STONY. La storia.

di Clakli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tony.[Intro] ***
Capitolo 2: *** New York ***
Capitolo 3: *** Convivenza ***
Capitolo 4: *** Grazie. ***
Capitolo 5: *** Steve ***
Capitolo 6: *** Il soldato d'inverno ***
Capitolo 7: *** Insieme ***
Capitolo 8: *** Fiducia ***
Capitolo 9: *** Odi et amo ***
Capitolo 10: *** Gli accordi di Sokovia ***
Capitolo 11: *** Io ci sarò ***
Capitolo 12: *** I'll find you ***
Capitolo 13: *** La resa ***



Capitolo 1
*** Tony.[Intro] ***


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Capitolo uno
Tony.[Intro]

 

La prima volta che Tony Stark  aveva sentito parlare di Steve Rogers aveva quattro anni. O almeno... Quello era il primo ricordo che aveva di quel nome. Suo padre Howard lo aveva nominato in una calda giornata d’agosto, ricordando insieme a sua madre Maria i tempi felici in cui andava a pescare con quest’ultimo. Da quel giorno,Tony aveva sentito parlare sempre più spesso di quell’uomo, fino a quando, in età abbastanza matura da poter comprendere appieno il significato delle cose –che tra l altro per lui era un’età particolarmente giovane, visto il suo sviluppatissimo quoziente intellettivo-, riuscì a comprendere che l’uomo che suo padre chiamava “Steve” – dando così un forte segnale di confidenza- altri non era che l’uomo leggenda di cui parlavano tutti,nonostante la sua prematura scomparsa: Captain America.
Tony non aveva avuto un’infanzia facile: i suoi genitori naturali lo avevano abbandonato e lasciato in una casa famiglia di Long Island, la quale diventò ben presto una proprietà della Stark Industries. Fu allora infatti che il genio miliardario Howard Stark decise di costruire una società a scopo benefico e fu allora che sua moglie vide per la prima volta il piccolo Tony, innamorandosi immediatamente dei suoi bellissimi occhi color caramello. Pregò allora suo marito di adottare quel bellissimo bambino, visto che loro non riuscivano ad averne, e fu così che Tony diventò uno Stark. Crescendo, Tony si rivelò essere un genio di grado pari al suo padre adottivo, se non addirittura di più: a soli quindici anni infatti, fu ammesso al MIT, laureandosi in soli due anni in ingegneria e fisica.Nonostante il suo temperamento forte e il suo genio però, Tony non riuscì mai a guadagnarsi l’amore di suo padre, o almeno crebbe con questa convinzione... All’età di ventun anni, Tony perse i suoi genitori in un incidente d’auto, rimanendo completamente solo, non fosse stato per il maggiordomo di casa Stark, il dolce Jarvis, che continuò a crescere Tony come un figlio,colmando così in qualche modo il vuoto che il giovane Stark si portava dentro.
Il tempo passò e Tony diventò un uomo davvero brillante, incrementando il patrimonio familiare creando nuove tecnologie e pericolose armi che smise di produrre nel momento in cui si rese conto che nelle mani sbagliate avrebbero potuto causare addirittura l’estinzione della razza umana. Dopo essere stato in Afghanistan , Stark esaminò la possibilità di aiutare il contingente statunitense e, durante una visita ad una base militare nella zona del conflitto, cadde vittima di un'imboscata rimanendo gravemente ferito dall'esplosione di una mina terrestre , trovandosi con delle schegge metalliche conficcate a poca distanza dal suo cuore. Fu allora che creò il primo
prototipo di quell’armatura che lo avrebbe portato ad essere conosciuto nel mondo intero come Iron man, l’uomo di ferro. Al centro del suo petto, lì dove le schegge della mina si erano conficcate, aveva creato un sistema di calamite che attirassero le schegge, chiamandolo reattore Arc, che poi sarebbe diventato il motore di funzionamento della sua armatura. Essere Iron man non si rivelò per niente facile, ma la vita che conduceva sembrava appagare Tony, soprattutto dopo aver scoperto di non dover vivere per forza da poligamo, innamorandosi così per la prima volta in vita sua della sua assistente Virginia Potts, che Tony amava definire “la donna della sua vita”.
La sua vita, quindi, era perfetta. Fino a quando un giorno il telefono della sua Stark Tower,una struttura enorme al centro di New York che portava impressa a lettere giganti il suo nome, non squillò.
“Jarvis rispondi” sbuffò Tony rivolgendosi all’intelligenza artificiale che aveva creato per sostituire il suo amato maggiordomo,scomparso qualche anno prima.
“Signore, il direttore Fury al telefono” fece allora l’AI al suo creatore, intento ad apportare migliorie alla sua armatura. Nick Fury era il direttore dello SHIELD, un’organizzazione spionistica e antiterroristica creata da suo padre e da altri suoi colleghi negli anni cinquanta.
Tony alzò gli occhi al cielo: “Digli che non ci sono”.
 Tony odiava che Fury si facesse vivo solo quando aveva un disperato bisogno di lui; era come se in altri momenti non lo volesse tra le scatole e che invece era pronto a chiamarlo solo quando non sapeva a chi altro rivolgersi.
“Temo di dover insistere signore, sembra davvero importante” insistette allora Jarvis.
Tony sbuffò. “Si?”’chiese quindi, premendo il pulsante di risposta del suo StarkPhone.
“Stark, mi serve che tu venga immediatamente in Norvegia. Prendi il primo volo disponibile,o vola col tuo aereo privato, non mi interessa. Ti voglio qui immediatamente” la voce di Fury era tesa e
preoccupata, ma nonostante ciò Tony storse il viso.
“ Direttore,sai che non mi piace che mi si parli così. Che fine hanno fatto le buone maniere?” chiese corrugando la fronte.
“Stark, è importante.”
“Oh immagino di si. Cosa abbiamo questa volta? Narcotrafficanti travestiti da babbuini? Donne che assorbono energia vitale da poveri uomini ignari? Psicopatici assassini che ti leggono nella
mente?”
“Stark, abbiamo trovato Rogers”
Tony smise immediatamente di fare ciò che stava facendo. Poggiò con delicatezza infinita i palmi
delle mani sul piano da lavoro,respirando a fatica. Il cuore sembrava volergli uscire dal petto e il
cervello era andato in tilt, mentre i suoi occhi schizzavano frenetici da un’armatura all’altra, calcolando quella che sarebbe stata più adatta e più veloce ad arrivare in Norvegia.
“E’ vivo?” chiese solo, mentre mille pensieri cominciavano a ronzargli per la testa.
“È congelato” fu la fredda risposta di Fury, in tutti i sensi.
Tony chiuse la comunicazione e si alzò di scatto,stringendo forte la mascella. E così lo avevano trovato. Suo padre aveva dedicato una vita intera alla ricerca di quell’uomo, da quando ormai settant’anni fa era stato dato per disperso nell’Artico, dopo aver dirottato l’aereo sul quale si trovava per evitare che quello si schiantasse sulla città di New York, dopo una battaglia col Teschio Rosso. Eppure il grande Howard Stark non era mai riuscito a trovare Steve Rogers. Si chiese se
lo SHIELD avesse mai smesso di cercarlo, e fu certo della risposta ancor prima di formulare la
domanda. Chi avrebbe smesso mai di cercare il grande Captain America, la leggenda, l’uomo che suo padre amava come non aveva mai amato suo figlio e che sicuramente lo avrebbe preferito a quello? Tony si diede dello stupido e dell’immaturo. Come poteva essere geloso di qualcuno morto settant’anni prima?! Semplice, quel qualcuno probabilmente non era morto.
E Tony sentì il bisogno viscerale di dover controllare. Il bisogno di mettere una pietra sopra
al suo passato per godersi quel roseo presente. Il bisogno di accertarsi che Captain America fosse morto. Stavolta per sempre.
 
*
Il vento sferzava gelido e cattivo sul viso di Tony, che aveva appena tolto l’armatura e ora si addentrava nell’immensa base artica dello SHIELD. Ad attenderlo all’ingresso, con il solito completo blu e un cappotto pesante che fasciava il suo corpo minuto, c’era l’agente Phil Coulson.
< Signor Stark> lo salutò questo. Sembrava nervoso e questo mise Tony sull’attenti: non aveva mai visto l’agente Coulson nervoso. Tony quindi non rispose, facendo solo un segno del capo in un accenno di saluto. Seguì l’agente all’interno e sospirò, mentre l’ascensore che avevano preso scendeva in un punto indefinito di quell’enorme base. Mentalmente Tony si chiese quanto fosse grande quell’edificio, ma non ebbe il tempo di realizzarlo, perché le porte dell’ascensore si aprirono fino a mostrare un’enorme sala bianca e anonima, in cui diversi agenti e dottori dello SHIELD lavoravano con frenesia, incapaci di restare immobili e professionali come al solito. Al centro della sala, era posizionato un enorme blocco di ghiaccio,accanto al quale c’era il comandante Fury e l’agente speciale Maria Hill. Quest’ultima alzò lo sguardo e lo posizionò su Tony, facendo un segno impercettibile a Fury, il quale si girò di scatto, storcendo per un attimo il viso, probabilmente a causa dell’espressione indecifrabile che ritrovò sul volto di Tony.
 < Stark.> lo salutò quindi il Comandante facendogli un cenno in direzione del blocco di ghiaccio.
Nonostante il freddo che regnava in quella sala, Tony sentì i palmi delle mani sudare. Si avvicinò con circospezione al blocco di ghiaccio, rimanendo pietrificato nel momento in cui i suoi occhi si depositarono su quest’ultimo.
Il capitano Steve Rogers era esattamente come Tony l’aveva immaginato. Certo, in realtà aveva già visto delle sue foto e delle pellicole che suo padre conservava gelosamente nel suo laboratorio, eppure la vista di quell’uomo immenso, completamente immobile avvolto nel ghiaccio, lo stupì ugualmente. Non poteva avere più di trent’anni, la sua pelle era perfetta e il suo viso sembrava disegnato. Tony si concesse qualche minuto per osservare in religioso silenzio il suo corpo perfetto e muscoloso, le sue mani strette a pugno alla fine di due braccia possenti abbandonate lungo i fianchi e il suo viso, ancora il suo viso, con la mascella dura ma allo stesso tempo delicata, perfetta, e le sue ciglia bionde che coprivano due occhi che, Tony lo sapeva, erano azzurri come il mare d’estate. I suoi capelli corti erano tirati all’indietro, completamente composti, non fosse stato per un ciuffo ribelle che scendeva sull’ampia fronte giovane.Sul suo petto riposava indisturbato l’enorme scudo di vibranio a strisce bianche e rosse con una stella blu al centro creato da suo padre.
< Impressionante,vero?> chiese quindi l’agente Coulson, in attesa di una qualche parola da parte di Tony. Era raro, infatti che il miliardario non avesse qualcosa da dire. Tony aveva sempre qualcosa da dire. Ma non quella volta. Era come se il suo cervello si fosse ghiacciato come il corpo del capitano che si ritrovava di fronte, e Tony si sorprese di desiderare solo che quel blocco di ghiaccio scomparisse, così da poter conoscere l’uomo al suo interno e verificare di persona se era davvero così eccezionale come suo padre aveva sempre detto.
Dopo quelle che parvero ore, Tony si diede un tono, tornando professionale per quanto possibile. < Come avete intenzione di scongelarlo?> chiese quindi a Fury.
< Questo ce lo deve dire lei, signor Stark. L’abbiamo aspettata appositamente, anche se diversi dottori hanno già fornito le loro opinioni.>
Tony sorrise. < Beh, immagino che qualche phon o un forno per pizze non siano stati presi in considerazione> disse quindi, notando un sospiro di sollievo da parte dell’agente Coulson: Tony era tornato il solito sbruffone di sempre.
< Cosa propone?> chiese quindi l’agente Hill,ignorando del tutto la sua battuta.
Tony non dovette riflettere neanche un secondo per rispondere. < Una vasca di due metri con propulsori di correnti di aria calda e cloruro di sodio creato ormai quarant’anni fa da mio padre nell’attesa di questo giorno. Dovrò cercare un po’ in cantina, ma immagino che con un po’ di impegno potrò farvela recapitare domani mattina alle dieci e quindici.>
Fury lo guardò stupito. < Vuoi dire che tuo padre aveva già creato un metodo di scongelamento umano? Senza parlarne con lo SHIELD?> Il passaggio dal “lei” al “tu” segnò una fase storica nel rapporto tra il comandante e il miliardario.
Tony rise di gusto nel vedere l’espressione sorpresa di Fury, sicuro che una cosa del genere non sarebbe ricapitata tanto presto. < Oh, una macchina di scongelamento umano? No, perché avrebbe dovuto.Una macchina di scongelamento per Captain America? Certo che si! Il caro vecchio Howard sapeva che il bel fusto qui era caduto da qualche parte nell’Artico, solo che non lo ha mai trovato, disperandosi per tutta la sua vita e non rendendo facile quella di chi gli stava intorno. Sarò felice di mandarvi anche i suoi studi in merito al siero del supersoldato che, secondo i calcoli di mio padre, avrà impedito la cristallizzazione dei fluidi organici del qui presente Capitan Ghiacciolo.Secondo i suoi calcoli basteranno due giorni in quella vasca e vi ritroverete tutti con la leggenda nuovamente tra i piedi, in carne ed ossa. Oh, se solo mio padre fosse qui, pace all’anima sua! Scommetto che ora si sta ribaltando nella tomba a vedermi qui al posto suo!> disse quindi, senza smettere di ridere. Quello era il suo modo per stemperare la tensione e per far passare in secondo piano il fatto che avesse mostrato a quegli agenti quanto in realtà anche lui si era preparato alla cosa, studiando a fondo le carte di suo padre e perfezionando la vasca nella quale sarebbe stato immerso Steve Rogers. Non l’avrebbe mai ammesso, ma anche lui si preparava da tutta la vita a quel momento.
Così, dopo aver lanciato un ultimo sguardo non curante al blocco di ghiaccio, Tony si voltò, pronto ad andarsene.
< Dove credi di andare?> chiese quindi Fury,avanzando verso di lui.
< A casa> rispose semplicemente Tony. < Devo perfezionale l’ultimo Mark e rodare la nuova armatura. Ma sono sicuro che ci rivedremo presto,comandante.Agenti> disse quindi, in cenno di saluto verso la Hill e Coulson.
< Non resta qui? Non vuole…conoscerlo?> chiese quindi l’agente Coulson,stupito.
Tony si irrigidì. < Come ho già detto, sono sicuro che ci rivedremo presto.> E così dicendo se ne andò via, indossando l’armatura e partendo a velocità della luce,cercando di mettere più distanza possibile tra lui e il suo peggior incubo.
 
Nota dell'autrice: Sono particolarmente legata a questa coppia, che amo da tempo immemore. Ho avuto però l'ispirazione per scrivere una storia, solo dopo Civil war, in quanto ero alla ricerca di una vera e propria interazione tra i due personaggi che fosse prettamente personale, senza figure di contorno. E quale momento migliore se non la Civil War per affrontare una storia Stony? Grazie per aver letto fino a qui, spero di avervi incuriosito almeno un po'! A presto!

 

 

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Capitolo 2
*** New York ***


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Nota dell'autrice: Ebbene si, ho deciso di farvi un piccolo regalo e di postare prima dello scadere della settimana. In questo capitolo, il 90% dei dialoghi è tratto dal film "The Avengers". Questa scelta non è dovuta a mancanza di idee o cose simili, ma proprio per seguire quella che è LA VERA STORIA di Tony e Steve così come descritta nei film. Perchè - anche se tutti fanno di tutto per non confermarlo- la Stony esiste ed è praticamente canon! Detto questo...buona lettura!

Capitolo due

New York

La prima volta che Tony Stark conobbe Steve Rogers fu l’anno dopo il suo ritrovamento. In quel periodo Tony stava sperimentando dei modi per cercare di utilizzare al meglio l’energia eco-sostenibile,aiutato dalla sua bellissima fidanzata Virginia “Pepper” Potts,ormai diventata presidente e amministratrice delegata delle Stark Industries. Fu in un caldo pomeriggio che l’agente Phil Coulson si presentò alla Stark Tower senza essere invitato, eludendo i protocolli di sicurezza di Jarvis con una deliziosa sfacciataggine che non dispiacque a Tony più di quanto diede a vedere.

< Phil!> lo salutò quindi Pepper, non appena lo vide.

< Phil? Da quando lo chiami così? Non si chiama Agente?> chiese Tony sarcastico, quando lo vide arrivare.

< Signor Stak, signorina Potts> li salutò quest’ultimo senza scomporsi minimamente. < E’ richiesta la sua presenza allo SHIELD, signore. A quanto pare, il Tesseract è stato rubato da una forza aliena>

Il viso di Tony si indurì in un istante, e questo non sfuggì a Pepper, che si mise sull’attenti al suo fianco. Il Tesseract era un cubo cosmico di origine asgardiana, uno dei gioielli di Odino che si era rivelato uno strumento pericolosissimo nelle mani dell’Hydra. Uno strumento che scomparve quando Captain America lo disperse tra i ghiacciai poco prima di scomparire e che fu ritrovato da Howard Stark in persona, durante le ricerche nell’Artico del capitano. Suo padre l’aveva affidato allo SHIELD ed ora quegli idioti l’avevano perso.

Phil Coulson porse a Tony un laptop e quest’ultimo alzò gli occhi al cielo: < Odio che mi si porgano le cose>  disse.

Pepper sorrise con fare accondiscendente a Coulson < A me invece piace tanto, facciamo uno scambio > rispose quindi prendendo il laptop dalle mani di Coulson per depositarlo poi nelle mani di Tony, non prima di avergli rubato il bicchiere di champagne che il suo compagno stringeva tra le mani.

Tony prese il laptop e lo appoggiò alla sua scrivania. < Non capisco cosa ci faccia qui, Coulson. Il progetto Avengers era stato respinto,ed io non ero nemmeno consigliato. Sembra che io sia instabile,egocentrico e scostante con gli altri >.

Pepper rise. < Mai cose più vere furono dette.>

L’agente Coulson rimase fermo nella sua posizione. < Abbiamo bisogno di lei, signore. Captain America è già alla ricerca dell’asgardiano che ha rubato il Tesseract,così come l’agente Romanoff. Servono rinforzi.Barton è compromesso.>

Nel momento in cui fu fatto il nome del capitano, il cuore di Tony fece un balzo, premendo le schegge contro il reattore Arc in modo violento.

< Bene. Non facciamoli attendere, allora.> disse Pepper, guardandolo negli occhi. < Non puoi abbandonarli ora, Tony. Ti prometto che al tuo ritorno…> e si avvicinò al suo orecchio, dicendogli cose sconce che era convinta avrebbero fatto sì che il miliardario non potesse rifiutare. E infatti Tony si lasciò convincere facilmente. Attese che Pepper andasse da sua madre e si rintanò tutta la notte nella sua officina, con l’intento di mettere in funzione l’ultimo Mark che aveva creato. Mille pensieri si affacciarono nella sua mente, tra cui il viso di quel giovane uomo che aveva visto solo un anno prima ricoperto da quintali di ghiaccio. E così l’indomani avrebbe conosciuto Captain America. Non seppe se quella fastidiosa sensazione che aveva al cuore era nervosismo o qualcosa di diverso, ma non vedeva l’ora di scoprirlo.

 

*

< Stark, dove diavolo sei?> La voce di Fury era fastidiosa e rimbombava nella sua armatura rendendolo ancora più nervoso.

< In un fantastico bistrot sulla novantatreesima, a mangiare ciambelle.> fu la risposta ironica di Tony. Fury sbuffò e, così, Tony continuò. < Sono in volo, sto arrivando> disse quindi. Attivò i propulsori di dietro mettendoli al massimo e si lanciò con disinvoltura sul cielo di Stoccarda. Fu allora che vide il Quinjet dello Shield e, così, si ricollegò sulla frequenza ricetrasmittente dei suoi colleghi, inserendo la canzone Shoot to Thrill degli AC/DC.

< Agente Romanoff, ti sono mancato?> chiese quindi, notando che in quel preciso istante anche gli occhi del Capitano, che stava lottando con l’asgardiano al centro della piazza, si erano sollevati fino ad incontrare la sua armatura lucente.

Con un tonfo sordo atterrò a terra, lanciando per aria l’asgardiano che cadde all’indietro contro degli scalini.

< Fa la tua mossa, piccolo cervo>  disse quindi, guardando l’extraterrestre, il quale alzò entrambe le mani in segno di resa. < Bella mossa!> concluse Tony, soddisfatto.

In quel preciso istante una figura lo affiancò alla sua sinistra, annaspando impercettibilmente.

< Signor Stark> lo salutò quindi Captain America, rivolgendogli così per la prima volta la parola.

< Capitano> rispose Tony, cercando di mantenere la calma e l’indifferenza.
Il Quinjet si abbassò fino a toccare terra e Natasha Romanoff scese velocemente andandogli incontro. < Come al solito non risparmi le entrate trionfali, Stark> gli disse con aria di rimprovero, anche se sul suo viso si poteva scorgere benissimo un accenno di sorriso.

< E’ sempre un piacere farsi salvare da te, agente Romanoff> rispose Tony,ironico.

< Non riuscivo a colpirlo, si muoveva in continuazione> fu la risposta sulla difensiva della donna. < Capitano, tutto bene?> chiese poi, volgendo lo sguardo alle spalle di Tony.

< Mai stato meglio> disse quest’ultimo, sorpassandoli in direzione del Quinjet, con il prigioniero asgardiano. < Allora, andiamo?> chiese precedendoli.

L’agente Romanoff e Tony lo seguirono in silenzio. Non appena decollarono, Tony si ritrovò accanto al Capitano, guardandolo ogni tanto di sottecchi e chiedendosi cosa pensasse in quel momento. Quando si erano incontrati, Rogers l’aveva salutato, il che voleva dire che sapesse chi fosse. Si domandò ingenuamente se il capitano si fosse reso conto della sua somiglianza con suo padre. Tony,infatti, nonostante non fosse il figlio naturale di Howard, gli somigliava tantissimo. Forse quella somiglianza era dovuta al fatto che Tony, per cercare di compiacere in tutti i modi suo padre, lo aveva sempre imitato in tutto e per tutto, cercando di essere superiore a lui non solo mentalmente, ma anche fisicamente. E in questo, ne era sicuro, ci era riuscito.

< E’ inquietante> disse il capitano all’improvviso, mettendo Tony sull’attenti. Che si fosse accorto del modo convulsivo con cui lo guardava?

< Cosa?> chiese allora, preso dal panico che però riuscì a mascherare.

< L’asgardiano, è inquietante.> rispose il capitano, facendo sospirare Tony per il sollievo.

< Oh, il rockettaro molto arrendevole.>

< Non sembrava tanto arrendevole. Picchia molto forte> rispose quindi il Capitano, facendo un’affermazione che non sembrava avesse bisogno di contraddizioni.

< Anche tu sembravi al quanto brioso per essere un attempato. Qual è il segreto? Pilates?> chiese allora, senza smettere di essere serio, anche se in realtà Tony si stava divertendo un mondo.

< Cosa?> chiese il capitano, guardandolo per la prima volta negli occhi.

Il cuore di Tony fece una capriola e finalmente capì cosa ci trovava di tanto affascinante suo padre in quell’uomo. Non erano le sue spalle larghe, i suoi bicipiti muscolosi, il suo viso da ragazzino di Brooklyn e nemmeno i suoi modi di fare all’antica. O almeno, non era solo quello. Il motivo di tanto fascino erano i suoi occhi. Due pozze azzurre profondissime, in cui era impossibile risalire una volta caduto all’interno. Tony deglutì. < E’ come la calistenia. Ti sei perso delle cose, mentre eri Capitan Ghiacciolo> rispose allora, alzando le spalle con nonchalance.

Quella era stata la loro prima conversazione e fu subito chiaro ad entrambi di non starsi particolarmente simpatici. Le cose si complicarono anche quando conobbero il resto dei super eroi che avrebbero lavorato con loro, tra cui Bruce Banner, un intelligentissimo dottore che aveva la particolarità di trasformarsi in un mostro verde di proporzioni abnormi quando si arrabbiava e Thor, il dio figlio di Odino e fratello di Loki, l’asgardiano che aveva rubato il Tesseract. All’inizio fu molto difficile collaborare tra scetticismi vari e paura di confronti,ed il rapporto tra Tony ed il capitano non faceva altro che peggiorare.  Come quella volta in cui Tony instillò nei suoi compagni il dubbio sull’utilizzo del Tesseract da parte dello SHIELD.

Il capitano, ligio al dovere e abituato a prendere ordini, si oppose subito alla sua indole ribelle.

< Fury non mi aveva detto che saresti venuto!> sbuffò un giorno, in direzione di Tony, il quale si chiese perché mai Fury avrebbe dovuto dirgli qualcosa su di lui. Tony non riusciva a capire da cosa derivasse quell’astio così profondo che il capitano sembrava nutrire nei suoi confronti. Insomma, il suo odio era giustificato…In fondo quell’uomo rappresentava tutto ciò che lui non era stato agli occhi di suo padre, e non serviva certo uno strizzacervelli per capirlo. Ciò che Tony non capiva,invece, era perché il capitano odiasse così tanto lui.

< Ci sono molte cose che Fury non ti dice. In fondo è una spia. Anzi, lui è la spia. Persino i suoi segreti hanno segreti!> gli rispose Tony.

< Abbiamo degli ordini, dobbiamo obbedire!> ringhiò quindi il capitano, avvicinandosi con fare minaccioso al miliardario.

< Obbedire non è nel mio stile.> rispose Tony, semplicemente.

< E per te conta solo lo stile, vero?> chiese quindi il capitano, cattivo.

Tony sbuffò dalle narici. < Delle persone qui dentro chi è che A) indossa una tuta luccicante e B) non è utile?> rispose allora Tony,alzando un sopracciglio e soffermandosi a guardare più del dovuto l’armatura a strisce di Captain America, migliorata e rimodernata da Phil Coulson in persona.

Il capitano aveva abbandonato a gran passi la sala, per evitare di attaccare ulteriormente briga, e Tony si era rivolto al dottor Banner, con cui invece aveva da subito instaurato un bel rapporto. < Quello è il tipo di cui mio padre parlava sempre?Forse era meglio tenerlo surgelato!>

I giorni trascorsero lenti, e Tony si ritrovò a dover attuare una convivenza forzata con i suoi compagni sulla Helicarrier, un enorme portaerei dotata di una tecnologia sofisticata in grado di alzarsi in volo dall'oceano e di mimetizzarsi rendendosi invisibile, in attesa che Loki facesse la prima mossa. Finalmente,poi, qualcosa si successe.

Come al solito la battuta di uno dei due, in futuro non avrebbero ricordato neanche chi, portò ad un nuovo scontro tra Iron Man e Captain America.

< Toglimi le mani di dosso!> ringhiò il capitano, dopo che Tony gli aveva poggiato una mano sul braccio muscoloso, facendo una battuta.

< Oh, ti è per caso venuto qualche livido?>

Il capitano strinse i denti. < Già. Sei grosso con l'armatura. Tolta quella che cosa sei?>

Tony sorrise. < Un genio, miliardario, playboy, filantropo.>

Anche Natasha Romanoff alzò un sopracciglio ammirata.
< Conosco uomini modesti che valgono dieci volte te. Ho visto i filmati, l'unica cosa per cui combatti è te stesso. Non sei il tipo votato al sacrificio, che si stende sopra un filo spinato perché gli altri lo scavalchino.>

< Io il filo spinato lo taglierei.> rispose Tony, con finta naturalezza,ma in realtà colpito da quelle parole così dure.
< Sempre una via d'uscita! Forse tu non sei una minaccia ma ti conviene di smetterla di giocare a fare l'eroe > buttò fuori il capitano.
Tony rise. < Un eroe? Come te? Sei un esperimento di laboratorio, Rogers, tutto quello che hai di speciale è uscito da un'ampolla.> Improvvisamente l’odio verso quell’uomo diventò ancora più forte. Ma cosa diavolo gli prendeva? Non si rendeva conto che se ora era Capitan Leggenda era anche e soprattutto grazie a suo padre?
 < Metti l'armatura: divertiamoci un po'!> ringhiò ancora il capitano.

Tony gli si avvicinò pericolosamente al viso, nonostante una decina di centimetri li separasse. < Non ho paura di picchiare un vecchietto!>

In quel preciso istante una forte bomba esplose, scaraventandoli a terra l’uno addosso all’altro.

In lontananza si sentì la voce di Fury che gridò

E così il capitano si alzò velocemente e disse: < Metti l’armatura!> ma questa volta non c’era sfida alcuna nelle sue parole, solo un vago senso di preoccupazione.

< Si!> rispose allora Tony, inciampando mentre un nuovo bombardamento fece vibrare lo Helicarrier. Il capitano lo afferrò al volo per un fianco, scortandolo e riparandolo col suo corpo fino a quando Tony non raggiunse la stanza dove riposava indisturbata la sua armatura.

< Va sul retro, ci vediamo lì> disse quindi il miliardario al soldato, guardandolo negli occhi. E per un attimo Tony credette che quello non volesse lasciarlo, non da solo, non sotto attacco. I suoi occhi blu lo guardarono apprensivi, e solo quando Tony disse: < Arrivo subito!> questo sembrò convincersi a lasciarlo.

Fu una sensazione strana per Tony, quella di avere qualcuno che si preoccupava per lui in battaglia. Certo, c’era Pepper, c’era sempre stata Pepper. Ma la sua fidanzata non era con lui sul campo, e per quanto si sforzasse non poteva capire cosa significava essere nel vivo dell’azione, e Tony sperò che non dovesse mai scoprirlo, in cuor suo.

La battaglia fu distruttiva all’ennesima potenza,e Tony per poco non rischiò di rimanere schiacciato dall’Helicarrer che stava cercando di riparare in volo dopo che una bomba aveva fuso uno dei quattro motori. Era stato proprio il capitano a salvarlo, alzando prontamente una leva che poco prima Tony gli aveva indicato, salvandolo. Quella strana alchimia che si creò in battaglia sembrò mutare impercettibilmente il rapporto tra i due uomini, che ora invece di farsi la guerra, preferivano starsene seduti a scrutarsi in religioso silenzio, dopo aver appreso della morte prematura dell’ agente Coulson, assassinato da Loki. Mentre Fury faceva loro una ramanzina su come lo spirito di squadra fosse importante e su quanto fosse deluso dall’andamento del progetto Avengers, Tony si alzò dal tavolo rotondo e se ne andò, sentendosi incredibilmente in colpa per la morte dell’agente, che ormai aveva imparato a considerare un amico.

Steve Rogers entrò nella stanza, appoggiando i fianchi alla ringhiera dell’Helicarrer e incrociando le braccia al petto.

< Era sposato?> chiese a Tony, riferendosi all’agente Coulson.

< No, si frequentava con una violoncellista, credo> rispose Tony, senza alzare lo sguardo, torturandosi però le mani.

< Mi dispiace> disse allora il capitano.

< E’ stato uno stupido!> sbottò Tony, alzando per la prima volta lo sguardo.

Il capitano gli si avvicinò. < E’ stato uno stupido per essere morto per qualcosa in cui credeva?> chiese quindi.

< E’ stato uno stupido per aver affrontato Loki da solo!> ringhiò Tony, senza prendersela davvero con nessuno.

< Non hai mai perso un soldato?> chiese dunque il capitano, con naturalezza.

< Noi non siamo soldati!> sbottò Tony. < Tutto questo è personale. Pensaci, ci ha colpiti proprio qui, in una base dello SHIELD. Perché?>

< Per dividerci > rispose allora il Capitano.

< Divide et impera, sì... certo, ma sa che deve eliminarci per vincere, giusto? È questo che lui vuole: vuole sconfiggerci e vuole esser visto mentre lo fa... vuole un pubblico!>

< Esatto, come ha fatto a Stoccarda!> si illuminò il capitano.

< Sì, era la prova generale e questa... questa è la prima, e Loki è una diva a tutti gli effetti: vuole fiori, vuole parate, vuole un monumento costruito in cielo col suo nome sopra...> Il miliardario si fermò, nello stesso istante in cui il capitano alzò il sopracciglio,lanciandogli uno sguardo divertito come a dire: “già, mi ricorda proprio qualcuno”

<…figlio di puttana!> imprecò allora Tony, capendo in quel preciso istante che il prossimo obiettivo sarebbe stata proprio casa sua.

La battaglia di New York fu una delle più sanguinose a cui Tony avesse mai preso parte. E fu anche quella che gli avrebbe lasciato i più grandi danni mentali di cui lui avesse mai sofferto. Gli Avengers si ritrovarono a combattere contro un esercito di extraterrestri, i Chitauri, richiamati dallo spazio da Loki, che grazie ad una breccia nel cielo sopra la Stark Tower, aveva aperto un portale di collegamento tra il mondo terrestre e quello alieno.Gli Avengers dimostrarono di essere altamente qualificati e soprattutto affiatati, almeno sul campo di battaglia. Nessuno mise in dubbio sin dal primo momento che gli ordini poteva darli una sola persona: scelta che ricadde inevitabilmente sul capitano Rogers, il quale aveva lo spirito del comandante che solo un uomo del suo tempo avrebbe potuto possedere. La lotta fu stremante, e spesso Tony si ritrovò fianco a fianco col capitano, combattendo come se fossero un’unica persona, soprattutto quando i suoi propulsori andavano a scontrarsi sullo scudo del capitano, creando un forte getto di energia in grado di eliminare dozzine di avversari contemporaneamente. Ma la battaglia sembrava non avere fine, a causa dell’enorme breccia nel cielo, dalla quale continuavano a scendere imperterriti migliaia di Chitauri. Il consiglio di amministrazione dello SHIELD, superando la giurisdizione inferiore di Fury, decise allora di sganciare una bomba sopra New York, per eliminare quegli esseri ed evitare un’invasione mondiale. Ma l’agente Romanoff era rientrata in possesso del Tesseract, attraverso il quale sarebbe stato possibile chiudere il portale. Purtroppo, però, il missile dello SHIELD era già stato lanciato, e così Iron Man chiese all’agente Romanoff di non chiudere ancora il portale, confessando ai suoi colleghi l’intenzione di portare quel missile all’interno del portale, prima di chiudere definitivamente il collegamento tra il mondo terrestre e quello alieno.

< E’ un viaggio di sola andata, Stark.> Tony sentì nell’auricolare la voce preoccupata del capitano, che sembrava implorarlo di non fare follie.

< Tieni il resto per il ritorno, Jarvis> rispose allora Tony, ignorando il capitano e parlando con la sua AI e dirigendosi verso il portale con il missile sulle spalle.

< Signore, chiamo la signorina Potts?> chiese allora Jarvis, e Tony sospirò rassegnato.

Ma il cellulare di Pepper squillava e lei non rispondeva, troppo impegnata a preoccuparsi per il suo uomo mentre guardava con sguardo assorto il televisore, che mandava in diretta mondiale le immagini della battaglia.

Tony lanciò il missile nello spazio e fece giusto in tempo a vederlo esplodere, quando la sua armatura smise di funzionare e lui cominciò a precipitare verso la Terra, riuscendo a passare attraverso il portale che si stava richiudendo giusto in tempo.

Poi, tutto diventò buio.

Non seppe quanto tempo era passato, ma sentì solo il ringhiare forte di Hulk e il suo fiato caldo sul viso, che lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto, portandosi una mano metallica al cuore. < Uh! Che paura! Cos'è successo? Ditemi che nessuno mi ha baciato!> disse quindi, quando si rese conto che Hulk, Thor e soprattutto il Capitano, erano raccolti intorno a lui. La mano del capitano era ancora posata sulla sua armatura, era inginocchiato accanto al suo corpo abbandonato a terra, e sorrise come un bambino, quando lo vide aprire gli occhi. < Abbiamo vinto> disse semplicemente, sospirando per la felicità.

< Ah. Oh, sì, evviva! Beh, ottimo, ragazzi. Domani non andiamo al lavoro. Prendiamoci una giornata. Avete mai provato lo shawarma? C'è un posto che fa lo shawarma a due isolati da qui. Non so cosa sia, ma voglio provarlo.> disse allora Tony.

Il capitano scrollò la testa divertito e lo aiutò ad alzarsi, finendo così per scontrare il suo petto con quello dell’uomo di ferro.

< Non provare mai più a farmi preoccupare in questo modo, signor Stark!> gli disse allora il capitano, sussurrando impercettibilmente al suo orecchio.

A Tony venne un brivido lungo la schiena, e cercò i suoi occhi blu, perdendosi al loro interno ancora una volta. < Ci proverò, Capitano> promise.

 

Nota finale: Nel prossimo capitolo ne vedrete delle belle, esplorerò tutto quello che non ci hanno mostrato nei film e l'evolversi del rapporto dei nostri super eroi preferiti. So...stay tuned!

