Blood in my eyes

di SkyDream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Chap1- Kyoto ***
Capitolo 3: *** Chap2- Fotografia ***
Capitolo 4: *** Chap3- Scoperta ***
Capitolo 5: *** Chap4- Sangue ***
Capitolo 6: *** Chap5- Occhi ***
Capitolo 7: *** Chap6- Dolore ***
Capitolo 8: *** Chap7- Cicatrice ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


-Blood in my Eyes-
-Introduzione-

 
Non ti capitava spesso, è vero, ma come tutte le persone avevi momenti di debolezza.
Che poi, a esser sinceri, non si potrebbe nemmeno definire tale. Solamente non avevi tempo e voglia di occuparti di qualcosa di differente da “quel” caso.
I pensieri e i ragionamenti si susseguivano creando un movimento simile a quello delle onde del mare che si infrangono contro la costa per poi tornare indietro.
Stavi seduto con la sedia in bilico su due piedi, tenevi una matita in mano e fissavi il soffitto cercando una soluzione.
Era cominciato tutto un paio di mesi prima, durante una notte tranquilla, un uomo aveva ucciso una donna con una pistola stordente che però non aveva lasciato alcun segno sulla pelle, solo un trattino blu sotto la nuca.
Da lì erano cominciate le indagini, avevi contattato persino Agasa cercando di capire come una pistola stordente potesse uccidere.
Erano passate notti in bianco, pattugliamenti a tutte le ore e misteri sempre più fitti da risolvere. Eppure, proprio grazie a te, un uomo si era tradito da solo rivelando la presenza di una banda pericolosa che stava mettendo a punto una macchina sperimentale delle torture.
Per l’occasione avevano chiamato la banda Blue Spread, poiché tutte le vittime presentavano un trattino blu.
La pistola stordente in realtà era un emanatore di microonde capace di uccidere un essere umano premendo solo un tasto.
 
«Posso entrare?» Abbassasti lo sguardo e la sedia, guardasti tua madre negli occhi e notasti il suo sguardo colmo d’ansia.
«E’ successo qualcosa?» Chiedesti posando la matita, tua madre entrò e si sedette sul letto avvicinando le mani.
«Speravo che fosse tuo padre a dirtelo, ma credo che saperlo da me ti farà meno male».
Shizuka ti guardò con tenerezza e ti sfiorò una mano.
«Partirai per Kyoto, starai due mesi a studiare in una scuola di recupero.»
«Cosa?»
«I tuoi insegnanti si sono lamentati dei tuoi scarsi risultati, tuo padre si è arrabbiato e ha già preparato tutto. Sarai ospitato da un amico di famiglia, non dovrai preoccuparti di mantenerti.»
Le onde di pensieri si arrestarono di colpo, tutto sembrò fermarsi, statico. Immobile.
Immobile come la polvere che da giorni si accumulava sui sopramobili della tua stanza, che oscurava le foto e persino il quadrante dell’orologio da parete.
«Sai bene che non è assolutamente vero, mi sono impegnato e ho ottimi voti. Mamma lo sai perfettamente perché mi sta mandando a Kyoto!» Sbottasti cercando di non mostrare le mani che tremavano.
«Non è tutto. Promettimi che non correrai via.»
«No, non dirmelo…non può essere vero.»
Eppure, Heiji, lo temevi. Eri certo che avrebbero preso queste misure per la tua sicurezza.
Tua madre prese un respiro profondo, ma tu stavi già scattando dalla sedia, i nervi tesi e il sudore che già ti imperlava la fronte.
Non avevi bisogno di sentirlo dire per capire cosa ti stava comunicando.
«Non potrai sentire né i tuoi compagni, né Kazuha.»


Angolo autrice
Ed eccomi qui, altra storia di Heiji e Kazuha che non era in cantiere. Ma si sa, l'ispirazione è bastarda e basta pochissimo per far scattare la molla dello scrittore.
Avete presente quel prurito alle mani che sembra dire " scriviii, scriviii", ecco ^^"

Ottimo, spero di riuscire in questa sfida! 

Bacini e biscottini!
-SkyDream-

 

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Capitolo 2
*** Chap1- Kyoto ***


-Blood in my Eyes-
-Kyoto-

 
Kazuha era seduta sul tatami, le ginocchia al petto e le braccia incrociate sopra di esse, guardava davanti a sé senza preoccuparsi di mettere a fuoco i singoli oggetti della sua stanza.
Era tutto immacolato come sempre: le foto appese al muro che scendevano fin sopra il letto, i peluche raggruppati, i cuscini sprimacciati e le matite dentro la tazza sulla scrivania.
Solo una cosa era in più in quella stanza immacolata.
Sopra la testa di un orsacchiotto blu c’era un cappello bianco con la visiera verde, calata fin sopra gli occhi del peluche.
Se ne era andato senza troppe parole, le aveva scompigliato i capelli e aveva lasciato il suo cappello lì, sul peluche che le aveva regalato da bambina.
Era uscito chiudendo la porta scorrevole e lei aveva contato i passi che aveva fatto per raggiungere le scale.
Erano dodici, ci volevano dodici passi.
 
«Che cosa significa che ti trasferirai a Kyoto per due mesi?» Kazuha si era alzata e aveva portato i pugni lungo i fianchi, come quando era infastidita.
«Significa che per recuperare quelle materie dovrò fare un corso extra, e per evitare distrazioni dallo studio non potremo sentirci.» Lo aveva guardato con gli occhi fuori dalle orbite: lui grande detective che si faceva comandare a bacchetta?
Heiji, il suo Heiji, che abbassava la testa davanti suo padre.
«Sono solo due mesi, piagnucolona, credo che riuscirai a sopravvivere anche senza il tuo formidabile detective.»
Ma era inutile, Kazuha aveva già alzato la barriera del silenzio per proteggersi da quella realtà.
Heiji si era avvicinato, le aveva scompigliato i capelli con una mano e se n’era andato.
Solo che lei, in quella sua barriera del silenzio, non aveva udito le ultime parole: “Mi mancherai, scema”.
E, in quella sua barriera del silenzio, non aveva sentito che prima di appellarla come “scema” gli stava scappando “piccola”.
Quel nome tenero che le affibbiava solo in casi più unici che rari.
 
Aveva tentato, dentro di se, di alzarsi e correre a casa Hattori per parlare con Heizo e dirgliene quattro, così senza peli sulla lingua, gli avrebbe spiattellato davanti tutto ciò che pensava.
Che era disumano fare una cosa simile, al proprio figlio per giunta, perché aveva solo una materia in cui non andava benissimo. Si era sempre impegnato, che motivo aveva suo padre di trattarlo così?
E lei? Nessuno che pensava che lei avrebbe sofferto tantissimo in questo modo?
In diciotto anni non si erano mai separati a lungo, dove andava l’uno andava anche l’altra.
Era una promessa tacita, ma non per questo meno vera di una scandita.
Le promesse tacite sono fatte con l’anima, è non c’è gesto o parola che può romperle.
Solo che il tono di voce e il sorriso triste che Heiji, per la prima volta, le aveva rivolto la facevano sospettare, a ragione, che non fosse tutta la verità quella che le aveva raccontato.
Alzò gli occhi, mise a fuoco il cappello e si concesse dieci minuti di silenzio per contemplare la stasi che la circondava.
«Solo dieci minuti però, Kazuha» Si era detta fissando nuovamente il vuoto.
 

Tuo padre ti aveva messo una mano sulla spalla con fare paterno e una vocina ti disse che quello era il suo modo di chiederti scusa.
Anche se in fondo non aveva di che scusarsi, ti aveva appena spedito altrove senza telefono né computer solo per evitare che quella banda di criminali ti prendesse.
La colpa era anche tua, lo sapevi bene, che ti eri esposto troppo quando avevi fatto l’interrogatorio ad Ensaku. Non ti eri nemmeno premurato di controllare che non avesse microspie dietro, e avevi detto ad alta voce il tuo nome  e cognome.
Poi lui aveva parlato, aveva detto tutto sulla Blue Spread e tuo padre non aveva più chiuso occhio la notte. Aveva paura per te e per Kazuha.
Che poi era colpa tua se lei ti stava sempre dietro mentre indagavi? No, era una sua scelta e ne aveva sempre accettato i rischi senza lamentarsi.
E questa volta, che lei non ti aveva seguito poiché ignara del caso enorme che ti circondava, ne subiva le conseguenze.
Accidenti al destino e a quella schifosa banda, nemmeno li conoscevi in viso e già li detestavi. Ti avevano portato lontano da lei e dalla tua normalità.
«Il treno fermerà a Kyoto Centro tra cinque minuti, si pregano i passeggeri di rimanere ai loro posti finchè il treno non si sarà del tutto fermato.» Una vocina metallica scandiva le parole con una lentezza esasperante, convincendoti a mettere le cuffie dell’MP3 e, con un gesto automatico, ad abbassarti il cappello.
La tua mano sfiorò la punta dei capelli, avevi la testa scoperta e non te n’eri neppure ricordato.
«Grandioso, e sono via da casa solo da poche ore. Datemi qualche giorno e non ricorderò più neanche come mi chiamo».
 
Alla stazione di Kyoto Centro c’era gente che si ammassava tra i gradini e che salutava le persone in partenza. Schivasti tutto, come chiuso in una campana gelida, evitasti di ascoltare qualsiasi cosa che fosse all’esterno delle tue cuffie.
Fuori dalla stazione c’era una macchina rosso fiammante, appoggiata ad essa un uomo vestito di nero che fumava in silenzio, i capelli impomatati all’indietro e un paio di occhiali scuri che gli coprivano gran parte del viso.
«Signor Nakama?» chiedesti avvicinandoti, quello sorrise e portò il capo leggermente più in avanti come ad annuire.
«Sei identico a tuo padre nei modi, Heizo».
«Heiji, mi chiamo Heiji».
Quello sorrise ancora, da vicino sembrava più vecchio.
«Metti pure il bagaglio in macchina, presto saremo a casa e mi racconterai il motivo di questa pagliacciata».
 
La casa di Nakama era ordinata e semplice nonostante il macchinone facesse intuire che fosse ricco sfondato. Guardasti le stanze leggermente incuriosito dalle foto. In una c’era tuo padre e tua madre con te da piccolo in braccio, accanto a Heizo c’era Nakama con un braccio ferito. Sorridevano alla telecamera.
«Scommetto che tua madre è ancora bella come nella foto» disse sospirando, lo accompagnò fino alla cucina e lo fece sedere prima di offrirgli un caffè freddo.
«Com’è che lo chiamate a Osaka? Voi e il vostro dannatissimo accento del Kansai…»
«Reicoffee» dicesti sedendosi su una sedia e guardando attentamente ogni piccolo particolare.
«Già, me lo chiedeva spesso tua madre questo reicoffee. Ci ho messo un’eternità per capire cosa intendesse. Non mi stupisce sapere che sei un tipetto energico, tua madre beveva fin troppo caffè durante la gravidanza».
Sorridesti, seriamente divertito da quell’aneddoto che ti riguardava in parte.
«Ora dimmi la verità, in che guaio ti sei cacciato?»
«Blue Spread, sanno come mi chiamo e sanno che so chi sono.»
«Blue Spread?» Nakama prese la tazzina e la portò alla bocca bevendo in un sol sorso tutto il contenuto. «Me ne ha parlato il capo questore, voleva un consiglio, ma sarò buono e ne darò uno a te. Stanne fuori, è troppo pericoloso».
Notasti i granelli del fondo di caffè che andavano a depositarsi nelle profondità della tazzina. Sorridesti ancora. «Sarà fatto».
«Hai lo stesso sguardo luminoso di tuo padre. Credo che sarà difficile farti rimanere al tuo posto.»
«Come fa a conoscere mio padre?» chiedesti dopo aver bevuto tutto il tuo caffè.
«E’ stato molti anni fa, l’ho conosciuto durante un caso particolare. Mi ha salvato un braccio, quel burbero. Fa tanto il duro, ma in realtà è come una polpetta di riso.»
Scoppiasti a ridere, portasti una mano alla fronte e sentisti Nakama finire la sua metafora con aria teatrale.
«Ha un cuore tenero! Come le polpette di riso con il cuore di tonno, se poi è pure fresco allora è delizioso. Mettigli un po’ di salsa di soia…»
 
La stanza era così vuota da farla sembrare perfino più fredda delle altre. Aveva solo l’orologio incastonato in piccole canne di bambù, una scrivania con un bonsai e il letto.
«Bhe, buon soggiorno. Io sono nel mio studio, se ti serve qualcosa» detto ciò ti lasciò solo nei tuoi pensieri.
Apristi la valigia, ne uscisti una vecchia foto di Kazuha e la infilasti sotto il cuscino. Non sapevi perché, ma preferivi non vederla direttamente.
In realtà ti mancava di già, il non sapere quando l’avresti rivista ti stava facendo prudere le mani.
Accidenti a tuo padre, poteva evitare di tagliare ogni contatto tra te e il mondo! Okay, era per il tuo bene, ma questo fronteggiarsi di sentimenti contrastanti ti stava facendo andare di matto.
Apristi le finestre per far arieggiare la stanza, davanti a te si stagliava la strada principale. Kyoto era una cittadina, in confronto a Osaka, le case erano basse e strette tra di loro, tanto da non far passare nemmeno una macchina. La gente in bicicletta correva per le strade senza però far rumore.
In lontananza, tra un paio di negozietti di frutta e verdura, c’era un bar. Ora che lo guardavi meglio, dopo esserti sporto dalla finestra, c’era disegnata una chiocciola sull’insegna.
«Un internet cafè, grandioso!»
No, Heizo, tuo figlio non sarebbe rimasto fuori dalle indagini ancora per molto.

