I will never find another you

di Birra fredda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


I personaggi di questa storia (purtroppo) non mi appartengono e bla bla bla lo sapete già.






Tino stava sognando un pozzo infinito, di quelli che si guardano dal basso e sembrano per davvero interminabili, in un modo assurdo sembrano sconfinare direttamente nello sprazzo di cielo che si ha il privilegio di vedere. Assurdo.
Nel sogno udì un rantolo sommesso così si voltò di scatto, ma nel buio non vide nessuno. Poi accadde. Qualcuno cominciò a respirare affannosamente, come se l’ossigeno nel pozzo non fosse abbastanza per tutti e due, come se lui si stesse prendendo tutta l’aria disponibile privando qualcun altro di tale beneficio.
Il batterista si svegliò di soprassalto e si mise a sedere sbattendo la testa contro la rete del materasso di Phil che dormiva sopra di lui. Gli succedeva spesso di dimenticarsi di non essere nel suo letto ma nel tourbus, così sbatteva la testa quasi ogni mattina.
Si rese conto che il respiro affannoso del suo sogno continuava nella realtà e si alzò velocemente in piedi in mezzo al corridoio seguendo quell’assordante rumore che, si rese velocemente conto, proveniva dalla cuccetta di Alan.
“Hey” mormorò Tino aprendo le tende del chitarrista, che se ne stava steso a pancia in su sul materasso con gli occhi spalancati, le mani premute sulla gola, la bocca aperta e tremante, il respiro affannoso e disperato come se l’aria non gli bastasse.
“Alan che hai?” provò a chiedergli posandogli una mano sulla guancia per farsi guardare, ma il rosso non si mosse.
“Che succede?” domandò la voce impastata di sonno di Austin alle spalle del batterista, che si voltò di scatto e trovò il viso del cantante a pochissimi centimetri di distanza dal suo.
“Aria” biascicò il più piccolo dei tre con un soffio.
In un attimo Austin balzò giù dalla sua cuccetta e, aiutato da Tino, tirò giù Alan dalla sua e lo sostenne fino a che non si ritrovarono all’aria aperta.
Tino ebbe il buonsenso di afferrare la prima felpa che gli capitò sottomano (appartenente ad Aaron) e portarsela dietro. Alan, infatti, aveva da sempre l’abitudine di dormire soltanto in boxer e calzini o, d’inverno, con dei pantaloncini e una canottiera, e il batterista non voleva vedere il suo amico morire assiderato.
Né Austin né Tino avevano mai visto una cosa del genere: qualcuno cominciare a respirare con forza, tirando fuori l’aria come se dentro di sé, nei polmoni, ce ne fosse troppa a premere contro la gabbia toracica, e inspirando come se fuori di sé non ce ne fosse abbastanza per la sua sopravvivenza.
Alan a un certo punto percepì solo l’assenza di gravità. Un momento Austin lo sosteneva e il momento dopo si ritrovò con le ginocchia a terra ansimante più di prima.
“Alan!” esalò il cantante.
Qualcuno gli posò una felpa sulle spalle e qualcun altro disse: “Gli state troppo addosso, l’attacco di panico deve fare il suo corso.”
Una voce da ragazzino, minuta, innocente, la voce di chi è indifeso nei confronti della brutalità del mondo attorno a lui.
Austin fu il primo a dare un volto a quella voce. Il ragazzo alzò lo sguardo e proprio dietro la ruota del loro tourbus vide un adolescente minuto e dai capelli biondissimi che li osservava steso a terra con la testa poggiata su uno zaino.
“Alan non soffre di attacchi di panico” asserì con forza il cantante.
“C’è una prima volta per tutto” ribatté il ragazzino alzandosi in piedi. “Riconosco gli attacchi di panico perché il mio migliore amico ne soffre” continuò avvicinandosi ai tre e al povero malcapitato che, nel mentre, stava un po’ meglio.
“Ma tu chi diavolo sei?”
 