 

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Capitolo 3
*** Convivenza ***


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Capitolo tre

Convivenza
 
 
Un buco nero. Un urlo silenziato. La galassia, e poi nient’altro. Buio. Una sensazione di vuoto che ti attanaglia lo stomaco e il senso di smarrimento.
Tony si svegliò di colpo, annaspando. Aveva gli occhi sbarrati per la paura e il cuore che batteva forte, mentre le spine conficcate nel suo petto facevano pressione sul reattore Arc.
< Tony…> la voce di Pepper.
Si girò, Tony, alla sua destra, e la trovò lì, i grandi occhioni blu che lo guardavano spaventata. < Scusa tesoro, torna a dormire> le disse quindi, alzandosi.
Ma Pepper ovviamente non lo ascoltò. Lo seguì giù per le scale, fino alla sua officina, lì dove ogni notte da ormai un anno Tony trascorreva le ore buie.
< Pepper, davvero, sto bene. Sali a dormire> disse esasperato.
Pepper si guardò intorno spaesata. Era una settimana che non scendeva in quell’officina, e ciò che vide la spaventò non poco. < Tony… Queste…queste…> balbettò indicando le quarantadue armature che affollavano la grande officina di Tony.
< Oh, non sono nulla, non badarci.> disse quindi, mortificato. In realtà Tony non era stupido, sapeva benissimo che tutto quello che stava passando non era normale. Ma era troppo orgoglioso, troppo un duro per ammetterlo davanti alla donna che amava.
< Tony, tu non stai bene. Hai bisogno d’aiuto. Domani chiamo l’agente Romanoff, magari passa a darti un’occhiata > affermò quindi Pepper, senza smettere di guardare il suo compagno.
< Io… Non ho bisogno di nessuno, Pepper,davvero. Ti prego. Devi fidarti di me> la supplicò allora il milionario, pregandola con gli occhi.
La donna gli andò incontro e lo abbracciò,stringendolo come un bambino tra le sue braccia. < Torniamo a letto, Tony. Sono settantadue ore che non dormi>
E così dicendo lo trascinò nuovamente di sopra, finendo però col fare tutto tranne che dormire.
I giorni trascorrevano lenti e Tony non riusciva a dormire. Ormai viveva nell’officina della sua villa a Malibù, quella che aveva ormai preso il posto della Stark Tower, la Torre di New York che era stata distrutta durante l’attacco alieno. Tony la stava facendo ristrutturare,senza smettere di pensare ad un modo per utilizzarla in futuro. Dopo la venuta dei Chitauri, gli Avengers avevano lavorato insieme in un altro paio di missioni contro l’Hydra, e contro le più grandi organizzazioni terroristiche mondiali, riportando risultati straordinari quanto spaventosi, viste le morti civili che purtroppo si portavano dietro durante le battaglie. Ma ciò che li faceva andare avanti era la convinzione che, molto probabilmente, senza il loro intervento, il numero dei morti si sarebbe duplicato, se non addirittura triplicato. E così il progetto Avengers era andato in porto, e Tony era una delle sue colonne portanti. L’altra colonna portante, non la sentiva e non la vedeva da ormai due mesi. Il capitano Steve Rogers attualmente si trovava a Washington DC, o almeno quella era l’ultima notizia che gli era pervenuta. Si erano visti qualche mese prima, in missione, e come al solito avevano litigato prima della battaglia. Tony ormai non ci faceva neanche più caso, sembrava scontato, parte del loro rapporto, discutere. Andava a finire sempre così:come una coppia di fidanzati litigavano e poi facevano pace, solo che invece di fare l’amore loro si fondevano sul campo di battaglia, rischiando l’uno la vita per l’altro. Tony si comportava così con tutti i suoi compagni, così come il capitano, sempre pronto a difendere tutti e a prendersi una pallottola al posto di chiunque. Eppure, Tony lo sapeva e ormai non lo negava neanche più a se stesso, c’era qualcosa di diverso tra loro. Ogni volta che scendevano in battaglia, Tony sentiva la necessità viscerale, fisica, di assicurarsi che il capitano stesse bene. Quando non poteva combattergli accanto, lo guardava dall’alto, come un angelo custode senza ali. Non riusciva a comprendere ciò che provava nei suoi confronti, e questo lo mandava in bestia. Aveva iniziato odiandolo, ed il loro rapporto si era evoluto a tal punto che Tony preferiva sapere lui al sicuro, piuttosto che chiunque altro. Una volta, in battaglia, questo lo aveva pesantemente condizionato. Il capitano era in una situazione particolarmente difficile, e Tony non ci aveva pensato due volte a correre in suo aiuto. Cosa al quanto normale, non fosse stato per il fatto che,nel farlo, aveva lasciato scoperto il fianco destro di Barton, provocandogli un braccio rotto e una commozione cerebrale.
A causa di quella piccola “distrazione”, aveva avuto un rimprovero di proporzioni cosmiche da Fury e dai suoi colleghi.Da tutti, tranne che dal capitano, che sembrava incapace di guardarlo negli occhi, profondamente imbarazzato per l’accaduto.
Solo quando si trovarono soli, dopo qualche giorno, il capitano gli si era avvicinato e, mettendogli una mano sulla spalla, aveva sussurrato un timido < Grazie> prima di allontanarsi senza guardarlo negli occhi. E Tony, allora, si era sentito la persona più felice del mondo.
Trascorse un altro mese, e la situazione non mutò. Tony continuava a non dormire, e quelle poche ore che dedicava al sonno per non morire di stanchezza, erano popolate da incubi fatti di creature aliene e di morti strazianti dei suoi compagni. La situazione era diventata talmente insostenibile che anche Pepper, che lui prontamente allontanava, si era ormai rassegnata, cercando di trascorrere più tempo possibile fuori casa per evitare di assistere alla fine dell’uomo che amava. Un giorno,come ogni giorno,Tony si trovava nella sua officina, trascorrendo il tempo tra i suoi macchinari come se nulla fosse, sopravvivendo, piuttosto che vivendo.Era stanco, e lo si poteva scorgere facilmente dai suoi occhi arrossati e dalle sue labbra piene ma screpolate. Si annotò mentalmente il desiderio di un caffè, e chiuse gli occhi, mentre nella mano destra stringeva un macchinario di sua creazione per impianti sottocutanei.  
< Sequenza impianto micro ripetitori completata!> disse quindi, parlando con Jarvis.
L’AI sembrava l’unico compagno di vita in quel periodo così folle. < Signore, il suo caffè è pronto. Posso ricordarle che sono ottanta ore che non dorme?> gli chiese quindi Jarvis.
Tony alzò gli occhi al cielo e si posizionò in piedi, dinanzi alle sue armature. < Il sonno è per i deboli di cuore, Jarvis.Voglio provare il nuovo Mark. Su,abbassa la testina.> disse quindi, ordinando al suo maggiordomo di mettere in funzione il disco in vinile sul giradischi.
< Signore, vorrei farlo, ma il Capitano Rogers e l’agente Romanoff sono all’ingresso della villa. Li faccio entrare?>
Tony alzò la testa di scatto, mentre un sussurro spontaneo uscì dalla sua bocca. < Steve> sibilò piano.
< Si signore, e con lui c’è anche l’agente Romanoff> ripetè Jarvis.
Tony si morse forte il labbro inferiore e si alzò dal piano di lavoro. < Falli entrare. E manda Mark 32 ad accoglierli> disse.
Dopo qualche minuto, il Capitano e l’agente Romanoff, preceduti da una delle sue armature, erano fermi davanti alla vetrata della sua officina. Il Capitano non sembrava particolarmente a suo agio, visto che una macchina robotica li aveva appena accolti in casa al posto del suo padrone, e questo fece sorridere Tony impercettibilmente.
< Stark, apri questa diavolo di porta!> sbottò quindi l’agente Romanoff, facendo gestacci nella sua direzione.
< Jarvis> sospirò rassegnato Tony, e subito dopo le porte dell’officina si aprirono.
< Ehilà! Qual buon vento vi porta qui? Siete in viaggio di nozze?> chiese allora, squadrando i due colleghi soffermandosi sulle loro mani sinistre in cerca dell’anello,accertandosi che quella che aveva appena fatto fosse solo una battuta.
< Simpatico come sempre, Stark> parlò finalmente il capitano, e Tony si rese conto con frustrazione di quanto la voce di quest’ultimo gli fosse mancata.
< Stai creando un esercito personale?> chiese quindi Natasha Romanoff, puntando lo sguardo sulle decine di armature che affollavano l’officina.
< Oh beh, non si può mai sapere. Non sia mai che un esercito di alieni ci attacchi all’improvviso. Ah no, è già successo!> disse quindi Tony, sorridendo. < Cosa posso offrirvi? Caffè, whiskey, coca cola? Ovviamente tutto rigorosamente senza ghiaccio, capitano. Immagino che tu ne abbia abbastanza di acqua solidificata.>
Il capitano alzò gli occhi al cielo, ma sul suo viso si stagliò un accenno di sorriso che fece scaldare il reattore Arc di Tony. < Un bicchiere d’acqua andrà benissimo. Con ghiaccio, grazie> rispose quello, stando al gioco.
< E per te, Nat?> chiese quindi Tony.
< Sto bene così, Stark, grazie> rispose la donna, senza smettere di guardarsi intorno.
< Bene, hai sentito ferro vecchio? Un bicchiere d’acqua con le bollicine e con tanto ghiaccio per il capitano!> Tony si stava divertendo, un mondo.
Un piccolo macchinario si avvicinò al capitano, porgendogli un bicchiere d’acqua. Il soldato allungò la mano per prenderlo e rimase sconvolto quando si rese conto che il macchinario portava un cappello con la scritta “Somaro”
< Fai bene a guardarlo così, Cap. Se lo merita quel cappello. Non si è comportato per niente bene ieri notte!> esclamò quindi Tony.
Il capitano preferì non chiedere cosa avesse potuto mai fare un macchinario per meritarsi quel trattamento, piuttosto puntò le iridi blu nelle pozze ambrate ed altrettanto profonde di Tony, scrutandolo con attenzione.
< Ti trovo…> iniziò, titubante.
< … una vera schifezza.> concluse per lui l’agente Romanoff, sedendosi accanto al miliardario. < Che cosa stai combinando Stark? Quanto tempo è che non dormi?>
< Ottanta ore e ventiquattro minuti> rispose per lui Jarvis, senza essere interpellato.
< Brutto traditore> borbottò Tony, alzandosi e cominciando a girare per la stanza. < Allora? Cosa vi porta qui, miei prodi compagni?> chiese allora, cercando di sviare l’attenzione da qualsiasi altra parte che non fosse sé stesso.
< Abbiamo appena concluso una missione, e Fury ci ha mandato a controllarti. Dice che sono mesi che non ti fai sentire e che non rispondi alle sue chiamate> rispose allora il capitano, prontamente.
Ma lo sguardo interrogativo che la Vedova nera lanciò al capitano non sfuggì a Tony, che sorrise. < Fury,eh? Strano, ci siamo sentiti proprio qualche ora fa>
Un silenzio imbarazzante scese tra i tre, al che Natasha sbuffò. < Oh, per l’amor del cielo. Puoi anche dirglielo che eri preoccupato per lui e che sei voluto venire per controllarlo!> sbottò quindi, in direzione del capitano, il quale arrossì senza neanche rendersene conto.
< Oh, è così? Eri preoccupato per me, Rogers?> chiese allora Tony, e nella sua voce si lessero con chiarezza curiosità e lusinga, che lui non si preoccupò neanche di nascondere.
< E non avevo torto, a quanto pare. Sei uno straccio,Stark. Sono preoccupato.> ammise quindi, alzando lo sguardo per incontrare ancora una volta quello del miliardario, che ormai aveva il cuore a vento.
< Beh, potresti restare qui per un po’, allora. Magari per distrarmi con la tua disarmante simpatia!> rispose quindi Tony, ironico.
< Non mi sembra una cattiva idea> affermò il capitano, serio. < Credi che la signorina Potts sarebbe d’accordo?> chiese allora, subito dopo.
Tony lo guardò sgranando gli occhi. Non gli sembrava possibile che il capitano avesse davvero accettato di restare con lui. Per lui.
< Io… Io… Si, immagino di si. Tra l’altro non è molto il tempo che Pepper trascorre in casa,ultimamente…> ammise quindi, abbassando la testa imbarazzato.
< Benissimo, ora che avete trovato un accordo pre-matrimoniale, io posso anche ritirarmi!> disse quindi Natasha, alzandosi. < Stark, non è che potresti farmi accompagnare a New York? Ho delle faccende da sbrigare. >
< Si, certo. Chiamo subito il mio pilota. Sarai lì in meno di un’ora, te lo assicuro.> disse quindi Tony, alzandosi ma rendendosi conto in quello stesso istante di avere le gambe molli.
Quella sera, quando Pepper rientrò a casa, rimase scioccata dalla scena che le si parò davanti agli occhi. La donna, infatti, rimase ferma sull’uscio della porta della cucina, intenta ad osservare un uomo alto e biondo ai fornelli e il suo compagno, perfettamente immobile e seduto a tavola, che osservava l’uomo cucinare. Il televisore in sottofondo raccontava le news della giornata.
Tony si accorse dopo qualche secondo della donna, e infatti quando il suo sguardo incrociò quello di lei, le sorrise con fare rassegnato.
< Ciao tesoro. Come puoi notare… abbiamo ospiti!> disse.
L’uomo ai fornelli si girò e la guardò, un accenno di sorriso sul bellissimo viso.
< Buonasera signorina Potts> disse andandole incontro. Indossava una camicia bianca aderente e un pantalone beige che avvolgeva le sue gambe incredibilmente muscolose.
Pepper lo riconobbe subito. < Buonasera capitano Rogers> disse allora, afferrando la mano che l’uomo le porgeva.
< E’ un piacere conoscerla. Ho sentito tanto parlare di lei>  esclamò il capitano, sorridendo. Tony si chiese da chi mai avesse sentito parlare così tanto di Pepper, visto che lui l’aveva menzionata si e no due volte, da quando si conoscevano.
< Ed io di lei. Tony non fa altro che parlare del grande Captain America!>
< Ah,davvero?> chiese allora il capitano, lanciando uno sguardo divertito a Tony. < Spero bene.>
< Puoi astenerti dal rispondere, tesoro.> disse quindi Tony, alzandosi e cingendo con un braccio i fianchi della sua compagna. < E’ andata bene la giornata?> chiese, baciandole una tempia.
Il capitano si allontanò, lasciandoli un attimo di privacy, e Pepper ne approfittò per guardare Tony con aria interrogativa. Lui alzò gli occhi al cielo, come per dire “E’ una storia lunga” e l’accompagnò a tavola. < Il capitano aveva voglia di cucinare. Non so cosa sia riuscito a fare, visto che Jarvis mi ha detto che il frigo era praticamente vuoto> disse.
< Ti ricordo che sono stato in guerra. So come arrangiarmi con poco> rispose il capitano, sorridendo mentre continuava ad armeggiare ai fornelli. < Mi dispiace per l’invasione, signorina Potts, ma ero di rientro da una missione e ho deciso di venire a controllare come stava Tony> disse allora il capitano. Era la prima volta che Tony si sentiva chiamare da lui col suo nome di battesimo, e quella cosa gli fece uno strano effetto che, ancora una volta, non riuscì a decifrare.
< Capitano, se riesce a far star seduto Tony in una stanza che non sia la sua officina per più di dieci minuti, allora può invadere questa casa ogni volta che vuole. Come ha fatto a convincerlo a mangiare come una persona normale, a proposito?> chiese allora Pepper, divertita.
< Già, capitano. Dì a miss Potts come hai fatto!> sbottò Tony.
< L’ho minacciato di rompere un paio di armature se non fosse venuto a cena, signorina.> rispose quindi il capitano, palesemente divertito.
Anche Pepper rise, e Tony per un attimo dimenticò i suoi demoni, gli alieni, il fatto che lui fosse Iron man e che il mondo era in costante pericolo, un pericolo che lui e poche altre persone dovevano neutralizzare quasi ogni giorno. Per un attimo, Tony si godette quella splendida sensazione di essere una persona normale, circondato da due delle persone a cui teneva di più al mondo. Perché in fondo lo sapeva, era proprio così.
La serata trascorse in tranquillità, tra una chiacchiera e l’altra e tra le continue frecciatine di sfida tra Tony e il capitano, che ormai Pepper chiamava senza alcun ritegno Steve. Il fatto che quei due andassero così d’accordo, fece sorridere Tony interiormente. Avevano diverse cose in comune, Pepper e Steve,come ad esempio il fatto di essere entrambi molto autorevoli,  sicuri di sé e incredibilmente importanti per Tony.
< Vieni capitano, ti mostro la tua stanza!> disse Tony, quando Pepper non nascose più la sua stanchezza, esprimendo il desiderio di voler andare a letto.
< Si, prima lavo i piatti e poi andiamo> rispose il capitano, alzandosi da tavola. Pepper e Tony si guardarono, ridendo.
< Ci pensa Jarvis, capitano. Vieni, avanti> lo esortò allora Tony, costringendolo a seguirlo al piano di sopra.
I due colleghi camminavano in silenzio, l’uno dietro all’altro, fino a quando Tony non si fermò davanti ad una porta chiusa. < Bene, questa è la stanza degli ospiti.> disse poi, aprendo la porta. La stanza era enorme e un letto grandissimo faceva da padrone al centro di essa.
< Che spreco!> esclamò sotto voce il capitano, sorridendo appena.
< Come hai detto?> chiese quindi Tony, offeso.
Gli occhi blu del capitano si depositarono in quelli color caramello del miliardario, e la sua espressione divertita fece sciogliere il cuore di Tony. < Riflettevo ad alta voce, Stark. Pensavo che questa stanza è davvero uno spreco, per me. Sai, io non dormo molto: ho avuto settant’anni per farlo. E poi, dormo a terra.> concluse, con un alzata di spalle.
Tony lo guardò confuso. < Dormi a terra?>
< Beh, si. In guerra non avevamo letti, si dormiva al massimo su delle brande dure come il marmo. E quindi una volta abituato al pavimento, il letto sembra una distesa di marmellata.> spiegò
< Beh, se vuoi dormire a terra fa pure. Sei liberissimo di fare ciò che vuoi, Cap Floor> mormorò Tony.
Il capitano alzò gli occhi al cielo ed entrò nella stanza. < Grazie, Stark.> sussurrò, facendo per chiudere la porta.
< Grazie a te, Cap> rispose Tony, lanciandogli un’ultima occhiata mentre questo si chiudeva la porta alle spalle.

Nota dell'autrice: Perdonate se vi ho fatto attendere...questo capitolo è pieno di feels ma il seguente lo sarà ancora di più quindi...Stay tuned! :D

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Capitolo 4
*** Grazie. ***


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Capitolo quattro

Grazie
 
 
Il palazzo crollò come budino sotto l’attacco di Hulk, e decine di persone si buttarono dalla finestra, pur di non rimanervi all’interno. Le polveri della strada si sollevarono in una grossa cortina di fumo, rendendo impossibile guardare qualsiasi cosa. Quando il fumo si dissolse, finalmente lo vide. Era steso a terra, immobile, tra le macerie. Con un tonfo spense i propulsori e lo raggiunse, correndo come poteva, nonostante l’armatura pesante.
< Steve!> disse allora, prima in un sussurro, poi gridando forte. < Steve!> Ma il capitano non si muoveva. Dal suo elmetto scendeva sangue a fiotti, e così Tony glielo tolse, prendendo tra le mani la sua testa intrisa di rosso. < Steve.> ripetè in un sussurro. < NOOO!> urlò poi disperato, mentre le lacrime bagnavano i suoi occhi.
E poi, improvvisamente, Tony si svegliò. Aveva le braccia strette attorno al cuscino e gli occhi veramente bagnati di lacrime. Ci mise qualche secondo a realizzare che quello era stato l’ennesimo incubo. Si girò a pancia all’aria e guardò alla sua destra. Pepper era ancora lì, dormiva beata. Così, riposizionò gli occhi verso il soffitto, una mano sul reattore Arc e l’altra chiusa a pugno lungo il corpo, cercando di riprendere fiato. Solo in quel momento realizzò che Captain America era in casa sua. Sentì il bisogno viscerale di controllarlo, giusto per verificare che quello che aveva appena fatto fosse solo un brutto sogno. Si alzò dal letto e si infilò velocemente una canotta sul pantalone della tuta, chiudendosi poi la porta alle spalle. Percorse l’intero corridoio e poi si fermò davanti alla porta della stanza degli ospiti. Si chiese se il capitano stesse dormendo e se fosse il caso di controllare. Poggiò la mano sulla maniglia, ma poi ebbe il buon senso di tirarla indietro, scrollando la testa. Abbandonò la folle idea di disturbarlo e scese giù, prendendo le scale che portavano all’officina. Inserì il codice identificativo e aprì la sua stanza, l’unica nella quale si sentiva davvero a casa.
< Buona sera Jarvis> disse.
< Buona nottata a lei, signore. Noto che ancora una volta non è riuscito a dormire> gli rispose l’AI.
< Già…> borbottò quindi Tony, sedendosi al tavolo da lavoro. < Rivediamo per un attimo insieme il Mark 51, Jarvis, ti va?>
Tony lavorò per un po’ in silenzio, fino a quando Jarvis non lo interruppe di nuovo.
< Signore, il capitano Rogers è fuori la sua officina.>
Tony alzò la testa ed incontrò lo sguardo neutro del capitano, il quale alzò la mano destra,nella quale reggeva una tazza con il logo delle Stark Industries.
< Dio buono, e adesso cosa c’è? Aprigli> imprecò il meccanico.
< Ti ho preparato un caffè!> esclamò quindi il capitano, entrando e sedendosi proprio di fronte a lui. < Che ci fai in piedi? Sono le quattro di notte>
Tony fece una smorfia. < Figurarsi. Il tempo è relativo per uno come me, Rogers.>
< Il tempo non è relativo per nessuno, Stark. Fattelo dire da uno che si è perso settant’anni di vita e che a quest’ora avrebbe dovuto essere morto> disse quindi il capitano, posando la tazza accanto al braccio di Tony. Quest’ultimo la afferrò e sorseggiò il liquido scuro. < E’ buonissimo!> esclamò quindi, guardando il soldato ammirato.
< E’ fatto a mano con la moka. Tutta un’altra storia. Senza offesa, Jarvis> proferì guardando verso l’alto.
< Non accolta, capitano> rispose prontamente l’AI.
< Perché sei sveglio?> gli chiese allora Tony, sulla difensiva.
< E’ impossibile dormire quando tu ti aggiri per casa. Nessuno ti ha detto mai che hai la grazia di un elefante? In guerra ti avrebbero trovato subito,altro che trincee. E comunque, il tuo pavimento è più scomodo di quanto sembri. E così mi sono alzato e ti ho fatto quello> disse indicando il caffè che Tony stringeva ancora tra le mani.
< Beh, grazie Rogers. Ma ora puoi tornartene a letto,o sul pavimento, o dove vuoi. Ho da lavorare.> sbuffò quindi il miliardario.
< Io me ne vado, ma solo se tu mi prometti che domattina verrai a correre con me. O meglio, tra qualche ora.> rispose prontamente il capitano.
< A correre? Sei matto? A che mi serve correre? Io ho un’armatura, cazzo!>
< Linguaggio, Stark! Linguaggio!> lo ammonì il capitano.
Tony rise. < Linguaggio? Fai sul serio?>
< Sono serissimo. Così come sono serissimo quando ti dico che domani tu verrai a correre con me. Preparati, non accetto scuse!>
< E perché mai dovrei stare a sentirti?>
Il capitano si alzò, e appoggiando le braccia sul piano da lavoro mormorò: < Perché ti fa bene!> E così dicendo se ne andò dalla stanza,senza aggiungere altro.
Tony lo guardò allontanarsi senza voltarsi, mentre la sua figura perfetta si muoveva sinuosa e silenziosa su per le scale. Con un movimento fulmineo si portò le mani tra i capelli, in un gesto di disperazione.  Non riusciva proprio a capire tutte quelle emozioni contrastanti che lo invadevano. Un attimo voleva schiaffeggiare il capitano e stenderlo a terra con un pugno ben piazzato –impresa assolutamente impossibile, vista la sua preparazione atletica- e l’attimo dopo avrebbe voluto stringerlo tra le braccia, cercando di trasmettergli tutta la gratitudine che provava in quei momenti. Non riuscì a capire bene quando i suoi sentimenti verso quell’uomo erano cambiati, ma lo avevano fatto. Non aveva mai provato una sensazione così forte, se non con quando c’era in ballo Pepper e, ancora prima, suo padre. Gli esseri umani non facevano per lui, lui era l’uomo delle macchine e dei dispositivi elettronici. Tutto ciò che aveva un cuore pulsante e vivo comportava problemi, e Tony lo sapeva bene. Eppure quell’uomo all’antica stava scavando nel suo cuore senza ritegno, facendosi strada in un posto che Tony credeva fosse troppo piccolo da occupare per una sola persona, figurarsi due.
Eppure, poche ore dopo, aveva indossato una tuta ed era corso in cucina, dove aveva trovato ai fornelli il capitano.
< Potrei assumerti come ragazza alla pari, Rogers, visto che ti piace tanto la mia cucina.> disse quindi, appoggiandosi allo stipite della porta e osservando l’uomo mordendosi il labbro inferiore.
< Inutile che ti chieda dove tieni la farina, vero Stark?> chiese quello senza cogliere la battuta.
< Lo scaffale in basso a destra, signore, accanto al lavabo> rispose Jarvis prontamente.
< Grazie> rispose il capitano abbassandosi.
Tony arrossì violentemente, distogliendo lo sguardo dal suo posteriore. E questa novità da dove veniva fuori? Quando mai era arrossito a vedere il sedere di un uomo?
< Uhmmm che profumino!> esclamò Pepper, abbracciando Tony da dietro e facendolo sobbalzare. < Buongiorno!>
< Ciao Pepper!> esclamò il capitano, sorridendo.
< Volevo informarvi che oggi partirò per Hong Kong e sarò di rientro tra una settimana!> disse la donna, sorridendo ai due uomini.
< Come? Parti? Così,all’improvviso? Perché non ne so niente?> esclamò Tony, in preda al panico.
< Calma, campione. Abbiamo un affare da concludere con i cinesi e non riuscivo mai a trovare il momento buono per lasciarti solo. Ma ora, visto che solo non lo sei, posso partire.> così dicendo si avviò verso il capitano, abbracciandolo con sincera affettuosità. < Ti prenderai tu cura di lui, Steve? Lo prometti?>
< Parola di boy-scout!> rispose quello, sorridendo.
< Già,ci mancava> sbuffò Tony alzando gli occhi al cielo.
Pepper si avvicinò a Tony e lo baciò di slancio, mettendo il miliardario in una strana situazione di disagio. < Ti mancherò?> gli sussurrò all’orecchio, mordendogli il lobo.
< Tremendamente> gli rispose allora questo, puntando gli occhi sulla schiena del capitano, che dava loro le spalle. Ancora una volta tremendamente riservato!
Non appena Pepper partì, i due uomini uscirono. Il sole splendeva nel cielo, riflettendosi sull’acqua del mare, blu e profonda come gli occhi di Steve.
< Questa spiaggia è bellissima> disse quindi il capitano,alzando il viso e facendosi così baciare dal sole.
< Già, è mia> rispose Tony con nonchalance.
< E’ tua?>
< L’ho comprata!> fu la semplice risposta del miliardario, che ne approfittò dello stupore del capitano per avvantaggiarsi nella corsa. In meno di un secondo, però, l’uomo fu al suo fianco.
< Vediamo cosa riesci a fare, Iron Man!> lo prese in giro il soldato.
Neanche il tempo di finire la frase che era già ad un centinaio di metri di distanza da Tony.
< Esibizionista> sbottò quest’ultimo scrollando la testa, ma sorridendo.
Il tempo trascorse così, in maniera piacevole. Le ore passavano e i due uomini diventavano sempre più uniti, nonostante i continui battibecchi inutili e il continuo stuzzicarsi a vicenda. Era una cosa che mandava Tony fuori di testa, ma che al tempo stesso stava cominciando ad amare. Un giorno, mentre erano seduti in un bistrot in riva al mare a pranzare, Tony guardò negli occhi il capitano.
< Rogers, devo chiederti una cosa.> disse serio.
Il capitano per poco non si strozzò con l’acqua che stava bevendo. < Dovresti vedere la tua faccia, Stark. Non stai mica per chiedermi di sposarti? Sai che sono un tipo all’antica, prima dovresti chiedere il permesso alla famiglia.>
Tony alzò gli occhi al cielo, ma infine sorrise. < La cosa che sto per chiederti mi costa molto di più di quanto tu immagini, quindi ti prego di fare la persona seria.>
Il capitano si raddrizzò sulla sedia e posò le mani incrociate sul tavolo davanti a sé. < Dimmi>
Tony abbassò lo sguardo. < Vedi, il fatto è che…sono senza guardia del corpo, attualmente. A Pepper non piace che qualcuno giri per casa in stato di allarme. Se non ho l’armatura, sono un bersaglio facile per rapitori, terroristi e chiunque altro. Se tu potessi…?>
Steve sorrise. < Sarò più che felice di impartirti un corso intensivo sull’arte della difesa, Mr Stark. Era questo che avevi paura di chiedermi?>
< Non so se l’hai capito, Cap, ma sono un tipo abbastanza orgoglioso. Difficilmente chiedo aiuto a qualcuno>
< Ma non mi dire> rispose il capitano, alzando un sopracciglio. < Quando vorresti iniziare?>
< Boh…adesso?>
Il capitano sorrise, ma non rise. E questo fu un buon segno, voleva dire che non aveva intenzione di prenderlo in giro, cosa molto temuta da Tony.
Il giorno dopo erano già nella palestra nella stanza accanto all’officina di Tony, ormai inutilizzata da mesi, posizionati l’uno di fronte all’altro.
Steve indossava solo un pantaloncino, lasciando così scoperto il suo fisico da superdotato, cosa che non passò inosservata a Tony, che sentì lo stomaco contrarsi nel momento in cui l’uomo iniziò a muoversi nella sua direzione. Tony, dal canto suo, indossava il suo solito pantalone della tuta ed una canottiera nera che metteva in risalto il reattore Arc.
< Sposta le gambe all’indietro mentre ruoti il busto, così> soffiò il capitano, mentre con il braccio parò un colpo che Tony stava per affondare nelle sue costole. < Niente male per essere un soggetto da scrivania, Stark>
< Io,uhm…gioco molto a tennis> rispose Tony, spostandosi giusto in tempo, evitando così un colpo in pieno viso.
< Uh,huh. Tennis. Vedo.> esclamò il capitano spostandosi di lato per parare un altro colpo. < Sei in forma sorprendentemente buona! Ottimo, bel colpo d’accompagnamento!>
< Grazie prof!> esclamò Tony, assestando un ultimo colpo sul fianco del capitano, facendolo cadere a terra. < Oh mio dio, Steve, stai bene?> chiese quindi, avvicinandosi preoccupato.
Steve alzò lo sguardo e incrociò due occhi profondi ricchi di preoccupazione, così sorrise. < E’ la prima volta che mi chiami per nome> disse.
Le budella di Tony si attorcigliarono.
Quella sera, a cena, non parlarono molto. Si limitarono a guardare il telegiornale, che parlava di un nuovo attacco terroristico rivendicato da un tipo che si faceva chiamare “il Mandarino”. Tony strinse i pugni sul tavolo, nervoso. < Dobbiamo fare qualcosa> mormorò quindi, sovra pensiero.
< Si, dobbiamo. Mi sembra assurdo che Fury non ci abbia ancora convocati.> borbottò Steve, pensieroso.
< Ehi capitano…Steve…volevo dirti una cosa.> disse Tony, all’improvviso.
< Uhm, siamo in vena di confessioni in questi giorni, eh signor Stark?> lo prese in giro Steve.
Tony sorrise. < Vedi, il fatto è che… Voglio ringraziarti. E’ da quando sei qui che mi sfinisci talmente tanto, con i tuoi modi di fare, con i tuoi allenamenti, che finalmente la notte riesco a dormire. Non so se te ne sei reso conto, ma immagino di si>
Steve si limitò ad annuire, sorridendo. < Tu che mi ringrazi. Questa si che è bella. Tony, quando mi sono risvegliato in quest’epoca,non avevo nessuno. Niente. Tu mi hai dato uno scopo, qualcosa a cui appartenere… mi hai dato una casa>
Le parole di Steve colpirono Tony nel profondo, e così si sentì obbligato ad essere sincero, completamente. < In realtà all’inizio ti odiavo. Mio padre ti adorava come un dio, ed ogni volta che facevo qualcosa, anche di buono, il paragone era inevitabile. Sei sempre stato il figlio che avrebbe voluto, e molto probabilmente anche più di questo. Sei sempre stato l’uomo che avrebbe voluto essere. Ed io ti odiavo, Cristo se ti odiavo. Ma poi qualcosa è cambiato ed ora… Ora siamo amici. Posso definirti così, Steve? Un amico?>
Il sorriso di Steve si allargò ancora di più. < Certo Tony, siamo amici > disse con un tono che non ammetteva repliche. Poi, il suo viso si indurì. < E così Howard non è stato un buon padre> sussurrò, la delusione piena nei suoi occhi.
< Oh, ci ha provato, a modo suo. Ma più passava il tempo più si spegneva. Non era tagliato per certe cose. Non era un genio nei rapporti interpersonali. Un po’ come me.> ammise.
Steve scrollò la testa. < In realtà, Tony, non so che tipo di vita abbia avuto Howard dopo la mia scomparsa, ma posso assicurarti che era una persona fantastica, uno dei miei più cari amici. E tu me lo ricordi molto, in tutto. E fidati se ti dico che non è una cosa negativa.>
Il cuore di Tony sembrò riempirsi di nuovo, dopo tanto tempo che era stato vuoto.< A parte,ovviamente, la tua insopportabile arroganza e presunzione. Quelle penso che nessun essere vivente le abbia sviluppate come te!>
Risero insieme, di gusto. < Touchè!> rispose il miliardario.
< Dimmi una cosa, Tony. Il tuo disturbo da stress post traumatico è dovuto a ciò che abbiamo affrontato a New York?> chiese il capitano, serio.
< Si.> ammise Tony. < Tutto è cambiato dopo New York. Vivi esperienze al limite, e tutto finisce senza spiegazioni. Alieni, dei, ed io sono solo un uomo di latta>
< Un uomo di latta che ora ha anche un po’ di esperienza nella lotta corpo a corpo> lo incoraggiò Steve.
< Già…Vedi, devo proteggere l’unica cosa senza la quale non vivrei…Pepper. Per questo non faccio altro che costruire armature, nell’evenienza che un altro attacco del genere possa colpirci> spiegò.
Steve lo guardò dritto negli occhi. < Ti capisco. Anche io farei di tutto per proteggere la persona che amo>
In quel preciso istante, l’imbarazzo creatosi venne interrotto dalla suoneria polifonica di un cellulare. Il capitano prese dalla tasca il telefonino e Tony alzò gli occhi al cielo, non appena vide il vecchio modello, passato di moda e non più in uso da ormai quindici anni.< Oh mio dio, ricordami di regalarti uno Stark Phone, più tardi!>
Il capitano rispose, ignorandolo < Si. Si. Si, sono a Malibù. E’ qui accanto a me. Va bene.> chiuse la chiamata e si alzò. < Era Fury, ha una missione per me. Devo partire immediatamente>
< Faccio preparare l’aereo> rispose quindi Tony, seguendolo al piano di sopra. < Farò spedire le tue cose a Washington, non preoccuparti.>
Steve si girò a guardarlo, fermandosi dal riempire il suo borsone da viaggio con le cose indispensabili. < Ora cosa  farai?> gli chiese.
< Oh, un po’ quello, un po’ questo. Probabilmente darò la caccia a questo “Mandarino”>
< Promettimi che starai attento e che non farai cose avventate> lo ammonì il soldato.
Tony alzò gli occhi al cielo. < Mi conosci, sai che non sono il tipo che fa promesse da marinaio> rispose col suo solito sorriso sghembo. Seguì il capitano al piano di sotto. < L’autista ti porterà subito al mio aeroporto, è qui fuori che aspetta. Fa buon viaggio, Steve> gli disse porgendogli la mano.
< Ci vediamo presto, Tony> rispose quindi quello, attirandolo a sé in un abbraccio che lasciò Tony confuso e abbandonato. Ancora una volta, solo.  