 
«Dieci, nove, otto...» Kazuha alzò lo sguardo.
«Sette, sei, cinque…» Poggiò i palmi delle mani sul tatami.
«Quattro, tre, due...» Gravò sulle braccia per darsi la spinta.
«Uno» Si alzò in piedi e, con aria fiera, guardò davanti a sé.
«Se credi di liberarti di me così facilmente, Hattori, hai fatto male i conti.»
 
«Aihel, credo di aver individuato una persona che potrebbe ricondurci ad Heiji.»
«Ottimo, Duth, come si chiama?»
«Toyama Kazuha, ha diciotto anni.»
«Toyama? Ottimo, se facciamo fuori entrambi capiranno contro chi si sono messi.»
Un guizzo blu, simile a una scintilla, illuminò il buio.
Una testa maschile si schiantò al suolo, sotto la nuca c’era un trattino blu che pulsava come fosse vivo.
«La Blue Spread non scherza con nessuno.»


Angolo autrice:
Ringrazio tutte le persone che hanno lasciato un commento, lo apprezzo veramente.
Ebbene sì, per Hattori e Toyama questa è una bella gatta da pelare. Ci saranno momenti di suspense (spero che risulti l'effetto suspense ahahah) e momenti teneri (o forse no?).
Bhe, (scrivere e) leggere per scoprire!

Bacini e biscottini
_SkyDream_

**Mini-Spoiler del chap 2**
"Era una gran bella idea, Kazuha, se non fosse che il destino aveva per te altri piani."

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Capitolo 3
*** Chap2- Fotografia ***


-Blood in my Eyes-
-Fotografia-
 
«In gita a Tokyo?! Ma avete fatto già una gita il mese scorso!» La madre di Kazuha guardò il foglio della scuola con tutto l’itinerario e i prezzi.
«E’ un po’ costoso, non trovi?» chiese guardando la figlia, ma quella non si scomponeva.
«Ne vale la pena, tesoro, se questo servirà a farla stare un po’ meglio…» Il signor Toyama mise una mano sulla spalla della moglie, con un gesto delicato.
«Va bene, Kazuha, per questa volta ti manderemo. Promettimi solo che da oggi farai uno sforzo per mangiare di più, guarda come ti sei ridotta in pochi giorni!» esclamò per poi poggiare una mano su quella del marito.
«Sarà fatto, mamma.»
Dopo essere salita in camera, con i piedi che volavano letteralmente sugli scalini, chiuse la porta e si sfogò abbracciando un peluche così forte da fargli quasi saltare la testa.
Se i suoi l’avessero saputa a Tokyo per un paio di giorni avrebbe avuto tutto il tempo per andare a Kyoto senza destare sospetti.
L’idea della falsa gita era stata geniale, quasi non riusciva a contenere la felicità. Lo avrebbe rivisto, lo avrebbe stretto tra le sue braccia e l’avrebbe convinto a tornare a casa a Osaka.
Era una gran bella idea, Kazuha, se non fosse che il destino aveva per te altri piani.

«Immagino che tu non abbia voglia di andare a scuola, Heiji.» Nakama soffiò una nuvoletta di fumo che salì fino sopra il tetto.
«Immagini bene.» rispondesti senza scomporti.
«E’ inutile la scuola, mente chi dice che ti prepara alla vita. Ti riempiono la testa di nozioni inutili. Dovreste leggere, voi giovani d’oggi.» Nakama entrò senza dirti niente, poggiò la schiena alla sedia e soffiò via altro fumo con tranquillità.
«Che ne dici di raccontarmi quella storia? Almeno quando tornerò potrò dire di aver sentito qualcosa di interessante.»
«Parli della storia tra me e tuo padre? Eri ancora neonato, ma i tuoi genitori venivano spesso qui a Kyoto per la festa dei ciliegi in fiore. Stavo inseguendo un pazzo, un assassino pregiudicato che si divertiva a tagliare la testa alla gente. Mi aveva portato di proposito in un vicolo sperduto, mi sono ritrovato con le spalle al muro, da una parte avevo un burrone che portava sul fiume, dall’altra la strada sbarrata, l’unica via d’uscita era stata bloccata con una macchina da un suo collega. Ci fu una sanguinosa colluttazione, che finì con la mia caduta dal burrone.» Aspirò dell’altro fumo.
Dalla finestra entrò una lieve folata di vento, Nakama sembrava perso tra i suoi ricordi, gli occhi lontani.
«Rotolai per parecchi metri, non so come abbia fatto a non spaccarmi la testa durante la caduta. Parecchi massi mi caddero addosso, seppellendomi vivo e stringendo il mio braccio in una morsa mortale.»
Ti alzasti, sedendoti sul bordo del letto.
«E poi?»
«Tuo padre sentì il crollo, ti aveva in braccio e la prima cosa che fece fu darti a tua madre. Scese senza attrezzatura, armato solo di buona volontà, arrivò davanti a me e cominciò a farmi domande. Ero finito in una rientranza e sarebbe bastato una piccola scossa a far crollare tutto, noi compresi, dentro il fiume. Non so ancora come ma riuscì a estrarmi dall’insieme di rocce e a caricarmi sulle spalle. Del mio braccio era rimasta solo della polpa pulsante e puzzolente. Se avessi aspettato l’arrivo dei soccorsi credo che sarei diventato monco».
«Quel vecchio non finirà mai di stupirmi» sospirasti pensando a tuo padre.
«Sono in debito con tuo padre da anni. Questa è la volta in cui posso riscattarmi, vedi di non metterti nei guai.»
«Grazie, signor Nakama.»
«Chiamami Kamai».
 «Ha prenotato un posto per il treno per Kyoto, forse se la seguiamo riusciamo ad arrivare ad Hattori Heiji» Duth, in tutta la sua stazza, entrò nel bagno dove Aihel si stava truccando.
«Mi sembra un’ottima idea, Duth» Allungò le braccia in modo sensuale, verso l’alto, e fece ondeggiare i fianchi per far scivolare meglio il vestito blu.
«Sei splendida, mia regina» L’uomo la fece voltare verso di sé, la prese in braccio e la fece sedere sul lavandino.
«Che sia l’ultima volta, Duth» E detto ciò lo baciò con passione.
«Buongiorno, cosa posso portarle?» Una signorina, con un’alta coda di cavallo, arrivò silenziosa accanto a te.
«Biscotti alla cannella, tutti i biscotti alla cannella che avete e un tè caldo. Facciamo due, ben speziati.» Non alzasti nemmeno lo sguardo, tanto eri immerso nelle tue ricerche, e non notasti l’occhiata confusa che la povera cameriera ti aveva riservato.
«Scusi? Ha seriamente detto che vuole tutti i biscotti alla cannella?»
«E due tè, non si dimentichi che li voglio ben speziati» precisasti alzando un indice verso l’alto, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer.
Dopo pochi minuti si udì l’urlo del pasticcere –se di gioia o disperazione non fu possibile saperlo- e poi ti fu servito una porzione di biscotti su un cestino di bambù. Il tè caldo arrivò subito dopo.
 
Grazie alle tue ricerche, riuscisti a scoprire due dei componenti della Blue Spread: Ensaku e Jophiel.
Il primo lo conoscevi bene, lo avevi arrestato tu stesso dopo averlo colto in flagrante ad uccidere una donna con una pistola particolare. Era stato lì- stolto- che ti eri fregato con le tue stesse mani.
Ensaku era poi riuscito a fuggire, dando certamente i nominativi a chi di dovere.
Eri a rischio, senza dubbio.
Jophiel, invece, non la conoscevi affatto, avevi trovato un vecchio articolo in cui si parlava di lei. Era una dottoressa, faceva parte di un corso sperimentale in cui si studiavano le microonde, ma era poi sparita nel nulla e voci vaghe parlavano della sua entrata in giri loschi.
C’era il suo zampino, senza alcun dubbio.
Il locale parve spegnersi così come cala il sole, a poco a poco.
La luce del  pomeriggio lasciò il posto a delle lanterne accese nel locale, i vestiti colorati delle ragazze lasciarono il posto a felpe e giacche scure, il frastuono si trasformò in mormorio.
Alle nove della sera, attorno ad te c’erano solo cestini di bambù impilati, varie tazze di tè ormai freddo e una ragazza.
Aveva i capelli legati con un nastro rosso.
«Torna a casa, è tardi.»
Alzasti lo sguardo lentamente e poi ti voltasti verso la voce: lei era lì e ti sorrideva.
«Kazuha» mormorasti più a te stesso che ad altri.
«Signore, dovrebbe tornare a casa. Qui dobbiamo chiudere.» Sbattesti le palpebre un paio di volte, avevi gli occhi lucidi e arrossati per il troppo sforzo.
Quante ore eri stato davanti al computer? Dieci, di più?
Abbastanza da farti scambiare la cameriera per Kazuha.
«Sì, certo, me ne vado»
«Signore..»
«Sì?»
«Fanno circa cinquemilanovecentosessanta yen, e spiccioli»*
 