Era cominciata così, con Alan che aveva avuto un attacco di panico, Austin che si era innervosito e Tino che aveva afferrato una felpa di Aaron all’ultimo secondo e menomale che lo aveva fatto altrimenti il freddo dell’alba avrebbe ucciso il chitarrista di asfissia.
Era entrato così Ian nelle loro vite.




































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Eccomi tornata con una nuova long! Spero vi intrighi anche se questo è solo un minimo assaggio, domani avrete il primo capitolo,
Echelon_Sun

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Capitolo 2
*** 1. ***


“Ripetimi di nuovo quanti anni hai.”
“Phil certo che li rompi i coglioni!” esalò Austin con mezzo corpo nel frigo. “Diciassette anni. Diciassette. Mettiti l’anima in pace.”
Ian, imbarazzato, cercò qualcosa da fare e afferrò il pacco di biscotti dal centro del tavolo. Quei cinque lo avevano accolto all’istante nonostante avesse subito messo in chiaro ch’era minorenne ed era scappato di casa. Era felicissimo di aver trovato un posto dove stare (non poteva dire di aver trovato una casa, dato che si trovavano in tourbus, ma l’idea di fondo era più o meno la medesima) dopo tre giorni di nomadismo e di denutrizione.
“Voi vi rendete conto che ci stiamo portando in tournèe un minorenne, sì?” continuò il primo chitarrista versando del caffè nel suo latte.
“Ho messo in chiaro che se dovessi essere un problema...” cercò di spiegarsi nuovamente Ian, interrotto bruscamente da Tino che disse con voce impostata:
“Non sei un problema. E siamo perfettamente consapevoli di ciò che stiamo facendo.”
Alan prese posto di fianco a Ian. “Quindi è deciso, il marmocchio viene con noi” disse allegro sporgendosi a rubare i cereali dalle mani di Aaron.
“Lascia i miei cereali, gatto spelato!”
“Non chiamarmi marmocchio, rosso malpelo!”
Si lagnarono all’unisono, Aaron e Ian, per poi lanciarsi un’occhiata complice e scoppiare a ridere trascinandosi dietro tutti gli altri fuorché il gatto spelato e rosso malpelo in questione, che incrociò le braccia al petto e mise il broncio.
“Fottetevi.”
“Dobbiamo fotterci a vicenda o ognuno per fatti suoi?” lo prese in giro Austin sedendogli accanto con un bicchiere di succo di frutta tra le mani.
Alan si voltò a guardarlo con la bocca un po’ aperta per rispondergli a tono, però trovò dinanzi a sé le labbra dell’altro, così invitanti, quelle labbra che aveva avuto l’onore di baciare, e rimase zitto.
“Potreste cominciare voi due, per il piacere dei fan” disse Tino posando una mano sulla spalla del suo cantante. “E per il piacere vostro, anche” aggiunse poi, facendo andare storta la saliva al chitarrista ritmico che prese a tossire con veemenza.
“Perché voi due...?” domandò innocentemente Ian sporgendosi oltre Alan, che stava quasi soffocando, per poter guardare gli altri. Insomma, li conosceva da poco, ma il loro atteggiamento non gli era affatto sembrato quello di due fidanzati.
“No, Alan è come se fosse un fratello minore” asserì Austin sorridendo. “Solo che i nostri fan, dopo un bacio che ci siamo scambiati sul palco, hanno lavorato un bel po’ d’immaginazione...”
“Ed è nata la Cashby” concluse Phil alzandosi per lasciare il posto a Tino. “Vado a farmi la doccia” annunciò poi, “vi ricordo che oggi dobbiamo fare il soundcheck prima di pranzo perché dopo io e Alan abbiamo l’intervista per quella rivista di chitarre...”
“ERA OGGI?!” esalò il rosso saltando in piedi e facendo saltare dalla sorpresa anche Ian e Austin che gli erano seduti accanto. “Me n’ero completamente dimenticato.”
Phil alzò gli occhi al cielo e non rispose. Si sarebbe sorpreso se Alan avesse semplicemente annuito, in realtà, poiché era risaputo che il più piccolo della band viveva tra le nuvole e dimenticava sempre tutto.
Ian rimase imbambolato in un angolo per l’ora e mezza successiva mentre tutti sul tourbus si muovevano così tanto che sembrava che il mezzo intero si muovesse. Era fantastico e destabilizzante vedere tutti e cinque quei ragazzi al lavoro, ognuno che faceva qualcosa. Era disorganizzati e, allo stesso tempo, sembravano una catena di montaggio. Un momento uno era sotto la doccia, un altro lavava i piatti, uno sparecchiava, uno ordinava, il momento dopo c’era chi si vestiva, chi accordava una chitarra, chi si faceva i capelli nel corridoio, chi urlava che non trovava questo o quello, chi ammucchiava i panni sporchi.
Quando tutti e cinque si ritrovarono puliti e vestiti, pronti per uscire, notarono Ian ancora seduto a tavola che non sapeva bene che fare.
“Perché non ti fai una doccia anche tu?” disse Austin.
“Noi usciamo a salutare i fan, poi ci raggiungi dentro” continuò Aaron.
Ian annuì e sparì nel piccolo bagno del tourbus.
Erano strani, quei tipi, ma allo stesso tempo avevano subito saputo come farlo sentire a suo agio, comportandosi normalmente e senza metterlo sotto pressione. Alan gli ricordava moltissimo Michael, sia per via del colore dei capelli che per quell’aria da bambino innocente e sbadato, forse per questo aveva avvertito immediatamente un certo legame nei suoi confronti.
Pensò a tutto quello che stava succedendo mentre si svestiva e si lasciava avvolgere dal calore dell’acqua, alla fortuna in cui era incappato ritrovandosi a dormire sotto il tourbus di cinque persone tanto disponibili. Quattro giorni addietro era a casa di suo padre, rifletté insaponando un livido nerastro all’altezza del fegato, e ora era praticamente in tournèe con gli Of Mice & Men. Assurdo.
