 

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Capitolo 5
*** Steve ***


Nota dell'autrice: Buongiorno splendori e buona domenica! Scusate tanto per la lunghezza ( o meglio cortezza :P) di questo capitolo, ma sono del parere che certe volte la qualità sia più importante della quantità, e poi prometto che mi farò perdonare. Volevo ringraziarvi tanto per essere sempre presenti e numerosissimi nella lettura dei capitoli, per me è davvero importante. E niente, ora vi lascio...godetevi questi due patati che ci fanno letteralmente sognare! Un abbraccio,
Claudia. 
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Capitolo cinque

Steve
 
La pioggia batteva forte sui vetri delle finestre,mentre il rumore dei tuoni gli ricordava gli spari della guerra. Non gli erano mai piaciuti gli ospedali, forse perché il primo posto in cui si svegliò dopo il congelamento era uno di quelli, solo arredato in stile anni ’40, per evitare di traumatizzarlo non appena avesse aperto gli occhi.
Steve percorse il corridoio dell’ingresso e si fermò alla reception, in attesa che l’infermiera al banco si liberasse. Non appena lo vide, quella smise di fare ciò che stava facendo, affascinata da quell’uomo così bello e prestante.
< Posso esserle utile?> chiese quindi.
< Sto cercando la camera del signor Stark> rispose Steve,guardandola negli occhi.
L’infermiera si morse il labbro, mortificata. < Sono spiacente, ma non posso esserle utile, signore. Il signor Stark gode di una certa privacy, essendo un personaggio pubblico. Da stamattina migliaia di persone hanno cercato di incontrarlo, anche solo per scattargli una foto>
Steve non si arrese. < Controlli bene, per favore. Forse le ha lasciato il mio nome. Sono Steve Rogers>
< Mi dispiace signore, ma il suo nome non è nella lista> rispose l’infermiera,dopo aver controllato una lista sorprendentemente breve.
Steve chiuse gli occhi e strinse i pugni in un gesto di disperazione. Perché mai Tony non aveva dato il permesso di visitarlo? Ricordò mentalmente la telefonata del giorno prima. Era a New York alla base dello SHIELD, quando il suo cellulare antiquato aveva cominciato a squillare. Steve aveva risposto al numero sconosciuto dopo il secondo squillo.
< Pronto?>
< Ehi Cap, ti sono mancato?>
La voce di Tony era allegra e spensierata come al solito, e a sentirla il cuore di Steve perse un battito. Si fece prendere subito dall’ansia, perché ormai erano quasi due mesi che non si sentivano.
< Tony, è successo qualcosa?> gli aveva chiesto, allarmato.
< Oh, no, Rogers, tranquillo. Non so se quel simpaticone di Fury te l’ha detto ma domani sarò a New York. Sai com’è, ho deciso che quella bella lampadina blu al centro del mio petto meriti di essere sostituita con un brutto taglio permanente> aveva risposto.
Steve ci aveva messo qualche secondo per comprendere le sue parole. < Stai cercando di dirmi con nonchalance che domani ti operi? Toglierai il reattore Arc?> gli domandò, in preda al panico.
< Ti sento nervoso, Rogers. Ti prometto che sarò ugualmente affascinante, ho tante qualità,sai. Alcune un po’ più nascoste di altre.>
Steve aveva alzato gli occhi al cielo, ma poi aveva sorriso. < A che ora?> gli chiese solo.
< In mattinata, ma non preoccuparti. So che sei super impegnato, volevo solo che lo sapessi da me e non da qualcun altro. Non mi aspetto che tu venga, però conservami una birra per quando sarò uscito.> E così dicendo aveva attaccato, senza dargli la possibilità di rispondere.
Ed ora Tony era in quell’ospedale, e il pensiero di non poterlo vedere, di non poter sapere come fosse andata l’operazione, lo mandava in bestia. Si chiese come mai Tony non avesse inserito il suo nome sulla lista di persone che potevano visitarlo. Che avesse davvero creduto che lui non sarebbe accorso subito? Mentre stava facendosi trentamila domande a cui non riusciva a trovare risposta, si sentì chiamare.
< Steve?> chiese la voce di una giovane donna.
Steve si girò e incontrò gli occhi chiari e stanchi di Pepper Potts.
< Pepper!> esclamò quindi, raggiungendola per abbracciarla.
< Non sapevo che fossi qui! Tony non mi aveva detto che saresti venuto a trovarlo!>
Steve la guardò imbarazzato. < Già…In realtà credo che non lo immaginasse.Com’è andata l’operazione? Sei tranquilla,quindi immagino sia andato tutto bene. Non mi fanno salire, dicono che non sono sulla lista>
Pepper annuì e si affacciò alla reception. < Lui è con me, saliamo insieme> disse quindi all’infermiera. Così dicendo lo precedette verso l’ascensore.
< L’operazione è andata benone. Ti ha avvisato lui?> gli chiese ,una volta raggiunto il piano dove si trovava Tony.
< Si, ieri. Ma poi non ha inserito il mio nome tra le persone che possono fargli visita. Immagino che abbia creduto che non sarei venuto> le rispose Steve, dubbioso.
< Tipico di Tony. Pretende sempre che quando ti dice di non preoccuparti tu lo faccia davvero. Come se poi lui fosse la persona più tranquilla del mondo, quando si tratta di preoccuparsi per qualcuno!> constatò la donna, alzando gli occhi al cielo.
Steve sorrise, non poteva darle torto. Aveva provato sulla sua stessa pelle dove la preoccupazione di Iron man potesse arrivare, soprattutto in battaglia.
Raggiunsero una stanza chiusa davanti alla quale era posizionato un omone con gli occhiali da sole e un vestito da guardia del corpo.
< Ciao Happy!> disse Pepper, sorridendo all’uomo.
< Signorina Potts. Va tutto bene?> chiese l’uomo guardando Steve sospettoso.
< Si. Il capitano Rogers è venuto a trovare Tony> rispose lei, ignorando Happy che si tolse immediatamente gli occhiali e cominciò a borbottare eccitato:< Il capitano Rogers? Quel capitano Rogers?>
< Possiamo entrare solo uno alla volta, Steve. Credo che Tony stia dormendo, ma posso svegliarlo, se vuoi> disse la donna.
Steve scosse la testa. < No, assolutamente no. Ti ringrazio. Non ci starò molto, voglio solo…controllare che sia tutto a posto. Chiamala deformazione professionale>
Pepper rise. < Professionale, si certo. Steve, so benissimo quello che hai fatto per Tony. Da quando sei venuto a Malibù, è cambiato tantissimo. Non posso dirti che ha superato del tutto il disturbo da stress post traumatico, ma almeno la notte aveva ricominciato a dormire. Dopo aver sconfitto il Mandarino, si è acquietato del tutto. Ha distrutto tutte le sue armature. Dice di averlo fatto per me, ma io so che non l’ha fatto solo per me. Tu gli hai cambiato la vita, Steve. E certe volte è talmente palese che mi chiedo perché mai lui si ostini a negare il contrario.>
Steve rimase interdetto dalle parole della donna. < Lui… cosa fa?> le chiese, non sapendo bene come reagire a quella dichiarazione.
< Si, beh… Tenta sempre di sminuire il vostro rapporto. Ma io non sono stupida, Steve. So quanto lui tenga a te. E’ innegabile l’affetto che prova nei tuoi confronti> disse quindi Pepper, senza smettere di guardarlo negli occhi. Steve rimase scioccato dal suo atteggiamento, sembrava rassegnazione, e non una semplice constatazione di fatto.
< Anche io tengo a lui. Lui… è mio amico> mormorò quindi il capitano, riprendendo la definizione che Tony gli aveva dato qualche mese prima.
Pepper annuì e si scansò dalla porta. < Ti lascio entrare. Sarò qui fuori.>
Steve si morse pensieroso il labbro e poi aprì la porta. La stanza era bianca ed enorme, odorava di disinfettante, il tipico odore di quei posti. Vedere Tony in un letto di ospedale non fu una bella sensazione, ma Steve sorrise ugualmente immaginando il disagio del miliardario, abituato a dormire in letti lussuosi e per nulla scomodi come quelli di una struttura del genere. Si avvicinò alla sedia accanto al letto di Tony e si sedette, soffermandosi a guardarlo. Come Pepper aveva immaginato, Tony dormiva. Un lenzuolo copriva il suo mezzo busto, mentre un enorme fasciatura avvolgeva il suo torace, lì dove, Steve lo sapeva, ora non c’era più il reattore Arc. Con un movimento impercettibile, depositò la mano sul suo petto, proprio come aveva fatto l’anno prima, quando la paura di averlo perso lo aveva stretto in una morsa di dolore, dopo averlo visto precipitare da una settantina di metri dall’enorme buco sopra New York. Il cuore di Tony batteva regolare contro la sua mano, e per un attimo Steve ebbe l’impressione che il suo cuore andasse sulla stessa frequenza di quella del compagno, non riuscendo a distinguere il suo battito da quello di Tony. Quest’ultimo aveva il viso rilassato ed una piccola ruga di espressione che gli solcava il centro della fronte, fino a scendere dispettosa in mezzo agli occhi, lì dove lunghe ciglia scure coprivano due iridi color caramello che Steve amava guardare, soprattutto di nascosto, quando sapeva che Tony non immaginava che lo stesse osservando.
Steve si morse forte il labbro inferiore e tirò fuori un pezzo di carta dalla giacca. Se lo rigirò qualche secondo tra le mani e poi lo aprì. Era un disegno che aveva fatto quando aveva trascorso quella settimana a Malibù. Raffigurava una spiaggia bellissima e il profilo di Tony che, ridendo, correva sulla battigia con i piedi nudi,bagnato dalla spuma del mare. Steve si chiese se avesse fatto bene a portare quel disegno e, soprattutto, si chiese se fosse il caso di lasciarlo a Tony. Il discorso di Pepper lo aveva turbato e confuso, non facendo altro che alimentare un senso di colpa che, ormai da qualche mese,era una costante nella sua vita. Sapeva di provare dei forti sentimenti per Tony, ma non sapeva proprio come decifrarli. Tony li aveva definiti “amici”, e sin da subito quell’etichetta era stata stretta a Steve. Non era stupido, sapeva che Tony era innamorato di Pepper, ma non aveva potuto evitare di osservare i suoi comportamenti ambigui ed i suoi sguardi che, talvolta Steve ne era convinto, sembravano combaciare perfettamente con i suoi. E allora come definire quello strano rapporto che si era creato, così all’improvviso? Steve pensò che quello non fosse il momento adatto per pensarci, non con Tony in un letto d’ospedale. Aveva bisogno di parlargli, di passare del tempo con lui, di capire se aveva immaginato tutto. Ma non era quello il momento. Così si alzò e, dopo aver lanciato uno sguardo carico d’affetto al miliardario, fece per andarsene. Poi, si fermò e tornò indietro. < Oh, che diavolo!> sbottò, riprendendo il disegno e lasciandolo sul comodino di Tony. In un gesto impetuoso gli prese la mano e la strinse nella sua,sfiorandogli il palmo con l’indice. < Ci vediamo presto, amico mio> gli disse allora, e per un attimo, non fosse stato per l’espressione immobile di Tony, credette che quello gli avesse corrisposto la stretta.
 
*
 
La casa di riposo si trovava in una zona periferica di New York, in un bel viale alberato e residenziale, fatto di tante villette a schiera con le mattonelle bianche. Steve si affacciò alla porta di una stanza al suo interno e sorrise radioso, bussando con le nocche per chiedere il permesso di entrare.
< Peggy?>
L’anziana donna era a letto, e non appena lo vide, il suo sguardo si illuminò come il sole d’estate. < Steve!> esclamò eccitata. < Il mio Steve!>
Steve entrò e le baciò una tempia, sostituendo il mazzo di fiori che le aveva portato la settimana prima, appena arrivato a New York, con un altro mazzo nuovo.
< Mi hai portato i papaveri bianchi! Ti sei ricordato quanto amo i papaveri bianchi!> disse la donna, emozionata.
Steve sorrise. < Non dimentico nulla di te, Peggy. Come stai?>
La donna si rabbuiò. < Sono mesi che non mangio. Pensavo fossi morto, e invece…Invece eccoti qui! >
Una strana sensazione di tristezza venne a far visita al capitano. Sapeva che ormai Peggy era stata colpita dalla demenza senile, ma ogni volta credeva che tornando da lei, quella avrebbe potuto ricordare. Avrebbe capito che erano passati settant’anni dal loro ultimo incontro e che lui era rimasto lo stesso, mentre lei era invecchiata, non prima di aver vissuto una bellissima vita piena d’amore, circondata da una famiglia che Steve non aveva potuto darle, visto la sua prematura scomparsa. Ma ogni volta che si vedevano, da quando lui era tornato, era la stessa storia. Per Peggy il tempo sembrava non essere mai passato, e in alcuni momenti anche Steve provava quella sensazione,rendendosi conto di essere felice come mai, quando trascorreva quelle poche ore in compagnia dell’unica donna che avesse mai amato in vita sua.
Steve si sedette al suo fianco e le accarezzò dolcemente i capelli argentati. < Sei bellissima.> le disse quindi,senza mentire.
< Anche tu> rispose lei, senza alcun imbarazzo. Peggy era sempre stata così, diretta ai limiti dell’indecenza. Ciò che pensava lo diceva, sempre. < Sei stanco. Dove sei stato?>
Steve posò il capo sulla mano di Peggy, la quale lo stava accarezzando con dolcezza. Decise di dirle la verità. < Sono stato a trovare Tony Stark>
Peggy lo guardò annuendo. < Come sta il piccolo Tony? Sono anni che non lo vedo, ormai sarà diventato un giovane adolescente. Come lo hai trovato , Steve? Soffre ancora?>
Steve alzò il capo, vigile. < Soffre? Tony…soffre?>
Peggy abbassò la testa, e con rammarico disse: < Certo che soffre, povera gioia. Ha un padre come Howard, per l’amor del cielo! L’ho rimproverato un milione di volte, sai. Gli ho sempre detto di modificare quel suo caratteraccio e di cercare di dimostrare al piccolo Tony un po’ d’affetto. Crescerà insicuro e anaffettivo, altrimenti. E’ un bambino così dolce e buono, Steve. Ed è intelligentissimo, molto più di Howard. Farà grandi cose, da grande>
Steve sospirò, rabbuiato. < Già, immagino> disse, mentre un forte senso di tristezza lo avvolse. Avrebbe voluto rincontrare Howard per dirgli due paroline, in quel preciso momento.
< Devi stargli accanto, Steve. Tony ha bisogno di qualcuno che lo ami come Howard non ha fatto. Ti prego, Steve, promettimi che gli starai vicino, che baderai a quel dolce bimbo anche quando Jarvis non ci sarà più> lo supplicò Peggy, con gli occhi colmi di lacrime.
< Te lo prometto tesoro. Te lo prometto> sussurrò Steve.
Peggy tossì forte, e così Steve si alzò per riempirle un bicchiere d’acqua. Quando le si avvicinò di nuovo, lei lo guardò emozionata.
< Steve! Tu sei vivo! Sei tornato!> esclamò incredula.
Il capitano abbassò il capo, triste. Poi, la guardò sorridendo. < Certo che sono tornato. Non potevo lasciare la mia fidanzata...lei mi deve ancora un ballo>
 

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Capitolo 6
*** Il soldato d'inverno ***


Nota dell'autrice: Buongiorno e buona domenica a tutti! Grazie ancora per le numerosissime visite e per i messaggi che mi lasciate, il vostro affetto mi riempie di gioia ogni volta e mi invoglia a continuare sempre più. Spero che la storia continui a piacervi...E niente...buona lettura e grazie ancora!
Claudia
 
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Capitolo sei

Il soldato d'inverno
 
I mesi che seguirono non furono affatto facili per Steve. Tornò a Washington D.C. e continuò a lavorare per lo SHIELD, spesso sotto copertura con Natasha Romanoff, con la quale creò  ben presto un rapporto d’amicizia molto solido. Durante le sue consuete corse mattutine, poi, aveva avuto modo di conoscere Samuel Wilson, un ex paracadutista della USAF e pilota della tuta alare “Falcon”, con cui instaurò un rapporto di stima e di fiducia che li avrebbe portati a diventare ben presto l’uno il fianco dell’altro.
Le cose si complicarono ulteriormente quando Fury venne attaccato da agenti che sosteneva essere sotto il comando di Alexander Pierce, un membro del consiglio dello SHIELD. Fury si rivolse allora a Steve, lasciandogli una penna USB in custodia, prima di essere attaccato e ferito gravemente da un uomo, proprio all’interno della casa del capitano. Quest’ultimo, allora, con l’aiuto di Natasha, cercò in tutti i modi di smascherare l’ormai compromesso Pierce, recandosi insieme alla donna, grazie ai dati raccolti dall’USB lasciatagli da Fury, a Camp Leigh, nel New Jersey, la base militare dove Rogers era stato addestrato durante la seconda guerra mondiale. Qui, i due trovarono un bunker segreto dello SHIELD, dove scoprirono un supercomputer contenente la coscienza di Arnim Zola,scienziato svizzero che lavorava per Teschio Rosso. La sua mente fu salvata su una banca dati lunga sessanta chilometri di nastro, in modo da permettere allo scienziato di sopravvivere nonostante la sua morte corporale. Zola svelò quindi ai due che in realtà l’Hydra non era mai morta ma che, anzi, aveva continuato ad operare, riuscendo persino ad infiltrarsi nello SHIELD.
A questa dichiarazione, sia Steve che Natasha furono sconvolti.
< E’ impossibile!> esclamò la donna, parlando col computer. < Lo SHIELD vi avrebbe fermati!>
Zola rispose impassibile. < Ci sarebbero stati incidenti> disse, mostrando sul vecchio computer immagini dell’incidente stradale in cui avevano perso la vita, nel 1991, Howard Stark e sua moglie Maria. Steve guardò i computer scioccato, non riuscendo a capacitarsi del fatto che la morte del suo vecchio amico, del padre di Tony, fosse stata dovuta ad un omicidio e non invece ad un banalissimo incidente stradale, come tutti credevano.
< Maledetti!> urlò quindi, dando un pugno nel computer, proprio quando si ritrovarono nuovamente sotto attacco, probabilmente a causa di Zola che aveva avvisato l’Hydra che i due si trovassero lì.
Riuscirono a scappare e cominciarono una latitanza senza precedenti.
< Dannazione!> sbottò Natasha, guardandosi attorno con aria circospetta. < Dobbiamo trovare un posto dove nasconderci>
< Io saprei dove andare, se solo non fossimo così lontani…> rispose Steve.
< Steve, non possiamo chiedere aiuto a nessuno dello SHIELD, lo sai. Non sappiamo di chi fidarci. E poi, Stark adesso è a New York, e noi siamo fuggitivi. Sarebbe assurdo metterlo in pericolo, senza pensare al fatto che potrebbe essere compromesso anche lui> constatò la donna.
< Di lui mi fido, Nat. > rispose semplicemente il capitano. < Ma hai ragione, non farei mai nulla che potesse mettere in pericolo la vita di Tony. Ho un’idea!> disse quindi, mentre con fare indifferente si avvicinò ad una macchina, e con qualche giochetto che a Natasha sembrò magico, la aprì.
< Dove ha imparato Captain America a rubare macchine?> gli chiese alzando un sopracciglio.
< Lo facevamo sempre in guerra, contro i nazisti. E poi non l’ho rubata, l’ho solo presa in prestito> disse più a sé stesso che alla collega, cercando di giustificare un comportamento che molto probabilmente non avrebbe tollerato in nessun altra circostanza. Ma quella era una circostanza molto particolare.
Trovarono rifugio a casa di Sam Wilson, il quale si offrì subito volontario per aiutarli a smascherare gli agenti infiltrati dell’Hydra.I tre cominciarono interrogando l'agente dello SHIELD Jasper Sitwell, in realtà membro della società nazista, il quale rivelò loro che Zola aveva sviluppato un algoritmo capace di identificare gli individui che avrebbero potuto in futuro opporsi ai piani dell'Hydra. Grazie ai nuovi Helicarrier sarebbe stato possibile eliminare preventivamente questi individui con facilità. Di ritorno dall’interrogatorio, i tre si trovavano in macchina – proprio quella che Steve aveva “preso in prestito” – quando furono attaccati da un uomo col viso coperto e un braccio di metallo.
< Cazzo! E’ il Soldato d’inverno! E’ lui che ha sparato a Fury!> esclamò Natasha, mentre con un movimento fulmineo si parò gli occhi da una scheggia di vetro volata dal finestrino della macchina. Sam guidava con una certa difficoltà, a causa dei continui attacchi di quell’uomo, quel Soldato d’inverno, che sembrava essere in possesso di una forza brutale. Dopo essere costretti a lasciare la macchina, Natasha, Sam e Steve furono attaccati non solo dal Soldato d’inverno, ma anche dagli agenti dell’Hydra. Così, il capitano si trovò faccia a faccia con l’uomo dal braccio metallico, affrontandolo duramente. Quando, dopo un pugno ben piazzato da parte del capitano, la maschera dell’uomo cadde, Steve rimase paralizzato. Non poteva credere ai suoi occhi, e sentì il cuore battere forte contro il petto, un tamburo incessante e fastidioso. Quell’ uomo dal braccio metallico altri non era che Bucky, il suo migliore amico, colui che Steve credeva di aver perso completamente ormai settantadue anni prima, quando cadde da un treno in corsa giù da una montagna, durante una delle loro missioni.
< Bucky…> sussurrò allora, immobile, incapace di ragionare. Ma il suo migliore amico sembrava non riconoscerlo, il suo bel viso deturpato da una smorfia di confusione.
Steve non si rese conto del come e del quando, ma fu catturato dagli agenti dell’Hydra, insieme a Sam e Natasha. Furono rinchiusi in una camionetta e si stavano dirigendo dio solo sa dove, quando furono liberati dall’agente Maria Hill, la quale portò i tre da Fury, accertandoli così che questo stesse bene.
Steve si ritrovò a pensare a Bucky, a tutti i momenti trascorsi insieme, alle loro avventure sia nella vita che in battaglia, con gli Howling Commandos. Ai momenti in cui Steve altro non era che un mingherlino ragazzino di Brooklyn, che non aveva assolutamente nessuno se non il suo migliore amico, che non lo aveva mai abbandonato, in nessuna circostanza. Mentre era così pensieroso, gli si avvicinò Sam.
< Dobbiamo fermarli, Steve. Ci sarà anche lui, lo sai?> gli chiese, riferendosi a Bucky.
< Si, lo so> rispose il capitano, rassegnato.
< E’ pericoloso, capitano. Quell’uomo non va salvato, ma fermato>
< Non puoi chiedermi una cosa del genere, Sam. Anche quando non avevo niente, io avevo Bucky> spiegò Steve.
< Ma lui non ti riconosce, non si ricorda neanche più chi sei!> insistette allora Falcon.
< Io lo aiuterò a ricordare. Io non lo abbandonerò mai. Starò con lui fino alla fine. Ce lo siamo promessi.>
Il giorno dopo, Steve, Sam, Natasha, Maria Hill e Fury si recarono alla base dello SHIELD, dove il capitano spiegò agli agenti ignari che Alexander Pierce era in realtà un membro dell’Hydra e che quindi aveva bisogno del loro aiuto per fermare il progetto Insight e per catturare i membri dell’Hydra. I combattimenti furono lunghi e stancanti: Sam e Steve sostituirono due dei tre chip per fermare gli Helicarrier che avrebbero distrutto le potenziali minacce dell’Hydra. Ne restava da sostituire solo un altro, ma il Soldato d’inverno distrusse l’armatura alata di Falcon e raggiunse il capitano sull’ultimo Helicarrier. Bucky cominciò ad attaccare Steve, il quale però rimase impassibile agli attacchi, non reagendo.
< Tu mi conosci!> gli urlò, disperato, nel tentativo di fargli ricordare.
< Non è vero!> ringhiò il Soldato d’inverno, di rimando, colpendolo con un pugno in pieno viso.
< Bucky, mi conosci da quando sei nato. Ti chiami James Buchanan Barnes. Non combatterò con te! Tu sei il mio migliore amico…> soffiò il capitano con dolcezza.
Ma Bucky lo ignorò, saltandogli addosso, pronto a colpirlo di nuovo < Tu sei la mia missione!> gridò.
< Allora concludila. Perché io sarò con te fino alla fine> rispose Steve.
Quelle parole sembrarono destare Bucky, il quale guardò il capitano con uno sguardo diverso, confuso. In quel momento l’Helicarrier si ruppe sotto il suo peso, e Steve precipitò nel fiume Potomac, sfinito. Prima di perdere i sensi, il capitano ricordò solo un braccio metallico stretto intorno al suo busto che lo sollevava dall’acqua, portandolo in salvo.
Steve si svegliò all’ospedale, e quando aprì gli occhi trovò alla sua destra Sam, e alla sua sinistra Natasha.
< Sono appena tornata da una riunione col Senato. Ho dovuto spiegare che lo SHIELD è compromesso. Dopo quasi settant’anni di attività, anche Fury e company andranno in pensione. A proposito, tutti credono che Fury sia morto. In realtà si è recato in Europa per scoprire le altre cellule dell’Hydra.> spiegò la donna.
< Come ti senti, Steve?> gli chiese allora Sam.
< Stanco. Nat, hai portato quello che ti ho chiesto?> domandò il capitano, guardando l’amica.
< Si.> rispose lei, cacciando dalla borsa un fascicolo. < Mi raccomando capitano: non agire d’impulso> e così dicendo si alzò ed uscì dalla stanza.
Sam guardò il fascicolo che Natasha aveva lasciato sul comodino. Era il fascicolo di Bucky.
< E’ stato catturato dall’Hydra subito dopo essere precipitato dal treno. Ha perso un braccio, e così gli hanno impiantato una protesi bionica. Gli hanno fatto il lavaggio del cervello> spiegò il capitano.
Falcon alzò lo sguardo, guardando l’amico dritto negli occhi. < E tu vuoi dargli la caccia>  non era una domanda.
< Si. Ma tu non sei costretto a venire con me>
< Lo so> rispose Falcon. < Quando partiamo?>
< Non appena mi sarò ripreso. Prima però, dobbiamo fare una piccola deviazione>
 
 
 
 
 
 
 
*
< Porca miseria!> esclamò Sam, meravigliato. < E così questa è la Stark Tower!> disse osservando ammirato l’enorme edificio al centro di New York, proprio accanto all’Empire State Building.
< Questa era la Stark Tower. Dopo lo scioglimento dello SHIELD, Stark ha deciso che diventasse l’Avengers Tower, una sorta di punto di incontro per tutti noi> rispose Steve, sorridendo al pensiero dell’enorme generosità di Tony.
< Pensi che potrò conoscerlo, oggi?> chiese allora Sam, emozionato.
Steve rise. < Immagino di si. Ma non fargli capire in alcun modo che lo ammiri, potrebbe approfittarsene.>
Sam guardò gli occhi del capitano, puntati in direzione dell’Avengers Tower, e per un attimo si sentì fuori luogo. < Lo conosci bene?> gli chiese quindi.
< Lo conosco> fu la risposta del capitano, che preferiva non sbilanciarsi.
I due si addentrarono verso l’entrata, e non  appena varcarono la soglia, una voce familiare arrivò alle loro orecchie.
< Buongiorno capitano Rogers. Il signor Stark la sta aspettando nella sua officina, al piano terra> lo accolse Jarvis.
< Grazie Jarvis> rispose educatamente il capitano, facendo strada a Sam che continuava a guardarsi intorno e a borbottare: < Cavolo!>
Una volta arrivato al piano terra, Steve si rese conto che anche l’officina di Tony era stata ristrutturata, anche se l’uomo aveva conservato tutti i suoi macchinari e il suo piano da lavoro, lì dove spesso si erano seduti faccia a faccia a chiacchierare, anche nel cuore della notte. E Tony era proprio lì, seduto con un paio di occhiali protettivi e un aggeggio tra le mani che Steve non seppe decifrare. Probabilmente si sentì osservato, perché alzò il capo e sorrise, sollevando gli occhiali sopra la testa. E Steve allora incontrò quelle iridi color caramello e subito si sentì a casa.
Le porte di vetro di aprirono, e così entrò nella stanza, seguito a ruota da Sam.
< Signor Stark> disse allora,senza smettere di sorridere.
< Capitano> rispose Tony, alzandosi per andargli in contro. Senza volerlo, o forse si, si erano scambiati lo stesso saluto della prima volta che si erano conosciuti.
Tony gli porse la mano, depositando gli occhi nei suoi, e Steve l’afferrò, probabilmente stringendo più del dovuto.
< Sono rimasto piacevolmente sorpreso della tua chiamata di ieri. Sono mesi che non ci sentiamo> constatò allora Tony, accorgendosi solo in quel momento che nella stanza non erano soli. < Oh, salve!> disse allora, guardando Sam.
Quest’ultimo non la smetteva di guardarsi intorno eccitato, come un bambino in un negozio di caramelle. < Signor Stark! E’ un onore conoscerla!> esclamò Sam.
Tony sorrise, lanciando a Steve uno sguardo interrogativo.
< Tony, lui è Sam Wilson, un mio caro amico. Come ti ho accennato a telefono, ho delle cose da discutere con te.> spiegò allora Steve, senza smettere di guardare Tony.
< In privato?> chiese allora quest’ultimo, alzando un sopracciglio malizioso.
Steve arrossì.< Io… insomma…noi…>
Sam sembrò cogliere al volo. < Io…uhm, potrei approfittarne per fare un giro, se per lei va bene, signor Stark>
Tony annuì. < Mark 73, accompagna il signor Wilson in giro, e tu Jarvis, intrattienilo>
< Sarà un piacere signore> rispose l’AI, mentre una delle armature di Tony scortò Sam fuori dall’officina, non prima che lui avesse ripetuto per l’ennesima volta: < Incredibile!>
Quando rimasero da soli, Steve guardò Tony con aria di rimprovero. < Devi smetterla di far sentire in imbarazzo le persone che ci circondano> lo ammonì.
Tony sorrise. < Non so perché , capitano, ma le persone si sentono in soggezione molto facilmente, quando si tratta di me e di te> rispose enigmatico, alzando di nuovo il sopracciglio in segno di sfida.
Ma Steve preferì non cogliere quella che sembrò essere una palese allusione, piuttosto chiese: < Dov’è Pepper?>
< In Marocco, a concludere un affare> rispose Tony, allontanandosi dal capitano e andandosi a risedere al piano da lavoro. < Ovviamente, non c’è bisogno che ti dica di accomodarti, questa è anche casa tua, adesso.>
Steve lo guardò sbigottito. < Come?> chiese.
< Beh, mi sembra ovvio. Ho trasformato questa torre in una vera e propria base Avengers. Di conseguenza, tutti noi abbiamo una stanza, al piano di sopra. La tua è la stessa di quella in cui stavi quando ti ho ospitato lo scorso anno. Mi sono solo permesso di personalizzarla un po’…> disse Tony, alzando le spalle, come a voler sminuire ciò che aveva fatto.
< Io…grazie> borbottò Steve, imbarazzato.  Così dicendo, andò a sedersi proprio di fronte al miliardario, il quale lo osservava senza dire una parola ma completamente a suo agio.
Steve, invece, avrebbe voluto scomparire per la vergogna, e Tony sembrò accorgersene, perché si raddrizzò sulla sedia e lo guardò dritto negli occhi, con il suo solito sorriso sghembo. < Ho apprezzato molto il tuo disegno, Rogers> disse allora, facendosi poi improvvisamente serio. < Mi hai reso più…bello>
Steve arrossì ancora di più. Poi, preso da un impeto di coraggio, disse: < Non è vero. E’ così’ che io ti vedo>
Tony rimase immobile,continuando a guardarlo senza però far trapelare alcuna emozione. Se solo Steve avesse potuto sentire il suo cuore, però, si sarebbe reso conto che la sua reazione non era normale.
< Allora?> chiese quindi il miliardario, dopo qualche secondo di imbarazzo. < Mi spieghi come diamine hai fatto a far fallire Fury? Incredibile che tu sia stato capace di far chiudere lo SHIELD, Rogers. Devo averti sottovalutato> lo prese in giro.
Steve rise, e poi cominciò a raccontargli tutto. Gli raccontò di Alexander Pierce, degli agenti infiltrati, della sparatoria di Fury e dell’Hydra, omettendo però di svelargli che, in realtà, la morte dei suoi genitori era avvenuta perché Howard avrebbe stanato e affrontato l’Hydra, se solo fosse rimasto in vita più del dovuto. Il suo intento era quello di proteggere Tony, e non aveva idea di cosa quella piccola grande omissione avrebbe comportato in futuro. Dopo ciò,cominciò a raccontargli di Bucky. Gli occhi di Tony erano l’unica cosa che tradivano le emozioni del suo racconto. Non fosse stato per quelli, infatti, Steve avrebbe detto che il miliardario non lo stava neanche ascoltando. Si rese conto che, nel raccontargli del suo migliore amico, cercava in qualche modo di sottolineare l’importanza di Bucky per lui, ma allo stesso tempo di sminuirla. Non si rese conto del perché, ma Steve non voleva che Tony fosse geloso. Steve non voleva che Tony soffrisse per colpa sua. Steve non voleva che Tony soffrisse mai più.
Dopo che gli ebbe raccontato tutto per un tempo che sembrò immenso, e dopo che Tony non fece alcuna domanda, Steve si fermò ad osservarlo, in attesa.
Tony quindi si alzò e si avvicinò ad una macchina per il caffè, che il capitano non aveva notato fino a quel momento.
< Ne vuoi uno?> Gli chiese quindi il miliardario. < Questa macchina mi è arrivata proprio qualche mese fa dall’Italia, e fa un espresso che è la fine del mondo, persino meglio del tuo, Rogers>
Steve lo guardò perplesso. < Tony, hai capito cosa ti ho detto?> gli chiese allora.
Tony aspettò che fosse scesa anche l’ultima goccia di caffè, poi si girò a guardare il capitano. < Si, ho capito Steve. Quello che non capisco, però, è cosa tu ci faccia qui, oggi. >
Steve sapeva che Tony non fosse stupido. Si chiese quindi come mai il miliardario sembrava fare tutto il possibile per farlo essere quanto più esplicito possibile, senza fare le sue solite deduzioni, arrivando a delle conclusioni logiche prima di qualunque altro essere umano.
< Io… Io vorrei che tu partissi con me. Vorrei che mi aiutassi a ritrovarlo.> disse finalmente Steve,dando voce alle conclusioni a cui, ne era sicuro, Tony era già arrivato da solo.
Tony sospirò, e poi si sedette di nuovo di fronte al capitano. < Non posso.> sussurrò allora, abbassando il capo, come sconfitto. < Non posso farlo, Steve. E non dovresti neanche tu.>
Steve lo guardò accigliato. < So che è pericoloso ma…Come puoi dirmi una cosa del genere? Come? Proprio tu!> sbottò.
Tony alzò gli occhi al cielo. < Non essere il solito melodrammatico. Sai che non è il pericolo a spaventarmi. Ho paura di perdermi in questa cosa, insieme a te. Ho paura di…> si fermò, poi lo guardò negli occhi, di nuovo. <…perderti.>
Steve si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza. < Non capisco. Spiegati meglio.>
Tony sbuffò, palesemente in imbarazzo, adesso. < Non voglio che tu vada alla ricerca di un fantasma, di un qualcosa che non c’è più! Non voglio che tu debba vivere e rivivere dei momenti ormai passati, come ho fatto io dopo la battaglia di New York. Tu non capisci, Steve, ma tutto questo è fottutamente pericoloso non solo perché potresti rimanere ucciso… Il fatto è che potresti uscirne… danneggiato. Ed io non lo permetterò. O almeno…So di non essere nessuno per poterti fermare, ma non voglio far parte di tutto questo!>
Steve non riusciva a credere alle sue orecchie.< Stai dicendo che tu non verresti a cercarmi, se qualcuno mi facesse un lavaggio del cervello ed io non ti riconoscessi più? Perché sai, sarò anche stupido, ma io per te lo farei!> urlò il capitano, ormai senza alcun ritegno.
< Non è la stessa cosa…> sussurrò allora Tony.
< E’ ESATTAMENTE la stessa cosa!> sbottò Steve. < Tu non capisci quanto Bucky sia importante per me!>
E solo in quel momento Steve si rese conto dell’immenso dolore sul viso di Tony. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Quando erano uscite tutte quelle rughe di stanchezza e preoccupazione? Negli ultimi dieci, cinque, o due minuti? E allora Steve si chiese se sarebbe mai riuscito a capire il vero motivo di quel rifiuto. Perchè solo guardando gli occhi di Tony in quel preciso istante,non potette fare a meno di chiedersi se Tony non volesse assecondarlo per le ragioni che gli aveva appena dato o perché, molto più semplicemente, fosse solo geloso di Bucky. Ma Steve aveva paura di trovare una risposta a quella domanda. Ora più che mai.
< Io… Io… Me ne vado> disse allora, bloccandosi e dandogli le spalle.
Tony si alzò di scatto, ma non disse nulla. Così il capitano aprì la porta dell’officina e se ne andò, non prima che il sussurro del suo nome uscì flebile ed indeciso dalla bocca di Tony, causando al capitano la fuoriuscita di una lacrima fastidiosa che si depositò all’angolo della sua bocca.    