Tornasti a casa affamato e squattrinato, mangiasti della roba verde che Nakama ti aveva lasciato sul tavolo e poi, stanco, tornasti nella tua camera per fare una doccia.
Nella valigia, ancora integra dal tuo arrivo, sbucava un piccolo volume colorato, le pagine erano spostate leggermente dalla corrente fra porta e finestra.
“Kitchen” di Yoshimoto, era un libro che ti era capitato per caso tra le mani.
Era una lunga storia, quella del libro.
Una storia che ti ricordava lei, vero?
Lei e la sua improvvisa voglia di cucinare e di passare i pomeriggi nella tua cucina, a bere tè caldo.
Ti infilasti sotto la doccia, una nuvola di vapore si scontrò contro il tuo petto freddo, facendoti rabbrividire.
Pure l’acqua sembrava diversa lì a Kyoto, ma almeno il suo scroscio era riuscito a rinfrescarti la mente e a permetterti il lusso di non pensare a nulla.
Piccole gocce scivolavano veloci tra i tuoi pettorali, solleticandoli, eri concentrato a guardare la saponata scendere lungo le tue braccia, quando un rumore di distrasse.
«Sei tornato a casa a quanto vedo» ti disse Nakama, dall’altro lato della porta.
«Sì, ho fatto un po’ tardi per vari motivi» rimanesti sul vago.
Accidenti, nemmeno la doccia in pace si poteva fare lì, roba da diventare matti.
«Le opzioni non sono molte, Heiji…» continuò lui con una risatina che ti fece innervosire.
«Bhe, allora arrivaci da solo, Kamai» Speravi, ardentemente tra l’altro, di aver concluso quella conversazione, e di poterti godere la tua doccia calda.
«O sei stato a fare ricerche da qualche parte, e qui a Kyoto non ci sono molti posti, oppure hai incontrato una bella fanciulla con cui hai passato la giornata. Ma non credo proprio» Scoppiò a ridere, si avvicinò alla porta e con tono pieno di malizia continuò quel monologo
«Visto che hai già una bella fidanzata. Heiji, hai scelto proprio una bella fanciulla, eh.»
Spalancasti gli occhi e uscisti dalla doccia acchiappando l’asciugamano e chiudendolo alla vita. Uscisti senza preoccuparti dell’acqua e delle pozzanghere che avresti creato.
«Dai qua!» urlasti tendendo la mano verso Kamai che stava guardando la fotografia che avevi nascosto sotto il cuscino.
«Direi che ci ho azzeccato» rise lui. Ti ricordò per un momento una vecchia pettegola, e la cosa ti stupì. Avresti associato Kamai a tante figure, ma mai a quella di una vecchia pettegola.
Abbassasti lo sguardo sulla foto, tu guardavi verso l’obiettivo, lei invece guardava te. Aveva la divisa scolastica, quella che la stringeva tutta.
E parecchie volte, nei meandri della tua mente si era fatto avanti il desiderio di toglierla via quella camicia, perché era inutile.
Chissà cosa stava facendo in quel momento, magari stava pulendo proprio quella camicia, o come te stava cercando di farsi la doccia ma qualcosa l’aveva disturbata.
E aveva staccato la musica. Sì, perché lei faceva sempre la doccia con la musica, e cantava pure. In modo piuttosto stonato quando non sapeva le parole.
Una goccia d’acqua cadde sulla foto scivolando lungo i vostri visi.
«Forse è meglio fare una doccia fredda» dicesti a te stesso sistemandoti meglio l’asciugamano stretto alla vita, sentivi il sangue ribollire in modo anomalo. E soprattutto non di rabbia.
Kamai, nella sua camera, apriva le finestre e guardava il cielo in modo pensieroso.
Non potevi saperlo, Heiji, ma ciò che spaventava Kamai era proprio quella banda di criminali.
Sul tavolo della camera, accanto ai libri lucidati e agli assegni dati in beneficenza, c’era una foto: una donna mora stringeva in braccio un bambino di pochi anni. Sorridevano, lei ad occhi chiusi e il bambino con le mani verso l’obiettivo.
Ma tu, Heiji, eri arrivato troppo tardi per conoscerli.
Chissà, magari quel bambino ti avrebbe dato filo da torcere, sarebbe diventato l’Heiji Hattori di Kyoto.
Se solo fosse cresciuto, quel bambino.
Se solo il destino lo avesse permesso.
Se solo il cielo non l’avesse richiamato indietro.

 Sono passati sei giorni dalla sua partenza.
Kazuha, nel buio della sua camera, non riusciva a chiudere occhio.
Sentiva che qualcosa le attanagliava la gola, una brutta sensazione.
Si girava nel letto, poi si sedeva, il sonno non voleva saperne di arrivare.
Accese il telefono e fece scorrere la sua luce lungo tutta la stanza, ma niente, non c’era nessuno.
«Sei una stupida» diceva a se stessa, chiuse il telefono e diede un’occhiata lì dov’era appoggiata la sua valigia.
«E’ una bugia a fin di bene.» ripeteva a bassa voce, poi si strinse nelle ginocchia e allungò il braccio verso il comodino, accese la luce e guardò la foto.
Lui guardava verso l’obiettivo, mentre lei era poco più dietro con lo sguardo rivolto altrove, la camicia scolastica che le stringeva troppo il seno.
Rise al ricordo di quella volta in cui lui le disse di prendere una camicetta più larga, con la scusa che lei fosse ingrassata visibilmente.
«Mi manchi, stupido.»
 
E la mattina dopo, con il cappello ben nascosto nella borsa, diede un bacio sulla guancia ai suoi genitori, li abbracciò forte ed entrò da sola alla stazione.
Scese nei sotterranei, corse con la valigia che scorreva leggera sotto le sue mani, piena solo dell’indispensabile.
Salì sul treno, mise il cappello in testa, le cuffie dell’MP3 a tutto volume e aspettò che il tempo passasse.

Aihel accese la macchina, scese gli occhiali da sole sul naso e guardò dritta davanti a sé.
«Qui è tutto pronto. Avrò quello che mi hai promesso?»
«La ragazza è tutta tua, a me interessa lui. Vedi solo di non ucciderla, ci serve viva se dobbiamo usarla per gli esperimenti»
«Viva..?»
«Duth…»
«Si?»
«Non farla finire come l’ultima ragazza, ci è toccato uccidere anche il bambino».

Il dizionario di SkyDream
*5960 yen= 50 euro circa.



Angolo autrice
Zan zan zan, ecco cosa aveva in mente Kazuha :'D 
Ebbene sì, anche Kamai Nakama c'entra con la Blue Spread.
Cosa ne pensate?
I personaggi sono IC? La storia vi coinvolge?
Faremi sapere :3

Bacini e biscottini (P.s.un grazie speciale a Gagiord)
-SkyDream-


 

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Capitolo 4
*** Chap3- Scoperta ***


-Blood in my Eyes-
-Scoperta-

 
L’alba ti svegliò insieme al lieve venticello che cominciava a sollevarsi.
Ti alzasti, dalla finestra potevi vedere i colori chiari del sole che abbracciavano i tetti bassi delle case, le ombre lunghe per le strade che andavano via via accorciandosi, i fiori di ciliegio che volteggiavano lentamente. Il silenzio stagnante di Kyoto, come se i suoi abitanti fossero eternamente in preghiera.
La signorina con la coda di cavallo, quella che la settimana prima avevi scambiato per Kazuha, aprì l’Internet Cafè.
Decidesti di vestirti e di andare a fare colazione decentemente.
Era passata una settimana da quando casa Nakama era diventata la tua nuova dimora.
Lascasti un biglietto a Kamai, anche se sapevi che era inutile. Aveva ormai capito che era inutile cercare di tenerti lontano dalle indagini, sarebbe stato controproducente.
Piuttosto, era ormai una settimana che non andavi a scuola. Che non incontravi Ichiro, Sugu e gli altri ragazzi del club di kendo.
Una settimana che non impugnavi la tua katana.
 
«Buongiorno Heiji, anche questa mattina di buon ora» Ti sorrise la ragazza, aprì le finestre e fece arieggiare il locale.
«La luce del sole continua a svegliarmi ogni mattina» ti giustificasti strofinando gli occhi, lei si avvicinò pericolosamente e si sedette accanto a te.
«Il tuo accento del Kansai è veramente forte, ma io lo trovo estremamente sensuale» soffiò al tuo orecchio senza risparmiarsi il sorriso pieno di malizia.
Rimanesti in silenzio, non sapendo cosa dire.
«E quindi, Heiji, ormai ci conosciamo da un po’».
«Un po’ una settimana…»correggesti fissando lo schermo.
«Mi piacerebbe sapere qualcosa in più di te, soprattutto se hai intenzione di restare qui».
«Non proprio…»aggiungesti vago, aumentando la tua concentrazione verso ciò che scorreva davanti i tuoi occhi.
“Database Polizia Osaka”. Si, ma quale era la password di tuo padre?
«Hai fretta di tornare lì? Pensavo cominciasse a piacerti questo posto, magari potrei portarti a vedere i tempi e i torii rossi.*
«Sì» rispondesti alla prima domanda, senza ascoltare altro.
«Quindi non tornerai a Osaka, no?» chiese ancora con insistenza mentre stringeva un vassoio.
La vocina urtante con cui parlava non ti permetteva di pensare.
«Sì, torno a Osaka il prima possibile. Perché sto cominciando a perdere la pazienza dietro questo rottame di computer, perché rivoglio i miei biscotti alla cannella e preferibilmente anche chi li cucina» dicesti tutto d’un fiato, senza collegare neuroni e cuore. Parlò solo il cuore in quel momento, forse perché erano appena le sette del mattino o forse perché il cervello era già abbastanza impegnato.
Fatto sta che in quell’istante cadde un silenzio assordante.
La cameriera, in piedi davanti a te, rimase muta e poi tornò dietro il bancone, cominciando a ripulire il tutto.
Presto i primi anziani cominciarono ad entrare chiedendo tazze calde di tè verde, furono seguiti da uomini in camicia e cravatta che ordinarono un caffè e parecchi bambini che venivano a prendere la colazione.
Onigiri, nattō, tamagoyaki* e ciotole di riso fumante.
 

«Cosa faremo quando arriveremo lì?» chiese Duth mentre era tranquillamente sdraiato sul retro della macchina.
«Tu prenderai la ragazza, io e Jophiel il ragazzo. Li chiudiamo in macchina e li portiamo fino alla centrale di Kyoto. Da lì decideremo se portarli a Osaka e come. Intanto possiamo interrogarli» rispose Aihel mentre si rigirava la sigaretta tra le mani.
«Portarli a Osaka è troppo rischioso. Abbiamo i prototipi anche qui a Kyoto. Piuttosto grava il piede sull’acceleratore, se non ci muoviamo la signorina la perdiamo di vista» Jophiel guardò in alto dalla decappottabile, le nuvole si avvicinavano tra loro sempre più grigie.
Il sole sarebbe stato presto oscurato.
Abbassò lo sguardo, la lunga treccia rossa che poggiava sulla spalla destra continuava a rimbalzare a ritmo con gli scossoni della macchina.
Non tagliava i capelli da quanti anni? Otto?
Da quando aveva scoperto che era stata lei a commettere quell’orrore.
Non poteva ricordarlo, a quei tempi fumava erba e si ubriacava facilmente.
Eppure si chiedeva come aveva potuto dimenticare una cosa simile.
 

 «Buongiorno!» trillò allegra all’autista del taxi.
«Osaka?» rispose quello annoiato ma riconoscendo l’accento, si grattò la pancia e allungò una mano verso il pacchetto di patatine che era posteggiato sul cruscotto dell’auto gialla.
«Sì, vengo da Osaka e ho una certa fretta. Potrebbe portarmi a maru-cho? Dovrebbe starci un certo Nakama» chiese Kazuha uscendo un bigliettino scribacchiato di fretta.
Avere i suoi fidati amici all’interno della centrale si era rivelato utile per scoprire il nome e cognome del signore che ospitava Heiji. Poi affidarsi all’elenco telefonico online non era stato difficile, non esistevano troppi Nakama Kamai e quello in questione era l’unico ad essere stato nella polizia.
Bingo!
«Sì, sì ci abita Nakama. Fossi in te non lo disturberei per cavolate, se vuoi il consiglio di una persona saggia» sbadigliò quello chiudendo il sacchetto di patatine e mettendo in moto l’auto.
«Devo rivedere un amico speciale» sospirò quella guardando il cielo di Kyoto. Le nuvole andavano via via a infittirsi, eppure il sole era ancora ben visibile.
 
