E poi sentiva su di se la presa sicura di Castle, le sue braccia che la sorreggevano quando il dolore era più intenso e la accarezzavano subito dopo. Lo aveva immaginato chiacchierone ed ironico invece più si avvicinava il momento più diventava taciturno e serio. Lei lo aveva accarezzato dolcemente in uno di quei sempre più brevi momenti di relax, gli aveva passato una mano tra i capelli e poi sulla guancia e Castle ci si appoggiò per sentirla meglio. Colse nel suo sguardo, il suo solito sguardo adorante di quando la fissava ed avrebbe voluto donarle il mondo se lei lo avesse voluto, emozione e paura, forse più di quanta ne aveva lei. 
Quando vennero a visitarla un’ultima volta l’ostetrica le sorrise allegramente dicendo che c’erano quasi e l’avrebbero trasferita in sala parto. 

Sola aspettava che Rick la raggiungesse, ma lei in quel momento era come in una bolla che si era costruita per isolarsi dal mondo. Anche le voci dei medici le sembravano o ovattate. Era lì in attesa di sua figlia. In quel momento le parve che per tutta la vita aveva camminato per arrivare puntuale proprio lì, a quell’appuntamento e che tutto quello che aveva fatto era stato solo per giungere lì da lei. E sapeva, in quel preciso istante, che quello era esattamente il giorno e l’ora esatta perchè lei doveva essere lì, per sua figlia che la stava aspettando.
Sentiva un dolore intenso che le dava la sensazione di dividersi a metà avrebbe voluto urlare ma si trattenne ancora dal farlo, nonostante le lacrime scendessero a rigarle il volto. Respirò profondamente. Pensò in quel momento a tutte le volte che era stata ferita, allo sparo del cecchino al cimitero, all’acqua fredda nei polmoni da non farla respirare, ai due colpi di Caleb. Quel dolore era morte. Questo dolore era vita.
Sentì un braccio intorno alle sue spalle, si girò e vide Castle con un improbabile camice e cuffia troppo piccola per contenere tutti i suoi capelli che uscivano a ciuffi lateralmente: allungò una mano per accarezzarli. Non potè evitare di ridere e rise anche lui, ed urlò per la prima volta tra le risate per quella contrazione che l’aveva colta di sorpresa non preparata a respingerla.
- Beckett ma allora sei umana anche tu! Ed io che pensavo di poter andare a raccontare in giro che avevo sposato un’alinea!
- Castle, ti preferivo serio e preoccupato!
- Non è vero Beckett, lo so! Mi preferisci così perchè mi puoi minacciare di spararmi per sfogarti! 
- Chi ti dice che sia solo uno sfogo? 
Il dottor Yedlin interruppe il loro battibecco per dire a Kate di tenersi pronta, perchè con le prossime contrazioni doveva cominciare a spingere…

 

Un saluto veloce a tutti nonostante fusi orari e viaggi riesco a mantenere le promesse, ecco il nuovo capitolo, adesso ne manca solo uno. Sayonara!

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Capitolo 5
*** CINQUE - Lily ***


Kate non seppe dire quanto tempo era passato. 
Poteva essere un attimo, un’ora o anche più, da quando il dottor Yedlin le aveva detto che era arrivato il momento e l’ostetrica le sorrideva incoraggiandola. Ma le sembrò di non sentirli più, come se comunicassero con lei da un’altra dimensione, al di fuori della sua dove c’era solo lei, isolata da tutti, anche da Castle che sentiva presente vicino a lei, sentiva il suo braccio che le cingeva le spalle e la mano stretta nella sua, sentiva che le parlava ma non coglieva nemmeno il senso di una parola, era come se fosse in un altro mondo. Non nel suo dove lei era sola e correva verso il suo appuntamento con la vita. Poi si ritrovò a spingere ed urlare, credeva almeno di averlo fatto alla fine, per un tempo che non seppe quantificare e poi più nulla. Silenzio nella sua mente, silenzio tra i medici che non la incitavano più ed anche Castle smise di parlare. Si ridestò dal suo mondo, affaticata ed indolenzita. Cercò con lo sguardo gli occhi di Rick, intento a guardare oltre, non curandosi di lei. Gli prese di nuovo la mano con forza reclamando la sua attenzione e solo ora che lui si girò per un breve istante potè perdersi in quegli occhi blu colmi di lacrime accompagnati da un sorriso gioioso e stupito che doveva essere la copia del suo. Ebbe solo il tempo di darle un bacio sfiorando appena le sue labbra. Kate avrebbe voluto prolungare quel contatto, ma entrambi furono immediatamente attirati da quel pianto squillante che proveniva poco lontano da lì. 