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Capitolo 7
*** Insieme ***


 
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Capitolo sette

Insieme
 
Quel giorno c’era molto fermento all’Avengers Tower. Molto probabilmente perché i Vendicatori erano appena tornati da una missione riuscita, nella quale avevano recuperato lo scettro di Loki, il fratello di Thor, in una base dell’Hydra a Sokovia.
Tutti, quindi, sembravano particolarmente eccitati. Per non guastare l’umore generale,allora,Tony aveva guardato i suoi compagni,e sorridendo aveva esclamato:< Una vittoria va onorata facendo bisboccia>
Al che Steve aveva sospirato: < Speriamo che questo ponga fine ai chitauri e all’Hydra>
Tony lo aveva guardato, e gli aveva fatto un mezzo sorriso. < Allora, bisboccia capitano?>
< Bisboccia> aveva approvato il soldato, sorridendo a sua volta.
Da quando Tony aveva rifiutato di aiutare Steve a cercare Bucky, il loro rapporto, stranamente, non si era incrinato. O meglio, questo era ciò che appariva agli occhi di tutti, vista l’armonia che si respirava all’Avengers Tower, dove ormai tutti i Vendicatori vivevano insieme. Era come se Steve e Tony avessero deciso tacitamente di ignorare ciò che era successo, facendo finta di nulla e non parlandone mai con nessuno. Ma in realtà entrambi sapevano che qualcosa era cambiato,anche se avevano paura di ammetterlo, di confrontarsi e talvolta anche di guardarsi negli occhi troppo a lungo.
Tony, poi, sembrava particolarmente in preda al panico. Durante la missione, infatti, la sua mente era stata manipolata da qualcuno che Tony non riuscì ad identificare, e così il miliardario fu costretto ad assistere ad una di quelle visioni che lo avevano ormai abbandonato da tempo. Nella visione,Tony riviveva l’attacco di New York, circondato dai corpi senza vita dei suoi compagni. Di tutti i suoi compagni, ma soprattutto di Steve, il quale era l’unico ancora vivo e lo rimproverava di non aver fatto abbastanza per salvarli, prima di chiudere gli occhi per sempre.
Il ricordo di quella apparizione procurò un brivido a Tony, che ora era rinchiuso nella sua officina, incantato ad osservare lo scettro che avevano appena recuperato, quando le vetrate si aprirono ed entrò il dottor Banner.
< Ehi, Stark> lo salutò. < Ci hanno dato solo tre giorni per studiare questo coso, dopodiché verranno a prelevarlo per riportarlo su Asgard.>
Tony annuì pensieroso e si alzò per osservare lo scettro, mentre Jarvis ne descriveva le caratteristiche anche al dottor Banner.
< Sai, Bruce, credo che la gemma all’interno di questo scettro sia un involucro protettivo per qualcosa di potente al suo interno, tipo un computer> mormorò Tony, pensieroso.
Al che, Jarvis si intromise. < E’ vero signore, è come se pensasse.Ha come dei neuroni che sparano>
Tony guardò Bruce. < Sai cosa vuol dire, vero?> gli chiese. < Se riuscissimo ad imbrigliare quest’energia e ad applicarla al protocollo della mia Iron Legion…>
< Ma certo! Il progetto Ultron! E’ estremamente pericoloso, Tony!> disse quindi il dottor Banner, particolarmente spaventato.
< Tu dici? Io vedo un’armatura a protezione di tutto il mondo,che ha bisogno di Ultron, di pace per il nostro tempo. Dobbiamo metterci all’opera, Bruce! Abbiamo solo settantadue ore!> esclamò Tony, eccitato.
< Ma Tony…dobbiamo parlarne con gli altri…> provò a farlo ragionare il dottore.
< No. Non abbiamo tempo per un consiglio comunale. Non abbiamo tempo per il solito “l’uomo non deve interferire!” Possiamo farcela insieme, Bruce! Io e te!>
Il dottore alzò gli occhi al cielo, ben consapevole che quando Tony si metteva qualcosa in testa, era difficile dissuaderlo dal raggiungere il suo obiettivo. I due scienziati si misero allora febbrilmente al lavoro, ma i tentativi fallivano miserabilmente. Così, la sera della festa, i due lasciarono in sospeso il progetto, correndo invece a prepararsi per accogliere i loro ospiti e lasciando solo Jarvis a lavorare.
Tony era nella sua stanza. Si guardava perplesso allo specchio, con due cravatte in mano.Ne accostò una al completo blu che aveva deciso di indossare, per allontanarla poi subito dopo con una smorfia:stava malissimo. Aveva optato per un vestito blu scuro a tre pezzi, con gilet e camicia dello stesso colore, e tra le numerosissime cravatte  che si ritrovava,non riusciva a decidere quella più adatta. Solitamente gli abiti li sceglieva Jarvis per lui, ma quella sera Tony aveva intenzione di brillare, di essere una stella come solo lui sapeva fare, molto probabilmente per fare colpo su qualcuno, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Qualcuno bussò alla porta, e così Tony rispose distrattamente: < Avanti!>
Rhodey Rhodes era il migliore amico di Tony Stark. Si erano conosciuti in Vietnam, ormai quindici anni prima, quando Tony ancora non era Iron Man, ma solo un miliardario dal passato burrascoso ed infelice. Era nata subito un’alchimia speciale tra i due, così forte che il tenente Rhodes divenne una delle prime persone a cui Tony fece spazio nella sua vita, senza sentire mai il bisogno di allontanarlo, quanto piuttosto la necessità di tenerlo vicino.
Rhodey fece un fischio di approvazione, mentre si chiudeva la porta della stanza alle spalle. < Però… hai capito Stark? Sei proprio figo, amico!> esclamò quindi.
Tony alzò gli occhi al cielo. < Per carità, contieniti tenente! “Figo”… questa parola non si usa più dal duemiladue>
Rhodey rise. < Beh, vorrà dire che chiederò a Rogers qualche parolina dei suoi tempi, magari le apprezzerai di più>
Tony alzò lo sguardo, serio, e puntò gli occhi verso il suo amico, riflesso nello specchio davanti a sé. Scrollò la testa, ed infine un mezzo sorriso si annidò sul suo viso. < Si nota tanto?> chiese allora, come rassegnato.
< No> rispose allora Rhodey, serio. < Ma io ti conosco bene, Tony. Avevo capito ci fosse qualcosa di strano, sotto. Ma ho aspettato che tu me ne parlassi, come fai sempre. Ma poi…tu non parlavi e allora…>
< E allora ti sei buttato> lo interruppe Tony, decidendo infine per una cravatta di qualche tonalità più chiara rispetto al vestito, ma dello stesso colore.
< Avrei optato anche io per quella> approvò Rhodey, accomodandosi sulla poltrona accanto allo specchio. < Allora? Cosa c’è sotto?>
Le mani di Tony tremavano talmente tanto che non riusciva a farsi il nodo alla cravatta. Sbuffò, lasciando perdere per un secondo. Chiuse gli occhi, e poi ricominciò daccapo. < In realtà, tenente, non lo so neanche io. La situazione è complicata, e non chiedermi di spiegartela perché non saprei cosa dirti.>
Rhodey annuì, mentre il suo sguardo era perso nel vuoto. < Pepper lo sa?> chiese allora.
Tony abbandonò le mani lungo i fianchi, guardandosi di nuovo allo specchio. Improvvisamente l’idea di andare a quella stupida festa non lo elettrizzava più come prima. < L’ha capito, Rhodey. Perchè credi che non sia qui con me, adesso? Continua ad inventarsi scuse per partire, ricordandosi sempre all’ultimo momento di un convegno in Cina, o di un meeting in Sud America. La verità è che quella donna è troppo intelligente, e ha capito che qualcosa, effettivamente, non va…>
Rhodey alzò lo sguardo, ed infine, mentre osservava il suo amico, una risata prorompente gli uscì dal petto, fino a fargli cacciare le lacrime dagli occhi.
< E ora che diavolo hai?> gli chiese Tony, alzando gli occhi al cielo.
< Se qualcuno mi avesse detto che ci saremmo trovati in questa situazione, un paio di anni fa, gli avrei riso in faccia come sto facendo adesso. Insomma, amico, tu sei Tony Stark! Hai sempre avuto tutto dalla vita, comprese donne bellissime. Quante? Decine? Molto probabilmente centinaia. Eppure eccoti qui, chiuso in questa stanza, a struggerti per un uomo di cent’anni o poco meno!>
Tony indurì la mascella e si scaraventò sul suo amico, buttandolo a terra in un battibaleno. Poi, quando si accorse che Rhodey non rideva più, cominciò a ridere al suo posto. < Tenente, dovresti vedere la tua faccia! Hai ragione amico> disse poi porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. < Hai proprio ragione>
I due amici scesero insieme al piano terra, lì dove la festa era ormai avviata da un po’. Tony strinse mani, fece sorrisi, e scambiò parole, ma i suoi occhi si muovevano frenetici alla ricerca di una sola persona. 
Dopo qualche secondo, finalmente, i suoi occhi lo trovarono. Il capitano era all’angolo bar, e stava chiacchierando con Bruce. Indossava un pantalone blu scuro e una camicia cobalto aderente, talmente aderente che Tony non dovette neanche sforzarsi di immaginare i suoi bicipiti scolpiti e le sue spalle larghe. Stava sorseggiando qualcosa, e le sue labbra si muovevano impercettibilmente, sfiorando il bicchiere con grazia.
Tony si morse il labbro inferiore, mentre una strana sensazione gli venne a far visita allo stomaco.
Proprio in quel momento il capitano si girò distrattamente nella sua direzione,incrociando il suo sguardo per un attimo, per poi rigirarsi a parlare con Bruce. Dopo neanche un secondo, però, la sua testa fece uno scatto in direzione di Tony, come se lo avesse visto solo in quel momento. Solitamente, il miliardario era davvero molto bravo a leggere le intenzioni delle persone – delle donne in particolar modo- ed era convinto che se il capitano fosse stato una donna,lo sguardo che gli stava dedicando in quel preciso istante altro non era che uno sguardo di puro apprezzamento. Ma il capitano non era una donna, ed era anche la persona più difficile da decifrare che Tony avesse mai conosciuto, e quindi il miliardario non seppe come interpretare quello sguardo. Senza scomporsi, però, Tony alzò il bicchiere di spumante nella sua direzione, in cenno di saluto, e fu allora che lo vide: il sorriso bellissimo e imbarazzato di Steve Rogers, lì su quel bel viso spigoloso, solo per lui. Steve ricambiò il gesto con il bicchiere che stringeva tra le mani, e poi si girò di nuovo verso Bruce, dando a Tony il suo profilo perfetto.
< Ehi uomo di ferro!> Thor colpì Tony con fare amichevole sulla spalla, distraendolo – per fortuna- da quelli che stavano per diventare pensieri decisamente troppo pericolosi.
< Ciao Prony Brake!> rispose Tony,sorridendogli.
< Vieni con me!> lo invitò l’asgardiano. < Ho qui un whisky invecchiato più di mille anni in botti costruite con i relitti della flotta Brunhild. Non è fatto per uomini normali!>
Tony lo seguì, mentre la musica assordante gli ronzava nelle orecchie. Dopo due bicchierini di quel whisky – che era davvero troppo forte, persino per i suoi standards- il miliardario si allontanò, sentendosi la testa molto pesante. Si guardò intorno e vide Natasha flirtare spudoratamente col povero Bruce, Thor intento ancora a bere con un gruppo di vecchietti spuntati da chissà dove, Rhodey che chiacchierava con Clint e con un altro gruppo di persone,tra cui anche Maria Hill. Poi, finalmente, vide il capitano. Stava parlottando con Sam Wilson, e sembrava particolarmente turbato per qualcosa. Una ruga profonda di espressione, infatti, si era depositata sulla sua fronte, proprio poco più sopra del suo naso perfetto. Evidentemente Sam si sentì osservato, perché si girò nella direzione di Tony e gli fece un segno con la testa. Molto probabilmente lui non lo aveva ancora perdonato per non essere andato con loro nella missione “Salviamo il toy boy di Captain America”, e Tony se ne rese conto perché faceva di tutto per evitare l’Avengers Tower, a meno che non fosse strettamente necessario. Steve seguì lo sguardo del suo amico e vide Tony, il quale solo in quel momento si rese conto che li stava fissando come un idiota al centro della sala. Il capitano disse qualcosa nell’orecchio dell’amico e poi si allontanò, salendo le scale verso l’attico.
Preso da un impeto di coraggio, il miliardario lo seguì. Le tende bianche volavano accarezzate dal vento, e la mano di Tony le scostò leggermente, per osservare quello che era lo spettacolo più bello che avesse mai visto: la città di New York, con le sue mille luci colorate e i suoi profumi, faceva da contorno alla figura alta e slanciata di Steve, intento ad osservare il panorama di spalle.
< Mi stai evitando, Cap?> gli chiese allora Tony, avvicinandosi.
Era molto tempo che non rimanevano da soli. Nonostante la convivenza, infatti, in quei mesi avevano fatto di tutto per evitarsi. Quando Tony si svegliava la mattina tardi, il capitano era già uscito per la sua solita corsa, oppure era in missione, o magari a passeggio tra le strade di New York. Al contrario di Tony,infatti, non aveva mai amato starsene chiuso in casa. Persino durante le cene con gli altri avevano cercato di ridurre i discorsi al lavoro, o al massimo a scambiarsi opinioni scherzose sui loro compagni. Ma non erano rimasti mai da soli, neanche per sbaglio. Se capitava che si trovassero da soli in una stanza, all’improvviso ad uno dei due veniva in mente di aver dimenticato di fare una cosa, o di avere un determinato impegno.
< E’ difficile evitarti,Stark,visto il tuo sguardo insolente che mi sento puntato addosso da tutta la sera> rispose il capitano, continuando a guardare dritto davanti a sé.
Tony lo raggiunse. < Beh, cosa vuoi, Rogers… E’ praticamente impossibile non notare come questa camicia si intoni con i tuoi occhi>
Steve sorrise, guardandolo di sbieco. < Beh, devo ammettere che anche tu sei particolarmente…affascinante, stasera.>
Il cuore di Tony perse un battito. Stavano flirtando, e in questo non c’era nulla di ambiguo o nascosto, era semplicemente palese. < Affascinante, Rogers, davvero? Non sai fare di meglio?> gli chiese allora Tony,appoggiando le braccia alla ringhiera alle sue spalle, per guardarlo meglio.
Steve si fece imprigionare dai suoi occhi color caramello, e per un attimo lo sguardo di Tony vagò più del dovuto sulle sue mani, una delle quali chiusa a pugno alla fine delle muscolose braccia conserte. Poi, il capitano si rilassò, e con un sospiro appoggiò anche le sue mani alla ringhiera, poco distanti da quelle di Tony, imprigionandolo così in mezzo alle sue braccia. Rimasero a fissarsi per qualche secondo,occhi negli occhi,l’uno di fronte all’altro, vicini come forse non lo erano mai stati. Ma non c’era imbarazzo, non quella sera. C’erano solo due uomini che si guardavano curiosi ed incerti, indecisi su quello che sarebbe accaduto se solo uno dei due si fosse sporto di qualche centimetro più avanti.
Steve stava per dire qualcosa,ma in quel preciso istante, la testa rossa di Natasha fece capolino tra le tende.
< Ehi, siete qui!> disse quindi, guardandoli poi confusa. Steve si ritirò immediatamente,riponendo le braccia conserte e allontanandosi da Tony, il quale rimase immobile, con le gambe molli, non sapendo bene che fare,le mani afferrate saldamente alla ringhiera alle sue spalle. < Non è che ho interrotto qualcosa?> chiese allora la donna, alzando un sopracciglio.
Tony alzò gli occhi al cielo.
Steve scrollò la testa. < No, stavo solo aggiornando Stark sulla missione di ieri>
Natasha infilò di nuovo la testa dentro, non prima di aver borbottato. < Si,certo, come no.>
Tony e Steve si guardarono, incapaci di trovare le parole, e sorrisero quando sentirono la donna gridare: < Li ho trovati!>
< Forse sarà meglio seguirla, prima di trovarsi tutti qui sopra> disse Steve, senza smettere di guardarlo.
< Si, forse è meglio. Non sia mai che ti venga in mente un complimento più carino di “affascinante” da farmi,Rogers> lo prese in giro Tony, precedendolo sulle scale, mentre un sorriso si annidò sulle sue labbra.
Con grande sorpresa di Tony, la festa era già terminata. Non si era reso conto di quanto tempo fosse passato da quando era salito a cercare il capitano, ma molto probabilmente era trascorso più tempo di quanto avesse immaginato. I suoi amici erano tutti in salotto, seduti l’uno accanto all’altro, a chiacchierare rilassati. Ad un certo punto Clint, parlando con Thor, sbottò ad alta voce: < Ma dai, è un trucco! “Chiunque di voi sarà degno avrà il potere”. Ma per favore!>
Tutti si zittirono, curiosi, e Thor disse: < Avanti, prego, accomodati!> e indicò il suo martello, poggiato sul tavolino al centro del salotto. Clint si alzò e Tony disse: < Clint, hai avuto una settimana difficile, non infieriremo se non ce la farai!>
Clint provò a sollevare il martello, ma senza successo. Qualcuno fischiò.
< Stark, provaci tu!> lo sfidò allora Clint.
Tony si alzò e sorrise. < Non mi tiro mai indietro di fronte ad una sfida. E’ fisica. Se lo sollevo io regnerò su Asgard?> chiese a Thor.
< Si,certo> rispose quest’ultimo, tranquillo.
< Ripristinerò lo ius primae noctis> rispose allora Tony, lanciando uno sguardo al capitano, il quale rispose allo sguardo alzando un sopracciglio divertito.
Ma Tony fallì miseramente, anche dopo aver indossato il braccio dell’armatura, e anche dopo essersi fatto aiutare da Rhodey, con la sua armatura di War Machine.
Dopo ci provò anche Bruce, che fece finta di arrabbiarsi, ma senza riuscire a smuovere di un solo centimetro il martello. Dopodichè, si alzò anche Steve.
Gli occhi di Tony si godettero lo spettacolo dei suoi muscoli tesi, mentre quello cercava di sollevare il martello. Ci fu un attimo di tensione generale, quando il martello si spostò di qualche millimetro sotto la sua forza potenziata, ma poi il capitano lasciò andare il martello, alzando le mani in segno di resa.
< Vedova?> chiese allora Bruce, guardando Natasha, la quale rispose: < Oh no, è una domanda a cui non serve risposta>.
< E’ truccato, mi ci gioco il culo> disse Tony.
< Steve, ha detto una parolaccia!> esclamò Maria Hill, prendendo in giro il capitano.
Steve scrollò la testa, guardando Tony esasperato. < Ah, l’hai detto a tutti!>
Tony gli sorrise. < In realtà, cap, ho messo un salvadanaio a forma di porcellino in cucina. Chiunque dirà una parolaccia dovrà inserirci un dollaro. Ho dato anche un nome al porcellino, si chiama Stevie! E comunque,c'è un codice di sicurezza, "chiunque abbia le impronte di Thor"… c'è scritto sul manico> proseguì alludendo al martello.
< E' una teoria molto interessante > esclamò il semidio  < io ne ho una più semplice: nessuno di voi è degno>
Un fastidioso ronzio interruppe la calma. Un’armatura rovinata, piena di fili e con la testa mozzata, camminava nella loro direzione, e con voce metallica disse: < Degno…no, nessuno di voi è degno. Siete degli assassini!>
< Stark!> lo chiamò il capitano, senza smettere di guardare l’armatura. Tutti si misero sull’attenti.
< Jarvis?> Tony chiamò la sua AI, la quale però non rispose.
 L’armatura rotta parlò di nuovo < Scusate, ero nel sonno, ed era terribile, ero aggrovigliato nei fili. Ho dovuto ucciderlo… avevo anche un'altra opzione ma nel mondo reale dobbiamo fare anche scelte difficili>
< Ultron?> chiese quindi Bruce, realizzando per la prima volta che quell’orribile figura altro non era che l’AI imprigionata nello scettro di Loki e a cui lui e Tony stavano lavorando.
< Sono io, in carne ed ossa> rispose il robot o meglio, non ancora, non questa crisalide, ma sono pronto, sono in missione, pace per il vostro tempo>
Non appena finì di parlare, le armature della Iron Legion cominciarono ad attaccare gli Avengers. Natasha e Maria cominciarono a sparare, mentre Steve si aggrappò ad una di quelle, staccandole la testa. Thor ne distrusse un paio col martello, e Tony si buttò letteralmente su un’armatura, cercando di svitare le viti che la tenevano insieme.
< Stark!> ripetè Steve, chiamandolo.
< Ci sto lavorando!> urlò Tony, in risposta.
Quando anche l’ultima armatura fu abbattuta, gli Avengers ripresero fiato.
< Molto teatrale> esclamò Ultron. < Esiste solo una via per la pace: l’estinzione degli Avengers>
Thor gli buttò il martello contro, e l’armatura di Ultron si fece in mille pezzi, ma l’AI riuscì a fuggire tramite internet.
Gli Avengers si trovavano ora nel laboratorio di Tony, mentre Bruce cercava di spiegare ciò che lui e il miliardario avevano cercato di fare, ossia creare un AI che combattesse per loro, per cercare di portare davvero la pace nel mondo.
Ma Thor entrò nel laboratorio di getto, afferrando il miliardario per il collo e facendolo penzolare qualche centimetro sopra la sua testa.
< Thor! Mettilo giù!> abbaiò Steve.
< Ci hai messo in pericolo! Tutto questo si poteva evitare!> esclamò il semidio.
< Si poteva evitare, dici?> chiese Tony, disperato,mentre Thor lo rimetteva giù,sotto lo sguardo vigile di Steve.
< Avevamo detto che non ci saremmo comportati come lo SHIELD> si intromise poi il capitano. < E tu invece l’hai fatto. Hai creato quella cosa a nostra insaputa, proprio qui!> disse con risentimento.
< Perché l’hai fatto?> gli chiese Thor.
< E’ incredibile che voi mi chiediate una cosa del genere! Siamo gli Avengers, non combattiamo forse per non combattere più? Non abbiamo a che fare solo con narcotrafficanti o terroristi. L’anno scorso io ho lanciato un missile nello spazio, qualcuno se lo ricorda? Come pensavate di sconfiggere una cosa del genere, se fosse capitata di nuovo?> chiese Tony, sicuro di essere dalla parte della ragione.
< Come abbiamo sempre fatto: insieme.> rispose Steve, guardando Tony dritto negli occhi. Sul suo viso si poteva scorgere chiaramente la delusione.
< Perderemo> rispose Tony, abbassando la testa, incapace di sopportare la visione di quel sentimento in quegli occhi.
< Allora faremo anche quello insieme.> rispose Steve.

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Capitolo 8
*** Fiducia ***


Nota dell'autrice: Buongiorno a tutti e buona domenica. Ecco un altro capitolo, puntuale come la morte! Spero davvero che la storia vi stia piacendo e che i dettagli che ho aggiunto ai film del MCU siano di vostro gradimento...Questa è la Stony che io ho visto nei film, con tutti i pensieri e le parole non dette tra Steve e Tony...Questi due sono davvero l'amore! Vi anticipo che molto probabilmente posterò un capitolo extra a metà settimana perchè così, mi va di farvi un regalo per ringraziarvi per tutto l'affetto che mi state dimostrando! Ora bando alle ciance, buona lettura!
Claudia 
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Capitolo otto

Fiducia
 
Steve se ne stava seduto nella sala comune dell’Avengers Tower, guardandosi intorno spaesato. I suoi amici,invece, erano posizionati ai computer, lavorando febbrilmente.
< E’ entrato ovunque. Non possiamo fare niente che ci porti a capire che diavolo di intenzioni ha!> esclamò Natasha, riferendosi ad Ultron.
< Già… Ha attaccato tutti i nostri server e si diffonde come un virus letale> confermò Bruce, osservando il monitor da sopra la spalla della rossa.
< E ci ha appena mandato un messaggio! Ha ucciso Strucker. Forse questo tipo sapeva qualcosa che ci interessa.> esclamò Thor.
< Sono stati eliminati tutti i file di Strucker> confermò allora Natasha, controllando a computer.
Tony sembrava sfinito. Era in piedi davanti all’appoggio dove poco tempo prima c’era lo scettro di Loki, rubato da Ultron durante l’attacco.
Steve guardò il miliardario di sottecchi, e il fatto che stesse male era palese. Ma il capitano non riusciva a perdonarlo, non in quel momento. Quel momento in cui avrebbero dovuto essere uniti e invece Tony, ancora una volta, li aveva divisi. Era sempre così con lui: un attimo ti trovavi in paradiso e il secondo dopo all’inferno, se non stavi attento. Steve si fidava di Tony, ma a volte il carattere irruento e testardo del miliardario lo preoccupava, anzi…lo terrorizzava.
< Forse ci sono altri modi per cercare una pista!> esclamò  allora Tony, e così dicendo si fece aiutare dai suoi compagni a recuperare le enormi cataste di file cartacei che suo padre aveva conservato durante gli anni. Gli Avengers si misero alla ricerca di una pista, fino a quando Tony non riconobbe un uomo.
< Si, lui lo conosco!> disse, togliendo il fascicolo dalle mani di Bruce. < Operava nel mercato nero delle armi>
Steve gli lanciò uno sguardo di rimprovero, e così Tony rispose: < Si fanno congressi, okay? Non gli ho venduto niente!> giurò. < La cosa preoccupante è che nel file si dice che questo tipo abbia militato in Wakanda… se avesse portato qualcosa con sé…>
Steve lo guardò terrorizzato. < Tuo padre non aveva portato via tutto da lì?> gli chiese.
< Non vi seguo…cosa esportano dal Wakanda?> chiese allora Bruce.
< Il metallo più duro al mondo> rispose Tony, lanciando uno sguardo allo scudo di Captain America.
< Dobbiamo andare a cercarlo!> rispose allora Steve.
E fu così che gli Avengers partirono, trovando finalmente la base dove si trovava Ultron. Quest’ultimo era in compagnia dei gemelli Pietro e Wanda Maximoff, i due superdotati che li avevano attaccati nell’operazione di recupero dello scettro di Loki. La ragazza era stata la causa delle visioni di Tony, insinuandosi nella sua testa come un morbo.
Fu subito chiaro come i due ragazzi ce l’avessero con Tony, in particolar modo, così come Ultron, che cominciò ad attaccare. Steve si parò davanti a Tony, attaccando Ultron, ma fu scaraventato lontano, e così vide Tony attaccare l’AI senza pietà. I due scomparvero in volo, mentre Steve lo chiamò preoccupato: < Stark!>
Ma Tony lo ignorò,inseguendo Ultron. Steve, in un attimo di distrazione, fu attaccato da Quicksilver, il gemello superveloce, e cadendo andò a sbattere contro le scale di ferro. Fu così preda dell’attacco psichico della giovane gemella.
Era tornato negli anni quaranta, ed era in una bellissima sala da ballo, di quelle che non se ne vedono più, ormai. Si stava guardando intorno, quando si sentì accarezzare una spalla e, girandosi, si ritrovò davanti Peggy, la sua bellissima Peggy con un vestito azzurro che fasciava perfettamente il suo bellissimo corpo.
< Pronto per il nostro ballo?> gli chiese. < La guerra è finita, Steve. Possiamo tornare a casa. Immaginalo> E Steve si trovò ad immaginarlo davvero, una bella casa dove lui e Peggy erano felici, circondati da piccoli marmocchi che correvano avanti e indietro.
< Qualcuno è in piedi?Mi servirebbe…una mano> la voce di Tony era lontana, quasi come se fosse nascosta dentro il suo cervello. Non l’aveva sentita bene, eppure era lì, presente.
< Steve…immagina…> ripetè allora Peggy, e Tony scomparve.
 
*
Erano tutti in volo sull’Helicarrier, e Bruce era seduto a terra, con la testa tra le mani. Mentre Steve, Thor e Natasha erano stati messi fuori uso dalle visioni di Wanda, anche la mente di Hulk era stata manipolata, costringendo Tony a richiamare la sua nuova armatura creata apposta per combattere contro Hulk, Veronica. Il problema più grande era che mentre era sotto effetto della visione, Hulk aveva distrutto buona parte della città, e così gli Avegers erano stati costretti a fuggire, per ripararsi in un luogo sicuro, sotto consiglio dell’agente Maria Hill.
Clint stava guidando l’Helicarrier, e allora Tony gli si avvicinò. < Ehi vuoi il cambio?> gli chiese.
< No. Anzi, se vuoi farti un riposino è il momento migliore. Mancano diverse ore> rispose Clint.
< Diverse ore per dove?> domandò Tony.
< Una casa sicura>
Atterrarono in una bellissima e fiorente prateria, e al centro di quella vi era una deliziosa villetta a due piani, con tanto di recinto e un capanno per gli attrezzi.
Qui gli Avengers scoprirono che Clint Barton in realtà aveva una famiglia, tenuta nascosta a tutti tranne che a Natasha,che conosceva la moglie Laura e i due figli. Thor, sentendosi particolarmente a disagio all’idea di star fermo senza far nulla, in attesa, decise di andar via a cercare risposte dopo la visione procuratagli da Scarlet Witch.
Steve, dal canto suo, credeva che in attesa della prossima mossa di Ultron, fosse saggio riposarsi in un posto che somigliava ad una vera e propria casa, una casa che molto probabilmente sarebbe stata simile a quella che lui avrebbe avuto con Peggy.
Steve era in giardino, e stava spaccando la legna, quando vide Tony in lontananza. Indossava una camicia allacciata in vita, dandogli quell’aria da ragazzino che a Steve piaceva tanto. Nonostante ce l’avesse con lui, non potette restare indifferente al suo fascino.
< Ehi, ti do fastidio se mi metto qui, vicino a te?> gli chiese Tony, una volta raggiuntolo.
Steve alzò le spalle e continuò a tagliare la legna, mentre vide con la coda dell’occhio che Tony alzò gli occhi al cielo. Quest’ultimo prese una sega e cominciò a tagliare la legna al suo fianco.
< Thor non ti ha detto dove andava?> gli chiese.
Steve sbuffò. < No, ultimamente i miei amici non mi dicono le cose> rispose riferendosi a Clint, ma molto probabilmente anche a Tony. < Pensavo che Thor fosse l’eccezione, e invece…>
< Già…beh, dagli tempo> rispose allora Tony.
Steve sbuffò di nuovo. < Gli eroi più forti della Terra…siamo diventati zucchero filato.>
Il miliardario alzò la testa e lo guardò. < Tu non hai avuto conseguenze> disse sospettoso,riferendosi alla visione di Wanda.
Steve si morse la lingua. Non avrebbe mai detto a Tony che il suo desiderio più grande era avere una casa. Una casa con la persona che amava. < E’ un problema?> gli chiese quindi.
< Non mi fido di chi non ha un lato oscuro. Diciamo pure che sono all’antica> rispose Tony, alzando un sopracciglio.
< Beh, magari non l’hai ancora visto> lo provocò Steve.
Tony si morse il labbro, lasciando da parte la legna e avvicinandosi al capitano. < Sai che Ultron sta cercando di dividerci?> gli chiese.
Steve strinse la mascella. < Dovresti saperlo bene. Se ce lo raccontassi sarebbe meglio…>
< Stavamo facendo una ricerca!> lo interruppe Tony.
< Che avrebbe riguardato la squadra!> sbottò Steve.
< Messo fine alla squadra. Non è questa la missione? Non è il motivo per cui combattiamo? Per non combattere più e per poter tornare a casa?>
Quest’ultima frase toccò le corde del cuore di Steve, che prese un pezzo di legno e lo aprì in due parti con la sola forza delle mani. < Ogni volta che qualcuno prova a combattere una guerra prima che inizi muoiono innocenti. Ogni volta!>
Tony distolse lo sguardo dal capitano, profondamente in imbarazzo.
Furono interrotti da Laura, la moglie di Clint. < Scusate… Signor Stark, Clint mi ha chiesto di chiedere a lei…Il nostro trattore non si vuole più accendere e pensavo…>
< Vengo a dargli un calcio.> rispose Tony, non prima di aver lanciato un ultimo sguardo esasperato a Steve. < Non toccare la mia legna> gli disse poi, ironicamente, visto il misero mucchietto che aveva tagliato, in confronto a quello del capitano.
Steve scrollò la testa e lo guardò allontanarsi. C’erano milioni di sensazioni contrastanti in lui. Perché doveva essere sempre tutto così difficile con Tony? Perché non poteva semplicemente seguire le regole, ogni tanto? Perché aveva quel carattere così fastidiosamente testardo? Probabilmente però, si disse il capitano, Tony gli piaceva proprio perché era Tony, molto semplicemente. Decise allora di andargli a parlare, non gli piaceva l’idea che si lasciassero così, ancora arrabbiati. Dopo qualche secondo, si pulì le mani sui jeans e lo seguì nel capanno.
<… non hai avuto neanche un’esitazione>
Steve si immobilizzò,sentendo la voce di Fury provenire dal capanno. Decise di appostarsi ad ascoltare. Sapeva che non stava bene quello che stava facendo, ma la curiosità prese il sopravvento.
< Senti, è stata una lunga giornata. Quindi perchè non saltiamo direttamente alla parte in cui ti rendi utile?> gli chiese Tony.
< Guardami negli occhi e dimmi che lo distruggerai> gli disse Fury.
< Tu non sei il mio capo!> Steve sentì il ringhio di Tony.
< Io non sono il capo di nessuno. Sono solo un vecchietto a cui tu stai molto a cuore> rispose Fury, sedendosi su un ammasso di fieno.
< Ed io sono quello che ha ucciso gli Avengers> sbottò Tony.< Non l’ho detto a loro…come potevo. Li ho visti tutti morti, li ho percepiti. Il mondo intero… per causa mia. Non ero pronto.>
< La Maximoff ti sta manipolando, Tony> gli spiegò Fury.
< Non è manipolazione, è una visione! Sono stato illuminato! Ho visto i miei amici morire…Ho visto Steve, il capitano… lui era in una pozza di sangue e mi diceva che avrei potuto fare di più!> urlò Tony, disperato.
Steve sentì il suo cuore stringersi e diventare piccolissimo, mentre una lacrima fastidiosa gli solcò il viso, e lui la scacciò con il palmo della mano. Il dolore di Tony era il suo dolore. Si mise nei panni del miliardario. Avrebbe creato anche lui Ultron per evitare che i suoi amici morissero? Che Tony morisse?
< Ho visto i miei amici morire e si potrebbe pensare che non ci sia cosa più orribile, e invece non era la parte peggiore…>
< La parte peggiore è che tu non sei morto> rispose Fury, capendolo. 
Quella sera, Fury rimase a cena con gli Avengers e la famiglia di Barton. Fu una serata particolare, fatta di riflessioni e di dubbi, in cui furono poste domande e  in cui furono date risposte. Clint, Bruce, Natasha, Steve e Tony, infatti, mettendo insieme le idee, riuscirono a capire che l’idea di Ultron non era quella di perfezionare e proteggere il genere umano, bensì di evolverlo, di portarlo ad un livello superiore, molto probabilmente usando la gemma luminosa dello scettro di Loki e il vibranio, il metallo più potente al mondo, lo stesso dello scudo di Steve. I Vendicatori decisero quindi di prepararsi e di partire immediatamente,per andare alla ricerca di Ultron.
Poche ore dopo la cena, Steve scese giù in cucina , pensando di essere il primo ad essere già pronto per partire. Con stupore, invece, vi trovò Tony. Stava giocando a freccette, e sembrò non notare il capitano, fino a quando quello non gli arrivò alle spalle. Tony non dovette girarsi per capire che nella stanza era entrato Steve: avrebbe riconosciuto il suo odore a metri e metri di distanza.