Casa Nakama era modesta, tranne che per un macchinone posteggiato lì accanto. Bussò più volte alla porta finchè un uomo non aprì con fare scocciato.
«Vi ho già detto che di aspirapolveri telecomandate non ne ho bisogno» sbuffò esasperato. Alzò lo sguardo verso Kazuha, poi lo spostò sulla valigia rosa che trasportava.
«E tu chi cavolo sei?» domandò senza aprire la porta del tutto.
«Kazuha Toyama, amica di Heiji!»
«Ah, quella della foto»
«Quale foto?»
«Pensavo fossi la sua ragazza» disse Nakama aprendo di più l’uscio e facendo accomodare Kazuha dentro casa.
«No, no…siamo solo amici d’infanzia» sospirò lei mentre sentiva le guance arrossire. Trascinò dentro la valigia ed entrò in camera di Heiji preceduta dal padrone di casa.
Nakama si voltò verso di lei con un sorriso malizioso.
«Ho una certa idea…»
 Eri da poco riuscito a scoprire la password di tuo padre e a liberarti della ragazza dalla coda di cavallo che continuava ad importunarti.
Dei biscotti alla cannella non era rimasto più nulla, solo briciole e profumo.
Le scritte scorrevano bianco su nero davanti i tuoi occhi, tornato a Osaka ti avrebbe aspettato una bella visita dall’oculista.
Il vociare e l’andirivieni della gente ti sfiorava appena, come faceva uno spiffero di vento che filtrava dalla finestra.
Non avevi scoperto molto, se non che alcuni cadaveri avevano presentato dei segni di violenza prima della morte, e che diciassette anni fa era stata uccisa una donna e il suo bambino. Da lì si era ipotizzata l’idea di una banda, ma era ancora tutto incerto e il caso fu archiviato insieme agli altri.
«Torna a casa...» disse una voce alle tue spalle, dal riflesso dello schermo vedesti una ragazza dalla coda di cavallo.
«Non sono ancora le tredici, avete ancora un ora di tempo prima di chiudere» rispondesti scocciato.
«Ti prego, Hei-chan»
Ti voltasti di scatto, la guardasti come congelato.
Ti avrebbe trovato anche in capo al mondo, ne eri certo ma…avresti mai pensato che sarebbe venuta fin lì?
«Cosa ci fai qui tu?»
«Sono venuta a prenderti»
Parliamoci chiaro, Heiji, se non fosse stato per il tuo maledetto orgoglio ti saresti già buttato su di lei e avresti affondato il viso sull’incavo del suo collo. Poi avresti permesso a una lacrima di commozione di uscire.
Ma no, eh no, tu sei Heiji Hattori.
«Bhe, non posso tornare a casa. Quindi tornaci da sola»
«Forse non mi hai capita. Non sono venuta a chiederti di tornare, sono venuta a prenderti. Io non tornerò a casa senza di te» rispose decisa, i pugni chiusi lungo i fianchi come faceva sempre quando litigavate.
«Ho da fare qui a Kyoto»
«Cavolate!»
«Che cosa hai detto?» urlasti. Non che volessi urlare veramente in viso, ma le circostanze ti avevano mandato in pappa il cervello.
Tra mente e cuore stava infuriando una battaglia bella e buona.
«Ho detto che non voglio tornare a Osaka senza di te, stupido»
E lì, mentre le lacrime e i singhiozzi cominciavano a scuoterla, ti alzasti e le stringesti un polso.
Pochi secondi dopo eravate già fuori dal locale, correvi trascinandotela dietro tra le vie desolate di Kyoto, ti fermasti dentro un vicolo secondario e lasciasti che le tue braccia la avvolgessero.
Al diavolo il conto, l’orgoglio e la sicurezza.
Ti mandasti al diavolo da solo, Heiji.
Lei non smise di singhiozzare, anzi si strinse alla tua maglietta stropicciandola con le mani.
«Kazuha…»Non avevi ancora pronunciato il suo nome, uscì con dolcezza e disperazione dalle tue labbra. Le braccia, d’istinto, la strinsero ancora fino a costringerla ad affondare il viso nel tuo petto.
Sentivi il suo calore al centro dello sterno, prendesti il capello che era sulla sua testa e te lo infilasti al contrario sulla tua.
«Va tutto bene, scema» le sussurrasti scompigliandole i capelli e la coda. «Smettila ora di piangere, non sono mica morto»
Eppure quella sembrava la previsione del tuo destino
Sembravano le tristi parole di chi sa già cosa lo aspetterà
Senza essere conscio di come la sorte possa accomunare due persone
 
 
Il pomeriggio passò in fretta, seduti sul divano a chiacchierare con Kamai delle avventure tue e di Kazuha.
Eri certo di averlo visto sorridere ogni volta che lei raccontava qualcosa di particolarmente interessante, come la volta in cui eravate a un passo dalla morte, o appesi a un ramo.
Sorrideva, come chi sa già come finirà tra quelle persone.
Ma sei abbastanza tonno da non aver capito che Kamai sapeva già che sentimento legava te e Kazuha.
«Si è fatto tardi, Heiji, cosa ne pensi di far vedere i torii**a Kazuha? Di sera si illuminano e riflettono sul lago. Sono stupendi» propose Nakama alzandosi e pensando di farsi una doccia rilassante.
«Non è un’idea malvagia» constatò Kazuha guardandoti con occhi vispi.
Sarebbe stato un po’ imbarazzante portarla a vedere uno spettacolo così romantico, da soli per giunta, ma per lei lo avresti fatto.
Solo per lei, che sia chiaro!
Le buttasti addosso la giacca e ti infilasti la felpa con fare scocciato.
«Quanto sei rompiscatole!»esclamasti fintamente scocciato, ma lei era già sulla soglia della porta che salutava con la mano Nakama e gli prometteva di tornare prima di cena, così da potergli cucinare lei qualche specialità.
Magari degli udon***, o dei biscotti alla cannella. Ci avresti cenato con quei biscotti, seriamente.
 
Le strade buie erano illuminate da pochi lampioni e da qualche faro delle rare macchine che passavano, alcune bancarelle di pesce e tempura facevano sfrigolare l’olio invadendo di profumi vari l’aria fresca di Kyoto.
«Kazuha, non passare avanti senza di me»
«Sei lentissimo, Heiji!»
«Sei tu che corri troppo»
Alzasti lo sguardo, aveva il viso illuminato dal lampione, le lunghe ciglia che proiettavano ombra sugli occhi verdi, il sorriso disteso e le guance lievemente arrossate.
Poi accadde tutto in un momento, come nelle canzoni tranquille che improvvisamente si interrompono e ricominciano con un tono duro.
Ecco che un uomo di parecchie spanne più alte la abbracciò da dietro, la bloccò con il suo corpo e le cacciò una pillola in bocca.
Lei chiuse gli occhi e si accasciò in avanti senza dire una parola.
Cercasti di muoverti, ma avevi le braccia bloccate da qualcuno. Una donna si parò davanti a te, aveva un lungo mantello blu, i suoi capelli corti e biondi sembravano filamenti di stelle nel buio.
Sorrise, mostrò una fila di denti bianchissimi e poi brandì un bastone con decisione, divaricando leggermente le gambe, con un saltello fu accanto a te e ti colpì con forza.
Sentisti il tuo corpo distendersi per terra, cercasti di protendere una mano verso Kazuha, ma di lei era rimasto solo il fiocco che le chiudeva i capelli nella solita coda ordinata.
Chiudesti gli occhi.
 
“Non toccarmi, non toccarmi…” chiese flebile lei.
 “Ancora un po’, poi ti lascerò andare” rispose lui ansimando.
“Basta, non  reggo più, basta” la voce ridotta a un sussurro.
“Basta…” Questa volta era la voce di una donna.
«Ancora un po’»
« La ucciderai così, smettila»
Aprì il palmo della mano, cercò un appiglio ma le scivolò. Era grondante di sangue, sentì qualcosa salirle dallo stomaco e poi sputò un grumo rosso sul pavimento sporco.
Le sue braccia nude tremarono, aprì la bocca ma uscirono piccoli rivoli di sangue caldo. Davanti a se un uomo rise, le mani umide che la colpivano, picchiavano senza paura.
La visuale era confusa, le pareti che le vorticavano attorno come in una lavatrice, si poggiò esausta al muro cercando di fare mente locale.
«Heiji…» pronunciò lentamente, sentì il cuore battere forte, le gambe bruciare come marchiate a fuoco, le corde che le legavano le caviglie le avevano stracciato la pelle scoprendole la carne viva che pulsava e bruciava.
«Ti avevo detto di non parlare.» Ecco che la prese dalle spalle e la sollevò con facilità, non lo riuscì a vedere in faccia, non con gli occhi che piangevano.
Lacrime di sangue

Il Dizionario di SkyDream
*Onigiri: Polpette di riso
Nattō: Piatto viscido a base di fagioli rossi
Tamagoyaki: Omelette di cui Heiji è ghiotto.
**
Torii:Templi rossi giapponesi 
***
Udon: Spaghetti in brodo

Angolo autrice
Eh sì, finalmente dopo tre capitoli un po' di movimento!
Per colpa del maltempo -non a caso odio la pioggia- ho perso due capitoli...
Quindi spero di riuscire a scriverli entro quattro giorni, almeno uno ahahah
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Bacini e biscottini 
-SkyDream-

 

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Capitolo 5
*** Chap4- Sangue ***


-Blood in my Eyes-
-Sangue-


 
«E’ sveglio?»
«Sembra di si, che facciamo?»
«E’ legato come un salame, non può farci nulla.»
Davanti a te due figure femminili stavano fumando comodamente poggiate al muro. Attorno era tutto di un bianco così luminoso da ferirti gli occhi.
Sentisti il respiro pesante e le idee ancora confuse, ma nonostante ciò lei era un pensiero fisso. Lo urlasti ancora il suo nome, nella mente, senza poter proferire parola.
«Ehi, bel detective, cosa pensavi? Credevi mica che immischiandoti nei nostri affari ne saresti uscito illeso!» Rise sguaiatamente, sulla sigaretta c’era la stampa del rossetto e dalla bocca uscì una nuvola di fumo. Pensasti a Kamai e a come si sarebbe presto insospettito della vostra assenza.
«E’ inutile che cerchi di dimenarti, sei bloccato. E non hai nessuno da salvare.»
Quelle parole ti entrarono in testa, apristi le labbra sentendoti la bocca formicolante come se ti avessero fatto un’anestesia.
Improvvisamente tutto il bianco scomparve, venne sostituito dal buio e il tavolo su cui eri sdraiato si riempì di luci colorate, cercasti di tirarti su ma degli anelli di metallo ti tennero ferramente attaccato. Ti dimenasti, vanamente.
Una scossa ti attraversò la spina dorsale causandoti un dolore così forte da farti spalancare gli occhi, i polmoni bruciarono.
Non riuscisti a dire una parola e un’altra scossa violenta ti pervase le braccia accompagnato da una ventata di dolore acutissimo.
Chiudesti gli occhi e la mente si spense, così come i tuoi sensi.
 