Castle non seppe come riuscì a tagliare il cordone ombelicale con le mani che tremavano senza riuscire a staccare lo sguardo da quel piccolo perfetto esserino che si dimenava. 
Guardò sua figlia e poi alzò lo sguardo verso Beckett e non capì ancora quale era il vero miracolo, se quella piccola vita o il fatto che fosse stata proprio lei a metterla al mondo. 
Le si era avvicinato il dottore, la stava rassicurando che la piccola stava bene e le fece i complimenti per come si era comportata, le disse che era stata fortunata per quel parto rapido, anche se a lei non era sembrato proprio così, ma ora non contava più nulla.
Rick tornò da Kate faticando ad allontanarsi da Lily. Si chinò su sua moglie e lei sprofondò la testa sul suo petto. Si sarebbero voluti dire tante cose e finirono per non dirsi nulla. Era stata tutta una questione di istanti. Rimasero così fino a quando non si avvicinò un’infermiera dando finalmente ad un’impaziente Kate sua figlia. Castle si allontanò di un passo, lasciandole il suo spazio, quando vide Kate stringerla con braccia incerte un po' goffamente e cercarlo voltandosi verso di lui, sorridendo con quel sorriso che non avrebbe dimenticato mai per tutta la sua vita. Lo diceva sempre ma quello era stato il più bel sorriso visto sul volto di Kate. Avrebbe voluto fare mille foto ma pensò solo a vivere quel momento, a guardare la perfezione di Kate che stringeva la loro bambina. Gli sembrava una scena irreale tante volte l’aveva sognata.
Lo sguardo che Kate rivolse a Castle era pieno di tutto quello che avevano vissuto per arrivare fino lì e lei era arrivata quel giorno al suo appuntamento con la vita: Lily Castle era nata poco prima delle sette di sera in ottima salute. Era un piccolo essere perfetto di poco meno di tre chili e 46cm di lunghezza.
Kate le accarezzò il viso sfiorandolo appena con un dito e Lily aprì la bocca e gli occhi esplorando il mondo e le parve, quando i suoi occhi si incrociarono con quelli di sua figlia, che non aveva mai visto nulla di più bello. Aveva smesso di piangere appena l’aveva presa tra le braccia, come se si fossero riconosciute, come se sapesse che lì, stretta al petto di sua madre sarebbe stata al sicuro da tutto quel mondo nuovo ed enorme. Le prese la piccola mano che si agitava, con le piccole dita lunghe e sottili e si stupì della forza con la quale le strinse il suo, afferrandolo saldamente senza lasciarlo.
Castle si avvicinò passando inosservato a Kate totalmente focalizzata sulla piccola accarezzò lievemente la testolina di Lily con i pochi capelli scuri. Osservò il suo profilo, il naso e le labbra e più la guardava più le pareva perfetta e uguale a Kate. Non poteva volere di più.
- Hai fatto un capolavoro Kate… - Si era preparato tante cose da dirle ma non le disse nulla di tutto quello che aveva pensato. Era tutto banale e scontato o almeno così gli sembrava davanti a quella meraviglia. Beckett si voltò verso di lui, con il suo sorriso timido per quel complimento che le pareva il più bello mai ricevuto. - … Io credo di stare sognando, Beckett - Era quasi senza fiato Castle, totalmente sopraffatto da loro che non si era nemmeno accorto dell’infermiera vicino a Kate che stava aspettando per riprendere Lily. Rick riconobbe subito, invece, lo sguardo di sua moglie quando l’infermiera le disse che doveva portare via la loro bambina e temette anche per qualche istante che si alzasse da quel lettino e le saltasse addosso rivendicando il possesso di sua figlia, ma evidentemente anche lei era troppo stanca per farlo. La lasciò infine mestamente lasciando che stringesse il suo dito fin quando il suo braccio poteva seguirla e poi fu la donna ad aprire la sua manina per lasciare andare la madre. Fu una questione di pochi istanti e pianse di nuovo e Castle pensò che veramente Kate stesse combattendo una battaglia interiore per non far valere i propri diritti, probabilmente li avesse avuti avrebbe mostrato anche pistola e distintivo per farsi ridare subito sua figlia.
- Vi lascio qualche minuto da soli. Poi ci occuperemo di lei, Kate… - disse l’infermiera prima di spingere oltre la porta la culla di Lily.