< Scommetto che sei più bravo di me anche in questo> gli disse l’ingegnere, con aria afflitta,senza guardarlo.
Steve sospirò. < Non sono qui per litigare, Tony. Sono stanco di litigare con te.>
Tony si girò e incontrò i suoi occhi. Di nuovo terra contro mare, Sole contro Luna, tramonto contro alba. I loro occhi parlavano da soli, e chiunque, se fosse stato un po’ più attento e meno superficiale, avrebbe scorto un sentimento che nessuno dei due aveva il coraggio neanche di pensare.
< Questa si che è una novità…> rispose Iron Man, alzando un sopracciglio.
Steve sorrise e si appoggiò al tavolo, incrociando le braccia al petto. < Avanti allora, fammi vedere cosa sai fare> disse, facendogli un cenno col mento ad indicare il bersaglio.
Tony fece un mezzo sorriso e si allontanò ancora di più dal centro, posizionandosi proprio accanto al capitano, e sfiorandolo casualmente. Quel contatto, seppur breve, fece arrossire entrambi. Poi Tony si concentrò e chiuse un occhio, prendendo la mira. Mentre stava per tirare, una freccia gli sfiorò l’orecchio, posizionandosi proprio al centro del bersaglio. Tony si girò scocciato e vide che Clint li aveva raggiunti, alzando poi le spalle in segno di scusa.
< Siamo pronti?> gli chiese allora il capitano.
< Si, Bruce e Nat stanno scendendo> gli rispose Occhio di falco.
< Bene, io prendo Natasha e Clint> disse il capitano, prendendo lo scudo e posizionandolo dietro le spalle.
< Mi raccomando, solo ricognizione. Io vado al centro internet, e vi raggiungo presto> rispose Tony, allacciandosi l’orologio.
Steve lo guardò con apprensione < Se Ultron sta realmente costruendo un corpo…>
< …sarà più potente di chiunque di noi. Di tutti noi insieme! Un androide costruito da un robot?Non voglio neanche immaginarlo…> lo interruppe Tony.
< Sai, ho nostalgia di quando la cosa più strana creata dalla scienza ero io> confessò Steve.
< Ed eri davvero la cosa più strana, vero?> rispose Tony, ridendo. < Avrei voluto conoscerti senza tutto quell’ammasso di muscoli. Chi sa se eri affascinante lo stesso>
Steve lo guardò pensieroso. < Probabilmente, non sarei arrivato mai a conoscere uno come te, quando non ero…questo. Certo, la grinta non mi mancava… Ma essere questo mi ha cambiato, totalmente. Con ciò non dico che non avrei vissuto lo stesso, ma…>
< Oh, lo so bene. Probabilmente avresti vissuto anche meglio. Avresti sposato una giovane donna di Brooklyn, avresti avuto un noiosissimo lavoro d’ufficio e tanti marmocchi che avrebbero avuto i tuoi occhi blu. Sarebbe stata una vita monotona, Steve, andiamo! > gli spiegò Tony.
< Ma avrei avuto una casa> ripetè il capitano, preso da quel tedio a cui non riusciva a darsi pace. < Avrei avuto una persona da cui tornare.>
Tony gli poggiò una mano sulla spalla, in un impeto di coraggio. Rimase profondamente meravigliato quando il capitano non lo allontanò. < Tu ce l’hai una casa, Steve.> gli disse, guardandolo dritto negli occhi. < Ed hai anche qualcuno da cui tornare. Non dimenticarlo, questo. Mai.>
Steve si sentì un groppo in gola. Alzò la mano e si meravigliò, quando vide che Tony allontanava impaurito la sua dalla sua spalla. Che Tony avesse paura di un allontanamento da parte sua? E invece il capitano recuperò quella mano callosa e graffiata a causa dei continui aggeggi maneggiati dall’ingegnere, e la sfiorò con la sua, senza avere il coraggio di afferrargliela del tutto, come aveva fatto quando era andato a trovarlo in ospedale. Allora aveva potuto farlo perché Tony era addormentato, ma adesso era lì, di fronte a lui, e Steve aveva paura di una sua reazione, nonostante gli avesse appena detto che la sua casa era lui.
Furono interrotti da Fury, che tornò a raccomandarsi di stare attenti. Partirono subito con lo Helicarrier e così, mentre Tony era alla ricerca di risposte, Steve, Natasha e Clint individuarono Ultron, e incominciarono ad ingaggiare una lotta con lui per le strade di New York, per evitare che desse vita all’androide di vibranio. Dopo mille peripezie e l’aiuto inaspettato di Wanda e Pietro, i due gemelli russi che si erano finalmente resi conto di quanto in realtà Ultron fosse pericoloso per il genere umano,Clint e Natasha riuscirono a recuperare l’androide, e Clint lo portò da Tony per permettergli di metterlo una volta per tutte fuori uso. Steve, nel frattempo, con l’aiuto dei gemelli, riuscì a fermare un treno che nella lotta con Ultron aveva deragliato, salvando così centinaia di vite.
Dopo aver collaborato, Steve si avvicinò ai gemelli.
< La culla? L’hai presa?> gli chiese Wanda, preoccupata,riferendosi al contenitore dove c’era l’androide.
< Se ne prenderà cura Stark> rispose Steve, tranquillo.
< No! Non lo farà!> disse afflitta la ragazza.
Steve irrigidì la mascella. < Non sai di cosa parli, Stark non è pazzo.>
< Farà di tutto per tornare alla via prestabilita!> insistette Wanda.
Una strana ansia si impossessò di Steve. Che la ragazza avesse ragione? Tony avrebbe pensato alla scienza, e non alle loro vite? Avrebbe davvero messo in pericolo tutti loro dando vita all’androide? < Stark rispondi!> esclamò allora Steve, cercando un collegamento nell’auricolare. < Stark. Qualcuno mi riceve?>
< Ultron non conosce la differenza tra salvare il mondo e distruggerlo. Secondo te da chi l’ha imparato?> continuò Scarlet Witch.
Il cuore di Steve batteva come un tamburo mentre le sue gambe correvano come mai. Non voleva credere che Tony avesse anche solo pensato di fare una cosa del genere. Ma il dubbio si era insinuato come un morbo nella sua testa, e una vocina continuava a ripetergli: “non l’ha già fatto, forse? Non vi ha già messi tutti in pericolo?” Ma Steve non voleva e non poteva crederci. E se solo fosse stato vero, comunque, l’avrebbe fermato.
Steve fece le scale dell’Avengers Tower a quattro alla volta, con i gemelli alle calcagna,fino a quando non arrivò nel laboratorio di Tony.
< Questa struttura non è compatibile> La voce di Tony arrivò nitida a Steve, che affrettò il passo.
< La codifica genetica è al novantasette per cento. Devi caricare quello schema nei prossimi tre minuti> rispose Bruce.
Steve entrò e li guardò in cagnesco. < Lo dirò una volta sola…> cominciò furioso.
<…Anche nessuna!> lo interruppe Tony
< Spegnete tutto!> intimò il capitano, con i gemelli alle sue spalle.
< No.Dimenticalo!> disse Tony con nonchalance.
< Non sapete quello che fate!> provò a farli ragionare Steve.
< E tu si? Lei non è nella tua mente?> gli chiese Bruce, guardando Wanda in cagnesco. < Potrei strangolarti anche rimanendo dello stesso colore, sai> le disse. Ce l’aveva ancora con lei per avergli fatto distruggere mezza città, quando era sotto il suo controllo mentale.
< Dopo tutto quello che è successo, Banner…> iniziò Steve.
< E’ niente in confronto a quello che succederà!> sbottò Tony.
< Non sai cosa c’è lì dentro!Potrebbe essere pericoloso e…>
Mentre tutti continuavano a discutere, Pietro, con la sua velocità sovrannaturale, staccò tutte le spine che tenevano l’androide protetto nella culla. Ma proprio in quel momento Clint lo attaccò,facendolo precipitare al piano di sotto.
Tony ne approfittò. < Riavvio l’upload> disse.
Ma Steve lanciò il suo scudo contro il computer,distruggendolo.
Tony strinse la mascella e si girò su sé stesso, mentre la sua armatura cominciò ad arrivare sul suo corpo. Il miliardario puntò un propulsore contro il capitano e lo lanciò lontano, facendolo sbattere contro un muro. Steve si rialzò subito dopo e lo attaccò, ringhiandogli contro: < Avevi detto che non volevi metterci in pericolo!>
< Infatti non lo sto facendo!> gli rispose Tony, difendendosi.
Mentre stavano combattendo l’uno contro l’altro, arrivò Thor, che con il suo martello raccolse una scarica di fulmini e lo conficcò nella culla dell’androide, facendo l’upload completo, sotto lo sguardo sorpreso dei presenti.
Dalla culla uscì allora l’androide, in forma umana. Aveva la pelle completamente rossa, e la gemma dello scettro di Loki splendeva al centro del suo capo.
< Mi dispiace, è stato inatteso> disse l’androide, dopo essere uscito con violenza dalla culla.
Tony rimase sbalordito quando si rese conto che aveva la voce di Jarvis, e capì in quel momento che la sua idea di creare un androide con una fortissima intelligenza era riuscita.
< Thor… hai aiutato a creare…questo?> chiese allora Steve, scioccato.
< Ho avuto una visione. Stark ha ragione: gli Avengers non possono sconfiggere Ultron. Non da soli> spiegò Thor.
< Perchè la visione ha la voce di Jarvis?> chiese ancora il capitano.
< Abbiamo riconfigurato il matrix di Jarvis per creare qualcosa di nuovo> rispose Tony, senza smettere di guardare la visione.
< Non sono Ultron. Non sono nemmeno Jarvis. Io sono…io sono> rispose quindi la visione.
< Quindi sei dalla nostra parte?> gli chiese Steve, ansioso.
< Io sono dalla parte della vita. Ultron sterminerà tutto. Vi sta solo aspettando, in Sokovia, dove tiene rinchiusa anche la vostra amica> disse Visione, riferendosi a Natasha,catturata durante la missione. < Dobbiamo andare!> continuò quindi l’androide, prendendo il martello di Thor e passandoglielo con facilità.
Tutti lo guardarono sbalorditi, compreso lo stesso Thor, che si avvicinò a Tony e gli disse: < Bravo, complimenti!> chiedendogli in un certo senso scusa per aver dubitato di lui.
< Tre minuti e andiamo. Prendete tutto ciò che serve> ordinò allora Steve, mentre gli tornava l’indole del comando.
Tony non se lo fece ripetere due volte e andò a riprogrammare la sua nuova armatura, Friday. Dopodichè raggiunse Steve e Bruce.
< E’ impossibile  che ce la faremo. Se un solo soldatino di latta resta in piedi abbiamo perso. Si spargerà molto sangue.> spiegò.
< Non ho impegni domani sera> rispose Steve, sorridendo appena al miliardario, il quale però non colse  il suo sguardo.
< Il primo ad affrontarlo sarò io> continuò Tony. < E’ Iron man che lui aspetta>
< E’ vero! Ti odia più di tutti!> confermò Visione.
< La nostra priorità è mettere tutta la gente di Sokovia in sicurezza> disse Steve, parlando a tutti da vero leader. < Faremo di tutto per proteggerli! Ultron ci considera dei mostri. Non si tratta solo di fermarlo, ma di capire se ha ragione o meno> finì poi, guardando verso Tony, il quale alzò lo sguardo e incontrò quello del capitano. E lì seppero che ci sarebbe stato il momento per chiarirsi, per ritrovare quella fiducia messa troppo spesso in discussione. Ma non era quello il momento. Quello era il momento di combattere.   

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Capitolo 9
*** Odi et amo ***


Nota dell'autrice: Buongiorno a tutti! Come promesso, eccovi il capitolo extra! Vi ricordo che il capitolo otto, postato domenica, per chi non l'avesse letto, potete trovarlo qui ( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3496504)! Grazie sempre per la costante presenza, vi adoro! Buona lettura :*
Claudia
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Capitolo nove

Odi et amo
 
Il traffico era ingestibile e c’era una fila di macchine che metteva in difficoltà anche coloro i quali avevano deciso di scappare a piedi. La gente correva in preda al panico e scappava a destra e a manca, senza neanche sapere bene perché.
< Andiamo!> li sollecitò Steve, dando una mano ad una famiglia a sorpassare il ponte pieno.
Il capitano si guardò intorno, e vide Occhio di Falco aiutare una coppia di anziani ad uscire dalla loro casa. Non vide Thor, ma sapeva che era con Bruce a liberare Natasha, mentre invece i due gemelli erano dall’altra parte della città,cercando di far evacuare tutti. Mancava solo uno all’appello.
< Stark!> lo chiamò allora, tramite l’auricolare che il miliardario aveva creato apposta per le comunicazioni in battaglia.
< Si, Capitano, ci sono, ti vedo. Alza la testa> gli rispose Tony.
Steve seguì il suo ordine e lo vide, molti metri sopra di lui, un braccio occupato a tenere un bambino e l’altro a tenere quella che molto probabilmente era sua madre. Atterrò proprio accanto a lui, spegnendo i propulsori e posando con delicatezza il bimbo e la donna. Steve lo raggiunse di corsa < Stai bene?> gli chiese quindi.
< Sempre a preoccuparti, Cap Floor. Rilassati, ne hai bisogno. Quando tutto questo sarà finito ci penserò io distrarti> gli rispose Tony, alzando l’elmo della sua armatura per fargli l’occhiolino.
Steve scosse la testa, non era in vena di scherzare, né di analizzare le parole del compagno d’armi: erano in battaglia, che diamine, non potevano flirtare anche lì.
< Ora vado, Ultron mi sta aspettando alla chiesa, Friday l’ha intercettato lì. Stà attento, capitano!> disse, alzandosi in volo senza attendere la risposta.
Steve seguì la sua armatura scintillante con lo sguardo, fino a quando non sparì tra le nuvole. Una strana sensazione di paura gli fece visita e sperò che Tony non facesse nulla di avventato, di nuovo.
Si mise quindi di nuovo all’opera, cercando di non pensare a nulla se non alla missione:mettere in salvo quanta più gente possibile. Mentre si adoperava nel farlo, notò strani movimenti dal cielo, e così alzò di nuovo la testa per scrutare tra le nuvole. Decine di androidi volevano nella sua direzione, sganciando missili e facendo fuoco su qualsiasi cosa incontrassero. Spuntavano dall’acqua, dalla terra, dai palazzi, e sembravano non finire. Steve alzò lo scudo per proteggersi da una bomba esplosa a qualche metro dal suo viso e si girò preoccupato, cercando con lo sguardo le vittime di quell’orrore. Purtroppo, a decine erano a terra feriti. Fece di tutto per aiutare chi poteva, annientando gli androidi che gli si ritorcevano contro uno dopo l’altro.
< Ragazzi, la Visione funziona! Sta eliminando Ultron da internet!> disse Tony, parlando con tutti tramite gli auricolari.
Steve fece un sospiro di sollievo, giusto il tempo di girarsi e di annientare un altro androide, l’ennesimo. La battaglia divulgava intorno a lui e gli Avengers erano in numero decisamente inferiore:servivano rinforzi. All’improvviso, la terra cominciò a tremare, distruggendo palazzi e strade come burro. Steve era sul ponte,e per poco non cadde di sotto, mentre distratto combatteva contro un altro androide. Dopo averlo distrutto, si guardò intorno confuso e notò una cosa sconcertante: la città si stava sollevando.
La voce di Ultron arrivò amplificata a tutta la città. < Vedete…la bellezza della cosa. L’ineluttabilità: ti sollevi solo per cadere. Voi, Avengers, siete la mia meteora, la mia spada agile e terribile. La terra si squarcerà con il peso del vostro fallimento. Epurarmi dai vostri computer,mettermi contro la mia stessa carne non servirà a niente. Quando la polvere si assesterà l’unica cosa vivente in questo mondo sarà il metallo>
< Capitano, nemici in arrivo!> lo avvisò Tony, dopo che Friday gli aveva appena detto che gli androidi si stavano dirigendo verso il ponte.
Steve cadde all’indietro, mentre gli androidi lo colpivano scaraventandolo verso una macchina. < Quelli in arrivo sono già arrivati!> gli rispose il capitano, rialzandosi. < Stark, tu riporta la città a terra sana e salva! Invece noi abbiamo un solo compito: distruggere questi cosi. Se vi faranno male, fategli male. Se vi uccideranno…resuscitate.> disse a tutti.
La battaglia impazzava senza sosta, ma adesso li avevano raggiunti anche Hulk e la Vedova nera. Nonostante questo, gli androidi erano davvero troppi, e sembrava davvero impossibile contenerli tutti. Steve combatteva con la foga tipica che lo aveva sempre caratterizzato, non facendo altro che pensare al fatto che avesse dato l’ordine più difficile a Tony: portarli in salvo, tutti.
Una macchina stava per cadere dal ponte, e così Steve la afferrò al volo, ma purtroppo il paraurti si staccò, rimanendo tra le sue mani mentre la macchina precipitava. Thor lo raggiunse in quel preciso momento e prese la donna nella macchina e la lanciò a Steve, che la afferrò al volo, per essere poi raggiunto subito dopo dal semidio. < Stavi facendo un pisolino?> gli chiese quindi, sospirando per il sollievo. Poi, si avviò nuovamente verso la battaglia.
< La prossima ondata colpirà a breve. Che mi dici Stark?> chiese poi, realizzando solo in quel momento che era passato troppo tempo da quando l’aveva sentito l’ultima volta.
Tony sospirò. < Niente di buono, dovrei far esplodere la città, per evitare l’impatto. Sempre che abbiamo una via di scampo…>
< Ho chiesto una soluzione, non un piano di fuga!> lo riprese duramente Steve
Tony si morse il labbro, nervoso. < Il raggio d’impatto si allarga di secondo in secondo. Dobbiamo prendere una decisione>
Natasha raggiunse Steve. < Capitano, se Stark riuscisse a distruggere questa piattaforma…>
< Quando saranno tutti salvi!> la interruppe Steve.
La donna lo guardò perplessa. < Per salvare le persone quassù mettiamo a rischio il pianeta? Non c’è proporzione!>
< Non me ne andrò finchè ci saranno civili> la ammonì il capitano.
< Non ho detto di andarcene> gli rispose Natasha, sorridendogli dolcemente. < Ci possono essere morti peggiori. Dove troverò un altro panorama come questo?> chiese guardando le nuvole che circondavano la città in volo.
< Sono contento che ti piaccia il panorama, Romanoff: sta per migliorare!> la voce di Fury fu come un faro nella notte buia. Un Helicarrier gigante affiancò la città, e da quello uscirono decine di navette da salvataggio. < Bella vero? L’ho tirata fuori dalla naftalina con un paio di amici. E’ impolverata ma funziona!>
Steve sorrise. < Fury, brutto figlio di puttana!> disse, sollevato.
< Oh, baci tua madre con quella bocca?> gli rispose Fury dall’auricolare.
Mentre le scialuppe scendevano, Steve si illuminò. < Carichiamo tutti!>
In quel momento alzò la testa e vide Tony, affiancato da Rhodey con l’armatura di War Machine, e sorrise. Probabilmente ce l’avrebbero fatta davvero.
< Ci sono! Creare un sigillo di calore. Potrei sovraccaricare la guglia da sotto!> la voce di Tony arrivò a Steve e a tutti gli altri come una grande speranza. < Thor, ho un piano!>
< Non c’è più tempo, si dirigono al nucleo!> li avvertì Steve.
< Rhodey, fa salire tutti sulla porta-aerei. Avengers, rimboccatevi le mani!> li spronò Tony, e tutti furono chiamati a rapporto, raggiungendolo al nucleo di vibranio innescato da Ultron per sollevare in aria la città.
< Qual è il piano?> chiese Natasha.
< Questo è il piano!> rispose Tony indicando il nucleo al centro della chiesa. < Se Ultron mette le mani su questo siamo spacciati>.
< Non sai fare di meglio?> chiese quindi Thor a Ultron, arrivato nei pressi del nucleo.
Proprio in quel momento migliaia di androidi lo raggiunsero. < Dovevi proprio chiedere?> chiese Steve.
< Questo è quello che volevo: tutti voi contro tutti me. Come pensate di sconfiggermi?> chiese Ultron.
Tony sospirò, poi sorrise, guardando Steve. < Come ha detto il vecchio saggio… Insieme!>
 
 
*
 
Insieme ce la fecero davvero: sconfissero Ultron e salvarono migliaia di persone. Se l’erano vista davvero brutta, ma ancora una volta ce l’avevano fatta, anche se in battaglia avevano perso Pietro, il gemello super veloce di Wanda, che per salvare Clint ed un bambino, si era sacrificato sotto i colpi mortali di Ultron.
Qualche giorno dopo, Tony si recò alla nuova base Avengers con la sua Audi R8 arancione, e raggiunse Thor che parlottava animatamente con il Capitano. Non appena gli occhi di Steve incontrarono quelli di Tony, si illuminarono.
< Finalmente ci onori della tua presenza, uomo di ferro> lo prese in giro Thor.
< Già, sapete… Sono stato occupato ad accogliere Pepper, di ritorno da un viaggio di lavoro> rispose Tony,guardando il capitano.
Quest’ultimo sentì le budella attorcigliarsi per la gelosia, ma sorrise ugualmente con disinvoltura. < Beh, tranquillo, la festa non è andata avanti senza di te. Stavamo giusto parlando del martello di Thor… Le regole sono cambiate>
< Già, qualcosa di nuovo…> gli diede corda Tony.
< Beh, la visione è un’intelligenza artificiale…> continuò il capitano, con il chiaro intento di prendere in giro Thor.
< Una macchina.> lo appoggiò Tony.
< Allora non conta!> esclamò Steve
< No, non è come una persona che alza il martello> continuò Iron Man.
< Esatto! Noi abbiamo regole diverse!>
< La gemma della mente è al sicuro con la Visione> li interruppe Thor, alzando gli occhi al cielo. < E di sicurezza ne abbiamo molto bisogno.>
Steve annuì, e poi chiese serio: < Ma se mettessimo il martello dentro ad un’ascensore…>
< Salirebbe comunque!> lo assecondò Tony.
< L’ascensore non è degno!>
< Mi mancheranno queste belle conversazioni!> esclamò Thor battendo un’enorme mano sulla spalla di Tony.
< No, se non te ne vai> gli rispose il miliardario.
< Non ho scelta, devo trovare le altre gemme. Qualcuno ha messo insieme tanti pezzi della scacchiera e quando tutto combacerà …>
< Scacco matto!> confermò Tony
< Pensi di scoprire cosa ci attende?> gli chiese allora Steve.
Thor sorrise. < Sicuro! A parte questo qui, ogni cosa ha una spiegazione!> disse, battendo una mano sul petto di Tony. E così dicendo volò via, grazie alla forza del suo martello divino.
Tony e Steve rimasero quindi soli.
< Mi mancherà!> disse allora Iron Man, passeggiando verso la macchina in compagnia del capitano, le mani nelle tasche dei pantaloni e un paio di occhiali da sole al viso. < Io ti mancherò?> gli chiese quindi. < Pioveranno lacrime al testosterone!>
Steve sorrise. < Mi mancherai davvero, Tony> ammise.
< Si? Beh,adesso mi prendo una pausa. Forse dovrei copiare una pagina del libro di Barton: costruire una fattoria per Pepper, sperando che non la facciano esplodere> gli disse Tony, senza però guardarlo negli occhi.
Steve sorrise. < Una vita semplice…>
< Ci arriverai, un giorno> lo incoraggiò quindi il miliardario.
< Non lo so… Famiglia,stabilità… L’uomo che voleva tutto quello è finito nel ghiaccio settantacinque anni fa. Credo che ne sia uscito qualcun altro> ammise il capitano.
Tony annuì, stringendo le labbra in una linea sottile. Quindi, aprì la portiera dell’auto. < Stai bene?> gli chiese, prima di salire.
< Sono a casa> rispose allora Steve, non sapendo bene se quelle parole corrispondessero o meno alla verità. Avrebbe voluto seguire Tony, o costringerlo a rimanere lì con lui, alla base Avengers ad addestrare Rhodey, Sam, Wanda e Visione insieme con Natasha per farli diventare dei Vendicatori a tutti gli effetti. Ma non ebbe il coraggio di dirglielo, non dopo che il miliardario aveva espresso il desiderio di trascorrere una vita tranquilla con Pepper.
Lo guardò quindi andare via, lungo il viale della base Avengers, esagerato in tutto, anche nella scelta delle macchine. Scosse la testa sorridendo, e un brivido gli percorse la schiena quando immaginò il sorriso perfetto che si allargava spontaneo sul viso di Tony fino ad arrivare ai suoi meravigliosi occhi color caramello.
< Pensavo che tu e Tony steste ancora a guardarvi negli occhi!> gli disse Natasha, raggiungendolo.
< Se n’è andato…> sibilò Steve, incredulo. Non riusciva ancora a capacitarsene. Si era abituato all’idea di averlo intorno, di convivere con lui alla vecchia Stark Tower, e ora l’idea di ritornare indietro, di vederlo chi sa quando, non gli dava pace.
< Tornerà. Lo sai, lo fa sempre. > gli rispose quindi Natasha.
< Già… tornerà>
I mesi passarono lenti e tranquilli. Ogni tanto Steve, Wanda, Natasha e Sam si ritrovavano in missione, ma niente che in un giorno non si potesse sistemare. Una strana calma aleggiava nell’aria, nonostante i continui rumors su quanto, in realtà, il governo era scontento degli Avengers e del loro operato. Steve non dava peso a quelle voci, sicuro che tutto ciò che stavano facendo lo stavano facendo per il bene dell’umanità, non di certo per un tornaconto personale.
In un caldo pomeriggio di fine maggio, Steve era nella sua camera al complesso Avengers, lì dove ormai conviveva da mesi con Natasha, Sam, Wanda e Visione. Era seduto alla scrivania e stava disegnando per l’ennesima volta delle labbra piene, una fronte larga e due occhi color caramello davvero espressivi, quando sentì degli strani rumori provenire dalla finestra. Si alzò di scatto, sull’attenti, e prese al volo lo scudo, spalancando quindi le tende. Ciò che vide lo lasciò di sasso: la stessa armatura di Tony, ma arancione e gialla, volava tranquilla con decine di palloncini colorati chiusi in una mano. Steve aprì la finestra e l’armatura si avvicinò. < Capitano Rogers, sono lieto di invitarla alla cena di compleanno del signor Anthony Edward Stark il giorno 29 maggio alle ore 20.30 presso la sua deliziosa villetta a Los Angeles > la voce metallica non era quella di Tony,ma Steve sorrise ugualmente, scrollando la testa rassegnato: tipico di Tony essere sempre così dannatamente esagerato.
La porta della camera si spalancò e vi entrò Wanda, ridendo. < Oh mio dio, non ci credo! Hai visto cosa ha fatto?> chiese indicando l’armatura. < Ha invitato anche noi!>
Steve sorrise. < Ma certo che l’ha fatto.>
< Ci andiamo, Steve? Dai, dimmi che ci andiamo!> lo pregò la ragazza,mentre anche Nat entrava nella stanza.
< Mi sembra un tantino esagerato> disse alzando gli occhi al cielo.
< Tipico di Tony> rispose quindi Steve, scrollando la testa divertito. < E comunque si, ci andiamo>
E così, la sera del ventinove maggio, Sam, Wanda, Visione, Natasha e Steve partirono per Los Angeles. La nuova villa di Tony era davvero meravigliosa, molto simile a quella di Malibù, dove Steve aveva dei ricordi meravigliosi di quei pochi giorni trascorsi insieme. Bussarono al campanello e venne ad aprirli Pepper. Indossava un abito bianco aderente ed era praticamente bellissima, constatò Steve con sofferenza.
< Ehi, benvenuti! Accomodatevi, forza, gli altri sono già arrivati!> disse facendoli entrare. Non appena notò Steve, gli sorrise. < Ehi, capitano! Come stai?> gli chiese quindi, abbracciandolo.
< Molto bene Pepper, ti ringrazio. Ti trovo in gran forma.> le rispose Steve.
< Già, quello è merito mio> La voce di Tony arrivò nitida e spensierata alle orecchie di Steve, che passò sopra persino a quello che aveva sentito, tanto era la gioia di vederlo. Gli occhi di Tony erano luminosi e bellissimi, così come il suo splendido sorriso, e Steve si chiese ingenuamente se fosse davvero felice come appariva.
< Buon compleanno, amico mio!> gli disse quindi, andandogli incontro per poi stringerlo in un abbraccio sincero. Non importava che tutti fossero lì presenti, che Captain America non si era mai esibito in dimostrazioni pubbliche d’affetto, che non c’era il Sole che aveva lasciato il posto alla Luna. Tutto ciò che Steve desiderava era sentirlo lì, tra le sue braccia, dove inconsciamente sapeva che Tony apparteneva. Sentì che il miliardario ricambiava con forza il suo abbraccio, e sospirò tra i suoi capelli, inebriandosi del suo dolce profumo da uomo.
< Avevo ragione: mi sei mancato> ammise quindi il capitano, sussurrandogli impercettibilmente all’orecchio.
Tony si staccò imbarazzato, ma gli sorrise.
< Ehi, venite?> li chiamò quindi Wanda, mentre Pepper li scrutava preoccupata.
I due raggiunsero un bellissimo salone dove Steve ritrovò Clint con tutta la sua famiglia, Rhodey, e persino Thor. L’asgardiano gli andò incontro e lo abbracciò con sincero affetto. < E’ un piacere rivederti, Capitano!>
< Anche per me, sono contento che tu sia qui! Ci sono novità?> gli chiese.
< Stasera non si parla di lavoro.> lo rimproverò Tony, prendendo una bottiglia di champagne dal cestello. < Brindiamo?> chiese quindi, senza lasciare gli occhi azzurri del capitano.
Il tempo trascorse fin troppo velocemente. Era bello avere un po’ di spazio per la normalità, e sia Steve che Tony se la godettero appieno, circondati dalle persone che amavano e a cui volevano un gran bene. Ma entrambi si resero conto che, come ogni volta in cui si vedevano, c’era come una calamita incastrata nei loro occhi, l’uno alla costante ricerca dell’altro. Era una questione fisica, mentale, carnale, spirituale : quei due si volevano, e ormai tutti l’avevano capito, compresa la povera Pepper, che non sembrò essere amichevole come al solito nei confronti del capitano.
< Tony, è finito il vino!> disse quest’ultima, stringendo tra le mani una bottiglia vuota.
< Corro in cantina!> le rispose il miliardario, scendendo le scale per andare al piano di sotto.
Steve lo seguì, credendo che quello fosse il momento adatto per parlargli da solo.
La cantina di Tony era enorme, ma Steve non si aspettava nulla di meno. Seguì il miliardario in silenzio, tra gli scaffali ricolmi di bottiglie, e si nascose dietro uno di quelli quando Tony si fermò e con l’indice cominciò ad indicare pensoso le varie etichette, forse alla ricerca di quella giusta. Steve si prese qualche momento per osservarlo, mentre quella familiare sensazione allo stomaco venne a fargli visita. La barba di Tony era curata come al solito e la ruga al centro della fronte, quella che piaceva tanto al capitano, era più profonda. Tony sembrava dimagrito e più muscoloso, forse aveva messo in pratica i suoi consigli e i suoi allenamenti, pensò Steve con orgoglio. Era un uomo oggettivamente affascinante e personalmente bello, ed era davvero speciale. Per Steve, Tony era una di quelle persone che puoi incontrare solo una volta nella vita, e amarle o odiarle, senza pensarci troppo. E lui aveva avuto il privilegio di fare entrambe le cose: di odiarlo, ma poi anche di amarlo. Ormai negarlo non aveva più senso. Il capitano sapeva di aver amato solo una persona nella sua vita, e quella persona era stata Peggy. Ma non appena aveva incontrato Tony, era stato attratto da lui in modo così viscerale da destargli uno stupore inimmaginabile. Era per questo che l’aveva odiato sin dal primo momento, apparentemente senza motivo. In realtà aveva realizzato molto prima di chiunque altro che i suoi sentimenti erano strani e confusi, di quelli che non si provano mai più di una volta nella vita. Con Peggy era stato semplice: lui era un uomo, lei una donna, e la loro storia era stata pura e tranquilla, anche se con uno sfortunato epilogo. Ma con Tony? Sapeva che in quell’epoca nessuno si sarebbe scandalizzato più di tanto per l’amore tra due uomini, ma lui aveva un’altra forma mentis, lui veniva dagli anni quaranta, e quel tipo di rapporto negli anni quaranta non sarebbe stato visto di buon occhio. E poi a confonderlo ulteriormente c’era il fatto che anche Tony, conosciuto come il più grande playboy americano, aveva sempre e solo amato donne, o almeno questo era quello che Steve aveva appurato dopo un’attenta ricerca sul suo conto. Eppure, il capitano lo sapeva, non aveva immaginato tutto quello che c’era stato tra loro. Qualcosa c’era, ma proprio non avrebbe saputo dire cosa.
< Sai, mi chiedevo cosa si potesse regalare ad un uomo che ha già tutto> disse Steve avanzando nella sua direzione tra gli scaffali.
Tony sobbalzò per lo stupore, e per poco non fece scivolare una bottiglia, afferrandola all’ultimo momento con la punta delle dita. < Cazzo, Rogers! Non scherzavi quando dicevi di essere la persona più furtiva del mondo!>
< Linguaggio, Stark!> lo ammonì Steve, sorridendo.
< Che fai? Ora mi spii? Da quanto tempo sei qui?> gli chiese il miliardario.
< Abbastanza da godermi il panorama> gli rispose allora il capitano, stando al gioco.
Tony scrollò la testa, sorridendo malizioso. < Non provocarmi, capitano. >
Steve gli si avvicinò, fino ad arrivare a pochi centimetri dal corpo di Tony, dunque si fermò, lo sguardo fisso nel suo. Si frugò nella giacca grigia che aveva messo per l’occasione, sicuro che Tony l’avrebbe apprezzata, e gli porse un piccolo pacchetto rosso con un nastro dorato.
Tony sorrise emozionato, notando che il pacchetto aveva gli stessi colori della sua armatura, sicuro che non fosse un caso. Del resto, nulla era un caso, con Steve.
< Che fai? Non lo apri?> gli chiese il capitano, il palmo della mano ancora aperto nella sua direzione.
Tony afferrò il pacchetto sfiorandogli le dita, senza smettere di guardarlo negli occhi. Con un movimento fulmineo slegò il nastro e con un sospiro aprì il pacchetto. All’interno, vi trovò un medaglione dorato con una piccola catenina. Tony alzò un sopracciglio confuso: che il capitano avesse sbagliato regalo?
Steve rise, notando la sua espressione perplessa. < Aprilo, ingegnere> lo prese in giro, indicando il medaglione.
Tony se lo rigirò tra le mani, fino a quando non notò un piccolo pulsante con lo scatto a molla sul lato sinistro del medaglione. Lo premette, e quest’ultimo si aprì: era un portafotografie.
< Lo usavamo in guerra. Mettevamo sempre le foto delle persone che amavamo lì dentro. Ho pensato… Non so, visto che noi siamo sempre in battaglia, a rischiare la vita, io…ho pensato…>
< E’ bellissimo, Steve> sussurrò Tony, senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. Si rigirò il medaglione ancora aperto tra le mani, dunque sorrise. < Qui c’è lo spazio per due fotografie.>
Steve si grattò la testa, imbarazzato < Si, beh, è un pezzo d’antiquariato, non ne fanno più, ho dovuto arrangiarmi…>
Tony rise. < Un pezzo d’antiquariato… Un po’ come te…> disse, senza smettere di ridere. Poi, con difficoltà, provò a ritornare serio, anche se sul suo viso apparve il solito sorriso malizioso. < Beh, da una parte potrei metterci Pepper, e dall’altra… Hai pensato a qualcuno, capitano?> gli chiese, senza smettere di sorridere.
Steve lo guardò imbarazzato. < Io… Tony…insomma, è tuo… Puoi metterci chi ti pare….>
Tony si fece improvvisamente serio, dunque sospirò. < Oh Steve!> così dicendo avanzò verso il capitano, costringendolo ad arretrare fino allo scaffale, dove le sue spalle urtarono qualche bottiglia, facendole tintinnare contro il muro. Tony lo imprigionò, poggiando le mani sulle mensole ai lati delle sue spalle, e si morse forte il labbro inferiore, indeciso su cosa fare.
Steve riusciva a sentire il suo respiro caldo sul mento, e stava letteralmente impazzendo a vedere il miliardario mentre si torturava il labbro. Quindi alzò la mano con fatica, sfiorando le braccia di Tony, ancora appoggiate ai lati delle sue spalle sulle mensole, e con l’indice e il pollice liberò il labbro dai denti di Tony, massaggiandoglielo delicatamente.
< Cazzo> soffiò allora Tony, assecondando il movimento del capitano muovendo la testa a destra e a sinistra,bramando il suo tocco.
< Linguaggio!> mormorò Steve , sporgendosi poi verso quelle labbra per porre fine a quella tortura.
Pochi centimetri li dividevano, i loro fiati si mischiarono e i loro occhi si bramarono. Ma la magia di quel momento fu interrotta dalla voce di Pepper, che chiamò a gran voce : < Tony!>
Il miliardario scrollò la testa, sentendosi un vero verme, e si allontanò dal capitano in un battibaleno, mentre un senso di colpa venne a fargli visita.
< Si tesoro, sono qui> rispose quindi Tony, senza staccare gli occhi da Steve, che nel frattempo stava cercando di darsi un contegno e di riprendere fiato, visto che fino a quel momento aveva smesso di respirare.
< Non immaginavo ci volesse tutto questo tempo per prendere una bottiglia!> lo rimproverò la donna da lontano, rimanendo poi interdetta quando vide che non era solo. < Oh, ci sei anche tu, Steve> disse quindi, indurendo improvvisamente l’espressione.
< Si, sai tesoro, stavo ringraziando il capitano per avermi raggiunto qui, in occasione del mio compleanno. Non è fantastico che stiamo tutti insieme?> chiese Tony, senza smettere di sorridere.
< Favoloso> mormorò Pepper.
Steve non rispose, palesemente in imbarazzo. < Saliamo?> disse quindi, passando a Tony la bottiglia che nel frattempo il miliardario aveva appoggiato di nuovo sullo scaffale.
Risalirono in silenzio, e per il resto della serata, i due uomini non osarono guardarsi, neanche per errore.
Poco dopo, Wanda, Visione, Sam, Natasha e Steve si prepararono per tornare a New York.
< Sicuri che non volete restare qui per la notte? Ho camere in abbondanza> disse loro Tony, cercando con lo sguardo il capitano.
< Dobbiamo tornare, domani siamo in missione> rispose quello, senza però guardarlo negli occhi. Si salutarono tutti, e quando toccò a loro due, si guardarono imbarazzati, senza sapere bene cosa fare o dire.
< Beh, ci vediamo Stark. Ancora auguri.> disse allora Steve, porgendogli la mano.
< Ci vediamo capitano. E ancora grazie per il regalo> rispose dunque Tony, ancora in palese imbarazzo,rispondendo alla stretta.
E così si separarono, confusi su ciò che stava per accadere in quella cantina ma entrambi, in qualche modo, felici, perché consapevoli che se non fossero stati interrotti, probabilmente qualcosa sarebbe successo davvero. 