«E’ morto?»
«No, sta bene, ho solo fatto una prova.»
 Sentisti l’aria entrarti e uscirti dai polmoni lentamente come se ti fossi svegliato da un lungo sonno, avevi le mani paralizzate, davanti a te i colori della stanza sembrarono mescolarsi, ti sentisti vuoto.
Avevi la sensazione di aver vomitato, sentivi solo un brivido sulla punta dei piedi, poi sulle ginocchia, infine sugli avambracci.
I tuoi pantaloni e la tua maglietta erano buttati in un angolo della stanza.
«Bell’esperienza, eh Hattori? » Rise una delle donne, i capelli biondi tagliati accuratamente fin sotto il mento, il vestito nero le risaltava le curve, le braccia scoperte erano attraversate da serpenti tatuati.
«Dov’è Kazuha?» Chiedesti sentendo la voce spezzarsi sulle ultime sillabe, eri come spossato e la mente non ragionava lucidamente.
«La tua amichetta? Credo non sia più viva, ma non importa. Se l’esperimento riesce nemmeno tu uscirai di qui. Non con i tuoi piedi almeno.»
L’altra donna, con i capelli rossi intrecciati sulla spalla, si avvicinò e ti poggiò una mano sul viso, aveva gli occhi scuri, quasi neri.
«Quasi mi dispiace per te, ma avevi scoperto troppe cose. Non potevi continuare così.» Si allontanò per poi afferrarti i piedi con decisione
La bionda le passò due pinze larghe che mise sulle caviglie e poi si avvicinò allo schermo.
«Ora tocca a me.»
Un calore forte ti pervase le gambe, sentisti la pelle bruciare come ferita da centinaia di fiamme.
La bionda ti iniettò un liquido all’altezza della mandibola e ti chiese, con voce suadente, di non svenire.
Le labbra si schiusero e sentisti nuovamente il formicolio invaderti la bocca, come anestesia vera.
«Ti spiegheremo il nostro geniale piano, ora che non puoi parlare non potrai interromperci- rise la bionda per poi voltarsi verso la collega- io e lei abbiamo preso i progetti dei precedenti membri della Blue Spread. Abbiamo messo a punto un microchip che viene inserito alla base del collo, da lì le micro onde che vengono emesse da un semplice telecomando riescono a influire sulla mente. Tanto da farle credere di provare dolore» Sorrise al computer al suo fianco.
«La nostra invenzione sarà pagata milioni di miliardi di yen, tutti gli eserciti del mondo ne vorranno uno. Uccidere senza spargimenti di sangue, sotto atroci torture».
La rossa allungò le braccia, gli occhi neri mi guardarono languidi.
«Dimmi se ti fa male» sussurrò con dolcezza.
Poi una scossa ti pervase le gambe fino al bacino, lo sollevasti d’istinto cercando di spostare le mani, ma le manette erano troppo resistenti.
Sentisti le tempie pulsare, gli occhi velarsi di nero e poi la bionda dire «Basta Jophiel, per oggi ha dimostrato abbastanza. Se entro domani sarà ancora vivo, lo uccideremo poco distante dalla stazione».
«Cosa faremo della ragazza?»
«Toyama?»
«Aspetteremo il rapporto di Duth?»
«Speriamo non l’abbia già uccisa, sarebbe un casino. La voglio viva per i miei esperimenti».
E pensasti che Kazuha non avrebbe retto quelle scosse.
Non sarebbe mai sopravvissuta a quelle torture carnali.
Ma non sapevi, Heiji, che lei aveva passato molto peggio.


 
 
 
«Cosa pensi di fare?»
Quella domanda le arrivò alle orecchie ovattata, come sussurrata appena, tremava ancora e non riuscì nemmeno a vedere in faccia colui che l’aveva quasi uccisa.
«Pensavo di sputarti in faccia.» biascicò con poca convinzione, afferrò con mani tremanti  le sue braccia e si avvicinò al suo viso per sputargli altro sangue sugli occhi. Il suo sangue misto alla saliva sul suo viso si confuse con la polvere.
La lasciò cadere per terra, si strofinò il viso e divenne un mostro dal volto rosso acceso.
Cercò di sollevarti, ma appena le arrivò un calcio sullo stomaco ecco che rovinò in ginocchio. Dei suoi vestiti non era rimasto più nulla. Giurò a se stessa di aver visto dei ciuffi di capelli sparsi per la stanza, ma era buio e la sua vista era peggiorata negli ultimi minuti. Cercò di prendere aria ma i polmoni le bruciavano..
Si lasciò andare al freddo pavimento, sentiva del sangue scivolarle lungo le guancie e sul seno, lì dove era stata toccata mentre si dimenava e urlava. «Saluta il mondo finchè puoi.»
Chiuse la porta e anche l’ultimo spiraglio di luce scomparve insieme ai suoi pensieri.
 
Una puzza di metallo le ricordò che era ricoperta di sangue, si guardò le braccia  e le scoprì piene di ematomi violacei, le unghie erano rotte in più parti e i polpastrelli tagliati come se li avesse strofinati sulla carta vetrata.
Le gambe scoperte erano sporche, per guardarsi le ferite dovrebbe scrostare gli strati di sangue rappreso.
Appena il suo cervello captò i segnali che la circondavano, ecco che mandò l’impulso al suo stomaco di espellere quel poco che era rimasto.
Vomitò una sostanza grigia, una voce sbiadita le suggerì che doveva essere la pillola che le avevano fatto ingerire.
Alzò lo sguardo, sulle sue ciglia c’era del sangue condensato che le limitò la visuale. Una lampadina penzolava dal soffitto e si muoveva lentamente a destra e a sinistra, la luce giallognola.
Prese un altro respiro, i suoi pensieri cominciarono a farsi più logici, cercò di alzarsi in piedi ma sentì un dolore acuto, probabilmente le costole dovevano essersi incrinate sotto i calci, le sentì bruciare contro lo sterno.
La fitta la costrinse a chiudere gli occhi, quando li riaprì i pensieri tornarono confusi.
«Sono…scalza?»chiese a se stessa toccandosi i piedi.
Ma, Kazuha, ancora non ti sei accorta che dei tuoi vestiti non rimane quasi più nulla?
 
Si toccò il viso, sentiva uscire del sangue dagli occhi, ma il corpo le faceva così male da non far caso al dolore specifico che probabilmente la stava divorando.
Scivolò in avanti, si poggiò al pavimento e cercò di respirare piano, per non sentire le costole contro i polmoni.
Non sapeva a cosa pensare, se non che era scalza e con un paio di pantaloncini, il reggiseno macchiato, i capelli impiastricciati e tenuti malamente dall’elastico.
Chissà dov’era finito il nastro verde.
«Maru, take…ebisu, ni, oshi, oi..ke» ripeté nella sua mente prima di cadere in uno stato di torpore.
«Non potete usarmi ancora per i vostri esperimenti? Cos’è, non mi sono rivelato una cavia abbastanza forte?» sussurrasti arrogante mentre continuavi a sudare, il corpo scosso da tremiti di freddo.
«Hai ancora animo di scherzare?»rispose la bionda sedendosi nel tavolino insieme a te, passò le dita sui pettorali scolpiti che erano contratti per il freddo.
«Mi chiamo Aihel, sono stata io a farti provare questo gioiellino. Dovresti sentirti onorato»
«Io sono Jophiel, la mente della macchina che ti ha quasi ucciso. In effetti sei molto resistente al dolore» annuì l’altra senza scomporsi, aveva dei serpenti tatuati lungo la nuca. Era palesemente più piccola di Aihel, sembrava dimostrare poco più di trent’anni.
Aihel continuava a carezzarti i muscoli, i serpenti che aveva disegnati sui polsi sembravano danzare sul tuo ventre a ogni movimento.
«Vi chiamate come gli angeli del paradiso. E’ una cosa fatta apposta oppure…»
«Noi siamo degli angeli che presto rivoluzioneranno il mondo, Heji Hattori. Solo che ognuno di noi ha bisogno di sfamare i propri bisogni, io e Jophiel dobbiamo sfamare la nostra voglia di gloria e potenza; Duth deve sfamare la sua voglia di distruzione e…»
Il tuo cervello non sentì altro, avevi sentito già nominare Duth, era un loro uomo che collaborava in prima linea con i membri della Blue Spread.
Alzasti il capo sperando di vederlo in camera, entrò poco dopo asciugandosi il viso e il petto con un panno rosa.
«Duth, hai almeno fatto ciò che ti ho chiesto?»
Quello per tutta risposta ruttò senza vergogna e si poggiò al muro alzando le braccia e mostrando una montagna di peli incolti.
«Viva, viva. Respira, se è quello che intendi» rispose prima di asciugarsi il viso. Notasti che il panno era in realtà bianco, e quel rosa doveva essere il sangue che si era tolto via dal viso.
«Sei sempre la solita bestia, ti avevo chiesto una cosa sola» lo rimproverò Aihel alzandosi e smettendo di torturarti muscoli.
Non era molto alta, il vestito blu però la sfilava abbastanza da farla sembrare bella. Bella come la morte.
«Jophiel, addormentalo e chiudilo dall’altra parte, se domani non sarà ancora impazzito potremmo usarlo ancora un po’. Per sicurezza fa’ il tatuaggio, ci risparmieremo un sacco di tempo così» le ordinò la bionda per poi portare via Duth a braccetto.
Jophiel ti mandò una scarica lunga e debole, sentisti il tuo cervello spegnersi ma no…
No, tu sei Heiji Hattori e non permetteresti mai a una macchina di andare contro la tua volontà.
«Dormi?» ti chiese la ragazza carezzandoti i capelli.
Rimanesti in silenzio, come se ti fossi veramente addormentato.
«Non farà male, almeno questo» ti sussurrò all’orecchio prima di sganciarti i polsi.
Una sensazione di libertà riaffiorò in te mano a mano che le manette di metallo si allontanavano dalla tua pelle.
Mani, piedi, busto, collo, tutto era finalmente libero.
Quante ore eri rimasto intrappolato lì dentro? Quante ore?
Jophiel ti sollevò dalle spalle e ti fece poggiare la fronte contro la sua spalla.
La tua mente sembrava ricevere ancora scosse, immaginasti di avere Kazuha davanti a te, che quella fosse la sua spalla e sorridesti.
«Ho quasi fatto» ti sussurrò dopo aver poggiato un attrezzo freddo dietro la tua nuca, dove erano stati ritrovati i trattini blu nei cadaveri.
Ora capivi come avevano fatto a uccidere tutta quella gente: le facevano soffrire, impazzire fino a fargli avere allucinazioni, fino a costringerli in una realtà diversa.
Poi li costringevano al suicidio.
«Ti verrò a prendere più tardi, riposa adesso».
Kamai, seduto sul divano, guardava lo schermo del computer.
Heiji era sdraiato sul tavolo, soffriva ma riusciva a muoversi ed era finalmente libero.
Una folata di vento gli scompigliò i capelli, allungò una mano verso il suo caffè freddo e ne bevve un sorso.
«Se sei il degno figlio di Heizo lo dimostrerai in questi minuti. Non rendere vani i miei sforzi, Heiji» disse allo schermo prima di alzarsi.
Prese il cordless, afferrò la sua pistola e se la rigirò tra le mani con atteggiamento sicuro.
«Pronto, chi parla?»
«Li ho in pugno, smettila di trastullarti nei sensi di colpa e vieni a darmi una mano. O ci riprendiamo la nostra vita o per una buona volta finiamo all’Inferno».
 


Angolo autrice

Eccoci al quarto capitolo di questa avventura che, almeno sul mio file Word è giunto al termine.
Mi è quasi dispiaciuto averla finita, chissà che non ci scappi un sequel.

Avete già capito cosa ha in mente Kamai?
Qualche sospetto su Jophiel?
Fatemi sapere! E' sempre bello leggere le vostre opinioni <3

Bacini e biscottini
_SkyDream_
*SpoilerSpoiler*
Lo shock doveva averla sconvolta al punto dal comprometterne la ragione.
«Hai deciso di tornare a Osaka con me?» ti chiese senza muoversi, sembrava così piccola alla fioca luce della lampadina.
«Certo che torno a casa con te, ma dobbiamo uscire da qui prima, okay?»

 

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Capitolo 6
*** Chap5- Occhi ***


-Blood in my Eyes-
-Occhi-

 
Alzasti le palpebre di colpo, ti mettesti seduto come se ti avessero spinto via dal quel tavolo maledetto.
«Kazuha» dicesti per poi metterti in piedi. Le ginocchia ti cedettero immediatamente, finisti a terra con un tonfo e la testa sembrava scoppiare lì dove probabilmente ti avevano infilato il microchip.
«Dannazione» sibilasti a denti stretti, allungasti una mano verso la maglietta e te la infilasti così come i pantaloni.
Su una sedia del piccolo laboratorio c’era una giacca nera di seta- probabilmente di Jophiel-, l’afferrasti e la legasti al collo.
Fuori dalla porta passeggiava un uomo che non avevi mai visto, aspettasti che si fosse allontanato e poi sgusciasti via silenziosamente.
Poggiate il lato esterno del piede sul tatami e poi avanzate. Non dovete spostare l’aria, devono essere la molecole a farvi passare.
Dovete essere così silenziosi da non spostare nemmeno la polvere, vi torneranno utili questi consigli, ragazzi.
La katana spesso non risolve tutti i problemi.
 