- Mi manca già… - sbuffò Kate accarezzando il volto del marito. - Ti prego Castle parla, dì qualcosa!
- Non ho parole Beckett. Non ho assolutamente parole adatte per questo momento.
Si avvicinò al suo volto cercando le sue labbra che si unirono alle proprie in un lento dolce bacio.
- Ti amo Kate. - Il sussurro uscì dalla bocca di Castle tra un bacio e l’altro.
- Ti amo anche io Rick, infinitamente. Grazie per avermi condotto fin qui. - Kate tenne il viso del marito più vicino a lei mentre gli parlava, appoggiando la sua fronte a quella di lui.
- Il più bel viaggio della mia vita Beckett. Lo farei altre mille volte. - Prese la sua mano, non ci furono strette violente questa volta, non era più uno sfogo, ma lasciò che le loro dita si intrecciassero chiudendosi insieme, stringendosi a vicenda. - Sei stata bravissima Kate. Hai visto Lily? È perfetta!
- Siamo stati bravissimi Castle.
- Sì, ma tu un po’ di più…
- Signor Castle? - La voce dell’infermiera li interruppe, facendoli allontanare e Rick cercò di ricomporsi, per quanto gli fu possibile, ma Kate afferrò di nuovo la sua mano, sentiva il bisogno di averlo vicino, almeno lui, adesso. - Se vuole può andare a vedere sua figlia, mentre noi ci prendiamo cura di sua moglie.
Diede un’ultimo bacio a Kate e poi seguì l’infermiera che lo condusse in un’altra stanza. Lì, dal vetro, potè vedere la sua bambina che si agitava e piangeva, era convinto di poter già distinguere le sue urla, sicuramente le più forti di tutti gli atri, benché venissero dal corpicino più piccolo e vedendola lì con agli altri si rese conto effettivamente che era la più minuta. 
- Avrai tempo per crescere Lily - sussurrò Castle al vetro, appoggiando una mano su quella parete che li divideva.
- Signor Castle? - Questa volta la voce che lo chiamò destandolo dall’incanto di osservare sua figlia era di un’infermiera molto giovane. Gli spiegò che appena si fossero accertati dello stato di salute di Kate, avrebbero trasferito sia lei che la piccola nella loro stanza, così come avevano concordato. Rick la ringraziò ricordandosi in quel momento che doveva tornare alla realtà, doveva avvisare subito Jim che li aspettava lì fuori e chiamare Alexis e Martha e i ragazzi al distretto e Lanie. Troppe persone da chiamare, decisamente troppe, pensò.
Corse fuori da lì, andando a cercare Jim. Lo trovò vicino alla macchinetta del caffè con una tazza in mano fumante: stava girando il liquido scuro con la palettina di legno per far sciogliere lo zucchero quando la voce squillante di Rick lo colse alle spalle.
- È nata! - Esclamò suo genero - Stanno bene!
L’uomo per poco non si rovesciò tutto il caffè addosso, guardò Castle, aveva ancora addosso il camice e quella cuffietta, Jim lo guardò stupito e Rick si rese conto in quel momento di quella scomoda roba che indossava strappandosela via senza troppa delicatezza e buttandola nel cestino. 
- È nata Jim! Sei nonno! - Castle lo ripeté come se suo suocero non avesse capito, in realtà lo stava ripetendo più a se stesso. Strinse le sue braccia così forte che avrebbe potuto alzare quell’uomo così più esile di lui se avesse voluto - Ed io sono di nuovo papà! È bellissima Jim, è uguale a lei!
- Katie? - Si preoccupò immediatamente Jim
- Sta bene! Lei è… - Rick cercò una o più parole adatte per descrivere come aveva visto sua moglie e ne trovò solo una in quel momento che gli sembrava racchiudere tutto - … è mamma.
Jim annuì, quel pensiero, quell’immagine della sua bambina lo toccava nel profondo, così come toccava Rick. Erano ancora loro due, due uomini così diversi, in un corridoio di un ospedale a piangere per la stessa persona, questa volta, però, non c’erano di mezzo pericoli e rischi, ma solo la gioia immensa per un evento così importante. Rick e Jim, due uomini uniti a doppio filo dalla stessa donna per la quale entrambi avrebbero fatto qualsiasi cosa ed ognuno sapeva che era solo all’altro che la poteva affidare, sapendo che sarebbe stata al sicuro come tra le proprie braccia. Pensavano di meritarselo quel momento, in fondo, dopo tutto quello che avevano passato. Jim sorseggiò appena il suo caffè poi lo gettò via sia per il sapore decisamente pessimo, ma soprattutto perché sentiva di non averne più bisogno. Diede due pacche sulle spalle di suo genero che annuì con quel sorriso che non lo aveva mai abbandonato. Tornarono insieme verso la stanza di Kate e poco dopo uscì un’infermiera che gli comunicò che Kate era lì con la bambina e confermò ancora una volta che stavano entrambe benissimo. Prima di andare via aggiunse che era meglio se aspettavano un po’ per entrare, concedendo a madre e figlia, qualche minuto da sole. Rick sembrava fremere molto di più di Jim per entrare, ma aveva visto Kate con Lily prima e capiva quando fosse importante per lei quel momento e, conoscendola, era sicuro che volesse quell’intimità nella quale, adesso, anche lui era di troppo. Ne approfittò per allontanarsi e prendere una boccata d’aria gelida di quella sera di gennaio che lo svegliò da quello stato di torpore nel quale era precipitato da quando sua figlia era nata e fare quelle telefonate con più tranquillità.