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Capitolo 10
*** Gli accordi di Sokovia ***


Nota dell'autrice: Buongiorno e buona domenica.Eccoci arrivati al fatidico momento: la Civil War. Vi anticipo che non ho aggiunto o modificato molto, visto che in questo film abbiamo avuto Stony a volontà... Detto questo godetevi la lettura e grazie per essere sempre così presenti! Un bacio a voi
Claudia
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Capitolo dieci

Gli accordi di Sokovia
 
Il braccio metallico lo afferrò per la gola, stringendo talmente forte che gli uscirono le lacrime dagli occhi. Quelli del soldato d’inverno vorticavano frenetici, impauriti e confusi, riflettendosi nei suoi, azzurri,velati e rassegnati.  Poi, un’esplosione lì vicino lo distrasse, mentre il soldato d’inverno cadde all’indietro, mollando la presa, scaraventato lontano dalla forza dei propulsori dell’armatura di Iron Man.
< Sei venuto!> esclamò quindi sollevato.
< Io vengo sempre, quando tu chiami> gli rispose Tony, avvicinandosi per lasciargli un bacio a fior di labbra. Proprio in quel momento il braccio metallico di Bucky attraversò il miliardario da parte a parte, rompendogli la sua lucente armatura. Tony annaspò tra le sue braccia ed infine cadde, rovesciando i suoi meravigliosi occhi all’indietro.
Steve aprì gli occhi e, di scatto, si alzò a sedere, agitandosi. Sentiva il cuore pulsare forte nelle orecchie e il panico lo assalì improvvisamente. Erano mesi ormai che sognava Bucky, preso dall’angoscia di non sapere ancora dove fosse e come stesse. Solo che nel sogno, c’erano solo tutti e due, non era mai successo che vi rientrasse anche Tony. I sogni che dedicava a Tony erano ben diversi, e non avevano mai nulla di angosciante o frustrante come quello che aveva appena fatto, anzi. Il capitano si alzò del tutto e guardò l’orologio: erano le quattro di notte; era sicuro che da qualche parte, dall’altra parte dell’America, Tony fosse sveglio. E probabilmente l’avrebbe chiamato, non fosse stato per il fatto che era ancora turbato e che erano ormai due mesi, e cioè dal giorno del suo compleanno, che non si sentivano. Steve si chiese se anche l’uomo di ferro, come lui, aveva una paura assurda di parlare di quella sera di maggio, quando per poco le loro labbra non si erano sfiorate,assecondando un impulso che ormai andava avanti da anni.
Si diresse così in cucina, e lì vi trovò Wanda, seduta sul divano con la testa tra le mani. Le si avvicinò cauto e si sedette accanto a lei, poggiandole una mano sulla spalla.
La ragazza allora cominciò a singhiozzare più forte. < Mio dio Steve, cosa ho fatto!>
Steve l’abbracciò. < Non è colpa tua. Mi hai salvato la vita.Avrei dovuto rilevare quella bomba prima di te. Rumlow ha fatto il nome di Bucky, ed io sono tornato ad essere un sedicenne a Brooklyn > la rincuorò.
Due giorni prima erano in missione insieme con Falcon e Natasha a Lagos, in Nigeria, per impedire a Rumlow,l’ex agente dello SHIELD infiltrato dell’Hydra, di rubare un’arma biologica.  Durante lo scontro, Rumlow aveva azionato un giubbotto esplosivo per uccidere Steve, e Wanda, con l’intenzione di salvare la vita al capitano, aveva cercato di limitare l’esplosione, facendo schiantare Rumlow contro un palazzo,uccidendo così decine di volontari del Wakanda. Tutti i telegiornali del mondo ne parlavano, e la telefonata del governo non era mancata di arrivare, informando gli Avengers che in settimana avrebbero ricevuto la visita del segretario di stato presso la loro base.
Ma la settimana passò, e nessuna visita da parte del governo arrivò. Passò un mese, prima che il telefono di Steve squillasse, e il numero di Tony apparisse sul display. Il capitano rispose, con il cuore che batteva all’impazzata contro il torace.
< Tony?> sussurrò.
< Domani in mattinata vengo alla base,volevo solo informarti> La voce di Tony era fredda, e assente. Rimase in silenzio, in attesa di una risposta di Steve, che però rimase talmente pietrificato da quel gelo che non riuscì a rispondere. < A domani> chiuse quindi la telefonata il miliardario.
L’indomani, Visione entrò nella camera di Steve. < Volevi essere informato dell’arrivo di Stark. Beh, è qui. E ha portato un ospite>
< Di chi si tratta?> chiese allora il capitano, alzandosi in piedi.
< Il segretario di stato> rispose Visione.
Steve scese al piano di sotto e fu meravigliato di trovarvi tutti i suoi compagni: c’erano Natasha, Visione, Wanda, Sam, Rhodey ed infine Tony, che si avvicinò a Steve stringendogli frettolosamente la mano, senza neanche guardarlo negli occhi. Si sedettero tutti intorno al tavolo eccetto Tony, che rimase in disparte alle spalle del capitano.
Il segretario di stato Thaddeus Ross cominciò a spiegare agli Avengers il forte malcontento dei governi per il loro operato, e la decisione presa da tutte le Nazioni Unite di stipulare gli Accordi di Sokovia, che avrebbero stabilito un ente governativo internazionale per monitorare i superumani e chiedere di loro iniziativa l’intervento degli Avengers.
< Fra tre giorni le Nazioni Unite si incontreranno per ratificare gli accordi. Discutetene> li avvisò il segretario.
Così, Steve cominciò a leggere gli accordi, mentre Rhodey e Sam discutevano ad alta voce sul da farsi. Tony era seduto sul divano, le mani sul viso in segno di stanchezza. Visione spiegò la sua propensione alla ratifica.
< Tony, sei curiosamente silenzioso e poco logorroico> notò allora Natasha.
< E’ perché ha già deciso come fare> rispose il capitano, senza però guardarlo negli occhi.
< Oh, mi conosci davvero bene> esclamò il miliardario. Si alzò in piedi con le mani a coprirsi la testa. < In realtà lotto con un’emicrania elettromagnetica. Capito capitano? Sono dolorante,sofferente… Chi ha messo i fondi del caffè nel tritarifiuti?> sbottò poi, girandosi verso i compagni. < Gestisco un bed and breakfast per motociclisti?>continuò. Sospirò, poi prese lo Stark Phone e mandò una proiezione. < Lui è Charles Spencer, a proposito> disse, quando il viso di un giovane ragazzo comparve sul led. < Un ragazzo in gamba, laureato in ingegneria informatica, media voti altissima, voleva fare carriera, ma la sua anima aveva bisogno di esperienze prima di parcheggiarsi dietro ad una scrivania, di vedere il mondo, forse di sentirsi utile. Charlie ha voluto trascorrere la sua estate a costruire case sostenibili per i poveri in Sokovia. Voleva fare la differenza, forse, chi lo sa… Gli è crollato un palazzo addosso mentre noi giocavamo ai salvatori> si interruppe, bevendo un sorso di caffè, mentre i suoi amici si guardavano intorno con circospezione ed imbarazzo. < Non c’è nessuna decisione da prendere: dobbiamo essere rimessi in riga, in qualunque modo… Io ci sto! Se non ci mettono un freno siamo come i cattivi>
< Non ti arrendi se nel tuo turno di guardia muore una persona> gli fece allora presente Steve.
< Chi si vuole arrendere?> gli chiese allora Tony, guardandolo per la prima volta negli occhi .
< Dobbiamo assumerci la responsabilità per le nostre azioni, questo documento sposta solo la colpa> rispose il capitano.
Continuarono a discuterne per un bel po’: Steve sosteneva che le mani sicure erano le loro, e che gli Avengers non potevano essere controllati dai governi, mentre Tony si ostinava a ripetere che avevano bisogno di un controllo, molto probabilmente perché si sentiva ancora in colpa per ciò che era successo in Sokovia e per aver creato Ultron.
< Forse Tony ha ragione… Se abbiamo le mani sul volante possiamo sterzare…> rispose allora Natasha.
< Fermi tutti… Ho sentito bene o mi hai dato ragione?> le chiese allora Tony.
Nat alzò gli occhi al cielo. < Oh, posso ritrattare…>
< No no no è impossibile, grazie…>
Il telefono di Steve vibrò, e quest’ultimo lo prese per leggere un messaggio. Il cuore cominciò a battere all’impazzata e una tristezza infinita gli bloccò il respiro. Si alzò di scatto e disse: < Devo andare>
Durante il viaggio verso Londra, Steve non riusciva a pensare a nulla, se non al fatto che Peggy non ci fosse più. La donna della sua vita se n’era andata, la vecchiaia l’aveva presa e lui non aveva potuto fare nulla. Sam aveva deciso di accompagnarlo, e lui non aveva detto di no, consapevole di non poter affrontare quel momento da solo. Al funerale, Steve scoprì che Peggy aveva una nipote che altri non era se non l’agente tredici dello SHIELD, Sharon, la quale era stata messa a sorvegliare Steve da parte di Fury, quando viveva nella sua vecchia casa. Il capitano rimase sconvolto da quella scoperta e sorrise beffardo al destino, soprattutto quando ricordò che aveva trovato Sharon particolarmente carina e che in quel periodo aveva persino avuto l’idea di invitarla fuori a cena. Poi, però, non l’aveva più fatto, un po’ per via del casino con Bucky, e poi anche perché c’era Tony… Tony. Tony che voleva firmare gli accordi. Tony che si sentiva in colpa per tutto, talvolta anche di respirare. Tony che sembrava la persona più sicura del mondo ma che in realtà era spaventato a morte e viveva in un costante senso di colpa. Tony che non aveva più il coraggio di guardarlo negli occhi.
Dopo il funerale, Steve si trattenne in chiesa, a pregare. Lì lo raggiunse Natasha.
< Quando sono uscito dal ghiaccio credevo che tutti quelli che avevo conosciuto fossero morti. Poi ho scoperto che lei era viva.> disse guardando la foto di Peggy. < L’avevo ritrovata>
< Anche lei ti aveva ritrovato> gli rispose Nat.
Steve annuì. < Chi ha firmato?>
Natasha sospirò. < Tony, Rhodey, Visione>
< Clint?> chiese il capitano.
< Dice che si è ritirato>
< Wanda?>
< Titubante. Io andrò a Vienna per la firma degli accordi. C’è molto spazio sull’ aereo> lo invitò Natasha  < Soltanto perché è la scelta più facile da prendere non vuol dire che sia quella sbagliata. Stare insieme è più importante di come stiamo insieme>
< Mi dispiace Nat. Non posso farlo> le rispose allora Steve
Natasha sospirò. < Lo so>
< E allora perché sei qui?>
< Non volevo che stessi solo> gli rispose la donna, abbracciandolo
 
Ma il viaggio a Vienna non fu come se l’erano aspettati, per nessuno di loro. Ci fu un attentato che uccise il re del Wakanda, e l’attentatore fu identificato dalle telecamere di sicurezza come Bucky Barnes, il soldato d’inverno. Steve, con l’aiuto di Sam e Sharon, passata dalla sua parte per aiutarlo, si recò quindi a Bucarest, dove fu avvistato per l’ultima volta Bucky, con la speranza di parlare con il suo migliore amico e di scoprire cosa aveva a che fare con quella faccenda. Riuscì quindi a rintracciare la sua dimora, e lì rivide Bucky dopo tanto tempo. La polizia, però, stava col fiato sul collo del soldato d’inverno, e così Steve decise di aiutarlo, nonostante i ripetuti rifiuti da parte dell’amico. Rincorse quindi Bucky per le strade di Bucarest, cercando di parlargli, fino a quando non si rese conto di non essere l’unico ad inseguirlo. Un uomo vestito da pantera, infatti, stava loro alle costole, pronto ad attaccare Bucky a qualsiasi costo. Quando furono fermati tutti dalla polizia e da Rhodey, con l’armatura di War Machine, Steve scoprì che l’uomo pantera non era altri che T’Challa, il principe del Wakanda, pronto ad uccidere Bucky per vendicarsi per la morte di suo padre.
Steve, Sam e Bucky vennero quindi fermati e portati a Berlino, dove l’uomo dal braccio meccanico fu rinchiuso in una teca di vetro di massima sicurezza, pronto per essere interrogato.
Lo scudo di Steve e le ali di Sam furono confiscati, e i due furono portati insieme alla Pantera Nera in un ufficio. Lì Steve incontrò Natasha, che lo guardò con aria afflitta e, attraverso il vetro, vide Tony, intento a parlare a telefono.
Non appena vide Steve e Sam, Tony gli andò incontro. < Conseguenze? Certo che ci saranno conseguenze, può citare le mie parole, signore> disse quindi, attaccando poi il telefono.
< Conseguenze?> gli chiese Steve.
< Il segretario Ross voleva farvi causa. L’ho accontentato> rispose Tony, con sguardo duro. Era palesemente spossato e stanco, per non dire afflitto.
< Non avrò quello scudo, vero?> chiese allora Steve.
< Tecnicamente è di proprietà del governo. E anche le ali> rispose Natasha
< Sei di ghiaccio!> mormorò Sam
< Steve se ne intende> disse allora Tony, con un mezzo sorriso.
Steve si accomodò quindi in un ufficio, e Tony lo seguì,mettendosi in piedi davanti a lui intorno ad un tavolo. < Sarai contento, ora che hai ritrovato il tuo amichetto>
< Non ti permettere di parlare di lui!> sbottò Steve. Finalmente il rancore che aveva provato tanto tempo per Tony sembrò uscire fuori. Tony che non lo aveva aiutato a cercare Bucky. Tony che non lo aveva più chiamato dopo il suo compleanno. Tony che voleva firmare gli accordi.
< Ci surriscaldiamo presto se pensiamo a braccio di ferro, eh?> chiese quindi Tony. Poi, alzò le braccia in segno di resa. < Voglio farti vedere una cosa > disse poi, prendendo dalla tasca della giacca un contenitore con delle penne. < Le ho prese dall’archivio di mio padre. Roosvelt ci ha firmato il Lend Lease nel quarantuno. Fornì appoggio agli alleati nel momento del bisogno…>
< Per qualcuno ha avvicinato il nostro paese alla guerra> lo interruppe Steve.
< Senza queste tu non saresti qui. Ti sto offrendo un ramoscello d’ulivo. E così che si dice?> gli chiese Tony, in palese difficoltà.
< Pepper è qui? Non l’ho vista!> rispose Steve, facendo un mezzo sorriso. Sapeva di dovergliela far pagare, in qualche modo. E quale metodo migliore se non pronunciare il nome della sua fidanzata, colei che stava per essere tradita giusto qualche mese prima, se solo non li avesse interrotti?
< Siamo… noi siamo… Beh, insomma…> mormorò in imbarazzo il miliardario.
< Aspettate?> chiese Steve, sorpreso
< No, decisamente no. Ci siamo presi una pausa> ammise Tony, dicendo tutto ad un fiato < Non ci sono colpe>
< Mi dispiace Tony, non lo sapevo> Ora Steve era davvero mortificato, e si sentiva uno schifo.
< Anni fa l’avevo quasi perduta e così…distrussi le mie armature > confessò il miliardario, dicendogli cose che Steve già aveva saputo, proprio dalla stessa Pepper. < Poi abbiamo dovuto eliminare l’Hydra, e poi Ultron…colpa mia! E poi e poi e poi…non mi fermo mai. Perché la verità è che non voglio fermarmi. > Guardò Steve negli occhi, e pensò di giocarsela in qualsiasi modo. < Non voglio perderla. Gli accordi potrebbero rappresentare un compromesso.> gli spiegò il miliardario, conscio del fatto che il capitano fosse pur sempre un uomo buono e altruista.
Steve sospirò
< A sua difesa io non sono facile. Anche papà era un rompiscatole ma tra lui e mamma ha sempre funzionato> soffiò Tony, cominciando a camminare per la stanza.
< Sono contento che Howard si sia sposato. Quando l’ho conosciuto era giovane e solo e…>
< Ah davvero? Voi due vi conoscevate? Non me l’ha mai detto…forse solo un milione di volte. Quanto ti odiavo!> sbottò il miliardario, infilandosi la giacca.
Steve alzò la testa per incontrare il suo sguardo. < Non renderò le cose difficili> gli promise
< Lo so, perché sei una persona garbata.> rispose Tony.
< Se vedo una situazione che va in rovina, non posso ignorarla. A volte vorrei poterlo fare…>
< Non è vero!> lo interruppe Tony.
Steve fece un mezzo sorriso < No, non è vero> Sapeva che nessuno al mondo lo conosceva bene quanto Tony. A parte Bucky,ovviamente. < A volte…>
< A volte vorrei darti un pugno su quei bei dentini> sbuffò Tony. Poi alzò le spalle < Ma non voglio vederti andare via. Finora non è successo niente di irrimediabile, se firmi. Renderemo legittime le ultime ventiquattro ore. Barnes andrà in un centro psichiatrico americano, invece che nel Wakanda in prigione> gli promise.
Steve allora prese una delle due penne e si alzò in piedi. Poi, si girò a guardare Tony < Non dico che sia impossibile, ma devono esserci delle garanzie>
< Certo!> rispose Tony. < Appena tranquillizzata l’opinione pubblica presenterò una mozione per far reintegrare te e Wanda>
< Wanda? Che c’entra Wanda?> chiese Steve, in preda al panico.
< Sta bene. E’ confinata nel complesso attualmente. Visione le fa compagnia> spiegò il miliardario.
< Oh no, Tony! Ogni volta! Ogni volta che credo che tu veda le cose nel modo giusto…>
< C’è una palestra, una piscina olimpionica, una sala proiezioni…Non è male come protezione…>
< Protezione?> sbottò Steve. < E’ così che la chiami tu? Questa è protezione? E’ internamento, Tony…>
< Non è cittadina americana e non concedono visti ad armi di distruzioni di massa!> urlò Tony
< E’ una ragazzina!> abbaiò ancora più forte Steve.
< E tu sei un coglione!> sbottò quindi il miliardario <  Faccio quello che deve essere fatto per prevenire qualcosa di peggio!>
< Continua a raccontartela. Mi dispiacerebbe separarle> disse allora il capitano, rimettendo la penna accanto all’altra, e uscendo dalla sala.
Tony si infilò gli occhiali da sole e si morse il labbro,chiedendosi quando e come fossero arrivati a quel punto, che sembrava davvero essere un punto di non ritorno.
Così, si alzò afflitto e seguì Steve nella sala comune, lì dove tutti erano in attesa dell’inizio dell’interrogatorio di Bucky. Decine di schermi proiettavano il viso stanco del soldato d’inverno, e Tony si girò di lato, quel tanto che bastava per osservare Steve. Il capitano aveva le braccia conserte ed una ruga corrugava la sua fronte, dandogli un’aria palesemente nervosa e preoccupata. Tony scrollò la testa e distolse lo sguardo: non ce l’avrebbe fatta a vederlo in quelle condizioni un minuto di più. Non per un qualcuno che non fosse lui, almeno. Avrebbe volentieri preso Steve a schiaffi, facendogli uscire tanto di quel sangue fino a farlo rinsavire. La sola prospettiva di fargli del male lo eccitò, al solo pensiero che dopo averlo picchiato per bene l’avrebbe chiuso in una stanza e l’avrebbe legato al letto, facendolo godere fino a quando lui non l’avrebbe supplicato di smettere. In fondo l’aveva capito,con Steve era sempre così: ci voleva il bastone e la carota. Non potevi dargli l’uno o l’altro, perché in entrambi i casi se ne sarebbe approfittato. Quello strano pensiero preoccupò Tony,che non aveva mai avuto questi istinti con le donne, figurarsi con un uomo. Non che non fosse mai stato con un uomo, ne era capitata l’occasione diverse volte, ma di mezzo c’era sempre una donna, o più di una…Non aveva mai avuto un rapporto esclusivo con una persona del suo stesso sesso, perché credeva che non rientrasse nei suoi gusti. Eppure, ultimamente, si era ritrovato ad immaginare diversi scenari in compagnia del capitano, e la cosa lo mandava ai pazzi. Sapeva che Steve ricambiava il suo interesse, ne aveva avuto la conferma definitiva il giorno del suo compleanno, quando aveva sentito il suo fiato caldo e i suoi sospiri eccitati sulla sua bocca, poco prima di essere interrotti. Eppure il capitano non aveva mai fatto un passo nella sua direzione, dandogli un input, un qualcosa a cui aggrapparsi. E ora Steve era lì, nella sua stessa stanza dopo mesi, e dedicava quello sguardo preoccupato e ansioso che aveva dedicato tante volte a lui in battaglia, ad un altro uomo. Era una situazione davvero insostenibile, e l’emicrania di Tony aumentò,soprattutto quando notò una biondina che girava intorno a Steve come una cagna in calore. E ora da dove diamine era spuntata fuori, questa?
< Smettila di sbavare guardando Steve> gli sussurrò quindi Natasha all’orecchio.
Tony la guardò accigliato. < Cosa? Sei completamente fuori strada, Aracne fastidiosa> sbottò. Poi, lanciò di nuovo uno sguardo a Steve e alla biondina. < Chi è la tipa?> chiese quindi a Natasha.
< L’agente Carter. E’ la nipote di Peggy. Lavora per la CIA> rispose Natasha, alzando un sopracciglio come a dire: “Menomale che ero fuori strada”.
Tony indurì la mascella e si concentrò ad ascoltare l’interrogatorio di Barnes, che era cominciato. Le solite domande di routine furono fatte al soldato d’inverno, il quale apparve in sé e consapevole di ciò che gli stava accadendo. All’improvviso, tutto diventò buio, e le telecamere si spensero. Tony cercò di sforzare la vista, ma era tutto troppo nero. < Friday, trovami la fonte del corto circuito!> ordinò alla sua nuova AI.
Si girò giusto in tempo per vedere Steve, Sam e la bionda correre via, ed una strana sensazione si impossessò di lui: era così che sarebbe andata d’ora in poi? Avrebbero fatto le cose in maniera separata?
< Dimmi che ti sei portato un cambio!> gli disse quindi Natasha, avvicinandosi a lui.
< Certo, un bellissimo tre pezzi con doppiopetto. Sono un non combattente in servizio!> sbuffò Tony, correndo in direzione di Steve e Sam. Arrivato nell’atrio della struttura, non vide Steve, ma solo il soldato d’inverno che combatteva come impazzito contro alcuni agenti. Trasformò quindi il suo orologio in un pezzo dell’armatura e si avvicinò a Bucky, stordendolo per un attimo con un’onda del propulsore. Si avvicinò al soldato d’inverno ed inneggiò con lui una lotta corpo a corpo, facendo tesoro degli insegnamenti che Steve aveva continuato a dargli anche alla base Avengers. Bucky aveva una pistola, e gli sparò addosso, ma Tony si protesse con la mano dell’armatura, l’unica sua parte di ferro in quel momento, e lo guardò negli occhi, in cagnesco. Fu scaraventato poi lontano con un pugno ben piazzato all’occhio, mentre accorrevano in suo aiuto Natasha e la bionda, seguite a ruota da T’Challa, la Pantera Nera.
Tony si alzò con difficoltà e si buttò alla ricerca di Steve: dove diamine era finito?
Si diresse al piano di sopra e si fermò interdetto in mezzo alle scale, quando vide dalle vetrate un elicottero cadere nel fiume. Si affacciò alla finestra e vide la testa di Steve uscire dall’acqua, mentre tra le braccia stringeva il corpo svenuto del suo migliore amico.
Tony si rese conto solo in quel momento di non riuscire a respirare. Si accasciò su sé stesso, appoggiando la testa al muro, e cercò di stendere le gambe, diventate un tutt’uno col corpo. Gli occhi gli bruciavano e sembravano avere la necessità di lacrimare, ma lui indurì la mascella e si morse il labbro: non avrebbe permesso alle sue lacrime di uscire per Steve. Steve che non se lo meritava. Steve che era corso dietro al suo migliore amico. Steve che non voleva firmare gli accordi. Steve che lo aveva abbandonato.
Qualcuno si appoggiò alle sue ginocchia, e Tony aprì gli occhi ed incontrò lo sguardo preoccupato di Natasha. Stava dicendo qualcosa, ma lui proprio non riusciva a sentirla. Gli passò un sacchetto di plastica, e Tony lo prese al volo, portandoselo alla bocca e ricominciando così a respirare.
< Tony! Dio mio! Stai bene?> gli chiese la donna, molto probabilmente non per la prima volta, vista la sua insistenza.
< Portami di sopra. Voglio solo… Ho bisogno di…> ma non riuscì a finire la frase perché chiuse gli occhi, sperando che quello fosse solo l’ennesimo, brutto sogno. 

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Capitolo 11
*** Io ci sarò ***


AVVISO: La ff va in vacanza per una settimana... Salta quindi l'aggiornamento del 14 agosto e riprenderà il 21 agosto con il penultimo capitolo! Grazie ancora per esserci sempre! Buone vacanze,
Claudia
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Capitolo undici

Io ci sarò
 
Steve era ricercato, e così anche Sam e Bucky. Dopo aver recuperato il corpo di Bucky dal fiume, Steve e Sam lo avevano portato in un posto sicuro, dove scoprirono che a Bucky era stato nuovamente fatto il lavaggio del cervello e che il dottore che lo aveva interrogato voleva sapere da lui informazioni sulla Siberia, dove per decenni era rimasto confinato il soldato d’inverno. Quest’ultimo rivelò ai due uomini di non essere l’unico soldato geneticamente modificato e ricordò i momenti in cui si era ritrovato a lottare contro gli altri superuomini, dopo aver rubato, nel 1991, i sieri che avrebbero modificato geneticamente quelle persone,permettendo così ai soldati russi di cominciare gli esperimenti.
Sam sospirò. < Sarebbe stato più facile una settimana fa…>
< Se chiamassimo Tony…> propose Steve, e solo pronunciando il nome del miliardario si sentì meglio, più rasserenato.
< No, non ci crederebbe>  lo fece ragionare Falcon.
< E anche se ci credesse,gli accordi non gli permetterebbero di aiutarci. Siamo soli> mormorò allora Steve.
< Forse no. Conosco un tipo…> confidò Sam. 
Così Steve avvisò anche Clint Barton, chiedendogli aiuto e supplicandolo di andare a recuperare anche Wanda, che si trovava sotto la protezione di Visione. Si diedero appuntamento all’aeroporto di Lipsia-Halle per poter così partire verso la Siberia. Sam portò con sé anche Scott Lang, meglio conosciuto come Ant Man, un uomo capace di rimpicciolirsi come una formica grazie alla speciale tuta costruita dallo scienziato Pym.
All’aeroporto lo raggiunse anche Sharon, che aveva recuperato il suo scudo e l’armatura di Falcon.
Così, mentre Sam e Bucky aspettavano in macchina, Steve scese per parlare con la ragazza.
< Non credo che tu abbia chiaro il concetto di “macchina da fuga” > disse la bionda indicando il maggiolino in cui sedevano Bucky e Sam
< E’ per mantenere un basso profilo> si giustificò Steve , sorridendole. < Sono di nuovo in debito> le disse poi, quando la donna gli consegnò lo scudo.
< Lo terrò in conto> rispose la bionda, sorridendo. < Sai, ha cercato di uccidermi> disse poi, indicando Bucky.
< Scusa, anche io lo terrò in conto> le fece presente il capitano. < Verranno a cercarti>
< Lo so>
Steve la guardò, e si chiese se tutti quei sentimenti che provava fossero sbagliati. Si chiese se l’attrazione verso quella donna fosse solo riconoscenza, o un modo per dimenticare qualcun altro che in quel momento non poteva avere. Ma non lo sapeva, e così decise di godersi l’attimo, per una volta nella vita. Di fare qualcosa che non sembrava tremendamente sbagliato. < Grazie Sharon> le disse quindi, e poi si avvicinò,prendendola per un fianco per baciarla.
< E’ stato…>
< In ritardo> finì per lei il capitano, ricordando tutte le volte che avrebbe voluto invitarla fuori a cena, quando ancora non sapeva chi fosse.
< Beh, devo andare…> E così dicendo se ne andò davvero.
Steve si girò verso Sam e Bucky, che gli fecero un cenno d’apprezzamento, avendo assistito alla scena. Raggiunsero quindi Clint, Wanda e Scott,avvertendoli della pericolosità della missione che li aspettava. Mentre stavano discutendo, un allarme cominciò a suonare.
< Stanno evacuando l’aeroporto> disse Bucky.
< Stark> rispose Sam.
< Preparatevi> ordinò Steve, nervoso. E così Tony li aveva rintracciati. Si chiese come si sarebbe comportato il miliardario in quella situazione, visto che lui non aveva assolutamente idea di come affrontare il tutto. Avrebbero combattuto l’uno contro l’altro? Ce l’avrebbe fatta a colpire davvero Tony?
Si diresse per primo verso un elicottero pronto a partire, quando una scarica elettrica colpì in pieno il mezzo volante. Steve alzò la testa e vide l’armatura di Iron Man, affiancato da War Machine. Tony atterrò proprio di fronte a lui.
< Wow! Quanta gente si incontra all’aeroporto, non lo trovi curioso?> chiese a Rhodey, alzando l’elmo della sua armatura.
< Molto curioso> rispose quindi Rhodey.
< Sta a sentire, Tony. Quel dottore, lo psichiatra, c’è lui dietro a questo> gli fece presente Steve, proprio mentre anche la Pantera Nera li raggiungeva.
< Comunque… Ross mi ha concesso trentasei ore per portarti dentro, e questo ventiquattro ore fa. Aiuti il fratellino?> gli chiese quindi Tony, ironico.
< Insegui l’uomo sbagliato> gli fece presente Steve.
< Il tuo giudizio è un po’ distorto. Il tuo amico ha ucciso degli innocenti…> ringhiò Tony, stringendo i pugni dentro l’armatura.
< Ci sono altri cinque supersoldati proprio come lui. Non permetterò che il dottore li trovi prima. Non posso> spiegò Steve, cercando di convincerlo.
< Steve, vuoi veramente che tutto finisca in uno scontro?> gli chiese allora Natasha.
Tony sbuffò. < Va bene, ho finito la pazienza… BIMBO RAGNO!> gridò, e dall’alto, qualcuno si impossessò dello scudo di Steve, finendo poi col legargli le mani. Steve notò che si trattava di un ragazzino con una tutina aderente blu e rossa, e rimase sinceramente colpito dalla sua agilità.
< Complimenti> disse quindi Tony, al ragazzo.
< Grazie, l’atterraggio poteva andare meglio, ma sa, il costume nuovo…> disse il ragazzo.
< Non c’è bisogno di attaccare una filippica> gli fece presente il miliardario.
< Okay> rispose il ragazzo. < Capitano, grande fan. Sono Spider Man> disse poi rivolgendosi a Steve.
< Si, ne parleremo dopo. Bel lavoro> lo rincuorò Tony.
Steve scrollò la testa, nonostante tutto, divertito. < Sei stato occupato> disse quindi a Tony.
< E tu sei stato proprio un idiota. Trascinando Clint in questa cosa, liberando Wanda da un luogo sicuro. Sto cercando di…> si fermò, sospirò, e cercò di calmarsi. < Sto cercando di impedirti di dividere gli Avengers!>
< L’hai fatto tu quando hai firmato>  gli rispose prontamente Steve, con un magone allo stomaco.
< Va bene, basta.> sbottò Tony. < Ci darai in custodia Barnes e verrai con noi!Adesso,perché siamo noi! O arriverà una squadra speciale senza alcun rimorso per le maniere sgarbate!> gli spiegò, come se fosse un bambino. Poi, lo guardò con gli occhi lucidi. < Avanti!> lo supplicò Tony.
Ma Steve non gli diede retta, e con l’aiuto di Scott recuperò il suo scudo. Quando voleva sapeva essere dannatamente testardo, ed ora quella era una di quelle occasioni. Sapeva che Tony non avrebbe mollato,convinto di essere dalla parte della ragione, ma ora anche lui aveva una missione: doveva impedire a quel pazzo furioso di liberare gli altri supersoldati. E poco importava che Tony non ci credesse, ora il bene superiore era davanti a tutto.
Cominciarono così a combattere. Tony notò Wanda e Clint e disse agli altri che se ne sarebbe occupato lui, mentre la Pantera Nera cominciò a rincorrere Bucky. Steve, però, lo fermò, affrontandolo di petto. Spider Man si batteva con Bucky e Falcon in contemporanea, e sembrava cavarsela davvero bene. La Pantera nera graffiò lo scudo di Steve, con i suoi artigli di vibranio, e quest’ultimo si girò su sé stesso per evitare un colpo ben piazzato in pieno viso. Approfittando di un attimo di distrazione in cui Scott aveva trasformato un camion giocattolo in un camion gigante, Steve, Wanda, Bucky, Sam e Clint cominciarono a correre verso l’aereo, ma furono fermati da Visione e raggiunti da Tony, T’Challa, Natasha, Rhodey e Spider Man.
< Che facciamo capitano?> chiese allora Sam, non particolarmente contento di dover colpire i suoi compagni.
< Combattiamo!> ringhiò Steve, sicuro.
E così si corsero incontro, occhi negli occhi, senza fermarsi,uno schieramento contro l’altro. I propulsori di Tony colpirono lo scudo di Steve, e un pugno dato con forza da Tony vibrò sulla mascella del capitano, che però non si diede per vinto.< Ti ho insegnato io a combattere così!> ringhiò Steve
< Allora mi sa che dovrò ringraziarti> annaspò Tony,colpendolo di nuovo. Steve cadde a terra, e Tony ne approfittò per colpire Scott.
Il giovane Peter Parker, invece, raggiunse il capitano,e gli legò i piedi con le sue ragnatele. Combatterono per un po’, fino a quando il capitano non ebbe la meglio. Steve apprezzò non poco il coraggio del giovane ragazzo, e si chiese come diavolo avesse fatto Tony a reclutarlo. Fu raggiunto da Bucky, che lo sollecitò a partire, dicendogli che ormai il dottore si trovava già in Siberia. E così, sotto la sollecitazione dei loro compagni, Steve e Bucky si diressero verso l’aereo, mentre tutti gli altri venivano distratti da Scott, che aveva appena acquisito una dimensione gigantesca. Poco prima di salire sull’aereo, i due amici furono fermati da Natasha, che però all’ultimo momento decise di lasciarli andare, fidandosi di Steve.
 