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Sì, lo so che avevo detto "domani avrete il primo capitolo", lo so benissimo. Però non è stata colpa mia se non ho pubblicato, bensì del mio pc che ha cominciato a dare i numeri e mi ha reso la vita impossibile. Perdonatemi per il ritardo pls,

Echelon_Sun

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Capitolo 3
*** 2 ***


Il locale non era molto grande ma neanche piccolissimo, insomma c’era abbastanza spazio per tutti quei ragazzi buttati a terra fuori che aveva visto. Gli era venuto da chiedersi, vedendoli, che razza di musica facessero gli Of Mice & Men, perché quei ragazzi lì fuori avevano tutti i capelli tinti, magliette aggressive, vestiti laceri, tatuaggi. Non che Austin gli avesse dato l’impressione di essere un tenore, insomma, ma si rese conto che forse erano uno di quei gruppi che adorava Michael che urlano per tutto il tempo.
Comunque si mise in testa che doveva ascoltarli senza pregiudizi e alzò una mano per richiamare la loro attenzione mentre entrava nel locale. Erano tutti e cinque sul palco radunati a chiacchierare, solo Tino era seduto dietro la batteria e stava montando un piatto.
“Hey Ian” lo salutò Phil vedendolo. “Perché non chiediamo a lui?” disse poi rivolto agli altri, che risposero affermativamente.
Prima che avesse il tempo anche solo di riflettere o di capire cosa stesse succedendo, Tino aveva dato il quattro e avevano cominciato a suonare.
Era proprio quel tipo di musica. Dannazione.
Ian sospirò e cercò di sorridere loro. In fin dei conti, pensò, urlare in quel modo doveva essere difficile, quindi era almeno da apprezzare la tecnica. Erano tutti molto bravi con i loro strumenti, inoltre, e soprattutto Tino catturò subito l’attenzione del ragazzino.
Era sempre stato attratto dalla batteria e una volta aveva anche provato a suonarla, a casa di un suo compagno di classe, e si era sentito leggero. Si era sentito svuotato di ogni problema, come se il picchiare su quei tamburi potesse renderlo totalmente libero.
Dopo un po’ Aaron cominciò a cantare. Aveva un timbro particolare che a Ian piacque subito moltissimo, così non si concentrò per niente sul testo della canzone. In realtà non si stava rendendo neanche conto del fatto che stavano provando un pezzo di ogni canzone, passando velocemente da una all’altra.
Alla fine di tutto i cinque lo guardarono e Austin parlò nel microfono: “Con quale pensi dovremmo cominciare?” chiese.
Ian si sentì invadere da un forte calore e seppe di essere arrossito, ringraziò mentalmente la penombra del locale e si disse che doveva rispondere alla domanda. Non ci aveva capito niente di ciò che avevano suonato, non aveva neanche capito ch’erano canzoni distinte, a dirla tutta, ma doveva rispondere.
“La prima” disse in un soffio.
“Adesso siamo tre contro due!” esultò Aaron nel microfono, facendo saltare sul posto Alan che si era avvicinato troppo e nel momento sbagliato a una cassa.
“D’accordo, l’inizio resta Public Service Announcement” disse Phil togliendosi la chitarra. “Ma anche la fine resta You’re Not Alone.”
“Mi sembra un buon punto d’incontro” concluse Tino alzandosi dalla sua postazione. “Qui vicino c’è un supermercato, chi mi accompagna a fare la spesa?”