Erano sole. Lei e sua figlia ed era un pensiero così grande che non riusciva ancora a metterlo a fuoco. Eppure lei era lì, tra le sue braccia, tranquilla, fin troppo pensava Kate, ma Lily, che aveva sentito strillare dalla culla per tutto il tempo in cui le infermiere l’avevano aiutata a sistemarsi a letto e le avevano spiegato cosa doveva fare, si era immediatamente calmata non appena era stata adagiata sul suo petto e lei l’aveva stretta dolcemente, timorosa all’inizio di farle male con ogni gesto, ma poi si lasciò guidare dal suo istinto, lo stesso che usava per catturare i criminali pensò sorridendo di se stessa, e le venne naturale accoglierla tra le sue braccia mentre lei sonnecchiava, aprendo ogni tanto gli occhi per guardarla. Castle aveva ragione, era un piccolo capolavoro e lei non riusciva a non sorriderle mentre la guardava. Le accarezzava le manine, il piccolo naso e osservava incantata quella bocca così rossa che si apriva e chiudeva in piccole smorfie e si lasciava sfuggire qualche lamento. La sua bambina, il suo miracolo. La vedeva così piccola stretta a se e si chiedeva come fosse possibile che era stata lei a tenere insieme la sua vita, a cucire il suo passato ed il suo presente quando non sapeva più chi fosse a darle la forza di decidere di riprendersi tutto quello che era suo perché sapeva che glielo doveva. Le afferrò di nuovo il dito mentre le accarezzava la manina serrata e sentì nella forza della sua stretta la stessa decisione con la quale si era aggrappata alla vita, quando tutti era convinti che nessuna delle due ce l’avrebbe fatta, ma Kate si immaginò che era stata lei, con la sua stretta forte a tenerle sospese e non farle precipitare. Sciolse la sua presa e le sistemò i capelli scuri spostandoglieli dalla fronte, sarebbe potuta rimanere ore così: non sentiva più nulla, nè la stanchezza, nè i dolori, nè la fame, era concentrata unicamente su quella piccola persona tra le sue braccia e le sembrava un miracolo che fosse proprio sua figlia, che l’avesse fatta lei. Che lei era la sua mamma.
“Sono mamma” pensò Kate tra se e se. Non era un pensiero gioioso, era la semplice constatazione del fatto. Era una mamma. Quella parola che per anni portava nella sua vita solo malinconia e nostalgia ora aveva un significato del tutto diverso. Mamma non era solo il pensiero triste che andava a quella notte di 18 anni prima, mamma era lei, mamma era quello che sarebbe stato per sua figlia. Tutto aveva un senso diverso. Completo.

Ma c’era una paura che Kate aveva tenuto nascosta a tutti, anche a se stessa, che l’aveva tormentata nei mesi precedenti: non essere in grado di poter amare in modo assoluto sua figlia e Castle. Temeva che quel sentimento totale che provava per lui si sarebbe disgregato per fare spazio a sua figlia, rilegandolo in una parte periferica del suo cuore: da quando aveva preso tra le braccia Lily, però, sentiva che il suo cuore non si era diviso, ma era come se fosse raddoppiato, si sentiva scoppiare d’amore per la sua bambina e per suo marito, nulla era cambiato, anzi se era possibile sentiva di amare anche lui ancora di più, perché se aveva sua figlia era solo grazie a lui. Era sopraffatta dai suoi stessi sentimenti e quando Lily si mosse con più decisione tra le sue braccia ebbe quasi paura che volesse ribellarsi perché ne aveva già abbastanza di lei ed invece la vide accucciarsi contro il suo petto, strofinandosi addosso a lei o almeno così sembrava a Kate e questo la scosse ancora di più. Galleggiava in un vortice d’amore per quella bimba tanto da non riconoscersi. Le avevano detto che avrebbe dovuto allattarla quando era sveglia, ma lei sembrava ancora voler dormire, le avevano consigliato, se dormiva, di rimetterla nella sua culla, ma Kate non riusciva a separarsene. Averla lì anche a pochi centimetri le sembrava una sofferenza fisica tale che era come separarsi da una parte di se e lei lo era stata per quasi nove mesi, come poteva non soffrirne il distacco, adesso?
Sentì bussare delicatamente alla porta e sperò con tutta se stessa che non fosse qualche infermiera che le diceva di farla dormire nella culla. Adesso si sentiva abbastanza forte per impedire a chiunque di prendergliela e portargliela via, anche se via voleva dire solo a pochi passi. Sorrise pensando che era questo che Castle intendeva quando le diceva che sarebbe diventata una mamma leonessa.
Dalla porta invece apparve la figura composta e distinta di Jim, emozionato e timoroso di disturbarla. Si era chiesto, prima di bussare, se le avesse concesso abbastanza tempo sola con sua figlia prima di andare da lei. Kate quando lo vide se possibile sorrise ancora di più e lo invitò ad avvicinarsi.
- Castle sta avvisando Alexis e gli altri - Fu la prima cosa che Jim le disse. Quella comunicazione impersonale gli servì per riprendersi dalla vista della sua bambina in quella nuova veste. Kate voltò Lily verso suo padre che così potè vederla in volto e non solo la sua testolina. Aveva ragione Rick era bellissima.
- Dio mio Katie! È identica a te quando sei nata. È splendida… - Beckett arrossì mentre Jim spostava lo sguardo dalla figlia alla nipote. Non pensava che quella scena potesse riportarlo così violentemente indietro di tanti anni, ma la visione di Lily così uguale a Kate era stata traumatica per lui. Se non focalizzava lo sguardo attentamente era convinto di vedere il volto di sua moglie in quello di sua figlia che teneva la loro Katie appena nata tra le braccia.
- Papà… - Lo richiamò Kate vedendolo con quell’espressione che ormai conosceva alla perfezione, di quando sprofondava nei ricordi - La vuoi prendere in braccio?
Jim non si rese nemmeno conto cosa volesse dire per la mamma leonessa Kate quel gesto. Lo aveva fatto spontaneamente, mostrandola ed offrendola ad uno dei due uomini della sua vita. Ma Jim accarezzò prima i capelli della figlia, poi con ancora più delicatezza e la mano un po’ tremante quelli della nipotina. 
- È giusto che stia con sua madre, adesso. - Kate annuì e gli fu quasi grata di quel rifiuto perché nel momento stesso che aveva realizzato di posarla sulle braccia di qualcuno che non erano le sue aveva avuto l’istinto di ritrarsi e tenerla ancora più stretta a se.
- Avrei voluto che ci fosse… - Kate cominciò la frase, ma sua padre non gliela fece mai finire.
- Lo avrei voluto anche io. Ma sono sicuro che è felice quanto noi, in questo momento. E senza farsi vedere avrà versato anche qualche lacrima, come faceva sempre, senza sapere che io lo sapevo. - Sorrisero entrambi, poi Lily fece sentire anche al nonno la sua voce squillante. - Sarà meglio che io vada. Ci vediamo domani Katie.
- Ciao papà
Jim uscì dalla porta richiudendosela piano alle spalle. Lily adesso piangeva con più insistenza e Kate dopo un attimo di smarrimento si sedette, slacciò la sua veste, facendo mente locale sul fatto che avrebbe dovuto imparare a fare tutto con una mano sola adesso, ed avvicinò la bocca della piccola al suo seno, guidandola verso di lei, fin quando non la sentì stringerla e cominciare a succhiare voracemente e capì in quel momento che la sua vita aveva tutto un altro senso.