Tony aveva appena abbattuto l’enorme Scott, con l’aiuto di Rhodey ma soprattutto di Peter, che aveva fatto un volo enorme ed era caduto a terra. Il miliardario gli si avvicinò preoccupato e quando si fu accertato che stava bene, gli intimò di tornare a casa.
Proprio in quel momento notò che Rhodey si era lanciato all’inseguimento dell’aereo sul quale erano riusciti a salire il capitano ed il soldato d’inverno, e così lo seguì. Alle calcagna avevano però Sam, e così Rhodey chiese l’aiuto di Visione, il quale però sbagliò mira e colpì l’armatura di War Machine, che cominciò a precipitare da decine e decine di metri.
Tony lo rincorse allarmato < Rhodey!> urlò, buttandosi quanto più veloce possibile verso l’amico, che stava perdendo quota sempre più velocemente.
Sam lo seguì all’istante, cercando di recuperare Rhodey per evitare che si potesse far male in qualsiasi modo.
< Tony, ho i motori fuori uso> imprecò Rhodey, la voce palesemente spaventata, mentre il suo corpo precipitava in caduta libera. Ma né Tony, né Sam riuscirono ad arrivare in tempo, e Rhodey si schiantò al suolo. Tony lo raggiunse in un battibaleno, accertandosi che l’amico fosse ancora vivo. Ma Rhodey era svenuto, e quindi non poteva rassicurarlo come avrebbe voluto.
< Mi dispiace> mormorò Sam, e Tony lo colpì con i suoi propulsori, scaraventandolo all’indietro, senza però alzarsi dal corpo del suo migliore amico, steso a terra ed inerme tra le sue braccia. Il miliardario alzò lo sguardo verso l’alto e bramò vendetta: avrebbe preso Steve e gliel’avrebbe fatta pagare. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, lui ce l’avrebbe fatta.
All’ospedale, Tony sembrava un pazzo. Camminava per i corridoi aventi e indietro, nell’attesa che Rhodey uscisse dalla TAC. Natasha lo raggiunse, e lui la informò delle condizioni di Rhodey,che aveva le vertebre fratturate ed una grave lesione al midollo spinale che molto probabilmente gli avrebbe causato la paralisi. Rimproverò la donna per aver lasciato andare Bucky e Steve,informandola poi che il governo era a conoscenza del fatto che avesse aiutato i due a fuggire. Natasha fu quindi costretta a scappare. Tony ebbe la conferma tramite la polizia di Berlino che lo psichiatra che aveva interrogato Bucky non era chi aveva detto di essere,bensì l’ex colonnello sokoviano Helmut Zeno, il quale aveva anche delle protesi ed una parrucca nella sua stanza d’albergo, usate per assomigliare a Bucky e per far ricadere su di lui le colpe dell’attentato in Wakanda.  Così,Tony decise di andare presso la prigione dove avevano rinchiuso Wanda, Sam, Clint e Scott per saperne di più sulle intenzioni di Steve. Non era mai stato il tipo di uomo che ammetteva con facilità le proprie colpe, ma in quel caso, se aveva sbagliato, aveva anche intenzione di rimediare, soprattutto se in ballo c’era la vita di Steve.Lo odiava per essersi comportato in quel modo, eppure non riusciva a non pensare che potesse essere in pericolo, e che lui non era lì a proteggerlo.
 La prigione nella quale avevano rinchiuso gli Avengers era una piattaforma subacquea sperduta in mezzo all’oceano, e Tony non potette fare a meno di pensare che quelle misure di sicurezza fossero decisamente troppo drastiche, per i suoi compagni. Fu sbeffeggiato da tutti, soprattutto da Clint, ma Tony non si arrese, e quasi pregò Sam di dirgli dove fosse Steve. Dopo aver oscurato le telecamere e averlo convinto che la sua intenzione era solo quella di aiutare il capitano,ammettendo quindi di aver sbagliato, Tony si fece spiegare dove era diretto precisamente Captain America, per poterlo così aiutare. Una volta ricevute tutte le informazioni, Tony partì, senza però accorgersi che T’Challa l’aveva inseguito, ancora desideroso di vendicare suo padre,uccidendo Bucky.
Tony aveva un braccio slogato, ma nonostante questo indossò l’armatura e si diresse dove sapeva che avrebbe trovato Steve. Era strano, avevano affrontato molte missioni separati, ma mai avevano litigato, prima di farlo. Era per questo che Tony sentiva la necessità psico-fisica di sapere che Steve stesse bene, che tutto fosse okay tra di loro e che non sarebbe cambiato nulla, nonostante Bucky e nonostante tutta la merda che li aveva circondati in quei giorni. Tutto ciò che Tony voleva era il suo capitano, nient’altro.
Il bunker era ben nascosto, ma Tony lo trovò con facilità, viste le impronte lasciate da Steve e Bucky nella neve, segno che erano arrivati davvero da poco anche loro. Si mosse con circospezione e lentezza, stando ben attento a non far rumore e a non muoversi come un elefante, come diceva sempre il capitano. Vide un ascensore e lo prese, con il cuore che gli batteva a tremila: aveva fretta di sapere se Steve stesse bene.Si ritrovò davanti una porta di metallo e così la spalancò,avanzando poi con l’armatura stretta intorno al corpo e il fiato corto. Il suo cuore perse un battito quando incontrò gli occhi di Steve, in posizione d’attacco con lo scudo tra le mani e il suo migliore amico dietro le spalle, che stringeva un mitra. Sospirò e abbassò l’armatura,incontrando così gli occhi blu ed espressivi di Steve, che continuava a stare sull’attenti.
< Mi sembri un po’ sulla difensiva> disse quindi, andandogli incontro.
Steve non abbassò lo scudo, ma avanzò ugualmente nella sua direzione. < E’ stata una giornataccia> borbottò.
Tony alzò la testa verso Bucky. < Riposo, soldato, per ora non do la caccia a te>
Steve si accigliò. < E perché sei qui?> gli chiese quindi, in preda al panico ma allo stesso tempo felice.
< La tua storia potrebbe non essere assurda,forse…> disse muovendosi su sé stesso, in palese imbarazzo. < Ross non sa che sono qui e vorrei che non lo sapesse…Altrimenti dovrei arrestarmi da solo> disse poi, appoggiandosi con nonchalance ad una colonna del bunker.
< E richiederebbe parecchie scartoffie> mormorò allora Steve, emozionato. Non riusciva a credere che Tony fosse lì e che stesse dalla sua parte.
Tony sorrise, senza lasciare lo sguardo del capitano.
E fu allora che Steve abbassò lo scudo, facendo cadere ogni difesa,ogni paura, ogni incomprensione. Avrebbe voluto correre incontro a Tony e baciarlo lì, in quel preciso momento, nonostante la presenza di Bucky alle sue spalle. E quella strana voglia lo rese ancora più confuso di quanto già non fosse nel ritrovarselo lì, in Siberia. Steve, però, non fece nulla, ma si limitò a dire < E’ un piacere vederti,Tony>
< Anche per me,Cap> rispose il miliardario, rivolgendosi poi a Bucky. < Ti prego, c’è una tregua qui, puoi mettere giù?> gli chiese, indicando l’arma che il soldato stringeva ancora tra le mani, puntata nella sua direzione.
Dopo un cenno di Steve, Bucky abbassò l’arma, anche se con riluttanza.
I tre si avviarono quindi nei meandri del bunker, in cerca di Zemo. L’armatura di Tony era l’unica illuminazione in quel luogo buio e triste, e Steve pensò che, in fondo, Tony era sempre stato quello per lui: un faro in una notte buia, il Sole dopo la tempesta. Era immensamente felice di averlo lì con lui, anche se non l’avrebbe ammesso mai: la sua testardaggine ed il suo rigore erano più forte di qualsiasi cosa.
Entrarono in un laboratorio enorme, e lì videro sei teche di vetro all’interno delle quali erano immersi corpi umani.
Una voce si diffuse nel laboratorio, mettendoli sull’attenti. < Se può essere di conforto, sono morti nel sonno, ma hanno la mia gratitudine:vi hanno portato qui>
All’interno di una camera stagna c’era il colonnello Zemo, e così Steve gli lanciò contro lo scudo, che però rimbalzò sul metallo e tornò indietro.
< La prego, capitano. I sovietici hanno costruito questa camera per resistere all’onda d’urto del lancio dei raggi UR100> disse Zemo.
< Scommetto di poterla superare> si vantò Tony.
< Oh ne sono sicuro, signor Stark. Ma poi non saprebbe perché è venuto qui>
< Hai ucciso degli innocenti a Vienna solo per portarci qui?> chiese Steve,indurendo la mascella.
< Non ho pensato ad altro tutti i giorni per oltre un anno> E così Zemo spiegò di essere un sokoviano in cerca di vendetta per la morte della sua famiglia, avvenuta nella battaglia di Sokovia.
< Un impero distrutto dai suoi nemici può risollevarsi… Ma uno che crolla dall’interno…è estinto,per sempre> disse poi, accendendo un vecchio televisore         in cui fu fatto partire un video.
Steve e Tony si avvicinarono per vederlo, ed una strada vuota si palesò davanti ai loro occhi.
< Conosco quella strada> mormorò Tony, come in attesa di qualcosa che sapeva non sarebbe stato piacevole.
Il video continuò, mostrando una macchina che si schiantava contro un albero, raggiunta poi da una motocicletta dalla quale scese un uomo dal braccio di metallo. Steve guardò Tony, in preda al panico. Il miliardario non riusciva a togliere gli occhi dallo schermo, mentre le immagini mandavano in onda la morte dei suoi genitori avvenuta nel 1991: prima suo padre,intento a chiedere aiuto non per sé, ma per sua moglie, ancora viva e ferita nella macchina, e subito dopo sua madre, che chiamava suo padre a gran voce, disperata, per poi essere strangolata senza rancore dal soldato d’inverno. Gli occhi di Tony si riempirono di lacrime, ma lui fu pronto a ricacciarle indietro, stringendo la mascella e girandosi verso Steve, che lo guardò con un’aria disperata.
Tony si lanciò verso Bucky, ma Steve lo trattenne per un braccio.< Tony! Tony…>
Così Tony guardò di nuovo Steve, scrollando la testa ed indurendo la mascella. < Tu lo sapevi…?> gli chiese, in un sussurro.
< Non che fosse stato lui> rispose Steve, ricordando quando Zola gli aveva mostrato, qualche anno prima, le immagini della morte di Howard, avvenuta per fermare le potenziali minacce che avrebbero sicuramente fermato l’Hydra dall’infiltrarsi nello SHIELD. Non avrebbe mai voluto vedere quel video,nel quale ad uccidere uno dei suoi più cari amici era stato proprio il suo migliore amico, sotto il controllo mentale dell’Hydra.
< Non prendermi per il culo, Rogers! Lo sapevi?> ringhiò Tony,senza lasciare per un solo attimo gli occhi di Steve.
< Si> ammise quindi quest’ultimo.
Per Tony fu come se si fosse scottato. Si allontanò di scatto da Steve, che lo teneva ancora per un braccio. Era come in stato di shock, e una profonda rabbia lo invase e lo pervase a tal punto da fargli dimenticare chi avesse davanti. Diede così un pugno al capitano, facendolo volare via per un paio di metri, e si fiondò quindi su Bucky, afferrandolo per il collo come lui aveva fatto con sua madre.
Fu colpito in pieno dallo scudo di Steve, e si girò quindi nella sua direzione, l’armatura a coprirgli il volto. In quel momento c’era solo Iron Man, e nessuno avrebbe potuto vedere il viso distrutto di Tony, soprattutto quando aveva realizzato che Steve non era più dalla sua parte: lo stava attaccando. Stava difendendo il suo migliore amico: ancora una volta non aveva scelto lui. Non solo lo aveva tradito, omettendo di dirgli una cosa così importante come la vera morte dei suoi genitori, ma adesso lo stava anche attaccando, per difendere l’assassino di sua madre e suo padre.
Era qualcosa che Tony non poteva sopportare, e così cominciò ad attaccare entrambi, come un pazzo furioso, incapace di ragionare razionalmente e di fermarsi a riflettere su quello che stava facendo. Aveva passato anni a vegliare su Steve in battaglia, per assicurarsi che il capitano stesse bene e che non si facesse neanche un graffio. Eppure adesso tutto ciò che voleva fare era colpirlo fino a farlo perdere i sensi, fino a vederlo sfinito,fino a fargli cacciare le stesse lacrime che stavano scendendo adesso dai suoi occhi, nascoste dall’armatura.
< Vattene!> sentì urlare il capitano, in direzione del soldato d’inverno. E questo fece ancora più male: stava scegliendo di proteggere il soldato d’inverno, ancora una volta.
Si fece quindi avanti,dando un pugno in pieno viso a Steve, il quale si affannò per rimettersi all’in piedi. < Non è stato lui! L’Hydra controllava la sua mente!> provò a farlo ragionare il capitano.
< Levati!> sbottò Tony, in preda al desiderio di finire Bucky.
< Non è stato lui!> urlò di nuovo Steve, cercando di trattenere Tony, che però lo lanciò nuovamente per aria e si buttò alla rincorsa di Bucky, che nel frattempo stava scappando. La sua armatura non rispondeva bene ai suoi comandi, troppo danneggiata dalla lotta ingaggiata con i due uomini, ma nonostante questo Tony non si arrese, cercando di colpire Bucky come poteva e anche Steve, se lo intralciava. Prese Bucky per le spalle, e gli chiese: < Te li ricordi, almeno?>
< Non dimentico nessuno> fu la risposta del soldato, che si aggrappò all’armatura di Tony, mentre insieme precipitavano verso il fondo del bunker, seguiti a ruota da Steve, che disse: < Questo non cambierà quello che è successo!>
< Non mi importa! Ha ucciso mia madre> ringhiò Tony,colpendo poi Steve con una forza che non aveva mai avuto nei suoi confronti. In quei pugni mise tutto l’odio e la frustrazione che provava per il capitano: l’odio per non essere colui il quale era stato scelto, l’odio per non essere abbastanza, l’odio per non essere amato allo stesso modo in cui lui lo amava. Bucky diede man forte a Steve, e così cominciarono a lottare insieme: due contro uno, fino a quando Steve non fu messo per un attimo in difficoltà, e Tony ne approfittò per rompere il braccio metallico di Bucky. Steve si scaraventò contro di lui, puntando lo scudo contro il suo propulsore,così come avevano fatto decine di volte in battaglia per aiutarsi, mentre ora lo stavano facendo per annientarsi.  
Steve colpì Tony senza alcun freno, sapeva di doverlo fermare, e Tony non si sarebbe fermato mai, non quando non riusciva a ragionare.
< Analizza il suo schema di lotta> chiese a Friday, la sua AI.
< Contromisure pronte!> le rispose quella.
< Spaccagli le ossa!> ordinò allora Tony, pronto a rispondere a tutti quei pugni. Così, fece volare via lo scudo di Captain America e cominciò a riempirlo di pugni e a colpirlo con i propulsori, fino a quando Steve non cadde in ginocchio,sfinito e con il sangue a sporcargli il bellissimo viso angelico.
Alzò la testa verso Tony, annaspando. < Lui è mio amico> sussurrò.
E quelle parole fecero più male di qualsiasi colpo avesse avuto quel giorno. < Lo ero anch’io!> sbottò quindi Tony, dandogli un altro pugno, e poi un altro ancora, fino ad afferrarlo per farlo poi sbattere contro il muro.
< Stà giù, ultimo avviso!> gli intimò poi, sperando in cuor suo che Steve si fermasse davvero. Non sapeva se ce l’avrebbe fatta a colpirlo ancora.
Ma Steve si alzò lentamente,mettendo poi i pugni in posizione d’attacco. < Posso farlo tutto il giorno!>gli rispose beffardo.
Tony scrollò la testa e puntò il propulsore nella sua direzione, ma in quel momento fu afferrato per il piede da Bucky, e Steve ne approfittò per scaraventarsi addosso al miliardario, facendolo poi cadere a terra. Cominciò a colpirlo con forza con lo scudo sull’armatura,fino a quando l’elmo  non fu scaraventato lontano, e apparve il viso di Tony insanguinato e gli occhi spaventati dalla furia del capitano. Steve alzò lo scudo e vide Tony coprirsi il viso con le mani, e fu allora che decise di fermarsi, non prima di aver piantato lo scudo al centro della sua armatura, lì dove una volta c’era il reattore ARC, facendola così spegnere. Qualcosa di piccolo e luccicante volò via, e una lacrima rigò il viso del miliardario, mentre Steve chiuse gli occhi ,fermo sopra Tony,senza riuscire a muoversi e con la paura di guardarlo. Sfinito, si accasciò poi al suo fianco, mentre il suo scudo era ancora incastrato nell’armatura di Tony, steso a terra ed incapace di muoversi. Fu allora che Steve lo vide: il medaglione che gli aveva regalato il giorno del suo compleanno era volato via, ed era aperto. Accanto alla foto di Pepper c’era un’altra immagine, che fece battere il cuore di Steve all’impazzata e lo fece sentire ancora più in colpa. Era una sua foto in bianco e nero, scattata molto probabilmente ottant’anni prima, e lo ritraeva con la divisa dell’esercito ed un sorriso spensierato e felice. Steve si morse il labbro e si alzò a fatica, prendendo poi lo scudo dall’armatura di Tony, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Afferrò Bucky, steso a qualche metro di distanza da loro, e se lo caricò addosso senza difficoltà.
Tony si alzò lentamente e si mise sul fianco. < Quello scudo non ti appartiene!> ringhiò, in preda alla frustrazione e all’imbarazzo per essere stato sconfitto. < Non te lo meriti! Mio padre ha creato quello scudo!>
E così Steve si fermò, annuì, e con una lentezza impressionante si separò dal suo scudo, lasciandolo cadere a terra e abbandonandolo lì, da solo, così come aveva fatto con Tony.
 
*
 
Dopo una settimana, Tony si trovava al complesso Avengers, e stava aiutando Rhodey a fare pratica con il nuovo esoscheletro che aveva costruito appositamente per lui, per permettergli di ritornare a camminare,quando un fattorino gli consegnò un pacco. Quando si ritrovò da solo, Tony aprì il pacco, all’interno del quale vi trovò una lettera con il suo nome ed un cellulare vecchio stile. Avrebbe riconosciuto quella scrittura ovunque, ed un magone allo stomaco venne a fargli visita non appena iniziò a leggere.
"Tony,
sono contento che tu sia tornato al complesso. Non mi piace l'idea che tu vaghi in una villa tutto solo. Abbiamo bisogno di una famiglia, gli Avengers sono la tua, forse più che la mia.
Io sono da solo dall'età di 18 anni.
Non mi sono mai integrato, nemmeno nell'esercito.
Ripongo la mia fiducia nella gente, forse... negli individui e sono felice di dire che la maggior parte non mi ha mai deluso, motivo per cui nemmeno io posso deluderli.
Le serrature si possono rimpiazzare, ma sarebbe meglio di no. So di averti ferito, ho deciso di non dirti niente dei tuoi genitori per risparmiarti... ma ora capisco che stavo risparmiando me stesso. E mi dispiace. Spero che un giorno potrai comprendere.
Vorrei che la pensassimo uguale sugli accordi, dico davvero. So che fai quello che credi ed è tutto quello che noi possiamo fare e che dobbiamo fare.
Qualunque cosa accada, te lo prometto:
se hai bisogno di noi,
se hai bisogno di me...
io ci sarò.”
Tony finì di leggere e strinse i denti, per evitare alle lacrime di uscire di nuovo: in quella settimana aveva già pianto troppe volte a causa del capitano Rogers, e adesso non ne poteva più. Sapeva che in questo modo Steve aveva cercato di mettersi in contatto con lui, di farsi ascoltare, ma proprio non riusciva a perdonarlo. Si sentiva ancora tremendamente tradito, e non poteva dimenticarsi di tutto il male che si erano fatti e che aveva ricevuto da una delle persone a cui più teneva al mondo. Accese il cellulare e si rese conto che era uno di quei modelli vecchio stile, irrintracciabili, che aveva un solo numero salvato in rubrica. Scrollò la testa divertito e si chiese se Steve si aspettasse davvero che lui non riuscisse a rintracciare un telefono. O forse, semplicemente, il capitano voleva essere rintracciato. Forse voleva che Tony sapesse dove si trovasse e che lo raggiungesse, in qualsiasi modo. Ma Tony non era pronto e si chiese se mai lo sarebbe stato.
Il telefono del complesso squillò e Tony rispose al segretario Ross, il quale lo informò che Wanda, Scott, Sam e Clint erano evasi dalla prigione di massima sicurezza. Tony sorrise e mise il segretario in attesa, giusto così, perché si divertiva a farlo. Sapeva che Steve non avrebbe mai lasciato i suoi compagni in quel luogo, e per un attimo gli fu grato per aver avuto il coraggio di fare ciò che lui non aveva fatto. Poi, però, quel coraggio si trasformò in rabbia, quando si rese conto che ora Steve era latitante in qualche posto del mondo e che quindi non era con lui, ma con il suo migliore amico. Ancora una volta, non aveva scelto lui.
 

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Capitolo 12
*** I'll find you ***


Nota dell'autrice: Aaaaaaaah che bello tornare a postare!!! Dite la verità, vi sono mancata? Perchè voi a me tantissimo! Non posso crederci che è quasi finita...Siamo al penultimo capitolo ma qualcosa mi dice che, nonostante ciò, non ho ancora chiuso del tutto con questa storia, quindi chi sa....magari vi farò una sorpresa un po' più in là :D 
Ora non mi resta che lasciarvi alle mie parole e soprattutto ai bellissimi patati che mi (e ci) fanno battere il cuore così forte! Buona domenica a tutti
Claudia
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Capitolo dodici
I'll find you

 

Il corpo inerme di Tony. Il suo viso insanguinato ed i suoi occhi ambrati, impauriti ed imbarazzati, incapaci di incontrare i suoi come avevano fatto tante altre volte.
Era questa l’immagine che compariva davanti agli occhi di Steve ogni volta che provava a riposarsi un po’, o a dormire. Era passato un mese da quel giorno, e le ultime parole di Tony gli rimbombavano nella testa.
< Quello scudo non è tuo,non lo meriti!> gli aveva urlato dietro il miliardario, e a malincuore Steve aveva dovuto dargli ragione, liberandosi così di quello strumento che era diventato parte del suo corpo, viste le numerose volte che lo aveva accompagnato nelle battaglie più difficili ed anche in quelle più facili.
< Capitano? Steve?> qualcuno lo chiamò, e lui riconobbe immediatamente quella voce.
< Avanti> rispose in un sibilo, sicuro che i muri di carton gesso erano talmente sottili che si sarebbe sentito ugualmente.
Wanda entrò nella stanza con il capo chino e gli occhi arrossati,segno che probabilmente anche lei non aveva dormito molto e che aveva passato la nottata a piangere.
< Ti ho portato la colazione> disse la ragazza, poggiando sul piccolo sgabello accanto al divano della stanza un vassoio con un po’ di pane secco e marmellata.
< Grazie> rispose quindi il capitano, alzandosi da terra e cominciando a fare flessioni sul pavimento.
Wanda sospirò ed uscì dalla stanza.
Dopo la battaglia con Tony, avevano catturato Zemo, soprattutto grazie all’aiuto di T’Challa, il quale si era offerto di ospitare il corpo di Bucky, che aveva deciso di farsi congelare nuovamente fino a quando qualcuno non avesse trovato un modo per liberarlo dal suo asservimento mentale all’Hydra, in Wakanda. Steve si era ritrovato così a dover dire addio un’altra volta ad un pezzo molto importante della sua vita: congelare Bucky voleva dire congelare parte del suo cuore,visto che l’altra metà l’aveva ormai lasciata in quel freddo bunker siberiano. Dopo aver pensato alla sicurezza di Bucky, aveva dovuto pensare a quella dei suoi compagni. Aveva liberato Sam, Wanda, Scott e Clint dal carcere di massima sicurezza in cui il governo li aveva rinchiusi, e non aveva avuto molta resistenza, visto che nè Tony né un altro Avengers che aveva firmato gli accordi si era fatto vivo. Aveva così optato per l’Africa,precisamente per una città di nome Owando, nella Repubblica del Congo, per nascondersi insieme ai suoi compagni, per porli a riparo da possibili attacchi da parte del governo o di chiunque altro, visto che adesso erano tutti latitanti. Dopo una settimana erano stati raggiunti da Natasha, la quale era stata costretta a scappare per aver aiutato Bucky e Steve ad allontanarsi dall’aeroporto di Berlino, permettendo quindi loro di partire per la Siberia.  Avevano trovato una baracca discreta nella periferia della città, e lì erano rimasti per tutti quei giorni, senza vivere più di tanto. Il massimo che avevano fatto per non rendersi totalmente inutili era stato liberare la città da pazzi tiranni che avevano monopolizzato l’acqua,non permettendo alla popolazione di usufruirne liberamente. Ma neanche quella piccola grande vittoria aveva rasserenato gli animi degli Avengers in fuga. Ognuno di loro, infatti, era afflitto per motivi diversi: Wanda per aver abbandonato Visione, Scott perché non poteva tornare da sua figlia, e lo stesso Clint, che era stato costretto ad abbandonare la sua famiglia; Sam era in pena perché avrebbe dato la sua testa per sapere come stava Rhodey:si sentiva tremendamente in colpa per essere stato causa della caduta che gli aveva fatto perdere l’uso delle gambe. Steve, d’altro canto, aveva smesso anche di respirare. Il suo unico pensiero era diventato quel maledetto cellulare, il gemello di quello che ormai un mese prima aveva lasciato a Tony. L’aveva messo nell’unica parte della casa in cui aveva capito che prendesse la linea, e aveva occupato quella parte della baracca costantemente, facendola diventare la sua stanza. Viveva accanto a quel telefono e non se ne separava un attimo, talvolta avendo persino l’impressione che squillasse, tanto era l’attesa che una cosa del genere succedesse per davvero. Non si era aspettato subito la chiamata di Tony: lo conosceva troppo bene ed era consapevole della sua testardaggine e del suo forte orgoglio. Ma alla fine della seconda settimana, Steve ci sperò più intensamente, arrivando persino a chiedersi se il pacco con la lettera e il telefono fosse arrivato effettivamente a destinazione. Ed ora era passato esattamente un mese, e non c’era traccia di Tony da nessuna parte in quel luogo sconosciuto che Steve non avrebbe mai chiamato casa. Prima o poi sarebbe tornato in America, lo sapeva bene, ma non era quello il momento. Dovevano prima far acquietare il governo e l’opinione pubblica, dopodiché si sarebbe avviato personalmente, consegnandosi alla giustizia, per chiedere la liberazione dei suoi compagni in cambio della sua cattura. Era un piano a cui stava pensando già da molto tempo, ma ogni giorno sembrava mettere a punto qualcosa di nuovo. Era sicuro che Tony lo avrebbe aiutato, alla fine. Certo,sarebbe stato riluttante, ma poi avrebbe ceduto, capendo che quella era la cosa giusta da fare:addossarsi le colpe di tutto, magari dicendo di aver circuito i suoi amici,obbligandoli a fare qualcosa che neanche volevano. Non lo sapeva ancora, doveva perfezionare il piano, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarli.
Qualcun altro bussò alla porta della stanza, e così Steve si alzò da terra con l’aiuto di un solo braccio. Infilò una maglia a mezze maniche velocemente ed aprì la porta.
< Devo parlarti> disse Natasha,entrando nella sua stanza senza neanche chiedere il permesso.
Steve ormai era abituato ai suoi modi di fare, quindi non ci fece neanche caso. < Cosa è successo?>
Nat sospirò. < Ho trovato Bruce. Non è lontano da qui, quindi ho pensato che, magari, se sapesse che siamo qui potrebbe aiutarci…>
Steve si morse il labbro. < Immagino che sia inutile che ti chieda come hai fatto a trovarlo> disse.
< Lo sai che sono la miglior spia del pianeta dopo Fury, no?> gli rispose quindi lei, alzando un sopracciglio.
< Non è il caso di coinvolgerlo, Nat. Lo sai come è fatto Bruce, ci aiuterebbe senz’altro, e dopo rimarrebbe coinvolto in qualcosa a cui era riuscito a rimanere estraneo fino ad ora. So che ti manca, manca anche a me, ma non è il caso di coinvolgere altre persone in questa follia> disse a malincuore.
< Sapevo che mi avresti dato questa risposta e, stranamente, sono d’accordo con te. Ma avevo bisogno di qualcun altro oltre Clint che me lo dicesse> sospirò la donna. < Ancora niente?> chiese quindi, indicando il cellulare. Natasha era l’unica che sapeva che Steve stava aspettando quella chiamata da Tony.
< No> sbuffò il capitano, finendo col sedersi su una sedia prendendosi la testa tra le mani. < Vorrei chiamarlo io, Nat. Vorrei davvero ma non ne ho il diritto… Non dopo quello che gli ho fatto> mormorò.
E nuovamente l’immagine di Tony, steso a terra con l’armatura rotta, abbandonato alle sue spalle, tornò a tormentarlo. E così tornò indietro con i ricordi ad un mese prima, quando si era reso conto che tra Tony e Bucky aveva scelto quest’ultimo. Aveva acquisito quella consapevolezza solo alla fine della battaglia, quando aveva recuperato il corpo stanco del suo migliore amico per lasciarne uno altrettanto stanco alle sue spalle. Fino a quel momento l’aveva guidato l’istinto, e quindi con quel gesto, Steve mise in dubbio tutto quello che aveva provato per Tony in quegli anni. Era consapevole di non aver fatto una cosa da poco: lo aveva abbandonato lì, in quello squallido bunker siberiano, e aveva deciso di salvare Bucky. Dopo aveva analizzato la sua scelta con cura, era giunto alla conclusione che non aveva preferito un uomo ad un altro: aveva preferito la famiglia all’amore. Perché era questo quello che i due uomini rappresentavano per lui: Bucky era il suo passato, il suo presente, la sua famiglia, colui il quale ci sarebbe stato sempre e che poteva capirlo come nessuno al mondo, un vero fratello. Ma Tony era ciò che Steve avrebbe voluto nel  suo futuro, con quel suo essere arrogante e i suoi modi bruschi ma allo stesso tempo gentili e i suoi occhi ambrati: era l’amore che Steve aveva ritrovato nella sua vita.  Ed era inutile negarlo ancora, soprattutto a sé stesso: amava Tony, ma lo aveva abbandonato. Giustificò la sua scelta dicendosi che non poteva farne una diversa: si sentiva ancora in colpa per il fatto che Bucky fosse precipitato dal treno, ormai quasi ottant’anni prima, e che lui non aveva avuto la forza per salvarlo, sottomettendolo così ad atroci sofferenze da parte dell’Hydra. Non poteva perdere suo fratello un’altra volta: non avrebbe avuto pace. Ma la pace non era arrivata lo stesso, nonostante quella scelta, perché con la voglia di non perdere una cosa ne aveva persa un’altra, importante allo stesso modo.
< Sai, credo che anche lui sia nelle tue stesse condizioni. Certo, ognuno reagisce a modo suo, ma credo che Tony sia molto più sensibile di quanto voglia apparire> disse la donna,sedendosi sul divano accanto a lui.
Steve annuì pensieroso. < Lo so, Nat. Credo di conoscerlo abbastanza bene da sapere che ci sta malissimo. Avevo promesso a Peggy che mi sarei preso cura di lui, che l’avrei protetto… Così invece mi sembra di aver tradito in una sola volta due delle tre persone più importanti della mia vita>
Nat gli appoggiò una mano sulla spalla, e stava per dire qualcosa, quando qualcun altro bussò nuovamente alla porta della piccola stanza.
< Avanti> rispose quindi la donna.
< Nat? Steve è qui?> chiese Sam, senza però aprire la porta.
< Sono qui, Falcon, entra pure> rispose il capitano.
Sam entrò nella stanza e alzò un sopracciglio malizioso rivolto a Steve. < E’ arrivata Sharon>
Il capitano si alzò e Nat fece lo stesso, uscendo quindi dalla stanza prima che Sam aggiungesse altro.
< Va bene, falla entrare> rispose Steve,lisciandosi distrattamente la maglietta.
Sharon entrò nella stanza e gli si buttò letteralmente tra le braccia. < Ti sono mancata?> gli chiese, premendo poi le sue labbra su quelle del capitano. Quest’ultimo sorrise e rispose al bacio, scostandole i capelli biondi dal collo. < Molto> ammise quindi,chiudendo poi la porta alle sue spalle e adagiandola sul letto.
Non si vedevano da una settimana, e Steve non aveva di certo mentito quando aveva ammesso che la ragazza le era mancata. Purtroppo, però, la mancanza di Sharon era dovuta prettamente ad un bisogno fisico, che Steve aveva deciso di concedersi per colmare in qualche modo il vuoto enorme che provava dentro. Trovava pace in quelle ore in cui facevano l’amore, cercando di dimenticarsi tutto il male che aveva fatto all’unica persona che avrebbe davvero voluto stringere tra le braccia in quei momenti. Sapeva che non si stava comportando da vero gentiluomo, ma alla ragazza sembrava andare bene quel tipo di rapporto. Qualche settimana prima,infatti, in un momento di passione, aveva persino urlato il nome di Tony, guardando poi Sharon con aria imbarazzata. Subito la sua mente aveva lavorato frenetica per cercare una scusa plausibile da dare alla donna, la quale però aveva ignorato la cosa,non affrontando l’argomento. Ciò aveva lasciato Steve confuso e basito, ma aveva preferito non approfondire,sapendo di essere dalla parte del torto.
La donna gli accarezzò il busto con la mano e gli tolse la maglia, bramando con ardore il tocco delle labbra calde del capitano. Quest’ultimo le sorrise dall’alto e cominciò a baciarle il collo scoperto, quando ad un certo punto si immobilizzò a mezz’aria, facendo pressione su un braccio.
< Lo senti anche tu?> chiese quindi dopo qualche secondo, con gli occhi sbarrati.
< Si, c’è un telefono che squilla> rispose la donna, guardandolo stranita.
Steve si alzò di scatto e la prese per un braccio. < Perdonami, Sharon, ma devo rispondere. E’ importante. > disse quindi, scortandola fuori la porta senza neanche aspettare che si rivestisse. La donna lo guardò sconvolta, credeva fosse impazzito, ma lui non se ne curò più di tanto. Si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso il cellulare, che ormai era almeno al quinto squillo. Con un sospiro premette il pulsante verde e sentì il suo cuore battere impazzito fino alle orecchie.
< Pronto?> disse, senza neanche guardare il display:era inutile, l’unica persona ad avere quel numero era solo lui.
Dall’altra parte ci fu un silenzio tombale, e Steve si rese conto che invece lui era ancora in affanno,probabilmente facendo sospiri più pesanti del normale.
< Pronto?> ripetè quindi, questa volta con più dolcezza e meno impeto. Ma il silenzio dall’altra parte regnava ancora sovrano,nonostante nessuno attaccasse.
Steve sospirò di nuovo. < Tony…> mormorò, e per un attimo gli sembrò di sentire la persona dall’altra parte della cornetta che tratteneva il fiato.
Fece trascorrere qualche altro secondo, poi non ce la fece più. < Tony, mi manchi> ammise quindi,mentre una lacrima calda solcò il suo viso in maniera involontaria e naturale. Passarono un paio di secondi, e Tony attaccò.
Steve cadde a terra e si appoggiò con la schiena al muro, gli occhi rivolti verso il soffitto e le lacrime che sgorgavano imperterrite sul suo viso. Aveva il cellulare ancora stretto tra le mani,e per un attimo lo guardò disgustato, dandosi dello stupido per non averlo chiamato prima lui. Premette quindi nuovamente sul pulsante verde, ma il telefono dall’altra parte risultò irraggiungibile. Si disperò ancora di più e strinse i denti con forza, chiedendosi se Tony avesse bisogno di aiuto, se stesse bene, se aveva chiamato perché era in difficoltà o solo per sentirlo supplicare, per sentirlo ammettere che aveva fatto una stupidaggine a trattarlo così e a mettere i suoi compagni in pericolo in questo modo. Si chiese se Tony sentisse la sua mancanza almeno la metà di quanto lui sentisse la sua.
La risposta,però, non arrivò per almeno una settimana. Dopo l’atto di coraggio da parte di Tony, adesso Steve appena poteva componeva il suo numero,cercando di parlargli per vedere se effettivamente Tony avesse bisogno di aiuto. Ma il cellulare continuava a risultare irraggiungibile, e più passavano i giorni più la disperazione di Steve aumentava. Si era rinchiuso in stanza e non usciva mai, neanche per mangiare. I compagni erano preoccupati, e provavano a costringerlo a nutrirsi, facendogli regolarmente visita con i piccoli e poveri pasti che riuscivano a racimolare, ma Steve rifiutava il cibo imperterrito, consumando giusto il necessario per non morire di fame. Sapeva che il suo corpo superdotato aveva bisogno di energie e di cibo molto più di un normale corpo umano, ma quella sofferenza fisica che avvertiva alla base dello stomaco gli sembrava un buon compromesso per espiare i suoi peccati. Quando sembrava che avesse ormai raggiunto il culmine della disperazione,successe qualcosa che finalmente ruppe la monotonia di quei giorni.
< Steve! Steve, apri! E’ importante!> sentì urlare Natasha dall’altra parte della porta. Aveva il capo chino appoggiato al ginocchio portato al petto, e il pavimento freddo sotto il suo peso sembrava una magra consolazione in quelle calde giornate africane.
< Lasciami in pace, Nat> rispose quindi,senza alzare lo sguardo.
< Apri, Steve. Riguarda Tony> sussurrò allora Natasha.
Steve si alzò di scatto e spalancò la porta, e appostati sull’uscio vi trovò Sam, Clint, Wanda, Scott e…
< Visione!> esclamò il capitano, sorpreso. < Come… Come ci hai trovati?>
L’androide piegò la testa di lato e osservò il capitano. < Ti trovo dimagrito, Capitano. Non stai mangiando?> chiese, e a Steve quel tono preoccupato detto con la voce di Jarvis riportò indietro nel tempo a dei bei momenti trascorsi a Malibù in compagnia di Tony. Quando vide che Steve non rispondeva, Visione proseguì. < In realtà abbiamo sempre saputo dove vi nascondevate. Il signor Stark non ha smesso mai di controllare i vostri movimenti,soprattutto grazie al telefono che tu gli hai fornito, capitano>
Wanda alzò un sopracciglio sorpreso. < Hai dato un cellulare a Stark? Ma se ha sempre saputo dove eravamo perché non è venuto a prenderci per arrestarci?>
< Tony non l’avrebbe mai fatto> rispose allora Natasha,sicura.
< Che cosa è successo, Visione? Tony ha bisogno d’aiuto?> chiese Steve, preoccupato.
Visione sospirò, e sembrò più umano di chiunque altro in quella stanza. < In realtà non c’è stata una richiesta d’aiuto esplicita. Il fatto è che il signor Stark ha abbandonato il complesso una settimana fa, e da allora risulta completamente irraggiungibile. Abbiamo provato a cercarlo dappertutto, ma è diventato praticamente invisibile>
Steve cominciò a camminare avanti e indietro per la baracca, chiedendo ogni tanto a Visione se avessero controllato in questo, o in quel posto.
< Avete contattato Pepper?> chiese poi.
< La signorina Potts non sente il signor Stark da mesi. Non aveva assolutamente idea di dove fosse, ma ha detto che si metterà anche lei alla sua ricerca.> rispose Visione.
< Pensa, Steve… Dove potrebbe essere?> gli chiese allora Sam, poggiandogli una mano sulla spalla.
Il capitano cercò di focalizzare l’attenzione sui posti in cui era stato con Tony e, all’improvviso, ebbe un’illuminazione.
< Visione, come sei venuto qui?> gli chiese.
< Volando, ovviamente> rispose l’androide.
< Molto bene. Puoi portarmi in America con te? >
< Steve, no! E’ troppo pericoloso!> sbottò Wanda
< Stranamente, sono d’accordo con lei> incalzò Clint.
< Non puoi tornare in America, Steve!> provò a farlo ragionare Sam. < Dì a Visione dove pensi che sia, lo troverà lui>
Solo Natasha sembrava essere d’accordo con lui. Infatti, gli si avvicinò e gli chiese solo: < Starai attento?> Sembrava l’unica capace di capirlo. D’altra parte anche lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per rivedere Bruce, anche solo per dieci minuti, e Steve lo sapeva bene.
< Se ho ragione su dove penso che si sia nascosto, è me che vuole, Nat> sussurrò il capitano,rivolgendosi solo a lei.
< Allora dovresti andare> rispose la donna.
E Steve non se lo fece ripetere due volte.
 