In un momento, Ian non capì bene come fosse successo, era rimasto solo lui imbambolato al suo posto e Tino in piedi dietro la batteria. Gli altri era spariti, come volatilizzati, non c’erano più.
Il batterista roteò gli occhi e sospirò. “Almeno ditemi cosa volete” urlò incrociando le braccia al petto.
“Tè verde!”
“Birra!”
“Pizza!”
“Hamburger!”
“Prendi anche il pane!”
“Se c’è per favore della mozzarella!”
“Quei biscotti al burro dell’altra volta!”
“Il caffè che è quasi finito!”
“Shampoo per capelli grassi!”
“Bagnoschiuma alla lavanda!”
“Uh, il riso!”
“La nutella!”
“Birra!”
“L’avevo già detta io la birra!”
“Non avevo sentito... prendi anche la red bull!”
Ci fu un momento di silenzio e poi la voce di Austin disse: “Grazie Tino!”
“Lo sapete che un giorno io farò scorta di cibo solo per me e vi lascerò morire di fame?” scherzò Tino scendendo dal palco con un salto.
“Sei il più grande, è compito tuo occuparsi di noi” urlò Alan da lontano.
“Considera che a quel punto saremmo talmente tanto affamati e tu sarai quello più grasso...” disse Phil.
“Ian vieni con me?” domandò il batterista al ragazzino ignorando gli amici.
Il biondo si chiese perché tutti fossero scappati ma non gli venne in mente nessun motivo troppo logico, così annuì.
Uscirono da dietro per non dare nell’occhio, incontrarono comunque due ragazzine che richiesero a Tino un autografo e una foto e poi giunsero al supermercato.
Vagando tra i corridoi zeppi di prodotti i due chiacchierarono del più e del meno. Ian voleva sapere tutto su di loro e sulla loro carriera musicale. Avrebbe voluto raccontare a Tino qualcosa di sé e sapeva che prima o poi, soprattutto se fosse rimasto con loro per molto tempo, avrebbe dovuto farlo, ma non gli andava di parlarne in quel momento, così riversò in quella mezz’ora di spesa tutti i suoi quesiti.
Tino gli raccontò di come fossero nati gli Of Mice & Men, delle varie discussioni che c’erano state, delle uscite ed entrate nella band, dei problemi di salute di Austin e della morte della madre, gli parlò della sua fidanzata e di quanto gli mancasse.
“E quando finirà il tour?” domandò Ian mettendosi in fila alla cassa.
“È appena cominciato” rispose il più grande. “La fine ufficiale sarà tra tre mesi, l’ultimo show è programmato per la metà di maggio. Poi saremo a vari festival sia in America che in Europa e poi saremo al Warped Tour per tutta l’estate.”
“E non tornate mai a casa?” chiese ancora il biondo cominciando a mettere la loro spesa sulla rullo della cassa.
Tino ridacchiò. “Certo che torniamo a casa” disse aiutando Ian. “Abbiamo delle pause dalla tournèe a volte di un weekend, altre volte anche di due settimane. Dipende.”
Il più piccolo dei due si bloccò per un momento a pensare e si tolse di mezzo per far passare Tino che doveva pagare. Adesso quei cinque lo avevano accolto con loro e sembravano così affabili e amichevoli nei suoi confronti, era in tournèe con gli Of Mice & Men, ma quando il tour sarebbe finito, lui dove sarebbe finito?
Per un attimo si sentì mancare, ma si riprese subito e sollevò una delle due buste di plastica rigonfie di cibo e bevande. Una volta a casa, gli Of Mice & Men lo avrebbero scaricato nel dimenticatoio?