Rick vide Jim uscire e sembrò non capire subito il perché di quel volto tirato, quasi sofferente, si preoccupò immediatamente, ma poi il padre di Kate gli sorrise.
- Avevi ragione, è veramente splendida, identica a Katie quando è nata.
- Avevi dubbi Jim? - Gli chiese Rick molto più rilassato.
- Nessuno Rick. Penso che sia meglio che ora tu vada dalla tua famiglia. Tornerò domani. - Diede una pacca sulla spalla a suo genero e poi si avviò verso l’uscita. Castle lo seguì con lo sguardo fino a quando non scomparve dietro il corridoio. 
Mise le mani in tasca, tastando il contenuto, fece un respiro profondo e bussò alla porta di sua moglie. La voce di Kate lo invitò ad entrare e lui aprì la porta facendo inizialmente solo capolino. Vide Kate  sorridergli seduta sul letto allattare la loro bambina, per poi abbassare lo sguardo rifugiandosi su sua figlia, intimidita nel mostrarsi per la prima volta così. Rick entrò piano per non disturbarle riempiendosi gli occhi di quella scena e sentì le gambe tremare per come era emozionato. Si sedette sul bordo del letto incapace di staccare gli occhi di dosso da una e dall’altra, due amori così diversi e così forti. Era convinto di non aver mai provato in tutta la sua vita quello che stava provando in quel momento, non c’era mai stata una sola immagine che racchiudesse la perfezione dell’amore, aveva paura anche a sfiorarle temendo di rovinare quel quadro perfetto che erano Kate e Lily. 
Beckett alzò lo sguardo trovando insolitamente silenzioso lo scrittore sempre troppo loquace, piegò la testa ed arricciò le labbra guardandolo completamente imbambolato davanti a loro.
- Hey Castle? Devo chiamare un’infermiera e chiederle cosa ne è stato di mio marito, perché quello che mi hanno restituito dopo il parto è più simile ad una statua di sale. - Non raccolse nemmeno quella provocazione, si limitò ad un “Hey Beckett” per poi tornare nel suo silenzio adorante, come se non volesse interrompere quel momento sacro. Si destò dal suo torpore solo quando i suoi occhi registrarono un cambio di espressione in Kate, che sussultò appena, facendo perdere la presa a Lily, ma riconducendola subito al suo seno, che ancora una volta accolse affamata.
- Stai bene? - Le chiese Rick
- Sì, ha solo stretto un po’ troppo, non me lo aspettavo. - Provò a tenerla con un solo braccio cercando la mano di suo marito, ma aveva chiesto troppo a se stessa, sbilanciandosi e dovendo attaccarla ancora una volta. Fu lui, allora, capendo il suo bisogno del contatto fisico che si alzò e si sedette di nuovo più vicino a lei, cingendola nel suo abbraccio ed aiutandola a sostenere il leggero peso della loro bambina, formando una sorta di cerchio concentrico tutti e tre insieme. Kate accarezzava con il suo dito la mano di Lily che l’afferrò ancora mentre mangiava.
Capì esattamente in quel momento che il suo mondo era tutto lì. In quell'abbraccio forte dell'uomo che amava, in quella piccola mano che stringeva il suo dito con altrettanta forza, che le sembrava impossibile potesse nascondere un corpo così piccolo, nella vita che dava a sua figlia allattandola per la prima volta. Capì che era sì vero che quando si è innamorati tutte le canzoni hanno un senso, ma adesso non erano solo le canzoni ad averlo, ma tutta la sua esistenza, che tutto quello che aveva fatto e vissuto era stato per arrivare esattamente lì, in quel momento, stretta nell’abbraccio dell’amore della sua vita, stringendo tra le braccia la sua vita stessa racchiusa nel corpo di un’altra persona. E non c'era stato dolore troppo grande o sofferenza troppo forte che aveva attraversato che non valesse quei due piccoli occhi che la guardavano già curiosi e gli altri due blu pieni d’amore che le venerava entrambe. Si sentì piccola per contenere tutto l'amore che aveva dentro, inadatta. Si appoggiò appena a Castle seduto al suo fianco e lasciò che il suo profumo familiare si mischiasse quello che lo era già diventato altrettanto della loro bambina. Chiuse gli occhi lasciando che fossero solo gli altri sensi ad elaborare quel momento perfetto. Fu il pianto di Lily a riportarla nel mondo reale, quel pianto al quale non era preparata. Si voltò verso Rick con gli occhi che chiedevano aiuto. Lui le diede un bacio dolce sulla guancia e le sorrise.
- Non ha più fame - le disse sicuro - Credo… - aggiunse poi, per non fare quello troppo esperto davanti a lei. Ricordava come trattare un neonato, anche se erano passati molti anni. Ma di Alexis, anche quando era ancora sposato con Meredith, se ne era sempre occupato lui, anche i primi giorni, perché lei era sempre o troppo stanca o troppo dolorante per i punti o troppo impegnata nel suo recupero fisico. Allungò istintivamente le mani per prenderla ma si fermò a guardare Kate che la avvicinò a lui.