Sorridesti pensando che, quando saresti tornato a Osaka, avresti ringraziato il tuo sensei per ciò che ti aveva insegnato.
Eri così sicuro che saresti tornato a Osaka?
Passasti davanti un paio di stanze, tutte chiuse a chiave.
Una di queste aveva un’apertura sull’estremità superiore, non proveniva luce dall’interno se non un lieve bagliore.
«Non ci devono essere finestre, questa è l’unica presa d’aria» guardasti la porta e cominciasti a battere i pugni più forte che potevi, ma sentivi che era di un materiale pesante.
«Sento una voce!» urlò qualcuno in fondo al corridoio, sentisti dei passi pesanti e la prima cosa che ti venne in mente fu fingere di essere svenuto.
L’uomo arrivò, capisti che non era solo e ti accasciasti ancora di più contro la porta.
«Deve essere una delle cavie di Aihel, chiudiamolo qua dentro, deve essere riuscito a fuggire e poi è svenuto»
«Che idiota la gente, spera di scappare» biascicò l’altro cercando delle chiavi.
-Idiota ci sarai tu, moccioso- pensasti senza mutare espressione.
La porta si aprì lentamente, sentisti l’odore di sangue invaderti le narici e poi sentisti nuovamente la porta richiudersi.
Apristi gli occhi, davanti a te penzolava una lampadina che emanava un bagliore giallognolo.
Del sangue cominciò a macchiarti le mani. Rimanesti lì in silenzio, da solo, non sapendo che fare.
Il bruciore al collo non sembrava smettere.
Poi, rotta dal pianto e flebile, si sentì una voce.
«Ma…ma..ru..ta..ku» un singhiozzo interruppe la canzone, poi continuò «ebi…su..ebisu…» ma un altro singhiozzo sembrò far cessare la voce.
Ti alzasti, ti avvicinasti alla voce e urtasti qualcosa con il piede.
Una mano ti afferrò la caviglia, tremava e sembrava senza forze.
I tuoi occhi si abituarono al buio e con una mano ti costringesti a non urlare.
Ai tuoi piedi giaceva Kazuha in una pozza di sangue, mezza nuda e da sotto gli occhi scendevano fiotti di lacrime rosse.
«Maru, ta…taku» ripeteva senza mollare la presa.
 

«Si può sapere qual è il tuo piano, Kamai?» chiese l’uomo barbuto mentre sprofondava nella poltrona dello studio.
«Guarda tu stesso questo schermo»
«Chi sarebbe questo ragazzo?» chiese quello strofinandosi una mano sotto il mento.
«Heiji Hattori, figlio di Heizo»
«E hai deciso di cucirgli una microspia a telecamera in ogni maglietta?»
«L’ho fatto tranquillamente dopo ogni lavaggio. Sapevo che si sarebbe cacciato nei guai e poi la Blue Spread non è tipo da lasciarsi scappare dei ragazzini»
«Tu ne sai qualcosa, eh Kamai?»
«Kazuha, sei tu?» Ti inginocchiasti accanto a lei e la trascinasti fin sotto la luce.
«Heiji, sei tu?»
Le carezzasti il viso con il dorso della mano e le infilasti la giacca nera facendo attenzione a non sfiorarle il seno. L’ultima cosa che volevi era metterle ancora più disagio.
«Cosa è successo?» ti chiese appoggiandoti una mano sulla spalla, sembrava volersi spingere per sedersi ma non ci riusciva.
«Ci hanno rapito, ma non preoccuparti ne usciremo vivi, piccola» le sussurrasti per poi farle poggiare il viso al tuo petto, respirava lentamente e sembrava evitare ogni movimento.
«Sono scalza…»constatò tristemente indicandoti i piedi nudi legati da un pezzo di corda usurato. La sciogliesti attento a non toccarle le ferite.
«Compreremo delle scarpe» La guardasti preoccupato, lo shock doveva averla sconvolta al punto dal comprometterne la ragione.
«Hai deciso di tornare a Osaka con me?» ti chiese senza muoversi, sembrava così piccola alla fioca luce della lampadina.
«Certo che torno a casa con te, ma dobbiamo uscire da qui prima, okay?»
Lei sembrò annuire, fece un colpo di tosse e si rannicchiò su se stessa come a stringersi le costole.
«Kazuha…» cominciasti cercando di aiutarla, ma non avevi idea di cosa fare.
Eravate bloccati, in un posto sconosciuto e per giunta lei era debole e gravemente ferita.
«Non ci vedo, sai Heiji? Ho perso la vista qualche minuto fa, però ho riconosciuto la tua voce» sorrise per poi stringere la tua maglietta, aveva lo sguardo vacuo.
Le passasti una mano davanti agli occhi ma le pupille non si spostavano.
Un moto di sconforto e di rabbia ti montò dentro.
«Sei stata bravissima, Kazuha» e non aggiungesti altro, sentivi il collo bruciare e un singhiozzo salirti.
Ma tu sei Heiji Hattori e non puoi piangere
Tu sei la roccia, riesci a fare cose incredibili
E avresti sorpreso tutti anche questa volta
Vero, Heiji?
Passasti una mano sulla tasca dei pantaloni, avevi il portafogli.
Ne uscisti la carta del conto bancario, ti allontanasti da Kazuha che aveva ripreso a cantare la canzoncina del pallone.
Apristi la porta facendo scorrere la carta sul chiavistello, il rumore delle giunture poco oliate diede inizio alla vostra libertà.
«Ti porto fuori di qui, Kazuha» Le dicesti passandole una mano sulla testa con tenerezza.
Le infilasti il cappello facendo in modo che con la visiera non fosse troppo esposta alla luce delle lampade al neon del corridoio.
La caricasti sulle spalle e le sussurrasti di rimanere in silenzio, lei annuì e scivolò nel sonno.
Corresti per i corridoi, maledettamente bianchi, senza incontrare nessuno.
Dopo un po’ sentisti Jophiel urlare, doveva essersi accorta della tua fuga.
Accelerasti il passo ma non sembrava finire più, né una porta né una finestra lungo metri e metri di corridoio.
«Arrenditi, non troverai mai l’uscita, detective dei miei stivali» rise Aihel che comparì davanti a te come per magia.
Uscì un telecomando con una piccola antenna e lo puntò verso di te come se volesse cambiare canale in una giornata noiosa.
«Allora, come ci si sente? Eh?» Aveva gli occhi chiari, crudeli e freddi come la lama di un coltello.
Cadesti sulle ginocchia, lasciasti che Kazuha scivolasse per terra ancora nel sonno.
Ti portasti le mani dietro la nuca, il tatuaggio blu pulsava come se avesse vita propria.
«Fallo…smettere..» pregasti con tono di supplica.
Chi lo avrebbe immaginato che ti saresti abbassato a tanto!
Ma il dolore riesce a fare qualsiasi cosa
Soprattutto se il dolore non è tuo
E te ne saresti reso conto presto
Troppo presto per i tuoi diciotto anni, Heiji
 
«Portala via, Duth» ordinò con un cenno della mano Aihel, poi guardò te con aria divertita e si inginocchiò davanti aumentando l’intensità della scossa.
«Se hai ancora l’energia per scappare vuol dire che non ti è bastata la lezione…»Rise sguaiatamente, come fanno solo le persone animate da sentimenti malvagi.
«Non fategli del male, non se lo merita» sussurrò Kazuha mentre Duth la caricava sulle spalle.
Aprì gli occhi e li puntò davanti a sé, Aihel cacciò un urlo disgustato e urlò all’uomo di chiuderle gli occhi.
«Non posso vederti ma so dove sei, sei qui davanti a me e stai facendo del male a Heiji, e non posso permetterlo» sussurrò mettendo i piedi a terra.
Duth, ancora sotto shock nel  vedere Kazuha camminare –se pur a stento- sui propri piedi, la lasciò andare.
Aihel indietreggiò spaventata dagli occhi insanguinati di Kazuha, nella foga lasciò cadere il telecomando.
«Stolta..» sussurrò Kazuha mentre si piegava a prendere l’oggetto.
Duth, ripresosi, l’afferrò come fosse stata una bambola e se la caricò su una spalla con tanta violenza da farla gemere di dolore.
Ma tu, seppur ancorato a terra dal dolore che ti penetrava fino alle ossa, capisti quello che stava per fare lei.
Allungasti una mano e premesti il bottone verso Aihel.
E’ vero che gli scienziati spesso sono abbastanza egoisti ed eccentrici da volersi incarnare con le proprie invenzioni.
Anche lei aveva il microchip e ne avesti immediatamente la conferma.
Si raggomitolò a terra urlando a Duth di prenderti, ma quello era ormai andato via con la ragazza.
«Bastarda, infima bastarda..»urlasti per poi tirare un pugno al terreno.
Dov’era finita Kazuha adesso?
«Lasciala stare» ti disse Jophiel che era poggiata allo stipite della porta del corridoio con una pistola in mano, la teneva rivolta verso Aihel.
Ti allontanasti e lasciasti andare il bottone del telecomando.
«Sarebbe arrivato il giorno in cui la mia invenzione avrebbe fallito, e lì anche il tuo castello di carte sarebbe crollato»
«Non è colpa mia se hai fatto degli sbagli, Jophiel» urlò l’altra tremando ancora per le scosse ricevute.
Jophiel, con la treccia lunga che le scendeva fino alle ginocchia, chinò il capo e puntò l’arma contro la collega.
«Era un bambino. Tu non mi hai fermata e io ho ucciso un bambino! L’ho ucciso di stenti! Come puoi vivere con questo peso nella coscienza?» urlò tra le lacrime senza muovere l’arma, si morsicava un labbro e sembrava cercare le parole giuste.
«Non ti sei fatta scrupoli con le decine di uomini che abbiamo usato per i nostri esperimenti!» le fece notare Aihel mentre tentava di alzarsi.
«Non mi importava più, niente aveva più importanza! Per nove anni ho vissuto tranquilla, senza ricordare nulla. Otto anni fa tu e Duth mi avete mostrato il video di quell’omicidio e da allora..»
Jophiel scoppia in lacrime, la  treccia scossa dai singhiozzi dondola davanti a se.
Ti alzi, sperando di scappare e cercare Kazuha ma quell’arma sembra puntata un po’a entrambi. Resti immobile.
«Sono passati diciassette anni da allora, Duth è ancora vivo e nemmeno io sono morto» disse una voce.
Davanti a te Kamai carezzava il calcio di una pistola argentata, dietro di se c’era un uomo sulla sessantina con una barba incolta, anche lui teneva una pistola.
Aihel urlò qualcosa, indicò Kamai con gli occhi sgranati dandogli del fantasma, del morto che cammina.
«Non pensavo che sareste tornati da Osaka, dopo tutti questi anni, ma ho le mie conoscenze. So muovermi nelle vostre tane, lupi assassini» rise guardando Aihel.
«Lei era ancora giovane, non aveva nemmeno sedici anni ed era già rovinata dalla droga e dall’alcol. Ma tu, Aihel, eri ormai adulta e non l’hai fermata» Erano parole d’odio, le sue, parole dette con coraggio e forza.
Ma pur sempre parole d’odio.
«Noi volevamo solo lei! Il bambino non era previsto!»
«Avete torturato mia moglie e mi avete tolto il mio unico figlio!» urlò sparando alla gamba della donna bionda.
«Posso perdonare Jophiel perché il destino non ha voluto bene nemmeno lei, ma tu sei solo feccia disgustosa. Tu e il tuo amante da quattro soldi! Sono vent’anni che questa faccenda va avanti, è ora di chiudere il conto».
«Mi è sembrato di sentire una voce» disse Duth abbandonando Kazuha su un tavolino.
«E’ la voce della morte, è venuta a prenderci» rispose lei prima di rivolgere lo sguardo in alto, dove avrebbe dovuto vedere la visiera del cappello di Heiji, e abbandonarsi alla stanchezza.
«E’ la voce della morte, è venuta a prenderci».

Angolo autrice
Qualcuno di voi (Gagiord) ipotizzava che Kamai fosse dal lato della Blue Spread, bhe almeno in questo ai piccioncini di Osaka è andata bene!
Chissà, magari ne escono indenni entrambi - o magari no.