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Chi non muore si rivede, no?
Perdonatemi ma, come sempre, il problema è giunto da cose al di fuori della mia volontà o possibilità.
Fatemi sapere se vi piace,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 4
*** 3. ***


Ian rigirò a pancia in su sul materasso nella cuccetta che gli avevano sgomberato, che stava sotto quella di Austin, e ripensò al concerto a cui aveva assistito.
Nonostante il soundcheck avesse rafforzato la sua idea non esattamente positiva riguardo quel tipo di musica, durante lo show si era dovuto ricredere. Gli Of Mice & Men avevano una presenza scenica spettacolare, coinvolgevano il pubblico e Ian non aveva potuto fare a meno di fissarli catturato e interessato per tutto il tempo. Erano grandiosi.
E si era sorpreso così preso da loro e dallo show da non avere sul viso neanche la vaga espressione di irritazione per via dei suoni troppo crudi o delle urla di Austin.
Il biondo aprì le tendine della sua cuccetta e uscì fuori con mezzo busto per controllare la situazione. Erano partiti per una nuova meta da almeno due ore e tutto taceva, tutti dormivano tranne lui.
Aveva sempre sofferto d’insonnia e non era affatto sorpreso di essere sveglio. In realtà la sua non era vera e propria insonnia ma era, piuttosto, paura di dormire. Se non appena ci si lascia scivolare nell’inconscio i propri pensieri si materializzano immediatamente tramite mostri dal volto scuoiato e cadaveri putrefatti dalle unghie sporche e adunche, è ovvio che si abbia paura di addormentarsi.
Più di una volta Ian si era svegliato urlando e per questo aveva paura, in quel momento più che mai, di addormentarsi. Era in mezzo a delle persone che conosceva solo da quella mattina e non voleva di certo farle saltare dal letto a causa dei suoi incubi. Erano stati così gentili nei suoi confronti, gli avevano anche dato un pantaloncino e una t-shirt con cui dormire, e poi dopo il concerto era così stanchi che si sarebbe sentito davvero in colpa se li avesse fatti svegliare.
Pensò a suo padre rimettendosi disteso nella cuccetta. Suo padre che lo odiava, che lo considerava un fallimento, suo padre che troppe volte gli aveva messo le mani addosso e che non si era neanche voltato a guardarlo quando era uscito di casa per l’ultima volta.
Adesso era al sicuro. Non poteva dirlo con estrema certezza, in realtà, ma si sentiva protetto tra quei ragazzi che l’avevano accolto immediatamente e si sentiva assolutamente bene al pensiero che ogni giorno si trovavano in un luogo diverso. Sarebbe stato ancora più difficile rintracciarlo, in questo modo.
“Non dormi?”
L’improvviso sussurro di Alan lo fece destare dal fiume di pensieri. Non si era accorto che il rosso si era svegliato e aveva aperto le tendine della cuccetta.
“Non ci riesco” rispose in un bisbiglio.
“Ti va qualcosa da bere?”
“Certo.”
Il chitarrista scese lentamente dalla sua cuccetta e si diresse così come si trovava, quasi totalmente svestito, nelle parte anteriore del tourbus con Ian al seguito.
“Tecnicamente tu saresti ancora troppo piccolo per l’alcol” disse con un ghigno Alan aprendo il frigo. “Ma chiuderò un occhio perché mi piaci.”
Ian ridacchiò e sedette sul divano. Non sapeva cosa avesse visto Alan in lui da fargli dire che gli piaceva, ma se era servito a farsi dare dell’alcol andava più che bene.
Osservò in silenzio l’altro che mischiava troppi super-alcolici in due bicchieri di carta e poi gli fece spazio sul divano prendendone uno.