- È tua figlia, Castle! - Le disse lei come a rassicurarlo dei suoi gesti e per Kate cederla, per la prima volta, a due braccia diverse dalle sue, sapendo che erano quelle di Rick, non le provocò nessun fastidio o paura. Era il suo uomo ed aveva la loro bambina tra le braccia e tutte le idee che si era sempre fatta di Castle come ottimo padre le sembrarono ridicole davanti alla sua perfezione in quel momento. Lui così grande con quelle mani che erano in grado di accogliere quasi interamente la loro bimba e lei così piccola che quasi spariva in braccio a lui.
L’aveva adagiata nell’incavo del suo braccio mentre recuperava un piccolo asciugamano dalla culla per posizionarselo sulla spalla. Rimase incantato nel vedere Kate con il seno ancora scoperto che li osservava: fosse stato un pittore e non uno scrittore sarebbe stata l’immagine perfetta di una Madonna rinascimentale. La coprì con un dolce gesto, come a volerla preservare da sguardi indiscreti che non c’erano e lei si sentì estasiata per quel semplice gesto di suo marito che le sembrò mal celare quell’amore così intenso che sempre le dimostrava. Rick si appoggiò la piccola sul petto con la testa sulla sua spalla e camminò cullandola verso la finestra. Kate li osservava dal letto mordicchiandosi il labbro inferiore emozionata. Si alzò con fatica e sentì  tutta la stanchezza e i dolori post parto che fino a quel momento aveva ignorato, come se sua figlia fosse per lei in quel momento il miglior antidolorifico esistente. Raggiunse Castle vicino alla finestra e lo abbracciò, appoggiandosi sulla sua stessa spalla dove teneva la bambina.
- Ce l’hai fatta eh Beckett?
- Ce l’abbiamo fatta Castle.
Kate spostò una delle braccia che cingevano Rick fino a quando la sua mano sinistra non fu sulla mano di lui che copriva interamente la piccola schiena di Lily. Le loro fedi si toccarono sul corpicino della loro bambina. Avevano rivoltato ancora una volta il loro destino che li voleva vedere morti come coppia, ne erano venuti fuori, rinascendo come famiglia, finalmente in tre, più forti di ogni sorte avversa.
- Ti amo Katherine Beckett. Ogni giorno di più, anche se mi sembra impossibile, e non mi stancherò mai di dirtelo.
Kate non fece in tempo a rispondere perché bussarono di nuovo alla porta, si girarono insieme, rimanendo in quella posizione, con quella naturale sincronia che avevano da sempre, e prima che potessero rispondere la porta si aprì lasciando che il ciclone di Lanie invadesse l’ambiente.
- Ehy ragazza! Allora ci sei riuscita a sfornare il tuo capolavoro! - Disse avvicinandosi a Kate e guardando la piccola che sonnecchiava sulla spalla del padre, per poi riservare un abbraccio speciale ad una stanca ma felice Beckett
- Dottoressa grazie per la considerazione eh! - Si lamentò Castle sottovoce
- Dì un po’ dolcezza, l’hai già abbandonata alle cure del maritino?
- Ovvio! Se no perché ho scelto il miglior sussurratore di bambini libero sulla piazza, Lanie?
A tal proposito Castle fece cenno alle due di abbassare il tono della voce
- Ehy come è attento Writer Boy! - Disse a Kate mentre Rick si allontanava di qualche passo seguito dallo sguardo di sua moglie che già aveva distolto l’attenzione dall’amica per seguire i movimenti di lui con la sua bambina - Ma tu come stai?
- Stanca e tutta indolenzita ma felicissima!
- È il più bel giorno della tua vita vero Kate?
Rick sentendo quella frase senza malizia di Lanie, si voltò a cercare con gli occhi lo sguardo di sua moglie, voleva anche lui sentire quella risposta, ma soprattutto la voleva capire ancor prima leggendola sul suo volto.
- Sì, lo è. Decisamente - Il viso prima teso di Beckett che si mordeva l’interno della guancia di aprì ad un sorriso sincero. Lanie la abbracciò ancora e Kate si avvicinò al letto, capendo di aver finito la sua dose di autonomia. La dottoressa si avvicinò a Castle per vedere da vicino il piccolo miracolo che era quella bambina. Anche lei ripercorse mentalmente gli ultimi mesi, ricordava ancora vivida la sensazione del sangue di Kate passare tra le sue mani quando l’aveva trovata al loft, la sua preghiera silenziosa di non lasciarla, ancora una volta, perchè lei era forte e doveva combattere ancora. Non sapeva Lanie che quella creatura già cresceva dentro il corpo ferito della sua amica, ma la ringraziò sfiorandola appena per aver dato la forza alla sua mamma di combattere quell’ennesima battaglia per tutte e due.  
Andò poi da Kate e l’abbracciò faticando a tenere una lacrima imprigionata dal mascara e si congedò, dicendo che aveva estorto un favore ad un collega per poter andare da lei quella sera, ma che sarebbe passata il giorno dopo con Ryan, Jenny ed Esposito.