*
 
Il sole stava tramontando lentamente,scomparendo con grazia nel mare tranquillo. Un leggero venticello estivo portava una brezza rassicurante e piacevole sul viso di Steve,accompagnando i suoi capelli corti ancora più dietro. Si tolse le scarpe e i calzini e cominciò a camminare sulla sabbia ancora calda,senza fermarsi. Improvvisamente, poi, vide una sagoma in lontananza in riva al mare. Si avvicinò più velocemente, con il cuore che batteva impazzito nel petto, e per poco non ebbe un mancamento quando si rese conto che aveva ragione: era proprio lui.
Tony era seduto sulla battigia e guardava lontano, verso il mare. Una bottiglia di scotch era abbandonata a qualche metro di distanza dal suo braccio, e i suoi capelli erano spettinati e scomposti, accarezzati dal vento estivo. Portava un paio di occhiali da sole e indossava un jeans e una canotta nera, il suo solito vestiario nei momenti di relax. Aveva le gambe al petto e la testa appoggiata sulle braccia conserte e la spiaggia di Malibù, quella bellissima dove avevano trascorso diversi momenti felici insieme, faceva da contorno ad un momento che Steve si augurò fosse perfetto.
Lo raggiunse con calma, e si fermò quindi a qualche metro di distanza da lui, alle sue spalle. Piegò la testa di lato e sorrise,osservando il profilo imbronciato del miliardario.
< Non ti hanno mai detto che dopo una litigata colossale si deve far pace?> chiese quindi, in un mormorio che arrivò alle orecchie del moro accompagnato dal vento.
Tony si girò di scatto e sollevò gli occhiali sopra la testa, e Steve rimase di pietra quando si rese conto che i suoi occhi erano arrossati e stanchi. Era come se Tony avesse appena smesso di piangere. Si alzò in piedi e cominciò a camminare barcollando, ignorando del tutto il capitano, il quale però lo affiancò prontamente.
< Tony…> mormorò, facendo per afferrargli un braccio.
< NON MI TOCCARE!> urlò il miliardario, gli occhi impauriti e lo sguardo perso. < Sei solo un’altra allucinazione, vattene via, lasciami in pace!> sbottò.
Steve allora si rese conto che molto probabilmente, visto anche l’alito pesante che emanava, Tony fosse ubriaco.
< Cristo santo, Tony…> imprecò Steve,afferrandolo per le braccia prima che questo cadesse con la testa nella sabbia, visto che era appena inciampato su un sasso.
Girò il miliardario tra le sue braccia e fece una smorfia quando se lo ritrovò faccia a faccia: Tony aveva gli occhi socchiusi e sembrava essere svenuto.
< Ci mancava solo questo!> sbottò quindi il capitano. Lo prese senza sforzo in braccio e cominciò ad incamminarsi verso la strada che portava alla villa che Tony aveva fatto ricostruire. Non era grande come quella di prima, ma era comunque decisamente imperiosa, per gli standard del capitano. Con una spallata aprì la porta e non si meravigliò che non fosse chiusa a chiave: quel posto era decisamente lontano da tutto e da tutti, e poi nessuno avrebbe osato scassinare una proprietà di Iron Man. La villa, all’interno, era disposta come quella precedente, anche se più piccola, e quindi non fu difficile per Steve trovare la camera di Tony. Lo adagiò lentamente sul letto e gli tolse poi le scarpe. Avrebbe voluto lasciarlo così, ma Steve era troppo preciso per non sistemarlo a dovere. Decise quindi di cambiarlo, ma se ne pentì praticamente subito, visto che le sue mani tremavano ,mentre con imbarazzo sbottonava lentamente i pantaloni del moro. Glieli tolse con un gesto secco della mano, ignorando i mugugni di Tony, e si dedicò più del dovuto ad osservare le gambe incredibilmente muscolose del miliardario. Scrollò la testa e prese dalla sedia accanto al letto quello che sembrava un pantalone pulito, e con fatica glielo infilò. Tony dormiva profondamente, la testa abbandonata sul cuscino e i palmi delle mani rivolti verso l’alto, mentre la bocca era increspata e socchiusa,così come i suoi occhi ambrati. Steve si morse il labbro, indeciso sul da farsi, ma alla fine optò per scendere al piano di sotto per preparare del caffè, sicuro che sarebbe stata la prima cosa che Tony avrebbe cercato una volta sveglio. Si muoveva per la casa come se ci fosse già stato, ed in effetti sembrava proprio così: quella era solo una miniatura della casa perfetta in cui aveva trascorso quella settimana con Tony, ormai qualche anno prima. Una volta fatto il caffè, lo versò in una tazza con il logo delle Stark Industries e lo portò di sopra. Stava per aprire la camera di Tony, quando una luce proveniente da un’altra stanza attirò la sua attenzione. Si avviò quindi verso quella stanza e vi entrò, e rimase di sasso quando vide ciò che conteneva. Decine di schermi trasmettevano le immagini di Wanda,Scott, Sam, Clint e Natasha in Africa, e sembravano proprio essere live. Sul lato destro della stanza, invece, c’era un tavolino sul quale erano appoggiati la sua lettera,molto probabilmente letta e riletta, visto l’inchiostro sbiadito qua e là e la carta stropicciata, ed il medaglione che Steve aveva regalato a Tony il giorno del suo compleanno, con la sua foto e quella di Pepper.Sfiorò con le dita quel pezzo d’antiquariato e un nodo gli strinse lo stomaco al ricordo della lotta che avevano avuto in Siberia,quando quella catenina era volata via dal collo di Tony, e a strappargliela era stato proprio lui:prima gliel’aveva donata e subito dopo gliel’aveva tolta. Allontanò con tristezza lo sguardo da quel tavolino e si girò a sinistra, dove notò che chiuso in una teca di vetro e perfettamente illuminato, c’era il suo scudo. Steve ricordava che era stato graffiato dalle unghie di vibranio di T’Challa,durante la battaglia di Berlino, e infatti i graffi erano l’unica cosa che rovinavano il suo compagno fedele, la creatura di Howard, che per qualche attimo era stato anche sporco del sangue di suo figlio.
< Allora non era un sogno>
La voce di Tony fu come un’ondata di acqua fredda che lo riportò alla realtà.
Steve si girò ed incontrò i suoi occhi ambrati e non seppe come né perché, ma improvvisamente cominciò a piangere. La tazza di caffè che stringeva ancora in mano cadde,facendosi in mille pezzi, e lui si buttò letteralmente addosso a Tony, abbracciandolo come non aveva mai fatto in vita sua. Lo strinse tra le braccia e non si curò del fatto che Tony non stava corrispondendo la sua stretta, le braccia lungo i fianchi, immobile. Aveva desiderato quel momento per un mese – per non dire da una vita-, pensandoci tutti i momenti del giorno e della notte, e adesso poco importava che fosse l’attimo meno adatto:aveva bisogno di sentirlo, di sapere che Tony stesse bene, di entrare in contatto con quella perfetta pelle abbronzata.
< Cosa… cosa… cosa stai facendo?> chiese quindi Tony, immobile, al suo orecchio.
< Mi sei mancato così tanto!> soffiò Steve,senza sciogliere l’abbraccio.
Sentì Tony scrollare la testa e la pressione delle sue mani sul suo corpo:lo stava allontanando.
< Non saresti dovuto venire qui> disse il miliardario, duro, allontanandosi da Steve. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, piuttosto cominciò a scendere le scale della villa per raggiungere il piano terra. Steve lo raggiunse in un attimo e lo prese per un braccio, ma Tony lo allontanò come scottato. < Come osi toccarmi?> ringhiò, questa volta guardandolo veramente negli occhi.
Steve era traumatizzato: non aveva assolutamente idea di come Tony avrebbe reagito alla sua visita, ma di sicuro quella reazione non prometteva nulla di buono.
< Ero preoccupato per te!> sbottò quindi il capitano. < Sei scappato dal complesso, cazzo! Dopo avermi chiamato sei scomparso… Eravamo tutti in pensiero, ed io… Io…>
 
< Non ne avevi il diritto!> abbaiò allora Tony, ad un palmo di distanza dal suo viso. < Non avevi il diritto di venire qui! Sei un coglione! Hai messo tutti in pericolo! E se adesso decidessi di arrestarti? Posso farlo, sai. Adesso sono a capo dello SHIELD!> spiegò,cattivo.
Steve scrollò la testa. < Avresti potuto farlo prima. Sapevi esattamente dov’ero. Tony, ti prego… Parliamone. Ho bisogno di spiegarti…>
< NON NE AVEVI IL DIRITTO!> urlò Tony, disperato, piazzando un pugno preciso sulla mascella del capitano.
Steve arretrò impreparato e sgranò gli occhi, quando vide Tony in posizione d’attacco, pronto a farsi sotto di nuovo. E un altro pugno non tardò ad arrivare,dritto sull’occhio, annebbiandogli per un attimo la vista. Steve rimase impassibile,senza reagire, guardava Tony confuso e disperato. Il miliardario non era un ottimo combattente nella lotta corpo a corpo, e tutto quello che sapeva gliel’aveva insegnato lui:avrebbe potuto metterlo ko in un secondo. Ma Steve rimase immobile sotto quella pioggia di pugni, schiaffi e calci che ben presto causarono la fuoriuscita di sangue dalle sue labbra piene.
< Reagisci, codardo!> sbottò Tony, fermandosi un attimo per riprendere fiato. < Non mi sembra che ti sia fatto scrupoli, il mese scorso, quando mi hai lasciato solo in Siberia con un braccio fratturato e l’osso del piede rotto!>
< Tony, ti prego…> sussurrò allora Steve.
Ma Tony ricominciò a colpirlo forte, mettendoci tutta la forza che aveva in quei pugni, come se non desiderasse altro se non annientarlo. Ma Steve era troppo forte per lui, e le mani di Tony erano già arrossate e sanguinanti per i troppi pugni dati, e così il capitano si rialzò in piedi e gli catturò i polsi,facendolo arretrare per poi sbatterlo contro il muro.
Tony lo guardò confuso ed in affanno, e ancora una volta i loro occhi fecero l’amore, e l’intensità di quella situazione e il calore del suo corpo premuto contro quello di Tony per tenerlo fermo, annebbiò completamente i sensi del capitano, che si sporse verso la bocca di Tony, catturandola poi con irruenza. Le sue labbra toccarono quelle del miliardario, aprendogli con forza la bocca per esplorarla in tutta la sua grandezza,scontrando con foga la sua lingua con quella di Tony, rincorrendola persino. Steve aveva gli occhi chiusi, ma era sicuro che Tony,invece,fosse ancora sconvolto per quella presa di posizione, visto come reagiva al suo bacio. Sembrava indeciso su cosa fare,fino a quando non si acquietò e cominciò a corrispondere,mentre Steve cominciò a liberargli lentamente i polsi,affondando una mano tra i suoi capelli e l’altra a cingergli il fianco, ancora per imprigionarlo contro il muro. Aprì per un attimo un occhio e notò che Tony si era completamente rilassato e così sorrise sulla sua bocca, allontanandosi con riluttanza da quelle labbra morbide, non prima che Tony gli mordesse il labbro inferiore, facendogli uscire un altro po’ di sangue.
Si guardarono negli occhi fronte contro fronte, ancora in affanno, e Steve pensò di morire: non aveva mai dato un bacio del genere e non riusciva a smettere di sorridere, mentre invece Tony sembrava solamente confuso,le braccia ancora abbandonate lungo i fianchi. Il capitano scrollò la testa e si allontanò di poco da Tony,giusto lo spazio necessario per permettergli di staccarsi dal muro in cui era stato letteralmente scaraventato.
Alzò un sopracciglio e si godette lo spettacolo di un uomo confuso ed arrossato, apparentemente senza parole: finalmente aveva trovato un modo per zittire Tony Stark.
Steve sorrise a quel pensiero ed incrociò le braccia al petto.< Bene. Adesso possiamo parlare?>
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** La resa ***


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Capitolo tredici
La resa

 

Se ne stava seduto sul divano della cucina e si guardava intorno allibito, incapace di mettere a fuoco i pensieri e ancora sconvolto per ciò che era accaduto poco prima. Ai fornelli, Steve stava facendo il caffè, di nuovo, e non riusciva a smettere di sorridere,mandandolo ancora di più in bestia.
< Non posso credere che tu l’abbia fatto> mormorò allora Tony, guardando la schiena del capitano ancora incredulo.
Steve si girò a guardarlo di sbieco e sorrise nuovamente. < Cosa?> chiese, facendo il finto ingenuo.
Tony avrebbe voluto prenderlo a pugni, ancora una volta. < Vuoi davvero che lo dica ad alta voce? Se lo dico ad alta voce diventa reale, dopo non si torna più indietro>
Steve versò il caffè in due tazze e,stando ben attento a non scottarsi, si avvicinò al tavolino basso davanti al divano, posizionando le due tazze sui soprabicchieri.
< E’ già reale, Tony> disse quindi, sedendosi nella poltrona accanto al divano. < Ci siamo baciati>
Tony trattenne il fiato, e guardò Steve negli occhi, incredulo. Da dove usciva fuori tutto quel coraggio? Aveva sempre pensato di essere forte,ma ora guardava Steve, i suoi bellissimi lineamenti, i suoi occhi limpidi, azzurri e,come sempre, provava la solita invidia colpevole. Ogni volta che era con Steve si sentiva come una lumaca, o una tartaruga,pesante nel suo guscio. Così impacciato e così prudente,rispetto la sua grazia e il suo coraggio. Aveva così tanto e sapeva che non avrebbe dovuto invidiare Steve e la sua forza, eppure in quel momento era così. Lui aveva avuto il coraggio di dire le cose come stavano, senza tergiversare, senza perdere tempo, senza girarci intorno. Ma ancora una volta la sua testardaggine e la sua arroganza prevalsero, perché per quanto Tony ci provasse, lui era fatto così, e non sarebbe stato certo il capitano a cambiarlo. O almeno, questo era ciò che lui credeva.
< Sei tu che mi hai baciato> mormorò quindi, imbarazzato, come un bambino che è appena stato scoperto a rubare caramelle.
< Si, è vero. Ma non mi sembra che tu ti sia lamentato più di tanto> rispose quindi Steve, rivolgendogli un sorriso divertito.
Tony scrollò la testa e se la prese tra le mani, afflitto. < Che cosa stiamo facendo? Pensi davvero di riparare tutto così? Io ho sofferto come un cane, vecchietto. Forse non te ne rendi conto, ma mi hai fatto tanto male> ammise, senza avere il coraggio di guardare quelle pozze azzurre e profonde.
Steve abbassò il capo, mortificato. < Lo so. Ma Tony, non puoi riversare tutta la colpa su di me… Io stavo cercando di proteggerti, e di proteggere…> si interruppe, trattenendo il fiato. Aveva paura anche solo di nominare il suo migliore amico, non sapendo come l’avrebbe presa Tony.
Sul viso di quest’ultimo si dipinse un sorriso di scherno. < Come sta, a proposito? Mi dirai dove si nasconde?>
Steve guardò Tony dritto negli occhi. < Mai.> rispose. < Solo due persone al mondo sanno dove si trova in questo momento, e non ne aggiungerò una terza. E’ troppo pericoloso per tutti, ci sono troppe persone che lo cercano…>
< Uhm…quindi non me lo dici perché sarebbe pericoloso per me, o per lui?> chiese Tony,alzando un sopracciglio in segno di sfida.
Steve sospirò. < Tony, non hai motivo di comportarti così. Bucky è come un fratello, per me, te lo giuro. Morirei per lui, e so che lui morirebbe per me, proprio come di solito si fa per la famiglia.>
Tony scrollò la testa e si alzò di scatto,cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza. Gli occhi di Steve lo seguivano vigili e sull’attenti, pronto com’era per un altro possibile attacco: con Tony non si sapeva mai.
Ma Tony non disse nulla. Si limitò a prendere la tazza dal tavolino e a sorseggiare il caffè, non riuscendo a nascondere un’espressione di apprezzamento per quella bevanda che, Steve lo sapeva,gli piaceva tanto.
< Non avresti dovuto raggiungermi. Non dovevi venire> mormorò poi, soffiando la bevanda calda.
Steve sorrise divertito.< Sapevi che sarei venuto, altrimenti non ti saresti nascosto qui. Sappiamo entrambi che è qui che è iniziato davvero tutto.>
< Cosa?> sbottò Tony, quasi sputando il suo caffè per terra. < E’ iniziato cosa?>
Steve scrollò la testa e si alzò in piedi. < Non fare il finto tonto con me, Stark. Mi hai chiamato una settimana fa perché mi volevi qui, ammettilo!>
Tony scrollò la testa. < Non ti ho chiamato. Non sono stato io, sarà stato qualcun altro…> balbettò,indeciso.
< Solo tu hai il numero di quel cellulare> rispose Steve,serio.
< Beh, allora sarà partita una chiamata… Perché avrei dovuto chiamarti, io…>
< Tony!> sbottò allora Steve, esasperato. < Per una volta, possiamo dirci le cose come stanno? Possiamo smetterla di fare giochetti, di fare guerre perché non riusciamo a comunicare, di ammazzarci per avere una scusa per toccarci?>
Tony guardò il capitano meravigliato, e la verità di quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso. Sapeva che quella dannatissima guerra era iniziata non di certo perché lui non aveva provato a dialogare con Steve, quanto piuttosto a causa della cocciutaggine del capitano e della sua convinzione di fare del bene, ma sapeva anche che aveva sbagliato a non fidarsi quando Steve gli aveva detto che stavano cercando di incastrare Bucky. Ma la ragione di quel dolore scatenante era stato il fatto che Steve sapesse della morte dei suoi genitori e che non gliel’avesse detto. Si era sentito tradito dalla persona che amava di più al mondo, e non c’erano state parole né gesti che avrebbero potuto porre fine alla sofferenza di quel tradimento. Nemmeno lo scudo del capitano conficcato nel suo petto era stato un gesto abbastanza forte da portarlo a decidere di stroncare per sempre quel rapporto: aveva bisogno di Steve nella sua vita, e forse aveva ragione il capitano: si era rifugiato a Malibù perché sapeva che quello era il primo posto in cui Steve l’avrebbe cercato. Il posto in cui erano stati davvero felici, anche se per poco tempo.
< Possiamo provarci…> sussurrò quindi,guardando il capitano dritto negli occhi.
< Siediti> gli ordinò allora quest’ultimo, e Tony non se lo fece ripetere due volte: era abituato a seguire i suoi ordini in battaglia, e ogni tanto scaricare le responsabilità su qualcun altro limitandosi ad obbedire era piacevole.
Steve gli si sedette accanto,senza lasciare per un attimo i suoi occhi, e fu molto difficile per entrambi trattenersi dal saltarsi addosso. Ma in quel momento avevano bisogno di parlare, e lo sapevano bene.
< E così hai sempre saputo dove fossimo. Come hai fatto?> gli chiese il capitano.
< Ho rintracciato il tuo telefono. Hai fatto un errore: li hai comprati insieme, e anche se non li hai registrati a tuo nome è stato facile risalire a te. Quindi ho costruito dei droni particolarmente piccoli, avevano le dimensioni di una mosca, nessuno avrebbe potuto accorgersene, e li ho spediti in Africa. Da qui li ho azionati e, nonostante la mia riluttanza, devo dire che hanno funzionato molto bene. Ammetto di averti anche spiato nella doccia, Cap Floor. E devo dire che quando si parla di soldato superdotato non si esagera> disse ammiccando, con sguardo languido.
< Tony!> lo rimproverò quindi Steve, senza però nascondere un sorriso.
< Ho visto anche che ti sei tenuto impegnato…> abbozzò Tony, distogliendo però lo sguardo, imbarazzato.
Le guance di Steve si colorarono immediatamente di rosso. < Immagino tu ti riferisca a Sharon… Non è come sembra, Tony, lei era solo…>
< Ehi, ehi, ehi, respira Capitan Ghiacciolo. Non sono affari miei, davvero> lo interruppe il miliardario,decisamente imbarazzato.
Steve scrollò la testa. < Non hai idea di quanto ti sbagli.> mormorò, guardando Tony più intensamente. Poi, lesse un’aria colpevole su quel bel viso stanco e disse: < Comunque vuoi dirmi che mi hai spiato anche mentre ero con Sharon?> chiese,in preda al panico.
Tony  si grattò la testa ed infine un sorriso amaro si dipinse sul suo viso. < Cristo, Rogers, mi fai molto più forte di quello che sono!> sbottò. < No, non ce l’avrei mai fatta a vederti in quel modo con…qualcun altro> ammise.
Steve si avvicinò un po’ di più a Tony, e senza eliminare il contatto visivo gli poggiò una mano sul ginocchio, stringendoglielo. Tony trattenne il fiato fino a quando la mano del capitano non abbandonò il suo corpo e un sorriso soddisfatto si dipinse sul viso di Steve. < Se avessi saputo che c’è un modo per farti stare zitto ne avrei approfittato molto prima> disse accavallando le gambe e sedendosi composto.
Tony non smetteva di guardarlo come un ebete, finendo col chiedersi qual’era stato il momento in cui aveva perso così tanto la testa per Captain America e rispondendosi che molto probabilmente era accaduto sin dal primo momento che i suoi occhi si erano depositati sul suo corpo perfetto e congelato dal tempo.
< Come sta Rhodey?> chiese il capitano, mettendosi poi sull’attenti, le mani appoggiate sulle ginocchia e il viso concentrato, in attesa di risposta.
Tony sospirò. < Meglio, molto meglio. Si adatta sempre più all’esoscheletro, e poi ora sto progettando degli impianti sottocutanei che dovrebbero aiutarlo a stare in equilibrio quando si alza, sono molto fiducioso>
< Questa si che è una bella notizia> disse Steve,sorridendo.
Restarono in silenzio qualche istante, sorseggiando il caffè e guardandosi negli occhi, incapaci di trovare qualcosa da dire.
< Mi sembra che ci siamo detti tutto e niente…> mormorò allora Tony, sprofondando nuovamente nelle pozze azzurre del capitano.
Quest’ultimo sorseggiò l’ultimo goccio di caffè e poi si alzò in piedi, sotto lo sguardo vigile di Tony. < Non ci siamo detti ancora niente,signor Stark> disse, posando poi la tazza sul tavolino. Si piegò e Tony rimase di sasso, quando vide Steve piegarsi per posare tutto il peso sui talloni per poi appoggiare le braccia sulle sue gambe,in modo da guardarlo dritto negli occhi.
< Che… che…che stai facendo?> chiese imbarazzato.
Steve gli poggiò un dito sulle labbra,come aveva fatto il giorno del suo compleanno in quella cantina. < Dimmi che oggi pomeriggio non eri in quelle condizioni a causa mia, Tony. Perché hai ripreso a bere?> gli chiese, con gli occhi sofferenti.
Poco prima di conoscere Steve,infatti, Tony era caduto nel tunnel dell’alcolismo a causa di Obadiah Stane, un uomo che Tony aveva sempre considerato un vero amico di famiglia ma che in realtà aveva fatto di tutto per continuare a vendere le armi della Stark Industries in Afghanistan e per impossessarsi della sua azienda. Tony era riuscito ad uscire da quel tunnel solo grazie alla presenza costante di Pepper e alla sua tempra molto forte, che lo avevano portato in quello stesso periodo ad ammettere in diretta mondiale che dietro la maschera di Iron Man si celava proprio lui. E ora, davanti ai suoi occhi, otto anni dopo quel momento, c’era l’uomo più importante della sua vita, che lo aveva distrutto nel giro di pochi mesi, passato dall’ essere amico a nemico in un battito di ciglia, ed ora di nuovo amico, nonostante il disagio di quella definizione. Aveva ripreso a bere per Steve? Molto probabilmente si, ma non solo. Era tutta la situazione di contorno che aveva fomentato il resto, a partire dall’impossibilità di vederlo o di parlarci, fino alla realizzazione che i suoi genitori erano stati assassinati. Decise quindi di essere completamente onesto su come si sentiva, d’altra parte era quello l’obiettivo di quella visita, no?
< Non era a causa tua. Non solo, almeno… Mi sono sentito perso e…solo. Tu hai detto che gli Avengers erano la mia famiglia molto più che la tua, e quelle parole mi avevano colpito molto… Ma poi finivo col guardarmi intorno e mi rendevo conto che ero rimasto solo. Wanda, Clint, Sam e persino Natasha non erano più al complesso.Thor e Bruce sono dio solo sa dove. Rhodey era la mia unica distrazione, mentre Visione si deprimeva e si sentiva in colpa per aver abbandonato Wanda e per aver causato la paralisi di Rhodey. Pepper non la sento da mesi, ormai… E poi te n’eri andato anche tu,dall’altra parte del mondo. Sono stato nominato responsabile dello SHIELD dal governo, e non ne sono stato orgoglioso neanche per un attimo, non a quel prezzo. Mi chiedevo tutti i giorni se ne valesse la pena, e la risposta era sempre la stessa: no. L’unico appiglio a questa vita di merda era un cellulare. Un cellulare che rappresentava speranza, fede, possibilità di andare avanti, eppure a causa del mio orgoglio l’ho lasciato per giorni in un angolo, aggrappandomi a quell’aggeggio come un verme. Ho deciso di chiamarti quando ho notato che anche tu non facevi una vita molto diversa dalla mia… Eri preoccupato, e ho pensato a come potessi sentirti. Io, almeno, sapevo dov’eri e cosa stavi facendo, tu invece niente… e godevo nel vederti stare così male. Ho goduto per giorni, forse per settimane, fino a quando neanche il tuo dolore riusciva più a darmi soddisfazione. Tutto ciò che volevo, tutto ciò che bramavo… era solo averti, qui, tra le mie braccia, a pochi passi di distanza da me. Mi hai fottuto il cervello, Cap!>
Steve sgranò gli occhi e sentì le gambe traballare sotto il suo peso. Non gli venne in mente nulla da dire, perché Tony aveva descritto esattamente il suo stesso stato d’animo:senza di lui era un essere inutile, vuoto. E il suo desiderio più grande era lo stesso di quello del miliardario, semplicemente. Si limitò quindi a dire: < Linguaggio!> con tono poco convinto e rimase ancora più pietrificato quando vide Tony sorridere e avvicinarsi al suo viso. Le sue labbra si posarono delicatamente su quelle di Steve e le sue mani forti lo afferrarono dolcemente, stringendolo tra le braccia, e questa volta a sentirsi impotente fu proprio il capitano, incapace di reagire e di immaginare che Tony potesse essere capace di tanta dolcezza. Si aggrappò quindi con disperazione alle sue braccia, bramando ogni centimetro di quella pelle che per troppo tempo aveva sentito lontano, e si sollevò piano da terra, finendo con l’adagiare Tony sul divano e a sdraiarsi sopra di lui, senza però allontanarsi un solo istante dalla sua bocca. I respiri affannati si mischiarono, mentre la lingua di Tony cominciò ad esplorare gli addominali scolpiti di Steve, bramati per decisamente troppo tempo.
Fecero l’amore con dolcezza e spontaneità, nonostante Steve non fosse mai stato con un uomo e Tony non fosse la persona più esperta del mondo,visto che raramente aveva avuto a che fare con persone del suo stesso sesso. Eppure fu talmente naturale che fu bellissimo, per entrambi. Quando raggiunsero l’amplesso, insieme e gridando rispettivamente l’uno il nome dell’altro, rimasero a guardarsi negli occhi, incapaci di parlare ma felici, ridendo come due ragazzini,senza il minimo imbarazzo.
Steve sfiorò il viso di Tony con il palmo della mano, per poi depositare un bacio caldo sulla sua spalla scoperta,procurando al miliardario un brivido lungo la schiena.
< Devo ammettere, Rogers, che nonostante la tua veneranda età te la cavi piuttosto bene. Erano anni che non avevo un orgasmo del genere> gli disse Tony,sorridendo.
Steve rispose al suo sorriso immediatamente. < Sono contento che ti sia piaciuto, signor Stark. Io invece devo ammettere che non mi sono mai sentito così. Era una vita che ti aspettavo, Tony>
Tony lo guardò emozionato, e gli diede un altro dolcissimo bacio.< Lo sai, Cap, non sono capace di esprimere tutto quello che penso, ormai credo che tu l’abbia capito. Eppure, questa è la chiacchierata più proficua che io abbia avuto negli ultimi trent’anni> disse ridendo, mentre Steve gli diede una spinta giocosa,facendo il finto imbronciato.
< Ho fame, ti va se preparo qualcosa?> gli chiese allora il capitano.
< No, tu resta a letto. Me ne occupo io> rispose Tony, facendo per alzarsi. Ma Steve gli afferrò velocemente il polso e lo adagiò nuovamente sul letto per poterlo guardare dall’alto. < Non mi fido di te. Non sai fare neanche un uovo> borbottò quindi, alzando un sopracciglio.
Tony rise < Potrei stupirti, Cap.> rispose scaraventandolo di lato per potersi alzare, non prima però di lasciargli un piccolo morso sulla spalla.
Si infilò velocemente i pantaloni e si diresse verso la cucina, quando un rumore di elicotteri lo distrasse. Si girò prontamente a guardare Steve, già sull’attenti, e sollevò un indice sulla bocca,intimandogli di fare silenzio. Steve, nel frattempo, prese a rivestirsi, mentre Tony si avvicinò alla finestra e con circospezione scostò la tenda bianca. La situazione fuori sembrava tranquilla, ma proprio in quel momento un secondo elicottero volò basso sulla villa. Tony si morse il labbro inferiore in segno di nervosismo e guardò Steve, ormai completamente rivestito e vigile.
< Lo sanno. Sanno che sei qui.> disse,allarmato.
< Come?> chiese il capitano, in preda al panico.
< Non lo so, non ne ho idea. Non è lo SHIELD, è il governo. E questo non va bene, no! Non va per niente bene.> disse senza smettere di pensare. < Và di sotto, nella mia officina. Chiedi a Friday di attivare Mark Captain. E’ un’armatura che ho pensato appositamente per te, dovrebbe essere abbastanza veloce da permetterti di trovare un posto dove nasconderti, mentre io me la sbrigo qui>
Ma Steve scrollò la testa. < No, Tony, non ti lascio qui, da solo. Se scappo con un’armatura che hai costruito appositamente per me, sapranno che mi stavi aiutando. Diventeresti un fuorilegge anche tu e ti arresterebbero.>
Tony alzò gli occhi esasperato, mentre qualcuno, dall’esterno, si avvicinava, intimando a Steve di uscire a mani in alto. < Non me ne frega un cazzo, Rogers! Non permetterò che ti catturino.>
< Avanti, Tony. Sapevamo entrambi che questo momento prima o poi sarebbe arrivato. Pretendevi davvero che continuassi la mia vita in latitanza? Ho già pensato a tutto: chiederò di liberare gli altri in cambio della mia cattura. In fondo è me che vogliono, lo sappiamo entrambi> provò a farlo ragionare Steve,mentre altri elicotteri si avvicinavano alla villa.
Ma Tony era in preda al panico più totale. < Non puoi dire sul serio! Ti stai buttando ad occhi chiusi in un dirupo, Steve! Non sai se staranno al tuo gioco. Potresti anche uscire qui fuori e fare la fine di un colapasta. Potrebbero spararti a vista! Non hai nulla da offrirgli in cambio>
< E’ qui che ti sbagli!> rispose il capitano avvicinandosi al suo giubbotto per cacciarne una pistola. Si avvicinò velocemente a Tony e lo afferrò per un braccio, portandoglielo dietro alla schiena, in modo da trovarsi così dietro di lui per puntargli poi la pistola alla testa. < Io ho te!>
Tony sgranò gli occhi, allarmato. < Che cazzo fai?> gli chiese.
< Non mi spareranno mai a vista se sanno che ho in ostaggio il capo dello SHIELD. Promettimi che farai liberare gli altri, Tony> gli intimò il capitano, stringendogli il polso gentilmente.
Ma Tony era allibito e non riusciva a ragionare.
< Promettimelo!> lo pregò Steve, sospirando al suo orecchio, mentre gli agenti del governo picchiavano contro la porta con forza.
Tony chiuse gli occhi, incapace di pensare a qualcosa di diverso da quella soluzione. Non avrebbe mai voluto che Steve venisse catturato, ma fingere di essere suo ostaggio era l’unico modo per permettergli di coordinare le indagini col governo, riuscendo così ad ottenere una pena meno drastica per lui e la liberazione definitiva dei suoi compagni. < Te lo prometto> gli disse quindi, abbandonandosi per un attimo sul suo petto.
Steve lo strinse a sé più forte e gli lasciò un bacio sul collo, costringendolo poi ad avanzare verso l’entrata. Non appena oltrepassarono la soglia, videro il sottosegretario Ross che stringeva tra le mani un megafono. < Capitano Rogers, si arrenda! La casa è circondata!>
< Ho qui in ostaggio Iron Man, il capo dello SHIELD. Chiedo solo di poter parlare con voi in modo pacifico, in modo da trovare un accordo> urlò Steve, in risposta.
< Non è nella posizione di fare richieste, capitano!> rispose Ross.
Tony si intromise < Ho una pistola puntata alla testa, Ross! Credo proprio che il capitano possa mettersi in tutte le posizioni che vuole. Non credo che il Presidente sarebbe contento se al capo dello SHIELD venisse fatto saltare in area il cervello davanti a tutti i suoi agenti. E sappiamo che il Capitano Rogers è in grado di farmi del male, lo ha già fatto. Lei lo ha visto, Ross.>
Il sottosegretario sembrò pesare per bene le parole di Tony, prima di rispondere: < E va bene! Capitano, ora abbassi lentamente la pistola e liberi il signor Stark. Dopodichè alzi le mani verso l’alto e venga verso di me con passi lenti>
Steve annuì e abbassò la pistola lentamente. Si sporse di qualche centimetro verso il collo di Tony e gli sussurrò all’orecchio: < Ti amo, Tony>
Quest’ultimo sentì il cuore battere all’impazzata e una lacrima fastidiosa cadde sul suo viso emozionato. Probabilmente, visti dall’esterno, avevano dato l’impressione di un qualcuno che era stato appena minacciato all’orecchio e di un qualcun altro che se l’era fatta sotto per quella minaccia. E invece erano solo due uomini che si amavano più di ogni altra cosa, e che stavano attraversando un altro momento difficile, insieme. Tony vide Steve alzare le mani e avvicinarsi agli agenti del governo, e strinse i pugni, mentre uno di quelli gli catturò i polsi per ammanettarlo. Incontrò gli occhi del capitano, che si girò nella sua direzione per cercare ancora una volta il suo sguardo color caramello,e giurò a sé stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per poter rispondere il prima possibile: < Ti amo anche io, Steve>  
 
 
The end...(?)
Nota dell'autrice: Non posso credere di essere arrivata alla fine di questa storia, e qualcosa mi dice che non ci credo davvero. Mi rendo conto che non ho del tutto chiuso con i miei amati Stony, e lo dimostra il fatto che ho già pronta un'idea per la prossima ff che comincerò a postare a inizio settembre. Spero che mi seguirete anche in questa nuova avventura, e nel frattempo io mi dedicherò anche ad un seguito di questa storia, perchè non esiste che finisca così, mi arrabbierei anche io con me stessa, quindi vi capisco se vi sentite frustrati e arrabbiati! Prometto che mi farò perdonare. Che dire... grazie per avermi seguito sempre e numerosissimi, il conteggio delle visite è davvero impressionante e ciò non ha fatto altro che accrescere la voglia di scrivere per me, ma anche per voi... Quindi... Grazie! Grazie davvero! Ci aggiorniamo la prossima settimana con la mia nuova ff che vi anticipo si chiamerà "TIME MACHINE". Quindi, come sempre, stay tuned...
Un abbraccio
Claudia 

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