“Cin cin” sorrise il rosso alzando il suo e sorseggiandone un po’.
Il più piccolo bevve un sorso e immediatamente sentì la gola ardere. Non aveva idea di cosa ci fosse in quel bicchiere, e non voleva averla, ma era buono e forte.
“Allora, ti è piaciuto lo show?” chiese Alan stravaccandosi sul divano e posando i piedi nudi sul tavolino che aveva davanti.
“Moltissimo” rispose velocemente Ian. “Mi avete davvero sorpreso, siete stati fantastici.”
“Non ci avevi mai ascoltati prima?”
“Mai. Non vi avevo mai neanche sentiti nominare.”
Il chitarrista alzò un sopracciglio e poi fece una strana smorfia che voleva significare che si era offeso. Poi disse: “Qualche volta ti presto il mio Ipod e ti ascolti i nostri cd, che ne dici?”
Il biondo annuì entusiasta e pensò che senza i testi delle canzoni davanti non ci avrebbe capito nulla, ma non lo disse per non sembrare scortese. In ogni caso un sorrisetto gli comparve ugualmente, involontariamente, sul volto.
“Cos’hai da ridere?”
“Pensavo al fatto che mi sono subito sentito a mio agio con voi e non mi era mai successo prima, neanche a casa mia” mentì velocemente, anche se le sue parole erano tutt’altro che false.
Alan ingoiò in un solo, lungo sorso il resto del cocktail e poi sorrise a sua volta. “Mi fa piacere sentirtelo dire” asserì poi. “Stamattina sembravi un povero orfanello, adesso sei passato al grado orfanello da adottare.”
Rimasero lì a chiacchierare ancora per un po’, Alan fece conoscere a Ian il loro autista e parlarono un po’ anche con lui fino a che non emerse Austin dalle cuccette e li riportò tenendoli per le orecchie – e non è un eufemismo, li teneva davvero per le orecchie – a dormire.
“Domani abbiamo uno show e non voglio un chitarrista rincoglionito dal sonno sul palco” disse il cantante sottovoce mentre Alan saliva nella sua cuccetta alzando gli occhi al cielo.
“Ma io che c’entro?” si lagnò Ian, ma un’occhiataccia di Austin lo fece tacere e allungare sul suo materasso.
“E poi non mi piace questa cosa che ci si alza in piena notte per bere” concluse il maggiore dei tre allungandosi nella sua cuccetta e chiudendo le tendine.
Ian alzò lo sguardo per cercare quello di Alan ma i suoi occhi trovarono solo delle tendine chiuse. Sospirò e si voltò su un fianco. Aveva troppa paura di addormentarsi, soprattutto in seguito alla reazione di Austin, ma allo stesso tempo si rendeva conto che era davvero assonnato e che se non si fosse trovato qualcosa da fare il sonno l’avrebbe avvolto e così sarebbero giunti anche gli incubi.
Allora pensò a quello che gli aveva detto Alan riguardo l’ascoltare i loro cd e si sporse oltre il corridoio fino alla cuccetta dove la band aveva ammassato degli zaini e trovò quasi subito quello che cercava: un Ipod e un paio di auricolari. Non sapeva a chi appartenessero quegli oggetti, ma non stava facendo nulla di male, li stava solo prendendo in prestito per qualche ora per non dormire.
Si stese nella cuccetta, chiuse le tendine, si infilò gli auricolari e si lasciò cullare dalla musica.




















































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Lo so che non aggiorno da un secolo e che non vi ricordate neanche più di cosa parli questa long, ed effettivamente neanche io ricordo troppo bene quali fossero i miei piani per il suo proseguimento. Ultimamente, però, mi sento ispirata e mi è venuta voglia di continuarla. Quindi beccatevi questo piccolo capitolo e ci vediamo al prossimo.
La vostra,
Birra Fredda

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