- Si è addormentata - Disse Rick dopo qualche minuto che passeggiava senza mai essere perso di vista da Kate che seguiva ogni suo movimento. La adagiò delicatamente su un fianco nella culla che avvicinò al letto di Kate, non prima di averle dato un leggero bacio sulla piccola fronte e scostato i capelli.
Si sedette poi di nuovo sul bordo del letto davanti a lei. Ad ogni mugugno della piccola entrambi spostavano lo sguardo verso la culla, come se fosse un riflesso incondizionato.
Ora Rick era finalmente libero di prenderle le mani, tenerle e stringerle come avrebbe voluto fare da prima. Perché se Lily era quella che ora monopolizzava le loro attenzioni ed il centro gravitazionale delle loro vite, Kate era sempre Kate. Non c’era per Castle in realtà una parola per descriverla, era lei e basta.
- Ti devo un ti amo da prima - Gli disse Kate sorridendo. - Ma in realtà te ne devo molti di più.
- Io me li prendo tutti Beckett!
- Allora, adesso me lo vuoi dire qual è il secondo nome che hai scelto per lei? Almeno prima che sia ufficiale e che debba inorridire? - Lo prese in giro Kate, ma fino ad un certo punto. Aveva sempre avuto uno strano gusto per i nomi e non sapeva fino a quanto l’idea di chiamare un figlio Cosmo fosse capata in aria o era serio, ma temeva la seconda. Però avevano deciso che lui avrebbe scelto il suo secondo nome, sempre che non fosse qualcosa di troppo assurdo sul quale lei poteva porre un veto.
- Hope. - Disse semplicemente Rick lasciando sua moglie a bocca aperta.
- Lily Hope Castle - Scandì Kate con il sorriso - È bellissimo, anzi no, è perfetto!
- Vuoi sapere perché? - Lei annuì, era sinceramente entusiasta di quel nome - Quando una sera stavo veramente male durante la tua amnesia sono andato da tuo padre e gli ho fatto una domanda terribile.
L’espressione di Kate era mutata, attenta e severa. Non gli aveva detto nulla di questo e nemmeno suo padre.
- Non te la prendere con lui, gli ho chiesto io di non parlartene. - Fece una pausa - Gli ho chiesto come si faceva a superare la morte della propria moglie. Io ero disperato Kate e credevo di averti persa per sempre quando tu mi hai detto di non voler ricordare di noi.
- Perché mi stai dicendo questo ora? - Non capiva Beckett perché stava riportando a galla ricordi dolori in quel momento.
- Abbiamo parlato molto con tuo padre sai? Mi ha raccontato di te e di tua madre, poi alla fine mi ha detto una cosa, che io potevo sempre avere la speranza e finchè avevo quella, niente era perduto. Hope, Kate. Tu sei qui, lei è qui. Niente è perduto.
Gli fece un cenno con la testa, lo capiva. Capiva il suo dolore, le sue paure e la sua angoscia, ma soprattutto aveva capito perché glielo aveva detto in quel momento. Per ricordare da dove erano passati per arrivare lì, per avere lei, per avere loro. Perché loro mai avevano perso la speranza in loro stessi, nemmeno nei momenti più bui, nemmeno quando tutto il mondo era contro di loro.