Aspetto le vostre opinioni e recensioni!
A presto!

_SkyDream_

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Capitolo 7
*** Chap6- Dolore ***


-Blood in my Eyes-
-Dolore-

 
«Aihel sarà processata?» chiese l’uomo barbuto mentre camminava con Kamai per i corridoi bianchi del…già, dov’erano di preciso? Una base? Un laboratorio gigante?
«Così pare. Jophiel credo che ci sarà d’aiuto invece, sa molte cose e deve sfamare i suoi sensi di colpa.» rispose Kamai procedendo con passo svelto.
Tu, in silenzio, fissavi il pavimento che rifletteva gli aloni luminosi dei neon. Cercavi di mantenere la mente vuota per evitare di impazzire, ma era pressoché impossibile.
Impossibile pensare che dopo aver perso tutto quel sangue la tua Kazuha fosse ancora viva.
Un brivido ti percorse la schiena, alla base del collo sentisti un pizzico ma non ti preoccupasti più di tanto. In ospedale ti avrebbero tolto quel malefico microchip una volta per tutte.
L’uomo barbuto- che non avevi ancora capito chi fosse- urtò con il piede un cappello bianco macchiato di rosso.
Ti chinasti a raccoglierlo, i tuoi occhi si soffermarono sul verde sbiadito della scritta.
«Siamo sulla giusta strada, muoviamoci» urlasti cominciando a correre, un uomo sconosciuto ti si parò avanti, non aveva l’aria di essere pericoloso e passasti lo stesso.
Sentisti Kamai puntargli la pistola e dire qualcosa come “fossi in te starei zitto e fermo qui”. Doveva essere uno di quei ragazzi che ti avevano chiuso nella cella di Kazuha.
Corresti ancora, a lungo, ma niente. Nessuna stanza, solo corridoi.
Ti ritrovasti a un bivio, dietro di te sentivi rumori di rissa: Kamai e il suo complice non sarebbero venuti ad aiutarti presto e tu non eri nemmeno armato.
Prendesti la strada di destra, poco dopo una porta socchiusa attirò la tua attenzione, la apristi cauto.
«Aihel non sarà per niente felice di questa cosa! Potevi almeno resistere fino alla prova» sbuffò spazientito.
«Ora dirà che è colpa mia, che non sono stato attento, che dovevo andarci più piano» si lagnò ancora, sentisti qualcosa spostarsi nella stanza.
«Se fosse rimasto qualcosa di intero in te almeno mi sarei sfogato, ma così…»
I tuoi occhi, Heiji, balenarono come sotto l’effetto di una droga
I tuoi battiti accelerarono
Ti spingesti in avanti, su di lui
Senza il lume della ragione ti ci scagliasti contro.
 
Duth cadde all’indietro battendo la testa, un filo di sangue scivolò giù per il suo collo.
La furia che ti correva nelle vene ti sussurrava malefica che eri arrivato tardi. Malefica voce. Malefica coscienza.
«L’hai uccisa, bastardo!» urlasti tirandogli un pugno sullo zigomo, sentisti qualcosa rompersi sotto le tue dita.
Duth cercò di alzarsi, ma nonostante la sua stazza no riuscì a sopraffarti, la potenza e la voracità dei tuoi colpi erano come fulmini durante una tempesta.
«Heiji, basta!» Kamai ti prese per le spalle, sentivi i capelli sudati attaccarsi alla fronte, il cuore battere velocemente e una carica sulle mani che avevi bisogno di sfogare ancora e ancora.
Aihel te l’aveva detto che ognuno di noi  aveva bisogno di sfogare i propri bisogni. Il tuo era un bisogno urgente di vedere la testa di Duth saltare via dal corpo.
«Prima di impazzire in quel modo potevi assicurarti che quell’idiota non stesse vaneggiando. Se la portiamo subito all’ospedale potrebbe cavarsela» ti disse l’altro uomo prendendo tra le braccia Kazuha come se stesse solo dormendo, con dolcezza la cullò e uscì dalla stanza mentre Kamai attaccava i polsi a Duth.
Non era detta ancora l’ultima parola
E non sbaglio a dire che Kazuha era più forte di te
Come te aveva bisogno di qualcuno accanto
E indovina un po’ di chi…?
Durante il tragitto scopristi che l’uomo barbuto –Tamura- era il fratello della ragazza che era stata uccisa insieme a suo figlio di un anno: le prime due vittime di quel folle piano.
Scopristi che quel figlio era di Kamai, che la donna era una ricercatrice e voleva creare una macchina a ultrasuoni capace di alleviare o guarire delle malattie.
«Era una gran donna, in tutti i sensi» ti confidò Nakama espirando il fumo di sigaretta.
Eri seduto in una stanzetta con quattro letti, sotto osservazione per un paio di ore. Ti sarebbe rimasta una bella cicatrice alla nuca e probabilmente avresti sofferto di cervicale, ma tutto sommato non ti era andata male.
Il tuo sistema nervoso aveva risentito parecchio di quelle scosse anomale, ma si sarebbe rimesso in un paio di giorni di totale riposo.
«Come pensate di fare con il resto della Blue Spread?»
«Non è compito mio, e di certo nemmeno tuo. Heizo mi ha fatto una bella ramanzina, tra qualche ora dovrebbe essere qui» ti rispose buttando via un po’ di cenere dalla finestra, aveva lo sguardo perso.
«Come si chiamavano?» domandasti mentre ti abbandonavi alla morbidezza del cuscino.
«Sakura. Aveva dei capelli neri come la pece, bellissimi, li raccoglieva sempre in una treccia o se li legava sulla nuca con acconciature sempre piene di fiori freschi. Amava i fiori, ne avevamo interi vasi in giardino»
Si fermò, come a cercare un lontano ricordo.
Sapevi però che doveva essere più vivido di quello che faceva credere.
«Lui si chiamava Toichi, era un piccoletto assai vivace. Ricordo come veniva a piccoli passi nel mio studio e afferrava i libri dal tavolo per poi scarabocchiarli con la prima cosa che trovava»
Sorridesti, potevi solo immaginare il dolore che doveva aver provato alla morte delle persone a lui più care.
Chiudesti gli occhi, sopraffatto dalla stanchezza, e il tuo ultimo pensiero lucido fu dedicato a lei.
«Sotto le palpebre è buio. E lei vedrà tutto nero per il resto della sua vita».
 
Il risveglio fu piuttosto brusco.
Un paio di mani gelate ti toccarono la nuca e sentisti qualcosa di plastica entrarti nell’orecchio.
«Trentasette e due. Bene ragazzo, puoi tornare a casa senza problemi. Se hai dolore, vomito, nausea o febbre alta torna immediatamente. Cambia la benda ogni sei ore e torna qui tra due settimane per il controllo periodico. Qui c’è la carta delle dimissioni, arrivederci!» Il medico sparì dalla camera senza darti il tempo di vederlo in faccia.
«Pensavo morissi dalla voglia di vedere la tua bella» ti disse Kamai ancora appoggiato alla finestra nella posizione in cui l’avevi lasciato.
«L’operazione non sarebbe durata meno di quattro ore…»
«Hai dormito un bel po’, giovanotto»
 
La stanza era di un giallo chiaro, triste. Stesa sul lettino, addormentata e con il volto sereno, c’era Kazuha.
Aveva i capelli luminosi come sempre, non più impiastricciati di sporco, e le mani candide vicino il viso, dormiva sul fianco sinistro.
Le coperte le arrivavano fin sopra le spalle impedendoti la vista delle fasciature.
«Buonasera, siete parenti della signorina?» chiese un’infermiera con una cartella clinica sulle ginocchia, aveva gli occhi incredibilmente chiari.
«Si, sono…il fidanzato della ragazza» dicesti sperando di ottenere qualche informazione in più. Kamai, inaspettatamente, non ti rivolse nessun sorrisino sghembo.
«La guarigione sarà molto lenta, rimarrà in ospedale per qualche tempo in modo da permettere la trasfusione del sangue e i controlli giornalieri agl’occhi e alle costole»
«Che tipo di danni ha riportato?» chiese lui per te, mentre passava una mano sul ciuffo scompigliato di Kazuha.
«Ipotizziamo che la vista dell’occhio sinistro sarà compromessa seriamente o totalmente, l’occhio destro probabilmente recupererà ma non sappiamo quanto. Le costole hanno ricevuto parecchi colpi, abbiamo fatto il possibile ma ora spetta alla paziente rimettersi in sesto. Abbiamo riscontrato un ematoma alla testa, ma sembra che si stia riassorbendo da solo, abbiamo curato le altre ferite minori e la paziente non è più a rischio, solo che la grande quantità di sangue che ha perso e la perforazione- anche se minima- di organi interni aveva compromesso seriamente il suo stato di salute»
Rimanesti ad ascoltare in silenzio, guardandola dormire serena e poi, con coraggio, spostasti il tuo sguardo sul suo viso.
Aveva gli occhi bendati, una fascia bianca le percorreva gli occhi, passava sopra un orecchio e sotto i capelli.
«Okay, la ringrazio» risponse Kamai al posto tuo, nuovamente.
Sei rimasto immobile davanti il letto, a fissare ora la sacca del sangue che scivola lentamente per un tubicino collegato al suo braccio.
Qualcosa di oscuro ti stringe il petto.
 
«Ora capisci perché tuo padre ti aveva detto di non avere contatti con Kazuha?» ti disse Kamai continuando a carezzare il ciuffo di Kazuha.
Annuisti in silenzio, guardando le sue labbra rosee espirare lentamente.
«Sapevi che stavo indagando?»
«Sì, tuo padre sapeva che avevo avuto a che fare con la Blue Spread, sapeva che io ti avrei tenuto d’occhio. Mi assicuravo sempre che tu non ti allontanassi da quel bar, ma quando è arrivata lei ho pensato che un po’ di svago ti avrebbe allontanato dalle indagini. Sia io che Heizo sapevamo che sarebbe stato impossibile tenerti fuori, volevamo solo evitare…tutto questo».
Cadde il silenzio. Chiudesti gli occhi e non potesti fare a meno di sentirti terribilmente in colpa.
Vorresti sparire, sprofondare, morire in quell’istante.
«Hai fatto il possibile, ma temo che ti avrebbero trovato comunque» Ti disse tuo padre.
Era dietro di te, guardava verso il letto con profonda tristezza. Accanto a sé c’era la madre di Kazuha con le mani alla bocca che piangeva.

I giorni passarono lenti, da una settimana eri chiuso in camera tua a lanciare una pallina contro il muro e ad afferrarla. Sempre lo stesso ripetitivo movimento.
Eri a Osaka da qualche giorno, avevi deciso di partire prima di lei in modo da non vederla.
Solo una settimana fa avresti dato l’anima per vederla, ma non in quel momento.
Il senso di colpa non ti aveva abbandonato, anzi, sembrava divorarti ancora come un cane affamato.
Tua madre, stranamente premurosa, ti aveva cambiato la benda ogni sei ore e non aveva fatto domande. Però quando si sedeva dietro di te e ti medicava, come se parlasse a se stessa, raccontava ciò che Ginshiro le diceva al telefono: Kazuha sembra migliorare, le ferite si stanno rimarginando, comincia ad avere appetito, hanno detto che non ci vorrà il sostegno della psicologa, tra qualche giorno le toglieranno una benda.
Ma niente, i tuoi sensi di colpa erano sempre lì, pronti a farsi vivi quando di notte sentivi delle foglie cadere e, nella tua mente, ricominciava la canzone.
«Maru, take, ebisu…»
 
La sentivi vivida dentro le tue orecchie, sotto le palpebre la Kazuha che giocava al pallone veniva sostituita dalla Kazuha sanguinante che giaceva su un pavimento sporco.
E allora tutti gli sforzi di tua madre tornavano a essere vani.
Non immaginavi più una Kazuha che riprendeva appetito e camminava sulle sue gambe, vedevi solo una ragazza che credevi morta su un tavolo da laboratorio.
E la tua coscienza non sapeva più che cosa dire.
Non sapeva come affrontare la situazione.
 