- Grazie Rick. - La voce di lei era sincera, quel grazie di cuore che le era uscito voleva dire molto di più, aveva un mondo dentro, un mondo che Kate sentiva necessario tirare fuori e donarlo a suo marito.
- E per cosa? - La risposta di Rick col sorriso sulle labbra, voleva dire più semplicemente un “non c’è di che”, ma aprì, invece le porte del cuore di Kate
- Per avermi aspettato per anni, per aver visto quello che non vedevo nemmeno io, per tutti i caffè e tutti i sorrisi, per aver sopportato tutte le mie sfuriate, per le tue teorie assurde che mi facevano diventare la giornata meno dura, per avermi amata quando non mi amavo nemmeno io e per aver amato anche la parte peggiore di me, per avermi fatto sentire completamente donna, amata, coccolata, sicura, protetta, per avermi donato il tuo amore e fatto scoprire quanto si può amare profondamente, per avermi fatto diventare tua moglie, per non esserti arreso, per avermi fatto diventare madre. Grazie Rick, perché senza di te, oggi non sarei qui e non sarei quella che sono. 
- Era stata una giornata decisamente carica di emozioni Beckett anche senza tutto questo. - Le disse Castle cercando di nascondere la sua commozione dietro l’ironia.
- Volevo essere sicura che fossi decisamente emozionato Castle! - Kate capì l’atteggiamento di suo marito e stette al gioco.
- Quindi mi hai detto tutte queste cose solo per portarmi al limite, non perché le pensi, giusto?
- Esattamente Castle.
- Bene, perché così non sarò obbligato a risponderti. Però… ho una cosa per te… - E così dicendo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni quella scatolina che teneva lì da quando erano usciti di casa e gliela diede.
- Rick, sai che io non ci tengo a queste cose… - provò lei a protestare.
- Io sì, e poi avrà un senso. - Replicò sicuro lui.
Kate la aprì, scoprendo il più classico dei regali costosi per quell’occasione, un anello con tre diamanti.
- È bellissimo Castle, ma non dovevi.
- Certo che dovevo! - Disse riprendendo la scatolina e sfilando l’anello, prendendo poi la mano destra di lei e facendolo scivolare lentamente - Vedi, anche questo sarà un simbolo Kate, perché la fede è il simbolo del nostro amore, ma tu ne hai altri di oggetti che sono importanti per te, che hanno un significato profondo. Perché tu sei speciale, Katherine Beckett e sono io che devo ringraziarti, perché con tutte le persone che ci sono al mondo, tu hai deciso di mostrarti per quella splendida persona che sei proprio a me. Questo anello sarà per ricordarti sempre della vita che hai creato.
Kate non resistette di più. A quelle parole scoppiò finalmente, dopo ore, in un pianto liberatorio, facendo uscire tutte quelle emozioni che dalla mattina quando si era svegliata l’avevano invasa, come se inconsciamente sapesse che per arrivare quella sera lì ad essere madre, avesse dovuto ripercorrere  quelle emozioni contrastanti, dove gioia e dolore si mescolavano insieme alla nostalgia e al rimpianto. Si fece accogliere dalla braccia di Castle bisognosa di conforto e lui la tenne lì a farla sfogare sulla stessa spalla sulla quale aveva fatto addormentare poco prima la loro piccola, accarezzandole la schiena nello stesso modo. Kate sarebbe rientrata presto nel suo ruolo di madre, ma in quel momento aveva solo bisogno delle braccia del suo uomo che la proteggevano dal mondo, come sua figlia aveva avuto bisogno delle sue. Lo baciò poi con dolcezza e lui ricambiò quel bacio con altrettanto affetto, cancellando infine dal suo volto, quelle lacrime che ancora lo solcavano.
- E’ stato veramente il giorno più bello della tua vita Kate? 
- Sì, lo è stato. - Sentì come se un cerchio durato anni si fosse chiuso quella sera. Mentre Castle si era alzato richiamato dai lamenti di Lily, Kate si sentì avvolta da una strana sensazione di benessere e di calore. Non lo disse a nessuno, ma dentro di sa sapeva che quello era un abbraccio che veniva da molto lontano, un abbraccio che le mancava da 18 anni ma che quella sera era lì con lei per avvolgere quella ragazza diventata donna e madre.
- Castle? - Lo chiamò appena vide che Lily si era addormenta di nuovo.
- Uhm? 
- Avrei veramente tanta fame e tanta voglia di cheeseburger!

 



Qualcuno aspettava questo capitolo dall'inizio di Always Again. Spero che sia stato all'altezza delle vostre aspettative e che anche il titolo di questa FF ora sia chiaro :)  Forse sono andata decisamente OOC, però a questo punto, pensare a come possano rapportarsi Rick e Kate ad una situazione del genere mi veniva veramente difficile, ho cercato di essere il più coerente possibile con la mia idea di Caskett e quelli che avevo raccontato dall'inizio.

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