«Heiji, sei tu?» chiese quasi spaventata, con una mano che stringeva il lenzuolo, l’altra che spegneva il televisore.
«Hai ancora riconosciuto il rumore delle scarpe?»
«Io riconoscerei la tua presenza anche se camminassi scalzo»
Seguì un istante di silenzio pesante, carico di cose non dette.
Ti avvicinasti, aveva ancora gli occhi bendati ma sembrava aver ripreso colorito.
«Come ti senti?» provasti a chiedere, indeciso.
«Pensavo che non mi avresti lasciata da sola! Si può sapere cosa hai fatto fino ad oggi?» Il suo tono era duro, quasi di rimprovero.
«Mi dispiace…»
Uscisti dalla stanza cercando di non far rumore, avevi bisogno ancora di tempo per poterla rivedere.
Forse se avessi pianto ti saresti sentito meglio
Ma no, tu sei Heiji Hattori
Dovresti vergognarti, fuggire da lei mentre ha bisogno di te. Lei non è fuggita quando tu ne avevi bisogno, è scappata di casa per venire da te!
 
«Hai fatto solo otto passi, non dodici. So che sei qui, accanto la porta» Ti disse, nel suo tono ora c’era solo tanta tristezza.
«Mi…dispiace così tanto, Kazuha»
«Lo so che ti senti in colpa, ma non devi. Non è colpa tua. Anche se mi avessi detto tutto su quel caso, sarei partita comunque. Lo avrei fatto perché avevo voglia di rivederti e poi…»
«E poi?»
«Sono riuscita a portarti nuovamente a Osaka»
Sorrise, teneramente, con il viso rivolto verso la porta come se ti vedesse. Seduta sul letto, con la maglietta stropicciata, tendeva le mani verso di te come se aspettasse un abbraccio.
Ti avvicinasti di otto passi, le passasti una mano sulla coda spettinata e lasciasti che lei ti abbracciasse.
«Sono ancora la tua rompiscatole?»
«Non credo esista una persona più rompiscatole di te, mi toccherà tenerti»
«Te ne pentirai amaramente»
«Lo so, eccome!»


Angolo autrice
Mi scuso per il ritardo di ben quattro giorni!
Tra scuola e maltempo mi è stato accendere il pc ><
Allora cosa ne pensate? La storia sta prendendo i risvolti che sospettavate, oppure è stata stravolta?
Fatemi sapere.
Ringrazio tutti i recensori che si sono preoccupati per il loro ritardo, come vedete qui siamo tutti ritardatari aahahahhaha
Buona settimana a tutti, spero di aggiornare con l'ultimo capitolo tra quattro giorni esatti!

Bacini e biscottini
_SkyDream_

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Capitolo 8
*** Chap7- Cicatrice ***


-Blood in my Eyes-
-Cicatrice-

 
Caro Heiji
Ho saputo che ormai vi siete del tutto ripresi dagli eventi che vi avevano sconvolto.
Sono contento di sapere che la tua fidanzatina sta bene, non si meritava proprio quella disgrazia, ma ha saputo dimostrare quanto una ragazza può essere forte!
Ho smesso di passare le giornate nello studio a guardare telegiornali, ho cominciato a scrivere racconti.
Non ti nascondo che avevo pensato di togliermi la vita, così da ricongiungermi con Sakura e Toichi, ma ho deciso di ridar loro vita –seppur metaforicamente- con i miei racconti.
Jophiel è in carcere, ma le hanno diminuito la pena perché ha collaborato.
Spero di rivederti presto a Kyoto, ovviamente accompagnato dalla bella fanciulla.
Ah, a proposito, ho saputo che lei si considera “la tua migliore amica”. Datti una mossa.
Con affetto e reicoffee
Kamai Nakama

 
 
Sono passati diversi mesi da quell’esperienza.
Siete tornati a scuola, passate le vostre giornate allegramente.
Con grande stupore dei medici Kazuha sembra essersi ripresa quasi del tutto: l’occhio destro ha ripreso quasi totalmente le sue funzioni, l’occhio sinistro è rimasto vacuo, come velato da una nebbia, ma vede ancora anche se parzialmente.
Kazuha ora indossa degli occhiali neri, abbastanza spessi, ma sorride come prima.  E non potresti chiedere di meglio.
Nell’iride destro sono rimasti due piccoli segni, strisce sottili. Nonostante ciò rimangono occhi bellissimi e non puoi fare a meno di ammirarle quando puoi.
Sta cantando, la senti dal retro della porta della veranda.
Ha le mani dentro una ciotola e sembra stia impastando qualcosa, appena entri una nuvola di cannella ti fa tossire.
Ti piace la cannella, ma non così tanto.
Kazuha, improbabilmente ignara della tua presenza, fa un acuto che per poco non ti rompe i timpani.
«Santi numi, piantala di strillare come un’oca!» urli sopra la canzone trasmessa dalla radio, ti avvicini e stacchi l’apparecchio dalla presa della corrente.
«Idiota! Era il pezzo più bello della canzone!»
«Stavo per diventare sordo!»
«Potevi aspettare che finisse!» Ti urla mettendo i pugni serrati lungo i fianchi, ha i polsi ricoperti di farina e sulle lenti ha dell’impasto per dolci attaccato.
«Sei sempre la solita pasticciona…» le dici togliendole con delicatezza gli occhiali e cercando del rotolone da cucina.
«Da qual pulpito vien la predica, eh?» Ti pizzica lei volgendo lo sguardo verso di te.
Le rimetti gli occhiali puliti sul naso, non puoi fare a meno di notare la pupilla sinistra che si muove appena, come se non guardasse te ma fosse persa nel vuoto.
«Grazie…»sussurra lei arrossendo, ti da le spalle e continua ad impastare come se nulla fosse.
La guardi, in silenzio, cercando di non darla vinta all’inconscio che, bastardo, ti mette davanti il suo viso insanguinato e il coraggio con cui si era messa in piedi per difenderti.
Ti ricorda di quella volta in cui abbracciandola avevi permesso a una lacrima di uscire
Sperando che lei non vedendola non ti avrebbe scoperto
Eppure aveva sorriso e ti aveva stretto ancora più forte
«Non posso fare a meno di notare con quale forza ti sia ripresa»
«Come avrebbe fatto chiunque altro»
«No, chiunque altro avrebbe avuto innumerevoli traumi, tu sei riuscita a riprendere la tua vecchia vita»
«Non del tutto, il sensei mi ha vietato di fare aikido. Ho chiuso tutte le porte con la mia grande passione»
La guardi con rabbia- rivolta verso il suo maestro- e le chiedi quando le è giunta questa notizia. Stringi il ripiano di legno con le mani.
«Oggi. Ora, Heiji, riaccendi la radio che mi va di cantare»
«Ti ha detto di no perché…bhe perché porti gli occhiali?»
«Più o meno.»
«Ma anche altri ragazzi hanno…»
«Al contrario di loro io non ci vedo senza. Senza queste lenti io non vedo che ombre vaghe, okay? Quindi riaccendi la radio!»
La abbracci, fregandotene delle mani sporche di impasto.
Lei abbandona la testa contro il tuo petto e si lascia cullare dal tuo cuore.
«Ci andrò a parlare io. Conosco i tuoi compagni e se si permettono di discriminarti per questo io…»
«Non farlo»
Lo dice con tono calmo, chiude gli occhi e afferra una tovaglia per pulire via l’impasto dalle mani.
Rimanete così, con te che la stringi e lei che ascolta il tuo cuore.
Entrambi siete arrossiti e non parlate, è troppo imbarazzante come situazione, eppure non vi allontanate.
«C’è dell’altro?» chiedi senza muoverti, lei annuisce col capo ma non sembra voler parlare.
Tentenna un po’, poi si solleva le maniche della maglietta fino ai gomiti.
Ha le braccia piene di cicatrici, piccole ma intense cicatrici che sembrano formarle un disegno. Sembrano petali che cadono dai rami degl’alberi.
«Posso sperare di trovare qualcuno che accetta di avere una ragazza a cui funziona un occhio e mezzo, ma sperare di trovare qualcuno che accetti questo!» ti dice sciogliendosi il grembiule.
Cerchi di dirle qualcosa, ma nonostante il rossore si sfila via la maglietta.
«Non passa giorno che non mi guardi allo specchio sentendomi imperfetta» sussurra volgendo lo sguardo alle tre cicatrici sul ventre.
Le conosci troppo bene: una ferita di Duth; l’intervento allo stomaco perforato; l’operazione alle costole incrinate.
Ha la pelle nivea, i tre segni sono di qualche tonalità più chiara, uno di questi sembra una mezzaluna. La trovi perfino bella.
«Non verrò mai desiderata da nessuno!» dice certa mentre si riveste.
Non alzi lo sguardo dal suo ventre, nonostante muoia dalla voglia.
Pensi alla camicetta scolastica, a Kamai e alla tua stanza di Kyoto.
«Ricordi Misa?* Tutto il paese la guardava vedendo una bella ragazza che però era stata deturpata. La cameriera stessa disse che non avrebbe mai trovato marito. E Misa aveva solo un segno sulla fronte, io cosa…?» Non riesce a terminare, si sente come se le fosse finito il fiato.
Ma no, tu sei Heiji Hattori
Per te esternare i sentimenti potrebbe essere un reato
Non sia mai che venisse a scoprire ciò che cova il tuo cuore, eh?
Smettila, una buona volta, di essere così autoritario con te stesso
Accidenti, non ti sei già accorto di amarla?
E diglielo, Santi Numi!
Diglielo!
 
«C’è una persona a cui piaci così, con la cicatrice a mezzaluna e le braccia piene di petali»
«Ma che dici?»
Le afferri le spalle, facendo scivolare le tue mani lungo le maniche della maglietta, fino alle mani.
Ok, il luogo lascia a desiderare
Ma è il momento giusto, no?
 
«Finchè potrò vedere i tuoi occhi, Kazuha- tremi mentre pronunci il suo nome, deglutisci- a me va bene così»
Lei ti guarda, rossa come un pomodoro, ha le iridi lucide. Entrambe le iridi lucide.
«Davv-?» Le chiudi la bocca con un bacio, lei sussulta inizialmente ma non si allontana.
Pensi che ha le labbra morbidissime e appena le schiude senti della cannella. Aveva già fatto dei biscotti e non ti aveva detto nulla.
«Idiota…» Le sussurri mentre prendi fiato, le fai poggiare le spalle al frigo e con le mani le carezzi i polsi, non li stringi. Li carezzi lentamente.
Lei ricambia il bacio con tenerezza, senti che i vostri nasi si sfiorano.
«Ma che ti ridi?» chiedi allontanandoti risentito.
«Sei diventato rosso!» esclama mentre sorride, ha le labbra gonfie e arrossate e tu ridi a tua volta.
Felice di essere tu l’artefice di quello spettacolo.
«Sarà un’impresa farti stare zitta in questi momenti» le dici con tono serio, ma non ti allontani e non ti accorgi nemmeno che le tue mani sono ancora lì.
Lei abbassa lo sguardo, la montatura le scivola un po’ sul naso, provocandoti una risatina.
Rimanete così, mano nella mano, con lo sguardo rivolto a terra.
Finchè Ginshiro non entra improvvisamente provocandovi un infarto multiplo.
Sarà meglio ufficializzare le cose al più presto
Ti ci è voluto molto autocontrollo per non ripensare a quella camicetta
Alla foto, alla doccia fredda.
Alla cicatrice a mezzaluna
Alle sue braccia piene di petali

* Misa è un personaggio del caso "La tela del ragno" manga n° 25

Angolo autrice
Ehilà, è finita così la storia dei nostri piccioncini.
E i due non possono nemmeno lamentarsi! Gli è andata bene tutto sommato ahahhaha

Spero di poter scrivere qualcosa al più presto
Nell'attesa vi mando un abbraccio forte forte :3

_SkyDream_

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